Aspetti legali e fiscali, regime delle prestazioni di lavoro per le associazioni

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ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO, DI PROMOZIONE SOCIALE E ONLUS: ASPETTI LEGALI E FISCALI, REGIME DELLE PRESTAZIONI DI LAVORO

MAGGIO 2009


© 2009 CSV Sardegna Solidale Via dei Colombi, 1 - Cagliari tel. 070 345069 - fax 070345032 Numero verde 800 150440 www.sardegnasolidale.it - csv@sardegnasolidale.it A cura di Dott. Tiziano Cericola Commercialista - Revisore Contabile Corso Garibaldi 19 48018 FAENZA (RA) In copertina Murales a Onanì (Nu), di Diego Asproni Stampa .......


Indice

Presentazione

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Parte I: ASPETTI LEGALI E FISCALI

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1. Inquadramento civilistico delle associazioni 1.1 L’associazione: concetti generali 1.2 Le associazioni e lo svolgimento di attività d’impresa 1.2.1 L’esercizio d’impresa 1.2.2 Le associazioni e il Registro delle Imprese 1.2.3 La trasformazione in società 1.3 Le norme applicabili 1.4 Gli statuti delle associazioni 1.5 I regolamenti 1.6 Organi dell’associazione 1.6.1 L’assemblea dei soci 1.6.2 Il Consiglio Direttivo 1.6.3 Il Presidente 1.6.4 Il Collegio Sindacale 1.7 Il riconoscimento 1.8 Le prestazioni di lavoro nelle associazioni 1.9 L’Agenzia per le ONLUS 1.10 La riforma del C.C. 1.11 I regimi speciali: a) le associazioni di volontariato 1.11.1 I caratteri di fondo delle OdV 1.11.2 Gli statuti delle OdV 1.11.3 Il Registro del Volontariato 1.11.4 Le OdV e l’esercizio di attività commerciali 1.11.5 Le OdV e gli appalti di pubblici servizi

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1.12 Segue: b) le associazioni di promozione sociale 1.13 Segue: c) le associazioni sportive dilettantistiche

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2. Impostazione amministrativa di un’associazione 2.1 In generale 2.2 Il libro dei soci 2.3 Il libro dei verbali delle assemblee dei soci 2.4 Il libro dei verbali del Consiglio Direttivo 2.5 Il libro dei verbali del Collegio Sindacale 2.6 Il registro degli assicurati delle OdV

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3. Contabilità e bilancio consuntivo 3.1 I documenti contabili 3.2 La tenuta della contabilità istituzionale 3.2.1 Criteri generali 3.2.2 Il piano dei conti 3.3 Forma e contenuto del bilancio 3.3.1 Forma del bilancio 3.3.2 Vidimazione dei registri 3.3.3 Criteri generali di redazione del bilancio 3.4 Procedura di approvazione 3.5 Tempi di approvazione 3.6 Pubblicità del bilancio

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4. Inquadramento fiscale delle associazioni 4.1 Enti commerciali ed enti non commerciali 4.2 La distinzione tra attività istituzionale e attività commerciale 4.3 Le norme fiscali applicabili agli e.n.c. 4.4 Il regime fiscale degli e.n.c. di “diritto comune” 4.4.1 I principi generali 4.4.2 Le deroghe di “diritto comune” 4.5 Le attività istituzionali “decommercializzate” 4.5.1 In generale 4.5.2 I tipi di associazioni agevolate 4.5.3 Le attività agevolate e quelle escluse 4.5.4 I fruitori del servizio 4.6 I privilegi di alcuni tipi di e.n.c.

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4.6.1 In generale 4.6.2 Le associazioni sportive dilettantistiche 4.6.3 Le AVIS e simili 4.6.4 Le associazioni per manifestazioni storiche 4.6.5 I gruppi di acquisto solidale 4.7 Gli obblighi fiscali delle attività istituzionali 4.8 Il periodo d’imposta 4.9 Il reddito complessivo degli e.n.c. 4.9.1 In generale 4.9.2 I redditi fondiari 4.9.3 I redditi di capitale 4.9.4 I redditi diversi 4.10 Il conteggio dell’IRES 4.11 L’Irap 4.11.1 In generale 4.11.2 Il settore istituzionale 4.11.3 Il settore commerciale 4.11.4 Detrazioni e aliquota 4.12 Le dichiarazioni annuali 4.13 I versamenti

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5. Il regime ONLUS 5.1 In generale 5.2 I tipi di ONLUS e i soggetti ammessi 5.3 I vincoli dello statuto 5.4 L’opzione e la decadenza da ONLUS 5.5 I settori istituzionali 5.6 I settori di serie A: a) i settori sociale e socio sanitario 5.7 Continua: b) gli altri settori istituzionali di serie A 5.8 I settori istituzionali a solidarietà vincolata (serie B) 5.8.1 I settori 5.8.2 I soggetti svantaggiati 5.9 Le attività direttamente connesse 5.9.1 I criteri generali 5.9.2 Il primo tipo di attività connessa 5.9.3 Il secondo tipo di attività connesse

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5.10 5.11 5.12 5.13

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Gli obblighi contabili Le sanzioni delle ONLUS Le ONLUS parziarie Le agevolazioni delle ONLUS

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6. La nuova impresa sociale 6.1 I problemi aperti 6.2 La nuova impresa sociale

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7. Il regime fiscale speciale delle OdV 7.1 Il caso delle OdV 7.2 Il quadro fiscale iniziale delle OdV 7.3 Pregi e difetti del quadro fiscale iniziale 7.4 L’impatto delle nuove regole fiscali delle ONLUS 7.5 Le OdV tra L. 266 e regime ONLUS 7.5.1 Il rapporto tra OdV e ONLUS 7.5.2 L’attuazione pratica del rapporto 7.5.3 La controriforma fiscale delle OdV (D.L. 185/2008) 7.5.4 Le OdV e l’attività d’impresa 7.5.5 Le OdV e le attività commerciali occasionali 7.5.6 Esame delle attività marginali delle OdV (D.M. 25/5/95)

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8. Approfondimenti sulle attività commerciali 8.1 Definizione di attività commerciali 8.2 Gli obblighi fiscali delle attività commerciali 8.3 Alcuni casi tipici di attività commerciali 8.3.1 Lo schema di riferimento 8.3.2 La gestione di spettacoli e intrattenimenti 8.3.3 La vendita di prodotti 8.3.4 La gestione del bar e degli apparecchi da intrattenimento 8.3.5 La pubblicità e le sponsorizzazioni 8.3.6 L’organizzazione di servizi a pagamento: a) le convenzioni con gli enti pubblici 8.3.7 Segue: b) le attività verso gli utenti con o senza contributi pubblici

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8.3.8

I contributi pubblici e la ritenuta del 4%

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9. I regimi contabili delle attività commerciali 9.1 In generale 9.2 Il regime ordinario 9.3 Il regime semplificato 9.4 Il regime forfettario art. 145 TUIR 9.5 Il regime forfettario della L. 398/91 9.5.1 Soggetti ammessi, limiti di fatturato e opzione 9.5.2 Le scritture contabili fiscali 9.5.3 Fatture di acquisto e di vendita 9.5.4 Ricevute e scontrini fiscali 9.5.5 Versamenti IVA 9.5.6 IRES e IRAP 9.5.7 Calcolo di convenienza per la scelta del regime contabile

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10. Fund raising e agevolazioni varie 10.1 In generale 10.2 Le offerte per le ONLUS previste dal D.LGS. 460/97 10.2.1 In generale 10.2.2 Le offerte da persone fisiche 10.2.3 Le offerte da enti 10.2.4 Le offerte per le O.N.G. 10.2.5 Le offerte da imprese 10.2.5.1 In generale 10.2.5.2 Le offerte in denaro 10.2.5.3 Le offerte in merce 10.2.5.4 Le offerte in lavoro 10.2.5.5 Le offerte in pubblicità progresso 10.2.5.6 Esempi 10.2.5.7 Le vendite a stock 10.3 Le offerte alle ONLUS e alle A.P.S. ex D.L. 35/2005 10.3.1 L’inquadramento delle nuove regole 10.3.2 Le nuove regole per le offerte 10.3.3 Tipi di liberalità

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10.3.4 Soggetti donanti 10.3.5 Beneficiari 10.3.6 Natura fiscale delle erogazioni 10.3.7 Limiti del beneficio 10.3.8 Alternatività 10.3.9 Divieto di cumulo 10.3.10 Decadenza delle agevolazioni: a) obblighi contabili del beneficiario 10.3.11 Segue: b) effettività del beneficio sociale 10.3.12 Segue: c) le sanzioni 10.3.13 Epilogo: i “donatori coraggiosi” 10.4 I contributi alle ONLUS per l’acquisto di ambulanze 10.5 Le donazioni di libri e computer 10.6 Le donazioni alle ONLUS per le calamità naturali 10.7 Le donazioni alle associazioni di promozione sociale 10.8 Le erogazioni liberali delle imprese: art. 100, 2° comma, lett. M, TUIR per la cultura e lo spettacolo 10.8.1 In generale 10.8.2 Il percorso 10.8.3 Un esempio 10.8.4 Le storture 10.8.5 I rapporti con le altre agevolazioni 10.8.6 Soggetti ammessi 10.9 Le erogazioni liberali delle imprese: altre ipotesi per il settore culturale 10.10 Le agevolazioni per le raccolte fondi occasionali delle associazioni in genere 10.11 L’1% del fatturato 10.12 Altre forme di raccolta fondi 10.12.1 In generale 10.12.2 Gli sms solidali 10.12.3 Eredità, legati e donazioni 10.13 Lotterie, tombole e pesche di beneficenza 10.14 La devoluzione alle ONLUS dei premi non ritirati 10.15 Il 5 per mille dell’IRPEF 10.15.1 Un nuovo rapporto cittadini enti non profit 8

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10.15.2 I soggetti beneficiari 10.15.3 La procedura di iscrizione 10.15.4 La scelta del contribuente 10.15.5 La rendicontazione 10.16 I fondi dell’8 per mille a gestione statale

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11. Gli E.N.C. e l’ICI 11.1 In generale 11.2 Esenzioni per gli enti non commerciali

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12. Agevolazioni varie 12.1 La riduzione dei diritti comunali 12.2 La riduzione delle tariffe postali 12.3 Agevolazioni per l’uso delle ambulanze 12.4 Agevolazioni per la frequenza di palestre 12.5 Imposta di registro e ii.cc. 12.5.1 Le agevolazioni per le OdV e le ONLUS 12.5.2 Gli acquisti immobiliari tra vivi 12.6 Imposta sulle successioni e donazioni 12.7 Imposta di bollo 12.7.1 Esenzioni per le OdV e le ONLUS 12.7.2 Altre esenzioni 12.8 Tasse sulle concessioni governative

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Parte II: LE PRESTAZIONI DI LAVORI

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13. Le prestazioni di lavoro gratuito a favore delle Associazioni 13.1 Introduzione 13.2 Il lavoro gratuito: casi e rischi 13.3 I volontari delle OdV 13.3.1 Volontari e non volontari nelle OdV 13.3.2 I caratteri del volontariato 13.3.3 L’obbligo di assicurazione e le regole sugli infortuni 13.3.4 I rimborsi spese ai volontari 13.4 I volontari delle APS 13.5 Il lavoratore “distaccato”

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13.5.1 In generale 13.5.2 Il rapporto aziende/ONLUS 13.5.3 Il rapporto aziende/APS 13.6 Il Servizio Civile 13.7 Le assenze dal lavoro del volontario: a) la protezione civile 13.8 Le assenze dal lavoro del volontario: b) il soccorso alpino 13.9 L’assegnazione dei condannati 13.10 L’esonero dal servizio dei dipendenti pubblici 13.10.1 Caratteri generali 13.10.2 Gli enti non profit interessati 13.11.I tirocini formativi e di orientamento 14. Le prestazioni di lavoro retribuito a favore delle associazioni: il lavoro subordinato 14.1 Il lavoro subordinato 14.1.1 Caratteristiche 14.1.2 Le fonti normative 14.1.3 Vincoli per le OdV e per le ONLUS 14.1.4 Il cumulo con la pensione 14.2 La costituzione, gestione e risoluzione del rapporto di lavoro 14.2.1 La costituzione del rapporto di lavoro 14.2.2 Il Registro Infortuni ed il nuovo Libro Unico del Lavoro 14.2.3 Inquadramento e trattamento economico 14.2.4 Obblighi e diritti delle parti 14.2.5 La risoluzione del contratto di lavoro 14.3 I principali tipi legali di lavoro subordinato 14.3.1 La complessità del molteplice 14.3.2 Apprendistato 14.3.3 Contratto d’inserimento 14.3.4 Contratto a termine 14.3.5 Part time 14.3.6 Lavoro ripartito (job sharing) 14.3.7 Lavoro intermittente o a chiamata 14.4 La somministrazione di lavoro 14.4.1 Inquadramento generale

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14.4.2 Il costo del lavoro somministrato 14.5 L’assunzione di lavoratori in mobilità 15. Le prestazioni di lavoro retribuito a favore delle associazioni: il lavoro autonomo e parasubordinato 15.1 Criteri generali 15.2 Le prestazioni di lavoro autonomo con P.IVA 15.2.1 In generale 15.2.2 La riscossione dei compensi sanitari 15.2.3 Il regime dei contribuenti minimi 15.2.4 Il cumulo con la pensione 15.3 La collaborazione coordinata e continuativa 15.3.1 Il contesto sociale 15.3.2 I tipi di co.co.co. 15.3.3 La co.co.co. “a progetto” 15.3.4 La co.co.co. senza progetto 15.3.5 Alcuni esempi 15.3.6 Il contenuto economico del rapporto 15.3.7 Regime fiscale 15.3.8 Regime previdenziale 15.3.9 La check list degli adempimenti 15.4 La collaborazione occasionale 15.4.1 Criteri generali 15.4.2 Le prestazioni occasionali di tipo accessorio 15.4.3 Le prestazioni occasionali “normali” 15.5 Il lavoro artistico 15.5.1 In generale 15.5.2 I contributi INPS ed ENPALS 15.5.3 Esenzione da ENPALS per talune manifestazioni 15.6 La borsa di studio 15.6.1 In generale 15.6.2 Il regime fiscale: a) le regole IRPEF 15.6.3 Segue: b) le regole IRAP 15.6.4 Il contributo INPS 15.6.5 INAIL 15.6.6 Casi particolari di esenzione

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15.7 L’associazione in partecipazione 15.7.1 La definizione 15.7.2 Casi di utilizzo per una associazione 15.7.3 Regime fiscale e contributivo 15.8 Agevolazioni per cori, bande e filodrammatiche 15.9 Il regime dei rimborsi spese per le associazioni sportive 15.9.1 Requisiti soggettivi e oggettivi 15.9.2 Regime fiscale e previdenziale 15.10 Il lavoro dei detenuti 15.10.1 Il nuovo regime penitenziario 15.10.2 Il lavoro dei detenuti 15.10.3 Ruolo dell’OdV 15.10.4 Rapporti contrattuali OdV/detenuto 15.10.5 Borse di studio 15.10.6 Riflessi fiscali per le OdV 15.11 I volontari delle ONG 15.11.1 Le ONG 15.11.2 Il personale delle ONG

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Presentazione

La pubblicazione che presentiamo ha valori intrinseci e valori aggiunti. La prima valenza sta nei contenuti che affronta e nella metodologia che utilizza. Si tratta di argomenti ormai di consumo quotidiano per le organizzazioni di volontariato e per quanti hanno responsabilità di governance al loro interno. Tematiche difficili, spesso ostiche, quasi per addetti ai lavori, qui presentate in modo egregiamente semplice, comprensibile, accessibile anche a chi non ha specifiche competenze su aspetti gestionali, divenuti obbligati e indispensabili per la vita delle organizzazioni di volontariato. Fra questi c’è un valore aggiunto che ci piace sottolineare. Il testo, frutto dell’egregio lavoro del Dott. Tiziano Cericola, commercialista e consulente, esperto della vita amministrativa, legale e fiscale delle OdV, è pubblicato su iniziativa congiunta di due CSV: il CSV Sardegna Solidale e il CSV Padova Solidale. Due realtà di servizio al volontariato fisicamente lontane e dislocate in realtà culturalmente, economicamente e socialmente differenti. Due realtà che, però, da sempre camminano ed operano in sintonia, condividendo spesso priorità e operatività. È un esempio positivo e importante della sinergia che si può produrre e mettere in campo se si dialoga e ci si raccorda. Questa è la prima pubblicazione congiunta tra i due CSV: un’altra è in preparazione e tra breve sarà data alle stampe. Altre, sicuramente, seguiranno. Auspichiamo che il lavoro di intesa tra CSV Padova e CSV Sardegna Solidale aiuti le associazioni a creare anch’esse, a loro volta, sinergie utilmente produttive, di collaborazione e di lavoro a rete.

Presidente CSV Sardegna Solidale Giampiero Farru

Presidente CSV Padova Solidale Giorgio Ortolani

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Parte I ASPETTI LEGALI E FISCALI

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1. Inquadramento civilistico delle associazioni

1.1 L’associazione: concetti generali L’associazione rappresenta una delle varie “formazioni sociali ove si svolge la … personalità” del cittadino (Cost. art. 2) e, come tale, riceve tutela costituzionale come espressione del più generale concetto di “libertà” dell’uomo. Questo concetto viene spesso utilizzato dalla giurisprudenza sia per tutelare la posizione del singolo associato contro le prevaricazioni degli organi sociali, che per tutelare l’autonomia dell’ente da influenze esterne, specialmente da parte del potere pubblico. Il diritto comune delle associazioni si trova negli artt. 11-38 del C.C.. Questa disciplina, comunemente ritenuta scarna e ormai superata, ha tuttavia permesso dal dopoguerra in poi una grande fioritura di associazioni, aiutate anche dall’evoluzione giurisprudenziale sopra ricordata. Tale evoluzione si è svolta essenzialmente su due grandi filoni: a) l’estensione alle associazioni non riconosciute delle norme previste per quelle riconosciute; b) l’applicazione alle associazioni delle regole di base dei contratti. Il primo aspetto è rilevante se si pensa che, contrariamente alle attese dei codificatori, nel dopoguerra è prevalso di gran lunga il numero e la rilevanza sociale delle associazioni non riconosciute, cui il codice riservava solo 3 articoli. Il secondo aspetto ha superato tutte le teorie “istituzionali” in voga fino all’inizio del nostro secolo ed ha permesso di applicare le regole previste per il perfezionamento del contratto, per la sua interpretazione, per la disciplina dell’inadempimento, ecc.. L’associazione è quindi un contratto, cioè un “accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale” (art. 1321 C.C.).

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

In particolare è un contratto con le seguenti caratteristiche: tipico

il C.C. prevede una disciplina di base

plurilaterale

vi possono partecipare due o più persone (fisiche e/o giuridiche)

Aperto

le parti possono aderire anche in tempi successivi, senza che questo comporti la modifica del contratto

con comunione di scopo

“le prestazioni di ciascuna (parte) sono di rette al conseguimento di uno scopo comune” (art. 1420 C.C.), in contrasto con i contratti tipicamente di scambio

con struttura organizzativa

con necessaria separazione di compiti e responsabilità tra l’assemblea o l’organo di gestione

Questi criteri sono tuttavia applicabili a più tipi di enti collettivi (società, consorzi), per cui occorre reperire un ulteriore tratto distintivo dell’associazione. Anche se sembra strano il codice non offre alcuna definizione dell’associazione che ci possa aiutare in questo compito. Dall’analisi della sua disciplina si deduce che l’associazione è un’organizzazione collettiva costituita per il perseguimento di uno scopo di natura non economico. Questa, in termine giuridici, è la causa del contratto (art. 1325 n. 2, C.C.), ovvero la sua funzione economica e sociale per cui si ritiene che realizzi “interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico” (art. 1322, 2° comma, C.C.). L’associazione è, inoltre, un ente “senza scopo di lucro” soggettivo, in quanto la legge prevede espressamente (per le associazioni riconosciute) che gli associati receduti o esclusi o che “comunque abbiano cessato di appartenere all’associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio delle associazioni.”(art. 24 C.C.). La norma è ripresa in parte anche per le associazioni non riconosciute: “finchè questa dura i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretenderne la quota in caso di recesso.” (art. 37 C.C.). Sono invece le singole leggi settoriali (v. art. 5 L. 266/91 per il volontariato) o, in mancanza, i singoli statuti che, in genere, ripetono tale divieto di distribuzione del patrimonio tra i soci anche per il caso di scioglimento e successiva estinzione dell’associazione non riconosciuta. 17


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Autorevole dottrina (Galgano) ritiene che il divieto di ripartire il patrimonio tra i soci, espressamente previsto dal C.C. per le associazioni riconosciute, sia applicabile direttamente anche a quelle non riconosciute.

Nell’associazione, insomma, è (o dovrebbe essere) prevalente l’apporto di lavoro e di idee dei soci rispetto al loro apporto patrimoniale, pur presente. L’associazione dispone di un proprio patrimonio distinto da quello dei soci; tale autonomia patrimoniale è perfetta per le associazioni riconosciute, mentre rimane imperfetta per quelle non riconosciute (v. oltre). L’associazione si distingue dalla fondazione classica per la prevalenza dell’elemento personale (presenza di soci) e per la vigenza di regole democratiche al suo interno: elezione organi sociali, diritti e doveri dei soci, ecc.. La fondazione classica è invece un patrimonio destinato ad uno scopo ideale e regolata dalla volontà del fondatore. Ricordiamo però che da vari anni e sempre più spesso lo schema classico della fondazione viene “ibridato” con elementi tipici delle associazioni, per cui sono diffuse anche le c.d. “fondazioni di partecipazione” aperte all’apporto iniziale o successivo di soci (si veda l’interessante sviluppo anche in Italia delle c.d. community foundation), con organi sociali che vengono eletti da un’assemblea dei soci.

1.2 Le associazioni e lo svolgimento di attività d’impresa 1.2.1 L’esercizio d’impresa È ormai pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che anche l’associazione (come la fondazione o il comitato) possa esercitare, al pari delle società, un’attività imprenditoriale, a patto che la eserciti per realizzare il fine ideale che, statutariamente, le è proprio: “le associazioni e le fondazioni … possono svolgere anche attività imprenditoriali, organizzate cioè per la produzione di beni o servizi; e, rispetto agli scopi istituzionali, queste attività economiche possono trovarsi o in rapporto meramente strumentale, in quanto volte al reperimento dei mezzi occorrenti per gli stessi, oppure in rapporto diretto, in quanto di per sé idonee all’immediata realizzazione degli scopi medesimi (come, ad es., l’attività editoriale svolta da una fondazione culturale). Ma anche in questa seconda ipotesi non sostituiscono gli scopi ideali istituzionali, anche se questi si realizzano mediante quell’attività”(Cassazione sent. 9/11/79 n. 5770). È quindi la specifica natura dello scopo perseguito l’elemento che identifica l’associazione, a nulla rilevando l’attività concretamente svolta per realizzarlo, che potrebbe anche avere natura d’impresa. 18


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Questa possibilità deriva, in primo luogo, dall’art. 41 della Costituzione, per cui “l’iniziativa economica privata è libera” e può trovare divieti e limiti, soggettivi o oggettivi, solo in norme di legge. In secondo luogo, il C.C. non porta alcun divieto esplicito a svolgere attività d’impresa tramite le associazioni o gli altri enti non profit (fondazioni e comitati). In terzo luogo le norme del C.C. in materia di trasformazione eterogenea (v. oltre) danno per scontata la presenza di attività imprenditoriali svolte in forma di enti non profit. Il vero criterio distintivo delle associazioni (e degli altri enti non profit), come visto sopra, sta nell’assenza dello scopo di lucro “soggettivo”: l’associazione non potrà mai dividere utili o capitali tra i soci, sia durante la vita dell’ente, che al momento della sua estinzione. In sostanza l’associazione può esercitare (anche) attività d’impresa (c.d. lucro oggettivo), ma non può ripartire nulla tra gli associati (c.d. lucro soggettivo), come avviene invece per le società. Si possono fare i casi di associazioni o fondazioni che gestiscono scuole, università, teatri, ospedali, case di riposo, strutture ricettive, ecc..

Le associazioni sono quindi in antitesi alle società, con cui “due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247 C.C.). Alla società è quindi connaturato lo scopo di lucro “soggettivo”: il socio ha diritto a percepire gli utili dell’attività e ad ottenere il rimborso dei conferimenti. Si segnala che tale distinzione trova deroghe in taluni settori del nostro ordinamento in cui sono state inserite delle vere e proprie società (di capitali) che, per norma esplicita, non possono avere scopo di lucro “soggettivo”, come accade nel settore sportivo dilettantistico.

Si tenga presente che la qualifica di ente senza scopo di lucro (detti anche “enti non profit”) è valida ai fini civilistici, ma non coincide necessariamente con la qualifica fiscale di “ente non commerciale”, che deriva dal tipo di attività svolta in via prevalente. Per l’esercizio di attività d’impresa da parte delle OdV v. oltre: cap. 1.14.2.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

1.2.2 Le associazioni e il Registro delle Imprese La L. 580/93 ha istituito il Registro Imprese previsto dal C.C., disciplinato dal successivo regolamento (D.P.R. 581/95) e tenuto dalle Camere di Commercio I.A.A., sotto la vigilanza del Giudice del Registro. Circa i soggetti tenuti all’iscrizione l’elencazione contenuta nell’art. 7 del decreto, pur non avendo carattere tassativo, non comprende le associazioni e le fondazioni, pur essendo ormai noto che questi enti possono svolgere attività d’impresa. Tuttavia la miglior dottrina ritiene che questi enti siano tenuti ad iscriversi al Registro Imprese, qualora svolgano attività d’impresa in via esclusiva o principale. Nel caso invece esercitino attività d’impresa in via accessoria si ritiene che debbano iscriversi solamente al R.E.A. (Repertorio Economico Amministrativo), una banca dati generica, spesso bistrattata dalle stesse C.C.I.A.A.. Si ricorda che le associazioni possono superare la gestione diretta d’impresa promuovendo la costituzione di società, di cui possono anche detenere quote (anche di maggioranza). L’argomento è pacifico in dottrina e giurisprudenza. Il fisco ritiene che le ONLUS non possano detenere quote di partecipazione di maggioranza in società, perché si configurerebbe un uso del patrimonio sociale per finalità non previste dall’art. 10 del D.LGS. 460/97 (v. circ. 59/2007).

L’associazione che, gestendo un‘impresa a titolo esclusivo o principale, assume la natura di imprenditore “commerciale”, certificata (anche) dall’iscrizione al Registro Imprese, è soggetta anche al fallimento, in caso di insolvenza. In questo caso è opinione prevalente (non totalitaria) che i singoli associati, anche se amministratori, non possano essere personalmente dichiarati falliti, in quanto la loro responsabilità personale è limitata ai singoli affari a cui hanno partecipato (art. 38 C.C.) e non alla totalità degli affari, come avviene invece per i soci di s.n.c. o s.a.s. (v. Corte Appello Genova sent. 16/7/2003). Diverso è il caso in cui l’ente sia formalmente costituito come associazione, ma di fatto i proventi dell’attività economica vengano ripartiti tra tutti gli associati, in genere in numero ristretto: in questo caso si tratterà di una vera e propria società di fatto, soggetta al fallimento sia in proprio che per tutti i singoli soci. Si tratta insomma di un caso di “abuso” della forma di ente non profit, per cui il contratto va riqualificato come “società” sulla base della sua vera natura, desunta dai fatti.

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1.2.3 La trasformazione in società La riforma del diritto societario consente di attuare la trasformazione “eterogenea” di associazioni e fondazioni in società e viceversa (artt. 2500-septies e ss.). Il C.C. prende quindi atto dell’esistenza di molteplici attività d’impresa svolte dagli enti non profit e consente di mutarne la veste giuridica, transitando verso forme legali più complesse e, sicuramente, più idonee alla tutela dei soci e dei terzi. Viene così superato il precedente divieto di trasformazione, basato sulla diversità formale della causa degli enti del libro I (non lucrativi) rispetto a quelli del libro V del C.C. (lucrativi). In particolare le associazioni, per accedere alla trasformazione in società, devono previamente ottenere il riconoscimento. L’art. 2500-octies pone però dei pesanti limiti all’associazione: • la delibera di trasformazione deve essere assunta con la maggioranza prevista dalla legge o dallo statuto per lo scioglimento anticipato (per legge almeno i tre quarti dei soci art. 21 C.C.); • non è ammessa la trasformazione per le associazioni che abbiano ricevuto contributi pubblici o liberalità o oblazioni dal pubblico (la dottrina ritiene che non debbano essere presenti in bilancio riserve costituite con tali fondi, come spesso avviene per le OdV). Una volta attuata la trasformazione in società “il capitale sociale … è diviso in parti uguali fra gli associati, salvo diverso accordo tra gli stessi.” (art. 2500-octies). Le associazioni possono trasformarsi in cooperative, in particolare sociali, mentre non è possibile il percorso inverso, se non per le cooperative a mutualità non prevalente e previa devoluzione del patrimonio ai Fondi Mutualistici.

1.3 Le norme applicabili Per definire il regime sostanziale applicabile ad una specifica associazione occorre considerare, oltre alle norme del C.C., una congerie di leggi civili, amministrative e (in parte) fiscali diversificate in funzione del settore di operatività, della zona geografica in cui ha sede, della possibilità di ottenere agevolazioni fiscali, ecc.. In linea generale si possono individuare tre classi di norme che definiscono i “regimi speciali” applicabili ai vari tipi di associazioni, incluse le Organizzazioni di Volontariato (-> OdV):

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Norme di legge nazionali • e/o regionali • • • •

Codice civile, leggi di settore nazionale (es: L. 266/91), concordato con enti religiosi, leggi di settore regionali, leggi fiscali generali (es. TUIR) e settoriali (es. D.LGS. 460/97);

Norme di autorità amministrative

• • • •

Decreti ministeriali, circolari e risoluzioni ministeriali, regolamenti emessi dalle Regioni, pareri della Agenzia per le ONLUS;

Norme aventi forza di contratto

Statuti e regolamenti delle singole associazioni e/o delle federazioni regionali o nazionali cui si aderisce

È importante avere chiaro questo schema perché le varie classi di norme hanno una forza diversa e decrescente: a) le norme di legge sono le principali e non possono essere derogate né dalle norme amministrative, né dalle norme private; b) le norme amministrative integrano e precisano le norme di legge (se in contrasto con queste possono essere disapplicate dal giudice) e non possono essere derogate dalle norme private; c) le norme private si possono muovere solo nell’ambito lasciato libero dalle due classi di norme precedenti. Va ricordato che in materia di associazionismo lo Stato emana “leggi quadro”, lasciando molto spazio alle varie leggi regionali (vedi le OdV, le APS, ecc.). Questo fatto comporta spesso l’insorgere di differenze di trattamento tra regione e regione per la stessa categoria di associazione.

È opportuno ricordare sempre che le associazioni devono essere prima definite e qualificate ai fini sostanziali dalle norme civilistiche, e dalle altre norme di natura sostanziale contenute nelle altre leggi. Altra questione, comunque importante, è quella di definire poi il regime fiscale dell’associazione e di tutte o parte delle sue attività.

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Purtroppo si confondono questi due piani di analisi, perché spesso le leggi fiscali sono “ibride” contenendo anche norme di tipo sostanziale. È diffusa la tendenza a dare troppa rilevanza alle norme fiscali, per definire che cosa sia una specifica associazione o che cosa essa possa o non possa fare: lampanti sono i casi delle OdV, della partecipazione ai pubblici appalti, ecc. (v. oltre).

Un altro aspetto importante dei regimi speciali è che tutte o molte delle norme di settore sono spesso (non sempre) applicabili, sia ai fini sostanziali che fiscali, solo previa iscrizione presso speciali registri o albi, tenuti dalle Regioni o da altri enti pubblici (es. CONI). Spesso questo fatto comporta differenze sensibili, sia ai fini dei rapporti con gli enti pubblici che ai fini fiscali. Ad esempio le OdV possono stipulare convenzioni solo se iscritte nell’apposito Registro e solo in questo caso possono godere delle agevolazioni fiscali previste per le ONLUS. Le associazioni sportive dilettantistiche godono delle convenzioni con gli enti pubblici e dei benefici fiscali solo se iscritte nel registro tenuto dal CONI.

1.4 Gli statuti delle associazioni L’associazione si costituisce con un contratto tra i soci fondatori, che per tradizione si compone di due parti: l’ATTO COSTITUTIVO (-> la manifestazione della volontà contrattuale degli aderenti) e lo STATUTO (-> l’insieme delle regole che disciplinano la vita del sodalizio). Per il codice civile tale contratto può essere anche solo verbale, cioè esistere solo di fatto e questo era molto diffuso nei decenni passati. Le varie leggi settoriali impongono sempre più spesso la costituzione per atto scritto e, in particolare, con uno dei seguenti modi: • con una scrittura privata registrata all’Agenzia delle Entrate; • con un atto notarile. Per chi vuole avviare la pratica del riconoscimento della personalità giuridica (v. oltre) è sempre necessario che lo statuto sia redatto per atto notarile; negli altri casi è sufficiente la scrittura privata registrata. Ogni statuto è bene che contenga:

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le clausole di base

previste dal Codice Civile

le clausole speciali

previste dalle norme settoriali per lo specifico tipo di ente (es. OdV, APS, sportivo dilettantistico, ONLUS, ecc.)

le clausole fiscali

(c.d. antielusive) previste dall’art. 148, comma 8, del T.U.I.R., utili per usufruire di varie agevolazioni fiscali (v. oltre).

Si raccomanda di prestare particolare attenzione in fase di redazione dello statuto, perché le successive modifiche (sempre possibili), vanno effettuate con delibera dell’assemblea straordinaria, che richiede spesso maggioranze molto elevate, oltre al costo della pratica (almeno per marche da bollo e per imposta di registro, tranne per le associazioni che godono di specifiche esenzioni come le OdV e le ONLUS). a) le clausole di base Le clausole di base previste dall’art. 16 del C.C. si dividono in obbligatorie e in facoltative e sono le seguenti: 1) obbligatorie

• • • • • • • •

denominazione lo scopo il patrimonio la sede norme sull’ordinamento interno norme sull’amministrazione i diritti e gli obblighi degli associati le condizioni per la loro ammissione

2) facoltative

norme relative all’estinzione dell’ente norme relative alla devoluzione del patrimonio residuo

b) le clausole speciali di settore Per ogni settore le leggi prevedono l’inserimento negli statuti di clausole speciali. Dall’elencazione che segue si può notare come que24


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ste varie leggi prevedano a volte clausole differenti, ma spesso anche molte clausole di uguale contenuto, magari espresse con termini più o meno articolati. Ciò deriva purtroppo dal mancato coordinamento dei vari testi di legge, emanati in tempi diversi con funzioni diverse. b.1 le OdV Le clausole speciali da inserire negli statuti delle OdV sono indicate nell’art.3 della L. 266/91 e sono confermate anche dalle varie leggi regionali: • assenza dello scopo di lucro • democraticità della struttura • elettività e gratuità delle cariche associative • gratuità delle prestazioni degli aderenti criteri di ammissione ed esclusione degli aderenti • obblighi e diritti degli aderenti • obbligo di formazione del bilancio • modalità di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea degli aderenti • in caso di scioglimento dell’associazione obbligo di devoluzione del patrimonio residuo ad altre OdV operanti in identico o analogo settore. b.2 le APS Le clausole speciali da inserire negli statuti delle APS sono simili a quelle del volontariato, anche se meno stringenti (art. 3 L. 383/2000): • sede legale • denominazione • oggetto sociale • l’attribuzione della rappresentanza legale dell’associazione • l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette; • l’obbligo di reinvestire l’eventuale avanzo di gestione a favore di attività istituzionali previste dallo statuto • le norme sull’ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche associative (con possibilità di deroghe) • i criteri per l’ammissione e l’esclusione degli associati ed i lori diritti e obblighi • l’obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approvazione degli stessi da parte degli organi statutari • le modalità di scioglimento dell’associazione • l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo in caso di scioglimento, cessazione o estinzione, dopo la liquidazione, a fini di utilità sociale.

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b.3 le onlus Per le ONLUS (tranne quelle di diritto come le OdV) gli statuti devono prevedere le seguenti clausole (art. 10 del D.LGS. 460/97): • settore di attività (che sia tra quelli ammessi per le ONLUS) • esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale • divieto di svolgere attività diverse salvo quelle connesse • divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione • obbligo di impiegare gli utili o avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle direttamente connesse • obbligo di devolvere il patrimonio, in caso di scioglimento per qualunque causa, ad altra ONLUS o ai fini di pubblica utilità • obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale • disciplina uniforme del rapporto associativo; esclusione dei soci temporanei; diritto di voto per i soci maggiorenni • uso nella denominazione della parola ONLUS (sia in forma di sigla che per esteso). b.4 le associazioni sportive dilettantistiche L’art. 90 della L. 289/2002, nel testo emerso dopo varie modifiche, prevede che le associazioni sportive dilettantistiche inseriscano nello statuto le seguenti clausole: • obbligo di inserire nella denominazione sociale la finalità sportiva e la dizione “dilettantistica”; • assenza di fini di lucro • rispetto del principio di democrazia interna • prevedere in statuto l’organizzazione di attività sportive dilettantistiche • divieto per gli amministratori di ricoprire cariche sociali in altre associazioni sportive nell’ambito della medesima disciplina • gratuità degli incarichi degli amministratori • devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento • obbligo di conformarsi alle norme e alle direttive del CONI nonchè agli statuti e regolamenti delle Federazioni Sportive Nazionali e dell’Ente di Promozione Sportiva cui ci si affilia. Inoltre le a.s.d., per potere godere delle agevolazioni fiscali, devono rispettare due requisiti ulteriori: • affiliazione al CONI, o alla Federazione sportiva di settore o ad un Ente di Promozione Sportiva • iscrizione nel Registro Nazionale delle a.s.d. tenuto dal CONI con procedura telematica.

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Ulteriori clausole statutarie di settore possono derivare anche dalle leggi regionali e dalle prassi operative adottate dai vari uffici preposti alla tenuta di Albi o Registri. Ad esempio in Emilia-Romagna per le APS, viene spesso richiesto di indicare, tra l’altro, anche il limite numerico alle deleghe, il fatto che il voto del Presidente non prevale in caso di parità, che le assemblee in seconda convocazione siano tenute in giorno diverso dalla prima seduta, regole analitiche per la sostituzione degli amministratori dimissionari, ecc..

c) clausole antielusive Ai fini fiscali le associazioni che vogliono godere del regime di irrilevanza fiscale delle prestazioni di servizi verso i soci (le c.d. “attività decommercializzate - v. oltre) devono inserire negli statuti le clausole antielusive previste dall’art. 148, 8° comma, del T.U.I.R. (quasi uguali a quelle viste sopra per le ONLUS, che hanno la stessa origine fiscale): • divieto di distribuire anche in modo indiretto utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge: • obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo sugli enti non profit; • disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli per gli associati o partecipanti maggiori di età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione • obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie • eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’art. 2532, 2° comma, del Codice Civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri ed idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti • intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa. 27


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Si ricorda che, per le OdV iscritte nel Registro, l’art. 9 della L. 266/91 prevede già l’applicazione del regime fiscale agevolato ex art. 148, 8° comma, del T.U.I.R., per cui si ritiene dalla maggior parte degli interpreti che le OdV non abbiano l’obbligo di inserire queste clausole nello statuto. In ogni caso si ritiene più prudente inserirle, anche perché specificano (e non sono in contrasto con) le clausole previste dalla L. 266/91 e potrebbero essere utili in un eventuale contenzioso con il fisco.

1.5 I regolamenti A fianco dello statuto le associazioni possono emanare dei regolamenti, che senza modificare lo statuto, disciplinano certi aspetti della vita sociale. Si ricorda che le modifiche dello statuto vanno approvate dall’assemblea straordinaria dei soci, con le maggioranze qualificate previste dallo statuto, mentre l’approvazione e le modifiche dei regolamenti in genere competono all’assemblea ordinaria. Lo statuto può prevedere che alcuni regolamenti siano deliberati dal Consiglio Direttivo, fissandone i limiti. Si possono fare alcuni esempi: • per le OdV la L. 266/91 prevede un regolamento per la disciplina generale dei rimborsi spese ai volontari; • nei circoli ricreativi esistono regolamenti per l’uso dei locali; • in generale si possono fare regolamenti per disciplinare le candidature alle cariche sociali ed i sistemi di votazione.

1.6 Organi dell’associazione L’associazione è dotata, in genere, dei seguenti organi sociali: • assemblea dei soci (obbligatorio); • consiglio direttivo (obbligatorio); • presidente (obbligatorio); • collegio sindacale (facoltativo). Lo statuto o un regolamento interno possono prevedere la presenza di altri organi, anche temporanei,, stabilendone le modalità di costituzione ed i poteri, soprattutto in relazione alla capacità di spendere il nome dell’associazione presso i terzi e di contrarre obbligazioni. Ad esempio: collegio dei probiviri per dirimere le controversie tra i soci, comitati scientifici per iniziative di studio o per pubblicazioni, comitati per la gestione del bar, comitati per le raccolte fondi, ecc.. 28


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Si danno brevi cenni sugli organi sociali più importanti. 1.6.1 L’assemblea dei soci L’assemblea dei soci si deve riunire almeno una volta all’anno per l’approvazione del bilancio d’esercizio, entro il termine previsto dallo statuto, in genere non oltre i 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio. È competente anche per il rinnovo delle cariche sociali e, in genere, è l’organo sovrano del sodalizio. Si ricorda che, per motivi fiscali (v.s. clausole antielusive), i soci hanno tutti gli stessi diritti, in quanto non sono più ammesse le discriminazioni usate in passato per istituire categorie di soci con minori diritti o addirittura soci temporanei. I soci temporanei erano stati “inventati” per usufruire del regime di irrilevanza fiscale per le attività di servizi a pagamento verso i soci (v. oltre) o per evitare l’acquisto sul mercato di costose licenze di esercizio. In genere si trattava di finte associazioni che gestivano ristoranti o sale da ballo, per cui all’ingresso del locale si diventava soci e all’uscita si era automaticamente decaduti da tale qualità. Per questo oggi gli statuti devono vietare espressamente questo sistema “a tempo”, prevedendo la permanenza dei soci nelle associazioni almeno per il corrente anno sociale.

Per entrare nell’associazione il singolo aspirante deve formulare un’apposita richiesta che, in genere, deve essere accettata dal Consiglio Direttivo. In sostanza nell’associazione si entra per consenso reciproco e non di diritto (c.d. contratto multilaterale aperto). L’adesione è valida per l’intero anno sociale e, in genere, si intende prorogata se non vengono comunicate le dimissioni. Se lo statuto lo prevede i soci possono essere dichiarati decaduti se non pagano le quote di adesione annuali entro il termine fissato dall’organo sociale competente (in genere il Consiglio Direttivo). Si ricorda che non è strettamente necessario prevedere il pagamento di una “tessera” annuale: essa tuttavia è utile proprio per “ripulire” il Libro Soci tramite la procedura della “decadenza”.

L’assemblea ordinaria, in genere, è competente anche per la delibera di esclusione dei soci che hanno creato gravi problemi al sodalizio. L’assemblea ordinaria dei soci come già detto è, in genere e salvo contraria previsione dello statuto, l’organo preposto all’approvazione dei regolamenti interni, predisposti dal Consiglio Direttivo.

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L’assemblea straordinaria è competente, in genere, per le modificazioni dello statuto e per deliberare lo scioglimento dell’associazione. Per le assemblee ordinarie e straordinarie possono essere previste maggioranze diverse, sia per la legale costituzione (c.d. “quorum costitutivo”) che per l’approvazione delle deliberazioni (c.d. “quorum deliberativo”). In particolare per la delibera dell’assemblea straordinaria relativa allo scioglimento e alla destinazione del patrimonio residuo l’art. 21, 3° comma, del C.C. richiede obbligatoriamente il consenso di almeno i tre quarti dei soci. Per le associazioni più grandi, con soci dispersi su un territorio molto vasto, lo statuto può prevedere che l’assemblea si tenga in più luoghi tramite sistemi di videoconferenza. In questo caso si applicheranno, per analogia, le regole previste per le s.p.a. (art. 2370 C.C.). Si ricorda che il fisco, con atteggiamento eccessivamente restrittivo, non ritiene applicabile alle associazioni che vogliono usufruire del regime delle attività “decommercializzate” il sistema del voto per corrispondenza.

1.6.2 Il Consiglio Direttivo Il Consiglio Direttivo è l’organo che ha il compito di gestire l’associazione, prendendo tutte le decisioni che per statuto non siano riservate all’assemblea dei soci. Il Consiglio si riunirà con adeguata frequenza per deliberare le attività da svolgere, le spese da affrontare, le quote sociali da applicare, ecc.. Il Consiglio è composto da soci, nominati per la prima volta nell’atto costitutivo e poi eletti dall’assemblea ordinaria dei soci. Lo statuto deve prevedere la durata del mandato e se i singoli consiglieri possono essere rieletti senza vincoli. Essi possono dare le dimissioni in ogni momento. Nel caso mancassero più della metà dei consiglieri si ritiene che debba essere convocata un’assemblea ordinaria dei soci per la nomina di un nuovo (intero) Consiglio. Nell’altro caso il Consiglio coopterà dei nuovi membri, in genere scegliendo i primi dei non eletti, salvo contraria disposizione dello statuto. In alcuni tipi di associazioni, per legge o per statuto, alcuni consiglieri sono nominati da enti esterni (es. Vescovo o ente pubblico di tutela); talune leggi di settore vietano (es. per le OdV) o limitano questa prassi (es. per le APS). È ammesso che le associazioni possano essere amministrate anche da una sola persona (amministratore unico).

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Gli amministratori hanno una responsabilità interna ed esterna. Sotto il primo profilo sono “responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato” (art. 18 C.C.), per cui devono operare con “la diligenza del buon padre di famiglia” (art. 1710 C.C.). Per le OdV, ove le cariche sono ricoperte a titolo gratuito per legge, vale l’attenuante che “la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore” (art. 1710 C.C.). In ogni caso resta immune da responsabilità l’amministratore assente o dissenziente: “è però esente da responsabilità quello degli amministratori il quale non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constatare del proprio dissenso” (art. 18 C.C.). Questa responsabilità verso l’associazione può comportare la richiesta di risarcimento del danno patito: “le azioni di responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti sono deliberate dall’assemblea e sono esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori” (art. 22 C.C.). L’azione si prescrive dopo 5 anni. Si possono porre vari casi sia semplici che complessi: si pensi al caso di beni patrimoniali dell’OdV (ambulanze o immobili) che vadano distrutti per un incendio o che siano rubati e che non siano stati adeguatamente coperti da idonea assicurazione, oppure al caso di danni patiti da stabili condotti in comodato o locazione e non coperti da adeguata assicurazione (c.d. rischio locativo), dalla perdita di agevolazioni fiscali per la cancellazione dal registro del volontariato nonostante le diffide emesse dai competenti uffici, dalle sanzioni amministrative per il mancato rispetto di adempimenti vari (es. fiscali, previdenziali, ecc.).

Per le associazioni non riconosciute (che sono la stragrande maggioranza), oltre a questa responsabilità interna, si aggiunge la responsabilità esterna per i debiti sociali. L’art. 38 del C.C. prevede che per le “obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono fare valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”. In sostanza chi contratta con i terzi diventa un fideiussore “ex lege”. La giurisprudenza ha esteso questa responsabilità non solo a chi ha materialmente stipulato un contratto (generalmente il Presidente), ma anche ai membri del Consiglio Direttivo che hanno approvato la relativa delibera. Per le sole APS iscritte nei relativi registri, l’art. 6 della L. 383/2000 prevede

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che questa responsabilità personale non sia diretta, ma sussidiaria, cioè previa escussione del patrimonio sociale. Le associazioni più grandi possono prevedere nello statuto che il Consiglio Direttivo, composto da numerosi membri, deleghi parte delle proprie competenze ad un più ristretto Comitato Esecutivo. In questo caso si applicheranno, per analogia, le regole previste per le s.p.a. (art. 2381 C.C.). Come per le assemblee dei soci, lo statuto potrebbe prevedere che anche il Consiglio Direttivo possa tenere le riunioni in più luoghi collegati in videoconferenza, rinviando alle regole previste per le s.p.a..

1.6.3 Il Presidente Il Presidente può essere eletto direttamente dall’assemblea dei soci, separatamente rispetto al Consiglio Direttivo, oppure può essere scelto dal Consiglio Direttivo al proprio interno, secondo le previsioni dello statuto. Il Presidente è il legale rappresentante dell’associazione e ne coordina l’attività. In tale veste firmerà contratti e convenzioni e assumerà gli impegni a nome del sodalizio. Si ricorda che, come visto sopra, il Presidente, in prima battuta, assieme ai membri del Consiglio Direttivo, è il garante ex lege di tutti i debiti dell’associazione non riconosciuta (con la moderazione prevista per le APS). Un particolare tipo di responsabilità del Presidente è quella prevista dal D.LGS. 18/12/1997 n. 472 per le sanzioni tributarie. Per le associazioni non riconosciute vige il criterio della personalizzazione della sanzione tributaria, riferita al soggetto che ha commesso o concorso a commettere la violazione. Se la violazione è commessa senza dolo o colpa grave la sanzione addebitabile al Presidente non potrà superare l’importo massimo di € 51.645,69=. In sostanza il fisco può richiedere il pagamento della sanzione al Presidente e anche all’associazione, con diritto di questa di rivalersi sul Presidente. Nello stesso caso (assenza di dolo o di colpa grave) l’assemblea dei soci con apposita delibera può liberare il Presidente da tale responsabilità nei propri confronti, assumendosi l’intero onere della sanzione. Il testo da inserire nella delibera è il seguente: “L’assemblea, con riferimento all’art. 11, 6° comma, del D. Lgs. 472/1997, delibera che l’associazione si assuma nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria il debito per sanzioni conseguente a violazioni commesse da rappresentanti dell’associazione stessa nello svolgimento delle proprie funzioni e poteri. Tale assunzione vale nei casi in cui il rappresentante abbia commesso la violazione senza dolo o colpa grave.”.

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Si ricorda anche la responsabilità dell’associazione per le sanzioni amministrative che derivano dai reati commessi dai propri rappresentanti in base al D. Lgs. 8/6/2001 n. 231. Si tratta di una responsabilità che, pur derivando dai reati commessi da specifiche persone, risalta autonomamente ai fini sanzionatori. Si deve trattare di reati particolarmente “pesanti” (v. artt. 24, 25, 25bis, 25ter del decreto) quali la truffa e frode ai danni della pubblica amministrazione, l’indebita percezione di contributi, la corruzione e concussione, la falsità in monete e carte di credito, taluni reati tipici delle società di capitali. I reati devono essere commessi: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente (v. art. 5), anche in via di mero fatto senza nomine ufficiali; b) nell’interesse dell’associazione (in caso di reati commessi per interesse esclusivo della persona o di terzi l’associazione non ne risponde). Le sanzioni (v. art. 9) possono consistere in una o più delle seguenti ipotesi: a) sanzione pecuniaria (determinata dal giudice) b) sanzione interdittiva (es. revoca di autorizzazioni, divieto di contrarre con la pubblica amministrazione, esclusione da eventuali contributi, ecc.) c) confisca (del bene o della somma conseguita in seguito al reato) d) pubblicazione della sentenza. Le associazioni possono ridurre o azzerare questo tipo di responsabilità se adottano “modelli di gestione” adatti a prevenire la commissione dei reati sopra detti (v. art. 6). Si tratta, in sostanza, di un manuale che deve prevedere procedure di elaborazione e controllo di quelle decisioni che possono potenzialmente dare luogo a reati. Esso inoltre deve prevedere la costituzione di un organismo di vigilanza che effettivamente verifichi l’applicazione del modello di gestione. La questione è complessa e rileva soprattutto per le grandi associazioni. Questa legge può rivelarsi insidiosa per le OdV che, in genere, stipulano numerose convenzioni con gli enti locali assumendo impegni precisi a fronte dell’erogazione di contributi. Non rispettando le convenzioni potrebbero, anche non volendo, incappare in qualche ipotesi di reato con le conseguenti sanzioni amministrative.

1.6.4 Il Collegio Sindacale Il Collegio Sindacale è un organo di controllo, la cui composizione, durata e compiti devono essere stabiliti dallo statuto. A somiglianza di quanto avviene nelle società commerciali questo organo deve, in linea di massima: • controllare la regolare tenuta della contabilità; • verificare la corrispondenza del bilancio alle scritture contabili;

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

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controllare il movimento del denaro (cassa e c/c); vigilare sul mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale; controllare che il Consiglio Direttivo operi nel rispetto della legge e dello statuto. Si segnala che i sindaci revisori sono responsabili verso i soci al pari degli amministratori per gli eventuali danni patiti dall’ente per loro incuria. I sindaci revisori, a differenza degli amministratori, possono essere scelti anche fra i non soci, salvo specifici obblighi previsti dalle leggi settoriali o dai singoli statuti. Per le OdV la Regione Emilia-Romagna consente che le “i componenti di organi di controllo (revisori) e di organi arbitrali (probiviri) vengano nominati dalla base associative tra persone non aderenti all’organizzazione, a garanzia di professionalità e imparzialità” (v. Delibera G.R. 7/10/96 n. 2436). Allo stesso modo nessun limite è previsto dalla Regione Sardegna, per cui le OdV possono scegliere i componenti del Collegio Sindacale tra persone estranee all’associazione, sempre al fine di garantire la professionalità e l’imparzialità degli stessi nei confronti dell’associazione.

Attualmente nessuna norma, né generale né speciale, obbliga a scegliere i sindaci tra i professionisti contabili. Ricordiamo però che l’art. 25, 5° comma, del D.LGS. 460/97 ha previsto l’obbligo per le ONLUS (comprese le OdV che sono ONLUS di diritto) di allegare al bilancio “una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori contabili iscritti nel registro dei revisori contabili”, nel caso i proventi superino per due anni consecutivi l’ammontare di € 1.032.913,80= (limite soggetto ad aggiornamento in base agli indici ISTAT). L’obbligo decorre già dal secondo anno, come precisato dal fisco. Va anche ricordato che nessuna norma ha ancora definito il contenuto di tale relazione di controllo, per cui, in attesa di chiarimenti da parte dell’Agenzia per le ONLUS, occorre fare riferimento, per quanto possibile, alla prassi invalsa nelle società commerciali. 1.7 Il riconoscimento L’associazione può chiedere il riconoscimento della personalità giuridica alle autorità preposte in funzione del settore di intervento (in base alla ripartizione di competenze legislative previste dalla Costituzione) e dell’ambito territoriale di operatività (in una sola Regione o in più Regioni):

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

• •

Stato (tramite la Prefettura); Regione. Si segnala che, in generale, le OdV e le altre associazioni devono rivolgersi alla propria Regione.

La richiesta va inoltrata con i seguenti documenti (in ogni caso è opportuno informarsi presso i singoli uffici addetti): 1) domanda su apposito modulo (in bollo da € 14,62= fatte salve le esenzioni di legge per le ONLUS e per le OdV); 2) due copie, di cui una autentica, dell’atto costitutivo e dello Statuto, redatti per atto pubblico (-> notaio); 3) una relazione illustrativa sull’attività svolta e/o su quella che si intenderà svolgere, debitamente sottoscritta dal legale rappresentante dell’Ente; 4) una relazione sulla situazione economico-finanziaria dell’ente, sottoscritta dal legale rappresentante, corredata da una perizia giurata di parte qualora l’ente sia in possesso di beni immobili, nonché da una certificazione bancaria comprovante l’esistenza, in capo all’ente stesso, di un patrimonio mobiliare (titoli, depositi c/c, quote di fondi comuni, ecc.); 5) copia dei bilanci preventivi e dei bilanci consuntivi approvati nell’ultimo triennio o nel periodo intercorrente tra la costituzione e la richiesta di riconoscimento; 6) elenco dei componenti gli organi direttivi dell’ente ed indicazione del numero dei soci (nel caso si tratti di associazione), sottoscritto dal legale rappresentante. Per le associazioni già esistenti con statuto redatto per scrittura privata registrata, occorre convocare un’assemblea straordinaria per l’adozione del nuovo testo di statuto, con atto redatto dal notaio.

La concessione del riconoscimento è subordinata al possesso di un patrimonio, mobiliare o immobiliare. L’importo del patrimonio è indicato dall’autorità di vigilanza, senza vincoli alla propria discrezionalità. Il patrimonio (es. titoli o un fabbricato) deve essere mantenuto nel bilancio dell’associazione e non può essere alienato senza il permesso dell’autorità di vigilanza.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Ad esempio la regione Emilia-Romagna chiede in genere, salvo approfondimenti sui singoli casi in funzione degli scopi statutari, un patrimonio di € 5.164,00= per le associazioni e di € 15.494,00= per le fondazioni. Occorre prestare attenzione a non indicare l’intenzione di svolgere attività eccessive rispetto ai mezzi disponibili, in quanto l’autorità di vigilanza potrebbe richiedere un capitale molto elevato.

Una volta ottenuto il riconoscimento l’ente viene iscritto nel registro delle persone giuridiche, tenuto presso le Prefetture o presso le Regioni, secondo l’autorità competente. Il riconoscimento: • concede il beneficio della responsabilità limitata per le obbligazioni assunte (in sostanza cessa la responsabilità diretta del Presidente e dei soci che hanno contrattato con i terzi); • sottopone a vincoli specifici verso l’autorità competente (autorizzazione per le modifiche statutarie, incluso il trasferimento della sede legale, comunicazione delle variazioni delle cariche sociali); • ha vari riflessi di tipo fiscale (aggiuntivi e) autonomi da altri requisiti: a) art. 100 T.U.I.R. che consente alle imprese di dedurre dal reddito imponibile alcuni tipi di liberalità; b) riduzione a metà dell’IRES per alcuni tipi di associazioni (ex art. 6 D.P.R. 601/73 ecc.) c) assenza di responsabilità del Presidente per le sanzioni fiscali (v. sopra). Queste sono le vere differenze tra associazione riconosciuta o no, in quanto con le varie leggi di snellimento burocratico (v. da ultimo la L. 22/6/2000 N. 192) sono cadute le ulteriori precedenti differenze in merito all’accettazione di eredità e donazioni o all’intestazione di beni immobili. Risultano così superate di fatto le norme ad hoc previste per le OdV dall’art. 5, 2° comma, della L. 266/91 e anche quelle contenute nella L. 383/2000 per le APS.

Si ricorda che l’iscrizione nel Registro del Volontariato o nel Registro delle APS non attribuisce alle singole associazioni il riconoscimento, anche se la pratica è di competenza della Regione: occorre comunque esperire una seconda e diversa procedura amministrativa.

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

1.8 Le prestazioni di lavoro nelle associazioni Per lo svolgimento delle sue attività l’associazione può avvalersi sia delle prestazioni gratuite dei soci che di prestazioni retribuite, nei limiti eventualmente previsti dalle leggi di settore. Per le OdV e per le APS le prestazioni gratuite dei soci devono, ad esempio, essere prevalenti. Per le associazioni diverse da quelle di volontariato si consiglia di inserire sempre nello statuto la clausola che le prestazioni dei soci si intendono sempre rese a titolo gratuito, salvo diverso accordo scritto.

Le prestazioni retribuite possono derivare dalla copertura di cariche sociali, previa delibera degli organi competenti per statuto, salvo che la legge (es. per le OdV), lo statuto o la prassi dei singoli Registri non preveda la loro necessaria gratuità. Per le ONLUS “ordinarie” il D. Lgs. 460/97, prevede espressamente la possibilità di tale remunerazione, ponendovi solo limiti di importo (v. oltre). Oppure possono derivare dagli ordinari contratti (lavoro subordinato, para subordinato, autonomo), che possono essere anche stipulati con i soci, salvi eventuali divieti di legge (ad es. per le OdV) o di statuto. Nel caso l’ente stipuli un contratto di lavoro con un consigliere o con un suo familiare, questi dovrà astenersi dal voto nella relativa delibera, per l’evidente conflitto di interessi con il sodalizio.

Tutte le associazioni prevedono in generale il rimborso delle spese vive documentate sostenute dai consiglieri o dai soci per l’esecuzione di incarichi associativi (partecipazione a riunioni, ecc.). L’argomento delle prestazioni di lavoro e dei rimborsi è approfondito nei capitoli successivi. 1.9 L’Agenzia per le ONLUS L’art. 3, comma 190, della L. 23/12/96 n.. 662 ha previsto la costituzione di uno specifico organismo di controllo dei soggetti del “terzo settore”. Si tratta di un organismo con funzioni principalmente fiscali, che tuttavia può estendere le sue competenze anche su altri aspetti.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Gli enti sottoposti al controllo dell’authority sono: A) tutti gli enti non commerciali in genere; B) tutte le ONLUS: normali, di diritto (quindi anche le OdV), parziarie (APS ed enti ecclesiastici). I compiti di questo ente sono i seguenti: • garantire l’uniforme applicazione delle norme sui requisiti soggettivi e sull’ambito di operatività rilevante per gli e.n.c. e per le ONLUS; • compiti di indirizzo, promozione e di ispezione per la corretta osservanza delle norme; • compito di prevenire e di reprimere gli abusi per le raccolte di fondi con uso dei mass-media; • presentare al Parlamento una relazione annuale sul “terzo settore”. I poteri di tale ente sono: • l’emissione di pareri (obbligatori ma non vincolanti, salvo nel caso di cui sotto); • formulazione di proposte di modifica delle norme vigenti; • attività di ispezione e controllo; • segnalazione agli uffici fiscali di inadempienze per l’irrogazione delle sanzioni previste per le ONLUS dall’art. 28 del D.LGS. 460/97. L’Agenzia deve ancora chiarire i rapporti con gli altri organi di controllo previsti da altre leggi di settore, di cui si portano alcuni esempi non esaustivi della complessa materia. TIPO DI ENTE

ENTE DI CONTROLLO

OdV e APS

• •

Regione Enti di promozione nazionali

Cooperative (ordinarie e sociali)

• • •

Enti di rappresentanza Regioni Ministero del Lavoro

O.n.g.

Ministero Affari Esteri

Ass. sportive dilettantistiche

• • •

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CONI Federazioni di Settore Enti di promozione sportiva


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Tale Agenzia ha una natura non chiara: • non ha i poteri di una vera e propria Authority di settore (tipo Banca d’Italia o Antitrust); • non può applicare direttamente sanzioni; • i suoi pareri non hanno l’efficacia dell’interpello rivolto all’Agenzia delle Entrate. Sicuramente si tratta di un’istituzione che deve crescere e guadagnarsi sul campo (anche legislativo) un proprio autonomo ruolo e peso. L’unico caso in cui l’Agenzia delle ONLUS deve dare un parere obbligatorio e vincolante è quello della devoluzione del patrimonio in sede di scioglimento di due tipi di enti: – le ONLUS “ordinarie”; – gli enti non commerciali che applicano il regime agevolato ex art. 148, 3° comma, TUIR (c.d. attività “decommercializzate”). Tale ruolo è stato rafforzato dal recente protocollo di intesa siglato tra Agenzia per le ONLUS e Agenzia delle Entrate: se nel patrimonio da devolvere vi sono anche crediti fiscali il soggetto donante deve mostrare tale parere all’Agenzia delle Entrate, altrimenti il credito fiscale non verrà rimborsato al beneficiario designato. Per maggiori informazioni si può visitare il sito: www.agenziaperleonlus.it .

1.10 La riforma del C.C. È opinione diffusa che occorra porre mano alla riforma della disciplina civilistica degli enti non profit, di cui al Libro I del C.C.. Nel maggio 2007 il Governo ha presentato un disegno di legge di riforma (progetto “Pinza”), i cui tratti salienti sono i seguenti: • mantenimento dei tre tipi di enti già noti: comitati, associazioni e fondazioni; • mantenimento della distinzione tra enti aventi e non aventi personalità giuridica; • acquisto della personalità giuridica tramite il notaio e l’iscrizione nel Registro delle Persone Giuridiche, senza alcun controllo da parte di uffici pubblici (Prefettura o Regione); • mantenimento della responsabilità limitata, per gli enti riconosciuti, vincolandola però ad un rapporto tra fondi propri e indebitamento complessivo;

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• • •

• • • •

possibilità di derogare al principio del voto “per teste”; riconoscimento esplicito della capacità ad esercitare attività d’impresa, con l’applicazione dei tipici reati societari e fallimentari; previsione di organi di controllo interni, in funzione della dimensione, dell’eventuale esercizio di attività d’impresa, della raccolta di fondi presso il pubblico; obbligo di redazione del bilancio e, per gli enti riconosciuti, deposito dello stesso presso il Registro delle Persone Giuridiche; obbligo, per taluni enti, di redigere il “bilancio sociale di missione”; possibilità di emettere “titoli di debito” come per le s.r.l.; disciplina speciale per i beni ricevuti con uno specifico onere di destinazione.

Anche in questo progetto si notano dei punti critici: • manca una disciplina organica dei rapporti tra soggetti profit e non profit (molto sentita in materia di ONLUS, date le rigide posizioni del fisco); • manca ogni raccordo con la disciplina dell’impresa sociale; • manca una disciplina dei gruppi, reti, federazioni di enti non profit. È auspicabile che il progetto possa trovare miglioramenti nel corso della discussione, sia in Parlamento che nella società civile. Particolarmente delicato si presenta l’idea di attenuare il regime di “democraticità” delle associazioni, dando la facoltà di prevedere negli statuti pesi diversi per il voto dei soci in base a criteri ancora da identificare (ammontare conferimenti, soci fondatori, ecc.?).

1.11 I regimi speciali: a) le associazioni di volontariato 1.11.1 I caratteri di fondo delle OdV Le OdV, disciplinate dalla L. 266/91, hanno due caratteri di fondo, che le dovrebbero distinguere da tutte le altre categorie di associazioni: a) lo scopo di solidarietà sociale; b) il lavoro gratuito dei volontari. Lo scopo di solidarietà sociale implica che l’attività del sodalizio sia principalmente rivolta all’esterno e non solo ai propri soci: ciò è previsto dall’art. 2 della L. 266/91 e viene ripetuto dalle varie leggi regionali.

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

In tal senso si veda quanto previsto dalla regione Emilia-Romagna, che iscrive nel registro solo le OdV che “operino direttamente per scopi solidaristici … e quindi esclusivamente o prevalentemente a favore di persone terze rispetto all’organizzazione e attraverso attività volte a prevenire o rimuovere situazioni di emarginazione e di bisogno socio-economico o culturale, o comunque a tutelare diritti primari.” (Deliberazione G.R. 7/10/96 n. 2436 par. 1). La Regione Sardegna ha previsto che possono iscriversi al Registro Regionale le OdV in possesso dei requisiti previsti dall’art. 3 della L. 266/91, la cui attività sia finalizzata o alla cura di interessi individuali di cui siano titolari in misura prevalente soggetti terzi rispetto agli associati o alla cura di interessi collettivi meritevoli di tutela. Si tratta quindi di attività che non solo devono essere rivolte a qualsiasi soggetto (socio o non socio), ma che devono rivolgersi prevalentemente a soggetti svantaggiati, intendendo per tali le persone che si trovano in una condizioni di inferiorità per motivi fisici, psichici, economici, sociali o familiari.

La L. 266/91 non pone limiti ai tipi di attività che possono essere svolte da una OdV: in pratica sono le singole Regioni che, per legge o per prassi, definiscono i settori di intervento delle OdV. Il 53% delle OdV si concentra nei settori socio assistenziali e sanitario, pur non mancando altri rilevanti casi (protezione civile, ambiente, cultura)(FIVOL 2006). La discrezionalità delle Regioni comporta che tra di esse vi possano essere divergenze nel considerare talune attività come tipiche delle OdV.Si noti la differenza con il regime ONLUS ove i settori di attività sono previsti direttamente dalla legge.

Il lavoro gratuito dei volontari è previsto dall’art. 3 della L. 266/91: le OdV sono quelle che operano avvalendosi “in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti”. Ai soci possono solo essere rimborsate le spese vive sostenute per l’attività sociale, con particolari criteri e limiti (v. oltre). Ciò non toglie che le OdV possano operare anche con l’apporto di lavoratori remunerati (dipendenti o autonomi), purchè “nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta.” (art. 3 L. 266/91). È importante notare che, in base alla L. 266/91, sono le persone dei volontari che operano gratuitamente, mentre l’OdV può operare nei confronti dei terzi anche dietro corrispettivo.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Ad esempio la regione Emilia-Romagna precisa che possono accedere al registro solo le OdV “in cui le prestazioni dei volontari sono preminenti sia sotto il profilo qualitativo (con riferimento alla natura delle mansioni svolte) che quantitativo (con riferimento al numero dei volontari ed al tempo impiegato) rispetto ad eventuali prestazioni retribuite.” (Deliberazione G.R. 7/10/96 n. 2436 par. 1). Questo aspetto è molto importante specie in presenza di convenzioni con enti pubblici, che derogano alle norme sui contratti pubblici proprio per la natura di “volontariato” delle OdV. Si noti che per le ONLUS non vige il vincolo della prevalenza del lavoro degli associati e della sua necessaria gratuità.

Dalla 4a rilevazione FIVOL (2006) emergono i mutamenti strutturali delle OdV, sia positivi che critici. Tra i primi si registrano: – un costante aumento del numero delle OdV; – una diffusione territoriale sempre più equilibrata; – una crescente espressione della cittadinanza attiva (OdV costituite da gruppi di cittadini al di fuori delle centrali nazionali); – aumento delle OdV nei settori extra assistenziali e sanitari. Tra i secondi si registrano: – crescita degli organismi di tipo mutualistico che operano sia per gli aderenti che per i non aderenti (57%); – costante aumento della presenza di operatori remunerati (presenti nel 26% delle OdV), costante aumento dei casi di mancanza di gratuità dei soci (6,8% delle OdV) per via dell’erogazione di rimborsi forfetari, crescita dei casi in cui manca la presenza determinante e prevalente dei volontari (9,3% delle OdV); – diminuzione del numero medio dei soci (il 53% delle OdV sono sotto i 20 soci). Molti dei punti critici sopra indicati derivano dal legame tra le OdV e gli enti pubblici, specie nei casi di convenzioni per la gestione di servizi che richiedono continuità temporale e sempre maggiori doti di professionalità. Di questi aspetti si sono fatti carico i testi delle varie proposte di riforma della L. 266/91 da tempo giacenti al Parlamento, ma che ancora non hanno dato alcun risultato. 1.11.2 Gli statuti delle OdV La L. 266/91 prevede il contenuto dello statuto dell’OdV prevedendo clausole specifiche (v. sopra). 42


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Dal 29/11/2008, in base all’art. 30 del D.L. 185/2008, le OdV possono essere considerate ONLUS di diritto nel solo caso che non esercitino attività commerciali diverse da quelle “marginali” ex D.M. 25/5/95. In tal caso le OdV sono considerate ONLUS di diritto “nel rispetto della loro struttura e delle loro finalità” e, per esse, “sono fatte salve le previsioni di maggior favore” contenute nelle specifiche leggi di settore (art. 10, 8° comma, D. LGS. 460/97). Alle OdV che svolgono anche attività commerciali “ultramarginali” è negata la qualifica di ONLUS di diritto, per cui occorre seguire, se reputata opportuna, l’ordinaria trafila per l’iscrizione all’Anagrafe delle ONLUS. In questo caso occorrerà integrare lo statuto con le clausole specifiche previste dall’art. 10 del D. Lgs. 460/97. Sono ancora considerate ONLUS di diritto le o.n.g. riconosciute dal Ministero degli Affari Esteri e le coop. sociali iscritte nell’Albo Ministeriale (e loro consorzi formati al 100% di coop. sociali).

Le differenze (statuti e attività) tra le OdV e ONLUS ordinarie sono a volte puramente lessicali e a volte di grande rilievo, come risulta dal seguente schema (per gli aspetti fiscali v. oltre): a) caratteri generali OdV

onlus

Assenza di fini di lucro

Divieto di distribuire utili anche in modo indiretto, durante la vita dell’ente

Perseguimento di finalità di solidarietà sociale

Esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale

In caso di scioglimento devoluzione dei beni ad altra OdV operante in identico o analogo settore, senza obbligo del parere dell’Agenzia per le ONLUS

In caso di scioglimento obbligo di devoluzione ad altra ONLUS o a fini di pubblica utilità, previo parere obbligatorio dell’Agenzia per le ONLUS

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Democraticità della struttura Elettività delle cariche sociali

Disciplina uniforme del rapporto associativo volto a garantire l’effettività del rapporto

Criteri di ammissione e esclusione dei soci Obblighi e diritti dei soci

Diritto di voto dei soci per statuto, regolamenti, nomine cariche sociali

Gratuità cariche sociali

Possibilità di remunerare le cariche sociali con limiti di importo (max € 61.974,82 cadauno)

Gratuità delle prestazioni dei soci

Possibilità di remunerare anche i soci con i contratti ordinari

Obbligo del bilancio e modalità di approvazione del bilancio

Obbligo di redigere il bilancio annuale

Obbligo di iscrizione nel Registro Regionale Volontariato

Obbligo di iscrizione nel registro delle ONLUS tenuto dalla D.R.E.

Soggetto a vigilanza della Regione

Soggetto a vigilanza della D.R.E.

Facoltà di usare la dicitura ONLUS

Obbligo di usare la dicitura ONLUS

b) settori di intervento (si fa riferimento alla abrogata legge sul volontariato della Regione Emilia-Romagna, che servì da esempio per il D. Lgs. 460/97. Per la Sardegna si fa riferimento ai settori e alle sezioni previste dalla L.R. n. 39/1993)

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OdV

onlus

Socio-assistenziale

Assistenza sociale

Sanitario

Assistenza socio-sanitaria Assistenza sanitaria (solo per soggetti svantaggiati)

Tutela e promozione dei diritti

Tutela dei diritti civili


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale

Tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente

Attività educative

Istruzione e formazione (solo per soggetti svantaggiati)

Attività culturali e di tutela e valorizzazione dei beni culturali

Tutela promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico e archivi Promozione della cultura e dell’arte (solo in presenza di contributi statali o solo se rivolta a soggetti svantaggiati)

Educazione alla pratica sportiva e attività ricreative

Sport dilettantistico (solo per soggetti svantaggiati)

Protezione civile

No

No

Beneficenza

No

Ricerca scientifica

1.11.3 Il Registro del Volontariato Lo status pieno di OdV si acquista con l’iscrizione nel Registro del Volontariato (art. 6 L. 266/91), che avviene previa istruttoria effettuata dalla Regione (o dalla Provincia se delegata). È noto che vi sono molte OdV non iscritte, alle quali non si applicano tutte le agevolazioni amministrative e fiscali previste dalle varie leggi, espressamente riservate solo a quelle iscritte.

Con l’iscrizione nel Registro l’OdV ottiene una serie di benefici: Fiscali

• •

Agevolazioni L. 266/91 Agevolazioni ONLUS di diritto (*)

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Amministrativi

• • • •

Diritto di accesso ai documenti amministrativi Possibilità dell’uso gratuito delle strutture pubbliche, Possibilità di stipulare convenzioni con enti pubblici, Partecipazione alla progettazione sociale degli enti locali

Finanziari

Partecipazione a bandi di finanziamento dedicati

(*) Dal 29/11/2008, in base all’art. 30 del D.L. 185/2008, tale qualifica è concessa solo in assenza di attività commerciali diverse da quelle “marginali” ex D.M. 25/5/95.

Le singole Regioni, in genere, prevedono che l’iscrizione nel Registro delle OdV sia incompatibile con quella nel Registro delle APS. La stessa autorità deve procedere ai controlli periodici, in vista del mantenimento dell’iscrizione o della cancellazione dal Registro. La Regione (o la Provincia se delegata) può in ogni momento revocare l’iscrizione, in via di auto-tutela amministrativa, se riscontra che i documenti presentati non corrispondono al vero. Tale revoca può inoltre avvenire se, nel tempo, la Regione (o la Provincia) muta parere sulla qualificazione come “volontariato” di certe attività svolte dalla singola associazione (emblematico è il caso del commercio equo e solidale). In questo secondo caso, più delicato, la singola associazione, che ha operato in buona fede, potrebbe patire danni patrimoniali dalla sopravvenuta cancellazione dal Registro e potrebbe anche agire in giudizio contro l’ente pubblico per chiedere un risarcimento.

L’iscrizione al Registro è importante in quanto la Regione (o la Provincia) certifica che le attività svolte dalla singola associazione costituiscono “attività di volontariato” (o di promozione sociale) ai sensi delle vigenti leggi. Tale accertamento amministrativo fa stato anche nei confronti del fisco, che non può, direttamente, contestare questo status alla singola associazione. Si ripete qui lo schema tipico delle cooperative, che possono godere delle agevolazioni fiscali solo se iscritte nel Registro delle Cooperative a Mutualità Prevalente o delle o.n.g. che devono essere riconosciute dal M.A.E.. Si ricorda come, nell’impianto originale del D.LGS. 460/97, per le ONLUS ORDINARIE fosse del tutto assente questa fase di previo accertamento amministrativo, inserito solo dal 2003 con un apposito D.M.. 46


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Sia il diniego di iscrizione che la cancellazione, in quanto atti amministrativi, possono essere impugnati avanti al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.). L’uscita dal Registro, sia volontaria che per il provvedimento di cancellazione, comporta la perdita delle agevolazioni fiscali specifiche delle OdV, nonché di quelle discendenti dal regime di ONLUS di diritto, se applicabile in base al criterio previsto dall’art. 30 del D.L. 185/2008. Nulla osta che, in presenza dei requisiti previsti dal D.LGS. 460/97, l’ex OdV si iscriva come ONLUS direttamente presso la D.R.E.. La questione più delicata è che per le ONLUS ordinarie il fisco (C.M. 168/98) ritiene che, in caso di uscita dall’Anagrafe delle ONLUS, si debba procedere alla devoluzione del patrimonio: tale regola si applica anche alle OdV? Per le OdV si tratta di una questione delicata, in quanto la cancellazione dal Registro potrebbe comunque lasciare in essere la qualifica di associazione di volontariato non iscritta, prevista dalla L. 266/91. La L. 266/91 prevede la devoluzione del patrimonio solo in caso di scioglimento dell’associazione e non di mera cancellazione dal Registro, senza distinguere tra OdV iscritta e non iscritta. Se consideriamo il principio per cui le norme della L. 266/91 sono speciali e prevalenti sulle norme delle ONLUS, ne dovrebbe discendere che, fino a quando esiste il carattere di associazione di volontariato non iscritta, non dovrebbe trovare applicazione l’obbligo di devoluzione del patrimonio tipico delle ONLUS. Tuttavia la norma non è chiara, per cui si consiglia di procedere con estrema prudenza, eventualmente chiedendo un parere alla Regione o all’Agenzia per le ONLUS. Il problema si ripropone anche per l’uscita da Albi o Registri di altri tipi di associazioni che possono godere di agevolazioni anche più importanti di quelle delle OdV (APS, a.s.d.),per le quali non vi sono norme specifiche, né dottrina o giurisprudenza.

Le OdV possono entrare a fare parte di vari organi di coordinamento: consulta comunale e/o provinciale, osservatorio regionale, osservatorio nazionale. Esse possono altresì partecipare alla gestione dei Centri di Servizio per il Volontariato (in genere si tratta di associazioni di volontariato di secondo grado) e, in ogni caso, possono godere dei relativi servizi.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

È bene ripetere che un’OdV iscritta nel Registro Regionale è ONLUS di diritto solo se rispetta il limite previsto dall’art. 30 del D.L. 185/2008 (assenza di attività commerciali ultramarginali) e che, in tale caso, non è obbligata ad iscriversi presso la D.R.E.. Viceversa un’associazione che sia iscritta come ONLUS alla D.R.E. e successivamente si iscriva nel Registro Regionale del Volontariato, può decidere se cancellarsi o meno dall’Anagrafe delle ONLUS tenuto dalla D.R.E., in funzione del rispetto dei citati limiti previsti dal D.L. 185/2008. 1.11.4 Le OdV e l’esercizio di attività commerciali Abbiamo visto sopra che, ai fini civilistici sostanziali, le associazioni in genere possono esercitare attività d’impresa, sia in via principale che in via accessoria ad altre attività non economiche. All’interno di questo quadro generale occorre verificare se il regime delle OdV ponga o meno dei vincoli particolari, considerando, oltre al C.C., le ulteriori due principali fonti normative del settore: la L. 266/91 e il D. Lgs. 460/97. A) La L. 266/91 Analizzando la L. 266/91 si notano questi aspetti: a) essa non pone divieti espliciti all’esercizio di attività d’impresa da parte delle OdV; b) alcune norme di agevolazione fiscale si applicano solo in presenza di eventuali attività d’impresa esercitate dall’OdV. Il primo punto è palese: la L. 266/91 prevede i due criteri di fondo già esaminati sopra (scopo di solidarietà sociale e prestazione gratuita dei volontari), ma non vieta in alcun modo che l’OdV, per raggiungere il suo concreto scopo di solidarietà, ponga in essere rapporti di natura patrimoniale con i terzi. Sono i volontari che devono operare a titolo gratuito, sia verso la OdV che verso i terzi, non (necessariamente) l’OdV. Il secondo punto deriva dagli artt. 8 e 9 della L. 266/91. L’art. 8 prevede che “le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato … non si considerano cessioni di beni né prestazioni di servizi ai fini dell’i.v.a. …”. In sostanza le OdV vengono soggettivamente considerate fuori campo IVA, altrimenti avrebbe mantenuto vigore il principio generale per cui tali operazioni sono soggette ad i.v.a. se “effettuate … nell’esercizio di imprese …” (art. 1 D.P.R. 633/72). È quindi ovvio che l’agevolazione ha significato in quanto si presuppone che le OdV possano esercitare attività d’impresa. 48


INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

L’art. 9 della L. 266/91 prevede che alle OdV si applichino automaticamente le disposizioni dell’art. 148 TUIR, sulle attività decommercializzate degli e.n.c. a base associativa. È noto che si tratta di attività di prestazioni di servizi e di cessione di beni svolte verso corrispettivo che integrano, sia ai fini civili che fiscali, l’esercizio di attività d’impresa, a prescindere dal fatto che siano poi escluse da imposizione fiscale per scelta del legislatore. Appare quindi chiaro che, per la L. 266/91, le OdV possono esercitare attività di natura imprenditoriale, godendo di talune agevolazioni fiscali. Si sostiene inoltre dalla dottrina che “tra le attività esercitabili dalle OdV rientrino .. anche quelle agricole” (Vuoto – Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro – P. 194 - Giuffrè 2002). In sostanza le OdV possono esercitare sia le imprese commerciali (art. 2195 C.C.), che quelle agricole (art. 2135 C.C.). L’Agenzia delle Entrate ha pacificamente ammesso che le OdV possono gestire strutture ricettive, che sono attività imprenditoriali a tutti gli effetti civili e fiscali, godendo dell’esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91 (R.M. 5/572000 n. 54/E).

B) La L. 266 e le attività “marginali” In questo quadro va successivamente esaminata la questione delle attività “marginali”, in quanto è diffusa l’opinione che le OdV possano esercitare attività d’impresa (o economiche se si preferisce), a patto che non siano eccedenti quelle “marginali”. L’art. 5 della L. 266/91 prevede che le OdV “traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della loro attività da: … g) entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali.”. L’art. 8, 4° comma, della L. 266/91 prevede che i relativi proventi “non costituiscono redditi imponibili ai fini dell’IRPEG … qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato.”, rimandando ad un D.M. la fissazione dei “criteri” di identificazione di tali proventi “marginali”. Il D.M. 25/5/95 (si noti: emanato dal Ministro delle Finanze) ha operato su due versanti: a) ha previsto due criteri generali; b) ha indicato esplicitamente 5 tipi di attività “marginali”. I criteri generali sono che le attività “marginali” devono essere svolte (art. 1, 2° comma, D.M.):

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

– “in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell’OdV …” – “senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l’uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell’impresa.”. I 5 tipi di operazioni marginali sono: • due casi di raccolte fondi occasionali con scambio di beni o servizi (lett. a, d) • due casi di vendite di beni (lett. b, c) • il caso delle prestazioni di servizi eccedenti quelle previste dall’art. 148 TUIR (lett. e), in quanto già esentate da tassazione ex art. 9 L. 266/91. Si noti che i due casi di raccolte fondi occasionali con scambio di beni o servizi sono stati, di fatto, abrogati dal D. Lgs. 460/97; il nuovo art. 143 TUIR prevede infatti che tali attività non abbiano più il carattere “commerciale” per tutti gli enti non commerciali e, per rinvio, per le ONLUS, con conseguente esenzione da IRES e da IVA. Cadendo il carattere “commerciale” non esiste più un interesse a tenerle tra le attività “commerciali marginali” specifiche delle OdV.

In primo luogo va notato che l’art. 5 della L. 266/91 ha un contenuto generico e non vincolante in quanto non esaurisce tutte le possibili fonti di entrate delle OdV: mancano ad esempio tutte le entrate patrimoniali, pacificamente ritenute ammissibili (es. affitti di beni immobili, rendite di titoli, ecc.). Inoltre l’asserito carattere “chiuso” dell’art. 5 renderebbe inutile il successivo art. 9, che richiamando il regime dell’art. 148 del TUIR, rende possibili per le OdV le entrate derivanti da “corrispettivi specifici” da prestazioni di servizi e da cessioni di beni, che non possono certamente ricadere nella definizione di “contributi” di cui alle lett. a) e b). In secondo luogo va notato che il D.M. 25/5/95 prevede tra le attività marginali delle ipotesi di operazioni verso corrispettivi che possono dare luogo anche ad attività d’impresa, se svolte in modo continuativo: vendita di beni ricevuti gratuitamente (lett. b), cessione di beni prodotti dagli assistiti o volontari (lett. c), prestazione di servizi oltre i limiti dell’art. 148 T.U.I.R.. Quello che si può,lecitamente, dedurre dal complesso delle norme sopra citate è che “la nozione di marginalità è sinonimica di quella di non principalità”, in quanto “rappresenta un’ipotesi normativa specifica che condivide la stessa area delle attività commerciali non principali di modo che sul piano meramente lin-

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

guistico il legislatore avrebbe potuto esprimersi in termini di non principalità” (v. V. Ficari - Il regime fiscale delle associazioni – Cedam 1998 – pag. 25). Quindi la “marginalità” è solamente “espressione di strumentalità” (ivi pag. 26) e va valutata “nell’aspetto non quantitativo ma qualitativo” per cui “a prescindere … dal decreto l’attività commerciale marginale deve rappresentare un’attività che sia funzionale rispetto allo scopo che caratterizza l’associazione di volontariato e tale da non realizzare uno scopo intermedio che trasformi il nesso in strumentalità indiretta se non addirittura la stessa fisionomia dell’ente.” (ivi pag. 27). Le norme sulle attività marginali sono importanti perché pongono particolari vincoli alle modalità di esercizio di queste attività economiche o d’impresa: gestione diretta, assenza di intermediari, divieto di uso di strumenti tipici delle imprese per evitare una forma di concorrenza sleale sul mercato. Tutto ciò porta a concludere che l’esplicitazione delle attività marginali ha una valenza meramente fiscale: gli artt. 5 e 8 della L. 266/91 hanno concesso l’esenzione da IRES (e da IVA) solo a talune operazioni commerciali svolte dalle OdV, altrimenti imponibili per il diritto comune. Ciò è reso palese dalla preoccupazione del legislatore di non creare turbative alla concorrenza con le imprese “normali”: il D.M. prevede infatti che le attività sono “marginali” e, quindi, esentate da imposizione (IRES e IVA), solo in quanto non operino secondo gli usi dei “corrispondenti esercizi commerciali” e non si dotino di “marchi d’impresa”. Con ciò prevedendo che, superati tali limiti, le OdV possono svolgere attività d’impresa dotandosi di “esercizi commerciali” e di “marchi d’impresa”, ma scontando l’IRES sugli utili (pur mantenendo, secondo l’opinione dominante, l’esclusione da IVA). In sostanza emerge da questo insieme di norme sulla marginalità, si ripete di marcata natura fiscale e non sostanziale, l’inquadramento fiscale delle OdV come “enti non commerciali”, che possono svolgere attività “commerciali” in via non prevalente rispetto ai propri fini ideali e comunque sempre in rapporto di strumentalità ad essi (v. C.M. 22/2/1992 n. 3). In questo ambito le attività “marginali” costituiscono quindi l’emersione di una parte delle attività economiche “non prevalenti” che le OdV possono svolgere. All’epoca infatti non passò la richiesta di una esenzione generale delle attività delle OdV e fu concessa una esenzione “limitata” a specifiche attività che si riteneva fossero le più diffuse tra le OdV. Questa logica è stata superata dal D.LGS. 460/97 che, invece, esenta completamente da IRES le attività d’impresa delle ON-

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LUS e quindi delle OdV, a patto che siano svolte nei limiti previsti dalla legge, siano esse espressione dell’attività principale (-> istituzionale) dell’ente o dell’attività connessa (-> accessoria). Si ricorda che per le APS l’art. 4 della L. 383/2000 prevede espressamente la possibilità di svolgere attività commerciali e agricole, purchè in “maniera ausiliaria e sussidiaria”, confermandone l’impostazione fiscale di enti non commerciali.

Questo inquadramento delle attività “marginali”,come particolare tipo di attività accessoria delle OdV/ente non commerciale, contribuisce a spiegare anche perché il D.M. 25/5/95 preveda che tra esse non rientrino “… i proventi … derivanti da convenzioni.”. In primo luogo perché le convenzioni non dovrebbero avere ad oggetto attività svolte con i caratteri tipici dell’impresa, perché altrimenti sarebbero appalti (v. oltre) e, in secondo luogo, perché in ogni caso esse sono uno strumento per l’esercizio delle attività “principali” delle OdV, cioè per quelle che integrano il proprio scopo di solidarietà sociale. Questa impostazione è stata confermata, “a contrario”, dall’art. 30 del D.L. 185/2008, che ha negato alle OdV che esercitano attività commerciali diverse da quelle “marginali” le agevolazioni del regime ONLUS. Quindi il legislatore ha preso atto della possibilità per le OdV di gestire qualunque tipo di attività commerciale, anche “ultramarginali”, sottoponendole però alla tassazione ordinaria. L’OdV che vuole godere ancora dell’esenzione da IRES per tali attività commerciali “ultramarginali” dovrà seguire la trafila per le ONLUS ordinarie, nei limiti previsti dall’art. 10 del D. Lgs. 460/97. C) Il D. Lgs. 460/97 Il D. Lgs. 460/97 estendeva alle OdV, fino al D.L. 30/2008 in vigore dal 29/11/2008, tutte le norme in materia di ONLUS, salvando quelle eventualmente di maggior favore previste da altre norme. È pacifico che le ONLUS possono esercitare attività d’impresa commerciale, sia come attività istituzionale che come attività connessa: in particolare il D. Lgs. 460/97 non prevede in questo ambito limiti specifici a danno delle OdV. Tale limite è stato posto dal D.L. 185/2008, per cui le singole OdV dovranno iscriversi all’Anagrafe delle ONLUS per godere delle esenzioni sui redditi d’impresa.

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

D) Sintesi Si può concludere che le OdV possono svolgere diverse categorie di attività, sia d’impresa che non d’impresa (sul regime fiscale v. oltre), sia nel settore istituzionale che in quello “accessorio”. Le agevolazioni del regime ONLUS sono condizionate alla previa iscrizione all’Anagrafe delle ONLUS (ex D.L. 185/2008): Attività istituzionali

Non d’impresa D’impresa ex D. Lgs. 460/97 Fund raising (art. 143 TUIR) Gestione patrimoniale

Attività accessorie

D’impresa direttamente connesse ex D. Lgs. 460/97 D’impresa marginali ex D.M. 25/5/1995 D’impresa diverse

In senso conforme v. S. Ragghianti – Attività connesse nelle organizzazioni di volontariato – in Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro – Giuffrè 2002 - p. 276).

1.11.5 Le OdV e gli appalti di pubblici servizi Nel contesto delle attività d’impresa svolte dalle OdV si pone il particolare problema della possibilità delle stesse di partecipare a gare per appalti di pubblici servizi. Il tema è particolarmente sentito in taluni settori: trasporti sanitari, strutture per disabili o anziani, parchi pubblici, canili, ecc..

In questo ambito vi sono ancora indirizzi giurisprudenziali, sia nazionali che comunitari, contrastanti. a) Giurisprudenza Comunitaria La giurisprudenza comunitaria tende ad ammettere le OdV ai pubblici appalti, in quanto: – riconosce agli enti non profit, incluse le OdV, il carattere di “impresa”, se producono beni o servizi con continuità e verso corrispettivo; – le eventuali agevolazioni fiscali godute per norme interne ai singoli sta-

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ti nazionali non rilevano ai fini della lesione della concorrenza,a meno che non siano fruite in modo illegale; – in ogni caso gli appalti di servizi devono essere aperti a soggetti non profit e a soggetti for profit, in posizione di parità e senza privilegi per gli enti non profit (cosa che a volte danneggia le OdV). Particolarmente interessante è la sentenza C 19/06 del 29/11/2007, in materia di trasporti sanitari effettuati dalle Pubbliche Assistenze e Misericordie, da cui si traggono i seguenti principi: • “ … l’assenza di fini di lucro non esclude che siffatte associazioni (-> le OdV) esercitino un’attività economica e costituiscano imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza …”; • “… le associazioni interessate possono esercitare un’attività economica in concorrenza con altri operatori.”, • “la circostanza che, a seguito del fatto che i loro collaboratori agiscono a titolo volontario, tali associazioni possano presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli di altri offerenti non impedisce loro di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici …”

b) Giurisprudenza nazionale La giurisprudenza nazionale prevalente tende ad escludere le OdV dalla partecipazione a gare per i pubblici appalti, in quanto – l’art. 5 della L. 266/91, che elenca le fonti di entrata delle OdV, ha carattere tassativo (opinione contraria a quella sopra esposta) e non comprende i corrispettivi da pubblici appalti, che quindi sono da reputarsi vietati; – le OdV si rapportano alla pubblica amministrazione solo con convenzioni (art. 7 L. 266/91) e non con appalti, con ambiti diversi di operatività (ma poi difficili da individuare); – le OdV, avendo prestatori d’opera gratuiti, alterano le condizioni di concorrenza sul mercato e, quindi, non possono partecipare per principio alle gare (opinione smentita a livello comunitario); – tuttavia sono ammesse agli appalti tutti gli altri enti non profit, come le ONLUS (che non siano OdV) e le nuove imprese sociali (oltre alle coop. sociali). In senso conforme, si veda, da ultimo, il parere n. 29 del 31/1/2008 dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

Queste considerazioni negative sarebbero agevolmente superabili: – l’elenco delle entrate per le OdV non è tassativo (vedi sopra); – la L. 266/91 non pone divieti espliciti per le OdV a partecipare ai pubblici appalti e tale divieto non può essere considerato implicito nella norma, perché viola il principio costituzionale di libertà d’impresa (v. sopra); – la presenza di volontari è ammessa anche in altri tipi di enti non profit diversi dalle OdV, come le cooperative sociali e le nuove imprese sociali, pacificamente ammesse ai pubblici appalti; inoltre esistono anche per le imprese “normali” agevolazioni sui costi del personale (o su altri tipi di costi aziendali) che possono in astratto falsare la concorrenza (sgravi contributivi, contributi in conto esercizio o in conto impianti, incentivi regionali, ecc.). Il problema è quanto mai complesso in quanto le norme comunitarie e quelle nazionali (codice degli appalti pubblici, leggi sul sistema della sicurezza sociale, direttive sui nuovi appalti sociali “riservati” per soggetti disabili) si sovrappongono e generano molti dubbi. In questo modo si raggiungono vertici di ipocrisia: le OdV possono fare il trasporto sanitario verso corrispettivo nei confronti dei privati, ma non possono farlo verso un ente pubblico perché vige il divieto di partecipare alla relativa gara di appalto.

Occorre anche segnalare che una rilevante parte del volontariato non vuole inserirsi nella logica degli appalti, specie quelli con ribasso dei prezzi. Tale rifiuto trova la sua fonte nell’idea che il volontariato dovrebbe garantire, in via principale, il contatto umano con i soggetti svantaggiati, dovrebbe cioè dare valore alla “relazionalità”, valorizzando il carattere gratuito delle singole prestazioni. In conclusione i problemi di inquadramento dello svolgimento delle attività economiche delle OdV, anche tramite appalti, derivano dal fatto che la L. 266/91 non ha potuto (o voluto) rappresentare la molteplicità delle forme organizzative e delle attività del vasto mondo delle OdV.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

1.12 Segue: b) le associazioni di promozione sociale La L. 383/2000 ha disciplinato le associazioni di promozione sociale (APS) che hanno come requisito di fondo lo svolgimento di “attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, … nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati.”. Il carattere principale di queste associazioni dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere quello di svolgere attività prevalentemente verso i soci (c.d. “mutualità”): di fatto la stessa legge prevede che gli enti locali possono stipulare convenzioni per le attività svolte verso il pubblico in genere, per cui il confine tra OdV e APS tende ad essere labile. Anche per queste associazioni si presume che i soci prestino la loro opera gratuitamente. Tuttavia, a differenza delle OdV, le legge consente che, in modo esplicito, anche i soci (come i terzi) possano essere remunerati per l’opera svolta a favore dell’ente. Anche le APS, se vogliono godere delle agevolazioni loro riservate, devono iscriversi nell’apposito Registro, regionale o nazionale. Solo per queste associazioni la L. 383/2000 ha previsto che l’iscrizione ad un ente di promozione sociale nazionale (Anspi, Orti anziani, Arci, Endas, ecc.), iscritto nel Registro Nazionale, comporta l’automatica iscrizione della singola APS. Tuttavia le Regioni sono orientate a non applicare tale criterio e richiedono l’autonoma iscrizione diretta delle singole APS locali.

Le APS non sono ONLUS di diritto, ma possono diventare ONLUS “parziarie”, se gestiscono attività in uno dei settori previsti dal D. LGS. 460/97: in tal caso devono gestirlo con contabilità separata (v. oltre). Questo fatto, che può apparire uno svantaggio in prima battuta, si rivela invece un requisito di elasticità del regime fiscale delle APS, che applicheranno le regole degli enti non commerciali, senza i vincoli (spesso astrusi) imposti dal fisco alle ONLUS, anche di diritto.

La L. 383/2002 ha previsto alcune specifiche agevolazioni fiscali per le APS: donazioni con sconto fiscale, agevolazioni ai fini dell’Imposta sugli Intrattenimenti, ecc..

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INQUADRAMENTO CIVILISTICO DELLE ASSOCIAZIONI

1.13 Segue: c) le associazioni sportive dilettantistiche Le norme fiscali hanno delineato anche i requisiti delle associazioni sportive dilettantistiche, precisando che sono tali quelle che svolgono attività ritenute dilettantistiche dai regolamenti del CONI e subordinando le agevolazioni fiscali all’iscrizione nel Registro del CONI, che è preceduta dall’affiliazione alle Federazioni di settore o agli enti di promozione sportiva. Queste associazioni hanno un regime fiscale di favore, di cui daremo cenni nel corso del testo, con esiti addirittura superiori a quelli previsti per le ONLUS di diritto. Si ricordano in particolare le seguenti esenzioni/agevolazioni: • regime dei compensi sportivi esenti da tassazione; • regime delle offerte deducibili; • regime delle sponsorizzazioni; • qualifica di ente non commerciale per legge, senza possibilità di essere dichiarati decaduti. Le associazioni sportive dilettantistiche possono diventare ONLUS solo nel caso svolgano attività verso soggetti “svantaggiati”, con i limiti previsti dal D. LGS. 460/97: di fatto si tratta solo delle associazioni sportive per i disabili e quelle per particolari categorie di soggetti (es. detenuti, ex tossicodipendenti e simili). In ogni caso in questo settore la qualifica di ONLUS non comporta grandi vantaggi.

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2. Impostazione amministrativa di un’associazione

2.1 In generale L’associazione deve tenere dei libri sociali e dei libri contabili, per i quali, in generale, non esiste l’obbligo (bensì la mera facoltà) di preventiva vidimazione presso un notaio. Questa formalità può comunque essere opportuna in quanto accerta il numero delle pagine di ogni libro garantendone la loro non sostituibilità e serve nel caso occorra effettuare estratti autentici per delibere importanti (es. acquisti immobiliari). Si segnala che, con le ultime leggi di semplificazione fiscale, anche per le raccolte fondi occasionali non occorre più bollare l’apposito registro. In seguito verranno citate le regole previste per i registri fiscali in caso di esercizio di attività commerciali. I libri sociali possono essere tenuti con vari criteri, secondo le proprie esigenze e capacità: su libri rilegati, su fogli di computer, su rubriche o schedari. Essi sono: • libro dei soci • libro dei verbali delle assemblee dei soci • libro dei verbali delle riunioni del Consiglio Direttivo • libro dei verbali delle riunioni dei Collegio Sindacale Diamo un breve cenno sulla tenuta dei libri sociali, rinviando alla apposita parte la trattazione dei libri contabili. 2.2 Il libro dei soci Il libro dei soci è l’anagrafe dell’associazione. In esso devono risultare i dati anagrafici (nome e cognome, luogo e data di nascita, residenza) dei soci. Esso è importante specialmente per definire chi può intervenire alle assemblee e utilizzare il diritto di elettorato attivo e passivo.Ai fini della legge sulla privacy se ci si limita a raccogliere questi dati, senza comunicarli ad enti esterni, non occorre il consenso scritto dei soci, che si consiglia comunque di acquisire. Viceversa 58


IMPOSTAZIONE AMMINISTRATIVA DI UN’ASSOCIAZIONE

questo occorre se si raccolgono altri dati (c.d. “sensibili”) o se l’elenco viene ceduto ad enti esterni (es. sponsor per invii pubblicitari). Questo libro è in libera visione a tutti i soci.Si anticipa che, per le associazioni che svolgono attività a pagamento verso i soci, questo libro riveste un’importanza fondamentale ai fini fiscali, in quanto è la base di tutto il regime agevolato delle attività “decommercializzate” previsto dall’art. 148, 8° comma, del T.U.I.R.(v. oltre). 2.3 Il libro dei verbali delle assemblee dei soci Il libro dei verbali delle assemblee dei soci deve contenere tutti i resoconti delle assemblee, partendo dalla copiatura dell’atto costitutivo e dello statuto sociale che è, in pratica, la prima assemblea sociale. L’assemblea ordinaria va tenuta entro il termine previsto dallo statuto (in genere entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale), soprattutto (ma non solo) per l’approvazione del bilancio consuntivo. Le altre assemblee ordinarie possono essere fissate nelle date più opportune, senza vincoli legali. Le assemblee straordinarie, salvo diversa previsione dello statuto vengono convocate solo per due motivi (modifiche dello statuto e scioglimento dell’associazione): lo statuto può prevedere la presenza di maggioranze qualificate, sia per la costituzione che per le singole deliberazioni.I verbali delle assemblee devono essere firmati dal Presidente e dal Segretario. Anche questo libro è in libera visione a tutti i soci. 2.4 Il libro dei verbali del Consiglio Direttivo Il libro dei verbali delle riunioni del Consiglio Direttivo deve contenere tutti i resoconti delle riunioni di tale organo. È sufficiente una descrizione sintetica degli argomenti trattati e delle decisioni prese.I verbali devono precisare se le delibere vengono prese all’unanimità o a maggioranza. In tale ultimo caso i consiglieri dissenzienti possono fare mettere a verbale il loro voto contrario, specialmente per limitare la loro responsabilità in caso di danni per l’ente (v. sopra). I verbali andranno firmati dal Presidente e dal Segretario. Questo libro non è in libera visione ai soci, in quanto può contenere argomenti riservati. Eventualmente i soci possono chiedere notizie al Presidente e, se raggiungono la percentuale minima indicata nello statuto, che per legge non può 59


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

essere superiore al 10% dei soci (art. 20 C.C.), possono chiedere la convocazione urgente di un’assemblea per affrontare il problema. 2.5 Il libro dei verbali del Collegio Sindacale Se istituito questo organo può redigere verbali in corso d’anno per certificare la propria attività di controllo, in genere ogni trimestre come avviene per le società di capitali. Il verbale più importante è quello che deve accompagnare il bilancio di esercizio. Questo libro non è in libera visione ai soci, in quanto può contenere informazioni riservate. 2.6 Il registro degli assicurati delle OdV Per le OdV iscritte in Regione la L. 266/91 prevede l’obbligo di tenere un registro in cui vanno riportati i dati di tutti i volontari “attivi”, ai fini dell’assicurazione obbligatoria per le malattie, gli infortuni e la r.c. terzi. Sul punto si rinvia al capitolo sulle prestazioni dei volontari.

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3. Contabilità e bilancio consuntivo

3.1 I documenti contabili L’associazione gestisce denaro a vario titolo, per cui la prudenza e il bisogno di essere trasparenti verso i soci consigliano di tenere una ordinata contabilità, da una semplice “prima nota cassa” ad un giornale in “partita doppia”. Ogni contabilità ordinata si basa su tre presupposti: • presenza dei documenti giustificativi delle spese; • gestione finanziaria fatta prevalentemente tramite un c/c (per il controllo dei movimenti di denaro); • attribuzione della sua tenuta ad un responsabile. Le sole associazioni sportive dilettantistiche hanno l’obbligo per legge di effettuare gli incassi ed i pagamenti di importo superiore a € 516,46= tramite movimenti bancari o postali (bonifici, assegni intestati, carte di credito, ecc.). Si ricorda che tutti i movimenti di denaro pari o superiori a € 12.500,00= devono avvenire per banca o posta.

Dai documenti e dalla contabilità si traggono gli elementi per la redazione del bilancio annuale. Si sottolinea che il bilancio, le scritture contabili e la relativa documentazione vanno conservati fino allo scadere dei termini di accertamento previsti dalle norme fiscali, indipendentemente dall’esercizio o meno di attività commerciali. Infatti il fisco può sempre contestare le attività svolte dall’associazione e può considerare imponibili o soggetti a ritenuta d’acconto importi esposti in bilancio per i quali l’ente pensava di non avere alcun obbligo fiscale. I termini di conservazione sono di 10 anni ai fini civilistici e di 5 anni ai fini fiscali, salva l’insorgenza di accertamenti e di relativo contenzioso o proroghe dei termini previsti da eventuali leggi (condoni, ecc.). In sostanza il bilancio e la documentazione ad esso collegata relativi all’esercizio chiuso al 31/12/07 vanno conservati almeno fino al 31/12/2012, per il fisco, e fino al 31/12/2017 per il codice civile. 61


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

È bene mettere in evidenza che la contabilità ha lo scopo di registrare i movimenti di denaro e rispecchia solo parzialmente la realtà operativa delle associazioni il cui obiettivo non è quello di produrre profitti, ma quello di svolgere in modo efficiente ed efficace la propria missione. Per questo motivo ogni associazione, oltre alla contabilità di cui parleremo in seguito, dovrebbe raccogliere i dati fisici relativi alle proprie prestazioni, sia per un controllo interno, sia per poter dimostrare alla collettività il proprio operato: ore di lavoro gratuito dei socivolontari, numero di utenti assistiti, chilometri percorsi dalle ambulanze, ecc.. Tutti questi dati “fisici” possono ben comparire nella relazione degli amministratori o nei nuovi “bilanci di missione” e possono tornare utili in caso di contestazioni da parte del fisco sul concetto di attività prevalente ex art. 149 TUIR. 3.2 La tenuta della contabilità istituzionale 3.2.1 Criteri generali Come libro contabile si suggerisce di utilizzare un GIORNALE MASTRO, in alternativa si può utilizzare un software di contabilità di tipo aziendale o adattare a tale scopo un foglio di Excel. Se questo libro verrà tenuto a mano si suggerisce, per semplicità, di registrare le operazioni in corso d’anno con il criterio di CASSA, cioè nel momento in cui vi è l’effettivo movimento di denaro, riservandosi di inserire le voci di credito e debito solo a fine anno. In presenza di un amministratore esperto in materia contabile si potrà utilizzare il criterio di COMPETENZA anche durante l’anno, come avviene per i bilanci aziendali, con rilevazione delle operazioni nel momento in cui esse sorgono, rilevando quindi i crediti e i debiti in corso d’anno. Le registrazioni è meglio che vengano effettuate con il metodo della PARTITA DOPPIA, che garantisce la quadratura dei totali. In tale modo i movimenti di denaro vengono registrati nei conti CASSA o BANCA e poi vengono riclassificati in gruppi di COSTI e di RICAVI (detti CONTI ECONOMICI), in funzione della redazione del bilancio annuale. Vi è poi un conto che serve per raccogliere gli AVANZI/DISAVANZI dell’anno e che costituisce il PATRIMONIO NETTO dell’ente. I conti hanno due colonne, dette per tradizione DARE (-> sinistra) e AVERE (-> destra) e operano in modo speculare con i seguenti criteri:

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CONTABILITÀ E BILANCIO CONSUNTIVO

CONTI PATRIMONIALI CONTI ECONOMICI -COSTI -RICAVI

in dare i movimenti positivi (+) in avere i movimenti negativi (-) in dare i movimenti negativi (-) in avere i movimenti positivi (+).

Si vede come i conti patrimoniali funzionino sia in dare che in avere, mentre i conti economici funzionino (generalmente) solo da una parte. La differenza tra il totale dei RICAVI e il totale dei COSTI dà come risultato l’AVANZO o il DISAVANZO dell’esercizio. Questo AVANZO/DISAVANZO viene poi chiuso usando come contropartita il conto PATRIMONIO NETTO. Si ricorda che l’avanzo di esercizio non può mai essere distribuito ai soci. Il disavanzo deve essere coperto con fondi dell’associazione, in quanto i soci potrebbero anche rifiutare di versare quote aggiuntive straordinarie.

Per movimenti positivi di CASSA/BANCA si intendono le entrate di denaro, per movimenti negativi si intendono le uscite di denaro. Per gli altri conti patrimoniali sono movimenti positivi gli aumenti di valore (esistenza di crediti, acquisto di attrezzature), per movimenti negativi si intendono i decrementi di valore (esistenza di debiti, vendita di attrezzature). I dati possono anche essere rilevati al lordo di IVA, in quanto le associazioni non sono soggetti IVA per le attività istituzionali (e quindi non recuperano l’IVA sugli acquisti e non l’addebitano sulle prestazioni), mentre per le attività commerciali vi saranno comunque i registri fiscali obbligatori da cui trarre i dati IVA per gli adempimenti periodici. L’acquisto di beni strumentali può essere fatto gravare tutto nell’anno di acquisto o, in alternativa, può essere ripartito su più anni applicando lo schema degli “ammortamenti” (che diventano obbligatori solo in presenza di attività commerciali).

3.2.2 Il piano dei conti Ogni associazione deve dotarsi di un proprio piano dei conti, che consenta di raggiungere gli obiettivi tipici del bilancio visti sopra. Se la contabilità viene tenuta a mano si consiglia di tenere pochi conti, se la contabilità viene tenuta con un computer si possono esplodere i pochi conti in vari sottoconti più analitici.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Si riporta un esempio di piano dei conti che presuppone di registrare i dati con il criterio di COMPETENZA, almeno a fine anno, data la presenza di crediti e debiti. Particolare attenzione va sempre posta alla distinzione tra conti del settore istituzionale e conti del settore commerciale (se esistente). ELENCO DEI CONTI

CONTENUTI

CONTI PATRIMONIALI ATTIVI E PASSIVI 1) CASSA

DARE: entrate AVERE: uscite

2) BANCA C/C

DARE: entrate AVERE: uscite

3) BENI MOBILI E IMMOBILI E RELATIVI FONDI DI AMMORTAMENTO

DARE: costo di acquisto dei cespiti AVERE: le quote di ammortamento

4) CREDITI

DARE: sorgere dei crediti AVERE: riduzione o cessazione dei crediti

5) DEBITI

DARE: riduzione o cessazione dei debiti AVERE: sorgere dei debiti

6) PATRIMONIO NETTO

Si usa solo per la chiusura dei conti: registra in DARE i disavanzi e in AVERE gli avanzi.

CONTI ECONOMICI PER PROVENTI (7-9) E COSTI (10-11) 7) QUOTE DEI SOCI

AVERE: – tessere dei soci – quote dei soci per servizi fruiti

8) PROVENTI ISTITUZIONALI VARI

AVERE: altre entrate non derivanti da gestioni commerciali (incluse le raccolte di fondi occasionali).

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CONTABILITÀ E BILANCIO CONSUNTIVO

9) PROVENTI DA ATTIVITÀ COMMERCIALI

AVERE: tutte le entrate che derivano da eventuali operazioni commerciali: sponsorizzazioni, vendite di beni, servizi resi a NON soci, contributi relativi al settore commerciale

10)SPESE ISTITUZIONALI VARIE

DARE: tutte le uscite non derivanti da gestioni commerciali (incluse quelle relative alle raccolte di fondi occasionali)

11) SPESE PER ATTIVITÀ COMMERCIALI

DARE: tutte le uscite per l’acquisto di beni e/o servizi relativi alle eventuali attività imprenditoriali.

3.3 Forma e contenuto del bilancio 3.3.1 Forma del bilancio Fino ad oggi le associazioni possono redigere il bilancio in forma libera, senza alcuno schema rigido da rispettare. Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ha proposto un primo schema di bilancio per gli enti non profit in genere (raccomandazione n.1 del 2003), ricalcando quello previsto dal C.C. per le società di capitali. In ogni caso si tratta di uno schema facoltativo che può essere di qualche utilità, specie per gli enti maggiormente organizzati e con personale amministrativo adeguato. Da tale documento si riporta una sintesi degli schemi relativi agli enti non profit di piccole dimensioni, che possono essere utili come traccia di lavoro (usando anche il criterio di cassa). STATO PATRIMONIALE ATTIVO

PASSIVO

CREDITI V/SOCI PER VERSAMENTI QUOTE

PATRIMONIO NETTO Patrimonio libero Patrimonio vincolato

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI

FONDI PER RISCHI E ONERI

IMMOBILIZZAZIONI MATERIALI Immobili Attrezzature Altri beni

T.F.R. LAVORO SUBORDINATO

IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE

DEBITI

RIMANENZE CREDITI TITOLI E VALORI NON IMMOBILIZZATI DISPONIBILITÀ LIQUIDE

RENDICONTO GESTIONALE ENTRATE

USCITE

DA ATTIVITÀ TIPICHE

PER ATTIVITÀ TIPICHE

DA ATTIVITÀ ACCESSORIE

PER ATTIVITÀ ACCESSORIE

DA RACCOLTA FONDI

PER RACCOLTA FONDI

GESTIONE FINANZIARIA

PER GESTIONE FINANZIARIA

STRAORDINARIE

STRAORDINARIE

VARIE

PER ATTIVITÀ DI SUPPORTO GENERALE VARIE

(DISAVANZO)

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AVANZO


CONTABILITÀ E BILANCIO CONSUNTIVO

In ogni caso è bene che il bilancio dell’ente, a prescindere dal criterio utilizzato, venga completato con la redazione anche di un inventario, in cui compaia l’elenco analitico dei beni posseduti alla chiusura dell’esercizio (tavoli, sedie, computer, automobili, immobili) e dei crediti e debiti. L’inventario può assumere molta importanza nel passaggio di consegne tra il presidente uscente e quello entrante, che prende coscienza della consistenza patrimoniale dell’associazione. Inoltre può essere utile ai fini fiscali, se si considera che la legge e lo statuto impongono il divieto di distribuire somme o beni ai soci o a terzi con finalità elusive.

Occorre mettere in evidenza che vi sono due norme particolari che obbligano taluni enti non profit a tenere un bilancio completo (stato patrimoniale e conto economico) derivante da scritture contabili in partita doppia. Nel primo caso l’art. 20-bis del D.P.R. 600/73 obbliga le ONLUS ordinarie (non quelle di diritto come le OdV e le o.n.g.), con introiti annuali superiori a € 51.645,69=, a tenere obbligatoriamente il libro giornale ed il libro inventari, nonché a redigere il bilancio completo. Nel secondo caso l’art. 14 del D.L. 14/3/2005 n. 35 (convertito con L. 14/5/2005 n. 80) obbliga le ONLUS (tutte, anche le OdV che possono ONLUS di diritto) e le APS (iscritte nel registro nazionale e le associazioni locali ad esse affiliate) che ricevono le speciali erogazioni liberali disciplinate da tale norma (+ dai – versi, deducibili dal reddito del benefattore nel minore importo tra il 10% del reddito stesso e € 70.000,00=) a tenere un bilancio completo. In assenza di tale bilancio completo il fisco può recuperare le agevolazioni in capo ai donatori e comminare le relative sanzioni (v. parte sul fund raising). 3.3.2 Vidimazione dei registri Si ricorda che non vi è obbligo (bensì la mera facoltà) di vidimare le scritture contabili presso il Notaio o il Registro Imprese o l’Agenzia delle Entrate, comunque esse siano tenute. Non vanno più vidimati anche i registri prettamente fiscali collegati alla eventuale attività commerciale (es. registri IVA): resta in vigore l’imposta di bollo per il libro giornale e per il libro inventari (regime di contabilità ordinaria) per ogni 100 pagine (si ricorda che le OdV e le ONLUS sono esenti dal bollo per ogni loro atto o documento).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

3.3.3 Criteri generali di redazione del bilancio I caratteri generali del bilancio consuntivo sono i seguenti: • annuale • obbligatorio (per legge e per statuto) • complessivo (comprende tutti i movimenti dell’ente) • chiaro e trasparente (come esposizione dei dati) • deve separare le voci del settore istituzionale da quelle del settore commerciale (se esistente) • ha rilevanza anche fiscale. Tali principi si evincono da varie norme di legge, previste sia per gli enti non commerciali in genere, che per le OdV e per le ONLUS: a) l’OdV ha “l’obbligo di formazione del bilancio dal quale devono risultare i beni, i contributi o i lasciti ricevuti” (art. 3, 3° comma, L. 266/91) b) il bilancio delle ONLUS deve “rappresentare adeguatamente ... la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione” (art. 20-bis, 1° comma, D.P.R. 600/73 ribadito anche dall’art. 14 del D.L. 35/2005); c) il bilancio degli e.n.c. deve esporre i dati in modo che si possano distinguere le entrate e le uscite relative all’attività istituzionale e quelle relative alle (eventuali) attività connesse (art. 20-bis, 1° comma, D.P.R. 600/73; art. 149, 2° comma, lett. b, T.U.I.R.); deve indicare le entrate a titolo di contributi, sovvenzioni, liberalità e quote associative (art. 149, 2° comma, lett. c, T.U.I.R.); la situazione patrimoniale deve indicare le immobilizzazioni (attrezzature, automezzi, immobili, quote di partecipazione in società) relative all’attività commerciale (se esistono) e quelle relative all’attività istituzionale (art. 149, 2° comma, lett. a, T.U.I.R.); d) per le ONLUS se i proventi superano “per due anni consecutivi l’ammontare di € 1.032.913,80= ... il bilancio deve recare una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori contabili.” (art. 20-bis, 5° comma, D.P.R. 600/73). Questa norma sulla relazione di controllo si applicherà anche alle OdV, ONLUS di diritto, in caso di superamento del limite dei proventi.

Si ricorda che il bilancio comprende anche tutti i dati relativi alle eventuali raccolte di fondi occasionali svolte durante l’anno. Per tali raccolte fondi occasioni è opportuno allegare al bilancio il prospetto separato richiesto dall’art. 20 del

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CONTABILITÀ E BILANCIO CONSUNTIVO

D.P.R. 600/73 per ogni singola raccolta fondi: vi sarà più trasparenza verso i soci e non si correrà il rischio di dimenticare tale adempimento. Dall’1/1/08 tale prospetto separato deve essere redatto per obbligo di legge (L. 244/07) anche per il caso di donazioni derivanti dal 5 per mille. 3.4 Procedura di approvazione La procedura di approvazione del bilancio dell’associazione deve, in generale, rispettare questi passaggi: a) preparazione della bozza del bilancio da parte del tesoriere; b) il Consiglio Direttivo approva la bozza del bilancio e lo accompagna con una relazione morale-finanziaria; c) il Collegio Sindacale (se esistente) stende una propria relazione dove afferma che il bilancio è conforme ai documenti e alle scritture contabili e che esso risponde alle prescrizioni di legge e di statuto; d) l’Assemblea ordinaria dei soci approva il bilancio, la relazione morale-finanziaria del Consiglio Direttivo e, se esiste, la relazione del Collegio Sindacale. L’approvazione da parte dell’assemblea dei soci rende definitivi e non più modificabili il bilancio e i documenti collegati. Si segnala l’opportunità che nella relazione morale-finanziaria del Consiglio Direttivo vengano citate tutte le attività istituzionali svolte dall’ente, anche se non hanno dato luogo a entrate o uscite. Tale citazione di conferenze, incontri, dibattiti, manifestazioni, ecc., potrà essere utile per una futura (eventuale) contestazione da parte del fisco in quanto le associazioni per mantenere il regime fiscale agevolato degli “enti non commerciali” devono svolgere “prevalentemente” attività di tipo “istituzionale” (= conforme a quella prevista dallo statuto come oggetto principale dell’ente) rispetto ad attività di tipo “commerciale” (se esistente). L’art. 149, 2° comma, lett. b, T.U.I.R., considera infatti “sospetta” l’associazione per la quale vi sia la “prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali”.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

3.5 Tempi di approvazione Il termine ultimo di approvazione del bilancio di esercizio da parte dell’assemblea dei soci è, in genere, fissato dallo statuto. In mancanza il termine è quello dei 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Occorre quindi che gli adempimenti precedenti vengano messi in “scaletta” rispettando gli eventuali termini previsti dallo statuto. Trattandosi di assemblea ordinaria in genere gli statuti prevedono anche una seconda convocazione, per abbassare il quorum costitutivo e deliberativo. Per analogia con il regime vigente per le società commerciali si ritiene che tale seconda convocazione possa avvenire anche oltre il termine dei quattro mesi, ma in tempi ragionevolmente vicini alla prima convocazione.

Si ricorda che solo in materia di ONLUS (estendibile alle OdV se rispettano i limiti previsti dal D.L. 185/2008) si trovano norme di legge che prevedono esplicitamente il termine dei 4 mesi per la redazione del bilancio: a) le ONLUS (art. 20-bis D.P.R. 600/73) sono tenute a “redigere (il bilancio) entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale”; b) l’art. 14 del D.L. 35/2005 impone alle ONLUS (e agli altri enti che beneficiano delle speciali erogazioni liberali) “la redazione (del bilancio), entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio”. A stretto rigore le norme impongono la redazione del bilancio entro quattro mesi e non fanno riferimento alla sua approvazione in assemblea. Tale formulazione più generica si è resa probabilmente necessaria perché vi possono essere enti che godono del regime ONLUS (ad es. taluni tipi di Fondazioni) che non sono dotate di un organo assembleare. A scanso di contrasti con il fisco per le OdV è bene che il bilancio venga approvato dall’assemblea entro quattro mesi: se ciò non è possibile è opportuno far figurare che esso è stato (almeno) approvato dal Consiglio Direttivo, stilandone apposito verbale. Si ricorda che per “esercizio” si intende il periodo indicato come tale dallo statuto con data di inizio e data di chiusura. In mancanza di espressa indicazione nello statuto si intende che l’esercizio corrisponda all’anno solare. Si ricorda che, per motivi di praticità, l’atto costitutivo può prevedere che il primo esercizio sociale sia di durata superiore a 12 mesi, chiudendosi al 31/12 del-

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CONTABILITÀ E BILANCIO CONSUNTIVO

l’anno solare successivo (es. costituzione al 10/11/2007 con primo esercizio che si chiuderà al 31/12/2008).

3.6 Pubblicità del bilancio Il bilancio dell’associazione, al momento, non va depositato presso alcun ufficio: esso resta agli atti dell’ente, in libera consultazione per i soci. Si ricorda che il progetto “Pinza” di riforma del C.C. (maggio 2007) prevede per talune associazioni l’obbligo del deposito del bilancio presso il registro delle persone giuridiche o presso il Registro Imprese.

Per le associazioni di volontariato iscritte nel Registro Regionale l’ufficio addetto potrà richiedere dati numerici e qualitativi e anche copia del bilancio per il controllo periodico del mantenimento dei requisiti previsti dalla L. 266/91. A fini promozionali molte associazioni di grandi dimensioni pubblicano il bilancio sul proprio sito internet (es. Emergency).

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4. Inquadramento fiscale delle associazioni

4.1 Enti commerciali ed enti non commerciali L’art. 73 del T.U.I.R. individua gli enti soggetti all’IRES (imposta sul reddito delle società) che, limitandoci ai soggetti residenti in Italia, sono: a) s.p.a., s.a.p.a., s.r.l., coop., soc. mutua assicurazione; b) enti pubblici e privati diversi dalle società che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; c) enti pubblici e privati diversi dalle società che NON hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali. I soggetti indicati alle lettere a) e b) sono considerati ENTI COMMERCIALI, mentre i soggetti indicati alla lettera c) sono considerati ENTI NON COMMERCIALI. In sostanza il legislatore fiscale ha preso atto della possibilità concessa dal diritto civile alle associazioni di gestire attività d’impresa ed ha creato una distinzione in base al “peso” di tale attività nell’ambito dell’economia di ogni ente. Si noti come, a prescindere dal regime ONLUS che esamineremo più tardi, la legge fiscale non prende in esame le finalità per cui l’associazione esercita attività d’impresa, anche se esse sono apprezzabili dal punto di vista etico. Ne deriva che le espressioni “enti non profit” e “ente non commerciale” NON sono sinonimi: la prima è tipica del diritto civile (oltre che della sociologia e dell’economia), la seconda è tipica del diritto tributario. In sostanza la sola forma giuridica di associazione, fondazione o comitato non è sufficiente per essere qualificati in modo automatico come enti non commerciali ai fini fiscali. È bene chiarire subito che il regime degli e.n.c. contiene varie agevolazioni e deroghe rispetto al diritto comune, per cui spesso si verificano casi gravi di elusione e anche veri e propri abusi. Per questo motivo il Fisco tende ad essere restrittivo, con interpretazioni a volte eccessivamente rigide, preferendo inquadrare (e tassare) vari enti non profit tra gli enti commerciali. Questa rigidità deriva an-

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

che dal fatto che la normativa degli e.n.c., a causa delle spinte delle varie lobbies, tende ad essere sempre più casistica, perdendo di vista i principi generali e rendendo quindi sempre più difficile l’applicazione analogica di singole norme o, a volte, di interi istituti. Da tempo la dottrina è insoddisfatta di questa classificazione, ma l’estrema varietà dei soggetti e delle attività svolte non ha ancora consentito di elaborare proposte alternative soddisfacenti. Ne è un esempio il tema, tanto spinoso quanto poco studiato in tutte le sue implicazioni, della perdita della qualifica di e.n.c. (v. art. 149 TUIR).

Per inquadrare un’associazione tra gli e.c. e tra gli e.n.c. occorre prendere in esame sia l’art. 73 che l’art. 149 del TUIR: il primo detta i requisiti generali, mentre il secondo cerca di concretizzarli (si vedrà con poco successo) in vincoli di tipo quantitativo. Tali norme considerano: • i requisiti formali dello statuto; • il tipo di attività effettivamente esercitata; • il peso dell’eventuale attività commerciale nell’economia dell’ente. Sotto il primo aspetto si richiede che l’ente non profit abbia uno statuto redatto in forma scritta, sia per atto notarile che con una semplice scrittura privata registrata. Dallo statuto si deve rilevare quale sia l’oggetto sociale, cioè lo scopo che l’ente si propone di raggiungere. L’ulteriore passo è quello di verificare quale sia l’oggetto esclusivo o principale, intendendosi per tale l’attività essenziale che realizza direttamente gli scopi primari dell’ente. In sostanza in questa delicata fase si deve capire se l’esercizio di impresa esaurisca o costituisca la principale ragione di vita dell’ente oppure no. Nel primo caso l’ente viene inserito tra gli “enti commerciali”, nel secondo caso tra gli “enti non commerciali”. L’art. 149 tenta di rafforzare tali criteri dando dei riferimenti quantitativi, riferiti al volume dei ricavi, dei costi, delle immobilizzazioni afferenti i due settori di attività (commerciale o istituzionale). Il fisco ha peraltro chiarito che questi parametri quantitativi sono solo indici presuntivi, che vanno utilizzati in una più ampia disamina dell’effettiva attività dell’associazione. Ad esempio un’associazione o fondazione che abbia come oggetto sociale “la promozione del diritto allo studio” e che, nei fatti, gestisca una scuola privata sarà

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

inquadrata tra gli e.c., in quanto l’attività svolta, in sé considerata, ha i requisiti d’impresa.

Va anche ricordato che esistono delle associazioni per le quali questo esame è precluso per legge, come per le associazioni sportive dilettantistiche, oltre che per gli enti religiosi: questi enti saranno sempre considerati e.n.c., a prescindere dai dati quantitativi del settore commerciale. Questa deroga costituisce un autentico “privilegio” del settore sportivo (v. oltre cap. 4.7), derivante dai noti problemi di reperimento di ingenti risorse tramite la fatturazione delle sponsorizzazioni: senza tale deroga quasi tutte le associazioni sportive sarebbero state inquadrabili tra gli e.c.. Non è sempre vero che l’inquadramento tra gli e.c. costituisca un danno per l’ente non profit: l’esame va fatto per ogni singolo caso e vi possono essere anche esempi di vantaggi fiscali, derivanti dalla possibilità di detrarre i costi del settore istituzionale dai ricavi commerciali.

Siccome l’interesse del fisco è orientato alla delimitazione e tassazione dell’attività d’impresa, l’ente non profit che viene inquadrato tra gli “e.n.c.” deve sopportare una divisione a metà della sua gestione. In sostanza l’e.n.c. viene obbligato per legge a tenere separata evidenza contabile e fiscale della sua attività istituzionale (non d’impresa) rispetto all’attività d’impresa (a questo punto accessoria). Questa divisione artificiale comporta spesso molti problemi pratici di corretta tenuta della contabilità, di corretta applicazione dell’IVA, di calcolo della base imponibile IRES e IRAP, ecc. (v. oltre). In ogni caso si ricorda che l’ente non profit ha la facoltà di conferire l’attività d’impresa in una società di capitali (s.r.l., s.p.a., coop. sociali), di cui detenga una partecipazione anche totalitaria, eliminando alla radice il problema dell’inquadramento tra e.c. e e.n.c.. In questo caso esiste il problema di sapere se la gestione di una partecipazione di controllo costituisca, in sé considerata, un’attività “commerciale” oppure no (problema molto dibattuto per le Fondazioni Bancarie). In ogni caso si ricorda che, per le ONLUS, il fisco nega in radice la possibilità di detenere partecipazioni di controllo in società di capitali e partecipazioni di qualunque ammontare in società di persone.

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

Si riporta un quadro di sintesi di quanto detto sopra per l’individuazione degli e.n.c.: a) cosa si intende per oggetto esclusivo o principale (art. 73)

È l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi sociali

b) come si determina (art. 73)

In base all’atto costitutivo o allo statuto

c) vincoli formali dello statuto (art. 73)

L’atto costitutivo o lo statuto devono essere redatti per atto notarile o almeno con scrittura privata registrata

d) vincoli sostanziali (art. 73 e 149)

l’oggetto principale è sempre determinato in base all’attività effettivamente esercitata se lo statuto non rispetta i criteri formali a prescindere dalle formalità di statuto, l’ente perde la qualifica di e.n.c., con efficacia retroattiva dall’inizio del periodo d’imposta, qualora di fatto eserciti prevalentemente attività commerciali per un intero periodo d’imposta.

Il corretto inquadramento di un’associazione nel settore degli e.c. e degli e.n.c. è molto importante, perché comporta l’applicazione di differenti regimi fiscali, di cui si dà un cenno puramente indicativo:

ENTI COMMERCIALI

ENTI NON COMMERCIALI

Considerati come imprese per tutte le attività svolte

Le regole delle imprese valgono solo per l’eventuale attività commerciale. Per gli altri redditi posseduti valgono le regole generali, simili a quelle delle persone fisiche.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Vige sempre l’obbligo della tenuta delle scritture contabili fiscali in regime ordinario e del bilancio d’impresa per tutte le attività svolte.

Le scritture contabili fiscali vanno tenute solo per l’eventuale attività d’impresa, con possibilità di scegliere tra regime ordinario e uno dei vari regimi semplificati. Il bilancio globale è in forma libera.

Sono soggetti ad IRAP con il criterio del bilancio per tutte le attività svolte

Sono soggetti ad IRAP con due criteri: – parte istituzionale: criterio retributivo – parte imprenditoriale: criterio del bilancio d’impresa (con possibilità di opzione per criteri semplificati).

Sono soggetti ad IRES con il criterio del bilancio per tutte le attività svolte

Sono soggetti ad IRES con le regole vigenti per le persone fisiche per le singole categorie di redditi. Il bilancio riguarda solo l’eventuale attività d’impresa.

Applicano l’IVA per tutte le attività secondo i criteri ordinari

Applicano l’IVA solo per le operazioni relative alla eventuale attività d’impresa.

Regime forfetario ex L. 398/91: non applicabile

Applicabile nei limiti soggettivi e di importo previsti da tale legge

Regime agevolato per raccolte fondi occasionali ex art. 143 TUIR: non applicabile

Applicabile

Regime agevolato per la detassazione dei contributi pubblici per attività di rilievo sociale ex art. 143 TUIR: non applicabile

Applicabile

Regime agevolato per attività decommercializzate ex art. 148 TUIR (prestazioni di servizi ai soci): non applicabile

Applicabile (con limiti vari in funzione del tipo di associazione)

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

4.2 La distinzione tra attività istituzionale e attività commerciale Ai fini fiscali abbiamo visto che l’attività degli e.n.c. viene divisa in due settori: istituzionale

attività non d’impresa commerciale

-tipico -prevalente

commerciale

attività di impresa commerciale

-eventuale -non prevalente

Il settore istituzionale consiste nell’attività tipica dell’associazione (ambiente, solidarietà, cultura, ecc.) ed è sempre presente in quanto è la ragione di vita dell’ente. Il settore commerciale è eventuale e comprende tutte le attività economiche svolte per reperire dei fondi che, ai fini fiscali, sono considerate oggettivamente aventi natura di impresa commerciale. Si ribadisce che i fondi così procurati sono comunque sempre destinati allo sviluppo dell’associazione e non potranno mai essere divisi tra i soci.

Ai fini fiscali le attività commerciali possono ricadere in due categorie: occasionali

tassabili come redditi diversi (art. 67 TUIR), salvo specifiche esclusioni di legge;

abituali

Tassabili come redditi d’impresa (art. 55 TUIR), salvo specifiche esclusioni di legge.

Si ribadisce che, per le associazioni generiche e per le OdV non iscritte nei registri (che non godono del regime ONLUS), le attività commerciali producono proventi tassabili a prescindere dal fatto che vengano svolte per sostenere iniziative di tipo ideale (-> irrilevanza dello scopo non di lucro dell’associazione ex art. 73 T.U.I.R.). Per le ONLUS (comprese le OdV iscritte nei registri) il D.LGS. 460/97 ha previsto l’esenzione da IRES per gli utili derivanti dall’esercizio di (eventuali) imprese, ferma restando la tassazione per gli utili derivanti da (eventuali) attività commerciali occasionali (salvo per le attività marginali delle OdV).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Lo svolgimento di attività commerciali occasionali non comporta, in genere, grandi problemi fiscali e non inficia la qualifica di ente non commerciale. Viceversa lo svolgimento di attività d’impresa commerciale (quindi organizzate e svolte con continuità) comporta l’applicazione del regime fiscale tipico delle aziende (salvo alcune eccezioni) e comporta anche l’esame del corretto inquadramento tra gli e.n.c. e gli e.c.. Per le associazioni generiche (non ONLUS) il mantenimento della qualifica di ente non commerciale è infatti legato al fatto che l’attività istituzionale deve sempre essere “prevalente” rispetto alle attività commerciali. La prevalenza è un criterio che si presta a molte interpretazioni, in quanto va adattato alla realtà del singolo ente non profit. Ai fini fiscali l’art. 149 del T.U.I.R. offre vari indici presuntivi, che non vanno applicati in modo meccanico, ma che nel loro complesso e assieme ad altri elementi di valutazione raccolti dal fisco, possono costituire la base per eventuali accertamenti. Gli indici presuntivi sono i seguenti: a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all’attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività; b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali; c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali (contributi, sovvenzioni, liberalità, quote associative); d) prevalenza delle componenti negative inerenti all’attività commerciale rispetto alle restanti spese. Purtroppo questi parametri sono principalmente monetari e si scontrano con la realtà operativa tipica delle associazioni, ove spesso (non sempre) prevalgono attività non direttamente misurabili in moneta: ad es. le ore di lavoro gratuito dei soci, le conferenze gratuite offerte alla collettività, il coinvolgimento di giovani per le attività sportive, ecc.. In sostanza il fisco vuole colpire l’uso elusivo della forma di ente non commerciale per coprire attività lucrative, spesso svolte da un numero ristretto di persone per dividere tra loro gli utili. Anche per questo motivo si stanno diffondendo nel terzo settore le esperienze dei c.d. bilanci sociali, che tendono a mettere in evidenza dati qualitativi e quantitativi ulteriori (ore di assistenza prestate, numero di adozioni fatte, ecc.)

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

rispetto ai dati strettamente monetari (investimenti, fatturato, avanzi di gestione, ecc,).

In ogni caso la verifica (fiscale) della prevalenza delle attività istituzionali sulle attività commerciali va fatta per ogni periodo d’imposta (-> esercizio sociale). Questo punto è molto delicato e male si attaglia alla realtà operativa delle associazioni ed è strettamente collegato al principio fiscale dell’annualità dei debiti d’imposta. Secondo il fisco questa verifica va fatta dalla singola associazione addirittura in via preventiva (cioè ad inizio anno), altrimenti verrà fatta dallo stesso fisco, che ha però a disposizione gli ordinari termini per effettuare gli accertamenti (in genere 5 anni). Il passaggio di regime (da e.n.c. a e.c.) opera in modo retroattivo dall’inizio del periodo d’imposta in cui si verifica la prevalenza delle attività commerciali e comporta: • il cambio di regime fiscale generale (come visto sopra); • la perdita di tutte le agevolazioni (eventualmente) godute nel periodo d’imposta in quanto e.n.c. (es. raccolte fondi detassate); • l’obbligo di istituire le scritture contabili fiscali (es. decadenza dal regime L. 398/91); • il ricalcolo di tutte le imposte dovute sulla gestione commerciale (es. se tenuta con regimi forfetari). Come già detto, per espressa deroga di legge, la perdita di qualifica di e.n.c. non riguarda mai due categorie di soggetti: a) gli enti ecclesiastici riconosciuti dallo Stato in base ai vari Concordati; b) le associazioni sportive dilettantistiche. Il fisco ritiene, inoltre, che queste regole non siano applicabili alle ONLUS, per le quali si parla solo di decadenza dal regime ONLUS. Questa affermazione è formalmente corretta, ma occorre però fare attenzione al fatto che alcuni tipi di ONLUS (come le OdV) possono anche essere, di fondo, e.n.c. e che, in determinati casi, vi può essere l’interesse a mantenere tale qualifica, in quanto vi sono altre norme fiscali sparse nell’ordinamento che vi fanno specifico riferimento.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

4.3 Le norme fiscali applicabili agli e.n.c. Ai fini fiscali gli e.n.c. sono disciplinati, da varie classi di norme: • norme applicabili a tutti o a gran parte degli e.n.c. (-> diritto comune degli e.n.c.); • norme applicabili a settori degli e.n.c. in relazione al tipo giuridico (associazione, fondazione, comitato); • norme applicabili in relazione al settore di appartenenza (es. OdV, o.n.g., onlus, ecc.). Per risolvere i singoli casi occorre pertanto seguire questi criteri: a) definire l’insieme delle regole fiscali applicabili b) dividerle sui livelli di forza: la norma del livello più alto prevale e deroga quella del livello più basso c) applicare le regole più specifiche: la norma speciale prevale su quella generale d) in caso di compresenza di regole applicare quella di maggior favore. I livelli possono essere così schematizzati, rispettando i criteri di “alto” (maggiore forza) “basso” (minore forza). TIPO FISCALE

REGOLE APPLICABILI

OdV iscritte nel Registro, nei limiti fissati dal D.L. 185/08 (*)

• Regime del volontariato L. 266 Prevale su • Regime delle Onlus Prevale su • Regime di “decommercializzazione” art. 148 TUIR Prevale su • Diritto comune degli e.n.c.

OdV iscritte nel Registro, eccedenti i limiti fissati dal D.L. 185/08 (*)

• Regime del volontariato L. 266 Prevale su • Regime di “decommercializzazione” art. 148 TUIR Prevale su • Diritto comune degli e.n.c.

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

associazioni iscritte come ONLUS alla • Regime delle ONLUS D.R.E. Prevale su • Regime di “decommercializzazione” art. 148 TUIR Prevale su • Diritto Comune degli e.n.c. associazioni agevolate art. 148 TUIR

Regime di “decommercializzazione” art. 148 TUIR Prevale su • Diritto comune degli e.n.c.

Altre associazioni “normali”

Diritto Comune degli e.n.c.

(*) Dal 29/11/2008 il regime ONLUS si applica solo alle OdV che non svolgono attività commerciali diverse da quelle “marginali” previste dal D.M. 25/5/95 (v. capitolo specifico).

Le singole classi di norme sono sparse in varie leggi fiscali, di cui diamo un cenno sicuramente non esaustivo: diritto comune degli e.n.c.

– ai fini IRES: artt. 143-146, art. 149 del T.U.I.R. – ai fini IRAP: art. 10 D.P.R. 446/97 – ai fini IVA: art. 4 D.P.R. 633/72 – ai fini dell’accertamento: art. 20 D.P.R. 600/72

norme per le associazioni agevolate (attività “decommercializzate”)

– ai fini IRES: art. 148 del TUIR – ai fini IVA: art. 4 DPR 633/72

regime delle ONLUS

– artt. 10-29 D.LGS. 460/97

regime delle OdV

– artt. 8-9 L. 266/91 – D.M. 25/5/95 attività marginali

Emerge palese come l’intreccio di tutte queste norme possa comportare dubbi interpretativi sui singoli casi concreti.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Per le OdV, quindi, le varie attività svolte possono essere disciplinate da diversi regimi, che si sovrappongono uno all’altro, con effetti e adempimenti diversi. In particolare il regime delle ONLUS è importante per le OdV perché serve per considerare esenti da IRES gli utili derivanti da (eventuali) attività svolte in osservanza ai propri compiti istituzionali che, ai fini fiscali, hanno carattere di “impresa commerciale”. È il caso di molteplici prestazioni di servizi a enti o privati verso pagamento di corrispettivi (v. oltre): dal 29/11/2008, ex art. 20 del D.L. 185/2008, anche le OdV devono iscriversi all’Anagrafe delle ONLUS se vogliono godere di tale regime fiscale di favore. In sostanza il regime ONLUS diventa una “fictio juris” per continuare a considerare e.n.c. quell’associazione che, in realtà, si trova a svolgere attività d’impresa in modo prevalente. 4.4 Il regime fiscale degli e.n.c. di “diritto comune” 4.4.1 I principi generali Come detto sopra vi sono alcune norme fiscali che sono applicabili a tutti gli enti non profit che, ai fini fiscali, siano classificabili come e.n.c.. Limitandoci agli enti di diritto privato tali principi sono i seguenti: a) il reddito complessivo ai fini IRES è formato dalla somma di più categorie: fondiari, di capitale, d’impresa, diversi (art. 143 TUIR); b) il reddito complessivo è tassabile a prescindere dalla sua destinazione; c) ogni categoria di reddito è determinata distintamente in base al risultato complessivo di tutti i cespiti che vi rientrano (art. 144 TUIR). Questi principi: – marcano la differenza rispetto agli enti commerciali, che hanno sempre e solo un reddito d’impresa a prescindere dalla tipologia dei proventi percepiti; – impongono di valutare separatamente le varie attività svolte dall’e.n.c., per la loro corretta qualificazione fiscale (es. presenza contemporanea di attività commerciali d’impresa e attività commerciali occasionali); – prevedono la irrilevanza dello scopo “non di lucro” ai fini della tassazione (salvo specifiche esenzioni, come per le ONLUS). d) per le eventuali attività d’impresa commerciale (art. 144): – va tenuta la contabilità separata rispetto al settore istituzionale; 82


INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

– i costi promiscui tra settore istituzionale e settore d’impresa vanno ripartiti in proporzione ai rispettivi proventi; – i beni mobili utilizzati nell’impresa sono sempre soggetti al regime fiscale d’impresa”; – i beni immobili utilizzati nell’impresa sono soggetti al regime fiscale “d’impresa” solo se registrati come tali nei libri fiscali. Questi principi obbligano a separare contabilmente le due attività svolte, dando soprattutto evidenza al settore d’impresa commerciale (v. oltre). e) la qualifica di e.n.c. è soggetta a verifica annuale, con eventuale passaggio al regime degli enti commerciali (art. 149) Questo principio fa capire come il regime degli e.n.c. sia considerato, sostanzialmente, di favore per cui vi sia il pericolo di un suo uso abusivo per sfuggire alla corretta tassazione (v. sopra). f) Le quote versate dagli associati a titolo di quote o contributi non concorrono a formare il reddito complessivo; g) Le quote specifiche versate dagli associati a fronte della cessione di beni o prestazione di servizi concorrono a formare il reddito complessivo (art. 148) Questi principi riguardano gli enti a base associativa e prevedono che le quote sociali non siano rilevanti fiscalmente se sono versate a fronte del generale diritto di partecipare alla vita del sodalizio, mentre sono imponibili se collegate a specifiche controprestazioni (c.d. “corrispettivi specifici”). Tale regola verrà poi ulteriormente derogata per taluni tipi di enti a base associativa, per dare vita alle c.d. attività “de commercializzate” (v. oltre). 4.4.2 Le deroghe di “diritto comune” Anche a livello di “diritto comune” si riscontrano talune deroghe o agevolazioni per le attività “commerciali” svolte dagli e.n.c.. Esse riguardano (art. 143 TUIR): a) le prestazioni di servizi “non organizzate”; b) le raccolte di fondi; c) i contributi erogati da enti pubblici per talune attività. Le prime due norme riguardano un complesso di attività, mentre l’ultima riguarda singole operazioni: tale distinzione è importante perché incide sulla qualificazione complessiva dell’attività svolta. Nei primi due casi l’attività svol-

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

ta non è considerata di natura commerciale, mentre nel terzo caso l’attività può mantenere il carattere di “impresa commerciale”, con esenzione fiscale limitata ai soli contributi versati dagli enti pubblici. a) Le prestazioni di servizi “non organizzate” L’art. 143, 1° comma, del TUIR prevede che: “non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 del C.C. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione.”. In sostanza talune attività che, in astratto, avrebbero i requisiti della “commercialità”, vengono considerate “istituzionali” in presenza di vari requisiti alquanto elaborati che riguardano più aspetti: ASPETTI

VINCOLI DI LEGGE

Tipo di attività

– Solo prestazioni di servizi – Solo servizi diversi da quelli esplicitamente citati dall’art. 2195 C.C. (attività di trasporto, bancaria, assicurativa); – Le prestazioni sono conformi alle finalità istituzionali dell’e.n.c.;

Modo di gestione

I servizi non sono erogati da una apposita e separata organizzazione d’impresa rispetto alla struttura ordinaria dell’ente;

Ricavi realizzati

– Esistono corrispettivi specifici pagati dai fruitori; – I corrispettivi specifici non superano i costi di diretta imputazione (assenza di utile).

Si possono fare taluni casi di prestazioni di servizio verso corrispettivo: – l’ospitalità resa dai conventi (es. per ritiri spirituali o simili); – le attività corsuali svolte da enti non di tipo associativo per i propri iscritti o dipendenti (es. fondazioni o enti pubblici non economici). 84


INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

Le prestazioni devono essere conformi ai propri fini istituzionali, per cui non deve trattarsi di attività avulse da quelle svolte in via principale. Il requisito fondamentale (e più delicato) è quello che non esista una apposita organizzazione d’impresa. In sostanza le prestazioni devono essere effettuate utilizzando le risorse (mezzi e personale) già esistenti ed impiegate nell’attività istituzionale. I costi di diretta imputazione sono i costi strettamente inerenti la prestazione del servizio, con esclusione dei costi generali della struttura. Dato che i ricavi non devono superare i costi di diretta imputazione, ne deriva che il servizio non deve generare un utile. Ciò spiega la ratio della norma: in assenza di utile tassabile ai fini IRES si dispensa l’ente dall’osservanza delle norme strumentali (tenuta scritture contabili, dichiarazioni), in quanto inutili. L’agevolazione ai fini IRES può fare riferimento sia ad attività commerciali occasionali che ad attività commerciali continuative con carattere di impresa. Per quanto riguarda IVA, in assenza di una analoga agevolazione, si applicano i criteri generali: a) nel caso di attività commerciali occasionali l’IVA non si applica per principio generale (art. 4 DPR 633/72); b) nel caso di attività commerciali d’impresa l’IVA si applicherà secondo i criteri normali (v. R.M. 112 del 9/4/2002). È chiaro che si tratta di una agevolazione da utilizzare con grande cautela, in quanto si presta a contestazioni da parte del fisco (si veda la R.M. 9/4/2002 n. 112/E). In effetti essa è stata scarsamente approfondita dalla dottrina, in quanto ritenuta poco diffusa. b) Le raccolte di fondi L’art. 143, 3° comma, lett. A), prevede che non siano imponibili “i fondi pervenuti … a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”. L’argomento viene trattato nel capitolo dedicato al “fund raising”. c) I contributi pubblici L’art. 143, 3° comma, lett. B), prevede che non siano imponibili “i contributi corrisposti da amministrazioni pubbliche … per lo svolgimento convenzionato o in regime di accreditamento di cui all’art. 8, comma 7, del D. Lgs. 30/12/1992 85


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

n. 502, … di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali degli enti stessi.”. I requisiti della norma sono molto insidiosi e vanno tenuti in debita considerazione per evitare contrasti con il fisco: Soggetto erogante

Ente pubblico

Soggetto percipiente

E.n.c.

Rapporto: forma

– Convenzione – Accreditamento

Rapporto: attività

– Con finalità sociale – Conforme ai fini istituzionali dell’e.n.c.

Si segnala che il requisito soggettivo di e.n.c. deve essere presente a prescindere dall’importo del contributo in esame (v. R.M. 4/3/2002 n. 70/E). Il fisco ha allargato il concetto di contributo, includendovi anche quelli “corrispettivi”, cioè quelli commisurati ad una qualche unità di misura (es. un tot a prelievo del sangue). La norma agevolativa deriva in sostanza dalla natura pubblica del committente, e dallo strumento giuridico utilizzato (convenzione o accreditamento) che contiene in sé una valutazione positiva dell’operato del singolo e.n.c., assunto quale partner per interventi di tipo sociale. Ardua è la delimitazione dei confini delle attività “sociali” previsti dalla norma. In primo luogo si rileva che la norma non parla di “assistenza sociale”, per cui si va oltre gli ambiti previsti dalle leggi di settore (v. capitolo sulle ONLUS). È probabile che con la parola “sociale” si intendano tutte quelle attività svolte nei confronti ed a vantaggio della collettività e non (solo) dei soci del singolo e.n.c.: sul punto non risultano ancora chiari indirizzi interpretativi ufficiali. In questo modo sono certamente esenti tutti i contributi relativi a prestazioni delegate dagli assessorati ai servizi sociali e sanitari e dagli enti pubblici a loro strumentali. Forse non sono esenti i contributi erogati per attività sportive gestite dalle a.s.d. per i propri iscritti, salvo quelle per gli sportivi disabili, o per attività scolastiche.

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

Per le ONLUS tale esenzione di singoli tipi di ricavi è assorbita dalla più generale esenzione da IRES dell’intero utile d’impresa.

Occorre fare molta attenzione al fatto che, come detto all’inizio, l’attività in esame potrebbe mantenere il suo carattere di fondo di “impresa commerciale”, mentre solo l’importo del contributo versato dall’ente pubblico sarebbe esente da IRES. Resterebbero quindi in vigore gli altri eventuali adempimenti fiscali legati alla sua inerenza al settore imprenditoriale (es. scritture contabili, regime IVA, regime IRAP, ecc.). L’eventuale applicazione di tale esenzione ai singoli ricavi derivanti da convenzioni comporterà l’applicazione della regola fiscale di indeducibilità di una serie di spese generali relative alla gestione del ramo imprenditoriale, tramite un particolare calcolo (pro-rata di indeducibilità). La questione è tecnicamente complessa e va affrontata con un consulente.

4.5 Le attività istituzionali “decommercializzate” 4.5.1 In generale Vari tipi di prestazioni di servizi e alcuni casi di cessione di beni svolte verso corrispettivo dagli enti non commerciali di tipo associativo, ivi comprese le OdV iscritte e non iscritte, possono godere di un regime fiscale di favore, se svolte nel rispetto di determinati requisiti formali e sostanziali. Si tratta di molteplici attività a pagamento svolte (esclusivamente o principalmente) a favore dei soci, tra cui si segnalano: • corsi svolti nei confronti dei soci • gestione diretta di un bar interno al circolo • pubblicazione di un bollettino • gestione di spettacoli per i soci. Abbiamo visto che una OdV deve tendere ad operare con la collettività in genere, più che con i soci. Tuttavia non si può escludere che queste attività “interne” possano coesistere con le attività “esterne”, specie in alcuni tipi di OdV (si pensi a quelle culturali). Anzi l’applicabilità di tale norma anche alle OdV è confermata dall’art. 9 della L. 266/91 e, a contrario, dal D.M. 25/5/95 che esclude da tassazione le attività “eccedenti” quelle previste dall’art. 148 del T.U.I.R. (art. 1 lett. E).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

La disciplina fiscale di favore è contenuta principalmente nell’art. 148 del T.U.I.R. (e nell’art. 4 ai fini IVA) ed è riservata alle associazioni che siano, comunque, qualificabili come enti non commerciali. In caso di perdita di tale qualifica questo regime decade automaticamente. L’agevolazione consiste, in sostanza, nel non considerare “imprese commerciali” alcune attività che, per loro natura, sono sicuramente tali. In questo senso si usa il termine di attività “decommercializzate”, il cui regime fiscale viene per legge parificato a quello delle attività istituzionali “pure”. In tal modo i corrispettivi percepiti dall’associazione non sono soggetti ad IVA (salvo una eccezione), non occorre tenere le scritture contabili e non entrano a far parte del reddito imponibile ai fini IRES o IRAP, ecc.. Per godere di tale regime l’associazione deve avere uno statuto redatto (almeno) con una scrittura privata registrata che deve obbligatoriamente contenere le note clausole antielusive indicate dall’art. 148 TUIR, già esaminate nei capitoli precedenti. Le OdV iscritte (ex art. 9 della L.266/91) possono godere di tale regime anche in assenza delle clausole antielusive: tuttavia si consiglia sempre di inserirle a scapito di contestazioni degli uffici fiscali. Con il D.L. 185/2008, con effetto dal 29/11/2008, questo regime è applicabile solo previo invio telematico all’Agenzia delle Entrate di un apposito prospetto riportante dati e notizie dell’associazione. In sostanza il fisco vuole censire gli e.n.c. che applicano questo regime al fine di focalizzare su di essi opportuni controlli. Sono espressamente esclusi dall’obbligo di inviare questo prospetto taluni tipi di associazioni: a) OdV iscritte nel Registro Regionale, che non svolgono attività commerciali diverse da quelle “marginali previste dal D.M. 2575/95; b) associazioni pro-loco, che svolgano attività commerciali in regime forfetario ex L. 398/91; c) associazioni sportive dilettantistiche iscritte nel Registro CONI, che non svolgono attività commerciale. Stante le incertezze interpretative su tale nuovo adempimento (aumentate in seguito alla Circ. 9 del 12/4/2009) è opportuno che anche gli enti formalmente esonerati provvedano ugualmente all’invio telematico del prospetto. Superato lo scoglio dello statuto e dell’invio telematico del prospetto, il regime agevolato dell’art. 148 TUIR poggia su tre aspetti: 88


INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

• • •

il settore di attività dell’associazione lo specifico tipo di attività da svolgere la qualità di socio del soggetto fruitore.

In sostanza vengono agevolate attività commerciali che non dovrebbero essere svolte nei confronti del “mercato”, ma solo a favore della propria base sociale, ristretta o allargata (v. oltre). 4.5.2 I tipi di associazioni agevolate Le associazioni che possono godere del regime agevolato ex art. 148 TUIR sono le seguenti: • politiche • sindacali • di categoria • religiose • assistenziali • culturali • sportive dilettantistiche • di promozione sociale (-> il fisco ne ha dato un’interpretazione in senso ampio comprensiva anche delle OdV) • di formazione extrascolastica della persona (-> es. università degli adulti). Si noti come la definizione fiscale di APS sia molto variabile, in quanto può assumere almeno tre valenze: a) “generica”, ai fini dell’applicazione della prima parte dell’art. 148 TUIR (e comprende anche le OdV per esplicita ammissione del fisco); b) “uso bar”, ai fini dell’agevolazione per la gestione diretta del bar (e comprende solo quelle affiliate agli enti nazionali di promozione sociale); c) “uso L. 383”, per le agevolazioni previste dalla legislazione di settore (e comprende solo quelle iscritte nell’apposito Registro). Le prime due valenze sono storicamente nate insieme all’art. 148 del TUIR, mentre la terza è sopravvenuta nel 2000 con l’approvazione di una legge di settore.

4.5.3 Le attività agevolate e quelle escluse Le attività agevolate, per la generalità delle associazioni, sono le seguenti: • attività di prestazioni di servizi ai soci svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, in presenza di corrispettivi specifici;

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• •

cessione (a pagamento) di proprie pubblicazioni ai soci; cessione (a pagamento) di proprie pubblicazioni anche a non soci (purchè in modo non prevalente rispetto alle cessioni ai soci).

Vi sono poi ulteriori attività agevolate in funzione del tipo di associazione: TIPO DI ATTIVITÀ AGEVOLATA

ASSOCIAZIONI AGEVOLATE

Somministrazione di alimenti e bevande (-> bar)

Associazioni di Promozione Sociale SOLO SE iscritte agli enti di promozione nazionale

Organizzazione di viaggi e soggiorni turistici (-> esente ai fini IRES ma soggetta ad IVA)

Cessione delle pubblicazioni sui contratti collettivi di lavoro

• •

Associazioni Sindacali Associazioni di Categoria

Consulenza in materia di applicazione dei contratti collettivi e di legislazione del lavoro

• •

Associazioni Sindacali Associazioni di Categoria

• • • •

Associazioni di promozione sociale iscritte agli enti di promozione nazionale Associazioni Politiche Associazioni Sindacali Associazioni di Categoria Associazioni religiose riconosciute ai fini concordatari

Si vede come le attività più importanti sono quelle di prestazione di servizi. Si ricorda che, trattandosi di un regime agevolativo, le tipologie di attività non possono essere estese oltre quelle espressamente previste dall’art. 148 TUIR. L’art. 148 del TUIR esclude espressamente da questo regime agevolato vari tipi di attività di prestazione di servizi nonché l’attività di commercio di beni nuovi, a cui occorre prestare molta attenzione.

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

ATTIVITÀ SEMPRE ESCLUSE DAL REGIME DELLA “DECOMMERCIALIZZAZIONE”: • Cessione di beni nuovi prodotti per la vendita (-> commercio) • Somministrazione di pasti (-> ristorante) • Erogazione di acqua, gas, energia elettrica e vapore • Prestazioni alberghiere • Prestazioni di alloggio • Prestazioni di trasporto • Prestazioni di deposito • Prestazione di servizi portuali e aeroportuali • Gestione di spacci aziendali • Gestione di mense • Gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale • Pubblicità commerciale • Telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari Si notano alcune particolarità: • è agevolabile l’attività del bar, ma non quella del ristorante; • è agevolabile l’attività di organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, ma non quella di gestione di strutture ricettive. Con la riforma del settore in molte Regioni non esiste più la differenza amministrativa tra bar e ristorante, uniti nella definizione di “pubblico esercizio”.

Per ottenere l’agevolazione occorre però che esista un nesso di stretta correlazione tra l’oggetto sociale indicato nello statuto e l’attività che, in concreto, viene svolta. In assenza di tale legame di “diretta attuazione” degli scopi sociali l’agevolazione non spetta e il fisco può recuperare a tassazione le quote incassate. Ad esempio un’associazione sportiva dilettantistica non può godere di questo regime agevolato per corsi di informatica o di lingue straniere. Un’associazione culturale deve effettuare corsi inerenti il proprio campo d’azione come indicato nello statuto: se è di natura artistica potrà fare corsi di storia dell’arte, ma non di cucina macrobiotica, se è di natura ambientalista potrà fare corsi di birdwatching e non potrà fare corsi di nuoto, ecc.. Un’OdV operante nel settore socio-assistenziale potrebbe organizzare corsi di psicologia o simili a pagamento per i propri soci.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

4.5.4 I fruitori del servizio È necessario che i fruitori (paganti) del servizio siano esclusivamente i soci (e per le APS anche i familiari conviventi) e figure assimilate: FRUITORI DEL SERVIZIO

CONDIZIONI

Soci dell’associazione

Tessera in corso di validità

• •

Facenti parte di una unica organizzazione locale o nazionale a cui si aderisce (es. arci, anspi, ecc.)

Altre associazioni Loro soci

Soci diretti di organizzazioni nazionali cui si aderisce

Es. soci di Federazioni Sportive Nazionali

Si segnala che questa condizione non si verifica, ad esempio, quando si svolgano attività di prestazioni di servizi, in astratto agevolabili, per conto di enti non soci (es. Comune) che provvedono al pagamento diretto di quanto richiesto dall’associazione, anche se il servizio è usufruito da persone fisiche socie o che potrebbero farsi socie. Questo può accadere nei vari servizi a valenza sociale-assistenziale.

È importante ripetere che in mancanza di tutti questi requisiti (statuto, prospetto telematico, tipo di attività, soci) non può essere applicato il regime fiscale agevolato ex art. 148 TUIR (e art. 4 DPR 633/72 per l’IVA) e si ricade nell’ipotesi di attività di tipo commerciale “normale” con tutti gli adempimenti del caso. 4.6 I privilegi di alcuni tipi di e.n.c. 4.6.1 In generale Come si è visto il sistema della “decommercializzazione consente ad una larga parte delle associazioni di superare i problemi di fondo del regime fiscale degli e.n.c.: individuare le attività commerciali, tenere la contabilità separata, pagare le imposte, evitare di perdere il regime di favore degli e.n.c. in caso di prevalenza delle attività commerciali, ecc.. Alcune realtà del non profit sono riuscite ad ottenere ulteriori agevolazioni, che si traducono in altrettanti “privilegi”, cioè nella sottrazione (parziale o totale) al diritto comune degli enti non commerciali. 92


INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

Tale ricerca di “privilegi” è la spia che il regime fiscale degli e.n.c. non riesce a trovare soluzioni adatte alla mutata situazione economica e sociale in cui si trovano ad operare oggi molti e.n.c., che debbono, per scelta o perché parti di un sistema più complesso, svolgere attività aventi si rilevanza sociale, ma che comportano l’impiego di notevoli risorse umane e finanziarie, spesso con la veste formale di attività “imprenditoriali”.

Questi “privilegi” hanno portata diversa e possono riguardare: • l’intera attività dell’ente non profit; • larghi settori d’attività; • singole prestazioni. Si tratta di un fenomeno destinato ad allargarsi per effetto di “imitazione”: vedendo questi privilegi concessi ad alcuni tipi di e.n.c. altre categorie si muovono e cercano di ottenerne l’estensione a proprio beneficio. In questo modo il regime fiscale degli e.n.c. perde ancora di più il suo carattere di “sistema” per divenire sempre più disorganico e, soprattutto, irrazionale. Si riportano qui alcuni esempi che riguardano “privilegi” che riguardano intere categorie di enti non profit, rinviando alla parte sulle prestazioni di lavoro per i “privilegi” più limitati. 4.6.2 Le associazioni sportive dilettantistiche Si è visto come il regime fiscale degli e.n.c. contenga un’importante clausola di decadenza: in caso l’attività svolta in un periodo d’imposta sia prevalentemente commerciale, l’intero ente ritornerà al regime degli enti commerciali, soggiacendo a tutti gli obblighi tipici delle società imprenditoriali (contabilità, bilancio, tassazione su tutti i proventi, soggezione ad IVA, ecc.). Si è altresì visto che tale prevalenza viene valutata per singolo periodo d’imposta e, pur con tutte le cautele del caso, attraverso dei “parametri” che sono, principalmente, monetari e/o quantitativi. Questo inquadramento ha causato per anni notevoli dubbi alle associazioni sportive dilettantistiche, ove i ricavi da sponsorizzazioni erano (e sono) superiori alle entrate istituzionali (quote di frequenza, ecc.) e ove, soprattutto, le risorse pubbliche erano (e sono) cronicamente insufficienti per gestire gli impianti e le attività sportive. Questo problema è stato risolto con due interventi legislativi di favore (di cui il primo ha il carattere di un vero e proprio “privilegio”):

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

a) le a.s.d. sono e.n.c. per presunzione di legge, senza che ad esse si applichi il regime della decadenza (art. 149, 4° Comma, TUIR); b) è stato aumentato a € 250.000,00= il limite di ricavi entro il quale si può applicare il regime contabile forfetario ex L. 398/91 (v. oltre). A presidio di tali norme di favore è stato posto il vincolo di essere parte dell’ordinamento sportivo, con il duplice obbligo di: a) affiliazione sportiva (federazione, ente di promozione sportiva); b) iscrizione nel Registro tenuto dal CONI. Si tratta quindi della conquista di un “privilegio” parziale: le a.s.d. sono sempre considerate e.n.c., ma continuano a pagare le imposte sui ricavi di natura commerciale. 4.6.3 Le AVIS e simili Facendo un ulteriore passo in avanti un intero settore del non profit è riuscito ad ottenere una legge che estende il regime di irrilevanza fiscale a tutte le sue attività ed atti, a prescindere dall’indagine sul carattere commerciale o meno di talune di esse. L’art. 9 della L. 219/2005 prevede infatti che “non sono soggetti ad imposizione tributaria le attività e gli atti che le associazioni di donatori volontari di sangue e le relative federazioni … svolgono in adempimento delle finalità della presente legge e per gli scopi associativi.”. L’unico vincolo è che gli statuti di tali enti corrispondano alle finalità previste dall’art. 7 della L. 219/2005 (promozione della donazione organizzata di sangue e tutela dei donatori) e alle indicazioni fornite dal Ministero della Salute (D.M. 7/6/1991). SOGGETTI Associazioni di donatori volontari del sangue Federazioni

TIPO OPERAZIONI • •

Attività Atti

AMBITO • •

Finalità ex L. 219/2005 Per scopi associativi

Questa irrilevanza fiscale si estende a tutti i tipi di imposte presenti nel nostro ordinamento, sia relative alle attività (IVA, IRES, IRAP), che ai singoli atti posti in essere (bollo, registro, ii.cc., ecc.). La ris. 3/8/2006 n. 98 ha affermato, ad esempio, che queste associazioni/fede94


INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

razioni non sono soggette ad IRAP fin dal periodo d’imposta 2005. Ad esempio tali associazioni/federazioni potranno svolgere attività di servizio a pagamento anche senza considerare i requisiti formali e sostanziali delle attività “decommercializzate” ex art. 148 TUIR; potranno acquistare beni immobili senza pagare le imposte di registro e ii.cc. (se destinati alle attività istituzionali), ecc.. 4.6.4 Le associazioni per manifestazioni storiche L’art. 1, commi 185-187, della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007) ha introdotto un “privilegio” ancora più forte per taluni enti non profit attivi nelle manifestazioni storiche. Si tratta di norme palesemente “ad personam”, scritte in termini ambigui per la cui applicazione è stato pubblicato un apposito elenco.

I caratteri del nuovo regime sono i seguenti: REGIME ASSOCIAZIONI PER MANIFESTAZIONI STORICHE Soggetti ammessi

Associazioni

Attività svolte: tipologia

Realizzano o Partecipano

Attività svolte: vincolo geografico

Manifestazioni • Storiche • Artistiche • Culturali Manifestazioni legate a usi e tradizioni comunità locali

Vincoli burocratici

Solo se inserite in apposito elenco (D.M. Ministro Economia e Finanza)

Vincolo di bilancio statale

Onere per lo Stato ≤ 5 ml. € per anno

Vantaggi fiscali: sostanziali

Esenzione soggettiva da IRES (art. 74, 1° comma, TUIR)

Vantaggi fiscali: adempimenti

• Esenzione da obbligo di ritenute d’acconto • Esenzione da obbligo tenuta scritture contabili ai fini II.DD.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Adempimenti rimasti

• Soggezione ad IRAP (imposta e dichiarazione) • Soggezione ad IVA (se del caso) • Scritture contabili ai fini IVA ( “ “ “ )

Risorse umane e finanziarie

Prestazioni Dazioni

Decorrenza

Dall’1/1/2007

Da persone fisiche

Sempre liberalità ai fini ii.dd.

In sostanza per tali associazioni il “privilegio” consiste nell’essere state esentate dall’IRES per tutti i redditi di cui possono disporre: d’impresa (-> sponsorizzazioni), di fabbricati (-> affitti), di capitale (-> dividendi), diversi (-> premi o altro). Si tratta, tecnicamente, della stessa esenzione da IRES prevista per lo Stato, gli enti locali e gli altri enti pubblici. Le associazioni sono state quindi parificate, nella scala dei valori, agli enti che perseguono finalità “pubbliche”. Ad esempio un’associazione “storica” in possesso di P.IVA potrà continuare ad emettere fatture per pubblicità e sponsorizzazioni, deducibili dalle imprese, senza pagare IRES.

Occorre prestare attenzione che tale esenzione non copre altri tipi di imposte, per cui le associazioni restano soggette ad IRAP e ad IVA. Continuando l’esempio sopra indicato, l’associazione che emette fatture per pubblicità e sponsorizzazioni sarà tenuta ad applicare (e versare al fisco) l’IVA sulle fatture emesse, nonché a pagare l’IRAP sul reddito fiscale di tale attività commerciale, oltre che sugli altri elementi imponibili (retribuzioni, compensi co.co.co., ecc.). Inoltre essa dovrà continuare a tenere le scritture contabili, anche se solo ai fini IVA.

Rilevante è l’esonero dall’obbligo di effettuare le ritenute d’acconto, e dal connesso obbligo di presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta mod. 770. La norma sulle risorse porta a vari dubbi, in quanto espressamente valevole ai soli fini delle imposte dirette: a) riguarda solo le risorse provenienti da persone fisiche: con questa terminologia il fisco considera solo i “privati” e non i soggetti economici (professionisti e ditte individuali);

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

b) riguarda le “prestazioni” e le “dazioni” per cui sembra riferirsi alla prestazione di lavoro e alla consegna di “cose” e “valori”; c) presunzione di liberalità: – può essere vista dal lato dell’associazione per cui le prestazioni personali sono sempre considerate gratuite e le dazioni sempre senza alcun obbligo di corrispettivo; – può essere vista dal lato della persona fisica, per cui le dazioni di denaro o cose sono sempre offerte (detraibili dal proprio reddito?). Talune di queste associazioni possono anche godere del regime di favore ai fini ENPALS per le prestazioni rese durante le manifestazioni (v. oltre par. 10.9).

Per godere di questo nuovo regime le associazioni devono essere iscritte in un elenco tenuto dal Ministero dell’Economia e Finanza, nel limite della stanziamento di bilancio. L’Agenzia delle Entrate è delegata ad effettuare verifiche a campione sulle associazioni iscritte, per verificare l’effettivo diritto al godimento delle agevolazioni fiscali. Il D.M. 8/11/2007 n. 228 (in G.U. 288 del 12/12/2007) prevede la formazione del primo elenco delle associazioni agevolate, con i seguenti punti: • obbligo di fare domanda dal 20/7 al 20/9 di ogni anno (per il primo anno il termine è di 60 gg. dalla pubblicazione del D.M. sulla Gazzetta Ufficiale) • obbligo di inviare tale domanda in via telematica • contenuti della domanda: a) assenza del fine di lucro b) l’opera per la realizzazione e/o la partecipazione a manifestazioni di particolare interesse storico, artistico e culturale, legate agli usi e alle tradizione delle comunità locali, espressamente previste tra le finalità istituzionali; c) l’effettiva opera svolta per la realizzazione o partecipazione alle manifestazioni cui alla lettera b), svolte nell’ambito territoriale di appartenenza dell’associazione, ovvero in altri ambiti territoriali, solo nel caso in cui la manifestazione per ragioni storiche si svolga oltre che nel proprio ambito anche in altri luoghi d) il reddito complessivo dell’associazione relativo all’anno precedente e) da quale anno effettivamente svolge in modo continuativo le attività di cui alla lettera b) f) da quale anno si svolge la manifestazione di cui alla lettera b).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• criteri per la graduatoria, a cascata 1° anzianità di prestazione d’opera (sopra lettera e) 2° a parità: anzianità della manifestazione (sopra lettera f) 3° a parità: ordine cronologico di presentazione della domanda • pubblicazione della graduatoria entro il 30/10 di ciascun anno In sede di prima applicazione la domanda avrà valore per il biennio 2007/2008.

4.6.5 I gruppi di acquisto solidale L’art. 1, commi 266-268, della L. 244/2007, in vigore dall’1/1/2008, ha riconosciuto, a livello fiscale, i gruppi di acquisto solidale (g.a.s.). Si tratta di associazioni che acquistano merci direttamente dai produttori o dai grossisti, in genere derivanti da circuiti “etici”, per distribuirli ai soci, garantendo un prezzo più basso rispetto a quello offerto dall’usuale rete distributiva. A ben vedere si tratta della riscoperta moderna, da parte di un ceto sociale più istruito e consapevole (e anche più affluente), dello spirito delle prime cooperative di consumo sorte del XIX secolo, a cominciare dalla nota cooperativa dei “Probi pionieri di Rochdale” in Gran Bretagna.

Ai fini fiscali tali g.a.s. erano considerati “enti commerciali”, in quanto compravano e rivendevano “prodotti nuovi”, per cui non potevano godere del regime agevolato delle attività “decommercializzate” ex art. 148 TUIR. La nuova norma consente ai g.a.s. di applicare proprio questo regime in presenza dei seguenti vincoli: CARATTERI DEI G.A.S. Soggetti ammessi

Associazioni senza scopo di lucro

Vincoli formali

Presenza nello statuto delle clausole antielusive (art. 148, 8° comma, TUIR) Acquisto collettivo di beni: – Vendita ai soli soci – Assenza di ricarico sui costi Escluse: – Attività di somministrazione – Attività di vendita “normale”

Attività

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

Vincoli “etici”

Attività svolta con finalità – etiche – Di solidarietà sociale – Di sostenibilità ambientale

Agevolazioni fiscali

Applicazione del regime delle attività “decommercializzate”: a) ai fini IRES ex art. 148 TUIR b) ai fini IVA ex art. 4 D.P.R. 633/72.

La norma non pare richiedere che l’attività di g.a.s. sia l’attività esclusiva dell’associazione, anche se l’agevolazione fiscale copre solo questo tipo di attività di acquisto collettivo e non le altre eventualmente esercitate, che dovranno avere il loro corretto inquadramento fiscale. In ogni caso lo statuto dovrà fare riferimento ai termini usati dalla norma e, soprattutto, rispettare i vincoli sostanziali sopra indicati: finalità etica e assenza di ricarico. Pare difficile immaginare che un g.a.s. possa ottenere la qualifica di OdV, almeno per due ordini di motivi: 1) l’attività di acquisto/rivendita di merci è, per legge, rivolta ai soci e non ai terzi in genere (come deve essere per le OdV); 2) i soci traggono un beneficio patrimoniale dall’attività dei g.a.s. (risparmio sul prezzo di mercato), incompatibile con l’art. 2 della L. 266/91 che nega ai soci la possibilità di perseguire tramite l’associazione “fini di lucro anche indiretto”. Anche la qualifica di ONLUS pare non compatibile con il regime dei g.a.s. perché: • l’attività di acquisto/rivendita di merci non pare ricadere in uno dei settori di attività obbligatori (art. 10, 1° comma, lett. a) D. Lgs. 460/97); • i soci ne trarrebbero un lucro indiretto, vietato dall’art. 10, 6° comma, D. Lgs. 460/97). Si segnala che in alternativa ai g.a.s. si possono costituire cooperative di consumo: è però necessario un livello di fatturato in grado di coprire le maggiori spese amministrative.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

4.7 Gli obblighi fiscali delle attività istituzionali Il settore istituzionale di un’associazione può comprendere quattro macro classi di attività: a) attività istituzionali tipiche dell’ente; b) attività di mera gestione del patrimonio; c) attività a pagamento in regime di “decommercializzazione”; d) attività di “fund raising”. Per le attività sub a) e b) non esistono obblighi fiscali specifici per gli enti non profit: ad esempio per gli eventuali redditi patrimoniali (affitti, interessi su titoli, dividendi, ecc), vige la tassazione ordinaria ai fini IRES. Le attività sub c) sono vincolate al rispetto dei requisiti formali e sostanziali previsti dall’art. 148 del TUIR (v. sopra) e, in tal caso, sono fiscalmente irrilevanti. Le attività sub d) sono fiscalmente irrilevanti (art. 143 TUIR), salva l’osservanza di requisiti formali e sostanziali (si veda il capitolo sul fund raising). L’associazione, in presenza di sole attività istituzionali, deve richiedere il solo codice fiscale (la P.IVA riguarda solo l’esercizio di attività d’impresa). Anche in presenza di attività commerciali occasionali è sufficiente il solo codice fiscale.

Riportiamo una breve sintesi dei principali aspetti fiscali delle attività istituzionali, rinviando ai successivi paragrafi il necessario approfondimento. a) IVA Le attività istituzionali (di tipo non commerciale) non sono soggette ad IVA per principio generale, per cui da un lato non occorre emettere la fattura, dall’altro non si può detrarre l’IVA sugli acquisti ad esse relative. b) IRES L’associazione pagherà l’imposta sul reddito delle società solo in presenza di redditi imponibili, derivanti ad esempio dal possesso di immobili o di altri redditi (v. oltre). Si tenga presente che la maggior parte dei redditi derivanti da capitali (es. interessi del conto corrente, proventi di gestioni patrimoniali) sono già tassati alla fonte e non vanno dichiarati. 100


INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

L’aliquota IRES è pari al 27,5%. Tale aliquota può essere ridotta alla metà per le associazioni elencate nell’art. 6 del DPR 601/73, solo se dotate di riconoscimento della personalità giuridica: • enti di assistenza sociale • istituti di istruzione senza scopo di lucro • associazioni storiche, letterarie e scientifiche aventi scopi esclusivamente culturali • enti ecclesiastici.

c) IRAP Gli e.n.c. devono pagare l’Irap anche in presenza di sola attività istituzionale, con riferimento ai compensi di lavoro (dipendente o assimilato o autonomo) corrisposti a terzi. L’attività commerciale è tassata con il criterio del bilancio (v. oltre). Si ricorda che: • esiste una franchigia esente da imposta di € 7.350,00; • alcune Regioni hanno deliberato riduzioni all’aliquota ordinaria del 3,9% per le ONLUS o addirittura esenzioni totali. d) RITENUTE D’ACCONTO AI FINI IRPEF L’associazione è, in ogni caso, sostituto d’imposta, per cui nel caso paghi dei compensi ai prestatori di lavoro (sia dipendente che autonomo) ha l’obbligo di effettuare la ritenuta d’acconto ai fini IRPEF e di versarla al fisco entro il 16 del mese successivo. In presenza di ritenute l’associazione dovrà presentare ogni anno la dichiarazione dei sostituti d’imposta (mod. 770). Ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 445/97 alcune associazioni possono versare le ritenute in termini più lunghi, se rispettano i seguenti parametri:

condizioni soggettive

Tutti i sostituti d’imposta

Condizioni oggettive

• Presenza esclusiva di ritenute di lavoratori autonomi • Non oltre tre lavoratori autonomi • Importo totale ritenute ≤ € 1.032,91=

Termini di versamento

Entro il termine per il versamento a saldo imposte

Ritenute

sul reddito (20/6 anno successivo)

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

e) INPS E INAIL L’associazione può essere chiamata a versare i contributi INPS ed INAIL in presenza di rapporti di lavoro subordinato, para subordinato, associazione in partecipazione con apporto di sola opera e di lavoro autonomo occasionale (quest’ultimo solo se eccedente determinati limiti): sul punto si rinvia all’apposito capitolo. 4.8 Il periodo d’imposta Ogni ente ha per statuto un proprio esercizio sociale, che può coincidere o meno con l’anno solare. Ai fini fiscali esso si chiama “periodo d’imposta”. Se l’esercizio sociale coincide con l’anno solare non ci sono complicazioni fiscali. In caso contrario gli obblighi fiscali a volte seguono l’esercizio sociale e a volte seguono l’anno solare. Ecco un esempio (non esaustivo) della diversa incidenza temporale degli obblighi civili, fiscali e previdenziali nel caso l’esercizio sociale NON coincida con l’anno solare: ADEMPIMENTO

PERIODICITÀ

Bilancio dell’ente

Esercizio sociale

Dichiarazione IRES

Esercizio sociale

Dichiarazione IRAP

Esercizio sociale

Comunicazione dati IVA (*)

Anno solare

Dichiarazione IVA (*)

Anno solare

Dichiarazione mod. 770

Anno solare

Dichiarazione e pagamento ICI

Anno solare

INPS per lavoro subordinato e para subordinato

Anno solare

INAIL (come sopra)

Anno solare

(*) Le associazioni in regime L. 398/91 non presentano questi documenti.

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

4.9 Il reddito complessivo degli e.n.c. 4.9.1 In generale Ai sensi dell’art. 143 T.U.I.R. il reddito complessivo degli e.n.c. (e per estensione delle ONLUS e delle OdV) è formato dalla somma delle seguenti categorie di redditi: • fondiari • di capitale • d’impresa • diversi. • Il T.U.I.R. indica per ogni categoria di redditi: • quali cespiti vi rientrano • le modalità di computo. • I redditi vengono tassati: • •

ovunque prodotti (anche all’estero, salve le norme dei trattati contro le doppie imposizioni) quale ne sia la destinazione.

Sono esclusi dal reddito complessivo alcuni tipi di redditi: • esenti; • soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (es. interessi dei c/c); • soggetti ad imposta sostitutiva (es. proventi dei fondi d’investimento). Si ricordano alcune esenzioni/esclusioni da IRES tipiche • degli e.n.c. in genere o di alcune categorie: • redditi d’impresa delle ONLUS (art. 150 TUIR); • proventi da raccolte fondi occasionali per tutti gli e.n.c. (art. 143 TUIR); • ricavi per contributi da enti pubblici per attività d’impresa svolte in convenzione, se di rilevanza sociale (art. 143 TUIR); • redditi derivanti da attività marginali delle OdV (art. 8 L. 266/91); • redditi derivanti da attività decommercializzate per gli e.n.c. di tipo associativo (art. 148 TUIR) e per le OdV (art. 9 L. 266/91). Diamo alcuni cenni sulle varie categorie di redditi, rinviando ai prossimi capitoli per la trattazione del reddito d’impresa.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

4.9.2 I redditi fondiari Questa categoria comprende i redditi: • relativi ai terreni e ai fabbricati; • situati in Italia; • che sono o devono essere iscritti nel catasto (diviso tra catasto terreni e catasto edilizio); • con attribuzione di rendita. La disciplina fiscale è contenuta negli artt. 25-43, 185, 190 del TUIR, con integrazioni derivanti da varie leggi settoriali (es. per le locazioni). I redditi dei terreni e dei fabbricati possono essere: • effettivi (es. canoni di locazione); • virtuali (rendite catastali). Le rendite catastali vengono calcolate dall’Agenzia del Territorio con riferimento a conteggi di redditività presunta. Per i terreni vige la particolarità per cui il fisco calcola due rendite separate: reddito dominicale e reddito agrario. Le rendite catastali servono anche per la tassazione ai fini ICI. Non sono produttivi di (autonomo) reddito fondiario gli immobili relativi ad imprese commerciali (es. capannoni, uffici, ecc.) perché vengono compresi nel calcolo del reddito d’impresa. Il fisco ha chiarito che gli immobili di proprietà delle ONLUS (e quindi anche delle OdV) sono soggetti ad IRES, con riferimento alle rendite catastali, anche se utilizzati direttamente per la propria (eventuale) attività d’impresa.

Per gli e.n.c. proprietari di fabbricati i canoni di locazione sono imponibili IRES al 100% e non nella misura ridotta dell’85% come avviene per le persone fisiche. 4.9.3 I redditi di capitale Tali redditi sono costituiti dagli interessi, dai proventi e dalle plusvalenze derivanti dal possesso e scambio di titoli di vario tipo, da depositi di denaro o comunque da impiego di denaro. Si tratta quindi di interessi da c/c bancari, dividendi da azioni, utili da gestioni patrimoniali o da fondi di investimento, ecc.. Se questi redditi derivano da cespiti relativi all’attività istituzionale vengono tassati: • con il criterio di cassa (momento di percezione);

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

• in genere con ritenute a titolo d’imposta; • per l’intero importo percepito. Se questi redditi derivano da cespiti relativi all’attività commerciale vengono tassati: • con il criterio di cassa o di competenza (secondo i tipi di reddito); • in genere con ritenute a titolo d’acconto; • per l’intero importo. Si ripete che molti redditi di capitale sono soggetti a tassazione alla fonte o di tipo sostitutivo per cui non vanno riportati nella dichiarazione dei redditi. Per gli e.n.c. e per le ONLUS i dividendi derivanti da azioni sono imponibili ai fini IRES nel limite del 5% del loro importo, senza alcun tipo di ritenuta.

4.9.4 I redditi diversi Si tratta di una categoria residuale, comprendente svariati tipi di redditi che non rientrano nelle categorie precedenti. L’art. 67 TUIR ne indica vari tipi, tra cui si segnalano: • redditi da speculazioni immobiliari (lottizzazione e vendita di terreni edificabili, vendite di terreni e fabbricati nei 5 anni dall’acquisto, ecc.); • redditi da operazioni su azioni e altri titoli (c.d. capital gain); • redditi di immobili situati all’estero; • redditi da sublocazione di immobili; • redditi da noleggio di beni mobili; • redditi da attività commerciali occasionali; • redditi da attività di lavoro autonomo occasionale; • redditi da obbligazioni di fare, non fare o permettere; • indennità, rimborsi forfettari e premi per gli sportivi dilettanti. Questi redditi vengono tassati: • con il criterio di cassa (momento di percezione); • a volte con detrazione analitica dei relativi costi a volte con criteri a forfait; • le eventuali ritenute possono essere a titolo d’acconto o d’imposta. In particolare le attività commerciali occasionali sono tassate con: • il criterio di cassa • detrazione analitica delle spese di diretta imputazione. Ad esempio costituiscono attività commerciali occasionali:

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

inserzioni pubblicitarie di aziende verso corrispettivo nel giornalino dell’associazione stampato una volta all’anno o in occasione di una manifestazione; • vendita di prodotti ai propri soci con un margine di ricarico sul prezzo di acquisto, effettuata una tantum. La concessione a terzi dell’uso della propria ragione sociale o del proprio logo (-> “sponsorizzazioni sociali”) a fronte di corrispettivo, senza alcuna attività da parte dell’associazione, dà luogo a proventi imponibili derivanti da “obbligazioni di … permettere”.

4.10 Il conteggio dell’IRES Abbiamo visto che gli e.n.c. possono avere vari tipi di redditi imponibili, di cui alcuni tassati alla fonte e quindi da non inserire nella dichiarazione dei redditi, mentre altri vengono tassati tramite la dichiarazione dei redditi. La somma di tali redditi che confluiscono nella dichiarazione costituisce la base imponibile dell’IRES. In dichiarazione dei redditi alcune spese possono essere detratte dalla base imponibile, con modalità di calcolo differenti tra: Oneri deducibili dal reddito (art. 146 TUIR)

• • • •

Oneri detraibili dall’imposta (art. 147 TUIR) nel limite del 19% dell’importo pagato

* * * *

Oneri gravanti sui redditi degli immobili dichiarati Somme corrisposte ai di-pendenti chiamati ai seggi elettorali Contributi erogati alle ONG (max 2% reddito complessivo dichiarato) Contributi erogati alle ONLUS e APS nazionali (nuovo regime D.L. 35/2005 max € 70.000 o 10% reddito) Interessi passivi per mutui agrari Spese per restauro beni vincolati Contributi per attività varie Contributi alle ONLUS (vecchio regime max € 2.065,83)

In sintesi il pagamento dell’IRES segue questi passi:

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

redditi fondiari + Redditi di capitale + Redditi d’impresa + Redditi diversi = REDDITO COMPLESSIVO – Oneri deducibili dal reddito = REDDITO IMPONIBILE IMPOSTA IRES LORDA = Reddito imponibile x 27,50% – Oneri detraibili dall’imposta – Ritenute d’acconto subite – Crediti d’imposta = IMPOSTA IRES NETTA 4.11 L’Irap 4.11.1 In generale L’Irap è entrata in vigore dall’1/1/98 in sostituzione di varie imposte, comportando un generale aggravio a carico degli e.n.c., sia in termini di imposte da pagare che di adempimenti burocratici. Per gli e.n.c., le ONLUS e per le OdV la base imponibile va calcolata con voci e criteri diversi con riferimento ai due settori: istituzionale e commerciale. 4.11.2 Il settore istituzionale Per il settore istituzionale vige il sistema retributivo, per cui viene tassato un aggregato composto dai seguenti tipi di redditi di lavoro, dipendente e assimilato, erogati a terzi: TIPO DI REDDITO

BASE IMPONIBILE

Redditi di lavoro dipendente (escluse le retribuzioni degli apprendisti, dei disabili, dei c.f.l., degli addetti alla ricerca e sviluppo)

Imponibile ai fini INPS (importo già al netto di contributi e di tfr)

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (art. 50 TUIR): co.co.pro., borse di studio. Esclusioni: – gli stipendi dei sacerdoti – le spese vive rimborsate a piè di lista – i contributi INPS Compresi i rimborsi chilometrici.

Importo maturato nell’anno (competenza)

Redditi di lavoro autonomo occasionale (art. 67, 1° comma, lett. L) TUIR, (esclusi i compensi corrisposti a fronte di obblighi di fare, non fare o permettere)

Importo pagato nell’anno (cassa)

Per gli e.n.c. si ritiene che non siano tassabili i rimborsi spese erogati ai soci-volontari, in quanto non si tratta di compensi per un rapporto di lavoro, ma solo della rifusione delle spese vive, ivi compresi i rimborsi chilometrici nei limiti delle tariffe ACI. Si ricorda che questo tipo di conteggio va applicato alle OdV/ONLUS anche per le (eventuali) attività d’impresa ricadenti nel settore “istituzionale” esente da IRES.

Per gli e.n.c. con personale operante all’estero la tassazione IRAP dei relativi redditi o compensi segue un criterio temporale (v. C.M. 12/11/98 n. 263): personale distaccato all’estero per un periodo ≥ 3 mesi per anno

Redditi o compensi non soggetti a IRAP

Personale distaccato all’estero per un periodo < 3 mesi per anno

Reddito o compensi soggetti ad IRAP

Personale in trasferta o missione temporanea all’estero

Redditi o compensi soggetti ad IRAP

4.11.3 Il settore commerciale Per il settore commerciale la base imponibile può essere calcolata con modalità diverse, in funzione del regime contabile adottato (v. art. 10 D. Lgs. 446/97):

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

REGIME CONTABILE

CRITERIO IRAP

Contabilità ordinaria

Criterio del bilancio

Contabilità semplificata

Criterio delle singole voci fiscali

Contabilità forfetaria L. 398/91

Criterio del reddito forfetario più talune voci fiscali

Nel primo caso (v. art. 5 D. Lgs. 446/97) i ricavi ed i costi sono ripresi dal bilancio redatto in conformità ai criteri dettati dal C.C., senza variazioni dovute alle regole fiscali. In linea di massima si può dire che viene tassato un valore formato dalla somma di: • utile di esercizio • oneri e proventi finanziari • redditi di lavoro (in senso ampio) erogati a soggetti senza P.IVA. Nel secondo caso, in vigore dall’1/1/2008 (v. art. 5-bis D. Lgs. 446/97), in assenza del bilancio redatto secondo le regole del C.C., vengono considerati i seguenti valori, calcolati secondo le regole fiscali: Componenti positivi

Ricavi Contributi Variazione delle rimanenze (+ / -)

Componenti negativi

Costi delle materie prime o merci Costi per servizi Ammortamenti Canoni di locazione normali Canoni di leasing (al netto degli interessi)

Differenza

BASE IMPONIBILE AI FINI IRAP

In questo caso non sono più tassabili le plusvalenze, ma non sono più ammesse in deduzione le spese generali, tipicamente inserite nel mastro denominato “oneri diversi di gestione”. Nel terzo caso (v. art. 17 D. Lgs. 446/97), per gli e.n.c. che operano in regime forfetario (L. 398/91 o art. 145 TUIR), la base imponibile è costituita dalla somma delle seguenti voci: • reddito d’impresa calcolato a forfait; • retribuzioni spettanti ai lavoratori dipendenti; 109


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• • •

retribuzioni assimilate ai lavoratori dipendenti; compensi per lavoro autonomo occasionale; interessi passivi (compresi quelli impliciti nei contratti di leasing). Per le OdV/ONLUS il criterio del settore commerciale va applicato solo alle (eventuali) attività d’impresa “connesse”, ancorchè esenti da IRES.

La distinzione in due settori può comportare dei problemi di attribuzione dei costi promiscui (es. personale, affitti, utenze, ecc.), cioè di quei costi che si riferiscono in modo indistinto ad entrambi i settori. In tal caso i costi vanno attribuiti al settore commerciale in base al seguente rapporto, imputando ovviamente la differenza al settore istituzionale: ricavi e proventi commerciali/ricavi e proventi totali. 4.11.4 Detrazioni e aliquota Le due basi imponibili (istituzionale e commerciale) vanno poi sommate per determinare la base imponibile complessiva. Si riporta la principale deduzione dalla base imponibile IRAP con i seguenti importi (in vigore dall’1/1/08): – € 7.350 se la base imponibile non supera € 180.759,91 – € 5.500 “ “ “ “ “ “ € 180.839,91 – € 3.700 “ “ “ “ “ “ € 180.919,91 – € 1.850 “ “ “ “ “ “ € 180.999,91 In sostanza una piccola associazione non pagherà più l’IRAP fino ad una base imponibile di € 7.350,00=. Esistono altre detrazioni dalla base imponibile, sia in termini di costi deducibili che di importi forfetari, applicabili con criteri diversi per i settori istituzionale e commerciale (contributi INPS e INAIL, costi per apprendisti, disabili, c.f.l., addetti a ricerca e sviluppo, forfait per aumento base occupazionale). La questione va affrontata caso per caso con l’aiuto di un esperto fiscale. L’aliquota IRAP ordinaria è pari al 3,9% (dall’1/1/2008). Per le OdV/ONLUS occorre verificare l’aliquota ridotta o l’esenzione prevista dalle singole Regioni. La dichiarazione IRAP è autonoma rispetto alla dichiarazione IRES, pur essendo unificata quanto a data di scadenza.

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INQUADRAMENTO FISCALE DELLE ASSOCIAZIONI

Dal 2010 dovrebbe prendere avvio la fase della “regionalizzazione” dell’IRAP, con possibilità delle singole Regioni di intervenire su taluni aspetti del tributo (aliquote, detrazioni, esenzioni, ecc.). Anche la dichiarazione dovrà essere separata da quella ai fini IRES e inviata in via telematica alle singole Regioni. In ogni caso gli accertamenti ed i controlli resteranno in capo all’Agenzia delle Entrate.

4.12 Le dichiarazioni annuali Con riferimento al proprio esercizio sociale (anno solare o anno sfalsato), in presenza di redditi imponibili, l’associazione deve compilare la dichiarazione modello UNICO, che comprende: • la parte relativa al calcolo delle imposte dirette IRES e IRAP, gravanti sia sui redditi del settore istituzionale (es. fabbricati), che dell’eventuale settore commerciale; • la parte relativa all’IVA del solo settore commerciale (se presente e salvo l’esonero derivante dall’opzione per il regime della L. 398/91). Come detto sopra la dichiarazione IRAP dovrebbe formalmente staccarsi dal modello UNICO, anche se rimarranno uguali la scadenza di invio telematico e di pagamento.

Le ONLUS, anche quelle di diritto come le OdV che non svolgono attività commerciali “ultramarginali” (art. 30 D.L. 185/2008), non devono presentare la dichiarazione ai fini IRES, se svolgono solo attività esenti da questa imposta (istituzionali e direttamente connessa), mentre rimane l’obbligo di presentare la dichiarazione ai fini IRAP. La dichiarazione dei redditi viene presentata in via telematica dagli intermediari abilitati (commercialisti, associazioni di categoria) entro il 30/9 di ogni anno. A parte va compilato il modello 770, relativo ai compensi erogati e alle ritenute effettuate, che viene presentato in via telematica dagli intermediari abilitati entro il 31/7 di ogni anno. Per sanare eventuali errori è possibile inviare delle dichiarazioni integrative entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno successivo.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

4.13 I versamenti Le imposte IRES/IRAP vanno pagate entro i seguenti termini (con riferimento a periodi d’imposta che si chiudono al 31/12): saldo e 1a rata di acconto:

• al 16/6 oppure • al 16/7 aggiungendo lo 0,40% oppure • a rate mensili dal 16/6 o dal 16/7 e fino al 30/11, aggiungendo gli interessi dello 0,50% al mese

2a rata di acconto

• al 30/11 senza possibilità di rateizzazione

Si ricorda che per i versamenti tardivi, entro determinati limiti, è ammesso il ravvedimento operoso, con aggiunta di sanzioni e interessi.

Le associazioni che hanno un periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare (es. 1/10 – 30/9), devono pagare le imposte con la seguente scadenza: – saldo e 1a rata di acconto: al 16 del 6° mese – 2a rata di acconto: al 16 dell’11° mese. Proseguendo nell’esempio, l’associazione che chiude il bilancio al 30/9/07 deve pagare al 16/3/08 e al 31/8/08. Questo caso è molto frequente nelle associazioni sportive, che seguono il calendario sportivo.

Le associazioni che possiedono la P.IVA debbono effettuare i versamenti di imposte, premi e contributi esclusivamente con gli F24 telematici, con addebito diretto in c/c, sia direttamente che tramite intermediari abilitati (commercialisti, associazioni di categoria, ecc.). Si tenga conto che tale adempimento è obbligatorio durante il periodo di possesso della P.IVA, anche per versamenti non relativi al settore “commerciale”.

Le associazioni che non possiedono la P.IVA hanno la facoltà di usare gli F24 telematici o di presentarli alla banca in formato cartaceo. Ai fini IRES/IRAP il versamento minimo è di € 12,00=: sotto tale limite l’imposta non va versata. Si ricorda che in presenza di crediti d'imposta è ammessa la compensazione con altri debiti d'imposta (es. credito IRES rispetto a debito IRAP, ecc.).

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5. Il regime ONLUS

5.1 In generale Il D.LGS. 460/97, dall’1/1/98, ha introdotto nel nostro ordinamento fiscale la qualifica di ONLUS: organizzazione non lucrativa di utilità sociale. Non si tratta di un nuovo soggetto di diritto, ma di una qualifica valida ai soli fini fiscali, che si aggiunge e sovrappone a tutte le regole applicabili ai vari soggetti potenzialmente interessati: codice civile, leggi di settore, altre regole fiscali, ecc.. In sintesi si può dire che alle ONLUS vengono concesse varie agevolazioni o esenzioni fiscali in conseguenza dell’esercizio di alcune specifiche attività ritenute per legge socialmente importanti, sottoponendo l’ente ed i suoi amministratori a divieti e a sanzioni specifiche. In particolare si tratta del primo organico riconoscimento delle attività d’impresa “ad utilità sociale”, dopo l’introduzione delle cooperative sociali (L. 381/91). Non per nulla le agevolazioni più importanti si riferiscono agli utili derivanti dall’esercizio di impresa nei settori ammessi.

Il regime ONLUS ha mutuato molti concetti dal regime degli e.n.c., creando notevole confusione in quanto le ONLUS spesso (non sempre) sono imprese a tutti gli effetti. Si pensi alle cooperative (sociali o meno) sicuramente imprese, alle associazioni o fondazioni che gestiscono importanti case di riposo (enti commerciali a tutti gli effetti), ecc.. Si pensi ancora al fatto che anche per le ONLUS si parla di settore istituzionale e di settore connesso, ricalcando lo schema degli e.n.c. (istituzionale e commerciale), dandogli però un contenuto ed una disciplina diverse.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

5.2 I tipi di ONLUS e i soggetti ammessi In linea generale il regime ONLUS è opzionale e vi sono ammessi solo taluni soggetti di natura privata, con esclusione specifica di tutti gli enti pubblici. Vi sono però tre tipi di enti privati che vengono considerati ONLUS di diritto, in quanto già inseriti in registri che ne certificano lo scopo di solidarietà sociale: OdV, o.n.g. e coop. sociali (sia singolarmente che come consorzi al 100% di coop. sociali). Si ricorda che, con effetto dal 29/11/2008, l’art. 30 del D.L.185/2008 ha previsto che le OdV siano ONLUS di diritto solo se non esercitano attività commerciali diverse da quelle “marginali” previste dal D.M. 25/5/1995. Questi enti sono onlus per obbligo e non possono rinunciare a tale qualifica, senza al tempo stesso rinunciare alle iscrizioni di settore.

Infine altri tipi di enti privati possono, se vogliono, richiedere la qualifica di ONLUS solo per un settore della loro attività, se ricadente negli ambiti previsti dalla legge (ONLUS parziarie). I soggetti che possono accedere alla qualifica di ONLUS sono i seguenti, divisi secondo le tre tipologie sopra dette. ONLUS ORDINARIA (PER OPZIONE)

ONLUS DI DIRITTO

ONLUS PARZIARIE (PER OPZIONE)

Associazioni (riconosciute o meno)

Associazioni di volontariato iscritte nei registri (*)

Enti ecclesiastici concordatari

Comitati

o.n.g. iscritte presso il M.A.E.

Fondazioni Enti di carattere privato in genere Cooperative non sociali

Associazioni di promozione sociale Cooperative sociali iscritaffiliate agli enti te nell’albo regionale nazionali riconosciuti dal Ministero degli Consorzi al 100% di Interni coop. sociali

(*) Escluse le OdV che svolgono attività commerciali diverse da quelle “marginali” D.m. 25/5/95 (art. 30 D.L. 185/2008). 114


IL REGIME ONLUS

A parte le cooperative, si tratta di forme giuridiche che male si prestano all’esercizio di attività d’impresa, cuore delle agevolazioni ONLUS. Inoltre il fisco sostiene che le ONLUS non possono detenere quote di controllo in società di capitali, anche se operanti negli stessi settori “qualificati” previsti dal regime ONLUS.

Non possono mai acquisire la qualifica di ONLUS i seguenti soggetti: •

enti pubblici

società commerciali (tranne le cooperative)

partiti politici

organizzazioni sindacali

associazioni di datori di lavoro

associazioni di categoria.

La prima categoria appare banale (“enti pubblici”), ma nella sua applicazione pratica si è rivelata molto insidiosa, in quanto nel nostro ordinamento non esiste una unica accezione di “ente pubblico”, ma ne esistono una pluralità, ciascuna definita con leggi o altri provvedimenti per fini settoriali (per gli appalti, per il regime del rapporto di lavoro, per la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, ecc.). Il fisco ritiene che non possano diventare ONLUS enti formalmente privati, ma con presenza preponderante di enti pubblici in veste di soci, come avviene nelle c.d. “Fondazioni di partecipazione”, molto attive specie nel settore culturale per la gestione di teatri e musei. Si tratta dell’ennesima (e non ultima) interpretazione restrittiva che limita sempre più l’attrattiva del regime ONLUS (v. Circ. 31/10/2007 n. 59). Per ora limitiamo la nostra indagine alle sole ONLUS per opzione, rinviando l’esame delle altre tipologie ad un apposito paragrafo finale. I soggetti visti sopra per accedere alla qualifica di ONLUS devono rispettare due condizioni di fondo: • presenza di uno statuto redatto (almeno) per scrittura privata registrata con l’inserimento di alcune clausole specifiche; • esercizio esclusivo (con qualche eccezione) di una o più delle attività qualificate tassativamente indicate nell’art. 10 del D.LGS. 460/97 (detta “attività istituzionale”).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

5.3 I vincoli dello statuto Lo statuto dell’ente che vuole diventare ONLUS deve essere redatto in forma scritta scegliendo una delle seguenti opzioni: • scrittura privata registrata; • scrittura privata autenticata da notaio; • atto pubblico notarile. Gli statuti devono obbligatoriamente contenere questa serie di clausole, molto simili a quelle previste dall’art. 148 TUIR per le associazioni che svolgono le c.d. attività “decommercializzate”: CLAUSOLE STATUTARIE PER LE ONLUS a) b) c)

d) e)

f) g)

h)

116

l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale; il divieto di svolgere attività diverse da quelle “istituzionali” ad eccezione di quelle ad esse “direttamente connesse”; il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’organizzazione, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge o siano effettuate a favore di altre ONLUS che per legge, statuto o regolamento fanno parte della medesima ed unitaria struttura; l’obbligo di impiegare gli utili o gli avanzi di gestione per la realizzazione delle attività istituzionali e di quelle ad esse direttamente connesse; l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre ONLUS o a fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo, salvo diversa destinazione imposta dalla legge; l’obbligo di redigere il bilancio o rendiconto annuale; disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione; l’uso, nella denominazione ed in qualsivoglia segno distintivo o comunicazione rivolta al pubblico, della locuzione ONLUS.


IL REGIME ONLUS

In sostanza le ONLUS sono definite, in senso oggettivo, dal vincolo di operare solo nei settori ammessi dalla legge, potendo svolgere talune attività eccedenti (dette “direttamente connesse”) nei soli casi e limiti previsti dalla legge. In senso economico le ONLUS sono soggetti privati che ricevono agevolazioni fiscali in quanto partner del settore pubblico in ambiti strategici per il controllo sociale, nel contesto regolato dal potere politico, senza poter estendere surrettiziamente tali agevolazioni ad altri settori di attività non pertinenti.

5.4 L’opzione e la decadenza da ONLUS Una volta soddisfatti tutti questi requisiti l’ente può optare per il regime ONLUS (v. D.M. 18/7/2003 n. 266), inviando per raccomandata a.r. in plico senza busta (o con consegna diretta a mano) alla Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate, con sede nel capoluogo regionale: • il modulo di iscrizione; • il modulo contenente varie informazioni sull’ente e sull’attività (autocertificazione). Il fisco, previa verifica formale dei documenti inviati, entro 40 giorni dal ricevimento della domanda, respinge o accetta l’iscrizione dell’ente nell’“Anagrafe delle ONLUS”. L’iscrizione ha efficacia costitutiva ai fini delle agevolazioni/esenzioni da ONLUS, a valere dalla data di spedizione della raccomandata; se tale spedizione è stata fatta nei 30 gg. dalla data di costituzione dell’ente, l’iscrizione retroagisce a tale data. Anche dopo l’iscrizione la D.R.E. può svolgere accertamenti e controlli sostanziali e, se del caso, emanare un atto di cancellazione dall’Anagrafe delle ONLUS, impugnabile avanti la Commissione Tributaria Provinciale. Alla D.R.E. vanno comunicate le successive variazioni dei dati (sede, legale rappresentante, ecc.). L’uscita dal regime ONLUS può avvenire: • per volontà dell’ente; • per perdita dei requisiti accertata dalla D.R.E., quando l’atto sia diventato definitivo. L’uscita dall’Anagrafe ONLUS comporta la perdita dei benefici fiscali. Tale uscita non comporta la necessaria messa in liquidazione dell’ente, che può be-

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

nissimo proseguire la sua attività senza la qualifica di ONLUS. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate (C.M. 168/98) ritiene che in questo caso vi sia l’obbligo di devolvere l’intero patrimonio ad altra ONLUS o a fini di pubblica utilità, sentito obbligatoriamente il preventivo parere dell’Agenzia per le Onlus. Recentemente l’Agenzia delle Entrate (circ. 31/10/2007 n. 59) ha confermato questa impostazione, con l’unica possibilità di poter escludere dalla devoluzione il patrimonio preesistente all’acquisto della qualifica di ONLUS, se esiste idonea documentazione contabile (in sostanza occorrono i bilanci precedenti). Si tratterebbe, insomma, di un caso di devoluzione del patrimonio solo parziale. Sul punto si veda anche l’atto di indirizzo emanato dall’Agenzie per le ONLUS in data 7/5/2008, che ha dato indicazioni operative per l’acquisizione del parere preventivo in merito a tale devoluzione parziale del patrimonio. 5.5 I settori istituzionali Le attività “istituzionali” qualificate per le ONLUS devono ricadere esclusivamente nei settori espressamente indicati all’art. 10 del D. Lgs. 460/97. La legge dà molta importanza al requisito del perseguimento da parte delle ONLUS di esclusive finalità di solidarietà sociale, intesa principalmente come esercizio di attività che diano vantaggi principalmente a soggetti esterni agli enti, per cui l’elencazione dei settori, in apparenza unitaria, va divisa in settori di serie A e di serie B. SETTORI DI SERIE A Settori le cui attività istituzionali possono essere svolte nei confronti di qualunque soggetto (soci e non soci), in quanto si ritengono meritorie di per se stesse e comunque vantaggiose per la collettività. SETTORI DI SERIE B Settori le cui attività istituzionali sono considerate meritevoli di agevolazione se e solo se arrecano benefici a soggetti svantaggiati: • persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari • componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari. Fatta questa premessa possiamo elencare i settori previsti per le attività istituzionali delle ONLUS, con la categoria dei beneficiari. 118


IL REGIME ONLUS

SETTORE

SERIE

1)

assistenza sociale e socio-sanitaria

A

2)

assistenza sanitaria

A

3)

beneficenza

B

4)

istruzione

B

5)

formazione

B

6)

sport dilettantistico

B

7)

tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla L. 1/6/39 n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al D.P.R. 30/9/63 n. 1409 (->archivi di Stato)

A

8)

tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, con esclusione dell’attività esercitata abitualmente di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all’art. 7del D.LGS. 5/2/97 n. 22

A

9)

promozione della cultura e dell’arte: IN PRESENZA DI CONTRIBUTI STATALI

A

10) promozione della cultura e dell’arte: IN ASSENZA DI CONTRIBUTI STATALI

B

11) tutela dei diritti civili

B

12) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta A direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente, in ambiti e secondo modalità definite dal D.P.R. 20/3/2003 n. 135. L’elencazione dei settori istituzionali (di serie A e B) comporta notevoli problemi: a) è incerta la loro esatta delimitazione; b) mancano riferimenti espliciti ad altre leggi settoriali, (a parte i beni culturali) anche ai fini della valorizzazione degli eventuali riconoscimenti risultanti da convenzioni o accreditamenti da parte dello Stato, Regioni o altri enti pubblici Per interpretare tali norme occorre sempre considerare che il D. LGS. 460/97 con119


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

tiene norme speciali per le ONLUS, che vanno comunque integrate con il resto dell’ordinamento ai fini di una corretta interpretazione logica e sistematica. Questo criterio, in sé banale, viene spesso dimenticato dal fisco che tende a riempire le lacune del D. LGS. 460/97 con proprie personali interpretazioni.

5.6 I settori di serie A: a) i settori sociale e socio sanitario Il D. LGS. 460/97 fa riferimento ai settori: • assistenza sociale • assistenza socio-sanitaria • assistenza sanitaria. Storicamente sono i settori in cui si concentra oltre l’80% degli enti benefici e sono, quindi, i più rilevanti anche per il regime ONLUS. Questi settori sono definibili in base all’intreccio tra norme statali e regionali, che definiscono il quadro del welfare, che spesso impiegano anche ulteriori definizioni composte dalle radici sociale/ assistenziale/ sanitaria (es. strutture socio –assistenziali, socio-educative, socio-riabilitative, ecc.). Il settore “assistenza sanitaria” verrà trattato tra i settori di serie B. a) Assistenza sociale Per l’assistenza sociale si deve fare riferimento alla L. 8/11/2000 n. 328 “legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che all’art. 1, 1° comma, prevede che “la Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di interventi e servizi sociali, promuove interventi per garantire la qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione e diritti di cittadinanza, previene, elimina o riduce le condizioni di disabilità, di bisogno e di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito, difficoltà sociali e condizioni di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.”. Si tratta quindi di un ambito molto vasto che comprende una pluralità di strumenti (servizi, strutture, incentivi economici) per raggiungere una pluralità di obiettivi: • qualità della vita • pari opportunità (-> uomo/donna) • non discriminazione

120


IL REGIME ONLUS

• • •

godimento dei diritti di cittadinanza soggetti disabili situazioni di bisogno e di disagio (-> reddito -> difficoltà sociali -> non autonomia). L’art. 1, 2° comma, di tale legge per la definizione degli “interventi e servizi sociali” rinvia all’art. 128 del D.LGS. 31/3/98 n. 112 per cui sono tali “tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.”. Il successivo art. 22 dettaglia alcune tipologie di intervento sociale prevedendo che: “gli interventi di seguito indicati costituiscono il livello essenziale delle prestazioni sociali erogabili sotto forma di beni e servizi secondo le caratteristiche ed i requisiti fissati dalla pianificazione nazionale, regionale e zonale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, tenuto conto delle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alla spesa sociale: a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora; b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana; c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza; d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell’articolo 16, per favorire l’armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare; e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefici disposti dal regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n. 2277, e loro successive modificazioni, integrazioni e norme attuative; f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili ai sensi dell’articolo 14; realizzazione, per i soggetti di cui all’art.3,comma 3, della legge 5 febbraio 1992 n. 104, dei centri socio-riabilitativi e delle comunità-alloggio di cui all’articolo 10 della citata legge n. 104 del 1992, e dei servizi di co121


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

munità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delle prestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie; g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l’accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell’autonomia, non siano assistibili a domicilio; h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale; i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto.”, Per la Regione Sardegna si fa riferimento alla L.R. 23/12/2005 n. 23 “Sistema integrato dei servizi alla persona. Abrogazione della legge regionale n. 4 del 1988 Riordino delle funzioni socio-assistenziali”. Per la Regione Emilia-Romagna si fa riferimento alla L.R. 12/3/2003 n. 2 “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che riprende e dettaglia le attività “sociali” indicate dalla L. 328/2000 sopra citata. In particolare l’art. 35 di detta L.R. 2/2003 prevede che “il funzionamento di servizi e strutture residenziali e semiresidenziali, pubbliche e private, che svolgono attività socio-assistenziali e socio-sanitarie è subordinato al rilascio di specifica autorizzazione, al fine di garantire la necessaria funzionalità e sicurezza, nel rispetto delle norme statali e regionali in materia, con particolare riguardo alla sicurezza e salute dei lavoratori.”. Tale autorizzazione, è bene ribadire, riguarda solo la gestione di strutture residenziali o semi-residenziali. Da tali leggi si evince che il settore dell’assistenza sociale (che si può ritenere comprensiva di quella socio-assistenziale che ne costituisce una specificazione) comprende uno spettro di attività molto ampio. La singola ONLUS può usare tali leggi e tali esemplificazioni per verificare la correttezza del suo inquadramento nei settori sociale/socio-sanitario e, soprattutto, per contrastare eventuali diverse valutazioni della D.R.E., specie in caso di (eventuale) provvedimento di cancellazione dall’Anagrafe ONLUS. Nel singolo caso la concreta qualificazione di queste attività spesso viene aiutata dal fatto (in sé banale) di risultare da convenzioni sti122


IL REGIME ONLUS

pulate con gli Assessorati ai Servizi Sociali del Comune (o Provincia o Regione o enti da questi delegati) o con le ASL (che comprendono anche un settore sociale). Con la ris. N. 70 del 20/3/2009 l’Agenzia delle Entrate ha ammesso che i consultori familiari “che svolgono assistenza alla famiglia e alla maternità in conformità ai principi recati dalla L. 29/7/1975 n. 405, perseguono finalità solidaristiche assicurando protezione sociale a particolari soggetti meritevoli di sostegno sociale senza oneri economici a carico degli assistiti.”. Di conseguenza tali associazioni, disciplinate anche da leggi regionali, sono iscrivibili tra le ONLUS di “assistenza sociale”. Inoltre l’Agenzia visto che “le ONLUS possono svolgere la loro attività anche in regime di convenzione con le amministrazioni pubbliche in base al disposto dell’art. 143, comma 3, lettera B) del TUIR al quale fa esplicito riferimento l’art. 26 del D.Lgs. 460 del 1997”, e che i contributi erogati da tali enti non concorrono alla formazione del reddito, conclude che il consultorio/ONLUS “può agire anche in regime di convenzione con le amministrazioni pubbliche e ricevere pertanto contributi pubblici.”. Si riportano a titolo di esempio alcuni tipi di intervento ricadenti nel settore sociale nelle sue varie accezioni (tratto dalla Deliberazione del Consiglio Regionale Lombardia 9/6/1986 n. IV/290): • centri diurni per anziani e centri ricreativi diurni per minori • centri di aggregazione giovanile • soggiorni di vacanza per soggetti in condizioni di disagio (economico, fisico, sociale, ecc.) • comunità alloggio • interventi per l’inserimento sociale e lavorativo • case albergo e di soggiorno per anziani autosufficienti • istituti educativi-assistenziali per minori • alimentazione di soggetti autosufficienti o no • igiene della persona autosufficiente o no • attività volte all’integrazione sociale della persona • attività educativa e formativa

b) Assistenza socio-sanitaria Per l’assistenza socio-sanitaria si può fare riferimento al D.LGS. 30/12/1992 n. 502 (“Riordino della disciplina in materia sanitaria” e s.m. che, all’art. 3-septies 1° comma, definisce come prestazioni socio-sanitarie “tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione 123


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione.”. Il 2° comma prevede che “le prestazioni socio-sanitarie comprendono: a) prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, cioè le attività finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite e acquisite; b) prestazioni sociali a rilevanza sanitaria, cioè tutte le attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute.”. La distinzione in due aree è funzionale al riparto di competenze tra le varie strutture del S.S.N. e per individuare le rispettive fonti di finanziamento. Sono strutture socio sanitarie le case di riposo, oppure i centri residenziali per disabili gravi e simili. Anche queste strutture possono agire solo con l’autorizzazione della Regione, per cui la loro qualificazione deriva dal rapporto avviato con il competente Assessorato alla Sanità. 5.7 Continua: b) gli altri settori istituzionali di serie A Gli altri settori a solidarietà “presunta” sono i seguenti: 3) beneficenza 7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, incluse biblioteche e archivi di Stato 8) tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente 9) promozione della cultura e dell’arte (N.B.: solo se ha ricevuto contributi statali) 12) ricerca scientifica svolta da particolari soggetti. a) Beneficenza Si tratta, in generale, di attività di erogazione (“grant making”), senza gestione diretta di strutture o servizi. Questa attività, poco sviluppata in Italia, potrebbe essere svolta dalle Fondazioni Ex Bancarie, che però sono escluse dal regime ONLUS (art. 10 D. Lgs. 460/97).

In materia vi sono risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (Ris. 9/9/2002 n. 292/E, ris. N. 401 del 24/10/2008, ris. N. 411 del 30/10/2008), pareri dell’Agenzia per 124


IL REGIME ONLUS

le ONLUS (parere n. 9 del 2/10/2002) e, dal 29/11/2008, è intervenuta anche una modifica diretta del testo di legge (art. 30 del D.L. 185/2008). L’Agenzia delle Entrate con la ris. 292/2002 ha ribadito che“l’attività di beneficenza, ai sensi del comma 4 dell’art.10 del decreto legislativo n. 460 del 1997, fa parte di quei settori di attività per i quali le finalità di solidarietà sociale si considerano immanenti … in quanto la condizione di svantaggio dei destinatari è presupposto essenziale dell’attività stessa.”. Per questo motivo le attività di beneficenza “devono essere necessariamente rivolte nei confronti di categorie particolarmente vulnerabili, al fine di assicurarne la protezione sociale”, chiarendo che “in mancanza di detto presupposto viene meno l’essenza stessa delle attività di beneficenza …”. L’Agenzia “adottando un’interpretazione evolutiva della storica nozione di beneficenza … ritiene di poter ricondurre in essa non solo le prestazioni di carattere erogativo in denaro o in natura a favore degli indigenti, ma anche quelle, sempre di carattere erogativo, finalizzate ad alleviare le condizioni di bisogno di soggetti meritevoli di solidarietà sociale, ivi comprese le erogazioni effettuate a favore di enti che operano direttamente nei confronti delle suddette persone. Appaiono, in ogni caso, riconducibili nella beneficenza le erogazioni gratuite in denaro o in natura effettuate nei confronti di altre ONLUS o di enti pubblici che operano nell’ambito dell’assistenza sociale e socio-sanitaria, dell’assistenza sanitaria, della tutela dei diritti civili, della ricerca scientifica indirizzata allo studio di patologie di particolare rilevanza sociale, degli aiuti umanitari.”. In sostanza, sulla base di questa prima risoluzione, l’ONLUS di beneficenza può erogare contributi e sussidi in modo diretto o indiretto: Diretto

alle persone in stato di bisogno

Indiretto

– ad altri enti (in genere) che operano a contatto con le persone in stato di bisogno – ad altre ONLUS che operano nei settori: assistenza sociale, assistenza socio-sanitaria, sanitaria, tutela dei diritti civili, ricerca scientifica, aiuti umanitari – ad enti pubblici per le attività svolte nei suddetti settori (es. servizi sociali del Comune).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

L’Agenzia per le ONLUS, con il parere n. 9/2002, condividendo la sostanza di questa interpretazione, ha sottolineato che per i settori dell’assistenza sanitaria e della tutela dei diritti civili occorre che le altre ONLUS e gli enti pubblici beneficiari delle erogazioni della ONLUS principale svolgano la loro attività verso soggetti svantaggiati, cioè che vengano rispettati i criteri previsti per il regime ONLUS. L’Agenzia per le ONLUS rileva inoltre tre punti interessanti: a) la concessione di contributi è sicuramente ammessa per le ONLUS in generale (anche oltre il settore delle beneficenza), in quanto si tratta di una delle possibili modalità operative della sua attività; b) per le ONLUS di beneficenza i contributi erogati a soggetti o scopi diversi da quelli indicati dalla R.M. 292/2002, costituiscono attività direttamente connessa; c) per tale attività direttamente connessa rimane valido il solo limite che tali contributi non devono essere superiori a quelli erogati nei settori “caritatevoli” per ciascun periodo d’imposta, non essendo applicabile l’altro limite (non superamento del 66% sulle spese totali dell’ente). In base a tale interpretazione, ad esempio, i contributi erogati da una Fondazione ONLUS di beneficenza per attività culturali (in sé non “caritatevoli”) è un’attività connessa, soggetta al limite della non prevalenza.

L’Agenzia delle Entrate con le ris. 401/2008 e 411/2008 ha fatto un ulteriore passo in avanti consentendo anche alle aziende che versano contributi alle ONLUS di beneficenza di dedurre tali somme dal loro reddito imponibile, nei limiti di legge. In sostanza, secondo tali risoluzioni, il ciclo della beneficenza può essere così “allungato”: AZIENDA -> ONLUS DI BENEFICENZA -> ALTRO ENTE CARITATEVOLE -> SOGGETTO SVANTAGGIATO. L’art. 30 del D.L. 185/2008 ha inserito all’art. 10 del D. Lgs. 460/97 il comma 2-bis per cui “si considera attività di beneficenza … anche la concessione di erogazioni gratuite in denaro con utilizzo di somme provenienti dalla gestione patrimoniale o da donazioni appositamente raccolte, a favore di enti senza scopo di lucro che operano prevalentemente nei settori di cui al medesimo comma 1,

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IL REGIME ONLUS

lettera a), per la realizzazione diretta di progetti di utilità sociale”. La circ. 12 del 9/4/2009 precisa che “la formulazione della norma … fa assumere carattere interpretativo alla disposizione che qualifica e delimita l’attività di beneficenza, conferendo alla previsione in esame efficacia retroattiva.”. In base a questa nuova norma viene confermata per legge (retroattiva all’1/1/1998) la possibilità della beneficenza indiretta: Soggetto erogante

ONLUS DI BENEFICENZA

Provenienza somme

INTERNA: dalla propria gestione patrimoniale ESTERNA: da donazioni appositamente raccolte

Soggetto ricevente

– Ente senza scopo di lucro – Operante prevalentemente nei settori ONLUS – Realizzo diretto del progetto di utilità sociale

Si notano punti interessanti: – le aziende o i privati possono erogare il denaro alla ONLUS di beneficenza, con detrazione fiscale, anche se questa li “gira” ad altro ente; – la ONLUS DI BENEFICENZA eroga al terzo ente il denaro (le donazioni in natura non sono considerate), sia proprio che derivante da raccolte presso aziende o privati (potendo anche godere di una ulteriore deduzione fiscale se vi sono i requisiti di legge); – i soggetti riceventi possono essere anche NON ONLUS, purchè senza scopo di lucro (qui dovrebbero valere i criteri standard di divieto di lucro soggettivo); – tali soggetti effettivi beneficiari devono operare prevalentemente (e non esclusivamente) nei settori ONLUS; – l’operatività è estesa a tutti i settori ONLUS, a prescindere dai requisiti di svantaggio delle persone “utenti” previsti per taluni di essi; – tali enti devono realizzare direttamente il progetto sovvenzionato; – il progetto finanziato in sé considerato deve avere “utilità sociale”. È chiaro che questa estensione comporta anche la necessità di procurarsi idonea documentazione, per evitare contestazioni da parte del fisco. Come sempre per capire la logica della norma occorre fare riferimento alla lobby di provenienza: pare che essa sia stata esplicitamente richiesta da talune fondazioni “di comunità”, che avevano assunto la qualifica di ONLUS e che correvano il rischio di serie contestazioni fiscali.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

b) Tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico di cui alla L. 1/6/1939 n. 1089, incluse biblioteche e archivi di Stato di cui al D.P.R. 30/9/1963 n. 1409 Per questo settore occorre ora rifarsi al D.LGS. 22/1/2004 n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. L’art. 3 prevede che la tutela dei beni culturali consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.” L’art. 6 prevede che la valorizzazione consiste “nell’esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”. Essa comprende anche “la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale.”. L’art. 117 prevede che, nei luoghi culturali, possono essere svolti dei servizi aggiuntivi, tipicamente a pagamento, come vendita di libri e cataloghi, servizi di guida, servizi di ristorazione e guardaroba, ecc., secondo le modalità di affidamento (anche a privati) previste dalla legge stessa. Questa elencazione per legge di attività economiche aggiuntive è importante in quanto si tratta di attività classificabili come “direttamente connesse” ai fini ONLUS, se e solo se gestite dallo stesso soggetto ONLUS che svolge in via prevalente le attività di tutela e valorizzazione dei beni culturali sopra ricordate. c) Tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente Anche per questo settore si possono applicare talune norme del D. LGS. 42/2004 (artt. 131-159). Il settore appare però più ampio in quanto vi possono rientrare: • lo studio della natura/ambiente nel senso fisico del termine (terra, acqua, aria); • lo studio della fauna e della flora; • i problemi climatici; • i problemi dell’inquinamento. Potrebbero rientrare in questo settore, anche in convenzione con enti pubblici: • la gestione di parchi e giardini botanici; • la gestione di rifugi per animali (forse anche dei canili obbligatori per legge). L’attività di cura degli animali potrebbe rientrare in questo settore se svolta all’interno della gestione di parchi o rifugi, per gli animali ivi esistenti o di pas128


IL REGIME ONLUS

saggio (es. cura uccelli migratori). Se svolta verso persone o enti esterni a tali gestioni, contro pagamento di corrispettivi specifici, potrebbe essere configurata come attività direttamente connessa, con i noti limiti (prevalenza, 66% spese totali). È espressamente escluso da questo settore l’esercizio abituale (non saltuario) della raccolta e riciclaggio dei rifiuti (urbani, speciali, pericolosi). Se abituale si tratta di un’attività d’impresa regolata da leggi speciali, probabilmente sottratta al settore ONLUS per motivi di tutela della concorrenza (o per limitare la perdita di gettito fiscale). d) Promozione della cultura e dell’arte (N.B.: solo se ha ricevuto contributi statali) Questa attività si trova in una posizione ibrida in quanto può essere sia di serie A (solidarietà presunta), sia di serie B (solidarietà solo verso soggetti svantaggiati). La differenza è data dalla presenza o meno di “apporti economici da parte dell’amministrazione centrale dello Stato” (art. 10, 4° comma, D.LGS. 460/97). In ogni caso appare problematico configurare un ente di promozione della cultura e dell’arte operante solo verso soggetti svantaggiati, per cui il contenuto effettivo della norma si riduce a considerare ONLUS solo quegli enti che godono del contributo statale. Ma anche questa scelta, in una Repubblica ormai orientata al federalismo regionale, appare alquanto bizzarra.

L’Agenzia delle Entrate ha indicato (Circ. 26/6/1998 n. 168/E) le principali leggi da cui provengono i contributi statali utili per la qualificazione ONLUS: “1) Legge 17 ottobre 1996, n. 534 - Norme per l’erogazione di contributi statali alle istituzioni Culturali; 2) Legge 15 dicembre 1990, n. 418 - Fondazione Festival dei Due Mondi; 3) Legge 1° dicembre 1997, n. 420 - Fondazione Rossini Festival - Fondazione Ravenna Manifestazioni. 4) Legge 26 luglio 1984, n. 414 - Società di cultura la Biennale di Venezia.”. In seguito (Circ. 1/8/2002 n. 63/E) ha chiarito che tale elencazione “non è tassativa, ma solamente esemplificativa”, prevedendo però in maniera “creativa”, in quanto priva di qualunque supporto normativo, che l’ente può diventare ONLUS solo se ha “ricevuto apporti economici ad opera dell’Amministrazione centrale dello Stato in ciascuno dei due periodi d’imposta antecedenti a quello

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in cui avviene l’acquisto della qualifica”, con l’ulteriore corollario che “tali soggetti, qualora non abbiano ricevuto alcun contributo ad opera dell’Amministrazione centrale dello Stato per due periodi di imposta consecutivi, decadano - con effetto dal periodo d’imposta successivo - dalle agevolazioni fiscali a favore delle ONLUS.” La perdita della qualifica di ONLUS sarebbe quindi rimessa al caso, aleatorio, della mancata concessione di contributi statali, cui conseguirebbe, stante la nota (anche se errata) interpretazione del fisco, la necessaria devoluzione del patrimonio dell’ente. Va detto che gli enti operanti in questo settore raramente chiudono i bilanci con utili, per cui la principale agevolazione del regime ONLUS (esenzione da IRES per gli utili d’impresa) troverà scarsa applicazione. Gli enti culturali hanno agevolazioni sparse in altre leggi in grado di attirare erogazioni liberali o sponsorizzazioni, per cui non dovrebbero essere molto interessati al regime ONLUS.

e) Ricerca scientifica svolta da particolari soggetti L’ultimo settore a solidarietà presunta è quello che è stato inserito in extremis nel D.LGS. 460/97, sull’onda della protesta di eminenti scienziati. Si tratta di un caso abbastanza contorto in quanto ha due requisiti: • oggettivo: ricerca scientifica di particolare interesse sociale; • soggettivo: la ricerca deve essere svolta da: a) Fondazioni, in gestione diretta b) università, enti di ricerca, altre fondazioni su incarico della prima fondazione. Con D.P.R. 20/3/2003 n. 135 (si noti come siano passati oltre 5 anni dall’entrata in vigore della legge ONLUS) sono state dettate le norme di applicazione. L’art. 2 del decreto definisce l’ambito oggettivo della norma in quanto “sono attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale le attività di ricerca svolte nei seguenti ambiti: a) prevenzione, diagnosi e cura di tutte le patologie dell’essere umano; b) prevenzione e limitazione dei danni derivanti da abuso di droghe; c) studio delle malattie ad eziologia di carattere ambientale; d) produzione di nuovi farmaci e vaccini per uso umano e veterinario; e) metodi e sistemi per aumentare la sicurezza nella categoria agroalimentare e nell’ambiente a tutela della salute pubblica; f) riduzione dei consumi energetici;

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g) smaltimento dei rifiuti; h) simulazioni, diagnosi e previsione del cambiamento climatico; i) prevenzione, diagnosi e cura di patologie sociali e forme di emarginazione sociale; l) miglioramento dei servizi e degli interventi sociali, sociosanitari e sanitari.”. L’art. 3 definisce l’ambito soggettivo, per cui in caso di attività diretta delle fondazioni queste dovranno “dotarsi di idonee strutture operative e disporre di risorse professionali e forme di finanziamento adeguate”. In caso di affidamento a terzi “i rapporti tra le fondazioni e questi ultimi soggetti sono regolati da specifiche convenzioni”. 5.8 I settori istituzionali a solidarietà vincolata (serie B) 5.8.1 I settori I settori a solidarietà vincolata (di serie B) sono i seguenti (i numeri sono quelli della legge): 2) assistenza sanitaria 4) istruzione 5) formazione 6) sport dilettantistico 9) promozione della cultura e dell’arte (N.B.: se NON ha ricevuto contributi statali) 10) tutela dei diritti civili. Questi settori di serie B danno accesso alla qualifica di ONLUS se e solo se l’attività è diretta ”ad arrecare benefici a: a) persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari; b) componenti collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari.” (art. 10, 2° comma, D.LGS. 460/97). Diamo alcuni cenni sui singoli settori (per la “promozione della cultura e dell’arte” si rinvia a quanto detto sopra), per poi esaminare il problema dei destinatari “svantaggiati”. a) Assistenza sanitaria Anche in questo caso si deve fare riferimento alle definizioni previste dal D.LGS. 30/12/1992 n. 502 (“Riordino della disciplina in materia sanitaria”), che disciplina le attività delle ASL, dei medici di base, e delle 131


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strutture sanitarie private (accreditate o meno presso il SSN). Viste le finalità di solidarietà che devono assolvere le ONLUS si può ritenere che le attività sanitarie previste dal D.LGS. 460/97 siano quelle relative alla sola salute umana, con esclusione delle cure per gli animali, che (forse) possono rientrare nella ulteriore sezione della “tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente” (n. 8). Tale conclusione è avvalorata dal fatto che l’assistenza sanitaria è attività ONLUS se e solo se svolta a favore di soggetti svantaggiati. In Italia migliaia di enti (Pubbliche Assistenze, Misericordie, ecc.) svolgono il servizio di trasporto con ambulanze, spesso in convenzioni con le ASL. Tale attività è in parte di assistenza sociale (nei casi in cui il viaggio in teoria non richiede la presenza di personale sanitario e/o di attrezzature mediche specifiche: es. viaggi per esami o prelievi o per visite di controllo), in parte sanitaria (trasporto di malati e feriti che invece abbisognano della presenza di personale sanitario e/o di attrezzature mediche). Per una ONLUS (ordinaria) quest’ultima attività deve essere svolta solo verso soggetti “svantaggiati” e non può essere bilanciata dall’attività ricadente nel settore sociale, in quanto la legge li ritiene settori separati. Si noti invece come spesso per le OdV (ad esempio in Emilia-Romagna) i settori socio-assistenziale e sanitario siano invece entrambi considerati settori istituzionali, senza vincoli, per cui tale distinzione non è più necessaria.

b) Istruzione Questo settore riguarda pacificamente la gestione di tutti i cicli scolastici, dalle scuole elementari in avanti. Il termine “istruzione” è obsoleto per cui è dubbio se tale settore comprenda anche le attività dei nidi e delle scuole d’infanzia, in quanto tecnicamente non si tratta di scuole dell’obbligo e successive, ma di attività educative propedeutiche all’attività scolastica obbligatoria vera e propria (ad es. per le coop. sociali che operano in tali settori viene usato il termine di “attività educative”). Su questo settore non risultano interventi da parte del fisco o dell’Agenzia per le Onlus, visto anche il vincolo di operare con soggetti svantaggiati. La nuova disciplina delle scuole paritarie rinvia in modo maldestro alle agevolazioni ONLUS, senza però eliminare il vincolo di operare verso soggetti svantaggiati. L’intenzione del legislatore è chiara, ma la cattiva formulazione della 132


IL REGIME ONLUS

norma al momento suggerisce di operare con cautela e di non godere delle agevolazioni ONLUS, in vista di un auspicabile chiarimento da parte del fisco.

c) Formazione Si ritiene che questo settore riguardi il sistema della formazione professionale, come disciplinato dalle varie leggi regionali. Si tratta di attività di insegnamento teorico e pratico, spendibile sul mercato del lavoro, in termini di qualifiche previste dai vari contratti collettivi di lavoro: apprendimento di un mestiere, miglioramento della qualifica lavorativa, riqualificazione di soggetti espulsi dal mercato del lavoro, ecc.. Si può ritenere che sia esclusa da questo settore l’attività di formazione extra scolastica della persona, come individuata dall’art. 148 TUIR (es. Università per gli adulti), in quanto non finalizzata al conseguimento di un titolo di studio riconosciuto dallo Stato o di una qualifica professionale riconosciuta dallo Stato o dalle Regioni. d) Sport dilettantistico Per questo settore occorre fare riferimento all’ordinamento sportivo. Il CONI e le varie Federazioni definiscono l’ambito dello sport professionistico (soggetti e tipi di manifestazioni), per cui, a contrario, tutte le altre attività sportive si intendono dilettantistiche. Ai fini dell’applicazione del regime fiscale agevolato delle associazioni sportive dilettantistiche (art. 148 TUIR, L. 398/91, regime dei compensi sportivi, ecc.) è obbligatoria l’iscrizione al Registro CONI con connessa affiliazione sportiva (al Coni, alle Federazioni, agli Enti di Promozione Sportiva). Non è chiaro se, ai soli fini ONLUS, tale affiliazione sia necessaria: in ogni caso è più prudente effettuarla per cumulare tutti i benefici (regime ONLUS + regime fiscale sportivo di base). e) Tutela dei diritti civili Il concetto di “diritti civili” attiene alla sfera delle idee politiche vigenti in una determinata società in un particolare periodo storico, in particolare all’atteggiarsi delle idee di libertà ed eguaglianza della persona e dei gruppi sociali in cui essa vive e opera. Non per nulla il termine “civili” deriva da “cives”, cioè dal cittadino, con tutti i significati che tale parola ha assunto dalla Rivoluzione Francese in poi.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Nelle democrazie i “diritti civili” vengono inseriti nei principi generali del diritto costituzionale. La Costituzione Italiana li prevede nella PARTE PRIMA – DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI (artt. 13-54), ove si parla di rapporti civili, etico-sociali, economici e politici. Tali diritti possono essere classificati in civili in senso stretto, politici e sociali. I primi sono quelli che attengono alla personalità dell’individuo (libertà personale, di pensiero, di religione, di riunione, libertà economica), per cui all’individuo è garantita una sfera di arbitrio o di liceità, purché il suo comportamento non violi il diritto degli altri. I diritti civili obbligano lo Stato a un atteggiamento di non impedimento, a una astensione. I diritti politici (libertà di associazione nei partiti, diritti elettorali) sono collegati alla formazione dello Stato democratico rappresentativo e implicano una libertà attiva, una partecipazione dei cittadini nel determinare l’indirizzo politico dello Stato. I diritti sociali (diritto al lavoro, all’assistenza, allo studio, tutela della salute) maturati dalle nuove esigenze della società industriale, invece, implicano un comportamento attivo da parte dello Stato nel garantire ai cittadini una situazione di certezza. Si tratta, ad evidenza, di un settore quanto mai ampio, soggetto anche ad evoluzioni in base al contesto sociale, economico e politico della comunità. In ogni caso si ricorda che, ai fini ONLUS, sono esclusi in via di principio i partiti e i movimenti politici, intesi come organizzazioni che si presentano alle elezioni per accedere a cariche politiche. L’agenzia per le ONLUS, con il parere n. 33 del 26/3/2003, ha ritenuto che le associazioni di tutela dei consumatori non possono essere ONLUS, in quanto i “consumatori” non sono, di per sé, una categoria “svantaggiata” nel senso voluto dal D.LGS. 460/97. D’altra parte è però noto che alcune di tali associazioni a rilievo nazionale hanno assunto la qualifica di ONLUS.

Un altro limite importante posto dal fisco alle attività delle ONLUS è quello territoriale ed emerge specialmente nel settore in esame (aiuti allo sviluppo del terzo mondo in tutti i suoi vari aspetti). Il fisco ritiene che le ONLUS debbano operare in Italia e tende a non riconoscere tale qualifica a quegli enti che vogliono operare anche all’estero. Il fisco ritiene che, per l’estero, le agevolazioni fiscali discendano dall’assunzione della qualifica di o.n.g. (considerate ON-

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IL REGIME ONLUS

LUS di diritto). Una limitata apertura è stata fatta con la circ. n. 59 del 31/10/2007, con la quale il fisco consente alle ONLUS di destinare aiuti all’estero a patto che vi sia l’indicazione esatta dell’ente che opera nel paese estero e che risulta destinatario degli aiuti stessi. Questo atteggiamento restrittivo discende dall’impossibilità di effettuare controlli sulle attività svolte all’estero, che potrebbero coprire ambiti non meritevoli di tutela: per questo motivo si preferisce eliminare il problema alla radice. In realtà il D. Lgs. 460/97 prevede per il settore “diritti civili” il vincolo generico previsto per tutte le attività di “serie B”, cioè di operare con soggetti “svantaggiati” (v. oltre), non fissando esplicitamente vincoli geografici. L’art. 10, 2° comma, lett. B), della legge riconosce anzi espressamente come diretti a soggetti svantaggiati gli “aiuti umanitari” destinati a collettività estere. Tale norma è importante perché: a) riconosce espressamente che le ONLUS possono operare all’estero b) qualifica come di “serie A” gli “aiuti umanitari” rivolti a gruppi (e non a singoli individui) c) mantiene il vincolo dei “soggetti svantaggiati” per tutte le altre attività che non consistono in “aiuti umanitari” a gruppi sociali. Il termine “aiuti umanitari” può essere variamente interpretato, sia nel contenuto (aiuti alimentari, sanitari, ecc.) che nella periodicità (solo in seguito a grandi disastri, anche in via ordinaria, ecc.), resta fermo però che la legge prevede la possibilità di operare all’estero.

È un altro caso in cui le ONLUS sono da sole a fronteggiare i limiti, veri o artificiali, che il fisco aggiunge a quelli già previsti dalla legge. 5.8.2 I soggetti svantaggiati L’ente che opera in uno dei settori di serie B, deve necessariamente lavorare a favore di soggetti svantaggiati, altrimenti non può assumere la qualifica di ONLUS. Il fisco con la C.M. 26/6/1998 n. 168/E ha detto che “la valutazione della condizione di ‘svantaggio’ costituisce un giudizio complessivo inteso ad individuare categorie di soggetti in condizioni di obiettivo disagio, connesso a situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti, a situazioni di devianza, di degrado o grave disagio economico-familiare o di emarginazione sociale.” Il fisco elenca, in modo sicuramente non esaustivo, una serie di situazioni in cui ravvede lo “svantaggio”:

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee • tossico-dipendenti • alcolisti • indigenti • anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico • minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza • profughi • immigrati non abbienti. Qui, purtroppo, è mancato qualunque coordinamento con le norme e la prassi sviluppate sui soggetti “svantaggiati” in altre parti dell’ordinamento, per cui ci si deve scontrare con le interpretazioni (anche creative) del fisco. Ad esempio il fisco ha ritenuto che la qualifica di “anziano”, da sola, non integra la condizione di svantaggio, ma deve essere unita a specifiche condizioni fisiche, sociali o economiche. Questo non sarebbe grave se il fisco non ne avesse fatto derivare, in modo particolarmente creativo, vincoli sull’ammontare delle quote di partecipazione alle spese dei servizi erogati, come nel caso di gestione di ricoveri per anziani.

Oltre a quanto detto sopra per l’assistenza sociale, sarebbe stato utile, ad esempio, collegare tale norma con quelle sulle cooperative sociali (L. 381/1991) e sui lavori socialmente utili (D. LGS. 468/97). È noto che le cooperative sociali di tipo B, hanno come scopo l’inserimento lavorativo dei seguenti soggetti svantaggiati (art. 4, L. 381/1991): • invalidi (fisici, psichici, sensoriali) (invalidi almeno al 45% Circ. Min. Lavoro n. 116/1992) • ex degenti di istituti psichiatrici • soggetti in trattamento psichiatrico • tossicodipendenti • alcolisti • minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiari • condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione. Per i l.s.u. si fa riferimento ai lavoratori ai margini o espulsi dal mercato del lavoro (art. 4, D.LGS. 468/1997): • lavoratori in cerca di prima occupazione

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IL REGIME ONLUS

• • • • •

disoccupati da oltre 24 mesi lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (con o senza indennità) lavoratori in cassa integrazione a zero ore lavoratori in esubero (da accordi sindacali) detenuti in lavoro esterno.

Ai fini ONLUS i disoccupati da oltre 24 mesi sono soggetti svantaggiati? E i detenuti o le persone uscite dalla prigione? E le prostitute? RIEPILOGO ATTIVITÀ STATUTARIE DI SERIE B PER LE ONLUS ATTIVITÀ 2) assistenza sanitaria

SOGGETTI SVANTAGGIATI • Disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee 4) istruzione • Tossico-dipendenti • Alcolisti 5) formazione • Indigenti 6) sport dilettantistico • Anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico 9) promozione della cultura • Minori abbandonati, orfani o in situazioni di e dell’arte (N.B.: se NON disadattamento o devianza ha ricevuto contributi sta• Profughi tali) • Immigrati non abbienti 10) tutela dei diritti civili. • Altri ??

Dall’intreccio attività/soggetti svantaggiati emergono alcuni possibili settori d’intervento: • associazioni sportive per disabili • assistenza sanitaria per tossico-dipendenti • tutela diritti civili dei disabili (o dei profughi) • ecc.. Si vede come l’istruzione e la formazione ne escano fortemente penalizzati.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

5.9 Le attività direttamente connesse 5.9.1 I criteri generali Si è visto come le ONLUS devono svolgere (per statuto e nella realtà concreta) una delle attività sopra indicate, di serie A o di serie B (attività istituzionale). La legge consente, in aggiunta a tale attività, di esercitare attività diverse, dette “direttamente connesse”, con i seguenti limiti quantitativi: • esse non devono essere prevalenti rispetto alle attività “istituzionali”; • i loro proventi non devono superare il 66% delle spese totali dell’ente. Questi limiti vanno: • verificati per ogni esercizio sociale; • rispettati entrambi (cioè non sono tra loro alternativi). Tali attività “direttamente connesse” sono di due tipi: • le attività statutarie di serie B (v. sopra) svolte nei confronti di persone “non svantaggiate”; • altre attività accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali in quanto integrative delle stesse. ATTIVITÀ DELLE ONLUS ISTITUZIONALE In uno o più dei settori ammessi di serie A o di serie B

DIRETTAMENTE CONNESSE A) TIPOLOGIA • Nei settori statutari di serie B verso soggetti NON svantaggiati • Attività accessorie per natura a quelle statutarie B) LIMITI • Non prevalenti su attività istituzionale • Proventi ≤ 66% spese totali

Come si è detto all’inizio la logica di questo limite sta nel non volere estendere le agevolazioni/esenzioni ad attività diverse da quelle scelte dal potere politico come raggio d’azione delle ONLUS.

Tale classificazione, desunta dall’art. 10 del D. LGS. 460/97, in realtà va completata con altri tipi di operazioni pacificamente ammesse per le ONLUS, come già per gli e.n.c. in generale (v. sopra). 138


IL REGIME ONLUS

In primo luogo le operazioni di gestione del proprio patrimonio per trarne rendite da destinare al funzionamento dell’ente e alle attività statutarie e/o direttamente connesse: gestione di immobili in locazione, gestione di titoli, ecc.. In secondo luogo le operazioni di fund raising. L’art. 26 del D.LGS. 460/97 prevede che “alle ONLUS si applicano, ove compatibili, le disposizioni relative agli enti non commerciali”. In particolare si applicano alle ONLUS le regole dell’art. 2 del D.LGS. 460/97 sulle raccolte occasionali di fondi e quelle sulle erogazioni liberali, da privati, enti o imprese, di cui all’art. 13. Le operazioni di fund raising si devono ritenere incluse tra le attività istituzionali, come indirettamente conferma l’art. 149, 2° comma, TUIR, in tema di e.n.c., laddove indica che sono “entrate istituzionali … i contributi, le sovvenzioni, le liberalità …”. È chiaro che le attività di fund raising devono essere strumentali al sostegno di una delle attività istituzionali che danno la qualifica di ONLUS (serie A o B). Questo punto è importante visti gli sviluppi del marketing “sociale”, che unisce gli interessi delle aziende con i messaggi etici delle ONLUS. Le ONLUS devono quindi analizzare le proprie attività e classificarle in cinque settori, come risulta anche dallo schema di bilancio per gli enti non profit in genere preparato dal Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti: I SETTORI DI ATTIVITÀ DELLE ONLUS Istituzionali principali (settori A e/o B del D. Lgs. 460/97)

Ammessa senza vincoli

Istituzionali per gestione patrimoniale

Ammessa senza vincoli

Istituzionali per fund raising

Ammessa senza vincoli

Direttamente connesse

Ammessa con vincoli

Altre e diverse

Vietata

5.9.2 Il primo tipo di attività connessa Il primo tipo di attività direttamente connessa è, in realtà, limitato a quelle ONLUS che già operano per statuto, in via istituzionale, in uno o più dei settori di serie B. La legge consente che le stesse attività istituzionali vengano svolte, con i noti limiti (non prevalenza e ≤ 66% spese totali), anche verso soggetti non svantaggiati. 139


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Ad esempio una associazione sportiva per disabili potrebbe organizzare anche attività verso i normodotati. Una ONLUS di formazione potrebbe gestire corsi di formazione anche verso soggetti normali, oltre che verso minori in stato di devianza, tossico-dipendenti, ex carcerati (se ritenuti “svantaggiati”), ecc..

In questo caso la divisione contabile (e di bilancio) diventa particolarmente impegnativa, in quanto si tratta della medesima attività istituzionale (e non di attività oggettivamente diversa) da differenziare solo in funzione dei destinatari. Questo aspetto denota il distacco dalla realtà dei redattori della legge, che hanno posto un vincolo apparentemente razionale sul piano logico formale, ma ingestibile sul piano concreto e fonte di contrasti con il fisco.

5.9.3 Il secondo tipo di attività connesse Il secondo tipo di attività connesse, valido qualunque sia il settore di attività istituzionale della ONLUS (serie A o B), è quello delle “attività accessorie per natura a quelle statutarie istituzionali, in quanto integrative delle stesse” (art. 10, 5° comma, D.LGS. 460/97). Il fisco (C.M. 168/1998) ritiene che esse: • “sono attività strutturalmente funzionali, sotto l’aspetto materiale, a quelle istituzionali”; • “costituiscono … fonti per il reperimento di fondi necessari per finanziare le attività istituzionali dell’organizzazione”; • “non (possono) costituire un’autonoma attività, ma (devono) svolgersi nel contesto dell’attività istituzionale e in stretta connessione con quest’ultima”. Quest’ultima affermazione appare la più importante, in quanto ribadisce uno dei principi fondamentali della legge ONLUS: non si possono estendere le agevolazioni ad attività (specie d’impresa) diverse da quelle previste dalla legge. A contrario esse si possono estendere a quelle attività (anche d’impresa) che discendono da quelle istituzionali e che sono ad esse legate da necessarie e logiche esigenze organizzative, logistiche, economiche, giuridiche, ecc.. Il fisco ha citato espressamente (C.M. 168/1998) un caso relativo ad una ONLUS che gestisce un museo (settore promozione arte e cultura in presenza di contributo statale): si ritiene attività direttamente connessa “la vendita di depliants nei botteghini dei musei”. Il caso, con termini più appropriati, va forse inquadrato

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IL REGIME ONLUS

nella vendita di pubblicazioni nel book shop del museo, sempre se gestito direttamente dall’ONLUS. In questo caso la connessione deriva dal fatto che il book shop si trova all’interno del museo ed è accessibile solo ai visitatori dello stesso e non al pubblico generico. Il fisco ha negato ad una ONLUS la possibilità di svolgere attività di costruzione e vendita di immobili su un terreno pervenuto per eredità e divenuto successivamente edificabile: non si tratta di attività connesse. La Onlus ha dovuto vendere il terreno.

sUn caso più delicato è invece quello della pubblicità o sponsorizzazione. È noto che le aziende incontrano limiti alla deduzione dal proprio reddito fiscale dei contributi a fondo perduto erogati alle ONLUS, per cui preferiscono ricevere fatture di pubblicità, facilmente deducibili ai fini fiscali. Inoltre con lo sviluppo del “cause related marketing” (-> marketing sociale) le aziende cercano di integrare nella propria strategia comunicativa i messaggi etici propri delle ONLUS per raggiungere ulteriori segmenti di clientela. Per l’ONLUS si tratta di un’attività d’impresa commerciale, dando per acquisiti i caratteri di abitualità e organizzazione, per cui ai fini IVA va emessa la fattura, mentre ai fini IRES tali ricavi possono essere esenti solo se si riesce ad inquadrare la pubblicità/sponsorizzazione tra le “attività direttamente connesse”. Il fisco, con la R.M. 14/11/2002 n. 356/E, in via incidentale in risposta ad un’articolata questione di cessione d’uso del marchio di una ONLUS per fini pubblicitari, ha ribadito che la “sponsorizzazione … rileva, ai fini fiscali, come attività commerciale” e che essa “non sembra configurabile quale attività connessa”, per cui per le ONLUS si tratterebbe di attività “non consentita, pena la perdita della qualifica di ONLUS”. Tale interpretazione è eccessivamente rigida, perché in alcuni casi la sponsorizzazione potrebbe essere veramente attività connessa. Si pensi alla pubblicità stampata sulle fiancate dei pulmini per il trasporto di disabili, alla raccolta di inserzioni su bollettini, periodici o siti internet dell’ONLUS, alle inserzioni pubblicitarie sui programmi delle ONLUS operanti nel settore dell’arte e della cultura, alla pubblicità raccolta per organizzare un torneo di sport per disabili o per realizzare un convegno sui propri temi istituzionali, ecc.. È probabilmente più corretto ritenere che valga, anche per la pubblicità/sponsorizzazione, l’unico vero limite che non si tratti di attività non collegata necessariamente e funzionalmente a qualche attività istituzionale.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Proprio questo tipo di entrata, tipicamente aleatoria, potrebbe diventare “pericolosa” per la verifica dei limiti tra attività istituzionali e direttamente connesse (non prevalenza e 66%). In questo caso l’ONLUS dovrebbe effettuare un controllo preventivo e, se del caso, spostare in altri esercizi o addirittura rinunciare, in tutto o in parte, a tali entrate. Basta questo per far capire l’irrazionalità di un vincolo troppo rigido. Sempre con la citata R.M., e sempre in via incidentale, il fisco ritiene, inoltre, che le sponsorizzazioni non possano esistere in una raccolta di fondi occasionale, trattandosi piuttosto di erogazioni liberali, a fronte della sproporzione tra somma erogata e servizio ricevuto. Anche in questo caso l’opinione del fisco appare troppo rigida, in quanto occorre vedere le modalità concrete di svolgimento della sponsorizzazione. È corretto ritenere che la sponsorizzazione non possa godere di esenzione da IRES ex art. 143 TUIR, in merito alle raccolte fondi occasionali, che effettivamente appare più rivolta al rapporto con il pubblico degli utenti potenziali donatori, ma ben potrebbe goderne in quanto “attività direttamente connessa”. Potrebbe essere il caso di prestazioni pubblicitarie che sostengono e si esauriscono con la campagna di raccolta fondi, specie se svolta da ONLUS operanti sull’intero territorio nazionale.

Questo concetto è più comprensibile se si conviene, come detto sopra, che le attività di fund raising sono “istituzionali” per le ONLUS, al pari delle attività nei settori qualificati per legge. 5.10 Gli obblighi contabili La legge prevede degli obblighi contabili suddivisi per l’ONLUS nel suo complesso e per il settore delle attività “direttamente connesse”: • la tenuta del libro giornale e del libro inventari per l’ONLUS nel suo complesso, con un bilancio finale che suddivida le voci tra i settori istituzionale e direttamente connesso; • la tenuta delle scritture contabili fiscali per il solo settore delle attività direttamente connesse. La norma appare in astratto razionale, mentre invece è incompleta e fuorviante, perché spesso le ONLUS svolgono come attività istituzionale un’attività d’im-

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IL REGIME ONLUS

presa (vedi ad es. le attività sanitaria, socio-sanitaria o di istruzione), soggetta anche ad IVA, per cui occorre tenere tutti i registri previsti per l’IVA. Si noti poi che nel caso l’ONLUS svolga attività connesse con ricavi superiori ai limiti di legge, sarebbe tenuta, secondo la lettera della norma, a compilare un secondo libro giornale e un secondo libro inventari solo per questo settore, con evidente duplicazione di registrazioni. La dottrina ormai ha accettato che l’ONLUS tenga un’unica contabilità in partita doppia con un adeguato piano dei conti che consenta di dare separata evidenza nel bilancio alle attività “istituzionali” e “connesse”. Per le ONLUS con entrate inferiori a € 51.645,69= annui la legge concede l’esonero dalla tenuta del libro giornale e del libro inventari, essendo sufficiente la redazione di un semplice rendiconto di entrate e uscite. Resta ferma la tenuta, se del caso, dei registri IVA. Questa semplificazione è concessa in via generale a tutte le OdV che siano ONLUS di diritto, a prescindere dal volume delle entrate. Si ricorda che per le ONLUS (anche OdV) che godono dello speciale regime delle erogazioni liberali ex art. 14 del D.L. 35/2005 è obbligatorio tenere il libro giornale, a prescindere dal limite delle entrate sopra indicato.

In caso di entrate complessive superiori a € 1.032.913,80= per due anni consecutivi, già dal secondo anno il bilancio dell’ONLUS deve essere accompagnato da una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori contabili iscritti nell’apposito registro. Al momento non esistono norme di legge o altri documenti ufficiali che indichino i contenuti specifici di tale relazione, per cui si applicheranno per analogia i criteri validi per le società di capitali.

Il bilancio delle ONLUS non deve essere depositato presso alcun ufficio pubblico (salve le regole per le cooperative). Le operazioni di gestione delle attività “direttamente connesse” devono quindi risultare in modo separato dalle scritture contabili e dal bilancio dell’ONLUS, pur avendo un regime fiscale quasi identico alle operazioni “istituzionali”, come risulta dal seguente prospetto.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

ATTIVITÀ ISTITUZIONALE

ATTIVITÀ DIRETTAMENTE CONNESSA

Separata evidenza contabile e in bilancio

Idem

Utile di bilancio d’impresa esente da IRES Soggetta ad IRAP con criterio retributivo (anche in caso d’esercizio d’impresa)

Idem Se d’impresa soggetta ad IRAP con criterio del bilancio d’impresa, altrimenti con il criterio retributivo

Se attività d’impresa soggetta ad IVA con i criteri ordinari (possibilità di limitati casi di esenzione da IVA)

Idem

Esonerata da rilascio scontrini e ricevute fiscali

Soggetta al rilascio di scontrini e ricevute fiscali (salvo per associazioni in regime L. 398/91)

È bene ricordare che, per le ONLUS, sia le attività istituzionali che le attività direttamente connesse possono essere attività d’impresa. Ogni situazione va quindi analizzata alla luce dei criteri fiscali e civili che definiscono l’impresa (organizzazione, abitualità, corrispettivo), per poi (dopo) applicare le esenzioni/agevolazioni fiscali spettanti in quanto ONLUS. Ad esempio una Fondazione-ONLUS potrà gestire una casa di riposo (attività socio assistenziale), con rette dei privati e contributi pubblici (sicuramente si tratta di esercizio d’impresa), per poi godere dell’esenzione da IRES sull’utile di bilancio (se esistente). Il Fisco cerca di sottoporre a forti vincoli l’attività delle case di riposo ONLUS, richiedendo che l’utente paghi importi limitati del costo globale di degenza, a prescindere dall’avvenuto accreditamento con la Regione. Questa posizione rigida del fisco, non supportata dalla legge, è stata bocciata dalle Commissioni Tributarie e dalla Corte di Cassazione.

Proseguendo nell’esempio che l’attività istituzionale della ONLUS abbia carattere d’impresa, il rendiconto economico avrà la seguente impostazione ; per semplicità si usa lo schema classico a colonne contrapposte, indicando come da prassi nella colonna di sinistra si indicano i costi e in quella di destra i ricavi (volendo si può utilizzare la forma a scalare, determinando vari risultati intermedi):

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IL REGIME ONLUS

COSTI

RICAVI

COSTI ATTIVITÀ ISTITUZIONALE D’IMPRESA

RICAVI ATTIVITÀ ISTITUZIONALE D’IMPRESA

COSTI PER ATTIVITÀ DIRETTAMENTE CONNESSA D’IMPRESA

RICAVI ATTIVITÀ DIRETTAMENTE CONNESSA D’IMPRESA

COSTI PER GESTIONI PATRIMONIALI Immobiliare/Mobiliare Ordinari/straordinari

RICAVI PER GESTIONI PATRIMONIALI Immobiliare/Mobiliare Ordinari/straordinari

ONERI FINANZIARI

PROVENTI FINANZIARI

COSTI PER FUND RAISING

PROVENTI DA FUND RAISING

COSTI GENERALI DI SUPPORTO NON RIPARTIBILI IRES/IRAP A pareggio UTILE D’ESERCIZIO

A pareggio (PERDITA DI ESERCIZIO)

Come è noto ai fini IRES l’utile derivante dall’attività d’impresa di una ONLUS, sia essa istituzionale che direttamente connessa, è esente da imposta. Ai fini IRAP le basi imponibili vanno invece separate, in quanto per il settore istituzionale si usa il criterio retributivo e per quello direttamente connesso il criterio del bilancio. A tale scopo vari tipi di costi saranno promiscui tra i due settori (personale, ammortamenti per beni strumentali, prestazioni di servizi, utenze, ecc.), per cui dovranno essere artificialmente ripartiti utilizzando il rapporto tra i proventi dei due settori. Gli utili delle gestioni patrimoniali (immobili e titoli) sono tassati separatamente ai fini IRES, nelle categorie “redditi fondiari” e “redditi di capitale” (quindi al di fuori della categoria “redditi d’impresa”), per cui rilevano autonomamente ai fini IRES e non sono rilevanti ai fini del conteggio IRAP. I proventi e gli oneri finanziari derivanti dalla gestione d’impresa (es. per c/c, fidi, mutui, ecc.)dovrebbero essere inseriti tra i relativi ricavi/costi, lasciando con separata evidenza solo quelli derivanti dalle altre gestioni accessorie (patrimoniale e fund raising). In ogni caso tali proventi e oneri non rilevano ai fini IRAP. 145


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Per mantenere la qualifica di ONLUS vanno poi soddisfatti contemporaneamente i seguenti due rapporti (art. 10, 5° comma. D. Lgs. 460/97), ricavabili dal conto economico: – RICAVI ATTIVITÀ ISTITUZIONALE D’IMPRESA > RICAVI ATTIVITÀ DIRETTAMENTE CONNESSA D’IMPRESA – RICAVI ATTIVITÀ DIRETTAMENTE CONNESSA D’IMPRESA ≤ 66% COSTI TOTALI . 5.11 Le sanzioni delle ONLUS Abbiamo visto che la legge obbliga le ONLUS ad inserire nello statuto la clausola che vieta la distribuzione di utili anche in modo indiretto. La legge elenca alcuni casi espliciti di distribuzione indiretta, limitando l’operatività delle ONLUS: in particolare si segnalano: – il divieto di praticare prezzi ridotti ai soci rispetto ai terzi; – il divieto di erogare maggiorazioni per gli stipendi del personale dipendente superiori al 20% delle tariffe contrattuali. Per gli stipendi si può chiedere al fisco la disapplicazione per giustificati motivi della norma antielusiva, utilizzando la procedura dell’interpello ex art. 37-bis, 8° comma, D.P.R. 600/73.

L’art. 28 del D.LGS. 460/97 prevede alcune sanzioni specifiche a carico dei Presidenti e degli amministratori delle ONLUS, che possono essere irrogate dagli uffici fiscali, anche su segnalazione dell’Agenzia per le Onlus (v. sopra). Si segnalano l’uso illecito della denominazione ONLUS (multa da € 309,87= a € 3.098,74= per ogni amministratore), l’eccesso di attività connesse o la distribuzione indiretta di utili (multa da € 1.032,91= a € 6.197,48= per ogni amministratore). 5.12 Le ONLUS parziarie Gli enti ecclesiastici concordatari e le associazioni affiliate agli enti di promozione sociale nazionali (ARCI, ANSPI, ecc.) possono istituire al loro interno un settore ONLUS, nel rispetto di tutte le regole viste sopra: scritture contabili, vincoli di settore, sanzioni, ecc..

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IL REGIME ONLUS

Al posto dello statuto questi enti debbono redigere un regolamento del settore ONLUS, con scrittura privata registrata, contenente tutte le clausole richieste dalla legge. Tutti gli obblighi e le agevolazioni previste per le ONLUS sono applicabili solo al “settore ONLUS”. 5.13 Le agevolazioni delle ONLUS Il D. Lgs. 460/97 prevede varie agevolazioni/esenzioni fiscali per le ONLUS. Il D. Lgs. 460/97 prevede varie agevolazioni/esenzioni fiscali per le ONLUS. La più rilevante, come visto sopra, è quella che esenta da IRES gli utili delle attività imprenditoriali svolte dalle ONLUS, sia nel settore “istituzionale” che in quelli “direttamente connessi”. Le altre agevolazioni fiscali possono essere così riassunte: EROGAZIONI LIBERALI

Deducibilità dal reddito delle offerte di denaro o merce (v. capitolo sul fund rasing).

IRAP

Riduzione aliquota / esenzione (deliberate dalle singole Regioni)

REDDITI DI CAPITALE

Ritenute a titolo d’imposta

IVA

Esenzione da IVA per talune prestazioni di servizi.

RICEVUTA / SCONTRINO Esclusione per le attività FISCALE “direttamente connesse”. RITENUTA 4% (art. 28 D.P.R. 600/73)

Esenzione da ritenuta 4% sui contributi ricevuti

IMPOSTA DI BOLLO

Esenzione

CONCESSIONI GOVERNATIVE

Esenzione

IMPOSTA SUCCESSIONI E DONAZIONI

Esenzione

IMPOSTA DI REGISTRO

Tassa fissa per gli acquisti di immobili e per gli statuti

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI

Esenzione per intrattenimenti occasionali

LOTTERIE, TOMBOLE, PESCHE DI BENEFICENZA

ONLUS ammesse come enti organizzatori

TRIBUTI LOCALI

Agevolazioni deliberate dagli enti locali

Per le ulteriori agevolazioni comunque usufruibili da una vasta parte delle ONLUS si rimanda al capitolo “agevolazioni varie”.

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6. La nuova impresa sociale

6.1 I problemi aperti Il regime ONLUS riguarda soggetti inquadrabili ai fini fiscali sia tra gli “enti non commerciali” (principalmente OdV e altre piccole associazioni), con agevolazioni tutto sommato modeste, che tra gli “enti commerciali”, con l’agevolazione più importante consistente nell’esenzione da IRES dell’utile derivante dall’esercizio di attività d’impresa nei settori “qualificati”. L’esperienza sta dimostrando che il regime ONLUS non è soddisfacente per i vari attori sociali che reputano di avere diritto alle agevolazioni per attività “di utilità sociale”. Vi sono problemi di raccordo con le norme civilistiche dei vari soggetti interessati, specie in caso di esercizio di imprese, in tema di scritture contabili, bilanci, sistemi di amministrazione e controllo, assoggettamento alle procedure concorsuali, iscrizione presso il Registro Imprese, ecc.. Inoltre vi sono problemi fiscali derivanti dalla sovrapposizione del regime ONLUS con le varie leggi di settore. Per questi motivi da tempo è avviato il dibattito per l’inserimento nel nostro ordinamento della figura dell’”impresa non lucrativa di utilità sociale” (c.d. INLUS). Si tratta, in sintesi, del tentativo di estendere ad altre forme giuridiche (associazioni, fondazioni, società di capitali senza scopo di lucro) le agevolazioni (previdenziali, fiscali, amministrative) oggi riservate alle sole cooperative sociali, superando il sistema delle ONLUS, almeno per quanto riguarda il settore degli “enti commerciali”. Particolarmente attiva in questo senso è stata la Compagnia delle Opere, ente che raggruppa molteplici realtà operanti nel settore “non profit” in senso ampio.

6.2 La nuova impresa sociale Con la L. 13/6/2005 n. 118 il Parlamento ha conferito al Governo la delega per la disciplina dell’impresa sociale, esercitata con il D. Lgs. 24/3/2006 n. 155,

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

seguita da quattro decreti ministeriali attuativi emanati il 24/1/2008. L’aspetto principale è che, a differenza delle ONLUS, si fa esclusivo riferimento a soggetti che svolgono in via principale un’attività imprenditoriale: siamo quindi tecnicamente di fronte ad un intervento sul regime degli “enti commerciali” e delle “società commerciali” e non su quello degli “enti non commerciali”. Come nel caso delle ONLUS, anche le imprese sociali sono vincolate ad operare principalmente in uno o più settori “qualificati”, tassativamente previsti per legge. Tali settori non coincidono con quelli previsti per le ONLUS.

Diversamente dalle ONLUS non sono più considerate le attività “direttamente connesse”, difficili da individuare, essendo stato preferito un generale vincolo sui ricavi derivanti dall’attività principale, che devono essere almeno pari al 70% dei ricavi totali, sempre con riferimento ai singoli periodi d’imposta. L’impresa sociale deve essere una organizzazione privata, con esclusione di ogni soggetto pubblico: in particolare essa potrebbe operare sotto forma di s.p.a., prevedendo nello statuto i vincoli di non lucratività. Viene quindi estesa alle imprese sociali la possibilità già prevista per le società operanti nel settore dello sport dilettantistico di utilizzare dei “contenitori” societari previsti dal Libro V del C.C., privandoli del lucro soggettivo.

PRINCIPALI ASPETTI DELL’IMPRESA SOCIALE SOGGETTI AMMESSI

Organizzazioni private – Libro I del C.C. – Libro V del C.C.

ATTIVITÀ

• attività d’impresa • in via stabile e principale • con fini di utilità sociale diretta a realizzare finalità di interesse generale • Operatività nei confronti del mercato e non dei soli soci

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LA NUOVA IMPRESA SOCIALE

SETTORI AMMESSI

– Assistenza sociale ex L. 328/2000 – Assistenza sanitaria per l’erogazione delle prestazioni di cui al D.P.C.M. 29/11/2001 in materia di livelli essenziali di assistenza – Assistenza socio/sanitaria ex D.P.C.M. 14/2/2001 – Educazione, istruzione e formazione ex L. 53/2003 – Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ex L. 308/2004, con esclusione delle attività esercitate abitualmente di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi – Valorizzazione del patrimonio culturale ex D. Lgs. 42/2004 – Turismo sociale ex art. 7, comma 10, L. 135/2001 – Formazione universitaria e post-universitaria – Ricerca ed erogazione di servizi culturali – Formazione extrascolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo – Servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano impresa sociale – qualunque attività d’impresa svolta al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti deboli (almeno 30% di lavoratori svantaggiati e/o lavoratori disabili)

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

VINCOLI DI BILANCIO

– Ricavi dei settori ammessi > 70% ricavi complessivi – Obbligo di redazione e deposito al Registro Imprese del bilancio completo – Obbligo di redazione e deposito al registro Imprese anche del bilancio sociale

ASSENZA DI SCOPO DI LUCRO – Divieto di distribuire ai soci, ad amministratori, collaboratori e dipendenti, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale – Obbligo di reinvestire gli utili o avanzi di gestione nell’attività istituzionale o ad incremento del patrimonio – Obbligo di devoluzione del patrimonio residuo ad ONLUS, associazioni, comitati, fondazioni, enti ecclesiastici, fondi mutualistici (per le cooperative) – Divieto di partecipazioni di controllo da parte di soggetti pubblici o di imprese private aventi scopo di lucro COSTITUZIONE

– Per atto pubblico (notaio) – Obbligo di inserire nella denominazione “impresa sociale”

REGOLE DI GOVERNANCE

• Per enti associativi la maggioranza delle cariche sociali deve essere di nomina interna • Non è ammessa la nomina da parte di enti pubblici o di imprese lucrative • Lo statuto deve prevedere specifici requisiti di onorabilità, professionalità ed indipendenza • Presenza obbligatoria di uno o più Sindaci

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LA NUOVA IMPRESA SOCIALE

REGOLE CIVILISTICHE

• Obbligo di iscrizione nel Registro Imprese • Assoggettamento alla liquidazione coatta amministrativa in caso di insolvenza • Se patrimonio sociale > € 20.000= concessione automatica della responsabilità limitata • Disciplina della trasformazione, fusione e cessione di azienda che garantisce la natura ”sociale” dell’impresa • Lo statuto o il regolamento deve prevedere forme dei prestatori d’opera e dei destinatari delle attività • Applicazione dei CCNL di settore • Volontari ammessi nel limite del 50% dei lavoratori retribuiti • Decadenza dalla qualifica di impresa sociale per violazione di norme di legge • Disciplina dei gruppi di imprese sociali

REGOLE FISCALI

– Le ONLUS e gli e.n.c. possono acquisire anche la qualifica di “impresa sociale”, mantenendo le proprie agevolazioni/esenzioni di settore – Le coop. sociali mantengono le agevolazioni/esenzioni di settore – Per gli altri soggetti non sono previste agevolazioni/esenzioni specifiche (vincolo di assenza di maggiori oneri per la finanza pubblica)

Per talune ONLUS è consigliabile esaminare i possibili vantaggi dell’acquisto della qualifica di “impresa sociale”, in quanto la legge prevede espressamente che siano mantenute le agevolazioni fiscali del D. Lgs. 460/97 (compresa l’esenzione da IRES degli utili di bilancio).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Per gli altri enti privati non ONLUS la qualifica di impresa sociale non comporta agevolazioni/esenzioni fiscali specifiche. Il regime dell’impresa sociale non è diversificato in funzione della sua grandezza, per cui i costi amministrativi possono essere sensibili per le realtà minori: si pensi solo al costo di redazione di un bilancio sociale e al costo dell’organo di revisione, sempre obbligatorio. Le OdV non possono acquisire la qualifica di impresa sociale per due motivi di fondo: – perché in generale non esercitano in via principale un’attività d’impresa; – perché operano prevalentemente con volontari, per cui superano il limite previsto dalla nuova norma (≤ 50% dei lavoratori retribuiti). Tuttavia si ricorda che la qualifica di impresa sociale supererebbe tutti i problemi in materia di partecipazione delle OdV agli appalti pubblici. La questione del passaggio di una OdV ad ONLUS ordinaria e ad impresa sociale va quindi esaminata con cura in relazione alla struttura e all'attività della singola OdV.

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7. Il regime fiscale speciale delle OdV

7.1 Il caso delle OdV La L. 266/91 è stato il primo esempio di legge di promozione di uno specifico settore del non profit, rompendo un silenzio che durava da decenni, sia sul piano civilistico che, soprattutto, sul piano fiscale. Si è trattato di una legge notevole per quei tempi, che ha operato su vari livelli: – ha identificato (e separato) il settore del volontariato, all’interno del vasto mondo del non profit, esaltandone la specificità; – ha dato legittimazione alle OdV nel rapporto con gli enti pubblici, dando loro un ruolo e strumenti giuridici idonei (le convenzioni); – ha previsto una rete di centri di servizio per aiutare le OdV, sia per la loro gestione operativa che per assecondarne lo sviluppo qualitativo; – ha previsto il finanziamento obbligatorio delle Casse di Risparmio (ora Fondazioni Bancarie) per i centri di servizio. A partire da tale legge, ragionando sui suoi pregi e difetti, si è poi sviluppato il dibattito sul ruolo degli enti non profit nel nostro paese, che ha portato a rilevanti interventi strutturali (D. Lgs. 460/97 sulle ONLUS e sulla riforma degli e.n.c.; L. 383/2000 sulle associazioni di promozione sociale; D. Lgs. 155/2006 sulle imprese sociali; L. 244/2007 sui gruppi di acquisto solidale) o parziali (D.L. 35/2005 sulle erogazioni liberali “+ dai – versi”; 5 per mille dell’IRPEF). Questo fervore legislativo ha cercato di assecondare e guidare l’evoluzione degli enti non profit in generale, che in questi anni hanno radicalmente modificato la loro struttura e il loro modo di operare, dando luogo ad una estrema varietà di tipi e di situazioni. La varietà della realtà del non profit aiuta a comprendere (non a giustificare) come la legislazione in materia non abbia caratteri di organicità e si muova per settori o, anche, per spinte di singole lobby, perdendo di vista un quadro generale di obiettivi e strumenti condivisi da tutti. In questo contesto la L. 266/91 appare, oggi, insufficiente e superata in vari suoi aspetti, per cui da tempo si rincorrono progetti di riforma che non riesco155


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

no a trovare la luce, per via delle divergenze tra i vari soggetti istituzionali in gioco (Stato, Regioni, sistema delle Fondazioni Bancarie) e per le differenti esigenze di vasti settori del volontariato stesso, che variano dalla salvaguardia del “purismo spinto” alle aperture a modelli più “aziendalistici”. In realtà occorre capire se, oggi, esiste ancora l’esigenza di avere legislazioni (e agevolazioni/esenzioni) specifiche basate sui caratteri degli enti (volontariato/solidarietà per tutti, promozione sociale/mutualismo, coop. sociali, ecc.) o se occorra invece una legislazione premiale che si concentri sulle attività “qualificanti” svolte dagli enti non profit a prescindere dal tipo di soggetto (come tende a fare la nuova impresa sociale). Va anche notato che i vari progetti di riforma della L. 266/91 non propongono innovazioni del regime fiscale delle OdV: ciò rappresenta indubbiamente un limite di tali progetti. In questa situazione di attesa si è inserito il legislatore fiscale che, con l’art. 30 del D.L. 185/2008, in vigore dal 29/11/2008, ha attuato una sorta di “controriforma fiscale” delle OdV, sganciandole dal regime ONLUS, con il concreto rischio di limitarne le capacità operative e di esporle a pesanti sanzioni fiscali. 7.2 Il quadro fiscale iniziale delle OdV Ai fini fiscali la L. 266/91 ha delineato una figura di OdV legata allo schema classico degli enti non commerciali, che svolgono un’attività istituzionale non d’impresa e che possono svolgere, a latere ed in via accessoria, anche alcune attività d’impresa, tipicamente come fonte di autofinanziamento. Ciò traspare da vari punti della L. 266/91. L’art. 5 individua le risorse economiche tipiche delle OdV in contributi (privati e pubblici) e in donazioni. Si tratta tipicamente di entrate non “corrispettive”, cioè non legate allo scambio di beni o servizi, e viste come manifestazione tangibile di sostegno alle attività solidaristiche dell’OdV. I contributi degli enti pubblici vengono addirittura limitati “al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti”, escludendone l’impiego per il mantenimento ordinario dell’OdV. I contributi degli enti pubblici possono anche derivare dalla stipula di convenzioni (art. 7), ma l’onere economico sarà limitato al mero “rimborso delle spese”, al di fuori di ogni logica di mercato o di margine di lucro. L’art. 9 estende di diritto alle OdV il regime fiscale delle attività “decommercializzate” (oggi art. 148 TUIR e art. 4 IVA) degli e.n.c. a base associativa, con 156


IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

proventi derivanti tipicamente da scambi di servizi a pagamento con i soci, ma sempre (e rigidamente) nell’ambito dell’attività “istituzionale”. L’art. 5 consente di avere “entrate da attività commerciali e produttive marginali”: si tratta, come subito rilevato dalla dottrina, di una parola nuova (“marginali”) per indicare le attività lucrative “accessorie” degli enti non commerciali, da sempre note (e tassate) nel sistema tributario. La rilevante novità e che i proventi derivanti da queste attività “marginali/accessori” vengono esentati da IRES “qualora sia documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato.” (art. 8, 4° comma). Per limitare fenomeni elusivi la legge prevedeva che ogni OdV dovesse presentare al fisco una domanda di esenzione, elencando la natura e l’entità di dette attività “marginali/accessorie”: in seguito si è preferito emanare un decreto che ha tipizzato le attività “marginali/accessorie” che possono godere di esenzione da IRES in via generale e indistinta, senza bisogno di alcuna domanda da parte delle singole OdV. L’art. 8 completa il sistema fiscale delle OdV prevedendo che esse operino sempre fuori campo IVA, sollevandole da costosi adempimenti contabili. La C.M. 25/2/1992 n. 3, primo commento fiscale alla nuova legge, ha tratto le conseguenze da questo quadro d’insieme, affermando che “ai fini fiscali le organizzazioni di volontariato costituite in forma di associazioni .. hanno, in considerazione dei fini statutari, la natura di enti non commerciali.”. Il fisco ha anche considerato che “l’attività delle associazioni di volontariato, aventi natura di enti non commerciali, anche se svolte istituzionalmente secondo fini di solidarietà sulla base della definizione concettualmente resa dagli artt. 2 e 3 della legge quadro n. 266 del 1991, assume, o può assumere, in alcuni casi, i caratteri dell’attività commerciale” ricordando però che solo quelle tra esse che ricadono tra le attività “marginali” possono godere di esenzione da IRES (Ris. 29/7/1994 n. 2202). Si tralascia il fatto che, all’epoca, non furono varate norme di incentivazione fiscale per le offerte alle OdV.

7.3 Pregi e difetti del quadro fiscale iniziale L’impostazione del regime fiscale delle OdV come “species” del “genus” e.n.c. dava risultati soddisfacenti per larga parte delle OdV, anche se non mancavano problemi.

157


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Emersero infatti alcuni problemi di fondo, riconducibili a tre macro settori fiscali. In primo luogo talune OdV, usando i criteri fiscali normali, erano potenzialmente inquadrabili tra gli “enti commerciali”, in quanto la loro “solidarietà” si manifestava principalmente e regolarmente con prestazioni di servizi a pagamento nei confronti di terzi (privati e pubblici), derivanti da strutture organizzative complesse. Tipico era il caso delle OdV operanti nel settore dei trasporti sanitari o di talune OdV operanti nel settore ambientale/animalistico (gestione di canili, di parchi, ecc.). Queste OdV dovevano applicare il regime fiscale ordinario degli “enti commerciali” o la L. 266/91, in qualche modo, le legittimava a considerarsi sempre come “enti non commerciali”? In secondo luogo la tipizzazione delle attività “marginali”, effettuata con il D.M. 25/5/1995, poneva altri ordini di problemi: a) si doveva trattare sempre di attività lucrative comunque “accessorie”, seguendo lo schema concettuale degli e.n.c., o poteva anche trattarsi di attività lucrative svolte in via principale (es. trasporti sanitari), uscendo dallo schema concettuale degli e.n.c. e derogando però alle regole fiscali degli enti commerciali? b) potevano esistere ulteriori attività lucrative “marginali” potenzialmente esenti da IRES, a patto che rispettassero i criteri generali previsti dal D.M.? c) in caso negativo le OdV potevano comunque svolgere altre attività lucrative “accessorie”, non contemplate dalla tipizzazione effettuata dal D.M. 25/5/95, assoggettandole a tassazione IRES, come pacificamente ammesso da sempre per tutti gli altri e.n.c.? In terzo luogo anche il regime di esclusione da IVA lasciava spazio a dubbi, fermo restando che doveva trattarsi di operazioni “commerciali”, come previsto dai principi generali dell’IVA: a) l’esclusione da IVA copriva anche le entrate derivanti dalle attività “marginali” o solo quelle che derivavano dalle attività “principali” (importante per i trasporti sanitari)? b) l’esclusione da IVA era inderogabile o si poneva come facoltà delle singole OdV (importante per chi voleva recuperare l’IVA sugli investimenti)? A tali domande spesso sono state date dalle OdV e da parte della dottrina risposte non in linea con i consueti canoni di interpretazione della legge (letterale e logica), distorcendo la purezza del quadro fiscale iniziale sopra citato, per cui le 158


IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

OdV erano e.n.c. con talune esenzioni in più rispetto agli altri e.n.c. non di volontariato. Valga il seguente riepilogo di “mostri” giuridici: a) le attività marginali potevano anche essere relative al settore “principale” (vedi per i trasporti sanitari, in particolare i proventi da servizi non eccedenti del 50% i costi di diretta imputazione); b) le attività marginali erano tipizzate e non erano suscettibili di estensione analogica; c) alle OdV era proibito (!) svolgere attività lucrative oltre quelle marginali tipizzate. Per quanto riguarda l’esclusione da IVA è solo con la C.M. 168 del 26/6/1998 (!), in materia di ONLUS, che il fisco ha precisato che “la scelta tra le diverse previsioni agevolative, anche se non è configurabile come opzione in senso tecnico, e quindi non necessita di una comunicazione agli uffici …, deve essere mantenuta per tutte le operazioni che il soggetto svolge nell’anno solare. Ciò risponde sia a esigenze di cautela fiscale, che richiedono chiarezza e coerenza nei comportamenti dei contribuenti, sia alle caratteristiche del tributo, essendo l’IVA un’imposta che si determina nell’arco di un intero periodo d’imposta e non per singole operazioni.”. Quindi le OdV, nel caso svolgano attività imprenditoriali soggette ad IVA, possono scegliere di operare nel regime di esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91 oppure possono aprire la P.IVA e seguire le regole comuni (anche optando per i vari regimi contabili previsti dal sistema): tale scelta è comunque legata ad almeno un intero periodo d’imposta e riguarda tutte le attività imprenditoriali svolte. 7.4 L’impatto delle nuove regole fiscali delle ONLUS Il D. Lgs. 460/97, in vigore dall’1/171998, ha creato la nuova figura delle ONLUS, prevedendo per esse un regime fiscale e contabile autonomo. Tale regime è completamente nuovo ed ha rivoluzionato il consueto schema fiscale basato sulla ripartizione degli enti non profit in “enti non commerciali” ed “enti commerciali”. Come visto nel capitolo specifico le ONLUS possono (non devono) svolgere principalmente un’attività di impresa (nei soli settori ammessi), essendo 159


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

questa idonea a soddisfare direttamente le esigenze di solidarietà sociale. Esse possono inoltre svolgere ulteriori attività d’impresa, in funzione di autofinanziamento, con rigidi limiti e sanzioni). Tali enti sarebbero stati inquadrabili, con i canoni fiscali normali, tra gli “enti commerciali”; in virtù della nuova norma essi diventano degli ibridi fiscali, detti anche “enti non commerciali per presunzione di legge”. Si applicano quindi alle ONLUS concetti nati nel settore degli e.n.c., per identificare invece istituti tipici degli e.c.: • divisione tra settore istituzionale e settore commerciale (però entrambi con carattere d’impresa); • separata evidenza in bilancio per i due settori (entrambi d’impresa); • tassazione IRES con suddivisione delle categorie di reddito (anche in presenza di sola attività d’impresa); • conteggio dell’IRAP divisa per i settori (anche in presenza di sola attività d’impresa); • obbligo di emettere gli scontrini fiscali o le ricevute fiscali solo per il settore “connesso” (anche in presenza di sola attività d’impresa). 7.5 Le OdV tra L. 266 e regime ONLUS 7.5.1 Il rapporto tra OdV e ONLUS A fronte del nuovo regime delle ONLUS la scelta “politica” per il settore delle OdV fu duplice (art. 10, 8° comma): a) “sono in ogni caso considerate onlus, nel rispetto della loro struttura e della loro finalità, gli organismi di volontariato …”; b) “sono fatte salve le previsioni di maggior favore relative agli organismi di volontariato …”. In sostanza per le OdV: – rimaneva in vita tutta la L. 266/91 con la sua complessa organizzazione specifica (Registri regionali, Centri di Servizio, ecc.); – venivano considerate “ONLUS DI DIRITTO”, senza possibilità di rinunciare a tale regime e senza obbligo di iscrizione alla D.R.E.; – mantenevano la disciplina sostanziale della L. 266/91 (struttura e finalità), senza doversi adeguare al regime ONLUS; – potevano godere delle agevolazioni/esenzioni del regime ONLUS in aggiunta a quelle previste dalla L. 266/91, che restano confermate. 160


IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

Il regime fiscale delle OdV, come già visto (v. cap. 1), risultava quindi stratificato su più classi di norme: 1° livello

regime degli e.n.c. (a sua volta ripartibile su più sotto classi)

2° livello

regime delle ONLUS

3° livello

regime delle OdV

Questa stratificazione non comporta grandi problemi operativi se l’OdV non esercita alcuna attività d’impresa, mentre ne sorgono nel caso inverso. In effetti le varie agevolazioni sui tributi indiretti (bollo, registro, donazioni, ecc.) o per il fund raising non creano particolari problemi fiscali: sono applicabili alle OdV i criteri di maggior favore previsti nei vari livelli di norme fiscali (specialmente quelle delle ONLUS).

7.5.2 L’attuazione pratica del rapporto Per le OdV, che sono o restano anche ONLUS di diritto, l’attuazione pratica della convivenza dei due regimi tocca molti punti qualificanti, per cui le OdV: •

non sono tenute ad inserire la dicitura ONLUS nella loro denominazione sociale (che rimane facoltativa)

non sono tenute a modificare i loro statuti per inserire le clausole previste dal D. Lgs. 460/97

non devono iscriversi all’Anagrafe delle ONLUS, ma nei Registri tenuti dalle Regioni

non sono soggette al controllo dell’Agenzia per le ONLUS, ma devono fare riferimento ai controlli operati dalle Regioni

devono operare nei settori previsti come “istituzionali” dalle singole Regioni, e non sono vincolate ai settori “istituzionali” previsti dal D. Lgs. 460/97

non sono obbligate alla tenuta della contabilità ordinaria in partita doppia con bilancio completa, ma è sufficiente un rendiconto di costi/ricavi (salvo quanto previsto dal D.L. 35/2005 per le offerte deducibili)

ai fini IVA rimane la scelta di operare “fuori campo” (ex art. 8 L. 266/91) o di scegliere altri regimi

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

talune agevolazioni fiscali sono più forti ex L. 266/91 rispetto al D. Lgs. 460/97 (imposta registro)

Per le OdV che non sono più ONLUS di diritto resta aperta la possibilità, se ritenuta valida, di iscriversi in via ordinaria all’Anagrafe delle ONLUS, modificando il proprio statuto e seguendo la trafila burocratica ordinaria. 7.5.3 La controriforma fiscale delle OdV (D.L. 185/2008) a) In generale L’art. 30, 5° comma, del D.L. 185/2008, in vigore dal 29/11/2008, ha riformulato il quadro fiscale generale delle OdV, limitandone l’accesso alla qualifica di ONLUS di diritto. La norma prevede che la qualifica di ONLUS di diritto sia applicabile solamente alle OdV iscritte nel Registro Regionale che “non svolgono attività commerciali diverse da quelle marginali”, come individuate dal D.M. 25/5/95. In sostanza vengono ad esistere due sottocategorie di OdV iscritte nel Registro Regionale: – quelle che sono ONLUS di diritto; – quelle che NON sono ONLUS di diritto. Si rileva che la norma prende atto (e conferma) che le OdV possono svolgere attività “commerciali” anche ultra-marginali, anche d’impresa vera e propria, godendo o meno delle esenzioni da ONLUS in presenza dei relativi requisiti.

La norma riflette due indirizzi politici: a) “confinare” le OdV in certi ambiti di intervento, più limitati rispetto a quelli previsti per le ONLUS (sposando quindi le tesi “puriste” di molte OdV e di parte della dottrina); b) porre termine al contrasto più volte avvenuto tra l’Agenzia delle Entrate e le Regioni in merito ai controlli fiscali sulle OdV. Sotto questo secondo profilo la norma consente al fisco, qualora riscontri la presenza di attività commerciali eccedenti quelle marginali, di dichiarare decaduta l’OdV dal regime ONLUS, senza necessità di chiedere alla Regione un formale provvedimento di cancellazione dal Registro del Volontariato

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IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

(che potrebbe anche essere negato), procedendo al recupero a tassazione dei proventi. b) Le conseguenze Le conseguenze della norma sono rilevanti per le OdV che debbono: – esaminare tutte le proprie attività “economiche”; – classificarle correttamente secondo le tipologie fiscali già viste (es. regime degli e.n.c. “normali”, regime art. 148 TUIR, marginali D.M. 25/5/95); – identificare, se presenti, quelle “commerciali ultramarginali”, ormai “tossiche”. Una volta isolate le operazioni commerciali “tossiche” le OdV devono decidere come comportarsi alla luce della perdita delle agevolazioni ONLUS. La scelta è delicata (e urgente) in quanto la norma comporta anche pesanti effetti collaterali, probabilmente non compiutamente considerati dal legislatore: la perdita della qualifica di ONLUS di diritto, oltre al recupero a tassazione dell’eventuale reddito derivante dalle attività “commerciali ultra marginali”, fa perdere anche tutte le altre agevolazioni o esenzioni fiscali previste per le ONLUS, in particolare quelle legate al fund raising (si pensi 5 per mille, alle offerte in regime “+dai-versi”, ecc.). La scelta della singola OdV potrebbe considerare quattro opzioni: 1) cessare le attività commerciali ultramarginali (tossiche); 2) continuare ad esercitarle direttamente, perdendo le agevolazioni ONLUS; 3) esternarle ad altro organismo collaterale, con minori vincoli legali; 4) continuare ad esercitarle, previa iscrizione come ONLUS ordinaria alla D.R.E., se vi sono i requisiti di legge. La scelta va fatta in base alla tipologia e all’importanza delle attività commerciali ultramarginali “tossiche”. In particolare l’ultima opzione va valutata anche alla luce della modifica apportata dal D.L. 185/08 al settore delle ONLUS di “beneficenza”, con la legalizzazione della beneficenza indiretta. Sono infatti ONLUS anche gli enti privati che raccolgono offerte da terzi, per concedere erogazioni gratuite di denaro ad altri enti senza scopo di lucro, che operano prevalentemente nei settori ONLUS e che realizzano direttamente progetti di utilità sociale.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Con questa scelta, ad esempio, l’OdV potrebbe continuare a gestire le attività commerciali “tossiche”, pagando le imposte, delegando il settore del fund raising ad un apposito comitato di beneficenza, composto da persone vicine alla OdV. Si noti che, anche dopo il D.L. 185/2008, le attività commerciali “tossiche” mantengono sempre l’esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91.

c) L’attuazione pratica della perdita di qualifica La norma pone anche seri problemi operativi. A) TEMPORALI -La dichiarazione di perdita della qualifica di ONLUS di diritto può essere comminata dal fisco nei termini di decadenza degli ordinari poteri di accertamento (5 anni) e quindi anche in modo retroattivo. Ovviamente tale dichiarazione farà parte di un atto di accertamento, soggetto ad impugnazione presso le Commissioni Tributarie, nei tre gradi di giudizio. Se si concorda sul fatto che la norma ha portata innovativa e non interpretativa, il rischio fiscale decorre dal periodo d’imposta 2008. B) RAPPORTI ESTERNI- La potenziale dichiarazione di perdita della qualifica di ONLUS è collegata alla presenza di un fatto (l’attività commerciale ultramarginale “tossica”), che deve anche essere accertato dal fisco e che non risulta, né prima né dopo tale accertamento, da alcun Registro a rilevanza pubblica (l’OdV resta iscritta nel Registro Regionale e non si applicano le norme del D.M. 266/2003 in merito alla procedura di cancellazione dall’Anagrafe delle ONLUS tenuto dalla D.R.E.). In questo caso quali sono le conseguenze a carico dei terzi? Ad es. le donazioni in regime “+ dai – versi”, prevedono il recupero delle agevolazioni fiscali se il beneficiario non ha la qualifica di ONLUS, con previsione di sanzioni maggiorate a carico (anche) del donatore. Sul punto si attendono chiarimenti ufficiali. C) DURATA- Collegata ai rapporti esterni vi è la questione della durata di tale perdita di qualifica. Essa viene accertata dal fisco in relazione ai singoli periodi d’imposta, in cui vi sia la presenza delle attività commerciali “tossiche”, con connesso recupero di imposte. Tale presenza può non esservi in tutti i periodi d’imposta: in questo caso l’OdV può alternare anni in cui può godere delle agevolazioni ONLUS (es. per fund raising) e anni in cui non può goderne, con un effetto “ping pong” assolutamente non conoscibile dai terzi (e probabilmente nemmeno dagli amministratori della OdV). D) SANZIONI- Resta aperto il problema di capire se siano applicabili alla OdV le sanzioni specifiche previste dal D. Lgs. 460/97 per gli amministratori 164


IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

che “abusano” della qualifica di ONLUS. In linea generale la risposta dovrebbe essere negativa, essendo queste legate all’iscrizione all’Anagrafe delle ONLUS: sul punto si attendono chiarimenti ufficiali. 7.5.4 Le OdV e l’attività d’impresa Il rapporto tra L. 266/91 e D. Lgs. 460/97 diventava complesso nel caso di esercizio di attività d’impresa da parte delle OdV, ma dal 29/11/2008 l’art. 30 del D.L. 185/2008 ha fatto chiarezza ponendo nuove regole. Da tale data le OdV che esercitano attività d’impresa commerciale, in modo eccedente le attività marginali, non sono più ONLUS di diritto, per cui a queste attività si applicano le regole fiscali ordinarie (tassazione IRES e IRAP, scritture contabili, dichiarazioni). Le esenzioni da IRES possono ancora sussistere per le attività commerciali marginali o per i contributi pubblici erogati per convenzione o accreditamento per attività aventi rilievo sociale (art. 143 TUIR). In precedenza le esenzioni da IRES previste dal D. Lgs. 460/97 andavano infatti adattate al principio che le OdV erano “ONLUS DI DIRITTO” nel rispetto delle proprie FINALITÀ, come sancite dalla L. 266/91 e dalle singole REGIONI. Per ogni singola OdV andava quindi preliminarmente chiarito quale fosse il suo settore “istituzionale”, certificato dallo statuto e dall’iscrizione al Registro del Volontariato, in particolare esaminando quale era “l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati … dallo statuto”, come prevede l’art. 73 TUIR per gli e.n.c. in genere. Se tale “attività essenziale” aveva il carattere dell’impresa commerciale ad essa era applicabile l’esenzione da IRES prevista dall’art. 150, 1° comma, TUIR: per le ONLUS “non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale”. Si ricorda che questa interpretazione non era pacifica: vari autori limitavano l’esenzione ai settori esplicitamente previsti dal D. Lgs. 460/97, sminuendo la portata del rinvio alle finalità delle OdV. Se l’attività d’impresa non aveva il carattere di “attività essenziale”, ma accessoria, l’esenzione IRES prevista dal D. Lgs. 460/97 per le attività “direttamente connesse” rimaneva subordinata all’osservanza dei vincoli ivi previsti: non prevalenza rispetto alle attività istituzionali e proventi che non superano il 66% delle spese complessive dell’OdV.

In sostanza per le OdV occorre seguire questo percorso logico, dove ogni domanda rimanda alla successiva:

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l’OdV esercita attività d’impresa commerciale?

SI: v. oltre NO: problema chiuso

L’attività d’impresa ha i requisiti delle “attività marginali”?

SI: esenzione IRES art. ( L. 266/91 NO: imponibile IRES


L’esenzione da IRES è valida in entrambi i casi. Purtroppo tale esenzione non è valida ai fini IRAP, che si applica anche alle OdV per le sole attività “marginali” con carattere d’impresa commerciale. La situazione è quindi la seguente: TIPO

IRES

IRAP

IVA

ATTIVITÀ MARGINALE OCCASIONALE

ESENTE

ESENTE

ESCLUSO

ATTIVITÀ MARGINALE D’IMPRESA

ESENTE

SOGGETTA SOGGETTA (*)

(*) Salvo applicazione del regime di esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91.

Il D.M. 25/5/95 ha operato su due fronti: a) ha dettato i criteri generali cui devono rispondere le attività marginali; b) ha indicato espressamente cinque diverse tipologie di attività marginali. Criteri generali Il 2° comma del decreto indica due criteri generali. a) In primo luogo viene ribadito quanto già detto dall’art. 8 della L. 266/91 e cioè che le attività marginali devono essere svolte “in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell’organizzazione di volontariato iscritta nei registri”. Questo significa, come già noto, che le attività economiche marginali sono e devono rimanere un’attività accessoria all’attività principale, senza configurarsi come autonome attività commerciali scollegate dai fini istituzionali. b) In secondo luogo si indica che le attività marginali sono quelle svolte “senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato”. A titolo di esempio il decreto indica vari parametri: – l’uso di pubblicità dei prodotti – l’uso di insegne elettriche


IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

Si tratta di regole di prudenza per evitare abusi da parte di finte OdV, oggi alquanto obsolete.

Si discute se, sulla base di questi criteri, sia possibile individuare ulteriori casi di attività marginali, oltre quelli specificati nel decreto. In linea teorica ciò è senz’altro possibile, in quanto la L. 266/91 demanda al decreto l’individuazione dei criteri generali e non dei singoli casi specifici e la legge, come è noto, ha più valore di un semplice decreto ministeriale. In via pratica si consiglia comunque di attenersi ai casi specifici, per evitare contestazioni da parte del fisco, che porterebbero all’insorgere di un contenzioso lungo e dall’esito incerto. I casi specifici L’analisi viene fatta distinguendo tra attività prettamente occasionali o meno. Le prime servono a rendere esenti alcuni tipi di attività commerciali potenzialmente imponibili come redditi diversi (art. 67 TUIR), mentre le altre possono anche riguardare attività sia occasionali che (potenzialmente) d’impresa (le lettere si riferiscono al D.M.). a) Attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato. d) Attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale. Si tratta di due forme di raccolta di fondi effettuate mediante scambio di beni o servizi contro denaro con il pubblico generico. L’esenzione da IRES (categoria dei “redditi diversi”) spetta solo in presenza di due caratteri: • occasionalità • concomitanza di eventi. Le attività agevolate sono: • commercio di prodotti • attività di bar e di ristorante. Il fisco non ha chiarito il numero massimo di manifestazioni che si possono ritenere occasionali, nell’arco del periodo d’imposta.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Solo per le associazioni sportive dilettantistiche operanti in regime forfetario L. 398/91, il fisco ha deciso che debbano essere due. Pare che questo limite verrà ripreso nel decreto sulle raccolte fondi, oggi ancora in gestazione, diventando valido per tutti gli enti non profit.

Si ritiene dalla dottrina che l’occasionalità si mantenga anche se la manifestazione si ripete tutti gli anni e anche se dura più giornate consecutive. Il D. Lgs. 460/97 ha inserito nell’art. 143 TUIR le regole sulle raccolte fondi occasionali: l’Agenzia delle Entrate ha affermato che la norma ha esteso le norme speciali previste dal D.M. 25/5/95 per le sole OdV a tutti gli e.n.c. (v. C.M. 124/98). Anche l’art. 143 infatti fa riferimento alla possibilità di donare ai sovventori dei beni di modico valore o dei servizi per sollecitare le loro offerte: in tale ultima locuzione la dottrina ha compreso anche la somministrazione di alimenti e bevande. Di fatto le norme del D.M. in esame non sono state esplicitamente abrogate, per cui si potrebbe sostenere che le OdV non sono tenute a redigere il rendiconto separato delle singole raccolte fondi, come previsto dal sistema dell’art. 143 TUIR. Tuttavia si consiglia di redigere tale rendiconto per evitare facili contestazioni da parte del fisco.

b) Attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario. c) Cessione dei beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempre che la vendita dei prodotti sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario. Per il primo caso si può trattare, ad esempio, dei beni regalati da imprese godendo delle agevolazioni delle ONLUS, oppure di beni provenienti da raccolte di cose usate. Per il secondo caso la norma si riferisce a quelle ipotesi in cui la vendita appare più un modo indiretto di valorizzare la o personalità dei soci o degli assistiti più che un vero e proprio scambio commerciale. Si pensi alle ipotesi degli oggetti fatti da disabili, dagli ospiti di un centro per anziani, ecc.. In entrambi i casi la vendita potrà essere occasionale (es. mercatini di Natale) op-

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IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

pure essere gestita anche in via continuativa (es. mercatino dell’usato presso la sede), a patto che rispetti i criteri generali sopra indicati (assenza di insegne, ecc.) e sempre che sia curata direttamente dai volontari, senza intermediari. e) Attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell’ambito applicativo dell’art. 111 (ora art. 148), comma 3, del T.U.I.R., verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione. Abbiamo visto che alle OdV si può applicare il regime delle attività “decommercializzate” degli e.n.c. a base associativa (art. 148 TUIR e art. 4 IVA). Questa norma del D.M. estende l’esenzione IRES alle attività di prestazioni di servizi effettuate della OdV eccedenti tale tipo di agevolazione. Come visto sopra i requisiti per godere della “decommercializzazione” ex art. 148 TUIR sono i seguenti: fruitore

Soci diretti Altre associazioni federate Loro soci Soci delle federazioni

attività

Servizi Svolti in diretta attuazione degli scopi istituzionali

prezzo

Corrispettivo specifico Importo libero

Si può pertanto ritenere che l’agevolazione accordata dal D.M. sia così articolata: 1) la non influenza del requisito sub a): non ha importanza che si operi verso i soci,potendo operare verso i terzi in genere; 2) il vincolo della “conformità” agli scopi istituzionali (si tratta della dicitura fiscale utilizzata anteriormente al D. Lgs. 460/97) può essere inteso non tanto come limitazione dei tipi di servizi praticabili in funzione dell’oggetto sociale previsto dallo statuto (solo culturali, solo sportivi, ecc.), ma come vincolo di destinazione dei fondi raccolti (in sostanza è una ripetizione di uno dei due criteri generali indicati dal D.M. 25/5/95);

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

4) il prezzo non deve dare un utile superiore al 50% dei costi specifici necessari per produrre il servizio. Il vincolo sul prezzo è molto stringente per due aspetti: a) la definizione dei costi; b) il margine di ricarico. Per il primo aspetto il fisco fa riferimento ai costi “di diretta imputazione”, escludendo eventuali costi generali della struttura associativa (es. locali, utenze, spese amministrative, ecc.). Inoltre le OdV devono operare prevalentemente con personale gratuito, per cui i costi di produzione sono di fatto riferibili solo al materiale ed altri costi che sia possibile documentare come direttamente legati al servizio in esame. Diversamente dal regime dell’art. 148 TUIR, che non prevede alcun limite alla determinazione del “prezzo” dei servizi verso i soci, per le OdV occorre limitare il ricarico al 50% dei costi di diretta imputazione. Si può porre il problema se tale limite vada considerato per tutte le attività svolte nel corso di un periodo d’imposta, facendo una media dei costi e dei ricavi, o se esso vada calcolato per ogni singolo servizio. Inoltre si potrebbe sostenere che tra i costi vada comunque inserito il “valore” del lavoro dei volontari, come avviene per gli enti ecclesiastici. Sul punto non risultano chiarimenti da parte del fisco.

Anche questa attività di servizi può essere occasionale oppure (potenzialmente) d’impresa. Nel primo caso forse è più opportuno inquadrare questa attività nel regime delle raccolte fondi occasionali ex art. 143 TUIR, se possibile. Nel secondo caso (attività abituale) occorre verificare con accuratezza se non sia possibile strutturare l’attività per rientrare appieno nel regime “normale” dell’art. 148 TUIR e limitare lo “sconfinamento” nelle attività marginali. Si possono fare i casi più vari: la confezione dei pacchi natalizi per conto dei supermercati con raccolta di modiche offerte dai clienti, l’attività di piccoli servizi fatti dai soci (es. imbusta mento per conto di aziende), il doposcuola per i bambini del quartiere, ecc..

L’elencazione delle attività marginali sopra vista non comprende vari tipi di attività che possono essere svolte dalle OdV.

172


IL REGIME FISCALE SPECIALE DELLE ODV

Si pensi alle attività di vendita di oggetti nuovi acquistati da terzi per fare dei “mercatini” (salva l’ipotesi di farla rientrare nelle attività occasionali di raccolta fondi sopra ricordate), all’organizzazione continuativa di intrattenimenti aperti anche al pubblico (es. il ballo settimanale del Centro Sociale), all’inserimento di banner pubblicitari sui propri siti internet, alle inserzioni pubblicitarie sui propri giornalini, ecc.. Queste ed altre attività non elencate non potranno godere delle agevolazioni fiscali previste ai fini IRES dalla L. 266/91 per le attività marginali, per cui saranno imponibili ai fini IRES.

173


8. Approfondimenti sulle attività commerciali

8.1 Definizione di attività commerciali Come si è visto per le associazioni i problemi più complessi derivano dallo svolgimento di attività di “impresa commerciale”, per cui occorre effettuare qualche approfondimento. La definizione delle imprese commerciali che qui ci interessa deriva sia dal C.C. che dalle leggi fiscali. L’art. 2082 del C.C. definisce imprenditore “chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. I caratteri generali dell’imprenditore sono quindi i seguenti: CARATTERI

COSA VUOL DIRE

Professionalità

Svolta in modo abituale

Attività economica (c.d. lucro oggettivo)

Presenza di corrispettivi

Organizzazione di beni e/o persone Autonomo

Per differenziarlo dal lavoro

Si noti come anche per il C.C. non è strettamente necessario il lucro soggettivo, cioè la divisione degli utili tra i soci. Per il C.C. l’imprenditore può essere diviso in due categorie: • agricolo (art. 2135 C.C.) • commerciale (art. 2195 C.C.). Concentrandoci sull’imprenditore commerciale l’art. 2195 C.C. prevede che: “Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano.”. Le attività elencate dall’art. 2195 C.C. sono le seguenti:

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APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi (qui “industriale” è usato nel senso di “non agricolo” per distinguerlo dall’imprenditore agricolo) attività intermediaria nella circolazione dei beni (cioè il commercio in tutte le sue forme) attività di trasporto attività bancaria o assicurativa altre attività ausiliarie delle precedenti (es. agenti di commercio, ecc.). Passando alle regole fiscali occorre fare riferimento all’art. 55 del T.U.I.R. secondo il quale: “Sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali. Per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 del C.C., anche se non organizzate in forma d’impresa. Sono inoltre considerati redditi d’impresa: a) i redditi derivanti dall’esercizio di attività organizzate in forma d’impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’art. 2195 del C.C. (…). Le disposizioni in materia d’imposta sul reddito che fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate nel presente articolo.”. Queste regole sono riprese e confermate anche ai fini IVA (art. 4 D.P.R. 633/72). Si nota come rimanga fermo il requisito della abitualità per la configurazione dell’attività d’impresa commerciale. In mancanza di tale requisito si ricade nelle ipotesi delle attività commerciali occasionali, tassate come redditi diversi. Questi principi sono completati da una serie di presunzioni fiscali: a) artt. 6 e 81 T.U.I.R. Per le società e per gli enti commerciali vige la regola che i loro redditi “da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale sono considerati redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi.”. b) art. 148 T.U.I.R. Per gli e.n.c. a base associativa questo articolo contiene una serie di attività considerate sempre commerciali (v. sopra). 175


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

In sintesi le attività commerciali sono le seguenti, in presenza di abitualità e di corrispettivo: • quelle indicate nell’art. 2195 C.C., a prescindere dal requisito dell’organizzazione • le prestazioni di servizi a terzi: – non comprese nell’art. 2195 C.C. – se organizzate in forma d’impresa • le attività delle società e degli enti commerciali (sempre) • le attività oggettivamente commerciali dell’art. 148 TUIR Tra le associazioni è facile riscontrare le seguenti tipologie di attività commerciali: • cessione di beni nuovi prodotti per la vendita (-> commercio di prodotti di vario genere) • pubblicità commerciale (-> inserzioni su riviste, sponsorizzazioni) • prestazioni di servizi organizzate in forma di impresa per non soci (-> attività varie pagate da enti o aziende) • prestazioni di servizi organizzate in forma di impresa per conto del pubblico generico pagante (-> concerti, visite guidate, ecc.) • gestione di strutture ricettive (es. case per ferie) • prestazioni di servizi in convenzione (-> trasporti disabili per conto del Comune, gestione canili, ecc.). 8.2 Gli obblighi fiscali delle attività commerciali Va premesso che per gli e.n.c. gli adempimenti contabili obbligatori ai fini fiscali sono, in ogni caso, limitati al settore “commerciale” e non devono comprendere le entrate e le uscite relative alle attività istituzionali. Viceversa si ricorda che il libro contabile suggerito nell’apposito capitolo è complessivo e deve contenere anche le operazioni relative alle attività commerciali, raggruppate in uno o più conti omogenei. Nel bilancio d’esercizio dell’associazione dovranno essere evidenziati in modo separato i costi/ricavi dell’attività commerciale e i costi/ricavi dell’attività istituzionale, anche al fine di effettuare la verifica del mantenimento della qualifica di ente non commerciale e per godere del regime agevolato delle ONLUS. Gli adempimenti fiscali riguardano tre aspetti: 176


APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

• • •

la documentazione delle operazioni effettuate; la tenuta di apposite scritture contabili; le dichiarazioni.

Sotto il primo aspetto, per le operazioni attive, le norme fiscali prevedono l’obbligo di emettere dei documenti aventi rilevanza fiscale, diversificati in funzione dei soggetti, delle attività concretamente svolte e del regime fiscale applicabile: fatture, scontrini o ricevute fiscali, ricevute normali. Per le operazioni passive le norme fiscali pretendono la fattura, per avere diritto alla (eventuale) detrazione dell’IVA sugli acquisti e per dare certezza al costo sostenuto. Per il secondo aspetto le norme fiscali offrono la possibilità di scegliere tra più regimi contabili, con obblighi contabili più o meno pesanti (v. oltre). Per il terzo aspetto l’e.n.c. è tenuto a presentare le dichiarazioni fiscali annuali ai fini delle II.DD. e IVA (salvo eccezioni e deroghe specifiche). Il regime contabile più favorevole per gli enti non commerciali è il regime forfetario previsto dalla L. 398/91, specifico per le associazioni senza scopo di lucro, su cui concentreremo la nostra attenzione (v. oltre). In ogni caso quando si avvia un’attività d’impresa commerciale occorre aprire la P.IVA indicando l’attività che si intende svolgere (o le varie attività, se diverse tra loro). Si ricorda, in generale, che per le attività commerciali le OdV possono optare per il regime di esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91 e che i relativi utili possono godere di esenzione ai fini IRES se rientrano nel regime delle ONLUS o nel regime della “marginalità”, rispettando i criteri previsti dal D.L. 185/2008. Le regole per la determinazione del reddito d’impresa commerciale sono contenute principalmente nel TUIR: • in generale artt. 55-66 • per gli e.n.c. artt. 143-149 • per le onlus art. 150 • per le OdV art. 8 e 9 L. 266/91 e D.M. 25/5/95 I principi generali per la determinazione del reddito d’impresa commerciale sono: • obbligo di redazione del bilancio; • riferimento al periodo d’imposta; • ricavi registrati a valori effettivi (o a valore normale); • imputazione ricavi e costi per competenza (e non per cassa, salvo deroghe);

177


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• •

deducibilità dei costi solo se inerenti l’attività d’impresa (quindi non rilevano quelli imputabili all’attività istituzionale); iscrizione dei cespiti relativi al settore commerciale (e degli acquisti in genere) al valore di costo.

8.3 Alcuni casi tipici di attività commerciali 8.3.1 Lo schema di riferimento Per cercare di calare nel concreto le nozioni sopra esposte si esaminano alcuni casi di svolgimento di attività verso corrispettivo da parte di un’associazione, indicando in quale regime possono ricadere. In generale, riprendendo quanto già visto sopra, lo schema di riferimento per l’inquadramento fiscale è il seguente, considerando che le agevolazioni spetteranno in funzione del tipo di associazione (normale, ONLUS, OdV): Attività commerciale

Rilevante per IRES

Rilevante per IVA

Occasionale – normale – marginale X OdV

SI NO

NO NO

D’impresa – ass. normale – ONLUS – marginale X OdV

SI NO NO

SI SI SI (*)

“Decommercializzata” art. 148 TUIR

NO

NO

Raccolta fondi

NO

NO

(*) Le OdV possono optare per la totale esclusione da IVA

8.3.2 La gestione di spettacoli e intrattenimenti Le attività di “intrattenimento” sono quelle cui si partecipa attivamente (come il ballo), mentre sono di “spettacolo” quelle a cui si assiste in modo passivo (come i concerti). Le sole attività di intrattenimento sono gravate, oltre che dall’IVA, anche da un’imposta specifica (i.s.i.- imposta sugli intrattenimenti). La gestione di spettacoli e intrattenimenti a pagamento aperti al pubblico (e non 178


APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

riservati ai soli soci) come serate danzanti, concerti, proiezioni cinematografiche, sfilate di moda, sotto il profilo fiscale, può essere considerata in più modi: – attività commerciale occasionale se svolta una tantum – raccolta fondi occasionale se svolta una tantum – attività d’impresa commerciale se svolta con il carattere dell’abitualità. A) Attività commerciale occasionale Nel primo caso: • i proventi non sono soggetti ad IVA; • l’utile deve essere tassato ai soli fini IRES; • non vi è obbligo di tenuta di scritture contabili fiscali. Se i ricavi non eccedono del 50% i costi di diretta imputazione l’OdV può sostenere che si tratti di una attività “marginale” (art. 1 lett. E, D.M. 25/5/95) non soggetta ad IRES. Si riepilogano gli adempimenti per gli spettacoli e per gli intrattenimenti occasionali, distinguendo se l’associazione possiede o meno la P.IVA. ATTIVITÀ OCCASIONALI DI SPETTACOLO DA PARTE DI ASSOCIAZIONI SENZA P.IVA IVA

NO

Circ. 165/2000 punto 4.5

IRES

SI

Art. 67, lett. i, TUIR

SIAE

NO

Circ. 165/2000 punto 4.5

Ricevute per consumazioni e ingressi SI

Inserire solo il codice fiscale

Titoli di accesso

Circ. 34/2003, punti 1 e 1.3.1 lett. b)

NO

ATTIVITÀ OCCASIONALI DI SPETTACOLO DA PARTE DI ASSOCIAZIONI CON P.IVA IVA

SI

Art. 74-quater D.P.R. 633/72

IRES

SI

Art. 85 TUIR

SIAE

SI

Circ. 165/2000 punto 4.5 Art. 74-quater,comma 4, D.P.R. 633/72 179


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Ricevute per consumazioni e ingressi SI

Inserire solo il codice fiscale

Titoli di accesso

Circ. 34/2003, punti 1 e 1.3.1 lett. b)

NO

ATTIVITÀ OCCASIONALI DI INTRATTENIMENTO DA PARTE DI ASSOCIAZIONI SENZA P.IVA I.S.I.

SI

Art. 1, co. 1, art. 2 co. 1, art. 3 DPR 640/72 Art. 6 co. 1 lett. B), DPR 544/1999 (*)

IRES

SI

Art. 67, lett. I, TUIR

SIAE

SI

Circ. 165/2000 punto 2.7 Circ. 34/2003 punto 1.3.1 a)

Ricevuta ai fini IRES anche per consumazioni e ingressi accessori

SI

Solo con codice fiscale

Regime speciale IVA

NO

Circ. 165/2000 punto 4.5

Titoli di accesso

NO

Circ. 34/2003 punti 1 e 1.3.1 lett. b) Circ. 165/2000 punto 2.5

ATTIVITÀ OCCASIONALI DI INTRATTENIMENTO DA PARTE DI ASSOCIAZIONI CON P.IVA Imposta sugli intrattenimenti

SI

Art. 1, co. 1, art. 2 co. 1, art. 3 DPR 640/72 Art. 6 co. 1 lett. B), DPR 544/1999 (*)

IRES

SI

Art. 85 TUIR

SIAE

SI

Circ. 165/2000 punto 2.6

Fatture ricevute e scontrini fiscali anche per consumazioni e ingressi accessori

SI

Art. 3 co. 1 DPR 544/1999 Circ. 34/2003 punto 1.3.2 lett. a)

Regime speciale IVA

SI

Art. 74 co. 6 DPR 633/72

180


APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

Titoli di accesso

NO

Circ. 34/2003 punti 1, 1.3.2 lett. a) e 1.7 Circ. 165/2000 punto 2.5

(*) Gli e.n.c. e le ONLUS possono chiedere l’esenzione da ISI ex art. 23 del D. lgs. 460/97, rivolgendosi alla SIAE. Vi sono inoltre casi di riduzione per spettacoli di beneficenza.

B) Attività di raccolta fondi occasionale Nel secondo caso l’associazione deve sostenere che si tratta di una raccolta fondi occasionale, svolta nei limiti previsti dall’art. 143, 3° comma, lett. A, T.U.I.R.) (poche volte all’anno, per fini di autofinanziamento, in occasione di particolari avvenimenti). Si nota come queste due ipotesi, nate in epoche e con leggi diverse, siano facilmente sovrapponibili per le OdV

C) Attività d’impresa commerciale Nel terzo caso i proventi sono soggetti ad IVA. L’OdV può optare per il regime di completa esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91. Gli utili saranno esenti da IRES se l’attività può essere considerata “direttamente connessa”, oppure, se i ricavi non eccedono del 50% i costi di diretta imputazione, l’OdV può sostenere che si tratti di una attività “marginale” (art. 1 lett. E, D.M. 25/5/95) non soggetta ad IRES. Per tutte le attività di intrattenimento e di spettacolo, a prescindere dal loro regime fiscale, occorre predisporre anche la parte relativa alla SIAE (diritti d’autore) e, nel caso si operi in regime IVA, si ricorda l’opportunità di optare per la tassazione con IVA normale ex art. 74 D.P.R. 633/72 e s.m.. Ai fini SIAE si ricorda che quasi tutti gli enti di promozione sociale nazionale hanno stipulato convenzioni per cui le singole associazioni iscritte possono godere di particolari riduzioni.

Si ricorda, inoltre, che i compensi corrisposti agli artisti sono soggetti all’ENPALS, per cui l’associazione potrebbe essere tenuta a tutti gli adempimenti del caso, a parte l’esenzione prevista per taluni tipi di artisti (v. dispensa sul lavoro). 8.3.3 La vendita di prodotti La vendita di prodotti di qualunque genere configura un’attività commerciale, anche se svolta nei confronti dei soli soci.

181


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Essa può essere: attività commerciale occasionale

se svolta una tantum

attività d’impresa commerciale

se svolta abitualmente

Nel caso di attività occasionale: • i ricavi non sono soggetti ad IVA; • non occorre tenere le scritture contabili fiscali; • l’utile è tassabile ai fini IRES come “reddito diverso” (per le OdV l’utile può essere esente da IRES se si tratta di attività “marginale”, per i casi di vendita di beni prodotti dagli assistiti o di beni ricevuti gratuitamente da terzi ex art. 1 lett. B) - C) D.M. 25/5/95). Nel caso si tratti di cessioni di beni inserite in una raccolta fondi occasionale si rinvia al capitolo sul fund raising. Nel regime d’impresa i proventi di questo commercio sono soggetti ad IVA, salvo il caso delle OdV, che possono usufruire del regime di esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91. Gli utili sono normalmente tassabili ai fini IRES; per le ONLUS può essere esente se tale commercio rientra tra le attività istituzionali o direttamente connesse; per le OdV può essere esente se rientra nelle attività “marginali” (beni prodotti dagli assistiti o beni ricevuti gratuitamente da terzi). Potrebbe essere il caso di un’OdV che acquisti in blocco e poi rivenda ai propri soci dei prodotti che servono per una loro particolare situazione fisica o psichica, sia perché non facilmente reperibili in loco sia per ottenere degli sconti: l’attività è soggetta ad IRES.

Con il D.L. 185/2008 le OdV che effettuano abitualmente la vendita dei prodotti del commercio “equo e solidale” sono escluse dal regime ONLUS, per cui tale attività produce utili tassabili ai fini IRES, a prescindere dal mantenimento dell’iscrizione presso il Registro Regionale. A questo proposito si segnala che talune Regioni ritengono compatibile tale attività con lo status di OdV, considerando questo tipo di commercio uno strumento diretto di solidarietà e non un mero sistema di raccolta fondi. Vi sono anche atti di indirizzo del Parlamento Europeo che riconoscono tale tipo di solidarietà attiva e che invitano i singoli Stati ad attivarne un riconoscimento legale esplicito.

182


APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

Si veda sopra (cap. 4) per il nuovo regime fiscale riservato ai gruppi di acquisto solidale (g.a.s.).

8.3.4 La gestione del bar e degli apparecchi da intrattenimento Le associazioni possono gestire un bar interno ai locali del circolo aperto ai soli soci. In questo caso il Comune rilascia una “licenza da circolo” che non ha alcun valore venale, in quanto non è cedibile a terzi. Le associazioni possono anche essere titolari di una licenza da bar aperto al pubblico in genere: in questo caso si tratta di un’attività d’impresa commerciale a tutti gli effetti.

I locali adibiti a bar del circolo non devono avere accesso diretto dalla pubblica via e non possono essere reclamizzati all’esterno con insegne o altri mezzi pubblicitari. Vanno rispettate le norme edilizie e sanitarie, per le quali occorre prendere accordi con il Comune e con l’ASL competente. La Polizia Municipale e i carabinieri del NAS possono effettuare controlli e applicare pesanti sanzioni, in alcuni casi anche configuranti reato (si pensi al regime della conservazione degli alimenti).

La gestione del bar del circolo può avvenire sia in forma diretta (cioè con l’apporto dei soci), che in forma indiretta (incarico ad un gestore), ma sempre e solo rivolta ai soci. Con la L. 383/2000, per le sole APS iscritte nel Registro, il servizio di bar del circolo può essere fruito anche dai familiari conviventi del socio.

Nel caso di gestione diretta del bar si tratta di un’attività “de commercializzata” ai sensi dell’art. 148 TUIR, a patto che vi siano i seguenti ulteriori requisiti: a) si tratti di associazione di promozione sociale iscritta presso uno degli enti di promozione sociale nazionali riconosciuti dal Ministero degli Interni (es. ARCI, ENDAS, ANSPI, ecc.); b) l’attività del bar venga svolta presso la sede dove si svolge anche l’attività istituzionale; c) l’attività del bar sia strettamente complementare a quella istituzionale (ossia esiste anche un’attività ricreativa dell’associazione); d) l’ingresso sia riservato ai soli soci e non al pubblico in genere.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Occorre prestare molta attenzione al fatto che, mancando anche uno solo di questi requisiti, non si può godere del regime della “decommercializzazione” e si ricade nell’ipotesi di attività d’impresa (v. Cassazione sentenza n. 7953 del 30/3/2007). L’OdV non iscritta ad un ente di promozione sociale nazionale non può godere di questo regime.

Nel caso di gestione affidata a terzi il gestore assume la veste di imprenditore ai fini fiscali e, pur continuando a lavorare solo verso i soli soci del circolo (e verso i loro familiari conviventi), è tenuto ad installare il registratore di cassa, ad emettere scontrini fiscali e, in genere, a rispettare tutte le regole fiscali vigenti, sollevando l’associazione da molti problemi. La gestione di un ristorante è sempre considerata attività commerciale, anche se limitata ai soci. L’unico vantaggio consiste nel non dover acquistare sul mercato una licenza di pubblico esercizio. Va inoltre segnalato che molte Regioni prevedono un unico tipo di licenza di pubblico esercizio, superando la vecchia distinzione tra bar e ristorante. In ogni caso questa distinzione rimane valida ai fini fiscali.

Spesso nel bar del circolo sono installati degli apparecchi da intrattenimento, con tre diverse modalità di gestione: a) l’apparecchio è semplicemente “ospitato” nel circolo, che percepisce un compenso dal gestore dei giochi, che ne trattiene l’incasso lordo; b) l’apparecchio è affittato al circolo, che ne trattiene l’incasso e paga un affitto al gestore dei giochi; c) l’apparecchio è acquistato dal circolo che ne trattiene l’incasso. Nel caso a) il circolo percepisce un compenso che ha un diverso trattamento fiscale in funzione del possesso o meno di P.IVA: NO P.IVA si tratta di un reddito diverso (assunzione dell’obbligo di (es. circolo permettere) da inserire e tassare ai fini IRES nella gestito dai soci) dichiarazione dei redditi; SI P.IVA il circolo deve emettere regolare fattura al gestore dei giochi con IVA, si tratta di reddito d’impresa. I proventi dei giochi saranno dichiarati dal gestore degli stessi.

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APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

Nel caso b) il circolo deve pagare un affitto al gestore, che emetterà fattura con IVA 20%, e non subisce tassazione sui proventi, in quanto si tratta di una prestazione di servizi ai soci che gode del regime di “decommercializzazione” (v. R.M. 15/3/2004 n. 38/E), in presenza dei requisiti previsti dall’art. 148 TUIR. Nel caso c) il circolo non subisce tassazione sui proventi come nel caso sub b). 8.3.5 La pubblicità e le sponsorizzazioni Spesso le aziende preferiscono sostenere gli enti non profit tramite una fattura di pubblicità, sia per inserzioni su giornali o depliant o sulla base di veri e propri contratti di “sponsorizzazione”. Se si tratta di pubblicità effettuata “una tantum” durante l’anno si ha un reddito di attività commerciale occasionale. Il provento lordo, al netto delle spese di diretta imputazione, costituisce un “reddito diverso” da inserire nella dichiarazione dei redditi, senza applicazione di IVA e senza obbligo di tenuta delle scritture contabili fiscali. È il caso delle inserzioni effettuate sui depliant di una festa paesana organizzata una volta all’anno oppure in occasione di singole iniziative benefiche. Spesso si aggira il problema facendo emettere fattura direttamente dalla tipografia.

Se si tratta di una prestazione abituale si ha un’attività d’impresa commerciale. Ai fini IVA va emessa la fattura; per le OdV resta salvo il caso di avvalersi del regime di esclusione ex art. 8 L. 266/91. Ai fini IRES gli utili sono normalmente tassabili: possono essere esenti per le ONLUS, se si riesce ad inquadrare la pubblicità o sponsorizzazione tra le attività connesse. Per le OdV che non sono più ONLUS ex D.L. 185/2008 si tratta di utile tassabile. Si è già detto sopra che il fisco ritiene che le ONLUS non possano effettuare sponsorizzazioni, nemmeno come attività connessa. Tale interpretazione è probabilmente eccessivamente rigida, perché in alcuni casi la sponsorizzazione potrebbe essere attività connessa. Si pensi alla pubblicità stampata sui mezzi per il trasporto di disabili, oppure alla raccolta di inserzioni su bollettini e periodici dell’associazione o sui programmi di sala delle ONLUS culturali.

Il fisco ritiene, inoltre, che le sponsorizzazioni non possano esistere in una raccolta di fondi occasionale e godere della relativa esenzione da IVA e IRES prevista dall’art. 143 TUIR, trattandosi piuttosto di erogazioni liberali dato che esi-

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

ste una sproporzione tra somma erogata e servizio ricevuto. È plausibile che la sponsorizzazione non possa godere di esenzione ex art. 143 TUIR, che appare più rivolta al rapporto con il pubblico degli utenti potenziali donatori che verso le aziende: valutandone le modalità effettive di esplicazione potrebbe essere compresa tra le attività connesse di una ONLUS, in quanto l’attività di raccolta fondi è pur sempre un’attività istituzionale, anche per le ONLUS. 8.3.6 L’organizzazione di servizi a pagamento: a) le convenzioni con gli enti pubblici L’organizzazione di servizi a pagamento da parte delle associazioni copre i settori più disparati e avviene con varie modalità organizzative, spesso con l’intervento di enti pubblici. Questi ultimi possono limitarsi ad appoggiare dei progetti rivolti agli utenti finali erogando dei contributi oppure possono diventare veri e propri committenti del servizio. I rapporti con le pubbliche amministrazioni possono avvenire con più strumenti, previsti da varie fonti normative: D. Lgs. 163/2006 Codice dei Contratti pubblici; D. Lgs. 267/2000 testo Unico sull’ordinamento degli enti locali; D. Lgs. 42/2004 Codice dei Beni Culturali; altre discipline di settore (L. 266/91 per il volontariato; L. 381/91 per le cooperative sociali; L. 383/2000 per le APS), norme regionali statuti e regolamenti degli enti locali. Tutte queste norme prevedono strumenti e procedure diversificati in funzione di vari parametri: natura del committente, tipo di prestazione in esame (avente o meno rilevanza economica, servizi alla persona, gestione impianti sportivi, ecc.), tipo di contraente, presenza o meno di pagamenti da parte del committente e/o dei fruitori, ecc.. In questo contesto per le OdV e le APS la L. 266/91 e la L. 383/2000 prevedono espressamente la possibilità di redigere delle convenzioni con gli enti pub-

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APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

blici. Per gli appalti veri e propri si sono già viste in un capitolo precedente le difficoltà giuridiche frapposte dai giudici e dalle autorità regolamentari nazionali, in disaccordo con i giudici della UE. Le convenzioni sono degli accordi tra ente locale e associazione in cui le parti individuano il tipo di servizio, le sue caratteristiche operative, i parametri di controllo e il movimento di denaro. Spesso il confine tra convenzione e appalto è labile e a volte viene il sospetto che gli enti locali usino lo schema della convenzione per superare i problemi legati alla gestione degli appalti di pubblici servizi, con i connessi obblighi di pubblicità e di gara. Le convenzioni possono prevedere lo svolgimento di un servizio contro: a) il mero rimborso delle spese vive sostenute e documentate, spesso con la fissazione di un tetto massimo per rispettare gli stanziamenti di bilancio dell’ente pubblico; b) un corrispettivo fisso a prescindere dalla documentazione delle spese sostenute; c) un contributo fisso come sub b) con l’obbligo di chiedere una quota di partecipazione agli utenti di importo stabilito dalla stessa convenzione; d) un rimborso spese documentate come sub a) con la facoltà di svolgere liberamente ulteriori prestazioni indicate in convenzione, se richieste dagli utenti del servizio, ma con le tariffe massime in essa indicate. A prescindere dall’impostazione di diritto amministrativo, i rapporti convenzionali delle associazioni con gli enti pubblici vanno accuratamente studiati per capirne il corretto regime fiscale. Ai fini fiscali vanno esaminate le caratteristiche intrinseche del rapporto, studiando in particolare se vi siano prestazioni di servizi che integrino i requisiti dell’impresa commerciale (organizzazione, abitualità) e se vi sia la “corrispettività”, cioè lo scambio del servizio verso denaro che rappresenti il “prezzo” di tale servizio. Tale esame investe due ordini di problemi: a) capire se si tratti o meno di prestazioni d’impresa: nel primo caso sorgono i connessi obblighi strumentali (contabilità, regime IVA, regime IRES, ecc.), nel secondo caso non vi sono questi problemi; b) analizzare l’esistenza di eventuali agevolazioni o esenzioni fiscali specifiche. Per questo secondo aspetto vanno armonizzate al caso specifico norme diverse per quanto riguarda l’IRES e l’IVA:

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

IRES

Esenzione generale ex regime ONLUS; Esenzione generale ex regime OdV (marginali); Esenzione specifica per contributi a rilevanza sociale ex art. 143 TUIR (per e.n.c.);

IVA

Regime IVA ordinario Eventuale esenzione ex art. 10 DPR 633/72 Esclusione ex regime OdV (art. 8 L. 266/91)

a) Il mero rimborso spese La L. 266/91 indica tra gli introiti delle OdV i “rimborsi derivanti da convenzioni” (art. 5, 1° comma, lett. F e anche art. 7, 2° comma). Il D.M. 25/5/95, sulle attività marginali, ribadisce che “non rientrano, comunque, tra i proventi delle attività commerciali e produttive marginali quelli derivanti da convenzioni” (art. 1, 3° comma) (per il corretto inquadramento di questa norma v. cap. 1). Su questa linea si muove lo schema tipo di convenzione della Regione E/R sopra citata che prevede espressamente all’art. 7: “elencare in dettaglio gli eventuali oneri e spese ammessi a rimborso, precisando anche l’eventuale quota parte delle spese generali di funzionamento dell’organizzazione che vengono imputate alla convenzione. … Eventuali spese oggettivamente non documentabili saranno rimborsate su presentazione di apposita dichiarazione firmata dal Presidente dell’organizzazione; l’importo di dette spese dovrà comunque essere marginale rispetto alla spesa globalmente rimborsata.” Sempre questa Delibera nelle note all’art. 7 sintetizza efficacemente i termini del problema: “l’obbligatorietà della rendicontazione documentata delle spese sostenute ed ammesse a rimborso, oltre che per disposizione delle leggi in materia di volontariato, è anche resa necessaria per obblighi di rispetto delle norme fiscali incidenti. Si ricorda infatti che anche nell’ambito convenzionale tra Istituzione Pubblica e organizzazioni di volontariato, affinché non vi sia assoggettamento ad imposta, l’eventuale rapporto economico deve essere cosa diversa dal pagamento del prezzo di una prestazione, segno distintivo della ‘commercialità’. Facendo riferimento alla lett. F) dell’art. 5 della L. 266/91, si deve osservare che l’espressione ‘rimborsi derivanti da convenzioni’, che l’art. 7 della stessa L. 266/91 classifica come ‘rimborso spese’, nel caso delle organizzazioni di volontariato dovrebbe essere intesa (come vuole l’art. 2, comma 2) come il recupero di spese effettivamente sostenute per l’esercizio di una attività di carattere sociale,

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APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

e non già come un corrispettivo di una prestazione, cioè come un ricavo. In quest’ultimo caso non si potrebbero evitare ripercussioni di carattere fiscale. Da ciò l’obbligatorietà per i soggetti impegnati in rapporti convenzionali di creare le condizioni probatorie più favorevoli per comprovare il rispetto di quanto suddetto.” In sostanza in un rapporto convenzionale che prevede il mero rimborso delle spese vive documentate viene a mancare il “prezzo” come elemento tipico della vita dell’impresa, per cui cessa anche il rischio d’impresa, inteso come rischio per il gestore dell’attività di non coprire i costi con i ricavi. Ne deriva che in questo caso l’OdV non esercita attività d’impresa e non è soggetta agli obblighi fiscali conseguenti (contabilità fiscale, IRES). Ai fini IVA l’OdV è coperta dal fatto che non si tratta di esercizio di impresa, per cui manca il requisito soggettivo ex art. 4 del D.P.R. 633/72, oppure si può invocare l’esclusione da IVA ex art. 8 L. 266/91. Si ricorda che questa impostazione supera i limiti delle agevolazioni ONLUS che NON riguardano l’IVA, ma solo le imposte dirette (per quanto qui ci riguarda). Tra i tanti casi possibili si citano i servizi di ascolto telefonico (es. telefono rosa per le donne oggetto di violenza fisica o comunque in difficoltà).

Tuttavia è bene segnalare che, anche in questo caso, in assenza di chiarimenti ufficiali, le amministrazioni pubbliche seguono criteri diversi, spesso all’interno della stessa Regione o Provincia: alcune accettano la semplice rendicontazione, altre richiedono comunque l’emissione di regolare fattura IVA. b) Presenza di un corrispettivo fisso In questo caso la situazione è più delicata, perché viene a mancare la coincidenza con l’importo esposto nella rendicontazione delle spese vive sostenute. Se il corrispettivo erogato dall’ente pubblico non eccede i costi di diretta imputazione (come capita quasi sempre), si potrebbe cercare di sostenere (con la certezza di contestazione da parte del fisco) che si tratta pur sempre di un’attività svolta con il sistema (sostanziale anche se non formale) del rimborso spese. Se si vuole sostenere questa tesi è bene che l’OdV trattenga ai propri atti un bilancio in cui sia evidenziata questa situazione, in cui compaiano entrate proprie a copertura del disavanzo (es. offerte, liberalità varie, quote dei soci, ecc.). In via generale si è costretti a ritenere che si tratta di una prestazione di tipo im-

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

prenditoriale, per cui eventualmente soccorrono una o più delle agevolazioni citate sopra (ONLUS, OdV). Ai fini IVA si può solo invocare l’esclusione per le OdV. Può essere il caso dell’attività di trasporto disabili con veicoli idonei effettuato dall’OdV per conto del Comune con un prezzo onnicomprensivo valido per tutta la durata della convenzione (es. per il tragitto casa/scuola o casa/piscina).

c) Contributo fisso e quota degli utenti In questo caso si tratta di un’attività d’impresa, in cui il prezzo del servizio viene pagato da due diversi soggetti: l’ente pubblico promotore del servizio e l’utente. In questo caso occorre verificare l’ampiezza delle agevolazioni (ONLUS, OdV). Ai fini IVA occorre emettere la fattura oppure godere dell’esclusione soggettiva ex art. 8 L. 266/91. d) Rimborso spese e attività libere In questo caso si tratta, a ben vedere, di due attività diverse: • una in convenzione con l’ente pubblico a regime di rimborso spese; • l’altra libera (ed eventuale) con prezzo “amministrato”. La prima attività rientra nell’ipotesi già detta sopra sub a) per cui si può sostenere che non siamo di fronte all’esercizio di un’impresa. La seconda attività è d’impresa per cui occorre verificare la possibilità di godere delle varie agevolazioni (ONLUS, OdV). Ai fini IVA occorre emettere la fattura oppure godere dell’esclusione soggettiva delle OdV ex art. 8 L. 266/91. Si pensi all’OdV ambientalista che gestisce un parco per conto del Comune, con il rimborso delle spese vive, mentre offre agli utenti un servizio di guida naturalistica per un prezzo (pattuito o meno in convenzione). Oppure si pensi all’OdV che gestisce un canile per conto del Comune, che percepisce dagli utenti un prezzo, previsto in convenzione, per le prestazioni di tipo sanitario non ritenute obbligatorie per legge.

8.3.7 Segue: b) le attività verso gli utenti con o senza contributi pubblici Si tratta di attività disparate tra cui si citano: • l’organizzazione di corsi per un pubblico pagante (di primo soccorso, di lingue, di restauro, d’arte, ecc.); • l’attività didattica svolta a pagamento nelle scuole;

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APPROFONDIMENTI SULLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

• il servizio di visite guidate a pagamento per musei o siti archeologici. Analizzando il concreto svolgimento di queste attività si determina se esse costituiscano un’attività commerciale occasionale o un’attività abituale di “impresa commerciale”, anche se svolte con parziale contributo pubblico. Si segnala che, in questo caso, si esaminano le attività per le quali il contributo pubblico significa solo erogazione di una somma come appoggio al tipo di attività svolta, ma al di fuori delle convenzioni (v. sopra).

Nel caso di attività commerciali occasionali non si applica l’IVA e l’utile netto è tassato ai fini IRES come reddito “diverso”, senza obblighi contabili. Fanno eccezione a questa regola generale alcuni casi di esenzione da IRES: a) attività svolta da associazioni verso i soci, nel regime della “decommercializzazione” ex art. 148 T.U.I.R. (v. sopra); b) attività rientrante nel regime ONLUS delle attività istituzionali o direttamente connesse; c) prestazioni di servizi di OdV “marginali” (art. 1 lett. E, D.M. 25/5/1995). Nel caso di attività d’impresa si applica l’IVA, l’IRES e vige l’obbligo delle scritture contabili fiscali. Fanno eccezione i seguenti casi: a) attività svolta da associazioni verso i soci, nel regime della “decommercializzazione” ex art. 148 T.U.I.R, per cui non si applicano l’IVA e l’IRES e non si tengono scritture contabili fiscali; b) attività svolta verso non soci dalle ONLUS, se si tratta di attività istituzionali o direttamente connesse (esenzione valida ai soli fini IRES, mentre l’IVA è dovuta); c) attività “marginale” svolta dalle OdV, con il limite dell’utile netto non superiore al 50% dei costi di diretta imputazione (art. 1, lett. E, D.M. 25/5/95) (l’IVA è applicabile salva la scelta per il regime di esclusione totale ex art. 8 L. 266/91). 8.3.8 I contributi pubblici e la ritenuta del 4% I contributi erogati da enti pubblici (e anche privati) ad una associazione relativamente ad una attività ritenuta fiscalmente d’impresa commerciale, sono potenzialmente ricavi tassabili e sono anche soggetti alla ritenuta d’acconto del 4% prevista dall’art. 28 del D.P.R. 600/73. Non sono soggette a ritenuta del 4% i contributi erogati da enti pubblici nei se-

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

guenti casi: • iniziative sociali convenzionate con enti pubblici ex art. 143, 2° comma lett. B), TUIR; • contributi erogati alle ONLUS; • attività nel settore della musica, balletto e teatro (L. 800/1967); • contributi erogati alle associazioni sportive dilettantistiche (limitatamente a quelli erogati dal CONI, dalle Federazioni e dagli enti di promozione sportiva); • contributi per acquisto di beni strumentali. Successivamente all’entrata in vigore del regime ONLUS è stato modificato l’art. 28 del D.P.R. 600/73 per cui la ritenuta del 4% deve essere applicata sui contributi erogati anche da enti privati (es. fondazioni bancarie), oltre che da enti pubblici, sempre per attività d’impresa commerciale. In dottrina si ritiene che per le ONLUS, stante l’esenzione totale da IRES degli utili dell’impresa, competa l’esenzione da ritenuta anche per i contributi erogati da enti privati.

I contributi sono sempre esclusi da IVA, in quanto si tratta di mere cessioni di denaro. Ai fini della tassazione IRES seguono il regime fiscale dell’attività d’impresa cui sono collegati, per cui saranno esenti o imponibili secondo i casi.

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9. I regimi contabili delle attività commerciali

9.1 In generale Gli e.n.c. che esercitano attività d’impresa commerciale devono tenere le scritture contabili previste: dal D.P.R. 600/73 ai fini IRES e IRAP dal D.P.R. 633/72

ai fini IVA

da leggi speciali

per i dipendenti

Per gli e.n.c. l’obbligo di tenuta delle scritture contabili qui esaminate si limita al settore commerciale (v. art. 19 DPR 600/73 e artt. 4 e 19ter D.P.R. 633/72). Per le ONLUS si ricorda che le scritture contabili fiscali vanno tenute per intero per il settore “direttamente connesso” e limitatamente ai registri IVA per il settore “istituzionale”, fermo restando l’obbligo di avere un bilancio completo. Le scritture contabili vanno tenute con questi criteri: • ordinatamente • senza spazi in bianco • senza interlinee • senza trasporti a margine • senza abrasioni • le correzioni devono rimanere leggibili • l’aggiornamento va fatto nei termini di legge (60 gg.) • vanno scritti o stampati nei termini di legge (entro il termine di presentazione delle relative dichiarazioni fiscali). Esse vanno conservate fino a quando non sono scaduti i termini per gli accertamenti fiscali (in genere 5 anni, salvo proroghe) o non sono esauriti i gradi del contenzioso. Come già anticipato esistono più regimi contabili, con riflessi sia sulla quantità e sul tipo di scritture da tenere che, a volte, sul calcolo dei valori imponibili.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

9.2 Il regime ordinario Il regime ordinario è obbligatorio nel caso i ricavi dell’impresa commerciale superino il limite annuale di: • € 516.456,90= per le attività di cessione di beni; • € 309.874,14= per le attività di prestazione di servizi. Negli altri casi il regime ordinario può essere scelto per opzione. Il regime ordinario comporta la tenuta dei seguenti libri contabili: 1. libro giornale 2. libro inventari 3. mastri 4. registro dei beni ammortizzabili (facoltativo) 5. registri IVA: acquisti, vendite, corrispettivi. Sul libro giornale e sul libro inventari vanno applicate due marche da bollo da € 14,62= ogni 100 pagine (le OdV e le ONLUS godono dell’esenzione dal bollo). Gli altri registri contabili non vanno bollati. Con questo regime: a) si redige il bilancio completo; b) il reddito imponibile viene determinato per differenza dei ricavi e dei costi effettivi; c) l’IVA si determina per differenza algebrica (IVA sulle vendite meno IVA sugli acquisti). Nel regime ordinario per natura l’IVA è mensile, per gli ordinari per opzione l’IVA può anche essere trimestrale (con aggravio di interessi 1%). 9.3 Il regime semplificato Restando sotto i limiti di ricavi sopra indicati si può operare nel regime semplificato. I libri contabili da tenere sono • registri IVA integrati (acquisti, vendite, corrispettivi); • registro dei beni ammortizzabili (facoltativo). I libri non vanno bollati. Con questo regime non si registrano i movimenti finanziari (entrate e uscite), per cui da queste scritture si può derivare solo un conto economico; lo stato patrimoniale può essere derivato dalla contabilità istituzionale dell’associazione.

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I REGIMI CONTABILI DELLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

L’IVA in genere è mensile, ma si può optare per la chiusura trimestrale (con aggravio di interessi 1%). 9.4 Il regime forfettario art. 145 TUIR Gli e.n.c. operanti nel regime semplificato o nel regime ordinario per opzione (e quindi che non superano i limiti di ricavi sopra indicati), possono determinare il reddito d’impresa con l’applicazione di alcuni coefficienti. Questo regime è: – opzionale; – non tocca il tema degli adempimenti contabili (che restano inalterati); – si limita a calcolare il reddito in modo forfetario; – non modifica il calcolo dell’IVA che rimane di tipo algebrico. I parametri sono i seguenti: attività di prestazione di servizi – ricavi fino a € 15.493,71= 15% – ricavi fino a € 309.874,14= 25% altre attività – ricavi fino a € 25.822,84= 10% – ricavi fino a € 516.456,90= 15%. A questo reddito calcolato a forfait vanno aggiunti i seguenti proventi (sempre se relativi al settore commerciale) per il loro intero ammontare: • plusvalenze • sopravvenienze attive • dividendi e interessi attivi • proventi immobiliari. In sostanza un e.n.c. che abbia un fatturato di € 100.000,00= derivante da prestazioni di servizi (es. sponsorizzazioni) avrebbe un reddito imponibile pari a € 25.000,00=, con l’aggiunta degli altri eventuali proventi sopra indicati. La scelta va quindi effettuata nei singoli casi, valutandone la convenienza. 9.5 Il regime forfettario della L. 398/91 9.5.1 Soggetti ammessi, limiti di fatturato e opzione La L. 398/91 prevede un regime fiscale semplificato che riguarda sia gli adempimenti contabili che la determinazione delle basi imponibili. 195


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

I soggetti ammessi sono alcuni tipi di associazioni: • associazioni sportive dilettantistiche; società di capitali sportive dilettantistiche senza fini di lucro; (affiliate alle Federazioni Sportive Nazionali e/o agli Enti di Promozione Sportiva) • associazioni senza scopo di lucro; • associazioni pro-loco; • associazioni bandistiche e cori amatoriali, filodrammatiche, di musica e danza popolare senza fini di lucro. Non possono godere di questo regime altre figure tipiche del non profit che non sono giuridicamente delle associazioni, come le fondazioni, i comitati, gli enti ecclesiastici. Il fisco ritiene anche, in modo probabilmente scorretto, che gli enti ammessi a tale regime debbano, comunque, essere all’inizio e mantenere nel tempo la qualifica di enti non commerciali. In sostanza un’associazione senza scopo di lucro che sia (o che lo diventi nel tempo) fiscalmente un “ente commerciale” non potrebbe scegliere (o mantenere) questo regime. I soggetti ammessi non devono superare il limite di ricavi “commerciali” di € 250.000,00= (al netto di IVA) per anno, eventualmente con ragguaglio ai mesi di attività se inferiori all’anno, a prescindere dal tipo di attività svolta (prestazione di servizi e/o cessione di beni). I ricavi vanno conteggiati con criterio di “cassa”, cioè al momento del loro effettivo incasso: Nella determinazione di tale limite non si contano: • plusvalenze • proventi esenti o soggetti a ritenuta d’imposta • proventi detassati ex art. 143 TUIR • proventi delle raccolte fondi occasionali • indennità di preparazione e promozione degli atleti venduti. La SIAE affianca gli uffici fiscali per la vigilanza su tutti gli enti operanti nel regime L. 398/91. L’opzione per questo regime va fatta, secondo i casi: • per chi non ha la P.IVA: all’atto dell’apertura della P.IVA • per chi ha già la P.IVA: entro il 31/12 dell’anno precedente. L’opzione va fatta inviando una raccomandata all’ufficio SIAE competente per territorio; l’opzione va poi confermata nella prima dichiarazione annuale dei

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I REGIMI CONTABILI DELLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

redditi (quadro VO). L’opzione è valida per 5 anni, poi si rinnova tacitamente di anno in anno. Al termine dei 5 anni (o degli anni successivi) l’opzione può essere revocata con gli stessi adempimenti: raccomandata inviata alla SIAE entro il 31/12 per attivare il regime ordinario dall’1/1 successivo e compilazione del quadro VO in dichiarazione dei redditi. Il regime cessa in modo naturale quando, in corso d’anno, l’ente supera il limite di ricavi consentito: dal mese successivo devono essere rispettati gli adempimenti contabili del regime semplificato o ordinario (in funzione del volume d’affari raggiunto). Per l’anno in cui si verifica il superamento del limite convivono i due regimi: l’IVA e l’IRES/IRAP verranno calcolati in parte con il sistema forfetario e in parte con il sistema analitico. 9.5.2 Le scritture contabili fiscali L’unico registro fiscale da tenere è il registro dei corrispettivi per i soggetti forfetari previsto dal D.M. 11/2/97, che non va più bollato. Si tratta dell’adattamento a questi enti di un registro pensato per altri soggetti, per cui non va compilato con tutti i dati in esso richiesti.

Il registro va compilato con riferimento alle sole operazioni attive (fatture emesse, biglietteria per partite, ecc.) per ogni mese, con una unica annotazione riepilogativa di tutti gli incassi commerciali, divisi per aliquota IVA. 9.5.3 Fatture di acquisto e di vendita Le fatture di acquisto vanno solamente conservate e numerate progressivamente per data di arrivo, senza obbligo di annotazione nel registro visto sopra. La numerazione delle fatture riparte da 1 per ogni anno solare. Le fatture attive vanno redatte su carta intestata, in due copie, e vanno numerate progressivamente per anno solare. Una copia va consegnata al cliente e una rimane agli atti dell’associazione. La SIAE può chiedere copia delle fatture per fini di controllo. Occorre fare attenzione all’aliquota IVA applicabile per i vari servizi prestati o per i prodotti ceduti: • esenzione ex art. 10 D.P.R. 633/72 (prestazioni socio-assistenziali e sanitarie); • 4% (generi alimentari); • 10% (biglietterie sportive e culturali); • 20% (sponsorizzazioni). 197


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Nel caso di vendita di prodotti a soggetti diversi dai privati (altre aziende) l’emissione immediata della fattura esonera dell’emissione del documento di trasporto. 9.5.4 Ricevute e scontrini fiscali Ai sensi del D.P.R. 21/12/96 n. 696, art. 2, punto hh), l’associazione che opera in regime L. 398/91 è esonerata dall’obbligo di emettere gli scontrini e le ricevute fiscali: ne deriva che non vi è l’obbligo di installare il registratore di cassa fiscale. Si segnala che le associazioni in regime L. 398/91 sono esonerate dall’installazione delle biglietterie automatizzate, potendo continuare ad utilizzare i biglietti SIAE, se disponibili, o procurandosi altri tipi di biglietti. 9.5.5 Versamenti IVA L’associazione versa l’IVA con riferimento ad ogni trimestre solare (per obbligo), senza aggravio di interessi. Le date di pagamento sono: • 16/5 (cod. 6031) • 16/8 (cod. 6032, data sempre soggetta a spostamento alla settimana successiva a Ferragosto) • 16/11 (cod. 6033) • 16/2 (cod. 6034). L’IVA da versare è determinata in percentuale dell’IVA incassata, con le seguenti differenziazioni: • IVA da biglietteria o da vendite 50% • IVA da sponsorizzazioni 90%. L’associazione non può recuperare in modo analitico l’IVA sugli acquisti relativi al settore “commerciale”, in quanto inglobata nella detrazione forfetaria sopra indicata. Dato questo meccanismo forfetario di pagamento dell’IVA l’associazione è esonerata dalla presentazione della dichiarazione IVA annuale e della comunicazione dati annuale. In quanto titolare di P.IVA l’associazione deve pagare l’IVA, le altre imposte ed i contributi tramite il sistema “F24 telematico”. 9.5.6 IRES e IRAP L’associazione è tenuta a presentare la dichiarazione dei redditi per pagare l’IRES e l’IRAP. L’IRES relativa all’impresa commerciale si paga su un imponibile calcolato in

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I REGIMI CONTABILI DELLE ATTIVITÀ COMMERCIALI

misura pari al 3% dei ricavi dichiarati, aggiungendo l’intero importo delle plusvalenze. L’aliquota IRES è pari al 27,5%. L’IRAP si paga su un imponibile che comprende il reddito d’impresa calcolato come detto sopra e le retribuzioni o i compensi erogati a terzi; ad esso va aggiunto l’eventuale imponibile relativo al “settore istituzionale”. L’aliquota IRAP è pari al 3,9%, salve le riduzioni o esenzioni per le ONLUS deliberate dalle singole Regioni. Sia l’IRES che l’IRAP si pagano con versamenti a saldo e in acconto. 9.5.7 Calcolo di convenienza per la scelta del regime contabile Si segnala che la scelta del regime contabile ex L. 398/91 va fatta considerando: a) il mancato recupero analitico dell’IVA sugli acquisti (potenzialmente penalizzante per chi ha molti beni strumentali adibiti all’attività d’impresa); b) l’ammontare dell’IRES/IRAP, in genere più basso rispetto agli altri regimi; c) il minor costo relativo alla tenuta di una contabilità fiscale molto ridotta; d) il vincolo derivante dal carattere pluriennale delle opzioni e) per i regimi forfetari. Esempio Un’associazione che fattura € 20.000,00= + IVA 20% € 4.000= per inserzioni pubblicitarie sul proprio giornalino pagherà le seguenti imposte: IVA 4.000,00 x 50% = € 2.000,00= IRES 20.000,00 x 3% x 27,5% = € 165,00= IRAP (20.000,00 x 3% – 7.350,00) x 3,9% = € 0,00= TOTALE € 2.165,00= A fronte dell’incasso lordo di € 24.000,00= vi sono spese per imposte per € 2.165,30=. L’IRAP è azzerata dalla deduzione fissa.

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10. Fund raising e agevolazioni varie

10.1 In generale Oltre agli apporti dei soci ogni associazione ha necessità di reperire da terzi fondi per le proprie attività, per i quali può attingere, in via di prima approssimazione, da due grandi aree: quella pubblica e quella privata. Nell’area pubblica varie norme (bandi vari, leggi, regolamenti, ecc.) prevedono la concessione da parte della UE, dello Stato, di Regioni, di Comuni o di altri enti pubblici di contributi a fronte di progetti di vario genere. Si veda, ad esempio, l’operatività a livello nazionale del “Fondo per il Volontariato” per l’acquisto di beni strumentali, anche tramite il nuovo meccanismo del “credito d’imposta”; i fondi dell’8 per mille a gestione statale; i fondi previsti da singole leggi di natura sociale/assistenziale, ecc..

Inoltre abbiamo giù visto che gli enti pubblici possono sostenere le associazioni anche stipulando convenzioni per l’attivazione di servizi aventi rilievo sociale, garantendo il pagamento di un rimborso o di un corrispettivo. Nell’ambito privato si possono inserire i contributi erogati dalle ex Fondazioni Bancarie e anche dagli stessi Centri di Servizio per il Volontariato, che possono sostenere progetti di intervento sociale. In genere si ritiene che le associazioni siano troppo dipendenti dal finanziamento pubblico, con il rischio di diventare subalterni all’ente pubblico e di essere utilizzati soprattutto per contenere i costi dei servizi sociali. Per questi motivi anche in Italia si sta facendo strada una disciplina di “marketing sociale” che tende a svincolare le associazioni da questo rapporto troppo stretto con l’ente pubblico, rivolgendosi ad altri potenziali finanziatori privati, siano essi le imprese o il pubblico in genere, utilizzando i canali più disparati. Si cerca perciò di adattare al nostro contesto economico e sociale i metodi usati dagli enti non profit di tradizione anglosassone, come l’uso del “cause related marketing”, che abbina una causa etica al messaggio commerciale.

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FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

Si vedano l’esperienza di SODALITAS a Milano (www.sodalitas.it), nata dalla collaborazione di vari enti di volontariato con alcune grandi organizzazioni del mondo imprenditoriale lombardo, e della FUND RAISING SCHOOL attiva presso il polo universitario di Forlì (www.fundraisinglab.com), ove è anche attivo un corso di laurea breve nel settore cooperativo e del non profit.

In questo limitato ambito della raccolta fondi da imprese e da privati alcune leggi fiscali sono intervenute per concedere agevolazioni ai soggetti donanti in funzione incentivante. Anche in questo settore siamo di fronte ad una legislazione non coordinata per cui talune regole riguardano tutte le associazioni, mentre la maggior parte di esse si indirizza a specifici ambiti come le ONLUS, le associazioni sportive dilettantistiche, le APS, ecc.. I risultati di tali norme sono ancora oggi insoddisfacenti sul piano normativo e scarsi sul piano economico, ma si tratta di una materia che subirà certamente forti mutamenti nel corso dei prossimi anni. Nel seguito daremo alcuni cenni alle principali norme in materia, dividendole per la tipologia dei soggetti agevolati. 10.2 Le offerte per le ONLUS previste dal D.LGS. 460/97 10.2.1 In generale La L. 266/91 sul volontariato aveva delegato il legislatore ordinario ad introdurre forme di incentivazione fiscale per le offerte elargite alle OdV. Tale delega era caduta nel nulla per via delle note condizioni della finanza pubblica e per mancanza di sensibilità da parte del legislatore stesso. L’art. 13 del D.LGS. 460/97 ha in seguito disciplinato la materia introducendo la deducibilità ai fini fiscali delle offerte raccolte dalle ONLUS (comprese le OdV iscritte, nei limiti introdotti dal D.L. 185/2008), con limiti e criteri diversificati in funzione del soggetto erogante. Si sottolinea che la deducibilità fiscale delle erogazioni liberali (sia in denaro che in merce) è vincolata alla permanenza della qualifica di ONLUS: in caso di decadenza da tale qualifica l’OdV ed i suoi amministratori incorreranno nelle sanzioni previste dal decreto stesso che sono: – la multa da € 1.032,91= a € 6.197,48=; – la solidarietà nel rimborso dell’agevolazione fiscale goduta dai terzi (oltre alle sanzioni e agli interessi) (art. 28 del D.LGS. 460/97).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Le associazioni che non hanno la qualifica di ONLUS non possono godere del regime delle offerte detassate qui esaminato. Inoltre si ricorda che le erogazioni liberali sono le offerte date senza alcun contraccambio da parte dell’ente non profit. Le regole qui esposte sono alternative a quelle previste per le donazione in regime “+ dai – versi” ex D.L. 35/2005 (v. oltre).

10.2.2 Le offerte da persone fisiche a) Ammontare e risparmio fiscale Le erogazioni liberali in denaro godono della detrazione del 19% ai fini IRPEF, per offerte di importo non superiore a € 2.065,83=, per ogni anno solare, indipendentemente dal numero delle ONLUS destinatarie dei fondi. Ciò significa che le eventuali erogazioni effettuate in misura superiore al limite consentito non godono dell’agevolazione fiscale, per la parte eccedente tale limite. Il fisco ha confermato che le quote associative versate dai soci alle OdV/ONLUS non rientrano tra le liberalità che fruiscono di questa agevolazione fiscale, in quanto non si tratta di liberalità, ma dell’adempimento di un obbligo previsto dallo statuto o dalla delibera del competente organo sociale. In sostanza il privato che eroga € 1.000,00= risparmierà € 190,00= di IRPEF, per cui il suo esborso netto sarà pari a € 810,00=.

Occorre fare attenzione che si tratta di una detrazione dall’imposta e NON dal reddito. Per cui se un cittadino, per ipotesi, non ha alcuna imposta nella sua dichiarazione dei redditi (caso raro ma possibile di chi ha solo redditi esenti o redditi di capitale tassati alla fonte in via definitiva) o ha un’imposta molto bassa (es. pensionati con altri redditi esenti), non potrà di fatto godere (in tutto o in parte) del risparmio fiscale. b) Modalità di erogazione La legge prevede espressamente che le erogazioni liberali in denaro per godere della detrazione fiscale devono essere effettuate esclusivamente tramite movimento bancario o postale (bonifici, assegni intestati, versamenti sul conto) o con l’uso di carte di credito e strumenti simili. Questo vincolo procedurale impedisce di fatto di considerare offerte detassate quelle che vengono raccolte presso i cimiteri o presso altri luoghi pubblici in occasione di ricorrenze, salvo che non si tratti di offerte fatte con assegni. 202


FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

È opportuno che l’ONLUS rilasci una ricevuta da cui si rilevino almeno i seguenti dati: • la sua qualifica di ONLUS; • il riferimento che l’offerta è fatta nel regime ex art. 13 del D. LGS. 460/97. c) Vincoli specifici per le OdV Si ricorda che l’art. 6, 7° comma, della L. 266/91 impone alle OdV di tenere agli atti l’elenco nominativo dei soggetti che hanno erogato contributi. Sarà sufficiente tenere un registro o anche un apposito bollettario a madre e figlia ove indicare la cifra ricevuta e i dati identificativi del benefattore. Si ricorda che la voce “contributi da privati” va obbligatoriamente esposta in bilancio, essendo una delle entrate tipiche previste dall’art. 1, lett. b), della L. 266/91. d)Versamenti collettivi L’Agenzia delle Entrate, in risposta ad uno specifico quesito posto da una Unione Industriali, ha chiarito che possono essere ammesse alla detrazione anche le offerte effettuate in gruppo dai dipendenti di aziende, tramite il datore di lavoro, con le seguenti modalità (si tratta della donazione del valore di 1 ora di lavoro) (ris. 441/E del 17/11/2008): ADEMPIMENTI DEL DIPENDENTE Rilascia al datore di lavoro una dichiarazione in cui: – autorizza il datore di lavoro a trattenere la somma pattuita (nel caso specifico si trattava del valore di 1 ora di lavoro) – indica il mese di paga su cui effettuare la trattenuta – indica la ONLUS a cui effettuare il versamento – delega il datore di lavoro ad effettuare il bonifico cumulativo

ADEMPIMENTI DEL DATORE DI LAVORO – trattiene la somma pattuita dal mese di retribuzione, indicando sulla busta paga la causale “erogazione liberale da versare a favore della ONLUS PINCO PALLO” – effettua il bonifico cumulativo alla ONLUS, specificando nella causale: 1) erogazione effettuata per conto dei dipendenti mandanti;

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2) il numero dei dipendenti mandanti; 3) il mese di riferimento della trattenuta; – per ogni versamento invia alla ONLUS beneficiaria un elenco in duplice copia contenente: 1) i nominativi dei dipendenti mandanti; 2) l’importo trattenuto e versato per conto di ogni dipendente; 3) il mese di riferimento della trattenuta; 4) la somma totale versata; 5) gli estremi del bonifico; – rilascia a ciascun dipendente una attestazione con: 1) denominazione della ONLUS beneficiaria; 2) data e importo totale del bonifico; 3) importo trattenuto al singolo dipendente; 4) dichiarazione di avere effettuato il bonifico (anche) per suo conto a titolo di erogazione liberale; – in sede di conguaglio ai fini IRPEF riconosce ad ogni singolo dipendente la detrazione IRPEF 19% sulla somma a lui trattenuta;

ADEMPIMENTI DELLA ONLUS BENEFICIARIA – restituisce al datore di lavoro una copia dell’elenco firmato per ricevuta. In astratto i criteri che reggono questa procedura possono essere utilizzati anche da altri soggetti (non datori di lavoro) che vogliano effettuare un bonifico collettivo ad una ONLUS (tralasciando le operazioni di conguaglio IRPEF tipiche di un datore di lavoro). Nei fatti essa appare però molto macchinosa, per cui i relativi costi (anche solo in termini di tempi) appaiono superiori ai benefici per i singoli donatori. 10.2.3 Le offerte da enti Le regole esposte al paragrafo precedente valgono anche per le erogazioni liberali in denaro effettuate alle ONLUS da parte di enti quali: a) società semplici; b) enti non commerciali, residenti o non residenti in Italia; c) società ed enti commerciali non residenti in Italia. Si tratta, in sintesi, di contributi elargiti da soggetti che sono fiscalmente pa204


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rificati ai privati, quali altre associazioni, riconosciute o meno, fondazioni, altri enti morali, sia privati che pubblici (es. le Parrocchie), e simili. Anche in questo caso per godere effettivamente dell’agevolazione (detrazione ai fini IRES del 19% dell’offerta erogata nel limite di legge di € 2.065,83=) occorre che l’ente donante esponga nella propria dichiarazione dei redditi un’IRES capiente. 10.2.4 Le offerte per le O.N.G. Per le O.N.G. (organizzazioni non governative riconosciute dal Ministero degli Affari Esteri), che sono ONLUS di diritto, è rimasta in vigore anche la possibilità di ottenere erogazioni liberali da persone fisiche e da enti morali prevista dall’art. 10, 1° comma, lett. g), del TUIR. Tale norma prevede la deduzione dei contributi erogati alle O.N.G. nel limite massimo del 2% del reddito complessivo dichiarato. Si noti che tali contributi godono di una deducibilità dal reddito complessivo e non di una detrazione d’imposta fissa al 19%, come per le altre OdV/ONLUS. Ciò significa che, per le persone fisiche, il risparmio fiscale è legato all’aliquota marginale IRPEF gravante sullo scaglione di reddito più alto e che sarà sempre superiore al 19%.

Il D.LGS. 460/97 ha previsto che il regime delle offerte con detassazione per le O.N.G. sia alternativo a quello delle ONLUS, nel senso che il soggetto erogante non può duplicare le offerte alla stessa O.N.G. prima usufruendo del plafond della lett. g) e poi, in aggiunta, godere della detrazione del 19%, ma deve optare o per l’una o per l’altra possibilità. 10.2.5 Le offerte da imprese 10.2.5.1 In generale Le imprese possono aiutare le ONLUS con modalità differenti che saranno esaminate separatamente. Si sottolinea che l’erogazione deve essere fatta da un soggetto che, ai fini fiscali, produce reddito d’impresa. Si tratta, in linea di massima, delle ditte iscritte al Registro Imprese tenuto dalla Camera di Commercio, qualunque sia la loro forma giuridica: ditta individuale, impresa familiare, società di persone, società di capitali, cooperative e consorzi. Oltre a questi casi possono produrre reddito d’impresa anche i seguenti soggetti, se gestiscono attività ritenute commerciali ai fini 205


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fiscali: associazioni (es. quelle sportive) e fondazioni, enti pubblici, enti religiosi. Restano quindi esclusi tutti i professionisti (avvocati, medici, ecc.) per i quali vale solo la regola vista sopra per i soggetti privati in genere. 10.2.5.2 Le offerte in denaro L’art. 100, comma 2, lett. H, del T.U.I.R. permette alle imprese di dedurre dal proprio reddito d’impresa imponibile “le erogazioni liberali in denaro per importo non superiore a € 2.065,83= o al 2% del reddito d’impresa dichiarato, a favore delle ONLUS”. L’impresa può versare ad una o più ONLUS, per ogni esercizio (non necessariamente coincidente con l’anno solare), un importo pari a € 2.065,83= o, se superiore, pari al 2% del reddito d’impresa dichiarato. L’importo di € 2.065,83= copre già un reddito d’impresa di € 102.291,38=, per cui la possibilità di eccedere tale cifra esiste solo per quelle imprese che hanno un reddito superiore a tale importo. L’erogazione fino al limite dell’importo fisso è deducibile anche in caso di reddito negativo.

Per evitare fenomeni di elusione da parte di alcune tipologie di ONLUS (in particolare quelle che hanno ottenuto la personalità giuridica), la legge prevede che le imprese non possono dedurre questo nuovo tipo di erogazione liberale in presenza di erogazioni già previste e disciplinate dalle lettere a)-b) dell’art. 100 del T.U.I.R. per gli stessi soggetti. Trattandosi di deduzione dal reddito (come se fosse un costo aziendale), il risparmio fiscale è variabile in funzione dell’inquadramento giuridico dell’impresa. Le imprese individuali e le società di persone avranno un risparmio in termini di IRPEF variabile per scaglioni di reddito imponibile, mentre le società di capitali avranno un risparmio ai fini IRES/IRAP pari al 31,4% della somma erogata.

Ai fini IRAP queste erogazioni liberali erano indeducibili fino al 31/12/2007, mentre per quelle effettuate dall’1/1/2008 sono: a) imprese in regime IRES (srl, spa, coop) b) altre imprese (snc, sas, imprese individuali) in contabilità ordinaria che optino per la tassazione IRAP in base al bilancio c) altre imprese in contabilità semplificata

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deducibili

deducibili indeducibili


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La legge non prevede espressamente che l’erogazione avvenga con i mezzi bancari o postali sopra indicati per i privati e gli enti, anche se si reputa opportuno, per motivi di cautela, procedere con gli stessi criteri. Le OdV che siano ancora ONLUS hanno gli stessi vincoli visti sopra per le offerte provenienti dalle persone fisiche e dagli enti: elenco nominativo e rappresentazione in bilancio. 10.2.5.3 Le offerte in merce L’art. 13 del D.LGS. 460/97 ha disciplinato la donazione di merci alle ONLUS da parte delle imprese. I dati generali della norma sono i seguenti, tenendo conto anche delle modifiche apportate dalla L. 244/2007, con decorrenza dall’1/1/2008: TIPI DI BENI TIPI MERCI CARATTERISTICHE LIMITI PER L’AZIENDA REGIME FISCALE PER L’AZIENDA

DOCUMENTI DI CONSEGNA

Solo beni merce a)Derrate alimentari e prodotti farmaceutici b)Altre merci non di lusso Merci non più commerciabili Merci a): no limiti Merci b): < 5% reddito d’impresa dichiarato IRPEF/IRES: non rilevano IVA: – prodotti farmaceutici: esenti IVA – derrate alimentari e altre merci non di lusso: fuori campo IVA • Impresa: – emissione di d.d.t. – comunicazione al fisco • ONLUS: – dichiarazione sostitutiva di atto notorio

a) Tipi di merce L’agevolazione riguarda solo ed esclusivamente la donazione di merci, cioè di beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa, con esclusione dei beni strumentali. Si tratta quindi di una classificazione variabile in funzione del settore produttivo in cui si colloca l’azienda e non in base alle caratteristiche intrinseche del bene. In sostanza questo regime non si applica alla donazione di beni strumentali.

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Le merci sono divise in due gruppi: a) derrate alimentari e prodotti farmaceutici; b) altre merci non di lusso. L’unico riferimento normativo alle merci “di lusso” potrebbe essere l’elenco contenuto nella tabella B), allegata al D.P.R. 633/72, fra cui si segnalano: lavori in platino, pelli da pellicceria, vini spumanti fermentati in bottiglia, tappeti e guide fabbricati a mano originari dell’oriente, dall’estremo oriente e dal nord africa. Sul punto si attendono chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Entrambi i gruppi di merci si devono trovare in condizioni tali da non consentirne un normale utilizzo nel circuito commerciale. Per il primo gruppo, la norma pone la condizione che si tratti di merci che vengono donate “in alternativa alla usuale eliminazione dal circuito commerciale”. La Relazione Ministeriale al D.LGS.460/97 precisa che “la disposizione si applica limitatamente alle derrate alimentari e ai farmaci che, per difetto di confezionamento o altre cause non compromettenti il loro valore intrinseco, si è soliti escludere dal circuito commerciale.”.

Per il secondo gruppo, con la modifica intervenuta dall’1/1/2008 ex L. 244/2007, il nuovo testo della norma precisa che le merci devono presentare “imperfezioni, alterazioni, danni o vizi che pur non modificandone l’idoneità di utilizzo non ne consentono la commercializzazione o la vendita, rendendone necessaria l’esclusione dal mercato o la distruzione”. La L. 25/6/2003 n. 155 (c.d. “legge del buon samaritano”) prevede che le ONLUS “che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti.”. La norma serve per escludere la responsabilità delle aziende donanti per lo stato di conservazione del prodotto, una volta avvenuta la consegna alla ONLUS. Questa responsabilità costituiva un forte deterrente per le aziende, specie per i casi di prodotti facilmente deperibili e/o alterabili nel caso non fossero trasportati o conservati con le tecniche del caso. Compete alla ONLUS verificare che gli alimenti siano ancora salubri e utilizzabili per gli indigenti, destinatari finali del loro servizio.

b) Limiti della donazione per l’impresa Il limite alla donazione di merce è diversificato in funzione del tipo: 208


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– derrate alimentari – prodotti farmaceutici altre merci non di lusso

nessun limite costo specifico non superiore al 5% del reddito d’impresa dichiarato.

In caso di reddito negativo la donazione delle altre merci non di lusso non è pertanto deducibile. c) Regime fiscale della donazione per l’impresa Per le imprese il regime fiscale applicabile alle donazioni di merci è il seguente. a) Ai fini delle Imposte sui Redditi: – le donazioni di merci non costituiscono ricavi tassabili; b) Ai fini IVA: – le donazioni di prodotti farmaceutici sono operazioni esenti da IVA (art. 10, punto 12, D.P.R. 633/72). Va emessa la fattura con l’indicazione di tale norma e della qualifica di ONLUS del ricevente; occorre effettuare la rettifica della detrazione IVA ai sensi dell’art. 19bis-2 del DPR 633/72; – le derrate alimentari e le altre merci non di lusso sono considerate distrutte, quindi fuori campo IVA, senza obbligo di emissione di fattura o di effettuare alcuna rettifica della detrazione IVA. Tale regime di “distruzione” deriva in parte dall’art. 6, 15° comma, L. 133/1999, per cui “i prodotti alimentari non più commercializzati o non idonei alla commercializzazione per carenza o errori di confezionamento, di etichettatura, di peso o per altri motivi similari nonché per prossimità della data di scadenza, ceduti gratuitamente … (alle ONLUS) … e da questi ritirati presso i luoghi di esercizio dell’impresa si considerano distrutti agli effetti dell’IVA.”. Di tali “difetti” dei prodotti occorre fare menzione nei documenti relativi alla donazione. Per le altre merci non di lusso il regime è ora previsto dal nuovo testo dell’art. 13, D. LGS. 460/97, come modificato dalla L. 244/07.

È da segnalare che, per le imprese, dall’1/1/2008 la donazione delle altre merci non di lusso non fa più cumulo con le eventuali donazioni in denaro alle ONLUS (v. Agenzia Entrate circ. 26/2008 e 254/2008). Tale regime di favore dovrebbe essere applicabile anche alla donazione di derrate alimentari e di prodotti farmaceutici, visto che si tratta comunque di merci destinate a fini di solidarietà. La

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lettera della norma e il testo delle pronunce del fisco non consentono di effettuare interpretazioni estensive: sul punto si attendono ulteriori chiarimenti. d) Modalità della donazione Le modalità della donazione sono disciplinate sia dal D.LGS. 460/97 che dal D.P.R. 441/97. 1) L’impresa deve inviare una raccomandata a.r. all’Agenzia delle Entrate prima di effettuare ogni singola donazione. Nel caso di donazione di merci per importo unitario superiore a € 5.164,57= la raccomandata va inviata anche al locale comando della Guardia di Finanza. Tale raccomandata non è obbligatoria (ancorché consigliabile) per le cessioni di beni facilmente deperibili e di modico valore (tali sono stati ritenuti, ad esempio, le confezioni di yogurt), sempre se contenute nel limite di € 5.164,57=, per importi superiori la raccomandata va inviata anche se si tratta di prodotti deperibili (v. Agenzia Entrate ris. 46/2002). 2) La raccomandata (se necessaria) deve pervenire (N.B.: fa fede la data di arrivo) agli uffici fiscali sopra indicati almeno 5 giorni prima della consegna della merce alla ONLUS. 3) La raccomandata deve contenere i seguenti dati: – data, ora e luogo di inizio del trasporto – luogo di destinazione finale del trasporto – valore complessivo della merce ceduta, sulla base del costo di acquisto o di produzione (= valore d’inventario) – natura, qualità e quantità della merce donata (è necessario inserire il “difetto”) – dati identificativi sia della ditta mittente che della ONLUS ricevente. 4) Il trasporto deve essere documentato dal D.D.T. (documento di trasporto). 5) Entro il giorno 15 del mese successivo la ditta deve annotare sui registri IVA (o su un apposito prospetto) la qualità e quantità (anche se la legge non lo prevede espressamente si consiglia di indicare anche il costo specifico per verificare il rispetto del limite massimo ove previsto) della merce donata nel corso del mese precedente. 6) La ONLUS deve rilasciare alla ditta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ex art. 21 D.P.R. 445/2000 con la quale dichiara: – la corrispondenza della natura, qualità e quantità della merce ricevuta ai

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dati contenuti nel D.D.T. – il proprio impegno ad utilizzare direttamente i beni in conformità alle finalità istituzionali. La dichiarazione va firmata dal Presidente della ONLUS o, in mancanza, dalla persona a ciò delegata dal Consiglio Direttivo, in quanto si tratta di dichiarazione che coinvolge la responsabilità dell’associazione, anche sotto il profilo patrimoniale. La ONLUS deve realizzare l’effettivo utilizzo diretto della merce ricevuta: potrà darla ai terremotati, ai poveri, oppure potrà utilizzarla per organizzare vendite di beneficenza (banchetti in piazza e simili) per impiegarne poi il ricavato in opere di solidarietà. Questi beni non possono essere ulteriormente immessi sul mercato “normale”. La legge non indica precisi termini temporali di scadenza di tale obbligo di utilizzo, ma si consiglia di farlo in tempi brevi e, in ogni caso, di tenere agli atti qualche documento che attesti l’avvenuto utilizzo delle merci (dichiarazioni dei riceventi, fotografie, articoli di giornale, ecc.). Si tenga presente che la violazione di tale obbligo comporta la decadenza della ONLUS dal godimento di tutte le agevolazioni fiscali, ivi compreso l’obbligo di risarcire il fisco per le imposte non versate dalla ditta che ha effettuato la donazione.

Per le vendite a stock si veda oltre. 10.2.5.4 Le offerte in lavoro Le imprese possono altresì aiutare le OdV/ONLUS distaccando il proprio personale dipendente (art. 65, 2° comma, lett. I, del T.U.I.R.). Si rinvia all’apposito capitolo. 10.2.5.5 Le offerte in pubblicità progresso Per regola generale le prestazioni di servizi effettuate dalle imprese, anche se non retribuite, devono scontare l’IVA sul loro valore normale. Fa eccezione a questa regola la c.d. “pubblicità progresso”, ovvero “le operazioni di divulgazione pubblicitaria svolte a beneficio delle attività istituzionali di enti e associazioni che senza scopo di lucro perseguono finalità educative, culturali...”. Tale eccezione è stata estesa alla pubblicità effettuata per conto delle ONLUS. Si ribadisce che si deve trattare di una prestazione effettuata dalle agenzie a titolo gratuito.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

10.2.5.6 Esempi Si riportano: – lettera di una ditta per la donazione di merci – autocertificazione della ONLUS. GIGI s.r.l. Supermercato alimentari Corso Mazzini n. 19 - Faenza P.IVA 01013430390 Faenza, 20 FEBBRAIO 2008 Spett. AGENZIA DELLE ENTRATE Ufficio di Faenza Viale delle Ceramiche 45 FAENZA Spett. COMANDO BRIGATA VOLANTE GUARDIA DI FINANZA Via Laghi n. 76 FAENZA E P.C.

Spett. Associazione AMICI DELL’AFRICA-ONLUS Corso Garibaldi n. 19 FAENZA

Raccomandate a.r. Oggetto: donazione merci a ONLUS Spett. Uffici, con la presente vi comunichiamo che, ai sensi dell’art. 13, comma 2, del D.LGS. 460/97, intendiamo donare una partita di merci all’associazione AMICI DELL’AFRICA che gode dei requisiti ONLUS. Si segnalano i seguenti aspetti. 1) Le merci sono di nostra proprietà e non sono più commerciabili in quanto...... (indi-

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care una motivazione: es. presentano difetti di confezionamento, sono prodotti non più in assortimento, ecc.). 2) Il trasporto avverrà a cura dell’associazione ricevente in data 2 MARZO 2008, con inizio alle ore 8.30. 3) Luogo di destinazione: la sede dell’associazione. 4) La merce ha un valore complessivo, sulla base del costo d’acquisto, pari a € 6.000= (seimila). 5) Descrizione della merce: – n. 500= confezioni di... – n. 100= pacchi di... –........ 6) L’ONLUS ricevente è l’associazione AMICI DELL’AFRICA con sede in Faenza Corso Garibaldi 19, c.f. 900012340390. Distinti saluti. GIGI s.r.l.

NOTE: – Le raccomandate devono pervenire agli Uffici almeno 5 giorni prima del trasporto. – Occorre indicare un difetto del prodotto, altrimenti scattano i limiti di valore della deducibilità. – Occorre indicare il dettaglio delle merci.

AUTOCERTIFICAZIONE (rilasciata ai sensi dell’art. 21 del D.P.R. 445/2000) Io sottoscritto CERICOLA TIZIANO nato a Mirandola l’11/9/58 residente in Faenza via V. Calamelli n. 76, in qualità di Presidente e legale rappresentante dell’associazione AMICI DELL’AFRICA-ONLUS con sede in Faenza corso Garibaldi n. 19 dichiaro quanto segue: 1) di avere effettivamente ricevuto in donazione dalla ditta GIGI SRL di Faenza tutte le merci indicate nel DDT n. 108 del 02/03/2008 emesso dalla stessa ditta; 2) ci impegniamo ad utilizzare direttamente le merci ricevute in conformità alle nostre finalità istituzionali. La presente dichiarazione viene resa alla ditta GIGI s.r.l. ex D.LGS. 460/97 e D.P.R. 441/97. Si allega fotocopia della carta di identità. Data e firma.

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10.2.5.7 Le vendite a stock Può capitare che talune aziende vogliano donare alla associazione le loro merci obsolete, ma che non intendano avvalersi della procedura formale di donazione vista in precedenza per le ONLUS o che manchi addirittura la qualifica di ONLUS dell’associazione ricevente. In taluni casi, per ovviare a questi ostacoli, si può valutare la possibilità di usare la procedura della vendita alla associazione (ONLUS o meno) di beni “a stock”, consistente nella vendita in blocco di merci a prezzo fisso, anche simbolico, (sia unitario che a forfait), notevolmente ridotto rispetto al valore normale. In tali casi l’azienda deve seguire una particolare procedura, prevista dal D.P.R. 441/97: a) emissione della fattura (anche se si tratta di un negozio con registratore di cassa); b) emissione del D.D.T. con indicazione di: – natura e quantità dei beni – sottoscrizione dell’acquirente che attesta la ricezione dei beni – nella copia che rimane all’azienda indicare l’ammontare complessivo del costo di acquisto della merce o del suo valore di inventario (la mancata indicazione di tale valore comporta la presunzione di vendita sulla base del valore normale della merce). Per talune aziende (commercio al dettaglio di abbigliamento, calzature e accessori) tali dati servono anche per attenuare i ricavi presunti richiesti dagli studi di settore. È ovvio che l’associazione ricevente deve effettivamente pagare la fattura (in genere di scarso importo) e deve usare tali merci per i propri fini istituzionali (darli ai poveri, effettuare pesche di beneficenza e simili). Nel caso l’associazione intendesse curarne la successiva rivendita a terzi, si tratterebbe di un’attività “commerciale” di vendita di prodotti nuovi, con i problemi già affrontati. 10.3 Le offerte alle ONLUS e alle A.P.S. ex D.L. 35/2005 10.3.1 L’inquadramento delle nuove regole L’art. 14 del D.L. 14/3/2005 n. 35 (conv. con L. 14/5/2005 n. 80), in vigore dal 17/3/2005, recupera un disegno di legge da molto tempo giacente in Parlamento (c.d. “più dai meno versi”) ed inserisce nuove norme per le erogazioni liberali alle ONLUS, alle APS e ad altri soggetti non profit. 214


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Tale norma prevede adempimenti molto stringenti, che possono rendere non praticabile il nuovo regime per le piccole associazioni. Il fisco ha dato alcune indicazioni (C.M. 39 del 19/8/2005), per l’applicazione di questo nuovo regime. 10.3.2 Le nuove regole per le offerte Le norme previste dall’art. 14 del D.L. 35/2005 costituiscono un regime che non cancella, ma si affianca e sovrappone a quello previsto dal D. LGS. 460/97 per le ONLUS e dalla L. 383/2000 per le A.P.S.. Ne deriva che sia i donatori che i beneficiari dovranno valutare nei singoli casi quale sia il regime fiscale più conveniente per la specifica erogazione liberale. Resta in ogni caso fermo che si deve trattare di erogazione liberale, cioè di un’offerta elargita all’ente non profit senza che questi presti a sua volta alcun servizio o ceda alcun bene. Resta quindi fermo il regime delle sponsorizzazioni o prestazioni pubblicitarie, che riguardano attività contrattuali di scambio di denaro contro servizi.

Sintetizziamo le nuove regole nello schema seguente, per poi fornire gli approfondimenti del caso. CARATTERI GENERALI DEL NUOVO REGIME ART. 14 D.L. 35/2005 Tipo di liberalità – In denaro – In natura Soggetti donanti

Beneficiari

– Persone fisiche – Società di capitali – Cooperative – Enti commerciali – Enti non commerciali a) ONLUS: – Ordinarie – Di diritto – Parziali b) A.P.S. – Nazionali – Livelli di organizzazione territoriale – Circoli affiliati agli Enti Nazionali

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c) Enti Morali tutela beni storici d) Enti Morali x ricerca scientifica Natura fiscale della erogazione Onere deducibile dal reddito complessivo dichiarato ai fini IRPEF/IRES Limiti del beneficio per anno a) Limite relativo: non oltre il 10% del reddito complessivo b) Limite assoluto: non oltre € 70.000,00= Alternatività Il donante può scegliere il nuovo regime o applicare i regimi di settore vigenti (D. LGS. 460/97 e L. 383/2000), indicandolo nei documenti Divieto di cumulo Il donante non può cumulare questa deduzione con ogni altra deduzione o detrazione dal reddito prevista da ogni altra norma Decadenza delle agevolazioni: a) Tenuta delle scritture contabili in a) obblighi contabili del partita doppia beneficiario b) Redazione del bilancio completo Segue: I beneficiari devono effettivamente b) effettività del beneficio sociale perseguire finalità solidaristiche e sociali, conformi ai loro statuti e comunicazioni Segue: Previste multe sia per il donante che per il c) sanzioni beneficiario 10.3.3 Tipi di liberalità La nuova norma riguarda le offerte fatte sia in denaro che in natura, cioè con cessione gratuita di beni o servizi. Offerte in denaro Per questa modalità di versamento la legge non richiede espressamente l’uso obbligatorio di un movimento bancario o postale, come invece avviene per le offerte previste dal D.LGS. 460/97 e dalla L. 383/2000. Tuttavia la C.M. 39/2005 ritiene che tale modalità di pagamento sia obbligatoria, per analogia con le norme appena richiamate. In realtà dette norme prevedono il movimento bancario o postale solo per le offerte effettuate da persone fisiche e da enti non commerciali, mentre nulla dicono

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per le erogazioni effettuate da imprese. In ogni caso, a scanso di contestazioni, sarà opportuno procedere sempre come richiesto dal fisco.

In ogni caso, vista la possibilità di scelta tra più regimi di erogazioni liberali, nella ricevuta (o nel documento bancario o postale) sarà necessario indicare che si tratta di offerta di cui all’art. 14 del D.L. 35/2005, per evitare contestazioni da parte del fisco sul tipo di detrazione/deduzione che ogni donatore può effettuare nella propria dichiarazione dei redditi. b) Offerte in natura Le offerte in natura possono essere effettuate sia da soggetti privati che da imprese: si tratta quindi di un ampliamento dei casi possibili, sia per le ONLUS che per le A.P.S.. Infatti il D.LGS. 460/97 le prevede solo per le merci donate da imprese alle ONLUS, mentre la L. 383/2000 non le contempla affatto per le A.P.S..

La norma non disciplina il regime IVA di tali donazioni per le imprese o ai fini delle imposte sui trasferimenti per i soggetti non imprenditori, per cui occorre risalire alle norme ordinarie. A differenza del D. Lgs. 460/97 la nuova norma nulla dice in merito alla documentazione da produrre per la donazione di merci da parte di imprese. Si ritiene più prudente applicare la procedura prevista dall’art. 2 del D.P.R. 441/1997, per il caso delle cessioni gratuite effettuate nei confronti di ONLUS (v. capitolo precedente).

Si confrontano i dati salienti del nuovo regime con quello precedente per le ONLUS (D. LGS. 460/97) e per le A.P.S.(L. 383/2000).

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Liberalità in natura per le ONLUS Donanti Imprese

Privati

Casi e vincoli D.L. 35/2005 Tutti i tipi di beni e di servizi

D. LGS. 460/1997 Solo merci, non beni strumentali o servizi (*) –Alimentari e farmaci: senza limite di importo –Altre merci non di lusso: limite 5% reddito impresa dichiarato Ai fini IVA costituiscono: – operazioni esenti (farmaci) – fuori campo IVA (derrate alimentari e altre merci non di lusso)

Non danno titolo a benefici ai fini IRPEF

(*) Tranne il distacco di personale dipendente.

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Deducibili dal reddito complessivo nel limite generale del 10% o di € 70.000,00=

Ai fini IVA: - le cessioni di beni merce costituiscono operazioni esenti; - le cessioni di beni diversi dalle merci sono imponibili con aliquota ordinaria - le prestazioni di servizi sono imponibili ad aliquota ordinaria se di importo unitario superiore a € 50,00=. Ammessa per tutti i tipi di beni e servizi Deducibili dal reddito complessivo nel limite generale del 10% o di € 70.000,00=. Ai fini delle imposte indirette (imposta di registro, ipotecarie e catastali) valgono le agevolazioni ONLUS previste dal D. LGS. 460/97.


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Liberalità in natura per le APS Donanti Imprese

Privati

Vincoli L. 383/2000 D.L. 35/2005 Non prevista Tutti i tipi di beni e di servizi Le cessioni gratuite di beni Deducibili dal reddito complessivo o di servizi sono generalmente nel limite generale del 10% o di considerati proventi imponibili. € 70.000,00= Ai fini IVA sono imponibili Ai fini IVA sono imponibili con aliquota ordinaria con aliquota ordinaria Non prevista Ammessa per tutti i tipi di beni e servizi Deducibili dal reddito complessivo nel limite generale del 10% o di € 70.000,00=. Ai fini delle imposte indirette (imposta di registro, ipotecarie e catastali) valgono le eventuali agevolazioni di settore.

10.3.4 Soggetti donanti La nuova norma si applica alle erogazioni liberali effettuate da: • persone fisiche • tutti i soggetti IRES. Questi ultimi comprendono tutti i tipi di enti e società di capitali, anche non residenti: s.r.l., s.p.a., cooperative, associazioni, fondazioni, enti ecclesiastici, enti pubblici. Le ditte individuali possono scegliere se effettuare l’erogazione come imprese o come privati cittadini. I professionisti devono donare come privati. Le società di persone (s.n.c., s.a.s., società semplici) sono state escluse da questo regime, per cui devono donare i singoli soci come privati.

Il presupposto implicito della norma è che il soggetto donante possieda un reddito complessivo (al lordo degli oneri deducibili) e che presenti la propria dichiarazione dei redditi (modello 730 o modello UNICO).

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

10.3.5 Beneficiari La nuova norma si applica alle erogazioni liberali destinate a quattro macro classi di soggetti: a) ONLUS; b) Associazioni di Promozione Sociale iscritte nel Registro Nazionale previsto dalla L. 383/2000, relativi livelli di organizzazione territoriale e APS loro affiliate; c) Fondazioni e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario la tutela, promozione e la valorizzazione dei beni di interesse artistico, storico e paesaggistico, ai sensi del T.U. dei Beni Culturali e Ambientali; d) Fondazione e associazioni riconosciute aventi per oggetto statutario lo svolgimento o la promozione della ricerca scientifica (individuate dal Ministero Istruzione U.R.). Concentreremo il nostro esame solo sulle prime due classi.

Non sono quindi toccate da questa riforma altre importanti realtà del settore non profit, cui rimangono applicabili le regole ordinarie di settore (es. associazioni sportive dilettantistiche, enti ecclesiastici non ramo ONLUS, ecc.). a) Onlus In questo ambito ricadono tutte le tipologie di ONLUS previste dal D. Lgs. 460/97: ordinarie iscritte presso le singole D.R.E. di diritto associazioni di volontariato iscritte nel Registro Regionale (*) o.n.g. riconosciute dal Ministero Affari Esteri cooperative sociali iscritte Albo Regionale consorzi al 100% di cooperative sociali parziarie settori ONLUS enti ecclesiastici (iscritte D.R.E.) settori ONLUS APS (iscritte D.R.E.) (*) Dal 29/11/2008, ex art. 30 del D.L. 185/2008, si tratta delle sole OdV che non esercitano attività commerciali ulteriori rispetto a quelle “marginali” previste dal D.M. 25/5/95.

b) A.P.S. Il fisco, con la C.M. 39/2005, ha precisato che si tratta: – delle APS iscritte nel Registro Nazionale,

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– dei relativi livelli di organizzazione territoriale – delle APS locali ad esse affiliate. Si noti come per le APS “locali” la C.M. 39/2005 non richieda l’iscrizione al Registro Regionale delle APS (ex L. 383/2000), ma solo l’affiliazione ad una Federazione Nazionale. Ne deriva che un’APS “locale” iscritta nel Registro Regionale ex L. 383/2000, ma non affiliata ad una federazione, non può godere del regime delle erogazioni liberali ex D.L. 35/2005. Si noti come la norma riguardi sia le ONLUS che le A.P.S.: anche in questo caso il complesso e pericoloso regime ONLUS si rivela sempre più solo un gravoso fardello di controlli fiscali.

10.3.6 Natura fiscale delle erogazioni L’erogazione costituisce un onere deducibile dal reddito complessivo e non più una detrazione in percentuale dall’imposta lorda, come è previsto dal D.LGS. 460/97 o dalla L. 383/2000, o un onere deducibile dal solo reddito d’impresa. Per le persone fisiche, siano essi privati o imprenditori, il risparmio d’imposta è quindi variabile in funzione della propria situazione reddituale, a partire dal 23% (prima aliquota IRPEF). Per le società di capitali e gli enti, commerciali e non commerciali, si tratta di onere deducibile ai fini IRES (27,5%) e IRAP (3,9%). Ai fini IRAP queste erogazioni liberali erano indeducibili fino al 31/12/2007; per le erogazioni effettuate dall’1/1/2008 esse sono: a) deducibili per le imprese in regime IRES (srl, spa, coop., enti commerciali, enti non commerciali per il ramo impresa); b) deducibili per imprese individuali in contabilità ordinaria che optino per la tassazione IRAP in base al bilancio; c) indeducibili per imprese individuali in contabilità semplificata. 10.3.7 Limiti del beneficio Il beneficio fiscale è ammesso nel minore dei due seguenti limiti: a) relativo: 10% del reddito complessivo b) assoluto: in ogni caso l’erogazione deducibile non può superare € 70.000,00=.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Valgano i seguenti esempi. A) Persona fisica con un reddito complessivo di € 50.000,00=. Esaminiamo due tipi di offerta: – erogazione di € 1.000,00=: completamente deducibile in quanto rientrante in entrambi i limiti; – erogazione di € 6.000,00=: deducibile per € 5.000,00= (10% del reddito) e indeducibile per € 1.000,00=. B) S.r.l. con un reddito complessivo di € 800.000,00=. Esaminiamo due tipi di offerta: – erogazione di € 50.000,00=: completamente deducibile in quanto rientrante in entrambi i limiti: – erogazione di € 80.000,00=: deducibile per € 70.000,00= (limite massimo assoluto) e indeducibile per € 10.000,00=.

Per quanto riguarda le imprese vi sono due aspetti da precisare: a) la diversa formulazione dell’art. 14 del D.L.35/2005 rispetto al D.LGS. 460/97 comporta che, in caso di reddito negativo, questo nuovo tipo di erogazione liberale non potrà essere dedotta; b) in mancanza di esplicita deroga il valore dei beni donati dovrà essere assunto al valore normale (cioè al prezzo di vendita) e non al costo di produzione, come avviene per le erogazioni ex D.LGS. 460/97 (così si esprime anche il fisco con la C.M. 39/2005). Tale valore deve essere documentato con listini o, per i beni di maggior pregio, con perizie di stima. Per quest’ultimo aspetto si potrebbe sostenere che alle sole ONLUS e relativamente alla sola donazione di beni merce (e non di beni strumentali) sia applicabile per analogia la regola della valutazione al costo di produzione prevista dal D. LGS. 460/97, anche se non espressamente richiamata, in quanto norma generale del regime ONLUS. Questa interpretazione estensiva è invece esclusa per le offerte alle A.P.S. in quanto nulla è previsto dalla L. 383/2000. Sul punto sarebbe opportuno un più meditato parere del fisco.

10.3.8 Alternatività Per le imprese l’art. 14, comma 3, del D.L. 35/2005, prevede espressamente che, per le erogazioni liberali alle ONLUS e alle A.P.S., sia possibile scegliere in alternativa il vecchio regime previsto dal D.LGS. 460/97 e dalla L. 383/2000, oggi trasfuso nell’art. 100, comma 2, lett. H) e L) del T.U.I.R..

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La norma impone quindi alle imprese di scegliere quale tipo di bonus fiscale si vuole applicare a questo tipo di erogazione liberale. Ciò dovrà risultare anche dai documenti relativi all’offerta. Occorre fare attenzione al fatto che il fisco, con la C.M. 39/2005, ritiene che tale scelta debba essere obbligatoriamente effettuata dal soggetto d’imposta per tutte le donazioni alle ONLUS e alle A.P.S. effettuate nel corso dello stesso periodo d’imposta. In ogni caso tale possibilità di scelta vige anche per le erogazioni effettuate da persone fisiche, in quanto il D.L. 35/2005 non ha abrogato le altre norme. Anche in questo caso nei documenti sarà necessario inserire il riferimento di legge scelto per la singola donazione. Per le persone fisiche la C.M. 39/2005 non prevede espressamente l’obbligo di effettuare una scelta unitaria per l’intero periodo d’imposta per tutte le erogazioni effettuate alle ONLUS e alle A.P.S.: per prudenza sarà opportuno attenersi a tale regola. 10.3.9 Divieto di cumulo L’art. 14, comma 6, prevede che per le erogazioni fatte in base al nuovo regime, sia per i soggetti privati che per le imprese, “la deducibilità … non può cumularsi con ogni altra agevolazione fiscale prevista a titolo di deduzione o di detrazione di imposta da altre disposizioni di legge”. Il fisco con la C.M. 39/2005 ha chiarito che si tratta del divieto di effettuare il cumulo con altre agevolazioni fiscali previste per le erogazioni liberali a favore delle ONLUS e delle A.P.S.. Riprendendo l’esempio sopra indicato della persona fisica che eroga € 6.000,00=, la quota di € 1.000,00= non deducibile in base al nuovo regime non può formare oggetto di detrazione 19% dall’IRPEF in base al D.LGS. 460/97.

Il fisco ha chiarito che le donazioni di merci ex art. 13 D. Lgs. 460/97 non fanno cumulo con le donazioni in denaro ex art. 14 D.L. 35/2005 (ris. 180 del 27/12/2005): da ciò deriva che le ONLUS, nei confronti delle imprese, hanno più vantaggi a seguire due strade diverse per le donazioni di merci e di denaro, come dal seguente schema:

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REGOLE OPERATIVE ONLUS / IMPRESE (RIS. 180/2005) DONAZIONI DI Art. 13 D. Lgs. • Derrate alimentari NO LIMITI DI MERCI 460/97 • Prodotti farmaceu- VALORE tici Altre merci non di Costo specifico lusso ≤ 5% reddito d’impresa DONAZIONI DI Art. 100 TUIR DENARO Art. 14 D.L. 35/2005

2% reddito d’impresa o € 2.065,83 • 10% reddito complessivo max € 70.000 • Contabilità ordinaria

10.3.10 Decadenza delle agevolazioni: a) obblighi contabili del beneficiario Il nuovo regime prevede obblighi più stringenti per gli enti beneficiari, a tutela della fede pubblica. Gli obblighi riguardano aspetti formali, quali la contabilità, e aspetti sostanziali, quali l’effettività delle attività sociali e solidaristiche che sono alla base della sollecitazione delle offerte presso il pubblico. Si tratta di obblighi per i quali i donatori non hanno, di fatto, alcun potere di controllo e per i quali, viceversa, possono essere chiamati a rimborsare l’imposta e a pagare pesanti sanzioni. Sotto il primo profilo l’art. 14, comma 2, prevede che l’ente beneficiario debba: – tenere “scritture contabili atte a rappresentare con completezza e analiticità le operazioni poste in essere nel periodo di gestione”; – redigere “entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio … un apposito documento che rappresenti adeguatamente la situazione patrimoniale, economica e finanziaria.”. In sostanza la norma richiede agli enti di dotarsi di una contabilità in partita doppia e di un bilancio completo di stato patrimoniale e di conto economico. Si tratta di una novità importante, specie per le ONLUS minori e per le associazioni di volontariato: per godere del nuovo regime questi enti debbono obbligatoriamente tenere la partita doppia e redigere il bilancio completo, non es224


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sendo più sufficiente tenere un registro di entrate ed uscite e presentare un rendiconto semplificato di entrate ed uscite. Questo obbligo potrebbe comportare, di fatto, l’esclusione dal nuovo regime di molte associazioni di volontariato che non sono in grado di tenere la contabilità ordinaria e di redigere il corrispondente bilancio d’esercizio. Si noti come il D.L. 35/2005 si ponga, tecnicamente, come norma speciale, che prevale sulle norme del D.LGS. 460/97, per cui non è possibile derogare a tali nuovi obblighi invocando l’applicazione del “regime di miglior favore” previsto dall’art. 10, comma 8, del D.LGS. 460/97 (sostanzialmente il rendiconto di entrate ed uscite previsto dalla L. 266/91).

10.3.11 Segue: b) effettività del beneficio sociale L’altro vincolo, di nuova istituzione nel sistema degli enti non profit, prevede la decadenza dell’agevolazione fiscale se viene “riscontrata insussistenza, in capo all’ente beneficiario … dei caratteri solidaristici e sociali dichiarati in comunicazioni rivolte al pubblico ovvero rappresentati ai soggetti erogatori..”. La norma è di difficile comprensione. In primo luogo occorre considerare che gli enti beneficiari sono le ONLUS e le A.P.S. nazionali o ad esse affiliate, cioè soggetti iscritti in albi tenuti da pubbliche amministrazioni, sulla base di un procedimento di valutazione dei requisiti formali e sostanziali previste dalle singole leggi istitutive (D. LGS. 460/97, L. 266/91, L. 381/1991, L. 303/2000). A tali pubbliche autorità compete anche il compito della cancellazione degli enti, nel caso questi perdano i requisiti formali e sostanziali previsti dalle singole leggi. È chiaro che il nuovo regime sia applicabile alle offerte effettuate ad enti in costanza della loro iscrizione nei predetti albi e che, a contrario, esso cessi di applicarsi dal momento della uscita degli enti, volontaria o coatta, dagli stessi albi. La norma quindi potrebbe essere considerata solo come una esplicitazione di una possibile causa di decadenza dai rispettivi albi, già prevista in generale dalle singole leggi di settore, e riscontrata dagli uffici fiscali in sede di controllo della sollecitazione di offerte a privati o al pubblico in generale. Tale norma va coordinata con il D.L. 185/2008, che consente al fisco di togliere alle OdV la qualifica di ONLUS di diritto, in caso di esercizio di attività commerciali diverse da quelle “marginali”: quali sono le conseguente in capo ai donatori?

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10.3.12 Segue: c) le sanzioni In caso di indebite deduzioni dal reddito il D.L. 35/2005 prevede un aumento delle ordinarie sanzioni fiscali. La C.M. 39/2005 ha cercato di attenuare questa norma, con un’interpretazione di favore. a) Mancanza della qualifica di ONLUS o di A.P.S. Se l’ente beneficiario non riveste tali qualifiche l’erogazione viene recuperata a tassazione, con l’applicazione a carico del donante della sanzione ordinaria (variabile dal 100% al 200% dell’imposta dovuta), maggiorata del 200%. Esempio: offerta da persona fisica di € 1.000,00= completamente deducibile dal reddito complessivo, risparmio IRPEF (presunto)del 23% pari a € 230,00=. In sede di rettifica della dichiarazione dei redditi il fisco opera i seguenti conteggi: – recupero dell’imposta € 230,00=, – più sanzione ordinaria da € 230,00= a € 460,00= – più maggiorazione della sanzione ex D.L. 35/2005 da € 460,00= a € 920.00=.

Alla persona che ha millantato la qualifica di ONLUS si dovrebbe applicare inoltre la specifica sanzione prevista dall’art. 28, comma 1 lett. C), del D. LGS. 460/97, variabile da € 309,87= a € 3.098,74=. Il donante può sempre attivare una causa civile nei confronti del beneficiario per ottenere il risarcimento del danno patito. b) Superamento dei limiti di valore La C.M. 39/2005 ritiene applicabile la maggiorazione della ordinaria sanzione anche nel caso in cui il donante porti in deduzione dal reddito importi superiori a quelli consentiti (minore tra il 10% del reddito complessivo e € 70.000,00=). c) Mancanza di contabilità e di bilancio in capo al beneficiario In questo caso la C.M. 39/2005 ritiene che l’erogazione non sia deducibile dal reddito del donante, con l’applicazione della sanzione ordinaria, ma che non trovi applicazione la maggiorazione del 200% prevista dal D.L. 35/2005. Tale interpretazione è di favore, in quanto la non felice formulazione della legge farebbe propendere per l’interpretazione più restrittiva.

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d) Mancanza di effettività sociale dell’attività del beneficiario In questo caso la norma (comma 5) prevede che “l’ente beneficiario e i suoi amministratori sono obbligati in solido con i soggetti erogatori per le maggiori imposte accertate e per le sanzioni applicate.”. In primo luogo la norma sembra rendere applicabile anche in questo caso la maggiorazione del 200% della sanzione, previsto al comma 4. In secondo luogo l’ente beneficiario e i suoi amministratori rispondono sia dell’imposta che delle sanzioni, in solido con il donante. Rispetto al D.LGS. 460/97 vi è la novità di essere chiamati a pagare anche l’imposta e non più solo le sanzioni. Come detto sopra la norma potrà trovare applicazione in caso di cancellazione della ONLUS o della A.P.S. dai rispettivi Registri.

10.3.13 Epilogo: i “donatori coraggiosi” Il nuovo regime si presenta particolarmente insidioso per i donatori, soggetti a compiti di controllo e selezione notevoli senza che abbiano, di fatto, molte fonti di riscontro. In primo luogo la natura di ONLUS o di A.P.S. dovrà essere autocertificata dagli enti beneficiari, sapendo che non tutti i Registri sono accessibili dai privati. Ad esempio per le ONLUS ordinarie la D.R.E. non è tenuta a rilasciare alcuna certificazione.

In secondo luogo i donatori dovrebbero sapere se l’ente beneficiario tiene o meno la contabilità in partita doppia e se ha redatto il bilancio completo. Anche in questo caso si procederà per autocertificazione. Si tenga conto che i bilanci delle ONLUS, ad eccezione delle cooperative sociali, non sono depositati presso alcun ufficio pubblico e, quindi, non sono disponibili per la consultazione.

In terzo luogo la corrispondenza tra finalità enunciata e destinazione effettiva dei fondi raccolti non è assolutamente verificabile dai donatori, in quanto si tratta di atti di gestione interna dei singoli enti. Si nota, ancora una volta, come il settore non profit debba conquistarsi le agevolazioni in tempi e modi “garibaldini”, al di fuori di una logica di sistema,

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aumentando il caos normativo che ormai lo avvolge. Per questo motivo occorre che i donatori del non profit siano tanti, ma soprattutto che siano sempre più “coraggiosi”. 10.4 I contributi alle ONLUS per l’acquisto di ambulanze Come è noto per vari anni il fisco ha consentito alle OdV di acquistare ambulanze e mezzi di soccorso senza l’applicazione dell’IVA. Si trattava dell’interpretazione (errata ma) “promozionale” dell’art. 8 della L. 266/91. Il fisco ha in seguito ritirato questa interpretazione di favore, per cui l’agevolazione è stata disciplinata per legge (art. 96 della L. 342/2000 a valere dal 2001), con la creazione di un fondo nazionale presso il Ministero delle Politiche Sociali, in grado di erogare contributi a OdV e ONLUS per l’acquisto di due tipi di beni: a) Autoambulanze; b) altri beni strumentali utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di utilità sociale, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni. Si tratta, in sostanza, di un bando nazionale che eroga un contributo in conto capitale ad acquisto già avvenuto, previa presentazione di una domanda e di una serie di documenti. Per ovviare alla complessità di tale procedura e per evitare l’esborso anticipato di ingenti somme, con l’art. 20 del D.L. 269/2003 è stato introdotta la possibilità di godere di tale contributo in via immediata, tramite il meccanismo del credito d’imposta applicato direttamente dal rivenditore. Questa seconda procedura riguarda però solo l’acquisto di autoambulanze e di una sola specie di beni mobili: beni mobili iscritti in pubblici registri destinati ad attività antincendio da parte dei vigili del fuoco volontari. Ne restano fuori, ad esempio, i pulmini per disabili, che debbono seguire la procedura ordinaria.

Il credito d’imposta è pari al 20% del prezzo di vendita e, di fatto, coincide con l’importo dell’IVA (v. C.M. 28/E del 21/6/2004). Il venditore recupera tale credito d’imposta utilizzandolo in compensazione con gli altri tributi relativi alla sua attività (es. IVA, ritenute, ecc.), riportando sul modello F24 il codice 6769, sezione “erario”, indicando l’anno in cui effettua la compensazione.

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10.5 Le donazioni di libri e computer Per questo tipo di donazione le ONLUS e le OdV non possono essere destinatarie dirette della donazione, ben potendo però organizzare tutta la pratica a vantaggio dei soggetti disagiati verso i quali opera. Le regole fiscali sono le seguenti (D.M. 25/5/2001 n. 264): Donatori Beni donabili

Caratteri dei beni

Beneficiari

Regime fiscale per il donante

Documentazione

– Imprese – Lavoratori autonomi con P.IVA – Prodotti editoriali (libri e riviste, con esclusione dei prodotti discografici e cinematografici) – Dotazioni informatiche (hw e sw) – Non più inseriti in distribuzione – Con difetti e vizi di produzione che li rendono non idonei alla commercializzazione – Tecnicamente obsoleti e non più adeguati alle esigenze del donatore – Enti locali – Istituti di prevenzione e pena – Istituzioni scolastiche – Orfanotrofi – Enti religiosi – Ai fini delle imposte sui redditi la donazione non costituisce ricavo o plusvalenza imponibile – Ai fini IVA i beni si intendono distrutti (non occorre emissione di fattura) Emissione di D.D.T. con indicazione dei prodotti, del destinatario e degli estremi del D.M. 264/2001.

10.6 Le donazioni alle ONLUS per le calamità naturali L’art. 27 della L. 133/1999 ha previsto che le imprese (non i privati) possano dedurre dal reddito “le erogazioni liberali in denaro effettuate in favore delle popolazioni colpite da eventi di calamità pubblica o da altri eventi straordinari anche se avvenuti in altri Stati, per il tramite di fondazioni, di associazioni, di comitati o di enti.”. 229


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Il D.P.C.M. 20/6/2000 ha previsto che gli enti che possono ricevere tali erogazioni sono: a) le ONLUS b) le organizzazioni internazionali di cui l’Italia è membro c) fondazioni, associazioni, comitati ed enti che hanno come scopo statutario interventi umanitari in favore di popolazioni colpite da calamità pubbliche o altri eventi straordinari d) amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali, enti pubblici non economici e) associazioni sindacali e di categoria. La norma non pone limiti di valore a tali erogazioni liberali, che sono pertanto totalmente deducibili dal reddito d’impresa. Le erogazioni possono avvenire anche in natura, con cessione di beni: in questo caso la L. 133/199 prevede che ai fini delle imposte sui redditi tali cessioni non siano imponibili. Ai fini IVA si tratta di cessioni esenti ex art. 10, n. 13, D.P.R. 633/72. 10.7 Le donazioni alle associazioni di promozione sociale La L. 383/2000 ha previsto un regime fiscale agevolato per le offerte erogate alle APS, che è diventato attivo nel corso del 2002 con l’istituzione dei Registri Nazionale e regionali. Le persone fisiche, gli enti non commerciali e gli enti non residenti possono donare alle APS fino ad un massimo di € 2.065,83= per anno, sempre tramite movimento bancario o postale. Il risparmio IRPEF (o IRES) è pari al 19% di quanto versato. I soggetti titolari di reddito d’impresa (ditte individuali, società di persone, società di capitali, enti non commerciali per il settore imprenditoriale) possono versare fino a € 1.549,37= o, se superiore, fino al 2% del reddito d’impresa dichiarato. Tali offerte non sono deducibili ai fini IRAP. 10.8 Le erogazioni liberali delle imprese: art. 100, 2° comma, lett. M, TUIR per la cultura e lo spettacolo 10.8.1 In generale La L. 342/2000 ha inserito nelle norme del TUIR relative al reddito d’impresa una nuova ipotesi di erogazione liberale deducibile per il settore della cultura e dello spettacolo che, a differenza delle precedenti, non ha alcun vincolo 230


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di cifra, sia in valore assoluto che in percentuale del reddito dichiarato. Per limitare la perdita di gettito la L. 342/2000 ed il D.M. di attuazione hanno previsto un limite complessivo, riferito all’insieme delle donazioni fatte nel corso del periodo d’imposta da tutte le aziende. 10.8.2 Il percorso In sostanza il meccanismo funziona nel seguente modo: 1. l’azienda ALFA s.p.a. si accorda con l’ente BETA, avente i requisiti previsti dalla legge (v. sotto) ed operante nei settori della cultura e dello spettacolo (questa scelta è libera); 2. l’azienda ALFA versa all’ente BETA la cifra che vuole (ad es. € 1.000.000,00=) 3. l’azienda ALFA può detrarre € 1.000.000,00= dal proprio reddito imponibile fiscale, risparmiando l’IRES pari a € 275.000,00= 4. l’ente BETA deve impiegare tale somma per gli scopi ammessi (cioè attività nei settori della cultura e dello spettacolo) 5. sia l’azienda ALFA spa che l’ente BETA danno comunicazione della donazione al Ministero dei Beni Culturali (entro il 31/1 dell’anno successivo), che ha compiti di vigilanza. Fino qui tutto bene, poi viene l’inghippo. Entro il 31/3 dell’anno successivo il Ministero dei Beni Culturali deve operare la somma di tutte le donazioni fatte nel periodo d’imposta in Italia e verificare che esse non superino il budget stanziato. Si possono verificare due ipotesi: a) l’insieme delle donazioni non supera il limite, per cui non si pongono problemi; b) l’insieme delle donazioni supera il limite, per cui occorre che gli enti beneficiari (e non le aziende) versino allo Stato il 27,5% della somma eccedente. 10.8.3 Un esempio Per capire meglio questo meccanismo facciamo un esempio numerico: a) donazioni totali nel periodo d’imposta € 200.000.000,00 b) donazioni ammesse € 139.443.362,75 c) donazioni eccedenti (a-b) € 60.556.637,25 Le donazioni eccedenti sono pari a (60/139 =) 43% del totale delle donazioni ammesse. 231


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

La norma prevede che l’insieme degli enti beneficiari deve restituire allo Stato le imposte maturate su € 60.556.637,25=, pari al 27,5% per € 16.653,08=. Per determinare la somma dovuta da ogni singolo ente beneficiario di queste donazioni il Ministero dei Beni Culturali applicherà la percentuale di eccedenza (43% nel nostro esempio) ad ogni ente, notificandogli anche l’imposta da pagare. Nel nostro esempio di prima l’ente BETA aveva ricevuto una donazione di € 1.000.000,00= per cui il Ministero dei B.C. potrà chiedere di versare questa somma: 1.000.000,00 x 43% = 430.000,00 donazione non agevolata 430.000,00 x 27,5% = 118.250,00 imposta da versare. In sostanza l’ente BETA ha goduto di una donazione effettiva pari alla differenza tra € 1.000.000,00= e € 118.250,00=, per un netto di € 8881.750=. 10.8.4 Le storture Dall’esempio fatto è evidente il rischio a carico degli enti beneficiari di essere chiamati, a distanza di uno o più anni, a versare un’imposta su cifre non più disponibili, perché (per legge!) integralmente spese per i progetti culturali o dello spettacolo. Si tratta di un debito “ombra” di cui gli enti beneficiari non possono nemmeno conoscere l’importo approssimativo, in quanto dipendente da variabili fuori del loro controllo. Per questo motivo il meccanismo della legge verrà sicuramente cambiato. In sostanza il Ministero invece di stanziare dei fondi direttamente a carico del bilancio dello Stato ha dato agli enti operanti nei settori della cultura e dello spettacolo (anche) la facoltà di cercare in via autonoma delle aziende sponsor, prevedendo però un regime fiscale macchinoso che darà dei problemi. 10.8.5 I rapporti con le altre agevolazioni La L. 342/2000 ha inserito un nuovo tipo di erogazione liberale per le aziende che si aggiunge a quelle già previste dallo stesso art. 100 del TUIR o da norme ad esso ricollegabile. Resta pertanto inalterato il regime previsto per le erogazioni liberali a favore delle ONLUS (e le OdV iscritte sono ONLUS di diritto) o a favore delle associazioni di promozione sociale, o a favore della associazioni sportive dilettantistiche. La L. 342/2000 non pone nemmeno vincoli di alternatività tra queste ipotesi. D’altro canto la L.342/2000 non riguarda i soggetti diversi dalle aziende, come 232


FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

i privati e gli enti morali, per cui per loro rimangono valide le regole previste per la deducibilità delle offerte alle ONLUS. 10.8.6 Soggetti ammessi Possono accedere a questo sistema i seguenti soggetti privati (escludiamo i soggetti pubblici in quanto non rilevanti): a) enti con personalità giuridica privata che abbiano ricevuto almeno in uno degli ultimi 5 anni antecedenti all’anno di riferimento delle donazioni contributi dal FUS (Fondo Unico Spettacolo) b) enti con personalità giuridica privata che abbiano ricevuto almeno in uno degli ultimi cinque anni antecedenti all’anno di riferimento delle donazioni contributi ex L. 17/10/96 n. 534 (sulle attività culturali) c) enti con personalità giuridica privata che abbiano ricevuto almeno in uno degli ultimi cinque anni antecedenti all’anno di riferimento delle donazioni contributi previsti da leggi statali o regionali d) associazioni, fondazioni e consorzi che risultino costituiti tra enti con personalità giuridica di cui alle lettere a-b-c- (in sostanza enti di 2° grado) e) enti con personalità giuridica che sono titolari o gestori di musei, gallerie, pinacoteche, aree archeologiche o raccolte di beni culturali (vincolati alle Belle Arti ex D.LGS. 29/10/1999 n. 490), organizzate e aperte al pubblico per almeno 5 giorni alla settimana. In sostanza occorre che l’ente abbia la personalità giuridica (riconoscimento della Prefettura o della Regione) e che abbia avuto negli ultimi anni contributi dallo Stato o dalle Regioni o che gestisca i beni culturali previsti alla lettera E). I soldi trovati devono poi essere impiegati in attività nei settori della cultura e dello spettacolo, intendendo per tali: a) cultura tutte le attività di tutela, conservazione, promozione, gestione e valorizzazione dei beni e attività culturali (ex D.LGS. 31/3/98 n. 112, artt. 148 ss.; D.LGS. 29/10/99 n. 490; D.LGS. 20/10/1998 n. 368, art. 6, 2° comma); b) spettacolo le attività ex L. 30/4/85 n. 163; D.LGS. 31/3/1998 n. 112 art. 156.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

10.9 Le erogazioni liberali delle imprese: altre ipotesi per il settore culturale L’art. 100, 2° Comma, lettera F, del TUIR prevede la deducibilità per le imprese delle “erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute che, senza scopo di lucro, svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca e di documentazione di rilevante valore culturale e artistico, effettuate per l’acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell’articolo 1 della L. 1/6/39 n. 1089 e nel D.P.R. 30/9/63 n. 1409, ivi comprese le erogazioni effettuate per l’organizzazione di mostre e di esposizioni che siano di rilevante interesse scientifico o culturale, delle cose anzidette e per gli studi e le ricerche eventualmente a tal fine necessari.” Queste attività sono soggette al controllo preventivo e consuntivo del Ministero dei Beni Culturali. Analoga norma è prevista dall’art. 15, lett. H), per le persone fisiche (detrazione al 19%) e per gli enti non commerciali (art. 146). In sintesi: beneficiari

Attività

Limiti di Importo

– stato ed altri enti pubblici – fondazioni o associazioni con personalità giuridica non aventi scopo di lucro – acquisto, manutenzione, protezione, restauro dei beni culturali – mostre ed esposizioni Nessuno

10.10 Le agevolazioni per le raccolte fondi occasionali delle associazioni in genere L’art. 2 del D. Lgs. 460/97 ha previsto una apposita disciplina fiscale per taluni tipi di raccolta fondi, poi parzialmente trasfusa nell’art. 143 del TUIR: Soggetti Oggetto Requisiti raccolte

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– Enti non commerciali in genere – ONLUS Raccolte fondi pubbliche: – Occasionali


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Regime fiscale introiti

Vincoli

– In concomitanza di celebrazioni ricorrenze o campagne di sensibilizzazione – Esclusi dal reddito dell’ente – Fuori campo Iva – Esenti da ogni altro tributo Rendiconto separato

È consentito che, in tali occasioni, gli enti offrano ai sovventori: – dei beni di modico valore (le arance, le azalee, e simili); – e/o dei servizi (es. alimenti e bevande). Il concetto di modico valore non è stato mai chiarito. In via prudenziale si può fare riferimento al limite unitario di € 50,00= previsto per taluni tipi di spese di rappresentanza delle aziende.

La deroga è rilevante, in quanto prima del D. Lgs. 460/97 queste attività con scambio di beni o servizi potevano essere considerate oggettivamente commerciali e quindi imponibili, quanto meno ai fini delle II.DD.. Come visto sopra per le attività marginali delle OdV il fisco ha indicato che si tratta dell’estensione a tutti gli e.n.c. delle regole già previste dal D.M. 25/5/1995 per le OdV. Tuttavia si ricorda che la due norme non sono scritte nello stesso modo, per cui potrebbero ingenerarsi contestazioni da parte del fisco. Si pensi alla somministrazione di pasti (cioè l’attività del ristorante), oltre che alla somministrazione di alimenti e bevande (cioè l’attività del bar), in occasione della festa annuale del sodalizio (o altra ricorrenza): in base alle regole del D.M. 25/5/95 si tratta senz’altro di attività di raccolta fondi detassata per un’OdV, mentre potrebbe essere contestata ad associazioni non di volontariato coperte solo dall’art. 143 TUIR. Questo perché il fisco potrebbe sostenere che l’art. 143 faccia riferimento solo ad uno scambio “ineguale” tra valore dell’offerta ricevuta e bene o servizio prestato.

Si può altresì ritenere che la raccolta fondi, anche se occasionale, si possa svolgere su più giornate. In ogni caso sarà bene che l’associazione organizzatrice autoqualifichi questa attività sempre come raccolta fondi occasionale. A fronte di tale agevolazione l’art. 20, 2° comma, del D.P.R. 600/73, impone l’obbligo di “redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto... dal quale devono risultare, anche a mezzo di una

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione...”. Il rendiconto deve essere tenuto agli atti fino a quando non siano scaduti i termini per gli accertamenti fiscali (in genere 5 anni salvo proroghe). Si noti che in caso di effettuazione di due o più raccolte occasionali nel corso di un esercizio sociale occorrerà predisporre altrettanti rendiconti separati.

Questi prospetti non vanno bollati. Come detto per l’OdV si può sostenere che tale obbligo non sussista, nei limiti del D.M. 25/5/95: a scanso di contestazioni sarà utile prepararlo lo stesso. Questo rendiconto parziale si aggiunge al rendiconto generale dell’associazione, che comunque riporterà anche le entrate e le uscite (e non il solo utile) di queste attività occasionali. Questo tipo di attività potrebbe avvenire anche tramite l’organizzazione di lotterie, pesche di beneficenza e tombole, sempre in via occasionale e in concomitanza con celebrazioni e simili. Per questi ultimi casi l’art. 24 del D.LGS. 460/97 ha infatti espressamente inserito le ONLUS tra gli enti morali cui possono essere rilasciate le relative autorizzazioni da parte del Comune, a cui occorre rivolgersi per istruire la pratica. Si ricorda, altresì, che per gli intrattenimenti occasionali gli enti non commerciali in genere e le ONLUS possono richiedere all’agenzia SIAE competente per territorio l’esenzione da imposta sugli intrattenimenti ex art. 23 del D. LGS. 460/97. Gli spettacoli organizzati dalle OdV iscritte nel Registro Regionale sono inoltre escluse da IVA ex art. 8 L. 266/91 (di ciò va fatta specifica richiesta all’agenzia SIAE). Si sottolinea che questi adempimenti vanno effettuati a prescindere dall’entità dei fondi raccolti, in quanto la legge non prevede semplificazioni in funzione della cifra ricavata. Si tenga conto che per i tributi locali l’eventuale esenzione va ricercata nei regolamenti comunali (occupazione suolo pubblico, affissioni). Nessuna norma prevede una espressa approvazione di tali rendiconti separati da parte dell’assemblea dei soci. Si ritiene comunque opportuno, a scarico di responsabilità degli amministratori, citare tali rendiconti nel verbale dell’assemblea e di farli constare come visti e approvati dai soci. I casi più comuni di raccolte pubbliche occasionali di fondi sono i seguenti: – raccolta davanti ai cimiteri per le ricorrenze dei defunti;

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– raccolte sulla pubblica via in occasione delle varie giornate di sensibilizzazione sui temi specifici di ogni associazione, con offerta di doni (arance della ricerca, bonsai del cancro e simili), di servizi (alimenti o bevande) o anche senza offerta di doni: – raccolte effettuate dai Centri Sociali con vendita di torte, ricami e simili in occasione di feste paesane: – festa del patrono o festa del volontariato locale. Per le sole associazioni sportive dilettantistiche operanti in regime forfetario ex L. 398/91, il regime delle raccolte fondi è soggetto a due vincoli ulteriori: • non oltre 2 manifestazioni per anno; • limite di introiti di € 51.645,69=. Gli introiti derivanti dalla terza manifestazione o quelli eccedenti il limite, sono soggetti alle imposte ordinarie, sempre nell’ambito del regime forfetario ex L. 398/91.

Il fisco ha espresso alcuni importanti chiarimenti in merito alle raccolte fondi occasionali, così sintetizzabili: Agenzia Entrate (Circ. 59/2007) per raccolte fondi occasionali: RENDICONTO

Obbligatorio Per singola raccolta Con relazione illustrativa COSTI RACCOLTA Amministrativi e specifici Limiti ragionevoli DESTINAZIONE FONDI Progetti specifici No autofinanziamento generico DESTINAZIONE FONDI Solo se a favore accreditata istituzione ESTERO Opera all’estero – direttamente – Indirettamente Comunicazione preventiva – piano raccolta fondi – modalità erogazione SANZIONI PER Raccolta con cessioni di beni modico valore e servizi: INADEMPIMENTO SI -> recupero a tassazione NO –> nessuna differenza

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Particolare attenzione va quindi posta alle raccolte di fondi destinate ad enti benefici operanti all’estero. 10.11 L’1% del fatturato Esistono vari tipi di raccolte di fondi non regolate dalla legge. A titolo di esempio esaminiamo un caso effettivamente realizzato di “cause related marketing”, che rimane a cavallo tra il tipo “di transazione” e di “joint fund rasing”. Lo schema è il seguente: a) un imprenditore (supermercato) aderisce ad un progetto umanitario di una ONLUS e si impegna a devolvere a tale fine l’1% dell’incasso; b) la ONLUS riceve tale denaro e lo versa ad un altro e.n.p. (in Italia o all’estero, ad esempio un missionario) che realizzerà il progetto. Se l’impresa versa alla ONLUS il valore dell’1% del fatturato si tratterebbe di erogazioni liberali, in quanto manca qualunque controprestazione pubblicitaria, deducibile nei limiti visti nei capitoli precedenti. Inoltre tale 1% comprende anche una quota di IVA sugli incassi. Per ovviare a questo fatto lo schema dell’operazione è stato volutamente complicato per sostenere che si tratta di una donazione effettuata dai clienti (privati cittadini) per il tramite tecnico del supermercato. Lo schema è quindi diventato il seguente: • il supermercato stampa opuscoli, manifesti e altri supporti per pubblicizzare l’iniziativa; • i clienti sottoscrivono un coupon di adesione al progetto; • il supermercato riconosce uno sconto incondizionato dell’1%; • i clienti versano alla cassa insieme al prezzo scontato della merce anche l’importo dello sconto incondizionato (cioè pagano il prezzo normale dei prodotti); • il supermercato evidenzia in modo separato e con apposita dicitura (es. progetto PINCO PALLO) sullo scontrino fiscale l’importo di tale sconto incondizionato; • il supermercato versa l’importo raccolto sul c/c dell’ONLUS promotore dell’iniziativa; • l’ONLUS versa la somma raccolta all’altro e.n.p. (es. il missionario) che deve realizzare il progetto. Il fisco ha riconosciuto, anche se con fatica (R.M. 29/7/99 n. 127/E, R.M. 22/7/1998 n. 82/E, R.M. 3/5/95 n. 110/E), che l’impresa può contabilizzare i propri rica238


FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

vi e l’IVA al netto dello sconto incondizionato 1% praticato ai clienti. Viene quindi superato il danno in termini di IVA e la somma versata viene completamente detassata ai fini IRES e IRAP, superando tutti i vincoli delle normali erogazioni liberali. Il fisco ha altresì ammesso che le somme non sono imponibili a carico degli e.n.p. beneficiari in quanto questi non prestano alcun tipo di servizio di natura “commerciale”. 10.12 Altre forme di raccolta fondi 10.12.1 In generale La fantasia delle associazioni può trovare vari modi per raccogliere fondi, sia per la singola organizzazione che per raggruppamenti di esse. Forse proprio l’unione di più OdV potrebbe consentire di organizzare raccolte fondi di più ampio respiro, sfruttando la forza del numero dei volontari e dei simpatizzanti. Si ricorda la possibilità di chiedere il pagamento di 1 ora di lavoro ai dipendenti di aziende private e/o amministrazioni pubbliche, eventualmente associandola alla detrazione fiscale del 19% vista sopra (c.d. salary program). Si pensi alla possibilità di concordare con una banca di livello almeno regionale l’uso di una speciale carta di credito o carta ricaricabile con devoluzione di una quota delle spese effettuate. Ancora: i Frati Francescani di Assisi nonché alcune Banche di Credito Cooperativo hanno lanciato i titoli “etici”, con i quali gli investitori destinano una parte del rendimento per lo scopo umanitario appositamente reclamizzato. Le principali associazioni di livello nazionale usano da anni il direct mail, per la raccolta di fondi, con tassi di risposta nei limiti standard del 3% circa. 10.12.2 Gli sms solidali Negli ultimi anni si è diffusa la prassi per le associazioni di raccogliere denaro presso il pubblico tramite il sistema degli “sms solidali”. In sostanza il sistema è il seguente: a) l’associazione stipula un contratto con il gestore telefonico per attivare un numero dedicato a tale servizio, concordando la cifra da donare per ogni contatto; il gestore telefonico si impegna ad effettuare tale servizio gratuitamente o a pagamento; 239


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

b) l’associazione sollecita il pubblico ad inviare il sms con avvisi pubblicitari o altri sistemi; c) il cittadino invia il sms, pagando la cifra prevista (sulla bolletta o sulla scheda); d) il gestore telefonico retrocede la somma all’associazione, secondo gli accordi contrattuali. Lo schema incontrava alcuni problemi di tipo fiscale, sia per la natura in sé dell’operazione che per gli adempimenti fiscali in capo al gestore telefonico. Tali problemi sono stati risolti grazie all’art. 10 del D.L. 30/12/2004 n. 315 e ad un parere dell’Agenzia delle Entrate (ris. 12/8/2005 n. 124). In sostanza il fisco ha chiarito i seguenti punti: a) l’accordo tra l’associazione ed il gestore telefonico deve comprendere anche il “mandato con rappresentanza” a quest’ultimo di riscuotere il denaro proveniente dagli “sms solidali”; b) il gestore è un semplice tramite tecnico, in quanto il rapporto giuridico si instaura direttamente tra il cittadino che dona e l’associazione beneficiaria; c) se il gestore telefonico effettua una prestazione gratuita essa non va fatturata ai fini IVA, in quanto di importo unitario inferiore al limite di € 25,82= (in caso invece di prestazione a pagamento il gestore deve emettere fattura a carico della associazione beneficiaria). 10.12.3 Eredità, legati e donazioni Le OdV e gli enti non profit in genere possono ricevere beni da persone fisiche a titolo gratuito: a causa di morte Per atto tra vivi

– Eredità – Legato Donazione

a) Mortis causa Le persone fisiche possono redigere testamento e lasciare alle associazioni: • eredità: comprende l’universalità dei propri beni, sia integralmente che come quota pro indiviso con altri soggetti; • legati: comprende particolari beni o diritti, puntualmente indicati, sia in-

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FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

tegralmente che come quota pro indiviso con altri soggetti. L’eredità devoluta all’OdV deve essere accettata con beneficio di inventario (art. 473 ss. C.C.), per evitare che essa sia “passiva”, nel senso che contenga debiti eccedenti il valore dei beni o diritti trasferiti. In sintesi: • l’accettazione si effettua con una dichiarazione resa al notaio o al Cancelliere del Tribunale; • viene redatto un inventario delle attività e passività contenute nell’eredità; • l’ente può accettare definitivamente l’eredità o rinunziarvi in seguito.

Il legato non prevede una accettazione (art. 649 C.C.). Sia l’eredità che il legato possono essere gravate da un onere (art. 647 C.C.), cioè dal vincolo ad adempiere un particolare obbligo economico o morale. Nel legato l’onere non può eccedere il valore dei beni o diritti ricevuti (art. 671 C.C.), mentre nell’eredità tale limitazione di valore non esiste. Ad esempio il testamento può prevedere che l’erede o il legatario sia obbligato: • ad istituire borse di studio di un certo importo, per un periodo determinato o meno, a favore di soggetti più o meno identificati; • a garantire un vitalizio di un certo importo ad una persona determinata.

In presenza di familiari ogni persona può devolvere alle OdV solo la quota “disponibile” del proprio patrimonio, pena l’impugnazione del testamento da parte degli altri aventi diritto, secondo il seguente schema: FAMILIARI SUPERSTITI QUOTA PATRIMONIO DISPONIBILE Coniuge + 1 figlio Un terzo Coniuge + 2 o più figli Un quarto Coniuge senza figli ma con ascendenti Un quarto Coniuge senza figli e senza ascendenti Un mezzo Senza coniuge e 1 figlio Un mezzo Senza coniuge e 2 o più figli Un terzo Solo ascendenti (no coniuge no figli) Due terzi Solo fratelli (non coniuge no figli no ascendenti) Intero

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Il testamento può essere redatto con due modalità: • olografo: scritto interamente a mano (senza mezzi meccanici) dalla persona, datato e firmato; • pubblico: redatto dal notaio. Il testamento olografo, dopo la morte del soggetto, deve essere portato ad un notaio per la “pubblicazione”, da parte di chi ne ha interesse.

b) Donazioni Le persone fisiche possono donare particolari beni o diritti alle associazioni, tramite un atto redatto dal notaio (art. 769 C.C.). Anche le donazioni possono essere gravate da un onere (art. 793 C.C.), che non può eccedere il valore dei beni o diritti donati. c) Aspetti fiscali Le eredità, i legati e le donazioni fatte a favore degli enti non profit sono soggette, in via generale, all’imposta sulle successioni e donazioni, pari all’8% del valore netto, senza franchigia. Gli immobili sono soggetti anche alle imposte ipotecarie e catastali, pari al 3%. Le OdV e le ONLUS godono dell’esenzione totale da tali imposte. Sono altresì esenti da imposta le successioni e donazioni a favore di: • fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che hanno scopo esclusivo di assistenza, studio, ricerca, istruzione; • cooperative sociali; • fondazioni bancarie. Le APS e le a.s.d., in quanto tali, non godono di tale esenzione.

10.13 Lotterie, tombole e pesche di beneficenza Con il D.P.R. 26/10/2001 n. 430, entrato in vigore dal 12/4/2002, sono state riviste le regole per l’organizzazione delle manifestazioni a sorte locali (lotterie, tombole e pesche di beneficenza) di cui si presenta una breve sintesi. a) Soggetti promotori – Enti morali, associazioni, comitati senza fini di lucro aventi scopi assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi; – ONLUS. 242


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b) Tipologie • Lotterie: effettuata con la vendita di biglietti staccati da registri a matrice, con premi legati alle modalità di estrazione • Tombole: effettuata con cartelle portanti dei numeri (tipicamente da 1 a 90) con premi assegnati in funzione delle combinazioni stabilite (terna, cinquina, ecc.) • Pesche di beneficenza: effettuate con vendita di biglietti, una parte dei quali è abbinata ai premi. c) Condizioni di svolgimento c.1 - Lotterie: • vendita dei biglietti limitata al territorio della Provincia; • l’importo complessivo dei biglietti in vendita non deve superare € 51.645,69; • i biglietti hanno serie e numerazione progressive; • stesura di un regolamento che preveda quantità e natura dei premi, quantità e prezzo dei biglietti, luogo in cui sono esposti i premi, luogo e tempo fissati per l’estrazione, luogo e tempo per la consegna dei premi ai vincitori; c.2 - Tombole • vendita delle cartelle limitata al Comune in cui avviene l’estrazione e ai Comuni limitrofi; • le cartelle anno serie e numerazione progressiva; • l’importo complessivo dei premi non deve superare € 12.911,42; • stesura di un regolamento che preveda i premi ed il prezzo delle cartelle; c.3 - Pesche di beneficenza • vendita dei biglietti limitata al Comune in cui si effettua la manifestazione; • l’importo complessivo dei biglietti non supera e 51.645,69; d) Tipi di premi ammessi • solo servizi o beni mobili • esclusi espressamente: denaro, titoli, valori bancari, carte di credito, metalli preziosi in verghe e) Adempimenti amministrativi • almeno 60 gg. prima della manifestazione spedire apposita comunicazione all’Ispettorato Compartimentale dei Monopoli di Stato (decorsi 30 gg. si forma il silenzio assenso); • almeno 30 gg. prima della manifestazione spedire al Comune e alla Prefettura l’apposita comunicazione (per le lotterie e le tombole va allegato il regolamento); 243


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• •

presso il Comune va costituita una cauzione, tramite fideiussione o denaro o titoli, che verrà svincolata a manifestazione conclusa e dopo i relativi controlli; i controlli sono effettuati dal Comune. Questi adempimenti non sono richiesti per le manifestazioni organizzate nei circoli privati e riservate ai soli soci.

f) Regime fiscale Ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 600/73 le manifestazioni a sorte locali sono soggette alla ritenuta a titolo d’imposta del 10% del valore dei premi (e non sull’importo incassato con la vendita dei biglietti). La ritenuta si versa con il codice “1046” entro il giorno 16 del mese successivo alla redazione del verbale di chiusura della manifestazione. Sono escluse da tale ritenuta: • le manifestazioni svolte nei circoli privati e riservate ai soli soci; • quelle svolte in occasione di feste o sagre a carattere locale (v. C.M. 168/98, par. 7.8). Dovrebbero essere escluse da tale ritenuta anche le manifestazioni organizzate da enti non commerciali e da ONLUS nell’ambito dell’attività di raccolta fondi pubblica ex art. 2, 2° comma, D.Lgs. 460/97: sul punto vi sono però opinioni discordanti in dottrina e nessuna pronuncia del fisco. 10.14 La devoluzione alle ONLUS dei premi non ritirati Le aziende promuovono regolarmente concorsi e operazioni a premio (es. le raccolte di “punti”) per incentivare le loro vendite, mettendo in palio vari tipi di beni. In base al D.P.R. 430/2001 nel regolamento del concorso, depositato presso il Ministero delle Attività Produttive, le aziende devono prevedere che, decorsi sei mesi dalla conclusione del concorso, i premi non ritirati verranno donati ad una o più ONLUS indicate nel regolamento. La devoluzione avverrà previa formale accettazione della donazione da parte della ONLUS indicata come beneficiaria. Trattandosi di devoluzione prevista per legge e non di liberalità non si applicano le procedure ed i vincoli previsti dal D. Lgs. 460/97 per le donazioni alle ONLUS.

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FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

In sostanza per queste merci: • non occorre alcuna comunicazione preventiva agli uffici fiscali; • non vanno fatte annotazioni contabili sui registri IVA; • il loro valore non incide sul limite delle altre eventuali donazioni alle ONLUS.

10.15 Il 5 per mille dell’IRPEF 10.15.1 Un nuovo rapporto cittadini enti non profit Dal 2006 le persone fisiche possono destinare una quota del 5 per mille della propria IRPEF a sostegno di una serie di enti non profit. Tale norma, a valere in prima battuta solo per la dichiarazione dei redditi presentata nel 2006, è stata riproposta anche per gli anni successivi, con varie modificazioni (tipi di enti non profit, limiti allo stanziamento, ecc.). I caratteri generali della donazione sono i seguenti: • è confermato che la scelta viene effettuata solo dalle persone fisiche (e non dagli enti o società di capitali); • la scelta non comporta un aggravio di IRPEF a carico del contribuente; • la scelta è facoltativa; • la scelta è autonoma da quella dell’8 per mille destinata agli enti religiosi; • in assenza di scelta dei cittadini il fondo del 5 per mille dell’IRPEF non si incrementa (a differenza di quello dell’8 per mille). 10.15.2 I soggetti beneficiari Per il 2009 i soggetti beneficiari del 5 per mille sono i seguenti: SOGGETTI AMMESSI AL RIPARTO DEL 5 PER MILLE (2009) SETTORE 1

ONLUS: – ORDINARIE – DI DIRITTO: OdV, O.N.G., COOP. SOCIALI – PARZIALI ASSOCIAZIONI DI PROMOZIONE SOCIALE (L. 383/2000) iscritte: • nel registro nazionale • nel registro regionale • nel registro provinciale

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

SETTORE 2 SETTORE 3 SETTORE 4 SETTORE 5

Altre ASSOCIAZIONI e FONDAZIONI se: • Riconosciute • Senza scopo di lucro • Operanti in via esclusiva o prevalente nei settori ONLUS ex art. 10, lett. a) ENTI DELLA RICERCA SCIENTIFICA E DELL’UNIVERSITÀ ENTI DELLA RICERCA SANITARIA COMUNE DI RESIDENZA DEL CONTRIBUENTE a sostegno delle sue attività sociali ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE se: • Riconosciute dal CONI • Svolgono prevalentemente una o più delle seguenti attività: – avviamento e formazione allo sporti dei giovani di età inferiore a 18 anni; – avviamento alla pratica sportiva in favore di persone di età non inferiore 60 anni; – avviamento alla pratica sportiva nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.

Limitandoci al settore 1 notiamo che esso contiene 4 tipi di soggetti: a) le ONLUS di tutti i tipi previsti dal D. Lgs. 460/97: ordinarie di diritto

iscritte presso la D.R.E. OdV iscritte nel Registro Regionale del Volontariato, nei limiti previsti dall’art. 30 del D.L. 185/2008 o.n.g. ritenute idonee dal Ministero Affari Esteri cooperative sociali e loro consorzi al 100% iscritte nell’Albo Ministeriale Parziali enti ecclesiastici delle confessioni religiose con cui (iscritte D.R.E.) lo Stato ha stipulato accordi associazioni di promozione sociale iscritte agli Enti di Promozione Nazionali riconosciuti dal Ministero degli Interni 246


FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

b) le APS iscritte nei Registri previsti dalla L. 383/2000 (registro nazionale, regionale, provinciale) c) le associazioni e fondazioni riconosciute che, senza scopo di lucro (si fa riferimento alle solite clausole del divieto del lucro soggettivo) operano nei settori previsti dal regime ONLUS ex art. 10, comma 1, lett. a), D. Lgs. 460/97: • assistenza sociale e socio-sanitaria • assistenza sanitaria • beneficenza • istruzione • formazione • sport dilettantistico • beni artistici e storici • cultura e arte • tutela dei diritti civili Le norme appaiono chiare, ma vi sono nascoste alcune insidie. Cosa accade per quelle APS aventi sede nelle Regioni che non hanno ancora attivato il Registro Regionale, previsto dalla L. 383/2000? Può essere sufficiente l’affiliazione ad una Federazione Nazionale, come previsto per le donazioni “+ dai – versi” ex D.L. 35/2005? Per le associazioni e fondazioni riconosciute il rinvio ai settori previsti dal regime ONLUS riguarda anche i limiti ivi posti alle modalità di svolgimento delle attività (es. presenza di contributi statali per il settore della cultura) o ai beneficiari delle stesse (es. solo verso soggetti svantaggiati per l’istruzione, la formazione, l’assistenza sanitaria)? Inoltre per il 2007 sono state escluse le Fondazioni operanti in tali settori.

10.15.3 La procedura di iscrizione Gli enti non profit compresi nel primo e nel quinto settore devono manifestare la loro intenzione di partecipare al riparto del 5 per mille iscrivendosi in un elenco tenuto dall’Agenzia delle Entrate. Le Università e gli enti di ricerca scientifica e sanitaria vengono selezionati dai Ministeri competenti (MIUR e SALUTE).

Occorre tenere conto che, anche per il 2009, l’iscrizione: a) va rinnovata anno per anno;

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

b) si attua con due adempimenti separati con scadenza in date diverse: • l’invio telematico della richiesta di iscrizione; • l’invio cartaceo e postale di un documento attestante la permanenza dei requisiti di legge in capo all’ente non profit con allegata la fotocopia di un documento di identità del legale rappresentante. Si ricorda che, in mancanza del secondo adempimento, l’ente viene scartato dall’elenco dei beneficiari.

10.15.4 La scelta del contribuente I contribuenti persone fisiche effettuano la loro scelta su uno dei tre moduli previsti per la dichiarazione dei redditi: modello C.U.D.

per i dipendenti che non hanno nulla da dichiarare oltre il reddito di lavoro modello 730 per i dipendenti e gli altri soggetti che non possiedono redditi d’impresa o di lavoro autonomo professionale e che hanno oneri e spese da dedurre o detrarre dall’IRPEF modello UNICO per tutte le altre persone fisiche. La scelta va fatta apponendo la firma in uno dei riquadri previsti dal modulo, in corrispondenza a ciascuno dei settori sopra indicati, con l’ulteriore avvertenza che vi è anche la facoltà (non l’obbligo) di inserire il codice fiscale dell’ente (non profit, università, ente di ricerca scientifica o sanitaria) cui si vuole specificatamente destinare il proprio 5 per mille. Si noti che la firma con l’indicazione del codice fiscale dell’ente beneficiario vale il “doppio”, in quanto all’ente verranno attribuiti due importi: • il 5 per mille dell’IRPEF del singolo contribuente; • il riparto pro quota del 5 per mille dell’IRPEF di quei contribuenti che, pur avendo firmato la casella del settore, non hanno indicato il codice fiscale di uno specifico ente beneficiario. Per ottenere i fondi è ovvio che i singoli enti non profit dovranno attivarsi per sollecitare le firme e l’indicazione del proprio codice fiscale, sia tra i singoli cittadini che presso i soggetti che redigono le dichiarazioni dei redditi (CAF, commercialisti, associazioni di categoria).

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FUND RAISING E AGEVOLAZIONI VARIE

10.15.5 La rendicontazione L’art. 3, comma 6, della L. 244/07, ha inserito dall’1/1/2008,a carico degli enti non profit beneficiari delle donazioni del 5 per mille l’obbligo di rendicontazione, nei termini seguenti: Soggetti Oggetto

Caratteri

Conservazione Termine

Sanzioni

Gli enti che ricevono le donazioni del 5 per mille • Rendiconto destinazione fondi 5 per mille • Fondi riscossi dal 2008 in avanti (si ritiene anche se relativi ad anni precedenti) • Obbligatorio • Separato (dal bilancio e dagli altri rendiconti raccolta fondi) • Chiaro • Trasparente • Integrabile (non sostituibile) con relazione illustrativa • Atti associazione • No deposito presso terzi • Redazione entro 1 anno dalla riscossione –> onere di prova: – verbale assemblea bilancio – registrazione Ag. Entrate (OdV: gratuita bollo/registro) Revoca delle donazioni

In sostanza viene esteso alle donazioni del 5 per mille il regime previsto, in generale, per le raccolte fondi occasionali. Come detto sopra (par. 9.10) l’Agenzia delle Entrate, per quanto riguarda in generale le raccolte occasionali di fondi, ritiene che essi debbano essere destinati prevalentemente a specifici progetti e non a coprire le ordinarie spese di gestione dell’ente non profit.

10.16 I fondi dell’8 per mille a gestione statale È noto che i cittadini possono destinare allo Stato una parte dei fondi dell’8 per mille dell’IRPEF. Lo Stato utilizza direttamente tali fondi per interventi straordinari nei seguenti settori: • fame nel mondo

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• calamità maturali • assistenza ai rifugiati • conservazione dei beni culturali. Si vedano in proposito il regolamento di attuazione (D.P.R. 10/3/1998 n. 76) e l’ultima circolare esplicativa della Presidenza del Consiglio Dei Ministri – Dipartimento per il coordinamento amministrativo – del 20/1/2006). Si ricorda che possono presentare progetti tutte le associazioni e fondazioni che siano legalmente riconosciute e che operino nei settori sopra indicati. Occorre quindi avere ottenuto la concessione della personalità giuridica, da parte della Regione o della Prefettura.

In generale le domande scadono il 15/3 di ogni anno.

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11. Gli E.N.C. e l’ICI

11.1 In generale L’ICI (D. Lgs. 504/92) è un’imposta di tipo “reale” che colpisce gli immobili con i seguenti caratteri di fondo: oggetto

Soggetti passivi

• Fabbricati • Terreni agricoli • Aree fabbricabili Solo se -> • Persone fisiche • Enti privati e pubblici • Società • Condomini • Soggetti non residenti Che siano ->

Ubicati in Italia

• Proprietari • Titolari di altri diritti reali di godimento (*) • Utilizzatori con leasing • Titolari di concessione su aree demaniali

(*) I diritti reali di godimento sono indicati nel C.C.: enfiteusi, uso, usufrutto, abitazione e superficie.

Tra i soggetti passivi possono rientrare anche gli enti non profit (associazioni, ONLUS, enti religiosi, ecc.) che siano proprietari degli immobili o titolari degli altri diritti sopra indicati. Non sono soggetti passivi le persone o gli enti che siano solo conduttori o detentori di beni immobili, in virtù di contratti di locazione o comodato o simili. L’introito dell’ICI compete al Comune in cui sono ubicati gli immobili. Il valore imponibile degli immobili viene determinato nel seguente modo, sul quale va poi applicata l’aliquota deliberata da ogni singolo Comune: a) Fabbricati Gruppo catastale A, C Escluso A/10 e C/1 Gruppo catastale B Gruppo catastale A/10, D Gruppo catastale C/1

Rendita catastale x 1,05 x 100 Rendita catastale x 1,05 x 140 (*) Rendita catastale x 1,05 x 50 Rendita catastale x 1,05 x 34

(*) Dall’1/1/2007 il moltiplicatore è passato da 100 a 140. 251


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

b) Terreni Aree fabbricabili Terreni agricoli

Valore venale all’1/1 di ogni anno (*) Reddito dominicale x 1,25 x 75

(*) I Comuni hanno la facoltà di emanare un regolamento con cui individuare i valori venali minimi per le varie zone del proprio territorio. Si tratta di una autolimitazione del proprio potere di accertamento, nel senso che dichiarando tale valore il soggetto passivo si pone al riparo da ogni successiva pretesa del Comune ai fini ICI.

Il pagamento dell’ICI avviene in due rate: • 1a rata entro il 16/6, pari al 50% dell’imposta dovuta, calcolata con le aliquote e le detrazioni relative all’anno precedente; • 2a rata entro il 16/12, versando la residua imposta calcolata con le aliquote e le detrazioni dell’anno corrente (con eventuale conguaglio a valere sulla prima rata in caso di avvenute variazioni). Dal 2007 anche il pagamento dell’ICI viene effettuato tramite modello F24 (telematico, se soggetto con P.IVA o cartaceo, se soggetto senza P.IVA). 11.2 Esenzioni per gli enti non commerciali L’art. 7 del D. Lgs. 504/92 elenca una serie di esenzioni, alcune delle quali possono essere di interesse degli enti non profit (le lettere sono quelle dell’articolo 7): B C

D G

H I

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Fabbricati delle categorie da E/1 a E/9 (c.d. a “destinazione particolare”) Fabbricati destinati ad usi culturali ex art. 5-bis D.P.R. 601/73 (musei, biblioteche, archivi, cineteche, emeroteche, terreni parchi e giardini) che: –> siano aperti al pubblico –> per i quali al possessore non deriva alcun reddito dal suo utilizzo Fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto e loro pertinenze Fabbricati destinati alle attività assistenziali ex L. 104/92 (-> disabili) che siano: • dichiarati inagibili o inabitabili • ristrutturati ex L. 457/1978 • utilizzati direttamente dal proprietario o titolare di diritti reali Terreni agricoli ricadenti in aree montane o di collina delimitati ex L. 984/1977 V. sotto


GLI E.N.C. E L’ICI

Particolarmente sofferta è stata l’interpretazione della esenzione prevista dalla lettera I) dell’art. 7, sulla quale sono intervenute ben due leggi di interpretazione autentica, da ultimo il D.L. 223/06, con orientamenti contrapposti, oltre che sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale. L’esenzione di cui all’art. 7, lett. I), oggi compete nei seguenti termini: Beni esenti Proprietario e utilizzatore Uso totale ed esclusivo per una o più delle attività –>

Vincolo sulle attività svolte nell’immobile

• Fabbricati • Terreni agricoli Lo stesso ente non commerciale (art. 73 TUIR) Attività ammesse • Assistenziali • Previdenziali • Sanitarie • Didattiche • Ricettive • Culturali • Ricreative • Sportive • Religiose (esercizio del culto, cura delle anime, formazione del clero e dei religiosi, catechesi, educazione cristiana) • Che abbiano carattere totalmente non commerciale • Oppure: che non abbiano esclusivamente carattere commerciale

In virtù delle restrittive pronunce della Corte di Cassazione (v. da ultimo sentenza n. 18838 del 30/8/2006) e della Corte Costituzionale (ordinanza n. 19 del 10/1/2007), l’esenzione compete solo se l’ente non commerciale è, al tempo stesso, proprietario e diretto utilizzatore dell’immobile. In base all’art. 59, 1° comma, lett. C), del D. Lgs. 446/97, Comuni possono emanare un regolamento che limiti l’esenzione in oggetto: • ai soli fabbricati • che siano, al contempo, posseduti e utilizzati direttamente dall’e.n.c. (*). (*) Tale previsione è stata svuotata di contenuto dalla giurisprudenza sopra citata. Il caso del godimento dell’esenzione ICI in capo al proprietario poteva appa-

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

rire strano, ma si spiegava con il fatto che l’e.n.c. poteva contrattare con il proprietario un canone di locazione inferiore rispetto a quello di mercato, grazie al minor carico fiscale. Oppure, in caso di uso gratuito, con l’intenzione dello Stato di non gravare ulteriormente il proprietario di un immobile adibito ad attività di enti a valenza “sociale”.

Per questo motivo è opportuno effettuare una verifica presso i singoli Comuni ove sono ubicati gli immobili. L’esenzione compete per il periodo di tempo in cui siano presenti tutti i requisiti. In particolare l’immobile deve essere destinato totalmente ed esclusivamente all’esercizio delle attività previste dalla norma: l’uso parziale dell’immobile per attività da essa non previste fa decadere dall’esenzione per l’intero immobile (e non solo per una sua porzione). In sostanza questa esenzione può interessare una OdV, APS, ONLUS che svolga la propria attività in locali di proprietà. Inoltre occorre verificare che l’attività svolta dall’e.n.c. o dalla ONLUS in questi immobili non abbia carattere esclusivamente “imprenditoriale-commerciale”. Sul punto è intervenuta l’Agenzia delle Entrate (circ. 26/1/2009 n. 2) che ha cercato (inutilmente) di dettare qualche criterio generale, creando ancora maggiore confusione. L’Agenzia rileva il paradosso per cui “un’attività o è commerciale o non lo è, non essendo possibile individuare attività qualificabili come “non esclusivamente di natura commerciale””. Di fronte a tale ostacolo l’Agenzia ritiene che questo criterio “debba essere riferito solamente alle specifiche modalità di esercizio delle attività in argomento, che consentano di escludere la commercialità allorquando siano assenti gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza), ma siano presenti le finalità di solidarietà sociale sottese alla norma di esenzione.”. La logica dell’agevolazione dovrebbe essere quella per cui “le attività svolte negli immobili … non siano di fatto disponibili sul mercato o che siano svolte per rispondere a bisogni socialmente rilevanti che non sempre sono soddisfatti dalle strutture pubbliche e che sono estranee alla sfera di azione degli operatori privati commerciali.” In particolare tale modalità sarebbe rinvenibile “per le attività svolte in regime concessorio o in convenzionamento e/o in accreditamento con l’ente pubblico, in quanto si tratta di attività inserite in maniera completa ed esclusiva nel servizio pubblico gestito direttamente da un’istituzione pubblica.”. Su questa base l’Agenzia esamina i vari settori di attività,

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GLI E.N.C. E L’ICI

ravvisando gli estremi dell’esenzione nei casi in cui i prezzi praticati siano inferiori a quelli di mercato e conducano ad un pareggio con i costi o a situazioni simili. Si tratta evidentemente di una interpretazione alquanto forzata derivante dalla oggettiva incoerenza della norma. Nei singoli casi l’associazione, se interessata all’esenzione ICI, dovrà informarsi presso il Comune per verificarne il concreto orientamento in materia.

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12. Agevolazioni varie

12.1 La riduzione dei diritti comunali La Corte dei Conti, con deliberazione n. 12/Aut/2006 del 12/7/2006, ha chiarito che per i contratti stipulati con i Comuni le ONLUS sono sempre tenute al versamento solo del 50% dei diritti di segreteria. Tale conclusione deriva dalle seguenti considerazioni: • l’art. 17 del D. Lgs. 460/97 prevede l’esenzione assoluta dall’imposta di bollo per gli atti, contratti e documenti posti in essere con una ONLUS; • la tabella D, allegata all’art. 40 della L. 604/62, sancisce la riduzione al 50% dei diritti di segreteria “per i certificati e agli altri atti per i quali la legge ammette la carta non bollata …”. Tale delibera può interessare anche le OdV, che sono ONLUS di diritto, per la stipula delle convenzioni. 12.2 La riduzione delle tariffe postali Molti enti non profit pubblicano bollettini, riviste, ecc. sia rivolti alla propria base sociale che ad un più vasto pubblico. Nel caso tali prodotti editoriali vengano spediti con il servizio postale la L. 27/2/2004 n. 46 ha confermato la previsione di una tariffa agevolata (v. anche circolare 12/1/2004, Dir/3, di Poste Italiane). Per godere di tale tariffa agevolata occorre che: • il prodotto editoriale sia realizzato da enti non profit; • riguardi la propria attività istituzionale e non ricada nei prodotti editoriali espressamente esclusi; • venga fatta la domanda entro il 30/9 dell’anno precedente.

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AGEVOLAZIONI VARIE

TAFIFFE POSTALI AGEVOLATE Soggetti ammessi (estratto)

Prodotti esclusi (estratto)

Iter

• Onlus • OdV ex L. 266/91 • o.n.g. riconosciute dal M.A.E. • APS ex L. 383/2000 • fondazioni e associazioni senza fini di lucro aventi scopi religiosi • enti ecclesiastici • Quotidiani e periodici che contengono inserzioni pubblicitarie per un’area > 45% dell’intero stampato • Periodici con abbonamenti stipulati a titolo oneroso direttamente dai destinatari < 50% del totale degli abbonamenti • Quotidiani e periodici di pubblicità • Giornali di promozione delle vendite di beni e servizi • Prodotti editoriali pornografici • Domanda alla Direzione Provinciale Business di Poste Italiane s.p.a. • Entro il 30/9 di ogni anno per l’anno successivo

12.3 Agevolazioni per l’uso delle ambulanze Le OdV che gestiscono servizi di soccorso sanitario possono godere delle seguenti agevolazioni: • esenzione da pedaggio autostradale • rimborso accisa sul carburante • esenzione tassa automobilistica. a) Pedaggio L’art. 373, comma 2, lett. C), del D.P.R. 495/92 prevede l’esenzione dal pagamento del pedaggio autostradale nei seguenti casi: • il veicolo deve essere immatricolato a nome di associazioni di volontariato ex L. 266/91 o di organismi similari senza scopo di lucro; • il veicolo deve essere adibito al soccorso (ambulanze e mezzi antincendio); 257


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

il veicolo deve essere impegnato nell’espletamento del relativo specifico servizio; • il veicolo deve essere provvisto dell’apposito contrassegno. Sul punto si veda anche la circolare del Ministero Lavori Pubblici 5/8/97 n. 3973. b) Rimborso accisa Le OdV che gestiscono servizi di soccorso sanitario possono chiedere il rimborso di una parte dell’accisa gravante sui carburanti consumati dalle ambulanze. Le norme di riferimento sono contenute nel D.M. 31/12/1993 e nella circolare del Dipartimento Dogane n. 15 del 25/1/1994. Il rimborso avviene tramite il rilascio di “buoni d’imposta” da cambiare con i carburanti presso il rivenditore convenzionato. La procedura si può riassumere nel seguente schema: Soggetti

Mezzi ammessi Iscrizione

Procedura

Esito

• OdV iscritte nei Registri Regionali • Altri enti di assistenza e pronto soccorso dotati di personalità giuridica Ambulanze • Domanda all’U.T.F. • Istruttoria a cura dell’U.T.F. • Decreto di ammissione al beneficio • Acquisto carburanti presso i punti vendita • Tenuta del registro dei viaggi • Istanza di rimborso trimestrale (entro il mese successivo) • Rilascio di buoni d’imposta da parte dell’U.T.F. • Utilizzo degli stessi presso il rivenditore convenzionato

c) Esenzione tassa automobilistica Le autoambulanze sono esonerate dal pagamento della tassa di possesso (il “bollo”), previa istanza alla locale Agenzia delle Entrate (circ. n. 51286 del 30/9/2002): l’esonero è valido a tempo indeterminato (circ. n. 59 del 25/2/1998). 12.4 Agevolazioni per la frequenza di palestre L’art. 1, comma 319, della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007), con decorrenza dall’1/1/2007, ha inserito una nuova ipotesi di spesa detraibile dall’IRPEF (art. 15, comma 1, lett. I-quinquies TUIR): 258


AGEVOLAZIONI VARIE

Soggetto pagante Soggetto fruitore del servizio Attività agevolate Soggetti sportivi

Impianti sportivi

Somme agevolate Limite di importo Beneficio fiscale

Genitore Ragazzi di età 5-18 anni Pratica sportiva dilettantistica • Società e associazioni sportive ex art. 90 L. 289/2002 • Gestori privati • Palestre • Piscine • Altre strutture/impianti per pratica sportiva dilettantistica • Iscrizione annuale • Abbonamento Massimo € 210,00= per anno solare per ogni bambino/ragazzo Detrazione 19% dall’IRPEF

In assenza di deroga esplicita, la detrazione IRPEF compete al genitore del quale il bambino risulti fiscalmente a carico. Il decreto attuativo (2/4/2007) ha precisato che il pagamento dovrà essere provato con ricevuta o fattura rilasciata dall’ente gestore da cui risultino i seguenti dati: • intestazione del gestore (ditta, denominazione o ragione sociale, sede legale, codice fiscale); • causale del pagamento; • tipo di attività sportiva esercitata; • importo corrisposto; • dati anagrafici del bambino/ragazzo praticante; • codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento. Il decreto attuativo non prevede l’obbligo del pagamento per assegno o altro movimento bancario o postale: tale forma resta comunque necessaria per le società e associazioni sportive nel caso di pagamenti pari o superiori a € 516,46=. La ratio della norma spinge a ritenere che le quote di “iscrizione” e “abbonamento” dovrebbero comprendere anche l’eventuale premio di assicurazione, normalmente presente nelle attività sportive dei giovani. Le ricevute rilasciate dalle società e associazioni sportive sono soggette al bollo di € 1,81= se di importo superiore a € 77,47=. Gli altri gestori privati devono applicare l’IVA, per cui non è dovuta l’imposta di bollo. 259


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Si ricorda che le associazioni sportive dilettantistiche possono chiedere la riduzione dell’accisa sul gas utilizzato per riscaldare le palestre e i locali annessi.

12.5 Imposta di registro e ii.cc. 12.5.1 Le agevolazioni per le OdV e le ONLUS Le OdV e le ONLUS possono godere, con criteri diversi, di agevolazioni ai fini dell’imposta di registro. Si riportano i testi delle due leggi. OdV

ONLUS

Art. 8 L. 266/91 Art. 22 D.LGS. 460/97 “Gli atti costitutivi delle Alla tariffa dell’imposta di registro sono apOdV... e quelli connessi allo portate le seguenti modificazioni: svolgimento delle loro attivi- “a) nell’art. 1, concernente il trattamento degli tà sono esenti... dall’imposta atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di di registro.” beni immobili e degli atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, dopo il settimo periodo, è aggiunto, in fine, il seguente: “Se il trasferimento avviene a favore di... ONLUS ove ricorrano le condizioni di cui alla nota II-quater: L. 250.000=.” La nota II-quater dispone: “A condizione che la ONLUS dichiari nell’atto che intende utilizzare direttamente i beni per lo svolgimento della propria attività e che realizzi l’effettivo utilizzo diretto entro 2 anni dall’acquisto. In caso di dichiarazione mendace o di mancata effettiva utilizzazione per lo svolgimento della propria attività è dovuta l’imposta nella misura ordinaria nonché una sanzione amministrativa pari al 30% della stessa imposta.”. b) il nuovo art, 11-bis dispone: “Gli atti costitutivi e modifiche statutarie concernenti le ONLUS: L. 250.000=.(-> € 129,11)”.

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AGEVOLAZIONI VARIE

Si nota come l’agevolazione prevista per le OdV dall’art. 8 della L.266/91 (esenzione) sia più ampia di quella concessa dalla legge di riforma per le ONLUS non di volontariato, sia per le tipologie di atti compresi che per la tariffa applicata. Ad esempio: TIPO DI ATTO Atto costitutivo e successive modifiche

OdV Esente

Acquisti di beni immobili

Esente

Contratti di locazione Altri atti

Esente Esenti

ONLUS Tassa fissa € 168,00= Tassa fissa € 168,00= Imposta proporzionale Tassati normalmente

Si ricorda che, in base all’art. 10, 8° comma, del D.LGS. 460/97, per le OdV iscritte nel Registro Regionale rimangono salve le norme di miglior favore contenute nella L. 266/91.

Per le associazioni di promozione sociale non sono previste specifiche agevolazioni in materia di imposta di registro. 12.5.2 Gli acquisti immobiliari tra vivi Per gli acquisti di beni immobili tra vivi effettuati da OdV e da ONLUS vanno considerati due aspetti distinti: • le imposte da pagare • i vincoli conseguenti al trattamento agevolato. a) Le imposte da pagare Per gli acquisti immobiliari tra vivi l’OdV potrà invocare l’esenzione totale da imposta di registro ex L. 266/91, mentre le ONLUS pagheranno la tassa fissa di € 168,00=. Sia le OdV che le ONLUS debbono, purtroppo, pagare le imposte ipotecarie (2%) e catastali (1%), in quanto non vige alcuna esenzione specifica (v. Cassazione sentenza n. 19212 del 14/9/2007). A ciò ha posto parziale e temporaneo rimedio l’art. 30 del D.L. 185/2008: per le sole ONLUS, l’imposta catastale è prevista in misura fissa e non proporzionale

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

per i soli atti formati entro il 31/12/2009. Resta inspiegabilmente confermata l’imposta ipotecaria al 2%: sul punto si resta in attesa di chiarimenti ufficiali. In caso di acquisti di immobili da imprese sia l’OdV che le ONLUS sono tenute a pagare l’IVA, in quanto non esiste una specifica norma di esenzione. b) I vincoli Per le OdV la L. 266/91 reca la precisazione che l’acquisto in esenzione da imposta di registro deve essere “connesso” all’attività di volontariato. La ris. 6/6/94 n. 8/166 ha ribadito che deve trattarsi di un acquisto “strumentale” all’attività di volontariato (nel caso di specie si trattava di un fabbricato da adibire a casa di accoglienza).

Per le ONLUS sussiste, oltre al vincolo di destinazione all’attività propria, anche un termine di due anni per rendere effettiva tale destinazione, pena la decadenza dell’agevolazione con applicazione delle sanzioni. È probabile che per le OdV non si applichi tale limite temporale, non previsto dalla L. 266/91: sul punto non esistono chiarimenti ufficiali.

12.6 Imposta sulle successioni e donazioni Per le OdV e le ONLUS esistono specifiche disposizioni agevolative. Si riportano i due testi di legge. OdV

ONLUS

Art. 8 L. 266/91 Art. 3, 1° comma, del D.LGS. 346/1990 come “... le donazioni e le attribu- modificato dall’art. 19 del D.LGS. 460/97 zioni di eredità o di legato “Non sono soggetti all’imposta i trasferimenti sono esenti da ogni imposta a a favore... delle ONLUS.”. carico delle...” OdV. In caso di passaggio di un bene immobile l’esenzione si estende anche alle imposte ii.cc.. Non vi sono agevolazioni specifiche per le associazioni di promozione sociale. Si rinvia a quanto detto sopra nel paragrafo dedicato alle eredità e donazioni.

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AGEVOLAZIONI VARIE

12.7 Imposta di bollo 12.7.1 Esenzioni per le OdV e le ONLUS Per le OdV e le ONLUS esistono specifiche disposizioni di esonero: OdV

ONLUS

Art. 8 L. 266/91 Art. 27-bisTabella allegata al D.P.R. 642/72 “Gli atti costitutivi delle OdV Atti esenti in modo assoluto dal bollo … e quelli connessi allo svol- “Atti, documenti, istanze, contratti, nonché gimento della loro attività copie anche se dichiarate conformi, estratti, cersono esenti dall’imposta di tificazioni, dichiarazioni e attestazioni poste in bollo …” essere o richiesti da ONLUS”. Le due norme sono sostanzialmente uguali. In relazione alle OdV si ricordano due risoluzioni del Ministero delle Finanze: ris. N. 7/10/1994 n. 10/218 (guardie ecologiche volontarie), ris. 6/6/1994 n. 8/166 (acquisti di immobili).

L’esenzione riguarda, anche, gli estratti conto bancari. 12.7.2 Altre esenzioni Per le altre associazioni si ricordano taluni casi di esenzione dal bollo (tabella allegato B al D.P.R. 642/72 e s.m.): NUMERO TARIFFA 6

8 8 bis

Art. 7 L. 405/1990

CASO Quietanze … per il versamento di contributi o quote associative ad associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali e sportive Quietanze relative ad oblazioni a scopo di beneficenza a condizione che sull’atto risulti tale scopo Certificati anagrafici richiesti dalle società sportive, su disposizione delle rispettive federazioni e di enti e associazioni di promozione sportiva di appartenenza Ricevute, quietanze, note, conti … anche se non sottoscritte, quando la somma non supera € 77,47 263


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In merito alla prima esenzione sopra riportata (quote associative) si segnala che il fisco con la risoluzione n. 312682 del 21/12/1985 ha ritenuto che l’esenzione “… deve ritenersi limitata alle quietanze per il versamento di contributi o quote associative per aderire alle predette Associazioni e non può essere estesa alle quietanze … (relative al) pagamento di servizi resi dalle associazioni stesse anche se effettuati in conformità alle proprie finalità istituzionali. Tali quietanze, pertanto, sono soggette all’imposta di bollo prevista dall’art. 19 della tariffa annessa al D.P.R. n. 642 del 1972 successive modificazioni quando la somma versata supera € 77,47= e negli altri casi stabiliti dallo stesso articolo …”. Si tratta di un’interpretazione dell’esenzione (ormai datata e) restrittiva, che non pare del tutto corrispondente al testo della norma, che fa generico riferimento ai contributi e alle quote associative, senza ulteriori distinzioni tra quote di adesione (la c.d. “tessera”) e quote periodiche per i vari servizi (es. corsi di nuoto, ecc.). Si segnala che tale interpretazione restrittiva è stata però ribadita dall’Agenzia delle Entrate nella “Guida alle agevolazioni per le associazioni sportive dilettantistiche” (ed. marzo 2007, pag. 18, nell’edizione riveduta e corretta). 12.8 Tasse sulle concessioni governative L’art. 13-bis del D.P.R. 641/72 prevede l’esenzione dalle tasse di cc.gg. per gli atti e i provvedimenti concernenti: • le ONLUS (e quindi anche le OdV iscritte nel Registro) • le società e associazioni sportive dilettantistiche. L’esenzione può essere goduta, ad esempio, per i telefoni cellulari.

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Parte II LE PRESTAZIONI DI LAVORI

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13. Le prestazioni di lavoro gratuito a favore delle Associazioni

13.1 Introduzione Nel nostro ordinamento giuridico vige la regola generale che ogni spostamento di ricchezza, in senso lato, deve avere una giustificazione (una “causa” in senso tecnico). Tale principio di applica anche ai rapporti di lavoro, per cui ogni attività umana che crea ricchezza a favore di un soggetto terzo deve trovare giustificazione, in linea di principio, in una controprestazione, denominata retribuzione (-> lavoro dipendente) o corrispettivo (-> lavoro autonomo). L’obbligo della controprestazione rappresenta il profilo della onerosità dei rapporti di lavoro (v. art. 2094 e art. 2222 C.C.). In sostanza vige il principio che il rapporto di lavoro è “naturalmente” e “presuntivamente” a titolo oneroso, salvo deroghe particolari. Ciò è conforme ai precetti costituzionali ove si riconosce che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ….” (art. 36).

Il lavoro gratuito è quindi da considerare una eccezione, confinato alle prestazioni lavorative rese per fini di solidarietà, oppure rese nell’ambito di una convivenza fondata sulla comunione affettiva e/o spirituale o alle prestazioni rese a favore delle c.d. organizzazioni di tendenza (istituzioni politiche, sindacali o religiose). In questi casi il lavoro gratuito non deriva da un contratto in senso proprio, ma dai principi costituzionali di esplicazione della propria libertà e personalità nelle formazioni sociali (art. 2 e 18), della libertà di culto (art. 8), ecc.. Dato ciò deriva che, per una corretta qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, occorre effettuare due passaggi, uno preliminare all’altro: – le ragioni del lavoro; – le modalità concrete di esecuzione del lavoro. In primo luogo occorre capire la ragione giuridica (la “causa”) che concretamente induce una persona a svolgere una determinata prestazione lavorativa a

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favore di un determinato soggetto ed in un particolare contesto organizzativo. Ciò consente di distinguere in via preliminare tra prestazioni che si intendono svolte a titolo gratuito e prestazioni che invece si devono intendere svolte a titolo oneroso. Superato questo punto, ed entrando nei rapporti a titolo oneroso, esaminando le concrete modalità di esecuzione della prestazione lavorativa si potrà inquadrarla in uno dei vari tipi legali di contratti di lavoro (subordinato, autonomo, parasubordinato, ecc.). È evidente quindi che il lavoro gratuito deve essere previsto da norme di legge o deve derivare inequivocabilmente dal rapporto “non economico” con il fruitore della prestazione lavorativa. In mancanza di tali requisiti sia il lavoratore che gli istituti preposti alla vigilanza o beneficiari dei contributi previdenziali e assistenziali potranno avere titolo per chiedere la qualificazione del lavoro come “a titolo oneroso”, reclamandone tutti i benefici secondo i vari tipi legali di contratto. 13.2 Il lavoro gratuito: casi e rischi Il lavoro gratuito è presente per legge in alcuni tipi di enti non profit, come nelle OdV (L. 266/91), nelle APS (L. 383/2001) nelle coop. sociali per i soci volontari (L. 381/91), nelle imprese sociali per i volontari. In genere si può affermare che il lavoro prestato dai soci nelle associazioni senza scopo di lucro è generalmente e presuntivamente a titolo gratuito, in quanto deriva dalle obbligazioni assunte con l’atto di adesione all’associazione. In genere tale concetto è anche ribadito nei singoli statuti. Tuttavia occorre sempre verificare, come sopra detto, le concrete modalità di esercizio della prestazione lavorativa, in particolare valutando la presenza o meno di uno scambio di denaro, che possa configurare una retribuzione e, quindi, la qualificazione del rapporto come a titolo oneroso. Per prudenza, nei casi non previsti dalle leggi, ed in assenza di specifica indicazione dello statuto, è opportuno acquisire sempre una dichiarazione di prestazione a titolo gratuito. La giurisprudenza ha più volte trattato i casi delle persone che svolgevano attività per conto di parrocchie: possono essere presenti sia il caso del lavoro gratuito che quello oneroso, in relazione alle concrete modalità di svolgimento del rapporto (orario, soggezione alle direttive, presenza di una retribuzione, ecc.).

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Significativa del quadro giuridico sopra indicato è la sentenza della Cassazione 21/5/2008 n. 12964, derivante da un controllo dell’INPS. Una OdV iscritta nel registro del volontariato svolgeva servizi di vigilanza di musei e altre strutture per conto di un Comune e retrocedeva l’80% di quanto incassato ai singoli volontari, mediante la formula del “rimborso spese forfetario” parametrato alle ore di servizio prestato. La Cassazione ha affermato il principio che “un rapporto di lavoro può essere dissimulato da un rapporto di volontariato, a seconda del suo atteggiarsi in fatto”. Inoltre, dato che “l’attività del volontario è per sua natura gratuita … la corresponsione di un compenso oltre il mero rimborso spese comporta che l’attività in questione non sarà più di volontariato, ma dovrà essere altrimenti definita. Non è sufficiente il “nomen juris” di volontario per escludere la sussistenza di un rapporto di lavoro, ma la qualificazione giuridica di volontario discende dalla spontaneità e gratuità della prestazione.”. 13.3 I volontari delle OdV 13.3.1 Volontari e non volontari nelle OdV Come è noto la L. 266/91 pone la regola fondamentale per cui le OdV devono operare prevalentemente tramite l’apporto gratuito dei propri volontari, essendo questo l’unico vero tratto distintivo rispetto alle altre entità del settore non profit che possono operare anche loro per fini di “solidarietà”). Tuttavia l’art. 3, 4° comma, della L. 266/91 mitiga questa regola consentendo alle OdV di “assumere lavoratori dipendenti o (di) avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta.” La legge ammette quindi che, a fianco dei volontari, vi siano dei lavoratori retribuiti con lo scopo di migliorare l’efficacia e l’efficienza delle OdV, a tutto vantaggio degli interessi diffusi tutelati dalle varie associazioni. Le OdV se lo vorranno e se avranno i mezzi potranno, ad esempio, assumere personale di segreteria, stipulare accordi con professionisti (es. medici, veterinari, ecc.), instaurare rapporti di collaborazione e via di seguito.

In merito al concetto di prevalenza sono le Regioni che determinano i limiti quantitativi e/o qualitativi del rapporto tra volontari e operatori retribuiti, con vari parametri (numero di soggetti, confronto tra monte ore totali, ecc.).

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13.3.2 I caratteri del volontariato a) La spontaneità L’art. 2, 1° comma, della L. 266/91 definisce attività di volontariato quella “... prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà.”. Il rapporto tra OdV e singolo volontario nasce dal rapporto associativo tipico (il volontario è socio del sodalizio), ma si arricchisce di un tratto caratteristico: l’operosità del socio. Questi viene coinvolto nello scopo di solidarietà della singola OdV e vi dedica gratuitamente tempo ed energie, senza avere alcuna forma di ritorno economico per se stesso. Il lavoro del volontario quindi non è paragonabile ad alcun tipo di lavoro che derivi da un contratto a contenuto patrimoniale, né autonomo né tanto meno subordinato. La personalità e la spontaneità previste dalla legge precludono l’applicazione di ogni criterio di gerarchia, di potere disciplinare, di vincoli di orario, di diritti sindacali, di tutela previdenziale e/o infortunistica (salva l’assicurazione di cui parleremo sotto). In caso di contrasto con il volontario gli unici strumenti a disposizione sono quelli che derivano dagli statuti: il potere del Consiglio Direttivo di gestire come meglio crede le attività sociali, anche senza l’opera di quel particolare volontario e, nei casi estremi, la delibera di esclusione del socio. Questa è la forza e, al tempo stesso, la debolezza delle singole OdV che possono fare affidamento su entità fluttuanti di volontari e, quindi, di energie per realizzare i propri obiettivi di solidarietà. Proprio per questo la stessa L. 266/91, prevede, come si è visto, la possibilità di integrare il lavoro dei volontari con quello di soggetti esterni retribuiti.

b) La gratuità L’art. 2, 2° comma, della L. 266/91 precisa: “L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse.”. Il 3° comma infine afferma che “la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rap-

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porto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.”. I volontari non possono trarre alcun vantaggio patrimoniale dalla loro attività e, in generale, non possono avere rapporti di contenuto patrimoniale con l’ente di appartenenza. Questo divieto va inteso nel senso di prevenire una distribuzione di utili in modo indiretto e trova maggiore analisi nelle regole antielusive poste dalla nuova disciplina delle ONLUS, che sono considerate dall’Agenzia delle Entrate come la disciplina generale del carattere non lucrativo degli enti non profit. L’art. 10, comma 6°, del D.LGS. 460/97 vieta, tra le altre, le seguenti ipotesi di distribuzione indiretta di utili che possono trovare applicazione in una OdV: – le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci (e ai loro parenti entro il terzo grado ed affini entro il secondo grado) a condizioni più favorevoli in ragione della loro qualità di soci – l’acquisto dai soci (e anche da terzi) di beni o di servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale – la corresponsione ai soci (e anche a terzi) di interessi passivi per prestiti superiori di 4 punti al T.U.S.. Il primo caso è il più insidioso perché vi si può cadere anche in buona fede. Si pensi ai trasporti di malati effettuati dalle Pubbliche Assistenze con tariffa ridotta per i soci e loro familiari, all’applicazione di rette ridotte per il ricovero in ospizi o per l’assistenza domiciliare per anziani o minorati, ecc..

Il secondo caso è, probabilmente, di minore frequenza pratica in quanto si tratta di vendite di beni aventi già in partenza un valore venale apprezzabile che viene ulteriormente “gonfiato” per drenare le risorse del sodalizio. L’ipotesi è già vietata dalla L. 266/91 (per i rapporti con i soci) e trova ulteriore sanzione nel D.LGS. 460/97. Lo stesso dicasi per il terzo caso. Il mancato rispetto di questi divieti potrebbe indurre la Regione (o la Provincia per delega) a cancellare l’OdV dal Registro Regionale, con perdita di tutte le agevolazioni previste per le ONLUS. Inoltre, ex art. 28, 1° comma, lett. B) del D.LGS. 460/97, il Presidente e tutti i membri del consiglio direttivo potrebbero essere assoggettati dal fisco ad una sanzione da € 1.032,91= a € 6.197,48= cadauno.

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13.3.3 L’obbligo di assicurazione e le regole sugli infortuni L’art. 4 della L. 266/91 prevede che le OdV “debbono assicurare i propri aderenti, che prestano attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività stessa, nonché per la responsabilità civile verso i terzi.”. L’obbligo di assicurazione ha i seguenti aspetti: – riguarda solo i soci “attivi”, cioè quelli che effettivamente lavorano e non tutti i soci; – deve coprire obbligatoriamente i tre rischi di base: infortuni, malattie, r.c. terzi; – gli altri rischi relativi all’attività dell’ente possono essere coperti o meno secondo le proprie intenzioni; – non sono previsti minimali/massimali, che sono lasciati alla prudenza dei singoli enti; – è una polizza di tipo privato: l’INAIL e l’INPS non sono chiamati in gioco. In genere presso il Centro di Servizio sono disponibili le polizze preparate in convenzione con primarie Compagnie di assicurazione.

Poiché le polizze che vengono stipulate sono di tipo collettivo esse non indicano i nomi dei soggetti assicurati, ma solo il numero massimo degli stessi. Proprio allo scopo di individuare chi sono i volontari coperti dalla polizza è previsto l’obbligo di tenuta di un apposito registro, con le seguenti modalità (v. D.M. 14/2/92 integrato dal D.M. 16/11/92): • numerazione e bollatura da parte di: a) notaio, b) segretario comunale, c) altro pubblico ufficiale abilitato a tali adempimenti (termine oscuro, ma probabilmente si tratta del Registro Imprese tenuto dalla CCIAA); • indicazione per ogni socio attivo assicurato delle: a) generalità, b) del luogo e data di nascita, c) della residenza (tali dati vanno tenuti aggiornati con le entrate e le uscite dei soci attivi); • il registro va sbarrato dopo ogni variazione con apposizione della data e della firma da parte del Presidente o di un suo delegato. La copertura assicurativa per ogni singolo volontario decorre dalle ore 24 del giorno di iscrizione nel registro e cessa dalle ore 24 del giorno di cancellazione dal registro. Di tali variazioni deve essere data comunicazione alla propria compagnia di assicurazioni, nei modi con essa concordati e previsti nella polizza.

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Nella prassi risulta che molte compagnie assicurative prescindono dalle risultanze del registro e chiedono l’invio diretto di un elenco. Tale prassi non esenta comunque l’OdV dalla tenuta del registro.

L’art. 4 del D.M. 14/2/92 prevede che, entro 30 giorni, le singole OdV comunichino alla Regione (o alla Provincia delegata) l’avvenuta stipula della polizza obbligatoria. Per il caso della malattia contratta durante l’attività di volontariato da chi sia anche dipendente di aziende, l’INPS ha precisato quanto segue (circ. 28/6/93 n. 145): – l’indennità di malattia va corrisposta, “pure se l’evento sia riconducibile all’attività di volontariato”; – qualora la polizza della OdV preveda “la corresponsione di una somma giornaliera (o anche complessiva, ma che non si riferisca soltanto ai danni fisici subiti bensì, pure se indirettamente, alla temporanea incapacità allo svolgimento della normale attività), farà carico all’INPS soltanto la differenza tra i trattamenti erogati, fino alla concorrenza dell’importo dovuto a titolo di indennità di malattia”. Sempre in materia di tutela dei volontari si segnala che il Consiglio di Stato (parere 21/1/2004 n. 2040/2002) aveva deciso che ai volontari delle OdV non si applicava il D. LGS. 626/1994, in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. A questo proposito si rileva però che il nuovo testo unico in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (D. Lgs. 81/2008, in vigore dal 15/5/2008), ha previsto che le norme di sicurezza si applichino anche (art. 2): – ai volontari ex L. 266/91 – ai volontari del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e della protezione civile – ai volontari in servizio civile. L’art. 3 prevede però che le nuove regole vengano “applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative”, rinviando il tutto ad appositi decreti ministeriali, che ancora oggi non hanno visto la luce. 13.3.4 I rimborsi spese ai volontari La L. 266/91 prevede espressamente la possibilità per l’OdV di erogare ai propri volontari somme a titolo di rimborso spese, sempre che tali spese siano: – effettivamente sostenute dal volontario; – relative all’attività prestata per conto dell’OdV; – documentate; – contenute entro limiti predefiniti dall’OdV.

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La legge, in sostanza, ammette per i volontari solamente i rimborsi di spese vive documentate. La violazione di tale limite comporta un duplice rischio: a) la riqualificazione del rapporto come di lavoro a titolo oneroso (in una delle varie tipologie legali); b) l’applicazione del regime fiscale e previdenziale del nuovo rapporto, con le connesse sanzioni. Non sono quindi applicabili al volontario i regimi dei rimborsi spese forfetari previsti in materia di lavoro dipendente o quelli, ancora più generosi, previsti per le associazioni sportive dilettantistiche. In primo luogo è opportuno/indispensabile che l’OdV si doti di un regolamento, deliberato del proprio organo sociale competente in base allo statuto (consiglio direttivo o assemblea), con la quale disciplini in via generale le modalità dei rimborsi spese. Tale delibera dovrà prevedere almeno i seguenti punti: – i tipi di spesa ammessi a rimborso; – eventuali limiti di valore per i diversi tipi di spese; – la procedura di autorizzazione per effettuare la spesa; – la documentazione da presentare da parte del volontario; – il soggetto competente al controllo e all’erogazione dei fondi. La presenza del regolamento è probabilmente voluta dalla L. 266/91 per mantenere la parità di trattamento dei soci e per impedire rimborsi con regole “ad hoc” per singoli casi privilegiati. In ogni caso la sua assenza non inficia il regime fiscale dei rimborsi spese. In secondo luogo è opportuno che, in ogni caso, il rimborso spese risulti da una richiesta scritta fatta dal volontario, da cui risulti esplicitamente il legame con una specifica attività svolta per conto dell’OdV. Allo scopo si possono utilizzare i moduli predisposti per uso aziendale in vendita presso le cartolerie specializzate. Si ricorda che per le OdV/ONLUS tali documenti sono esenti da bollo, mentre per gli altri enti sono soggetti al bollo (€ 1,81) se l’importo del rimborso supera € 77,47=.

Tutta la documentazione prodotta dal volontario andrà conservata agli atti dell’OdV per eventuali controlli da parte degli uffici fiscali. Come si è detto sopra l’OdV può rimborsare al volontario le spese documen-

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tate ed effettivamente sostenute per l’espletamento dell’incarico ricevuto: solo in questi casi i rimborsi stessi non costituiscono reddito per il volontario e non sono soggetti alla ritenuta d’acconto. Si illustrano di seguito i casi più ricorrenti, segnalando le deroghe al regime fiscale vigente per il lavoro subordinato ed autonomo. a) Spese di viaggio Il viaggio deve sempre essere autorizzato dall’OdV. Sono rimborsabili i costi effettivamente sostenuti per il raggiun-gimento del luogo dove si deve svolgere il servizio. Tali spese sono rimborsabili, di regola, a partire dalla sede dell’OdV. In deroga alle norme fiscali, se previsto dalla delibera dell’OdV e giustificato dalle esigenze del servizio, si può ritenere rimborsabile il tragitto anche a partire dall’abitazione del volontario. Se vengono usati mezzi pubblici si farà riferimento ai relativi biglietti, se viene usata l’auto privata si farà riferimento alle tariffe ACI. Si segnala che i rimborsi spese chilometrici dei volontari non generano mai materia imponibile ai fini IRAP, come avviene invece per i collaboratori coordinati e continuativi (v. oltre), in quanto la fonte del rapporto che lega l’OdV al singolo volontario non è un contratto di lavoro. Ciò anche nel caso venga effettuato un rimborso al Presidente o ai consiglieri, in quanto la L. 266/91 impone l’assoluta gratuità delle cariche sociali, per cui anche in questo caso non si potrebbe invocare una asserita “naturale” onerosità del rapporto. Questo anche in relazione ai principi generali dell’IRAP che, per gli enti non commerciali, tassa i redditi da lavoro distribuiti ai terzi e, quindi, postula l’esistenza di specifici contratti di lavoro, sia dipendente che parasubordinati o certi tipi di lavoro autonomo.

In deroga alle norme fiscali previste per i lavoratori subordinati, si ritiene che non vada fatta alcuna distinzione tra spese di viaggio all’interno o all’esterno del Comune di residenza del volontario (v. anche S. Pettinato - Gestire il non profit - Ed. Sole 24 Ore - pag. 445). b) Spese di vitto e alloggio Sono rimborsabili le spese di vitto e alloggio sostenute per svolgere il servizio. Va acquisita la relativa documentazione fiscale: ricevute, fatture, scontrini integrati e scontrini semplici. 274


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c) Altre spese Sono inoltre rimborsabili tutte le altre spese che il volontario può documentare di avere effettivamente sostenuto per lo svolgimento del servizio. Ad esempio: – materiale di cancelleria usato per le attività sociali – biglietti di ingresso a parchi o musei (es. accompagnatori di anziani o disabili) – telefonate o fax fatte per comunicare con la sede dell’OdV o con gli utenti del servizio. Per il rimborso del telefono si può accettare che l’OdV acquisti direttamente le ricariche dei cellulari e le assegni ai volontari che, per il tipo di incarico svolto, hanno effettiva necessità di questo tipo di collegamento. Per il rimborso del telefono fisso di casa (specialmente del Presidente e dei volontari più impegnati) si possono istituire linee separate con un numero diverso. In alcuni casi si può ricorrere al confronto delle bollette prima e dopo l’assunzione della carica, imputando l’aumento degli scatti all’attività prestata per conto dell’OdV Si tratta sempre di rimborsi legati ad un principio di documentazione, ma si raccomanda di operare con prudenza senza sconfinare nei “compensi mascherati”. 13.4 I volontari delle APS L’art. 18, 1° comma, della L. 383/2000 prevede che le associazioni di promozione sociale “si avvalgono prevalentemente delle attività prestate in forma volontaria, libera e gratuita dai propri associati per il perseguimento dei fini istituzionali”. Come per le OdV la norma esprime il principio che il lavoro prestato dai soci si presume a titolo gratuito. Anche ai soci delle APS possono essere erogati rimborsi di spese vive effettivamente sostenute e documentate per le attività svolte a favore del sodalizio, con i criteri visti sopra per le OdV. Anche le APS, come le OdV, hanno la possibilità “in caso di particolare necessità, (di) assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo” (art. 18, 2° comma, L. 383/2000). Tuttavia, a differenza delle OdV, tali rapporti a titolo oneroso possono essere stipulati anche con i soci. Tale differenza costituisce sia una maggiore elasticità di gestione che un rischio di cedere ad ambigui comportamenti dei soci, specie in presenza di un lavoro for275


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malmente gratuito ma con i requisiti dell’onerosità: soggetti disoccupati, lavori di routine continuativi, vincoli di orario, presenza di “rimborsi spese” forfetari, ecc.. In questi casi occorre pertanto fare molta attenzione per non incorrere in eventuali contestazioni, da parte sia del presunto volontario che degli enti di vigilanza. 13.5 Il lavoratore “distaccato” 13.5.1 In generale L’istituto del distacco del lavoratore dipendente “si configura quanto un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa” (art. 30 D. Lgs. 276/2003). In questo caso: – vi sono due datori di lavoro: il distaccante (datore di lavoro legale) ed il distaccatario (datore di lavoro effettivo), nella cui organizzazione il lavoratore viene inserito; – la prestazione lavorativa presso il beneficiario deve soddisfare un interesse del datore di lavoro distaccante; – il distacco deve essere temporaneo; – l’attività lavorativa deve essere specifica. Il concetto di temporaneità coincide con quello di “non definitività”, indipendentemente dalla durata del periodo di distacco, che deve comunque essere funzionale all’interesse del distaccante e non meramente arbitrario. L’interesse previsto dalla norma può essere di qualsiasi natura, a patto che non si riduca ad una mera somministrazione di lavoro altrui, vietato dalla legge; esso inoltre deve protrarsi per tutto il periodo di durata del distacco. Il datore di lavoro distaccante rimane il solo responsabile del trattamento economico e normativo del lavoratore distaccato, così come della sua assicurazione presso l’INAIL. Il distacco non richiede il consenso del prestatore di lavoro, salvo il caso di mutamento di mansioni. Il distacco deve essere motivato in modo più stringente se la nuova sede di lavoro si trova a più di km. 50= dalla precedente, anche se non occorre il consenso esplicito del lavoratore. Si tratta di un istituto spesso utilizzato nell’ambito dei gruppi societari, in cui è più facile che occorra “spostare” temporaneamente dei lavoratori in una società diversa da quella che figura come datrice di lavoro ordinaria. 276


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Tra imprese è inoltre usuale procedere al rimborso del costo del lavoro del dipendente distaccato, senza ulteriori margini di utile. In questo caso il pagamento in misura pari al mero costo del lavoro non è soggetto ad IVA. Le associazioni dotate di lavoratori dipendenti possono utilizzare direttamente questo istituto quando, ad esempio, facciano parte di reti di associazioni e vi sia l’interesse ad uno spostamento temporaneo (tra associazioni facenti parte di un’unitaria struttura federale, tra associazioni che partecipano alla realizzazione di progetti complessi, spesso in collaborazione con gli enti pubblici, ecc.). Le associazioni possono inoltre essere le beneficiarie di questo istituto, quando collaborano con imprese “profit” per validi motivi (progetti, ecc.). In ogni caso le associazioni devono verificare che la propria polizza assicurativa r.c. copra anche i danni eventualmente procurati ai terzi da tale figura di lavoratore. 13.5.2 Il rapporto aziende/ONLUS Il distacco di personale dipendente da aziende alle associazioni, in sé lecito, può porre dei problemi di ordine fiscale nel caso non sia previsto il rimborso del costo del lavoro. In tal caso il fisco può ritenere che il costo del lavoratore distaccato non sia “inerente” all’attività di impresa, ma che costituisca una “erogazione liberale”, con i noti limiti di deducibilità ai fini delle imposte sui redditi. Il D. Lgs. 460/97, nel caso di distacco a favore di ONLUS, ha integrato l’art. 100, 1° comma, lett. I) del TUIR, prevedendo che tali costi per le aziende siano: – considerati erogazioni liberali – siano deducibili con i seguenti limiti: – soggettivi: solo lavoratori dipendenti a tempo indeterminato – oggettivi: tetto al 5 per mille delle spese per prestazioni di lavoro dipendente come risultano dalla dichiarazione dei redditi. Il conteggio del limite del 5 per mille va effettuato sulla massa del costo del lavoro dipendente complessivo dell’azienda, comprendendovi anche il costo delle altre figure di lavoratori dipendenti, anche se non distaccabili. La legge non consente alle imprese di dedurre dal proprio reddito gli eventuali ulteriori costi accessori alla prestazione di lavoro dei dipendenti distaccati (es. costo degli automezzi impiegati per una missione di solidarietà) che, se del caso, non potranno essere detratti dall’impresa. Nulla vieta che, in questo caso, l’impresa fatturi regolarmente tali costi alla ONLUS e poi rinunci al pagamento della fattura a titolo di erogazione liberale, precisando se la deduzione deve avvenire in regime D. Lgs. 460/97 o in regime D.L. 35/2005. 277


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13.5.3 Il rapporto aziende/APS Per il caso di distacco del personale da aziende verso enti non profit che non siano anche ONLUS, vigono le regole fiscali ordinarie, per cui si tratterà di una erogazione liberale non deducibile. In questo caso, in presenza dei requisiti soggettivi, si potrebbe però applicare il regime delle erogazioni ex D.L. 35/2005 (+ dai – versi), sia come donazione in natura che come donazione in denaro, previa fatturazione e rinuncia al pagamento. Tale potrebbe essere il caso del distacco di personale a favore delle APS. Sul punto si rinvia al capitolo sul fund raising. 13.6 Il Servizio Civile Il “Servizio Civile Nazionale” è stato istituito con la L. 6/3/2001 n. 64 ed ha le seguenti caratteristiche di fondo: Volontari ammissibili

Durata Aree di intervento

Enti promotori “accreditati” Ufficio Nazionale Servizio Civile

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– Uomini o donne da 18 a 28 anni non compiuti – Cittadini italiani – Godimento diritti civili e politici; assenza di condanne penali – Idoneità fisica – Non avere avuto rapporti di lavoro con l’ente promotore nell’anno precedente l’uscita del bando 12 mesi Assistenza; protezione civile; ambiente; patrimonio artistico e culturale;educazione e promozione culturale; servizio civile all’estero Amministrazioni pubbliche; ONG; associazioni non profit Funzioni: – accredito enti promotori – approvazione progetti enti promotori – inserimento in G.U. dei bandi dei progetti per selezione volontari – approvazione graduatoria dei volontari selezionati dagli enti promotori – incarico ufficiale ai volontari


LE PRESTAZIONI DI LAVORO GRATUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI

– pagamento compensi – rilascio attestati Trattamento economico – Compenso netto mensile di € 433,80= – Se all’estero si aggiungono: – indennità giornaliera di € 15= – contributo giornaliero per vitto e alloggio di € 20= – rimborso per vaccinazioni preventive obbligatorie (max € 150=) – rimborso dell’80% del costo per i visti d’ingresso in paesi extra UE. – Pagamento con accredito su libretto postale nominativo del volontario. Trattamento fiscale Reddito assimilato al lavoro dipendente (mod. 730 o UNICO) Se > € 2.840,51= per anno solare fa perdere la qualifica di figlio a carico Trattamento normativo – Non è un rapporto di lavoro – Non comporta la sospensione o cancellazione dalle liste di collocamento o di mobilità – È possibile avere un lavoro se non ostacola le attività e l’orario previsti dal bando Trattamento previdenziale Nulla (v. sotto) Orari del servizio Determinato dal progetto: • settimanali: minimo 30 max 36 ore • annuale: totale di 1.400 ore (almeno 12 ore settimanali). Permessi: 20 giorni totali Vantaggi generali – Crediti formativi se previsti da accordi con Università – Valutazione nei concorsi pubblici – Posti riservati (10%) per accesso ai Vigili del Fuoco e al Corpo Forestale, per servizio svolto nei settori istituzionali di tali corpi.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Per il trattamento previdenziale del Servizio Civile si segnala che, per i volontari avviati dall’1/1/2009 (v. art. 4 del D.L. 185/2008), il Fondo Nazionale del Servizio Civile ha cessato di effettuare il versamento dei contributi dovuti alla gestione separata dell’INPS (su cui v. Circ. INPS n. 55 del 30/4/2008). I volontari potranno, se lo vorranno, riscattare direttamente il periodo del servizio civile ai fini previdenziali, secondo i criteri previsti dall’INPS, versando di tasca propria l’importo dovuto, in unica rata o con 120 rate mensili senza applicazione di interessi. In sostanza con il Servizio Civile le associazioni, previo accredito presso l’Ufficio N.S.C., possono avvalersi delle prestazioni di giovani motivati per le proprie attività istituzionali, con compensi a carico dello Stato. Possono però restare a carico dell’associazione le spese di vitto e alloggio, per i volontari che prestino servizio in località diverse dalla loro residenza. 13.7 Le assenze dal lavoro del volontario: a) la protezione civile Il volontario di protezione civile può assentarsi dal lavoro subordinato, con le regole previste dal D.P.R. 8/2/2001 n. 194, sia per prestare direttamente attività di soccorso e assistenza, che per partecipare ad attività di formazione ed addestramento. I benefici competono solo ai volontari iscritti presso OdV di protezione civile, che siano a loro volta iscritte nell’elenco tenuto dall’Agenzia Nazionale di Protezione Civile. I caratteri delle assenze sono i seguenti: Requisiti soggettivi: a) volontario Segue: b) associazioni

Oggetto Durata assenza

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– Lavoratori subordinati, pubblici o privati – Iscritti ad OdV di protezione civile – OdV (iscritta o meno nel Registro Regionale) – iscritte nell’elenco nazionale tenuto dall’Agenzia Nazionale Protezione Civile – Attività di soccorso e assistenza – Attività di formazione e addestramento Attività di soccorso e assistenza: – max 30 gg. continuativi e max 90 gg. per anno – max 60 gg. continuativi e max 180 gg. nell’anno per emergenze nazionali


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Trattamento normativo Trattamento economico

Documentazione

Attività di formazione e addestramento – max 10 gg. continuativi e max 30 gg. all’anno – Mantenimento posto lavoro pubblico o privato – Copertura assicurativa dell’OdV ex L. 266/91 – Mantenimento del trattamento economico e previdenziale – Datore di lavoro ha facoltà di chiedere il rimborso del costo all’autorità di protezione civile territorialmente competente (Regione o Prefettura) – Notifica al datore di lavoro della qualifica di volontario di p.c. – Consegna al datore di lavoro dei documenti giustificativi delle assenze

I datori di lavoro possono presentare la domanda di rimborso, allegando i documenti giustificativi ed il modulo di calcolo del costo del lavoro. I lavoratori autonomi volontari delle OdV sopra indicate possono richiedere direttamente il rimborso per i giorni di assenza dal lavoro, sulla base del reddito fiscale dichiarato nell’anno precedente, rapportato a giorni e nel limite giornaliero di € 103,29= (art. 9, comma 10, DPR194/2001). In entrambi i casi le domande di rimborso vanno presentate entro i due anni successivi alle assenze. 13.8 Le assenze dal lavoro del volontario: b) il soccorso alpino Il volontario del “Corpo Nazionale del soccorso alpino e speleologico del Club Alpino Italiano” può assentarsi dal lavoro subordinato, con le regole previste dalla L. 18/2/1992 n. 162, sia per prestare direttamente attività di soccorso, che per partecipare ad attività di addestramento. I benefici competono solo ai volontari iscritti al CAI. I caratteri delle assenze sono i seguenti: Requisiti soggettivi: a) volontario Segue: b) associazione

– Lavoratori subordinati, pubblici o privati – Iscritti al CAI – Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico del CAI

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Oggetto Durata assenza

Trattamento normativo Trattamento economico

Documentazione

– Attività di soccorso alpino e speleologico – Attività di addestramento – Nei giorni in cui si svolgono le operazioni di soccorso o le esercitazioni – Il giorno successivo ad operazioni di soccorso che si siano protratte per più di 8 ore ovvero oltre le ore 24 – Mantenimento posto lavoro pubblico o privato – Copertura assicurativa del CAI – Mantenimento del trattamento economico e previdenziale – Datore di lavoro ha facoltà di chiedere il rimborso del costo all’INPS (o altro istituto di previdenza) – Notifica al datore di lavoro della qualifica di volontario di soccorso alpino CAI – Consegna al datore di lavoro dei documenti giustificativi delle assenze

Il datore di lavoro deve presentare la domanda di rimborso all’INPS entro la fine del mese successivo a quello in cui si è avuta l’assenza, allegando i documenti previsti. 13.9 L’assegnazione dei condannati L’art. 105 della L. 24/11/81 n. 689 e l’art. 54 del D. Lgs. 28/8/2000 n. 274, prevedono la possibilità per il giudice di convertire taluni tipi di pena in giornate di “lavoro di pubblica utilità”, come disciplinato dal regolamento ex D.M. 26/3/2001. In sostanza il condannato può chiedere di scontare tali tipi di pena prestando una “attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale o di volontariato”. I settori di intervento sono di tipo assistenziale, di protezione civile, di tutela ambientale, culturale, ecc. (v. elenco ex art. 1 D.M. 26/3/2001). Le OdV che vogliono accogliere tali persone devono stipulare delle convenzioni con gli organi del Ministero della Giustizia. Questo tipo di lavoro non può essere inferiore a dieci giorni né superiore a sei mesi. Ai fini del computo della 282


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pena un giorno di lavoro consiste nella prestazione di almeno due ore di lavoro. L’attività non può coprire oltre 6 ore alla settimana e si deve svolgere nella provincia in cui risiede il condannato e si deve svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. 13.10 L’esonero dal servizio dei dipendenti pubblici 13.10.1 Caratteri generali L’art. 72 del D.L. 112/08 ha introdotto in una parte rilevante del pubblico impiego il nuovo istituto dell’”esonero dal servizio” che può, a determinate condizioni, coinvolgere le organizzazioni di volontariato. In sostanza il dipendente pubblico che abbia raggiunto i 35 anni di anzianità contributiva può chiedere di essere esonerato dal servizio per i successivi 5 anni fino alla pensione, mantenendo una retribuzione pari al 50% di quella goduta, che viene aumentata al 70% se il dipendente si impegna presso organizzazioni di volontariato. L’amministrazione pubblica versa comunque i contributi previdenziali dovuti. L’istituto dell’esonero ha i seguenti caratteri di fondo (v. circ. 10 del 20/10/2008 Presidenza C.M.): Cos’è l’esonero L’esonero consiste nella sospensione dal servizio per un periodo massimo di 5 anni. Chi può chiedere l’esonero Dipendenti che hanno maturato almeno 35 anni di anzianità di servizio a prescindere dall’età anagrafica. Vale per i dipendenti delle: – amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, – agenzie fiscali, – Presidenza del Consiglio dei Ministri, – enti pubblici non economici, – università, – istituzioni ed enti di ricerca – enti di cui all’art. 70 comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165. È escluso il personale della scuola. 283


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Quanto dura l’esonero L’esonero è valido solo per le domande presentate nei tre anni: 2009, 2010, 2011. Quali sono le finalità dell’esonero Serve alle amministrazioni per ridurre il personale in servizio. La procedura per chiedere l’esonero La domanda – irrevocabile – deve essere presentata entro il 1° marzo di ciascun anno. L’amministrazione può o meno accogliere la richiesta sulla base delle proprie esigenze funzionali ed organizzative. Trattamento economico durante l’esonero Il dipendente durante l’esonero percepisce un trattamento economico temporaneo pari al 50% di quello complessivamente goduto per competenze fisse ed accessorie al momento del collocamento nella posizione di esonero e matura i contributi in misura intera. Il trattamento economico temporaneo, una volta determinato, resta fissato nella misura spettante per tutto il periodo di esonero, senza subire rivalutazioni per effetto dei rinnovi contrattuali relativi a periodi successivi al momento di collocamento in posizione di esonero. Esonero e altre forme di lavoro L’esonero dal servizio non consente l’instaurazione di rapporti di lavoro dipendente con soggetti privati o pubblici. Conseguentemente, viene esclusa la possibilità di cumulo di impieghi. Durante tale periodo il dipendente può svolgere prestazioni di lavoro autonomo con carattere di occasionalità, continuatività e professionalità purché non a favore di amministrazioni pubbliche o società e consorzi dalle stesse partecipati. È vietato anche lo svolgimento di tali prestazioni tramite soggetti diversi dalle persone fisiche, come ad esempio tramite le società di consulenza e le associazioni. Esonero e volontariato È consentito - ed anzi incentivato - lo svolgimento dell’attività di volontariato: in questo caso la misura del trattamento economico temporaneo è elevata dal cinquanta al settanta per cento, nel presupposto che l’attività svolta sia prestata a titolo gratuito. Quando finisce l’esonero Al momento della pensione per raggiunti limiti di età il dipendente ha diritto al trattamento di quiescenza e previdenza che sarebbe spettato se fosse rimasto in servizio.

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13.10.2 Gli enti non profit interessati Il dipendente pubblico deve quindi valutare se gli interessa il nuovo istituto dell’esonero dal servizio e fare domanda entro l’1/3 di ogni anno, nel triennio 2009/2011, a decorrere da quello in cui raggiunge il 35° anno di anzianità contributiva. Si è visto che il coinvolgimento in attività di volontariato consente al dipendente pubblico di aumentare dal 50% al 70% il trattamento economico. L’attività di “volontariato” deve avvenire presso taluni enti non profit con i seguenti criteri: Oggettivo Soggettivo

– In modo continuativo ed esclusivo – Documentato e certificato – ONLUS – Associazioni di promozione sociale – ONG – Altri enti inseriti in un prossimo D.M. MEF

Si noti che le OdV non sono indicate in modo esplicito, ma tramite il riferimento alle ONLUS. Il riferimento al carattere di “esclusività” della prestazione di volontariato sembra contrastare con la possibilità data agli esonerati di svolgere taluni tipi di attività di lavoro autonomo a titolo oneroso. Dato anche l’aumento del trattamento economico dal 50% al 70% è probabile che la norma vada intesa nel senso che chi opta per il volontariato non deve svolgere le attività autonome, mentre tale facoltà resta immutata per chi non opta. Le associazioni destinatarie di tale prestazione di volontariato devono essere in grado di documentare e certificare che l’impegno svolto dall’esonerato è “continuativo ed esclusivo”, in quanto l’aumento del trattamento economico compete all’esonerato solo per il periodo in cui vi è non solo la prestazione di volontariato in sé considerata, ma anche se questa mantiene i suddetti caratteri. È evidente che l’associazione si carica di una responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione di appartenenza dell’esonerato. Tutta la materia sarà sicuramente analizzata nel prossimo futuro.

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13.11. I tirocini formativi e di orientamento I tirocini formativi e di orientamento sono disciplinati dal D.M. 25/3/98 n. 142 e la loro funzione è quella di “realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro nell’ambito dei processi formativi e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro “(art. 1 D.M. 142). In sostanza i vantaggi dei soggetti coinvolti sono i seguenti: a) lo studente conosce direttamente il mondo del lavoro e integra la sua preparazione scolastica teorica; b) il datore di lavoro entra a contatto con soggetti potenzialmente idonei/interessati ad inserirsi, nel futuro nella propria organizzazione. Il tirocinio non è un rapporto di lavoro dipendente. I tirocini: a) sono promossi dalle scuole o università, dagli enti preposti al governo del mercato del lavoro e da altri enti indicati dal D.M. 142; b) sono formalizzati in una convenzione con il datore di lavoro. Il numero dei tirocinanti ospitabili da un datore di lavoro è riferito al numero dei suoi dipendenti a tempo indeterminato (5 dipendenti 1 tirocinante, ecc.). La durata del tirocinio è definita dalla convenzione, nel rispetto di limiti massimi previsti dal D.M. 142/98 (4 mesi per allievi di scuole superiori, 12 mesi per studenti universitari, ecc.). La copertura INAIL è a carico dei soggetti promotori; il datore di lavoro non ha oneri a suo carico. Se lo desidera può erogare una borsa di studio (v. oltre).

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14. Le prestazioni di lavoro retribuito a favore delle associazioni: il lavoro subordinato

14.1 Il lavoro subordinato 14.1.1 Caratteristiche L’art. 2094 del Codice Civile definisce il prestatore di lavoro subordinato come “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Ai nostri fini il riferimento all’imprenditore va inteso in senso lato ad un generico “datore di lavoro”.

Le caratteristiche del lavoro subordinato sono, in sintesi, le seguenti: fondamentali

secondarie

sottoposizione al potere direzionale del datore di lavoro sottoposizione al potere disciplinare del datore di lavoro; onerosità del rapporto (si presume sempre a pagamento) Orario di lavoro prestabilito Tipologia di lavoro prestabilito (mansioni o qualifiche) assenza di rischi economici in capo al lavoratore (la retribuzione rappresenta sempre un credito verso il datore di lavoro) Obbligo di fedeltà e correttezza

Come si vedrà meglio in seguito, quello che contraddistingue il lavoro subordinato è la concreta modalità di esecuzione del lavoro. In sostanza il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro che gli organizza il lavoro in tutti gli aspetti: cosa fare, con quali strumenti, in quale luogo, ecc.. Si usa dire che questo tipo di lavoro è una obbligazione di “mezzi” e non di “risultato”, come invece avviene per il lavoro autonomo.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

14.1.2 Le fonti normative Il lavoro subordinato nei suoi aspetti sostanziali è regolato da una fitta serie di norme: a) codice civile e svariate leggi speciali; b) i contratti collettivi (CCNL); c) il contratto di lavoro individuale (a contenuto formale per le qualifiche ordinarie e a contenuto molto sostanziale per i dirigenti e simili). Varie leggi e prassi amministrative disciplinano gli aspetti previdenziali ed infortunistici.Questo insieme di norme/regole coprono tutti gli aspetti del rapporto di lavoro: costituzione, modalità di svolgimento, diritti e doveri del lavoratore e del datore di lavoro, ferie e permessi, legislazione a tutela delle donne e dell’infanzia, infortuni, pensione, sostegni per la perdita del lavoro, ecc.. Ad oggi esistono taluni contratti collettivi specifici per alcuni settori del non profit (es. ANPAS, ANFFAS, COOP. SOCIALI, ecc.), per cui negli altri casi verrà applicato il CCNL previsto per le imprese operanti nello stesso settore: scuole private (laiche o religiose), del commercio (per i servizi generici), ecc.. Manca una legislazione organica specifica che tenga conto delle caratteristiche operative di questi enti non profit, ad esempio in materia di orari (ordinari/straordinari), di rapporto con l’eventuale pensione percepita ad altro titolo o di costi. Vi sono solo alcune norme sparse che prevedono deroghe al trattamento comune (licenziamento individuale libero, assenza della tutela reale).

14.1.3 Vincoli per le OdV e per le ONLUS Prima di addentrarci nella materia è bene ricordare che, in base alla L. 266/91, il lavoratore subordinato non può essere contemporaneamente socio della OdV, mentre non esiste tale vincolo per gli altri tipi di associazioni. L’art. 10, comma 1, del D.LGS. 460/97 vieta alle ONLUS (e tali sono anche le OdV iscritte nel Registro Regionale) di distribuire utili o avanzi di gestione, sia direttamente che indirettamente (cioè con forme elusive). Il 6° comma di tale articolo esplicita alcune ipotesi di distribuzione “indiretta” di utili, tra cui qui interessa quella della lettera E): “la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del 20% rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche.”.

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LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO SUBORDINATO

Per le qualifiche che prevedono differenze retributive su base territoriale la C.M. 168/1998 consente di fare riferimento alla media su base nazionale.

Questo limite è riferito al singolo dipendente e non alla massa dei dipendenti, per cui non è possibile compensare l’aumento del 30% dato ad un dipendente con l’aumento del 10% dato ad un altro dipendente e dire che si è rimasti nel limite del 20%. Questo limite può creare dei problemi per le qualifiche di medio/alto livello per cui è frequente la stipula di contratti di lavoro individuali. Tuttavia può capitare di superare detto limite anche per i dipendenti “normali”, in presenza di erogazione di “superminimi” ad personam, specie nei periodi “vuoti” in attesa del rinnovo contrattuale. Il mancato rispetto di tale norma potrebbe causare danni gravissimi all’ente, in quanto il fisco potrebbe dichiarare la decadenza dalla qualifica di ONLUS dell’ente, con l’obbligo di devolvere gratuitamente ad altre ONLUS il patrimonio sociale. Inoltre, ex art. 28, il Presidente e tutti i membri del consiglio direttivo sarebbero soggetti ad una sanzione da € 1.032,91= a € 6.197,48=. Resta aperta la possibilità di chiedere al fisco la disapplicazione di questa norma (di natura antielusiva), svolgendo la relativa procedura (v. art. 37-bis D.P.R. 600/73). Si ricorda che l’Agenzia delle Entrate ritiene che le norme antielusive in materia di ONLUS definiscano dei principi validi per identificare in generale il concetto di “assenza di scopo di lucro” ai fini fiscali. Ciò consiglia cautela per tutte quelle associazioni che utilizzano il regime agevolato della c.d. “de-commercializzazione” nei rapporti a denaro con i soci (art. 148 TUIR), alle quali il fisco in sede di controlli potrebbe applicare il vincolo in esame. 14.1.4 Il cumulo con la pensione Spesso le associazioni si trovano a dover retribuire persone che hanno già la pensione e che potrebbero avere dei riflessi negativi dalla presenza di ulteriori redditi. Dall’1/1/2009 i redditi di pensione sono totalmente cumulabili con i redditi di lavoro dipendente o di lavoro autonomo (art. 19 L. 133/2008). Non godono di tale favore le pensioni di invalidità e quelle godute dai coniugi superstiti (c.d. reversibilità). I titolari di pensione di invalidità sono soggetti ad un regime di cumulo che si traduce in un doppio prelievo se svolgono un’attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa sopra un determinato limite.

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La prima trattenuta decurta l’assegno di invalidità del 25% o del 50% a seconda che i redditi del nuovo lavoro superino rispettivamente di 4 volte o di 5 volte il trattamento minimo dell’INPS (variabile per anno: nel 2008 era di € 5.760,56=). La seconda trattenuta scatta se la parte restante dell’assegno supera il trattamenti minimo dell’INPS. In tal caso la trattenuta è conteggiata con due parametri: a) se la pensione è stata maturata con almeno 40 anni di contributi non vi è alcuna trattenuta; b) in caso contrario vi è una trattenuta del 30% della quota eccedente il trattamento minimo per il reddito di lavoro autonomo o del 50% per il reddito di lavoro dipendente. Per i superstiti la trattenuta sulla pensione riguarda tutti gli altri redditi posseduti (di lavoro o di altro tipo) e varia dal 25%, al 40% al 50% in funzione dei loro importi, calcolati in misura multipla (3,4,5) del trattamento minimo INPS sopra indicato. 14.2 La costituzione, gestione e risoluzione del rapporto di lavoro 14.2.1 La costituzione del rapporto di lavoro I datori di lavoro sono tenuti a dare comunicazione della assunzione al Centro per l’Impiego, entro il giorno antecedente a quello di instaurazione del rapporto, mediante sistemi telematici, con talune deroghe. Da comunicare

Escluse

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• Lavoro subordinato • co.co. a progetto • mini co.co. senza obbligo di progetto • soci lavoratori di cooperativa • associato in partecipazione con apporto di solo lavoro • tirocini di formazione e di orientamento • borse lavoro • borse post dottorato di ricerca • le prestazioni dei professionisti iscritti negli albi • le prestazioni di lavoro autonomo con P.IVA soggetti alla gestione separata INPS, • le prestazioni di lavoro autonomo occasionale (sia di tipo accessorio che normale) • i tirocini di alternanza scuola/lavoro, • i tirocini presso gli studi professionali


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La comunicazione è unica ed è valida anche ai fini dell’INPS e dell’INAIL, della Prefettura (per gli extra comunitari) e dell’ENPALS (per i lavoratori dello spettacolo). La comunicazione va ripetuta in caso di proroga o di trasformazione del tipo legale del contratto di lavoro (es. da apprendistato a contratto normale) o di cessazione del rapporto. All’inizio del rapporto va stipulato il contratto individuale di lavoro, che in genere specifica le mansioni, l’orario e l’inquadramento in base allo specifico CCNL, con richiamo alle condizioni normative ed economiche ivi previste; qui va eventualmente indicato l’aumento “ad personam” della retribuzione base. 14.2.2 Il Registro Infortuni ed il nuovo Libro Unico del Lavoro Il datore di lavoro deve attivare il Registro Infortuni ed il Libro Unico del Lavoro. a) Registro Infortuni Il Registro Infortuni va vidimato dalla ASL ed in esso vanno riportati cronologicamente tutti i dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportano un’assenza di almeno un giorno. Esistono altri libri da tenere in funzione dei vari settori di attività del datore di lavoro: registro visite mediche preventive e periodiche, registro dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni e mutageni, registro degli addetti ad attività comportanti l’uso di agenti biologici particolari, ecc.

I datori di lavoro devono inoltre redigere il documento sulla valutazione del rischio ambientale; sono esclusi i datori di lavoro che occupano fino a 10 dipendenti, che si limitano ad autocertificare per iscritto l’avvenuta valutazione dei rischi e l’adempimento degli obblighi di legge, inviando il documento al rappresentante per la sicurezza. b) L.U.L. La L. 6/8/2008 n. 133 ha abolito il libro matricola ed il libro paga, istituendo il Libro Unico del Lavoro (L.U.L.), che è entrato a regime dalle retribuzioni di gennaio 2009, con prima scadenza operativa al 16/2/2009. I dati salienti del LUL sono i seguenti (per approfondimenti si vedano: artt. 39 e 49 L. 133/2998, D.M. Lavoro 9/7/2008, circ. Min. Lavoro n. 20/2008, Vademecum Min. Lavoro 5/12/2008): 291


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Soggetti obbligati

• Tutti i datori di lavoro privati • Esclusi datori di lavoro domestico Lavoratori • Lavoratori subordinati • Lavoratori somministrati • Lavoratori distaccati • Co.co. con o senza progetto • Mini co.co. senza progetto • Associati in partecipazione con apporto di lavoro Tenuta • Unico per il datore di lavoro • No a mano; solo sistemi meccanografici o elettronici • Pagine numerate • Conservato presso la sede legale o presso il servizio paghe Dati • Dati anagrafici lavoratore • Dati inquadramento (qualifica e livello) • Dati fissi (retribuzione base, anzianità) • Dati previdenziali (posizioni INPS INAIL) • Dati periodici (presenze, assenze, retribuzioni, rimborsi spese) Termini registrazione Entro il 16 del mese successivo Termini conservazione 5 anni Un’associazione sarà quindi tenuta ad attivare il L.U.L. solo in presenza di uno o più dei rapporti di lavoro sopra indicati e con esclusivo riferimento a tali rapporti e non ad altri. In sostanza: a) un’OdV (o una APS) che abbia solo volontari non deve attivare il L.U.L.; b) un’OdV (o una APS) che abbia anche lavoratori subordinati o co.co. deve attivare il L.U.L. solo per queste figure, senza inserire i dati dei volontari (es. rimborsi spese). Un caso molto particolare è quello delle associazioni che erogano un compenso al Presidente o ai membri del C.D.: in questo caso il rapporto è considerato co.co. senza obbligo di progetto, per cui occorre attivare il L.U.L.. Ovviamente sono previste sanzioni per le violazioni (mancata istituzione, mancata registrazione, ecc.) per cui occorre affidarsi ad un valido servizio paghe.

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LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO SUBORDINATO

14.2.3 Inquadramento e trattamento economico I lavoratori subordinati sono divisi in quattro macro categorie: a) Dirigenti b) Quadri c) Impiegati d) Operai. All’interno di ogni categoria al lavoratore subordinato deve essere assegnata una mansione ed un livello, come previsti dai CCNL, generalmente in base ai titoli di studio e alle qualifiche possedute. La determinazione delle mansioni/livello all’atto dell’assunzione è importante: l’’eventuale utilizzo per mansioni superiori a quelle di contratto per oltre 3 mesi dà diritto al lavoratore di chiedere il consolidamento della nuova qualifica, a tutti gli effetti (retribuzione e diritti patrimoniali in genere). È invece vietato il c.d. “demansionamento”, cioè l’assegnazione a mansioni inferiori, salvo il caso di procedure di mobilità nell’ambito delle crisi aziendali, in cui al “demansionamento” si affianchi comunque la tutela del posto di lavoro, seppure di livello inferiore al precedente. Al lavoratore deve, inoltre, essere assegnato un orario di lavoro, nel limite massimo previsto dalla legge (40 ore/settimanali) o, se inferiore, dai vari CCNL. Oltre tale orario scatta lo “straordinario”, che comunque non può superare i limiti quantitativi previsti dal CCNL: per tali ore aggiuntive scatta anche un aumento del trattamento economico (retribuzione e contributi). La distribuzione dell’orario nell’arco della giornata e/o della settimana è definita dal datore di lavoro, nel rispetto dei vincoli e delle procedure fissate dai CCNL. Per i volontari delle OdV (art. 17 L. 266/91) e delle APS (art. 19 L. 383/2000) i CCNL possono prevedere particolari criteri per usufruire della facoltà di chiedere la flessibilità dell’orario di lavoro e delle turnazioni.

Ai vari livelli di inquadramento corrispondono diversi livelli di retribuzione, con tutte le voci previste dai CCNL: retribuzione base, vari tipi di indennità (di turno, di cassa, per lavori disagiati, ecc.), scatti di anzianità, premi di produzione, straordinari di vario tipo, ecc.. Alla retribuzione corrente si aggiunge il t.f.r., da pagare al termine del rapporto di lavoro. Occorre prestare attenzione al fatto che il costo totale dei lavoratori dipenden-

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ti comprende anche le ferie, i permessi ed il tfr e che, per determinare il costo orario medio, occorre considerare le ore effettivamente lavorate in un anno medio. Ad esempio per il CCNL “commercio”, generalmente applicato alle associazioni generiche, un’impiegata d’ordine al 5° livello (la classica segretaria) avrà i seguenti costi (ipotesi di ragazza senza carichi di famiglia, orario pieno 40 ore/settimana): stipendio netto al mese: € 1.013,00= stipendio netto annuo (€ 1.013 x 14)= € 14.182,00= TFR € 1.344,00= Contributi e IRPEF a carico lavoratore € 3.962,00= Contributi a carico dat. di lavoro € 5.240,00= COSTO TOTALE IMPIEGATA € 24.728,00= Ore mediamente lavorate in un anno: 1.680= circa Costo medio orario: (€ 24.728: 1.680) = € 14,72 Si vede che il rapporto tra costo totale e paga netta (stipendio + tfr) è di 1,60= circa: per dare € 100 netti al lavoratore il datore di lavoro ne mette in bilancio € 160=. Il costo del servizio paghe per una dipendente (buste mensili, invii telematici, dichiarazioni varie) può essere di € 400/500= circa all’anno (+ IVA). A tali costi vivi va aggiunta l’IRAP 3,9%, salvo esenzioni, che viene calcolata con deduzioni e criteri diversi per il settore istituzionale e quello commerciale. Nel nostro esempio, per il settore istituzionale, con aliquota piena, l’IRAP sarebbe pari a circa € 300= per anno. In sostanza, nel nostro esempio, il servizio paghe e l’IRAP graverebbero per circa € 0,50= per ogni ora di lavoro.

Per quanto riguarda il t.f.r. si segnala che i dipendenti possono optare per il conferimento dello stesso agli appositi fondi previdenziali: in tal caso le quote vengono versate ogni mese. Nel caso contrario il t.f.r. resta un debito a lungo termine del datore di lavoro. I dipendenti che hanno maturato almeno 8 anni di anzianità possono chiedere al datore di lavoro delle anticipazioni per i casi previsti dalla legge (spese mediche straordinarie, acquisto prima casa di abitazione per sé o per i figli, completamento degli studi superiori o universitari). Per

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trovare copertura finanziaria a questo debito le associazioni possono optare per varie soluzioni: a) stipulare polizze assicurative b) acquistare titoli c) versare acconti al dipendente. Questa ultima possibilità discende dall’art. 2120, 11° comma, C.C., per cui “condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali.”. Quindi è consentito stipulare apposito patto con il lavoratore dipendente (che deve essere consenziente) e versare degli anticipi in corso del rapporto (ad esempio ogni mese o ogni anno). Resta fermo che il conteggio del t.f.r. sarà comunque effettuato totalmente alla cessazione del rapporto, con tutti i criteri del caso, detraendo gli acconti versati. Questo aspetto è particolarmente importante per chi subentra nella carica di Presidente di un’associazione con dipendenti, perché risponde personalmente dell’intero debito per t.f.r. del dipendente che cessa il rapporto e non solo di quello che è maturato da quando ha assunto la carica.

14.2.4 Obblighi e diritti delle parti Il datore di lavoro ha il potere direttivo, con connessi poteri strumentali di controllo e vigilanza, e il potere disciplinare. Il potere direttivo inerisce alle modalità di organizzazione ed esecuzione del lavoro, che rientra nella discrezionalità tecnica del datore di lavoro. I poteri di controllo e vigilanza sono limitati dalla legge e dai CCNL, con particolare riferimento alla presenza di guardie giurate, di servizi di ripresa a distanza o in materia di privacy. Il potere disciplinare del datore di lavoro consiste nella possibilità di censurare le inadempienze del lavoratore secondo i criteri previsti dai CCNL, partendo dalla semplice ammonizione fino ad arrivare al licenziamento disciplinare (c.d. licenziamento “in tronco”). Il lavoratore ha vari obblighi: diligenza, obbedienza, fedeltà (che comprende il dovere di riservatezza e il divieto di concorrenza). In generale il rapporto di lavoro deve svolgersi con forme idonee a tutelare l’integrità psicologica del lavoratore, con divieto di atti discriminatori di ogni tipo (dal “mobbing” a vere e proprie discriminazioni sessuali, etniche, religiose, ecc.).

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14.2.5 La risoluzione del contratto di lavoro Il rapporto di lavoro cessa con le dimissioni del lavoratore, sempre possibili in ogni momento, previo preavviso, nei termini indicati dal CCNL in funzione della qualifica. Il datore di lavoro, a prescindere dal numero degli addetti, può licenziare il dipendente solo in presenza di giusta causa o di giustificato motivo (soggettivo o oggettivo). In assenza di tali elementi il licenziamento può essere impugnato dal dipendente, con diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (c.d. tutela reale), per datori di lavoro che abbiano oltre 15 addetti, e/o con il diritto ad un risarcimento monetario. Per le associazioni si segnala che, in base all’art. 4 della L. 108/1990, possono essere risolti, senza la presenza degli elementi sopra indicati, i rapporti di lavoro a tempo indeterminato svolti alle dipendenze di soggetti non imprenditori, che svolgono senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione o di culto. Potrebbe essere il caso di OdV o di altre associazioni che non svolgano assolutamente attività di tipo “commerciale”.

È inoltre generalmente libero il licenziamento durante la fase iniziale di “prova”. La “giusta causa” (art. 2119 C.C.) consiste in un fatto “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro”. In sostanza il comportamento del lavoratore deve essere talmente grave da far venire meno la fiducia su cui è basato il rapporto di lavoro, sia per fatti inerenti il modo di svolgere il lavoro che anche per fatti extra lavorativi, ma che possono avere gravi riflessi sul lavoro, sui clienti e sugli altri dipendenti. Esempi: furti sul lavoro di beni o documenti, ingiustificato abbandono del posto di lavoro, uso privato di beni aziendali (es. il cellulare), risse con altri lavoratori, presentarsi al lavoro ubriachi o gravemente alterati, condanne penali, ecc..

Il giustificato motivo è previsto dall’art. 3 della L. 604/1966 e può essere: a) Soggettivo: un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”; b) Oggettivo: per “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

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Rientra nel primo caso lo “scarso rendimento”, mentre nel secondo rientrano la soppressione dei posti di lavoro, anche per sopravvenuta terziarizzazione di taluni reparti o servizi.

Ovviamente grava sul datore di lavoro la puntuale motivazione del licenziamento, seguendo le formalità prescritte dalla legge e dal CCNL. 14.3 I principali tipi legali di lavoro subordinato 14.3.1 La complessità del molteplice Nel nostro ordinamento vigono vari “tipi legali” di rapporti di lavoro subordinato, legati a vari fattori, qui sommariamente riassunti: Durata del contratto Durata orario di lavoro Modi del lavoro Ciclo del lavoratore

Tempo indeterminato/a termine Tempo pieno/part time “Normale”; Somministrazione; Ripartito; Intermittente Alternanza scuola/lavoro Primo inserimento nel mercato del lavoro: – formazione – apprendistato Ristrutturazioni aziendali Perdita del lavoro (mobilità, riconversione)

È noto che il nostro ordinamento (e gli organi di vigilanza) considerano “normale” il contratto di lavoro a tempo indeterminato, tipicamente a tempo pieno. Su questo contratto non ci si sofferma in quanto ampiamente noto. 14.3.2 Apprendistato L’apprendistato è un contratto di lavoro subordinato c.d. “a causa mista”; in sostanza il datore di lavoro è tenuto ad impartire al giovane l’addestramento necessario per cui questi possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato. L’obbligo di formazione, ulteriore rispetto al mero obbligo di prestare la propria opera, è disciplinato da varie norme regionali, che ne prevedono tempi e modalità (numero di ore, formazione interna o presso enti accreditati, ecc.). La ma-

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teria è stata recentemente rivista in accordo con le varie ipotesi di riforma del percorso scolastico dei giovani. In generale vi sono tre tipi di apprendistato: a) per l’espletamento del diritto/dovere di istruzione e formazione; b) professionalizzante; c) per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. Il primo tipo ha lo scopo di far conseguire al giovane un titolo di studio, per cui si tratta di un percorso alternativo alla formazione scolastica “normale”, ma integrativo dell’obbligo formativo. In sostanza si tratta di uno strumento per combattere la c.d. “dispersione scolastica” di quei giovani che non hanno l’intenzione di proseguire gli studi “normali”. Sono interessati i giovani che abbiano compiuto 16 anni e per una durata non superiore a 3 anni, con il conseguimento finale di una qualifica professionale spendibile sul mercato del lavoro. Questo tipo di apprendistato non va confuso con l’alternanza scuola lavoro vista nel capitolo precedente, che riguarda giovani non in “dispersione scolastica”.

Il secondo tipo è quello “ordinario”: possono essere assunti i giovani di età compresa tra i 18 ed i 29 anni, con contratti aventi durata da un minimo di 2 anni ad un massimo di 6 anni, secondo le previsioni delle varie leggi regionali e di CCNL applicabili al settore. Il terzo tipo si applica ai giovani di età compresa tra i 18 ed i 29 anni e deve essere finalizzato al conseguimento di un diploma o di una laurea. In generale per i rapporti di apprendistato: a) ogni datore di lavoro può assumere un numero limitato di apprendisti, da 3 fino al massimo del totale dei lavoratori subordinati qualificati o specializzati a tempo indeterminato; b) i contributi INPS sono ridotti al 15,84% (10% a carico del datore di lavoro e 5,84% a carico dell’apprendista), con riduzioni per i primi 24 mesi. 14.3.3 Contratto d’inserimento L’art. 54 del D. Lgs. 276/03 ha sostituito il precedente contratto di “formazione e lavoro” con il nuovo “contratto d’inserimento”, che ne mantiene la natura “mista”. Esso è il contratto diretto a realizzare, mediante un progetto in-

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dividuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo, l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di alcune categorie di lavoratori. Il contratto di inserimento può essere stipulato dalle seguenti categorie di soggetti (nel senso che ogni tipo di datore di lavoro può assumere ogni tipo di lavoratore): Datori di lavoro Enti pubblici economici imprese, gruppi di imprese, consorzi associazioni professionali, socio-culturali, sportive, fondazioni Enti di ricerca

associazioni di categoria

Lavoratori Giovani tra i 18 e i 29 anni Disoccupati di lunga durata (da 29 a 32 anni) Lavoratori >50 anni, disoccupati o in procinto di perdere il posto di lavoro Persone che intraprendono o riprendono un’attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno 2 anni • Donne residenti in zone con: • tasso di occupazione femminile < 20% di quello maschile • tasso di disoccupazione femminile > 10% di quello maschile • Persone con grave handicap fisico, mentale, psichico

Il contratto di inserimento ha le seguenti caratteristiche: a) deve essere redatto con la forma scritta; b) deve contenere il progetto individuale di inserimento, con l’indicazione della qualifica da raggiungere e con il percorso formativo da seguire, sia presso il datore di lavoro che presso gli enti di formazione accreditati; c) è naturalmente a termine (da 9 mesi a 18 mesi, 36 per gli hc.), senza obbligo di specificare le esigenze tecniche, organizzative,produttive o sostitutive del datore di lavoro; d) può essere a tempo pieno o parziale; e) la facoltà di stipula di questo contratto non è esercitatile dai datori di lavo-

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ro che non abbiano mantenuto in servizio almeno il 60% dei precedenti lavoratori il cui contratto di inserimento sia scaduto nei 18 mesi precedenti (salvo dimissioni e altri casi particolari). Vi sono benefici normativi ed economici; nel caso di assunzione di giovani tra i 18/29 anni si applicano solo i benefici normativi. Il principale beneficio normativo consiste nella possibilità di inserire il lavoratore in una categoria più bassa (max 2 livelli) rispetto a quella effettivamente spettante, con conseguente applicazione di livelli retributivi inferiori. I benefici economici si sostanziano in uno sgravio dei contributi dovuti, con alcune differenze: a) datori di lavoro non imprese: sgravio del 25% se ubicati nel Centro Nord e del 50% se ubicati nel Mezzogiorno; b) datori di lavoro imprese: sgravio del 25% se ubicati nel Centro Nord, contributi ridotti al 10% (come per gli apprendisti) se ubicati nel Mezzogiorno. Altri benefici possono essere legati alle varie leggi regionali. Il contratto di “reinserimento”, previsto dall’art. 20 della L. 223/91, è simile a quello sopra indicato, ed è riservato ai lavoratori che fruiscono del trattamento di disoccupazione da almeno 12 mesi. 14.3.4 Contratto a termine Il contratto di lavoro dipendente a termine (D. Lgs. 6/9/2001 n. 368 e s.m.) è considerato un’eccezione rispetto al contratto a tempo indeterminato, per cui la sua stipula è vincolata alla sussistenza di particolari situazioni del datore di lavoro e/o del lavoratore. Il datore di lavoro può ricorrere a questo contratto in presenza di queste condizioni alternative: a) ragioni oggettive di carattere tecnico, produttivo, organizzativo; b) per sostituire personale che si assenti dal lavoro con diritto al mantenimento del posto (maternità e altri tipi di congedo). Il contratto deve risultare da documento scritto con evidenza della “ragione oggettiva” o della sostituzione. Questo contratto non può essere utilizzato a danno dei lavoratori, per cui: a) non possono essere sostituiti lavoratori in sciopero; b) non può sussistere se nei 6 mesi precedenti vi sia stato un licenziamento collettivo di lavoratori adibiti alle stesse mansioni oppure se sia in corso la cassa di integrazione salariale per lavoratori adibiti alle stesse mansioni; 300


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c) non è ammesso nelle imprese in cui non sia stata effettuata la valutazione dei rischi ex D. Lgs. 626/94 (ora D. Lgs. 81/2008). Il contratto ha i seguenti caratteri di fondo: a) non può avere una durata superiore a 36 mesi, anche in virtù di eventuali rinnovi; b) i CCNL possono porre limiti quantitativi rispetto alla forza lavoro occupata dal datore di lavoro, con limiti ed eccezioni diverse anche per zone geografiche; c) il lavoratore che ha lavorato per oltre 6 mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi con riferimento alle mansioni già espletate; d) si applicano tutti gli istituti tipici del lavoro a tempo indeterminato; e) in caso di violazione di forme, termini e altri caratteri il rapporto viene riqualificato come a tempo indeterminato. 14.3.5 Part time Il contratto a tempo parziale costituisce una delle modalità in cui può essere configurato il contratto di lavoro subordinato, sia a tempo indeterminato che a termine. Esso risponde alle esigenze sociali di riuscire ad equilibrare il tempo dedicato al lavoro rispetto al tempo assorbito da altri impegni (familiari o di altro tipo). In particolare si tratta di un contratto con orario di lavoro ridotto rispetto a quello “normale” di 40 ore previsto dalla legge o quello inferiore eventualmente previsto dal CCNL di settore. Il minor orario può essere distribuito sulla settimana lavorativa in diversi modi, dando luogo a: a) part time orizzontale: la riduzione avviene in relazione al normale orario giornaliero (es. solo la mattina); b) part time verticale: l’orario è a tempo pieno, ma limitato ad alcuni giorni (es. solo lunedì e martedì); c) part time misto: l’orario risulta da una combinazione dei criteri visti sopra (es. comprende giorni a tempo pieno e giorni a tempo ridotto). Il contratto deve essere redatto in forma scritta con espressa indicazione dell’orario di lavoro pattuito; la legge limita la possibilità per il datore di lavoro di chiedere al lavoratore ore di lavoro supplementari o straordinarie. Il lavoratore può, se vuole, avere più contratti di part time, con diversi datori di lavoro, nel limite massimo dell’orario di lavoro previsto per legge o per CCNL. 301


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Al lavoro part time si applicano tutti gli istituti previsti per il lavoro a tempo pieno, proporzionandoli all’orario di lavoro svolto. Il rapporto di lavoro a tempo pieno può essere trasformato a part time, con diritto di precedenza del lavoratore nelle successive assunzioni a tempo pieno per l’espletamento delle stesse mansioni. Viceversa il datore di lavoro che vuole assumere personale part time deve darne informazione al personale a tempo pieno occupato in unità produttive poste nello stesso ambito comunale ed a valutare le eventuali richieste di passare al part time. Occorre considerare che esistono dei minimi di orario settimanale per godere appieno degli assegni familiari (24 ore) o di ammontare minimo della retribuzione ai fini dell’accredito delle corrispondenti settimane lavorative ai fini pensionistici. 14.3.6 Lavoro ripartito (job sharing) È un particolare tipo di rapporto a part time in cui due o più lavoratori assumono in solido l’obbligo di adempiere ad un’unica obbligazione lavorativa verso lo stesso datore di lavoro (art. 41 e ss. D. Lgs. 276/2003). Il contratto deve essere redatto in forma scritta, indicando i soggetti, l’orario di lavoro complessivo e le percentuali attribuite presuntivamente ai vari lavoratori. I lavoratori sono liberi di determinare e modificare nei loro rapporti interni tempi e modalità della prestazione lavorativa, comunicando l’orario al datore di lavoro con un preavviso almeno settimanale. Il datore di lavoro deve, comunque ricevere l’intera prestazione lavorativa pattuita, da uno o da tutti i lavoratori impegnati in solido. Questo tipo di lavoro può essere applicato in tutti i settori. Le regole del lavoro ripartito sono le stesse applicabili al part time; il calcolo delle retribuzioni, dei contributi e delle ritenute fiscali è effettuato mese per mese, con riferimento alle ore e alle retribuzioni effettivamente spettanti, salvo conguaglio a fine anno. 14.3.7 Lavoro intermittente o a chiamata Il contratto di lavoro intermittente (o a chiamata) (art. 33 ss. D. Lgs. 276/2003) è un contratto di lavoro subordinato mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro per svolgere: 302


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a) determinate prestazioni di carattere discontinuo o intermittente (come individuate dalla contrattazione collettiva nazionale o territoriale o dai decreti ministeriali); b) prestazioni in determinati periodi nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. Questo contratto è previsto in due forme: con o senza obbligo di corrispondere una indennità di disponibilità, a seconda che il lavoratore scelga di essere o meno vincolato alla chiamata. Questo tipo di contratto può essere stipulato da qualunque impresa, ad eccezione di quelle che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla legge sulla sicurezza nei posti di lavoro: a) con qualunque lavoratore, per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, indicate dalla tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657 (in attesa delle regolamentazioni dei contratti collettivi) b) indipendentemente dal tipo di attività: • con lavoratori con meno di 25 anni o con più di 45 anni, anche pensionati; • per il lavoro nel week-end o in periodi predeterminati (ferie estive, vacanze pasquali o natalizie). Questo contratto non può essere stipulato dalla pubblica amministrazione. Il contratto di lavoro intermittente: a) può essere stipulato a tempo determinato o indeterminato; b) deve avere la forma scritta c) il contratto deve contenere una serie di elementi (che devono conformarsi a quanto contenuto nei CCNL): durata, ipotesi che ne consentono la stipulazione, luogo, modalità della disponibilità, relativo preavviso, trattamento economico e normativo per la prestazione eseguita, ammontare dell’eventuale indennità di disponibilità, tempi e modalità di pagamento, forma e modalità della richiesta del datore, modalità di rilevazione della prestazione, eventuali misure di sicurezza specifiche. Non è possibile ricorrere al lavoro intermittente nei seguenti casi: • sostituzione di lavoratori in sciopero • se si è fatto ricorso nei sei mesi precedenti a una procedura di licenziamento collettivo, ovvero se è in corso la cassa integrazione (questo divieto è derogabile da un accordo sindacale) per le stesse unità produttive e/o mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente.

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Al lavoratore intermittente deve essere garantito un trattamento economico pari a quello spettante ai lavoratori “normali” di pari livello e mansione, seppur in proporzione all’attività realmente svolta. Per i periodi di inattività, e solo nel caso in cui il lavoratore si sia obbligato a rispondere immediatamente alla chiamata, spetta un’indennità mensile, divisibile per quote orarie. Essa è stabilita dai CCNL, nel rispetto dei limiti minimi fissati con D.M., e non spetta nel periodo di malattia oppure di altra causa che renda impossibile la risposta alla chiamata. Il rifiuto di rispondere alla chiamata senza giustificato motivo può comportare la risoluzione del rapporto, la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo all’ingiustificato rifiuto, e il risarcimento del danno la cui misura è predeterminata nei CCNL o, in mancanza, nel contratto di lavoro. I contributi relativi all’indennità di disponibilità devono essere versati per il loro effettivo ammontare in deroga alla normativa in materia di minimale contributivo. Nel caso di lavoro intermittente per predeterminati periodi della settimana, del mese o dell’anno l’indennità è corrisposta solo in caso di effettiva chiamata. Il D.M 10/3/2004 ha quantificato l’indennità di disponibilità da corrispondere al lavoratore in attesa di chiamata. Il successivo D.M. 23/10/2004, in attesa delle determinazioni dei CCNL, ammette la stipulazione di contratti di lavoro intermittente per le tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657. In generale è un tipo di contratto molto diffuso nei pubblici esercizi, che hanno tipicamente maggiori picchi di lavoro nei fine settimana o in certi periodi dell’anno.

14.4 La somministrazione di lavoro 14.4.1 Inquadramento generale La L. 24/6/97 n. 196 ha introdotto anche in Italia il concetto di “lavoro in affitto”, detto anche “lavoro interinale”. L’intera materia è oggi disciplinata dagli artt. 20-28 del D. Lgs. 276/2003, che ne ha mutato la definizione in “somministrazione di lavoro”, sempre nell’ambito del lavoro subordinato. In questo rapporto di lavoro intervengono tre soggetti: – l’agenzia di somministrazione – l’utilizzatore (impresa o meno) – il lavoratore.

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Si ha “somministrazione di lavoro” quando un datore di lavoro (utilizzatore) si rivolge ad un’impresa autorizzata (somministratrice), per farsi fornire manodopera, da quest’ultima assunta a termine, da utilizzate nella propria attività per determinate prestazioni lavorative. In sostanza il lavoratore viene assunto con contratto di lavoro subordinato a termine dall’agenzia di somministrazione, ma svolge la sua prestazione a favore dell’utilizzatore, nell’ambito della sua struttura. Con le modifiche intervenute nel 2007 questo contratto può essere stipulato solo a tempo determinato, per un periodo di tempo variabile da 1 giorno a 3 anni. Il trattamento economico del lavoratore “somministrato” deve essere non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte o, comunque, non inferiore ai livelli previsti dal CCNL applicabile all’utilizzatore. Vi possono essere deroghe per particolari tipi di lavoratori svantaggiati, emarginati dal mercato del lavoro o in fase di riqualificazione professionale, come previsto da varie leggi statali o regionali in materia di interventi di sostegno sul mercato del lavoro. Al termine del contratto l’utilizzatore può anche assumere direttamente il lavoratore “somministrato”, senza nulla dovere all’agenzia di somministrazione. L’agenzia di somministrazione provvede a pagare le spettanze ed i contributi del lavoratore e fattura le sue competenze all’associazione utilizzatrice, aggiungendo al costo del lavoro la propria quota di ricarico. La fattura esporrà l’IVA solo su questo margine di ricarico, che per l’associazione in genere non è detraibile (salvo l’impiego in settori commerciali con regime IVA normale), traducendosi in un ulteriore aggravio del costo del lavoratore. 14.4.2 Il costo del lavoro somministrato Il contratto di somministrazione ha il vantaggio di fornire all’associazione un sistema regolare di utilizzo di prestazioni lavorative di durata determinata. Esso può quindi essere vantaggiosamente utilizzato al posto di rischiosi contratti di co.co.pro. o figure simili, sempre passibili di impugnazioni da parte del lavoratore. L’associazione deve quindi scegliere il rapporto di lavoro considerando tutti i costi delle varie alternative, sia diretti che indiretti. A tale proposito il lavoro somministrato ha questi pregi: a) eventuale ricerca del personale a carico della società autorizzata (a pagamento); b) assorbimento di larga parte (non tutti) dei costi burocratici; 305


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c) possibilità di interrompere il rapporto in ogni momento senza motivazione e senza conflitti. Il soggetto utilizzatore deve attivare il L.U.L. e registrare i dati del lavoratore somministrato. 14.5 L’assunzione di lavoratori in mobilità La riduzione del personale in esubero da parte di imprese in crisi comporta l’attivazione di una complessa procedura per la loro “messa in mobilità” (L. 223/1991). In sostanza gli attori del processo sono tre: a) l’impresa in crisi b) i lavoratori c) l’eventuale nuovo datore di lavoro. Le imprese ammesse alla procedura di mobilità sono quelle che, in genere, hanno almeno 15 addetti, con talune esclusioni o limitazioni settoriali, oltre a quelle sottoposte a procedure concorsuali. Queste imprese devono attivare il “tavolo di confronto” con le organizzazioni sindacali per definire quantità e profili del personale in esubero, pagando inoltre un contributo straordinario all’INPS. I lavoratori messi in mobilità vengono iscritti in speciali liste presso i Centri per l’Impiego: taluni tipi di lavoratori hanno diritto a percepire l’indennità di mobilità, con importi e durate variabili legate all’età e all’anzianità lavorativa, altri no (in genere quelli provenienti da aziende minori non ammessi alla procedura di cassa integrazione). In ogni caso l’associazione che sia interessata ad assumere un lavoratore inserito nelle liste di mobilità ha diritto ad alcune agevolazioni: a) assunzione a tempo pieno e indeterminato: – riduzione dei contributi INPS in misura pari a quelli gravanti sugli apprendisti (10%); – per ogni mensilità di paga ha diritto ad un contributo aggiuntivo pari alla metà dell’indennità di mobilità che il lavoratore avrebbe percepito rimanendo nelle liste di mobilità, per un periodo non superiore a 12 mesi, elevati a 24 mesi se il lavoratore ha più di 50 anni ed a 36 mesi se il nuovo datore di lavoro ha sede nel Mezzogiorno o nelle zone svantaggiate del Centro Nord. 306


LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO SUBORDINATO

b) assunzione a tempo determinato fino a 12 mesi: – riduzione dei contributi INPS in misura pari a quelli gravanti sugli apprendisti (10%); c) assunzione di lavoratori senza diritto all’indennità di mobilità (aziende < 15 dipendenti): – riduzione dei contributi INPS in misura pari a quelli gravanti sugli apprendisti (10%). È importante notare che queste agevolazioni possono essere godute dalle associazioni anche se il lavoratore viene assunto tramite le agenzie di somministrazione di lavoro. Vi sono inoltre riduzioni significative dei contributi INPS anche nei casi in cui un datore di lavoro voglia assumere persone disoccupate da oltre 24 mesi o in cassa integrazione da almeno 3 mesi: vista la complessità della materia occorre esaminare i singoli casi con un consulente.

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15. Le prestazioni di lavoro retribuito a favore delle associazioni: il lavoro autonomo e parasubordinato

15.1 Criteri generali Si ha lavoro autonomo “quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente” (art. 2222 C.C.). In sostanza il lavoratore autonomo si impegna a realizzare un “risultato” per un determinato “prezzo”, tramite una propria organizzazione del tempo e dei mezzi di lavoro, assumendo il rischio economico dell’attività. Il committente non ha poteri direttivi, organizzativi o disciplinari nei confronti del lavoratore autonomo, né può obbligarlo a rispettare orari di lavoro predefiniti, come invece avviene verso il lavoratore subordinato. Il committente può recedere dal contratto in ogni momento, anche senza giustificato motivo, “tenendo indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno” (art. 2227 C.C.), mentre il lavoratore autonomo può recedere solo per “giusta causa” (art. 2237 C.C.). Si nota qui il completo rovesciamento dei rapporti tra le parti rispetto al lavoro subordinato, ove si è visto che è il lavoratore ad avere più margini di recesso rispetto al datore di lavoro. È bene precisare che il C.C., riflettendo la struttura economica della sua epoca (1942), conosceva solo due tipi di lavoratori: subordinati e autonomi. Nel tempo si sono aggiunte forme di lavoro intermedie, che hanno tratti sia della subordinazione che dell’autonomia, note come lavori “parasubordinati”. Questa “zona grigia” del diritto del lavoro è emersa tramite le norme sul processo del lavoro e per esigenze fiscali, per poi arrivare ad una prima sistemazione civilistica con il D. Lgs. 276/2003 (Legge Biagi): si tratta di un percorso ancora in evoluzione.

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LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

15.2 Le prestazioni di lavoro autonomo con P.IVA 15.2.1 In generale L’associazione può avvalersi delle prestazioni di professionisti dotati di P.IVA: avvocati, commercialisti, medici, veterinari, psicologi, musicisti, attori, ecc.. In questi casi l’associazione ha i seguenti obblighi: a) all’atto del pagamento della fattura deve effettuare la ritenuta d’acconto del 20% e versarla entro il giorno 16 del mese successivo, tramite il modello F24 (codice 1040); b) rilasciare al professionista, entro il 28/2 dell’anno successivo, la certificazione dei compensi pagati e delle ritenute effettuate nell’anno solare precedente; c) presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta (mod. 770). Per questi compensi l’ente non è tenuto ad effettuare alcun versamento all’INPS, né è tenuto ad includerli nella base imponibile IRAP, che fa carico al singolo professionista. I professionisti non dotati di autonoma Cassa Previdenziale debbono iscriversi alla gestione separata INPS (quella dei co.co.co.) ed hanno la facoltà, non l’obbligo, di addebitare in parcella il 4% a titolo di rivalsa parziale del contributo INPS da loro dovuto. Tale rivalsa del 4% è imponibile sia ai fini IVA che ai fini della ritenuta d’acconto.

15.2.2 La riscossione dei compensi sanitari Taluni tipi di associazioni, specie quelle che operano nel settore del disagio sociale (anziani, immigrati, ecc.) o del soccorso sanitario (pubbliche assistenze e simili), possono allestire strutture in cui i medici, infermieri e veterinari prestano la loro opera a favore del pubblico (es. quartieri disagiati, piccoli paesi, ecc.). Nel caso tale opera sia prestata gratuitamente dai sanitari non vi sono problemi. Nel caso invece in cui tale opera sanitaria sia retribuita direttamente dai fruitori (e non dall’associazione), anche con tariffe agevolate, dall’1/3/2007 vige un nuovo obbligo in capo all’associazione ospitante: la gestione accentrata dei compensi sanitari.

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ACCENTRAMENTO COMPENSI SANITARI Soggetto obbligato Gestore della struttura sanitaria privata Attività obbligate – Medici – Para-medici – Veterinari Modalità del compenso Pagato dal fruitore In presenza di tali condizioni l’associazione che gestisce la struttura sanitaria privata deve: • incassare il corrispettivo della prestazione in nome e per conto del professionista; • riversare tale corrispettivo al professionista; • registrare il corrispettivo incassato per ciascuna prestazione nelle scritture contabili obbligatorie o in un registro appositamente apprestato; • comunicare telematicamente all’Agenzia delle Entrate l’ammontare dei compensi complessivamente riscossi nel periodo d’imposta per ogni professionista. La logica di questo sistema è quello di favorire la tracciabilità e trasparenza dei pagamenti ai professionisti sanitari, fornendo al fisco uno strumento di prevenzione a fronte di possibili evasioni fiscali. Ovviamente l’inadempimento a tali nuovi obblighi espone l’associazione a nuove sanzioni. Il fisco ha chiarito che per “struttura sanitaria” si intende qualunque tipo di ambiente in cui, di fatto, operano i professionisti sanitari a contatto con i fruitori, a fronte del pagamento diretto, a prescindere dalla necessità o meno di autorizzazioni amministrative.

15.2.3 Il regime dei contribuenti minimi L’art. 1, commi 96-117, della L. 244/07, ha introdotto, con decorrenza dall’1/1/2008, una nuova figura di lavoratore autonomo con P.IVA, detto “contribuente minimo”, che sostituisce il regime della “franchigia”, inserito nel 2007 e mai veramente decollato.

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REGIME DEI CONTRIBUENTI MINIMI dall’1/1/2008 Soggetti ammessi Solo persone fisiche residenti Limiti Volume d’affari ≤ € 30.000,00= per anno solare (ragguagliato ai mesi per inizio attività) Attività svolta D’impresa commerciale Di lavoro autonomo Vincoli d’ingresso 1) Assenza nell’anno precedente di cessioni: e di mantenimento • All’esportazione del regime • Di fabbricati • Di terreni edificabili • Di mezzi di trasporto nuovi 2) Assenza nell’anno precedente di costi del lavoro: • Dipendenti • Borse di studio • Collaboratori co.co. (con o senza progetto) • Associati d’opera 3) Assenza nei tre anni precedenti di acquisti di beni strumentali >€ 15.000,00=(*) 4) Assenza nell’anno di riferimento di partecipazioni in • Società di persone • Studi professionali associati • S.r.l. “trasparenti” Esclusioni dal regime Tutti i soggetti che si avvalgono di regimi speciali ai fini IVA (agricoltura, tabacchi, ecc.) REGIME AI FINI IVA Non addebitano l’IVA ai clienti Non detraggono l’IVA dai fornitori Semplificazioni 1) Esonero dai principali adempimenti IVA: ai fini IVA • Liquidazione e versamento IVA • Registrazione fatture emesse/corrispettivi • Registrazione degli acquisti ai fini IVA • Comunicazione dati IVA • Dichiarazione annuale IVA • Tenuta e conservazione dei registri • Presentazione modelli INTRA

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Alternativa

Cessazione: casi e tempi per ritorno al regime “normale”

Regime IRAP Regime ai fini IRPEF

Regime contabile

2) Adempimenti IVA rimasti: • Numerazione e conservazione fatture di acquisto • Certificazione dei corrispettivi (scontrino o ricevuta fiscale o fattura (**)) • Integrazione fatture acquisti intracomunitari • Versamento IVA su acquisti intracomunitari • Rettifica detrazione art. 19bis-2 • Trattasi di regime naturale per i soggetti con volume d’affari ≤€ 30.000,00= Possibilità di optare per il regime normale (IVA-IRPEF) (tre anni iniziali e poi di anno in anno) a) Superamento di uno dei vincoli sopra detti –> dall’anno successivo b) Realizzo di un volume d’affari superiore al limite: – fino a € 45.000 -> dall’anno successivo – oltre € 45.000 -> dallo stesso anno (ricalcolo IVA normale) Esclusione da IRAP • Reddito = ricavi + ricavi per vendite di beni strumentali - costi vari - costi d’acquisto di beni strumentali • Criterio di cassa (anche per le imprese) • Reddito tassato al 20% • Perdite riportabili • Esonero dalla tenuta dei registri contabili ai fini IVA e IRPEF • Redazione del solo rendiconto annuale • Esonero da studi di settore Applicabile con i criteri normali

Ritenuta d’acconto sui compensi Contributi previdenziali Applicabile regime normale: • INPS gestione commercianti/artigiani • INPS gestione speciale per lavoratori autonomi non iscritti agli Albi • CASSA autonoma per iscritti agli Albi

(*) Il limite agli acquisti di beni strumentali comprende, oltre all’acquisto vero e proprio,

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anche le rate pagate per i contratti di leasing e i canoni pagati per l’affitto di beni mobili o immobili (anche per la “bottega”). Occorre fare attenzione che questo modo di intendere il limite degli acquisti di b.s. può essere particolarmente penalizzante. (**) Sulle fatture di importo superiore a € 77,47= dovrà essere apposta la marca da bollo da € 1,81=. Sulle fatture va inoltre apposta la dicitura “operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 100, della L. 244/2007”.

Per questi contribuenti “minimi” il nuovo regime è quello naturalmente applicabile: per evitare tale regime occorre effettuare apposita opzione. Questo regime potrebbe essere di qualche interesse per le persone che prestano abitualmente servizi alle associazioni, in quanto si tratta di enti che, in genere, non detraggono l’IVA sugli acquisti. 15.2.4 Il cumulo con la pensione Spesso le associazioni si trovano a dover retribuire persone che hanno già la pensione e che possono avere dei riflessi negativi dalla presenza di ulteriori redditi. Per il nuovo regime del cumulo in vigore dall’1/1/2009 si rinvia a quanto detto sopra nel capitolo sul lavoro subordinato. 15.3 La collaborazione coordinata e continuativa 15.3.1 Il contesto sociale Con l’evoluzione del sistema economico da una società di tipo industriale classico ad una società post-industriale, alle forme tradizionali di lavoro “regolamentato” e sindacalizzato si affiancano nuove forme, che prevedono maggiore flessibilità d’impiego, minori vincoli burocratici e, soprattutto, minori costi. Tali nuove forme di lavoro hanno un “ciclo di vita” paragonabile a quello dei prodotti in commercio. Godono di una fase di “giovinezza” alquanto selvaggia, in cui mancando regole e tariffe generali se ne diffonde l’uso in tutti i settori, per poi essere sempre più disciplinate dalla legge e per ricadere nella tutela sindacale. A questo punto vivono la fase della loro “vecchiaia”, con una limitazione del loro uso, in attesa di essere sostituite da nuove forme di lavoro che recuperino gli aspetti originari di flessibilità e di economicità.

È questo il caso del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa portato alla ribalta della L. 11/8/73 n. 533 che ha riformato il c.p.c. nella parte relativa al processo del lavoro. 313


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L’art. 409, 1° comma, n. 3, del c.p.c. comprende nel nuovo processo del lavoro anche le controversie relative agli agenti di commercio e agli altri “rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”. Si tratta di quelle figure di lavoratori giuridicamente inquadrabili come autonomi, ma inseriti in rapporti contrattuali in cui la forza del datore di lavoro è più rilevante. In sostanza il soggetto è un “autonomo debole”, per cui la legge del 1973 gli estendeva le tutele processuali tipiche di un lavoratore subordinato. Il rapporto di co.co.co. deve differenziarsi, in sostanza: • dall’attività di impresa, • dal lavoro dipendente, • dal lavoro professionale • dalla collaborazione occasionale. Rispetto ad un’impresa manca l’organizzazione di mezzi e di lavoro altrui, in quanto si tratta di un’opera esclusivamente o prevalentemente fornita dal collaboratore in persona. In genere il collaboratore non avrà mezzi propri (salvo l’automobile o il computer) ed utilizzerà le strutture del committente (ufficio, attrezzature, personale, ecc.). Rispetto al lavoro professionale vero e proprio manca la potenziale pluralità di clienti (“il mercato”), collaborando invece con uno (o pochi) committenti per volta; può inoltre mancare un’autonoma organizzazione di mezzi, potendo anche utilizzare solo i mezzi del committente. Rispetto al lavoro dipendente manca l’elemento della subordinazione, che comprende i vari aspetti visti nei capitoli precedenti: il potere disciplinare, quello direttivo, l’osservanza rigida di un orario prestabilito, ecc.. Rispetto al lavoro occasionale vi è la continuità, da intendere come durata temporale prolungata in funzione dell’obiettivo prefissato al collaboratore dal suo committente (v. oltre) ed il coordinamento, cioè l’inserimento organico nella struttura del committente. In ogni caso il confine tra le varie forme di lavoro è molto labile e continuerà a dare luogo a contestazioni sia da parte degli uffici pubblici (INPS, Ispettorato del Lavoro), che da parte degli stessi lavoratori che aspirano alle maggiori tutele (e alle maggiori entrate) legate al rapporto di lavoro subordinato. La Cas-

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sazione ha più volte stabilito che per valutare il rapporto occorre verificare le concrete modalità di esercizio dell’attività lavorativa e, anche, va verificata la volontà delle parti risultante dal contratto stipulato (c.d. nomen iuris). Proprio per dirimere questo problema di fondo sono state costituite in ogni provincia le “Commissioni di certificazione”, che possono “certificare” la natura di rapporto di co.co. a progetto del singolo contratto. In sintesi i rapporti di co.co. sono come l’Araba Fenice: che esistono ognun lo dice dove siano nessun lo sa (con precisione). È intuitivo che sono tipi di contratti da usare con molta prudenza. Insomma la co.co.co è come l’araba fenice: che esiste ognun lo dice dove sia nessun lo sa (con precisione).

La crisi economica ha portato ad un vero e proprio “boom” di questo rapporto che ha trovato la sua prima sistemazione civilistica solo con il D. Lgs. 276/2003. Dai dati INPS emerge che i co.co.pro. sono circa 900.000= (dato 2007).

15.3.2 I tipi di co.co.co. Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa trova oggi la sua disciplina sostanziale nel citato art. 409, 1° comma, n. 3, del c.p.c. e, più in generale, negli artt. 61-69 del D.Lgs. 10/9/2003 n. 276, che ha introdotto un regime molto articolato. In sostanza esistono oggi due macro classi di co.co.co: a) quelle con obbligo del “progetto” b) quelle esonerate dal “progetto”. Queste ultime si riferiscono a settori dotati di una legislazione di favore o a individui ai margini del mercato del lavoro, che si ritiene che non necessitino di particolari tutele. Tipi di collaborazioni coordinate e continuative Esonerate dal progetto – Professionisti iscritti in albi per le mansioni loro tipiche – Membri di organi di amministrazione e controllo di società (e si suppone anche di enti in genere) – Membri di collegi o commissioni – Pensionati di vecchiaia

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Obbligate al progetto

– Pensionati di anzianità e di invalidità ≥ 65 anni – Mini co.co.: durata ≤ 30 gg. e compenso ≤ € 5.000 per anno solare e per singolo committente – Collaborazioni agevolate per ass. sportive dilettantistiche (inserite tra i redditi diversi) – Collaborazioni con enti pubblici – Rapporti in essere al 24/10/2003 prorogati fino al loro termine e comunque non oltre il 24/10/2004 Tutte le altre

Questa distinzione è importante perché la legge prevede maggiori vincoli e tutele per le co.co.co. obbligate al progetto. È bene chiarire che essa è di tipo civilistico e non si riflette in trattamenti diversi ai fini fiscali e INPS/INAIL (v. oltre). 15.3.3 La co.co.co. “a progetto” L’art. 61 1° comma, del D. Lgs. 276/2003 prevede che i rapporti di co.co.co. di cui all’art. 409 n. 3 del c.p.c. “devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.”. I caratteri di fondo del nuovo rapporto sono i seguenti a) mantenimento del carattere di lavoro autonomo: – mancanza di vincolo gerarchico e di potere disciplinare del committente – possibilità di gestire più rapporti nello stesso periodo, – irrilevanza potenziale dell’orario di lavoro – irrilevanza potenziale del luogo di lavoro; b) coordinamento con il committente, per i tempi e metodi di lavoro e per l’eventuale uso delle strutture aziendali; c) presenza di un compito specifico, determinato o determinabile, che funge da risultato del rapporto, anche in vista dell’estinzione dello stesso (“progetti specifici”, “programmi di lavoro”, “fasi del lavoro”); d) aumento delle garanzie sociali. 316


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L’art. 62 del D. Lgs. 276/2003 prevede che il contratto deve essere stipulato in forma scritta, a fini di prova e non di validità, e deve contenere almeno i seguenti elementi: • indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; • indicazione del progetto o programma di lavoro o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto; • il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; • le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa; • le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto. Il progetto consiste in “un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione” (circ. Min. Lavoro 8/1/2004 n. 1). Il progetto può essere collegato sia con l’attività principale che con quella accessoria dell’impresa. Il programma di lavoro consiste “in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale. … Il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano, infatti, per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.” (Circ. Min. Lavoro 8/1/2004 n. 1). Per quanto riguarda la durata del rapporto, occorre sottolineare che è possibile istituire successivi contratti con lo stesso collaboratore, fermo restando che “i rinnovi, così come i nuovi progetti … non devono costituire strumenti elusivi dell’attuale disciplina.”. In sostanza “ciascun contratto di lavoro a progetto deve … presentare, autonomamente considerato, i requisiti di legge.” (Circ. Min. Lavoro 8/1/2004 n. 1). In merito allo svolgimento del rapporto il collaboratore “può svolgere la sua attività a favore di più committenti”, salvo esplicito divieto nei singoli contratti. In caso di più rapporti contemporanei il collaboratore deve però stare attento a non integrare gli estremi della “professionalità”, che gli imporrebbe di aprire

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la P.IVA, di tenere le scritture contabili, ecc.. Questo punto purtroppo non è stato chiarito dalla riforma e rimane soggetto ad un apprezzamento discrezionale da parte dei singoli collaboratori e degli uffici fiscali. Il coordinamento può anche riguardare i tempi di esecuzione del contratto, prevedendo la necessaria presenza in azienda in certi giorni o in certe fasce orarie, senza tuttavia arrivare a definire un orario vincolante. Il collaboratore ha dei doveri da rispettare: a) non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti; b) non deve diffondere notizie e apprezzamenti sull’attività del committente (dovere di riservatezza); c) non deve in ogni modo arrecare pregiudizi ai committenti (diligenza). La violazione di questi doveri giustifica la risoluzione anticipata del rapporto e, se ne ricorrono gli estremi, un’azione di risarcimento dei danni patiti. Il rapporto si risolve al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase del programma dedotto in contratto. Le parti possono recedere prima del termine in presenza di una “giusta causa” o di altre cause previste nel contratto. Ai collaboratori a progetto competono alcune tutele in caso di malattia, infortunio, gravidanza, assegni familiari, ricovero ospedaliero. Inoltre si applicano le norme sul processo del lavoro, nonché le norme in materia di sicurezza e igiene del lavoro (D. Lgs. 626/94 ora D. Lgs. 81/2008), se il lavoro viene svolto nei locali dell’azienda, in quanto compatibili con il carattere autonomo del rapporto. In assenza di un progetto o nel caso l’effettiva prestazione lavorativa sia difforme dal progetto, il rapporto si tramuta automaticamente in lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto. Si tratta di una presunzione che impone al committente l’onere di provare la diversa qualificazione del rapporto. Ciò comporterà il ricalcolo delle competenze dovute al lavoratore in base ai contratti collettivi e dei relativi contributi dovuti agli enti previdenziali. Si tratta di un danno potenzialmente devastante per l’ente non profit committente, che deve valutare con la massima attenzione l’accensione di tali rapporti, soppesando anche le eventuali alternative (passaggio tramite altri enti o cooperative sociali, nuove figure di lavoro subordinato, richiesta della P.IVA, ecc.).

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15.3.4 La co.co.co. senza progetto Come detto in precedenza il D.LGS. 276/2003 permette di stipulare rapporti di co.co.co. anche senza progetto. Questi rapporti devono, comunque, rispettare tutti i criteri sopra visti, tranne l’allegazione di un progetto. In altri termini: si deve sempre trattare di rapporti di lavoro autonomo. Tra queste co.co.co. senza progetto si segnalano le c.d. mini-co.co., intese come le prestazioni: • di durata inferiore a 30 giorni lavorativi; • con compenso non superiore a 5.000,00=, per singolo committente; • che abbiano i caratteri tipici di “coordinamento” e di “continuità”. Tale norma è molto insidiosa perché, nella realtà, è molto facile che le collaborazioni impostate come “occasionali” possano essere invece riqualificate dagli organi di vigilanza come “mini co.co.”, con recupero di contributi e sanzioni. Sono esclusi dal progetto anche i rapporti di co.co.co. instaurati con titolari di pensione diretta di: a) vecchiaia; b) anzianità e di invalidità che hanno compiuto 65 anni. Tutte le co.co. senza progetto sono soggette alle regole ordinarie dei co.co. ai fini della tassazione e dei contributi (v. oltre). 15.3.5 Alcuni esempi La stesura del contratto con l’indicazione del progetto dovrà mettere in risalto inoltre: • il carattere di lavoro autonomo del rapporto, anche se coordinato con l’attività del committente; • una scadenza del rapporto; • un compenso commisurato al risultato. Come sempre il rapporto è chiaro per le figure estreme dei collaboratori: sicuramente non sono più ammissibili le segretarie o le commesse, con orario rigido e mansioni d’ordine e durata sostanzialmente indefinita, mentre sono potenzialmente validi i rapporti legati ad iniziative ben separabili dall’attività ordinaria del committente, senza orari rigidi di svolgimento, con un buon contenuto di know how, ecc.. Per cercare di capire quali possono essere oggi i co.co.co. a progetto possiamo fare riferimento alle figure previste da alcuni contratti collettivi di lavoro stipulati in questi anni dalle centrali sindacali: 319


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– – – – – – –

traduttori, correttori di bozze collaboratori a radio e tv procacciatori di pratiche per conto di assicurazioni, autoscuole e simili collaboratori per ricerche di mercato e sondaggi collaboratori per fiere, congressi e simili collaboratori per recupero crediti collaboratori per attività educative, sociali e simili (es. attività per bambini, per anziani, animatori e simili: qui però vige il problema del vincolo orario). Un’OdV può utilizzare questa figura per effettuare studi e ricerche, per redigere un progetto per la richiesta di contributi, per un’attività divulgativa da svolgere nelle scuole, ecc..

Il Ministero del Lavoro (circ. 4/2008) ha indicato anche alcune tipologie di lavoro che difficilmente, per non dire mai, possono integrare i caratteri del rapporto di co.co. progetto, in quanto carenti dei requisiti di base (autonomia, risultato): • addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici; • addetti alle agenzie ippiche; • addetti alle pulizie • autisti e autotrasportatori • baby sitter e badanti • baristi e camerieri • commessi e addetti alle vendite • custodi e portieri • estetiste e parrucchieri • facchini • istruttori di autoscuola • letturisti di contatori • manutentori • muratori e qualifiche operaie dell’edilizia • piloti e assistenti di volo • prestatoti di manodopera nel settore agricolo • addetti alle attività di segreteria e terminalisti.

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In presenza di queste attività il contratto di co. co. pro. viene quasi sicuramente riqualificato come di lavoro dipendente a tempo indeterminato, con recupero delle spettanze del lavoratore (ferie, permessi, 13a, tfr, ecc.), contributi e, soprattutto, con irrogazione delle sanzioni.

15.3.6 Il contenuto economico del rapporto A differenza del lavoro subordinato, in cui la parte economica è regolata da varie fonti normative, nel rapporto di co.co.co., con progetto o senza, vige la massima libertà delle parti: questo è il tratto essenziale del rapporto, che ne garantisce la flessibilità d’uso. Il contratto individuale dovrà prevedere il compenso e gli eventuali rimborsi spese, che esauriranno le pretese del collaboratore. L’art. 63 del D. Lgs. 276/2003 prevede due criteri di massima per la quantificazione del compenso, che deve essere: – proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito – deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. In ogni caso il compenso deve comunque essere collegato al risultato dedotto in contratto e può essere pagato anche per acconti periodici (settimana, mese), mentre è più difficile (e pericoloso) pensare ad una sua quantificazione in base alle ore di lavoro svolte (tra l’altro non soggette ad alcun tipo di certificazione). Il contratto dovrebbe anche prevedere quali conseguenze economiche possono derivare dalla patologia del rapporto (recesso anticipato, mancato o parziale raggiungimento del progetto, ecc.), indicando quale percentuale del compenso sia comunque dovuta. Salvo diversa previsione del contratto, non sono previste ferie e permessi, mensilità aggiuntive, trattamenti di fine rapporto. Si ricorda che il rimborso delle spese può godere di un trattamento di favore ai fini fiscali e previdenziali (v. oltre). Non esiste il diritto di sciopero. 15.3.7 Regime fiscale Ai fini fiscali il compenso erogato al co.co.co., con o senza progetto, configura un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente (art. 50, 1° comma, lett. C-bis, TUIR).

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Si noti che si tratta solo di una assimilazione fiscale (il rapporto abbiamo visto ha natura di lavoro autonomo), utile per applicare un regime più favorevole rispetto al regime fiscale del vero e proprio lavoro autonomo.

All’atto del pagamento del compenso (ogni mese o con l’altra periodicità prevista dal contratto), l’OdV deve preparare una busta paga, simile a quella dei lavoratori dipendenti, ed effettuare la ritenuta IRPEF sulla base delle aliquote previste per i vari scaglioni di reddito, considerando anche le detrazioni spettanti. A fine anno o al termine del rapporto va trattenuta l’addizionale IRPEF regionale e comunale e si procede al ricalcolo dell’IRPEF su base annuale (c.d. conguaglio). L’IRPEF eventualmente dovuta va versata dall’OdV entro il 16 del mese successivo al pagamento del compenso utilizzando il modello F24. Tale ritenuta potrà essere recuperata dal collaboratore nel suo modello di dichiarazione dei redditi (mod. 730 o unico persone fisiche). Entro il 28/2 dell’anno successivo l’ente dovrà inviare al collaboratore il modello CUD; l’ente dovrà anche compilare la dichiarazione dei sostituti d’imposta (mod. 770). L’OdV è soggetta anche ad IRAP, che viene calcolata con il sistema retributivo (per il settore istituzionale) o con il sistema del bilancio (per l’eventuale settore commerciale). In entrambi i casi i compensi dei co.co.co. rientrano nella base imponibile IRAP, con l’aliquota del 3,9% (salvo riduzioni o esenzioni deliberate dalle singole Regioni). Il compenso del co.co.co. non è soggetto ad IVA, in base all’art. 5 del D.P.R. 633/72 e s.m.. 15.3.8 Regime previdenziale Il co.co.co., con o senza progetto o anche mini, deve iscriversi alla apposita gestione INPS. I contributi dovuti all’INPS variano in funzione delle caratteristiche del collaboratore, secondo il seguente schema (aliquote in vigore dall’1/1/2009): Soggetti non pensionati e senza altra copertura previdenziale obbligatoria – Titolari di pensione diretta – Titolari di pensione indiretta – Soggettiprovvisti di altra copertura previdenziale obbligatoria

25,27% fino a € 91.507 (*) 17% fino a € 91.507 (*)

(*) Massimali relativi al 2009 soggetti a rivalutazione annuale. 322


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Il contributo è posto per 1/3 a carico del collaboratore e per 2/3 a carico del committente: Aliquota piena

Collaboratore

Committente

25,72%

8,57%

17,15%

17,00%

5,67%

11,33%

Il committente trattiene anche la quota di spettanza del collaboratore ed effettua un versamento cumulativo entro il 16 del mese successivo al pagamento. Si ricorda che, in base al principio di “cassa allargato”, i compensi erogati entro il 12/1 dell’anno successivo, relativi a prestazioni effettuate nell’anno precedente, sono assoggettati alle aliquote contributive valide nell’anno precedente. Questo criterio si può applicare solo ai rapporti di collaborazione co.co., anche a progetto, in quanto redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (v. Circ. INPS n. 8/2008): non si può applicare agli altri rapporti di cui infra (lavoro occasionale e associati d’opera) in quanto redditi fiscalmente di lavoro “autonomo”.

L’OdV deve presentare all’INPS una dichiarazione mensile ed una annuale riepilogativa dei compensi pagati e dei contributi versati. Il committente è tenuto ad assicurare all’INAIL il co.co.co., applicando il tasso di rischio previsto per lo specifico settore produttivo, con dei limiti convenzionali (minimale e massimale). Anche in questo caso il premio si può ripartire tra le parti (1/3 e 2/3). Trattandosi di un premio a liquidazione annuale, per evitare problemi contabili, per cifre tutto sommato modeste, spesso il committente rinuncia alla rivalsa del terzo. L’iscrizione all’INAIL comporta l’obbligo di tenere il registro infortuni, oltre alla presentazione della dichiarazione e autoliquidazione annuale (il 16/2 si versa il saldo per l’anno vecchio e l’acconto per l’anno corrente). La presenza di un collaboratore, a progetto o meno (anche mini-co.co.), comporta l’obbligo di attivare il Libro Unico del Lavoro. Tutti questi adempimenti (IRPEF, INPS, INAIL) colpiscono il compenso. Sono esenti da IRPEF, INPS, INAIL e in parte da IRAP i soli rimborsi spese relativi a trasferte effettuate per conto del committente in Comuni diversi da quello pattuito come sede di lavoro del collaboratore. Le spese ammesse sono solo quelle documentate relative alle seguenti voci: viaggio, alloggio e vitto. Tali spe-

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se saranno documentate da scontrini, ricevute fiscali o fatture e riepilogate in una nota spese. Può essere rimborsato anche l’uso dell’auto propria nel limite massimo delle tariffe ACI (preferibilmente per automezzi che non superino i 17 Cv o i 20 Cv se diesel). Si segnala che, per una stranezza legislativa, nell’ambito dei rimborsi spese, il solo rimborso chilometrico del collaboratore coordinato e continuativo è imponibile ai fini IRAP. Gli iscritti alla gestione separata INPS (co.co. a progetto o senza progetto, occasionali che superano il limite di € 5.000,00=) hanno diritto ad alcuni trattamenti assistenziali erogati dall’INPS: • indennità di maternità • congedo parentale • indennità di malattia (dall’1/1/2007) • indennità per ricovero ospedaliero • assegno per il nucleo familiare. Dal 2009 la L. 2/2009 ha previsto anche la corresponsione di una indennità di disoccupazione una tantum per i collaboratori a progetto che svolgevano l’attività per un solo committente e che non ottengono il rinnovo del contratto alla scadenza. Tali prestazioni sono vincolate a dei criteri oggettivi e soggettivi (una certa anzianità di iscrizione, minimo di importi versati, ecc.) per cui ogni pratica va curata presso i Patronati, che per legge sono tenuti a prestare assistenza a titolo gratuito. 15.3.9 La check list degli adempimenti Si riporta una lista degli adempimenti connessi ad un rapporto di collaborazione coordinata continuativa. Data la complessità degli adempimenti è necessaria l’assistenza di un ufficio paghe. 1) Redigere il contratto, con o senza progetto. 2) Inviare in via telematica la comunicazione al Centro per l’Impiego un giorno prima dell’inizio del rapporto (anche per le mini co.co.co. senza progetto). 3) Iscrivere il collaboratore alla gestione INPS. 4) Iscrivere il collaboratore alla gestione INAIL. 5) Attivare il Libro Unico del Lavoro. 6) Pagare il netto dovuto al collaboratore con assegno, con redazione della busta paga. 7) Entro il giorno 16 del mese successivo al pagamento versare la ritenuta IRPEF e il contributo INPS. 324


LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

8) Presentare all’INPS le denunce mensili e annuali, solo in presenza di compensi pagati nell’anno. 9) Entro il 16/2 dell’anno successivo pagare i contributi INAIL (saldo e acconto). 10)Entro il 28/2 dell’anno successivo inviare al collaboratore la certificazione dei compensi pagati e delle ritenute IRPEF e INPS effettuate, con il modello CUD. 11) Entro il 31/07 presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta mod. 770. 12)Entro il 16/6 di ogni anno pagare l’IRAP, salvo esenzione prevista dalle singole leggi regionali, (oltre all’eventuale IRES dovuta per altri redditi posseduti). 13)Al termine della collaborazione inviare apposita comunicazione telematica al Centro per L’Impiego all’INAIL e all’INPS. Si ricorda che per gli incarichi affidati a dipendenti pubblici occorre acquisire il previo consenso dell’amministrazione di appartenenza (v. art. 53 del D.Lgs. 165/2001). Esiste inoltre l’obbligo di comunicare annualmente i dati dei compensi al Dipartimento della Funzione Pubblica. Tutte le informazioni del caso possono essere attinte dal sito internet www.anagrafeprestazioni.it. 15.4 La collaborazione occasionale 15.4.1 Criteri generali La collaborazione occasionale consiste in una attività di lavoro autonomo non esercitata in via abituale (art. 67, 1° comma, lett. L, TUIR). Si tratta quindi di una prestazione lavorativa che si distingue dalle mini co.co.co. per questi aspetti: a) la sua breve durata temporale, comunque non superiore a 30 giorni lavorativi per anno solare (assenza di continuità); b) per il fatto che non si inserisce in modo organico nella struttura del committente (assenza di coordinamento). La collaborazione occasionale dovrebbe, in sostanza, riguardare un’attività episodica, non soggetta a ripetizione in un arco di tempo ragionevole. L’importo del compenso non può superare € 5.000,00= per anno solare per singolo committente, altrimenti si ricade nella mini co.co.. Tale limite è invece rilevante per i contributi INPS, nel caso il singolo prestatore cumuli più incarichi di lavoro occasionale per più committenti nel corso dell’anno solare (v. oltre). Esempi di tale attività possono essere la consegna dei pacchi natalizi per conto di un’impresa o di un ente, la raccolta delle quote sociali (una volta all’anno), la cura

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della vendita dei biglietti per una pesca di beneficenza o per un concerto, l’aiuto a raccogliere materiali di recupero una tantum, le pulizie della nuova sede, l’elaborazione di un progetto, ecc..

Le prestazioni occasionali sono esonerate dalla preventiva comunicazione al Centro per l’Impiego e non vanno inserite nel Libro Unico del Lavoro. Le prestazioni occasionali si dividono in due macro categorie: • quelle di tipo accessorio; • quelle “normali”. 15.4.2 Le prestazioni occasionali di tipo accessorio L’art. 70 del D. Lgs. 276/2003, nel nuovo testo modificato dal D.L. 112/2008, prevede che siano prestazioni di “lavoro accessorio” le attività lavorative che hanno i seguenti criteri: Prestatore Fruitore Settori/Attività

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Qualunque persona fisica Qualunque datore di lavoro:privato, ente, impresa lavori domestici lavori di giardinaggio lavori di pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti insegnamento privato supplementare – lavori per manifestazioni sportive, culturali o caritatevoli – lavori di emergenza – lavori di solidarietà lavori nei periodi di vacanza da parte di giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o un istituto scolastico di ogni ordine e grado; – lavori agricoli di carattere stagionale effettuate da pensionati e da giovani di cui alla lettera e) (-> studenti) – attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del D.P.R. 26/10/72, n. 633 (agricoltori minimi); –lavori per l’impresa familiare, limitatamente al commercio, al turismo e ai servizi;


LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

–lavori di consegna porta a porta –lavori di vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica. A) Il sistema di pagamento Il pagamento di queste prestazioni “accessorie” deve avvenire esclusivamente con il meccanismo del “voucher” (v. Circolare INPS 1 dicembre 2008, n. 104), sia singolo (da € 10) che multiplo (da € 50). I voucher possono essere pagati tramite il rilascio al lavoratore di una apposita tessera INPS (tipo bancomat) o tramite acquisto diretto da parte del datore di lavoro dei buoni cartacei da cambiare presso gli uffici postali. Il voucher cartaceo Per le OdV potrebbe essere più usuale utilizzare il voucher cartaceo, con le seguenti modalità: a) OdV committente – paga la somma necessaria con il c/c/p 89778229 intestato all’INPS DG LAVORO OCCASIONALE ACC.; – si reca all’INPS a ritirare i buoni; – prima dell’inizio dell’attività di lavoro accessorio comunica all’INAIL i seguenti dati (tramite fax 800/657657 o telefono 803.164): • propri dati anagrafici e codice fiscale • dati anagrafici e codice fiscale di ogni prestatore • luogo dove si svolgerà la prestazione • date presunte di inizio e fine della prestazione (in caso di variazione occorre ridare la comunicazione); – al termine della prestazione compila il buono (proprio codice fiscale, quello del prestatore, data della prestazione, firma) e lo consegna al prestatore; b) prestatore – riscuote il corrispettivo presso qualsiasi ufficio postale c) uffici vari – l’ufficio postale invia i dati all’INPS – l’INPS accredita i contributi al prestatore. In ogni caso è bene che il committente si faccia rilasciare dal prestatore anche una ricevuta di avvenuto saldo dell’intero importo pattuito e che il prestatore nulla ha più a pretendere. Gli eventuali buoni rimasti in eccesso possono essere chiesti a rimborso all’INPS. 327


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B) Importo e limiti Per il prestatore/lavoratore l’attività lavorativa di natura occasionale accessoria non può dare luogo nel corso di un anno solare a compensi superiori a € 5.000= da parte di ciascun singolo committente. Il valore nominale di ogni singolo buono o voucher è pari a € 10= e comprende: • il compenso per il lavoratore € 7,50 • il contributo INPS (aliquota 13%) € 1,30 • il contributo INAIL (aliquota 7%) € 0,07 • il compenso ai gestori del servizio (5%) € 0,05 TOTALE € 10,00 C) Regime del compenso Il compenso del prestatore/lavoratore che ha svolto attività occasionale accessoria: – è esente da ogni imposizione fiscale; – non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato. – non dà titolo a prestazioni di malattia, di maternità, di disoccupazione né ad assegno per il nucleo familiare. Trattandosi di compensi esenti, per il percipiente: – non vanno indicati nel modello di dichiarazione dei redditi; – non sono rilevanti ai fini del superamento del limite per essere considerati familiari fiscalmente a carico dei genitori (€ 2.840,51=) (art. 12 TUIR). D) Studenti in vacanza L’impiego degli studenti deve avvenire durante le vacanze, che corrispondono ai seguenti periodi (Ministero del Lavoro circolare n. 4 del 3/2/2005, INPS circolare n. 104 dell’1/12/2008): – Vacanze natalizie: dall’1/12 al 10/1 – Vacanze pasquali: dalla domenica delle Palme al martedì successivo il lunedì dell’angelo – Vacanze estive: dall’1/6 al 30/9. E) IRAP I compensi di lavoro “accessorio” rientrano nella categoria del lavoro autonomo occasionale (art. 67, 1° comma, lett. L), TUIR), per cui l’associazione dovrà inserirli nella propria base imponibile ai fini IRAP (settore istituzionale o settore commerciale). 328


LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

15.4.3 Le prestazioni occasionali “normali” Le attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e che esulano dal lavoro “accessorio” seguono i criteri tradizionali. A) Regime fiscale Ai fini fiscali l’associazione che eroga un compenso occasionale è tenuto: a) ad effettuare e versare la ritenuta d’acconto IRPEF del 20% (codice 1040); b) a rilasciare entro il 28/2 dell’anno successivo la certificazione attestante le somme pagate e le ritenute versate; c) a presentare entro il 31/7 la dichiarazione dei sostituti d’imposta mod. 770; d) a includere nella base imponibile IRAP (aliquota del 3,9% salvo esenzioni o riduzioni deliberate dalle singole Regioni) il compenso pagato; e) a presentare la dichiarazione annuale all’INPS, nel caso siano versati i relativi contributi (v. oltre). Si ricorda che tali adempimenti prescindono dall’esercizio o meno di un’attività commerciale da parte dell’ente. Il compenso è escluso da IVA ex art. 5 del D.P.R. 633/72, per cui il percipiente non deve tenere le scritture contabili. Per il percettore si tratta di un reddito “diverso” da indicare nel proprio mod. 730 o unico persone fisiche, inserendo come credito la ritenuta subita, da detrarre dall’IRPEF complessivamente dovuta. A fronte di tale compenso il percettore può detrarre in modo analitico le spese strettamente inerenti all’esecuzione dell’incarico, purché adeguatamente documentate (es. costo dell’auto, acquisto di materiale, ecc.). Il fisco ha sempre negato la possibilità che il committente possa rimborsare tali spese in esenzione d’imposta (prassi comunque molto diffusa), qualificando come compenso anche tale voce. L’art. 13 del TUIR prevede per il percipiente una specifica detrazione dall’IRPEF a fronte di questo tipo di reddito: – decrescente all’aumentare del reddito complessivo – non cumulabile con le detrazioni per redditi di lavoro dipendente e assimilati e di pensione – non va rapportata al periodo di lavoro nell’anno. La detrazione d’imposta è la seguente:

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Reddito complessivo Fino a € 4.800= Oltre € 4.800 fino a € 55.000

Detrazione € 1.104= € 1.104 x ((55.000 - reddito complessivo): 50.200)

Dato che la prima aliquota IRPEF è pari al 23% ne deriva che i compensi occasionali sono, di fatto ed in assenza di altri redditi, non tassati fino all’importo di € 4.800=. Ne deriva che, in assenza di altri redditi, tutta la ritenuta d’acconto diventa un credito da chiedere a rimborso, per cui occorrerà compilare il modello UNICO (o il 730 in presenza di successivi redditi di lavoro dipendente o assimilati). Si ricorda che per gli incarichi, anche occasionali, affidati a dipendenti pubblici occorre acquisire il previo consenso dell’amministrazione di appartenenza (v. art. 53 del D.LGS. 165/2001). Esiste inoltre l’obbligo di comunicare annualmente i dati dei compensi al Dipartimento della Funzione Pubblica. Tutte le informazioni del caso possono essere attinte dal sito internet www.anagrafeprestazioni.it. B) Regime previdenziale Dall’1/1/2004 i titolari di redditi di lavoro autonomo occasionale devono iscriversi alla gestione separata INPS (quella dei co.co.co.) qualora il reddito annuo derivante da tale attività sia superiore a € 5.000,00=, a prescindere dal numero dei committenti. Per il versamento dei contributi INPS, sull’importo dei soli compensi eccedenti il limite di € 5.000,00=, va fatto riferimento ai casi, aliquote, modalità e termini previsti per i co.co.co. (v. sopra). I committenti devono conteggiare i contributi sull’importo del compenso erogato, al lordo della ritenuta d’acconto IRPEF 20%, trattenendo e versando anche la quota di 1/3 a carico del lavoratore. È fatto carico al lavoratore di comunicare ai committenti il superamento in corso d’anno (solare) del limite di € 5.000,00=, con riferimento al criterio di cassa (compensi incassati). Per questo motivo è opportuno che su ogni ricevuta di pagamento dei compensi in parola i committenti facciano autocertificare dal lavoratore se ha superato o meno il tetto di € 5.000,00=. Si ricorda che, anche per tale tipo di compensi, in presenza del pagamento dei contributi INPS, il committente dovrà compilare le dichiarazioni annuali INPS, come già visto per i co.co.co., affidandosi ad un servizio paghe. I lavoratori occasionali che versano il contributo INPS hanno diritto a talune prestazioni assistenziali, come i co.co.co. (v. sopra). 330


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15.5 Il lavoro artistico 15.5.1 In generale Le prestazioni di lavoro degli artisti vanno inquadrate sotto il profilo fiscale e sotto il profilo previdenziale. Sotto il primo aspetto gli artisti possono lavorare in uno dei regimi visti sopra: • Lavoro autonomo: – collaborazione occasionale – collaborazione coordinata continuativa – con P.IVA • lavoro subordinato vero e proprio. Per ognuno di questi rapporti l’ente deve svolgere tutte le formalità previste dalle leggi fiscali (v.sopra). Sotto il secondo aspetto vigono obblighi particolari che derogano a quanto sopra scritto per gli altri settori. In particolare esistono questi istituti: • versamento di alcuni contributi assistenziali all’INPS, a prescindere dall’inquadramento fiscale del rapporto; • versamento dei contributi previdenziali all’ENPALS, a prescindere dall’inquadramento fiscale del rapporto. Si segnala che molti problemi (non tutti) vengono superati in presenza di prestazioni a titolo gratuito, da formalizzare in una apposita dichiarazione dell’artista. In questo caso l’ENPALS può richiedere comunque il pagamento dei contributi sui minimali giornalieri di paga, salvo il caso di spettacoli per beneficenza. In ogni caso è meglio assumere informazioni presso l’ENPALS o le agenzie SIAE, che svolgono il ruolo di delegati.

I problemi vengono superati se l’artista viene assunto per il tramite di un’agenzia o di una società di servizi che rilascerà all’associazione una fattura con IVA e provvederà in proprio a tutte le incombenze burocratiche del caso: in questo caso è opportuno farsi rilasciare apposita dichiarazione liberatoria. Si ricorda che gli artisti in possesso di P.IVA o le agenzie possono fatture con IVA 10% (n. 123, tabella A, parte III, D.P.R. 633/72, come chiarito dall’art. 1, comma 300, L. 296/2006) le prestazioni relative a: • spettacoli teatrali di qualsiasi tipo, compresi opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia musicale, rivista; 331


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• • •

concerti vocali e strumentali; attività circensi e dello spettacolo viaggiante; spettacoli di burattini e marionette ovunque tenuti. Si segnala che sconta invece l’IVA al 20% la fornitura “chiavi in mano” di un servizio artistico completo, comprensivo degli artisti, delle attrezzature tecniche e dei servizi vari di assistenza.

15.5.2 I contributi INPS ed ENPALS In caso di assunzione diretta degli artisti con pagamento di un compenso l’associazione dovrà aprire una propria posizione presso l’INPS e presso l’ENPALS. All’INPS vanno versati i contributi assistenziali (malattia, tbc, asili ecc.), mentre all’ENPALS vanno versati i contributi previdenziali (aliquota 33% dall’1/1/2007), presentando apposite dichiarazioni (mensili, trimestrali, annuali). Ogni artista deve essere iscritto all’ENPALS, così come ogni ente non profit che organizza spettacoli deve aprire una propria posizione e ottenere un apposito certificato di agibilità. Le agenzie SIAE svolgono il compito di terminali dell’ENPALS e possono aiutare l’associazione a svolgere tutte le formalità qui indicate. Si segnala l’esigenza che la materia venga trattata da un consulente del lavoro o da un servizio paghe esperto del settore.

15.5.3 Esenzione da ENPALS per talune manifestazioni L’art. 1, comma 188, della L. 296/2006 (legge finanziaria per il 2007), modificata dall’art. 39-quater del D.L. 1/10/2007 n. 159, ha introdotto dall’1/1/2007 alcune agevolazioni ai fini ENPALS per le esibizioni musicali dal vivo svolte da taluni soggetti non professionisti. Esenzioni per esibizioni musicali Soggetti organizzatori Qualsiasi Tipo di manifestazione Esibizioni musicali dal vivo in • Spettacoli • Manifestazioni di intrattenimento • Celebrazioni di tradizioni popolari e folcloristiche Tipi di artisti • Giovani ≤ 18 anni • Studenti ≤ 25 anni • Pensionati di età > 65 anni 332


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Esenzioni ENPALS

Decorrenza Obblighi rimasti: a) ente organizzatore

Obblighi rimasti: b) percipiente

• Persone con altra attività lavorativa per cui versano i contributi previdenziali No iscrizione artisti No contributi fino a € 5.000,00 annue SI contributi per la quota eccedente € 5.000,00= annue NO dichiarazioni NO certificato di agibilità Dall’1/1/2007 Contributi e dichiarazioni INPS Aspetti fiscali: – ritenute d’acconto e certificazioni – dichiarazione mod. 770 – dichiarazione e pagamento IRAP Reddito da inserire nel mod. 730 o unico

Si notano alcuni punti: • non sono posti vincoli al tipo di enti organizzatori, che possono essere enti non profit, ma anche enti profit; • l’esenzione spetta solo ai musicisti e ai cantanti e non ad altre categorie di artisti (come gli attori) (v. Circolare ENPALS n. 2 del 30/1/2008); • l’esenzione riguarda solo gli adempimenti ed i contributi dell’ENPALS non toccando gli aspetti INPS (che forse non saranno dovuti considerando la logica della norma che vuole esentare e semplificare queste esibizioni musicali); • restano in vigore gli adempimenti fiscali (tipicamente saranno quelli del lavoro autonomo occasionale). Ai fini delle imposte sui redditi si segnala che talune associazioni operanti nel settore delle “tradizioni popolari e folcloristiche” possono godere dell’esonero dagli obblighi di ritenuta d’acconto e di presentazione della dichiarazione mod. 770 (v. apposito paragrafo). 15.6 La borsa di studio 15.6.1 In generale Molte associazioni erogano compensi a persone fisiche per l’effettuazione di ricerche o di studi di vario genere. Spesso tali somme vengono qualificate come rapporti di collaborazione coordinata e continuativa o, anche, di collaborazio333


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ne occasionale, mentre potrebbero rientrare più esattamente nella casistica della borsa di studio che, tra l’altro, ha un trattamento fiscale e previdenziale più favorevole, sia per l’ente che per il percettore. Si possono fare esempi nei più svariati settori: – le associazioni che si occupano di malattie finanziano in questo modo ricerche mediche e biologiche (diabete, leucemia, cancro, ecc.): – le associazioni di solidarietà possono commissionare studi sociologici (sulle nuove povertà, sugli immigrati, sui problemi giovanili, ecc.) oppure possono sostenere giovani (anche immigrati) che seguono corsi di addestramento professionale presso appositi istituti – le associazioni ambientaliste possono produrre studi scientifici (su oasi naturali, sugli animali, ecc.) – le associazioni di protezione civile possono produrre ricerche sui sistemi di sicurezza ambientale ecc..

Gli elementi essenziali di questa fattispecie sono: • un’attività di studio o di ricerca o di addestramento professionale; • delimitata nel tempo; • finalizzata al raggiungimento di un obiettivo “scientifico - formativo” (stesura di una relazione, effettuazione di un esperimento, acquisizione di una qualifica lavorativa o di un titolo di studio). La borsa di studio dovrà essere deliberata dal Consiglio Direttivo dell’associazione nei suoi termini generali ed è opportuno che risulti anche da una lettera inviata al percettore. 15.6.2 Il regime fiscale: a) le regole IRPEF Ai fini fiscali l’art. 50, 1° comma, lett. C), del T.U.I.R., classifica tra i redditi assimilati al lavoro dipendente “le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio o per fini di studio o di addestramento professionale …”. L’art. 24 del D.P.R. 600/73 pone poi a carico dell’ente erogante l’obbligo di effettuare le ritenute ai fini IRPEF. Condizione preliminare per tale inquadramento fiscale è che il ricercatore non sia legato all’associazione da un parallelo e contemporaneo rapporto di lavoro dipendente, altrimenti anche detta somma rientra nel reddito di lavoro dipendente a tutti gli effetti. Questo non impedisce che il percettore abbia dei rapporti di lavoro dipendente o autonomo con altri enti o imprese.

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Per le OdV resta altresì fermo che il percettore non può essere, contemporaneamente, socio dell’associazione, per il noto divieto di avere rapporti a contenuto patrimoniale con il proprio sodalizio.

Il fisco ha precisato (v. C.M. 17/12/82 n. 52 e C.M. 27/2/84 n. 7) che rientrano nella nostra ipotesi le somme erogate per: – sostenere attività di studio o di ricerca scientifica o di specializzazione (-> borse di studio in senso stretto); – corsi di specializzazione, qualificazione o riqualificazione per fini di studio o per addestramento professionale; – corsi finalizzati ad una eventuale futura occupazione lavorativa. Non possono invece essere comprese in queste ipotesi le spese sostenute ai fini di una selezione preliminare del personale da assumere, ipotesi che in genere non riguarda le associazioni. Le somme pagate sono soggette all’IRPEF in capo al percettore, con modalità analoghe a quelle del reddito di lavoro dipendente. All’atto del pagamento del compenso l’associazione dovrà compilare una busta paga, effettuare le ritenute IRPEF applicando le aliquote previste per i vari scaglioni di reddito e le detrazioni tipiche dei lavoratori dipendenti. Sull’importo della borsa di studio è altresì dovuta l’addizionale regionale o comunale all’IRPEF. L’addizionale va trattenuta dall’associazione erogante e versata all’erario in unica soluzione (e non con riferimento ai singoli pagamenti come avviene per la ritenuta IRPEF) a fine anno solare o, se antecedente, al termine del rapporto, con riferimento all’intero importo corrisposto in questo lasso di tempo (v. C.M. 9/1/98 n. 3). Per il calcolo di questa addizionale non si tiene conto delle detrazioni d’imposta. Taluni tipi di borse di studio erogate da Università e altri enti pubblici, nazionali e internazionali, sono esenti da IRPEF grazie a specifiche leggi di settore (v. sotto).

Se il pagamento avviene in unica soluzione la ritenuta andrà versata entro il 16 del mese successivo al pagamento con il consueto modello F24 con codice tributo 1004. In caso di pagamento per rate occorrerà fare il calcolo per ogni periodo di riferimento (es. mese o trimestre), tenendo conto che la detrazione si calcola per giorni effettivi di calendario.

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Entro il 28/2 dell’anno successivo al pagamento l’associazione rilascerà al percettore il modello CUD, come per i lavoratori dipendenti, per certificare le somme pagate e le ritenute effettuate. L’importo della borsa di studio dovrà poi essere indicato nella dichiarazione mod. 770 dell’associazione. Il ricercatore che abbia percepito solo questo tipo di reddito (assimilato al reddito di lavoro dipendente) non ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi (mod. 730 o unico persone fisiche), in quanto ha già scontato l’IRPEF dovuta. Ovviamente tale obbligo permane in presenza di altri tipi di reddito o di altre detrazioni o di oneri ed in questo caso dovrà essere indicato il reddito derivante dalla borsa di studio, scomputando le ritenute effettuate dall’ente erogante. L’associazione, se lo ritiene opportuno, potrà anche prevedere che vengano rimborsate al percettore le spese vive documentate sostenute per trasferte relative all’incarico conferitogli. In questo caso le somme saranno esenti da IRPEF con gli stessi criteri e limiti previsti per le trasferte del personale dipendente. Per tutti i conteggi del caso sarà opportuno rivolgersi a chi si occupa professionalmente di paghe (consulente del lavoro, associazioni di categoria ecc.).

15.6.3 Segue: b) le regole IRAP L’associazione dovrà inserire l’importo della borsa di studio nella propria base imponibile IRAP, tipicamente quella del settore istituzionale, con aliquota ordinaria pari al 3,9%, salvo riduzioni o esenzioni regionali. 15.6.4 Il contributo INPS La borsa di studio, a differenza dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, non è soggetta al contributo INPS. 15.6.5 INAIL Occorre tenere presente che per alcuni di tipi di attività svolte dai ricercatori potrebbe rendersi obbligatoria l’iscrizione all’INAIL, con il pagamento del relativo premio. L’obbligo INAIL scatta in presenza di fattori di rischio, a prescindere dalla qualifica del soggetto che lavora. L’obbligo farebbe capo all’ente erogatore della borsa di studio, indipendentemente dal fatto che l’attività di ricerca venga svolta presso altri enti (es. ospedali). Il premio da pagare viene quantificato con riferimento a salari convenzionali previsti dalle tariffe INAIL, applicando la percentuale ivi prevista per il tipo di rischio in esame. 336


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Esistono comunque pareri discordanti su tale adempimento in relazione alle concrete modalità di svolgimento della ricerca: luogo, condizioni di rischio, impiego di macchinari o sostanze pericolose, ecc.. Sarà opportuno procedere ad una verifica del caso concreto presso la sede INAIL competente per territorio. 15.6.6 Casi particolari di esenzione Varie leggi prevedono l’esenzione da IRPEF di alcuni tipi di borse di studio, che però non riguardano le associazioni. Si tratta in generale di somme erogate da soggetti pubblici qualificati (Università, Istituti di Istruzione Universitaria, Regioni, Province Autonome) per particolari tipi di studi (corsi di perfezionamento, scuole di specializzazione, dottorati di ricerca, ricerche post-dottorato, corsi di perfezionamento all’estero). Le associazioni, in qualche caso particolare, potrebbero sfruttare queste esenzioni, erogando le somme a titolo di contributo agli enti pubblici sopra indicati che, a loro volta, erogheranno la borsa di studio ai diretti interessati. In questo modo l’associazione si sgraverebbe anche di tutti gli obblighi burocratici sopra ricordati, che farebbero carico all’ente pubblico in veste di effettivo erogatore della borsa di studio.

15.7 L’associazione in partecipazione 15.7.1 La definizione L’art. 2549 del C.C. definisce l’associazione in partecipazione come il contratto con il quale “l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.”. Si tratta di un rapporto giuridico che ha connotati misti, sia “di scambio” che “associativi”, che la differenziano da una società vera e propria. I caratteri di fondo sono i seguenti: a) è fondamentalmente un rapporto relativo ad un’impresa o comunque ad un’attività economica avente scopo di lucro (almeno oggettivo); b) l’associante rimane il titolare dell’impresa o degli affari ed è l’unico ad avere i rapporti con i terzi; c) l’associato partecipa agli utili (se ci sono) e anche alle perdite, che tuttavia non possono superare il valore del suo apporto.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

L’apporto può consistere in un capitale, in un servizio (es. prestazione di garanzia, concessione in uso di macchine o locali, ecc.) o anche in sola prestazione di lavoro. In quest’ultimo caso l’associato (detto “d’opera”) si impegna a prestare la sua attività lavorativa in cambio di una quota degli utili dell’impresa o degli affari. La partecipazione alle perdite consisterà nel non avere diritto ad alcun utile, restando escluso che debba versare del denaro all’associante (salvo diversa disposizione del contratto individuale). La partecipazione agli utili si può anche rapportare ad una quota dei ricavi (es. 10% degli incassi del bar), come confermato anche dalla Cassazione sent. N. 9264 del 18/4/2007. In termini economici possiamo dire che il costo fisso del personale può diventare un costo variabile, con riduzione del rischio a carico del titolare dell’impresa.

L’associato non deve, formalmente e sostanzialmente, porre in essere un’attività lavorativa con i caratteri del lavoro subordinato, per cui non vi devono essere vincoli gerarchici o poteri disciplinari dell’associante. Ulteriore elemento che è meglio che non compaia è la previsione di un compenso minimo a prescindere dall’andamento dell’affare o dell’attività. 15.7.2 Casi di utilizzo per una associazione Si sottolinea che una associazione potrà utilizzare questo tipo di contratto nei casi in cui gestisca un’impresa o comunque un’attività oggettivamente economica: la Corte di Cassazione (sent. 6/8/1982 n. 4411) ha infatti previsto che l’associante possa anche non essere formalmente un imprenditore, purché il contratto sia relativo ad un’attività economica caratterizzata dallo scopo di lucro. Nel campo delle attività a contenuto economico si possono ipotizzare i seguenti casi di addetti pagati a percentuale degli incassi: • bar in gestione diretta del circolo; • botteghe del commercio di prodotti del terzo mondo; • corsi a pagamento.

15.7.3 Regime fiscale e contributivo La quota di utili attribuita all’associato d’opera costituisce un reddito di lavoro autonomo per il percipiente ed è un costo deducibile per l’impresa dell’associante. 338


LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

All’atto del pagamento l’associante è tenuto ad effettuare la ritenuta IRPEF del 20%, mediante rilascio di una semplice ricevuta (non occorre la busta paga come per i co.co.co.). Ai fini contributivi l’associato d’opera deve iscriversi nella stessa gestione INPS dei co.co.co., scontando le stesse aliquote contributive. Soggetti non pensionati e senza altra copertura previdenziale obbligatoria – Titolari di pensione diretta – Titolari di pensione indiretta – Soggettiprovvisti di altra copertura previdenziale obbligatoria

25,27% fino a € 91.507 (*) 17% fino a € 91.507 (*)

(*) Massimali relativi al 2009 soggetti a rivalutazione annuale.

Il contributo è posto per il 55% a carico dell’associante e per il 45% a carico dell’associato: Aliquota piena

Associante

Associato

25,72%

14,15%

11,57%

17,00%

9,35%

7,65%

L’associante è tenuto a trattenere il 45% del contributo e a versarlo all’INPS unitamente alla quota a proprio carico. I versamenti IRPEF e INPS vanno effettuati entro il giorno 16 del mese successivo al pagamento. L’associato d’opera va iscritto all’INAIL. L’associante deve inserire il compenso nella base imponibile IRAP. Riepilogando gli adempimenti principali sono i seguenti: a) redigere il contratto di associazione in partecipazione; b) entro il giorno precedente l’inizio del rapporto va inviata apposita comunicazione al Centro per l’Impiego; c) iscrivere l’associato nel L.U.L.; d) all’atto del pagamento del compenso l’associazione dovrà trattenere e versare la ritenuta d’acconto IRPEF del 20%;

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e) al 16/2 dell’anno successivo pagare l’INAIL; f) entro il 28/2 dell’anno successivo l’ente dovrà inviare l’attestazione dei compensi pagati e delle ritenute effettuate; g) entro il 31/7 dell’anno successivo l’ente dovrà compilare la dichiarazione dei sostituti d’imposta (mod.770); h) l’ente dovrà compilare la dichiarazione mensile e annuale per l’INPS. Il percipiente dovrà compilare la propria dichiarazione dei redditi e versare l’IRPEF, per la parte eccedente la ritenuta subita, e l’addizionale regionale e comunale. Il compenso non è soggetto ad IVA e l’associato non deve tenere alcun tipo di scritture contabili. Data la complessità della materia, sia per l’inquadramento che per gli adempimenti, si consiglia di rivolgersi ad idoneo servizio paghe esperto del settore. Nel caso di contratti di associazione in partecipazione relativi ad imprese il fisco, con un parere reso anni addietro ma ancora formalmente valido, ha condizionato la deducibilità del costo alla previa registrazione del contratto presso l’Agenzia delle Entrate. Tale vincolo, derivante da esigenze di contrasto all’utilizzo fraudolento di tale contratto, non è previsto da alcuna norma di legge e si può ritenere ormai superato dai sopravvenuti obblighi di comunicazione al Centro per l’Impiego e di iscrizione all’INPS e all’INAIL, che attestano in modo certo la natura e la decorrenza del rapporto.

Gli associati d’opera, in quanto iscritti alla gestione separata INPS, hanno diritto ad alcuni trattamenti assistenziali: • indennità di maternità • indennità per ricovero ospedaliero • assegno per il nucleo familiare. Dall’1/1/2007 anche agli associati d’opera dovrebbe competere l’indennità di malattia: tuttavia l’INPS, con atteggiamento di chiusura non conforme alla legge, la nega per cui, in caso di bisogno e in attesa di chiarimenti da parte del Ministero del Lavoro, occorrerà fare ricorso. Tali prestazioni assistenziali sono vincolate ad una certa anzianità di iscrizione e/o agli importi versati, per cui ogni pratica va curata presso i patronati che, per legge, prestano assistenza in modo gratuito.

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15.8 Agevolazioni per cori, bande e filodrammatiche Dall’1/1/2005 talune associazioni culturali possono remunerare alcune figure usufruendo del regime agevolato previsto per le associazioni sportive dilettantistiche (art. 67, 1° comma, lett. m), TUIR). La norma è stata rivista e resa più organica dalla legge finanziaria 2007, per cui dall’1/1/2007 il quadro normativo è il seguente: Associazioni eroganti

Percipienti Vincoli Tipi di compensi

Regime fiscale Compensi (*)

Regime previdenziale Compensi

• Cori Che hanno • Bande musicali finalità • Filodrammatiche dilettantistica • Direttori artistici • Collaboratori tecnici Attività svolta dal percipiente: • Non in modo professionale (assenza di P.IVA) • Indennità di trasferta • Rimborsi forfetari di spesa • Premi • Compensi • Fino a € 7.500,00=: esente • Sulla parte da € 7.501,00= a € 28.158,28: ritenuta d’imposta (**) • Sulla parte eccedente € 28.158,28=: ritenuta d’acconto (***) Nulla è dovuto

(*) Si fa riferimento ai compensi incassati dalla persona nell’anno solare, a prescindere dal numero delle associazioni committenti. (**) La ritenuta è del 23,9%, pari alla somma tra l’aliquota del primo scaglione IRPEF (23%) e l’addizionale di compartecipazione regionale IRPEF (0,9%). (***) La parte di compensi eccedente la soglia di € 28.158,28= dovrà essere inserita nella dichiarazione dei redditi del percipiente, detraendo la ritenuta d’acconto subita. Si segnala che tale parte sconta l’aliquota IRPEF marginale che si raggiunge considerando anche la parte soggetta a ritenuta d’acconto.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Si ricorda che: la ricevuta rilasciata dal percipiente dovrà indicare se, con il compenso liquidato, vengono o meno superate le fasce di reddito sopra indicate, al fine di consentire all’associazione di effettuare o meno la ritenuta, sia d’imposta che d’acconto; la ritenuta va versata entro il 16 del mese successivo al pagamento; tutti i percipienti, anche quelli nella prima fascia di esenzione, vanno indicati nel mod. 770 dell’associazione; il percipiente deve compilare la dichiarazione dei redditi (730 o unico), nel caso di applicazione della ritenuta a titolo d’acconto. Chi percepisce questi redditi solo nel limite di € 7.500= (prima fascia) mantiene il carattere fiscale di familiare a carico. 15.9 Il regime dei rimborsi spese per le associazioni sportive 15.9.1 Requisiti soggettivi e oggettivi L’art. 67, 1° comma, lett. M, del TUIR, prevede regole di favore per la corresponsione di somme a chi presta attività sportiva nel settore dilettantistico, con i seguenti requisiti: Soggetti eroganti CONI Federazioni sportive nazionali Enti di promozione sportiva Associazioni sportive società sportive dilettantistiche iscritte registro CONI

Soggetti percipienti Atleti Dirigenti

Tipologie di erogazioni Indennità di trasferta Rimborsi forfetari di spesa

Tecnici (istruttori, preparatori atletici) Arbitri e commissari di gara

Premi Compensi

Questi compensi devono essere legati all’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistiche, per cui riguardano chi “gioca in campo” (gli atleti) e chi “assiste a bordo campo” (arbitri, dirigenti e tecnici vari). L’art. 35 del D.L. 208/08 ha chiarito in via interpretativa che le parole “esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche” comprendono anche “la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica.”. 342


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Solo per le associazioni e società sportive di base sono inclusi in questo regime di favore anche i compensi erogati ai segretari o dirigenti, tecnicamente individuati come “rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale”. Questo regime può essere utilizzato dalle associazioni che si occupano dello sport dei disabili, affiliate alle apposite Federazioni Sportive di settore. Per l’associazione questi compensi non formano base imponibile ai fini IRAP. 15.9.2 Regime fiscale e previdenziale Il regime è il seguente: Regime fiscale Compensi (*)

Regime previdenziale Compensi

• Fino a € 7.500,00=: esente • Sulla parte da € 7.501,00= a € 28.158,28: ritenuta d’imposta (**) • Sulla parte eccedente € 28.158,28=: ritenuta d’acconto (***) Nulla è dovuto (Vertenza ENPALS)

(*) Si fa riferimento ai compensi incassati dalla persona nell’anno solare, a prescindere dal numero delle associazioni committenti. (**) La ritenuta è del 23,9%, pari alla somma tra l’aliquota del primo scaglione IRPEF (23%) e l’addizionale di compartecipazione regionale IRPEF (0,9%). (***) La parte di compensi eccedente la soglia di € 28.158,28= dovrà essere inserita nella dichiarazione dei redditi del percipiente, detraendo la ritenuta d’acconto subita. Si segnala che tale parte sconta l’aliquota IRPEF marginale che si raggiunge considerando anche la parte soggetta a ritenuta d’acconto (in sostanza si può passare allo scaglione IRPEF successivo).

Si ricorda che: • restano esenti da IRPEF e, quindi, anche da questo regime di favore, i rimborsi di spese vive documentate effettuate per trasferte sportive, per cui essi non vanno considerate ai fini del superamento dei limiti monetari; • la ricevuta rilasciata dal percipiente deve indicare se, con il compenso liquidato, vengono o meno superate le fasce di reddito sopra indicate, al fine di consentire all’associazione di effettuare o meno la ritenuta, sia d’imposta che d’acconto;

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

• • •

la ritenuta va versata entro il 16 del mese successivo al pagamento; tutti i percipienti, anche quelli nella prima fascia di esenzione, vanno indicati nel mod. 770 dell’associazione; il percipiente deve compilare la dichiarazione dei redditi (730 o unico) nel solo caso di applicazione della ritenuta a titolo d’acconto.

Chi percepisce questi redditi nel limite di € 7.500= (prima fascia) mantiene il carattere fiscale di familiare a carico. Ai fini previdenziali l’ENPALS ha ripetutamente sostenuto che tali compensi, almeno in parte, dovrebbero essere soggetti alla contribuzione ordinaria, elevando verbali a carico di vari club di base. Sia il CONI che altre istituzioni sportive hanno vivacemente contestato questa pretesa per cui, al momento, la situazione è sospesa, in attesa che il Ministero del Lavoro o il Parlamento dicano una parola definitiva. 15.10 Il lavoro dei detenuti 15.10.1 Il nuovo regime penitenziario La L. 354/1975 ha profondamente innovato la struttura dell’ordinamento penitenziario, cercando di attuare il precetto costituzionale del recupero del “cittadino che ha sbagliato”, in funzione del suo reinserimento nella società civile. A tale fine le varie norme della legge agiscono su due grandi direttrici: • apertura del carcere alla società civile; • tutela della personalità del carcerato. La riforma prevede per le OdV e per le altre espressioni della solidarietà civile hanno ampi spazi di intervento a favore dei detenuti e delle loro famiglie. Uno di questi ambiti di intervento è quello del lavoro e della formazione professionale dei detenuti, considerati strategici per il recupero e il successivo reinserimento sociale degli stessi. 15.10.2 Il lavoro dei detenuti Gli artt. 20 e ss. della L. 354/1975 e gli artt. 47 ss. del D.P.R. 230/2000 (regolamento) disciplinano il lavoro dei detenuti, che si può dividere su tre tipologie: • lavoro interno al carcere e alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria (c.d. lavoro “domestico”);

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LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

lavoro interno al carcere, ma alle dipendenze di imprese private esterne (c.d. lavoro “intramoenia”); • lavoro esterno al carcere, alle dipendente di imprese private esterne (c.d. lavoro “esterno”). Il detenuto che lavora è soggetto, contemporaneamente, a due tipi di rapporti giuridici: • il rapporto di diritto pubblico con l’Amministrazione Penitenziaria, legato al suo status di detenuto (-> restrizione della libertà a causa dell’espiazione della pena); • il rapporto di diritto privato con il datore di lavoro. In questa coabitazione il rapporto di diritto pubblico è, evidentemente, il principale al quale deve, se del caso, essere subordinato il secondo. Ad esempio è questo il caso del trasferimento del detenuto ad altro carcere, che può costituire giusto motivo di recesso dal lavoro esterno, senza diritto del datore di lavoro a reclamare danni o altre misure compensative.

La L. 354/1975 ed il regolamento D.P.R. 230/2000 disciplinano l’intero percorso del detenuto avviato al lavoro: • le categorie di detenuti ammissibili al lavoro, sia interno che esterno; • i casi di revoca di tale permesso; • il ruolo del Magistrato di Sorveglianza; • i caratteri dei soggetti che si propongono come committenti del lavoro “domestico” o come datori di lavoro del lavoro “intramoenia” ed “esterno”; • il coinvolgimento degli enti locali e dei Centri per l’Impiego. Altro aspetto fondamentale è che il rapporto di lavoro “intramoenia” ed “esterno” è regolato dalle ordinarie norme giuridiche, valide per i dipendenti “normali”. In particolare l’art. 48 del D.P.R. 230/2000 prevede che “i detenuti … ammessi al lavoro all’esterno esercitano i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi, con le sole limitazioni che conseguono agli obblighi inerenti all’esecuzione della misura privativa della libertà”. Solo per il lavoro “domestico” vi sono talune restrizioni, legate alla gestione della struttura carceraria, ma non sono di nostro interesse specifico.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Questo punto è molto importante: al rapporto di lavoro “intramoenia” o “esterno” del detenuto si applicano le regole previste dal diritto del lavoro in relazione ai suoi vari aspetti: • tipologia di contratto • inquadramento sindacale • livelli retributivi • diritti connessi (ferie, permessi, 13a, tfr) • coperture assicurative e previdenziali. Unico tratto particolare, derivante dalla condizione di detenuto, è che “i datori di lavoro dei condannati … in regime di semilibertà sono tenuti a versare alla direzione dell’istituto la retribuzione al netto delle ritenute previste dalle leggi vigenti e l’importo degli eventuali assegni per il nucleo familiare dovuti al lavoratore.”. Inoltre “i datori di lavoro devono … dimostrare alla stessa direzione l’adempimento degli obblighi relativi alla tutela assicurativa e previdenziale” (art. 54 D.P.R. 230/2000). Tale norma si spiega con il fatto che, su tali retribuzioni, l’Amministrazione Penitenziaria ha diritto di prelevare talune spese di giustizia, eventualmente rimaste a carico del condannato.

15.10.3 Ruolo dell’OdV L’OdV che opera nel settore penitenziario deve essere accreditata presso l’Amministrazione Penitenziaria e può operare in collaborazione con gli enti locali e con gli enti dediti alla formazione professionale. In tale veste può gestire progetti di inserimento lavorativo dei detenuti o collaborare a percorsi di formazione professionale autorizzati dalla Regione (o Provincia). In ambito lavorativo l’OdV, semplificando, può svolgere due diversi tipi di ruolo: • ruolo di “coordinatore di progetti”, facilitando il contatto con le ditte interessate ad assumere i detenuti; • ruolo di vero e proprio “gestore in proprio” di attività lavorative o formative. Nel primo caso l’OdV non assume diritti/doveri nei confronti del singolo detenuto lavoratore, che verrà inquadrato dalla singola ditta. Nel secondo caso l’OdV assume i diritti/doveri nascenti dal tipo di contratto stipulato con il singolo detenuto, sempre nell’ambito del progetto approvato dall’Amministrazione Penitenziaria. È il caso dell’OdV che impiega un detenuto per la gestione della propria segreteria.

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LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

15.10.4 Rapporti contrattuali OdV/detenuto Tenendo conto quanto sopra esposto ne deriva che l’OdV può stipulare con il detenuto vari tipi di contratti di lavoro, rientranti nelle consuete macro categorie: • lavoro subordinato; • lavoro autonomo. a) Lavoro subordinato Nell’ambito del lavoro subordinato l’OdV applica le regole ordinarie e può anche attingere a taluni tipi di agevolazioni: • subordinato a tempo determinato/indeterminato; • apprendistato ordinario; • apprendistato professionalizzante; • lavoratori disabili (L. 68/1999) (handicap, invalidi > 33%, ciechi, sordi, invalidi per motivi di servizio); • tirocinio formativo; • contratti d’inserimento; • lavori socialmente utili (D. Lgs. 468/1997, D. Lgs. 81/2000). Per l’instaurazione e la successiva gestione di detti rapporti l’OdV deve avvalersi di un servizio paghe (consulente del lavoro o associazione di categoria). Per i l.s.u. non si tratta di un vero e proprio rapporto di lavoro, in quanto l’indennità (pari a € 503,92 per il 2007 v. Circ. INPS 30/2007) viene erogata dall’INPS. I l.s.u. derivano da progetti realizzati tramite la rete dei Centri Per l’Impiego, spesso con l’intervento degli enti locali. Si segnala che le cooperative sociali godono della riduzione al 20% dei contributi relativi al lavoro dipendente dei detenuti, sia esso “intramoenia” che “esterno”, mentre per le altre imprese private tale riduzione è applicabile solo per il lavoro “intramoenia” (v. L. 193/2000 e circ. INPS 134/2002).

b) Lavoro autonomo Questi tipi di rapporti devono essere previsti nella convenzione con l’Amministrazione Penitenziaria e possono essere di vario genere: • apertura P.IVA del detenuto (come imprenditore o lavoratore autonomo); • collaborazione con o senza progetto; • collaborazione occasionale. Il primo caso è abbastanza remoto, anche se previsto dalle norme, sia nella for347


ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

ma “intramoenia” che “esterno”. (art. 20 L. 354/1975 e artt. 51 e 54 D.P.R. 230/2000. Gli altri casi ricadono nelle condizioni, limiti e regole previste dal D. Lgs. 276/2003 (c.d. legge “Biagi”). In proposito si rimanda ai relativi capitoli.

Anche in questo caso è opportuno avvalersi di un servizio paghe. 15.10.5 Borse di studio L’OdV, nell’ambito del progetto approvato dall’Amministrazione Penitenziaria, può anche favorire il percorso di formazione professionale di un detenuto, erogando una borsa di studio. Tale “borsa di studio” non integra gli estremi del rapporto di lavoro, né subordinato né autonomo, ed ha carattere di aiuto all’acquisizione di una qualifica da acquisire tramite la frequenza a corsi di formazione accreditati dalla Regione, che sarà spendibile sul mercato del lavoro, sia per successivi lavori in regime di semi-libertà che all’uscita definitiva dal carcere. Essa non può e non deve “mascherare” un vero e proprio rapporto di lavoro. 15.10.6 Riflessi fiscali per le OdV L’Odv che ha in gestione diretta un detenuto che lavora deve rispettare gli adempimenti contrattuali e previdenziali (seguiti dal servizio paghe) e taluni adempimenti fiscali. Tra questi ultimi si segnalano: • i versamenti delle ritenute fiscali • la compilazione della dichiarazione mod. 770 • la soggezione ad IRAP. In merito all’IRAP si ricorda che l’OdV deve tenere separate le basi imponibili riferibili: • al settore “imprenditoriale” (se esistente), gestito inserendo le voci di ricavi e di costi “imprenditoriali”, individuate con il criterio del bilancio; • al settore “istituzionale”, gestito con il sistema “retributivo”. Le retribuzioni o i compensi corrisposti ai lavoratori detenuti possono essere parte della base imponibile IRAP, con limiti e criteri da valutare caso per caso. Si ricorda che, per le OdV/ONLUS, molte Regioni hanno deliberato l’esenzione da IRAP o la riduzione dell’aliquota.

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LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

15.11 I volontari delle ONG 15.11.1 Le ONG La L. 49/1987 e s.m. disciplina la cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo e detta particolari norme destinate al volontariato internazionale. Nell’ambito degli interventi coordinati dal Ministero degli Affari Esteri (M.A.E) le organizzazioni private senza scopo di lucro possono proporre dei progetti di aiuto allo sviluppo, beneficiando anche di contributi. Le organizzazioni private devono possedere vari requisiti, sia formali che strutturali, e devono ottenere l’iscrizione in un apposito albo tenuto del M.A.E., in modo da diventare formalmente “organizzazione non governativa” (ONG). Le ONG sono considerate ONLUS DI DIRITTO (art. 10, 8° comma, D. Lgs. 460/97), al pari delle OdV. Le OdV possono cumulare la loro qualifica con quella di ONG, se rispettano i requisiti formali e strutturali previste da entrambe le discipline. Talune Regioni hanno previsto, con proprie leggi, agevolazioni e contributi per le associazioni locali che non siano iscritte al M.A.E., ma che tuttavia operino nei paesi in via di sviluppo. In genere tali norme prevedono requisiti formali e strutturali meno incisivi rispetto a quelli previsti dalla L. 49/87, pur non dando accesso alla qualifica di ONLUS DI DIRITTO e non essendo riconosciute dal M.A.E.. 15.11.2 Il personale delle ONG Le ONG possono avvalersi di personale retribuito per le loro missioni all’estero, sia con contratti registrati al MAE che con contratti di diritto privato. A) Contratti registrati al MAE Nell’ambito dei progetti approvati dal M.A.E. le ONG possono stipulare contratti con “volontari” (art. 31 L. 49/87) e con “cooperanti” (art. 32 L. 49/87). I “volontari” sono cittadini italiani maggiorenni che stipulano un contratto di cooperazione della durata di almeno due anni. I volontari che hanno almeno 3 anni di esperienza professionale nell’ambito della cooperazione e che occupano una funzione di rilevante responsabilità nell’ambito del progetto sono “volontari senior”, ed hanno diritto ad una retribuzione maggiorata del 25%. I “cooperanti” sono cittadini italiani che possono assolvere compiti di “rilevante responsabilità tecnica gestionale e organizzativa” per rapporti di durata inferiore a due anni.

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ASPETTI LEGALI, AMMINISTRATIVI E FISCALI DELLE ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO

Questi contratti devono essere registrati presso il M.A.E. ed hanno i seguenti caratteri di fondo: Formalità

Contratto scritto Registrato al MAE Contenuto normativo Programma di cooperazione in cui lavorare Trattamento economico Retribuzione mensile come da tariffe massime Volontario e cooperanti approvate dal MAE (+25% per vol. senior) Indennità di pari ad 1 mensilità 1a sistemazione Indennità di 1/12 della retribuzione fine servizio mensile per ogni mese di servizio prestato Spese di viaggio per Rimborso per la via volontario e familiari più economica a carico Trasporto effetti personali Rimborso con limiti Indennità di alloggio 35% retribuzione globale Indennità di perfeziona- Apposita indennità mento tecnico professionale Si tratta di contratti con alcune peculiarità: – sono considerati ex lege di lavoro autonomo, senza possibilità di prova contraria; – il volontario si deve iscrivere all’INPS nella gestione dei lavoratori dipendenti; – il M.A.E. provvede a versare i contributi INPS, sulla base dei compensi convenzionali, previsti da appositi decreti; – il M.A.E. provvede ad assicurare i volontari ed i loro familiari a carico per i rischi di infortuni, morte e malattia; – i volontari dipendenti pubblici hanno diritto al collocamento in aspettativa senza assegni, mantenendo il posto di lavoro; – i volontari dipendenti privati devono ottenere il collocamento in aspettativa dal proprio datore di lavoro, senza assegni, che può assumere personale sostitutivo con contratto a tempo determinato. 350


LE PRESTAZIONI DI LAVORO RETRIBUITO A FAVORE DELLE ASSOCIAZIONI: IL LAVORO AUTONOMO E PARASUBORDINATO

Ai fini fiscali si applica l’art. 54, comma 8-bis, del TUIR, per cui tali compensi sono qualificati di lavoro autonomo e sono tassati sulla base dei compensi convenzionali fissati dal M.A.E. (e non su quelli effettivi percepiti). B) Contratti di diritto privato Le ONG possono stipulare contratti di co.co.pro. o professionali per le attività da prestare all’estero, senza registrarli al MAE. Questo può avvenire perché il M.A.E. ha finito i fondi e rinvia ogni operatività.

In questo caso non solo la retribuzione ma anche gli oneri previdenziali fanno carico alla singola ONG. Il regime fiscale e previdenziale è quello normalmente applicabile ai contratti di co.co.pro. e professionali (v. sopra). Si ricorda che nel caso di permanenza all’estero per più di dodici mesi il lavoratore deve iscriversi all’A.I.R.E. (anagrafe italiani residenti estero) (L.27/10/88 n. 470).

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