Brionvega Catalogue

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Brionvega, il catalogo


Indice

01 IL MARCHIO 03. 05. 07. 08. 09.

01

Storia Azienda Idea Loghi Intervista Marino Poddighe


1

02

02 SUI GIORNALI

15. 21. 27. 33.

2007 2009 2010 2011


03 LE PUBBLICITÀ 41. 43. 45. 49. 51.

1949 1955 1970 1989 2009

03


04

04 I DESIGNER

55. 59. 65. 71. 75. 79. 85. 91.

Rodolfo Bonetto Franco Albini Franca Helg Achille e Pier Giacomo Castiglioni Richard Sapper Marco Bellini Marco Zanuso Ettore Sottsass




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01


Il marchio Brionvega Il passato, il presente, il futuro.


1945

Brionvega, azienda produttrice di apparecchi radio televisivi, fin dalla fondazione, ha visto nella scelta stilistica uno dei principi più importanti della propria filosofia relativa alla realizzazione del prodotto, incluso il mezzo digitale e ciò che lo contiene. L’azienda venne fondata nel 1945 a Milano da Giuseppe Brion e l’ing. Leone Pajetta con la denominazione B.P.M. (Brion Pajetta Milano), e iniziò l’attività producendo componenti elettronici. Nel 1950, la società cambiò ragione sociale in Vega B.P Radio, e si specializzò nella produzione di apparecchi radiofonici. Con lo sviluppo della televisione in Italia, alla fine degli anni cinquanta, l’impresa si specializzò nella produzione dei televisori, e mutò nuovamente denominazione in Radio Vega Television. Con l’uscita dalla società del Pajetta, nel 1963, l’azienda assunse la denominazione definitiva Brionvega. Gli apparecchi Brionvega hanno particolari qualità di design, molto innovative per gli anni in cui sono stati concepiti. In considerazione dell’idea in base alla quale l’interesse per il design non dovrebbe essere limitato ad un piccolo gruppo di persone, Brionvega si propone di creare oggetti veramente autentici che non conoscono mode o tendenze. Gli oggetti prodotti da Brionvega si distinguono


per la qualità estetica che si pone al di fuori e al di là di ogni tempo e moda, testimoniando in questo modo valri assoluti dei prodotti di “buon design”, capaci di durare immutati nel tempo. Grazie allo studio ed al contributo dei designer di fama mondiale designer di fama mondiale, come Hannes Wettstein, Sergio Asti, Mario Bellini, Richard Sapper, Marco Zanuso, i fratelli Castiglioni, Ettore Sottsass e Rodolfo Bonetto, il design di Brionvega riesce a soddisfare il bisogno di avere a disposizione oggetti che si distinguono per le

proprie caratteristiche e si pongono al di fuori di ogni moda. Il punto di fuoco dello studio e della ricerca di Brionvega è l’insieme delle relazioni che intercorrono fra l’utenza e gli oggetti d’uso quotidiano. Il design dei suoiprodotti è ospitato al MOMA di New York, con la popolarissima “radiocubo”, disegnata da Zanuso e Sapper. Dagli anni ’60 Brionvega è sinonimo di innovazione stilistica, tecnologica e gusto estetico. Dal 2004 SIM2 Multimedia ha acquisito il ramo d’azienda Brionvega dedicato alla produzione audio e relativa licenza di utilizzo del marchio, per realizzare e distribuire nuovi prodotti o riedizioni dei prodotti storici del brand. Tra i prodotti più noti della produzione Brionvega occupano un posto di rilievo: Algol, caratterizzato dallo schermo inclinato e dalla maniglia in metallo cromato ed estraibile, progettato da Marco Zanuso e Richard Sapper, a metà degli anni Sessanta. Lo stile originale e rivoluzionario di Algol è rimasto insuperato. Cubo, nato nel 1969 con Black ST 201, il televisore dalle linee inconfondibili - firmate da Marco Zanuso - che lo hanno reso un classico senza tempo, oggi, come Algol, parte della collezione permanente del Museum of Modern Art di New York. Nel 1992, Brionvega, ispirandosi al disegno originale di Black ST 201, presenta Cuboglass nella nuova versione con un’elettronica digitale all’avanguardia. Doney è stato insignito nel 1962 del prestigioso premio ‘Compasso d’Oro’ per l’innovativa soluzione concettuale e formale, di grande compattezza stilistica.


L’azienda Armonico mix tra design di culto made in Italy e tecnologia, questa è la formula del marchio Brionvega, sinonimo di innovazione stilistica, tecnologia e gusto estetico. Dagli anni ’60, il successo di Brionvega è il risultato di un’alchimia di fattori come il rispetto della normativa più severa, il miglioramento costante di ogni singola prestazione, il controllo rigoroso affinché ogni pezzo risponda alle specifiche tecniche previste. Ciò è reso possibile da strumentazioni di laboratorio e di controllo estremamente sofisticate e da una rigorosa analisi dei risultati acustici anche in un ambiente che simula le diverse condizioni d’ascolto, disponendo di un esclusivo auditorium di ascolto. La facilità d’uso dei suoi prodotti è un altro elemento del successo Brionvega: le sue apparecchiature infatti non devono solo essere tecnicamente valide, ma devono essere semplici da utilizzare. Dal 2004 SIM2 Multimedia ha acquisito il ramo d’azienda Brionvega dedicato alla produzione audio e relativa licenza di utilizzo del marchio, per realizzare e distribuire nuovi prodotti o riedizioni dei prodotti storici del brand. Nata nel 1995, SIM2 Multimedia è stata protagonista di una crescita continua che l’ha portata a posizionarsi tra i leader mondiali nella produzione e distribuzione di sistemi a videoproiezione di fascia alta, caratterizzati dalle migliori performance e da un altissimo livello tecnologico. La gamma di prodotto SIM2, la più ampia del settore, spazia dall’Home The-

ater (proiettori frontali e retroproiettori), videowall e sistemi professionali per sale di controllo e proiettori per applicazioni E-cinema. Con sede e stabilimenti a Pordenone, SIM2 è presente direttamente in Germania, Inghilterra e Stati Uniti, ha un ufficio di rappresentanza a Shanghai ed è presente in 45 Paesi con distributori specializzati. SIM2 investe oltre il 20% delle proprie risorse umane e il 10% del fatturato nell’innovazione e nella Ricerca e Sviluppo, assicurando una costante evoluzione dei prodotti. Obiettivo di SIM2 per Brionvega è un solido rilancio del brand puntando alla valorizzazione di un patrimonio stilistico e di notorietà ancora oggi fortemente associato ai concetti di innovazione e design di nicchia. Data la diversità tra SIM2 e Brionvega nell’offerta di prodotti, nei canali di vendita, nelle problematiche e nella strategia di marketing, si è reso necessario dare vita a una nuova società – BV– controllata al 100% da SIM2 ma autonoma nelle politiche commerciali e di marketing, per gestire i prodotti Brionvega attraverso nuovi canali di vendita e una strategia di marketing dedicata. La strategia di SIM2/BV prevede infatti la realizzazione di una gamma di prodotti coerente con il vissuto del marchio, reinterpretando linee stilistiche di successo, aggiornate tecnologicamente, che si confermino come oggetti “cult” coniugando armonicamente tradizione e modernità made in Italy.


Il complesso monumentale Brion (San Vito d’Altivole -TV- 1969- 1978) progettato da Carlo Scarpa per onorare la memoria di Giuseppe Brion, fondatore della Brionvega. Foto di Gianni Berengo Gardin


Brionvega é famosa per i suoi apparecchi radio e radiotelevisivi. Fin dalla sua nascita nel 1945, ha fatto del design uno dei principi fondamentali e caratterizzanti della sua filosofia produttiva. Gli apparecchi della Brionvega sono creati per le persone con una sensibilità particolare per la bellezza delle forme: per coloro, insomma, che sono in grado di apprezzare ciò che é bello, poiché hanno vissuto e maturato precise esperienze estetiche. Oggi, l’interesse per il design non è più esclusivo di una ristretta elite, ma é caratteristico di un pubblico sempre più vasto che ne segue attentamente lo sviluppo. Come fare, però, per distinguere nella moltitudine di prodotti ed articoli di design, l’oggetto veramente autentico che non conosce nè mode nè tendenze? Mario Bellini, Richard Sapper, Marco Zanuso, i fratelli Achille Castiglioni, Piergiacomo Castiglioni, Hannes Wettstein e Ettore Sottsass, designer di fama mondiale, rispondono a questa domanda: le loro creazioni per Brionvega concretizzano la ricerca da parte dell’uomo di oggetti che si distinguono per una bellezza che si pone al di fuori e al di là di ogni moda. Essi volgono tutta la propria attenzione alle molteplici relazioni che intercorrono tra l’uomo e l’oggetto d’uso quotidiano. Il punto di partenza per ogni loro creazione é, quindi, la conoscenza delle esigenze ergonomiche, colte nel momento di utilizzo degli oggetti. Ogni apparecchio Brionvega realizza la sintesi tra valori diversi, quali l’affidabilità e la facilità d’impiego, la durata e la bellezza, la tecnologia e la costante attualità del suo design. Prodotti come il radioricevitore TS502 oppure il Tv portatile Algol sono diventati veri e propri oggetti di culto che, grazie al loro design, hanno ottenuto riconoscimenti in tutto il mondo e, oggi, sono esposti nei musei più prestigiosi. Grazie alle loro forme, questi oggetti si distinguono sempre per qualcosa che va oltre la loro normale funzione. Sintetizzano infatti, un’espressione poetica propria, caratteristica della capacità creativa del loro designer, divenendo creazioni inconfondibili nella tradizione del “bello italiano”. Il possesso di un apparecchio Brionvega rispecchia non soltanto un particolare gusto estetico, ma testimonia anche una precisa concezione della vita, che si caratterizza per un atteggiamento critico nei confronti della cosiddetta “obsolescenza programmata”, che tende alla rapida sostituzione del prodotto, secondo i dettami del consumismo di massa. Con la realizzazione di apparecchi che per la loro stessa natura non sono soggetti al passare del tempo e delle epoche, Brionvega rifugge dalle mode effimere, grazie alla lavorazione, curata fin nei minimi dettagli, di materiali di alta qualità. Questi prodotti costituiscono, così, valori destinati a durare: rappresentano le “antichità del futuro”. Il principio che si pone alla base della loro creazione, non é la ricerca del facile effetto, quanto piuttosto la volontà di renderli parte integrante e funzionale degli ambienti più diversi. Attraverso la scelta di un Brionvega, si afferma un gusto personale, si determina un legame, un preciso atteggiamento: l’entusiasmo per la tecnologia e l’estetica trovano la loro sintesi più compiuta. Questi oggetti che sembrano non conoscere mode riflettono, sul piano del conscio e dell’inconscio, il gusto per la vita e creano, all’interno della sfera privata, un ambiente particolare, una vera isola d’armonia e creatività.

L’idea



La tecnologia a braccetto con la storia. C’è una filosofia profonda alle spalle della “nuova” Brionvega, brand storico dell’elettronica di consumo italiana acquistato nel 2004 da SIM2 Multimedia. Innovare nel solco di un passato glorioso, senza stravolgere l’identità di un marchio capace di conquistare quello spicchio di mondo che non vuole rinunciare ad ascoltare musica rispettando la ritualità del momento. «Siamo orientati alla slow music – spiega Marino Poddighe, Amministratore Delegato di Brionvega – Rispetto ai grandi colossi che “aiutano” ad ascoltare musica dappertutto e spesso con un livello qualitativo non eccelso, noi sollecitiamo un atteggiamento più rilassato. Anche perché pensiamo che la musica debba riempire lo spirito e non solo aiutare a far passare il tempo o favorire l’isolamento».

Dottor Poddighe, può raccontare ai nostri lettori la storia del marchio Brionvega fino ai giorni nostri? Tutto inizia a Milano nel 1945, quando Giuseppe Brion fonda, insieme ad un socio, la BMP, una società di componentistica che produceva principalmente valvole. Dopo 5 anni l’azienda diventa la Vega B.P.Radio e qualche anno più tardi prende il nome di Radio Vega Televisione. Fino agli anni ’60 l’azienda – pur con un proprio stile – aveva come riferimento i prodotti tedeschi ed ame-

ricani. Il signor Brion, però, si rendeva conto che non era facile competere con questi “giganti” e matura la decisione di enfatizzare tecnologia e design quali elementi essenziali dei suoi nuovi prodotti. Con il supporto di disegnatori come Franco Albini e Rodolfo Bonetto, la Brion Vega inizia così a produrre televisori “diversi” rispetto agli standard, anche perché realizzati con materiali innovativi. Nel ’61 avviene l’incontro tra Giuseppe Brion e Marco Zanuso, un connubio che darà vita ad uno dei periodi di maggior successo del marchio, nel frattempo diventato Brionvega. Dalle intuizioni di Zanuso e di altri designer come Richard Sapper nascono, infatti, prodotti come la televisione Algol, la Radio Cubo e la Fonovaligia, nonché il primo televisore portatile a transistor prodotto in Europa , il Doney 14”, premiato con il Compasso d’Oro. L’idea che sta alla base di questi oggetti è che essi da spenti devono avere una funzione diversa rispetto a quando sono in funzione. In questo periodo viene realizzato anche il Radiofonografo, realizzato dai fratelli PierGiacomo e Achille Castiglioni, che diventerà un successo commerciale e, in seguito, un vero oggetto di culto per i collezionisti. Nel 1968, però, muore Giuseppe Brion e gli succede il figlio Ennio, che ha una “propensione” diversa rispetto al padre, è più un uomo di cultura che di azienda. La società soffre la forte concorrenza estera – specialmente giapponese – e nel ’90 viene ceduta a Seleco. Il brand risente del cambio di filosofia industriale, i prodotti realizzati in questo periodo sono interessanti ma senza

Intervis


la “spinta” che aveva caratterizzato gli anni d’oro. Nel ’98 Seleco fallisce e il marchio Brionvega passa alla famiglia Formenti, che nel 2004 la cede a SIM2. Oggi sono circa 100 le persone che lavorano direttamente per Brionvega e abbiamo altri 20 collaboratori nelle nostre sedi all’estero. La nostra filosofia, per riprendere una terminologia usata per definire un certo modo di affrontare le cose, è più orientata alla slow music, Rispetto ai grandi colossi che “aiutano” ad ascoltare musica dappertutto e spesso con un livello qualitativo non eccelso, noi sollecitiamo un atteggiamento più rilassato. Anche perché pensiamo che la musica debba riempire lo spirito e non solo aiutare a far passare il tempo o favorire l’isolamento. Come detto, nel 2004 SIM2 Multimedia ha acquisito il ramo d’azienda Brionvega dedicato alla produzione audio e la relativa licenza di utilizzo del marchio. Ci può spiegare questa scelta? Quali potenzialità intravedevate dietro al brand Brionvega? Pensavamo – e pensiamo tuttora – che Brionvega abbia delle potenzialità importanti in alcune nicchie di mercato. È un marchio che ha una lunga storia alle spalle, che fa parte del vissuto soprattutto dei professionisti, degli appassionati e degli “intellettuali” vicini al mondo del design. Inizialmente credevamo che la storia di successo di SIM2, legata soprattutto alla sua capacità di innovare, potesse sposarsi con l’identità di un marchio come Brionvega. In realtà, però, abbiamo scoperto che i due marchi non han-

sta

no bisogno l’uno dell’altro, perché Brionvega è considerata da tutti un punto di perfetto equilibrio tra design e tecnologia: è la sua storia a raccontarlo. Sappiamo che investite moltissimo nell’innovazione: precisamente quanto? Siamo intorno al 10% del fatturato, ma devo dire che siamo quasi costretti a farlo… Fondamentalmente per due motivi: da un lato perché lavorando su una nicchia di mercato dobbiamo presentare ai nostri clienti dei prodotti che siano almeno “nuovi”; dall’altro perché l’innovazione fa parte della nostra cultura aziendale. E poi anche per evitare una sorta di “operazione nostalgia”, che magari funzionerebbe anche, ma ci porterebbe a produrre degli oggetti vecchi nella forma e nei contenuti. Ci sveli un segreto, se può: come si riesce a combinare tecnologia di alto livello e design in un unico prodotto? Non correte mai il rischio di creare oggetti “sbilanciati” in un senso o nell’altro? No, non abbiamo mai corso questo rischio finora anche perché i prodotti che abbiamo presentato non sono tantissimi e ciascuno di essi è stato pensato e realizzato con la massima cura. Comunque non esiste una formula… Semmai persiste da parte nostra un tentativo di non “contaminare” lo spirito del marchio Brionvega. Abbiamo grande attenzione per la funzione del prodotto, per la sua facilità d’uso, ma cerchiamo anche di non esasperare questo aspetto.

Marino Poddighe


Parliamo un po’ di lei. La sua storia professionale come comincia? Sono nato e cresciuto in Sardegna, ma per l’università mi sono spostato a Firenze, dove mi sono laureato in Scienze Politiche ed Economiche . Dopo di che sono andato a Pordenone per lavorare prima con Zanussi Elettronica e poi con Seleco, due aziende in cui mi sono occupato di televisori, sia come Product Manager che come Direttore Marketing. Successivamente ho fatto un’esperienza di lavoro autonomo in Italia e all’estero, ma già nel ’97 ho ricominciato con SIM2, che era uno spin-off di Seleco. La società produceva proiettori, cui si sono aggiunti i decoder per la tv digitale; nel 2000 la società ha realizzato e lanciato una gamma di proiettori con la nuova tecnologia DLP e nel giro di poco tempo ci siamo affermati come azienda di riferimento del settore. Nel 2004 ho iniziato ad occuparmi di Brionvega, pur mantenendo il mio ruolo di Direttore Commerciale in SIM2. Dopo poco tempo, dopo avere capito che i due marchi avevano bisogno di modi completamente diversi di proporsi sul mercato , abbiamo deciso di diversificare le strategie di sviluppo prodotto, di marketing e di distribuzione. Ecco perché, dal 2007, sono impegnato solo con Brionvega. Oggi è Amministratore Delegato di Brionvega, per cui immaginiamo le sue responsabilità siano moltissime. Una sua tipica

giornata in azienda come si svolge? La fortuna di chi fa questo è che ci sono tante persone intorno che fanno il lavoro insieme a te… Seriamente, la nostra è un’azienda di piccole dimensioni e quindi siamo molto vicini ,i livelli gerarchici sono molto “brevi”. Per quanto riguarda il mio lavoro quotidiano, seguo molte attività diverse tra loro, dai contatti con i fornitori al rapporto con i clienti, fino al controllo sulle attività di sviluppo, che abbiamo – per la maggior parte – esternalizzato. L’importante per me è riuscire a fare tutto senza mai perdere di vista lo spirito del nostro marchio. Dovesse indicare una dote, una qualità personale che le è indispensabile nel lavoro quotidiano? Sono curioso e credo molto nel progetto Brionvega. E poi penso che sia necessaria una certa dose di determinazione, visto il periodo complesso che stiamo vivendo. Classica domanda finale: cosa vede nel suo futuro e in quello di Brionvega? Mi auguro di riuscire a portare a termine i progetti che stiamo sviluppando e spero che il marchio Brionvega acquisti una maggiore visibilità nel tempo. Anche perché ci piacerebbe diffondere sempre di più la nostra filosofia, che è orientata ad un atteggiamento più rilassato nei confronti delle cose e delle attività quotidiane. In particolare, il tempo libero è uno dei maggiori lussi che abbiamo: cerchiamo almeno di godercelo.



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02


Brionvega, i gossip. La storia secondo i giornali. (2007-2011)


2007 Rivista:Il venerdĂŹ di Repubblica Data: 16 novembre 2007 Frequenza: quotidiano Titolo: Vega, ri-splende una stella italiana



Rivista: Daily Media Data: 26 novembre 2007



Rivista: Apparecchi Elettrodomestici Data: novembre 2007 Rivista: Apparecchi elettrodomestici Data: novembre 2007 Frequenza: mensile Titolo: Il suono diventa oggetto con Brionvega



2009 Rivista: Corriere della Sera Data: 20 aprile 2009 Frequenza: quotidiano Titolo: Auto al cubo, piccole fuori e sempre pi첫 grandi dentro



Rivista: Messaggero di Pordenone Data: 28 ottobre 2009 Frequenza: quotidiano Diffusione: Titolo: Intanto Brionvega reinventa la vecchia “radio grattacielo�


Rivista: Audio Data: dicembre 2009 Frequenza: online Titolo: Brionvega TS522




a destra: Testata: Il Sole 24 Ore Data: 24/09/2010 Frequenza: Quotidiano Diffusione: 291.405 Titolo:Brionvega riparte dal Friuli

2010

Testata: Auto Capital Data: 01/02/2010 Frequenza: Mensile Diffusione: 30000 Titolo: Casa & Slyle




da sinistra: Web Site: designmag.it Data: 03/09/2010 Titolo: Brionvega: radio cult made in Italy ts522 Web Site: designmag.it Data: 02/09/2010 Titolo: Brionvega: televisore minimalista Cuboglass Web Site: designmag.it Data: 06/09/2010 Titolo: Brionvega: Algol, archetipo del televisore portatile



Testata: Espansione Data: 01/11/2010 Frequenza: Mensile Diffusione: 11.786 Titolo: Brionvega balla sul cubo a sinistra: Testata: Corriere della Sera Data: 14/01/2010 Frequenza: quotidiano Diffusione: 620605 Titolo: Una macchina per musica chiamata radiofonografo


a destra: Testata: Lightning Data: 06/2011 Frequenza: Mensile Diffusione: n.d. Titolo: Radiocubo.it

2011

Testata: Computer Magazine Data: 01/01/2011 Frequenza: Mensile Diffusione: 45.000 Titolo: Radio old style




Web Site: Casa24.ilsole24ore.com Data: 03/01/2011 Titolo: Il New York Times esalta una mostra della Triennale di Milano


Testata: Croatian T3 Magazine Data:01/08/2011 Frequenza: Mensile Diffusione: n.d. Titolo: Brionvega prijenosni audiouredaji


Testata: Il Giornale dell’Arte Data: 01/04/2011 Frequenza: Mensile Diffusione: nd Titolo: Vedere a Milano: il design


Insegna metallica del brand.

03


Brionvega e la pubblicità L’advertising per raccontare un mito.


1949


PubblicitĂ del giugno, 1949.


1955



1970 Designed by Bob Noorda.





1989 Rivista presente su alcune testate giornalistiche.



2009 PubblicitĂ su riviste giapponesi.



Televisione scomposta nelle varie componenti.

04


Brionvega, i designer. I personaggi che hanno progettato i prodotti. (2007-2011)


Rodolfo


Bonetto Figura singolare nel panorama del design italiano degli ultimi trent’anni, Rodolfo Bonetto, abbandona una fortunata carriera di batterista jazz per dedicarsi alla nuova professione. Dotato di grande talento, gusto e capacità per il disegno tecnico, inizia a lavorare come collaboratore per la Veglia Borletti, disegnando strumentazioni per automobili (una grande passione: di quegli anni sono i primi schizzi di carrozzerie per Vignale, Viotti e Boneschi), per poi lavorare in numerosi e diversi campi industriali, quelli di cui normalmente non si considera essenziale l’intervento del designer: progetta elettrodomestici, orologi, telefoni, calcolatori elettronici, scarponi da sci, laser chirurgici, macchine utensili, lampade... Di tutte queste tipologie, è sempre la componente tecnica quella che più lo appassiona, una peculiarità che lo distingue dalla maggioranza dei designer italiani, per tradizione più vicini al mondo dell’arredamento. Inizia l’attività di product designer nel 1958, realizzando progetti nei più diversi campi della produzione industriale di serie: elettrodomestici, carrozzerie di automobili, sanitari, macchine utensili, apparecchi. elettronici, strumenti musicali, televisori, valige, sistemi hi-fi, mobili, apparecchi per illuminazione. Particolarmente importanti i suoi lavori nel settore delle macchine utensili e delle attrezzature per il lavoro, attentamente studiate nei particolari ergonomici (orologi per Borletti, tra i quali Sfericlock, premio “Compasso d’oro” 1964; macchina utensile a controllo numerico Auctor per Olivetti, “Premio compasso d’oro” 1967). Il suo rapporto con la Olivetti è stato tra i più intensi e professionalmente stimolanti: per la casa di Ivrea progetta complesse macchine utensili che modificano la fisionomia dell’ambiente di


Boomerang Chair

fabbrica. Altrettanto importante la collaborazione con Fiat, che tuttora viene continuata dalla Bonetto Design. Autodidatta, caratteristica non comune nel panorama italiano, è tanto orientato alla prassi progettuale da fornire un contributo non indifferente all’insegnamento del design industriale alla Hochschule für Gestaltung di Ulm e, in seguito, all’Isia di Roma. Viene premiato con otto Compassi d’Oro. E’ stato membro e presidente dell’Adi e dell’Icsid e ha partecipato a numerosi congressi e conferenze internazionali sul design. “Operaio colto”, come ebbe a definirlo V. Gregotti, ha saputo coniugare una conoscenza delle tecnologie produttive e dei materiali con valenze ergonomiche e di corretta ricerca formale. È stato insignito di vari Compasso

d’Oro, per oggetti come la sveglia Sfericlock (Veglia Borletti, 1963); la macchina utensile a controllo numerico O.C.N. (Olivetti, 1967); l’apparecchio automatico per microfilm (BCM, 1970); l’interno per la 131 Supermirafiori (Fiat, 1978). Tra il 1972-75 progetta, con N. Matsunaga, il centro di lavorazione Horizon 2 (Olivetti) sino alla centrale polifunzionale Wiz (1981). Autore del motore Fire (1984) per Fiat, di Rotor, telefono pubblico Sip (1989), e del meccanismo di apertura automatico per cancelli Cross 6 (Novotecnica), è stato membro di giurie nazionali e internazionali e presidente dell’Icsid dal 1981 al 1983. Bonetto è l’unico designer italiano che non abbia mai firmato progetti di architettura, da sempre esclusivamente interessato alla produzione in serie.


All’intensa pratica professionale unisce il lavoro di diffusione e di discussione sui problemi dell’industrial design, tenendo lezioni (Hochschule für Gestaltung, Ulm, 1961-1965; ISIA di Roma, 1974-1979) e partecipando all’attività delle associazioni professionali (presidente ADI, Associazione Disegno industriale, 1971-1973; presidente dell’ICSID, International Council of Societies of Industrial Design, 1981-1983). Dopo la sua morte, gli è stato dedicato il Compasso d’Oro 1991 alla memoria per il complesso della sua attività, che oggi continua con lo studio Bonetto Design, coordinato dal figlio Marco, il quale, nel 1994, fonda a Montecarlo il Bonetto Design Center in memoria del padre, centro di idee e servizi per i nuovi territori del design.


Franco

Franco Albini nasce nel 1905 a Robbiate (Como). Trasferitosi con la famiglia a Milano, frequenta il Politecnico di Milano, dove si laurea nel 1929 e inizia l’attività professionale nello studio di Ponti e Lancia. Dopo le prime realizzazioni di impronta novecentesca nel campo dell’arredamento, una conversazione con Edoardo Persico, divenuta motivo ricorrente nell’aneddotica albiniana, determina la sua “conversione” al razionalismo e l’avvicinamento al gruppo dei redattori di “Casabella”. Nel 1931 apre il primo studio professionale a Milano con Renato Camus e Giancarlo Palanti e inizia ad occuparsi di edilizia popolare partecipando al concorso per il quartiere Baracca a San Siro (1932) e poi realizzando i quartieri dell’Ifacp: Fabio Filzi (1936-38), Gabriele D’Annunzio e Ettore Ponti (1939). L’adesione al metodo progettuale di ispirazione gropiusiana, si evidenzia nella chiarezza dell’impianto aperto, con i corpi di fabbrica equidistanti e allineati secondo l’asse eliotermico, e nel nitore stereometrico dei volumi che configurano un ordine solare e igienico contrapposto alla crescita senza regole della città esistente. Un modello di sviluppo alternativo che, negli anni prima e durante la guerra, si consolida coi grandi progetti urbani, elaborati insieme al gruppo Ciam italiano e proiettati verso il futuro postbellico: “Milano Verde”, le “Quattro città satelliti” e il piano AR. L’ascendente europeo traspare anche nella prima casa che Albini costruisce da solo: la Villetta Pestarini (1938), diffusamente presentata da Pagano su “Casabella”. Chiamato da Pagano, Albini aveva esordito nel 1933 alla V Triennale di Milano, da allora terreno privilegiato di sperimentazione, con la Casa a struttura d’acciaio in collaborazione con lo stesso Pagano e altri. Nel corso degli anni Trenta gli allestimenti alla Triennale e i padiglioni temporanei alla Fiera di Milano e in altre manifestazioni fieristiche sono le palestre che gli permettono di sperimentare nuove soluzioni, sondando in alcuni casi articolate volumetrie curve (come nel Padiglione Ina alla Fiera del Levante, 1934) e, più spesso, spazi cartesiani ordinati da griglie geometriche, telai metallici e pannelli traslucidi in vetro o tessuto (come nei Padiglioni Ina alla Fiera Campionaria di Milano e a quella del Levante, 1935). Da queste sperimentazioni matura, all’inizio degli anni Quaranta, il duplice carattere della ricerca di Albini: da una parte la sperimentazione sul sistema espositivo prodotto in serie, dall’altra straordinarie invenzioni come quella del controsoffitto forato, con forti intonazioni plastiche nei due allestimenti del padiglione della Montecatini alla Fiera Campionaria di Milano del 1940. La mostra di Scipione, aperta a Milano, presso la Pinacoteca di Brera, nel marzo 1941 è l’archetipo di soluzioni espositive per le opere d’arte continuamente riprese e approfondite in opere successive. Nel dopoguerra la gamma degli interessi professionali di Albini si amplia in relazione anche alle opportunità offerte dalla ricostruzione, mentre lo studio si arricchisce di nuove competenze e sensibilità progettuali con l’associazione di Franca Helg nel 1952. Prosegue la ricerca sulla residenza popolare che, utilizzando un processo compositivo analitico, genera edifici articolati in cui si evidenzia l’autonomia volumetrica di scale, collegamenti e colonne di alloggi. Ne sono esempi gli edifici del quartiere Mangiagalli per lo Iacp a Milano (1950-52, con Gardella), la casa per lavoratori Incis a Vialba, Milano (1951-53) e la Casa per impiegati della Società del Gres a Colognola, Bergamo (1954-56); ma tracce di questo


o Albini


procedimento si possono ugualmente rilevare in molti altri edifici dall’Albergo-Rifugio Pirovano a Cervinia (1948-52) al progetto della villa Olivetti a Ivrea (1955-58). Esso risulta soprattutto evidente negli oggetti di arredamento come la poltroncina Adriana (prima versione del 1951), la poltrona Luisa (1955) la poltrona Tre pezzi (1959). Albini condivide il rinnovato interesse per la tradizione - uno dei temi portanti dell’architettura italiana nel dopoguerra - assumendolo però nell’ambito di un metodo di lavoro che implica la necessità di darsi delle regole; la tradizione non è quindi un a priori cui conformarsi, ma un elemento di coscienza individuale e collettiva, di interpretazione di valo-

ri riconosciuti. La tradizione - patrimonio da reinterpretare per creare “una nuova tradizione” - diviene così un filo rosso che collega interventi in ambienti e periodi diversi quali l’Albergo-Rifugio Pirovano a Cervinia, che rivisita i modi costruttivi dell’architettura alpina valdostana; l’edificio per uffici Ina a Parma (195054), che allude nella tessitura della facciata agli esempi di architettura romanica della città e la Rinascente a Roma (1957-61), dove l’esibita forza della struttura di ferro e la corrugazione dinamica dei pannelli di tamponamento costituiscono un unicum che richiama sia la scansione dei palazzi rinascimentali, sia l’andamento delle vicine mura aureliane. In qualche misura anche i nuovi uffici comunali di


Dondolo Canapo Cassina

Genova (1950-63) con i due corpi digradanti sulla collina rievocano la tipologia dei palazzi nobiliari genovesi cercando una “ariosa geometria, quasi da giardino di Babilonia”. Albini lascia la sua impronta in poche città italiane, in particolare solo tardivamente Milano, la città dove lavora, gli affida, insieme al grafico Bob Noorda, un incarico prestigioso: la sistemazione delle stazioni della linea 1 della Metropolitana Milanese (1962-63). La sua città di elezione è invece Genova, che gli offre l’opportunità di intervenire con continuità a varie scale: da quella urbanistica (redazione dei piani particolareggiati per il quartiere degli Angeli, 1946, e di Piccapietra, 1950, redazione del piano regolatore generale nel 1948) a

quella edilizia (i già citati Uffici comunali, ma soprattutto il rinnovo - per volontà di Caterina Marcenaro - dei musei comunali di Palazzo Bianco, 1949-51, e di Palazzo Rosso, 195262, e la creazione del nuovo museo del Tesoro di San Lorenzo, 1952-56). Dal 1963 lo studio di Albini, in cui entrano Antonio Piva nel 1962 e Marco Albini nel 1965, progetta inoltre il restauro come nuovo museo del convento di Sant’Agostino nel centro storico. I musei di Albini - con quelli dei Bbpr, di Gardella e di Scarpa, tra gli esempi più alti della museografia italiana del dopoguerra - innovano profondamente le tecniche espositive e le attrezzature perseguendo una concezione educativa del museo, ma nel medesimo tem-


po integrano antico e moderno, assurgendo essi stessi a “opere d’arte in sé”. In queste vere e proprie architetture d’interni si manifesta la maestria di Albini nel creare spazi emozionali - dove ogni singolo dettaglio, studiato con acribia, concorre al raggiungimento dell’obiettivo - sia che esprimano una rarefazione di elementi in un’atmosfera sospesa come a Palazzo Bianco, sia che facciano riferimento a lontani archetipi come a San Lorenzo. Nell’ultimo scorcio dell’attività di Albini si rileva una cristallizzazione del linguaggio in formule compositive già sperimentate. Ciò appare nella esibizione delle componenti strutturali del museo di Sant’Agostino, nella “manierata” composizione delle facciate delle Terme “Luigi Zoia” a Salsomaggiore (1964-70) e, soprattutto, degli Uffici della Snam a San Donato milanese (1969-74), caratterizzate, queste ultime, da ipertrofiche modanature marcapiano. Anche nell’insegnamento universitario, che assume dopo il 1949 prima a Venezia (con la parentesi di un anno a Torino) e in seguito a Milano, Albini trasmette i principi che fondano il suo lavoro di architetto: la necessità di un’analisi approfondita dei problemi e di un continuo controllo e giustificazione delle proprie scelte. La critica più recente ha cercato di chiarire il ruolo svolto da Albini nella cultura architettonica del dopoguerra. Certo il suo essere così ostinatamente avaro di ragioni teoriche sul proprio lavoro, oltre che di ricordi e testimonianze sulle stagioni vissute, non ha certo facilitato questo lavoro; la naturale riservatezza del personaggio, unita a un distacco per tutto ciò che non apparteneva alla concretezza del mestiere, hanno spinto a collocarlo in una posizione defilata e di relativo isolamento dal più acceso dibattito culturale.

L’apparente afasia di Albini non deve tuttavia far dimenticare che sono le sue opere ad assumere il ruolo di un testo dimostrativo. La scarsità di documenti teorici non comporta, infatti, necessariamente la rinuncia a individuare e introdurre contenuti programmatici nel proprio lavoro. Del valore dimostrativo della sua architettura Albini era peraltro perfettamente conscio tanto da affermare, nel corso di un dibattito sull’architettura italiana contemporanea, tenutosi al Msa nell’estate 1959: “Per noi il valore didattico sta nelle nostre opere, ed è più attraverso le nostre opere che diffondiamo delle idee piuttosto che non attraverso noi stessi …”. Sono dunque le opere a fare di Albini un punto di riferimento per tutti coloro che non s’identificano nella posizione “storicista” che si va affermando nel gruppo di “Casabella-Continuità”, una responsabilità che Albini dimostra ancora una volta di assumere come provano gli interventi, e addirittura un tentativo di fondare una nuova associazione, da lui effettuati nel corso del dibattito che precede la chiusura del Msa nel 1961. Si delinea quindi un profilo di un Albini diversamente impegnato, piuttosto che in solitario ritiro nello studio ad attendere ai suoi interessi progettuali. Durante la sua carriera ha ricevuto 3 Compassi d’Oro come riconoscimenti della sua attività di designer: si ricordano la poltrona Fiorenza prodotta nel 1952 da Arflex, la sedia a dondolo per Poggi nel 1956. Nel 1964 ha disegnato un televisore per Brionvega esposto alla Triennale di Milano. Famose sono le maniglie Agata e Ambra - dalla forma organica ed ergonomica - progettate per Olivari in collaborazione con Franca Helg; numerose, inoltre, le lampade prodotte per Arteluce. Muore a Milano nel 1977.


Cassina - Veliero


Franca

Nata a Milano il 21 febbraio 1920, Franca Helg si laurea nel 1945 al Politecnico di Milano. Fin dai primi anni Quaranta, mentre frequenta l’università, collabora con lo studio Banfi- Belgiojoso- Peressutti- Rogers (BBPR). Nel 1946, con Anna Ferrieri Castelli, partecipa ad un concorso bandito dall’VIII Triennale di Milano e dal Ministero dei Lavori pubblici per la progettazione di abitazioni unifamiliari per reduci al quartiere QT8: il lavoro delle due giovani architette risulta vincente e viene attuato. Fra i progetti e le realizzazioni di quel periodo: l’assestamento degli uffici di vendita della Metalli Preziosi Schön a Milano; nel 1947, sempre a Milano, l’allestimento dello stand Motomeccanica alla XXV Fiera Campionaria e della Mostra d’arte astratta e concreta nel Salone delle Cariatidi di Palazzo Reale; nello stesso anno i progetti di mobili presentati nella Sezione del mobile singolo; l’anno successivo la sistemazione della Libreria Einaudi


a Helg


in via Filodrammatici; ancora nel capoluogo lombardo, nel 1951, l’allestimento della Mostra dell’abitazione alla IX Triennale e l’arredamento per l’esposizione Rima al Palazzo dell’Arte; nel 1952, l’allestimento dello stand Feltrinelli-Masonite alla XXX Fiera Campionaria di Milano, il progetto di concorso per scuole elementari bandito dal Ministero della Pubblica Istruzione e quello per la nuova sede dell’Istituto tecnico Jacopo Barozzi bandito dal comune di Modena. Nel 1951 si associa con Franco Albini, uno dei principali esponenti del Razionalismo. Sintetica e rapida, non accetta passivamente le regole, ma preferisce porsi in maniera

critica nei confronti di maestri e correnti architettoniche, consapevole dell’importanza di saperne rielaborare e filtrare gli insegnamenti. Così ella scrive, nel 1978, in un articolo uscito su «Lotus International»: «[…] l’appartenenza ad una scuola e ad una ideologia razionale non viene intesa come indicazione stilistica, ma come metodo per capire ogni volta la condizione ed il contesto del progetto e adeguare ragionevolmente (e va da sé, razionalmente) le proposte progettuali alle effettive concrete esigenze.» [cit. in Piva, Prina, 2006, p. 29] Fra i numerosi lavori che la vedono impegnata insieme ad Albini (nel 1962 si associa allo studio anche Antonio Piva; tre anni dopo


Marco Albini), si ricordano, oltre a quelli sopracitati, allestimenti di varie mostre (Mostra d’arte contemporanea arte decorativa e architettura italiana, Stoccolma, 1953; Venezia Viva, Mostra del Settecento e Mostra internazionale delle Arti e del Costume, Palazzo Grassi, 1954; mostra dedicata a Delacroix, XXVIII Biennale di Venezia); i progetti per villa Zambelli, a Forlì, della sua abitazione a Galliate Lombardo, di casa Corini a Parma; il rinnovamento dell’area Kasr El Hokm di Riyadh nel 1976-79. Per Franca Helg ricerca e pratica progettuale sono un tutt’uno, nella convinzione che l’architettura sia una “esperienza del reale”. La

stessa convinzione si riflette nel suo modo di fare didattica: disponibile con i suoi allievi «nel discutere e verificare ogni proposta purché questa non fosse soltanto uno schema fermo alle intenzioni […] Chiedeva, invece, una elaborazione nella quale gli aspetti formali e spaziali del progetto, dalla morfologia dell’impianto architettonico fino alla tipologia e al design di una scala, fossero espressione di un percorso di intenzioni tanto coerente e motivato da essere trasmesso quasi senza parole.» Franca Helg porta avanti il proprio impegno professionale e culturale fino al 1989, anno della sua morte.




Achille Ca PierGiaco

Achielle Castiglioni


astiglioni omo Figlio dello scultore Giannino si è laureato al Politecnico di Milano nel 1944; dopo la laurea lavorò nello studio dei fratelli maggiori Livio (1911 - 1979) e Pier Giacomo (1913 - 1968) in piazza Castello a Milano, dedicandosi a progetti di urbanistica, architettura, mostre, esposizioni, e product design. Nel 1944, partecipa insieme ai fratelli, alla VII Triennale di Milano dove presenta l’IRR126, apparecchio radio concepito per la produzione industriale. Nel 1956 è tra i fondatori dell’ADI, l’associa-

zione italiana del Disegno Industriale. Negli anni 1952-1953 si occupa della ricostruzione postbellica del Palazzo della Permanente di Milano. Tra il 1955 e il 1979 vince sette premi Compasso d’oro, l’ultimo, nel 1979 appunto, lo vince per la lampada Parentesi progettata insieme a Pio Manzù. Alla Triennale vince numerosi premi: nel 1947 una Medaglia di bronzo, nel 1951 e nel 1954 un Gran Premio, nel 1957 una Medaglia d’argento ed una Medaglia d’oro, nel 1960 una Medaglia d’oro


Lampada da tavolo Gibigiana

e nel 1963 un’altra Medaglia d’argento. Dal 1971 presiede il corso di “Progettazione Artistica per l’industria” presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Si ricordano i design di sedie come Mezzadro, la sedia “Sella” (1957) la poltrona Sanluca (1959), la lampada da scrivania Tubino (1951), la lampada da terra Luminator (1955) la lampada da terra Arco (1962) prodotta da Flos, la lampada da tavolo Taccia (1962), il sedile Allunaggio (1962), la lampada da terra Toio. È morto il 2 dicembre 2002, all’età di 84 anni, a seguito di una caduta verificatasi nel suo studio di Piazza Castello a Milano. È stato sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano. Quattordici delle sue principali opere sono presenti al MOMA di New York. Il MOMA ha realizzato con le sue opere la più grande retrospettiva mai dedicata ad un designer italiano.

Oltre al museo americano altre importanti gallerie espongono le sue opere tra cui: Victoria and Albert Museum di Londra, Kunstgewerbe Museum di Zurigo, Staatliches Museum fur Angewandte Kunst di Monaco, Museo del Design di Prato, Uneleckoprumyslove Museo di Praga, Israel Museum di Gerusalemme, The Denver Art Museum, Vitra Design Museum di Weil am Rhein, Angewandte Kunst Museum di Amburgo e di Colonia. Achille Castiglioni in coppia con il fratello Pier Giacomo ha progettato oggetti di produzione seriale per aziende come: Kartell, Zanotta, Flos, Bernini, Siemens, Knoll, Poggi, Lancia, Ideal Standard, Arflex, Alessi. Piergiacomo fratello di Achille si è laureato in architettura al Politecnico di Milano nel 1937. Nel 1938 in collaborazione con il fratello Livio e Luigi


Caccia Dominioni progetta modelli di apparecchi radio per la Phonola. Nel 1944 insieme ai fratelli Livio e Achille, apre uno studio di architettura. Nel 1959 per conto di Dino Gavina progettò la sede storica della Gavina a San Lazzaro di Savena. Nella storia del design italiano il C. ed i fratelli sono i protagonisti di quel particolare filone che, con grandissima semplicità di mezzi e pulizia di disegno, tende a riscoprire le ra-

Mezzadro

gioni fondamentali dell’oggetto considerato. L’accoppiamento della chiarezza, che mette a nudo elementi generalmente nascosti, all’uso di materiali e forme “poveri” e a un nuovo e più funzionale concetto distributivo delle parti attribuisce al risultato finale un carattere d’ironia. Tale procedimento progettuale ha condotto spesso gli artisti a riproporre, seppure modificati nella forma e risolti più a fondo nei problemi tecnici, modelli tradizionali


Richard


Sapper

Nasce nel 1932 a Monaco. Qui studia filosofia, grafica, ingegneria ed economia politica. Tra il 1956 e il 1958 lavora nell’ufficio progetti della Mercedes Benz. Nel 1958 si trasferisce a Milano. Inizialmente, lavora con Gio Ponti, in seguito per la Rinascente. Insieme a Marco Zanuso, progetta radio e televisori per Brionvega, il telefono Grillo per la Siemens, mobili e lampade ed altro ancora. Tra il 1970 e il 1976 è consulente alla Fiat ed alla Pirel-

li per automobili e accessori; in seguito, per IBM in tutto il mondo. Dal 1986, insegna alla Hochschule für angewandte Kunst di Vienna. Tra i suoi lavori più conosciuti, figurano i bollitori per Alessi (1984) e la lampada Tizio (1972) per Artemide. Riceve cinque volte il Compasso d’Oro. Attualmente, insegna Lehrstuhl Fur Industrie Design all’Akademie der Bildenden Kunste di Stoccarda.


“Recentemente ho letto, in un articolo di storia, che l’invenzione dell’alfabeto ha cambiato il modo di pensare del mondo occidentale, nel senso che, da allora in poi. tutto deve essere scomposto e poi ricomposto in maniera consecutiva per poter essere letto e compreso; che questa scuola di pensiero logico, efficiente e monodimensionale, ci ha fatto conquistare il mondo, ma che, nel processo, abbiamo perso molto di quel pensiero che non può essere scomposto in lettere o cifre, che non può essere spiegato logicamente. Ecco, adesso so perché mi voglio rifiutare ogni volta qualcuno mi chiede di spiegare il mio lavoro. Non c’è niente da spiegare. Quando si disegna non si pensa in parole, ma in immagini tridimensionali, colorate, semoventi, che si toccano, delle volte suonano, possono essere calde e ti bruciano. Così ci entrano i materiali, le sensazioni delle superfici, i vapori, il fuoco, e infine mangeremo quello che contengono. Mi auguro che sia buono”.


Macchinette da caffè, per Alessi


Mario B Nato a Milano nel 1935, è architetto, critico e designer. Dal 1959 al 1962 collabora in qualità di architetto con il gruppo Rinascente; intanto svolge attività didattica presso l’istituto superiore di design di Venezia. Dal 1963 è responsabile Olivetti per le macchine da scrittura e i calcolatori (riceve diversi premi smau per alcuni progetti). Collabora con importanti industrie B&B, Cassina, Brionvega, Yamaha, Artemide, Flos, Vitra; feconda anche l’attività nel campo dell’automobile (Fiat, Lancia, Renault). Presidente dell’ADI dal 1969 al 1971, direttore della rivista domus dal 1986 al 1991, consegue diversi premi del Compasso d’Oro: 1962, 1964, 1970, 1986. Il Moma di New York conta ben 25 suoi progetti e nel 1987 gli dedica una mostra monografica. Come architetto realizza importanti progetti a Tokyo e a Milano (nuovo quartiere fiera). “...cosa molto interessante a proposito del cosiddetto Design Italiano, è quella che si deve constatare che tutto il design italiano è stato fatto da architetti. Mentre in Europa ci sono scuole di architettura e scuole di design, lo stesso vale per gli Stati Uniti, in Italia noi non abbiamo mai avuto scuole di design, sino agli anni più recenti. Io che amo sempre fare un po’ di paradossi, quando mi sentivo chiedere un po’ di tempo fa, durante interviste o in differenti occasioni, come mai si è formato questo fenomeno del design italiano, amavo rispondere in modo sempre un po’ provocatorio: “il design italiano è il frutto della mancanza delle scuole di design, che noi abbiamo tuttora in Italia”. Sapevo di essere un po’ provocatorio, però c’è qualche cosa di vero in questa cosa che io amavo dire e tuttora amo pensare quanto meno. In fondo è vero che la scuola d’architettura non ti dà, in quanto


Bellini


designer, delle attrezzature di specializzazione, insegnamento delle tecnologie, delle teorie di marketing, però ti dà questa grande capacità di capire tutto l’ambito, tutto il contesto in cui la tua attività di disegnatore di mobili o di oggetti o di macchine, finisce per dover essere valutata. è molto pericoloso disegnare una sedia senza capire che la sedia non è un puro oggetto tecnico fatto per tenere sollevata o seduta una persona, senza capire che la sedia è uno strumento rituale della nostra civiltà, che ha degli straordinari valori antropologici ecc. ecc. e che sta nellambito di ‘uno spazio, che è una componente dell’architettura, la quale architettura è una componente della città ecc. ecc.. è anche vero però, a essere onesti, che si deve riconoscere che in Italia si è soprattutto sempre fatto disegno di mobili, molto più che non quello che viene comunemente chiamato il product design o il disegno di prodotti, di oggetti industriali, se ne certo, ma non tanto quanto in Germania, negli Stati Uniti o in Giappone. Questo spiega anche perché è stato possibile in Italia, nonostante la mancanza di scuole specifiche di disegno industriale, raggiungere questo altissimo, straordinario livello nel campo del disegno, ma soprattutto del disegno dei mobili. però questo spiega anche perché nel campo più specifico del disegno delle macchine e di oggetti a più alto contenuto tecnologico, in fondo eccellono anche nazioni come

la Germania, il Giappone, gli Stati Uniti, dove invece le scuole di design sono una tradizione che è in atto da molti decenni. …ci si può domandare a questo punto se la scuola di architettura, quanto meno, ha insegnato o insegna a disegnare mobili. se io cerco nella mia memoria, per quel che mi ricordo, sì c’era un insegnamento di arredamento, un esame di arredamento, che teneva tra l’altro il grande Gio Ponti ai miei tempi, ma in realtà non t’insegnavano nemmeno a disegnare i mobili, cioè non è che venivi fornito di attrezzature tecnologiche - come dire - specifiche per disegnare il mobile, però che cosa t’insegnava la scuola di architettura? t’insegnava a capire la scena ampia, la scena larga, ti dava un fondamento culturale, per cui tu capivi il significato che il mobile giocava nell’ambito della nostra rappresentazione della cultura, nei valori della società, dei riti connessi all’abitare. in fondo, io ho scoperto nei miei lunghi anni di attività progettuale, che questi sono gli aspetti più importanti, mentre imparare come si incastrano i legni, che colle si scelgono, quali sono i materiali più adatti per fare questo o quello, con che macchine si fa questo o quello, è qualche cosa che in effetti è abbastanza semplice. se uno è curioso e vuole saperlo le impara subito. tra l’altro, queste cose si imparano e si devono continuamente aggiornare. quello che si impara un determinato anno non è più vero due anni dopo o cinque anni dopo


Mario Bellini per Olivetti

o dieci anni dopo e quindi io sono contento di avere avuto una scuola di architettura e di non avere avuto una scuola specifica di industrial design, perché questo m’ha consentito sia di essere un architetto che di essere un designer italiano. Il design italiano è stato soprattutto disegno di mobili e disegno di arredi, ma non è solo così, adesso che ci penso bene, in fondo, proprio la mia esperienza personale, con molti anni di attività di consulenza per Olivetti, per Brionvega, mi ha insegnato che anche in Italia c’è stato un filone dell’attività produttiva che non faceva direttamente riferimento a quella degli arredi, che ha costituito un esempio, un esem-

pio internazionale straordinario per quanto riguarda la capacità di dare peso e importanza alla qualità del disegno, dei propri prodotti. In fondo, forse ormai ci si dimentica spesso di queste cose, perché è passato tanto tempo, ma Olivetti è stato un esempio straordinario, studiato e imitato in tutto il mondo, nelle università di tutto il mondo. E perché questo è successo? Perché qualche cosa di speciale c’era e c’è ancora nell’atmosfera della cultura della società italiana, qualche cosa di speciale che ci ha portato tutti a dare molta importanza, molto valore, proprio a questi aspetti meno direttamente riconducibili alla più banale dimensione del mercato, del profitto, del-


la quantità, dell’uso, ma di una straordinaria importanza proprio per la qualità della nostra vita, ed ecco che appunto Olivetti e Brionvega hanno i loro anni più fortunati e hanno costituito uno straordinario esempio. Naturalmente oltre a questo, che mi sembrava giusto citare come esempio molto particolare, tutto l’enorme filone della produzione dei mobili, degli arredi e delle lampade, è stato in Italia veramente uno straordinario campo di cultura di questa esperienza del design. basti citare Cassina, B&B, Artemide, ecc., ecc. sono tutti esempi straordinari che hanno poi attratto proprio a Milano interesse e persone da tutto il mondo...” “...Scusatemi ancora un momento. Improvvisamente mi sembra di avere capito. Chi è il designer? Il designer è, come dice la parola stessa, colui che progetta. Che progetta cose, macchine, edifici, mobili ecc... E cos’è il design allora? Il design è il frutto del lavoro del designer: cioè cose, macchine, edifici, mobili ecc... Semplice, no?...” Nel 1987 fonda la MARIO BELLINI ASSOCIATI SRL di cui è presidente. I servizi professionali offerti da MBA vanno dal masterplanning, all’architettura, alla progettazione di allestimenti per mostre e musei. Già notissimo per la sua attività di designer, iniziata nel 1963 e culminata nel 1987 con la retrospettiva personale dedicatogli dal Museum of Modern Art di New York, dagli anni ‘80 lavora con crescente successo nel campo dell’architettura in Europa, Giappone, Stati Uniti, Australia, Emirati Arabi.

Imbottiti Stardust per Meritalia



Marco Z


Zanuso

Nato a Milano nel 1916, si laurea in architettura nel 1939. Architetto, urbanista e designer ed animatore fin dal dopoguerra del dibattito culturale nel Movimento Moderno, è membro dei CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne) e dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), dal 1947 al 1949. Condirettore di Domus con Ernesto N. Rogers nel 1946-47 e redattore di Casabella negli anni cinquanta, ottiene più volte il riconoscimento della medaglia d’oro (VIII, IX, X, XI, XIII Triennale) e consegue il gran premio della Triennale nelle edizioni IX, X, XIII Partecipa alla fondazione dell’ADI 1954 e alla creazione del premio Compasso d’Oro nel 1956. L’attività di architetto e designer gli fanno guadagnare il Compasso d’Oro negli anni 1956, 1962, 1964, 1967 e alla carriera nel 1985. Tra le architetture occorre ricordare i complessi per Olivetti in Sud America, stabilimento Necchi a Pavia e il Nuovo Piccolo Teatro di Milano; tra i progetti di design vanno menzionati quelli per Arflex, Brionvega, Borletti, Gavina, Bonacina, Kartell, Siemens. Svolge attività didattica presso il Politecnico di Milano. Diversi suoi pezzi sono presenti nella collezione di Design del Museum of Modern Art di New York. Marco Zanuso è morto a 85 anni, nel luglio del 2001, a seguito dell’aggravarsi della malattia che da tempo lo attanagliava. “...Io mi sono laureato e il giorno stesso della laurea ho vestito la divisa dell’ufficiale di Stato Maggiore della Regia Marina, come si chiamava allora. Sono stato quattro anni e mezzo a bordo delle navi. Ero tornato a casa (di architettura non avevo fatto neanche l’ombra). Avevo molti amici architetti del gruppo di Rogers, Mucchi. Ed è stato proprio con Rogers che abbiamo fatto questa esperienza prima di Casabella e poi di Domus. Esperienza naturalmente molto interessante perché era anche una specie di appuntamento del dopoguerra: contarci, vederci, se eravamo rimasti ancora in piedi e riprendere il discorso che avevamo interrotto...Per me è stata un’esperienza nuova questo contatto con il mondo degli architetti, che avevamo lasciato, nel senso che mi sono accorto che la scuola di architettura ci aveva insegnato poco. La vita a bordo delle navi da guerra (erano navi molto avanzate, tecnologicamente) aveva aperto una finestra su un mondo che non conoscevo, che era appunto il mondo della tecnologia avanzata. E forse quello mi ha aiutato, in questi primi anni del ritorno da questa terribile esperienza, a prendere dei contatti diversi da quelli che avevo avuto. ...il mondo della produzione degli oggetti della casa e dei mobili è un mondo che si è immediatamente aperto ai nostri interessi, con alternative e un’articolazione inattesa. Quindi, occuparsi di quelle che sono state le cose della casa (era un tema molto attuale in quel momento) voleva dire occuparsi di argomenti, come dicevo prima, per noi ignoti. Quindi ci sono state le esperienze dei mobili più elementari. La sedia, poi anche la cucina, i frigoriferi, le attrezzature di integrazione alle lavorazioni domestiche hanno allargato non tanto la tematica in quanto tale, che naturalmente era sempre un tema da noi ignorato, ma proprio l’entrare in un mondo, in una zona di interessi, di relazioni e di connessioni che era molto più ricca di quanto non si potesse immaginare. era proprio come aprire una finestra e accorgerti che il mondo è ampio


e interessante. Questa è stata l’esperienza delle riviste. Affiancato a questa è cominciato proprio il lavoro del cosiddetto disegno industriale, di industrial design. Termine peraltro poco conosciuto, poco usato in Italia. L’abbiamo poi tradotto con disegno industriale che significa una cosa completamente diversa. ...Le due riviste, sia Casabella che Domus, sono riviste che avevano una posizione totalmente riferita al mondo degli architetti, quindi avevano ancora quel vincolo, non dico accademico, ma di questo mondo attorno all’architettura... ...E in questa fase devo dire che una certa esperienza, che non è specificamente architettonica, ma che fa parte dell’architettura, è stata la partecipazione, la direzione e la operazione diretta con la triennale, che è stato il luogo dove esattamente noi abbiamo ritessu-

to dei collegamenti della nostra cultura internazionale. Mi ricordo di aver fatto una gara di valzer con Gropius, per esempio, in un’osteria qui vicino alla triennale. Sono andato lì in un intervallo per la colazione. Una gara di valzer con Walter Gropius. Non dico chi l’ha vinta per pudore. Per dire che la confidenza con questi uomini, con questi maestri effettivamente... erano per noi proprio dei veri maestri fisicamente. Avevamo un rapporto molto diretto con loro. Mies Van der Rohe, per esempio. Sono andato a trovarlo a Chicago. È stato tutto il tempo a spiegarmi tutti i suoi “progettini”, i suoi “disegnini”. Era un’internazionale molto ristretta di 15 o 20 architetti che si vedevano ogni tanto, che stavano bene assieme. Stavano bene in-


sieme con i pittori, con gli scultori, con i poeti. La vita degli architetti non era una vita solamente tra gli architetti. Ma tra gli architetti e le arti figurative in genere e poi tutta la gente di cultura. Noi abbiamo bisogno di uno scambio interdisciplinare molto alimentato perché ci dobbiamo occupare un po’ di tutto.....io sostengo la mia formazione razionalista e non scappo più da lì. il che non vuol dire quello che è stato detto molto a proposito del razionalismo, ossia che sia una limitazione. È un po’ come dire che è la limitazione dell’illuminismo o della rivoluzione francese. È proprio una formazione culturale che ti mette davanti ai problemi in una certa maniera. E credo che sia anche inopportuno, inutile e anche un po’ gratuito confrontare il razionalismo con il post moderno, perché sono due cose che possono

stare benissimo assieme, quando sono usate per quello che sono. Devono essere collocate in un processo progettuale in una maniera rispondente e soprattutto approfondita e allargata alla dimensione della tematica che si deve affrontare. qui entriamo in un discorso che, poi, non si finisce più... ...quello che devo riconoscere è che effettivamente la cosa che mi ha sempre molto interessato è di cambiare il mio metodo. Cioè occuparmi una volta di un oggetto, una volta di un altro, perché credo di trovare sempre un interesse nella diversità del tema da affrontare. Il che deve essere fatto libero nella forma, ma rispettoso dei principi, appunto, del razionalismo, della formazione culturale che ho avuto. ...questo mi pare che potrebbe essere il rias-


sunto del concetto per far capire ai giovani ciò che ho insegnato per vent’anni al Politecnico. L’unica cosa che mi è sembrato di poter insegnare è proprio questo. Una maniera semmai è scegliere le cose che ti interessano, approfondire quelle e, allora, lavorare non è più una nostra condizione. È una gioia sempre. ...Olivetti è il personaggio più importante, come figura di committente, che ho incontrato nella mia vita di progettista. adesso non faccio più distinzione tra design o architettura. Il rapporto con lui è diventato prestissimo un rapporto personale, proprio di scambio della sperimentazione progettuale. È piombato nel mio studio che allora era abbastanza povero - era una stanza - e, dopo poche parole di approfondimento generale, ci conoscevamo già. Mi ha detto che aveva intenzione di affidarmi l’incarico della nuova fabbrica Olivetti in Argentina. Siamo ancora ai tempi in cui io ero da poco tornato dalla guerra, quindi era molto emozionante una cosa di questo genere. E poi mi dava subito la dimensione della persona. Cioè la dimensione della persona che non va a cercare delle garanzie di tipo burocratico. Sceglie una persona e rischia quello che deve rischiare. Con me rischiava moltissimo perché io, in pratica, non avevo mai fatto niente. E lì è nata questa esperienza che prima è stata in Argentina e poi la fabbrica di San

Paolo del Brasile. Devo dire che - uno può dire che è un caso - ma parlando della fabbrica in Brasile mi viene in mente un rapporto con alcuni problemi che sono nati da questa continuità spaziale e superficiale, come per gli elementi che costituiscono questo sedile, questa sedia (contrariamente a quella che è la tradizione della sedia, che è fatta di elementi a bacchetta che ad un certo punto si inseriscono uno nell’altro) tenta il problema di utilizzare un materiale che sia unico e che sia continuo. Allora, appunto, una interpretazione della superficie in lamiera, lavorata come si lavorano gli oggetti in lamiera industrializzati, che ad un certo punto pone specificatamente questo problema del passaggio dalla verticale all’orizzontale con la massima sollecitazione in questo punto qua, che - guarda caso - trova lo stesso problema strutturale nel passaggio dalla verticale all’orizzontale che era il tema che dovevo affrontare passando dal pilastro di appoggio con le coperture a volta che avevo adottato in questa fabbrica per delle ragioni di carattere climatico. Tematica simile che doveva essere però affrontata con materiali completamente diversi, ridotta a una struttura laminare portata a delle dimensioni molto poco consistenti per giunta. È stata un’esperienza molto pesante, dove un uomo come Olivetti ti segue, data una si-


tuazione di questo genere, anche se questo voleva dire costruire un pezzo di fabbrica in Italia, demolirlo per vedere i limiti di resistenza e per poter poi ottenere dei risultati. Insomma, una persona che effettivamente davanti a un problema di progettazione si poneva come davanti a un problema di carattere culturale, finalizzato ad una produzione di carattere pratico. ...Non esiste il confine tra artigianato e design. quello che noi facciamo sul modello, che poi sarà riprodotto 50.000 volte, è una attività in cui portiamo tutta la nostra esperienza, sia

artigianale, sia industriale, sia disciplinare, sia accademica. Cioè, non c’è confine tra uno e l’altro. Che poi l’oggetto finito sia prodotto da una macchina, questo qui è un caso particolare che si chiama appunto produzione industriale. Ma l’apporto sul piano creativo deriva da una serie di conoscenze e di capacità creative che si avvalgono di tutti i sistemi che non hanno confine né da parte dell’artigianato né dalla parte dell’industria. Tutto quello di cui possiamo disporre deve essere utilizzato a difendere la creatività”.


Ettore S Figlio dell’architetto Ettore Sottsass senior[1], dopo aver studiato architettura al Politecnico di Torino laureandosi nel 1939, comincia la sua attività a Milano nel 1947 dove apre il suo primo studio di design. Collabora in questo primo periodo con Giuseppe Pagano. Nel 1948 entra nel gruppo del MAC (Movimento di Arte Concreta) e partecipa alla prima collettiva di Milano. Nello stesso anno promuove a Roma la mostra dedicata all’Arte astratta in Italia. Successivamente aderisce allo Spazialismo. Nel 1957 diventa art director di Poltronova, l’azienda di Agliana, chiamato dall’imprenditore Sergio Cammilli. Nel 1958 inizia la sua collaborazione con la

Olivetti, nel settore del computer design a fianco di Marcello Nizzoli, di cui prenderà il posto dopo il ritiro. Questa attività che durerà circa 30 anni e porterà all’affermazione di un nuovo stile per i prodotti da ufficio della ditta di Ivrea. Tra gli oggetti progettati si possono ricordare le calcolatrici Summa-19, Divisumma 26 e Logos 27 (1963), le macchine da scrivere Praxis 48 (1964) e Valentine (con Perry King) e il sistema per ufficio Synthesis (1973). Il progetto più importante è stato il computer Mainframe Elea 9003 (1959), grazie al quale vinse il Compasso D’Oro nel 1959. Nel 1972 partecipa alla mostra Italy: the new domestic landscape al MoMA di New York. Intanto tiene un giro di conferenze per l’Inghilterra e riceve una laurea honoris causa al


Sottsass


Royal College of Art di Londra, nel 1976. Con il gruppo Alchimia nel 1979 partecipa al Design Forum di Linz presentando Seggiolina da pranzo, la lampada da terra Svincolo e il tavolino Le strutture tremano. Nel 1981 fonda il gruppo Memphis assieme a Hans Hollein, Arata Isozaki, Andrea Branzi, Michele de Lucchi e altri architetti di livello internazionale. « Memphis dona agli oggetti uno spessore simbolico, emotivo e rituale. Il principio alla base di mobili assurdi e monumentali è l’emozione prima della funzione » Artista di molteplici interessi, figlio d’arte, contamina la sua formazione accademica di architetto con esperienze dirette nel campo delle arti visive conoscendo vari artisti e stringendo amicizie come per esempio con Luigi Spazzapan. Si è avvalso, nel corso degli anni della sua importante carriera, della preziosa collaborazione di amici professionisti di sovente divenuti successivamente, loro stessi, nomi internazional-

mente noti nel mondo del design e dell’architettura come James Irvine. Nel 1980 insieme ad Aldo Cibic, Matteo Thun, Marco Zanini e Marco Marabelli fonda lo studio Sottsass Associati. Nel 1988 nasce Terrazzo[2], rivista da lui ideata e realizzata insieme a Barbara Radice, Christoph Radl, Anna Wagner e Santi Caleca. Terrazzo si occupa di design e architettura fino al 1996, anno del tredicesimo e ultimo numero. Gli sono state dedicate numerose mostre personali: si ricordano le grandi mostre del Centre Georges Pompidou di Parigi nel 1994 e del 2003, del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato del 1999, del Suntory Museum di Ōsaka del 2000, del Museo d’Arte Decorativa di Colonia nel 2004 e del MART di Rovereto nel 2005 curate da Milco Carboni. Muore il 31 dicembre 2007 nella sua abitazione milanese per uno scompenso cardiaco avvenuto durante un’influenza all’età di novanta anni.



Radiocubo webradio Brionvega anche per iPhone

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Brionvega, i prodotti. Tutti i prodotti, le caratteristiche tecnice, foto e curiositĂ . (2007-2011)



1962


FILODIFFUSORE FD M.Zanuso - R.Sapper

Radioricevitore per programmi trasmessi in filodiffusione attraverso le linee telefoniche. Gamme d’onda a sintonia predisposta su sei canali a tasti. Ricevitore a sintonia predisposta per la ricezione dei sei canali di filodiffusione modulati in ampiezza e distribuiti con rete telefonica. Il Centro di Produzione Rai, invia i segnali audio alla rete telefonica via cavo. Presso le centrali telefoniche, sei apparecchi producono onde lunghe a banda larga in AM. Ogni canale trasmette un programma. Queste trasmissioni vengono inviate via cavo telefonico agli abbonati. Presso gli utenti, un apposito filtro separa la linea telefonica da quella della filodiffusione. L’utente, mediante i tasti del ricevitore, selezione il canale desiderato tra i sei disponibili preselezionati.


D1101



CARATTERISTICHE TECNICHE: • Materiale: plastica di Acrilonitrile-Butadiene-Stirene (ABS), metallo; • Tipo: Radio- o sintetizzatore WW2; • Semiconduttori (transistor solo contati): BC114 BC114 BC116 OC76 AC141 AC142; • Circuito: a circuiti accordati (ampl.diretta) con rivelazione a diodo; • N. di circuiti accordati: 1 Circuiti Mod. Amp. (AM) • Alimentazione: A corrente alternata (CA) / c.a. 125-160-220V, 50Hz • Misure: h 8,5 cm - L 34,5 cm L 16 cm; • Potenza d’uscita: 2,5W col 10% di distrozione;

Apparecchio a forma di parallelepipedo in materiale plastico nero con piano superiore ribassato a forma di vaschetta. Realizzato in materiale termoplastico antiurto è costituito da due parti: la parte inferiore contiene i circuiti di funzionamento con elementi disposti in orizzontale per ottenere un oggetto allungato, quella superiore contiene i tasti di funzionamento e la griglia protettiva dell’altoparlante magnetodinamico. Il circuito interno comprende 1 diodo, 5 transistor e un raddrizzatore a ponte. Lateralmente si hanno due piccole manopole per la regolazione dei toni e del volume. L’apparecchio può essere sistemato anche in posizione verticale sia sul lato maggiore che minore. E’ presente una presa per magnetofono e altoparlante esterno da 15 Ohm.



1964


RADIO TS 502 M.Zanuso - R.Sapper

Affidabilità e facilità d’uso, durata e bellezza, tecnologia e design, ergonomia e vivacità cromatica. Sono queste soltanto alcune delle caratteristiche della radio a transistor TS 502, meglio conosciuta come cubo Brionvega. Sì perché la TS 502 può essere meglio definita l’essenza del design, un modello che dagli anni Sessanta è diventato protagonista del panorama internazionale ed esposto nei principali musei d’arte contemporanea. Un’icona immortale, un punto di riferimento importante e all’avanguardia nel campo del design industriale, con il quale ancora oggi è difficile misurarsi. Disegnato nel 1962 da Marco Zanuso e Richard Sapper e commercializzato dal 1964 dall’azienda milanese, il cubo Brionvega è la radio che ha cambiato la radio: colorata e non più grigia, con una forma mai vista prima. Una sintesi di tecnologia, in due gusci. Ci sono oggetti destinati a lasciare un segno nella storia del design, oltre che nelle nostre case e nelle nostre vite, e una di queste è la TS 502: armonico mix tra design di culto made in Italy e tecnologia, sinonimo di innovazione stilistica, tecnologia e gusto estetico. TS 502 ha due bande di ricezione: le onde

medie e la frequenza modulata. In pratica al suo interno coesistono due ricevitori che hanno in comune lo stadio di bassa frequenza. La radio si compone di due sezioni realizzate in plastica, due cubi uniti da due cerniere, dotate di un’apposita scanalatura, dove passano i cavi di collegamento fra le due parti. Da chiusa la radio appare come un parallelepipedo arrotondato, difficile da identificare come una radio. Da aperta, i due cubi si uniscono posteriormente grazie a una piccola calamita, si ottiene così un frontale con i comandi e il diffusore audio. Le due schede con gli stadi di alta frequenza si trovano all’interno della sezione di destra, mentre la bassa frequenza e l’altoparlante sono in quella di sinistra. L’altoparlante è un Irel di produzione nazionale che, insieme allo stadio amplificatore ben dimensionato, produce un suono caldo e gradevole. Il cubo Brionvega è così attuale che sembra nato oggi. E dopo essere stato esposto nei più importanti musei di arte moderna, come il Moma di New York, non smette di rinnovarsi. Oggi la TS 502 è riproposta in nuovi modelli, TS 505 e TS 522, chiaramente con circuiti diversi e aggiornati alla tecnologia attuale.




CARATTERISTICHE TECNICHE: • Semiconduttori transistor: n.9 + 5 diodi a cristallo; • Ricezione: OM e FM; • Altoparlante: altoparlante magnetodinamico da 100 mm incorporato; • Potenza d’uscita: 1.8 W; • Anno di costruzione: 1964; • Dimensioni: 230 x 130 x 130 mm; • Peso: 1,782 kg senza batterie; • Materiale: plastica (non bachelite o catalina); • Tensioni di funzionamento: Batterie a secco / 6 × 1,5 Volt (tipo C o R14 per un totale di 9 V.


TV ALGOL 11” M.Zanuso - R.Sapper








CARATTERISTICHE TECNICHE:

• L’Algol e’ un televisore portatile in bianco e nero da 11 pollici, • Puo’ ricevere il segnale TV in banda VHF e UHF., • Ha una antenna interna a stilo estraibile da 1 metro per il segnale VHF, mentre pe l’UHF e’ utilizzata una antenna circolare del diametro di 19,5 cm. • L’alimentazione puo’ essere fornita dalla rete elettrica (125 - 160 - 220 Vca) • batteria d’auto a 12 Vcc. • Le dimensioni sono: 26x22x31 cm • Peso: 7,6 Kg.



1965


RADIOFONOGRAFO A. Castiglioni - P. Castiglioni

Il radiofonografo, su progetto di Achille e Pier Giacomo, è composto da tre elementi componibili tra di loro a formare un parallelepipedo orizzontale o, sovrapponendo le due casse acustiche, un cubo, per occupar emeno spazio. Inoltre le casse possono essere adagiate sul pavimento, o altrove, secondo preferenza dell’utente. I tre elementi realizzati a mano, artigianalmente in legno laccato ed alluminio lucidato mostrano la sapienza artigianale di Brionvega.

Forte è l’elemento ironico, non solo nelle geometrie esterne, ma anche nella disposizione dei tasti, che rende la parte centrale del dispositivo decisamente antropomorfa. Questa nuova radio si basa su un preciso concetto per il quale il design dell’oggetto deve adempire al meglio alla funzione di esso stesso. Il successo del radiofonografo è tuttora evidente, nel 2010 infatti è stato protagonista presso il Sydney Design.


“rr126”




CARATTERISTICHE TECNICHE: • Dimensioni 62 x 36 x 91 cm a configurazione chiusa, 125 x 36 x63 cm a configurazione aperta; • Tipo: Radiofonografo stereofonico; cambiadischi Velocità 4; • Principipio : Super-eterodina (Super in generale); • Fraquenza: IF 470 kHz Freq; • Wave band: Broadcast (BC) e FM. • Potenza tipo e tensione: Alimentazione a corrente alternata (AC) 125, 160, 220 volt; • Altoparlante: 2 altoparlanti; • Potenza out: 10 W; Supporto in fusione di alluminio su quattro ruote a sfera, corpo e casse acustiche in noce.




1967


RADIO TS503 P. Castiglioni


Radio Trasistor sviluppata da Livio Castglioni. Il modello era disponibile in due colori: verde oliva ed giallo.


CARATTERISTICHE TECNICHE: • Dimensioni 20 x 28,5 x 7,5 cm, • Tipo: Radio Transistor AM -FM ( 104 Mhz ) • Principipio : Super-eterodina (Super in generale); • Materiale: plastica, • Alimentazione interna: 6 batterie 1,5 V; • Alimentazione esterna: Trasformatore 9 V




1978


TVC SPOT 15� M. Bellini

Una delle prime televisioni a colori, con rifiniture in legno.






2007


TV DONEY 14” M.Zanuso - R.Sapper


L’edizione limitata conta 299 esemplari tutti rigorosamente marcati laser, accompagnati da una targhetta metallica che ne certifica l’unicità e custoditi in un prezioso packaging in alluminio. Si presentano nei colori Nero Notte, Bianco Neve e Arancio Sole. Doney Edizione Limitata brilla e riflette tutto ciò che lo circonda.


CARATTERISTICHE TECNICHE:

• Dimensione quadro di 14” • Colore standerd PAL •Formato immagini 4:3 • Schermo: cinescopio Blakc Matrix; • Dimensioni:360 x 335 x 360 mm; • peso di 11 kg: • Audio B/G, Sintonia in sintesi di Frequenza Digitale • Tuner Iperbanda via Cavo: PAL/SECAM; • TTX: Top/Flop con 10 pagine di Memoria • 99 programmi • Uscita SCART, SVHS, Prese Cinch ingresso audio; • Dotato di presa cuffie • Potenza audio: 4 Wrms • Consumo di < 60 Watts; < 6 Watts in STANDBY; • tensione di rete di 230V AC ± 10%; • Dotato di: Telecomando multifunzione, Targhetta metallica di Identificazione, Case in alluminio;



RADIO “rr327” M.Zanuso

La mitica rr327, figlia della matita di Marco Zanuso del 1965, accompagna al design classico una serie di funzionalità tecnologiche come RDS e alloggiamento per chiavette USB nonché schede di memoria SD. L’industrial design italiano si risveglia e torna alla carica, coniugando vecchio e nuovo, gloria e progresso. È il caso di Brionvega, l’azienda che dal 1945 produce apparecchi di pregio e di stile. Le sue televisioni, le sue radio e i suoi elettrodomestici hanno incantato e incarnato gli anni del boom industriale. Oggi, grazie all’attività di ricerca, vengono coniugate tradizione ed innovazione. Nei mesi scorsi, mentre negli Stati Uniti esplodeva il mercato delle radio da tavolo, Brionvega ha giocato la carta del suo eterno classico: la radio “cubo” (modello ts 502 di Marco Zanuso e Richard Sapper), aggiungendo con garbo la funzione di radiosveglia e di sensore per la temperatura dell’ambiente, oltre ad una rinnovata elettronica, pur rimanendo fedeli al design precedente. Adesso è il momento di innovare e rilanciare un altro piccolo capolavoro, come la mitica rr 327, ispirato al “grattacielo” di Marco Zanuso, targato 1965 e con sigla RR 127.



CARATTERISTICHE TECNICHE:

• Display digitale 61x15 mm (con scritte bianche su sfondo nero); • Indicazione di ora, sveglia ecc nello schermo; • Possibilità di memorizzare fino ad 8 stazioni; • Possibilità di disporre l’oggetto sia in verticale che in orizzontale; • Ingressi USB, schede SD, porta Jack e possibilità di collegare MP3; • Peso: 1,35 Kg; • Alimentazione a corrente; • Colori: neri, rosso, bianco opaco.



Francesca Vezzoli III GDM Catalogo Brionvega



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