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TRAPASSATO FUTURO
from Trapassato Futuro - Francesco De Molfetta e Nicolò Tomaini in Showcases Gallery - Varese-
by 09955
FRANCESCO DE MOLFETTA – NICOLO’ TOMAINI
Villa Contemporanea e Showcases Gallery sono lieti di presentare la bi-personale Trapassato futuro che accosta le opere di due tra gli artisti contemporanei più noti e amati del momento: Francesco De Molfetta e Nicolò Tomaini Entrambi affrontano, in maniera differente ma affine, la tematica della comunicazione nella società contemporanea.
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Francesco De Molfetta, dissacrante ed ironico, nelle sue opere sa tradurre sapientemente le nevrosi contemporanee utilizzando un immaginario collettivo di massa, tipico di una società dei consumi che rivela vizi e contraddizioni.
Eclettico nell’uso dei materiali, utilizza bronzi, ceramiche e resine.
All’apparenza semplici e immediate, le sue opere si rivelano profonde e sarcastiche, imprevedibili e mai scontate, anche nell’uso raffinato dei titoli, generatrici di un cortocircuito che non lascia indifferenti.
Nicolò Tomaini traduce nelle sue opere l’incapacità comunicativa dell’era tecnologica: l’avvento dei social media e la massificazione dei contenuti hanno generato un condizionamento dei devices sulla nostra vita che ha portato all’alienazione della capacità critica dell’uomo. Tomaini enfatizza i processi con cui i media ci costringono ai loro tempi, ai loro modelli. Le sue opere raccontano la modalità con cui fruiamo le immagini. La nuova tecnologia si impone sulla conoscenza del reale che viene sempre osservata dallo schermo di uno smartphone; nello stesso modo l’artista utilizza opere del passato che vengono in parte celate per riprodurre l’effetto del caricamento sullo schermo del computer, oppure vengono scomposte come in fase di annullamento e distruzione.
Scrive Rebecca Delmenico nel testo che accompagna la mostra “Il trapassato futuro è una dimensione altra rispetto al trapassato che ci àncora al remoto e al futuro che corre sempre più veloce preda della rivoluzione informatica. In questo solco, tra-passato-e-futuro, muove la ricerca dei due artisti che rielaborano opere classiche creando un corto circuito inserendo elementi contemporanei legati ai medium digitali. Tecniche diverse, dalle ironiche e sarcastiche ceramiche di Francesco De Molfetta alle tele manipolate e reinventate di Tomaini, il messaggio è univoco: l'ebbrezza digitale sta portando all'isolamento dell'individuo. Salvifico allora è l’incontro con l’altro, la dialettica dell’esistenza che include anche il negativo, il disaccordo, essere connessi allora assume un significato diverso”.
Un gioco di parole, un tempo verbale che non esiste, tra-passato-e-futuro…già ma a cosa stiamo alludendo? Al presente? Ma il presente è un’illusione, ormai il mondo tangibile si è liquefatto nelle “cose” del digitale: l’hanno chiamata “rivoluzione digitale”, l’avvento del post-umano a opera dell’umano, la disincarnazione del mondo. Una tematica strettamente e indissolubilmente legata a un presente che non è più afferrabile, morfizzati dal continuo accesso a informazioni che ci deformano; informazioni spesso non verificate, date per buone e poi diffuse, in una selva di fake news dove tutto si confonde.
Il filosofo sud coreano Byung-chul Han, in diversi saggi, è riuscito a esprimere e analizzare con cognizione di causa un fenomeno che coinvolge l’umanità, siamo ormai lontani dalla società liquida teorizzata da Baumann: oggi ci troviamo davanti a uno “sciame digitale”, un assembramento casuale di individui che si muove senza un’anima, senza nulla a cui tendere, senza spiritualità perché i media digitali isolano e ci allontanano dall’altro. L’altro come alterità dialettica viene a mancare, perché nella rivoluzione digitale si assiste alla proliferazione dell’eguale per cui siamo interconnessi solo dal numero di like e ci rapportiamo solo con chi condivide i nostri gusti e pareri, di rimando ci vengono proposti continuamente contenuti che corrispondono ai nostri ideali.
Lacan nella sua teoria dell’immagine dice che nel quadro si manifesta sempre qualcosa dello sguardo. Lo sguardo è l’altro nell’immagine che mi osserva, mi tocca, mi richiama. Lo schermo del touchscreen è trasparente, senza volto, privo di sguardo: la trasparenza è la fine del desiderio, perché ci sia desiderio deve esserci una zona d’ombra. Il digitale del touchscreen è un movimento che annulla la distanza costitutiva dell’altro, possiamo maneggiare l’immagine a nostro piacimento, sembra di avere l’altro tra le dita.
Questo è lo scenario che vogliono rappresentare i due artisti, creando un ingegnoso ponte dove l’arte classica è stravolta dalla presenza del digitale che scombina totalmente le carte.
Francesco De Molfetta abilmente riesce a equilibrare una riflessione profonda e arguta con eleganti porcellane il cui titolo già anticipa il soggetto in modo sagace. “Malestorm” è un uomo in giacca e cravatta, si direbbe un uomo d’affari, il cui volto è deformato in un vortice che ne cancella i tratti somatici, “LAMAto” subisce una sorte simile, l’enorme mano de “Il Grande Capo” controlla tutto, ma il cervello è scollegato. La coppia di dama e cavaliere ottocenteschi, durante una passeggiata assieme, sono assorti ciascuno sul rispettivo cellulare, o ancora “I Like You” e “Non c’è campo” con classiche porcellane di putti che purtroppo constatano che i loro cellulari non connettono
Nicolò Tomaini porta avanti una riflessione in cui il mondo virtuale, arrivato come uno tsunami, ha travolto la realtà arrivando a sostituirsi ad essa. Attraverso interventi su tele Ottocentesche dipinte con soggetti classici, ritratti o nature morte, abbracciando un bagaglio iconografico ben noto, Tomaini ottiene un effetto visivo che enfatizza i processi con cui i media ci incalzano e ci costringono ad accettare i loro tempi e i loro modelli. Queste tele vengono rimaneggiate, e il loro corpo viene modificato, surclassato dall’invasione di schermate, codici di cancellamento, caricamenti che prorompono e snaturano i dipinti dal loro ruolo originale. In questa pratica dell’artista è chiara la volontà di sottolineare come vittima della situazione sia la creatività stessa. L’intrusione del digitale distrugge la memoria, cosa avrebbero detto i protagonisti dei ritratti nelle tele rielaborate da Nicolò Tomaini? Veder cancellato un lavoro eseguito alla vecchia maniera…Sicuramente la “Giovan donna con Gorgiera” in posa impeccabile, o il filosofo col suo sguardo austero che vediamo solo parzialmente perché il digitale irrompe e con un semplice caricamento o un codice sta per spazzare via il lavoro di mesi? Avrebbero sbottato, inconcepibile! E che memoria rimane? Chi sostiene la vita digitalizzata dice che la nostra memoria si è trasferita sui server, ed è sempre consultabile, ma qui sta l’errore dell’approccio post-umano: la nostra memoria è narrativa, quella dei medium digitali cumulativa. Il nostro cervello rielabora le tracce mnemoniche che sono vive perché ogni volta viviamo una storia diversa, mentre i dati immagazzinati digitalmente sono morti, vuoti, sempre uguali a se stessi. Visi decostruiti, schermate nere in carattere macchinico che come taglienti lame affettano i volti, gli abiti, gli ambienti.
E’ una nuova carne? Forse “Videodrome”, il celebre film di Cronenberg, si è avverato all’ennesima potenza. Realtà e finzione sfumano i loro confini e si intersecano, dovremo abituarci a vivere in questo mondo di assurdità, nel film persino allucinato e terribilmente pericoloso?
Salvifico allora è l’incontro con l’altro, la dialettica dell’esistenza che include anche il negativo, il disaccordo, il confronto: essere connessi allora assume un significato diverso.
Rebecca Delmenico