Danilo Dolci a Lula

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A.D. MDLXII

U NIVERSITÀ DEGLI S TUDI DI S ASSARI F ACOLTÀ

DI

L ETTERE

E

F ILOSOFIA

___________________________

CORSO

DI

LAUREA

IN

SCIENZE

D E L L ’E D U C A Z I O N E E D E L L A

FORMAZIONE

DANILO DOLCI A LULA

Relatore: DOTT.SSA MARIA FRANCESCA GHIACCIO

Tesi di Laurea di: P ATRIZIA B ECCU

ANNO ACCADEMICO 2010/2011


INDICE INTRODUZIONE

2

CAPITOLO I : LA PEDAGOGIA DEL ‘900 E VITA E OPERE DI DANILO DOLCI 1.1

CONTESTO STORICO CULTURALE NEL ‘900

5

1.2

LA NUOVA VISIONE DELL’INFANZIA

7

1.3

L’EDUCAZIONE INFANTILE

7

1.3.1 LE SCUOLE NUOVE IN AMERICA

8

1.3.2 LE SCUOLE NUOVE IN EUROPA 1.3.2.1 LA SITUAZIONE ITALIANA

9

1.4 L’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI: FONDAMENTI ED EVOLUZIONE STORICA

11

1.4.1 STRATEGIE POLITICHE DEI GOVERNI EUROPEI SULL’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI

13

1.4.2 ITALIA : I CENTRI TERRITORIALI DI EDUCAZIONE PERMANENTE

16

1.5 L’HOMO È SAPIENS IN QUANTO HOMO LOQUENS

18

1.5.1 LA PEDAGOGIA DELLA PAROLA DI PAULO FREIRE

19

1.5.2 LA PEDAGOGIA DEL DIALOGO DI ALDO CAPITINI E DANILO DOLCI

20

1.6 DANILO DOLCI : VITA E OPERE DI UN UOMO DI PACE

21

1.6.1 UN’ INFANZIA “NORMALE” E UN’ ADOLESCENZA “RIVOLUZIONARIA”

24

1.6.2 IL PERIODO DELLE LOTTE NON-VIOLENTE

27

1.6.3

29

UTOPISTA DI MESTIERE

CAPITOLO II: LA MAIEUTICA COME METODO NON VIOLENTO 2.1

IL METODO SOCRATICO

32


2.2

IL METODO MAIEUTICO DI DANILO DOLCI

35

2.3

UNA VERITÀ TRASMESSA È UNA MEZZA VERITÀ

37

2.4

L’ESPERIENZA DELLA “SCUOLA DI MIRTO”

39

CAPITOLO III: DANILO DOLCI A LULA 3.1 LULA E LE LOTTE SOCIALI NON-VIOLENTE

44

3.2 IL SILENZIO AMMINISTRATIVO

47

3.3 UNO SPIRAGLIO DI LUCE: DANILO DOLCI

50

3.3.1 UN GIGANTE BUONO

53

3.3.2 IL LABORATORIO MAIEUTICO

54

3.3.3 L’EREDITA’INDIVIDUALE E COLLETTIVA DELL’ESPERIENZA MAIEUTICA

57

CONCLUSIONI

59

APPENDICE

63

TAVOLA A : LA SCUOLA DI MIRTO RIUNIONI PER IL CENTRO EDUCATIVO DI MIRTO 1 INCONTRI CON LE MAMME DEI BAMBINI DAI 4 AI 14 ANNI 2 INCONTRI CON I BAMBINI DAI 4 AI 5 ANNI 3 INCONTRI CON I BAMBINI DAI 6 AGLI 8 ANNI 4 INCONTRI CON I BAMBINI DAGLI 8 AI 10 ANNI 5 INCONTRI CON I RAGAZZI DAGLI 11 AI 14 ANNI 6 INCONTRO CON ALCUNI STUDENTI DEL LICEO

64

TAVOLA B : INTERVISTE AD ALCUNI COMPONENTI DEL GRUPPO MAIEUTICO DI LULA

78

INTERVISTA 1 : MARIA TERESA ROSU INTERVISTA 2 : BERNARDO ASPRONI INTERVISTA 3 : LUCA LODDO INTERVISTA 4 : PIETRO CALIA TAVOLA C : I LABORATORI MAIEUTICI A LULA FOTO 1 I LABORATORI MAIEUTICI A LULA CON DANILO DOLCI FOTO 2 I LABORATORI MAIEUTICI A LULA CON DANILO DOLCI

104


FOTO 3 I LABORATORI MAIEUTICI A LULA CON DANILO DOLCI

NOTE BIBLIOGRAFICHE

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Ai miei genitori‌ Ai miei nonni‌

1


INTRODUZIONE Un violino d’argento o di alluminio non è un violino:forse più splendido, non è più lui. Certe strade si trovano anche al buio ma certe no:non voglio avere rimorso di spingere qualcuno verso strade a me più care e un giorno poi si trovi sopra il vuoto. C’è una parola, ho vergogna a dirla anche se indispensabile, non si usa e può sembrare un po’ professorale: maieutica. È l’arte di aiutare a partorire, la scienza di far nascere alla vita. È strano e non è strano che non sia una voce popolare:chi di noi riconosce la mano della propria levatrice? Danilo Dolci, Poema Umano

Sono tanti gli scritti che hanno assunto forma e spessore attorno alla figura di Danilo Dolci e ancora di più sono i giovani che come me hanno voluto conoscere e far conoscere il pensiero e l’operato di Danilo nelle loro tesi di laurea, descrivendone il grande personaggio che è stato, nonché il contributo che ha dato a tutti noi nella sua vita e, nel mio piccolo, ho deciso anche io di portare alla luce il pensiero di Danilo Dolci e il suo intervento nella mia comunità: Lula. L’obiettivo che questa tesi si prefigge è quello di riflettere sul messaggio positivo, democratico e maieutico che un grande pedagogista quale è stato Danilo Dolci ha voluto donare anche al mio paese, forse negli anni più bui della sua esistenza. Danilo ci ha regalato un messaggio di vita, di pace, di positività in una terra dilaniata da tanti problemi, primo fra tutti l'assenza di comunicazione. O meglio, una comunicazione c'è stata ma nei modi e nei metodi non del tutto convenzionali e di cui le cronache locali e nazionali hanno ampiamente dato testimonianza. Cogliere l’intervento di Danilo Dolci a Lula significa per me riscattare il paese da quel torpore che da tanti anni soffoca questa piccola comunità e che fa di essa e dei suoi abitanti un essere di meno. L’essere di meno è il destino degli oppressi di Paulo Freire. Un essere di meno che diviene uno stimolo e uno strumento che conduce gli oppressi a lottare per essere liberi dai loro oppressori. Lottare, dunque, per comunicare; lottare per la libertà; lottare 2


per se stessi e per gli altri in una lotta non violenta. Lottare non con le armi o con la violenza, ma con la forza prorompente della parola, con il pensiero creativo; lottare con la partecipazione attiva per un confronto libero tra la gente… Il percorso di questa tesi si sviluppa in 3 tappe: Nel primo capitolo è stato approfondito il tema riguardante l’orizzonte storico pedagogico che ha caratterizzato il XX secolo evidenziando l’ondata dei grandi cambiamenti che hanno investito l’educazione sia in età adulta che in età infantile. Dopo quest’analisi l’obiettivo

è quello di riproporre al centro del dibattito educativo e

formativo una, forse utopica, pedagogia comunicativa, una pedagogia che va oltre gli schemi e che vorrebbe rimarcare quale è l’importanza della parola e del dialogo nel discorso comunicativo riproponendo il contributo, a tal proposito, di grandi maestri del calibro di Paulo Freire, Aldo Capitini e Danilo Dolci. Ed è per questo motivo che mi sono soffermata in modo più incisivo e dettagliato sulla figura di Danilo Dolci, delineando un excursus della vita dell’autore che tocca le tappe più importanti che hanno caratterizzato il suo pensiero e il suo modo di essere in Italia, ma anche in altre parti del mondo. Nel secondo capitolo, dopo un lavoro di ricerca e di attenta lettura degli scritti di Danilo e su Danilo, emergono le sue idee e il suo pensiero. Tutto ciò si manifesta principalmente con il metodo non violento e con la Maieutica. Come è noto a tutti il primo pensatore a parlare di maieutica è stato Socrate che aveva dato questo nome al suo metodo di insegnamento, paragonando il ruolo dell’insegnante a quella della levatrice. Successivamente vediamo, ovviamente in chiave più moderna,

come si

delinea la maieutica dolciana che dagli anni ’50 in poi caratterizza il panorama pedagogico italiano. Particolarmente significativa è stata l’esperienza del Centro Educativo di Mirto dove si possono raccogliere le testimonianze dell’importanza e della fecondità del metodo maieutico nel suo insieme. Nel terzo capitolo l’attenzione si sposta su quello che è stato Danilo Dolci a Lula. Brevemente ho ripercorso alcune importanti tappe che hanno fatto di Lula un esemplare laboratorio politico, come amava definirlo lui, per poi giungere al periodo più buio del silenzio amministrativo, motivo per il quale Danilo Dolci è stato nostro ospite. Avvalendomi della collaborazione di alcune persone di Lula che hanno partecipato ai suoi laboratori maieutici e al seminario nazionale del 1996, ho raccolto

3


delle interviste dove emerge chiaramente l’importanza del suo metodo ed appare altrettanto evidente come ognuno degli intervistati custodisca ancora oggi il suo insegnamento, facendone buon uso sia nella vita professionale che nel privato.

4


CAPITOLO I: LA PEDAGOGIA DEL ‘900 E VITA E OPERE DI DANILO DOLCI

1.1 CONTESTO STORICO - CULTURALE DEL ‘900

Il Novecento è stato un secolo ricco di contraddizioni e ambiguità, fatto di luci e al tempo stesso d’ombre, di guerre e di pace, di ricchezza e d’assoluta povertà, d’integralismo e di globalizzazione1. Un Secolo complesso che vede, prima d’ogni altra cosa, il segno indelebile lasciato dalle 2 grandi guerre di portata mondiale che stravolsero gli assetti sociali, politici ed economici dell’intera umanità. Tra gli innumerevoli e indicibili orrori segnati dalla guerra non si può non ricordare il dramma degli ebrei deportati e sterminati nei lager nazisti alla fine della Seconda Guerra Mondiale2. Ma il’900 fu anche un secolo di rinascita economica, di sviluppo industriale che portò all’aumento dell’occupazione e di conseguenza al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. D’altro canto però gli anni più floridi del boom economico coincidono con il mobilitarsi delle masse che sfociarono nelle contestazioni del ’68, frangente storico contraddistinto dalle rivolte giovanili e studentesche che caratterizzarono sia i Paesi più sviluppati dell’Occidente (Stati Uniti, Francia, Italia3, Germania) sia gli stati socialisti come la Cina4. La mobilitazione giovanile-studentesca si proponeva di mettere in luce l’immobilismo e l’arretratezza presente nelle scuole e di contestare l’autoritarismo dei “baroni”, chiedendo un radicale rinnovamento dell’insegnamento. Come le altre scienze anche la pedagogia non si è sottratta di fronte ai grandi 1

Antonio Londrillo, Viaggio nella storia, Mursia Editore, Milano, 1997, p. 382. Alla fine della guerra i lavoratori ebrei uccisi nei campi di concentramento furono circa 7 miliardi. 3 A Trento, a Torino, a Milano, a Roma e poi in tutte le città universitarie italiane nacque il “Movimento Studentesco”. 4 Antonio Londrillo, Viaggio nella storia, Mursia Editore, Milano, 1997, p. 382. 2

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cambiamenti avvenuti nel novecento e che hanno coinvolto differenti ambiti e settori (dall’economia alla politica, dall’arte alla filosofia). In ambito pedagogico il rinnovamento partiva da un ripensamento complessivo della pedagogia stessa, dai suoi tessuti più interni e radicati, per far emergere un’immagine nuova per una nuova scienza, che poi è andata definendosi come scienze dell’educazione. Un cambiamento inevitabile, dunque, vista anche l’emergenza sociale dovuta in gran parte alla nascita di un nuovo tipo di società, ovvero quella di massa5. Uno tra i fattori a provocare questo fenomeno complesso fu la crescita esponenziale dell’industrializzazione, sempre più mirata ad una rapida e incisiva presenza del settore terziario. L’impulso d’espansione di quest’importante settore è dovuto, oltre che dalla crescente domanda-offerta tecnologica, anche dall’aumento del tenore di vita, nonché dalla crescita esponenziale di bisogni sociali nuovi quali l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’informazione nonché le sempre più frequenti attività culturali e ricreative. Quest’evento richiese alle scienze sociali una maggiore incisione nella vita politica ed economica che si andava creando, ponendo l’accento sul ruolo dell’educazione e mettendo quest’ultima al centro dello sviluppo della società. L’alfabetizzazione e la cultura di massa hanno permesso alla pedagogia di cambiare il suo volto e di trasformarsi man mano in scienza empirica. Altro fattore di carattere innovativo fu il ruolo assunto dall’interdisciplinarità. In passato, infatti, la pedagogia è andata chiudendosi troppo su se stessa cogliendosi come scienza unica e basandosi su radici prettamente filosofiche. In questo modo si aprono nuovi orizzonti alle altre discipline, alla collaborazione diretta con altri saperi, promuovendo, allo stesso tempo, la crescita di molteplici campi di ricerca al suo interno, primo fra tutti la pedagogia sociale. La complessità sociale, l’emergere di nuove domande connesse a particolari bisogni acquistano la forma di vere e proprie emergenze educative e conducono la riflessione pedagogica a declinarsi socialmente.

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Franco Cambi, La pedagogia del novecento, Editori Laterza, Bari, 2010, pp. 9-10.

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1.2 LA NUOVA VISIONE DELL’INFANZIA La pedagogia andava modificando considerevolmente le sue forme, nonché rivisitando i suoi argomenti tanto è vero che si parlò di una vera e propria rivoluzione copernicana6. Primo fra tutti a parlare di “rivoluzione copernicana” fu il filosofo John Dewey7

che ci descrive una scuola intesa come una grande famiglia pronta ad

accogliere tutti i bambini e a continuare in modo più completo l’educazione appresa in ambito familiare. Oggi l’educazione deriva dalla partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della specie. Questo processo s’inizia inconsapevolmente quasi dalla nascita e plasma continuamente le facoltà dell’individuo, saturando la sua coscienza, formando i suoi abiti, esercitando le sue idee e destando le sue idee e le sue emozioni…8. Dewey sposta l’attenzione al rapporto tra la persona e la società, rivalutando il ruolo dell’esperienza dell’individuo come possibilità di rapportarsi, sperimentarsi e trasformarsi in base alla conoscenza dell’ambiente che lo circonda e dunque considerando l’esperienza come scambio attivo tra soggetto e natura. Si assiste, per tanto, a diversi capovolgimenti, primo fra tutti il modo di intendere l’infanzia. […] il fanciullo diventa il sole intorno al quale girano gli strumenti dell’educazione. Esso è il centro intorno al quale essi sono organizzati9. L’infanzia va configurandosi come una fase basilare dell’intera esistenza umana e mettere al centro del dibattito questo aspetto significa, inoltre, approfondire tutta una serie di studi e far emergere aspetti e peculiarità concernenti le fasi di crescita e di sviluppo del bambino.

1.3 L’EDUCAZIONE INFANTILE Oltre alla famiglia, dunque, un altro ambito dove il ruolo dell’educazione è stato forte e incisivo è quello scolastico. La svolta consiste nell’importante e necessaria rottura con l’istituzione scolastica del passato, troppo spesso disciplinare e troppo poco attenta ai bisogni del bambino e al potenziamento delle sue capacità. 6

Giorgio Chiosso, Novecento pedagogico, Editrice La Scuola, Brescia, 1997, p. 53. Ibidem. 8 John Dewey, “Il mio credo pedagogico”, La Nuova Italia, Firenze, 1954, pp. 3-4. 9 John Dewey, “Scuola e società”, La Nuova Italia, Firenze, 1949, pp. 26-27. 7

7


Alla base di tale “rivoluzione” vi stanno, in primo luogo, le importanti scoperte della psicologia, che pone una netta e dovuta distinzione tra psicologia infantile e psicologia adulta. L’infanzia assume un’importanza diversa rispetto al passato, mettendo al centro del gioco educativo il bambino stesso, in un’ottica più attiva, partecipe ed artefice del proprio processo educativo. La “nuova educazione”consente di riconoscere che l’apprendimento può e deve avvenire in tanti modi e se vogliamo anche in tanti e diversi luoghi non limitandoci alle aule di una scuola, ma spaziando anche in ambienti extrascolastici. Proporre questo tipo di attività significa stimolare l’innata curiosità del bambino e il suo bisogno di contatto col mondo attraverso l’attività esplorativa, coniugando in questo modo attività intellettuale e attività pratica. L’esperimento delle “scuole nuove” fu un fenomeno che si diffuse prevalentemente in America e in Europa occidentale10.

1.3.1 LE SCUOLE NUOVE IN AMERICA Sulla spinta delle “scuole nuove” e dunque di un nuovo attivismo a livello educativo vale la pena ricordare tre importanti iniziative americane: il Metodo dei Progetti11, il Dalton Plan12 , e le Scuole di Winnetka13. Il Metodo dei Progetti fu proposto da William H. Kilpatrick (1871 – 1954)14. Il progetto si basa essenzialmente sul potenziare l’attività intenzionale del fanciullo e sulla valorizzazione dell’interesse per il conseguimento di un fine. Il fine, infatti, in quest’ottica, ha l’importante ruolo di essere lo stimolo essenziale che conduce a sua volta l’educando ad attivare il proprio processo cognitivo. Le Scuole Nuove però non furono molto sensibili alla proposta innovativa di Kilpatrick forse perché il suo progetto richiedeva un cambiamento troppo radicale della scuola stessa, soprattutto a livello strutturale e organizzativo (diversi orari, profonde modifiche dei programmi) 10

Franco Cambi, Le pedagogie del novecento, op .cit. , pp. 22 -23. Ibidem. 12 Ibidem. 13 Ibidem. 14 Ivi , p. 22. 11

8


Il Dalton Plan è un progetto elaborato da Helen Parkhurst15 (1887 – 1973), sicuramente ispirata al lavoro di Maria Montessori16. Alla base del suo progetto stava la libera organizzazione del lavoro scolastico come prerogativa per un’educazione più efficiente e creativa. Lo svolgimento di un libero programma educativo richiedeva dei profondi cambiamenti del sistema scolastico complessivo. Il compito dell’insegnante era quello di controllare e al tempo stesso consigliare un giusto equilibrio nella gestione del lavoro svolto in totale autonomia dagli alunni17. Le Scuole di Winnetka18 furono realizzate da Carleton W.Washburne19 (1889 – 1968). Quest’iniziativa si caratterizza come le altre per la libertà organizzativa nella didattica e per la conseguente autogestione degli alunni volta a potenziare il lavoro di gruppo. Per facilitare il lavoro di autoregolazione queste scuole seguivano due linee guida: un programma che si occupava delle conoscenze di base dei ragazzi i quali erano sottoposti periodicamente a test auto-valutativi su diverse materie; l’altro programma, invece, promuoveva la creatività e il lavoro libero attraverso laboratori di musica e d’arte.

1.3.2 LE SCUOLE NUOVE IN EUROPA In Inghilterra Cecile Reddie20 (1858 – 1932) avviò l’esperimento delle Scuole Nuove creando un istituto ad Abbotsholme21. La scuola accoglieva ragazzi adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni. Il compito didattico sul quale si fondava la scuola era quello di formare i ragazzi fornendo loro una preparazione completa che gli consentiva di affrontare in modo appropriato i problemi reali della vita quotidiana. La scuola aveva dunque l’ambizione di trasformarsi in un “mondo in miniatura” per fornire ai giovani il giusto supporto per poter affrontare nel miglior modo i problemi della vita reale. Mentre nei primi del novecento nacque in Francia L’Ecole des Roches22 che ebbe

15

Ibidem. Helen Parkhurst conobbe Maria Montessori in Italia negli anni ’50. 17 Ogni giornata di lavoro scolastico si articolava in attività di laboratorio, organizzazione del lavoro e conferenze. 18 Le scuole di Winnetka si trovano vicino alla città di Chicago. 19 Franco Cambi, Le pedagogie del novecento, op .cit. ,p. 23. 20 Giorgio Chiosso, Novecento pedagogico, op .cit. , pp. 58-59. 21 Abbotsholme è una località inglese che si trova nei pressi di Derbyshire. 22 Giorgio Chiosso, Novecento pedagogico, op. cit. , pp. 61-62. 16

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come ideatore-creatore Edmond Demolins23 (1852 – 1907). L’istituto si trovava in aperta campagna a stretto contatto col mondo naturale. Gli alunni che frequentavano la scuola potevano muoversi in totale libertà nell’ambiente sotto la guida dei loro maestri. Lo scopo didattico che la scuola si proponeva era di dare ai giovani un’adeguata formazione sia sul piano teorico che su quello pratico. In Germania, invece, fu Georg Kerschensteiner24 (1854 – 1932) che propose la Scuola del Lavoro25. Si trattava di una scuola nuova che, accanto alle varie materie di studio, accostava l’attività lavorativa. L’ideatore dell’istituto era fermamente convinto che il lavoro fosse l’attività principale della vita dell’uomo e per questo motivo la inserì come attività didattica a partire dall’educazione infantile. Gli edifici scolastici dovevano contenere, oltre alle aule per gli insegnamenti classici, anche dei laboratori e delle officine dove gli alunni potevano apprendere l’attività lavorativa. Gli obiettivi che la scuola si prefiggeva erano quelli di raggiungere un’alta formazione sia professionale sia morale del giovane26.

23

Edmond Demolins pubblica nel 1898 l’opera “Education nouvelle” dove propone le prime linee guida della nuove educazione. 24 Kerschensteiner si ispirò all’attività pedagogica di Dewey. 25 Franco Cambi,Le pedagogie del novecento, op. cit. , pp. 18-19. 26 Ibidem.

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1.3.2.1 LA SITUAZIONE ITALIANA Promotore indiscusso della nuova organizzazione scolastica in Italia fu Giuseppe Lombardo Radice (1879 – 1938)27. Il suo ideale di scuola era quella che lui stesso chiamava Scuola Serena28, caratterizzata dal continuum educativo tra famiglia e scuola nonché dall’abbandono di ogni rigidità educativa a favore di un clima di serenità, spontaneità e collaborazione tra personale didattico e alunni29. Altro nome importante sul patrimonio italiano fu Rosa Agazzi30. Sulla stessa scia di Lombardo Radice, la Agazzi, si poneva come obiettivo primario la continuità tra famiglia e scuola, dove l’insegnante doveva porsi nei confronti dei bambini in un modo quasi materno. L’ideale di scuola dalla Agazzi promuoveva il lavoro libero, attivo e creativo in un ambiente naturale per facilitare nei bambini attività di cooperazione e aiuto reciproco. L’innovazione più importante che la Agazzi propose riguardava il materiale didattico utilizzato per l’apprendimento e l’educazione. L’insegnante infatti faceva portare a scuola ai bambini qualsiasi oggetto, anche quelli più personali. Il materiale raccolto serviva come imput per l’avvio a ricerche, discussioni, dibattiti che vedevano partecipi i ragazzi in modo attivo e creativi in un clima connotato da grande serenità e forte collaborazione. La Scuola-Città Pestalozzi31, che si ispirava all’attivismo di Dewey, invece nacque a Firenze nel 1945 grazie all’idea di Anna Maria ed Ernesto Cadignola32. L’obiettivo che la scuola si prefissava era quello di insegnare ai ragazzi ad organizzare la vita sociale, portandoli in questo modo a “visitare” anticipatamente il mondo degli adulti. La Scuola- Città Pestalozzi richiedeva loro, infatti, di cimentarsi nella vita degli adulti ricoprendo anche i ruoli lavorativi o ricreando dei prototipi di vita quotidiana come per esempio ricoprendo i ruoli dell’amministrazione comunale piuttosto che del tribunale con lo scopo di sviluppare nei ragazzi un ottimale comportamento democratico. 27

Franco Cambi, Le pedagogie del novecento, op. cit. , p. 31. Ibidem. 29 Giuseppe Lombardo Radice fu promotore della famosa rivista italiana “L’educazione nazionale”(19191933)dove erano presi in esame importanti temi del panorama italiano dell’epoca e soprattutto in riferimento alla cultura pedagogica. 30 Franco Cambi, Le pedagogie del novecento, op. cit. , p. 20. 31 Ivi , p. 21. 32 Ibidem. 28

11


Nel panorama dell’attivismo italiano non si può tralasciare il lavoro svolto da Maria Montessori33, attenta alla difesa dei diritti del bambino. Il suo metodo si basa sullo sviluppo sia didattico sia motorio del bambino favorendo l’insegnamento di attività di base quali il vestirsi, il lavarsi… Il metodo Montessori privilegia la libertà del bambino accompagnato da un adeguato supporto educativo, condizione necessaria per l’acquisizione di una adeguata maturazione personale e per il raggiungimento di un buon grado di responsabilità. Nel 1907 Maria Montessori inaugura la prima Casa dei bambini nel quartiere di San Lorenzo a Roma34. Anche se in tempi più recenti (anni ’70) vale la pena ricordare, nell’ambito dell’innovazione pedagogica, la Scuola Di Mirto35 ad opera di Danilo Dolci. La scuola nasce a seguito di un lungo lavoro, durato degli anni, fatto di incontri tra bambini, genitori ed educatori per decidere sul come la scuola doveva essere, dove doveva nascere e cosa si doveva insegnare. Questo è un lungo lavoro di progettazione, non proveniente dall’“alto”, come spesso accade, ma ideato con la gente e insieme alla comunità. La Scuola di Mirto si trova in una zona collinare, immersa nel verde e circondata da circa dieci ettari di terreno36. Anche la scelta della località non è a caso, ma è motivata dalle esigenze dei ragazzi e dalle attività che vi vorrebbero svolgere. Dalle riunioni emerge anche il forte desiderio di un rapporto costante con la natura che non impedisce il regolare percorso d’apprendimento, ma al contrario lo stimola incentivando la creatività e l’autenticità degli studenti. In quest’ottica l’educazione ha lo scopo di trasformare la naturale curiosità in metodo di ricerca. La continuità tra scuola e famiglia è il pilastro che sorregge il Centro Educativo di Mirto, tanto è vero che il coinvolgimento dei genitori nei programmi della scuola è attività integrativa alla didattica della scuola stessa37.

33

Giorgio Chiosso, Novecento Pedagogico, op. cit. , pp. 96-97. Ivi, p. 100. 35 Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore. Un nuovo modo di pensare e di essere nell’era atomica, Edizioni Cultura della pace, San Domenico di Fiesole (FI), 1992, p. 119. 36 Ivi , p. 142. 37 Ibidem. 34

12


1.4 L’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI: FONDAMENTI ED EVOLUZIONE STORICA

L’eredità che ci è offerta dalla storia della pedagogia e dalle scienze dell’educazione e di notevole importanza e ci aiuta ad affrontare i nuovi problemi che ci troviamo di fronte alla società de nuovo Millennio. Ciò che caratterizza la nostra nuova Era è l’indebolimento dei legami con le altre persone e che mette al centro della vita dell’uomo uno spiccato individualismo, dovuto alle troppe incertezze lavorative, sociali e culturali che oggi, più che in passato, minano la nostra serenità. La complessità del mondo attuale ha portato al declino dell’uomo moderno provocando forme di frammentazione e disgregazione che portano alla crisi dei riferimenti valoriali tradizionali. Concependo la vita in modo frugale e frammentato all’uomo di oggi viene a mancare quella che è la progettualità e di conseguenza siamo investiti da inevitabili momenti di crisi nei quali non si riesce e vedere alcuno spiraglio d’uscita. Ciò che viene a mancare è allora la capacità di proiettarsi in una prospettiva futura, ovvero la sfida più ambiziosa nella quale la pedagogia è pronta a scommettere. In tal senso un contributo importante ci arriva da Edgar Morin, filosofo francese, che nel 1999 pubblica il testo I sette saperi necessari all’educazione del futuro38, dove l’autore affronta la complessità del mondo attuale affidando all’educazione l’importante compito di guida per accompagnare l’essere umano nel difficoltoso cammino che è la vita per vivere in armonia con la società contemporanea. Morin dunque ci propone un’educazione che tenda ad esaltare l’unità del sapere e della conoscenza, abolendo ogni forma di frammentazione e segmentazione che producono solo crisi e continue incertezze39. Con l’espressione educazione degli adulti si intende l’insieme di teorie, di politiche e di strategie che tendono ad interpretare e a gestire tutti quei processi formativi individuali che caratterizzano tutto il corso della nostra vita40. L’educazione 38

Edgar Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001. 39 Ibidem. 40 Paolo Federighi (a cura di), Glossario dell’educazione degli adulti in Europa , BDP e EAEA, Firenze, 2000, p. 3.

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degli adulti ha avuto, per lo meno in Europa, un’origine comune, ovvero l’avvento dalla società industriale. In linea generale, a seguito dello sviluppo industriale, possiamo mettere in evidenza due componenti importanti che segnano la nascita dell’educazione degli adulti: da una parte vediamo l’emergere di una borghesia industriale che mostra tutto il suo interesse nell’avere una propria forza lavoro capace di fronteggiare un’attività produttiva in forte espansione, dall’altra vediamo com’è la stessa classe lavoratrice che spinge verso una propria emancipazione con l’obiettivo di superare la divisione sociale anche in ambito lavorativo41. Nel XX secolo, a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, si parlò in modo insistente di educazione degli adulti tanto è vero che si tenne una conferenza appositamente indirizzata verso questo tema, ovvero la Conferenza di Elsinòr42, dove si tentò di definire l’educazione degli adulti come l’attività dell’individuo tesa al miglioramento personale e al completamento della formazione di base43. Il momento di svolta si ha negli anni ’60 dove si inizia a parlare di una forma di educazione permanente come strumento di lotta all’analfabetismo nel Congresso di Montreal44 tenutosi dall’Unesco nel 1960. Il Congresso fu una sorta di spartiacque per le campagne mondiali di alfabetizzazione che si tennero negli anni successivi proposte dall’Onu e delegate all’Unesco. Nel Congresso di Teheran45, del 1965, si discusse quale fosse il modo più opportuno per sensibilizzare le Nazioni sull’impellente urgenza di supportare, soprattutto da un punto di vista economico, la campagna messa in atto di alfabetizzazione a livello mondiale. Gli anni successivi furono in un certo senso di resoconto perché si aggiunse al processo di alfabetizzazione un elemento in più, ovvero si parlò non solo di lotta all’analfabetismo come aiuto sostanziale dello sviluppo della persona, ma più propriamente di un elemento cruciale per incrementare il cambiamento sociale. A questo proposito basta ricordare come l’Italia sia stata in prima linea, al fianco di altri Paesi europei, nelle campagna a favore dell’alfabetismo con numerosi interventi, statali e privati, mirati al completamento dell’istruzione elementare e orientati verso 41

Ivi, p. 4. Cosimo Scaglioso, L’educazione degli adulti alle soglie del terzo millennio, Api, 2000, p. 3. 43 Ibidem. 44 Lauretta D’Angelo (a cura di), Integrazione europea in materia di istruzione e formazione, Franco Angeli, Milano, 2008, p. 10. 45 Cosimo Scaglioso, L’educazione degli adulti alle soglie del terzo millennio, op. cit. , p. 69. 42

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l’istruzione media e professionale46. A questo proposito non si possono dunque ignorare i Centri di Orientamento Sociali, più conosciuti con la sigla COS fondati nel 1945 da Aldo Capitini, nonchè i Centri UNLA47 atti a promuovere attività legate all’istruzione di massa. Coerentemente con questa linea di interventi vediamo il secondo dopoguerra italiano connotato da ciò che è chiamato Associazionismo Culturale che vede, per iniziativa di Olivetti, la nascita nel 1953 dei Centri Comunitari di Movimento delle Comunità48 finalizzati ad accelerare il livello culturale delle masse. Nel 1958, Danilo Dolci fonda il Centro Studi Iniziative per la piena occupazione49, per denunciare, servendosi di inchieste-interviste, degli abusi ai danni della popolazione, con l’intento di riorganizzare l’intero tessuto sociale con il metodo maieutico-non violento. A ragion del vero, l’intero processo di sviluppo dell’educazione degli adulti non può tralasciare l’influenza di diverse correnti di pensiero che ne scandiscono i modi e i tempi e che possiamo riassumere in due approcci: quello neo-liberale e quello criticoradicale50. Per quanto riguarda il primo, l’educazione degli adulti va configurandosi come un’attività educativa improntata alla condivisione di valori e di credenze comuni, con lo scopo di inserire gli individui nel progetto di partecipazione attiva allo sviluppo e al mantenimento del progresso. Una formazione individuale che nel fare proprio il termine learning, avanza l’idea di un educatore per gli adulti, quale guida atta a promuovere i processi di apprendimento finalizzati allo sviluppo dell’autostima e della cura di sé. A tal proposito si parla di andragogia51 meglio definita come una branca dell’educazione dagli adulti che volge lo sguardo verso la comprensione dei bisogni di apprendimento emergenti in età adulta e che vede nella figura di Malcom Knowles52 il suo massimo esponente53. Nell’approccio critico-radicale la formazione degli adulti assume la forma 46

Paolo Orefice (a cura di), Operatori,strutture,interventi di educazione permanente, La Nuova Italia, Firenze, 1991, pp. 31-32. 47 L’UNLA fonda nel 1947 i Centri di cultura popolare. 48 Paolo Orefice (a cura di), Operatori, strutture, interventi di educazione permanente, op. cit. , pp. 31-32. 49 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, Edizioni Altreconomia, Milano, 2010, pp. 28-32. 50 Paolo Federighi (a cura di), Glossario dell’educazione degli adulti in Europa, op. cit. , p. 13. 51 Ivi, pp. 23-24. 52 Duccio Demetrio, Manuale di educazione degli adulti, Laterza, Roma - Bari, 2003, pp. 106-107. 53 Il termine andralogia fu ufficialmente coniato nel 1833 in Germania ad opera di Alexander Kapp e quindi riconsiderato successivamente in molti paesi quali l’Olanda, la Germania, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. La teoria andragogica di Knowles si basa su quattro principi fondamentali: 1)Principio di autonomizzazione che mira allo sviluppo dell’autonomia individuale e del concetto di sé tramite pratiche autodiagnostiche delle esigenze educative e autovalutazione individuale; 2)Principio di interattività che si

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di uno strumento di dominio da parte di chi detiene il potere sulla popolazione. Una educazione contro-egemonica54 che vede l’impegno di molti autori, ispiratosi a Gramsci e a Freire, nella lotta per l’educazione come pratica di libertà e fa della formazione degli adulti la capacità di elaborare strategie liberatorie che portano al controllo della gestione sociale. Oltretutto, la formazione, coinvolge il soggetto in prima persona nella costruzione dell’intero tessuto sociale e nel mantenimento del proprio ruolo di attore sociale. Ciò è ben presente nella teoria della coscientizzazione di Paulo Freire che riveste nell’apprendimento grandi aspettative, primo fra tutti la costruzione di una società migliore che rispetti la dignità e la libertà di ogni essere umano. Anche in Italia l’approccio critico-radicale ebbe i suoi effetti con l’intervento,soprattutto in Sicilia,di Danilo Dolci che,con un metodo molto simile a quello di Freire,contribuì a creare numerosi gruppi di protesta contro il dominio della mafia, restituendo alla popolazione la libertà di partecipazione e di gestione della loro società.

1.4.1 STRATEGIE POLITICHE DEI GOVERNI EUROPEI SULL’EDUCAZIONE DEGLI ADULTI Nel 1976 si tenne a Nairobi55 la Conferenza generale dell’Unesco dove si discussero principalmente tematiche legate alla formazione in età adulta giungendo ad una definizione più chiara e più soddisfacente del concetto stesso di educazione degli adulti che ne faceva l’insieme dei processi educativi grazie ai quali persone, considerate adulte nella società cui appartengono, sviluppano le loro attitudini, arricchiscono le loro conoscenze, migliorano le loro qualificazioni tecniche o professionali e fanno evolvere i loro atteggiamenti e il loro comportamento, nella duplice prospettiva di crescita integrale dell’uomo e di una partecipazione a uno

basa sull’apprendimento attraverso l’analisi dell’esperienza di vita individuale; 3)Principio di aderenza al compito prioritario o “mission” che aiuta verso l’individuazione del compito principale che l’adulto è chiamato ad assumere nel corso della vita; 4)Principio di spendibilità immediata che si basa sulla verifica dei risultati in circostanze private in cui la persona è chiamata a prendere decisioni e a risolvere gli eventuali problemi della vita. 54 Paolo Federighi (a cura di),Glossario dell’educazione degli adulti in Europa, op. cit. , p. 14. 55 Ivi, p. 53.

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sviluppo socio-economico e culturale equilibrato e indipendente56. Ma il documento considerato ancora oggi il più importante è la carta prodotta dall’Unesco nella tre giorni di Amburgo nel 1997, in cui nel tracciare le linee guida per una politica di promozione dell’educazione permanente si pone in evidenza i sette punti chiave che contraddistinguono l’intero documento57: 1) L’educazione degli adulti è il risultato di una consapevole appartenenza ad una comunità e la condizione per un’attiva partecipazione sociale. 2) L’educazione degli adulti include l’insieme dei processi di apprendimento, formale e non, attraverso i quali gli adulti sviluppano le loro abilità, arricchiscono le conoscenze tecniche e professionali e le orientano secondo le loro necessità. 3) L’educazione permanente può favorire lo sviluppo degli individui di autonomia di pensiero e di comportamento e di mutare il loro senso di responsabilità. 4) Garantisce il diritto alle pari opportunità. 5) Promuove la cultura della Pace e l’educazione alla democrazia. 6) Valorizza le diversità e promuove l’uguaglianza incoraggiando un’istruzione interculturale. 7) Promuove il diritto alla salute. Nelle nuove politiche educative e formative l’attenzione si rivolge, non tanto e non solo, verso il conseguimento, come obiettivo principale, del livello minimo di istruzione, ovvero il completamento delle scuole dell’obbligo e in esse si perseguiva l’obiettivo di rilanciare un nuovo ideale di educazione che si estende a tutto l’arco delle vita, intesa non solo come emancipazione dell’attività lavorativa,ma considerata quale vero e proprio bisogno vitale della persona. Di questo avviso è LLP (Lifelong Learning Programme)58 un documento dove è espressa la volontà del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea, in materia di apprendimento permanente, nel quale si propone il compito di dare all’istruzione e alla formazione una prospettiva che copra tutto il percorso di vita dell’individuo, valorizzandone ogni forma di apprendimento59.

56

Isabella Loiodice, Non perdere la bussola. Orientamento e formazione in età adulta, op. cit. , p. 50. Ibidem. 58 Paolo Federighi (a cura di), Glossario dell’educazione degli adulti in Europa, op. cit. , pp. 59-60. 59 Lauretta D’Angelo (a cura di) Integrazione Europea in materia di istruzione e formazione, op. cit. , p. 14. 57

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1.4.2

I

CENTRI

TERRITORIALI

DI

EDUCAZIONE

PERMANENTE IN ITALIA L’istituzione dei Centri Territoriali Di Educazione Permanente (CTP) sono stati espressamente voluti da un’Ordinanza Ministeriale del 199760 che si esprimeva in materia di educazione degli adulti. L’educazione in età adulta è inserita nello scenario generale dell’istruzione e della formazione durante tutta la vita, in una prospettiva nella quale, ogni persona, a qualunque età, sia posta in grado di sviluppare le proprie capacità, di governare il proprio apprendimento, di partecipare a processi di conversione e di usufruire di offerte di istruzione che consentano di migliorare la qualità della vita61. L’Ordinanza lascia chiaramente intendere la netta rottura con gli schemi considerati più tradizionali, di tipo prettamente scolastico, lasciando spazio alle nuove forme di apprendimento oltre a coinvolgere il territorio e, in generale, l’intera comunità di

appartenenza.

I

CTP

guardano

ai

bisogni

della

persona

in

quanto

cittadino,promuovendo la dignità della vita e allontanando così il soggetto da ogni forma di emarginazione o di strumentalizzazione. Il Centro diviene, dunque, la sede in cui sono progettati, realizzati e valutati gli interventi educativi inseriti all’interno di un quadro culturale, sociale ed economico della società a cui si riferiscono. Il CTP diventa il punto di incontro del lavoro svolto dai diversi operatori della formazione in una sorta di “rete”che, nel porre gli stessi in continua relazione tra loro, ruotano intorno a tre obiettivi principali, ovvero lo sviluppo della società locale, il fare “rete” e il protagonismo degli attori sociali e culturali della comunità62.

60

Ministero Delle Pubblica Istruzione, Ordinanza Ministeriale n°455 del 29 luglio 1997. Paolo Orefice (a cura di), Operatori, strutture, interventi di educazione permanente, op. cit. , parte 2°. “L’esperienza Mo.Ter. (modello territoriale di programmazione educativa e didattica). 62 Ibidem. 61

18


1.5

L’HOMO È SAPIENS IN QUANTO HOMO

LOQUENS In passato la famiglia ha avuto l’importante e complicato ruolo di caposaldo dell’educazione primaria ma, ai giorni nostri, tutto questo è andato perduto e, paradossalmente, oggi vediamo un sistema familiare sempre più disorientato e disorganizzato, nella sconfortante situazione di dover essere educata ad educare. Compito primario della pedagogia sociale è dunque quello di formare supporto educativo, di guida, oggi come non mai, rivolto ad un utente adulto che versa in situazione di disagio e d’incertezza. L’uomo di oggi si trova immerso nella velocità del mondo con l’avvento-evento delle nuove forme che ci sono proposte dalla tecnologia,basti pensare ad internet che, con i suoi efficientissimi motori di ricerca e con i social network, riesce in tempo reale ad immetterci in un mondo virtuale e ad una velocità record ma che producono, al tempo stesso, gravi forme di incomprensione e di solitudine. La comprensione però è allo stesso tempo mezzo e fine dell’educazione e della comunicazione umana e non si può prescindere dal dire che comprendere significa anche apprendere insieme. Lo sviluppo delle nuove tecnologie produce frequentemente forme di ambiguità tra il trasmettere e il comunicare il che porta inevitabilmente a tante forme di distorsione e incomprensione. Trasmettere significa coltivare rapporti unidirezionali. Il trasmettere è uno spedire che sovente ignora chi riceverà63 . Il comunicare presuppone

la

partecipazione, la creatività, la connessione, l’attenzione, l’ascolto, la pluridirezionalità. Da qui nasce l’importanza della parola, del dialogo e della comunicazione autentica. La parola, dunque, come arricchimento nell’apertura verso l’altro che porta al superamento delle divisioni, dei pregiudizi e soprattutto delle incomprensioni. Le nuove pratiche pedagogiche che coinvolgono il mondo adulto rimarcano l’importanza del dialogo e della parola rendendoli pilastri su cui poggia l’intero processo educativo, processi ed interventi che ebbero grande risonanza in Europa, e soprattutto in Italia, con le iniziative di Aldo Capitini e di Danilo Dolci, e in America Latina con Paulo Freire. 63

Danilo Dolci, Dal trasmettere al comunicare, Sonda, Milano, 1988, p. 92.

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1.5.1 LA PEDAGOGIA DELLA PAROLA DI PAULO FREIRE Il Brasile, terra dilaniata dalla povertà, dalla disoccupazione e dalla miseria, dovette fare i conti, intorno agli anni ’60, con un altro nodo da sconfiggere, ovvero quello dell’analfabetismo che limitava, in modo gravoso, le potenzialità e le capacità dell’individuo, chiudendolo in una condizione di deficit e di arretratezza. Paulo Freire64 iniziò il suo personale e innovativo programma di alfabetizzazione, nel 1962, nel nord del Brasile65. Il metodo rivoluzionario e alternativo di Freire consisteva nel dare la giusta importanza al linguaggio e alla parola. Il lungo processo di alfabetizzazione si poteva dunque basare, secondo l’autore, sul riconoscimento delle parole che facessero parte del linguaggio comune, dell’agire quotidiano. Si trattava di realizzare una sorta di “nuovo vocabolario”, o per dirlo con le parole dello stesso Freire, di un universo vocabolare66. All’universo vocabolare facevano capo tutte quelle parole gergali, preghiere, canzoni popolari e racconti che appartenevano all’agire quotidiano della gente comune e che potevano servire a loro volta per ridare dignità alle persone e per capire il mondo patendo dal microcosmo, ovvero dalla vita di tutti i giorni67. Questo processo avveniva mediante le parole generatrici68, ovvero tramite l’analisi e la comprensione di tutti quei vocaboli comuni che avevano non solo un significato grammaticale, ma assumevano rilevanza anche eticamente e politicamente. In tal modo gli educandi “possedevano la parola”, ovvero erano capaci di scomporla, ricomporla, ma soprattutto capirla. Oltre all’originalità dei metodi di alfabetizzazione proposti da Freire, il passo successivo del suo operato consiste nel concetto di coscientizzazione69. Coscientizzare significa per Freire la capacità del soggetto di assumere un ruolo sociale e civile per creare e ricreare la realtà determinando la storia70. Coscientizzare, dunque, inteso come metodo educativo di guida che porta il soggetto ad una nuova coscienza e ad un nuovo modo di vedere e

64

Paolo Vittoria, Narrando Paulo Freire. Per una pedagogia del dialogo, Editore Delfino, Sassari, 2008, p. 34. 65 Paulo Freire fu animatore di attività di alfabetizzazione tra i campesinos del nord-est brasiliano negli anni ‘60. In seguito fu incaricato di predisporre piani di sviluppo analoghi in varie parti del 3°Mondo. 66 Paolo Vittoria, Narrando Paulo Freire. Per una pedagogia del dialogo, op. cit. , p. 48. 67 Ibidem. 68 Ivi, p. 49. 69 Ivi , p. 132. 70 Ibidem.

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di pensare la sua situazione e gli consente, in modo critico, di liberarsene71. Questo significa che con la coscientizzazione si ha una nuova visione del mondo, il che comporta la ricerca creativa volta al superamento di tale condizione72. Le pratiche di coscientizzazione si basano su un unico principio, ovvero il dialogo. Comunicare con gli altri è una forma di rafforzamento della propria identità, nonché di confronto con altre verità e con altre conoscenze. Il dialogo ha natura maieutica in quanto è l’arte dialettica del “tirare fuori”, è il vettore verso la problemattizzazione della realtà, che non significa distruggerla o complicarla, ma semplificarla attraverso l’analisi critica, attraverso il dialogo collettivo.73

1.5.2 LA PEDAGOGIA DEL DIALOGO DI ALDO CAPITINI E DANILO DOLCI L’esempio di Paulo Freire e del Brasile viene recepito in tutto il mondo e in maniera particolare in Italia dove sia Capitini che Dolci si occuparono di educazione degli adulti. Ciò che li accomuna è la volontà di proporre una lotta non violenta per la difesa dei diritti umani. Alla base del pensiero di Aldo Capitini74 (1899-1968), pedagogista ed intellettuale che si caratterizzò per il grande impegno nel movimento della non-violenza e per la difesa dei diritti umani, vi è l’importanza dei concetti quali l’Apertura al tututti75e la compresenza che lui definiva anche la realtà di tutti76. Per l’autore il dialogo con l’altro è sinonimo di apertura, vale a dire che è attraverso il dialogo che si prende coscienza della compresenza, una dimensione che riunisce a sé tutti gli uomini e che garantisce loro la realtà liberata, ovvero l’interiorizzazione della presenza delle altre persone. A tal proposito pubblica nel 1956 71

Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Ega, Torino, 2002, p. 14. Ibidem. 73 Paolo Vittoria, Narrando Paulo Freire. Per una pedagogia del dialogo, op. cit. , p. 135. 74 Franco Cambi, Le pedagogie del novecento, op. cit. , p. 105. 75 Elisa Nivola, Maria Erminia Satta, Tessiduras de paghe, Libreria Editrice Fiorentina e Centro Gandhi Edizioni Pisa, p. 171. 76 Giorgio Chiosso, Novecento pedagogico, op. cit. , pp. 338-339. 72

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Rivoluzione aperta dove affronta il tema del metodo non-violento in riferimento a Gandhi77. Per raggiungere la compresenza78 si ha bisogno di valori pedagogici ed educativi che siano autentici, e questo è possibile solo se si mettono in campo nuove tecniche educative che stimolino l’individuo alla collaborazione e cooperazione con le altre persone (lavoro di gruppo, discussione) , in una prospettiva non violenta e di profondo rispetto reciproco79. Seguendo la stessa linea dell’amico e collaboratore Capitini, anche le iniziative di Danilo Dolci80 creavano nel dialogo e nella reciprocità il suo fondamento. L’impegno di Danilo Dolci, come in Sicilia anche in altre parti d’Italia, è stato quello di occuparsi dell’educazione e dell’emancipazione civile e culturale dei ceti meno abbienti, impegnandosi in prima linea alla lotta contro la mafia, l’analfabetismo, puntando al medesimo istante, alla salvaguardia del lavoro in quanto diritto di ogni cittadino81. Il dialogo ha un’importanza primaria nell’agire di Danilo Dolci e di ogni azione di protesta da lui condotta, che si traduce con la Maieutica reciproca, volta a riformulare e riorganizzare l’intero sistema politico, culturale e sociale82. Il dialogo maieutico che ci propone Danilo Dolci non è una tecnica educativa, ma la capacità di comunicare, di ascoltare, di raccontare i propri vissuti, di cooperare con gli altri e di rapportarsi in modo empatico, mettendo in questo modo le basi di una nuova educazione, ovvero per una Pedagogia di Pace83. Promuovendo l’autoanalisi popolare si giunge all’emancipazione dell’uomo, nonché alla valorizzazione delle sue reali capacità, portando alla luce le culture popolari, incrementando e stimolando la creatività e la progettualità di ogni singola persona.84 Danilo Dolci ritiene che ogni forma di progresso debba avvenire attraverso la valorizzazione delle culture locali, incrementando e stimolando la creatività e progettualità di ogni singola persona. Quando la vita intera è implicata, sovente il germogliare è imprevedibile, 77

Ibidem. Ivi, p. 340. 79 Ibidem. 80 Ivi, p. 341. 81 Ibidem. 82 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 33-34. 83 Giorgio Chiosso, Novecento pedagogico, op. cit. , p. 342. 84 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 34-35. 78

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matura articolandosi mirabile. La natura è un insieme di creature che si risolvono una nell’altra: la vita che respira è un mistero che riusciamo a scoprire nel comporla. La gente semplice può sapere molto, ma in genere da sola non sa cambiare il proprio territorio; i tecnici possono sapere molto, ma in genere da soli non sanno cambiare la storia. Se i due gruppi collaborano riescono a capire come una situazione è e come riuscire a promuovere la crescita. Quasi in ogni parte del mondo (vedi il caso della diga sullo Jato, prima solo sognata da un pescatore, e poi realizzata in collaborazione con i tecnici)85. In oltre cinquant’anni di quotidiana sperimentazione, Danilo Dolci ci offre una feconda attività eredità che troppo spesso è stata sottovalutata e poco indagata. I temi da lui trattati e per cui ha lottato gran parte della sua vita risultano ancor oggi argomenti e problemi che fanno parte della nostra attualità. Partendo dalla riflessione sulla crisi della modernità e dalla ricerca di modelli sociali autentici si ha consapevolezza di quanto sia urgente una radicale riorganizzazione sociale che si fonda su un nuovo modo di educare, concepito in modo non violento e maieutico, che viene a realizzarsi attraverso la valorizzazione della creatività sia individuale che collettiva.86

85 86

Danilo Dolci, Gente semplice, La Nuova Italia, Firenze, 1998, p. XVII. Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 60.

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1.6 DANILO DOLCI: VITA E OPERE DI UN UOMO DI PACE

1.6.1 UN’ INFANZIA “NORMALE” E UN’ ADOLESCENZA “RIVOLUZIONARIA”

(Dal 1924 al 1955)

Io ho avuto un’infanzia normale e sognavo di fare l’architetto: ho studiato con quello scopo, ma poi via via avvicinandosi la guerra, vedendo i fascisti, i nazisti intorno, mi sono domandato effettivamente che cosa volevo fare, perché cominciavo a capire che un architetto avrebbe lavorato solo per i ricchi, per chi aveva i soldi, e non per chi non aveva né case né soldi: occorreva dunque fare un altro lavoro, prima dell’architettura e prima della cosiddetta urbanistica. (Intervista di Mao Valpiana a Danilo Dolci)

Danilo Dolci nasce a Sesana (Trieste) il 28 giugno del 192487. Il padre Enrico Dolci, dipendente delle ferrovie, conduce la sua famiglia in Lombardia, dove Danilo compie i suoi primi studi88. In un quadro storico annientato dalla dittatura fascista, Dolci matura una forte avversione verso il regime. Si rifiuta, infatti, di vestire la divisa repubblichina e nel 1943 viene arrestato a Genova dove, però, riesce a fuggire riparandosi in Abruzzo89. Nel 1945 la fame, la mancanza di alloggi e la disoccupazione, contribuirono a rendere precaria la situazione dell'ordine pubblico in un’ Italia devastata dalla guerra. Nell' Italia settentrionale la fine della guerra aveva dato slancio alle lotte sociali, mentre nel centro 87

Antonio Mangano, Danilo Dolci. Un nuovo modo di pensare e di essere nell’era atomica, op. cit. , p. 13. 88 Danilo Dolci consegue il diploma presso un istituto tecnico e poi la maturità artistica a Brera. 89 Danilo,approfittando di un momento di distrazione dei carcerieri,riesce a fuggire a Poggio Cancelli, piccolo borgo dell’Appennino abruzzese, dove sarà ospitato da una famiglia di pastori.

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sud i contadini avevano occupato le terre incolte. La minaccia più grande, però, veniva dal mezzogiorno e dalle isole a causa dello sviluppo della malavita e del fenomeno mafioso. Al termine della seconda guerra mondiale Danilo Dolci torna a Milano per proseguire i suoi studi, ma nel 1950, ad un passo dalla laurea in architettura abbandona l'università e si trasferisce a Nomadelfia, nella comunità di accoglienza per bambini reduci dalla guerra, sorta nell'ex campo di concentramento nazifascista di Fossili (MO)90, per opera di Don Zeno Saltini.91 Nel 1952 compie la scelta radicale che condizionerà gran parte della sua vita, ovvero il trasferimento in Sicilia, nel piccolo Borgo di Trappeto92, un villaggio di contadini-pescatori nella zona di Partinico-Montelepre93. Il 14 ottobre dello stesso anno Danilo fa il suo primo digiuno per otto giorni sul capezzale di un bambino morto per la fame94, con l’intento di smuovere la coscienza delle autorità affinché intervenissero in qualche modo per dare lavoro alla popolazione lacerata dalla miseria95. Quando ho visto le condizioni disperate di questo bambino sono corso alla farmacia di Balestrate per cercare del latte da portargli, ma è stato inutile. E’ morto proprio davanti a me. Allora cominciai a digiunare. Non c’era un ragionamento preciso, non avevo letto Gandhi, sapevo solo che non potevo accettare che esistesse un paese senza fognature, senza strade. Volevo manifestare istintivamente la mia solidarietà […] imparai che, a certe condizioni il digiuno poteva diventare una forza96. Alcuni mesi dopo (il 10 dicembre 1952) Dolci diffonde un volantino dove pubblicizza la sua obiezione di coscienza. Sento ora necessario di chiarire che se sarò chiamato per uccidere o collaborare anche indirettamente alla guerra mi rifiuterò: non voglio essere un assassino97.

90

Nomadelfia era una comunità d’accoglienza apertamente osteggiata dai benpensanti dell’epoca e considerata, per lo più dalle gerarchie cattoliche, un covo di sovversivi.

91

Giuseppe Barone, La forza della non violenza. Bibliografia e profilo biografico di Danilo Dolci, Edizioni Libreria Dante & Descartes, Napoli, 2000, p. 7. 92 Danilo Dolci (a cura di), Comunicare, legge della vita, La Nuova Italia, Firenze, 1997, p. 153. 93 La scelta dell’improvviso trasferimento in Sicilia non fu dettata da nessun tipo di rottura di rapporti con Don Zeno Saltini. 94 In quegli anni si registra un tasso di mortalità infantile pari al 10%. 95 Paolino Russo, Toni Alia e altri pescatori lo sostennero nell’iniziativa e si dichiararono pronti a prendere il suo posto, qualora lui fosse morto, per continuare la protesta. 96 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 16. 97 Ivi, p. 17.

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Per opera di Danilo e dei suoi piĂš stretti collaboratori, nel 1953-54 vengono costruite a Trappeto una casa e una scuola materna per aiutare madri e bambini che versavano in condizioni di povertĂ estrema; dopo alcuni mesi la polizia mise i sigilli alla struttura98. Nell'ottobre del 1955 Dolci pubblica il libro Banditi a Partinico, testo nel quale documenta la drammatica situazione del territorio siciliano99.

98 99

Dopo la chiusura della casa-asilo i bambini furono strappati agli educatori e trasferiti in istituti pubblici. Ivi , p. 21.

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1.6.2 IL PERIODO DELLE LOTTE NON VIOLENTE

(Dal 1955 al 1968)

Il 27 novembre del 1955 Danilo Dolci inizia il suo secondo digiuno, della durata di sette, e lo fa a Spine Sante (Partinico) per sensibilizzare e proporre il problema della costruzione della diga sullo Jato100. Il 30 gennaio del 1956 riunisce oltre mille persone, la maggior parte contadini e pescatori, che sulla spiaggia di San Cataldo (Trappeto) danno inizio ad un massiccio sciopero della fame per denunciare il problema della pesca di frodo, la manifestazione fu vietata ed ostacolata dalle forze dell’ordine con la motivazione che un digiuno pubblico è illegale101. Pochi mesi dopo, il 2 febbraio 1956, a Partinico inizia lo sciopero alla rovescia102, dove centinaia di disoccupati protestano per avere il diritto al lavoro sancito dall'articolo 4 della costituzione italiana103. La reazione dello stato fu repressiva: Danilo Dolci e quattro sindacalisti furono condotti nel carcere di Ucciardone, dove scontarono una pena di due mesi. Memorabile fu la difesa in tribunale di Piero Calamandrei che richiamò Il dialogo eterno tra Creonte e Antigone, ovvero, «Creonte difende la cieca legalità e Antigone che obbedisce soltanto alla legge morale della coscienza, alle “leggi non scritte” che preannunciano l'avvenire, con questo solo di diverso che qui Danilo non invoca le “leggi non scritte” perché, per chi non lo sapesse ancora, la nostra Costituzione è già stata scritta da dieci anni»104. Nel dicembre del 1956 si ha la prima edizione di Inchiesta Palermo105, intervista-indagine che si propone di analizzare il tema della disoccupazione nel territorio siculo. Il 15 dicembre 1956 a Palermo ebbe inizio il terzo digiuno che, ancora una volta,

100

Danilo Dolci (a cura di), Comunicare, legge della vita, op. cit. , p. 153. Giuseppe Barone, La forza della non violenza, op. cit. , pp. 9-10. 102 L’idea che sta alla base della manifestazione è che se un operaio, per protestare, si astiene dal lavoro, allo stesso modo un disoccupato può protestare e scioperare lavorando. 103 La mancanza di lavoro costrinse migliaia di siciliani a condizioni di vita disumane spingendoli, in molti casi, al banditismo. 104 Danilo Dolci, Processo articolo 4, Torino, Einaudi, 1956. 105 Danilo Dolci (a cura di), Comunicare, legge della vita, op. cit. , p. 154. 101

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si configura come un digiuno collettivo per denunciare l'estrema miseria in cui riversa la popolazione. Il caso Dolci infiamma l'Italia, raccogliendo sia grandi consensi sia differenti atti intimidatori, nonché calunnie che cercano di ridicolizzare e denigrare il suo operato. Alle sue battaglie aderirono nomi noti come Jean Piaget, Erich Fromm, Lucio Lombardo Radice, Alberto Moravia106. Il 7 novembre del 1957 Dolci iniziò il quarto digiuno insieme all'amico Franco 107

Alassia , esso si svolse a Cortile Cascino, nel territorio di Palermo, con l’obiettivo di denunciare l'orrenda situazione in cui riversavano i quartieri più poveri di Palermo. Il 6 aprile del 1958 viene pubblicato da Einaudi Una politica per la piena occupazione in cui vengono raccolti gli atti del convegno svoltosi a Palermo, che trattano i temi dell’occupazione, o meglio, della disoccupazione nel sud Italia108. Nel 1958 gli viene attribuito il premio Lenin per la pace e nel maggio dello stesso anno fonda, con i soldi del premio, il Centro studi e iniziative per la piena occupazione con sedi a Partinico, Rocca Mena, Corleone, Melfi, Cammarata e San Giovanni Gemini109. Il 25 giugno 1960 pubblica un altro testo, Spreco, dove analizza la situazione economica della Sicilia di quegli anni. Due anni dopo, il 30 maggio del 1962, è la volta di Conversazioni, un’opera in cui per la prima volta acquisisce forma il metodo strutturale maieutico. Il 7 settembre 1962 inizia il suo quinto digiuno a Spine Sante che si prolungò per nove giorni fino a quando non arrivò da Roma la notifica per la costruzione della diga sullo Jato. Il 27 febbraio del 1963 iniziarono i lavori sulla diga che si conclusero circa 10 anni più tardi

110

. La diga di Jato ha sottratto alla mafia il monopolio dell'acqua

consentendo a migliaia di contadini di creare numerose cooperative nella zona. Il 22 settembre 1965 Danilo Dolci e Franco Alasia denunciano il ministro Bernardo Mattarella, il sottosegretario Calogero Volpe e numerosi notabili di zona per collusione con la mafia111. 106

Giuseppe Barone, La forza della non violenza, op. cit. , p. 10. Danilo Dolci (a cura di), Comunicare, legge della vita, op. cit. , p. 154. 108 Ibidem. 109 Ibidem. 110 Ibidem. 111 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 37. 107

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Dolci e Alasia furono condannati rispettivamente, a due anni e un anno e mezzo di reclusione, per il reato di diffamazione e il processo si concluderà nel luglio del 1973112. Nel settembre del 1966 pubblica Chi gioca solo113, mentre due anni dopo, il 15 gennaio del 1968, un violentissimo terremoto colpisce la valle del Belice e il centro sospende temporaneamente le sue attività per prestare soccorso immediato alle popolazioni colpite. Per denunciare la lentezza dello stato nel sostenere un piano di sviluppo per le zone terremotate si indicono "50 giorni di pressione". Il 10 febbraio 1968 il centro studi porta a termine il Centro di formazione per la pianificazione organica presso il Borgo di Trappeto114. Qui, migliaia di persone, si incontreranno nel corso degli anni intorno ad un grande tavolo circolare, per discutere di grandi tematiche quali la pace, la crescita economica, l’educazione, la poesia, il metodo non violento, … la maieutica.

1.6.3 UTOPISTA DI MESTIERE (Dal 1968 al 1997) Mi chiedi se sono un utopista. Io sono uno che cerca di tradurre l’utopia in progetto. Non mi domando se è facile o difficile, ma se è necessario o no. E quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata. Danilo Dolci

Il 30 novembre del 1968 l'università di Berna dona la laurea honoris causa in filosofia a Danilo Dolci e, ad un anno di distanza, viene pubblicato il testo Inventare il futuro. Nel 1970 Danilo Dolci ottiene il Premio Socrate di Stoccolma «per attività a favore della pace e i contributi di portata mondiale nel settore dell'educazione» e, lo stesso anno, viene pubblicato il testo Limone lunare. A distanza di un anno dal Premio 112

Ibidem. Danilo Dolci (a cura di), Comunicare, legge della vita, op. cit. , p. 155. 114 Ibidem. 113

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Socrates, l'Università di Copenaghen gli conferisce il premio Sonning «per il suo contributo alla civilizzazione europea». Il 21 novembre del 1971 trecento mila persone si riuniscono a Roma per dare vita ad una delle più imponenti manifestazioni pubbliche dell'Italia per un’Italia antifascista. Nel gennaio del 1973 pubblica Chissà se i pesci piangono dove, tra gli altri temi, si affronta anche il problema della scuola tradizionale. Danilo era dell’idea che una scuola per i bambini dovesse essere fatta a misura di bambino[…]. Non solo occorreva ripristinare il rapporto tra bambino e ambiente esterno perché tutto gli potesse essere visibile,ma occorreva realmente pensare al bambino come un punto di osservazione del mondo. Allora tutto si sarebbe adeguato ai suoi bisogni115. Dopo tanti anni di riunioni con la gente del luogo viene inaugurato nel gennaio del 1975 il nuovo Centro Educativo di Mirto con il sostegno di collaboratori quali Paulo Freire, Gianni Rodari, Mario Lodi, Johan Galtung116. Nel luglio del 1980 Dolci viene invitato dall’UNESCO a Parigi ad un Simposio Internazionale sull'evoluzione dei contenuti dell'educazione generale nel prossimo ventennio. Nel documento finale che l'UNESCO invierà a ciascuno stato del mondo molti punti sono stati proposti da Danilo Dolci117. Nel 1982 la Boston University Library inizia a raccogliere libri, documenti, manoscritti di Danilo Dolci e di Martin Luther King. Nello stesso anno nelle scuole di Mestre, Alessandria, Asti, Alba, Piacenza, Imperia, Varese, Acireale e Messina, nonché hanno inizio i seminari di metodologia strutturale maieutica. Nel dicembre del 1985 pubblica Palpitare di nessi, La creatura e il virus del dominio e La comunicazione di massa non esiste. Nel 1989 gli viene attribuito il premio Gandhi, in India, e, sempre nello stesso anno, pubblica Dal trasmettere al comunicare e la Bozza di manifesto. Il 13 maggio del 1996 gli viene conferita presso l'Università di Bologna la laurea honoris causa in scienze dell'educazione. 115

Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. ci. , pp. 48-49. Danilo Dolci (a cura di), Comunicare, legge della vita, op. cit. , pp. 158-159. 117 Ibidem. 116

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Dal 21 al 28 luglio del 1996 inizia il seminario Struttura maieutica e complessità a Villanovaforru e a Lula, quest’ultimo un paese del nuorese dove per molti anni (10 anni) non si era riusciti a tenere regolari elezioni amministrative a causa delle gravi intimidazioni a danno di amministratori e sindaci118. Tra il 1996 e il 1997, Danilo raccoglie documenti sulla base Nato de La Maddalena e avvia un seminario volto a denunciare la presenza di sommergibili nucleari statunitensi, dove riscontra come la base sia stata costruita senza alcuna autorizzazione parlamentare e dove sono impedite qualsiasi verifiche sul livello di radioattività delle acque circostanti119. Nell’arcipelago vi è uno strano bubbone, una base statunitense con circa 3 mila militari e sottomarini Trident lunghi 200 metri, a propulsione e con missili a testata nucleare (che ben conosco da Seattle e dalle loro basi nel Pacifico) con relativa nave appoggio. Riesco non facilmente a documentarmi al riguardo120. Danilo Dolci muore, stroncato da un infarto, il 30 dicembre del 1997, presso l’ospedale di Partinico.

118

Pintore, Piras, Angioni e Muscas , Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, Editrice Soter e Amministrazione comunale di Lula, 2005, p. 250. 119 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 57. 120 Ibidem.

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CAPITLO II: LA MAIEUTICA COME METODO NON VIOLENTO 2.1 IL METODO SOCRATICO Il dialogo è il sommo bene Socrate

Il metodo socratico121 fu descritto per la prima volta da Platone nei Dialoghi. Platone, allievo di Socrate, lo delinea come un metodo dialettico di indagine filosofica basato sul dialogo, un metodo più comunemente chiamato metodo maieutico122. La parola maieutica deriva dal greco maieutiké123 che letteralmente significa l’arte della levatrice o l’arte della ostetricia e per questo tipo di dialettica Socrate si ispirò alla levatrice Fenarete, sua madre124. Il maieuta greco paragona l’arte dialettica a quella della levatrice, che consiste nel “tirar fuori” all’allievo le idee, le doti, i talenti e i pensieri personali. In questa maniera riusciva nel suo intento, ovvero quello di avere un dialogo sereno con i suoi allievi, con la volontà di portare alla luce le loro proposte. Il ricercare insieme si configura come caratteristica del metodo socratico, che a differenza di tanti Maestri del suo tempo, imponevano con retorica e persuasione le loro vedute sugli altri125. La maieutica socratica non inizia da subito, ma si instaura dopo le prime fasi del rapporto Maestro-discepolo e dell’ironia. Nella fase dell’ironia (eironeia, ovvero dissimulazione)126 o chiamata anche la fase della finzione, il Maestro supponeva di mettersi allo stesso livello culturale dell’allievo, ovvero nell’atteggiamento iniziale di chi non sa nulla, in una sorta di tabula rasa. A questo punto Socrate poneva delle domande, ascoltava attentamente le risposte e, con assoluto rispetto verso l’allievo, subito dopo, avanzava ulteriori domande e 121

Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Paravia, Firenze, 1990, pp. 9495. 122 Ibidem. 123 http://it.wikipedia.org/wiki/Maieutica, p. 1. 124 Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 88. 125 Questa è la critica principale che Socrate muove soprattutto nei confronti dei Sofisti. 126 Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, op. cit. , p. 98.

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richieste, inducendo il discepolo a confondersi, alle volte a contraddirsi e ad ammettere di conseguenza la propria inconsapevolezza delle cose. L’allievo arriva così alla condizione di “sapere di non sapere”. L’ironia è dunque il metodo usato da Socrate per svelare all’uomo la sua ignoranza, per gettarlo nel dubbio e nell’inquietudine, impegnandolo in questo modo nella ricerca127. E’ proprio in questo frangente che il Filosofo riusciva nella sua arte di levatrice: come la levatrice porta alla luce il bambino, Socrate porta alla luce le piccole verità del discepolo. Il principio che sta alla base della maieutica, quindi, non è quello di insegnare qualcosa, ma quello di tirar fuori, di scuotere l’uomo dal suo torpore intellettuale, comunicandogli il dubbio, nonché la sete di convinzioni autentiche128. Con il metodo maieutico, infatti, Socrate aiutava i suoi ragazzi a partorire le loro verità in quanto la verità non può essere insegnata ma è insita nell’anima di ogni essere umano. I dialogos tra Maestro e allievo procedevano dunque per confutazione129, vale a dire nell’eliminazione delle ipotesi che potevano essere contraddittorie e per tanto errate. La confutazione consiste nel far emergere dal dialogo tutte quelle idee infondate che spesso, e in base ad un attento e rigoroso esame, appartengono solo alla sfera delle opinioni e non alla verità. Questa pratica poteva avvenire attraverso tre diverse modalità: la confutazione per reductio ad absurdum130, metodo applicato nelle scienze matematiche, nelle dottrine fisiche di Parmenide, Democrito e Zenone, un’ipotesi sbagliata fa necessariamente emergere delle contraddizioni che rendono pressoché nulla l’ipotesi stessa e di conseguenza questa dovrà essere scartata. Ricordiamo però che nei dialoghi socratici la confutazione per reductio ad absurdum non è molto frequente. La seconda modalità avviene per riduzione del falso131. In base all’ipotesi che potrebbe emergere nel dialogo viene posta a confronto con un’ulteriore ipotesi, quest’ultima derivante dall’esperienza. Se quest’ultima la contraddice la prima ipotesi perderà valore e potrà essere considerata non vera.

127

Ibidem. Ibidem. 129 Ibidem. 130 http://it.wikipedia.org/wiki/Maieutica, p. 5. 131 Ibidem. 128

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Infine abbiamo una terza confutazione che consiste nel derivare132. Qui non si vuole dimostrare che l’ipotesi sia errata, ma che le diverse ipotesi che l’interlocutore propone non possono essere tutte vere, dunque, il compito consiste nel ricercare insieme al maestro quale è vera e quale invece non lo è. Secondo Socrate, il sapere umano non è mai definito, non è mai completo, non si arriva mai ad un punto, in altre parole non si chiude mai il cerchio. Questo potrebbe comunque rientrare nella coerenza del pensiero socratico per cui non esiste una verità assoluta e indiscussa, anzi, al contrario, tutto può essere rimesso continuamente in discussione. Il valore del dialogo dunque risiede nella ricerca costante e comune della verità. Senza alcun dubbio dai dialoghi socratici emergono dei profondi valori morali, quali il rispetto indiscusso per l’interlocutore, la saggezza unita ad una buona dose di coraggio, umiltà e allo stesso tempo tenacia.

132

Ibidem.

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2.2 IL METODO MAIEUTICO DI DANILO DOLCI Il Dolci educatore - maieuta nasce alla fine degli anni ’50133, ovvero, quando decise di trasferirsi dal nord Italia in Sicilia, nel Borgo di Trappeto. La cultura e la società meridionale che lo accolse era profondamente diversa dalla sua: la fame, la disoccupazione, l’elevata mortalità infantile, l’analfabetismo diffuso erano i mali che affliggevano tutto il sud Italia. L’incontro-scontro con questa nuova realtà e il rifiuto categorico da parte di Danilo per questa situazione così alienante e devastante scaturirono in lui una necessità profonda di cambiamento. Da dove iniziare? Dapprima, vediamo un Danilo Dolci osservatore134, l’attenzione si spostava verso la conoscenza della realtà del posto, nonché partecipando in prima persona alla vita dei contadini e dei pescatori per avere, in questo modo un quadro più ampio della vita delle persone e per comprendere quali fossero le vere cause di tale miseria e sottosviluppo. Il primo passo da compiere era dunque domandare alla gente, creare le condizioni per farla parlare, conoscere le loro storie di vita, la loro realtà e i loro reali problemi. Parlare con le persone però non era un’impresa facile, né tanto meno riuscire a creare un rapporto empatico e sincero tra intervistatore e intervistato. All’inizio dell’intervista cercavo di diventare amico delle persone;quando parlavo con gente che conoscevo poco non prendevo appunti. Man mano, poi, rendendomi conto che qualcuno entrava in sintonia […] cominciavo a prendere i miei appunti e glielo dicevo.135 Parlare dei propri problemi non è una condizione che viene spontanea, anche perché, essa implica un ripiegamento su se stessi, l’analisi di situazioni di sofferenza e di solitudine o comunque, dense di emozioni e sentimenti, ciò in cui ognuno di noi è più fragile. La maieutica però è empatia, è comprensione delle sofferenze altrui, è comunicazione con l’altro e in questo, Danilo Dolci, si configura un abile maestro. Creava intorno a se e alle sue interviste-inchieste un clima di reciprocità, di amicizia e di fiducia che gli consentiva di togliere quel velo di silenzio e di omertà che opprimeva gli animi delle persone. Dopo l’osservazione e la comprensione, subentra la fase della progettazione, 133

Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , pp. 84-85. Ibidem. 135 Ivi, pp. 86-87. 134

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ovvero, dopo aver individuato chi siamo possiamo inventare, costruire e progettare il come potremmo essere. In tale passo si nota la prima grande differenza tra la maieutica socratica e quella dolciana136, dove la prima vede il mondo come un universo chiuso, già completo e definito, mentre la seconda indirizza verso un poter essere, verso un mondo in continua evoluzione, nonché verso un mondo aperto alla creatività e alla progettualità137. Affrontare la tematica della creatività progettuale significa imbattersi in quella che è la seconda differenza che allontana Dolci da Socrate138e, presupponendo che un progetto creativo appartenga a tutti gli uomini, la maieutica socratica era esercitata solo da un gruppo ristretto di aristocratici. Dolci, differiva da Socrate anche nei dialoghi stessi139, infatti,

il dialogo

socratico vede il rapportarsi di due figure, il Maestro e l’allievo, mentre in Dolci il dialogo avviene in forma collettiva. E’ ben noto, infatti, come alle riunioni di Danilo vi prendessero parte gruppi di persone (di solito 20 partecipanti)140 per una maieutica di gruppo, che coglie il maieuta non solo come coordinatore (come accade in Socrate)141, ma bensì, membro attivo e partecipe. Per la maieutica di gruppo142 è richiesta un’organizzazione appropriata degli spazi143, e lo testimonia il lavoro svolto a Trappeto dove sono stati rivisti tutti i locali che accoglievano gli incontri. Nelle sale che il paese metteva a disposizione, infatti, vi era un tavolo di forma circolare intorno al quale si disponevano i partecipanti dei laboratori maieutici, modificando, in tal senso, il tradizionale ordine trasmissivo del docente che parla a degli alunni che stanno ad ascoltare144. Il coordinatore del gruppo145 assumeva il ruolo di stimolatore e per tanto proponeva i problemi emersi precedentemente nelle interviste-inchieste, poi, nel passo successivo, i partecipanti annotavano su un foglio le prime riflessioni riguardanti il tema –problema146 e, a turno, ci si confronta in modo democratico, ovvero ognuno dei

136

Ivi, p. 88. Ibidem. 138 Ibidem. 139 Ivi, pp. 96-97. 140 Ibidem. 141 Nei Dialogos socratici è lo stesso Socrate che conduce la ricerca, è lui che fa le domande e che mette in crisi l’allievo di fronte alle sue contraddizioni e lo conduce verso la verità. 142 Ibidem. 143 Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , pp. 99-100. 144 Ibidem. 145 Ibidem. 146 Solitamente ai partecipanti è posto un limite di tempo di 15/20 minuti per riflettere sul tema che sarà affrontato. 137

36


partecipanti esprime la propria opinione147.

2.3

UNA

VERITÀ

TRASMESSA

È

UNA

MEZZA VERITÀ Non si può essere creativi senza comunicare, né si può comunicare senza essere creativi. Silenzioso o esplicito il vero comunicare non altera ma potenzia l’intimo segreto di ognuno; esercitare il proprio sano potere (radicato nel conoscere) di essere creativi è una necessità per ognuno: tutti abbiamo bisogno che ognuno sia creativo, comunicante pur coraggiosamente. Il chiudersi (individuale, di gruppo, collettivo) inaridisce vite e prospettive. Danilo Dolci

L’impegno di Danilo Dolci in Sicilia, il suo interesse verso i contadini, i pescatori, le casalinghe analfabete, i poveri cristi148, come amorevolmente li chiamava lui, è la difficile realtà con la quale il metodo si è confrontato per anni. Una realtà in cui non sono assicurati i diritti umani fondamentali, quali il lavoro, lo studio, la salute, la libera espressione, la partecipazione politica. Alla cultura del dominio149, alla società che riduce l’essere all’apparire, Danilo Dolci, intraprende altre vie, perseguendo la gratificazione e il rinforzo della persona150. Oltre alla sua dimensione affettiva ed emotiva, la maieutica si manifesta come un sostegno verso gli emarginati aiutandoli ad emergere come soggetti storici151. L’educazione così intesa è, prima di ogni altra cosa, impegno civile e democratico nella misura in cui si fa promotrice dell’esercizio del proprio potere in coloro che ne sono stati da sempre esclusi, l’educazione, per tanto, diviene uno strumento di coscientizzazione152, si configura come un impegno esistenziale. Ripercorrendo a ritroso il cammino verso la maieutica dolciana non si può tralasciare la netta distinzione che Danilo fa a riguardo di due termini che, spesso ed 147

Ibidem. Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , pp. 90-91. 149 Ibidem. 150 Ibidem. 151 Ibidem. 152 Ivi, p. 182. 148

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erroneamente, vengono associati come sinonimi, ovvero, il trasmettere e il comunicare. La differenza sostanziale sta nel fatto che per il trasmettere si intende uno spedire di informazioni che, tal volta, ignora chi lo riceverà, mentre il comunicare presuppone una partecipazione personalizzata e attiva nel ricevente153. Danilo rifiuta ogni forma di trasmissione, anche quella didattica, e la definisce […] esclusivamente e continuamente unidirezionale, riduce ad un oggetto e a strumento inconsapevole il destinatario, non lascia spazio al suo impegno attivo di acquisizione-ricerca e di rielaborazione culturale. È la trasmissione violenta, inquinante, alienante, espropriatrice della capacità di rielaborazione originale e creativa, quella che, nell’ottica della libertà e dei diritti umani, viene esaminata154. A tal proposito pare di grande aiuto l’intervento di Salvatore Costantino che, intervenendo nel seminario internazionale riguardante L’immaginazione sociologica, la costruzione della società civile. Ricordando Danilo Dolci, ripensando la Sicilia155, fa un confronto tra il pensiero di Dolci e quello di Jurger Habermas156 che definisce il trasmettere come un’ azione strategica tesa ad influenzare l’altro. In questa forma di convincimento e di persuasione ci sono elementi di violenza, mentre nella comunicazione questo non avviene, ma al contrario nell’azione comunicante ognuno è libero e non è costretto ad assentire157. Il lavoro maieutico ha capacità di riuscita solo nel momento in cui viene a crearsi una comunicazione di tipo pluriderezionale158, ovvero, quando la comunicazione traccia uno spazio comune tra i partecipanti e, in quanto tale, diviene un arricchimento per il pensiero nonché uno spunto per convivere in una società che fa proprio il concetto di democrazia, ovvero non sul dominio, ma sul potere di ciascuno, in questo senso è un atto d’amore159.

153

Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 92. Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 189. 155 Salvatore Costantino, (a cura di), Raccontare Danilo Dolci, op. cit. , p. 7. 156 Ivi, p. 43. 157 Ibidem. 158 Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 182. 159 Salvatore Costantino (a cura di), Raccontare Danilo Dolci, op. cit. , p. 42. 154

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2.4 L’ESPERIENZA DELLA SCUOLA DI MIRTO

Alcune vecchie scuole di Partinico sono state gravemente lesionate dal terremoto; e già mille ragazzi erano privi di edifici scolastici. Ma non mancano solo gli edifici... Dei ragazzi che non vanno a scuola, più della metà (risulta da un'inchiesta) rinunciano per ripugnanza dell'ambiente, per lo più autoritario, alienante, in cui non raramente vengono intontiti a urla e botte. Mentre nella zona moltissimi maestri rimangono disoccupati160. Con queste parole, Danilo Dolci, apre la premessa del libro Chissà se i pesci piangono, ricco manuale di raccolta di tanti laboratori maieutici, dove ritroviamo importanti riunioni-interviste raccolte nel 1972 che documentano il duro lavoro per la costruzione del nuovo Centro Educativo Di Mirto. Come già accennato in precedenza la progettazione del nuovo Centro educativo nasce intorno agli anni '70161 e non si limita ad elaborare un progetto sperimentale, come spesso accade e che non porta ad alcuna continuità. Il lavoro di Danilo Dolci, educatore – maieuta, consiste essenzialmente nel porre delle domande alla gente, risvegliando talvolta le coscienze intorpidite delle persone, dando loro fiducia e valorizzandone i desideri, la cultura e i pensieri.162 Una scuola che, prima di ogni altra cosa, ha il dovere di soddisfare i bisogni concreti dell'intera comunità di Partinico. I

gruppi sottoposti ad autoanalisi sono

diversi sia per età sia per professione, quali insegnanti delle scuole elementari, medie e superiori, le mamme ed i padri degli alunni, i bambini dai 4 anni di età fino ai ragazzi adolescenti.163 L' inserimento vivo, creativo e partecipe delle famiglie nella gestione della scuola è sicuramente una grande novità per gli anni '70, ma con uno sguardo verso il presente, ci rendiamo subito conto che sarebbe una assoluta novità anche ai giorni nostri, avvertendo, in modo massiccio, la chiusura quasi totale delle istituzioni scolastiche. Ma nell'educazione non-violenta, nell’educazione maieutica, il rapporto scuola160

Danilo Dolci, Chissà se i pesci piangono, Einaudi, Torino, 1973, p. IX. Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 119. 162 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 107. 163 Ibidem. 161

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famiglia è fondamentale soprattutto per quanto riguarda il legame di reciprocità tra queste due strutture che deve essere punto cardine inviolabile perché sta alla base del successo dei percorsi educativi dei bambini di oggi e degli adulti di domani. Dunque, la Scuola di Mirto, in un certo modo, stravolge i criteri base di quel che era la scuola di antico stampo tradizionale e ci propone una scuola alternativa, aperta, non violenta, comunicante e maieutica164. Nelle famiglie prese in esame si abbandona l'idea che vede la scuola come un parcheggio custodito165e si fa strada l'idea che fa della scuola un luogo di apprendimento, di cultura e di sapere, ma allo stesso tempo uno spazio di svago, di gioco e creatività aperta agli scambi con l'esterno e, dunque, con le famiglie e con la comunità. Instaurando un clima di reciprocità e di fiducia i genitori si inseriscono come parte attiva della scuola,tanto è vero che nel centro educativo di Partinico le mamme, i papà, i nonni collaborano nelle attività educative mettendo a disposizione di bambini e insegnanti i loro saperi e le loro competenze (preparano dolci tipici, il pane, ricamano, danzano, ecc, ecc...)166. Punto cruciale della progettazione della scuola di Mirto sono gli incontri con i bambini e i ragazzi. Il dato preoccupante che emerge da un'inchiesta svolta in quegli anni è che più della metà dei ragazzi non frequenta la scuola e i motivi sono essenzialmente due, ovvero la ripugnanza nei confronti degli insegnanti che, con uno stile educativo caratterizzato per lo più da un eccessivo autoritarismo, allontanano sempre di più i ragazzi dalle istituzioni scolastiche. Il secondo motivo dell'abbandono dell'istruzione è causato dalla fatiscenza degli edifici scolastici che non è conforme alle esigenze degli alunni e degli insegnanti167. Negli incontri con gli adulti qualche iniziale tabù legato alla cultura, alla timidezza e alla ritrosità nell'esprimersi di fronte ad un pubblico ha ostacolato il dialogo, mentre con i ragazzi e i bambini questi piccoli problemi legati alla libertà d'espressione non si sono verificati, anzi non ci sono proprio stati, e ciò avvalora la tesi che il metodo maieutico, se utilizzato in modo conforme e corretto, riesce a dare degli ottimi risultati aiutando le persone fin da piccole a compiere i primi passi verso un dialogo civile, democratico, non violento e, dunque, maieutico.

164

Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 124. Ivi, p. 148. 166 Ibidem. 167 Ivi, pp. 120-121. 165

40


I gruppi presi in esame appartengono a diverse fasce di età e si parla di bambini dai 4 anni fino agli studenti del liceo. Man mano che avvenivano gli incontri, i ragazzi riuscirono sin da subito ad esprimere con chiarezza ed entusiasmo quali fossero i loro reali bisogni e i desideri relativi alla realizzazione di una scuola nuova. Ciò che emerge e in modo molto marcato è la voglia di un rapporto innovativo con la scuola che vede come punto cardine la centralità del rapporto con la natura168, fondamentale, secondo il punto di vista dei ragazzi, per l'apprendimento e per lo studio. La fase preliminare del centro educativo di Mirto non è stata fatta interrogando solamente la popolazione autoctona, direttamente interessate (mamme, papà, bambini, ragazzi, educatori), infatti dal 1971 al 1973, a Trappeto, si sono svolti tanti seminari che hanno dato un notevole contributo alla realizzazione del nuovo centro, in quanto i temi che furono trattati vanno dalla scoperta del mondo attraverso l'ambiente, alla pedagogia, alla matematica, alla musica, alle scienze169. Gli incontri e i dibattiti hanno visto la partecipazione di personaggi illustri della cultura popolare, nazionale e internazionale quali Edwin Alton, James Bruni, Gastone Canziani, Emma Castelnuovo, Edgar Hunt, Otto Klinenberg, Lucio Lombardo Radice, George Friedman, Maurizio Pontecorvo, Clotilde Pontecorvo, Jim Rose, Antonino Uccello170. La scuola di Mirto sorge in un terreno di circa otto ettari tra prati e colline dove, grazie all'ottima posizione in cui è situato il centro, si può vedere il golfo di Castellamare171. Vicino alla scuola vi è una fattoria dove bambini e insegnanti svolgono tante lezioni a diretto contatto con gli animali che popolano la fattoria stessa. Il centro si trova ad una distanza di circa dieci minuti dal paese di Partinico e un pulmino, a carico del comune, trasporta quotidianamente i bambini e i ragazzi a scuola172. Gli alunni che frequentano la scuola trascorrono parte della giornata all'aperto173, il ché consente loro di giocare fuori, di passeggiare in campagna osservando così tutto ciò che si trova in natura, fiori, piante, alberi e animali, come largamente espresso e voluto negli incontri. Nella scuola di Mirto, oltre alle aule tradizionali dove si svolgono le lezioni, vi è 168

Ivi, p. 122. Ivi, p. 169. 170 Ibidem. 171 Ivi, pp. 142-143. 172 Ibidem. 173 Ibidem. 169

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un teatro interno ed uno esterno, una sala di lettura, la biblioteca e la sala proiezioni, mentre all'esterno la scuola è circondata da ampi giardini, campi da gioco e impianti sportivi174. A disposizione dei ragazzi possiamo trovare anche due macchine da cucire, un banco da falegname e un laboratorio dove poter lavorare e realizzare oggetti di creta175. Il metodo maieutico non coinvolse solamente la parte della prericerca176 della scuola ma è l’anello di congiunzione che lega ogni attività che è svolta nel centro. Ogni mattina, infatti, l’educatrice riunisce i bambini attorno a tavoli circolari e chiede loro cosa desiderano fare in quella specifica giornata. Si discute sulle varie proposte che emergono nel dialogo e si trova la soluzione che più soddisfi le richieste e i desideri cercando di venire incontro alle esigenze e bisogni di tutti177. La formazione del personale educativo si concentra principalmente sulla conoscenza approfondita dei problemi della zona. Ogni quattro settimane gli educatori partecipano alle riunioni con tutti i collaboratori del Centro Studi e Iniziative178, ente che affianca la scuola di Partinico e altre attività della città, dove sono affrontati i problemi relativi allo sviluppo locale cercando di trovare sempre soluzioni alternative che possano soddisfare i bisogni e diritti delle persone179. Inoltre per due volte alla settimana il personale educativo si riunisce per verificare i risultati raggiunti e compilare la scheda personale di ogni bambino, coinvolgendo le famiglie180. Nella scuola, oltre al tradizionale personale didattico, vi è il supporto di un’educatrice specializzata che presta sostegno ai bambini portatori di handicap, un operatore che si occupa della costruzione del materiale didattico, della manutenzione del parco e del giardino della scuola, un operatore sociale per coordinare i rapporti con le famiglie e un consulente psicopedagogico181. Esiste inoltre, un supporto esterno alla scuola chiamato Comitato Tecnico-

174

Ibidem. Ibidem. 176 Ivi, p. 119. 177 L’attività educativa e didattica è svolta dagli educatori con il supporto dello psicologo e del pediatra quando vi è la necessità. 178 Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , pp. 156-157. 179 Ibidem. 180 Ibidem. 181 Ivi, p. 163. 175

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Scientifico182, formato da docenti universitari (italiani ed esteri) specializzati in discipline pedagogiche e psicologiche. Negli anni ’80 la scuola di Mirto ottiene il riconoscimento di scuola statalesperimentale183.

182 183

Ivi, p. 159. Ivi, pp. 162-163.

43


CAPITOLO III: DANILO DOLCI A LULA

3.1 LULA E LE LOTTE SOCIALI NON-VIOLENTE

Nel vostro paese le persone capaci di governare ci sono, ci sono donne e uomini in grado di fare bene, insistete, quando avrete il Sindaco e il Consiglio comunale verrò con voi a fare festa. Lula può ridiventare quell’esemplare laboratorio politico che si era imposto negli anni sessanta184. Per comprendere meglio il significato del suo messaggio, carico di speranza e di positività, in una telefonata carica di ottimismo che Danilo fece al suo amico Pietro Calia nel 1996, occorrerà andare a ritroso nella storia e richiamare in memoria i due eventi emblematici che hanno fatto di Lula un esemplare laboratorio politico, ovvero il rifiuto dell’industria petrolchimica e la lotta per Sa ‘e Tamponi. Il primo fatto risale ai primi anni ’70, ovvero quando la società Siron185propose all’attenzione del Comune di Lula la richiesta di licenza edilizia per la costruzione degli impianti di produzione di filo continuo nylon, fibra poliestere, fibra polipropilenica e relativi fabbricati d’impianto e servizi generali186. I dubbi e le incertezze relativi alla nascita dell’impianto petrolchimico, che sarebbe dovuto sorgere nella piana del Sologo, divennero subito certezze dal momento in cui la società prese l’arbitraria decisione di iniziare i lavori di sbancamento del territorio senza aver prima consultato l’amministrazione comunale e, dunque, senza che quest’ultima avesse firmato la concessione edilizia per dare il via ai lavori187. Quell’atto di prepotenza alimentò in modo significativo la preoccupazione diffusa per i possibili danni ambientali che la futura fabbrica avrebbe potuto provocare, incrementando in questo modo una tenace mobilitazione politica e sociale. Quel che compare negli atti scritti, delibere, volantini, articoli, scambi di 184

Giacomo Mameli, Quelle lezioni di gruppo nella parrocchia di Lula, op. cit. , p. 13. Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. , pp. 2425. 186 Ibidem. 187 Ibidem. 185

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documenti, non riesce a dare conto dello stato d’animo e delle discussioni che in quel periodo si accendono sia in paese sia nei paesi vicini, dove Lula diventa un simbolo di resistenza contro varia specie di prepotenti […]. Insieme alla rabbia per il colpo di stato che in Cile ha rovesciato Salvador Allende, la “rivolta di Lula” è l’argomento principale delle discussioni188. La storica resistenza189di Lula, l’amore incondizionato che lega i lulesi al proprio territorio, la salvaguardia e la tutela per l’ambiente, valori questi spesso confusi con forme di ostruzionismo o, peggio ancora, con ignoranza, fecero in modo che l’industria petrolchimica non sarebbe mai nata e questo dopo quattro anni di lotte nonviolente. A differenza di altri centri della Sardegna dove le fabbriche petrolchimiche riuscirono, in qualche modo, a decollare, Lula ebbe il merito di riconoscere che quel tipo di sviluppo non poteva essere compatibile con il proprio ambiente, con l’economia esistente, evitando di essere, poi, investita dalla lunga agonia che colpì il settore industriale negli anni immediatamente successivi. Un articolo dell’inviato della Nuova Sardegna, Angelo De Murtas, qualche anno dopo, titolerà L’intelligente realismo di Lula, e seguirà a dire Tutto sommato, par proprio che quelli che taluno giudicò matti o, peggio, traditori, avessero perfettamente ragione… Sta di fatto che la crisi dell’industria chimica, che si è addensata sulla Sardegna e vi ha lasciato i segni che tutti sanno, non ha neppure sfiorato Lula190. Un’altra battaglia, anche questa in nome dell’ecologia e per la salvaguardia del territorio, è la lotta per la difese di Sa ‘e Tamponi191, meno nota dell’altra, ma pur sempre importante e vittoriosa. Erano gli inizi degli anni ’80 quando si venne a conoscenza che il Corpo Forestale della Regione, anche stavolta senza sentire il parere dell’amministrazione, autorizzò due imprenditori al taglio degli alberi nel fitto bosco del Montalbo192. In un comunicato al Sindaco, infatti, due cittadini lulesi documentarono quello che videro il giorno 9 maggio del 1981 e appuntarono […] si è notato che nel tratto di strada tra Monte Pizzinnu e Saderi, un socio di persone […] stanno aprendo una strada lunga oltre quattro chilometri, partendo dalla strada statale Nuoro-Siniscola per arrivare a Su settile di Altudè. La strada in questione per circa 188

Ivi, p. 32. Ivi, p. 48. 190 Ibidem. 191 Ivi, p. 49. 192 Ibidem. 189

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1500 metri lineari è stata già sbancata e permette l’accesso di mezzi di trasporto193. Rimproverando l’amministrazione per non aver immediatamente sospeso i lavori di sbancamento e non sentendosi abbastanza tutelati, alcuni militanti di sinistra insieme ai sardisti, decisero di dar vita al Comitato per la tutela del patrimonio boschivo, faunistico e naturale di Mont’Albo194 che, attivo sin da subito, lanciò una raccolta firme per una petizione popolare in merito a ciò che stava accadendo. La proposta che il Comitato avanzò alla Regione Sardegna, per evitare l’enorme danno ambientale ed ecologico, fu l’acquisizione, per vie legali, dei terreni, prima però che sia stato effettuato il taglio195, con un’ulteriore richiesta di inserire Sa’e Tamponi nella zona H, ovvero nel decreto regionale che garantisce ai comuni parti del loro territorio di particolare pregio naturalistico e interesse per la comunità196. La giunta regionale approvò il programma di fabbricazione e inclusione di Sa ‘e Tamponi nella zona H197, ma con due importanti modifiche, la prima concernente la cancellazione dell’attività silvoculturale, mentre la seconda, con una certa ambiguità, riguardante l’apertura a nuove strade, realizzazione di canali, terrazzamenti, disboscamenti non sono consentiti se non sono espressamente autorizzati dal Comune, previo parere dei competenti organi regionali198. Intanto nel mese di novembre del 1982199 non bastarono né l’inclusione nella zona H, né la decisione della Regione di acquistare i terreni, per impedire un nuovo selvaggio e abusivo taglio boschivo nella zona. In ogni modo la vicenda di Sa ‘e Tamponi si concluderà un anno dopo, nella primavera del 1983, ovvero quando l’allora Assessore Regionale dell’Ambiente e il proprietario della terra firmarono la promessa di vendita200 dei circa novecento ettari di foresta, il tutto suggellato da una visita nel Montalo, avvenuta l’11 maggio, alla quale parteciperà lo stesso assessore, il procuratore e i capi della Forestale201. Mancheranno all’appuntamento, invece, i membri del “Comitato” che di quella battaglia erano i diretti

193

Ivi, pp. 60-61. Ibidem. 195 Ibidem. 196 Ibidem. 197 Ibidem. 198 Ivi, p. 66. 199 Ivi, p. 70. 200 Ivi, p. 71. 201 Ivi, p. 72. 194

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protagonisti202. Per denunciare il fatto, Paolo Pillonca, su L’Unione Sarda afferma […] non ci sono perché nessuno li aveva invitati. La vittoria, per il novanta per cento, è merito loro. Dimenticarli è, come minimo, una mancanza di cortesia203. I componenti del Comitato, risentiti del mancato invito, rilasciarono una intervista all’Unione Sarda dove rivendicarono il loro ruolo nell’intera vicenda. Abbiamo creato quel caso politico dal quale è scaturito il dibattito e il movimento che ha

gettato

le

basi

per

l’acquisizione

e

denunciarono

la

totale

assenza

dell’amministrazione comunale che si è limitata ad azioni burocratiche204.

3.2 IL SILENZIO AMMINISTRATIVO La prima volta che Danilo Dolci giunse a Lula fu nel dicembre del 1995205 grazie al legame d’amicizia che lo univa al pedagogista lulese Pietro Calia. Ad attirare l’attenzione del maieuta siciliano furono i fatti risalenti a qualche anno prima. A partire dal 1992, infatti, ci fu un silenzio amministrativo della durata di dieci anni (fino al 2002, anno in cui ci fu la presentazione e l’elezione della lista civica capeggiata da Maddalena Calia)206. Il 4 luglio del 1992, l’allora Ministro della Difesa Salvo Andò (governo Amato)207, annuncia di volere inviare in Sardegna cinquemila militari per una normale esercitazione di perlustrazione e controllo del territorio208. L’annuncio dell’operazione militare crea non poche tensioni e polemiche in molti paesi della Sardegna. A Lula si accese un forte dibattito tra chi avrebbe voluto ospitare i soldati impegnati nell’esercitazione e chi invece riteneva l’operazione una militarizzazione inappropriata. Senza troppi indugi, il consiglio comunale di allora, decise di approvare la proposta per accogliere l’operazione militare, denominata Forza Paris, per cui, pochi giorni dopo,

202

Ibidem. Ibidem. 204 Ibidem. 205 Ivi, p. 250. 206 Ivi , p. 101. 207 Ivi, pp. 106-107. 208 Ibidem. 203

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esattamente il 24 luglio, 470 soldati furono collocati nel territorio lulese209. Il 21 luglio, sindaco e vicesindaco del paese, subirono gravissimi attentati presso le loro abitazioni il che portò la giunta ad optare per le dimissioni, avvenute il 4 agosto, ignorando che, da quel momento in poi, il Comune sarebbe stato commissariato per un decennio (non esiste ad oggi alcuna prova per credere che gli attentati siano in qualche modo collegati all’arrivo di Forza Paris). Il clima di tensione non si placò neanche in concomitanza con i festeggiamenti patronali. Il giorno di ferragosto, infatti, al passaggio di un gruppo di soldati, venne fatta scoppiare una bomba, per la quale sei di loro rimasero feriti210. La gravosità e la vigliaccheria di quell’atto non impedì, alcuni giorni dopo, di far balzare nuovamente Lula su tutte le principali pagine dei quotidiani locali e nazionali, per l’esplosione di un ordigno ai danni del municipio211. Non mancarono altri episodi che contribuirono ad alimentare lo stato di disagio e di malcontento tra i cittadini lulesi, primo tra tutti l’agonia della miniera di Sos Enattos, dramma sociale che si trascina dagli anni ’70. Nel mese di ottobre, infatti, i minatori decisero di dar vita ad un imponente sciopero per attirare l’attenzione su di loro e per scuotere le coscienze dei loro responsabili della Rimisa212 che, imperterriti nel rifiutare qualsiasi tipo di incontro e precludendo ogni tipo di trattativa, mettevano in crisi l’intero comparto minerario nonché la neonata attività di lavorazione del granito213. Intanto, nel mese di dicembre, in alcuni paesi sardi si tennero le elezioni amministrative, ma a Lula non venne presentata alcuna lista. Le prossime tornate amministrative erano previste per il giugno successivo ma, con voto unanime, i partiti politici lulesi asserirono che i tempi non erano ancora maturi214, per cui nessuna lista è stata presentata anche allora. I mezzi stampa, ignorando quali fossero i reali motivi di questa decisione, attribuirono la diserzione alla paura dei cittadini di eventuali candidature, tanto è vero che La Nuova Sardegna titolerà un articolo Lula, non si vota. Ha vinto ancora il partito della paura215. L’accanimento mediatico non scoraggiò l’attività dei partiti politici che decisero

209

Ibidem. Ivi, pp. 108-109. 211 Ibidem. 212 Ibidem. 213 Ibidem. 214 Ivi, pp. 111-112. 215 Ibidem. 210

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fosse giunto il momento di scrivere al Prefetto di Nuoro216 in merito alla situazione di Lula. Il primo punto del comunicato riguardava la questione della terre pubbliche che vedeva la lunga controversia tra i privati e il Comune. La seconda richiesta di intervento, invece, concerneva l’approvazione del piano urbanistico, mentre il terzo ed ultimo appello richiamava all’attenzione la necessità di una presenza più attenta e sollecita delle istituzioni. Si invitava, inoltre, il Prefetto ad interessarsi e a risolvere i problemi relativi alla Miniera di Sos Enattos, alla valorizzazione del Montalbo, alla crisi che stava investendo il settore agro-pastorale e a tutte quelle emergenze, vecchie e nuove, che si evidenziavano sul territorio. Solo dopo si potrà parlare di elezioni amministrative217 . Il documento attese invano una risposta che si tradusse in una solitudine alienante, che vedrà Lula avvolta nel vuoto amministrativo per i nove anni successivi. Nel contempo anche la Chiesa venne presa di mira e, nella notte del 14 ottobre del 1993218, un vero e proprio inferno di fuoco investì la casa parrocchiale. Non essendo il primo episodio di violenza ai danni della sua parrocchia e, piegato alle decisioni vescovili, anche il parroco abbandonò Lula, dopo diciotto anni al servizio del paese e dei suoi fedeli. Ho resistito alla dinamite, mi ha piegato il Vescovo[…]. Lula, malgrado i luoghi comuni, non è un paese di criminali. Lula è solo un paese della incomunicabilità, dove non si parla. Il dialogo non esiste. È un paese bloccato, fermo nel tempo e nello spazio. Se uno osa ribellarsi si trova le armi addosso. Bisogna quindi adeguarsi a regole e leggi ancestrali219 . Il malessere sociale di Lula e dei lulesi venne inesorabilmente, come spesso accade, strumentalizzato dai mezzi di informazione che trasformarono in “mostro” l’intero paese. Il fatto non scoraggiò di certo l’attivismo culturale e sociale di molti cittadini che, superando gli stereotipi e i luoghi comuni, lavorarono costantemente ed efficientemente con e per Lula. Basti pensare all’operosità instancabile delle numerose associazioni di volontariato che, in un certo qual modo, presero il posto del vuoto e del silenzio per far udire la voce, se pur sofferente e danneggiata, di una comunità ancora 216

Ibidem. Ibidem. 218 Salvatorangelo Nieddu, I bacchettoni di Lula, Artigrafiche Su Caminu, Dorgali (Nu), 1996, p. 74. 219 Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. , pp. 113114. 217

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viva. Quegli anni, infatti, ad animare la scena è la sezione AVIS che, a cadenza annuale, manifestò la grande generosità dei lulesi nella donazione del sangue220, mentre l’associazione Croce Verde fece registrare un numero di iscritti molto importante (160 nel 1994)221. Nel 1995, inoltre, nasce il circolo culturale Sa ‘Oche222, promotore di importanti iniziative, una tra tutte il seminario di tre giorni condotto da Danilo Dolci nel dicembre dello stesso anno, nonché la presentazione di Ad Lumina, il libro della poetessa e bibliotecaria di Lula, Maria Teresa Rosu223. La forte mobilitazione culturale e sociale già cominciata si fece sempre più viva e si iniziò ad intravedere un piccolo spiraglio di cambiamento, tanto è vero che il quotidiano sardo “La Nuova Sardegna” fece del 1996 l’anno della svolta.224

3.3 UNO SPIRAGLIO DI LUCE: DANILO DOLCI Come si è detto, pochi giorni prima del Natale del 1995, il circolo culturale Sa ‘Oche, con l’aiuto di Pietro, organizzò un seminario della durata di tre giorni (esattamente dal 22 al 24) che aveva come tema La comunicazione maieutica225. Per l’occasione venne all’allestito il salone parrocchiale della Chiesa dell’Assunta e lì cominciarono a riunirsi circa trenta persone tra cui insegnanti, genitori, adulti e bambini che Dolci definì creature aperte con esperta speranza oltre l’attuale sospettoso 220

Ivi, p. 103. Ibidem. 222 Ivi, p. 120. 223 Nella raccolta di poesie traspaiono l’inquietudine, la solitudine, l’assordante silenzio, ma anche la luce che, citando le parole di Natalino Piras, mette in discussione il tempo fermo. Il portato di sofferenza e di tormenti sembra riassunto nel teso poetico che segue: Insulti Ho visto/scolpire il silenzio/su teneri visi/di sofferenza/corpi impietriti d’attesa/sciogliersi in rabbia/dai tremuli visceri/infittirsi il dolore/a nuovi richiami/Insulti alla pace/e al rispetto/stagnarsi al tramonto/di un uomo/come ombre giocose/Immagini Ardenti… 221

224

Il 3 gennaio 1996, La Nuova Sardegna, titolò Lula, l’anno della svolta e con parole di entusiasmo prosegue ecco quindi il 1996 che si apre all’insegna della speranza, dopo tre anni e mezzo di oscurantismo. 225 Ivi, p. 250.

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disastro226. Dopo il suo tenace lavoro maieutico a Partinico, Dolci sapeva bene che in ogni popolo ci sono potenzialità di riscatto. L’esistenza di energie positive talora oscurate dall’ombra degli stereotipi in grado però di emergere e di superare la violenza del silenzio, della chiusura mentale e dell’egoismo. Dolci era cosciente del fatto che per favorire il cammino occorreva un lavoro profondo, che nel partire dal dialogo va configurandosi come una terapia dello stare insieme227 . Tanti i temi presi in esame in quei giorni, come la differenza dal trasmettere al comunicare, dal potere al dominio, dalla pratica all’esperienza, nonché l’importanza della creatività personale e collettiva che emerge attraverso il confronto non-violento e la maieutica228. Da quel seminario nacque l’esigenza di incontro e di partecipazione, di una forma di collaborazione che si potesse tradurre in emancipazione, nonché di consapevolezza che forse anche a Lula il domino aveva erroneamente preso il posto del potere e che il verbo comunicare era cosa ben diversa dal trasmettere229. Intanto, nell’estate del 1996230 Lula, per la quarta volta, non rispetta l’appuntamento con le elezioni amministrative e, ancora una volta, il fatto riempì pagine intere dei giornali. Questa volta, però, a richiamare l’attenzione dei media fu anche la singolare iniziativa di un avvocato ligure, Fabio Broglia, che propose la sua candidatura a Sindaco di Lula per le elezioni previste a novembre231. Il progetto, proposto a Lula dallo stesso Broglia suscitò non pochi dubbi, che vide da una parte lo schierarsi di chi approvava con simpatia la sua iniziativa (pochi per la verità), mentre, dell’altra, chi non condivideva affatto la sua proposta e, con parole garbate e non violente, giustificarono il loro no a candidature esterne, alle quali si preferiva un lavoro interno di ricucitura 226

Ivi, p. 252. Giacomo Mameli, Quelle lezioni di gruppo nella parrocchia di Lula, op. cit. , p. 13. 228 Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. , p. 252253. 229 Alcuni versi di una poesia, scritta da un anziano del gruppo, Tziu Chircheddu Corrias, richiamano l’attenzione sulla comunicazione autentica e sottolineano quanto sia palpabile il desiderio e la voglia di cambiamento sprigionati da quell’incontro con Danilo. Paris chin sa novena de Natale/amusu fatu su nostru seminariu/ca est comente ritu universale/su ‘e comunicare necessariu/e in totu sos tempos attuale/de s’universu in d’onzi locu variu/si mancat sa comunicazione/peruna teoria at vuntzione. Traduzione italiana: Insieme alla novena di Natale/abbiamo fatto il nostro seminario/che come rito universale/è il comunicare necessario/e in tutti i tempi attuali/dell’universo in ciascun luogo vario/se manca la comunicazione/nessuna teoria ha una funzione. 230 Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. , pp. 124125. 231 Ibidem. 227

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sociale232. Alle elezioni di quel novembre nessuna lista venne presentata e, il Prefetto di Nuoro Giovanni D’Onofrio, al quale non furono risparmiate delle critiche legate alla sua totale assenza dal panorama politico e sociale lulese, concluse dicendo: Ritengo improprio e improbabile che altri, al di fuori di questa realtà e di questa cultura, possano essere interpreti del destino dei lulesi233. Lo stesso luglio, dal 21 al 28234, Danilo tornava per la terza volta in Sardegna, scegliendo Lula e Villanovaforru per tenervi il seminario nazionale sul tema Struttura maieutica e complessità235. Lula e Villanovaforru, ci portano inevitabilmente alla riflessione del perché abbia voluto mettere le due realtà a confronto. Lula, era il paese dove vi dominava il disordine236, diceva Dolci, il paese ferito, estraniato dalla sua cosa pubblica237, mentre Villanovaforru era vivo di cultura e di progetto238, il paesino dal Sindaco esemplare239, come amava definirlo, che aveva saputo aprire nuove speranze alla Sardegna del centro-sud240. Nelle giornate dal 21 al 23 luglio Villanovaforru ospita la prima parte del seminario (Crescita nella complessità integrale)241, con l’obiettivo di sottolineare le scelte positive compiute dal Sindaco Giovanni Pusceddu il quale fece del paese e dei suoi abitanti un esempio da imitare. Nei giorni immediatamente successivi, dal 24 al 27 242

, il dibattito si spostò a Lula, con la partecipazione del filosofo e cosmologo di fama

internazionale Erwin Lazlo243, con la presenza del professore Antonio Mangano244, il Primo Cittadino Pusceddu e altre personalità arrivate da tutta Italia (presidi, architetti, giovani studenti, scrittori, …, insegnanti), per parlare di Maieutica ed evoluzione245, di come passare dal rapporto unidirezionale alla struttura maieutica246, del rapporto

232

Ivi, p. 253. Ivi, p. 125. 234 Ivi, p. 253. 235 Ibidem. 236 Ivi, p. 252. 237 Ivi, p. 253. 238 Ibidem. 239 Gino Camboni, Doveva tornare in Sardegna :« C’e ancora molto da fare », L’Unione Sarda, mercoledì 31 dicembre 1997, p. 13. 240 Ibidem. 241 Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. , p. 254. 242 Ibidem. 243 Ibidem. 244 Ibidem. 245 Ibidem. 246 Ibidem. 233

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necessario per approfondire ed ampliare il fronte maieutico247. L’obiettivo, a Lula, era quello di far crescere attraverso la comunicazione e la comprensione i germogli del comune senso del costruire e dell’evolversi248. Danilo amava Lula come se fosse il suo paese d’origine e, alla signora Lucia Porcu, proprietaria dell’agriturismo che lo ospitava, ripeteva spesso Vivete in un paesino bellissimo, circondato da una campagna dolce: la stessa dolcezza la si può trasmettere di casa in casa, da un rione all’altro, da un bambino al suo maestro, da una bambina alla sua nonna. Stando insieme, uniti, il paese migliora, ci si vive meglio, ci vivono meglio tutti249.

3.3.1 UN GIGANTE BUONO

Quello che è emerso dai laboratori maieutici e dal seminario internazionale è ben riassunto nelle quattro interviste, da me condotte, ad alcuni componenti del gruppo maieutico. Quello che colpisce è l’Uomo Dolci, l’umiltà racchiusa in ogni suo gesto e in ogni suo sguardo, è il suo metodo, ancora vivo nel ricordo di chi ha avuto il grande privilegio di conoscerlo. Il suo aspetto fisico così imponente era direttamente proporzionale con sua bontà d’animo. Danilo era un gigante, ma non era certo la forza a colpirti, semmai la serenità250. Fisicamente la sua stazza, che legata al suo abbigliamento ‘francescano’, calzoni corti e maglietta, gli conferiva un alone di mistero, che era cultura. Un modo di vestire dismesso, che faceva parte del suo ‘credo’251. Ogni sua frase, espressa sempre in modo garbato e mai con supponenza, racchiudeva il suo modo di essere e guardando i suoi occhi e i suoi gesti si poteva cogliere subito il significato della non violenza252.

247

Ibidem. Gino Camboni, Doveva tornare in Sardegna :« C’e ancora molto da fare », op. cit. , p. 13. 249 Giacomo Mameli, Quelle lezioni di gruppo nella parrocchia di Lula, op. cit. , p. 13. 250 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 251 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 2. 252 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 248

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Nel pensiero e nell’opera di Dolci si scorge la vita che lotta contro le catene253, il desiderio e la volontà di affrontare gli ostacoli, talora imposti, per arrivare al traguardo che si manifesta con la riappropriazione della vita. La svolta antropologica del pensiero dolciano sta proprio nel fatto che i termini lotta, ostacolo e riappropriazione non sono riconducibili ad alcuna forma di violenza. L’ostacolo di Lula probabilmente Danilo Dolci l’aveva intuito, tanto è vero che al suo arrivo si trovò di fronte ad un paese ferito e mortificato, condannato all’isolamento politico-istituzionale e culturale. Lula cominciava ad usare il silenzio come demiurgo e la solitudine per leccare le sue ferite254. Aveva compreso che in un paesino dell’entroterra sardo esistevano dei nodi irrisolti e, sicuramente, delle difficoltà di comunicazione. Aveva fermato la sua attenzione sui rapporti spezzati, sulle parole non dette, sui pensieri non espressi, sui silenzi e sulle solitudini255. Ad attenuare le difficoltà di comunicazione dei lulesi non furono di certo i massmedia che, con un imponente accanimento mediatico e senza analizzare quali fossero i reali motivi che ostacolavano la crescita del paese, accentuarono la distanza tra la Lula reale e la Lula virtuale256, abbattendo sul paese solo approssimazioni e pre-giudizi.

3.3.2 IL LABORATORIO MAIEUTICO Nella sua opera, Dolci, ci parla di rivoluzione non violenta come una via da percorrere, un metodo da seguire. Vita non violenta non significa passività, rassegnazione, accettazione, compromesso, inerzia. Il modo non violento di affrontare i problemi di oggi, da quelli locali a quelli planetari, è anzi attivizzante al massimo: non distrugge o depotenzia l’essere dell’altro, ma aiuta a costruirsi257. All’azione non violenta si giunge attraverso un cammino di coscientizzazione (come in Freire), passando per le vie obbligatorie di problemattizzazione, di ricerca della verità per raggiungere quelle che sono le radici della violenza. Superando questi 253

Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 29. Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 255 Ibidem. 256 Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. , p. 17. 257 Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 31. 254

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ostacoli si arriva a poter elaborare un progetto, un’alternativa possibile. Quale “arma” per combattere le forme più nascoste e più sottili della violenza, in una lotta non violenta, se non la maieutica reciproca? Il dialogo autentico e costruttivo tra le persone è il pilastro su cui poggia l’intera struttura della maieutica dolciana. Nelle sue riunioni, cercava di creare un clima di rispetto e di condivisione. Seduto ad un tavolo, che gli serviva solo per appoggiare le sue cose, proponeva gli argomenti e ognuno si esprimeva seguendo il senso del cerchio258. Negli incontri nel salone parrocchiale di Lula, seduto a capotavola, frugava nei visi alla ricerca dei semi migliori che dava per germogliati, dopo tre giorni di semina maieutica di base259. Il senso profondo che Danilo dava al dialogo si può riscontrare anche nei luoghi stessi in cui le riunioni prendevano forma, dove con la disposizione circolare delle sedie, riusciva ad instaurare con i partecipanti forme di comunicazione autentiche, mettendo in questo modo sempre a proprio agio i partecipanti. Anche a Lula aveva fatto disporre le sedie in cerchio. Lui che coordinava ne faceva parte come tutti260. Ognuno, senza forzature e interferenze, esprimeva il proprio pensiero, la propria creatività261. Inteso in questo senso il cerchio educa, dando origine a interazioni che scatenano la com-passione, e auto educa abolendo le gerarchie senza essere appiattimento262. La sua grande forza era quella di riuscire a creare un clima familiare superando le paure di essere valutati e giudicati, educava ad avere dei rapporti rispettosi con gli altri, curando la comunicazione autentica e rispettando i tempi individuali di maturazione263. La comunicazione in senso circolare ha la potenzialità di poter utilizzare nel dialogo tutti gli organi di senso, dunque comunicare non soltanto con la bocca, ma anche con gli altri sensi. Si conosce e si apprezza il valore della gestualità e degli sguardi. Si assaporano meglio le proprie e le altrui parole. Si intuisce l’altro anche come vicinanza fisica che mette in moto l’olfatto: cose che scatenano i processi di con258

Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. Ibidem. 260 Ibidem . 261 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 2. 262 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 263 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 3. 259

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divisione e si forzano le barriere della timidezza che, a volte, sono vere e proprie làcanas (confini) per tenere gli altri lontani da sé264. Come si è detto, uno degli obiettivi del metodo maieutico di Dolci è la costruzione dell’alternativa al dominio che, attraverso la maieutica di gruppo, diffonde fiducia nelle forze native dell’uomo, che sono forze potenziali le quali attendono di essere valorizzate265 . Valorizzare le persone significava che a tutti e ad ognuno suggeriva ruoli di unicità ed essenzialità dentro il gruppo266, significava mettere in luce gli aspetti positivi di ciascuna persona, valorizzandone i contenuti culturali, emotivi e sentimentali267. La gratificazione è infatti una componente essenziale del suo metodo di comunicazione a cui lui ricorreva non solo nel dialogo e non solo nel cerchio, ma anche nella quotidianità di tutti i giorni268. Il metodo maieutico dolciano sta, dunque, nell’importanza del dialogo come momento di confronto autentico tra le persone, mettendo l’accento sull’ascolto e sulla comunicazione plurilaterale e, cogliendone i significati più profondi, si traduce in varie forme di arricchimento della personalità. Se ognuno amplificando approfondisce il suo comunicare, può attuare il potenziale, riesce a inventare con gli altri una comune lingua più vera e più potente.[…] Se non ci confrontiamo, non cresciamo269. Ed è in questo senso che il maieuta concepiva i rapporti umani, lavorando per aggiunta e incremento, anziché per sottrazione o punizione, come spesso accade, e ciò consente di eliminare i giudizi negativi e di ricostruire e arricchire in continuazione quanto pensato da ciascuno270.

264

Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 184. 266 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 267 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 4 . 268 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 269 Giuseppe Barone (a cura di), Danilo Dolci, una rivoluzione non violenta, op. cit. , p. 157. 270 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 4. 265

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3.3.3

L’EREDITA’

INDIVIDUALE

E

COLLETTIVA

DELL’ESPERIENZA MAIEUTICA

L’ esperienza del lavorare in gruppo, rapportandosi con gli altri in modo creativo, partecipando con empatia ai dialoghi, è in primo luogo una lezione di vita per proseguire verso un approccio corretto con l’interlocutore, rafforzando l’idea di quanto sia importante mettersi in discussione per una crescita civile e democratica271. Probabilmente solo chi ha partecipato ad un laboratorio maieutico può cogliere appieno il valore del processo comunicativo non violento insegnatoci da Danilo per fornire opportunità di integrazione e per favorire l’accesso alla relazioni senza prevaricazioni e supponenze. Capire l’importanza dell’ascolto (non possiamo infatti parlare solo noi, comportandoci come le zecche o come i virus), dell’esprimersi con sincerità e onestà, del non contraddire, ma di aggiungere, del collaborare, del gratificare, del valorizzare le persone, di utilizzare il rispetto, il gioco, l’empatia…è cosa che nessuna letteratura su Danilo Dolci può insegnare. Come pure il capire in che modo le esplorazioni maieutiche di gruppo favoriscano nello stesso tempo l’autostima e i processi plurali272. La forza dell’educazione non violenta sta nei fatti, nella progettazione dell’alternativa, come momento di ri-nascita della nuova realtà. L’eredità individuale e collettiva della maieutica dolciana a Lula è stata la spinta che, anche dopo la sua morte, ha permesso di proseguire verso il percorso da lui indicatoci, sperimentando il metodo maieutico per poter poi contribuire in modo significativo, non violento e creativo a valorizzare le potenzialità del paese273e, anche se il gruppo si assottigliava nel tempo, due importanti iniziative furono avviate: la presentazione al rovescio del Lettera a un giovane sardo di Bachisio Bandinu e l’elezione del Consiglio Comunale dei ragazzi274. Nel primo caso fu grande la soddisfazione dell’autore per l’iniziativa che definì unica nel suo genere, in cui tutti i

271

Cfr. Appendice, tavola b, intervista 2. Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. 273 Ibidem. 274 Ibidem. 272

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ragazzi, dopo aver elaborato i contenuti del suo libro, avevano assunto ruoli attivi nella discussione-presentazione

maieutica275.

Nell’incontro

con

l’autore

i

ragazzi

rispondevano parlando delle loro esperienze e dei loro vissuti, cioè rapportando al loro mondo i contenuti del libro, in presenza del pubblico276. La seconda iniziativa fu il mini Consiglio Comunale eletto con il supporto determinante della professoressa Elisa Nivola. Funzionò per qualche tempo e bene. Poi i soldi comunali finirono e il progetto non poté continuare277.

275

Ibidem. Ibidem. 277 Ibidem. 276

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CONCLUSIONI

Ho visto vergini madri di venti figlioli ho visto donne sterili partorire, non ho visto né servi né padroni ma fratelli vivi insieme. I sassi hanno spremuto olio buono le brughiere pietrose, miele e latte; fichi dolcissimi sono abbondanti. Prima che i miei occhi appassiscano ho visto. Danilo Dolci, Poema Umano

L’obiettivo principale che questo elaborato si prefigge, come detto in precedenza, è essenzialmente un’ invito ad una riflessione sulla qualità della testimonianza di pensiero e di vita che Danilo Dolci ci ha offerto e continua ad offrirci, motivo di arricchimento per l’intero itinerario pedagogico italiano. Il suo grande merito, a mio avviso e a detta di molti, è stato quello di aver compreso, nel senso più profondo del termine, che anche le popolazioni oppresse, emarginate, hanno una loro cultura e, a partire da questa, occorre tessere le tele (corsivo mio) per creare e diffondere una Pedagogia di Pace. La novità dell’azione dolciana è nell’avere condotto una Resistenza «senza sparare», ovvero liberandoci dalla violenza culturale, dalla violenza che è nei meccanismi invisibili, dalla violenza che è il limite mortale della democrazia278. Dunque occorre iniziare dall’educazione intesa come processo rivoluzionario non violento attraverso cui si animano dal basso le coscienze, in una rete di comunicazione 278

Antonio Mangano, Danilo Dolci educatore, op. cit. , p. 8.

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di tipo orizzontale. Ed è questo il messaggio che Danilo Dolci ha donato anche a Lula. Con la sua presenza ha rivitalizzato il paese, allora disorientato da quattro anni di vuoto amministrativo e offeso dagli insulti mediatici che tendevano solo ad alimentare il malcontento popolare. Arrivando umilmente e in punta di piedi senza imporre la propria persona, ha fatto in modo che il paese si aprisse al dialogo e che, la naturale accoglienza che ci appartiene, fosse sprigionata senza riserve, in tutta la sua essenza, traducendosi in incontro e partecipazione. Emerge che, credo per la prima volta, a Lula è rivolto uno sguardo di attenzione, di con –divisione disinteressata, di comprensione autentica, di partecipazione empatica. Emblematiche, a mio avviso, sono le parole di ziu Chircheddu, dove esprime la consapevolezza di avere di fronte un ‘uomo vero ’ per disponibilità e attenzione verso tutti i problemi della società. Per il suo portare avanti i principi validi a livello universale e non legati a interessi di parte. Era un genio positivo. Dobbiamo ricordarlo e conservare ciò che ci ha insegnato279 , o quelle di Zia Maddalena dove nel suo foglio annota che se il suo metodo maieutico venisse applicato ai più importanti istituti della nostra società (scuola e famiglia) si avrebbe l’equilibrio ideale280. Danilo Dolci avrebbe voluto costruire per Lula un ponticello, fatto di fili molto discreti, con cui attraversare la palude in cui si era impantanato. Erano fatti, i fili, e dunque il ponticello, della materia inconsistente di cui è fatta la parola. Quella parola che, a suo stesso dire, essendo nata per scoprire, fiorisce e fecondata in frutta alimentando. Quella parola che vive nell’unire e che ci è sovente ardua. Costruiva per Lula una struttura senza dimensioni reali, che servisse a far acquisire capacità di comprendere ed abbracciare quanto più possibile l’altro, la diversità, la somma di diversità e di altri che diventa compiuta, cioè comunità, nella dimensione corale, umana e con- divisa della vita281. Purtroppo Danilo ci ha lasciato troppo presto, ancora immaturi per costruire soli il nostro ponticello. In ogni caso tanti passi avanti sono stati fatti negli anni a Lula, ma non sembrano ancora abbastanza sufficienti per onorare il suo pensiero. Quella nube del nostro cielo che ancora persiste, sebbene più sfumata, impedisce infatti una visuale più 279

Cfr. Appendice, tavola b, intervista 3. Ibidem. 281 Pintore, Piras, Angioi, Muscas, Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste, op. cit. ,p. 252. 280

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ampia e, a volte, determina nascondimenti e dunque negazioni alla speranza condivisa di ciò che è possibile282. Probabilmente Danilo è mancato quando aveva ancora da seminare e credo sia anche per ciò che non abbiamo potuto mietere in abbondanza283. Occorre fare ancora tanta strada, come a Lula anche altrove, per creare i parametri ottimali per rispecchiare appieno la nuova educazione che ci viene offerta de Danilo Dolci. Attualizzare il suo pensiero, infatti, non è semplice, anzi, per molti potrebbe sembrare un’utopia nell’era in cui ci troviamo, dove la digitalizzazione invade la nostra vita lasciando poco spazio alla parola e al pensiero creativo. Ma l’utopia non trova il suo humus in uno stato di sofferenza importante nei confronti del mondo in cui si vive e nella certezza di poterlo cambiare?284. Anche a distanza di più di un decennio dalla sua morte chi ha conosciuto il suo metodo, chi l’ha compreso fino in fondo e chi ne ha fatto una ragione di vita, ha il dovere e l’onore di diffonderlo. Un dovere che diviene sempre più necessario a partire proprio dalla consapevolezza del mondo che attribuisce valore alla prevaricazione e all’arroganza e, spesso, costringere a vivere di solitudine ed esclusione… Per cercare di sciogliere i grumi del tempo e consolidare basi di dialogo e convivenza civili per uomini davvero colti e consapevoli285. Ma i principi che animano il lavoro di Danilo ora sono nostri286. Se questo modo educativo si tiene nel cassetto o tanto meglio lo si rinnega presto allora si può parlare di sconfitta educativa287. Concludo con una nota poetica perché la poesia è nei fatti e nella vita di Danilo. Queste righe della sua poesia sono un invito ad una riflessione, sono il messaggio positivo che ci ha voluto lasciare, sono forse un’utopia, ma se chi le leggesse riuscisse a farle proprie, potrebbero diventare la forza motrice del nostro agire e ci potrebbero guidare nel nostro percorso di vita:

282

Cfr. Appendice, tavola b, intervista 1. Ibidem. 284 Ibidem. 285 Ibidem. 286 Cfr. Appendice, tavola b, intervista 3. 287 Ibidem. 283

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Quando la notte arriva e mi vedete alzarmi e andarmene, disciplinato pur se la brezza dell’estate invita mentre il giorno riposa la sua polvere al conversare brioso nel profumo dei limoni lunari, dove arriva l’acqua, o dei gelsomini non è per rinunciare al trattenermi con voi, non sono stanco di voi e dell’incanto di saperci: è per rinascere con l’alba prossima affondandomi fresco alle radici di un diverso giorno ancora nella sabbia delle stelle e poi ritrovarci nuovi. Danilo Dolci, Poema Umano

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APPENDICE

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TAVOLA A: LA SCUOLA DI MIRTO RIUNIONI PER IL CENTRO EDUCATIVO DI MIRTO 1 Incontri con le mamme dei bambini dai 4 ai 14 anni Dalle riunioni con le mamme emergono diverse problematiche relative in primo luogo all'ubicazione della nuova scuola, alla gravosità economica in cui versano molte famiglie e l'importanza dell'educazione come motivo di arricchimento culturale e sociale per i propri figli. 1) Ubicazione della scuola: Danilo Tutti sappiamo com'è necessaria una scuola nuova (...) siamo qui per domandarci quali sarebbero i consigli per questa scuola, come sognate una scuola per i bambini vostri, come la vorreste? Vi pregherei di parlare una alla volta... Angela Ma, come la volessimo... insomma una scuola di 'sti bambini... Vincenza Fare una scuola bella, i piccolini insegnarli bene,e essere loro vicini. Danilo Posso fare due domande? Quando lei dice scuola bella, cosa vuol dire? Vincenza Certo farli giocare i piccolini, nell'ora della ricreazione mandarli fuori e si divertono meglio. Danilo

E' meglio dentro Partinico, che è più comoda, o avere la scuola qualche

passo fuori? Vincenza Certo meglio fuori, ma poi i piccoli ci vanno, lontano? Non so cosa 64


stabilire, se i piccoli ci vanno. Angela

Se è un po' distante noi giustamente non possiamo portare i bambini

tutte le mattine, all'orario andare e venire, eccoci c'è uno incaricato che si interessa per questi bambini...è giusto? Francesca

La scuola deve essere bella, grande, nelle periferie del paese fa

un'aria buona, non viziata... Se la scuola è un po' distante occorre un mezzo, provvedere un autobus per raccogliere questi bambini alla mattina e nel pomeriggio rilasciarli Maria Per me la scuola deve essere costruita fuori dal paese in modo che non si possono sentire rumori, tra il verde degli alberi, con le stanze verso il sole... 2)
La
preoccupazione
economica:

Angela

Quelli che hanno i soldi giustamente spendono, comprano i libri e

vanno a scuola... Quelli che non hanno i soldi, suo figlio rimane... fino che può... giusto? Vincenza

Le persone che non hanno i soldi possono avere anche più

intelligenza di qualcuno che ha i soldi. Qualcuno che ha i soldi tira avanti a studiare e tante volte non ha la mente come uno che non possiede soldi... Vita ... E intanto per mandarli al dopo scuola ci vuole da 5 a 6 mila lire al mese. E quindi una madre che ha 3 figli o 4 come fa a farli studiare 'sti figli? E ecco che 'sti piccolini stanno indietro, e ci vorrebbe che per 'sti figli esistesse 'sta scuola. Vincenza Io 5 mila lire per uno li posso pagare, ma per gli altri no. Francesca ... I libri gratis: io non posso pagare nemmeno una tassa perché sono una vedova... i miei figli li tengo digiuni al giorno per frequentare la scuola perché io sono appassionata alla scuola... i bambini miei sono linfatici infatti per non darci l'alimento giusto...

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3) L'importanza dell'educazione: Danilo

Vorremmo sapere come questa scuola dovrebbe essere fatta, tutti i

desideri vostri e poi vedere insieme se e come si potrebbe fare... Grazia

Insomma il piccolino mio va alla scuola, ma non sa né leggere né

scrivere... scuola il piccolo manco ne vuole e poi come fanno, ci spiegano qualcosa ma non li insegnano... non sa manco scrivere una vocale... da metà anno va a scuola ma le stesse vocali manco le conosce ancora. Caterina

Mandare mia figlia e l'insegnante potere insegnare a 'sta piccolina a

scrivere, leggere, prima di tutto che lei è brava e poi interessarsi che ci sia la pulizia, i gabinetti, tutto sistemato, tutto pulito... i piccolini essere assidui a farli venire a scuola e insegnarli nello studio... quello è giusto... Marta

La vorrei che i bambini sarebbero avanti, essere bravi a studiare, non

fare disperare il papà e la mamma a chiamarli a studiare, insomma a voler studiare e scrivere da se stessi... Danilo ... Come si può arrivare ad avere dei ragazzi che studiano senza essere costretti? Marta Dalla testa di loro stessi, no? Danilo Sentiamo Rosalba Rosalba Io vorrei che il bambino dalla nascita sia allevato dalla mamma e dal papà in casa. Poi all'età della scuola materna il bambino esce e secondo me dovrebbe trovare un ambiente che rispecchia l'ambiente familiare con tutte le cure di un mondo... io penso che in questo bambino si debba appunto sviluppare i suoi interessi fino all'amore per lo studio. Fin dall'inizio deve cominciare un'educazione nuova, secondo le esigenze che può avere: lo studio è un'esigenza, il gioco è un'esigenza... occorre una

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scuola completa, che possa offrire al bambino tutte le cose che qui nei nostri paesi, nella nostra città non abbiamo... Maria

... I bambini devono essere portati ad un desiderio che li appassiona...

oggi c'è l'insegnante che non vuole che un bambino si alzi dal suo posto, non vuole che parli con un altro bambino, invece è buono che ci sia una collaborazione tra i bambini, è necessaria questa collaborazione. Anna ... E' importante la coscienza degli insegnanti a seguire i ragazzi, studiare come i ragazzi possono andare molto volentieri a scuola, e le lingue siano insegnate più facilmente. Rosalba Una scuola nuova ha necessità di nuovi insegnanti... dobbiamo parlare di nuovi educatori, di nuovi metodi, della formazione di questi educatori. A me piacerebbe andare un giorno per vedere il mio bambino come si comporta, con chi gioca, come mangia, cosa mangia... Santa Il primo giorno che quest'anno il bambino è andato a scuola il maestro si mise a darci bacchettate nelle mani. Il bambino poi manco scannato voleva andare a scuola, aveva paura delle legnate.

.

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2 Incontri con i bambini dai 4 ai 5 anni Danilo Domanda ai piccoli se piacerebbe loro avere una casa tutta loro, dove, come e cosa vorrebbero farci: Nuccio Bella Francesca ... Col mangiare dentro. E la carne. E le sedie... la mattina cucinarci il latte. Saruccio

Grande, con i tavoli e le sedie piccoli. Col pallone. Con l'altalena.

(Tutti assentono). Francesca Con la cesta per la bambola. Saretto Giocare coi bimbi. (Tutti assentono). Danilo

Vi piacerebbe stare in questa casa solo con i bambini o anche la

mamma? Tutti Con la mamma Danilo Solo coi bambini e la mamma, o anche il papĂ ? Saruccio Col papĂ Tutti Col papĂ Danilo Dove la vorreste? Nuccio In campagna

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Francesca Dentro Partinico Concettina In campagna, bella fiorita Masetto In montagna. Col l'acqua. (Tutti assentono) Danilo Vi piacerebbe giocare con la terra? Masetto Io. (Molti assentono) Francesca Io no, perché mi sporco le mani. Danilo E poi come la vorreste questa casa? Masetto Coi colori. Concetta Bianco, rosso, verde. Leonardo Col gatto. Masetto L'anitra. Francesca L'oca, e un vitellino. Narduzzo

Il più bello e quando si gioca,a noi ci piace più stare fuori che

dentro... Se c'è la direttrice si sta più in silenzio se no ci danno tè tè, botte: danno botte la direttrice, la maestra e la bambinaia, tutte tre... La bacchetta fa male in testa, stordisce le orecchie.

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3 Incontri con i bambini dai 6 agli 8 anni Danilo Come preferite siano le vostre giornate? ... Qual è la giornata più bella per voi?... Meglio se uno alla volta. Mimma Io a giocare Salvatore A giocare Danilo E tu come preferisci? Gioacchino Studiare Fedele Leggere Danilo Leggere cosa? Fedele Leggere i romanzi Danilo

Allora vi faccio una domanda importante: se noi dovessimo costruire

una casa per i bambini, cioè una casa per voi, come la vorreste? Eluccio Come un circo, e con un cavallo (Diverse voci:< Bello, bello >.) Vito Si, i cavalli Danilo

Ho capito, la casa dei bambini vi piacerebbe come un circo perché ci

sono i cavalli. Iachino Anche gli uccelli

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Voce Un cavallo bianco, le mucche piccole, un agnello Danilo E questa casa dove la vorreste? Paolo Vicino alla montagna Voce Che si vede il mare Gioacchino Ci deve essere un campo, l'acqua ... il mare Fedele Molti alberi, molti alberi per giocare e per mangiare i frutti Danilo Voi preferireste stare lĂŹ la mattina o tutta la giornata? Tutti Tutta la giornata Danilo E la sera venire a casa? Paolo No Fedele No Gioacchino Si Eluccio No Nuccio Si Giovanni Io no

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Danilo Ma tu hai dei fratuzzi, la mamma e il papĂ . Vorresti vederli? Giuseppe Domani Fedele Domani Danilo L'indomani quando? Fedele Ca ... L'indomani Danilo E tu quando vorresti vedere la tua mamma? Paolo

Alla fine della settimana, alla domenica si sta a casa e poi il lunedĂŹ si

ritorna in questa scuola.

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4 Incontri con i bambini dagli 8 anni ai 10 anni Danilo

Oggi dovremo pensare a qualcosa che ancora non c'è ma che, se

pensiamo e lavoriamo bene, un giorno può esserci... Se dovessimo costruire una casa per voi ragazzi, come la vorreste? Lello Bella, con molti colori, esserci molti mobili... Salvatore Molto grande, con molti maestri che ci insegnassero Mimmo Grande, in campagna Guglielmo Anche io in campagna: con gli animali, i papaveri, le rose Alberto In montagna una casa larga, grande... tanti alberi e fiori, e delle maestre che ci facessero imparare Lello Giocare, studiare e poi fare lavori di compensato... Alberto

Io farei dei mobili, dei giocattoli, dei disegni, delle casette in legno;

delle ore di studio e di giocare Daniela Io di mattina studierei, un pò da soli e un po’ insieme, studiare anche in campagna, dopo riposarsi, suonare, cantare... Danilo Secondo voi ci dovrebbe essere qualche grande o no? Tutti Si Danilo Perché? Lello Ci debbono aiutare

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Paolo Per guidarci Giuseppe Per giocare con noi Roberto Per insegnarci ad imparare Alberto Per insegnarci a leggere e scrivere Paolo Voglio dire una parola sola, io voglio che questa scuola sia fatta al piĂš presto possibile, cosĂŹ ci possiamo andare.

74


5 Incontri con i ragazzi dagli 11 ai 14 anni

Danilo

Pensiamo di fare qualcosa di nuovo, è difficile definirlo perché

dovremmo pensare insieme cosa dovrebbe essere... vi dico subito le domande che vi porrò... 1) Se dovessimo costruire una casa per i ragazzi, invece di una scuola tradizionale, dove e come la vorreste? 2) ... Cosa vorreste fare? 3) Pensate che qualche adulto sia necessario? Giuseppe

Anzitutto la vorrei nuova, non come quelle che abbiamo che sono

vecchie e piccole per giunta, poi un posto bello Danilo Bello come? Giuseppe Vicino alla montagna Pino

La vorrei vicino alla montagna perché è un posto bello, non ci sono

rumori, e poi l'acqua ... Giusi Io la vorrei in un posto in contatto con la natura, vicino alle piante ... un posto dove si possono decidere le attività da intraprendere ... Amico ... Vicino alla montagna,tra molti alberi, fare passeggiate di scoperta ... approfondire le ricerche sulle piante, sui fiori... Enzo Io la vorrei in collina, a contatto con la natura, spaziosa, pulita, vorrei che ci fosse un campetto dove si può giocare e un giardino.

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Mimmo

Sono d'accordo coi compagni: un luogo dove si possa osservare

veramente la natura, non come in città dove non si ha il tempo di osservare un fiore, per esempio. Nonuccio

Innanzi tutto ci dovrebbe essere una biblioteca con molte

enciclopedie Giusi

Poter leggere e commentare i libri per interpretare il pensiero degli

scrittori ... quindi imparare a ragionare Nonuccio

In questa scuola ci dovrebbe essere anche l'attività giornalistica, un

giornale di classe, un giornale di scuola settimanale Amico ... Io non farei lezione sui libri, per esempio debbono studiare un gatto com'è fatto ... o un cavallo:conoscere il cavallo da una fotografia è come non conoscerlo: altro è avere un cavallo a cui si diventa amici o interessati facendo passeggiate, e a cui ci si riferisca per lo studio scientifico Alfredo Prendere un fiore, studiarlo e poi vedere se il libro ha indovinato... Amico Confrontare il fiore col libro

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6 Incontro con alcuni studenti del liceo Danilo Noi dobbiamo avviare un centro educativo a pieno tempo per i bambini da 4 fino a ragazzi di 14 anni. Quali sono i vostri consigli? Soprattutto chiediamo come questo centro educativo sia, non come non dovrebbe essere... Paolo

Penso un centro in cui il ragazzo non debba seguire una cultura

tipicamente nozionistica, ma egli stesso ricercare quello che in veritĂ vuole conoscere Rosalia

Io vorrei che fosse una scuola basata essenzialmente sul dialogo,

attraverso cui i bambini e i ragazzi possono esprimere tutto il mondo interiore. E poi ci siano bravi professori, abbastanza democratici, che possano dare loro cultura arricchendo la sete di sapere dei ragazzi stessi, preparandoli soprattutto alla vita... Giuseppe Non attenersi allo studio soltanto dei libri... Libera

Se dovessi frequentare questa scuola, vorrei fosse una scuola dove mi

sentissi veramente me stessa. Spesso a scuola non riesco a comunicare con l'insegnante Paolo

Visto che bisogna dire anche dal punto di vista della costruzione

desidero che si faccia in periferia in modo che ci sia lo spazio, la campagna e che non siano costretti a vivere chiusi in classi...

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TAVOLA B: INTERVISTE AD ALCUNI COMPONENTI DEL GRUPPO MAIEUTICO DI LULA

INTERVISTA 1 : ROSU MARIA TERESA BIBLIOTECARIA – OPERATRICE CULTURALE DEL COMUNE DI LULA Età 58

1)

QUANDO E DOVE HA CONOSCIUTO DANILO DOLCI?

A dicembre del 1995 vidi Danilo per la prima volta. A Lula. Alcuni amici del gruppo culturale Sa Oche, che per la fine di dicembre stavano organizzando la presentazione di Ad Lumina, una mia raccolta di versi, mi informarono che per Natale sarebbe venuto in paese a tenere un seminario. Mi invitarono a partecipare e lo feci. Prima di allora avevo soltanto letto qualcosa di e su Danilo. Quell’esperienza determinò una svolta importante nella mia vita. Di ciò gli sarò sempre grata.

2)

MI PARLI DELL’INIZIATIVA CHE LE HA DATO

L’OPPORTUNITÀ DI CONOSCERLO. Conoscere è un verbo dalle molteplici implicazioni che evoca una certa sistematicità di utilizzo dei processi di apprendimento, per situarsi in una condizione di consapevolezza. Per conoscere bisogna sapere. Non possono verificarsi le situazioni ideali per avere un minimo di consapevolezza, in una sola occasione. Ho detto perciò che vidi Danilo per la prima volta nel ‘95, ma dico pure che le occasioni in cui ho avuto modo di conoscerlo sono state più di una. Il seminario maieutico di base si tenne dal 22 al 24 dicembre. I primi due giorni ci riunimmo nella piccola sala parrocchiale e l’ultimo 78


nella sala d’attesa dell’ambulatorio di Dottor Calia, il padre di Pietro che ospitò Danilo. Furono due giorni e mezzo intensamente partecipati, nonostante, o forse proprio per, il clima natalizio. Erano infatti tornati gli studenti universitari e alcuni di loro vi presero parte. Il gruppo era costituito da circa trenta persone ed era misto. Accanto agli studenti c’erano insegnanti, casalinghe, impiegati, pensionati… Persone diverse per esperienze di vita hanno provato la curiosità o sentito il bisogno di esserci. Anche l’età variava: tziu Chircheddu, un ex pastore, era vicino ai novanta anni. Una delle casalinghe ne aveva circa ottanta. Quelli erano anni difficili. Dal 1992 Lula era un paese ferito e mortificato, condannato all’ isolamento politico-istituzionale e culturale. Solo la stampa aveva il suo scrivere, ma più che altro ad ogni scadenza per la presentazione delle liste e, soprattutto, in termini di esaltazione dei suoi misfatti. Gli ultimi amministratori si erano dimessi a seguito di attentati. Lula cominciava ad usare il silenzio come demiurgo e la solitudine per leccare le sue ferite. Credo che Danilo abbia voluto portarvi la maieutica, avendone intuito le difficoltà comunicative, per “incentivare la passione del ragionare”, evitando però “l’avviluppo del ragionare”, come ha detto qualcuno e per favorire processi di scoperta e valorizzazione dei singoli nel lavoro di gruppo, il mezzo più consono per l’agire culturale e sociale. Il tema del laboratorio verteva proprio sulla comunicazione: “Dal dominio al potere. Dallo stato confusionario alla crescita organica. Dal trasmettere al comunicare. Dalla pratica all’esperienza. Condizioni per concretare una struttura che favorisca la creatività (personale e collettiva).” Ricordo ancora molto bene la figura di Danilo a Natale del 95: seduto a capotavola, frugava nei nostri visi alla ricerca dei semi migliori che dava per germoglianti, dopo tre giorni di semina maieutica di base. E faceva fotografare da Pietro quei germogli intuiti. Durante quei giorni aveva sempre fatto disporre le sedie in cerchio. Lui che coordinava ne faceva parte come tutti. Seduto ad un tavolo che gli serviva solo per appoggiare le sue cose, aveva accanto Caterina e Franca Rita con il compito di prendere appunti. Proponeva gli argomenti e ognuno si esprimeva seguendo il senso del cerchio. Durante i lavori, Danilo mostrava di avere a cuore tziu Chircheddu come Pietro, allora giovane e appena laureato, e anche gli altri. A tutti e ad ognuno suggeriva ruoli di unicità ed essenzialità dentro il gruppo. Ricordo il mio disagio iniziale, nel sentirmi apprezzata e valorizzata dopo gli interventi: avevo paura di gelosie e di invidie già sperimentate. Glielo dissi la seconda mattina, mentre uscivamo dalla

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sala. Lui mi inondò con l’armonia che traboccava dai suoi occhi chiari e mi rispose:”Maria Teresa, credi che io sia nato ieri?” E la sera e la mattina seguenti continuò a gratificarmi. Lui suggeriva la parola che non conosce limiti di età o cultura e il dialogo possibile, anche nelle distanze di età. Credo però che soltanto partecipando ad un laboratorio maieutico si possa cogliere appieno il valore del processo comunicativo non violento insegnatoci da Danilo per fornire opportunità di integrazione e per favorire l’ accesso alle relazioni senza prevaricazioni e supponenze. Capire l’importanza dell’ascolto (non possiamo infatti parlare solo noi, comportarci come le zecche o come i virus), dell’esprimersi con sincerità e onestà, del non contraddire ma di aggiungere, del collaborare, del gratificare, del valorizzare le persone, di utilizzare il rispetto, il gioco, l’empatia… è cosa che nessuna letteratura su Danilo Dolci può insegnare. Come pure il capire in che modo le esplorazioni maieutiche di gruppo favoriscano nello stesso tempo l’autostima e i processi plurali. Finito il seminario, il gruppo decise di continuare ad incontrarsi a cadenza mensile per mettere a frutto l’esperienza acquisita. Danilo venne ancora a Lula. Tornò per contribuire a risolvere quello che ormai era diventato il suo problema. Aveva scelto Villanovaforru e Lula come sedi del seminario nazionale dal titolo “Struttura maieutica e complessità”. La scelta non fu casuale: una realtà ricca di progetto e di cultura serviva per un implicito confronto con la nostra che continuava a negarsi alla sua cosa pubblica. Lo studioso, stavolta, non era solo. Ad accompagnarlo c’erano infatti Ervin Laszlo, il filosofo e cosmologo di fama mondiale e il professor Antonino Mangano, ordinario di pedagogia sociale presso l’Università di Messina. E poi personalità interessanti da tutta Italia: architetti, presidi, professori, maestri, giovani studenti , scrittori, impiegati e il più volte sindaco di Villanovaforru, Giovanni Puxeddu, per discutere insieme di “maieutica ed evoluzione”, di “come passare dal rapporto unidirezionale alla struttura maieutica” , “del necessario impegno per approfondire ed ampliare il fronte maieutico” e del lavoro svolto in varie parti d’Italia dai diversi gruppi. Il tutto agganciato al sociale con visite a realtà isolane interessanti. Prima che il seminario cominciasse, Rosellina e Annabella mi confessarono che, prima di partire, non riuscivano a capire il perché Danilo volesse catapultare i partecipanti in un paesino sperduto della Sardegna e confessarono di averne contestato la scelta, ma che cominciavano a capirne le motivazioni profonde, e a condividerle e , aggiunsero: “

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Come sempre, aveva visto giusto”. Cosa aveva “visto”, Danilo, che motivasse la scelta di Lula? Forse le intelligenze e le capacità, ma anche i nodi i irrisolti e, sicuramente, le difficoltà di comunicazione. Sicuramente aveva fermato la sua attenzione sui rapporti spezzati, sulle parole non dette, sui pensieri non espressi, sui silenzi e sulle solitudini. Stimolare al confronto di tutto questo con i problemi del mondo era come catapultare un paese al centro della riflessione filosofica e planetaria per fargli acquisire le giuste proporzioni del suo malessere e la certezza di poter contribuire all’armonia dell’universo. Il seminario di Luglio è durato sette giorni, dal 21 al 23 a Villanovaforru (Crescita nella complessità integrale) e dal 24 al 27 a Lula. Ha scrutato in profondità, spesso con emozione, nei mondi sommersi in cui i gruppi maieutici lavoravano per portare alla luce un patrimonio di esperienze collettive conseguite nel sociale o nelle istituzioni, sulla base di un modello educativo di comunicazione capace di infondere speranza in un mondo diverso. Di incidere direttamente sulla realtà mediante la partecipazione creativa di tutti, con la reciprocità di rapporti che tende naturalmente all’unità, mettendo in moto il processo di evoluzione naturale. Laszlo, sorpreso dall’iniziativa di Lula per la viva partecipazione, ha dovuto soddisfare tante curiosità sull’affermazione di una “coscienza planetaria”, cioè sulla “consapevolezza dell’interdipendenza vitale e sull’unità essenziale dell’umanità” come “precondizione per far propria l’etica e l’ethos che tutto ciò implica”. Ricordo Danilo già sofferente, in quei giorni, in visita ai negozi artigianali di Dorgali e alla grotta del Bue Marino. Sofferente ed esausto, eppure capace di stimolare tutti noi all’osservazione e alla riflessione sull’artigianato come motore di sviluppo in modo creativo. Lo ricordo in macchina, accanto a Gavino, il mio sposo, che guidava, al rientro da Dorgali. Era estasiato per la bellezza delle nostre tanche in fiore, ma sempre più stanco. Eppure fu capace di donare ancora parole di complimento (guidi molto bene, sei un tutt’uno con la macchina). La gratificazione è infatti una componente essenziale del suo metodo di comunicazione a cui lui ricorreva non solo nel dialogo e non solo nel cerchio. Ricordo che, per esempio, durante il seminario si era avvicinato al banco in cui io e mio marito avevamo appoggiato le nostre cose. Mentre parlavamo, prese in mano i libri scritti da lui che Gavino, durante la lettura, aveva sottolineato a colori. Rimase colpito dalle pagine “arate” e li mostrò a tutti gli intervenuti, commentando a voce alta sulla bellezza di quelle pagine. Credo che un altro ricordo del seminario nazionale sia utile per la

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comprensione della persona e dell’educatore che fu. Era previsto un intervento del gruppo di Lula. Bernardo fu delegato e preparò una relazione sulle nostre esperienze maieutiche. Danilo però insistette perché anch’io mi esprimessi. Iniziai a parlare in una sala stracolma di gente, in cui un silenzio inusuale denunciava l’assimilazione del suo messaggio educativo. Dopo qualche parola fui subito interrotta. Lui intervenne a mio favore spiegando le regole e il valore dell’ascolto. Ripresi a parlare, ma fui interrotta di nuovo. Intervenne con più fermezza. Io ero disorientata dalle interruzioni che allora non riuscivo a capire e stavo per rinunciare a parlare. Danilo mi incoraggiò e mi ridiede la parola, ma la stessa persona mi interruppe ancora, per la terza volta. Allora lui le disse che, se non era in grado di ascoltare, poteva, cortesemente, lasciare la sala. Cosa che fece subito. Lui mi invitò a continuare. Io potei farlo. Quando smisi di parlare, il maieuta mi guardava e piangeva. Era entrato in empatia con me e con il mio discorso sofferto. Danilo tornò ancora a Lula nell’aprile del 1997. Grazie al Commissario straordinario e ai servizi sociali, propose due seminari di base a scuola, uno per i genitori e l’altro per gli alunni e gli insegnanti. Durante la permanenza incontrò più volte noi del gruppo maieutico. 3)

COSA L’ HA COLPITA DI PIÙ DI DANILO DOLCI E

DELL’INIZIATIVA IN CUI L’ HA CONOSCIUTO? La brezza lieve che originava dalla sua persona. Anche la sua figura: aveva una mole imponente, era un gigante, ma non era certo la forza a colpirti. Semmai la serenità. Guardando i suoi occhi e i suoi gesti coglievi subito il significato della non violenza. Insieme alla sua figura di pace è il cerchio a tornarmi più spesso alla mente. Potrei affermare che, senza, forse non potrei pensarlo. Nel lavoro con i ragazzi ho avuto molti riscontri positivi della sua pratica. Comunicare in cerchio significa, infatti, comunicare non soltanto con la bocca, ma anche con gli altri sensi. Si conosce e si apprezza il valore della gestualità e degli sguardi. Si assaporano meglio le proprie e le altrui parole. Si intuisce l’altro anche come vicinanza fisica che mette in moto l’olfatto: cose che scatenano i processi di con-divisione. Cogliendo e con-dividendo meglio le parole, si con-dividono meglio anche le ricchezze di ognuno, anche le paure e le debolezze, così che si ha tutti quanti meno paura. E si forzano le barriere della

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timidezza che, a volte, sono vere e proprie làcanas (confini), per tenere lontani gli altri da sé. Il cerchio educa dando origine a interazioni che scatenano la com-passione. E autoeduca abolendo le gerarchie senza essere appiattimento. Il cerchio è un luogo di incontro privilegiato perché, pur essendo una struttura chiusa, riesce a forzare le catene delle chiusure e ad aprire alla libertà nella pratica e nell’esperienza della parola donata ad una somma di altre parole. Ci sono tante altre cose che mi hanno colpito e che ancora ricordo. Eppure, nel mare di cose che di Danilo mi hanno colpito, e che sono già state dette e ancora si dicono, niente è mai abbastanza. Come sembra non sia ancora abbastanza quello che si conosce di ciò che è arrivato, oppure sfuggito, alla coscienza di chi ha incrociato i suoi occhi con quelli di Danilo, nella normalità degli incontri e che, in quella normalità, ha aperto una finestra alla sua brezza lieve. Qualsiasi cosa possa pensare anch’io su Danilo non potrà essere per niente abbastanza, per farne una testimonianza vera, fedele, sincera, senza retorica, (nel suo stile), per dire e ricordare ciò che mi ha colpito dell’Uomo e del maieuta che è stato. Ho scritto uomo con la U maiuscola, e così l’ho pensato e lo penso, ma non credo che lui avrebbe approvato. Ad essere sbagliato è il presupposto: lui rifiutava le catalogazioni, e, nei vari incontri tenuti, dimostrava come non ci fossero cose più grandi e cose più piccole uscite dalle bocche dei partecipanti, ma solo cose e pensieri da sommare, atteggiamenti, tolleranze, non violenze. E modalità di rapportarci insieme fungendo da maieuti l’uno nei confronti dell’altro: questioni formali che sono anche di sostanza vera e profonda. 4)

COSA LE È RIMASTO DOPO, COME PERSONA E PER LA

SUA PROFESSIONE? Nel mio molto piccolo sono state esperienze formative. Di crescita. Che hanno spalancato una finestra tridimensionale su me stessa e sull’uomo. Il ricordo di Danilo mi impedisce di estraniarmi dai processi sociali e politici della comunità in cui vivo e opero. Le strategie maieutiche mi aiutano ogni giorno nello svolgimento del mio lavoro e dovunque entri in relazione con le persone. Mi hanno dato strumenti per conoscermi e mettermi alla prova, per scoprire energia e forza che pensavo di non avere. Per tradurre in progetti di lavoro ciò che può sembrare utopia. Per avere, ma soprattutto donare, consapevolezze. Io che amo la sintesi sublime della poesia ho imparato e continuo ad

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imparare il coraggio delle analisi e delle proposte. Che, qualche volta, costa anche in termini personali. Ma tutto è nel conto della maieutica. 5)

CI SONO STATE OPPORTUNITÀ, NELLA SUA VITA E NEL

SUO LAVORO DI METTERE IN PRATICA IL METODO MAIEUTICO? In un lavoro come il mio, le opportunità di onorare il metodo maieutico sono quotidiane. A Lula Danilo è mancato quando aveva ancora da seminare e credo sia anche perciò che non abbiamo potuto mietere in abbondanza. Inoltre, noi che abbiamo avuto in sorte di conoscerlo, forse non tutti, come lui, intuivamo i paesaggi possibili di armonia e, dunque, non abbiamo letto in eguale modo il suo messaggio. La speranza, ancora oggi, è che si possa riuscire a rendere disponibili le diversità per ottenere una bella somma spendibile per Lula. Nei rapporti con gli altri mi sforzo di comportarmi perché ciò avvenga. Ho però anche il senso della mia personale realtà, fatta di sogni e desideri ma, soprattutto, di limiti e finitezze. Non lo nego: qualche volta è ardua e dispero. Ma più di un risultato arriva. A questo proposito ritengo di dover citare soltanto un piccolo esempio, una cosa da nulla, un messaggio inviatomi da poco da una collega, utente della biblioteca: “ti ringrazio perché mi tratti in modo speciale. E la cosa bella è che tratti così anche tutti gli altri”. Più di una volta, in caso di difficoltà di rapporti interpersonali o anche semplicemente pour parler, il cerchio attorno ad un tavolo ha fatto il miracolo di far crescere tutti al pensiero positivo. 6)

A DISTANZA DI PIÙ DI UN DECENNIO DALLA SUA

MORTE, QUALE VALORE ATTRIBUISCE AL COMUNICARE CON IL METODO MAIEUTICO? Scambiare parole, comunicare, ha un valore sempre meno importante in questa modernità fatta più di cose materiali e meno di anima. Più di buio che di luce. Come non adoperarsi, dunque, perché al posto del buio, dovuto all’assenza di comunicazione, ci sia la luce della parola maieutica reciproca? Ognuno a suo modo: sognando, scrivendo, programmando, lavorando… Siamo uomini, piccoli esseri che il vento di

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maestrale sbatte contro mille ostacoli. In Sardegna i venti sono spesso fortissimi. E c’è il mare intorno. I nostri occhi hanno dimestichezza con i grandi spazi. Abbiamo la solitudine come gene. Ma gli sguardi e i respiri, a volte si concentrano perché troppo vicini, a volte si perdono di vista, perché troppo lontani. I rischi sono quelli di sottrarre ossigeno a chi nutre il desiderio di respirare a pieni polmoni. Oppure, ancora peggio, di ignorare che altri vivono al nostro fianco. La necessità prima , di ieri e di oggi, sembrava e sembra ancora, perciò, quella di riconoscersi. Di attribuire ad ognuno il proprio valore umano. Capacità perse nei fiumi di questo tempo travagliato che ci è dato di vivere. I rapporti relazionali, comunicativi, basati sul rispetto della capacità creativa e propositiva di tutti, cuore e sostanza del riconoscersi, potrebbero essere una panacea dalle eccezionali virtù terapeutiche per le realtà malate di solitudine e di silenzio e non solo. Oggi c’è facebook. C’è internet. Ci sono attrezzature sofisticate che permettono di essere 24 ore su 24 in contatto con tutti. Ma un uso eccessivo, o comunque distorto, impedisce gli scambi umani profondi. L’ apprensione è per i ragazzi, per i giovani: conoscono soltanto lo strato superficiale della realtà. Per le loro domande si aspettano risposte pronte. Pronte come l’immagine che appare dopo un click. Diseducati all’ascolto, non riconoscono, e dunque non apprezzano, i ritmi di una normale comunicazione. Ignorano il valore degli sguardi, ignorano l’importanza della gestualità. Non parlano per ascoltare risposte, ma per coprire la voce dell’altro. Fare maieutica oggi potrebbe più che mai essere una panacea e però sembra un’utopia. Ma l’utopia non trova il suo humus in uno stato di sofferenza importante nei confronti del mondo in cui si vive e nella certezza di poterlo cambiare? Se però la sofferenza dilaga, i margini per la certezza sembrano sempre più inadeguati ad imprimere caratteri differenti agli incontri degli uomini. Chi ha conosciuto la parola maieutica, anche a distanza di anni dalla scomparsa di Danilo, ha perciò il dovere di diffonderla. Un dovere che diviene sempre più necessario a partire proprio dalla consapevolezza del mondo che attribuisce valore alla prevaricazione e all’arroganza e, spesso, costringe a vivere di solitudine e di esclusione… Per cercare di sciogliere i grumi del tempo e consolidare basi di dialogo e convivenza civili per uomini davvero colti e consapevoli.

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7)

QUALE PESO E QUALI CONSEGUENZE HA AVUTO NELLA

COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DI DANILO DOLCI ? Ho già detto che, dopo il seminario del 95, continuammo a sperimentare il metodo maieutico in una sorta di laboratorio finalizzato a far germogliare i semi che Danilo ci aveva lasciato. Continuammo cioè a sperimentare il metodo maieutico per poter poi contribuire in modo non violento e creativo a valorizzare le potenzialità del paese. Il gruppo però si assottigliava nel tempo. Per alcuni, ciò che aveva costituito una novità, dopo non era più tale e altri lasciarono il paese per motivi di studio o di lavoro. Riuscimmo comunque a fare due iniziative: la presentazione al rovescio del libro Lettera a un giovane sardo di Bachisio Bandinu e l’elezione del Consiglio comunale dei ragazzi. Il suicidio di una quattordicenne mi aveva allarmato. Un incontro casuale con il gruppo delle sue coetanee aveva confermato l’allarme. Si trattava di ragazzi che tenevano troppo sigillato il proprio sentire nei confronti del mondo. La scuola ignorava la maieutica reciproca. Per il gruppo maieutico, passare dall’analisi al progetto fu cosa immediatamente fattibile. All’iniziativa del libro lavorammo con due classi di scuola media. Con le letture e la libertà di intervento dei ragazzi, abbiamo cercato, riuscendoci, di farli esprimere a scuola sulle loro esperienze e sul loro mondo. Grande fu la soddisfazione dell’autore per l’iniziativa che definì unica nel suo genere, in cui tutti i ragazzi, dopo aver elaborato i contenuti del suo libro, avevano assunto ruoli attivi nella discussione-presentazione maieutica. Ricordo ancora la gioia che provai nel corso dell’incontro con l’autore, quando, alle domande che ponevo, i ragazzi rispondevano parlando delle loro esperienze e dei loro vissuti, cioè rapportando al loro mondo i contenuti del libro, In presenza di pubblico. Alcuni di quei ragazzi di allora ricordano ancora quell’esperienza e, quando ci incontriamo, ne parlano molto volentieri. Il mini consiglio comunale fu eletto con il supporto determinante della Professoressa Elisa Nivola. Funzionò per qualche tempo e bene. Poi i soldi comunali finirono e il progetto non poté continuare. Il seminario nazionale fu accolto a Lula con attenzione: con la voglia di parteciparvi e con la sensazione tutta nuova di non essere soli o diversi. Era destinato a persone che già operavano in senso maieutico, ma non ha soltanto animato il paese: ha pure stimolato il gruppo di Lula ad agire. Degli incontri di Danilo a scuola non si conoscono gli sviluppi. Il grande maieuta si adoperò molto anche per

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risolvere quello che erroneamente veniva indicato come il problema del paese : le terre comunali. Ma era già molto provato dalla sofferenza e morì lasciandoci più fiduciosi ed aperti alle relazioni ma ancora molto bisognosi di aiuto.

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QUALE PESO E QUALI CONSEGUENZE HA AVUTO NELLA

COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DI PERSONE CHE HANNO CONOSCIUTO IL METODO MAIEUTICO?

? Due laboratori e un convegno sono stati dedicati a Danilo Dolci durante l’amministrazione di Maddalena Calia. Lula in quel tempo aveva dimenticato la maieutica. Investita da Pietro del compito di parlare del messaggio di Danilo Dolci a Lula, (La relazione è stata riportata da Natalino Piras, nel libro “Lula – Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste”), conclusi il discorso fra le lacrime: Luisa Manfredi era stata uccisa appena un mese prima. Da allora una grossa nube chiazza il nostro cielo e condiziona, limitandolo, il fare, il vivere. Che però non devono, non possono fermarsi, pena la morte di un seme, donato a Lula anni fa, e di molto altro. Nel mio piccolo mi adopero perché la fiducia ridiventi un valore e la parola il collante che unisce. Non ho molti mezzi, ad eccezione del mio lavoro. Io faccio cultura e in essa credo come strumento di sviluppo endogeno, come opportunità di analisi finalizzata ad individuare il senso con cui disegnare il nostro futuro. Applico il metodo di Danilo nelle relazioni personali e nel lavoro. Le biblioteche esistono per creare opportunità di lettura, di informazione e dunque di crescite per emancipazioni personali e culturali possibili. I bilanci pubblici sono irrisori. Le amministrazioni sono chiamate a dare risposte a tutto tondo alle comunità, ma senza fondi. Ecco perché, in genere, i politici preferiscono gli interventi visibili, che creano consenso. Ed ecco perché fa scalpore quando amministrazioni sensibili decidono invece di investire in cultura, di far funzionare le biblioteche, di credere nei giovani, nella scuola, nello sviluppo del pensiero. Anche se i risultati non sono immediatamente percepibili e quelle decisioni non sono dunque portatrici di consenso politico immediato. Fornire opportunità di scoperta e sviluppo di

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capacità comunicative e creative, come giuste abitudini, implica però anche la dimensione personale dell’agire che si concretizza in presenza di doti umane acquisite o acquisibili dagli individui. Ciò che quindi dovrebbe essere la norma, di fatto non lo è. Io sogno e mi impegno a comunicare l’importanza di sognare un mondo più creativo e di adoperarci tutti insieme per renderlo tale. Perciò credo nella mia professione. Un credo che vorrei declinare 1600 volte, quanti sono gli abitanti del paese, perché ognuno e tutti sentano la biblioteca come la propria casa. Vorrei vedere ancora più chiara la realtà che mi circonda per continuare a progettare iniziative efficaci. E poi realizzarle coinvolgendo, senza alcuna pretesa di insegnare, cosa che lascio volentieri ad altri, dotati di titoli e competenze specifiche. Anni fa, dopo un laboratorio di scrittura , a seguito del quale gli elaborati dei bambini sono diventati libricini spiritosi nella forma e nei contenuti e poi una mostra curata da me e dagli stessi bambini, l’ho pure scritto in un foglio appeso al muro, che non mi intendevo di pedagogia e che il lavoro era solo il frutto della condivisione maieutica di una passione. Il che vale a dire che avevo condotto un laboratorio in cui i bambini mi avevano suggerito come condurlo. Nel mio lavoro cerco di creare un luogo ideale di condivisione dell’amore per la conoscenza, per concretare, nel migliore dei modi, una mission bibliotecaria e culturale in un luogo e in un tempo di crisi della comunicazione autentica. Ma, come ho già detto, non sono infallibile e ho le mie sconfitte. Credo di non essere la sola ad onorare ancora, a Lula, il ricordo di Danilo o a sentirne l’esigenza. Posso però testimoniare soltanto della mia opera. Quella nube del nostro cielo che ancora persiste, sebbene più sfumata, impedisce infatti una visuale più ampia e, a volte, determina nascondimenti e dunque negazioni alla speranza condivisa di ciò che è possibile. Ecco perché inizio e concludo con un punto interrogativo la risposta a quest’ultima domanda, pure nella consapevole certezza della bontà del metodo.

?

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Intervista 2 : Bernardo Asproni, età 69 anni, insegnante in pensione e giornalista

1) QUANDO E DOVE HA CONOSCIUTO DANILO DOLCI. Di nome lo conoscevo, si può dire, da sempre tramite i suoi libri e per le battaglie civili, da ricordare quelle per l’acqua in Sicilia, che erano diventate, per lui, ragion di vita, e qualche traversia giudiziaria legata a quelle battaglie. Siamo sul finire degli anni 50. Di persona l’ho conosciuto a Lula, a casa di un amico, dottor Calia, a metà degli anni 90. Mi ha telefonato: vieni c’è Danilo Dolci che ti vuol parlare. Sono andato quasi subito, curioso di incontrare questo personaggio, da molti esaltato da altri osteggiato. Mi son trovato di fronte a uomo dalla stazza imponente che consumava una tazzina di caffè, la sua bevanda preferita, che, poi, ho constatato consumava a litri, di giorno e di notte. Dopo la stretta di mano mi ha detto, senza indugi, “dammi del tu” e offerto il caffè e li, senza formalismi, ha avuto inizio la nostra chiacchierata e, successivamente, una intervista. 2) MI PARLI DELL’INIZIATIVA CHE LE HA DATO L’OPPORTUNITÀ DI CONOSCERLO. In quel primo approccio, fra uno scambio di opinioni, soprattutto, sulla comunicazione e i mass-media, mi ha proposto se ritenevo utile partecipare a un gruppo di lavoro maieutico. Senza indugi ho dato il mio assenso sia per l’interesse che ho sempre avuto per la scuola di pensiero socratico sia per conoscere meglio da vicino quest’uomo che richiamava l’attenzione con un linguaggio semplice nella forma ma profondo nel contenuto, anche se politicamente lo sentivo lontano dal mio credo politico. Poi i vari incontri, inizialmente con un gruppo ristretto e successivamente con circa 20-30 persone. Sedute sicuramente interessanti con i partecipanti disposti in forma circolare dove ognuno senza forzature e interferenze esprimeva il proprio pensiero, la 89


propria creatività. Poi i seminari con la partecipazione di studiosi di fama internazionale, fra tutti Ervin Laszlon nel 1997, un anno fecondo. Una nota emblematica: il gruppo di lavoro era composto non solo da giovani ma anche da madri di famiglia e qualche nonna che hanno dimostrato interesse. 3) COSA L’HA COLPITO DI PIÙ DI DANILO DOLCI E L’INIZIATIVA IN CUI L’HA CONOSCIUTO. Il senso amichevole di proporsi, l’abbattimento immediato di ogni barriera. Fisicamente la sua stazza che legata al suo abbigliamento “francescano”, calzoni corti e maglietta, le conferiva un alone di mistero, che era cultura. Un modo di vestire dismesso, che faceva parte del suo”credo”. A questo proposito mi piace ricordare un piccolo episodio: un giorno indossavo una maglietta a righe, senza tante pretese, abbastanza comune, e lui, incantato disse: “che bella”. 4)

COSA

L’È

RIMASTO

DOPO,

COME

PERSONA

E

COME

PROFESSIONE. Credo tanto, come uomo, come insegnante, come giornalista pubblicista, anche se nella mia attività di lavoro mi sia da sempre ispirato al metodo socratico. E’ stata, quella esperienza, soprattutto, una lezione di vita che mi ha incoraggiato a proseguire in quella strada per un approccio corretto con l’interlocutore. Ha rafforzato in me l’idea di quanto importante sia il mettersi in discussione, per una crescita civile e democratica.

5) CI SONO STATE OPPORTUNITÀ NELLA SUA VITA/LAVORO DI METTERE IN PRATICA IL METODO MAIEUTICO. Credo sempre. Del resto per un insegnante è la strada da seguire per un coinvolgimento degli alunni, anche i più restii, nell’attività didattica, mettendoli nella condizione di esternare, di essere creativi, di esprimere quello che si ha dentro. Altrettanto dicasi per l’approccio corretto, confidenziale senza distacco con le persone.

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E’ una delle condizioni, fra le tante, per fare giornalismo. Il metodo maieutico è alla base e insegna tanto. 6) A DISTANZA DI PIÙ DI UN DECENNIO DALLA SUA MORTE QUALE VALORE ATTRIBUISCE AL COMUNICARE COL METODO MAIEUTICO. Credo, nell’era della globalizzazione, il metodo maieutico sia sempre valido allorché la comunicazione sta trasbordando e si stia perdendo il filo del confronto, distruggendo l’insieme e schiacciando l’individuo. E’ importante, perché in quella sorta di laboratorio maieutico ognuno e tutti si possono mettere in discussione. 7) QUALE PESO HA AVUTO NELLA COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DI DANILO DOLCI E CON QUALE CONSEGUENZE. A livello di comunità non credo più di tanto, non foss’altro perché la sua presenza in paese si è interrotta con la morte in seguito a un viaggio in Medio Oriente. Di converso parecchio nelle persone del “gruppo”, che tendeva a crescere. Tanto nei genitori e negli insegnanti e di conseguenza credo anche negli alunni, in particolare in quelli che hanno vissuto le brevi e episodiche esperienze di incontri e seminari. 8) QUALE PESO E QUALI CONSEGUENZE HA AVUTO NELLA COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DI PERSONE CHE HANNO CONOSCIUTO IL METODO MAIEUTICO. Nella comunità ripeto non più di tanto, anche perché la presenza di Danilo Dolci e il seminario con il filosofo Ervin Laszlo, gli studiosi come Nino Mangano, Daniela Borsi, Anna Buia e il lavoro con i rappresentanti dei diversi centri provenienti da oltre Tirreno si è limitato a una breve stagione, pur toccando temi sull’evoluzione della maieutica e come passare dalla struttura unidirezionale, verificando il passaggio dalla teoria alla pratica nei laboratori artigianali e durante lunghe discussioni.

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Intervista 3 : Luca Loddo, perito minerario di 43 anni, nato a Lula il 28 gennaio 2011 1) QUANDO E DOVE HA CONOSCIUTO DANILO DOLCI Assieme a Pietro Calia e al gruppo culturale di allora abbiamo preparato il primo seminario di dicembre 1995 alcuni mesi prima. L’amicizia che mi ha legato a Danilo è andata oltre il tempo stretto dei seminari ufficiali. 2) MI PARLI DELL’INIZIATIVA CHE LE HA DATO L’OPPORTUNITÀ DI CONOSCERLO Nelle sue permanenze in Sardegna l’ho più volte accompagnato con la mia auto in lungo e in largo per l’isola. Lui programmava prima di arrivare da noi vari incontri, qualche volta con autorità politiche, con docenti universitari o semplicemente per conoscere degli artisti, come una volta che ha voluto conoscere un fotografo di Sorgono che fece una foto di un paesaggio del Supramonte dopo una nevicata. Lui vide la sua foto pubblicata su un libro e riuscì a riconoscere la grande difficoltà nell’essere riuscito a fare quel tipo di fotografia. In effetti dal racconto del fotografo si scoprì che ci vollero tre giorni di impostazioni per trovare l’effetto desiderato. Propose a quel fotografo un lavoro che stava preparando per la comunità Europea. 3) COSA L’HA COLPITA DI PIÙ DI DANILO DOLCI E L’INIZIATIVA IN CUI L’HA CONOSCIUTO. Vedere la mia relazione e quella di Pietro. 4) COSA LE È RIMASTO DOPO, COME PERSONA E COME PROFESSIONE. Vedi sotto.

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5) CI SONO STATE OPPORTUNITÀ NELLA SUA VITA E NEL LAVORO DI METTERE IN PRATICA IL METODO MAIEUTICO Fino al 2000 abbiamo continuato ad avere incontri e a portare avanti progetti con la comunità di Lula. Esempio più importante fu il “Consiglio Comunale dei ragazzi”. Non più proseguito solo per scelte politiche dell’allora Amministrazione Prefettizia de Comune. Se condividi e sposi le metodiche educazionali della Maieutica poi la fai propria come stile di vita, e finché ci riesci la profeti anche nella famiglia o nel lavoro. Avere sempre a mente che non è più forte solo chi alza di più la voce o impone le sue volontà con la forza ti da la forza di affrontare le difficoltà quotidiane con più serenità. 6) A DISTANZA DI PIÙ DI UN DECENNIO DALLA SUA MORTE QUALE VALORE ATTRIBUISCE AL COMUNICARE COL METODO MAIEUTICO. Molti dei potenti che ci governano o che gestiscono grandi aziende pubbliche hanno almeno una volta nella vita avuto un’esperienza Maieutica. E queste persone si riconoscono ed il più delle volte emergono dal resto che non distingue tra Dominio e Potere. 7) QUALE PESO HA AVUTO NELLA COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DI DANILO DOLCI E CON QUALI CONSEGUENZE. Quelle 50 persone che hanno conosciuto il metodo e l’hanno condiviso sono sicuramente più ricche di prima, ma se questo modo educativo si tiene in un cassetto o tanto meglio lo si rinnega presto allora si può parlare di sconfitta educativa. Non è certo che il ritorno alla democrazia a Lula sia dovuto a questa esperienza, ma mi piace pensare che anche grazie a questa esperienza si sono create certe basi di dialogo promosse in paese prima del ritorno alla “normalità”. 8) QUALE PESO E QUALI CONSEGUENZE HA AVUTO NELLA COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DELLE PERSONE CHE HANNO

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CONOSCIUTO IL METODO MAIEUTICO. Il popolo che non ha cultura e sapere è destinato all’estinzione o a essere sopraffatto dal prossimo. Appunti di Luca Loddo risalenti al 1998 LULA, 08.01.1998 Danilo Dolci ha vissuto per gli ultimi tre anni a stretto contatto con un gruppo di giovani e meno giovani di Lula, sposandone la causa che attanaglia da tanti anni questa comunità. Il primo seminario l’ha tenuto alla fine di dicembre del 1995. Tema: dal dominio al potere. Dallo stato confusionario alla crescita organica. Dal trasmettere al comunicare. Dalla pratica all’esperienza. Condizioni per concretare una struttura che favorisca la creatività (personale e di gruppo). Hanno preso parte ai lavori circa trenta persone che, come sempre Danilo, faceva disporre in cerchio avendo cura che si trattasse di persone diverse per cultura, esperienze, età, sesso. In seguito a tale esperienza i partecipanti ai lavori del seminario hanno sentito la necessità, e pertanto il bisogno, che il lavoro iniziato non andasse sprecato. Nasce così un laboratorio maieutico, che da allora lavora con una frequenza di circa un incontro al mese, per continuare ad approfondire la conoscenza del metodo e cercare di aiutare a crescere la propria comunità valorizzando le potenzialità in essa presenti, attraverso la pratica di una corretta comunicazione e un continuo processo di autoanalisi. Il secondo seminario del Luglio 1996 ha avuto un contesto Nazionale, non più solo locale, coinvolgendo i rappresentanti di tutti i gruppi maieutici che lavorano attivamente in Italia, con in più la presenza dell’epistemologo ungherese Ervin Lazlo, studioso delle scienze della complessità. Il seminario in questione aveva il titolo di “Struttura maieutica e complessità”. L’ultimo lavoro con Danilo è stato realizzato nell’Aprile de 1997 per intervenire

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nella realtà dei ragazzi di Lula che molti considerano “morti”. In tale occasione si è deciso di organizzare un seminario di tre giorni, col diretto coinvolgimento delle scuole medie e del servizio sociale comunale, sugli stessi argomenti affrontati nel primo del ’95 con la differenza che questa volta Danilo lavorava la mattina coi ragazzi e la sera coi loro genitori e insegnanti. In un incontro tenutosi nei primi giorni dell’anno nuovo con tutte le persone che hanno conosciuto Danilo abbiamo voluto raccogliere le impressioni più forti, copiando anche dal suo modo di pubblicare i concetti delle tematiche studiate, con la versione integrale di chi nei seminari e incontri in quel momento le esponeva. Qui di seguito trascriviamo quelle dei ragazzi fino ai quindici anni e quelle degli adulti con alcuni ultranovantenni presenti: -

Ho notato in me un cambiamento: ho preso coscienza delle mie

potenzialità di ragazza; -

Queste esperienze mi hanno consentito di affrontare più serenamente

certi problemi che in altri contesti non sono riuscita ad affrontare; -

Crediamo che il suo messaggio sarà sempre attuale e tenuto sempre

vivo attraverso il nostro impegno di gruppo maieutico; altri poi apprezzano il modo che aveva di esprimersi così pacato e puntiglioso e come riusciva a considerare ed apprezzare tutti allo stesso modo valorizzando le diversità. Nei seminari riusciva a creare un clima familiare superando le paure di essere valutati e giudicati. La persona di Danilo imparava dalla gente, continuano altri, e non solo dai libri, e faceva in modo che uno si arricchisse dell’altro. Educava ad avere dei rapporti rispettosi con gli altri (curando una comunicazione autentica, rispettando i tempi individuali di maturazione). I più anziani hanno così ricordato: -

Mi sono subito reso conto, dice ziu Chircheddu in sardo, di avere di fronte

un “uomo vero” per disponibilità e attenzione verso tutti i problemi della società. Per il suo portare avanti i principi validi a livello universale e non legati a interessi di parte. Era un “genio positivo”. Dobbiamo ricordarlo e conservare ciò che ci ha insegnato.

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-

Zia Maddalena, un’altra anziana del gruppo, scrive nel suo foglietto: “penso

che se il suo metodo maieutico venisse applicato ai due più importanti istituti della nostra società (scuola e famiglia) si avrebbe l’equilibrio ideale. Con questo lavoro triennale, ma non solo, si è cercato e si cerca di uscire dallo stato confusionario in cui si vive a Lula, che impedisce l’individuazione delle necessità come la formazione di un consiglio comunale che operi secondo i principi di una autentica democrazia intesa come reale potere di tutti. Impedire gli sprechi, far emergere le potenzialità e individuare le cose necessarie. Erano alcuni dei principi che animavano il lavoro di Danilo ora sono nostri e di quanti intendono condividere con noi tale modo di lavorare. “L’IMPARARE A COSTRUIRE INSIEME VALORIZZA PURE I PRESUNTI MORTI” (Danilo Dolci)

Appunti di Luca Loddo

PIETRO CALIA, per il gruppo maieutico di Lula LETTERA A DANILO DOLCI Ti ho conosciuto Danilo nel Novembre del 1991, durante un seminario residenziale di educazione civico - ambientale, dal titolo “dal risiedere all’abitare”, tenutosi a Villanovaforru (CA), nei giorni 21-22-23 Nov.; organizzato dalla Prof.ssa Nivola, dell’università di Cagliari, tua cara amica. Da allora, almeno una volta all’anno, per un periodo non inferiore ai 7 giorni di fila, ma anche per più occasioni, ti ho incontrato in varie regioni d’Italia, e soprattutto in Sardegna in occasione di seminari maieutici, per riflettere sul metodo, assieme ad almeno altre 30 persone, sulle problematiche e le tematiche che più ci sembravano necessarie approfondire attraverso riflessioni di gruppo. Nei primi incontri rimasi sorpreso dalle enormi potenzialità che il metodo faceva emergere da ciascun partecipante ai lavori del seminario e dal modo in cui riuscivi a valorizzare tutto e tutti; ma anche l’uomo Danilo, dalla tua “serafica personalità”, dalla tua enorme cultura, che non diventava un elemento di separazione, verso chi sapeva di

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meno, ma un elemento d’incontro-confronto. In questi sei anni di rapporti ho avuto modo di crescere, di sviluppare una visione della realtà che mi circonda, dell’uomo Danilo, e dell’intellettuale-educatore che eri. Ritengo sia importante separare queste due dimensioni, perché spesso si è tesi a demonizzare te e il tuo lavoro perché ci si soffermava prevalentemente sull’aspetto umano, che come tale presentava i suoi limiti. E’ giusto dire che molto di ciò che ho appreso è dovuto alla struttura maieutica, che tu hai saputo sviluppare e studiare attraverso anni di sperimentazione, in ogni angolo del mondo, e non prevalentemente all’uomo Danilo. Un aspetto del tuo modo di fare che maggiormente mi colpì fu il tuo mettere davanti a tutto (famiglia, amicizie, affetti, salute) il tuo lavoro; questo non riuscivo proprio a capirlo e concepirlo. Quando insistevo, con molta cautela, nel porti domande per avere chiarimenti sui motivi di questo tuo comportamento, che mi rendevo conto ti allontanava da persone che reputavo molto valide, mi rispondevi che occorre saper distinguere ciò che è necessario da ciò che non lo è, per meglio spiegarti facevi un esempio, che grossomodo suonava così “Necessario è respirare, mangiare, non necessario è un’aragosta, o del caviale”. Per te era necessario portare avanti il lavoro che avevi iniziato sin da giovane, studiare e sviluppare il metodo maieutico reciproco, insegnarlo, affinché non andasse sprecato tutto il lavoro da te fatto e le enormi potenzialità che il metodo consente di valorizzare; tutto il resto era più o meno importante, ma non necessario. Solo in questi giorni, in seguito alla tua morte sopraggiunta mentre ancora lavoravi, ho cominciato a capire il tuo comportamento, che in questi ultimi due anni era diventato sempre più rigido e affannato; ti rendevi conto di non avere più tanto tempo a disposizione. Per te era necessario lavorare con la gente, utilizzando questo metodo, che richiede una continua capacità di evolvere; che non ti permette di arrivare a sempre nuove verità, o verità provvisorie; che ti chiama a porre domande, chiederti pareri, cercare risposte, attraverso un confronto-scontro non violento, creativo, che ti fa cambiare, crescere, evolvere.

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INTERVISTA 4 : Pietro Calia, nato a Nuoro il 06/04/1968, residente a Quartu S. Elena, professione pedagogista-educatore.

1) QUANDO E DOVE HA CONOSCIUTO DANILO DOLCI 2) MI PARLI DELL’INIZIATIVA CHE LE HA DATO L’OPPORTUNITÀ DI CONOSCERLO. La mia conoscenza di Danilo è avvenuta nel giugno del 1991, in occasione di un seminario residenziale di educazione civico-ambientale, dal titolo “Dal risiedere all’abitare”, tenutosi a Villanovaforru (Ca) nei giorni 21, 22, 23 , promosso dalla professoressa Elisa Nivola (allora docente di Storia della pedagogia presso l’Università di Cagliari) in collaborazione con l’amministrazione comunale del paese. Da allora la mia partecipazione ai seminari (laboratori) e alle riunioni maieutiche, tenute da Danilo in Sardegna ed in varie regioni d’Italia, è andata sempre più intensificandosi, per cercare di meglio capire e approfondire la conoscenza del metodo (che per una sua piena comprensione richiede la partecipazione ad alcuni incontri maieutici) delle sue enormi e sempre nuove potenzialità educative e formative, e dei suoi limiti. Da allora ho iniziati un assidua collaborazione con Danilo, per 6 anni ci incontravamo almeno una volta all’ anno in una diversa regione d’Italia, sempre a fine luglio, dove lui promuoveva un laboratorio residenziale per tutti coloro che usavano il suo metodo in modo continuativo: “Maieutica, autoanalisi popolare, identità culturali”. Platania (Cz) 25/27 luglio 1991; Coscienza,esperienza, processo maieutico Lorica (R. C.): 24/30 luglio 1992; seminario a Platania (Cz) 1993;

Nessi fra esperienza,

comunicazione maieutica e poesia Saint Nicolas (AO) 14/31 luglio1994; Seminario sul Etna 1995; Maieutica e evoluzione Lula NU 24/27 luglio 1996

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3) COSA L’HA COLPITO DI PIÙ DI DANILO DOLCI E L’INIZIATIVA IN CUI L’HA CONOSCIUTO? In occasione di quel primo seminario rimasi colpito dalle potenzialità educative di una tale metodologia di conduzione dei lavori di un gruppo di lavoro, nella prospettiva dell’educazione al cambiamento, che in quegli anni cominciavo a conoscere da studente universitario in Pedagogia, attraverso le lezioni tenute dalla professoressa Nivola all’Università, con la quale negli anni seguenti avrò modo di approfondire la mia formazione di futuro pedagogista-educatore. Allora potei solo percepire, in alcuni casi intuire, le valenze educative e le potenzialità metodologiche di tale modo di relazionarsi con l’altro. In tal senso fu decisiva l’impostazione data dalla Nivola al seminario nella prospettiva di formare in noi partecipanti “un continuum spazio-temporale” e “una coscienza intenzionale nei confronti dell’ambiente fisico-naturale e storico-sociale da cui ciascuno di noi proveniva”; una notevole importanza ebbe anche il luogo in cui ci trovavamo (sede di importantissimi villaggi dell’età nuragica.). Per la prima volta nel corso dei miei studi mi trovavo davanti a un “qualcosa” che dopo aver studiato, potevo subito sperimentare, verificare; che mi spingeva a impegnarmi ulteriormente nello studio e nell’approfondimento. Così matura in me la decisone di cogliere tutte le occasioni, che mi si sarebbero presentate, per partecipare ai seminari tenuti da Danilo in cui poter meglio conoscere il metodo, impegnando molte delle mie brevi vacanze estive di studente, e nel contempo cercare di riproporlo nei diversi contesti in cui mi trovavo ad operare. Comincia cosi a scoprire l’importanza e la forza del porsi e forre domande per far scaturire problemi, metterli a fuoco, ed individuare possibili soluzioni. Inizio a domandare da prima ai miei colleghi universitari, successivamente ai miei compaesani e quant’altri incontravo, cosa pensavano del loro modo di vivere nell’ Università, nel paese, nella vita quotidiana. Il mio porre domande di tipo esistenziale, rispettando i tempi di maturazione e riflessione, da maieuta in erba, ha cominciato a smuovere qualcosa, da prima nell’ambiente dei colleghi universitari, nel 1992 creiamo un gruppo di studenti universitari che chiamiamo Epoche (a voler sottolineare la nostra esigenza di fermarci a riflettere su cosa realmente eravamo e volevamo essere, sulle nostre reali necessità e esigenze di studenti in formazione, senza continuare a farcelo dire dagli altri, docenti universitari, televisione, e

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quant’altri incontravamo), successivamente nel mio paese, con la creazione di un gruppo culturale (1995), che inizialmente chiamiamo “Sa oche” che poi si trasformerà in gruppo maieutico, a cui lo stesso Danilo parteciperà.

4) COSA LE È RIMASTO DOPO. COME PERSONA E COME PROFESSIONE. Mi è rimasto la conoscenza di un metodo di comunicazione, maieutico, che ha cambiato me come persona e come professionista. Un metodo che consente di smuovere dentro ciascun soggetto che ne fa autentica esperienza, un mare di sensazioni, emozioni, stati d’animo, idee che accavallandosi, dopo un iniziale stato di crisi, ti spingono a rivedere il tuo modo di vivere. Un metodo che ti induce a fare qualcosa per cambiare il mondo che ti circonda, perché senti di essere tu stesso cambiato, diverso. Queste sensazioni mi hanno portato a riproporre il metodo nei vari contesti in cui ho lavorato e vissuto negli anni avvenire. Esso ti porta a mettere in discussione il tuo modo di esistere, di rapportarti agli altri, per aprirti a nuove esperienze di vita, da cui trarre dei nuovi insegnamenti. Ti consente di riscoprire un interiorità, che normalmente nella nostra società viene anestetizzata da una serie di messaggi che tendono a dare tutto per scontato, già provato, per ammassarci in una “massa informe” come evidenzia Danilo nei sui testi. Di punto in bianco, senti, percepisci, che quella che pensavi essere la vera comunicazione, a causa dei vari messaggi distorti che ci vengono dai massmedia e dalla stesa scuola, non è tale, ma si tratta di trasmissioni, di rapporti unidirezionali. Che il rispetto che pensavi di portare verso gli altri, in fondo non era proprio tale, perché non sempre valorizzavi ciò che l’altro diceva, anzi qualche volta tendevi a sovrastarlo a sottovalutarlo o disprezzarlo in nome del tuo Io dominante; o portavi avanti un processo psicologico opposto, annullavi il tuo Io, perché pensavi di non contare gran che. Comincia a germinare in te un nuovo seme, che lentamente senti sviluppare e crescere sino al suo germoglio, che fa sviluppare in te un nuovo modo di vivere, una nuova vita. Ti accorgi di essere una campana stonata rispetto al modo di vivere imposto dalla società di massa, dal sistema culturale dominante e omologante che tende ad annullare e rifiutare le

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differenze, scopri l’importanza del confronto, della diversità, dello scontro costruttivo, impari a criticare in senso costruttivo e a rifiutare la critica distruttiva, a mediare le differenze, e a rifiutare la loro negazione. Emergono le grandi difficoltà, e con esse i conflitti, legati ad una pratica di autentica comunicazione, basata sul pieno rispetto delle opinioni altrui, sull’importanza di effettuare interventi brevi e ricchi, per lasciare spazio alla comunicazione con l’altro e non costringerlo ad essere passivo ascoltatore, negandogli la possibilità di confrontarsi paritariamente. 5) CI SONO STATE OPPORTUNITÀ NELLA SUA VITA/LAVORO DI METTERE IN PRATICA IL METODO MAIEUTICO? Direi proprio di si, sia in ambito familiare che in ambito professionale. Da quando ne ho fatto la conoscenza e soprattutto l’esperienza ho di continuo, avuto modo di praticarlo, in gruppi di studenti (scuola elementare, medie, superiori, universitari), in vari servizi socio educativi (gruppi di anziani, tossicodipendenti, di ragazzi dei centri di aggregazione sociale) gruppi di insegnanti, genitori, gruppi misti o eterogenei di varia natura, consigli comunali dei ragazzi, ecc. 6) A DISTANZA DI PIÙ DI UN DECENNIO DALLA SUA MORTE QUALE VALORE ATTRIBUISCE AL COMUNICARE COL METODO MAIEUTICO. Nei circa venti anni di partecipazione ai lavori di centinaia di incontri maieutici ho avuto modo di sentire centinai di autovalutazioni fatte a conclusione dei lavori di maieutica di gruppo e di osservare le trasformazioni dei partecipanti durante il corso dei lavori del gruppo. Le valutazioni più ricorrenti erano incentrate sulla valenza comunicativa del metodo: “questo metodo di lavoro mi ha consentito di esprimere e liberare alcune idee e stati d’animo che tenevo dentro da vario tempo senza riuscire ad esprimere”; “ho notato che consente un confronto e uno scambio di problemi e idee, con una modalità per me nuova, direi creativo”; “mi ha consentito di approfondire nuovi argomenti e di analizzare i vecchi in modo nuovo, creativo”; “mi ha consentito di comunicare con gli altri in modo autentico e profondo, facendomi sentire riconosciuto”; “mi ha consentito di fare chiarezza, di distinguere la comunicazione autentica dalla

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trasmissione”; “mi ha fatto maturare e arricchire attraverso un autentico confronto fra persone diverse per età, sesso, ideologia”; “ora mi sento più sicuro delle mie capacità di comunicare”; “sento di avere arricchito la mia esperienza, mi sento diverso rispetto al primo giorno; mi sono sentito rispettato”. Queste valutazioni di persone comuni mettono in evidenza la capacità del metodo di valorizzare i contenuti culturali, emotivi sentimentali insiti in ciascuna persona, facendola sentire capita, valorizzata, riconosciuta, gratificata: e allo stesso tempo la facilitazione della comunicazione fra quanti ne fanno esperienza. Il metodo ha a sua base un procedimento che consente di valorizzare gli aspetti positivi che ciascuna persona fa emergere nel corso dei sui interventi, tralasciando in un primo momento quelli negativi, che poi verranno autocorretti dagli interventi aggiuntivi degli altri partecipanti all’incontro. Questo procedimento consente una forte gratificazione in chi interviene al dibattito, favorendo altri suoi successivi interventi e così facilitando la comunicazione. Il lavorare per aggiunta e incremento, anziché per sottrazione o punizione, come spesso accade nelle scuola, ma non solo, consente di eliminare i giudizi negativi e di ricostruire e arricchire in continuazione quanto pensato da ciascuno, sia da un punto di vista contenutistico che dal punto di vista della costruzione della personalità del soggetto che effettua l’intervento. Come messo in evidenza dagli esempi di autovalutazione sopra citati, successivamente a questa modalità di rapportarsi incentrata sulla valorizzazione delle conoscenze, le persone si sentono interpretate, capite, riconosciute, creative, gratificate; sentono di avere qualcosa in comune con altri rinforzano la propria autostima e capacità di rapportarsi agli altri in modo creativo, nonviolento. Spero di aver reso l’idea su che valori attribuisco al comunicare maiutico.

7) QUALE PESO HA AVUTO NELLA COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DI DANILO DOLCI E CON QUALI CONSEGUENZE? A questa domanda mi viene difficile rispondere, visto che manco da Lula da un decennio, penso che il lavoro maieutico svolto a Lula abbia risvegliato alcune coscienze

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assopite e generato una nuova creatività. Che poi ciascuno dei partecipanti ha riutilizzato nel contesto in cui lavorava, famiglia o viveva. Da quella esperienza sono natte l’iniziativa del gruppo maiutico permanente che è durato alcuni anni, il Consiglio Comunale dei ragazzi, alcuni anni prima della formazione del Consiglio Comunale degli adulti; alcuni laboratori maieutici nelle scuole locali, nel periodo in cui io ancora abitavo a Lula, a cui ho collaborato assieme ad alcuni componenti del gruppo maieutico locale e allo stesso Danilo. Ma anche tante altre iniziative in qualche modo legate all’esperienza di Danilo, portate avanti da altri componenti del gruppo maieutico di cui è bene che parlino i vari fautori.

8) QUALE PESO E QUALE CONSEGUENZE HA AVUTO NELLA COMUNITÀ DI LULA LA PRESENZA DELLE PERSONE CHE HANNO CONOSCIUTO IL METODO MAIEUTICO? A questa domanda rispondo riportando il titolo del primo laboratorio maieutico tenuto da Danilo a Lula: “Dal trasmettere al comunicare. Dallo stato confusionario alla crescita organica. Condizioni per concretare una struttura che consenta la crescita di tutti”. Penso che il lavoro svolto da Danilo a Lula, e da quanti hanno conosciuto ed usato il metodo maieutico, ha consentito di generare una forma di cambiamento non violento, basato sulla valorizzazione della creatività e potenzialità presenti in ciascuna persona.

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TAVOLA C : I LABORATORI MAIEUTICI A LULA

Foto 1: i laboratori maieutici a Lula con Danilo Dolci

Foto 2: i laboratori maieutici a Lula con Danilo Dolci

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Foto 3: i laboratori maieutici a Lula con Danilo Dolci

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NOTE BIBLIOGRAFICHE

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-http://www.danilodolci.it/index php?option=com_content&tasc=view&companyid=12&itemid [26/06/2009]. - http://it.wikipendia.org/wiki/danilo_dolci [26/06/2009]. - http://it.wikipedia.org/wiki/maieutica [26/06/2009].

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Ringraziamenti Tengo a ringraziare tutte le persone che mi sono state vicine e che, solo per motivi di spazio, non ho potuto citare per nome, ma che porto sempre nel cuore… Ringrazio le persone che hanno collaborato all’elaborazione di questo lavoro: la Professoressa Francesca Ghiaccio, Maria Teresa Rosu, Luca Loddo, Pietro Calia, Bernardo Asproni e la Biblioteca Comunale di Lula. In modo particolare desidero ringraziare i miei genitori per avere sempre creduto in me, dandomi enorme fiducia, e per avermi sostenuto anche in questo importante traguardo… Un grazie speciale è per Stefano per avermi saputo ascoltare, comprendere, sostenere e per il sentimento autentico che ci tiene uniti. Grazie per avermi teso la mano ogni qualvolta ne abbia avuto bisogno… Ringrazio mia sorella Barbara che, accompagnandomi nelle importanti scelte di vita, pazientemente mi regala preziosi consigli che fanno di me una persona migliore… Ringrazio Cristian perché i nostri dialoghi sono stati per me motivo di crescita e di confronto creativo. Grazie per la disponibilità… Esprimo la mia riconoscenza a Maria Teresa per aver fatto della maieutica una ragione di vita e per avere suscitato in me la curiosità di conoscere questo mondo. Grazie per gli utili consigli, sono stati una guida indispensabile…

Si dice che “chi trova un’amica trova un tesoro”. Grazie Marirosa, Grazie Barbara, Grazie Eulalia, Grazie Patrizia … L’ultimo ringraziamento, e non certo per ordine di importanza, è per Micro.

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Grazie perchÊ la dolcezza di un tuo sguardo va oltre la parola che non puoi esprimere‌

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