La città crocevia di incontriin ambito arabo-islamicoe mediterraneo

Page 1

Alifbâ

Studi arabo-islamici e mediterranei vol. XXI - 2007

Atti del Convegno

La cittĂ crocevia di incontri in ambito arabo-islamico e mediterraneo Fonti storiche, letterarie, viaggi, memorie Palermo 31 Ottobre - 3 novembre 2007

Accademia Libica in Italia UniversitĂ degli Studi di Palermo





Alifbâ

Studi arabo-islamici e mediterranei vol. XXI- 2007

Atti del Convegno

La cittĂ crocevia di incontri in ambito arabo-islamico e mediterraneo. Fonti storiche, letterarie, viaggi, memorie

Palermo, 31 Ottobre - 3 Novembre 2007

Accademia Libica in Italia UniversitĂ degli Studi di Palermo


Alifbâ

STUDI E RICERCHE SUL MONDO ARABO-ISLAMICO E MEDITERRANEO Direttore: Ibrahim Magdud

Comitato Scientifico: Abdunahman Shalgam, Biancamaria Scarcia Amoretti, Antonino Pellitteri, Aghil Barbar, Ibrahim Magdud, Franca D'Addelfio

Comitato Consultivo: Mohamed Dweeb (Un. Di el Margheb), Angelica Hartmann (Un. di Giessen), Khairia Kasmiah (Un. di Damasco), Mahmud Makki (Accademia della Lingua Araba, Cairo), Jean Paul Pascual (Un. di Aix-en-Provence), Yordan Peev (Un. di Sofia), Vincenzo Strika (1st. Un. Orientale di Napoli), Abdul Hadi Al-Tazi (Accademia Reale del Marocco), Afif Turk (Un. Araba di Beirut), Frederick De Jong (Un. di Utrecht)

Hanno collaborato: Mohammed Abdellaoui, A.M. Abusbee, Dionisus A. Agius, Ammar Al Soumer, Angelo Arioli, Cristiana Baldazzi, Paolo Barresi, Giulio Basetti-Sani, Alessandro Bausani, Stefano Berrettini, Lucia Bonafede, Giuseppe Bonaffini, Salvatore Bono, Laura Bottini, Daniela Bredi, Anna Brosolo, Giulio Brunella, Massimo Campanini, Ali Chebbi, Agostino Cilardo, Giovanni Curatola, Wassim Dahmash, Lorenzo Declich, Rita Del Prete, Rita Di Meglio, Elio Di Piazza, Erminia Dispensa, Mahmoud Edeek, Ahmed Etman, Brahim El Kadiri Boutchich, Samiha El-Kalioubi, Milad A. Elmagrahi, Issam El-Zaim, Maria Grazia Enardu, Mustapha Ennaifer, Ahmed Etman, Alvaro Galmésde Fuentes, Francesco Gabrieli, Michele Giacalone, Jessica Giordano, Maritsa Gregorian, Laura Guazzone, Mahmoud Halawi, Bràhim Harakat, 'Ali S. Husneini, George Jabbur, Fuad Kabazi, Khairia Kasmieh, Wajih Kawtharani, Saad Khalil Kezeiri, Luana Lucidi, Pasquale Macaluso, Sheila Mclntyre, Muhannad Mobiadeen, Giovanni Montaina, Matteo Monteleone, Antonietta Nassi, Maria Chiara Nataloni, Martiniano Pellegrino Roncaglia di Villanova di Reggiolo, Antonino Pellitteri, Bartolomeo Pirone, Lucia Rostagno, Abdallah Saaf, Maria Grazia Sciortino, Hassen Slama, Patrizia Spallino, Vincenzo Strika, Zoltàn Szombathy, Maria Tedesco Zammarano, 'Abderraliman Tlili, A. Magid Turki, Guido Valabrega, Rita Dolce. Stampa: Sprint s.a.s - Palermo

Alifbâ, Accademia Libica - Via Ricasoli 29, 90139 Palermo, Italia Tel. +39 091 332347 Fax +39 091 585859 www.accademialibica.com Alifbâ ospita articoli nelle lingue europee e in lingua araba © Accademia Libica in Italia


Indice 7 9

39

47 63

71

99

109

119 131

139

155

191

201 220

242 252 272 306

Presentazione Rita Dolce, Prime città nell’antico Oriente mediterraneo. Incontri/scontri tra centri di cultura urbana di Mesopotamia e di Siria Biancamaria Scarcia Amoretti, Nostalgia, ricordo, orientalismi. Intorno ad Alessandria Muhammad Hassan, Regards croisés Orient-Occident sur la ville de Mahdia Khairia Kasmieh, In Their Own Eyes: Two Syrian Intellectuals in Paris at the eve of 1st World War Federico Cresti, Città, società ed economia urbana del bil…d Barqa nelle descrizioni dei viaggiatori italiani dell’Ottocento

Antonino Pellitteri, Cambiamento ed adattamento a Beirut nell’ultimo periodo ottomano: il diario di viaggio dell’abate Stoppani e la rihlat al-Sh…m dello shaykh alQ…y…t† Axel Havemann, Tariq Ali’s Historical Novel. A Sultan in Palermo. How much fact, how much fiction? Stefano Pellò, La città pensata: Lucknow come riflesso letterario Adriana Chirco, Da Panormo a Balarm, dal sistema di città antica a capitale normanna Marco De Michelis, La Sicilia: porta per le Crociate? ... Non terra di crociati. Analisi storico - geografica da Ruggero I a Federico II di Svevia Maria Amalia Mastelloni, Messina nei secoli XI e XII: correnti formali romaniche, bizantine e “arabe” Abdul-Karim Rafeq, The Socio-Economic and Political Impact of Pilgrim Travelers on Ottoman Damascus

Gianroberto Scarcia, La città dell’Ahl al-Kahf Mohammed Afifi, Ÿ™rat al-Q…hira ‘inda ar-Ra||…la al-Muslim†n f† al-‘a¡r al‘uthm…n† Muhannad Mobiadeen, ‘ulam…’ Þaww…l™n: ath-Thaq…fa wa al-ma‘rifa f† mad†nat Dimashq khil…la al-qarn ath-Th…min ‘ashar Ibrahim Al-Kadiri Boutchich, Al-Qayraw…n: mad†natu taw…¡ul wa liq…’ bashar† khil…la al-‘a¡r al-was†¥ Salem Sari, Al-hawiyya wa at-Taf…‘ul ath-Thaqaf† f† ‘amm…n al-yawm Þadaliyyat al-qab†la wa ad-Dawla f† at-T…r†kh al-iÞtim…‘† lil-mad†na al-‘arabiyya Abdallah Ar-Rahebi, Barqa wa AÞd…by… wa Sirt Øuh™ruh… wa izdih…ruh… wa tadahwur a|w…lih…

5



Presentazione

Nel presente volume di Alifbà vengono pubblicati gli Atti del Convegno Internazionale di Studi sul tema “La città crocevia di incontri in ambito arabo-islamico e mediterraneo. Fonti storiche, letterarie, viaggi, memorie” (Palermo, 31 ottobre – 3 novembre 2007), organizzato dall’Università degli Studi di Palermo, cattedra di Storia dei Paesi Islamici, in collaborazione con l’Accademia Libica in Italia. Il Comitato scientifico organizzatore ringrazia, pertanto, la Presidenza dell’Accademia Libica per avere accettato di pubblicare i contributi scientifici presentati al suddetto Convegno. L’incontro di studi palermitano ha suscitato grande interesse da parte di specialisti e studiosi italiani, europei e arabi, provenienti questi ultimi soprattutto dalla Libia, dalla Siria, dalla Giordania, dalla Tunisia e dal Marocco. Tale interesse è testimoniato dalla folta presenza di insigni studiosi, dal rigore scientifico adottato, nonché dall’originalità delle relazioni presentate all’interno del dibattito sul tema indicato. La città è, in arabo, al-mad†nah; la città del profeta dell’Islam ha funto da modello. Dal momento del suo arrivo nel 622 si è prodotto un profondo cambiamento, giacché è stata rinnovata la sistemazione urbana di quel centro. Essa fu fondata sull’obbligo della preghiera comunitaria del venerdì e sulla sua validità. La radice <ma da na>, come è noto, suggerisce l’idea della stabilizzazione permanente in un determinato luogo. Il linguista arabo Ibn Man©™r, nel medioevo, sottolineava che madana bi’l-mak…n significava aq…ma bi-hi, in pratica stabilirsi in un luogo voleva dire risiedervi. Fu così che Ibn Khald™n (1332-1406), insigne storico musulmano, delineò nella Muqaddimah, la prefazione alla sua voluminosa ed importante opera di storia, gli elementi costitutivi della città – mad†nah in stretto rapporto col sistema della civilizzazione, al-‘umr…n al-|ad…r†, ossia la civiltà sedentaria. Lo storico maghribino sottolineava che l’aspetto proprio alla cultura/civiltà, o had…rah, fosse la pianificazione urbana. Attraverso l’azione di akh¥a¥a, quindi, il Profeta, dopo la hiºrah del 622, e i suoi sostenitori avevano trasformato un sem7


plice agglomerato, qual era Yathrib, in città o meglio nella città per eccellenza. D’altra parte, l’idea di piano, derivata dal tratteggiare linee precise e, al contempo, da un sistema di relazioni e comunicazioni, è principalmente basata, anche secondo Ibn Khald™n, sul senso della comunità. La città, infatti, scriveva il nostro maghribino, non è per gli individui; il vivere cittadino era basato sulla cooperazione, su un’organizzazione della vita che faceva perno sull’idea di utilità e comodità, nonché su un ragguardevole livello di benessere e di lusso. Erano pertanto considerati elementi costitutivi: una grande dinastia; l’unione e un elevato numero di abitanti, la mano d’opera sufficiente; il senso della solidarietà. Era il bisogno di calma, tranquillità e benessere che spingeva all’affermazione del sistema urbano. L’abitante della città, mad†nah, si distingueva quindi dal badaw† (nomade) per avere fissato la sua dimora in un luogo che era la mad†nah, centro di attività congrue con la scelta suddetta. Da tale punto di vista, più che l’ideologia, gli elementi politici e socio-giuridici costituivano i criteri principali e, in certi casi, come si vedrà negli articoli pubblicati nel presente volume, esclusivi nella definizione della città. In proposito, sottolineava giustamente Claude Cahen che la distinzione tra la città detta islamica e le altre del mondo musulmano, non solo per quanto riguarda l’epoca classica, ma anche nel periodo moderno e contemporaneo, si fa sempre meno netta man mano che popolazioni di provenienza diversa affluiscono in città e ne complicano le funzioni. Come caso esemplificativo, si è scelto di dedicare una seduta a Palermo e ad altre realtà urbane della Sicilia, in quanto isola mediterranea più importante in mano all’Islam per oltre due secoli e mezzo. Si ringraziano tutti gli intervenuti per i loro contributi e per avere accettato la richiesta degli organizzatori di affrontare il tema indicato partendo dalla lettura e dall’analisi rigorosa delle fonti arabe primarie. Il Comitato Scientifico

8


Rita Dolce*

Prime città nell’antico Oriente mediterraneo. Incontri/scontri tra centri di cultura urbana di Mesopotamia e di Siria

I. All’origine è Uruk, la prima città

L’apparire dei primi centri urbani nell’antica Mesopotamia, l’odierno Iraq, intorno alla metà del IV millennio a.C., e nella Siria centro-settentrionale nel corso del III millennio a.C., (Fig. 1) è fin dagli esordi segnato dal carattere centripeto della città in formazione, frutto di un “incontro” tra le espressioni e le preesistenze locali-di sostratodelle culture preistoriche già elaborate tra V e IV millennio a.C.1 e gli apporti nuovi e determinanti dei Sumeri, ai quali si deve la formazione delle prime società complesse. Questo popolo non autoctono introdusse infatti strumenti essenziali al processo di definizione della città, e cioè la scrittura cuneiforme e la glittica cilindrica2 (Fig. 2), strumenti entrambi impiegati in origine per il controllo e la registrazione contabile e amministrativa dei beni, secondo un modello di sviluppo urbano per la prima volta attestato in Mesopotamia ad Uruk/Warka, a gestione centralizzata del potere, detenuto in larga prevalenza dal clero, e della redistribuzione delle risorse primarie e dei generi di lusso (Fig. 3); ma il “fenomeno città” nella sua compiuta definizione, è anche connotato da una forte spinta centrifuga, indotta dalla necessità ineludibile delle società in crescita ad aprirsi a diversi e molteplici contatti economici, commerciali, culturali al fine di consolidare e estendere il potere già acquisito, e mantenere il livello raggiunto di welfare3. Docente di Archeologia e Storia dell’Arte, Università degli Studi di Palermo. Come testimoniano segnatamente i siti di Tepe Gawra e di Eridu: Speiser 1935; Tobler 1950; Lloyd, Safar 1947, 1948; Safar et alii 1981; Postgate 1992: pp. 24-25; in particolare su Tepe Gawra si rimanda all’analisi recente condotta da Rothman 2002a, 2002b e alla revisione critica della sequenza stratigrafica e cronologica del sito di Butterlin 2002. 2 Dalla vastissima letteratura al riguardo richiamiamo qui solo Nissen 1990; Liverani 1998, e alcuni studi incisivi su questi specifici aspetti del fenomeno urbano, quali Glassner 2000a; Pittmann 1994; Englund 2004. 3 Si rimanda alle teorie di G. Algaze già esposte quindici anni fa: Algaze 1993; particolare attenzione al fattore commercio nelle dinamiche della prima urbanizzazione è stata prestata dallo stesso studioso in Algaze 2004;il dibattito intorno alle argomentazioni da lui avanzate e sulle diverse interpretazioni storico-culturali che le evidenze archeologiche in continuo incremento nella cosiddetta “periferia” della civiltà di Uruk hanno sollecitato è di piena attualità scientifica; tra la letteratura più recente cf. Rothman 2001, 2003; Collins 2000;Van De Mieroop 2005: p.19 e sgg * 1

9


Fig. 1 - La Mesopotamia e la Siria nel IV-III millennio a.C.

Fig. 2 - a), b), c) Tavolette arcaiche con scrittura pittografica e segni numerici ( a), b) da AA.VV., Naissance de l’écriture, 1982, pp. 52-53, nn. 7, 9; c) da Forest 1996, fig. 38); d) Sigillo cilindrico (VA 10537) e impronta con raffigurazione dell’en di Uruk (da Moortgat 1969, tav. B 1a, 1b)

10


a

b

Fig. 3 - a) Uruk. Pianta topografica (da Van Esse 2001, tav. 1); b) Busto maschile da Uruk, forse rappresentante l’en della città (da Moortgat 1969, tav. 13)

Va tuttavia rilevato che il mantenimento dello status economico e politico delle città arcaiche del Vicino Oriente, le città-stato, come pure delle capitali sedi di regni o di imperi nell’arco dei due millenni successivi, si basa di necessità sullo stato di belligeranza pressoché permanente, sui conflitti armati per la supremazia regionale o sull’intero Paese4; fin dalle prime testimonianze note di organizzazioni proto-urbane o protostatali5 il potere si avvale già della guerra anche come strumento ostentatorio6, 4 Nell’ambito della storia politica del III millennio a.C. esemplari sono i casi dell’impero di Akkad e della III dinastia di Ur: cf. in Liverani 1993 gli studi di M. Liverani, di P. Michalowski e di P. Steinkeller; Sallaberger,Westenholz 1999, passim. Una ricostruzione del quadro politico e culturale della Mesopotamia neosumerica su base archeologica è stata di recente delineata da Matthiae 2000a: pp.9-63. Per il valore e la logica della guerra nell’Asia anteriore antica nel quadro storico-politico dall’età del Bronzo Tardo, dalla metà del II millennio a.C. alla sua fine, si veda Liverani 1994; e per il periodo dell’impero neoassiro, nel I millennio a.C., Oded 1992. Alcuni aspetti, ed esiti, nella comunicazione visuale della centralità della guerra come risorsa per la stabilità dello stato di welfare sono stati tracciati da Dolce 2006a, 2006b i.s. e da Nadali 2008 i.s. 5 Quali sono definibili quelle società complesse nel Vicino Oriente già provviste di sistemi elaborati di controllo sui beni (come le sigillature) regolati da una élite, ma non ancora dello strumento della scrittura; si rimanda per una prima messa a fuoco del fenomeno e delle sue implicazioni a Stein, Rothman 1994; casi significativi di centri organizzati secondo criteri di incipiente urbanizzazione, testimoniata dalle evidenze archeologiche, risultano il sito anatolico di Arslantepe-Malatya: cf. Frangipane 1996:p.234 e sgg.; Frangipane 2007; e, a livelli diversificati di documentazione , alcuni rilevanti centri della Siria nel bacino del fiume Khabur, da Tell Brak a Tell Hamoukar, e nella valle del fiume Balikh, come Tell Hammam et-Turkman; e assai di recente Tell Umm el-Marra ; per una sintesi aggiornata e per la relativa bibliografia cf. Akkermans, Schwartz 2003 :p.184 e sgg.; Schwartz 2000, 2003 e 2007. 6 L’alta conflittualità dei centri sedi di società complesse e in via di compiuta urbanizzazione è testimoniata da una scoperta archeologica avvenuta proprio nel sito di Tell Hamoukar, nella Siria nord-orientale, nel corso degli scavi del 2005 (cf. W. Harms, Chicago Chronicle 26 (2007), disponibile in rete); vi si esposero tracce di una violenta distruzione datata da G. Algaze intorno alla metà del IV millennio a.C., ma anche chiari segni dell’assalto che la precedette sferrato con centinaia di proiettili in pietra. Indagini recenti sul sito di Hamoukar condotte dalla Missione congiunta della Chicago University e del Dipartimento delle Antichità di Siria hanno confermato lo sviluppo urbano di centri maggiori precedentemente e indipendentemente all’avvento della cultura

11


e dagli esordi delle culture urbane nel Paese di Sumer, ad Uruk, il warfare appare risorsa essenziale per l’organizzazione e la stabilità dell’apparato bellico e degli eserciti, mezzo per l’espansione territoriale, che è in larga misura la premessa del dominio o del controllo commerciale. Dalla formazione in gran parte della Mesopotamia agli inizi del III millennio a.C. di centri urbani autonomi e in cerca di affermazione nello scenario politico contemporaneo, la guerra costituisce uno dei fattori connaturati alla città, strumento per tutelare la sicurezza delle risorse primarie per la sussistenza della comunità urbana e per comunicare efficacemente in caso di vittoria sul nemico la propria supremazia politica, a medio o ad ampio raggio. E’ ormai noto che fin dalla prima compiuta realizzazione di un centro urbano, quale è Uruk, nella Bassa Mesopotamia, come appena ricordato7, la guerra appare uno degli elementi fondanti della città in sé, della sua autorevolezza e della memoria storica che la connoterà per il tempo a venire. E le testimonianze che indicano tale logica attengono il campo della comunicazione visuale, strumento, questo, che comunque ha preceduto la scrittura nella trasmissione delle ideologie e nella organizzazione della propaganda e del consenso8: si tratta di scene di combattimenti e di celebrazioni di vittorie con esibizione di file di prigionieri tradotti in ceppi e i cui modelli risalgono ad un codice iconologico ed espressivo ancora più antico, risalente alla piena preistoria9 (Fig. 4). Ma è pur vero che stando alle fonti scritte presenti dal III millennio a.C. le città del Vicino Oriente intraprendono guerre maggiori o scontri circoscritti (nello spazio e nel tempo) per volontà divina e al fine di determinare quelle “condizioni” per la pace intese come legittimo dominio su terre e genti10: la pace appare dunque come l’ obiettivo permanente e al contempo dinamico, che mantiene le società urbane in uno stato di perenne allerta. di Uruk; i risultati sono stati presentati da C. Reichel in “Urbanism, Administrative Complexity and Warfare in Northeastern Syria during the Late Chalcolitich Period-the 2005 and 2006 Excavations at Tell Hamoukar” nel corso dell’ultimo ICAANE tenutosi a Roma nel maggio 2008. 7 Cfr. nota 3; tra i numerosi contributi critici sul fenomeno urbano ad Uruk e le relative problematiche storico-culturali e cronologiche si citano qui solo Nissen 1993; Nissen 2002; Ramazzotti 2002, con ampia e aggiornata bibliografia. 8 Originali riflessioni critiche in tal senso e una messa a punto dello stato della ricerca si trovano in Glassner 2000a: p.217 e sgg. in particolare. 9 Ci riferiamo alle impronte di sigilli di tematica bellica provenienti dal sopramenzionato sito di Tepe Gawra (liv. XI) nella Mesopotamia settentrionale e da Hacinebi(B2) in Anatolia, di età precedente alla urbanizzazione di Uruk: cf. Boehmer 1999, figg.122a,115a ; e alle raffigurazioni di azioni militari e di torture al nemico attestate nelle impronte di età protostorica da Uruk, da Susa e da Choga Mish: Boehmer 1999: p. 123, figg. 122, c, e; pp. 20-24, figg. 16-18, figg.64-65, tavv. 8-27; temi bellici ricorrono meno esplicitamente nella documentazione da siti di cultura urbana “secondaria” come Gebel Aruda:Boehmer, ibidem, p. 123, fig. 122h. Due impronte di sigilli da Uruk IVa mostrano altrettanti temi rilevanti della comunicazione visuale della sopraffazione sul nemico, che avranno particolare favore in seguito: rispettivamente, l’accanimento dei rapaci sui prigionieri, ancora vivi, e la imminente decapitazione su ceppi: cf. Boehmer, ibidem, p. 54, figg. 64 A-D, 65 A-C. 10 Per i documenti testuali che legittimano l’operato del sovrano, capo secolare della comunità urbana e regnante per volontà degli dèi, si veda Cooper 1986: p. 9 e sgg.; Cooper 1983; Cooper 1990.

12


Fig. 4 - Impronte di sigilli cilindrici del Periodo Protostorico: a) Tepe Gawra; b) Choga Mish; c) Susa; d) Uruk (da Boehmer 1999, fig. 122 a, c, e, tav. 17, n. 4 I-L).

D’altro canto, una delle connotazioni più qualificanti del fenomeno urbano nel suo evolversi si coglie nel ruolo della città quale luogo di contatti e di scambi, a vari livelli e secondo varie direttrici geo-economiche, dall’Anatolia all’Iran e al Golfo Persico, fino alla penisola dell’Oman e alla Valle dell’Indo, e all’Egitto11. E’ su tali aspetti che si intende in questa sede porre l’accento, per alcune delle prime città fiorite nella Mesopotamia e nella Siria tra IV e III millennio a.C. 11 Si veda Liverani 1988: p.141e sgg.; una focalizzazione recente sulle interrelazioni tra l’Egitto e il Levante mediterraneo è stata presentata da van den Brink, Levy 2002. Per contatti e scambi si intende, già nelle forme di organizzazioni protourbane, oltre ai conflitti armati sopra richiamati, la circolazione di uomini e beni su ampi territori; e in alcuni casi il controllo di regioni “altre” dal cuore della Mesopotamia, come è spiccatamente evidente nel fenomeno dell’espansione Uruk, e nelle dinamiche relazionali, a vari livelli, tra centri maggiori di Siria

13


II. L’espansione del “sistema Uruk” e le culture urbane in Siria: Un incontro/scontro fecondo Già negli ultimi secoli del IV millennio a.C., parallelamente alla documentazione sopra richiamata sul tema bellico e sulle sue implicazioni nella definizione della struttura delle società complesse, a garanzia della sicurezza della comunità, del controllo dei beni primari della sussistenza e per l’affermazione della propria supremazia, sono attestati da evidenze e dati archeologici modalità e sistemi di penetrazione della cultura di Uruk, e dunque della più antica urbanizzazione finora nota su basi certe di contesti, fin nelle regioni settentrionali del Levante, fuori dal Paese di Sumer e dalla Mesopotamia stessa, e di particolare rilevanza soprattutto sul corso del medio e alto Eufrate, in Siria. L’impatto della cultura di Uruk su quelle regioni, già connotate da un assetto insediamentale nella preistoria tarda e dall’uso diffuso am-

e di Mesopotamia e dell’Anatolia sud-orientale fin dal IV millennio a.C.; si rimanda in questa sede solo ad alcuni contributi in merito, in opere di più ampio respiro e talvolta di prospettiva diacronica, tra i primi quelli di Hudson 1999 e Stone 1999; Nissen 2001;Wright 2001; Frangipane 1996 e più in dettaglio Frangipane1997, fino alle più recenti interpretazioni avanzate su nuove evidenze in Frangipane 2002; Oates 2002. Scambi e contatti si riconoscono, più articolatamente, nelle relazioni politiche e diplomatiche, nei commerci a media e lunga distanza delle città-leader della Mesopotamia del III millennio a.C. e di alcuni centri maggiori della Siria. Per lavori di sintesi sulla natura e i caratteri delle città-stato cf. Glassner 2000b; Thuesen 2000;Westenholz 2002; Postgate 1992: p.22 e sgg., 206 e sgg. Casi paradigmatici di leadership autorevoli e permanenti nell’Alta Mesopotamia e nella Siria antica si riconoscono nelle città sedi di regni dinastici di Nagar (Tell Brak), con una storia insediamentale continuativa dal V al III millennio a.C., di Mari(Tell Hariri) e forse di Urkesh( Tell Mozan), accanto a potenti regni di prestigio temporaneo come la stessa Ebla( Tell Mardikh): si rimanda rispettivamente ai rapporti definitivi di Matthews 2003 e di Oates 2001; a Margueron 2004; ai più recenti rapporti preliminari, con bibliografia di riferimento, di Buccellati, Kelly-Buccellati 1999, 2000, 2002a, 2004, e agli studi tematici 2002b, 2003; per Ebla si veda Mazzoni 1991; Matthiae 1995a, ma soprattutto le ricerche e gli aggiornamenti sui risultati dello scavo della città protosiriana in Matthiae 1987, 1990, 1993, 1995b, 1998, 2000b, 2004, 2006. Nei contatti e negli scambi tra centri urbani fattore determinante, già dal volger del IV millennio a.C, risulta la circolazione di persone e di merci non già solo per l’approvvigionamento di materiali primari alla sussistenza ma di quelli indispensabili alla crescita socio-economica, dai metalli alle pietre preziose, le cui fonti sono disseminate dall’altopiano iranico e l’odierno Afganistan alle montagne del Tauro.Va rilevato peraltro che la attestazione di manufatti in argento ed anche in oro e lapislazzuli in Mesopotamia fin dall’Età Protostorica indica in quell’area una pregressa condizione di fruibilità e di competenza nella lavorazione di questo metallo: cf. Potts 1997: p.174 e sgg.; Moorey 1994: p.222 e sgg.; cf. già Moorey 1982: p. 13 e sgg. per una acuta disamina sugli effetti che il precoce sfruttamento delle risorse metallifere ha prodotto per lo sviluppo di alte competenze tecnologiche e artigianali fin nella Mesopotamia protostorica e protodinastica, e cioè nel IV e nella prima metà del III millennio a.C. Sulle pre-condizioni che determinarono anche in Siria tra BAIII e inizi del BAIV, e specificamente ad Ebla, il floruit delle città-stato, ravvisate nel ruolo crescente di produzioni e specializzazioni artigianali, consumo e controllo di beni elitari si rimanda a Mazzoni 2003: pp. 177-188. Il “commercio”, categoria complessa nelle sue varie accezioni e modalità di espletamento nelle prime culture vicino-orientali tanto da negare o ridimensionare nel corrente dibattito un suo ruolo prioritario nell’economìa di Ebla (Archi 2003a; cf. Dolce 2008: nota 25 per alcune considerazioni specifiche e relativa bibliografia in proposito), elude sinora analisi esaustive, rimanendo piuttosto oggetto di ricerca di singoli aspetti che lo connotano; si rimanda a tale riguardo ad alcuni contributi tra i molti significativi, sia dalla classica raccolta in Lamberg-Karlovsky, Sablofff ove spicca il lavoro “pionieristico”di Lamberg-Karlovski 1975, sia dagli studi in Oates 1993; cf. Silver 1985; Ferioli et alii 1994; e più di recente Milano 2003 e Hudson,Wunsch 2004; per una disamina sui sistemi di scambio in Siria dall’osservatorio di Ebla si rimanda a Peyronel 2006 e per la logica di tesaurizzazione e circolazione dei beni pregiati nell’economia del Palazzo Reale G a Dolce 2008.

14


piamente nel Vicino Oriente di strumenti contabili, i calcoli12, marca con i suoi sistemi amministrativi-gestionali, e di controllo economico, le tavolette iscritte, con la produzione artigianale e le tipologie dell’architettura monumentale sacra centri di nuova fondazione e avamposti commerciali13 .Tra i primi spiccano le cosiddette “colonie” di Habuba Kebira, Gebel Aruda, Tell Kannas14, esempi esaustivi di siti siriani agli esordi della urbanizzazione, ove si attua una vera interazione tra sostrato culturale locale e apporti sumerici; vi convivono infatti nell’architettura pubblica cinta di mura urbiche scandite da torri di guardia15 che non hanno riscontro finora nella Mesopotamia coeva, e provviste di porte difensive che sono all’origine, a mio avviso, dei dispositivi di accesso fortificati peculiari dell’architettura secolare della Siria e della Palestina nel Bronzo Medio (II millennio a.C.) attestati in grandi centri urbani, da Ebla ad Hazor16, accanto ai templi a pianta tripartita e con decorazioni a mosaici di coni policromi in puro stile di Uruk sumerica17 (Fig. 5); analogamente, il repertorio della glittica cilindrica documentato dalle impronte su argilla apposte su tavolette, che recano segni di scrittura arcaica in cuneiforme, o a sigillare contenitori di merci, combina i temi consueti di Sumer della caccia, di soggetti animali e fantastici a quelli propriamente locali della pastorizia e della fertilità (Fig. 6 a); e la ceramica attesta forme e decorazioni anche di particolare originalità, accanto ad una produzione realizzata sul posto su importazioni dalla città-madre Uruk, e verosimilmente impiegata nel caso di un tipo-guida, le bevelled rim bowls - ciotole e coppe in argilla grezza prodotte in massa- per la redistribuzione di razioni alimentari alla forza-lavoro, replicando i sistemi e le modalità dell’economia di base di Uruk stessa18 (Fig. 6 b, c). 12 Per questa classe di manufatti definiti tokens, “gettoni” di diverse tipologie, e per la fondata ipotesi di un loro impiego per scambi e registrazioni di quantità di beni prima della codificazione realizzata con l’avvento della scrittura cf. Schmandt-Besserat 1985, 1992. 13 Per un quadro sintetico dello sviluppo e della distribuzione insediamentale in Siria nella preistoria tarda (Tardo Calcolitico) cf. già Mazzoni 1994: pp. 286 e sgg.; e più di recente Akkermans, Schwartz 2003: p. 154 e sgg.; Schwartz 2001; dalla vastissima letteratura sull’espansione della cultura di Uruk e su diverse valutazioni del fenomeno nella ricerca archeologica attuale si rimanda esemplificativamente a Lebeau 1989; Akkermans, Schwartz 2003: pp. 181-231; Van De Mieroop 2005: p. 19 e sgg. e ad Amiet 2002 ove lo studioso avanza una rivoluzionaria ipotesi sulle dinamiche del processo di urbanizzazione fuori dal Paese di Sumer. Occorre infine sottolineare che il fenomeno della piena urbanizzazione intorno alla metà del III mill. a.C. in Siria, con l’attuale picco nella documentazione di Ebla, è stato preceduto nella regione da sistemi pre-statali all’inizio del millennio, come le evidenze archeologiche già da tempo analizzate e storicamente interpretate comprovano: Schwartz 1994; Mazzoni 2003: pp. 173-178. 14 Cfr. Matthiae 1986:pp.3-20,225 per una prima sintesi del valore storico delle scoperte e la relativa bibliografia di riferimento; cf. Akkermans, Schwartz 2003:p.190 e sgg.; sugli aspetti urbanistici di questi siti cf. Vallet 1998. 15 Come ad Habuba e a Tell Shaykh Hassan. Per il primo sito si rimanda alla nota 15; per il secondo cf. Boese 1987:p.72 e sgg., figg.15,18 e Akkermans, Schwartz 2003: pp. 196-197. 16 Cfr. Matthiae 2000a:pp.175-178, 250-255. 17 I santuari di Gebel Aruda e Tell Kannas replicano la tipologia degli imponenti edifici di culto di Uruk stessa e di altri siti sumerici contemporanei: cf. Heinrich 1982: pp,52-53,figg.128-132; Werner 1994:pp.116-120, tavv.34-38. 18 Per la produzione glittica da Habuba Kebira cf. Strommenger 1980:pp.62-55, figg56-57; per analisi e valutazioni storiche e formali della glittica di Siria all’età di Uruk si vedano gli studi di Mazzoni 1992:p.205 e sgg. e di Matthews 1997:pp.55-86,ove la documentazione analizzata da Tell Brak mostra tratti di forte peculiarità tematica e stilistica ; per la produzione in massa delle ciotole cf. Millard 1988.

15


Fig. 5 - Gli insediamenti urbani di Gebel Aruda (a) e di Habuba Kebira e Tell Kannas (b) con in evidenza il sistema delle mura urbiche e l’impianto degli edifici templari ( a) da Algaze 1993, fig. 6; b) da Strommenger 1980)

Si deduce che nei centri della rete commerciale ed economica dell’espansione di Uruk fino a quelli anatolici di Kurban Höyük e di Hassek Höyük, e allo stesso Tell Brak nell’area del fiume Khabur , la grande Nagar, capitale regionale e protagonista della storia culturale e politica della Siria nel III millennio a.C. 19, viene adottato non solo il sistema amministrativo e di controllo dei beni che costituisce il cardine della prima urbanizzazione ma anche la modalità di base di retribuzione in natura e per quote fisse alla comunità di lavoratori attivi nel circuito dell’economia urbana. 19 Per la fase protostorica di Tell Brak/Nagar fino agli inizi del III MIll.a.C. si rimanda al rapporto definitivo degli scavi e in particolare a Matthews 2003:p.25 e sgg., p.97 e sgg.; per i risultati degli scavi relativi alla città del pieno III Mill.a.C.e per la ricostruzione delle sue fasi storico-culturali ad Oates 2001.

16


Fig. 6 - a) Impronte di sigilli cilindrici da Habuba Kebira a tematica locale (da Mazzoni 1985, nn. 23-24); b), c) Ciotole in ceramica grezza da Gebel Aruda e da Uruk ( b) da Kalsbeek 1980, figs. pp. 10-11; c) da Nissen 1990, fig. 33)

17


III. Città-stato della Mesopotamia e della Siria nel III millennio a.C.: continuità e discontinuità

In seguito all’esaurimento dell’esperienza di Uruk e della preponderante centralizzazione dei poteri nelle mani del clero(da quello religioso a quello politico ed economico), è ancora nella Mesopotamia antica, lungo le sponde dei fiumi che l’attraversano, dall’Eufrate al Diyala al Khabur, che s’impone fin dai primi secoli del III millennio a.C. un diverso assetto dell’occupazione urbana sul territorio, articolato in varie città-stato autonome, tra loro in rivalità aperta ma anche in competizione costruttiva nelle forme espressive di una cultura condivisa, quella sumerica, dalla lingua alla scrittura al patrimonio letterario-mitico all’idea del sacro e al comune sentire religioso. L’autonomia di ogni singola città-stato e del suo territorio è legittimata sulla scena storico-politica e garantita dal dio cittadino, che ne è l’unico proprietario; ma nel concreto è gestita da un sovrano che, con il consenso degli dèi, esercita il potere in un sistema ove ormai la sfera religiosa e quella secolare sono visibilmente distinte20. All’abbandono della rete di colonie e di stazioni commerciali impiantata in precedenza dalla diffusione della cultura di Uruk21 si assiste ora in Siria, nella prima metà del III Mill.a.C., ad un complesso processo di definizione culturale e urbana, ove le realtà regionali risultano prevalere22 mentre l’esistenza di strutture centralizzate deputate allo stoccaggio delle risorse alimentari23 testimoniano nuovamente a mio avviso una gestione economica verticistica e capillare dei beni di sussistenza. 20 Monumenti ufficiali di questa avvenuta definizione nella struttura della società sumerica si riconoscono negli edifici secolari regali dove l’ensi o il lugal amministrano il potere, sicuramente definibili palazzi in senso proprio a partire dal complesso A di Kish in Mesopotamia, sorto tra la II e la III fase del Periodo Protodinastico, nel pieno III Mill. a.C.. Per l’edilizia palatina nelle città-stato mesopotamiche cf. Margueron 1982: pp. 23-155. 21 Cause e modalità specifiche della pressoché totale scomparsa di questi centri determinata dal collasso del sistema politico ed economico della cultura e della città di Uruk restano comunque ancora incerte. I dati attendibili attengono la contemporaneità dell’oblio dei tre siti-“colonie” sumeriche, Habuba Kebira, Gebel Aruda e Tell Kannas, e le tracce evidenti di incendio nei siti di Gebel Aruda e di Tell Shaykh Hassan,non direttamente collegabili ad uno scontro bellico, come sottolineano Akkermans, Schwartz 2003: p. 208. 22 Dalla diversificata produzione ceramica all’emergenza di una metallurgia avanzata del rame come a Tell Ta’ynat, nella Siria nord-occidentale, ove ricorrono figurine in rame femminili e di guerrieri dalla fase G della sequenza stratigrafica del sito, corrispondente cronologicamente alla fase tarda della cultura di Uruk in Mesopotamia, tra fine IV e inizi III mill. a.C.: Braidwood 1960: p. 300 e sgg., p. 516 e sgg., tavv. 56-64. Occorre ricordare che la presenza occasionale di reperti in metallo è documentata nel Vicino Oriente antico fin dal VIII-VII mill. a.C. e fa presupporre una assai remota competenza delle tecniche di base della trasformazione dei materiali, sebbene la diffusione e la moltiplicazione delle tipologie di manufatti in metallo si riscontrino intorno alla metà del IV mill. a.C., con la fioritura della cultura di Uruk, e livelli di alta specializzazione, dalla Mesopotamia alla Siria, si raggiungano nella toreutica e nella oreficeria intorno alla metà del III mill. a.C.: cf. Frangipane 1985; esaustiva documentazione in proposito è stata raccolta di recente secondo una sistematica catalogazione della distribuzione areale dei reperti in Hauptmann, Pernicka 2004; per contributi centrali sul tema si rimanda alla letteratura in Dolce 2008, nota 3. 23 Magazzini per stoccaggio di derrate alimentari del periodo successivo alla espansione Uruk sono diffusi nella regione siriana, da Tell Raqa’i a Kerma a Tell Atij: Akkermans, Schwartz 2003: pp. 218-224.

18


Il processo storico-insediamentale che si profila già dalla prima metà del III Mill.a.C. appare ormai quello di una piena urbanizzazione24, che conduce allo sviluppo rapido di alcuni centri in vere città maggiori, caratterizzate spesso topograficamente da un’acropoli e da una città bassa, e connotate da un’architettura pubblica di palazzi e di templi. Si configura così anche in Siria, e con uno scarto cronologico rispetto alla Mesopotamia meno ampio di quanto si ritenesse in passato stando ai dati attuali, un assetto di città-stato e di capitali regionali di regni autonomi, da Nagar/Tell Brak a Mari/ Tell Hariri a Tuttul/Tell Bi’a per citarne solo alcune, nonché la stessa Ebla/ Tell Mardikh25, spesso gravitanti su due assi privilegiati di corsi d’acqua, quello dell’Eufrate e quello del tratto più settentrionale del Khabur, chiave di volta per l’accesso al Tigri e propriamente all’Alta Mesopotamia, la futura Assiria. La latitudine degli scambi tra città e città è sia regionale che interregionale, e il sistema dei commerci “a lunga distanza” testimonia contatti internazionali, verso fonti di approvvigionamento dei prodotti anche molto lontane, e attiene tra i materiali preziosi di maggiore richiamo l’oro e l’argento dall’altopiano anatolico, il lapislazzuli dall’Afghanistan, pietre semi-preziose come la steatite, la diorite, la corniola e il cristallo di rocca anche dalla Valle dell’Indo, legname di rinomata qualità dalla costa del Mediterraneo, in un circuito che attiva contatti e rapporti di reciproco interesse e che muove contemporaneamente e veicola idee e culture diverse26. In questo rinnovato scenario politico ed economico centri maggiori in Siria acquistano particolare visibilità (come Mari ed Ebla), e stabiliscono contatti sistematici con le città-stato della Mesopotamia protodinastica nel pieno III millennio a.C.: ne recepiscono i caratteri e le tendenze della cultura e dell’arte figurativa (dalla statuaria al repertorio della glittica all’uso frequente di pannelli ad intarsio anche per monumenti celebrativi ufficiali); e adottano la scrittura, impiegata non più solo per documenti economici e amministrativi, ma anche per fissare su manufatti di vario pregio l’identità dei committenti e la dedica alla divinità27 (Fig. 7). 24 Definita”seconda” urbanizzazione, perché tale nello sviluppo storico delle civiltà vicino-orientali e nella sequenza temporale rispetto al fenomeno Uruk, sebbene l’incremento costante dei dati e delle evidenze archeologiche nelle regioni siro-anatoliche riguardo a forme complesse di società protostatali e di incipiente urbanizzazione già dalla metà ca. del IV Mill.a.C. stia orientando verso una diversa interpretazione del processo e dei tempi della sua attuazione.Una messa a fuoco recente della problematica si trova in Mazzoni 2003:pp.176-178. 25 Per Nagar/Tell Brak si rimanda nuovamente a Oates 2001 e per Mari/ Tell Hariri a Margueron 2004 ; per la città maggiore nell’area settentrionale, alla confluenza del corso dei fiumi Eufrate e Balikh, Tuttul/Tell Bi’a cf. Miglus, Strommenger 2002; per Ebla/ Tell Mardikh si veda nota 12. 26 Un centro di eccellenza di produzioni di lusso da materiali provenienti da un tale circuito internazionale e dalle risorse stesse del regno come la lana, in parte reinserite sul mercato in prodotti finiti, fu certo Ebla. Si rimanda per alcune valutazioni sulle modalità del “commercio”, della circolazione dei beni nella Siria coeva, e sulla loro tesaurizzazione a Peyronel 2006 e a Dolce 2008 e alle relative bibliografie di riferimento. 27 Si pensi alla numerosa statuaria votiva di re e funzionari rinvenuta nei templi di Mari dell’età protodinastica della metà del III mill. a.C.: Parrot 1956: pp. 66-74, tavv. XXV-XXX; Parrot 1967: pp. 37-46, tavv. XII-XXIII.

19


a

b

Fig. 7 - Statuaria maschile con iscrizioni dei committenti: a) busto del “mugnaio” Idi-Nârum; b) il re Ishqi-Mari di Mari (da Parrot 1956, tav. XXVI)

Parallelamente, è questo il tempo in cui la città mesopotamica include nel proprio tessuto urbano anche “le case degli dei”, i templi, non più isolati e sopraelevati su terrazze come in passato, all’età protostorica della prima urbanizzazione ad Uruk; l’architettura sacra replica in molti casi quella privata, in un rinnovato o piuttosto ravvicinato “incontro” tra il dio e il fedele. In una società a forte stratificazione si creano le condizioni perchè i mezzi della comunicazione visuale siano impiegati più diffusamente e più di frequente, sia nelle forme di devozione agli dei sia per l’esibizione del proprio rango elitario: i templi cittadini ospitano statue di oranti, maschili e femminili, e di dignitari esponenti a vario titolo della compagine al potere, come è documentato nei centri urbani, da Khafagia ad Eshnunna a Ur, e doni votivi in materie preziose spesso con iscrizioni del dedicante, sia uomo che donna, come a Nippur28 (Fig. 8); e nei templi come nei palazzi, sede della re28 In questa città mesopotamica, la”città santa” della dea Inanna, il tempio a lei dedicato ha restituito nei livelli datati all’età protodinastica (in particolare il liv.VII A,B) statuaria votiva iscritta, coppe e vasellame di pregio con dedica alla dea spesso da parte di committenti donne appartenenti all’elite sociale per rango o per ruolo parentale; si vedano in proposito le recenti riconsiderazioni delle opere e dei loro contesti in Dolce 2007 i.s. e la relativa bibliografia sui rapporti di scavo del sito; la statuaria, gli oggetti votivi e le relative iscrizioni sono stati da tempo

20


Fig. 8 – Coppa con iscrizione votiva dal Tempio di Inanna a Nippur (originariamente pertinente ai livelli protodinastici) (da McCown 1952, fig. 19)

galità, si celebrano su opere a rilievo e ad intarsio i fasti secolari della vittoria sui nemici, i simposi alla presenza delle alte cariche militari e dell’elite sociale e le cerimonie di fondazione di nuovi santuari, come testimoniano, fra gli altri, i resti da Kish, Mari, Girsu29. Il progressivo sviluppo delle culture urbane in Siria nel corso del III millennio a.C., restituito alla conoscenza grazie all’incremento di scavi e ricerche negli ultimi trentanni, appare l’esito di un “incontro” tra il patrimonio propriamente locale, che sovente ha resistito di già all’impatto con il sistema organizzativo ed economico e con il modello culturale di Uruk pur recepito ed elaborato nei caratteri innovativi e fondanti delle società complesse30, e le esperienze culturali e politiche della Mesopotamia protodinastica contemporanea. I centri urbani sopra citati sono tra quelli che documentano in età protosiriana la fioritura di città dall’Eufrate al oggetto di studi singoli da parte di Braun-Holzinger 1977, 1991 e di Goetze 1970-71, e assai di recente dall’analisi esaustiva sulla produzione artistica figurativa della Mesopotamia del tempo di Marchetti, Marchesi 2006. 29 Dolce 1978:p.77 e sgg., 275-278 , tavv.VII-IX, XVVI-XXVII; Moortgat 1969:p.41, tavv.109-112. 30 I rapporti tra il “centro” urukita e la “periferia”sono stati variamente e largamente indagati; tra i numerosi studi ci limitiamo in questa sede a citare nuovamente Collins 2000 e i contributi in Rothman 2001 e in Postgate 2002.

21


Khabur, in alcuni casi con ruoli di spicco anche oltre i confini geografici della Siria antica; e, per questo, come fu per Mari e per Ebla, considerati temibili avversari del primato politico e culturale detenuto da lungo tempo dai lugal e dagli ensi delle città-stato sumeriche31, quindi come potenziali ostacoli al programma di espansione commerciale e di dominio territoriale intrapreso con l’ascesa di Akkad in tutta la Mesopotamia nel XXIV sec.a.C con il suo fondatore Sargon32. L’assetto delle città arcaiche, articolate topograficamente e socialmente, gestite da una amministrazione centralizzata responsabile del controllo delle risorse economiche e del sistema di circolazione di beni interna e esterna all’area urbana, e rappresentate da un capo con poteri secolari legittimati dal consenso del dio cittadino, codifica la singola autonomia dei centri maggiori nella politica e nella religione, la sovranità “divina” sul relativo territorio e l’antagonismo permanente tra città-stato. E al contempo istituzionalizza su scala moltiplicata rispetto al modello Uruk la priorità del profitto per il mantenimento dello status raggiunto, esplicita la condizione di privilegio di classi sociali elitarie33, e la conseguente ostentazione del lusso in vita e post mortem34. 31 Sull’organizzazione e il ruolo consolidato nella Mesopotamia protodinastica delle città-stato si rimanda a Westenholz 2002:p.26 e sgg. 32 Liverani 1988: p.232 e sgg.; due significativi profili di diversa prospettiva del primo sovrano che unificò politicamente e territorialmente la Mesopotamia e pose i presupposti per una nuova ideologia del potere secolare sono stati tracciati di recente da Van De Mieroop 2000 e da Heinz 2007. Occorre richiamare al riguardo il fatto che l’avanzata di Sargon di Akkad e dei suoi successori in Siria si compie con modalità e finalità differenziate, riducendo a macerie alcune delle città-stato potenti tra le quali forse Ebla stessa, devastandone e sottomettendone altre, ove la presenza akkadica si pone “ a controllo” e in continuità con i regni già vigenti, quale è il caso nelle capitali di Urkesh e di Mari e, stando ai dati più recenti, probabilmente della stessa Nagar: Dolce 1999;la attuale ricostruzione sulla base dei testi eblaiti degli ultimi rapporti tra Ebla e Mari conferma il diverso peso politico dei due regni nel quadro internazionale dell’epoca: Archi, Biga 2003: p.29 e sgg. in particolare. 33 Dai funzionari ai sacerdoti agli scribi, ma anche ad una parte del mondo femminile, che si fa rappresentare nelle immagini votive o è protagonista committente; cf. nota 29. La ricorrente presenza femminile nel III mill.a.C. nella comunicazione visuale, negli apparati connotativi del sesso come preziosi effetti personali e monili attestati nei contesti archeologici e nelle fonti scritte, nei documenti testuali in genere, è per lo più distintiva del rango (affinità o parentele regali) e/o del ruolo (sacerdotesse a capo di istituzioni religiose, nutrici), ed ha da tempo sollecitato analisi mirate a delinearne l’incidenza nel tessuto sociale ed anche nella normativa di legge; si rimanda esemplificativamente ai lavori a tema, quali Durand 1987;Meier Tettlow 2004;e assai di recente Schroer 2006; lo status e le condizioni di privilegio delle sacerdotesse nella struttura elitaria al potere sono stati rilevati in vari contributi specifici tra i quali Collon 1999, Pinnock 1998, e da ultimo esaustivamente indagati da una nuova prospettiva critica da Suter 2007. Infine, i documenti scritti dell’Archivio di Ebla si sono rivelati uno osservatorio speciale per la ricostruzione dei ruoli femminili a vari livelli sociali dello stato siriano : cf. Biga 1991; Archi 2002a, 2002b; considerazioni e ulteriore bibliografia in proposito in Dolce 2008, nota 12. 34 Aspetto significativo della struttura socio-economica già delle città arcaiche del III mill.a.C. è che il lusso ostentato non è appannaggio solo dei sovrani post mortem ma anche della discendenza diretta (figli,figlie) e parentela indiretta (mogli) di defunti illustri, come indicano le testimonianze dagli ipogei reali, primo fra tutti il Cimitero di Ur: Woolley 1934; agli scopi ideologico-politici sottesi al fasto e all’esibizione della gloria del defunto nel suo corredo funebre per la tenuta e la legittimazione dei suoi discendenti quali successori al potere, come sostenuto convincentemente da Cohen 2005, si aggiunge nell’ambito specifico della prassi eblaita una valenza prettamente economica nel caso del corredo che accompagnerà le sacerdotesse del regno nell’oltretomba, per lo più principesse della dinastia regnante, non già costituito dal loro ricco patrimonio in vita che resta appannaggio del Tempio, apparentemente secondo una logica di ricapitalizzazione dei beni; cf. per la documentazione testuale Archi 2002a.

22


IV. Il caso di Ebla

Un osservatorio privilegiato per apprezzare la struttura di un centro urbano, capitale di un regno nella seconda metà del III mill.a.C., resta finora Ebla, nella Siria interna, grazie all’unitarietà e all’unicità del contesto archeologico, il Palazzo Reale G (Fig. 9), ove vari indicatori, architettonico-funzionali, artistici, di cultura materiale e testuali, permettono di ricostruire uno spaccato sul centro direzionale ufficiale della città siriana coeva a città mesopotamiche dell’importanza di Kish e di Ur, e antagonista permanente del potente regno siriano rivale di Mari. Negli spazi palatini di Ebla, restituiti ulteriormente all’indagine a seguito della ripresa degli scavi in questo settore negli ultimi cinque anni35, è possibile seguire i meccanismi di controllo degli scambi, a vari livelli, nonché della circolazione dei beni in manufatti pregiati e opere di alta qualità artistica, esito di incontri tra culture e patrimoni di idee e di tradizioni diverse di Mesopotamia e di Siria, che ne furono ispiratrici36. Un afflusso amplissimo di materie prime, dall’oro all’argento ai metalli in genere, al lapislazzuli e ad altre pietre semi-preziose, accanto alla lana di produzione rinomata locale da Ebla stessa e da Mari, raggiungeva la città di Ebla, probabilmente attraverso la rotta dell’Eufrate dal Golfo Persico alla Gezira siriana, fino all’altopiano anatolico ad Ovest e la Siria interna ad Est (Fig. 10). Dagli Archivi di Ebla apprendiamo che una amministrazione centralizzata di funzionari e di scribi preposti alla redazione dei documenti gestiva e regolava l’assegnazione di preziosi alle maestranze per la produzione di manufatti di committenza regale, controllava la destinazione e la circolazione dei beni all’interno e all’esterno dell’area urbana, dai tributi da e per altri regni a “doni” agli alleati e all’ampia classe di funzionari del regno eblaita, a personaggi di rango elevato ma anche a singoli lavoratori, fino alle consegne cospicue per i vari templi cittadini37, secondo un criterio di collocazione dei generi di lusso e dei documenti contabili articolata in vari spazi distinti del Palazzo adibiti alla tesaurizzazione, anche temporanea, dei beni pregiati e alla conservazione dei documenti d’archivio38. La logica della priorità del potere economico e del suo incremento a vantaggio di fasce esigue del corpo sociale, in primis i dinasti e l’apparato regale, può trovare riscontro nella circostanza verosimile che un accumulo stabile di beni pregiati permaCfr. Matthiae 2004:pp.301-317 ; Matthiae 2006:pp.453-458. Sul complesso sistema regolatore del flusso in entrata e in uscita di beni pregiati e sull’identità sociale dei destinatari e dei contribuenti al patrimonio dello stato cf. i recenti contributi archeologici di Peyronel 2006 e Dolce 2008, con riferimenti alla vasta documentazione epigrafica degli Archivi al riguardo; per considerazioni sulla cultura figurativa e artistica di Ebla protosiriana e i caratteri salienti della coniugazione tra tradizioni distinte cf. Matthiae 1995a: pp. 66-132, e tra i numerosi studi specifici Matthiae 1980, Dolce 2006c. 37 Archi 1995; Archi 2005. 38 Archi 1996; Archi 2003b. 35 36

23


Fig. 9 - Tell Mardikh/Ebla: ricostruzione assonometrica dei quartieri ufficiali e dell’Archivio del Palazzo Reale G (2400-2300 a.C.) (Copyright MAIS)

nesse nel circuito cittadino, sotto varie forme di acquisizione da parte del re, della corte e delle caste ammesse, concorrendo a mio avviso a tenere sempre alta la soglia del patrimonio statale nel suo complesso, e quello specifico del “tesoro della corona”39. Su di un piano più generale, l’eccezionale afflusso di materie prime pregiate, in primo luogo oro e argento, conduce a riconoscere ad Ebla all’età degli Archivi Reali, tra il 2400 e il 2300 a.C. ca., un duplice ruolo: centro di eccellenza di produzioni di pregio, in parte destinate al “commercio”, attività declinabile in varie forme40, ma sostanzialmente tale, in parte riservate alla “pratica” dell’esibizione del lusso come mezzo efficace di comunicazione dell’esercizio del potere; capitale di un autorevole regno ove l’accesso alle fonti di approvvigionamento dei metalli 39 I cui spazi sembrano potersi individuare nell’ala meridionale del Quartiere Amministrativo di recente completata nell’esposizione dei vani, come prefigurato già da Matthiae 2004: p. 310 e circostanziato in Matthiae 2006: pp. 455-458; cf. Archi 2005: p. 96; cf. Dolce 2008 per una interpretazione della funzionalità degli spazi per riserve patrimoniali pregiate nel Palazzo Reale G. 40 Cfr. nota 12.

24


preziosi e di pietre ambite ha fatto da volano per una rapida ascesa dello stato eblaita piuttosto che esserne l’effetto41. La città di Ebla e il suo Palazzo appaiono dunque come il possibile paradigma di un modello culturale ed economico invalso nello scenario siro-mesopotamico del III millennio a.C., caratterizzato dall’alternanza frequente di leadership tra città capitali di regni maggiori ai quali viene riconosciuta una supremazia a tempo, tranne in casi di durevole e antico prestigio culturale, politico o religioso come per Kish, Mari, e per Nagar42.

In conclusione, la città arcaica vicino-orientale in termini di impianto urbano, di controllo del territorio, di ottimizzazione delle risorse, di razionalizzazione degli “scambi” e del “commercio” per profitti economici diretti e per vantaggi indiretti nella rete delle relazioni diplomatiche, di stabilità patrimoniale interna, di alta specializzazione del lavoro, di retribuzione delle attività produttive a vari livelli di competenze tramite razioni alimentari, beni d’uso corrente ed anche di beni di lusso (dai tessuti ai manufatti), è l’esito di un lungo processo avviatosi dalla prima forma urbana nota di Uruk ; ed è a sua volta la premessa fondativa sia delle culture urbane che costellarono il Levante nei due millenni successivi che delle civiltà fiorite nel nostro Occidente mediterraneo.

Dolce 2008, nota 25; cf. anche nota 12. Kish , Mari e Nagar sono tra i centri-leader che attraversano durevolmente le vicende tra città stato e rivestono ruoli significativi, di diverso peso ed ambito, negli eventi storici e culturali del pieno III mill.a.C. e oltre.Si rimanda a Steinkeller 1993 per una prima articolata ricostruzione e interpretazione delle dinamiche politiche e ideologiche che scandiscono le città arcaiche mesopotamiche del III mill.a.C. e ad Archi, Biga 2003 per lo scenario contemporaneo di centri urbani maggiori della Siria dall’osservatorio di Ebla. 41 42

25


a

b

c Fig. 10 – Tell Mardikh/Ebla. Palazzo Reale G: a) resti di lapislazzuli greggi e semilavorati (da Ascalone 2005, fig. p. 22); b), c) frammenti di lamine auree di rivestimento di statuette e di arredi da L.2982 ( b) da Matthiae 1984, tav. 38; c) da Matthiae 2004, fig. 12.

26


Bibliografia delle didascalie

– AA.VV., Naissance de l’écriture, Paris 1982. – Algaze 1993 G. Algaze, The Uruk World System, Chicago 1993. – Ascalone 2005 E. Ascalone, Mesopotamia. Assiri, Sumeri e Babilonesi, Milano 2005. – Boehmer 1999 R.M. Boehmer, Uruk. Früheste Siegelabrollungen, Mainz am Rhein 1999. – Forest 1996 J.D. Forest, Mesopotamia. L’invenzione dello Stato VII-III millennio, Milano 1996. – Kalsbeek 1980 J. Kalsbeek, La céramique de serie du Djebel ‘Aruda (à l’époque d’Uruk): Akkadica 20 (1980), pp. 1-11. – Matthiae 1984 P. Matthiae, I Tesori di Ebla, Bari 1984. – Matthiae 2004 P. Matthiae, Le Palais Méridional dans la Ville Basse d’Ebla Paléosyrienne: Fouilles à Tell Mardikh (2002-2003): CRAIBL, pp. 301-346, Paris 2004. – Mazzoni 1985 S. Mazzoni, Sigilli cilindrici: AA.VV., Da Ebla a Damasco, pp. 174-175, Milano 1985. – McCown 1952 D. McCown, A Potent Deity of Ancient Sumeria: A Fine Statue found at Nippur: ILN 28 June 1952, pp. 1084-1087. – Moortgat 1969 A. Moortgat, The Art of Ancient Mesopotamia, London 1969. – Nissen 1990 H.J. Nissen, Protostoria del Vicino Oriente, Bari 1990. – Parrot 1956 A. Parrot, Le Temple d’Ishtar (MAM, I), Paris 1956. – Strommenger 1980 E. Strommenger, Habuba Kabira Eine Stadt vor 5000 Jahren, Mainz am Rhein 1980. – Van Esse 2001 M. Van Esse, Uruk. Architektur II (AUWE, 15), Mainz am Rhein 2001.

27


Bibliografia

– Akkermans, Schwartz 2003 P.M.M.G. Akkermans, G.M. Schwartz, The Archaeology of Syria, Cambridge 2003. – Algaze 1993 G. Algaze, The Uruk World System, Chicago 1993. – Algaze 2004 G. Algaze, Trade and the Origins of Mesopotamian Civilization: BiOr 61(2004), pp. 6-19. – Amiet 2002 P. Amiet, à la recherche d’un modèle explicatif de la “révolution urbaine”: les rôles des nomades: RA 96 (2002), pp. 97-102. – Archi 1995 A. Archi, Gli Archivi Reali e l’amministrazione istituzionale e amministrativa protosiriana: P. Matthiae et alii(a cura di), Ebla. Alle origini della civiltà urbana, pp.112-119, Milano 1995. – Archi 1996 A. Archi, Gli archivi di Ebla (ca. 2400-2350 a.C.): Gli archivi dell’Oriente Antico (Archivi e Cultura XXIX), pp. 57-85, Roma 1996. – Archi 2002a A. Archi, Jewels for the Ladies of Ebla: ZA 92(2002), pp. 161-199. – Archi 2002b A. Archi, The Role of Women in the Society of Ebla: S. Parpola, R.M. Withing(eds.), Sex and Gender in the Ancient Near East : Proceedings of the 47th R.A.I., Helsinki, July 26 2001, pp.1-10, Helsinki 2002. – Archi 2003a A. Archi, Commercio e politica. Deduzioni dagli archivi di Ebla(c.a. 2400-2350 a.C.): C. Zaccagnini(ed.), Mercanti e politica nel mondo antico, pp. 41-54, Roma 2003. – Archi 2003b A. Archi, Archival Record-Keeping at Ebla 2400-2350 BC: M. Brosius(ed.), Ancient Archives and Archival Traditions, pp.17-36, Oxford 2003. – Archi 2005 A. Archi, The Head of Kura-the Head of ’Adabal: JNES 64 (2005): pp. 81-100. – Archi, Biga 2003 A. Archi, M.G. Biga, A Victory Over Mari and the Fall of Ebla: JCS 55(2003), pp.1-44. – Biga 1991 M.G.Biga, Donne alla corte di Ebla: PdP 46(1991), pp.285-303. – Boehmer 1999 R. M. Boehmer, Uruk. Früheste Siegelabrollungen, Mainz am Rhein 1999. – Boese 1987 J. Boese, Excavations at Tell Sheikh Hassan: AAAS 36-37(1986-1987), pp.63-71. – Braidwood 1960 R.J. Braidwood, L.S. Braidwood, Excavations in the Plain ofAntioch, I (OIP, 61), Chicago 1960.

28


– Braun-Holzinger 1977 E.A. Braun-Holzinger, Frühdynastische Beterstatuetten(ADOG, 19), Berlin 1977. – Braun-Holzinger 1991 E.A. Braun-Holzinger, Mesopotamische Weihgaben der früdynastischen bis altbabylonischen Zeit (HSAO, 3), Heidelberg 1991. – Buccellati, Kelly-Buccellati 1999 G. Buccellati, M. Kelly-Buccellati, Das archäologische Projekt Tall Mozan/Urkesh: MDOG 131(1999), pp.7-16. – Buccellati, Kelly-Buccellati 2000 G. Buccellati, M. Kelly-Buccellati, The Royal Palace of Urkesh: MDOG 132(2000), pp.133-183. – Buccellati, Kelly-Buccellati 2002a G. Buccellati, M. Kelly-Buccellati, Die Grosse Schnittstelle: MDOG 134 (2002), pp.103-130. – Buccellati, Kelly-Buccellati 2002b G. Buccellati, M. Kelly-Buccellati, Mozan/Urkesh:ANew Capital in the Northern Djezireh: M. Al-Maqdissi et alii(eds.), The Syrian Jezira: Cultural Heritage and Interrelations. Proceedings of the Intern.Conference held in Deir ez-Zor, April 22nd-25th, 1996, pp. 127-133, Damas 2002. – Buccellati, Kelly-Buccellati 2003 G. Buccellati, M. Kelly-Buccellati, Tell Mozan(Ancient Urkesh): J. Aruz(ed.), Art of the First Cities. The Third Millenium B.C. from the Mediterranean to the Indus, pp.224227, New York/New Haven 2003. – Buccellati, Kelly-Buccellati 2004 G. Buccellati, M. Kelly-Buccellati, Der monumentale Palasthof von Tall Mozan/Urkesh und die stratigraphische Geschichte des …bi: MDOG 136(2004), pp.13-39. – Butterlin 2002 P. Butterlin, Réflexions sur les problèmes de continuité stratigraphique et culturelle à Tepe Gawra: Syria 79(2002), pp.7-49. – Cohen 2005 A.C. Cohen, Death Rituals, Ideology, and The Development Of Early Mesopotamian Kingship, Leiden/Boston 2005. – Collins 2000 P. Collins, The Uruk Phenomenon (BAR, 900), Oxford 2000. – Collon 1999 D. Collon, Depictions of Priests and Priestesses in the Ancient Near East: K. Watanabe (ed.), Priests and Officials in the Ancient Near East, pp.17-46, Heidelberg 1999. – Cooper 1983 J. S. Cooper, Reconstructing History from Ancient Inscriptions:The Lagaš-Umma Border Conflict (SANE 2/1), Malibu 1983. – Cooper 1986 J. S. Cooper, Sumerian and Akkadian Royal Inscriptions, I: Presargonic Inscriptions, New Haven 1986.

29


– Cooper 1990 J.S. Cooper, Mesopotamian Historical Consciousness and the Production of Monumental Art in the Third Millenium B.C.: A. Gunter (ed.), Investigating Artistic Environment in the Ancient Near East, pp. 39-51, Washington 1990. – Dolce 1978 R. Dolce, Gli Intarsi Mesopotamici dell’Epoca Protodinastica, Voll. I-II, Roma 1978. – Dolce 1999 R. Dolce, Political Supremacy and Cultural Supremacy –A Hypothesis of Symmetrical Alternations between Upper Mesopotamia and Northern Syria in Fourth and Third Millenium BC : L. Milano, S. de Martino et alii (eds.), Landscapes, Territories, Frontiers and Horizons in the Ancient Near East: Papers presented to the 44 R.A.I., Venezia, 7-11 July 1997, pp. 103-121, Padova 1999. – Dolce 2006a R. Dolce, Têtes en guerre en Mésopotamie et en Syrie: S. D'Onofrio, A. C. Taylor (eds.), La guerre en tête: Cahiers d’anthropologie sociale 2 (2006), pp. 33-46. – Dolce 2006b i.s. R. Dolce, Beyond Defeat.The Psychological Annihilation of the Vanquished in Pre-Classical Near Eastern Visual Communication: Proceedings of the 52 R.A.I., “Krieg und Frieden im Alten Vorderasien”, Münster 2006, in stampa. – Dolce 2006c R. Dolce, Ebla and Akkad: Clues of an Early Meeting. Another Look at the Artistic Culture of Palace G: F. Baffi et alii (eds.), Ina kibrāt erbetti. Studi di archeologia orientale dedicati a Paolo Matthiae, pp. 173-196, Roma 2006. – Dolce 2007 i.s. R. Dolce, Considerations on the Archaeological Evidence from the Early Dynastic Temple of Inanna at Nippur : J. Cordoba (ed.), Proceedings of the V ICAANE, Madrid 2007, in stampa. – Dolce 2008 R.Dolce, Committenza, circolazione e tesaurizzazione di manufatti preziosi ad Ebla protosiriana: una questione aperta: D. Bredi et alii (a cura di), Scritti in onore di Biancamaria Scarcia Amoretti, pp. 545-576, Roma 2008. – Durand 1987 J.M. Durand(éd.), La Femme dans le Proche-Orient Antique :33 R.A.I., Paris, 7-10 Jullet 1986, Paris 1987. – Englund 2004 R. Englund, Proto-Cuneiform Account-Books and Journals: M. Hudson, C. Wunsch (eds.), Creating Economic Order, pp. 23-46, Bethesda 2004. – Ferioli et alii 1994 P. Ferioli et alii (eds.), Archives before Writing, Roma 1994. – Frangipane 1985 M. Frangipane, Early Development of Metallurgy in the Near East: M. Liverani et alii

30


– – – –

– – – –

– – –

(a cura di), Studi di Paletnologia in onore di S.M. Puglisi, pp.215-228, Roma 1985. Frangipane 1996 M.Frangipane, La nascita dello Stato nel Vicino Oriente, Bari 1996. Frangipane1997 M.Frangipane, A 4th-Millenium Temple/Palace Complex at Arslantepe-Malatya. NorthSouth Relations and the Formation of Early State Societies in the Northern Regions of Greater Mesopotamia: Paléorient 23(1997), pp.45-73. Frangipane 2002 M. Frangipane, ‘Non-Uruk’ Developments and Uruk-Linked Features on the Northern Borders of Greater Mesopotamia: N.Postgate(ed.), Artefacts of Complexity: Tracking the Uruk in the Near East, pp.123-148, Warminster 2002. Frangipane 2007 M. Frangipane et alii (eds.), Cretulae. An Early Centralised Administrative System Before Writing (MAIAN, V), Roma 2007. Glassner 2000a J.J. Glassner, Ecrire à Sumer, Paris 2000. Glassner 2000b J.J. Glassner, Les petits Etats mésopotamiens à la fin du 4è et au cours du 3è millénaire : M.H.L. Hansen (ed.), A Comparative Study of Thirty City-State Cultures, pp.35-53, Copenhagen 2000. Goetze 1970-71 A. Goetze, Early Dynastic Dedication Inscriptions from Nippur: JCS 23(1970-71), pp.39-56. Hauptmann, Pernicka 2004 H. Hauptmann, E. Pernicka(hrsg.), Die Metalleindustrie Mesopotamiens von den Anfängen bis zum 2. Jahrtausend V. Chr., Rahden 2004. Heinrich 1982 E. Heinrich, Die Tempel und Heiligtümer im Alten Mesopotamien, 2 Voll. (DAA, 14), Berlin 1982. Heinz 2007 M. Heinz, Sargon of Akkad: Rebel and Usurper in Kish: M. Heinz, M.H. Feldman(eds.), Representations of Political Power, pp. 67-86, Winona Lake 2007. Hudson 1999 M. Hudson, From Sacred Enclave to Temple to City: M. Hudson, B.A. Levine (eds.), Urbanization and Land Ownership in the Ancient Near East, pp.117-146, Cambridge 1999. Hudson, Wunsch 2004 M. Hudson, C. Wunsch (eds.), Creating Economic Order, Bethesda 2004. Lamberg- Karlovsky 1975 CC. Lamberg- Karlovsky, Third Millenium Modes of Exchange and Modes of Production: CC. Lamberg- Karlovsky, J.A.Sabloff (eds.), Ancient Civilization and Trade, pp.341-368, Albuquerque 1975.

31


– Lebeau 1989 M. Lebeau, Notes sur l’expansion urukéenne : L.De Meyer, E. Haerinck(eds.), Archeologia iranica et orientalis in honorem Louis Vanden Berghe, 2 voll., pp.33-48, Gent/Leuven 1989. – Liverani 1988 M. Liverani, Antico Oriente Storia Società Economia, Bari 1988. – Liverani 1993 M. Liverani (ed.), Akkad.The First World Empire, Padova 1993. – Liverani 1994 M. Liverani, Guerra e diplomazia nell’Antico Oriente, Roma-Bari 1994. – Liverani 1998 M. Liverani, Uruk la prima città, Bari 1998. – Lloyd, Safar 1947 S. Lloyd, F. Safar, Eridu: a Preliminary Report of the First Season’s Excavation: Sumer 3 (1947). – Lloyd, Safar 1948 S. Lloyd, F. Safar, Eridu: a Preliminary Report of the Second Season’s Excavation: Sumer 4 (1948). – Marchetti, Marchesi 2006 N. Marchetti, La Statuaria Regale nella Mesopotamia Protodinastica. Con un’Appendice di Gianni Marchesi, Roma 2006. – Margueron 1982 J. Margueron, Recherches sur les palais mésopotamiens de l’Age du Bronze, Tomes 12, Paris 1982. – Margueron 2004 J.-Cl. Margueron, Mari. Métropole de l’Euphrate au IIIè et au IIè millénaire av. J.-C, Paris 2004. – Matthews 1997 D.M. Matthews, The Early Glyptic of Tell Brak, Göttingen 1997. – Matthews 2003 R. Matthews, The Early Northern Uruk Period : R. Matthews, (ed.), Excavations at Tell Brak, Vol.4: Exploring an Upper Mesopotamian regional centre, 1994-1996, pp. 25-51, Cambridge/London 2003. – Matthiae 1980 P. Matthiae, Some Fragments of Early Syrian Sculpture from Royal Palace G of Tell Mardikh-Ebla: JNES 30 (1980), pp. 249-273. – Matthiae 1986 P. Matthiae, Scoperte di archeologia orientale, Roma/Bari 1986. – Matthiae 1987 P. Matthiae, Les dernières découvertes d’Ebla en 1983-1986: CRAIBL 1987, pp.135161, Paris 1987.

32


– Matthiae 1990 P. Matthiae, Nouvelles fouilles à Ebla en 1987-1989: CRAIBL 1990, pp. 384-431, Paris 1990. – Matthiae 1993 P. Matthiae, L’aire sacrée d’Ishtar à Ebla: résultats de fouilles de 1990-1992: CRAIBL 1993, pp.613-662, Paris 1993. – Matthiae 1995a P.Matthiae, Ebla. Un impero ritrovato, III ed. Torino 1995. – Matthiae 1995b P. Matthiae, Fouilles à Ebla 1993-1994: Les Palais de la Ville Basse Nord: CRAIBL 1995, pp.651-681, Paris 1995. – Matthiae 1998 P. Matthiae, Les fortifications de l’Ebla paléo-syrienne: fouilles à Tell Mardikh 19951997 : CRAIBL 1998, pp.557-588, Paris 1998. – Matthiae 2000a P. Matthiae, La storia dell’arte dell’Oriente Antico. Gli Stati Territoriali, Milano 2000. – Matthiae 2000b P. Matthiae, Nouvelles fouilles à Ebla(1998-1999) : Forts et Palais de l’enceinte urbaine : CRAIBL 2000, pp.567-610, Paris 2000. – Matthiae 2004 P. Matthiae, Le Palais Méridional dans la Ville Basse d’Ebla Paléosyrienne: Fouilles à Tell Mardikh (2002-2003) : CRAIBL 2004, pp.301-346, Paris 2004. – Matthiae 2006 P. Matthiae, Un Grand Temple de l’Epoque des Archives dans l’Ebla Protosyrienne: Fouilles à Tell Mardikh 2004-2005: CRAIBL 2006, pp. 447-493, Paris 2006. – Mazzoni 1991 S. Mazzoni, Ebla e la formazione della cultura urbana in Siria: PdP 46(1991), pp.163-194. – Mazzoni 1992 S. Mazzoni, Le impronte su giara eblaite e siriane nel Bronzo Antico (MSAE, I), Roma 1992. – Mazzoni 1994 S. Mazzoni, Siria:EAA(Enciclopedia dell’Arte Antica Classica e Orientale) V/II Suppl.(1994), pp284-297. – Mazzoni 2003 S. Mazzoni, Ebla: Crafts and Power in an Emergent State of Third Millenium BC Syria: Journal of Mediterranean Archaeology 16 (2003), pp.173-191. – Meier Tettlow 2004 E. Meier Tettlow, Women, Crime, and Punishment in Ancient Law and Society, New York/ London 2004. – Miglus, Strommenger 2002 P. Miglus, E. Strommenger, Tall Bi’a/ Tuttul, VIII: Stadtbefestigungen, Häuser und Tempel, Saarbrücken 2002.

33


– Milano 2003 L. Milano, Sistemi finanziari in Mesopotamia e Siria nel III millennio a.C: L. Milano, N. Parise (a cura di), Il regolamento degli scambi nell’antichità, pp. 3-58, Roma-Bari 2003. – Millard 1988 A.R. Millard, The Bevelled-Rim Bowls: Their Purpose and Significance: Iraq 50 (1988), pp.49-57. – Moorey 1982 P.R.S. Moorey, The Archaeological Evidence for Metallurgy and Related Technologies in Mesopotamia: Iraq 44 (1982), pp.13-38. – Moorey 1994 P.R.S. Moorey, Ancient Mesopotamian Materials and Industries, Oxford 1994. – Moortgat 1969 A. Moortgat, The Art of Ancient Mesopotamia, London 1969. – Nadali 2008 D. Nadali, Monuments of war, War of monuments: Some considerations on commemorating War in the Third Millennium BC: Or. 76 (2007) pp. 336-367. – Nissen 1990 H.J. Nissen, Protostoria del Vicino Oriente, Bari 1990. – Nissen 1993 H.J. Nissen, The Early Uruk Period-A Sketch : M. Frangipane et alii (eds.), Between the Rivers and over the Mountains . Archaeologica Anatolica et Mesopotamica Alba Palmieri Dedicata, pp.123-131, Roma 1993. – Nissen 2001 H.J. Nissen, Cultural and Political Networks in the Ancient Near East during the Fourth and Third Millenia B.C. : M.S. Rothman(ed.), Uruk Mesopotamia and Its Neighbors, pp. 149-179, Santa Fe/Oxford 2001. – Nissen 2002 H.J. Nissen, Uruk: key site of the period and key site of the problem: N. Postgate (ed.), Artefacts of Complexity: Tracking the Uruk in the Near East, pp. 1-16, Warminster 2002. – Oates 2001 D. Oates et alii, Excavations at Tell Brak, Vol.2: Nagar in the third millennium BC, Cambridge/ London 2001. – Oates 1993 J. Oates(ed.), Ancient Trade: New Perspectives: World Archaeology 24(1993). – Oates 2002 J.Oates, Tell Brak: The 4th Millenium Sequence and Its Implications: N. Postgate (ed.), Artefacts of Complexity: Tracking the Uruk in the Near East, pp. 111-121, Warminster 2002. – Oded 1992 B. Oded, War, Peace and Empire. Justifications for War in Assyrian Royal Inscriptions, Wiesbaden 1992.

34


– Parrot 1956 A. Parrot, Le Temple d’Ishtar (MAM, I), Paris 1956. – Parrot 1967 A. Parrot, Les Temples d’Ishtarat ed de Ninni-Zaza(MAM, III), Paris 1967. – Peyronel 2006 L. Peyronel, Il Palazzo e il Mercante: C. Mora, P. Piacentini (a cura di), L’Ufficio e il Documento: Quaderni di Acme 83 (2006), pp.257-280. – Pinnock 1998 F. Pinnock, The Iconography of the Entu-Priestesses in the Period of the Ur III Dynasty: J. Prosecki (ed.), Intellectual Life of the Ancient Near East: 42 R.A.I, pp. 339-346, Prague 1998. – Pittman 1994 H. Pittman, Towards an Understanding of the Role of the Glyptic Imagery in the Administrative Systems of Proto-literate Greater Mesopotamia: P. Ferioli et alii (eds.), Archives before Writing, pp.177-203, Roma 1994. – Postgate 1992 J. N. Postgate, Early Mesopotamia. Society and Economy at the Down of the History, London/New York 1992. – Postgate 2002 J. N. Postgate (ed.), Artefacts of Complexity: Tracking the Uruk in the Near East, Warminster 2002. – Potts 1997 D.T. Potts, Mesopotamian Civilization, London 1997. – Ramazzotti 2002 M. Ramazzotti, La “Rivoluzione Urbana” nella Mesopotamia meridionale Replica versus processo: Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti. Serie IX, Vol. XIII (2002), pp. 641-752. – Rothman 2001 M.S. Rothman (ed.), Uruk Mesopotamia and Its Neighbors, Santa Fe/ Oxford 2001. – Rothman 2002a M.S. Rothman, Tepe Gawra.The Evolution of a Small Prehistoric Center in Northern Iraq, Philadelphia 2002. – Rothman 2002b M.S. Rothman, Tepe Gawra: chronology and socio-economic change in the foothills of Northern Iraq in the era of state formation: N. Postgate (ed.), Artefacts of Complexity: Tracking the Uruk in the Near East, pp. 49-78, Warminster 2002. – Rothman 2003 M.S. Rothman, The Origin of the State in Greater Mesopotamia: BCSMS Bulletin of the Canadian Society for Mesopotamian Studies 38 (2003), pp. 23-37. – Safar et alii 1981 F. Safar, M.A. Mustafa, S. Lloyd, Eridu, Baghdad 1981.

35


– Sallaberger, Westenholz 1999 W. Sallaberger, A. Westenholz, Mesopotamien.Akkade-Zeit und Ur III-Zeit (OBO, 160/3), Göttingen 1999. – Schmandt-Besserat 1985 D. Schmandt-Besserat, Clay Symbols for Data Storage in the VIII Millenium BC: M. Liverani et alii (a cura di), Studi di Paletnologia in onore di S.M. Puglisi, pp.149-153, Roma 1985. – Schmandt-Besserat 1992 D. Schmandt-Besserat, Before Writing From Counting to Cuneiform, 2 Voll., Austin 1992. – Schroer 2006 S. Schroer (ed.), Images and Gender (OBO, 220), Göttingen 2006. – Schwartz 1994 G.M. Schwartz, Before Ebla: Models of Pre-State Political Organization in Syria and Northern Mesopotamia: G. Stein, M.S. Rothman (eds.), Chiefdoms and Early States in the Near East, pp.153-174, Madison 1994. – Schwartz 2000 G.M. Schwartz, Excavation and Survey in the Jabbul Plain, Western Syria: The Umm elMarra Project 1996-1997: AJA 104(2000), pp.419-462. – Schwartz 2001 G.M. Schwartz, Syria and the Uruk Expansion: M.S. Rothman (ed.), Uruk Mesopotamia and Its Neighbors, pp.233-264, Santa Fe/Oxford 2001. – Schwartz 2003 G.M. Schwartz et alii, A Third Millenium B.C. Elite Tomb and Other New Evidence from Tell Umm El-Marra, Syria : AJA 107(2003), pp.325-361. – Schwartz 2007 G.M. Schwartz, Status, Ideology, and Memory in Third-millenium Syria: “Royal” Tombs at Umm el-Marra: N. Laneri(ed.), Performing Death.Social Analyses of Funerary Traditions in the Ancient Near East and Mediterranean, pp.39-68, Chicago 2007. – Silver 1985 M. Silver, Economic Structures of the Ancient Near East, London/ Sidney 1985. – Speiser 1935 E.A. Speiser, Excavations at Tepe Gawra.Vol.I, Philadelphia 1935. – Stein, Rothman 1994 G. Stein, M.S. Rothman(eds.), Chiefdoms and Early States in the Near East, Madison 1994. – Steinkeller 1993 P. Steinkeller, Early Political Development in Mesopotamia and the Origins of the Sargonic Empire: M. Liverani (ed.), Akkad.The First World Empire, pp.107-129, Padova 1993. – Stone 1999 E.C. Stone, The Constraints on State and Urban Form in Ancient Mesopotamia: M. Hudson, B.A. Levine (eds.), Urbanization and Land Ownership in the Ancient Near East, pp.203-227, Cambridge 1999.

36


– Strommenger 1980 E. Strommenger, Habuba Kabira Eine Stadt vor 5000 Jahren, Mainz am Rhein 1980. – Suter 2007 C.E. Suter, Between Human and Divine: High Priestesses and Images from Akkad to the Isin-Larsa Period: J. Cheng, M.H. Feldman(eds.), Ancient Near Eastern Art in Context Studies in Honor of Irene J. Winter by Her Students, pp.317-361, Leiden/Boston 2007. – Thuesen 2000 I. Thuesen, The City-State in Ancient Western Syria: M.H.L. Hansen (ed.), A Comparative Study of Thirty City-State Cultures, pp. 55-65, Copenhagen 2000. – Tobler 1950 A. Tobler, Excavations at Tepe Gawra.Vol.II, Philadelphia 1950. – Vallet 1998 R.Vallet, L’Urbanisme colonial urukien, l’exemple de Djebel Aruda: Subartu 4(1998), pp.53-87. – Van De Mieroop 2000 M. Van De Mieroop, Sargon of Agade and His Successors in Anatolia: SMEA 42(2000), pp.133-159. – Van De Mieroop 2005 M. Van De Mieroop, A History of Ancient Near East, ca.3000-323 BC, iii ed. Oxford 2005. – Van den Brink, Levy 2002 E.C.M. Van den Brink, Th.E. Levy, Egypt and the Levant, London/New York 2002. – Werner 1994 P. Werner, Die Entwicklung der Sakralarchitektur in Nordsyrien und Südostkleinasien, München/Wien 1994. – Westenholz 2002 A. Westenholz, The Sumerian City-State: M.H.L.Hansen (ed.), A Comparative Study of Six City-State Cultures, pp.23-42, Copenhagen 2002. – Woolley 1934 C.L. Woolley, Ur Excavations II: The Royal Cemetery, London 1934. – Wright 2001 H.T.Wright, Cultural Action in the Uruk World: M.S. Rothman(ed.), Uruk Mesopotamia and Its Neighbors, pp.123-147, Santa Fe/Oxford 2001.

37



Biancamaria Scarcia Amoretti*

Nostalgia, ricordo, orientalismi. Intorno ad Alessandria

Il titolo del nostro incontro ci invita a pensare la città come ‘crocevia di incontri’.1 Un crocevia d’incontri non può che suscitare suggestioni diverse, anche eccentriche come quelle che propongo alla vostra attenzione. Esse riguardano la città di Alessandria2 e il suo particolare destino nel panorama culturale del XX secolo: quello di suscitare ricordi. I racconti del ricordo, che sono spesso indicati come ‘literary of nostalgia’, si configurano formalmente come varianti molto simili tra loro del mito sull’Oriente,3 ma, a uno sguardo più ravvicinato, essi mettono in evidenza la non sempre giustificata denuncia del ‘luogo comune’, quale inconfutabile spia del pregiudizio e altrettanto scontata componente del paradigma Docente di Islamistica, Università La Sapienza di Roma. Che il mondo musulmano sia caratterizzato in senso urbano è cosa nota, nonostante la maggioranza delle popolazioni nella cosiddetta dâr al-islâm sia contadina, . . e l’Egitto ne sia caso paradigmatico. Tuttavia, se dobbiamo guardare a un esempio importante, quello di Tâhâ Husayn (1889-1973), la campagna suscita ricordi negativi, non è luogo del ritorno e tanto meno della nostalgia. Mi riferisco, ovviamente, alla sua biografia (Mudhakkirât), trad. it. di U. Rizzitano: la parte relativa alla sua infanzia in un borgo del Medio Egitto, I giorni, Istituto per l’Oriente, Roma 1965; quella relativa alla permanenza al Cairo, prima della partenza per Parigi, Memorie, a cura di A. Pellitteri, Liceo Ginnasio “Gian Giacomo Adria”, Mazara del Vallo 1985. La città è preferibile anche quando ci si vive in ristrettezze e con difficoltà. Non stupiscono, quindi, né lo scalpore suscitato nel mondo arabo dal film del regista di cui ci occuperemo, Yûsif Shâhin, al-ArØ, ‘La terra’, (1968) sui contadini egiziani, né, in generale, la scelta della campagna come soggetto narrativo da parte degli autori arabi impegnati. Tuttavia, è indubbio che la mole di opere letterarie arabe contemporanee dedicate a una città sia tale che, in assenza di un vero e proprio repertorio, risulta impossibile tracciarne un profilo tipologico. Un’osservazione a margine: in funzione della scelta di un tema per questo incontro, alla ricerca di spunti sulle città arabe medievali, che non fosse il materiale ben noto reperibile nei testi di faØâ’il, ho riletto l’autobiografia (Kitâb al-I‘tibâr, nell’ed. di H. Derenbourg, Paris 1889) di Usâma ibn Munqidh (1095-1188), che tra l’altro trascorre dieci anni della sua vita in Egitto. Il risultato non è stato soddisfacente. L’autobiografia del nostro autore medievale, in cui, sia pure da grande principe ‘feudatario’, la campagna è il suo luogo d’elezione, appare come l’eccezione che conferma la regola. 2 La bibliografia sulla città è infinita. Qualche titolo esemplificativo: M. Haag, Alexandria. City of Memory, Yale University Press 2004; Alexandria in Egypt, “Mediterraneans, Méditerranéennes”, nn. 8-9, a cura di K: Brown, H. Davis-Taïb, Maison de l’Homme, Paris 1996 (CONT, R); R. Ilbert, Alexandrie. 1830-1930. Histoire d’une communauté citadine, 2 voll., Institut Français d’Archéologie du Caire, IFAO 2007. 3 Cfr. E. Keeley, Cavafy’s Alexandria: Study of a Myth in Progress, Harvard University Press, Cambridge (Mass.) 1976. * 1

39


dell’‘esotismo’.4 Se tale denuncia risultasse plausibile, ne conseguirebbe la necessità di rivedere l’idea di ‘orientalismo’, inteso nell’accezione negativa attribuitagli da Edward Said (Orientalism, 1978). Nel tempo concessomi, mi limiterò ad esemplificare qualche aspetto del problema attraverso alcuni esempi che a me paiono significativi. Parto dalla citazione di alcuni passaggi di un’analisi che, non solo condivido, ma che sta a monte del mio discorso, e dove Said funziona ovviamente da spartiacque, soprattutto quando è in causa il prodotto letterario e, per estensione, quello artistico:5 Said parla dell'Oriente come di una invenzione europea, una proiezione egemonica e imperialista, e di strategie di rappresentazioni che sono servite all'Occidente per stabilire la propria identità in rapporto a culture diverse, ma sempre mantenendo una 'superiorità posizionale'. Nella sua analisi i testi artistici sono assunti come luoghi di negoziazione dell'autorità e del potere, come documenti di dinamiche e di discorsi storici, ma la loro lettura tende ad essere viziata da un atteggiamento ideologico, dove per ideologia si intende un discorso ellittico e reticente, che esclude alcuni elementi per metterne in luce solo altri. Perché l'idea dell'Oriente dovrebbe essere più costruita di quella di un'Italia, terra di crudeltà e di intrighi politici per l'Europa rinascimentale, o di qualsiasi altro paese? … Nel confronto di civiltà, la differenza dipende dal punto di vista e l'altro è reso riconoscibile attraverso l'attribuzione di luoghi comuni. Per questo il falso è interessante: perché tende al riconoscimento e quindi si basa su ingredienti basilari e semplificati. Purché non siano in contraddizione. In causa è, dunque, il senso dello stereotipo, vero o falso che sia, inteso come un insieme di informazioni considerate obbligate a individuare l’oggetto di cui si parla.6 In merito al test esplorativo che vi presento ho fatto una scelta drastica e probabilmente contestabile, ma, dal mio punto di vista, è fondamentale che i 'miei' autori si dichiarino tutti ‘alessandrini’, a prescindere dalle loro specifiche biografie; siano cristiani (magari non della medesima chiesa e, forse, nemmeno praticanti), ma appartenenti a quella composita minoranza che ha inciso non poco sulla fisionomia della città; abbiano, infine, in comune il fatto di essere nati subito dopo la fine dell'Impero ottomano. Ciò significa che, almeno nella loro infanzia, hanno vissuto la transizione da un prima, segnato da un clima imperiale, sia pure nella particolare ricezione che 4 Cfr. P. Amalfitano, Introduzione, al vol. I (pp. XXVIII-XXIX), in L'Oriente. Storia di una figura nelle arti occidentali (1700-2000), vol. I. Dal Settecento al Novecento, vol. II. Il Novecento, a cura di P. Amalfitano e L. Innocenti, I libri dell'Associazione Sigismondo Malatesta, Bulzoni, Roma 2007. 5 L. Innocenti, Falsi orientali (vol. I, pp. 15-29, qui, 19-20), in L'Oriente. Storia di una figura nelle arti, cit. Da notare che, nei due volumi, frutto di ricerche di alcuni anni di un gruppo di studiosi a livello internazionale, la più puntuale critica a Said non viene prevalentemente, come ci si poteva aspettare, da chi si occupa di mondo islamico, ma da cultori di culture extraeuropee, soprattutto asiatiche, come Cina e Giappone, e/o di fenomeni artistici apparentemente lontani da quelli che sono stati privilegiati da Said, per esempio la musica e ancor più la danza. 6 Definizione mutuata solo in parte da D. Marconi, voce ‘Stereotipo’, in Dizionario di linguistica e di filologia, metrica e retorica a cura di G.L. Beccaria, Torino, Einaudi 1994.

40


ne fa l’Egitto a partire da Muhammad ‘Alî, e un poi, in cui prende avvio l'inesorabile occidentalizzazione di massa che nulla ha da spartire con l’aristocratico spirito cosmopolita, intriso di cultura europea, nella doppia versione inglese e francese, che contraddistingue l’élite alessandrina nell’epoca d’oro della città.7 La scelta del regista era pressoché obbligata: Yûsif Shâhin (n. 1926) non è solo il più famoso regista arabo, ma è anche colui che dedica ad Alessandria ben quattro films. Mi soffermerò soltanto su due di essi - Alexandrie... pourquoi (1978) e Alexandrie encore et toujours (1990).8 Quella sugli autori è stata più sofferta.9 In conclusione, mi sono soffermata su uno scrittore noto anche in Italia, Edwar Kharr⥠(n. 1926) con i suoi due romanzi: Alessandria, terra di zafferano (Turâbuhâ za‘farân) e Le ragazze di Alessandria (Banât Iskandariyya), rispettivamente del 1986 e del 1990.10 Il secondo è ignoto al gran pubblico, nonostante alcuni suoi lavori siano usciti in Francia:11 si tratta di Christian Ayoub Sinano (1927-1989), di 7 Sul piano storico, Alessandria ha il suo momento di splendore per circa cento cinquant’anni, dai primi dell’800 fino alla seconda guerra mondiale. Non ho bisogno di ricordare in questa sede che le fortune economiche della città nascono con Muhammad ‘Alî, cui si deve la costruzione del canale Mahmûdiyya (1817-1820), e la sua apertura verso l’Europa, su cui i giudizi non sono certo concordi (cfr. B. Scarcia Amoretti, Sur l’identité égyptienne au XIXe siècle: quelques remarques, in Traces de l’autre, in J. Boulad-Ayoub, G.M. Cazzaniga, ETS-Vrin, PisaParis 2004, pp.67-82). E’ a fine ‘800, poi, che inizia quella diaspora verso l’Egitto di personaggi di grande spessore politico e culturale dalla regione siro-palestinese (cfr. A. Pellitteri, ‘Abd al-Rahmân al-Kawâkibî (1853-1903). Nuovi materiali bio-bibliografici, Quaderni di “Oriente Moderno”, n.s., XV (1996); Id., Islam e riforma. L'ambito arabo-ottomano e l'opera di Rafîq Bey al-‘Azm intellettuale damasceno riformatore (1865-1925), Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Palermo 1988), il cui incontro con l’intellettualità egiziana crea le premesse per l’affermazione del nazionalismo arabo, che esploderà nei primi decenni del XX secolo. Si pensi che lo stesso George Antonius studia nel prestigioso Victoria College, aperto nel 1902. Tra i siro-libanesi, infatti, non indifferente è la presenza di cristiani. La cosa rafforza, tra l’altro, il peso della comunità copta locale e favorisce l’integrazione nelle élite locali di quella greca, diventata numericamente più consistente dopo il 1821, quando, con la guerra di liberazione nazionale, si darà una serie di trasferimenti, per esempio da Smirne verso Alessandria (cfr. Le miroir égyptien. “Atti” delle “Rencontres Méditerranéennes de Provence, edd. R. Ilbert, Ph. Joutard, Les amis des Archives de la Ville de Marseille, Editions du Quai-Jeanne Lafitte, Marseille 1984, chap. II, pp. 55-97). 8 Gli altri due sono La Mémoire (1982 ) e Alexandrie-New York (2004 ), che esulano, almeno in parte, dalla problematica qui affrontata. Sul regista e la sua opera si è fatto riferimento, in particolare a due interviste ai “Cahiers du Cinéma”, realizzate da Th Jousse, rispettivamente il 18-19 aprile 1996 al Cairo (“Cahiers” n. 506, ottobre 1996) e il 27 giugno 1997 a Parigi (“Cahiers”, n. 518, ottobre 1997); si sono anche ‘visitati’ gli archivi di “Le Monde” (21/6/1990; 22/5/2004; 23/2/1997; ecc.). Senza l’aiuto di Carlo Buttarelli, che qui ringrazio, non avrei avuto a disposizione la bibliografia che ho consultato e le copie dei films. Gli devo anche molto per avermi messo a parte della sua lettura dell’opera di Shâhin. 9 Infatti, la tentazione di includere nella mia mini-rassegna anche Miramar (1967) (trad. it. e intr. di I. Camera d’Afflitto, Edizioni lavoroi, Roma 1989) l'unica opera del cairota Najîb Mahfûz (n. 1910, Nobel nel 1988) che ha come sfondo Alessandria, c'è stata. Sennonché, per quanto la sua "piovigginosa Alessandria invernale" abbia un indubbio fascino, egli non lavora sul ricordo e, soprattutto, la sua narrazione vuole essere rappresentazione attendibile della realtà egiziana: narrazione che acquista una particolare pregnanza, visto che siamo negli anni Sessanta, alla vigilia della sconfitta del 1967 10 Le traduzioni, entrambe di L. Capezzone per la casa editrice Jouvence, sono rispettivamente del 1994 e del 1993. 11 Dello stesso autore: Artagal, un romanzo edito nel 1958 da Buchet-Chaste/Corréa; Pola de Péra suivi de Proses pour Pola, novelle edite nel 1964 da Julliard. Desidero esprimere la mia gratitudine a don Pierre Riches che non solo mi ha permesso di vedere questi testi, altrimenti introvabili, e di utilizzare la sua nutrita collezione di opere dedicate a Alessandria, ma mi ha anche, fatto dono di alcune sue pertinenti osservazioni sull’autore, suo amico, e sul mondo che Sinano descrive e che don Riches ha conosciuto e condiviso.

41


cui ho preso in esame una raccolta di novelle, Piera de Pola.12 Il primo scrive in arabo, l'altro in francese. Ho visionato i films di Shâhin nella versione araba, sottotitolata in francese. Ora, non a caso, la biografia di due degli autori su cui ho lavorato - Shâhin e Sinano - risponde al cliché del ‘levantino’: poliglotta, élitario, di sangue misto, educato all’estero, legato alla sua comunità religiosa che fa da barriera a un vero meticciato, nonostante alcune sporadiche ma clamorose conversioni.13 Naturalmente, è una tipologia che si riscontra anche a Pera, o a Smirne e persino a Gerusalemme.14 Tuttavia, solo ad Alessandria essa determina strutturalmente il carattere della città nel periodo di cui parlano le loro opere. Il terzo - Kharr⥠- ha una vita più lineare, vale a dire meno eccentrica rispetto a quella, per esempio, di un egiziano del Cairo, della sua generazione. Sinano condivide con Shâhin anche una sorta d’esilio, volontario e intermittente, negli anni ’50-’60: esilio che diventa per lui definitivo dal 1968, quando si stabilisce in Canada, a Montréal, mentre Shâhin rientrerà in Egitto, e oggi vive al Cairo. Kharrâ¥, invece, sembra avere un rapporto più continuativo con la sua città, il che non implica, sempre e comunque, assenza di conflittualità. Resta che, almeno dal mio punto di vista, le loro opere sono specchio e chiave di lettura insostituibili dell’Alessandria che qui ci interessa.15 Sono tutti e tre accomunati dal fatto di essere, sia pure in modo diverso, autobiografici. Kharr⥠parla spesso, non sempre, in prima persona in entrambi i romanzi: un bambino e poi un adolescente, raccontandoci, le sue piccole, grandi esperienze, ci conduce per una città (Alessandria, città di zafferano) che è plurale, come lo è il suo quartiere multietnico e pluriconfessionale, ma non promiscua, neanche sul piano culturale. Infatti, la sua casuale scoperta delle Mille e una notte è simile a quella che fu la mia, con tutto il peso del fascino del ‘diverso’: I geni delle bottiglie mi terrorizzavano… Provavo pietà per i giovani tramutati in cane… Appresi il segreto degli eunuchi… Imparai le pratiche della magia… Conobbi … la vita fastosa delle cortigiane e delle suonatrici di liuto; imparai che si muore d’amore e 12 Il volume è uscito postumo. Piera de Pola. Nouvelles, Préface de J. Boulad-Ayoub et M. Philip, Editions de l'Agly, Saint-Paul-de-Fenouillet 1999. Una consistente prefazione a due voci, J. Boulad-Ayoub e M. Philip, dà conto sia della biografia dell’autore sia di come questa raccolta vada collocata nell’insieme della sua produzione letteraria. 13 Due, dall’ebraismo, sono particolarmente interessanti: quella del famoso iranista, Jean de Menasce, rampollo di una nobile famiglia imparentata con mezza Europa, che si fa frate domenicano così come Gaston Zananiri, che nella sua autobiografia, Entre mer et désert. Mémoires, Istituto Storico Domenicano-Editions du CERF, Roma-Paris 1996, afferma con assoluta convinzione “je suis un alexandrin”, in quanto – non sebbene - figlio di un pascià ottomano e di un’ebrea italo-.magiara e nipote di un egiziano greco-cattolico e di una armena di Costantinopoli. 14 Con tono ironico, ma con molta pertinenza ce lo dice ancora Ch. Ayoub Sinano nella voce Levant, in Dictionaire du snobisme, ed. Ph. Jullian, Plon, Paris 1958, pp. 108-110. 15 cfr. Alexandrie 1860-1960. The Brief Life of a Cosmopolitan community, edd. R. Ilbert, I. Yannakakis, J. Hassoun, (ed. fr. Autrement, Paris 1992) ed. ingl. Harpocrates Publishig, Alexandria 1997; qui in particolare, cfr. E. Errera, The dream of Alexandria and the literary myth, pp. 128-143 in cui viene data anche una breve lista degli autori che ad Alessandria hanno fatto riferimento, tra cui gli italiani, Marinetti, Ungaretti, Cialente, per avervi vissuto almeno per un certo periodo.

42


dell’astuzia altrui.. (p. 59). E’ lo stesso atteggiamento quando, a scuola, per l’ora di religione, gli studenti musulmani di tutte le classi si spostavano nella sala dei professori… Io li sentivo, dalla finestra, leggere tutti insieme il Corano, attenti a non perdere mai il ritmo della salmodia. Io provavo invidia e avrei voluto essere lì con loro, piuttosto che alla lezione di Girgis Effendi, il maestro di inglese (p. 55). Sinano usa un raffinato artifizio letterario. Crea un doppio di Alessandria, una città che chiama Cesarea, dove egli parla solo all’inizio in prima persona, quando presenta il personaggio, un’etera che ha percorso il Mediterraneo, cui affida il compito di simbolizzare il mondo di cui ha fatto parte: un mondo in cui è centrale l’idea di decadenza, simile a un palcoscenico su cui si succedono attori dai nomi pittoreschi che mettono in scena una società frivola, cosmopolita, ligia ai rituali, dove il riscatto sta nello sguardo di chi è capace - e degno - di cogliere le tragedie che essi, realmente, vivono. E prende senso l’osservazione che la sua Cesarea sia la Césarèe secrète que chaque oriental porte en son coeur d’exilé, faite de grandeur et de regrets, mêlant désirs et souvenirs… (p. 19). Per Shâhin, tutti e quattro i films sono autobiografici, ma certamente un po’ di più, nella mia prospettiva i due presi in esame, e soprattutto Alexandrie pourquoi, che ci mostra l’Alessandria della fine degli anni ’30 e della seconda guerra mondiale: una società composita, in cui si affiancano nazionalisti (di destra e di sinistra, per dirla in termini nostri), in cui è possibile che un’ebrea e un musulmano si amino, in cui non sembra scandaloso parlare di omosessualità e, dove, tuttavia, ognuno sembra chiuso in un qualche ghetto di cui si è persa, onon si è mai posseduta, la chiave. E allora viene spontaneo chiedere conto ai nostri autori del senso che danno alla storia del luogo che appare così determinante nelle loro storie personali. Due dei nostri autori ci danno una risposta diretta. Entrambi lo fanno usando modalità di retorica che conosciamo bene. Shâhin, con un’ironia travolgente, in Alexandrie, encore et toujours, riduce a spettacolo nello spettacolo, il mito di Alessandro e la figura di Cleopatra, pur annotando a margine il ruolo civilizzatore di Alessandria, sede, tra l’altro, di grandi conflitti religiosi, ed erede di un passato eccezionale. Sinano è più amaro, perché più entusiasticamente convinto del valore della sua città. Chaque pays possède une Césarée au moins. Je veux parler des vrais pays et non pas de ces contrées barbares, dont je parle la langue puisqu’elles m’ont vaincu (p. 49). Se così è, si giustifica il tono con cui l’autore annuncia la fine di Cesarea/Alessandria: La roue qui tourne nous a écrasés. La rivale millénaire d’Athénes, de Rome et de Byzance…. N’est plus qu’une agglomération sans âme ni visage… Jadis, c’était une belle et puissante cité dont les colonnes éparses nous disent la splendeur; naguère encore, c’était une grande ville… (p. 111). Non si tratta di uno sfogo campanilistico. Alessandria è, per lui, l’immagine del Vicino Oriente: Où est le tombeau d’Alexandre, où les jardins suspendus, où le temple de Jérusalem, où les armées de Sésostris? Les colosses comme les camées sont reduits en poussière, 43


les portiques et les lauriers ne sont plus que cendres. Les palais et les sanctuaires sont vides de vie et de fidéles. Les dieux meurent aussi vite que les rois…. Les voix se sont tues… Il nous reste la télévision… (p. 111). Sarebbe consequenziale chiederci a questo punto l’ideologia che sottende simili visioni storiche. L’Alessandria di Shâhin è teatro di conflitti sociali. Lo indica lo sciopero dei portuali in Alexandrie... pourquoi e quello del mondo dello spettacolo in Alexandrie encore et toujours. Tuttavia, ci si deve rivolgere ad altri suoi films se vogliamo misurare il suo anticolonialismo (Jâmila al-Jazâ’iriyya, 1958), tentare di capire il suo rapporto con il naserismo (al-Nâ¡ir Ÿalâ| ed-dîn, 1956) o cogliere una sua idea di ‘islam’ (al-Ma¡îr, 1997). Ancor più problematico scandagliare la posizione di Sinano. La sua scrittura, così come la materia della sua narrazione, eludono programmaticamente la dimensione politica che andrebbe verificata altrove.16 Kharrât contestualizza, di tanto in tanto, un momento, un’atmosfera con un preciso riferimento a un personaggio, a una data, a un evento, in relazione al protagonista: un’amicizia che si interrompe - Gli eventi ci separarono …; lui partì, rimase a Londra per molto tempo, ebbe un infarto; malediva l’Egitto, prima perché aveva accolto Nasser, poi perché l’aveva rinnegato (Le ragazze di Alessandria, p. 110); un ricordo di gioventù - Chissà dove è finito l’entusiasmo del circolo rivoluzionario, nell’Alessandria del 1942. Dopo l’orario di lavoro, andavamo nell’ufficio di Antoine, in via Sizoustris; veniva ad aprirci Salih, il giovane fattorino nubiano che capiva sempre al volo la situazione e non apriva mai bocca. Ci mettevamo a stampare al ciclostile i nostri documenti, in cui prevedevamo la caduta delle classi sociali e del capitalismo e che diffondevamo fra gli operai tessili di Kurmùz (ibidem, p. 120): spunti insufficienti per permetterci di enucleare una lettura complessiva della storia della città. Comunque, o infatti, non è nella politica che si esprime il ruolo primario di Alessandria. Paradossalmente non è neppure la sua ubicazione, da cui pure tutto sembra nascere, a dimostrarsi fondamentale, nonostante l’enfasi sul suo essere ‘porto’, ‘città di mare’. E’ vero che i films di Shâhin si aprono con l’immagine di onde che si rifrangono sulla riva e che Alexandrie... pourquoi si conclude con quella del battello che lo porterà negli Stati Uniti, a studiare drammaturgia. La spiaggia è anonima. La partenza come scena finale di un film non è certo atipica. D’altronde, in molte sue interviste, non è il mare che il regista evoca, quando commenta la presenza dell’acqua nei suoi films, bensì il Nilo. Come dire che il mare, simbolo dell’arrivo e della partenza, è un topos. Lo è anche per Sinano, in forma estremizzata. Il mare è l’unica via concepibile, non perché reale ma perché si presta a diventare metafora: il mare = bara, sepolcro ideale. La sua eroina un soir de grisaille et de dénuement, ira vers la mer; elle se jet16 Nella sua corrispondenza che mi si dice ancora inedita, nelle eventuali memorie dei suoi amici e coetanei. D’altronde, ll quadro del panorama intellettuale egiziano - musulmani e cristiani, nazionalisti, liberali e marxisti, fuori e dentro il paese - composito e complesso, almeno fino alla tragedia della Guerra dei sei giorni (1967), ci è tuttora noto solo per frammenti.

44


tera dans l’onde glauque d’où personne ne la retirera. Elle ira rejoindre au fond de l’eau les antiques caravelles et les générations d’ancêtres et de filles éplorées. La mer, comme une paire de paranthèses, à chaque bout de la vie (p. 29). Kharrâ¥, anche in questo caso, segue un percorso diverso. Il mare è presente in maniera più costante. Non è il mare della città - di cui eventualmente è il lungomare a essere interessante - quanto quello dei dintorni, della vacanza. Sono luoghi ben definiti, (Mandara, Ramla, per esempio, in Alessandria, città di zafferano, pp. 33, 77, ecc.), nella cui descrizione l’autore sembra voler mettere in evidenza il fatto che sono parte concreta del suo mondo. Tuttavia, il suo ricordo li accomuna e li intreccia con un tema che è ‘figura’ ricorrente dell’esotismo: la scoperta dell’amore, meglio del corpo, della sessualità, in chiave di mistero, di eccesso, di trasgressione. Il paesaggio marino è da un lato cornice coerente, dall’altro rimando contrastivo alla stanza o alla strada che Kharr⥠usa anche quale scenario di tale scoperta. Nel brano che ho scelto (Alessandria, città di zafferano, p. 46), il protagonista non è ben sicuro che si tratti della ‘vera’ donna che lo fa sognare; l’importante è che l’immagine che egli si costruisce sia tale da impedirgli di distogliere lo sguardo da lei, stregato e annientato….sapendo che l’avrebbe amata, fino alla fine dei suoi giorni, di un amore affine alla morte e che il suo cuore sarebbe stato una conca in cui il suo mare potesse raccogliersi: un mare profondo e tempestoso, carico di onde spinte da un moto inesauribile. L’oggetto del desiderio di Kharr⥠è il corpo femminile, in carne, sinuoso, sfuggente, velato anche quando è in mostra: un corpo da odalisca, sarei tentata di dire.17 In Sinano, è piuttosto in gioco la trasgressione, quale cifra di ogni rapporto amoroso, anche se, meglio soprattutto se, ‘normale’. Shâhin accarezza molto di più il corpo maschile, almeno così pare a me, e non solo nell’episodio di omosessualità di Alexandrie... pourquoi, in cui egli ricorre allo stereotipo dello straniero adolescente e femmineo che, come da copione, muore nella tragedia della guerra.

Vorrei tirare i fili del mio discorso, senza avere la presunzione di proporre una conclusione. Non c’è dubbio che i nostri autori abbiano utilizzato un materiale fortemente strutturato sul ‘luogo comune’. E’ altrettanto certo che questo materiale ha suggerito loro il linguaggio non solo per dire il proprio vissuto personale, ma anche per dare conto di una realtà storica tramontata, apparentemente senza lasciare tracce, in termini che sembrano rispondere al canone dell’esotismo, se ci si ferma alla superficie della loro rivisitazione. Come dire che sono presenti tutti gli ingredienti dell’orientalismo letterario e artistico denunciati da Said, compresa ‘la superiorità posizionale’. Infatti, sebbene in misura diversa, ora più ora meno esplicitamente 17 D’altronde, è lo stesso Kharra¥ a segnalare come si delinei la relazione tra il mare, nella fattispecie il Mediterraneo, l’oggetto d’amore femminile, accompagnata da un, sia pure intermittente, senso di morte: cfr. Edourad Kharrat, “Il mio Mediterraneo”, in E. Kharra¥, M. Afifi, Rappresentare il Mediterraneo. Lo sguardo egiziano, Mesogea, Messina 2003, pp. 17-43.

45


denunciata, emerge il senso di una perdita - meno evidente in Kharr⥠– che non è stata colmata in maniera adeguata. Per quanto riguarda Sinano, si potrebbe invocare la ‘nostalgia’, lente attraverso cui l’emigrante ricorda la realtà che ha lasciato e vede la realtà che vive, mistificandole entrambe.18 Non ci sembra persuasivo né in senso generale né nel caso specifico. Da un lato, nessuno dei tre autori pretende di rappresentare l’autentico, il ‘vero’ reale. Shâhin lo afferma a chiare lettere, quando, in un’intervista, dice che Alessandria per lui è un’idea, un sentimento che gli vive dentro, una cosa viva. L’ha filmata molto come un ‘narrative present’. Il passato nel dettaglio, la memoria in sé non lo interessa, così come non fa di Alessandria un oggetto di folclore.19 Dall’altro lato, forse neppure per Sinano, il futuro è solo morte, scomparsa di sé. Shâhin vuole agire contro la crescente xenofobia e, nello stesso tempo, interrogare e interrogarsi sulla crisi che ha determinato la fine del mondo che rievoca. Lo fa anche Kharrâ¥: Sulla linea di contatto tra la sabbia e l’onda, la schiuma disegnava un tracciato che impallidiva, quando l’onda si ritirava, e si ravvivava al suo ritorno. Pensavo: ‘Questa è l’eternità, stabile di fronte alla nostra finitudine, alla nostra sparizione. A che serve restare, senza pietà e senza lacrime, sulle rovine dei nostri fasti? C’è forse un’altra possibilità, che non sia una promessa di vestigia diroccate? (Alessandria, città di zafferano, p. 96). Credo che di questo orizzonte ideale, fatto di delusione ma non di resa, partecipino anche gli altri due autori, ognuno con il suo codice espressivo, più immediato quello di Shâhin, più amaro e, soprattutto, elusivo quello di Sinano. Tutti, comunque, vogliono essere ‘visti’, e, coerentemente, si rendono riconoscibili attraverso l’attribuzione di luoghi comuni, come recita il brano da cui sono partita. Shâhin, in un certo senso, può essere più estremo proprio perché il suo strumento espressivo corre un rischio minore di essere mistificato. Se così è, bisogna, io credo, osare una lettura alternativa delle loro opere che rovesci i termini della questione, mettendo programmaticamente in discussione la funzione dello stereotipo e della categoria ‘esotismo’, attraverso l’uso fattone da chi siamo abituati, per convenzione, a considerare oggetto dell’uno e dell’altro. Nel passaggio da oggetto a soggetto che si fa ‘io narrante’ della propria storia, qualche cosa deve pur accadere. Questo qualche cosa obiettivamente, scardina il significato di ‘orientalismo’ come suo plausibile contenitore. E, allora, non potrebbe farci, anche, rileggere con occhi più attenti, il prodotto artistico fuori dagli schemi occidente/oriente, noi/loro, e rivelarci, là dove non ce lo aspettiamo, un mezzo efficace per quel riconoscimento reciproco su cui costruire il futuro? D’altronde, perché non dare retta a Shâhin, che, vantando la sua ‘identità’ di alessandrino, nell’intervista citata a Th. Jousse, in riferimento a La mémoire, uno dei due films su Alessandria che non ho preso in esame, dichiara “l’autre c’est moi”? cfr. Sv. Boym, The Future of Nostalgia, Basic Books, New York 2001. D’altronde, ll quadro del panorama intellettuale egiziano - musulmani e cristiani, nazionalisti, liberali e marxisti, fuori e dentro il paese - composito e complesso, almeno fino alla tragedia della Guerra dei sei giorni (1967), ci è tuttora noto solo per frammenti. 19 cfr. J.-Ch. Depaule, From Cavafy to Shahine, in Alexandria 1860-1960, cit., pp. 174-175. 18

46


Muhammad Hassan*

Regards croisés Orient-Occident sur la ville de Mahdia

Les voyageurs avaient joué un rôle majeur dans la description de l’autre différent, et par là même à apprendre à le connaître, loin des préjugés et des sentiments de haine ou d’amour véhiculés par la masse. Ils avaient pour tâche véritable d’entretenir un véritable dialogue entre les différentes civilisations, et par là même un rapprochement entre les peuples, aussi éloignés soient-ils. Les villes méditerranéennes étaient certainement favorisées, car elles étaient visitées aussi bien par mer, que par voies terrestres. Mahdia par exemple a été décrite par les voyageurs de différentes vocations: géographes, aventuriers, guerriers etc. Ce qui rend compte de la différence de vision et de son évolution en fonction de la conjoncture historique. On essaye de focaliser cet exposé sur ces deux aspects: la ville vue par les voyageurs étrangers, face à une autre vision intrinsèque. I. L’image de la ville d’après les voyageurs arabes (IV-VIème s./ X-XII)

1) Ibn Hawqal (mort en 367 /977), le voyageur ethnologue et le géographe Le premier voyageur qui a visité la ville de Mahdia est Ibn Hawqal. Alors que son maître al Istakhri consacrait deux lignes à la ville,en spécifiant que cette petite ville littorale est créee par Ubayd allah, Ibn Hawqal est le premier à décrire plus amplement la capitale des fatimides qui régnait sur un empire étendu1. Seulement, on se demande si ce texte serait un exemple de la partialité de l’auteur, puisqu’il prenait position contre la révolte d’Abu Yazid, et ne cessait de défendre les fatimides, sachant que certains chercheurs l’ont considéré comme Professeur de l’Hisoire, Faculté des Sciences Humaines et Sociales de Tunis Istakhri, Msalik al Mamalik, Leiden 1927, p 38. En rencontrant Ibn Hawqal à Bagdad en 340 /951, al Istakhri lui proposa de réviser son ouvrage Masalik al mamalik. * 1

47


étant un propagandiste de la foi, voire même un espion qui a rassemblé des données concernant les Omeyyades de Cordoue au profit des fatimides, et non un simple voyageur2. A vrai dire, ce point de vue devrait être ajusté, car rien ne prouve que les fatimides, qui ont mis en place un système précis d’information,ont eu recours aux services d’Ibn Hawqal, qui a précisé dans son introduction les motifs véritables de son périple; dans un contexte de crises et d’insécurité totale, il a préféré quitter son pays afin de pratiquer le négoce. Il a certes affiché une tendance idéologique dans son récit, mais il demeure non moins d’une importance capitale, car le voyageur a réussi à décrire à la manière des ethnologues, les différents détails concernant les monuments de la ville, les luttes d’ordre socio-économiques et idéologiques. En effet, son récit s’apparente tantôt à celui d’un géographe, tantôt à celui d’un voyageur avisé, puisque ses données sont épuisées à la fois de ses observations personnelles, de ses sources orales et de celles des géographes qui l’ont précédés, tels que Ibn Khurradadhbah (mort en 300/923), Qudamat Ibn Ja‘afar, Istakhri et Jihani.Toutefois, la matière puisée des antécédents concernant le Maghreb en général et Mahdia en particulier, est presque infime. En essayant de soumettre ses observations à une structure scientifique, et de s’éloigner de l’étrange et du merveilleux, il a réussi à réconcilier le récit littéraire du voyageur avec le style sobre du géographe, malgré une certaine prédominance du 2ème aspect. Ce qui nous laisse perplexe sur l’itinéraire qu’il a emprunté dans son voyage. Comme il a divisé le Maghreb en trois aires, la ville de Mahdia s’insère dans la deuxième qui s’étend de Tripoli jusqu’à Cherchel. Rappelons qu’il l’a visitée en 336 h / 947 ap J.C, c’est –dire juste après la fin de la révolte kharijite d’Abû Yazid, l’homme à l’âne. La ville qui a connu une lutte féroce durant ces années a subi des destructions qui restent encore visibles à l’oeil nu lors de son séjour.Désormais elle a perdu le rôle de capitale des fatimides, au profit d’une nouvelle cité palatine: Sabra Al-Mansuriyya. Il s’attardait à décrire, avec un style littéraire, les conséquences néfastes de la guerre, sans manquer de condamner la révolte. Dans un autre chapitre, il évoquait, en tant que témoin oculaire, les différents monuments, à savoir: la forte muraille, la porte qui s’était inspirée de celle de Raqqa en Iraq, le port considéré comme étant l’avant-port de la ville de Kairouan.De même il a cité sans s’attarder la dessus ses foudouq/s, ses bains, ses maisons et ses châteaux qui étaient bien construits et entretenus. L’impression générale de l’auteur est bonne, malgré les effets néfastes de la guerre; la ville a une vue imprenable, son arrière-pays est riche. 2 M. Canard, «L’impérialisme des fatimides et leur propagande», Annales de l’Institut d’Etudes Orientales, IV, Alger 1942-1947.R. Brunschvig, «Un aspect de la littérature historico-géographique de l’Islam», Mélanges Caudefroy-Démonbynes, Le Caire, 1935-1945.

48


En somme, sa description qui oscille entre le politique et le négoce, ne comporte pas d’aspects exotiques. Elle comporte les aspects suivants: l’espace urbain et son arrière-pays les fortifications de la ville, vu le contexte historique caractérisé par la révolte d’Abu Yazid. Les autres monuments et spécialement les installations portuaires( port et arsenal) en relation avec les activités maritimes de la ville. Les activités économiques ( agriculture, artisanat et commerce) Les citoyens de la cité 2) Mahdia, carrefour des commerçants de la Méditerranée selon Al Maqdisi Al Maqdisi, originaire de Bayt al Maqdas a certes entrepris un long voyage vers l’Orient, mais on n’est pas sûr qu’il a visité le Maghreb. Dans un passage de son livre, il disait qu’il n’avait pas parlé des chôras de l’Andalousie, car il n’avait pas visité ce pays là. Faut-il entendre par là que son voyage s’est arrêté au Maghreb? Son texte (remontant à 375 H /985) est plutôt écrit d’une façon stéréotypée, résumant le tout en 4 lignes: «elle est, disait-il, sur la mer, entourée d’une muraille, construite en pierre et chaux, l’eau potable provenait des puits et citernes. Elle est le dépôt de Kairouan, et l’espace lié à la Sicile et à l’Egypte, urbanisée et peuplée, et celui qui voudrait voir Constantinople, il n’a pas besoin de passer par le Bilad al-Rum. Elle est par rapport à son district comme un enclos, car on y accède par un seul itinéraire» 3. Ainsi, les points sur lesquels l’auteur s’est focalisé sont: – la position de la ville: une ville méditerranéenne, mais n’est reliée avec son arrière pays que par une route qui achemine les marchandises de la capitale économique: Kairouan. – Ses fortes relations maritimes avec Palerme, Alexandrie, Constantinople et les autres villes méditerranéennes. – la muraille – les matériaux de construction: chaux et pierres, extraites des carrières proches de Rejish. – la provenance de l’eau potable

Autrement dit, seul l’aspect économique est pris en considération dans cette description succincte, alors que les habitants sont absents. Il va de soi que cela est déterminé par la nature géographique de l’ouvrage, et son plan général. Par ailleurs, le côté défensif évoqué par Ibn Hawqal n’a plus une grande importance dans une pé3

Maqdisi, Ahsan al-taqasim fi ma’rifat-l-Aqalim, Leiden, Brill 1906, p. 226.

49


riode de paix et de floraison des activités commerciales. Et dans les deux cas, ni Ibn Hawqal, ni al Maqdisi, ne considérait Mahdia comme étant une marche ou frontière vis-à-vis de l’Occident chrétien; au contraire, le 2ème notait qu’elle devenait une plaque tournante dans la navigation maritime entre Alexandrie, Constantinople et l’Andalousie. Ce discours est repété par al Bakri vers 460 H / 1068 reproduisant en partie la relation de Muhammad Ibn Yusif al-Warraq (mort en 363 H /973), mais actualisé par l’aide des voyageurs qui se déplaçaient entre les deux pays 4. 3) Un voyageur universaliste: Al Idrisi (mort en 560 /1065): Le Nuzhat al-Mushtaq fi ikhtiraq al afaq ou kitab Rujari d’Al sharif al-Idrisi écrit au milieu du VIème s. H/ XIIème s. après J C représente un tournant dans l’évolution historique de la ville. La description de la ville datait de la période de sa conquête par Roger II de Sicile à partir de 543 H /1146. Avant cette période de quelques décennies, Abû Bakr Muhammad ibn Abdallah Ma’afiri, Ibn Arabi, ( mort en 543 H /1148) qui a effectué une rihla vers l’Orient en 485 H, tout comme Muhammad Ibn Tumart, ont passé par cette ville et y rencontré des savants. Seulement, il reste peu de choses de ces deux rihla/s5. En absence d’autres témoins oculaires de cette période, voici le récit d’al Idrisi: «Au moment où nous rédigeons notre livre, Mahdiyya est formée de deux villes: Mahdiyya et Zawila. Mahdiyya est la résidence du souverain et de ses soldats. Là se trouve son magnifique palais construit avec soin. Avant d’être prise en 543 par S.M. Rujâr, la ville avait «les voûtes dorées» qui faisait l’orgueil de ses princes. Elle a été conquise sur al Hasan ibn Ali ibn Yahya ibn Tamim ibn al-Mu’izz ibn Bâdis ibn al-Mansur ibn Ballughin ibn Ziri al-Sanhaji. 4 Al Bakri notait: -qu’ elle est entourée par la mer de trois côtés, disait –il. Et on n’y accède que par le côté ouest. - Elle possède un gros faubourg Zawila, avec des souqs, hammams et habitations. Le prince Ziride Al-Mu’iz l’a entouré d’une muraille (en 449) d’une longueur de 2 milles et d’une largeur moindre. - Ensuite, il se consacre à décrire la porte principale de la ville d’une façon détaillée: son poids et ses dimensions, les représentations des lions etc. - l’approvisionnement en eau par l’intermédiaire de ses 360 citernes et de la canalisation qui emmène l’eau de Mayyanish, éloignée de 12 kms. - Son port, qui était relié avec Alexandrie, le levant, la Sicile, et l’Andalousie, est creusé dans le roc. - largeur de la presqu’île. - la muraille qui l’enveloppe et ses 16 tours de guets (burg/s). - les constructions: la grande mosquée, la maison des comptes, les deux palais. - l’arsenal - Les autres faubourgs et villages avoisinants. En somme, les données présentées sont détaillées, et concernent notamment l’espace urbain, et non les habitants. 5 A. Kattani, Dalil al hajj wa l siyaha, p. 293 (il parle d’un fragment de la rihla d’Ibn Arabi conservée dans sa bibliothèque privée).

50


Zawila a de beaux souq/s, de belles demeures, de vastes boulevards et de larges rues. Les habitants sont de riches et nobles marchands, à l’esprit sagace et à l’intelligence vive; ils sont vêtus le plus souvent de blanc; ils sont fiers, coquets, parfois d’une belle prestance; ils ont l’expérience du négoce et traitent les affaires d’une façon digne d’éloge. Du côté de la terre, comme du côté de la mer, la ville est entourée de remparts entièrement en pierres, construits hauts et solides. A l’intérieur, elle a de nombreux caravansérails (fondouk/s) et établissements de bains (hammam/s). Côté terre, elle a un grand fossé dans lequel est recueillie l’eau de pluie. A l’extérieur, du côté ouest, son arrière-pays était, avant l’arrivée des Arabes en Ifriqiya, et avant qu’ils l’eurent dévastée, une suite de jardins et de vergers produisant des fruits merveilleux, d’excellente qualité. Il n’en reste rien. A proximité de la ville, il y a plusieurs villages, des campements et des qasr/s habités par des nomades qui possèdent de vastes champs de céréales, de gros bétail, des troupeaux d’ovins et de bovins qui font de belles récoltes de froment et d’orge. Ils ont aussi beaucoup d’oliviers dont ils retirent de bonnes huiles consommées dans toute l’Ifriqiya et exportées dans tous les pays du Mashriq. Entre Mahdiyya et Zawila, s’étend un grand espace vide appelé al-Ramla, de plus d’une portée de flèche. Mahdiyya est bien la capitale de l’Ifriqiya et le pôle d’attraction de ce pays».6 La description détaillée de la ville et de ses habitants porte à croire que l’auteur a bien visité la ville; ce fait est corroboré par les sources littéraires; ce qui a fait penser à certains qu’il avait fui l’Afrique du Nord au moment de l’avancée almohade, et qu’il serait revenu ensuite, et mort en Ifriqiya après 571 H7. En mentionnant Mahdia et son faubourg Zawila, l’auteur les appelait les «deux villes»; il décrivait avec éloge le château Ziride aux voûtes dorées, les belles demeures, les beaux souqs, les caravansérails et hammams, les vastes boulevards et les hauts et solides remparts construits en pierres. Sa campagne était également avant l’arrivée des hilaliens une suite de jardins et de vergers. En somme, une note positive concernant aussi bien la ville que les habitants. Alors que le mal incombe aux bédouins des alentours, la bourgeoisie mahdoise a mérité toute l’éloge de l’auteur: «riche, noble, à l’esprit sagace et à l’intelligence vive, fiers, coquets, d’une belle prestance; ils ont l’expérience du négoce et traitent les affaires d’une façon digne d’éloge». On se demande si ce jugement rend compte d’une certaine entente entre la bourgeoisie Mahdoise et les Normands.

Al Idrisi, Le Maghrib au 12 ème s: texte établi et traduit en français d’après le nuzhat al-mushtaq par M. Hadj Sadok, Alger 1983 p. 132-133. 7 A llaoua A. et A. Nef, «Al-Idrisi et les Hammûdides de Sicile: nouvelles données bibliographiques sur l’auteur du livre de Roger», Arabica, T XLVIII, Leiden 2001. 6

51


Remarquons également que la couleur blanche des vêtements de la bourgeoisie, tradition qui est encore spécifique aux gens de cette ville, pourrait être expliquée par l’importance de cette couleur chez les fatimides. Certes, le texte d’Al Idrisi est celui d’un géographe, mais qui n’a pas pu s’exprimer sans manifester sa sympathie envers ses amis mahdois, servant de pont de liaison entre les deux rives de la méditerranée, abstraction faite des guerres. Notons que son ouvrage «Uns al Muhaj wa rawdh al faraj» traitait des voies terrestres et maritimes reliant la ville aux autres cités. Il disait: «De Sfax à Mahdia par mer: 70 milles, et par terre: 3 étapes.. De Mahdia à Sousse: 40 milles, de Sousse à Kairouan: 40 milles et de Kairouan à Mahdia: 2 étapes»8. Quelques décennies après lui, le récit d’ al- Istibsar était rédigé par un voyageur qui a accompagné le Calife Almohade dans sa campagne en Ifriqiya. Toutefois, les données rassemblées ne diffèrent en rien de celles d’Al Bakri, à une exception près: le fait de citer le dernier Emir Ziride Hasan Ibn Ali en 543 H / 1146 qui a subi une défaite devant les Normands. Finalement, le récit d’Al Idrisi qui portait un intérêt majeur à cette ville méditerranéenne, n’avait pas d’égal à cet égard. Au XIVème s. la description de Muhammad Ibn Abdelmun’im al-Himiyari reste imprégnée par celle d’Al Idrisi, et à moindre échelle al Bakri; nous pensons donc qu’il s’est fondé sur les sources littéraires pour rédiger ses deux articles.D’ailleurs, le premier qui concerne Zwila est une compilation presque intégrale de «nuzhat al mushtaq», à part le fait de signaler sa totale disparition au XIVème s. Quant au deuxième sur Mahdia, il est enrichi par des citations poétiques9. II - Passage de la cité palatine à une imprenable place forte entre le XIII-XVIème Sc.: le temps de la peur Désormais, la cité n’abritait plus les châteaux des Califes Fatimides ou bien des Emirs Zirides, mais les demeures des marins, des paysans et des émigrés de la Sicile et de l’Andalousie. Alors qu’elle a été si hospitalière jusqu’au XIIème siècle, accueillant les commerçants et étrangers de tout bord de la Méditerranée, aussi bien les musulmans de Sicile au XII-XIIIème s. que les maures d’Andalousie à partir du XIIIème s., elle commençait à se renfermer sur elle-même, et à prendre la position de défense, face à la montée de la piraterie en Méditerranée et aux expéditions militaires dirigées contre elle.

8 9

52

Idrisi, Uns al muhaj wa rawdh al faraj, édition ciritique de Nuhi Wafi, Rabat 2001-2002. Himyari, Al rawdh al mi’tar, Beyrouth 1984, pp. 296, 561-562.


Il paraît que cette pression des villes marchandes européennes sur la place forte de l’Ifriqiya était telle que les juristes ont pensé se débarrasser des fortifications de la ville, pour éviter toute attaque et surtout colonisation de la région. Nous pensons que la campagne génoise de 1390 a suscité cette discussion à propos du sort de la muraille. A l’instar de la destruction des murailles de Ascalon et d’al Quds par Saladin, les juristes, et parmi eux al Burzuli, pensaient qu’on pourrait chasser le conquérant en détruisant la muraille des villes menacées par ces incursions, et notamment Mahdia, sans oublier de rappeler que les croisées de Saint Louis se sont protégés par les ruines de Carthage en 1270. Sans doute cette vision défaitiste n’est pas approuvée par la majorité, et certainement par les habitants de la ville. Ce qui a sauvé ses murailles d’une autodestruction; il fallait attendre Charles Quint pour voir cette malheureuse décision mise en application10. 1- Kitab al jughrafiya d’Ibn Sa’id (mort en 67 3 H /1274) Abu l Hasan Ali Ibn Moussa Ibn Sa’id qui a séjourné à Tunis durant la période 652 /1254 -666/1267, a visité probablement cette ville. Mais cela ne l’a pas empêché de lui consacrer quelques mots. En la situant dans son cadre méditerranéen, il la décrivait comme une ville de forme rectangulaire, entourée par la mer, sauf d’un côté étroit, à l’instar de la ville de Ceuta11.

2- Une promenade savante: Mil’u al ayba d’Ibn Rushayd Les voyageurs du bas Moyen Age: Ibn Rushayd, Abdari, Sabti et Khalid Balawi portent leur attentions sur le monde des ulémas. Notons que ni Ibn Battouta, ni al Abdari ou al Balawi se sont passés par cette ville, car ils ont emprunté la route intérieure reliant Tunis- Sousse à Sfax. Seul Ibn Rushayd, de retour de sa rihla orientale, a passé par Mahdia. Il a pris un bateau transportant des marchandises de Sfax à Mahdia le 10 Rabi’ II 685 H / Mercredi 5 juin 1286. Par crainte des incursions maritimes chrétiennes, les commerçants ont préféré vider leurs biens par barque. Le premier contact avec la ville s’est fait par mer: «il s’agissait d’une belle ville, entourée de solides murailles». Voilà donc une phrase qui désormais va se répéter dans les sources latines, chaque foi que la ville sera menacée par mer. Le voyageur décrivait ensuite la célèbre porte en fer, en évoquant des détails qu’on ne retrouve pas dans les autres sources: «les assises de la porte sont en verre, et on y verse d’une façon continue de l’huile pour faciliter la rotation de la porte. Tout en rapportant une anecdote sur la manière d’ajuster les deux battants de la porte, il n’a pas manqué d’observer les traces de la frappe de pierre en fronde qui restent visibles. 10 11

M. Hassen, Al madina wa-l badiya bi Ifriqiya fi-l asr al hafsi, Tunis 1999, TI, pp. 68-69. Ibn Sa’id, kitab al Jughrafiya, Alger 1982, p. 144.

53


Et puisque seuls les Ulémas intéressaient Ibn Rushayd, il n’a pu y rencontrer qu’un savant andalou d’Almeria et un soufi originaire de la ville. Elle est presque vide, ajoutait-il; ceux qui viennent faire la prière de vendredi dans la grande mosquée n’arrivent pas à constituer trois rangées, soit 150 personnes. D’ailleurs ce Abdalaziz Ibn Khalis al Andalusi, originaire d’Almeria, s’occupait à coudre des vêtements dans ce masjid, jadis bien animé. Que concluons nous? le voyageur décrivait une ville dont la population ne dépassait pas 1500 habitants; elle est tombée en désuétude, à cause des crises internes et des incursions maritimes. Une mémoire bien entretenue sur son passé lui permet de comparer le passé glorieux au présent.

3- La rihla d’un voyageur local: al Tijani (704-706 H) En ce qui concerne Tijani, S. Mghirbi notait à juste titre que «son récit est constamment interrompu par des citations poétiques choisies par l’auteur lui-même cette fois, par de larges tranches d’histoire évoquées à l’occasion du passage dans les principales cités; de même à plusieurs endroits le regard d’autrui se substitue au sien; enfin, les walis et leurs karâmat sont pour lui également un sujet de prédilection»12. Il a consacré à la ville de Mahdia le dernier chapitre de son ouvrage, (pp. 320 -395), mais ça ne concerne au fait que l’histoire de la vie littéraire dans la ville, alors que peu de données intéressent la description de la ville et des ses habitants. Il s’est suffit de dire qu’il a vu une ville noble et célèbre, avant de glisser dans un récit historique long concernant sa fondation, se basant sur celui d’Al Bakri. Il notait à ce propos que la ville de Zawila qui était prospère sous les zirides, est totalement abandonnée, de même que son arrière-pays (hima) qui était dévasté par les bédouins. Désormais, la campagne s étend jusqu’aux murs de Mahdia.13 III – Africa et la mer, d’après les voyageurs occidentaux

La défaite de la ville chantée par «le Carmen in victorium Pisanorum» Au XIème s, Mahdia était considérée à la fois comme étant la clef de voûte du commerce méditerranéen, et le fort le plus solide dans le littoral Ifriqiyen. En ce sens, elle est perçue comme une frontière, où l’étrange et l’étranger se confondent, et sa description est tâchée de merveilleux. 12 13

S. M’ghirbi, Les voyageurs de l’Occident Musulman du XII au XIV ème s.,Tunis 1996, p. 49. Tijani, Rihla, p. 324:

Cette idée est confirmée en 1390,car on parlait de champs et des sablons devant les remparts de Mahdia. voir: A. Lézine, op.cit., p. 14, n 9 et 10.

54


Comme la chanson de Roland, le Carmen de Gudi (écrit entre 1115-1126) évoque la victoire des Pisans et Génois contre la ville de Mahdia-Zawila en 1087, alors gouvernée par Tamim Ibn Mu’iz Ibn Badis. Ce poème qui n’est pas dénudé d’exagération, raconte les différentes péripéties de l’expédition, depuis les premiers préparatifs jusqu’à l’entrée à Zawila le 6 août 1087, et sa mise en sac, puis la dévastation des installations portuaires, finissant par un incendie des bateaux dans le port. Le poème a vanté certes la bravoure des Pisans, mais il n’a pas manqué d’évoquer certains aspects positifs propres aux Zirides de Mahdia, tels que la puissante marine, les installations portuaires de la ville, les durs combattants, le château (Casar) imprenable de Tamim (Timinus), dotés de hautes et solides tours, le courage des bédouins qui ont refusé le traité de paix signé par l’émir etc. Voici quelques strophes de ce Carmen14: - Il commence par présenter la ville, ses citoyens et les causes de l’expédition:

Ceux-ci sont connus par le nom de «Madianis» Car la ville de Mahdia les enchaînait au pire, Située sur un bon endroit littoral, citée impie, elle enchaînait plus de 100 milles captifs

Ce «Timinus», sarrasin impie, la gouvernait, Semblable à l’Antichrist, dragon le plus cruel, La ville a un port fait avec art, Entouré par de grands murs et plein de vaisseaux

Celui-ci commandait deux villes enrichies par les ouvrages, De nombreux combattants sont robustes, Ces sarrasins sont orgueilleux et élevés dans la gloire, Malgré ça, arrive la belle victoire des Pisans

Celui-ci dévastait la Gaulle avec ses Sarrasins, Il captivait tous les marins de l’Espagne, Il troublait l’Italie sur le rivage entièr de la mer, Il détruisait la côte de Rom jusqu’à Alexandrie,

- L’auteur vantait par suite le courage des soldats pisans, qui sont arrivés d’abord à Pantelleria, où ils investissent le fort de l’île, après avoir vaincu les 2000 14 G. Scalia, «Il carme Pisano sull’impresa contro i saraceni del 1087», Studi di filologia romanza, Padova 1971, pp. 567-625.

55


soldats; seuls 6 hommes se sont sauvés et ont informé Temim, par voie de lettre envoyé par les pigeons. Il évoque ensuite la bataille: En arrivant à la côte de Mahdia Déjà armés, ils gagnent la terre avec de petits navires, Et commencent leur attaque du fond de la mer par de très longs javelots. Mais les lions apparaissent après qu’ils touchent la terre, Les ennemis étaient plus rapides Les «Agares» élevés, invoquent «Machumata» (le prophète)… Mais les cris des pisans devenaient plus hauts et plus nobles, Les «Agares» courent en masse, Alors que les javelots et les flèches les gagnent Quand ils ont pris la fuite, Le combat devint moins dur

Un millier de paysans ont été tués devant la muraille, Avant qu’ils n’entrent par la porte

Les pisans sont entrés par le haut et par le bas, parcourant toute la ville, Il ne reste ni maisons ni vie dans toute «Sibila» (Zawila), Seuls les cadavres des sarrasins jonchent sur la rue, Alors que la ville est dépeuplée, ils se hâtent, et se dirigent vers le «Casar», s’efforçant de sauter des hauts murs du palais, Là se tenait debout le roi Tamim triste, mais invincible. Il ordonna d’ouvrir les portes et de relâcher les lions, Pour qu’ils troublent les chrétiens combattant avec courage, Mais les lions se sont tournés vers eux, et ont dévorés les sarrasins

Tamim retient 1000 hommes, armés de lances et de javelots, Il refuse de fuir

- L’auteur du Carmen célèbre ensuite la victoire lorsque les pisans ont investi la ville:

Les pisans brisent toutes les portes et pénétrèrent à Mahdia, là se tient debout Temimus, Il s’est caché derrière les hauts murs de son château, D’autres pénètrent dans un port fait admirablement,

56


Et saccagent l’arsenal («darse») et toutes les tours, Ils tirent d’ici 1000 navires, et les détruisent Sur le rivage où fut l’incendie de Troie

D’autres brisent le castrum, et démolissent les tours, Tuant de magnifiques chevaux et tous les mules, Et tirant 1000 drapeaux en or et en argent,

Ils sont parvenus courant vers ce Casar Qui tenait, comme je le crois, un espace de 1000 pas, avec un mur long de 80 coudées et haut Ils construisent des tours jusqu’aux nuages, Où on peut regarder à peine, De nombreux paysans gardaient le château, Alors que les Pisans cherchent à le démolir, Mais fatigués, ils s’arrêtaient pour se reposer

Un traité de paix signé entre les deux partis n’a pas empêché les tribus récalcitrantes de menacer l’ennemi:

Le roi peu pauvre, s’est mis à demander la paix, Il offre une somme infini d’or et d’argent, enrichissant le peuple de Pise et de Gênes

Alors que le traité de paix est conclu, Les tribus arabes entrent à «Sibila», Un grand nombre de légers fantassins, Courent de différents côtés, Les savants veulent regarder en arrière pour fuir et tuer les ennemis dans la fuite, Tous ces nomades sur les chevaux, avec des corps mobiles, tournent dans un mouvement giratoire autour du cercle Sibila gardait de ces gens robustes 100 000, Ils agitent les Pisans qui étaient sur le rivage Quand au roi Tamim, il regardait par le haut de l’édifice…

En somme, Ce voyageur peu commun, racontait avec passion, les péripéties d’une incursion maritime, en consacrant une bonne part aux monuments de la ville et aux participants à ce scénario: le roi, les soldats, les paysans, les bédouins, les ulémas. Naturellement, ce genre de discours guerrier ne prêchait pas la tolérance, 57


mais s’identifie au détriment de l’autre. Le poète, témoin oculaire des faits, rapportait les évènements, présentant de jolis tableaux de guerre et de paix, qui ne manquent pas d’esthétique. Certes, l’incursion n’a pas beaucoup duré, mais ce n’est que le prélude d’une nouvelle phase dans l’histoire de la ville, car on est loin de Mahdia fatimide qui contrôlait toute la Méditerranée occidentale. 2 - Le début du danger narré par Léon l’Africain Alors qu’il acheva la rédaction de son ouvrage à Rome en 933 H / 1526, la première édition du livre est faite à Venise en 956 H / 1550. Il commençait par répéter des données stéréotypées sur la fondation de la ville par El Mahdi, en s’étendant un petit peu sur son histoire, puis il parlait de la révolte d’Abu Yazid, de la conquête normande jusqu’à l’arrivée des Almohades. Ce n’est que dans le dernier paragraphe qu’il évoquait le présent: «elle est maintenant au pouvoir du roi de Tunis qui y envoie un gouverneur, et accable la ville d’impôts. Ses habitants font du commerce maritime, et vivent en grande inimité avec les bédouins, si bien qu’ils ne peuvent cultiver leurs terres». En dernier lieu, il citait l’expédition espagnole en ces termes: «De nos jours, le comte Piero Navarro pensa pouvoir s’emparer d’El Mahdia avec 9 vaisseaux. en 1519. Mais la ville se défendit si bien avec son artillerie qu’il dut battre en retraite avec de fortes pertes. Cela eut lieu en 1519»15. Il va de soi que cette pression militaire et économique a entraîné une peur des mahdois de l’étranger, voire même une haine exprimée d’une façon claire en 1525 par Piri Reis: «Cette forteresse de Mahdia appartenait depuis longtemps au royaume de Tunis; je n’ai jamais vu d’aussi pareille forteresse construite de cette étrange manière. Un cap arrondi entouré de tous les côtés par des fortifications, jalonnées de hautes tours. Elle est reliée à la terre par un isthme, en face duquel il y avait 7 portes, dont 6 en fer et une en bronze. Les habitants de la ville avaient une étrange coutume héritée depuis longtemps: ils n’admettaient jamais un musulman converti du judaïsme ou du christianisme dans leur forteresse. S’ils trouvaient quelqu’un de la sorte, ils le battaient jusqu’à la mort, car ils ont trouvé dans leur chronique que la ville serait détruite par un infidèle converti. Dans la partie sud, il y a un petit port, qui ressemble à celui d’Istanbul; son entrée est voûtée, avec une colonne en marbre suspendue, pour empêcher l’ennemi d’y accéder. La côte est un pays bas de calcaire, de sable et de d’argile qui n’est pas propice pour l’agriculture et les arbres fruitiers»16. 15

16

58

J. Léon l’Africain, Description de l’Afrique, traduite de l’italien par A. Epaulard, Paris 1956, pp. 393-394. S. Soucek, Tunisia in the kitab-I Bahriye, p. 108-109.


3 - L’heure de la destruction (1550)

a- Mahdia d’après les estampes et les représentations du XVIème Les voyageurs- conquérants qui ont dressé des plans et des estampes ont ciblé la représentation de la double muraille en 1550. Il s’agit, avec Tripoli, des deux places les plus fortifiées de l’Afrique du Nord. Un système défensif construit à l’époque fatimide, et renforcé durant la période hafside, est constitué par une solide enceinte, dont sa tracé s’est adaptée aux données naturelles, enveloppant toute la presqu’île et avançant jusqu’au cap d’Afrique. D’après la représentation de Sandoval, il y a un fort après chaque 30 pas; au total 15 forts répartis comme suit: 6 ( 2 circulaires et 4 quadrangulaires) autour de la porte principale, «Bab al Futuh» appelée dans les sources espagnoles «la puerta de Orlando» et 9 sur les 3 autres côtés. Ayant un pourtour total de 5340 m, la muraille est distante de la mer de 260 pas. La grande mosquée (mezquita mayor) qui est dotée de 7 portes avait 7 nefs très hautes, dotée d’un aqueduc qu’y emmenait l’eau de Mayyanish. Non loin, se dressait l’arsenal (atarçanal). Dragut a construit sur un mont qui surplombe la ville le grand fort (castillo), à la place probablement du palais d’Al Mahdi. La ville a une population de 1500 habitants. Mais la bataille de 1550 a rassemblé des milliers de maures qui défendaient la ville; d’après les sources espagnoles, 500 du côté espagnol sont décédés dans la bataille, alors que 7000 maures se sont fait prisonniers17.

b- Marmol Carbajal, témoin de la ville mise à sac: Ce lieutenant de Charles Quint qui a passé une longue période en Ifriqiya, a rédigé son récit après 979 H / 1571, s’inspirant notamment de l’ouvrage de Léon l’Africain et de ses observations personnelles. Il a consacré à la ville d’Africa 23 pages. Témoin oculaire des destructions de 1554, il évoqua la conquête de la ville par Dragut, avant de parler de l’expédition de Charles Quint, et de l’ordre donné pour la raser ex-nihilo, afin d’empêcher le retour des turcs à cette base navale. Sachant que ce récit est la meilleure source sur les remparts de la ville, il a consacré une description détaillée à la porte principale de la ville et aux tours qui l’entourent. Seulement les données présentées par Marmol, n’ont pas permis à A. Lezine de reconstituer le plan de la muraille, à cause des orientations incorrectes et de manque de clarté18. Vilar, Mapas y Pianos de Tunez, Madrid 1999, Chap. XIII: Mahdia, pp. 436-445. Marmol Carbajal, Ifriqiya, traduction de M. Hajji et alii, Rabat, 1989, TIII, pp. 70-93. A. Lezine, Mahdia, Recherches d’archéologie islamique, Paris 1965, p. 23. 17 18

59


D’après lui, le mur ouest de défense terrestre a 40 pieds d’épaisseur; il est flanqué de 6 tours, dont 4 tours carrées dans la partie centrale et 2 tours rondes aux extrémités.

Un témoignage de deux voyageurs maltais sur une ville désertée: En 1587, le comte François Lanfreducci et le Chevalier Jean Othon Bosio parlait de la ville en ces termes: «Africa, ville ruinée par les chrétiens, à 30 milles de la Capola (Chebba), est un pays de bancs (de hauts fonds marins?). Bien que l’emplacement soit fort, on ne doit pas en faire état, parce qu’il n’y a pas de port sûr, ni de bon abri. Les galères peuvent être accostées et faire de l’eau sans être inquiétées, la ville étant inhabitée. Il y a en effet, en dedans et en dehors de la localité de nombreuses citernes dont certaines ont été faites par Dragut Rais et gardent son nom. Comme parfois du pays environnant, les Maures viennent faire boire leurs bestiaux, et par suite, sont susceptibles d’escarmoucher, il sera bon pour faire l’eau en paix de mettre une garde à la porte de la terre, qui est facile à défendre avec quelques arquebusiers et de placer une sentinelle à l’éperon du front à l’ouest. A deux milles à l’ouest on reconstruit un village où il y aura une centaine de Maures, à deux milles du rivage, dans un vallon»19. Conclusion La majorité des voyageurs qu’y ont séjourné n’ont pas laissé un récit détaillé; seules des bribes de renseignements concernant l’urbanisme et parfois les habitants sont connus. Le choix de ces données est souvent dicté par le plan général du récit et ses finalités, patentes et latentes. Dans ces récits, la mer est privilégiée, quoique le dialogue entre la cité et la mer passe du dialogue paisible à un autre caractérisé par l’hégémonie à partir du XIIème s. Le ton change des voyageurs orientaux aux voyageurs occidentaux. Suite à cette série de voyages, on ne peut prétendre à la constitution de stéréotypes chez les voyageurs aussi bien orientaux qu’occidentaux car l’image qui s’est constituée lentement à partir de la visite d’Ibn Hawqal n’a cessé d’évoluer et de se préciser. Il va de soi que cette vision de l’autre ne pourrait traduire la vérité totale, tant qu’elle est tâchée d’impressionnisme, de passions et de parti pris. Ainsi, l’image que font les gens de Mahdia, d’eux –mêmes et des étrangers demeure peu claire.

19

60

F. Lanfreducci et J O Bosio, «Côte et discours de Barbarie», Revue Africaine, 1925, p. 511.


ABSTRACT

Regards croisés Orient-Occident sur la ville de Mahdia(X-XV eme s.) La ville de Mahdia qui a succédé à l’antique Jummi, est appelée aussi Jazirat al khulafa, Al-Baydha, et dans les sources latines Africa ou Aphrodisium. Elle a été visitée à la fois par des voyageurs d’Orient et d’Occident depuis sa création au début du Xème s. jusqu’à la fin du Moyen-âge. Abstraction faite des motifs, comment ces voyageurs qui ont écrit des récits variant entre quelques lignes et une vingtaine de pages, ont vu la cité, ses monuments, et ses hommes, à partir de la mer ou de la terre? Dans un premier volet, nous allons examiner l’image de la ville présentée par les voyageurs arabes jusqu’au XIIème Sc.: - Ibn Hawqal est le premier à décrire d’une façon détaillée la capitale des fatimides. Mais serait il vraiment un propagandiste de la foi ou plutôt un ethnologue avisé? - Le voyageur universaliste, al- Idrissi qui relatait les évènements lors de la conquête de la ville par Roger II de Sicile, manifestait une certaine sympathie à l’égard des habitants, et portait un intérêt majeur à cette ville méditerranéenne.

A partir du XIIIème s, cette imprenable place forte commence à subir plus de pressions du côté de la mer. Ceci s’est traduit dans le discours des voyageurs arabes qui ont focalisé leur description sur l’aspect militaire (la porte, les fortifications et les tours). Son passage du statut d’une cité palatine à une ville habitée par les différentes catégories sociales, à côté des éléments allogènes, n’a pas pour autant aidé à animer la vie de la cité. - Le récit de Tijani qu’on peut considérer comme voyageur local est constamment interrompu par des citations poétiques et de larges tranches d’histoire. A part une information sur la désertion du faubourg de Zawila, son intérêt pour notre sujet reste minime. - D’une manière inattendue, la promenade savante d’ Ibn Rushayd serait plus intéressante, du moment qu’elle décrivait une ville qui est tombée en désuétude et dont la population ne dépassant pas 1500 habitants. - Le récit de Léon l’Africain, quoique concis, traduit l’état général de la ville et de ses habitants avant la conquête espagnole de 1550. Quant à la troisième partie, elle sera consacrée aux voyages des occidentaux dans la ville, effectués le plus souvent par mer, et à leurs visions de cet espace urbain. Les textes à notre disposition concernent le plus souvent des expéditions militaires, car les descriptions relatées par les commerçants sont rares. L’exemple le plus significatif est le Carmen in victorium Pisanorum racontant l’expédition pi61


sano-génoise de 1087, et décrivant plus spécifiquement l’espace urbain de la ville de Mahdia. Le poète, témoin oculaire des faits, rapportait les évènements, présentant de jolis tableaux de guerre et de paix, qui ne manquaient pas d’esthétique. Certes, l’expédition n’a pas beaucoup duré,mais ce n’est que le prélude d’une nouvelle phase dans l’histoire de la ville, car on est loin de la capitale fatimide qui contrôlait toute la Méditerranée occidentale. Ainsi les différentes estampes et représentations de la ville coïncidaient au moment de la destruction (1550), alors que les récits de Marmol Carbajal (1571), de Lanfreducci et Bosio (1587) qui ne manquaient pas de parti pris, faisaient état de l’abandon total de la ville. Quelles sont donc les caractéristiques historiques et anthropologiques de ces deux regards et les interférences entre eux? Ces récits traduisent des états d’âmes des voyageurs variés, voire même contradictoires: Alors qu’ Ibn Hawqal ne cachait pas une prise de position contre l’insurgé Abu Yazid, le discours d’al Idrisi est plutôt modéré et conciliateur, entre Ifriqiyens et Normands. On se demande enfin dans quelle mesure ces voyageurs ont-ils participé à rapprocher les différents peuples de la Méditerranée, en essayant de minimiser les frontières et accepter la différence avec l’autre?

62


Khairia Kasmieh*

In Their Own Eyes: Two Syrian Intellectuals in Paris at the eve of 1st World War

I - An Introduction:1 The cultural background of the Arab East at the end of the Ottoman rule.

At the beginning of the 16th century the Arab countries came under the rule of the Ottoman Empire actually or nominally. The Ottoman power was not considered a form of foreign domination. The Ottoman ruled in the name of Islam, notwithstanding that their administration was oppressive and corrupt. The Turks and Arabs existed in a symbiosis which paid little attention to linguistic and ethnic distinctions. Up to the first half of the 18th century the Ottoman Empire was not aware of the immense change that had taken place in the West. At the end of 18th century and early 19th, with the progress of science and expansion of inventions, the superiority of Europe over the Ottoman power became evident. Europe was much closer now and more comprehensible. It was viewed with awe and admiration as both the depository of power in the world and the center of science and civilization. This convinced little groups of officials, officers and intellectuals in the Empire, that only by reforming the structures of the Empire, its fortune could be secured. They understood that only by program of Westernization, at least some forms of European society, this could be achieved. In its initial phases, borrowing from Europe was conscious and selective. It was necessitated by consideration of power, first in terms of military reorganiza* 1

Docente di Storia, Università di Damasco, Siria. The introduction is based mainly on the followings: - Hourani, Albert, Arabic Thought in liberal Age: 1798–1939, oxford University Press, 1470. - Kasmieh, Khairia, Damascus at the End of the Ottoman Rule, Damascus, 2000 - khadduri, Majid, Political Trends in the Arab world, John Hopkins Press, 1970. - Polk, William and Chambers, Richard, (eds.) Beginning of Modernization in the Middle East, the University of Chicago press, 1968. - Nuseibeh, Hazem, The Ideas of Arab Nationalism, Cornell University Press, 1956.

63


tion and technique, and later in terms of administrative and political reform, laws and regulation (Tanzimat). Borrowing naturally extended beyond those areas, e.g: the extension of technical and civilian education, sending students missions to Europe, educating even a tiny fraction of the population, printing Western texts that describe new culture and ideas. There was a stress on the need to adopt those aspects of European civilization believed to contain the secrets of Europe’s power and superiority. These developments were bound to have far-reaching effect all over the Empire including Arab provinces, the Ottoman officials of the new way of thought held positions in the Arab provinces, besides, the Arab intellectuals took part in the Reform movement aimed at adopting Western methods and ideas. This approach was not accepted by the whole Ottoman society, including the Arabs. So two intellectual trends emerged in the Ottoman society at that period; the first was passive and hostile towards all branches of Western knowledge, whereas the second trend took a positive attitude and regarded this knowledge as the sound foundation for a supreme civilization. Consequently a kind of cultural dualism began to create a gap between two separate tendencies; a conservative one calling to adhere to the heritage (al Turath), this tendency was represented by people who had been educated in the traditional way. The other tendency represented intellectuals who had acquired modern culture (as well as knowledge of al Turath) and considered it an aid to catch up with the march of the progressive civilization. Both trends agreed on the need for reform and on Islam’s capacity to achieve progress that had been demonstrated in the past. Both conducted the process of reconciling Islam with Western thought which would enable Muslim countries to be delivered from backwardness, and restore their moral and material vitality. II - The cultural environment in Damascus where both intellectuals, Kurd Ali and Barudi were brought up:

A study of the cultural life in Damascus during the late Ottoman rule has to include a descriptive assessment of the cultural environment of Syria (a region defined by the Arab geography as Bilad al Sham stretching from al Arish to Euphrates and from the Mediterranean to the furthest spot in Sham desert, and the frontiers of Najd and Hijaz) for it is impossible to set up barriers that separate the cultures of the neighboring areas. At the end of this period, Bilad al Sham in general had experienced radical developments in all fields, social, economic and cultural changes that affected the whole region, as part of various attempts undertaken by the Empire for Reform. the penetration of the great European powers which affected the Empire had greatly increased 64


in Bilad al Sham for well-known reasons related to its unique position and civilization. Consequently new windows were open on the European civilization. The outcome was a modern cultural boom which was manifested in many different ways: scholarly writings about language, literature and history, a rapid spread of missionary education, side by side private local schools, at last the state’s endeavour to reform education. The rich and the class of notables clearly had greater access to education, but poor students of merit and members of non-notable classes also had a far greater chance of obtaining an education than ever before. Moreover printing presses and newspapers introduced culture to those who attained education. On the eve of the 1st World War, Damascus society, as a representative of Bilad al Sham, was moving in the direction of modernization. while at the same time preserving its traditional character. The two intellectuals who were chosen for this paper marked the beginning of broadening of the elite and the inclusion among its ranks of other classes, other than notables. This does not imply that they were from the common class. Both belonged to the upper class who were privileged to obtain education which was not similar in level and approach. Both had direct acquaintance with the West (particularly Paris) where they were in search of wider fields of knowledge for their intellectual development. This in a way, altered the outlook which they had acquired from their initial cultural roots. The result was a mixture of personal observation and judgments contained in their recollections and memoirs. III - Muhamad Kurd Ali (1876 - 1953):

“Garaib al Garb” (the Wonders of the West), al Muqtabas Publishing House, Damascus, 1328 H / 1910, 204 pp.) Kurd Ali wrote in the introduction that the book consisted of several chapters and articles in which he described the landmarks in the marvelous Western civilization which the circumstances permitted him to see or heard about, hoping that his information would benefit his fellow Arab readers. Kurd Ali was born in Damascus 1876, descendant from a family originally coming from Suleimania (Iraq). He got his education according to the inherited cultural patterns which continued to prevail in the study circles for teaching Islamic and linguistic sciences in the mosques. Al Omawi Mosque in Damascus was considered the most prominent center for learning. Kurd Ali was provided with a religions and linguistic education in the circle of al Sheikh Taher al–Jazairi and benefited from the large numbers of books and manuscripts dealing with religion, literary and linguistic issues. He took another direction when he went to Egypt and was profoundly influenced by the other Arab East countries. From an early stage of his working life he 65


had a successful career in Journalism in Egypt, where he published a monthly periodical (al Muqtabas) where he tried to reconcile the traditional culture with the modern one. Following the declaration of the Constitution 1908 he came back to Damascus to publish a newspaper under the same name. Kurd Ali explained in the introduction of the above-mentioned book (Garaib al Garb) the cause which motivated him to go to Europe: a previous wish to study the Western civilization in its cradle and to investigate the institutions which brought out all the inventors, explorers, philosophers, scientists, colonists, politicians, invading leaders, traders, cultivaters, craftsmen and financiers, in other words all those who were the material of this civilization. He took the opportunity of the temporary suspension of al Muqtabas, for a false accusation, to start his journey searching for knowledge. He presented a detailed description of the route of his long trip from Beirut via Alexandria to Marseilles. He appreciated very much the foreign ships (French, Austrian, Russian, Italian, British, German and Roman), which facilitated the flood of trade and transportation, “otherwise our links with other part of the world would be limited”. His stay in France lasted for several months (two months in Paris), his way back to Istanbul was on board the Orient railway which crossed Central and Eastern Europe. In Istanbul he presented a lecture in the “Arab Club” (a society embracing Arab students pursuing their high studies in Istanbul). This lecture was a quick review of his recollections and impressions which he registered in his agenda, or were deeply engraved in his memory. In his opening words, he drew the attention of his audience to the regularity in all public services and facilities which gave a good example of prosperity interwoven with practical development. He wondered what aspects of the advanced Western civilization he had to explain, aspects acquired by the power of intelligence and put in practice by science, e.g: the overwhelming manufactures, the unnumbered commercial houses, the unprecedented developed agriculture, the scientific and political conventions, social societies, commercial and industrial unions, schools in all stages, colleges and universities, museums and exhibitions, offices, councils , banks and theatres for acting and entertainments. The abovementioned scenes and places he used to visit and had the opportunity to meet men of scientific and literary specialties, particularly the Orientalists, gave him an impression which was deeply fixed in his mind, that the rise of the Ottoman East to keep up with the West seems unattainable if it kept its slow pace of development. What stirred up his hope was “the belief that success is the destiny for any one who works hard, Japan is a vivid example”. In Kurd Ali’s view there would be no space for despair, although the people of the East (including the Arabs) “are under the guardianship of the West in all political, social, scientific commercial affairs, also in all sorts of knowledge and exploitation, whereas we are powerless”. 66


He attended several lectures in some colleges (e.g. College de France which comprises more that 40 great scholars in all fields). In spite of the academic importance of these lectures, Kurd Ali came to the conclusion that most of these lectures conceal fanaticism towards the East and denial of its rights. Kurd Ali gave two examples of lectures he attended to give a proof of the intention of the West towards the East, leaving the verdict to the assessment of the audience. Following Kurd Ali’s exposition of the intention of the West towards the East, he put some guidelines for the nations of the East (including the Arabs) in order to preserve their entity, language, religion and ethics in order to confront the others by the “sword” of knowledge. “We are obliged to take from the Western civilization all we need to build our society. We are required to be acquainted to prominent great scholars in order to find the suitable path to follow”. Kurd Ali’s intention was to send more student’s missions to the West, especially France, to study in their schools and universities. What Ottoman government did in the wake of the declaration of the Constitution was not sufficient. He noticed that the Arabs were the most negligent in the Ottoman Empire to send their children to the West for study. Kurd Ali mentioned that the numbers of the Syrian students studying in France did not exceed 30. He was looking for a day when the Syrians in particular, and Arabs in general, would keep pace with other advanced countries in the field of knowledge. He urged the young generation, in order to restore the youth of their nation, to go to the West for study and research to see by their own eyes the extent of their deficiency in comparison to the West. He felt sorrowful for the absence of efficient experts in modern methods of agriculture, the source of living, besides other sorts of practical sciences, as electronics, railway, practical engineering, industry and commerce. These in his view prerequisite for development, so as to be in no need of European experts. Kurd Ali’s appeal to resemble the West was not without limitation, for what is proper to a nation might not be suitable to others, because the customs, environment and traditions have a great role in shaping the conditions of a nation. As a concluding comment Kurd Ali made some hard comparison between the manners in both East and West; women in the West have their share in all aspects of life, he wished that women in the East rise to the same level. He considered the specialization was the main source of the success of the West, while claiming to know everything was the cause of the degradation of the East. The men in the West are inclined to embrace reforms gradually “while we like to leap”. Men in the West are self-dependent, self-denying, relying on their qualities, they care mostly for their nation at the same level of caring for themselves. No wonder that a nation consists of individuals have the abovementioned merits, would certainly extend its civilization and expand its suzerainty. 67


Kurd Ali looked forward to a day when “our beloved East would be awarded the spirit of advancement raised by high studies, the core of our promising expectation” IV . Fakhri al-Barudi (1884-1966):

a) Published Memoirs, 2 vols. Beirut – Damascus, al Hayat Publishing House, 1951, 1952. b) Unpublished papers, Historical Documents Center, Damascus. al-Barudi was born in Damascus, his father was descending from Daher al Omar, (ruler of Acre and Safad who rebelled against the Sultan at the mid of 18th century), while his mother was related to Alami family (Jerusalem). According to his memoir he was brought up in an (aristocratic) surroundings, in the terms of that age. His family was related to many Damascene families as a result of inter-marriages. His father was fond of literate works and arts, he possessed a huge library full of all sorts of books and manuscripts (which gave Fakhri the benefit of widening his knowledge in all fields). His father house’s was a gathering place for the upper educated class. From his early youth Fakhri was associated to the students of Sheikh Taher al Jazaeri, the prominent figure of the enlightment movement in Damascus, at the turn of the 20th century. Al-Barudi was grateful to Sheikh Taher and his students, the foremost among them was Muhammad Kurd Ali, whom he accompanied for a while and inspired him with the spirit of patriotism through his newspaper al Muqtabas. Al Barudi gave full details, derived from his own experience, of all the traditions of the primary education at that time. He praised two years of education 18971898 as a boarding student in a French missionary school in Damascus in order to master the French language. He considered this institution a real one “not a Zareba” in his own words. His father insisted to transfer him to another private school. He regretted being unable to command the French language which certainly might help him later in his political career. Following his years of study in the elementary schools he joined (Maktab Anbar) the sole preparatory official school in Damascus (500-550 students, 7 classes) The curricula were overloaded with different courses, most of them in Turkish: science, human studies, literature and languages. Most of Anbar graduates joined the high schools in Istanbul. In 1908 Fakhri’s class-mates (16) were preparing themselves after graduation to go to Istanbul. When he lost hope of convincing his father to permit him to go to Istanbul for fear of the irruption of troubles there, he decided to continue his higher studies in agriculture in one of the French agricultural institution. He asked the advice of Muhammad Kurd Ali, who encouraged him to do so. Barudi became obsessed of the idea to be graduated from an 68


agricultural school and to be provided with a vocation which could enable him to assist his father in managing his properties. He seized the opportunity of his father visit to Istanbul (Jan 1911) to fulfil his dream. He went to Haifa by Hijaz railway, from Haifa he went on board of a ship (Khedive company) to Port Said. In his view “travelling is the best school for advancement”. From Alexandria he got on board a German ship sailing to Marseilles (Feb 1911) there he saw the automobile for the first time. He was astonished of the vivid activity in this great port. He attended a musical festival in the opera theater and was interested to watch dances (Kadrel was the best) He travelled by train to Montpellier (772 kilometer south of Paris), a city famous for its institutions in science and medicine. He got to know that the medical school building was the remnant of a former Arab building. The most important thing in al Barudi’s view was the agricultural school where the students got theoretical and practical education in all courses required of an agricultural engineer. It was difficult to enroll him as a student because of his inefficiency in the language. During his short stay in Montpellier he got a hasty information about the city with its great institutions in all specialties (one of them De’ preparation Colonial, founded 1899). His next stop was the city of Lyon, he wished to be registered in its agricultural school, teaching mainly practical agriculture with some theoretical science. One of his acquaintances and a relative of his fiancée, Ahmad Qadri, student of medicine, convinced him to move to Paris where he could be enrolled in a near-by agricultural school, so as to be close to the Syrian students in Paris, although they were few compared with other nations. (Some of them were members of the first official mission to Paris, e.g: Rustum Haidar, others were studying at the expense of their families e.g Awni Abdul Hadi, some at the expense of civil societies in Beirut e.g: Mahmasani and al Arisi. Some of these students were founders of the “Young Arab Society”.) Ahmad Qadri who was waiting for him at the railway station in Paris guided him to a pension in the “Latin Quarter” which was the centre of students (at that time) from all nationalities, most of them from Poland (40.000) and Japan (2025.000), 150 only from Egypt. Most of the Latin Quarter’s houses were motels providing various services according to the students national traditions. Al Barudi felt sorrowful that the Arab students had nothing similar. Seeing the students and their devotion to learning, gave al-Barudi an impulse to continue his education so as to serve his nation. This feeling led him (according to his private papers) “to imagine myself struggling to establish schools and institutions urging students to develop our country on the path civilization”. His hopes evaporated when he received a letter from a friend in Damascus informing him that his “foolish decision was not accepted from his family”. His father in law sent a letter saying that “the issue to pursue one’s study is not based on travelling abroad, 69


nor knowledge is confined to one place and would not disappear in a limited time”. His father’s response was furious threatening to deprive him of future expenditure. Al Barudi decided to put an end to his intention of higher studies and to accept his Damascus friend’s advise, that was to satisfy himself to acquire quick knowledge of some aspects of Western modernization. So during the few months he stayed in Paris he was greedy to see what ever he could see, trying to save as much money as he could. He visited the Palaces (Louvre and Versaille), the military museum (Anvalid) where Napoleon, stomb and his belongings. His attention was attracted by some monuments: as Opera theatre, Notre Dame church, Concord square (where the Egyptian obelisk) and Sara Bernar theatre etc. All aspects of developments had amazed him, moreover he was impressed by the dedication to learning and knowledge. He sent an article to al Muqtabas in Damascus inciting Syrians to send their children to France to get education in economy, discipline and liberty. On the whole al Barudi’s experience in France, although it was limited, was the beginning of a growing knowledge of the West. He became wholly absorbed to know the French society and made acquaintance with many French. He admired the gentleness and kindness of all people, living both in villages and cities, women who were competing with men in all sorts of work. He appreciated some French habits e.g: not looking down upon the others. He admired the peasant’s skillful activity and perseverance, accompanied with agreeable temper. What disturbed him enormously was the difference in manner between the French people in their land and those in the colonies. The colonists, in his own words “are destinguished by harshness and roughness”. He wished that the politicians would eliminate their greediness, so as all human being on this earth could live as brethren. In his journey back home, al Barudi spent a month on board the Orient train from Paris to Istanbul, with some stops in the main Central and Eastern European cities, where he witnessed different aspects of progress and civilization. What prevented him from deep study of these places was his ignorance of language. He was astonished, during his journey back, to know that the passport was not needed but this was required in Istanbul. The officer there asked him to pay a fee, after he made investigation with some Syrian residents in the capital, including representatives in the parliament.

70


Federico Cresti*

Città, società ed economia urbana del bil…d Barqa nelle descrizioni dei viaggiatori italiani dell’Ottocento

1. Introduzione.

Il territorio del bil…d Barqa tra l’evo antico e l’età contemporanea

La regione costiera dell’odierna Libia orientale vide fiorire in epoca classica una ricca cultura urbana, con lo sviluppo di città di grande importanza storica. Attraverso i secoli Cirene aveva costituito il fulcro della civiltà greca e poi romana in quel territorio, e a questa capitale si erano aggiunte città notevoli come Tolemaide, Apollonia, Arsinoè, Berenice, Hadrianopolis ed affiancate agglomerazioni di importanza minore in tutta la regione più interna del jabal al-Akhdar1. In funzione di questa civiltà fortemente urbana si era organizzato lo sfruttamento del territorio agricolo e la gestione delle sue risorse produttive. Con la decadenza dell’impero romano e più tardi con la diffusione della presenza araba l’importanza delle città era andata scemando: gradualmente erano state abbandonate o distrutte, e la grande cultura urbana dell’età classica aveva lasciato lo spazio all’affermazione progressivamente predominante di società pastorali e dell’economia di popolazioni nomadi che avevano nella tenda l’espressione delle loro necessità abitative, nelle greggi e nelle mandrie la loro principale risorsa economica. L’evoluzione verso l’economia pastorale e l’abbandono delle città sembrano essere stati definitivi con l’invasione dei B…n™ Hil…l e dei B…n™ Sulaym da oriente nel corso dei secoli XI e XII. Anche le antiche città che avevano continuato ad esistere nei primi secoli dell’invasione araba persero da allora qualsiasi ruolo politico o amministrativo, come era accaduto a Barqa, l’antica Barké: di quello che era stato il centro principale Docente di Storia dell’Africa, Università degli Studi di Catania. La montagna verde: si tratta di una regione che gradualmente si innalza fino ad un’altezza massima di circa 800 metri sul livello del mare. Si compone di quelli che in epoca coloniale furono chiamati i ‘due gradini del Gebel’, nella forma di un altipiano allungato nel senso della latitudine tra Bengasi e la frontiera con l’Egitto. * 1

71


della regione nei primi secoli della dominazione araba2 (e che aveva dato il suo nome a tutta la regione, che nella geografia arabo-musulmana era il bil…d Barqa, il paese di Barqa) era andato perduto anche il ricordo, e nei secoli successivi l’agglomerazione che ne aveva preso il posto era stata conosciuta come al-Marj, la prateria3. Il paese di Barqa, che in epoca coloniale prenderà il nome di Cirenaica e che farà parte della Libia occidentale in seguito all’unificazione amministrativa della colonia, agli inizi del XIX secolo era sotto la signoria dei Qar…m…nl¬ˇ di Tripoli, che governavano questa parte del territorio inviandovi in genere un governatore, ˇ inziato con il rango di Bey, appartenente alla famiglia. Il governo dei Qar…m…nl¬, nel 1711, ebbe il suo termine nel 1835, quando, in seguito alla spedizione francese che si era impadronita di Algeri, la Porta ottomana, temendo che anche le altre province maghrebine del suo impero potessero subire la stessa sorte, decise di riprenderne il controllo diretto e inviò una squadra navale che senza colpo ferire depose l’ultimo rappresentante della dinastia, ‘Al† Qar…m…nl¬ˇ pasha. In seguito il territorio di Barqa fu governato da un q…’im-maq…m dipendente da Tripoli, e dopo il 1863 fu posto sotto l’amministrazione diretta di Istanbul con a capo un mutasarr¬f ˇ . Dal 1879 costituì un vilayet autonomo governato da un pasha, da cui dipendevano i cinque q…’im-maq…m di Darna, al-Marj, Qayqab, alAwjila e Tubruq e dal 1888 un sangiaccato dipendente direttamente da Istanbul e suddiviso in cinque dipartimenti amministrativi (qada)4. Le vicende delle città della Cirenaica non sono ben conosciute nelle loro evoluzione urbanistica nel periodo che va dall’invasione araba agli inizi dell’età contemporanea. I geografi ed i viaggiatori arabo-musulmani ne danno in genere notizie succinte, e le cronache che vi si riferiscono concentrano la loro attenzione su personaggi o su avvenimenti di carattere religioso o agiografico, tralasciando notizie più precise sulla loro evoluzione urbana, sui loro commerci, sulla loro popolazione, sui principali organismi costruttivi che le costituiscono. Con il XIX secolo, grazie soprattutto ai viaggiatori che ne hanno lasciato diverse descrizioni, ma anche all’incrementarsi dei rapporti con gli stati europei, le conoscenze sull’evoluzione del territorio della Cirenaica possono basarsi su una maggiore quantità di informazioni. 2 All’epoca della prima conquista araba sotto la guida del condottiere ‘Amr b. al-‘As, Barqa ne divenne la capitale. La Cirenaica fu occupata dopo le due campagne condotte da ‘Amr a partire dall’Egitto nel 22 H. (642643) e nell’anno successivo (cfr. Al-Bakr†, trad. Mac Guckin De Slane, Description de l’Afrique septentrionale, Maisonneuve, Paris 1965 – riproduzione dell’edizione di Algeri, 1911-1913, p. 14. Secondo al-Bakr†, ‘Amr giunse a Barqa già nel 21 dell’Egira). 3 Sembra che la stessa derivazione del nome della regione da un’antica città fosse stata dimenticata più tardi, se si fa fede ad un testo della fine dell’Ottocento secondo il quale gli arabi “chiamano la Cirenaica da Barka benedizione, terra benedetta” (Spedizione in Cirenaica. Lettura tenuta dal Capitano Camperio alla Società d’esplorazione commerciale in Africa, in “L’Esploratore”, V, 1881, p. 11). 4 Cfr. E. Rossi, Storia di Tripoli e della Tripolitania dalla conquista araba al 1911, Istituto per l’Oriente, Roma, 1968, pp. 322 e seguenti; A.J. Cachia, Libya under the Second Ottoman Occupation, 1835-1911, Dar alFarjani, Tripoli, 1975 (II ed.), passim; L. Anderson, The State and Social Transformation in Tunisia and Libya, 1830-1980, Princeton University Press, Princeton, 1986, pp. 89-90.

72


2. Le città del bil…d Barqa agli inizi dell’Ottocento nelle descrizioni dei viaggiatori italiani

Attraverso i secoli del dominio ottomano si contano numerosi episodi nel corso dei quali i governatori inviati da Tripoli nel bil…d Barqa erano entrati in ribellione aperta contro le autorità della capitale della Reggenza: lo scopo di queste ribellioni era in generale quello di ottenere un’autonomia di governo giustificata dalle ambizioni di alcuni o dalla lontananza dalla capitale. In molti casi si era assistito a vere e proprie ‘rivolte fiscali’, quando (soprattutto in periodi di carestia) le tribù nomadi rifiutavano il pagamento dei tributi. Non diversamente da quanto accadeva negli altri territori maghrebini soggetti alla Porta ottomana, l’unico modo per ridurre le popolazioni all’obbedienza nei confronti del governo centrale era quello di organizzare una spedizione armata che ristabilisse il controllo sul territorio, a volte con l’uso della violenza contro le popolazioni ribelli obbligate a sottomettersi alla tassazione, in altri casi con la presa di ostaggi tra le principali famiglie, che erano inviati a Tripoli e che dovevano servire a scoraggiare altre ribellioni in futuro. Nel quadro del dominio ottomano la presenza europea si era limitata ai marinai e ai commercianti che toccavano i porti scambiando i prodotti locali con mercanzie portate dalla sponda settentrionale del Mediterraneo, ma molto raramente esploratori o viaggiatori si erano inoltrati nelle regioni più interne. Uno dei primi a farlo era stato il giovane tedesco Friedrich Edmund Hornemann5, a cui nel 1796 la Association for promoting the discovery of the interior parts of Africa di Londra aveva dato l’incarico di attraversare il Sahara libico e di raggiungere Katsina, lungo il medio corso del Niger: Hornemann, partendo dal Cairo e penetrando in territorio libico, non si riproponeva di conoscere in particolare il bil…d Barqa, ed in effetti il suo percorso, tra il 1798 e il 1801, toccò unicamente i centri di Jalu, di Aujila e Murzuq, ma non le città più settentrionali della regione. I primi viaggiatori europei nelle città della costa della Cirenaica che lasciarono una testimonianza scritta della loro esperienza erano al seguito di spedizioni armate organizzate dai Qar…m…nl¬ˇ per riportare il bil…d Barqa sotto il loro controllo. La prima descrizione ad essere conosciuta in Europa fu quella del medico genovese Paolo Della Cella, che nel 1819 dette alle stampe il suo Viaggio da Tripoli di Barbaria alle frontiere occidentali dell’Egitto6 : in forma epistolare, il Viaggio descri-

Hornemann, nato a Hildesheim nel 1772, aveva preparato accuratamente il suo viaggio studiando i testi della geografia antica, la mineralogia, la matematica e l’astronomia. Aveva qualche nozione di arabo, che approfondì durante il soggiorno al Cairo, e di medicina (E.V. Bovill, ed., Mission to the Niger, vol. I, Hakluyt Society, Cambridge 1964, p. 10 ; questo volume contiene anche il testo del Journal of Friedrich Hornemann’s Travels from Cairo to Murzuk, pubblicato per la prima volta in tedesco a Weimar nel 1801). 6 Pubblicato per la prima volta a Genova (Tip. A. Ponthenier) nel 1819. Citiamo dalla ristampa del 1912 : Dott. Paolo della Cella Medico Capo della R. Marina, Viaggio da Tripoli di Barbaria alle frontiere occidentali dell’Egitto. Terza ristampa condotta sulla prima edizione del 1819 col concorso della direzione degli ‘Annali di Medicina Navale e Coloniale’, Comando del Corpo di Stato Maggiore, Ufficio Storico, Tip. Unione Arti Grafiche, Città di Castello 1912. 5

73


veva il paese attraversato dalla spedizione del 1817 per domare una ribellione. Anche se la relazione di Della Cella fu la prima ad essere pubblicata7, almeno un altro viaggiatore italiano aveva percorso qualche anno prima il territorio della Cirenaica: di una precedente spedizione, organizzata a cavallo degli anni 1811 e 1812 e con lo stesso ruolo di medico, aveva in effetti fatto parte un pisano, Agostino Cervelli, che aveva scritto un diario (o forse solamente delle note) del percorso da lui fatto lungo la costa della Libia occidentale e attraverso la Cirenaica. Di un altro visitatore, Pacifico da Montecasciano (o Montecassiano), prefetto apostolico a Tripoli8, che aveva anch’esso attraversato lo stesso territorio, è difficile precisare la data del viaggio. Tuttavia solamente qualche anno più tardi dell’edizione del libro di Della Cella alcuni brani degli scritti di questi due viaggiatori erano stati pubblicati in Francia9. Secondo la testimonianza di Agostino Cervelli, nella redazione in lingua francese che ne fece il viceconsole di Francia a Tangeri, Delaporte, le uniche agglomerazioni urbane degne di questo nome nel territorio del bil…d Barqa sono Benghazi e Derna: nelle altre località da lui visitate, in generale sul sito di città più antiche, egli descrive in qualche raro caso l’esistenza di tre o quattro edifici abitati al massimo. Nella sua descrizione di Benghazi la città, situata su una punta di terra, è composta di case alte da sei a otto braccia costruite con pietre di piccola dimensione e calce. Ogni casa ha una grande porta che dà accesso ad un cortile lungo il quale si allineano le stanze. Secondo Cervelli la popolazione va da 7 a 8.000 anime10. Dopo aver brevemente accennato al modo di vivere degli abitanti11, Cervelli nota l’esistenza di una cittadella vicina al mare (di cui in un passo successivo si dice che è lontana circa trecento passi dalla città), difesa da alcuni pezzi di cannone, che è anche la dimora del Bey. 7 Ne fu fatta anche una traduzione inglese : Narrative of an expedition from Tripoli in Barbary to the western frontier of Egypt […] translated from the italian, by Anthony Aufrere, London 1822 (cfr. S. Bono, Storiografia e fonti occidentali sulla Libia (1510-1911), Quaderni dell’Istituto italiano di cultura di Tripoli, n.s. 2, ‘L’Erma’ di Bretschneider, Roma 1982, p. 78). 8 Il padre Pacifico fu prefetto della missione di Tripoli dal 1812 al 1815 e una seconda volta dal 1817 al 1820 (cfr. S. Bono, op. cit., ibid. ; F. Cresti, Documenti sul Maghreb dal XVII al XIX secolo nell’Archivio storico della Congregazione ‘De Propaganda Fide’, Università di Perugia, Perugia 1988, p. 359). 9 Nel 1825 alcuni estratti, tradotti in francese, delle due relazioni furono pubblicati nel secondo volume del periodico “Recueil de Voyages et de Mémoires, publié par la Société de Géographie” (II, 1825, pp. 15-31), come Relations inédites de la Cyrénaique. La prima parte (con il titolo : Extrait du Journal d’une expédition faite en 1811 et 1812, de Tripoli à Derne, par le désert) è il testo tratto dalla relazione di A. Cervelli, mentre la seconda (Relation succinte de la Pentapole Libyque) riprende le note del padre Pacifico (cfr. anche S. Bono, op. cit., p. 78). 10 “Cette ville, située sur une pointe de terre, est composée de maisons contigües, hautes de six à huit brasses, bâties de petites pierres liées avec du mortier. Chaque maison a une grande porte et une vaste cour, autour de laquelle sont des chambres, qui servent d’habitations à des familles maures; le nombre de celles-ci est à peu près de 7 à 8 mille âmes” (Extrait du Journal… cit., p. 16-17). 11 E in particolare il loro cibo abituale, la “zommeitah, polvere d’orzo bruciata come il caffè, che impastano con acqua e olio [… aggiungendovi]un po’ di carne e datteri” e le loro bevande (acqua e molto latte) (ivi, p. 17).

74


È curioso notare come la descrizione dopo le prime righe diventi confusa e contraddittoria: probabilmente ciò è dovuto alla redazione di Delaporte, che ha aggiunto alle note di Cervelli qualche altro testo di cui è difficile definire l’origine. In effetti la descrizione di “Ben Ghazy”, dove si legge che la città ha un porto naturale in grado di riparare i navigli da tutti i venti, continua con la curiosa affermazione che la città si trova “a due o tre miglia dal mare”. Poi, aumentando ancora la confusione del lettore, si afferma che la città moderna è posta sul sito dell’antica Berenice, le cui rovine sono lambite dal mare nei giorni di tempesta. Quando il mare si è calmato la gente va a frugare tra le rovine spazzate delle acque e vi trova monete e pietre antiche, di cui non sa valutare il grande pregio: le pietre antiche sono utilizzate unicamente per fare la calce. Continuando nella contraddizione, la descrizione afferma che “Bengaze” è una piccola città costruita vicino alle rovine antiche (dunque, sul mare), che conta circa 4.000 anime e che d’inverno è circondata dall’acqua. I dintorni della città sono costituiti da sabbia arida e vi si incontrano poche palme, mentre gli agricoltori riescono a trarne non molti prodotti (rape, zucche, cipolle e molti cetrioli). Dopo aver attraversato il jabal al-Akhdar e descritto le rovine di Cirene, Cervelli giunge a Derna, che è descritta come un’agglomerazione di quattro villaggi separati non molto distanti l’uno dall’altro: “Il primo dei quattro villaggi è Derna vera e propria; è cinto di muraglie e vi risiede il bey governatore; il secondo si chiama Boumansour (o Aboumansour), il terzo, Mogharah, e il quarto Zeliten; il primo, il terzo e il quarto sono situati nella pianura, e il secondo sul pendio di una montagna da cui si vede il mare”12.

Le case di Derna sono circondate da giardini e riparate dal sole da pergolati di uva, di cui i terreni intorno sono buoni produttori. Il modello degli edifici è lo stesso che si trova a Benghazi (ma secondo Cervelli le abitazioni di Derna sono in uno stato migliore, più pulite), mentre si afferma che nell’insieme dei suo quartieri la città contiene da nove a diecimila abitanti. I terreni intorno sono di grande fertilità e danno una grande varietà di prodotti agricoli, di frutti e di vegetali diversi grazie ad un ruscello che scende dalla montagna non lontana e che permette di irrigare abbondantemente i giardini ed i campi. La relazione di Pacifico da Montecassiano, che non conosciamo altrimenti che nella traduzione di Delaporte stampata a Parigi nel 1825, fa riferimento soprattutto alle rovine antiche delle città della Pentapoli (Cirene, Apollonia, “Tolo12 “Le premier des quatre villages est Derne proprement dit ; il est ceint de murailles, et le bey gouverneur y fait sa résidence; le second se nomme Boumansour (ou Aboumansour), le troisième, Mogharah, et le quatrième, Zeliten; le premier, troisième et quatrième sont situés dans la plaine, et le second, sur le penchant d’une montagne d’où l’on découvre la mer” (ivi, p. 24).

75


meta, Arsinoê, Bérénice”) e non dice quasi niente delle città moderne, se non per un accenno agli abitanti di Ben-Ghazy che hanno l’abitudine di scavare sul sito della città antica per trovare le pietre da costruzione per le loro case13. La relazione di Della Cella è molto più dettagliata e offre una quantità di informazioni molto maggiore. Il genovese descrive nella parte iniziale del suo libro come, dopo aver costeggiato le coste della Libia occidentale e attraversato il deserto della Sirte, la spedizione aveva percorso tutto il territorio del jabal al-Akhdar da Benghazi alla zone di confine con l’Egitto. A più riprese Della Cella si era allontanato dalla pista principale per visitare i territori vicini, attirato soprattutto dalle tracce frequentissime delle antiche civiltà. Ad eccezione di Darna e Benghazi, nel territorio da lui percorso non si incontrano città degne di questo nome: la maggior parte della popolazione afferma vive sotto le tende e sembra essere tornata ad uno stadio di civiltà primordiale, e soprattutto sembra non aver mai avuto nessun rapporto con viaggiatori giunti dall’Europa: “Vivendo in mezzo a queste popolazioni, che riproducono a’ nostri tempi i costumi delle prime età della specie umana, io godeva assaissimo di usar con essi, onde conoscerne l’indole ed i costumi. La prima volta che mi recai alle loro tende, tutte le donne e i ragazzi fuggirono; ma, rassicurati dalla mia guida, l’uno dopo l’altro cominciarono ad avvicinarsi e crebbero in tal numero che mi trovai nella folla. Forse ero il primo uomo non beduino che queste donne avevan visto”14.

A Derna e a Benghazi sono dedicate poche pagine nell’insieme del libro: la spedizione aveva toccato prima Derna, poi sulla strada del ritorno si era fermata nel capoluogo principale. Darna15 viene raggiunta alla fine di un percorso di avvicina-

Ivi, pp. 30-31. P. Della Cella, op. cit., p. 69. 15 Da quanto sappiamo dalle testimonianze archeologiche, il primo insediamento umano storicamente documentato in questa zona risale all’età greca, quando vi nacque uno scalo commerciale con il nome di Darnis. Al tempo di Alessandro Magno Darnis aveva un rango minore: non era una polis e non faceva parte delle cinque città che avevano dato il nome alla regione (Pentapolis): probabilmente ebbe un importante sviluppo in età tolemaica, per divenire parte dei possedimenti romani nell’anno 96 prima dell’era volgare. La città è citata nella geografia di Tolomeo e in età cristiana fu sede di un vescovado ancora esistente all’epoca del concilio di Nicea nel 325 E.C. Come il resto del territorio costiero fu sotto il controllo dell’impero bizantino fino al VII secolo (cfr. P. Romanelli, Cirenaica romana, in Storia della Libia, Verbania, 1940 ; L. Veccia Vaglieri, a.v. Darna, in “Encyclopedia of Islam”, II ed., vol. II, Leiden-Paris, 1965, p. 160; É. de la Primaudaie, Le littoral de la Tripolitaine. Commerce, navigation, géographie comparée, A. Bertrand, Paris s.d. [1865?]). Le informazioni su Darna nelle opere della geografia arabo-islamica non sono numerose, e spesso sono confuse. Secondo Y…k™t, fu qui che trovò la morte il governatore della regione, Ab™ Shadd…d Zuhayr b. Kays al-Balaw† (nel 74 o nel 76 H., 693-695), nel tentativo di contrastare uno sbarco bizantino: Y…k™t afferma che all’epoca in cui scrive le tombe del governatore e degli altri suoi settanta compagni caduti nella stessa occasione (tra cui Ab™ Mans™r e ‘Abdallah b. B…r) sono particolarmente venerate. Il porto di Darna è citato in uno degli itinerari marittimi di alBakr† (op. cit., passim), ma l’assenza di riferimenti in altre opere geografiche fino al XV secolo fa pensare che la città fosse decaduta e spopolata in seguito, sia perché il suo approdo non era tra i migliori in quel tratto di costa, sia perché le alture del jabal al-Akhdar che la circondavano ne rendevano difficile il collegamento ed i commerci con 13 14

76


mento dalle alture del jabal al-Akhdar e appare come un’oasi sul mare in fondo ad una scarpata scoscesa:

“Il territorio di Derna è un lembo di pianura feracissimo, raccolto in un seno di mare, chiuso a ponente dal capo di Bon-Andrea, a levante dalla prolungazione di queste stesse rupi, che, dopo essersi innalzate in giro a questo piano, si protendono a levante, scoscese sul mare”16.

Tutta questa striscia di terra è coltivata, e nelle sue piantagioni spiccano alte le palme, insieme agli ulivi e ad altri alberi da frutto. Della Cella è meravigliato di trovarvi dei banani (che “grandeggiano di forme veramente asiatiche”), che chiama ‘fichi di Adamo’ e che ha incontrato qui per la prima volta nel corso del suo viaggio. La parte abitata della città è circondata da questo grande giardino e “le sue strade sono assai regolari, ma le case, al solito basse, fabbricate di ciottoli, tenuti insieme con argilla, picciole e per ogni verso screpolate, spiran miseria”17.

La povertà delle abitazioni appare al viaggiatore come un segno della scarsa propensione al lavoro degli abitanti, dal momento che, afferma, i dintorni sono ricchi di pietra che potrebbe essere usata per fare la calce, e anche il combustibile (la legna dei boschi) sulle alture che circondano la città non manca. Al centro dell’abitato si innalza il “castello del Bey [… che] dalla grandezza in fuori, non è meno squallido e cadente delle case de’ privati”18. l’interno del territorio e con la pista che attraversava da est ad ovest tutta la regione sulle alture del jabal: questa pista, che era anche uno dei principali percorsi del pellegrinaggio, si snodava a circa novanta chilometri più a sud. Darna era risorta dalle sue antiche rovine in un’epoca imprecisata, probabilmente alla fine del XV secolo, quando era stata ripopolata da emigrati provenienti dalla Spagna in seguito alla caduta del regno di Granada Le fonti arabe descrivono una città in rovina agli inizi del XVII secolo e che sarebbe risorta grazie all’intervento di un pasha turco di nome K…sim, che durante un viaggio da Tripoli a Costantinopoli aveva notato la fertilità della zona e ottenuto dalla Porta il permesso di trasferirvisi con un gruppo di coloni di origine andalusa. Secondo le stesse fonti, popolazione della stessa origine (per un totale di 800 persone) vi sarebbe giunta da Tunisi nel 1637 (queste notizie e le seguenti, basate sulle relazioni di viaggio di al-‘Ayy…sh† e di Ibn N…sir al-Dar’† (XVII-inizi del XVIII secolo), sono riportate in L. Veccia Vaglieri, op. cit., p. 161). Il dey di Tripoli Muhammad (1041-1059 H./1632-1649) e il suo successore ‘Uthm…n nel corso di una serie di campagne destinate a mettere sotto il diretto controllo di Tripoli i traffici transahariani che raggiungevano i porti della costa della Cirenaica attaccarono Darna a più riprese. In seguito a questi avvenimenti la città fu di nuovo quasi spopolata, per riprendersi alla fine del XVII secolo, quando fu rimesso in funzione e migliorato il sistema di irrigazione. Appartiene a quest’epoca anche la Grande moschea, che secondo la tradizione locale è dovuta ad un bey di nome Muhammad. Nel corso del XVII secolo la città si ribellò più volte per liberarsi della tutela di Tripoli. Sono inoltre noti in quest’epoca apporti di nuova immigrazione provenienti da occidente (in particolare da Misr…ta) e, nella seconda metà del secolo, una carestia che ne decimò la popolazione. 16 P. Della Cella, op. cit., p. 111. 17 Ivi, pp. 111-112. 18 Ivi, p. 112.

77


La ricchezza dell’agricoltura intorno alla città – racconta Della Cella – è il frutto di due sorgenti che scorgano non lontano, lungo le pendici del jabal: una di queste è incanalata per servire agli usi di Darna, mentre l’altra va al villaggio non lontano di “Bemensure”19. Le risorse della città potrebbero garantire alla sua popolazione un livello di agiatezza molto più elevato di quanto permettano le condizioni politiche:

“V’hanno in Derna tutti gli elementi di una agiata sussistenza, per una discreta popolazione, che potesse tranquillamente stabilirvi la sua sede. Carni e latte squisiti sono qui arrecati dagli arabi, che pascolano numerose mandre ne’ monti vicini. Il piano è attissimo ad ogni sorta di granaglie, e vi stanziano sicuri in inverno i frutti più delicati. Oltre i prodotti del suolo, gli abitanti ricavan gran copia di miele dalle api, che si moltiplicano prodigiosamente fra i creti delle rupi vicine e sostengono un ramo di commercio assai lucroso e di nessuna spesa. Ma la barbarie attossica tutte queste sorgenti di pubblica prosperità. L’abitante non è sicuro delle invasioni de’ Beduini, che spesso vengono, a mano armata, a saccheggiare la città; se riesce a salvarsi da questi assassini, non la sfugge alla rapacità de’ Governanti”20.

Le condizioni sanitarie costituiscono un freno allo sviluppo e la peste, che giunge dall’Egitto, infierisce spesso sulla popolazione, che per il suo fatalismo non fa niente per evitare il contagio: Della Cella informa di una recente pestilenza (di cui non cita tuttavia l’anno) che ha ridotto la popolazione da 7.000 a 500 anime. Del passaggio e dell’occupazione da parte della marina statunitense qualche anno prima21 Della Cella ha notizie imprecise: afferma che gli Stati Uniti avrebbero

19 L’agglomerazione di Darna era allora composta da diversi villaggi separati, che con il passare del tempo e l’infittirsi delle abitazioni erano divenuti ‘quartieri’, per costituire più tardi una città all’interno della quale non appare più nessuna separazione tra le diverse parti. Nella prima metà dell’800 la separazione dei villaggi era ancora molto evidente, sottolineata anche da una muraglia che circondava la zona più importante (É. de la Primaudaie, op. cit., p. 8, che fa riferimento alla descrizione di J.R. Pacho, Relation d’un voyage dans la Marmarique et la Cyrénaïque et les oasis d’Audjelah et de Maradeh, Paris, 1827). 20 P. Della Cella, op. cit., p. 112. 21 Agli inizi del secolo la città fu coinvolta nelle ostilità tra le potenze occidentali e la reggenza di Tripoli. Dopo il trattato concluso tra Tripoli e gli Stati Uniti nel 1796 erano sorte contestazioni su un suo capitolo finanziario: una squadra statunitense attaccò Tripoli nel 1802 dopo la dichiarazione di guerra e il conflitto durò fino al 1805. Nel corso del conflitto gli Stati Uniti cercarono di sfruttare le rivalità esistenti all’interno dei Qar…m…nl¬ per volgere la situazione a loro favore: nel 1802 alcune navi statunitensi portarono a Darna da Tunisi, dove si trovava in esilio, Ahmad bey, fratello spodestato dell’allora pascià di Tripoli, Y™suf, spingendolo ad organizzare una rivolta per impadronirsi del potere. La rivolta fallì e Ahmad abbandonò Darna rifugiandosi in Egitto, da dove nuovamente, agli inizi del 1805, organizzò con l’aiuto dei marines statunitensi una spedizione che si impadronì della città il 26 aprile di quell’anno. Darna fu occupata e difesa contro le forze tripoline venute ad attaccarla; nel mese di luglio dello stesso anno, in seguito alle trattative che riportarono la pace, gli occupanti evacuarono la città, dove Muhammad bey Qar…m…nl¬ ristabilì il controllo di Tripoli (cfr. E. Dupuy, Américains et Barbaresques, Paris, 1910 ; E. De Agostini, Una spedizione americana in Cirenaica nel 1805, in “Rivista delle Colonie Italiane”, 1928, pp. 721-732 ; 1929, pp. 41-56 ; E. Rossi, Storia di Tripoli… cit., pp. 264-266; G. Restifo, Quando gli americani scelsero la Libia come ‘nemico’, A. Siciliano, Messina 2007).

78


voluto crearvi uno stabilimento militare e che si erano impadroniti con la forza di quel tratto di costa dopo aver avuto un rifiuto dal governatore della regione per il suo acquisto. Continua raccontando che gli americani erano rimasti qualche tempo nella città, costruendo alcune fortificazioni – di cui rimanevano ancora, all’epoca del suo passaggio, una batteria con sei pezzi di cannone – e un mulino ad acqua che era rimasto in funzione anche dopo la loro partenza, con grande meraviglia tra quanti lo vedevano per la prima volta. Secondo l’autore, la causa dell’abbandono della città da parte degli statunitensi è la mancanza di una rada utilizzabile per un ancoraggio sicuro: la costa di Darna è infatti percorsa a non grande profondità da linee di scogli che danneggiano le gomene delle navi che vogliono trattenervisi22. Alla fine del periplo del jabal al-Akhdar la spedizione tripolina di cui fa parte Della Cella tocca l’altra città importante della regione, Benghazi, che viene descritta in uno dei capitoli finali dell’opera. Il suo porto è giudicato poco sicuro e il suo accesso pericoloso per i piloti che non lo conoscono: infatti all’imboccatura dell’insenatura naturale che lo costituisce si trovano molti scogli, tanto è vero che in caso di tempesta i navigli preferiscono rifugiarsi in una rada distante cinque miglia più a sud. Alle spalle della città si apre uno stagno che è in comunicazione con il mare attraverso un canale stretto attraverso i quale possono passare le barche da pesca: questo stagno è frequentato dagli uccelli acquatici, e in particolare dai fenicotteri. Della Cella tenta di ritrovare nella topografia della città i riferimenti degli scrittori antichi che avevano parlato di Berenice, ma senza riuscirci: Strabone aveva descritto un isolotto nel centro di uno stagno (la palude Tritonide, con cui Della Cella identifica la sebkha vicina alla città) in cui si elevava un tempio dedicato a Venere e il fiume Lete che giungeva al mare non lontano dalla città, ma né di quelli né di questo Della Cella riesce a trovare le tracce, cercando di capirne il motivo23. Dell’antica Berenice rimangono solamente le tracce in una quantità di blocchi di pietra che cospargono il sito. L’uso antico della pietra squadrata è andato perduto con il tempo, e il modo di costruire usato dalla popolazione è molto più semplice: “Gli abitanti di Bengasi riducono in pezzi queste belle pietre, per impiegarle nei loro meschinissimi casolari, che anche qui son tenuti insieme con impegolature di argilla. Il loro tetto è un tessuto di alghe rassodato collo stesso

22 “I marinai chiaman queste affilate schiene di scogli segatoj, perché le gomene, a lungo strofinare su di esse, ne restan logore e tagliate” (P. Della Cella, op. cit., p. 113. Cfr. anche É. de la Primaudaie, op. cit., p. 9). 23 “Dell’essere scomparso il tempio e benanche l’isolotto, o scoglio, che gli serviva di base, può esserne colpa il tempo. Quanto al fiume Latone […] di letto di vero fiume non v’è traccia in tutto questo tratto di littorale, che Da Berenice si stende verso il capo Ras-Sem. Ma il nome di fiume, usato dagli antichi, dee essere inteso con molta discrezione in questa regione ; perché l’ho veduto adoperato per esprimere ogni ruscelletto, che nella stagione piovosa scende da’ colli e si perde nelle sabbie del littorale, lasciando in estate appena l’indizio del corso che ha seguito” (ivi, pp. 121-122).

79


fangoso cemento. Ogni anno, quando la stagione delle piogge è imminente, ristorano le loro case, ma accade talvolta, che prima che le piogge siano restate, il tetto è distrutto e le mura cadono a pezzi”24.

Anche l’edificio più importante della città, il castello del Bey, è costruito nello stesso modo: la presenza di nove pezzi di cannone rivolti verso la città lo contraddistingue, ma la costruzione non è molto più resistente di un’abitazione normale, tanto è vero che le stesse mura del castello cadono in pezzi ogni volta che i cannoni vengono utilizzati. Secondo Della Cella la popolazione della città raggiunge i cinquemila abitanti ed è composta per circa la metà da ebrei. Su questa popolazione grava una sola autorità, quella del Bey che riunisce in sé tutti i poteri civili, militari e giudiziari, e che riscuote le tasse e diversi balzelli a volte abitudinari, altre volte arbitrari. Sembra a Della Cella che il pagamento e la riscossione dei tributi siano il solo rapporto tra il governatore e i governati. Il viaggiatore racconta una vicenda (che a mia conoscenza non si ritrova in nessun’altra fonte storiografica e sulla cui veridicità è per questo difficile pronunciarsi) per illustrare questa sua impressione: “Non ha gran tempo che una tribù di Beduini delle campagne adiacenti assalì Bengasi, scacciò di viva forza gli antichi abitanti , si stabilì nelle loro case e vi rimane tutt’ora. Il Bascià non si è punto conturbato di questa violenza. Gli abitanti gli avevano fortunatamente già pagato il tributo di quell’anno; i nuovi ospiti si affrettarono di pagarlo anche essi; così il Bascià ebbe molto a lodarsi della sua buona città di Bengasi, che avea pagato due tributi in un anno”25.

Gli ebrei costituiscono la parte della popolazione dedita al lavoro, mentre la parte rimanente vive alle loro spalle. Gli ebrei non possono possedere case o beni immobili, e devono pagare somme notevoli per essere alloggiati nella casa di un musulmano, senza per questo essere esenti da maltrattamenti: Della Cella racconta di aver visto vendere all’incanto da parte del proprietario di una abitazione i panni di cui l’affittuario ebreo si era spogliato andando a dormire! Tuttavia, malgrado i cattivi trattamenti, gli ebrei sono attratti dalla città perché in essa sono possibili cospicui guadagni nell’esercizio del commercio: Benghazi è in effetto il mercato del bestiame delle tribù dell’interno, e attraverso le piste carovaniere vi giungono piume di struzzo e prodotti dell’allevamento beduino, come la lana e il burro, o dell’agricoltura, come le mele. Già il solo commercio delle piume di struzzo è un ramo di attività molto lucroso, e gli ebrei sono riusciti ad averne il monopolio: 24 25

80

Ivi, p. 122. Ivi, pp. 122-123.


“Gli ebrei pagano annualmente una grossa somma al Bascià per potere essi soli comprarli, e farne traffico. Il Beduino porta a Bengasi la pelle di questo uccello guarnita delle sue penne, vende quella del maschio a circa 30 pezzi di Spagna, e la metà di questo prezzo quella della femmina. L’ebreo la rivende a Livorno e a Marsiglia per lo più il triplo della compra”26.

La lana del mercato di Benghazi è inviata a Tripoli, dove viene usata nella tessitura locale o inviata all’estero, mentre il bestiame genera diverse correnti di scambio, soprattutto in direzione di Malta, non tanto per il consumo degli abitanti dell’isola, quanto per il rifornimento delle navi di passaggio. Contro le merci portate dall’interno si scambiano capi di abbigliamento (“benussi”) fabbricati a Tripoli, utensili, stoviglie, polvere da sparo e armi. Nella sua ricerca delle città descritte dai geografi antichi Della Cella identifica il sito dell’antica Barce, che raggiunge venendo da Benghazi: “[…] ne ho trovato le rovine in questi monti, in un sito, ora detto Merge, e vi giunsi dopo due ore di cammino per un sentiero assai ripido nella direzione di scirocco. Sono ruderi di tombe e resti di mura, sparse in un suolo pianeggiante, con pozzi profondissimi, alcuni de’ quali seguitano a fornire acqua eccellente. Il sito è campestre, e benché più selvaggio, partecipa anch’esso dell’aspetto già descritto dei monti cirenaici”27.

3. Le città del bil…d Barqa negli ultimi decenni dell’Ottocento

Dopo i viaggi di Cervelli, Della Cella e di padre Pacifico nei primi decenni dell’Ottocento i viaggiatori italiani in territorio libico furono estremamente rari per circa un cinquantennio, e ancor più rari furono coloro che lasciarono una traccia scritta dei loro viaggi. Un altro sacerdote francescano, Filippo da Segni, nel 1850 si inoltrò verso il sud a partire da Tripoli e raggiunse Murzuk e i territori del Bornu aggregandosi ad una carovana commerciale28, ma il suo percorso non toccò la Cirenaica. Nello stesso modo, la maggior parte degli esploratori europei che attraversarono i territori libici nel corso del XIX secolo erano interessati soprattutto al Sahara, nel tentativo di approfondire le conoscenze sul centro dell’Africa e in generale sui territori che separano il Mediterraneo dal golfo di Guinea. Così, già nel 1819 Joseph Ritchie e George Francis Lyon raggiunsero Murzuk da Tripoli, seguendo in parte il percorso di Hornemann ; William Oudney, Hugh Clapperton e Dixon Denham ripresero la stessa strada nel 1822, toccando il lago Ciad nel 1824. Ivi, p. 124. Ivi, p. 134. 28 Viaggio del Padre Filippo da Segni da Tripoli di Barbaria al Bournou nel 1850, in “Bollettino della Società Geografica Italiana”, IV, 1870, pp. 137-150, cit. in S. Bono, op. cit., p. 84. 26 27

81


Nel 1825 fu lo scozzese Alexander Laing che attraversò il jabal tripolitano e che descrisse Ghadames nel corso di un itinerario che lo portò fino a Tumbuctu, mentre circa venti anni più tardi l’inglese James Richardson fece il cammino da Tripoli à Ghadames, passando poi a Ghat e a Murzuk per tornare infine a Tripoli. Fanno eccezione per la strada scelta, in questa prima metà del secolo, il francese Jean-Raymond Pacho, che nel 1826 fu a Bengasi29, e l’esploratore tedesco Heinrich Barth, che tra il 1845 e il 1847 percorse tutta la costa del Maghreb da Tangeri ad Alessandria d’Egitto, attraversando dunque la regione mediterranea del bil…d Barqa. Altri esploratori europei, tra il 1820 e il 1860, percorsero il territorio soprattutto alla ricerca di reperti archeologici e di opere d’arte antica: gli inglesi fratelli Beechey (1821-1822), il console H.G. Warrington (1826-1830), gli ufficiali di marina R.M. Smith e E.A. Porcher (1860-1861), che saccheggiarono le rovine di Cirene, e il francese Vattier de Bourville (1848). Un altro esploratore tedesco, Gerhard Rohlfs, dal 1863 attraversò a più riprese le regioni sahariane della Libia : dopo un primo viaggio che lo aveva portato dal Sahara algerino a Ghadames e infine a Tripoli, nel 1865 aveva percorso in senso inverso il Fezzan nel corso di un viaggio memorabile che gli aveva permesso di raggiungere il golfo di Guinea a Lagos nel 1867. Due anni più tardi fece un viaggio da Bengasi alla valle del Nilo passando per Aujila e Siwa: il suo obiettivo era allora l’oasi di Kufra. Solamente in un ulteriore viaggio, nel 1879, egli raggiunse l’oasi di Tazerbo, la più settentrionale del gruppo, e al-J™f, la sua principale agglomerazione: da lì rientrò a Bengasi30. Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta dell’Ottocento l’interesse di alcuni gruppi imprenditoriali italiani per un’apertura del bil…d Barqa ad operazioni di carattere commerciale segnò una nuova tappa nella conoscenza della regione da parte degli europei. L’iniziativa che portò ad organizzare una serie di spedizioni esplorative nella regione costiera della Cirenaica fu presa da Manfredo Camperio, fondatore, a Milano nel 1879, della Società di Esplorazione Commerciale in Africa31: J.R. Pacho, op. cit.. Tra le diverse opere pubblicate da Rohlfs sui suoi viaggi, citiamo quelle che riguardano il territorio libico : Reise durch Marokko, Uebersteigung des grossen Atlas, Exploration des Oasen von Tafilet, Tuat und Tidikelt und Reise durch die grosse Wüste über Rhadames nach Tripoli, Kuhtmann, Bremen 1868 ; Von Tripolis nach Alexandrien, Kuhtmann, Bremen 1870 ; Reise durch Nord-Afrika; Reise von Tripolis nach der Oase Kufra, Brockhaus, Leipzig 1881. Il testo in cui Barth descrive il suo viaggio da Tripoli ad Alessandria è occupato in massima parte da annotazioni relative all’antichità classica e ai siti archeologici. 31 Cfr. A. Milanini Kemény, La Società di Esplorazione Commerciale in Africa e la politica coloniale, La Nuova Italia, Firenze, 1973. Si rimanda a questo lavoro per le vicende dell’esplorazione della Cirenaica da parte della Società, a cui parteciparono, oltre a Camperio, il capitano di marina Bottiglia, Pietro Mamoli, il commerciante Vittorio Pastore e il magistrato Giuseppe Haimann. Haimann pubblicò i resoconti del suo viaggio nel “Bollettino della Società Geografica Italiana”, poi riuniti in volume (La Cirenaica, Civelli, Roma, 1882; altra ed. Hoepli, Milano, 1896); Camperio pubblicò a sua volta il resoconto del suo viaggio nella rivista “L’esploratore, giornale di viaggi e di geografia commerciale”, da lui fondata (1881, pp. 257-268; 289-303; 329-344; 361-362; 1882, pp. 516; 52-67). Sulla spedizione e sui suoi risultati cfr. anche E. De Leone, Le prime ricerche di una colonia e la esplorazione geografica, politica ed economica, in Ministero degli Affari Esteri, Comitato per la documentazione dell’opera dell’Italia in Africa, L’Italia in Africa, vol. II, Ist. Poligrafico dello Stato, Roma, 1955, pp. 259-264. 29 30

82


con il finanziamento e l’appoggio del governo italiano, tra il 1880 e il 1882 la Società organizzò diversi viaggi e curò nel corso di quel decennio la pubblicazione di una notevole serie di scritti, sotto la forma di monografie o di articoli che apparvero soprattutto nella rivista “L’Esploratore” (di cui Camperio era direttore dal 1876), che arricchiscono la nostra conoscenza anche sulle principali agglomerazioni urbane del paese. Una delle spedizioni, nel 1881, fu diretta da Giuseppe Haimannn, che ne lasciò il resoconto in un volume pubblicato nel 188632. La parte dell’opera dedicata alle due città principali è alquanto diversa: in effetti, giunto per mare nelle vicinanze di Benghazi ed arrivato fortunosamente in città dopo il naufragio della nave che lo trasportava insieme ad altri membri della spedizione, Haimann non descrive di questa città che alcuni personaggi incontrati e le vicende per l’acquisto di materiali per la spedizione, mentre al contrario si sofferma su Derna, che descrive con maggiore accuratezza. Darna appare dal ciglio dell’altipiano a chi giunge dal nord al centro di una grande pianura “nella quale biancheggia il marabut di Sidi Aziz, piccolo edificio quadrato con sei comignoli […] in una località detta Fteja”33. Le prime case della città si raggiungono al sobborgo di Bu Mansur, dove il cimitero ha due “marabut” coperti da una piccola cupola: aldilà del letto asciutto del w…d† Darna si entra nelle stradine della città che portano alla grande piazza su cui si eleva il castello che è la residenza del “kaimakan” e della guarnigione. La cittadina fa un’ottima impressione ad Haimann:

“Fra le molte città orientali, che abbiamo veduto nel corso delle nostre peregrinazioni, Derna è certamente una delle più simpatiche. Ha un bazar coperto molto pittoresco e abbastanza ben fornito, una grande moschea sormontata da cupoline metalliche, che luccicano al sole, e strade discretamente pulite, in fondo alle quali si scorge il fresco verde dei giardini che da ogni parte circondano la città”34.

Pur non essendo (afferma) facile fornire cifre precise, Haimann giudica che la popolazione di 6.000 anime correntemente attribuita alla città all’epoca del suo viaggio sia inferiore alla realtà, e stima che essa raggiunga almeno le 7.000: secondo altre valutazioni gli abitanti della città sono ancor più numerosi35, e tra di essi si contano 150 ebrei e 60 candioti, mentre all’epoca del passaggio di Haimann vi si trovavano anche cinque europei. G. Haimann, op. cit. Ivi, p. 103. 34 Ivi, p. 106. 35 Haimann fa riferimento alle valutazioni di Pietro Mamoli (cfr. infra), che giunge a 7.800 abitanti. 32 33

83


Nella città non ci sono alberghi, e tra le altre tracce della modernità è assente un servizio medico (non c’è né medico, né levatrice, afferma). Una compagnia francese ha costruito di recente un nuovo faro e il porto è formato da un’ampia baia naturale che potrebbe essere resa più sicura per le navi all’ancora con lavori di non grande importanza: la maggior parte dei commerci marittimi si svolge con Candia, i cui velieri mantengono uno scambio abbastanza attivo con la città. Un altro membro della Società di Esplorazione commerciale, il capitano G. Bottiglia, arrivato a Bengasi nei primi giorni di gennaio del 1881, comunicò i risultati delle sue osservazioni in Italia spedendo dispacci al periodico “L’Esploratore”. Se ne ricava una descrizione della città e dei suoi commerci particolarmente dettagliata:

“La città corre dal sud-ovest al nord-est per uno spazio di chilometri 1 e 400 per 600 metri circa, conta 15,000 abitanti con pochissimi europei e un clima sanissimo; i suoi confini sono da est a nord un bosco di palme, da nord ad ovest il mare, da ovest a sud il porto e da sud ad est le saline. Essa è come sono tutte le città arabe dalle strade fangose e sassose, dalle case basse e crollanti; si può dire divisa in tre quartieri, cioè europeo, che principia alla marina, dopo il castello del Pascià; in esso vi sono tutte le abitazioni dei consoli e qualche famiglia maltese; vi è pure un convento di frati e suore con una chiesa cattolica. – Il quartiere misto è abitato da turchi, greci, arabi, ecc. vi si trova il mercato che, per essere tutto coperto, prende il nome di Suck-el-lam (Bazar oscuro), nonché la piazza grande ove si trova il mercato di granaglie, bestiame, ecc. e la moschea principale. – L’ultimo poi è quello abitato puramente dagli arabi indigeni ed i turchi stessi ci pensano per bene, avanti di attaccar briga in quel quartiere. Una delle piaghe principali è la scarsità d’acqua; poche sono le case che hanno la fortuna di possedere un pozzo, e queste, è inutile il dirlo, sono nelle mani d’europei, gli altri poi bisogna che l’acquistino e vien portata in città in piccoli barili sopra somarelli e costa oggi due piastre e mezza due bariletti da 45 litri l’uno. Quando poi non piove per lungo tempo allora non ha prezzo. Questo dipende dall’inerzia sì del governo che della popolazione, poiché a poche miglia vi è un fiume che dicono sia il Lete (?) che darebbe acqua d’affogare Bengasi, ma gli arabi la tengono per acqua santa, poiché dicono che, bevendola, ringiovanisce e fa dimenticare il passato”36.

La campagna intorno alla città è di grande bellezza, e la vegetazione è rigogliosa: tra i prodotti sono particolarmente abbondanti gli aranci e i limoni, soprattutto nella valle che Bottiglia chiama di “Senit Osman”.

36 “L’Esploratore. Giornale di viaggi e geografia commerciale. Organo ufficiale della Società d’esplorazione commerciale in Africa. Diretto dal Capitano M. Camperio” [da adesso: “L’Esploratore”], anno V, Milano 1881, pp. 104-105.

84


Il commercio è nelle mani della popolazione israelita. Le merci da esportazione sono le granaglie, il sale, il bestiame e i prodotti dell’allevamento (carne, pelli, lane…), la cera e infine quelle portate dai paesi del Sudan, in particolare le penne di struzzo e le zanne di elefante; quelle dell’importazione i prodotti delle manifatture, i prodotti alimentari (paste, zucchero, caffè, frutti, verdure…) e il petrolio. Il governo ha ceduto già da dieci mesi le dogane dei principali prodotti sottoposti a tassazione (sali, tabacchi, seta, spirito, carta bollata) ad una società privata greca, e per conseguenza il suo intervento nel controllo dei commerci risulta ridotto ai minimi termini. In un’altra corrispondenza inviata al giornale Bottiglia aggiunge altri elementi interessanti sulla città:

“[…] La compagnia dei fari e fanali ha costruito, or sono nove mesi, un fanale di 3a grandezza a luce girante, visibile a 15 miglia in mare […] La popolazione di Bengasi si compone di 15.000 anime circa, poiché non vi è censo che possa regolare le nascite e le morti; cioè arabi di origine dei Mesurata 12,000 e forastieri (turchi ebrei, cattolici ed altri arabi) 3,000. I costumi sono puramente arabi, non conoscono vita sociale; la donna […] vi è bandita, obbligata a vivere una vita di reclusione e quando esce è tutta coperta […]. La città si compone di 1950 case arabe, delle quali un quarto sono crollanti e colla prima pioggia se n’andranno […], e cinquanta europee, conta una zavia (moschea), sette sgiame (due appartengono agli snussi), due dogane, un tribunale di grazia e giustizia, retto da un Kadi, ed un tribunale di commercio, una scuola tecnica turca, un ospedale militare ed un mercato; manca totalmente di case industriali, difetta molto d’acqua, che viene portata in città in piccoli bariletti su asini […]. Poche sono le case che hanno una cisterna per raccogliere acqua piovana […]. Vi è pure una missione cattolica con tre frati e tre suore […] le suore tengono pure una scuola di ragazze . – Vi è pure un piccolo ospedale per gli europei, ma fino ad oggi non esiste che il locale per mancanza di fondi necessari. La missione è sotto la protezione della Francia”37.

37 Cap. Bottiglia, lettera da Benghazi, 24 giugno 1881, in “L’Esploratore”, V, 1881, pp. 277-280. Anche Manfredo Camperio durante il suo viaggio in Cirenaica aveva descritto la missione cattolica : “Ho visitato verso sera la missione cattolica composta di due buoni frati. – Mi parlano dell’influenza che potrebbero avere per la civilizzazione e sviluppo dei commerci di questo paese, se fossero aiutati come i missionari francesi lo sono dal rispettivo governo, ma i loro mezzi attuali sono troppo limitati. – Questa stazione dipende dalle missioni di Tripoli. – Visitai pure le due suore che vivono in un locale separato. I due conventi sono spaziosi, con bella chiesa e salone che potrebbe servire da ospitale. Le suore sono francesi e tengono una dispensa di medicinali” (Una gita in Cirenaica (Note del Cap. M. Camperio), in “L’Esploratore, V, 1881, p. 266).

85


La situazione politica interna sembra subire in quel momento i contraccolpi della politica internazionale e gli stranieri sono sospettati di essere agenti delle potenze europee che si ingeriscono sempre più pesantemente nelle vicende locali. Ciò è particolarmente evidente dopo la spedizione francese contro Tunisi:

“Al momento in cui scrivo siamo sorvegliati a vista e ciò in seguito alla questione tunisina […] nientemeno si diceva giorni fa che io comperavo grano per le truppe cristiane che devono venire […]. Il sig. Laval […] anche lui è diventato uno spauracchio, lo dicono mandato dal governo francese per studiare le posizioni. Dovunque gli arabi vedono nemici”38.

Nel corso dei loro viaggi attraverso il bil…d Barqa i membri della Società ebbero l’occasione di visitare e descrivere anche le altre agglomerazioni urbane di quel territorio. Non lontano da Bengasi, verso l’interno, Camperio incontra

“[…] la gran città di Merg. Il primo fabbricato che s’incontra è una zauia a mano destra, poi la bottega del nostro amico Geriba ove si trova tutto ciò di cui hanno bisogno i beduini […]. Altre bottegucce si trovano in Merg sulla gran piazza centrale che costituisce poi tutto l’abitato composto di cento case con circa 10 abitanti per casa, ciò che mi dà una popolazione di 1000 abitanti, dei quali 70 ebrei e un cristiano. Sulle facciate di quasi tutti questi casolari quale sostegno per le piccole porte d’entrata figurano colonnette di 80 centimetri circa di altezza e 20 di diametro, alcune scannellate, e capitelli eleganti e vari disegni. Non sono ruderi delle antiche abitazioni di Barka, ma d’un’epoca posteriore, tenuto conto dello stile che è quasi saraceno. A pochi passi dalla città verso occidente troviamo due grandi serbatoi ed uno più piccolo fabbricato in pietra con pochi avanzi di un acquedotto che vi conduceva l’acqua dai monti e dal piano superiore […]”39.

Merg è l’unico centro abitato che si incontra tra Benghazi e Darna: l’amministrazione ottomana ha un altro importante punto di appoggio a “Ghegab” (Qayqab), dove tuttavia c’è solamente un castello per i funzionari ed i soldati turchi, ma nessun altro edificio al suo esterno, e che dunque non può considerarsi né un villaggio, né tanto meno una città40. Su Darna, dove la Società aveva fondato una stazione commerciale che rimase in funzione per alcuni anni, le informazioni e i documenti sono particolarmente interesIvi, p. 280. Una gita in Cirenaica… cit., p. 299. 40 P. Mamoli, Cirenaica, in “L’esploratore”, V, 1881, p. 241. 38 39

86


santi. Pietro Mamoli in particolare, che vi risiedette tra il 1881 e il 1882, ha lasciato sulla città una numerosa serie di pagine41. Eccone una descrizione di carattere generale:

“Il quartiere più importante, che si chiama città, siede sulla sponda sinistra dell’uadi, a ponente gli sta Gibela ed a mezzodì, alle falde della montagna sorge Mogar colle sue stradicciole scoscese, coi suoi giardini scavati nel masso, colle piccole finestre che dominano le terrazze della città; al di là dell’uadi e giù giù fino al porto di scorge l’altro quartiere di Bumansur che si divide in Bumansur disopra e disotto. Il castello, meno cadente di quello di Bengasi perché più recente, sta sull’estremo limite della città proaspiciente Mogar; è un quadrilatero di metri 60 per 80 ed ha due soli torrioni che guardano a ponente. Tutti i quartieri compresi constano di 687 case e 172 botteghe, queste ultime sono tutte nel bazar e adiacenze, e misurano in genere un metro e 20 centm. di larghezza per tre di sfondo circa. Le case, poche eccezioni fatte, sono tutte ad un solo piano con un cortile quadrato o quadrilatero e nel mezzo a ciascun lato s’apre una porticina a tutto sesto e così bassa, che colla mia testa tocco spesso la sommità dell’arco. […] Ogni casa ha un pozzo, e circa venti soltanto sfoggiano il lusso di due piani, ai quali, però, per solidità può aspirare una buona metà dei fabbricati, dalla qual cosa emerge che, senza allargare la cerchia dell’abitato, la città sarebbe in breve tempo suscettibile di raddoppiare la popolazione”42.

L’incarico di Pietro Mamoli riguarda lo studio delle possibilità di sviluppo e di investimento commerciale della città e dei suoi dintorni, e soprattutto su questo aspetto, che tuttavia non esamineremo dettagliatamente in questa occasione, si soffermano gran parte delle sue pagine. Un compendio delle relazioni e degli scritti di Pietro Mamoli, ad opera dello stesso autore, è conservato presso l’archivio storico-diplomatico del ministero degli Affari esteri di Roma e reca il titolo: Brevi cenni sulle vicende della colonia libica nelle diverse fasi del suo movimento commerciale, industriale e agricolo durante l’ultimo trentennio del dominio ottomano 43.

41 Pietro Mamoli aveva partecipato alla prima missione esplorativa organizzata da Manfredo Camperio in Cirenaica (1880); era stato poi scelto come direttore della stazione commerciale stabilita a Darna dalla Società, risiedendo in Cirenaica tra il 1881 e il 1887. Ne sono note poche notizie biografiche: originario di Lodi (“intelligente coltivatore della bassa Lombardia” lo definisce Camperio), aveva partecipato negli anni ’60 alle patrie battaglie e all’epoca della conquista libica era l’unico superstite, piuttosto anziano, tra quanti avevano fatto parte del gruppo di esplorazione della Cirenaica. Aveva inviato diverse relazioni della sua esperienza alla rivista “L’Esploratore”, che le aveva pubblicate e che più tardi erano state raccolte in volume. 42 Stazione di Derna (Cirenaica). Cenni storici e geografici. Corrispondenza del delegato signor Mamoli. Derna 10 settembre 1881, in “L’Esploratore”, V, 1881, p. 406. 43 Da adesso: Brevi cenni, in Archivio storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Archivio storico del Ministero dell’Africa Italiana, Africa III, pacco 22, fasc. 5. Il testo viene sottoposto al giudizio del destinatario per la pubblicazione da parte del ministero “con eventuali modificazioni” (Ministero delle Colonie, Ufficio Affari Economici a Dir. Gen. Affari Politici, n. 4508: Roma, 28.4.1919).

87


Si tratta di un testo dattiloscritto di 174 pagine, nella forma di una relazione di carattere economico che tratta soprattutto dell’agricoltura e dei suoi prodotti, ma non disdegna di soffermarsi su questioni di carattere generale, con annotazioni sulle particolarità della popolazione e sulla sua storia, sui suoi costumi religiosi e sociali, su avvenimenti rilevanti di quel periodo. Nel dattiloscritto viene dedicato un ampio spazio (circa cinquanta pagine) a Darna, dove Mamoli era arrivato da Benghazi dopo un viaggio per mare durato dieci giorni. Non è facile dare una struttura organica agli argomenti della relazione, che è costituita da un insieme di annotazioni impressionistiche, con frequenti ritorni sugli stessi temi dettati dall’andamento del discorso. Dalle notizie raccolte dai suoi informatori Mamoli ricostruisce la storia più antica della città, che fa riferimento ai due santi maggiormente venerati, “Sidi Bomansur e Sidi Zohir44 [… che] morirono combattendo contro i cristiani e furono, secondo l’araba credenza, grandi amici di Maometto”, le cui tombe si trovano nel cimitero del quartiere che prende il nome dal primo dei due45; a Ab™ Mans™r la tradizione popolare riferisce diversi avvenimenti importanti per lo sviluppo della città, tra cui i lavori per la costruzione del canale che ha il suo nome e che porta l’acqua al quartiere46. Altri santi venerati, quasi un centinaio, hanno le loro sepolture all’interno di un perimetro di circa un chilometro intorno alla città, che possiede anche numerose moschee e zauie: si tratta in generale di edifici molto semplici, che Mamoli non descrive, ad eccezione della moschea principale, la sola ad avere un minareto, “di forma ottangolare con cocuzzolo e parapetto in legno”47. Altri avvenimenti fondatori della storia della città, che si riferiscono in particolare all’apporto di emigranti dalle regioni più occidentali, sono raccontati da Mamoli, che ricorda come nell’anno 910 dell’ègira alcune famiglie provenienti dall’Andalusia vi si stabilirono: queste famiglie furono bene accolte dalla popolazione che già vi risiedeva, e dalla loro fusione nacque la popolazione odierna. Si tratta dei personaggi citati già in Yak™t, Ab™ Mans™r e Ab™ Shadd…d Zuhayr b. Kays al-Balaw† (cfr. supra). “Bemensure” in Della Cella (cfr. supra) e “Bomansur” in Mamoli ; Bu Mansur nella cartografia italiana dell’epoca coloniale. 46 Mamoli ritiene che “altri fatti attribuiti al Marabuto Bomansur, per citarne uno, nel ripristino del canale omonimo, sono smentiti da evidente anacronismo, né alcuno, che si sappia, si è incaricato mai di indagare il perché di tale omonimia” (ivi, p. 89). 47 Ibidem. Agli inizi del ‘900 si contavano nella città “10 moschee e 8 zàuie” (in A. Ghisleri, Tripolitania e Cirenaica dal Mediterraneo al Sahara, Società Ed. Italiana-Ist. ital. d’arti grafiche, Milano-Bergamo, 1912, p. 144), ovvero “8 moschee, 12 zauie e numerosissime tombe di marabutti” (in Derna perla del Mediterraneo cit., p. 34). In un altro testo lo stesso Mamoli cita: due zauie nella città (cioè a Medina), “una di Sidi Bi Naisa, l’altra di Scieh Medeni, Gibela ne ha una sola di Sidi Bi Naisa, Mogar, una di Molai Taib, Bomansur quattro, di cui tre di Sidi Abdi Selem ed una di Sidi Mahdi” (Pionieri italiani cit., p. 309). Mentre in Brevi cenni non si trovano riferimenti alla Senussia, altrove Mamoli afferma che “anche a Derna i Senussi fanno una quantità di proseliti e Sidi Mahdi è venerato molto di più, si può dire, di Maometto stesso, chè basterebbe una sola sua parola per muovere le turbe” (ibidem). 44

45

88


Un altro avvenimento che è possibile datare riguarda la costruzione della moschea principale, che viene attribuita ad un governatore di nome Mohammed Bey che la costruì nel 1012 dell’ègira usando i materiali di una chiesa cristiana. Il testo contiene anche un ulteriore riferimento ad un avvenimento storico, udito dalle labbra di un abitante della città: una pestilenza che nel 1833 avrebbe distrutto la maggior parte della popolazione della città48. Tuttavia sembra poco verosimile che la pestilenza a cui si fa riferimento si sia sviluppata nel 1833: con maggiore probabilità, si tratta della stessa pestilenza citata da Della Cella, che potrebbe aver avuto luogo negli ultimi anni del Settecento. Quale che sia la data di questo avvenimento catastrofico, secondo Mamoli in seguito a questo episodio parte della popolazione era andata a stabilirsi altrove, e solamente pochi degli abitanti fuggiti erano tornati alla città. Le case abbandonate erano andate in rovina, ed i loro ruderi erano ancora visibili all’inizio degli anni ‘80. Gli abitanti che in seguito erano tornati e i nuovi che erano venuti a stabilirvisi avevano preferito ricostruire le loro abitazioni più a valle formando l’agglomerato a cui si dava il nome di Medina, la città di Darna vera e propria, che si innalzava ad una distanza di alcune centinaia di metri dalla sponda del mare; la città vecchia a monte ed in parte abbandonata aveva continuato, con il nome di Gibela, a costituire uno dei quartieri di Darna, con una popolazione estremamente ridotta. Questa ricostruzione recente dava a Darna un aspetto omogeneo. Tutte le abitazioni erano infatti costruite allo stesso modo:

“Le vecchie case tipo arabo sono coperte di tetto piano contesto di pali detti, in lingua araba, sennùre ed ha tutte le proprietà della quercia, il legno si chiama hus, sopra questi pali si fa un letto di alghe secche che viene poi coperto d’uno strato di terra ben battuto ed infine ci si passa sopra con una densa fitta di calce che presto indurisce. Ma se ne venga trascurata la manutenzione anche per breve tempo la pioggia infiltrando, scompone le pareti di fango e pietra irregolari e lo edificio crolla irreparabilmente”49.

Ancora negli anni ‘80 del XIX secolo la città si componeva di diversi quartieri separati tra di loro, ma non distanti, che così vengono enumerati, ripetendo in parte quello che Mamoli aveva già scritto in un articolo precedente:

“Il quartiere più importante, Medina, siede sulla sponda sinistra dell’Uadi; a ponente vi sta Gibela e a mezzodì sulle falde della montagna sorge il Mogar colle sue stradicciuole scoscese, coi suoi giardini scavati nel masso e colle piccole finestre che dominano le terrazze della città. Al di là e precisamente sulla

48 49

Ivi, p. 85. Ivi, p. 86, nota 2.

89


destra dell’uadi, e giù giù fin quasi al porto, si scorge l’altro quartiere detto di Bomansur, il quale si divide in Bomansur di sopra e Bomansur di sotto”50.

Tra gli edifici più importanti è il castello, situato “sull’estremo limite a monte di Medina prospiciente il Mogar”, di forma quadrilatera “che, ad occhio e croce, può misurare 60 per 80 metri” e ai cui angoli si innalzano due torrioni. Nel castello, che dal punto di vista difensivo viene giudicato piuttosto debole, si trovano gli uffici dell’amministrazione ottomana e la caserma. Nell’insieme dei suoi quartieri la città conta 687 case e 172 botteghe. Queste ultime, che ad eccezione di alcune più grandi sono costituite da stanze oblunghe di circa tre metri di profondità e di poco più di un metro di larghezza, si allineano lungo la strada del bazar e nelle sue adiacenze, nel quartiere di Medina. Le abitazioni, ad eccezione di una ventina in tutto, sono ad un solo piano, di forma quadrilatera, con le stanze allineate lungo i lati di un cortile che si apre al loro interno51. Su uno dei quattro lati della casa si apre la porta che dà sulla strada ed una seconda apertura che dà accesso ad un locale sotterraneo (marbat) a cui si scende per un piano inclinato, e che funge da stalla, da pollaio e da deposito. Sopra a questo in generale è disposto un altro ambiente (chiamato marbùa), a cui si accede da una porta situata vicino all’ingresso principale, che funge anch’esso da deposito, o da ufficio se il proprietario è un commerciante, e che può servire anche da abitazione per un domestico.

“Quasi ogni casa è fornita di un pozzo e, dal cortile d’ognuna, s’erge una o due palme o, quanto meno, fruisce nell’estate di un vero padiglione di pampini, sovente e questi e quelle concorrono a dare alla città, sia per chi v’arriva dal mare come dall’altipiano, un aspetto fantasticamente pittoresco che impressiona gradevolmente”52.

Da un quadro statistico relativo al 1868 (“una specie di stato d’anime”) scoperto nel corso delle sue ricerche l’autore afferma che la popolazione della

Ivi, pp. 87-88. In una pianta della città del 1929 il quartiere di Medina è indicato come El-Bilàd. Ivi, p. 88. Così sono descritte le abitazioni della città in un testo precedente: “Toutes les maisons possèdent des jardins et sont construites en pierre. L’entrée de ces habitations, closes de murs ou d’une haie de nopals, est généralement formée de deux pilastres à chapiteaux imitant le style dorique. Presque toujours la porte est placée aux deux tiers de la hauteur de la maison: un escalier saillant y conduit, et il est ordinairement ombragé de treilles, où pendant les chaleurs de l’été, les beldis (citadins) viennent respirer le frais” (É. de la Primaudaie, op. cit., p. 8). 52 Ivi, p. 89. Tutti i viaggiatori che erano passati a Darna nel corso dell’800 erano stati incantati dalla bellezza della città e del suo paesaggio: “L’heureux climat de cette partie du littoral, joint à l’extrème fertilité du sol, donne à la plaine de Derne une apparence d’abondance et de richesse que l’on rencontre rarement en Afrique. Partout des sources jaillissent des flancs exhaussés du vallon, et entretiennent une végétation splendide qui fend les roches mousseuses, s’étend en magnifiques pelouses et tapisse les collines. C’est un véritable paradis planté de figuiers, d’oliviers, de vignes, d’orangers, de myrtes gigantesques et de lauriers-roses” (É. de la Primaudaie, op. cit., p. 9). 50 51

90


città a quella data era di 7002 abitanti: tenendo conto dell’incremento che appare visibile nell’ultimo periodo, Mamoli calcola che nel 1881 la popolazione ascenda a non meno di 7800 persone, tra cui 150 di religione ebraica, una sessantina di cretesi, quasi tutti musulmani, “ed il resto arabi”. Gli europei sono sei o sette, e tra questi si conta il francescano Giuseppe da Barrafranca che dirige la missione. Dopo la descrizione della città la relazione passa ad esaminare il suo quadro economico e produttivo, ed in particolare l’organizzazione dell’agricoltura, che non può prescindere dall’acqua e dall’irrigazione collegata al percorso dell’uadi Darna:

“Chiunque giunga a Derna per la prima volta e ne scorga i piccoli canali che attraversano la città e si diramano per le vie, portandovi frescura e il beneficio perenne delle acque per tutti i bisogni della vita, non può difendersi da un subito desiderio, dalla curiosità di salire alle fonti”53.

La fonte più vicina nasce, secondo Mamoli, a circa sei chilometri: la sua acqua è incanalata in una “Seghia” che corre sulla sponda sinistra del letto dell’uadi (che è quasi sempre in secca), attraversa il quartiere del Mogar, dove muove le pale di un mulino, e va a bagnare i terreni più in basso. La sorgente sgorga dal fianco della montagna, all’altezza di cinque o sei metri, e l’acqua – che ha una temperatura superiore a quella dei pozzi della città, di per sé già piuttosto calda – esce “a fiotti”, tanto che gli abitanti pensano che si tratti dello sfogo di sorgenti molto più distanti che giungono attraverso un incanalamento naturale sotterraneo. La seconda sorgente, che prende il nome di “Bomansur”, nasce in un luogo più distante con una cascata che fa “un salto strepitoso ed un effetto meraviglioso”. Dopo questo salto, l’acqua è diretta ad una seconda canalizzazione che segue la sponda destra dell’alveo dello w…d†. Scendendo a valle, il canale segue l’andamento del livello della montagna, in parte disperdendosi nei suoi crepacci: non era così in tempi più lontani, come attestano le rovine di un acquedotto sostenuto da un enorme muraglione crollato per metà che consentiva al canale di seguire un percorso più rettilineo e con minore perdita di acqua. Anche questo canale serve a far girare un mulino “tra i due Bomansur”. Questa ricchezza di acque fa sì che l’agricoltura costituisca la base principale dell’attività degli abitanti. Tuttavia non è solamente l’oasi a fornire le risorse agricole della città, perché vengono coltivati anche molti terreni sulle alture del jabal. In funzione di queste coltivazioni in luoghi più lontani la città si spopola periodi53

Brevi cenni, p. 90.

91


camente di gran parte della sua popolazione, che va a raggiungere i campi più lontani per le semine e per i raccolti54. Allora i due terzi dei cittadini, secondo Mamoli, emigrano sulle terre dell’altipiano, ad una distanza di uno o due giorni di viaggio. Il principale prodotto delle coltivazioni dell’altipiano, l’orzo, è abbondante e costituisce uno dei principali generi da esportazione; il granturco, che necessita dell’irrigazione, è coltivato solamente nelle vicinanze della città; il banano è una delle piante da frutto più sviluppate nell’oasi, insieme alla palma da datteri, ai fichi d’India, alla vite, al limone e al melograno. Le siepi di gelsomino e di piccole rose bianche (nisri), così come i fiori d’arancio55, forniscono la materia prima degli oli essenziali che vengono usati come profumi dalla popolazione e i cui segreti di fabbricazione vengono gelosamente custoditi dalle donne. I cocomeri (delah) e i poponi (betich) vengono prodotti in grande quantità e sono molto richiesti, così come il miele che viene tratto dagli alveari naturali che si incontrano lungo le sponde del w…d†, ma la cui presenza sul mercato è aleatoria perché dipende dalle piogge annuali del mese di aprile, che favoriscono lo sviluppo dei fiori nei campi e nei giardini: “gli arabi [… ne sono] ghiotti consumatori. come companatico e come ingrediente, mentre gli ebrei dal canto loro ne infarciscono sfogliate e pasticcetti, dei quali sogliono rimpinzarsi l’epa ogni sabato e nelle molte altre feste religiose”56. In definitiva, la produzione agricola permette alla popolazione di vivere in una discreta agiatezza: “senza essere un paese di Cresi, vi aleggia una cert’aura di benessere da farne facilmente accorto l’osservatore meno acuto”57.

Insieme all’agricoltura esiste anche un’industria propria a Darna, la tessitura dei barracani, praticata non solamente dalle donne ma anche dagli uomini, “tanto 54 Ciò comportava per chi rimaneva, e in particolare per i “sei o sette europei”, qualche problema alimentare: “A Derna in certi giorni, specie nelle stagioni in cui il grosso della cittadinanza lasciava la città pei lavori agricoli, riusciva di qualche difficoltà trovare quel tanto di generi alimentari necessari ad allestire un pasto anche modesto; molto meno poi quando si trattava di carne, il cui impercettibile consumo in quei periodi rendeva inutile la macellazione. In questi casi, non certo infrequenti, i sei o sette europei aspettavano il venerdì, giorno di vigilia in cui gli ebrei, essendo numerosi, sacrificavano un certo numero di quadrupedi e di ruspanti per proprio uso. Ora accadeva spesso che il Ribbi immolando e sventrando di propria mano le sue vittime, sempre tra le meglio pasciute, trovava a mo’ d’esempio una pietruzza nelle interiora di una pecora, oppure un’unghia ritorta alla zampa di una gallina od altra qualunque appena percettibile anormalità nel corpo di detti animali. Ebbene in tutti questi casi la carne dei medesimi era irremissibilmente proscritta dalla cucina degli ebrei e trovava quindi facili acquirenti tra i pochi cristiani lietissimi di potersi pascere di carni e galline eccellenti ad un prezzo relativamente mite” (ivi, p. 80). 55 “Di alberi d’aranci sparsi per i giardini. se non di propri e veri aranceti, non v’è certo penuria, ma i frutti bellissimi non sono in gran parte mangiabili perché di sapore agro e amarognolo, pochissimi possono essere gustati purché aspersi di zucchero, oppure, come usava l’aristocrazia dernese, involti nel miele di produzione locale. Per queste sue qualità disgustose al palato, i proprietari dei giardini usufruiscono del fiore per estrarne l’essenza […]” (ivi, p. 80). 56 Ibidem. 57 Ivi, p. 81.

92


che per le vie della città accadeva spesso di intravedere nell’interno delle case il telaio, oppure udirne la cadenzata battuta caratteristica”58. Un altro ‘stabilimento produttivo’ è quello costituito da tre fornaci per la calce usata nell’edilizia cittadina, che sono situate lungo la sponda destra del w…d† tra la città e il mare: il loro funzionamento a quell’epoca è saltuario, e le fornaci appaiono come “tre bicocche smantellate e consunte”, soprattutto perché il combustibile è venuto rarefacendosi con il tempo ed è necessario andare a prenderlo nelle boscaglie lontane del jabal, con un notevole dispendio economico per il trasporto59. La pesca, malgrado ci si trovi proprio sulla sponda del Mediterraneo, è poco praticata: lo scarso numero di barche è assorbito dal carico e dallo scarico delle merci delle navi che accostano e i barcaioli approfittano della situazione per raddoppiare il prezzo che correntemente viene pagato negli altri porti, cosicché possono permettersi di non lavorare anche durante i periodi di assenza di imbarcazioni nella rada. L’abitante di Darna appare “più laborioso dei suoi corregionali di ponente [… e sembra esistere una] sensibile diversità di carattere tra questi abitanti e quelli di tutto il resto della Cirenaica”60. Mamoli osserva che le condizioni e le risorse potrebbero permettere uno sviluppo industriale di una certa importanza: in effetti, coniugando l’esistenza di acqua abbondante, da usare come forza motrice, di una manodopera laboriosa e della materia prima (soprattutto la lana, ma anche il cotone, la cui produzione potrebbe essere sviluppata nella regione), si incontrano tutte le premesse positive per lo sviluppo di un’industria manifatturiera nel settore tessile61. Anche le condizioni climatiche sembrano favorevoli a questo sviluppo: a Darna infatti il clima è molto più temperato di quello della rimanente Cirenaica, e in particolare di Benghazi, dal momento che le montagne che circondano la città le evitano di essere tormentata dai venti caldi dell’estate e freddi dell’inverno. Ibidem. Se si ricordano le note di Della Cella, secondo il quale non esistevano stabilimenti del genere all’epoca del suo passaggio, si può pensare che nel periodo intercorso (di poco più di sessanta anni) il disboscamento era stato molto intenso : sembra affermarlo un altro passaggio di Mamoli, secondo il quale “i vecchi del paese all’epoca di cui noi ci occupiamo, ricordavano di aver veduto le tre fornaci funzionare con molta frequenza richiedendolo il movimento edilizio, movimento che sarebbe continuato regolarmente se le dette fornaci non fossero andate progressivamente rallentando la produzione di calce per penuria di combustibili prima, e per mancanza assoluta poi. Ciò accadde in causa del continuo diboscamento risultante dal perenne svellere e bruciare, senza ripiantare mai un fuscello, in modo che le foreste, avanzando sempre più la barbarie armata di scure, hanno dovuto allontanarsi” (ivi, pp. 103-104). 60 Ibid. Mamoli osserva, per confermare questa osservazione, che all’epoca del suo arrivo a Darna di era diffusa l’informazione che “il talian da poco giunto in paese, stesse per installarvi una grande macchina industriale, della quale l’indole e lo scopo non si precisavano ; orbene, divulgatasi tale diceria, si stabilì una vera processione, alla nostra casa, di giovani del paese offerenti l’opera loro volonterosa ed insistendo perché almeno venissero prenotati per essere poi assunti quali operai nella supposta istituenda industria. Si esclude a priori che ciò potesse avvenire per abbondanza di disoccupati, ma tutt’al più si ammette il desiderio di quei giovani di migliorare la propria condizione, desiderio che ci sembra giusto ed umano” (ivi, p. 82). 61 Ivi, p. 93. 58 59

93


La mitezza del clima sembra favorire la buona salute della popolazione, che non soffre di febbri o di altre malattie organiche frequenti nella parte restante del territorio. Tuttavia “il male agli occhi” (il tracoma) è estremamente diffuso e sembra che la totalità della popolazione ne sia o ne sia stata affetta, a tal punto che secondo l’autore un quinto o addirittura un quarto della popolazione ne porta visibili i segni indelebili, “tanti sono i guerci, loschi e i scerpellati”62. Anche i ciechi sono estremamente numerosi e Mamoli, osservando che i pochi europei, i turchi e i cretesi ne sembrano esenti e che le ragioni igieniche non sembrano evidenti (la ricchezza di acqua permette agli abitanti di osservare più che altrove le misure di pulizia personale, “tanto più che gliene offre loro l’occasione quel saggio igienista che fu Maometto consacrando come uno dei suoi più rigorosi precetti, le quotidiane abluzioni”63), fa l’ipotesi che si tratti di una caratteristica ereditaria, aggravata dalla mancanza di cure adatte. In effetti non esiste a Darna nessuna struttura sanitaria, e anche l’ufficio del porto manca di personale medico: non esistono inoltre farmacie e la disponibilità di medicinali ‘moderni’ è del tutto occasionale64. Allo sviluppo della città – osserva l’autore – manca, oltre all’iniziativa del governo, la costruzione di un porto vero e proprio. In effetti, quello che comunemente era chiamato il porto non era altro che una piccola baia riparata solamente dal vento di ponente ma aperta a tutti gli altri, poco profonda e pericolosa anche per i bastimenti di tonnellaggio più modesto, che erano costretti ad ancorarsi al largo mantenendosi in stato di allerta e pronti a salpare alle prime avvisaglie di un cambiamento di vento o di una tempesta che inevitabilmente li avrebbe spinti ad incagliarsi. Per questo il traffico marittimo non era particolarmente importante: secondo la statistica che aveva egli stesso redatto, nei primi sei mesi del 1881avevano fatto scalo a Darna 36 velieri e tre piroscafi, per un totale di 2.638 tonnellate. Il piroscafo che vi aveva fatto scalo tre volte era sempre lo stesso, e faceva un servizio di collegamento tra Benghazi ed Alessandria d’Egitto: scaricava cotonate ed altri articoli manufatti, ma soprattutto riso indiano, in cambio di orzo, burro e capi di bestiame, e lo stesso avveniva a Benghazi, dove tuttavia le quantità scambiate erano molto maggiori. Era noto il passaggio, anche se molto raro, di un altro piroscafo, il “Postale Ottomano Batoum”. La maggior parte dei velieri giunti a Darna proveniva dalle isole greche, e in particolare dalla Canea di Creta “che è la fornitrice esclusiva della Libia, specie della Cirenaica, dei più necessari articoli come olio, vino, sapone, olive, droghe, vernici a colori, fiammiferi grossolani, frutte secche ed oggetti molti dell’induIvi, p. 94. Ibidem. 64 L’autore ricorda come la piccola farmacia che aveva portato da Milano si era rapidamente esaurita e che per la sua disponibilità a fornire medicine agli abitanti della città egli si era procurato rapidamente una fama di “tabib” (ivi, p. 95). 62 63

94


stria, come certe coperte di lana, non sempre genuina, variopinte a fondo rosso dette batanie, calzature di foggia più o meno europea ecc.”65. Dieci dei velieri citati, circa un quarto del totale (tutti provenienti da Creta o da un’altra delle isole dell’Egeo), erano diretti o provenivano da Ras al-Tin, a circa cinquanta chilometri ad est, tra Darna e il golfo di Bomba, dove si trovavano le saline più importanti della regione66. Per l’esportazione, in effetti, il sale era il genere principale ed il più remunerativo; ad esso di affiancavano, in uscita, il burro, l’orzo, le pelli, le banane, la cera e in minor quantità anche il bestiame. Tuttavia agli inizi degli anni ’80 aveva cominciato a manifestarsi una riduzione della produzione delle saline, che era totalmente cessata nel 1882, provocando una ripercussione negativa sul commercio. In effetti, Darna era lo scalo più vicino alle saline e costituiva una tappa obbligata per i velieri per il loro rifornimento: la città approfittava del traffico per il suo commercio, ma data la scarsità delle sue risorse commerciali non costituiva da sola la meta di una navigazione regolare e diretta. Per quanto riguarda il commercio con i beduini dell’interno, che sono dediti soprattutto alla pastorizia, il suo limite principale è costituito dalla povertà di queste popolazioni, che sono alla mercé degli eventi naturali, ed in particolare della siccità che periodicamente colpisce le regioni dell’altipiano. Un altro ostacolo alla frequentazione dei beduini del mercato di Darna è, secondo Mamoli, la fiscalità del governo turco, che anche nei periodi più difficili non esime le popolazioni dal pagamento delle decime: il rischio corso dagli insolventi venendo in città era quello di essere arrestati, maltrattati e malmenati finché non avessero pagato il loro debito, e “l’unico espediente che ai beduini restava era quello di non comparire in città per settimane ed anche per mesi parecchi con danno incalcolabile specialmente per il piccolo commercio e con quanto scorno per l’autorità ottomana è facile immaginare”67. Non restava allora all’amministrazione ottomana che organizzare delle spedizioni militari per ottenere il pagamento con la forza, ma le spedizioni erano spesso impossibili per mancanza di mezzi militari68. In alcuni casi si addiveniva ad un accordo tra le due parti: 65 Ivi, p. 98. Mamoli nota l’importanza delle vernici tra le merci in arrivo sottolineando come “gli arabi amino prodigare agli infissi delle loro case e ai pochi mobili le tinte più vivaci, cominciando dal tradizionale sanduk (cassa di legno in cui racchiudono tutto ciò che hanno di più caro e prezioso, dagli abiti ai monili, aggiungendovi poi, quando viaggiano, ogni sorta di commestibili)”. 66 Secondo i calcoli dell’autore, le saline di Ras al-Tin (a nord del golfo di Bomba), gestite da una società appaltatrice, producevano una rendita annuale di un milione e duecentocinquantamila piastre. Le altre saline più importanti della Cirenaica si trovavano ad occidente, a Bengasi e a Carcura (Karkurah), all’estremità orientale del golfo di Sidra, dove i velieri provenienti dalle isole dell’Egeo si recavano a caricare quando non vi era disponibilità a Ras al-Tin (ivi, pp. 99-100). 67 Ivi, p. 120. 68 Il servizio di pubblica sicurezza a Darna è svolto da “non più di trenta uomini compresi gli zaptie” (ivi, p. 105): da questo passo sembrerebbe che si tratti dell’unica forza armata esistente nella città, mentre altrove Mamoli fa cenno ad un presidio di 200 uomini (P. Mamoli, La Cirenaica cit., p. 39). Negli anni successivi la guarnigione era stata rinforzata e a agli inizi del ‘900 era di 600 uomini (A. Ghisleri, op. cit., p. 143).

95


“l’impegno del beduino, da un lato, di pagare in una data epoca ed in una prestabilita misura, e del Kaimacan dall’altro, colla promessa di una corrispondente completa acquiescenza circa il pagamento col solo onere al beduino di un modestissimo immediato tributo di generi in natura come suggello del patto, e lasciandolo libero di venire in città per disimpegno dei suoi affari, senza molestia di sorta”69.

A quell’epoca Darna è governata da un “Caimacan alle dipendenze, specialmente per gli affari politici, dell’autorità di Bengasi”70 e l’amministrazione ottomana è presentata da Mamoli come un apparecchio volto unicamente ad assicurare le entrate fiscali di spettanza del governo, che assicura il suo dominio grazie ad una politica di “divide et impera”71 senza troppo occuparsi della sicurezza della popolazione o della pratica della giustizia. La relazione di Mamoli riferisce diversi episodi di malgoverno, in cui alla durezza poliziesca si alternano lassismo e noncuranza, e episodi di violenza tra gruppi della popolazione, che vengono mostrati sotto l’aspetto di lotte tra quartieri o tra fazioni nella più completa assenza di un intervento da parte dell’autorità: tuttavia la sua sottolineatura di questi aspetti potrebbe essere poco obiettiva, così come altre sue note che fanno risaltare la poca simpatia della popolazione per i soldati ottomani. Come afferma in un altro passo in effetti, per gli scopi della sua missione, che era quella di diffondere e di affermare gli interessi italiani in funzione di una futura occupazione del territorio, Mamoli “pur deplorando il grave danno degli indigeni di dentro e di fuori le mura […] registrava con giubilo ogni azione di mal governo, la quale valesse a rendere odioso e intollerabile il dominio ottomano”72. Non daremo perciò spazio alla sua descrizione di incidenti tra la popolazione, in particolare tra i beduini, e le autorità

69 Brevi cenni, p. 120. Mamoli attesta che l’accordo, che garantiva all’autorità il riconoscimento di un diritto che non poteva imporre con la forza, era spesso disatteso : “ci capitò parecchie volte di vedere i beduini fidenti nelle insidiose assicurazioni avute, calare in città, sbrigare le loro cosucce e, mentre stavano per far ritorno alle loro tende, venivano alla spicciolata arrestati, spogliati, bastonati e tenuti in ostaggio, onde costringere i congiunti e i compagni di tribù a fare pieno atto di vassallaggio con un immediato tributo in denaro, frutto quasi sempre del più grande sagrificio : la pignorazione sempre gravosissima delle cose a lui più care, il fucile i monili e talvolta anche il cavallo, che del beduino è il più grande amore” (ibid.). 70 Ivi, p. 104. Alla stessa epoca, a Tripoli e a Bengasi il governo politico ed amministrativo erano affidati rispettivamente ad un wal† e ad un mutasarr¬f. Oltre che del q…’im-maq…m, Darna all’inizio del ‘900 era sede di un tribunale e di un soprintendente di polizia (A. Ghisleri, op. cit., p. 143). 71 “Nessuna meraviglia quindi se nella popolazione indigena […] di fronte alla certezza dell’impunità sia andata visibilmente accentuandosi la già esistente e deplorata piaga del così detto ‘debito di sangue’, che risponde né più né meno alla pena del taglione. Né il Governo […] si è mai preoccupato e meno ancora incaricato di porre un argine alla delinquenza, della quale, anzi, si faceva arma di dominio. È ben noto il fatto come nelle città, tra le fazioni, e nelle campagne fra le tribù, le liti sanguinose e perenni impedivano alla popolazione, stremata dalle intestine lotte, di opporre una qualsiasi resistenza alle imposizioni anche le più arbitrarie e draconiane dell’autorità governativa, la quale, dal canto suo ben conscia del motto: divide et impera, ne aveva fatto la sua bandiera” (ibid.). 72 Ivi, pp. 121-122.

96


di governo, né ai “frequenti disordini, prodotti tal volta da peccaminose tolleranze, tal’altra da esosi balzelli [… o all’] elenco interminabile dei pasticci inerenti ai diritti di proprietà, di successione, di transazioni violentemente imposte ecc.” a cui fa allusione nel suo testo73, tenendo conto anche del fatto che probabilmente egli non aveva gli strumenti conoscitivi ed intellettuali sufficienti per capire ed interpretare la situazione politica e gli avvenimenti nella loro obiettività. 4. Conclusioni

Dalle descrizioni dei viaggiatori italiani che nel corso del XIX secolo ebbero l’occasione di visitare il bil…d Barqa il panorama urbano della regione appare in evoluzione, anche se la presenza delle città, la popolazione e l’economia urbane nell’insieme del territorio rimangono estremamente minoritarie. In effetti, anche se è difficile confrontare le stime e le valutazioni dei viaggiatori italiani con una realtà difficilmente definibile sulla base di valutazioni demograficamente più attendibili, dall’analisi dei loro testi appare un relativo rafforzamento della presenza urbana attraverso l’Ottocento. Agli inizi del secolo Darna appare come la realtà urbana maggiormente consolidata e sembra, con i diversi villaggi, o ‘quartieri’, che la compongono, superare per popolazione anche Benghazi, che più tardi emerge come la capitale della regione. La popolazione di Darna sembra tuttavia rimanere stabile attraverso tutto l’Ottocento (un dato sicuro, se si accetta la testimonianza di Pietro Mamoli, sono i 7.002 abitanti della città nel 1868, che dovrebbe essere basato su un documento dell’amministrazione ottomana di cui non sono indicati riferimenti più precisi), con una tendenza all’aumento negli ultimi decenni. Benghazi risulta avere un incremento molto maggiore di popolazione grazie all’immigrazione di popolazione proveniente da Mesrata. I suoi abitanti risultano così, secondo i dati dei viaggiatori italiani, raddoppiati (se si usa la valutazione di Cervelli) o addirittura triplicati (se si usa quella di Della Cella) tra il 1820 circa e il 1880. Nello stesso periodo si sviluppa una terza agglomerazione urbana a al-Marj, sul sito dell’antica città di Barké: il sito di al-Marj, disabitato agli inizi del secolo secondo la descrizione di Della Cella che lo visitò nel 1817, agli inizi degli anni Ottanta è divenuto un’agglomerazione di un centinaio di case. Questo sviluppo urbano è dovuto allo stabilimento dell’amministrazione ottomana nella regione: intorno al 1842, in effetti, il governo della Porta fa costruire un castello a al-Marj, sede di guarnigione e di servizi amministrativi, ed intorno ad esso si sviluppa nei decenni successivi una piccola cittadina. Il processo di ristabilimento del controllo 73

Ivi, p. 107.

97


ottomano nei territori del jabal al-Akhdar come stimolo all’urbanizzazione, in un territorio abitato quasi esclusivamente da popolazioni nomadi, è avvenuto nello stesso periodo anche a Qayqab, dove tuttavia intorno al 1880 il castello costruito dall’amministrazione ottomana non ha ancora generato lo sviluppo di un insediamento stabile. Dai testi che abbiamo analizzato traspare così, anche se con lineamenti grossolani, un processo di fissazione delle popolazioni, o in tutti i casi di incremento della stanzialità, che più tardi troverà nuove ragioni di affermarsi attraverso i processi di trasformazione economica e sociale dell’età coloniale e dell’età contemporanea.

98


Antonino Pellitteri*

Cambiamento ed adattamento a Beirut nell’ultimo periodo ottomano: il diario di viaggio dell’abate Stoppani e la rihlat al-Sh…m dello shaykh al-Q…y…t†

Scopo di questo intervento è mettere in rilievo aspetti che hanno concorso a connotare il processo di ricomposizione moderna della città araba nell’ultima epoca ottomana, con particolare riguardo a Beirut, partendo dalla lettura di un diario di viaggio e di una rihlah, fonti che, come è noto, risultano essere da qualche tempo al centro dell’interesse degli storici. Sulle novità derivate dall’impetuoso sviluppo urbano a Beirut nel periodo compreso tra il 1860 e la fine dell’Ottocento, viva luce gettano le Mudhakkir…t di Jurji Zayd…n (1861-1914)1. Ancora a metà del sec. XIX la città poteva considerarsi un borgo attorno al suo porto, come sottolineava Gérard de Nerval (1808-55), che, visitando la città nel 1843, scriveva: “Beirut, non considerando che lo spazio cinto dai suoi baluardi e la sua popolazione interna, sarebbe ben misera cosa rispetto all’idea che di essa si fa l’Europa”2. Nel 1874 l’abate Antonio Stoppani, sbarcando a Beirut da Larnaca, annotava a sua volta che: “l’aspetto della città è quanto si può dire attraente. Domina sul davanti la parte europea, con vasti ed alti caseggiati; la massa delle case, fitta verso il mezzo, dove torreggiano i minareti, si dirada e si sparpaglia all’ingiro, e tutta insieme si appoggia al pendio che, vago e rapido sale dal mare, verso le alture sempre verdi e sparse abitazioni. Dietro la città, le basi del Libano si alzano a gradini, quasi un grande altare, fino ad una specie di altopiano, da cui si rizzano aspre ed ignude le prime appendici di quella, non montagna, ma catena di monti, le cui cime sono nascoste dai fianchi”3. Lo sviluppo produsse importanti novità; fino al 1830 il porto di Beirut era poco importante tra quelli ottomani sulla costa orientale del Mediterraneo. Tra il 1832 e il *

Docente di Storia dei Paesi Islamici, Università degli Studi di Palermo. Jurgi Zayd…n, Al-mudhakkir…t, I ed. a cura di Sal…h al-D†n al-Munaggid, Beirut 1968. 2 Cfr. G. Guadalupi (a cura di), Orienti. Viaggiatori scrittori dell’Ottocento, Milano Feltrinelli 1989, p. 132. 3 A. Stoppani, Da Milano a Damasco, 10 milanesi in Medio Oriente Diario di viaggio, Milano Messaggerie Pontremolesi, II ed. ridotta, 1989, pp. 276-77. 1

99


1841, gli anni della presenza egiziana al tempo di Muhammad ‘Al† B…sh…, la città divenne centro amministrativo, ma solo dopo la riaffermazione del controllo ottomano Beirut assurse a città di primaria importanza tra le “capitali” provinciali, divenendo nel 1883 capoluogo del vilayet o provincia ottomana4. L’impresa egiziana si chiuse a Beirut con i bombardamenti della flotta alleata (ottomana – inglese – austriaca) nel 1840, causa della rovina del commercio cittadino, mentre il 1860, anno dello scontro confessionale in Siria, è ricordato dagli storici come momento di forte impulso per lo sviluppo della città, dovuto alla numerosa immigrazione di gruppi e famiglie cristiane provenienti dalla Siria interna. L’immigrazione non solo contribuì a cambiare il volto di Beirut5, ma diede ulteriore impulso all’espansione ed all’ammodernamento del porto con il conseguente sviluppo delle attività economiche e commerciali e nel settore delle costruzioni civili. Scriveva Stoppani: “Beyruth è ora la città della Siria più florida per commercio. Le si assegnano 100,000 abitanti; ma è continuamente sul crescere, dacchè una buona strada carrozzabile, aperta nel 1863 attraverso il Libano e l’Antilibano fino a Damasco, vi ha trasportato la massima parte del commercio di questa città, e le ha aperto le porte del deserto, mettendola in comunicazione diretta colla valle dell’Eufrate e col golfo Persico.. . E’ divenuto il porto principale del Mediterraneo per l’Asia Minore, la Persia e l’Arabia. Io credo che Beyruth abbia un grande avvenire, e non lontano” (pp. 282-83). Quando nel 1890 lo shaykh egiziano ‘Abd Al-Rahm…n Bey S…m† visitò la Siria scriveva a proposito di Beirut che il capoluogo della wil…yah contava oltre 100.000 anime e che la parte antica della città non misurava più di 2km quadrati. Il S…m† dava a Beirut l’appellativo di furdat al-Sh…m e zahrat S™riyyah e sottolineava: “abbiamo prima ricordato che Beirut è porto insenatura di Damasco, aggiungiamo ora di tutta la Siria; è il porto asiatico più grande nel Mediterraneo (bahr al-R™m), dopo quello di Smirne”6. La città era passata dai 10.000 abitanti nel 1840 ai circa 120.000 nel 1900; da ciò derivò la formazione di una complessa articolazione socio-economica e culturale, pretesa moderna, i cui elementi caratterizzanti vanno considerati in rapporto al contatto con l’Europa ed allo stesso tempo tenendo conto di trasformazioni endogene e di fattori legati al sistema Islam7. Il menzionare alcune date ed alcuni avvenimenti risulta pertanto significativo: 1862, la prima scuola per i musulmani (sunniti) chiamata “al-madrasah alrash†diyyah”; 1863, carrozzabile Beirut – Damasco, percorribile dalle vetture chiamate “diliginsin” in tredici ore. Al riguardo ricordava Stoppani: “la partenza 4 J. Hanssen-Th. Philipp-S. Weber (edited by), The empire in the city. Arab Provincial Capitals in the Late Ottoman Empire, Orient-Institut Beirut 2002: Part II “The Empire and the European in Arab Provincial Capitals”, p. 106. 5 Cfr. voce “Bayr™t” in EI, a cura di N Elisséeff. Pure L. Shaykh™, Bayr™t t…r†khuh… wa …th…ruh…, Beirut 1925. 6 ‘Abd al-Rahm…n Bey S…m†, al-Qawl al-haqq f† Bayr™t wa Dimashq, Beirut D…r al-R…’id al-‘Arab† 1981, p. 33. Conferme si trovano in Muhammad Kurd ‘Al†, Khitat al-Sh…m, vol. V, Damasco Maktabat al-N™r† III ed. 1983, pp. 154-56. 7 Muhammad Kurd ‘Al†, Khitat al-Sh…m, cit., vol. VI, pp. 291-99.

100


da Beyruth per Damasco era fissata per la sera dell’11 settembre. Una diligenza, intrattenuta da una società francese, fa quotidianamente un servizio regolare tra le due città, lontane circa 13 ore l’una dall’altra, per l’unica via carrozzabile costrutta, con privilegio esclusivo, della società medesima. Questa possiede però 600 cavalli in servizio del commercio tra le due città, che si fa con circa 25 carri, che vanno e vengono giornalmente carichi di merci” (p. 287). Ancora: 1862, la scuola tedesca; 1867, la municipalità di Beirut; 1875, la madrasat al-Hikmah e il collegio gesuita. A proposito del quale Stoppani annotava: “pure francese, uno dei mezzi più potenti per mantenere ed accrescere quell’influenza politica sull’Oriente, che la Francia è andata acquistando in questi ultimi tempi, a tutto danno dell’influenza italiana.. . E’ l’unico collegio d’educazione in Oriente, dove convengono gli allievi, principalmente dalla Siria e dall’Egitto. Il medesimo istituto possiede, se non l’unica, certo la più importante tipografia di tutto l’Oriente” (p. 286). In quello stesso anno la città fu diffusamente provvista di acqua potabile proveniente dal nahr al-Kalb; 1878, l’Associazione dei Maq…sid al-isl…miyyah; 1888, wil…yat Bayr™t, distinta dalla provincia di Damasco; 1895, apertura della ferrovia Beirut – Damasco (3 Agosto), percorribile dal treno in nove ore; 1896, servizio di posta (bar†d) tra Beirut e Damasco. A proposito della ferrovia, Stoppani aveva scritto più di un decennio prima: “io non credo lontano il giorno, in cui partirà da essa (Beirut) la ferrovia, destinata a congiungere, attraverso la Siria e la Mesopotamia, il Mediterraneo al golfo Persico, aprendo una nuova linea di commercio tra l’Europa e le Indie orientali” (p. 283). Nel 1898 veniva costruito il sistema tranviario elettrico8. Sempre Stoppani considerava che: “(Beirut) per quanto l’elemento europeo vada di giorno in giorno guadagnando la prevalenza, si ritiene ancora, tra le città litorali dell’Asia, quella che conserva meglio il carattere orientale” (p. 283). Aggiungeva: “c’è poi ancora, verso le alture, la parte più nuova, diremo nascente, e tutta europea della città, con larghe strade carrozzabili, piazze, vaste case e stabilimenti di diverso genere” (p. 285-86). Queste prime note, riferite all’opera dell’abate Stoppani, inducono lo studioso a superare la tradizionale disamina, tendente a considerare fenomeni ed avvenimenti caratterizzanti i cambiamenti del sec. XIX nel quadro dell’esclusivo processo di occidentalizzazione o “westernization”, o tutto al più della dualità della presenza ottomana ed europea inserita nel contesto dell’acculturazione subita, quindi esterno9. Tale approccio solo in parte spiegherebbe il senso del termine arabo r™h al-tafarrung utilizzato nelle storie locali dell’epoca per indicare il cambiamento, che ebbe invece ben altro significato rispetto al semplice modo del vivere quotidiano alla maniera europea. “Lo spirito dell’europeizzazione” va

Muhammad Kurd ‘Al†, Khitat al-Sh…m, cit., vol. V, pp. 160 e sgg.. A mò d’esemplificazione si veda L. Fawaz, “Foreign Presence and Perception of Ottoman Rule in Beirut”, in J. Hanssen-Th. Philipp-S. Weber (edited by), The empire in the city, cit., pp. 93-104. 8 9

101


preso in esame appaiato all’altro idkh…l anw…r al-tamaddun, idea per la quale esogeno ed endogeno interagirono nell’ambito di un complicato processo di iqtib…s, il prendere a prestito, e di tawf†q, azione di fare andare bene e/o adattamento10. Ancora l’abate Stoppani offriva in proposito qualche materiale di riflessione, descrivendo l’architettura beirutina moderna: “L’Albergo dell’Europa, dove prendemmo stanza è un buon albergo, fabbricato all’orientale, servito all’europea.. A noi fu assegnato un quartiere veramente alla orientale, cioè con un terrazzo in luogo di tetto, da cui si godeva la più bella vista sul mare, sul Libano e sulla città. Là ci trovavamo poco meno che all’altezza dei minareti, e quasi al tu per tu cogli ulemi che vi si mostravano a certe ore fisse, e principalmente all’ora del tramonto” (p. 282). La prossimità con l’opera dello shaykh al-Q…y…t† si rivela, sotto tale profilo, impressionante11. Scriveva infatti lo shaykh egiziano: “ sappi che questa solida città è tra le città siriane (al-sh…miyyah) più importanti, e tra i porti della costa, con elevate costruzioni e panoramiche. La gran parte della sua architettura dentro le mura ricalca la tradizione antica, mentre le nuove costruzioni fuori le mura sono costruite su modelli nuovi” (p. 32). Lo sviluppo urbano non fu disordinato; seguiva un piano determinato dalla presenza del mare e della montagna: “la città è prospiciente al mare (mushrifah ‘alà’l-bahr), una finestra sulla terra” (ibid). Per al-Q…y…t† “Beirut nel suo complesso è città islamica dal punto di vista della religione, del senso della propria dignità, della fierezza dell’appartenenza, ed è europea negli ordinamenti”, sulla qual cosa tutti sembravano concordare, qualunque fosse la confessione religiosa cui appartenevano i suoi abitanti, i quali riconoscevano insieme che la prosperità della città si fondava – come sottolineava al-Q…y…t† - sul rispetto delle leggi e degli ordinamenti giudiziari ed amministrativi (p. 34). Per queste note, le opere prese in esame sono quella dell’italiano Antonio Stoppani, abate milanese, cui già si è fatto riferimento, dal titolo Da Milano a Damasco. Ricordo di una carovana milanese nel 1874 (Milano, L.F. Cagliati editore 1888), e la citata opera dello shaykh egiziano Muhammad Ibn ‘Abd al-Gaw…d AlQ…y…t† al-Misr†. Esse risultano paradigmatiche, soprattutto la rihlat al-Sh…m di alQ…y…t† a cui, ovviamente, dedicheremo lo spazio maggiore. Antonio Stoppani, nato a Lecco nel 1824, è noto in Italia per alcune opere di divulgazione scientifica (il Bel paese, pubblicato nel 1873) con vivo interesse per le scienze geologiche. Venne ordinato sacerdote nel 1848; ma era uomo di religione e giovane seminarista che aveva partecipato attivamente alle Cinque giornate di Milano, combattendo sulle barricate e connotando la sua vita come uomo del ri10 Cfr. Nu‘m…n Qas…til†, al-Rawdah al-ghann…’ f† Dimashq al-Fayh…’, Beirut D…r al-R…’id al-‘Arab†, II ed. 1982 (I ed. 1879), p. 93, e A. Pellitteri, Islam e riforma. L’ambito arabo-ottomano e l’opera di Raf†q Bey al-‘Azm intellettuale damasceno riformatore (1865-1925), Palermo Studi e Ricerche, Facoltà di Lettere e Filosofia 30, 1998: in part. cap. III. 11 Al-Q…y…t†, Nafhat al-bashsh…m f† rihlat al-Sh…m, Beirut D…r al-R…’id al-‘Arab† 1981.

102


sorgimento, prima che di uomo di chiesa. Il suo operato venne spesso contrastato dalle gerarchie ecclesiastiche; morì a Milano nel gennaio del 189112. Poco noto resta questo suo diario di viaggio che è invece di grande interesse ed utilità; le considerazioni di tipo scientifico e naturalistico si mescolano alle attente osservazioni di carattere socio-politico, caratterizzando la scrittura del diario per vena ironica attraverso la quale si ricordano fatti pur drammatici, come quelli succeduti allo scontro confessionale a Damasco nel 186013. E’ utile sottolineare che lo stile dell’opera è fluido, cosa che del resto si riscontra anche nell’opera di al-Q…y…t†14; oltre che ironico, il tono è talvolta lirico, quando l’autore si trova di fronte alla bellezza dei posti descritti e/o degli uomini e delle donne. A proposito di queste ultime a Beirut, Stoppani scriveva: “il costume orientale della Siria offre molte specialità, in confronto dei costumi turchi e delle diverse razze nelle città d’Oriente già osservate; ma per descriverlo, bisognerebbe entrare in troppi dettagli, e dir meno assai di ciò che il lettore già conosce o può facilmente conoscere, leggendo alcuno dei tanti viaggi in Oriente, scritti da autori che hanno avuto ben maggior tempo di osservarlo e studiarlo. Le donne, già si intende, sono tutte velate; anche le Maronite, benché cristiane cattoliche, velate con un fazzoletto di colore, o stampato a fiori, il quale, benché trasparente, lascia vedere le fattezze del viso molto meno dei veli anche più fitti, ma bianchi, che si usano altrove. In città, tutte le donne appena un po’ a modo, non escono che avviluppate nell’invariabile isar15; una specie di gran lenzuolo, in cui s’involgono il capo, e tutta la persona fino ai piedi, e dà loro l’aspetto di altrettanti fantasmi: ne riparleremo. Le ragazze, fino verso i 12 anni, vanno vestite con semplici calzoni alla turca, e qualche lacero farsetto. Un fazzoletto leggero, talvolta un vero cencio, ne copre, con uno degli angoli, la testa, lasciando scendere il resto sulle spalle, in un modo veramente artistico” (p. 285). Alla presenza ed al ruolo degli ‘ulam…’ e/o a‘y…n o uomini di scienza nelle città del Bil…d al-Sh…m, con riguardo a Beirut e Damasco, lo shaykh Al-Q…y…t† dedicava le pagine più importanti della rihlah. L’esule egiziano, pure ‘…lim, delineava la detta presenza e ruolo, analizzando le modalità attraverso cui si affermarono le novità relative alla composizione sociale ed all’adattamento in una città toccata da profondi cambiamenti. Sotto tale punto di vista, la rihlah dell’egiziano, pur inse12 Sappiamo che il compianto amico e collega Giorgio Vercellin, immaturamente scomparso, si è occupato di Antonio Stoppani, lasciando un lavoro manoscritto sull’opera dell’abate milanese, e speriamo che presto tale lavoro possa essere dato alla stampa. 13 Vedi A. Pellitteri, Damasco dal profumo soave. Seduzione e poesia di una grande città musulmana, Palermo Sellerio 2004: conclusione “La visione dell’Altro: Damasco ‘spicchio del mondo’”. 14 Paradigmatico può considerarsi l’uso della terminologia riferita a Damasco nella seconda metà dell’Ottocento, tra cui “Damasco che è come un piccolo sorriso che spunta in un piccolo angolo della bocca sul viso feroce d’un gigante”; “orientale fantastica ridda” (composizione etnica); “pandemonio etnografico”; “Damasco spicchio del mondo”. 15 L’autore fa riferimento al lungo copricapo indossato dalle donne chiamato in arabo al-iz…r. Anche secondo al-Q…y…t†: “wa ‘alà ru’™sihinna al-iz…r al-taw†l” (p. 141).

103


rendosi nella tradizionale produzione islamica di rah…l…t, se ne distingue. Innanzitutto va tenuto conto del motivo che spinse lo shaykh al-Q…y…t† a lasciare l’Egitto ed a visitare il Bil…d al-Sh…m. Quest’opera non è infatti una rihlah hig…ziyyah; il viaggio, o meglio allontanamento dello shaykh al-Q…y…t† fu conseguenza degli avvenimenti legati alla rivolta in Egitto guidata dal colonnello A|mad B…sh… al‘Ur…b† nel settembre del 1881. Quella rivolta fu repressa dagli inglesi l’anno dopo; il 17 settembre del 1882 venne occupato il Cairo dalle truppe britanniche, mentre la Valle del Nilo passava sotto il controllo inglese, nonostante che l’Egitto, con l’accordo ottomano britannico del 1885, fosse considerato ancora parte, anche se solo nominalmente, della Dawlah al-‘uthm…niyyah. Era il 1882, inizio dell’era di ‘Abb…s II al-‘Ilm†, quando fu stabilito di mandare in esilio lo shaykh al-Q…y…t†, costringendolo ad abbandonare il watan o luogo di nascita e di residenza, nonchè le importanti funzioni svolte presso la moschea di al-Azhar. Fu prima chiuso in carcere al Cairo e poi ad Alessandria, dove fu trattenuto per una settimana. Il venerdì 11 del mese di rab†‘ al-awwal dell’anno 1300 E (gennaio-febbraio 1883) gli venne concesso di imbarcarsi per al-Sh…m: viaggio disastroso e pericoloso, poiché si era in pieno inverno. La nave (al-w…b™r) sostò a Port Said, poi si diresse alla volta di Y…f…, in Palestina o Siria meridionale, quindi a Hayfa, per giungere a Beirut, da dove ebbe inizio la rihlat al-Sh…m. Al-Q…y…t† fece ritorno in Egitto tre anni dopo, nel 1886, riconoscendo che “in verità il Bil…d al-Sh…m è ora tra i migliori paesi musulmani” (p. 150). Il distacco dalla produzione precedente si nota nell’uso più diretto della lingua, in cui importanza assume l’io narrante; nei contenuti, più modernamente politici, tendenti a connotare ricomposizione e adattamento in ambito socio-culturale; nella terminologia, la quale risulta il più delle volte funzionale alla operazione suddetta. Il primo capitolo della rihlah è dedicato a Beirut e ad alcuni suoi ulema ed alle importanti famiglie (pp. 12-14). Nelle prime righe, l’autore ricordava l’arrivo al porto, la discesa al kh…n al-Sayyid presso lo scalo (al-iskalah) e poi l’ospitalità presso la casa di uno degli Al al-Qabb…n† “famiglia celebre tra le grandi famiglie di questa città popolosa”, i cui membri, stimati mufti, avevano approfondito i loro studi all’Azhar. Tra essi l’autore egiziano menzionava lo shaykh Ahmad Efendi alQabb…n†, ritenuto “min af…dil al-‘ulam…’ wa am…thil al-udab…’” (p. 12), sottolineando il ruolo giocato “al servizio dello Stato e della Patria” (li’l-dawlah wa’l-watan, p. 13). In questa prima parte, al-Q…y…t† metteva pure in evidenza l’esistenza in città di “umar…’, ‘ulam…’, udab…’, tugg…r e ahl i‘tib…r”, citando tra le famiglie note il bayt al-s…d…t Bayyuhum: “avevano grandi attività commerciali e ricchezze enormi, palazzi ben costruiti e numerose case, proprietà e immobili, mulini e caravanserragli” (p. 14). Il personaggio cui faceva riferimento al-Q…y…t†, vivente in quel periodo, era al-h…gg ‘Abd All…h Bayyuhum, ottantenne la cui autorevolezza consisteva, secondo l’autore egiziano, nell’essere “saldo di intelletto e di religione” (th…bit al-‘aql wa’l-d†n, ibid). I membri della famiglia si distinguevano anche per 104


il loro impegno culturale e politico. Uno dei membri della famiglia era “s…hib alsa‘…dah wa’l-siy…dah al-h…gg Muhh†’l-D†n Efendi Bayyuhum già presidente della municipalità ed oggi occupato nelle attività commerciali” (ibid). Fin da queste prime righe, lo shaykh al-Q…y…t† ci ricorda che in epoca ottomana, solo per restare nello specifico, la ricchezza di una città proveniva dalla molteplicità dei gruppi umani che vi avevano la residenza e che riteneva quella città il proprio watan, luogo di nascita o di residenza appunto. La molteplicità di affiliazioni non implicava necessariamente la disunità e la divisione in una miriade di gruppi incontrollabili e contrapposti, come certa produzione storiografica coloniale ed i diari del viaggio in Oriente hanno teso ad evidenziare. Se da una parte, fu in rapporto a ciò che la suddetta produzione storiografica e letteraria europea ha voluto sottolineare la stessa decadenza della città “araba” e/o “islamica” nell’epoca del progresso e della ideologia della modernizzazione, dall’altra, i luoghi “comunitari” di cui si parla nelle fonti arabe, come in questa rihlat al-Sh…m, e che connotano la particolare valenza positiva della detta molteplicità, non furono mai spazi osservati come isolati e concorrenti. Lo spazio semmai fu considerato g…mi‘, ossia atto a raccogliere e ad includere, seppur talvolta tra limiti e contraddizioni prodotte dalle migrazioni regionali (urbanizzazione di contadini impoveriti) ed esterne, con riguardo ai nuovi venuti, spinti a trovare rifugio a Beirut da guerre, perdite territoriali ottomane, insicurezza. E’ utile notare sotto tale profilo l’interesse manifestato dall’autore egiziano per le antiche e nobili famiglie beirutine (min al‘…’il…t al-qad†mah wa’l-buy™t al-kar†mah), tra cui la famiglia Ramad…n, nota per il tradizionale ruolo politico amministrativo svolto prima con la presenza egiziana e, dopo il 1841, nel contesto dell’amministrazione ottomana. Sottolineava lo shaykh egiziano: “appartengono ai grandi di Beirut (min kib…r ahl al-balad), ricchi e facoltosi”, capaci di assecondare le novità e la modernità nel campo della politica e dell’economia (p. 15). Altra famiglia ricordata era quella al-s…dat Al al-Barb†r: “tra i suoi membri si annoverano grandi commercianti, eminenti ulema ed importanti scrittori” (p. 16). La descrizione (dhikr) della presenza e del ruolo degli ‘ulam…’ wa’l-ak…bir a Beirut, ma la stessa cosa si può dire per Damasco e gli altri centri urbani visitati, tra cui Gerusalemme ed altri centri della Palestina (pp. 84-108), è quindi il tema centrale della narrazione; la parte dedicata a Beirut è di oltre sessanta pagine. L’incontro con “i grandi uomini di scienza e i migliori scrittori” tese a connotare non solo il senso del viaggio e del soggiorno a Beirut, e nel Bil…d al-Sh…m più in generale, ma la stessa città: spazio, società e cultura, relazioni comunitarie, senza che mai lo shaykh egiziano rimarcasse distinzioni e/o specificità etnico-confessionali o dottrinali, pur rilevate (pp. 18-31). Tra frequenta periodicamente nella sua casa di Zuq…q al-Bal…t, il ‘…lim egiziano ricordò gli shaykh delle principali confraternite sufi presenti nel vilayet: al-Khalwatiyyah, al-S…wiyyah, al-Rif…‘iyyah, al-Sa‘diyyah, al-Ahmadiyyah, al-Sh…dhiliyyah e al-Darq…wiyyah (p. 29). 105


Ma al-Q…y…t† considerò importante la presenza a Beirut di una “ºumlah min alw…rid†na ilayh… wa’l-w…fid†na ‘alayh…” (pp. 35-41), o gruppo di personalità nuove arrivate, precisando: “al-w…fid†na ‘alà bil…d al-Sh…m min al-Hind wa’l-Sind wa’l‘Arab wa’l-a‘º…m”. Ne evidenziava il sistema di relazioni instaurate con gli uomini di stato (riº…l al-dawlah) ed i comandi militari (al-umar…’ al-‘askariyyah) della provincia beirutina, così come con gli a‘y…n ahl al-tiº…rah (i grandi commercianti) e al-af…ÿil (élite intellettuale), appartenenti alle ‘…’il…t al-qad†mah (antiche famiglie), e al-‘…’il…t al-na¡r…niyyah (le famiglie cristiane) molto numerose a Beirut (fa-hum kath†r, p. 31). In questa parte della rihlah, la stessa cosa si può dire per la produzione letteraria e storiografica arabo-musulmana dell’epoca, si tese ad affermare che gli ulema costituivano un corpo assai numeroso e variegato; ‘ulam…’, fuqah…’, qud…t, comprendente studiosi in senso lato. Si trattava di figure legate alle istituzioni religiose ed alle mad…ris: insieme umano largo, aperto e fluido, che trovava l’unità nelle attività correlate alla trasmissione dei saperi, religiosi e non, all’amministrazione della giustizia, alla diffusione della cultura, come nel caso dello shaykh sciafeita Muhammad Efendi Tabb…rah: “uno dei membri della Ripartizione della Cultura e dell’Associazione al-Maq…sid al-khayriyyah (p. 30). Contestualmente al ruolo del singolo ‘…lim, veniva sottolineata la dignità della famiglia di appartenenza. Ciò veniva messo in rilievo attraverso l’uso di una particolare terminologia, riferita alla continuità con il passato da un lato, fondata sulla caratteristica di corpo sociale difficilmente connotabile come vera e propria classe; e dall’altro evidenziando la novità rappresentata da una “marginalizzazione” contraddittoria, effetto della politica di modernizzazione ottomana. All’interno della quale però permaneva l’importante ruolo di referenza e consulenza degli ulema per la politica e l’autorità costituita. Da ciò il ‘…lim otteneva beneficio, compresa la famiglia cui apparteneva, grazie ad elargizioni finanziarie provenienti direttamente dalle autorità ottomane, e da operazioni legate al sistema degli awq…f, talvolta spregiudicate (pp. 42-46). Nonostante le novità rappresentate dalla riforma dei codici giudiziari, gli ulema continuavano ad esercitare un importante ruolo di rappresentatività (ri’…sah) nelle realtà locali. La continuità con il passato veniva affermata; basti ricordare l’importanza che continuava ad avere il responso giuridico o fatwà nel determinare costumi e comportamenti socio-giuridici ancora nel sec. XIX16. Non a caso tra le cose degne di essere menzionate nell’opera di al-Q…y…t† è il capitolo (pp. 35-41) dedicato agli “ikhw…nin… al-mi¡riyy†na al-manfiyy†na (esiliati) min Mi¡r bi-w…si¥at al-|…dithah al-‘ur…biyyah”. L’attenzione rivolta agli ulema che abbandonavano le loro patrie o aw¥…n per trovare riparo nel Bil…d al-sh…miyyah è significativa. Tra essi al-Q…y…t† non poteva non menzionare lo shaykh Mu|ammad ‘Abduh prove16 Significativa è l’opera di un grande giurista e mufti di Damasco, Mu|ammad Am†n Ibn ‘Abid†n (m. 1836), noto per il suo “al-‘Uq™d al-durriyyah f† tanq†| al-fat…wà al-|…midiyyah”, pubblicato al Cairo, in 2 voll. nel 1861.

106


niente da Tunisi “wa huwa al-…na muq†m bih…” (Beirut); gli appartenenti alla famiglia dell’emiro ‘Abd al-Q…dir al-Gaz…’ir† “che ultimamente ha preso la residenza a Damasco, dopo la dipartita dal Bil…d al-Maghrib e la sua nota guerra contro lo Stato francese durata circa 15 anni” (p. 35); (a Beirut) lo shaykh al-‘…lim alf…ÿil wa’l-murshid al-k…mil ‘Ubayd Allah al-Kurd† “alladh† k…na yuh…ribu dawlat al-‘aºam”, rilevando che “yatakallamu qal†lan bi’l-l™ghah al-‘arabiyyah”, e che, nonostante ciò, “mi vece visita e parlammo insieme intorno agli avvenimenti egiziani”; (a Geble) raºul min ak…bir ‘ulam…’ Afghanist…n certo shaykh ‘Abd alRa|†m noto come ‘Abd al-B…q† originario del distretto o ‘am…lah di Peshawar, di cui al-Qay…t† rilevava la nuova situazione coloniale “al-d…khilah al-…na f† |uk™mat al-inkl†z”. L’‘…lim afghano prima di prendere la residenza in Libano era stato in Egitto, sottolineava al-Q…y…t†. Numeroso era il gruppo di ulema di cui l’autore menzionava la vicinanza negli anni di studio all’Azhar, ricordata con l’uso del termine, invalso nella tradizione musulmana, muº…warah bi, come nel caso dello shaykh libanese sciita “al-sayyid al-shar†f al-‘…lim al-‘…mil al-shaykh A|mad Efendi al-Zayn, naq†b al-al-ashr…f b†-h… (Sidone) wa-sabaqa lahu muº…warah bi’lº…mi‘ al-Azhar qad†man”. Oppure in occasione della visita a Tripoli di Siria, alQ…y…t† faceva riferimento a coloro: “alladh†na kunn… na‘rifuhum f† muddat al-muº…warah bi’l-Azhar”. Tra i motivi che spingevano a prendere la residenza a Beirut l’autore egiziano indicava quello della cura e della salute. Citava tra gli altri il caso dello shaykh al-G…bir†, tra gli af…ÿil ahl Halab, venuto a Beirut col figlio malato da sottoporre a cura medica: “wa huwa ragul min ak…bir al-s…dat al-umar…’ wa ahl al-tharwah al-aghniy…’”; quello dello shaykh Muhammad Efend† al-Har†r† o anche al-Hamaw†, giunto a Beirut l’anno scorso” (p. 40). Queste poche citazioni, tra quelle da noi scelte a mò d’esemplificazione, concorrono a delineare il cambiamento nel quadro di realtà complesse, in cui la continuità con la storia passata ed il sistema Islam è ampiamente rilevata. E’ interessante notare, in conclusione, che tale operazione è compiuta dall’autore attraverso l’uso di significative forme verbali 1) warada ilà (venire al luogo dell’abbeverata / arrivare / raggiungere un luogo / trasferirsi) e del participio presente al-w…rid ilà (nuovo arrivato in un luogo); 2) wafada ‘alà col senso di venire in visita, arrivare in qualità di invitato, e del participio al-w…fid ‘alà (nuovo venuto e/o in quanto invitato). Al-Q…y…t† metteva in rilievo inoltre il dato dello spazio º…mi‘, ne considerava i più livelli intrecciati tra loro: quello del luogo “comunitario” o mak…n º…mi‘ delle città; dell’area di lingua araba, nel caso specifico Bil…d al-Sh…m, Egitto e Maghrib; del livello islamico più in generale. Dati fisici questi, ma anche culturali e socio-giuridici che l’autore delineava senza ricorrere ad alcuna lente deformante, come potrebbe essere stata quella del “cosmopolitismo”, assai di moda alla fine dell’Ottocento in Europa, ambiguamente impiegata, e che ancora oggi affascina l’osservatore occidentale. 107



Axel Havemann*

Tariq Ali’s Historical Novel A Sultan in Palermo How much fact, how much fiction?

Looking at historical novels from the viewpoint of the modern theory of literature, the question as to the character of historical novels is inseparably interwoven with the problem of the distinction between narrative (or story) (German: Erzählung, French: récit) and other forms of statement which serve the purpose of recording facts or events consistent with reality. As a criterion of distinction between narratives and factual reports, the so-called aspect of truth appears to be suitable because the narrative is regarded as a product of fictional creation and the factual report as a result of authentic documentation.1 However, this classification of texts soon reaches its own limits: firstly, a narrative may absorb elements of real life or may lean on authentic facts without losing its fictional character, and secondly, reports, too, do not automatically conform to reality. A report may be true, untrue or intentionally untrue (i.e., fictitious or interspersed with fictional elements). Consequently, a text could only be described as a (fictional) narrative, if it has renounced its inherent claim to authenticity.2 In contrast to this, the modern theory of literature maintains that the aspect of truth does not play a decisive role in distinguishing a text as either ‘narrating’ or ‘recording’, as either ‘fictional narrative’ or ‘non-fictional report’. The focus of attention should rather be the content of the text, i.e., what is being portrayed.3 Such Istituto di Islamistica, Freie Universität Berlin. See, for example, Karlheinz Stierle: Erfahrung und narrative Form. Bemerkungen zu ihrem Zusammenhang in Fiktion und Historiographie. In: Theorie und Erzählung in der Geschichte, eds. Jürgen Kocka, Thomas Nipperdey, München 1979, 85-118. 2 Wilhelm Füger: Zur Tiefenstruktur des Narrativen. In: Poetica, Zeitschrift für Literaturwissenschaft 6 (1972), 268-292; Wiklef Hoops: Fiktionalität als pragmatische Kategorie. In: Poetica 11 (1979), 281-317, esp. 289. – For the larger context, see Formen der Geschichtsschreibung, eds. Reinhart Koselleck, Heinrich Lutz, Jörn Rüsen, München 1982; Hayden White: Die Bedeutung der Form. Erzählstrukturen in der Geschichtsschreibung, Frankfurt 1990. 3 Dietrich Harth: Historik und Poetik. Plädoyer für ein gespanntes Verhältnis. In: Geschichte als Literatur. Formen und Grenzen der Repräsentation von Vergangenheit, eds. Hartmut Egger, Ulrich Profitlich, Klaus R. Scherpe, Stuttgart 1990, 13-28; Gérard Genette: Fictional Narrative, Factual Narrative. In: Poetics Today 11/4 (1990), 755-774. * 1

109


an approach would allow to classify large parts of historiographical writing as nonfictional but nevertheless narrative. And beyond it – to come to the actual topic of the following article – this approach would help to place the historical novel on ‘the threshold of fact and fiction’: In other words, the functions of fact and fiction are at stake; what matters are their transitions and transactions to create a specific content by means of a specific mode of portrayal. Fiction appears to become a possibility of interpreting reality, of manifesting reality, or even of re-creating reality. Here, a third term comes into play, namely, the imagination (imaginaire).4 If fiction is considered elaborate and interpreted reality, imagination is a branch of fiction almost without any relation to reality. While fictionalisation refers to an actual or historical event, imagination forms mental images by appealing to one’s memory or by combining different memories. To put things easier, fictionalisation produces narratives, and imagination creates mental images of what is not actually present in the mind. Given these considerations, what about Tariq Ali’s novel A Sultan in Palermo? To begin with, some short remarks on the author5 who is fairly known among specialists and friends of the so-called Third World Literature: Tariq Ali, who is living in London, was born in Lahore in 1943 where he experienced the turmoil stemming from the struggle for the de-colonization and the division of India. After initial studies at Punjab University he had to immigrate to England at the age of 20, due to his political activities against the Pakistani military dictatorship. In Oxford, Ali continued studying politics and philosophy but also remained politically engaged. As a leading member of the student movement of 1968, he stood up against the Vietnam War joining, among other things, in public debates with Henry Kissinger. Throughout his life Tariq Ali has considered himself a socialist and an anti-imperialist; he is coeditor of an international leftist magazine (The New Left Review), a prolific journalist and a book writer. Among his recent publications are highly critical books on fundamentalism in the modern world, on the US in Iraq, and on Middle and Latin American socialist political leaders.6 Apart from this, Tariq Ali has been working as a writer of novels, stage plays and film scripts. All of his novels deal with, or are based on, historical topics from the Islamic world: the decline of Muslim civilization in al-Andalus, Saladin and the Crusaders, Ottoman Istanbul on the eve of the Young Turks, Sicily under Muslim and Norman rule. All books have one issue in common, namely, the Muslims and the Muslim culture in history, particularly in their relationship with Christianity. 4 Wolfgang Iser: Das Fiktive und das Imaginäre. Perspektiven literarischer Anthropologie, Frankfurt 1993; see also, Aleida Assmann: Die Legitimität der Fiktion, München 1980, esp. 14ff. 5 http://www.contemporarywriters.com/authors/?p=auth164. 6 The Clash of Fundamentalisms. Crusades, Jihads and Modernity (London, 2002); Bush in Babylon (London, 2003); Pirates of the Caribbean: Axis of Hope (London, 2006).

110


The first novel, on Muslim Spain, appeared in 1992 under the title Shadows of the Pomegranate Tree. It was followed in 1998 by The Book of Saladin, in 2000 by The Stone Women, on late Ottoman Istanbul, and in 2005 by A Sultan in Palermo.7 It is not only because of the title and the scene of action that a discussion of the last mentioned book seems quite suitable for a conference in Palermo on intercultural encounters. More than this, Tariq Ali’s novel A Sultan in Palermo is a fine example of the entanglement of literature and history writing as indicated above. What is told in this novel? The narrative starts in 1153 when Sicily, together with parts of the South Italian mainland, was ruled by the Normans since more than sixty years. Before that time, the island had been under Muslim dominion for a good two and a half centuries in the course of which Arab-Muslim culture and civilization was spreading out in full blossom. To some extent, the capital of Palermo could compete with Baghdad and Cordova, both in its size and splendour. This situation continued to exist also under Norman sovereignty: in particular, the court of King Roger II (who ruled from 1105-1154, first as count and duke of Sicily and Apulia, then as king of Sicily) was largely dominated by the Arabic language and Muslim culture, and the king – irrespective of his Christian confession – surrounded himself with Muslim scholars and administrators, plus a harem filled with concubines and eunuchs. Instead of supporting the Crusader operations in Syria and Palestine, Roger used his military power to occupy the African coast from Tripoli to Bone and to extend Norman authority and influence in the central Mediterranean. Altogether, this ambitious policy turned to become a serious challenge both to Christian and Muslim neighbours and rivals, notably the Byzantines and the advancing Almohads.8 As for Sicily, the Muslim subjects are said to have lived under King Roger’s rule in peaceful coexistence with the Christians and the Jews. However, with the King’s growing weakness and disease the influence of the Church and the Christian barons increased considerably: the early result being encroachments on the Muslim inhabitants. Only some years after Roger had died (in 1154), the persecution of the Muslims was set about which finally ended in their escape, expulsion or deportation.9 It is against this historical background – which is only very little alluded to – that Tariq Ali tells us about the Norman king Roger II and the Muslim scholar 7 The novels, all written in English and published by Verso in London, have been translated into several languages (German, Spanish, Italian, etc.). A fifth novel is expected to complete Tariq Ali’s ‘Islam Quintet’. 8 For Muslim and Norman Sicily, see Michele Amari: Storia dei musulmani di Sicilia, 3 vols., 2nd edition (Carlo Alfonso Nallino), Catania 1933-1939; David Abulafia: Frederick II. A medieval emperor, London 1988, ch. 1; Hubert Houben: Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Orient e Occidente, Roma-Bari 1999; Jeremy Johns: Arabic Administration in Norman Sicily. The Royal Dñwæn, Cambridge 2002; Art. “†ikilliya”, The Encyclopaedia of Islam (new edition) IX, 582-591. 9 During the 1220s and 1240s, under the rule of Frederick II of Staufen (see Abulafia, op. cit., ch. 1 and 4; further references in note 21).

111


Muhammad al-Idrisi. As all persons and locations in the book, Roger’s name is arabicised: he is called Rujari (and in Palermo he is the Sultan, whereas in South Italy he is King Roger10). Al-Idrisi who has written by royal order a geographical work, the Kitab al-Rujari, returns from a voyage to Palermo where he finds the Norman ruler to be very sick. The latter informs him that he will sacrifice one of his most loyal fellows, a certain Philip of Mahdiyya, in order to confirm his obedience to the Church before his death and to secure the throne for his son William. The powerful Norman barons in Sicily have demanded Philip’s head because they accuse him of apostasy and betrayal. Philip, a former Muslim slave in Africa, had been baptised but later returned to Islam and made a political career at the court of Palermo where he became a very close consultant of Sultan Rujari. When al-Idrisi learns about Rujari’s readiness to sacrifice the life of Philip he is extremely shocked. But he can not change the ruler’s mind so that in the end, after a show trial at court, Philip is burnt on the stake. This event causes a Muslim riot in Sicily which, after Rujari’s death, is crushed down and results in a bloody massacre of Palermo’s Muslim inhabitants. Members of al-Idrisis’s family and household are also among the victims. Finally, the scholar decides to leave Sicily to go to Baghdad. He is convinced that this city will always remain in Muslim hands, that this city will never fall ... (A marginal note: Tariq Ali’s novel appeared in 2005, written by an anti-American author who also published a book entitled “Bush in Babylon”!) An epilogue of the book describes the deportation of the last revolting Muslims from Sicily to Lucera/Apulia by order of Frederick II of Staufen. There, the German emperor and Italian king is holding court similar to a Muslim sultan. After his death in 1250, the descendants of al-Idrisi, who have also got to Lucera, depart from Italy towards Africa. One of them sets out for Palestine, dreaming to see the al-Aqsa Mosque of Jerusalem which had been liberated by the Muslims from the hands of the Frankish rulers. This order of events as told in the narrative is interspersed with several stories and plots about the life of al-Idrisi, his family, his interests and plans. Much of what is narrated is of largely an intimate character, certainly shocking – and, I would argue, meant to be shocking – for many Muslims then and today. Without going into all the details it may suffice to say that al-Idrisi is depicted as a believing Muslim; however, far from being orthodox or fundamentalist. He does not regularly visit the mosque and sometimes drops prayers when he is not in the mood to say them. He recommends the peasants on his estate to convert to Christianity, at least to pretend it, in order to be safe from the growing threats of the Christians. He is amused to quote obscene verses on homosexuality, he is fond of alcoholic drinks, and he commits adultery with his sister-in-law.11 Once, in a long discus10 11

112

Tariq Ali: A Sultan in Palermo, London: Verso, 2006 (2nd ed.), 42-43, 48. Op. cit., 26, 106, 133-134, 139, 222-223.


sion with Rujari on Islam and Christianity, al-Idrisi even mentions that the Caliph Umar was sometimes surprised when his intimate advices to the Prophet Muhammad were later preached as parts of the revelation, and that Muhammad’s wife A’isha noticed an amazing correspondence of relevations regarding women with the wishes of her husband!12 Nevertheless, al-Idrisi is portrayed as a serious believer who never thought of changing his confession – even not out of appearance as it was done by so many in those times. From al-Idrisi’s remarks on his religion and on Muslim history one gains quite an unusual picture of Islam; for example, he plays with the idea of not beginning his book with the Basmala and looks for alternatives from ancient Greek philosophers, or he is quite critical of the political situation in parts of the Muslim world and of the behaviour of Muslim rulers.13 But altogether, the permissiveness in sexual matters appears to be the most striking issue of the whole narrative. Al-Idrisi has parted with his wife. His big love called Mayya is living in the Sultan’s harem, but al-Idrisi visits her and procreates a daughter. Although the Sultan is quite aware of this, he passes over the fact in silence. Towards the end of his life he sends Mayya and the daughter to al-Idrisi who immediately marries his dream woman. At the same time, he starts an affair with Mayya’s sister who absolutely wants a baby but has an impotent husband. Mayya even supports her sister’s plan; so she becomes pregnant from al-Idrisi but before the birth returns to her husband not to cuckold him. However, the husband knows everything and is even happy about having an own descendant; more than this, he will offer al-Idrisi his wife in case she may want more children!14 None of the persons involved seem to have serious problems with these chaotic relationships, although all of them are busy to keep things secret from the public. And not less astonishing is the fact that the driving forces of the adultery were the women! Another remarkable issue of the narrative is that members of the Muslim community in Sicily are presented as the ones who tried to slow down the violence stemming from the rising conflict between the Christians and the Muslims in order to avoid a civil war. According to the story, the leading idea was to protect life; not to fight and to die for Allah and to become a martyr. However, this kind of thinking was only one aspect of the Islamic religion. Al-Idrisi states in different contexts that the belief of the bedouins is much more fanatic than the belief of the urban (i.e., the settled) population, because the latter is more concerned with commerce and sciences than with Jihad. Sciences and civilization have opened Islam towards other cultures; and in spite of all contrasts, the ‘desert culture’ has learnt from the heritage of the Greeks and the Romans as the Normans have learnt from the MusOp. cit., 150. Op. cit., 10, 13, 70, 77, 80, 123. 14 Op. cit., 191-192, 195. 12 13

113


lims.15 Al-Idrisi is convinced that the exchange of knowledge has brought about the greatness and splendour of Islam. Therefore, he is so furious with the destruction of books and manuscripts committed by fanatic fellow believers.16 Perhaps these reflections of al-Idrisi are the most distinguished parts of the book. The author’s protagonist is a very realistic and largely unbiased observer whose critique turns against both sides, Muslims and Christians, in the same way – but his critique never degenerates into accusation and disparagement. Nobody is meant to be denounced, reviled or condemned. Only a literary portrait is drawn to show how ‘golden’ one small part of the world happened to be in the past, and how this situation could be renewed with the corresponding attitude of both sides. Was the time of Arab-Muslim and Norman Sicily really a golden age? Before discussing this controversial matter and relating it to our novel, some remarks on the historical figures as presented in the narrative may be enlightening: Rujari, alIdrisi, Philip of Mahdiyya. All the three are transformed into literary figures; about Philip, we know rather little from historical sources, about Rujari or Roger quite a lot, and about al-Idrisi almost nothing.17 In Tariq Ali’s narrative, Philip becomes a sympathetic hero who dies for a supposedly good cause – although the following events are a disaster to the Muslims. Rujari is portrayed as a weak and sometimes even helpless person – what certainly he was not. In the whole book, nothing recalls the great achievements of this Norman ruler, neither with regard to politics nor to economic and cultural matters. He is simply a good-natured, if not naive man; no trace of strong will, political acumen and pragmatic realism. Al-Idrisi is the real protagonist of the novel. Yet, all of his ideas and activities are pure inventions of the author; practically nothing is told on a factual basis, apart from al-Idrisi’s life at the court of Palermo and his composition of a geographical work. Following the modern theory of literature, in the case of al-Idrisi one can not speak of either ‘fictional narration’ or ‘non-fictional report’ but only look at the content of the text, i.e., what is being portrayed. The way, and by what means, al-Idrisi is presented elucidates the secret of the art of story-telling. Here, the categories of fact and fiction have become meaningless. The figure of al-Idrisi, with all his particularities, serves as a mouthpiece of what the novel’s writer wants to express. In fact, the ideas and reflections on Islam, on Muslim culture past and present, and on religious dialogue and coexistence must be read and understood as the views of Tariq Ali. While the figures of Rujari and Philip of Mahdiyya are literary transformations of historical persons – strongly fictionalized but still related to facts –, the figure of al-Idrisi is an imagination for creating specific mental imOp. cit., 148-149. Op. cit., 70, 238. 17 For Philip, a eunuch as many administrators at Roger’s court, see Johns: Arabic Administration, 215218; the role of eunuchs (‘palace Saracens’) in Palermo is brilliantly analyzed by this scholar (op. cit., 212-256). 15 16

114


ages or concepts. These images or concepts represent the author’s own political and socio-cultural standpoint. Not only for story-tellers (and also a number of historians) but in the general mind, Sicily under Muslim and Norman rule (and for that matter also under that of the Staufen) is regarded as a golden age of Muslim-Jewish-Christian symbiosis. However, when studied precisely this harmony of religions and cultures had more splits and tensions than the idealizing retrospection would accept. The same disproportion between dream vision and sober historical view holds all the more true for al-Andalus, time and again presented as an example of peaceful interreligious coexistence and religious tolerance by the Muslim rulers. Here, I will not deal with al-Andalus nor compare it with Sicily. My point is just to qualify the one-sided, much too positive view of Muslim and Norman Sicily in reference to what is shining through the text of Tariq Ali’s novel. There is no doubt that Sicily experienced four centuries (from the 9th to the 13th c.) of cultural prosperity which produced a very particular synthesis of Byzantine, Arab, Berber, Jewish and Norman elements. The great cultural eclecticism of the courts from Roger II (d. 1154) to Frederick II (d. 1250) sprouted in great part from the seeds of Byzantine and Arabo-Islamic institutions and testified to the fusion of different factors and influences. But fusion or synthesis must not necessarily mean harmony; in fact, it did not. Many special questions related to this issue certainly need further research, even though modern scholarship has already achieved a lot: from the ground-breaking work of Michele Amari to more recent studies by Marius Canard, Farhat Dachraoui, Antonino Pellitteri, David Abulafia, Jeremy Johns and others.18 Regardless of this ‘cultural synthesis’ (whatever this notion may imply) there were always tensions and rivalries along political, religious and legal, ethnic and social lines: for example, in Muslim Sicily between Arabs and Berbers, or between Maliki Sunnis and Isma’ili Shiites19; and under Norman rule between the kings, the feudal barons and the clergy, or between the Muslim, the Latin Christian and the Greek administrative elite.20 What always had priority in the rulers’ eyes was to es18 Michele Amari (see note 8); Marius Canard: various articles reprinted in Canard, Miscellanea Orientalia (London 1973) and in Canard, L’expansion arabo-islamique et ses répercussions (London 1974); Farhat Dachraoui: Le califat Fatimide au Maghreb (296-365 H./909-975 J.C.), Tunis 1981; Antonino Pellitteri: I Fatimiti e La Sicilia (Sec. X), Palermo 1996; Ibid.: The Historical-Ideological Framework of Islamic Fæƒimid Sicily (Fourth/Tenth Century) with Reference to the Works of the Qæšñ al-Nu<mæn. In: Al-Masæq 7 (1994), 111-163; David Abulafia (see note 8); Jeremy Johns (see note 8). 19 William Granara: Islamic Education and the Transmission of Knowledge in Muslim Sicily. In: Law and Education in Medieval Islam. Studies in Memory of Professor George Makdisi, eds. Joseph E. Lowry, Devin J. Stewart, Shawkat M. Toorawa, London 2004, 159-173; Art. “†ikilliya”, The Encyclopaedia of Islam (see note 8). 20 Abulafia: Frederick II, ch. 1; Hubert Houben: Die Tolerierung Andersgläubiger im normannisch-staufischen Süditalien. In: Die Begegnung des Westens mit dem Osten, eds. Odilo Engels, Peter Schreiner, Sigmaringen 1993, 75-87.

115


tablish their political authority and to maintain it against all centripetal forces both from inside and outside. The Normans considered themselves first of all as a Christian power of law and order, particularly during the long reign of Roger II. Concerning the Muslims who became the subjects of the Normans in Sicily, their lot was to serve in the ranks of the conquerors. For that matter, the integration of Muslims into the new order was nothing other than an instrument of the Norman sovereigns to win over the various groups and cultures present in their state. If this policy was based on a ‘spirit of tolerance’, the pillars of this tolerance were farsightedness and pragmatism. Thus, the favour accorded to Muslims and Muslim culture by Roger II and others has to be seen in this context. The Muslim entourage of the ruler, the ceremonial of the court, the use of the Arabic language, the admiration of Muslim scholarship, especially science, and other things of Islamic civilisation – all of this is substantiated by contemporary sources, both Muslim and Christian. But this pro-Islamic attitude reached its limits when other, non-Muslim groups and forces in the Norman system felt underprivileged or menaced in their position. Insofar, Roger’s anti-Islamic reactions in the end of his life should be rather interpreted as an attempt to balance the different interests and forces of his realm – not as a sign of weakness and fear of death as told in Tariq Ali’s novel. With regard to King Roger’s successors (William I and William II) they were confronted with almost permanent Muslim resistance; no wonder that they responded with military force. The authority, power and prestige of the rulers were at stake; cultural and intellectual preferences had to come second. It was Frederick II who, in spite of his religiously liberal spirit and his great sympathy for Arabic culture and cosmopolitan scholarship, finally did not hesitate to resort to the extreme measure of mass deportation. Tens of thousands of Sicilian Muslims were uprooted and resettled in Apulia, in the colony of Lucera, where their culture lived out its last phase.21 So even this ruler Frederick II, who has been much stronger idealized than his Norman predecessor Roger II, was an unconditional ‘child of his times’, a medieval emperor – and not an enlightened spirit, let alone a personification of a golden age. To come back to Tariq Ali’s novel A Sultan in Palermo. Compared to the ups and downs of events in 12th century Sicily, very little history can be found in this book. The author is telling his story in calm and unexcited words; very little action and suspense, even not in view of the approaching end of the so-called golden age. One may wonder whether this book belongs to the category of ‘historical novel’ at all; it is certainly not an epos of history but rather a ‘painting of morals’ or a still life, quiet and unobstrusive and also, quite a lot frivolous and risqué. 21 Wolfgang Stürner: Friedrich II. Der Kaiser 1220-1250, Darmstadt 2003, 66-74. – For a new, concise and well-balanced survey, see Hubert Houben: Kaiser Friedrich II. (1194-1250). Herrscher, Mensch und Mythos, Stuttgart 2008.

116


On the other hand, for a painting of morals and a portrait of a lost culture it is astonishing that one reads almost nothing on everyday life, neither with regard to the upper classes nor to the lower social strata. How did this allegedly golden age function? How did people from the various religions and cultures get along with each other, and what about social border lines and border crossings? The text is silent on these questions. In addition, any description of the appearance of Sicilian cities, of their sacred and profane buildings, markets and streets is absent – even on Palermo almost nothing! Here, the author could have easily resorted to the rich literary sources of Ibn Jubayr (1145-1217) or al-Idrisi (ca. 1100-1165) who, after all, is the protagonist of the novel, or of Benjamin of Tudela (died ca. 1173) whose travel report is a mine on Jewish life both in Sicily and elsewhere.22 So, it remains problematic to classify this narrative into a specific genre of literature. However, the author has a clear message which is fully in line with what is known about his life and political engagement. This message is artistically and ingeniously packed in the content of the narrative. It calls for a new – Tariq Ali would probably say: a renewed – vision and visualization of religious and cultural behaviour and coexistence. To conclude, this book is less than a historical novel and more than a literary portrait of a lost culture. It is a striking example of imagination, with specific images and concepts of cultural memory. It would be tempting, indeed, to contextualize the narrative A Sultan in Palermo with Tariq Ali’s two other novels on medieval Muslim topics: The Book of Saladin and Shadows of the Pomegranate Tree. And furthermore, it may be stimulating to relate all these three novels to those of the Lebanese writer Amin Maalouf23 or even to Salman Rushdie’s The Moor’s Last Sigh.24

22 Ibn Jubayr: Ri…la, ed. William Wright, Leiden 1852, 2nd ed. M. J. de Goeje, Leiden-London 1907 (repr. New York 1973); for Sicily, see Michele Amari: Voyage en Sicile sous le règne de Guillaume le Bon, in Journal Asiatique 1846; al-Idrisi: Nuzhat al-mushtæq fñ ikhtiræq al-æfæq, many partial editions of the text; for Sicily, see Michele Amari: Biblioteca Arabo-Sicula, Leipzig 1857, 25ff.; Benjamin of Tudela: Massaot, ed./transl. Marcus Nathan Adler: The Itinerary of Benjamin of Tudela, London 1907. – There are several modern (more or less complete) editions, translations and studies of these three authors and their works. 23 For example: Léon Africain (Paris 1986), Samarcande (Paris 1988), La Rocher de Tanios (Paris 1993), Le périple de Baldassare (Paris 2000). – See Mounira Chapoutot-Remadi: Destins croisées en Méditerranée. In: Monde latin et Monde arabe. Les voies de la continuité (Actes du colloque, Palerme 23-25 février 2006), eds. Union Latine, ALECSO, Tunis 2007, 203-218 (related to the novel Léon Africain). 24 London 1995. – See Bernd Hirsch: Geschichte und Geschichten. Zum Verhältnis von Historizität, Historiographie und Narrativität in den Romanen Salman Rushdies, Heidelberg 2001.

117



Stefano Pellò*

La città pensata: Lucknow come riflesso letterario

Luogo letterario per eccellenza, sul piano immaginario o simbolico Lucknow è una città della memoria e della nostalgia, rappresentata come l’ultima capitale dello ‘splendore musulmano’ in India (se non emblematicamente identificata con l’“ultima fase di una civiltà orientale”1) e fatta oggetto di innumerevoli narrative della decadenza.2 La stessa caduta della dinastia dei Nawāb che vi avevano regnato a partire dal 1775, con il fallimento del mutiny del 1857-8 e la conseguente definitiva annessione dei territori dello stato sciita ai possedimenti britannici, segna in modo indelebile l’immagine di un centro che è tuttora considerato in Asia meridionale il malinconico baluardo di un mondo altrimenti svanito.3 In altre parole, l’idea prevalente di Lucknow è costituita dalla cristallizzazione di una serie di precisi elementi estetici identificativi riferiti agli ottant’anni durante i quali la città ricoprì il ruolo di capitale politica e culturale di buona parte dell’area gangetica (lo sfarzo esausto della vita cortigiana, la connotazione sciita del potere e delle strutture rituali pubbliche, le connessioni reali o supposte con la Persia, la raffinatezza dell’etichetta sociale improntata all’adab indo-islamico, la formazione di una distinta scuola poetica urdu, la confluenza dei letterati persografi da Delhi ecc.); il dopo, e soprattutto il prima, non contano, o contano poco.4 Senonché la Lucknow

Docente di Storia, Università degli Studi “Ca’ Foscari” - Venezia. Riprendo qui il titolo di una famosa opera di Abdul Halim Sharar (1860-1929) dedicata a Lucknow, Hindūstān me˜ mashriqī tamaddun kā akhirī namūna, inizialmente pubblicata come una serie di articoli indipendenti sulla rivista Dilgudāz di Lucknow a partire dal 1913. Il testo è stato tradotto in inglese (Sharar 1975). 2 Si pensi per esempio al mondo delle cortigiane della città descritto in uno dei più celebri romanzi in urdu, Umrā’o Jān Adā di Hādī Ruswā pubblicato nel 1905, oggetto di numerose ristampe e anche, nel 1981, di una riduzione cinematografica (si veda in proposito Oldenburg 1997). In italiano si può leggere, a proposito dell’atmosfera di corte di Lucknow, la novella ‘storica’ di Abdul Halim Sharar tradotta da Daniela Bredi (Sharar 1989). 3 Cfr. Graff-Gupta-Hasan 1997: 14 e Llewellyn-Jones 1997. 4 La città era un centro di notevole importanza ben prima dei Nawāb (cfr. per esempio Alam 1997, in particolare 17-22), per quanto l’aumento della popolazione nell’ultimo quarto del XVIII secolo, da circa 50000 a circa 300000 abitanti secondo le stime di Llewellyn-Jones (1985: 12-13), suggerisca da solo il peso del cambiamento seguito alla sua scelta come capitale da parte di Ā¡af al-Dawla. Sulla storia di Lucknow successiva al 1856 si veda Oldenburg 1984. * 1

119


dei Nawāb appare davvero, in modo particolarmente visibile sotto l’aspetto urbanistico e monumentale, come una città pensata per rappresentare una serie di valori e relazioni già cristallizzati al momento della sua scelta come centro di potere: la scenografia architettonica sette-ottocentesca (appunto, nawābī) che la contraddistingue esprime, tra le altre cose, il tentativo programmatico di marcare un legame semantico con una certa idea – tra il rococò e il neoclassico – di Occidente musulmano, come esemplificato dalla Rūmī Darwāza, imitazione supposta per quanto dichiarata della Bāb-i Hümāyūn di Istanbul.5 È evidente che, dal punto di vista tipologico, tali tendenze al ‘richiamo’ non costituiscono un’eccezione rispetto alle vicende di molti altri centri di cultura musulmana del subcontinente indiano a partire almeno dal periodo del Sultanato di Delhi; ma la storia, anche estetica, della Lucknow dei Nawāb evidenzia, nello specifico, una serie di connessioni profonde – da individuare innanzitutto nella ricerca di una legittimazione culturale e politica appunto ‘islamica’ o ‘arabo-islamica’ – con i centri duodecimani dell’altopiano iranico e soprattutto della Mesopotamia, come mostrato da Juan R. Cole in un lavoro ben noto.6 Simili fenomeni possono essere osservati anche sul piano della realtà testuale: tantopiù Lucknow appare, infatti, come una riproduzione sudasiatica di parte del mondo arabo-islamico nel presente caso, in cui si offriranno alcuni esempi letterari dove la città in questione sembra trasformarsi in una sorta di riflesso orientale dei luoghi santi sciiti occidentali e talvolta anche degli |aramayn di Mecca e Medina. Due versi tratti da un ghazal urdu composto probabilmente a Lucknow nel 18277 da colui che fu anche l’ultimo grande poeta persiano d’India, Mīrzā Ghālib (1797-1869), possono servire a introdurre i principali aspetti del problema che si affronta qui:

lakhna’™ …ne k… b…‘is.. nah†ñ khult… ya‘n† hawas-i sayr u tam…sh… so wuh kam hai ham ko maqt..a‘-i silsila-i shawq nahiñ hai yih shahr ‘azm-i sayr-i najaf u .t.awf-i |aram hai ham ko8 Non è chiaro che cosa ci spinga a venire a Lucknow: è debole, in noi, il desiderio d’amene vedute.

La città non è il verso finale d’un lungo vagare d’ardore: noi vogliamo vedere Najaf, e girare dintorno alla Caba.

5 Lavori specifici sull’argomento sono Llewellyn-Jones 2006, Tandan 2001 e Llewellyn-Jones 1980. A proposito delle caratteristiche generali del gusto nawābī nel sistema architettonico indo-islamico si possono leggere in sede preliminare le osservazioni riassuntive di Bianca Maria Alfieri (1994). 6 Cole 1988. Intorno alla collocazione dello stato dell’Awadh nel sistema storico e culturale della cosmopoli sciita si veda anche Scarcia Amoretti 1994. 7 Così è suggerito da Imtiyāz ‘Alī ‘Arshī in Ghālib 1982: 244. 8 Ghālib 1982: n. 119, vv. 9-10.

120


Qual è dunque il rapporto fra Lucknow, Najaf e la Mecca sul quale Ghālib fonda il gioco di specchi che permette di interpretare per così dire ‘storicamente’ questi versi? Un indizio a noi particolarmente utile si trova in un’osservazione di Veena Oldenburg, la quale afferma appunto che, rispetto alle interpretazioni comunemente proposte, A more historical explanation might be that Ghālib did not like the tawdry imitation of Najaf and Karbalā made by Ghazi al-Din Haydar in his Shah Najaf, which later became his tomb. This was built around 1813-1816 or thereabouts. Everyone gets a bit upset with the pretentious stuff the Nawābs did – and perhaps that’s what he’s saying about Lucknow.9

Com’è noto, a partire dal 1775, anno in cui il naw…b ƒ¡af al-Dawla spostò qui la propria corte abbandonando la precedente capitale Fayzabad, Lucknow, dichiarata immediatamente D…r al-Sh†‘a, subì un rapidissimo e impressionante processo di trasformazione architettonica volta a darle un’identità sciita riconoscibile anche nei moduli costruttivi e negli spazi pubblici di aggregazione. Secondo le osservazioni di storici e viaggiatori, già agli inizi del XIX secolo si contavano a Lucknow circa duemila im…mb…ra e seimila ta‘ziyakh…na, luoghi deputati allo svolgimento, ufficiale o privato, soprattutto dei riti dell’‘ash™r… e alla conservazione degli strumenti necessari alle celebrazione pubblica del lutto per l’im…m.10 È probabilmente agli esempi più eclatanti di questa riedizione scenografica dei luoghi santi, di cui si può trovare un fin troppo ovvio parallelo cristiano nelle ricostruzioni delle innumerevoli Nuove Gerusalemme europee e mediterranee e nella clamorosa appendice etiope di Lalibela (talora nella perfettamente equivalente versione bicorne di Gerusalemme e Betlemme, da accostare alle coppie Mecca-Medina e Najaf-Karbalā), a cui Ghālib si riferisce nel proprio verso. Non solo l’im…mb…ra Shāh Najaf voluto da Ghāzī al-Dīn H.aydar, ma anche i ben più rappresentativi ƒ¡af† o Bar… im…mb…ra e H.usaynābād im…mb…ra, dove il gusto per il riflesso mimetico ha portato a ricostruire (piuttosto fantasiosamente), oltre al sepolcro dell’im…m H.usayn a Karbalā, anche una copia in scala del Taj Mahal, non a caso un altro edificio pensato come mausoleo. Lucknow è dunque ideata, in primo luogo architettonicamente, come uno specchio deputato a riprodurre gli originali, ma pur sempre riflessi terreni, di una ben precisa geografia del sacro; ciò non sfugge ovviamente a Ghālib, il quale però, lavorando su un piano testuale, utilizza per introdurre questa tematica storicoarchitettonica contingente un topos poetico già diffuso e strutturato nello spazio Il commento, datato “May 2006”, è riportato da Frances W. Pritchett sul proprio sito web dedicato ai ghazal urdu di Ghālib (Pritchett 2002-). 10 Faccio affidamento sui dati desunti da Cole 1988: 96, che si basa su Lakhnawī 1976: 49-50, 77-127, 182183, 192-193 e Shīrwānī 1974: III, 1053. 9

121


poetico perso-islamico. Ci riferiamo ovviamente al motivo del viaggio verso i luoghi santi, di cui si trova un esempio rappresentativo e pertinente nel dīwān di H.…fië di Shiraz (m. 1390 circa):

|…fië agar qadam zan† dar rah-e kh…nd…n ba ¡idq badraqa-yi rah-at shawad himmat-i sha|na-yi najaf 11 Sulla via della sacra famiglia se muovi sincero i tuoi passi ti protegge, o poeta, in cammino la guardia sicura di Najaf.

Se il mutaqaddim H.…fië esprime in modo piano l’auspicio di recarsi fisicamente sulla via che lo conduce ai luoghi occidentali dove riposano i membri dell’ahl al-bayt (la “guardia” o il “prefetto”, sha|na, di Najaf è un’allusione metaforica all’imām ‘Alī come protettore dei pellegrini), i versi del muta’akhkhir Ghālib presentano una serie di stratificazioni interpretative leggibili nell’immediato contesto compositivo. Come abbiamo visto, egli pare affiancare i luoghi santi alla sede della loro ricostruzione che sta osservando nel momento della scrittura del testo, il palcoscenico religioso sciita di Lucknow appunto, mettendo sostanzialmente in discussione la validità assoluta dell’operazione teatrale dei Nawāb ed esprimendo la necessità di proseguire il proprio viaggio testuale verso i luoghi riflessi nello specchio indiano. Allo stesso tempo, però, Ghālib passa per Lucknow e allude alle scenografie degli imāmbāra, che rimangono una tappa fondamentale del suo cammino testuale e che sembrano acquisire, proprio attraverso il successivo rifiuto, un valore di indice e metafora necessaria. Fenomeni di questo tipo sono comuni nello spazio letterario della capitale dell’Awadh, che trova proprio negli imāmbāra – i quali per molti versi si sostituiscono qui nella loro funzione sociale all’istituzione della scuola sufi12 – centri di aggregazione intellettuale dove pensare a Karbalā e a Najaf. L’imāmbāra svolgeva infatti un ruolo fondamentale in quanto luogo privilegiato per la recitazione delle mars..iya e dei versi celebrativi in genere per l’imām, e la sua importanza quale centro di scambio letterario era tale che, come notato da Cole, i poeti e i recitatori di elegie (mars..iyakhw.…n o raw©akhw.…n, a seconda della tipologia di testo declamato) che qui si esibivano acquisivano fama maggiore, in ambito religioso, degli stessi ‘ulamā; attirati dalla buona accoglienza alla corte dei Nawāb, talora essi giungevano direttamente dall’Iran, come Mullāh Mu|ammad Shushtarī e Shāh H.usayn Wilāyat.13 Ma nei circoli letterari che trovano il proprio centro in questi luoghi deputati insieme al ricordo e alla finzione geografica (a Lucknow, come abbiamo poH.āfi© 1996: n. 290, v. 9. Osservazioni a proposito del difficile rapporto tra shī‘a e sufismo in Awadh si trovano in Cole 1988: 146-148. 13 Cfr. Cole 1988: 97-98. 11

12

122


tuto osservare nel corso di alcune ricerche sul campo compiute tra il 2001 e il 2003, ancora oggi tra gli sciiti dire “vado a Najaf” significa “vado all’imāmbāra di Shāh Najaf”14) accade anche altro, che ci riguarda più direttamente in queste note sulla dimensione immaginaria della capitale dell’Awadh. Gli autori hindu membri delle varie scuole poetiche persiane di Lucknow – chi scrive ne ha individuati circa settanta tramite lo spoglio sistematico di una quindicina di raccolte biografiche coeve e di poco successive15 – partecipano infatti attivamente alle sedute di lettura delle elegie tenute dentro o intorno a queste nuove Najaf o nuove Karbalā,16 presentando le proprie composizioni a vaste platee composite dal punto di vista confessionale e agendo in un certo senso da ‘rappresentanti’ culturali nelle assemblee religiosoletterarie (majlis).17 E se essere presso, o dentro, un imāmbāra significa essere metaforicamente presso, o dentro, i santuari dell’Iraq o ai luoghi santi della penisola araba, la presenza di autori non musulmani in questi luoghi immaginati pone alcune interessanti questioni relative all’identità.18 I poeti hindu, per poter accedere a questi spazi di finzione, paiono infatti acquisire un’identità testuale sciita che non necessariamente corrisponde a un’effettiva conversione. Abbandonando per un attimo il campo della letteratura, un dato attinente il campo sociale e religioso utile a comprendere questo tipo di processi è fornito dallo Haft tamāshā di Mīrzā H.asan ‘Qatīl’ (m. 1817), un lavoro dedicato alla descrizione dei diversi gruppi confessionali presenti nell’India del nord nella seconda metà del secolo diciottesimo. Tra i gruppi presentati in quell’opera, uno richiama specialmente, in questo contesto, la nostra attenzione. Si tratta degli Husayni Brahman del Deccan, una casta di brahmani (tuttora esistente anche se in numero esiguo) le cui pratiche religiose sono caratterizzate da una decisa devozione per l’imām H.usayn pur in assenza di una conversione formale all’Islam. Ciò che più ci concerne qui è però un punto particolare 14 Ancora più significativa, in questo senso, è la denominazione di “Karbalā” attribuita ai vari luoghi (solitamente spazi aperti) dove hanno termine le celebrazioni del lutto dell’‘ashūrā e del chihilum e dove vengono simbolicamente sepolte le riproduzioni del cenotafio dell’imām (ta‘ziya) portate in processione. Alcune tipologie di imāmbāra sono inoltre chiamate proprio “Karbalā”: cinque di queste ‘copie’ sono elencate e sommariamente descritte in Abbas [2001]: 31-44, 85-88, 105-112. 15 Si veda Pellò 2006-7: 127-128, dove i dati sono forniti nel dettaglio. 16 Fra i più noti autori hindu che si cimentarono con il genere letterario della mars..iya in poesia urdu ricordiamo qui Munshī Chhanū Lāl Dilgīr Lakhnawī (n. intorno al 1796, fu allievo di Nāsikh) e Munshī Kunwar Sen Muët..ar Lakhnawī (m. intorno al 1850, fu allievo di Mu¡|afī), sui quali si può vedere Srīvāstavā 1969: 456-459. Tra coloro che utilizzarono, oltre all’urdu, il persiano, va menzionato almeno Rāja Ulfat Rāy ‘Ulfat’: la taz kira ¯ alŸub|-i gulshan, per esempio, ricorda la sua partecipazione attiva nelle celebrazioni di mu|arram e menziona cuni versi tratti da un mukhamma¡ in onore di H.usayn (Salīm 1878: 32); anche su di lui si trova una nota in Srīvāstavā (1969: 459). Una monografia sull’argomento è Sayyid Amjad H.usayn 1995. 17 È interessante notare, a questo proposito, la reazione perplessa del viaggiatore iraniano Sayyid ‘Abd alLat..†f Shūshtarī, che visitò il nord dell’India alla fine del XVIII secolo, il quale non sa spiegarsi il motivo per cui molti hindu “non intenzionati ad accettare l’Islam” impegnassero grosse somme di denaro per la costruzione di edifici cultuali destinati alla venerazione dell’imām (Shūshtarī Ms.: f. 199a-b). 18 Sul problema delle identità sovrapposte dei poeti hindu persografi di Lucknow si può ora leggere Pellò 2008.

123


menzionato nella descrizione di Qatīl. Secondo questo autore, infatti, gli Husayni Brahman si dichiarano nativi di Karbalā-yi mu‘allā, ovvero dell’“eccelsa Karbalā”:19 per sancire la propria identità filo-sciita, costoro immaginano per se stessi un’ascendenza geografica in palese contrasto con la loro qualità assolutamente indiana di brahmani. Ma ciò che conta nella nostra analisi è, appunto, l’idea del luogo e i valori a essa associati, in un contesto dove Karbalā è effettivamente presente, come abbiamo visto, nelle sue ‘copie’ che conferiscono a Lucknow una parte importante della propria identità. Nel contesto letterario, alcuni aspetti dell’analoga relazione ‘speciale’ tra i poeti persiani hindu, la città di Lucknow e i luoghi santi dell’area mesopotamica sono messi in evidenza, per esempio, nella Safīna-yi Hindī (completata nel 1804) dello hindu Bhagwān Dās ‘Hindī’, una raccolta di biografie di poeti vissuti a Lucknow nel Settecento, che fornisce indicazioni abbastanza chiare in proposito.20 Un caso paradigmatico è costituito dalla nota biografica di MeØī Lāl, noto, in quanto autore di versi persiani, con lo pseudonimo poetico ‘Bīmār’. Qui il topos del viaggio ai luoghi santi che abbiamo introdotto leggendo Ghālib svolge una funzione essenziale nel determinare l’identità del poeta in questione: Apparteneva a una casta hindu di Lucknow, i rustogi. In gioventù era straordinariamente bello di aspetto e dall’animo ardente, sensibile e addolorato. Egli passava la maggior parte del suo tempo in compagnia degli asceti amanti e invidia dei belli di Cina, ed era sempre impegnato nello studio di vari trattati di sufismo e nella lettura del Mas..naw† di Mawlawī, e leggeva i versi e il Ma¡naw† con intensa sofferenza. Io stesso l’ho visto una o due volte mentre declamava poesia con le lacrime che gli rigavano le gote. Infine, nel 1182 abbandonò ogni legame e andò ad Ajmer. Si dice che rimase là per un po’, e che poi si diresse ai luoghi santi dell’Islam, e Dio ne sa di più.21

Che Lucknow ‘confini’ idealmente con l’Iraq, e che il viaggio verso l’Occidente sciita sia naturale conseguenza e proseguimento del soggiorno nella capitale dell’Awadh è un’idea che pare suggerita più volte nel testo, dove Hindī menziona con una certa frequenza i pellegrinaggi dei poeti verso i principali centri d’Iraq e d’Iran. Si leggano per esempio queste note dedicate a Mīrzā Bhachchū ‘Zarra’, autore nato proprio a Lucknow e legato alla corte di Shujā‘ al-Dawla: ¯

dopo la morte del nawāb Shujā‘ al-Dawla Bahādur egli si diresse verso l’eccelsa Karbalā, dove concluse la propria esistenza terrena. 22

Qatīl 1875: 39-41. Alcuni dei dati forniti di seguito sono tratti da Pellò 2008. 21 Hindī 1958: 29-30. 22 Hindī 1958: 80. 19 20

124


Il passaggio diretto da Lucknow a Karbalā è chiaramente espresso nella biografia di Mīr Shams al-Dīn ‘Faqīr’, il quale, secondo Hindī, dopo essersi spostato da Delhi verso la capitale dell’Awadh, “rimase a Lucknow per un anno, e poi si diresse alla santa Karbalā”23. Oltre che per la coppia Karbalā-Najaf,24 Bhagwān Dās (si noti come nelle definizioni adottate per indicare i vari luoghi santi egli adotti un punto di vista interno, pseudo-sciita) mostra interesse anche per i centri di pellegrinaggio iraniani, in particolare Mashhad. Nella voce concernente il poeta Mīr Awlād ‘Alī ‘Zāyir’ (uno sciita nativo dell’Awadh il cui stesso takhallu¡ riflette sulla sua persona poetica l’inclinazione alla visita dei luoghi santi), per esempio, si legge:

Si onorò del pellegrinaggio ai sublimi templi sacri dell’Iraq [...] e dopo aver acquisito ulteriori onori con il pellegrinaggio alla Mashhad dell’imām Ri©… – su di lui sia la pace – ritornò in India [...] Da un anno è ripartito alla volta di quei precinti benedetti, che Dio gli conceda di raggiungere la sua meta.25

Connesso alla relazione di prossimità e dialogo con i luoghi santi è anche il riferimento alla raw©a-yi ra©awiya (“Il giardino di Ri©…”, ovvero il santuario dell’imām Ri©… a Mashhad) di cui il poeta khorasanico Sayyid Mu|ammad ‘H.asrat’, emigrato in India, è descritto come uno degli “onorati servitori”.26 Più significativo, per noi, è però il fatto che lo stesso Hindī, nello spazio concesso alla propria autobiografia, inserisca una qa¡†da parzialmente incentrata proprio sulla tematica del viaggio ai luoghi santi dell’Islam e in particolare dell’Islam sciita nella penisola araba e in Iraq. Di seguito è riportata, in trascrizione e traduzione, l’apertura e la sezione del testo in cui a ogni verso corrisponde la menzione di uno dei santi sepolcri verso i quali il poeta hindu, che nel frattempo osserva, a Lucknow, la costruzione di alcune delle loro copie, immagina di inviare un messaggio di devozione:

ay n…ma bar ba j…nib-i …n dilrub… biraw ay hudhud-i khujasta ba shahr-i sab… biraw bar kh†z ay ¡ab… wa biy…b…nnaward b…sh az tishna s™y-i chashma-yi …b-i baq… biraw [...] Hindī 1958: 153. La città è menzionata come Najaf-i ashraf, “la nobilissima Najaf”, secondo la tradizionale formula eulogistica (Hindī 1958: 220). 25 Hindī 1958: 99. 26 Hindī 1958: 56. Anche in questo caso Hindī impiega la comune denominazione Mashhad-i muqaddas, “la santa Mashhad”. 23 24

125


az man sar-i niy…z binih bar dar-i khud…y w-…ngah ba s™y-i shahr-i ras™l-i khud… biraw …nj… .t.aw…f-i raw©a-yi p…k-ash ba ¡idq kun z-…nj… ba dargah-i ‘al†-yi murta©… biraw …nj… nis..…r kun dil u j…n-r… ba ¡ad niy…z z-…nj… bar …st…na-yi khayr al-nis… biraw …nj… jab†n-i ‘ajz ba kh…k-i adab bis…y z-…nj… bar raw©a-yi |asan-i mujtab… biraw …nj… hiz…r p…ra jigar az du d†da r†z z-…nj… qadam zi sar kun u dar karbal… biraw …nj… ba n…lah…-yi ghar†b…na girya kun z-…nj… ba .t.awf-i raw©a-yi zayn al-‘ib…d biraw z-…nj… guzashta raw©a-yi b…qir .t.aw…f kun z-…nj… ba¯raw©a-yi ja‘far-i khud… biraw z-…nj… ba .t.awf-i marqad-i k…ëim khar…m kun z-…nj… ba s™y-i mashhad-i m™s… ri©… biraw z-…nj… pay-i .t.aw…f-i maz…r-i taq† shit…b z-…nj… ba raw©a-yi naq† p…rs… biraw z-…nj… pay-i ziy…rat-i darg…h-i ‘askar† b… ¡ad ta|iyat u ¡alaw…t u .s.an… biraw z-…nj… maq…m-i |a©rat-i mahd† tal…sh kun b… ¡ad adab ba khidmat-i …n muqtad… biraw 27 Raggiungi, messaggio, quel ladro di cuori, e tu upupa gloriosa raggiungi la terra di Saba!

Orsù alzati, brezza, e percorri veloce i deserti, l’assetato ti manda, tu va’ alla sorgente dell’acqua di vita! 27

126

Hindī 1958: 244-245.


[...]

Per me china la testa implorante alla casa di Dio, poi va’ alla città di chi è del Signore il Profeta.

Laggiù gira intorno, sincera, a quel puro giardino, poi lascialo e va’ nella corte di ‘Alī, che è il diletto.

Laggiù fa’ sacrificio del cuore, con mille preghiere, poi da là va’ alla corte di chi fra le donne è l’eccelsa.

Laggiù sfrega umilmente la fronte per terra, ossequioso, poi da là va’ al giardino di H.asan, il prescelto sicuro. Laggiù versa brani di cuore dagli occhi a migliaia, poi da là con il passo spedito raggiungi Karbalā.

Laggiù piangi con alti lamenti, così come chi è nell’esilio, poi da là va’ a girare dintorno al giardino di Zayn al-‘Ibād.

Va’, lasciato quel luogo, a ossequiare il giardino di Bāqir e da là va’ al giardino del Ja‘far di Dio, a girarvii dintorno.

Poi da là va’ a girare leggiadra dintorno alla tomba di K…©im, e poi giungi nel luogo ove a Mūsā Ri©… fu concesso il martirio. Affrettati, dopo, a pregare alla tomba ove Taqī riposa, e da là va’ a cercare il giardino di Naqī, l’asceta devoto.

Di ‘Askarī, poi, da laggiù tu dovrai visitare la corte, e portargli miriadi di lodi e preghiere e saluti.

Poi da là con impegno raggiungi la soglia del santo Mahdī, e recandogli mille rispetti tu entra al servizio di quel venerato.

Come in Ghālib, anche per Hindī la visione delle scenografie religiose di Lucknow è forse un indice che suggerisce la necessità di proseguire il viaggio verso gli originali. Si tratta, com’è evidente, di suggestioni interpretative extra-testuali da verificare sulla base di modelli e repertori ancora da strutturare; è però possibile segnalare almeno un caso in cui il senso della riproposizione urbanistica e psicologica dei luoghi santi a Lucknow è stato espressamente portato alle estreme 127


conseguenze, attraverso una trasformazione – sul piano testuale, espressivo – dell’indice in un fine. È infatti proprio alla metafora, rispetto all’originale, che va la preferenza di un autore di poco più anziano di Ghālib, il già ricordato Mīrzā H.asan ‘Qatīl’ (peraltro uno hindu divenuto sciita, il cui nome prima della conversione era Diwāli Singh). In un ghazal del suo dīwān, ancora inedito, si trova il verso seguente:

shawad naëë…ra-yi r™y-i tu r™z†y-am …nj… im…mb…ra bih az kh…na-yi khud…-st ma-r… 28 Spettacolo grande, il tuo volto: di quello, non d’altro, mi nutro. Alla casa di Dio preferisco, per me, quel recinto ove penso all’imàm.

Per Qatīl la copia è meglio dell’originale, e il vuoto imāmbāra (“il recinto ove penso all’imām”: la traduzione, basata sull’etimologia del termine, è interpretativa) che costituisce un’ipostasi architettonica dell’assenza del corpo dell’imām, in questo caso sovrapposto alla figura poetica del ma‘shūq, è preferibile alla vuota Ka‘ba che è l’indice supremo del riflesso divino sullo specchio della terra. La città pensata di Lucknow, uno specchio che riflette altri riflessi, si trasforma così in una meta familiare a portata di mano, le cui architetture, interpretate attraverso il filtro testuale, hanno già codificato in sé il significato dei propri originali. Discutendo della capitale dell’Awadh come spazio onirico fatto di continui rimandi a un altrove multiforme (non solo l’Occidente islamico con i suoi significati di classicità ma anche l’Europa con i suoi attributi di modernità, e dalla quale proviene altresì un orientalismo di rimando29) Rosie Llewellyn-Jones si chiede se sia mai esista una Lucknow reale, peraltro segnalando come la città fosse già avvertita da alcuni viaggiatori come una facciata che nasconde dietro di sé il segno della finzione illusionistica.30 Ma la verità estetica di Lucknow pare proprio (anche) riproduzione ed evanescenza reale, come il riflesso rivelatore dello specchio tanto caro ai poeti del cosiddetto ‘stile indiano’ e al loro caposcuola Bīdil (1644-1721), i cui versi, non a caso, sono stati recentemente utilizzati per commentare la realtà riflessa di un’altra città a suo modo immaginaria come Venezia.31 In questo conteQatīl Ms.: f. 7a. “Given the weight of all these foreign elements (and the nawabs themselves had come from Nishapur in Iran only at the beginning of the eighteenth century), can the ‘real’ Lucknow be said to have existed at all?” (Llewellyn-Jones 1997: 51). A proposito di ‘spaesamenti’ e internazionalismi a Lucknow si può vedere Rota 1996. 30 Chiare, in proposito, sono le osservazioni di M.A. Beg riportate dalla studiosa in questione: “You find, on examination, that the white colour of the buildings, which presented in the sunlight the effect of the purest marble, is simply whitewash. The material is stuccoed brick, and your taste is shocked by the discovery that the gilded domes, of perfect shape and apparently massive construction […] are mere shells of wood, in many places rotten” (Beg 1915: 7 [non vidi], cit. in Llewellyn-Jones 1997: 49). 31 Alludiamo al lavoro fotografico di Riccardo Zipoli dedicato a Venezia, rivelata, o ‘pensata’, attraverso la cristallizzazione su pellicola dei riverberi che di lei restituiscono i vetri delle sue finestre (Zipoli 2006). 28 29

128


sto, i versi cui abbiamo fatto cenno in queste note, troppo esigui per fornire conferme alle nostre suggestioni, invitano se non altro a indagare più a fondo e sistematicamente (anche attraverso spogli lessicali e tematici) la dimensione poetica della Lucknow pre-mutiny per verificare meglio la ricezione, nell’ambito della sua comunità letteraria, della teatralità architettonica nawābī e delle implicazioni identitarie ed ermeneutiche conseguenti all’ansia di ricostruzione dei luoghi della shī‘a. Riferimenti bibliografici

- Abbas, S. A. [2001], Wailing beauty. The Perishing Art of Nawabi Lucknow, Lucknow. - Alam, M. (1997), “The Awadh Regime, the Mughals and the Countryside”, in Lucknow, Memories of a City, a cura di V. Graff, Delhi, pp. 16-31. - Alfieri, B. (1994), Architettura Islamica del Subcontinente Indiano. India, Pakistan e Bangladesh, Lugano. - Beg, M.A. (1915), The guide to Lucknow, 7a ed., Lucknow. - Cole, J.R. (1988), Roots of North Indian Shi’ism in Iran and Iraq: Religion and State in Awadh, 1722-1859, Berkeley. - Das, N. (1991), The Architecture of Imambaras, Lucknow. - Pritchett, F.W. (2002-), www. columbia.edu/ itc/ mealac/ pritchett/ 00ghalib/ 123/ 123_10.html? - Ghālib, Mīrzā Asadullāh Khān (1982), Dīwān-i Ghālib, 2a ed., New Delhi. - Graff, V. – Gupta, G. – Hasan, Mushirul (1997), “Introduction”, in Lucknow, Memories of a City, a cura di V. Graff, Delhi, pp. 1-15. - H.…fië, Khw.āja Shams al-Dīn Mu|ammad (1996), Dīwān-i H.…fië, a cura di P. N. Khānlarī, 3a ed., 2 voll., Tehran, 1375. - Hindī, Bhagwān Dās (1958), Safīna-yi Hindī, a cura di S. Shah Md. Ataur Rahman, Patna. - Lakhnawī, Āqā Mihdī (1976), Tārīkh-i Lakhna’ū, Karachi. - Llewellyn-Jones, R.M. (1980), The City of Lucknow before 1856 and its Buildings, London. - Llewellyn-Jones, R.M. (1985), A Fatal Friendship: The Nawabs, the British and the City of Lucknow, Delhi. - Llewellyn-Jones, R. (1997), “Lucknow, City of Dreams”, in Lucknow, Memories of a City, a cura di V. Graff, Delhi, pp. 49-66. - Llewellyn-Jones, R.M. (ed.) (2006), Lucknow: City of Illusion, Munich – London. - Pellò, S. (2006-7), Poeti hindu e circoli intellettuali persiani tra Delhi e Lucknow (16801856): un caso di interazione letteraria, tesi di dottorato, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Roma. - Pellò, S. (2008), “Tra Gayā e Karbalā: le identità dei poeti hindu di Lucknow nella tazkira persiana di Bhagwān Dās ‘Hindī’”, in Scritti in onore di Biancamaria Scarcia Amoretti,¯ a cura di D. Bredi, L. Capezzone, W. Dahmash, L. Rostagno, 3 voll., Roma, 2008, vol. III, pp. 931-950.

129


- Qatīl, Mīrzā H.asan (Ms.), Dīwān, Rampur, Rampur Raza Library: 30196M. - Oldenburg, V.T. (1984), The Making of Colonial Lucknow: 1856-1877, Princeton. - Oldenburg, V.T. (1997), “Lifestyle as Resistance: The Case of the Courtesans of Lucknow”, in Lucknow, Memories of a City, a cura di V. Graff, Delhi, pp. 136-154. - Qatīl, Mīrzā H.asan, (1875), Haft tamāshā, Lucknow. - Rota, G. (1996), “Un sofi tra i nababbi: l’ultimo safavide a Lucknow”, in Ex libris Franco Coslovi, a cura di D. Bredi e G. Scarcia, Venezia, pp 337-380. - Salīm, Mu|ammad ‘Alī H.asan Khān (1878), Ÿub|-i gulshan, Bhopal, 1295 h.q. - Sayyid Amjad H.usayn (1995), Ghayr muslim mars..iyanig…r, Lucknow. - Scarcia Amoretti, B. (1994), Sciiti nel mondo, Roma. - Sharar, Abdul Halim (1975), Lucknow. The Last Phase of an Oriental Culture, trad. e cura di E. S. Harcourt e Fakhir Hussain, London. - Sharar, Abdul Halim (1989), Il matrimonio di Agha Sadiq, trad. e note di Daniela Bredi, Venezia. - Shīrwānī, Zayn al-‘Ābidīn (1974), Riyā© al-siyāha, Moskva. - Shūshtarī, ‘Abd al-La¥†f (Ms.), Tu|fat al-‘ālam, London, British Library: Add. 23,533. - Srīvāstavā, G. S. (1969), Urdū sha‘irī ke irtiqā me˜ hindū shu‘arā kā |i¡¡a, Allahabad. - Tandan, B. (2001), The Architecture of Lucknow and its Dependencies, 1722-1856: a Descriptive Inventory and an Analysis of Nawabi Types, New Delhi – London. - Zipoli, R. (2006), Venezia alle finestre, Venezia.

130


Adriana Chirco*

Da Panormo a Balarm, dal sistema di città antica a capitale normanna

Le coste della Sicilia occidentale furono considerate da tempi remotissimi luogo di sosta fondamentale nelle rotte dall’Africa verso le coste dell’Italia. Questa fu la direzione da cui giunsero, intorno all’VIII-VII secolo a.C, i Fenici primi colonizzatori di Panormo. La posizione favorevole dell’attracco valse alla città il nome greco “Panormos” tutto porto. Divenuta civitas romana nel 254 a.C. quindi colonia, Palermo mantenne la sua posizione strategica nel Mediterraneo, meta di negotiatores e mercatores latini. Dal IV secolo d.C. Palermo tornò ad essere considerata fondamentale posizione di base per la rotta verso l’Africa e porto di sbarco di merci preziose, assieme alle quali giunsero in città mercanti egiziani ed ebrei. Panormo, chiusa entro le sue mura, non aveva subito modifiche fin dall’epoca della colonizzazione romana, se non per la costruzione degli edifici di culto cristiano. Con la conquista aglabita (831), poi con l’arrivo dei nuovi governanti delle dinastie Kalbita ed infine Fatimite, Palermo divenne porto cardine dei traffici marittimi nel Mediterraneo meridionale, emporio di scambio e luogo di transito dei pellegrini verso le città sante dell’Islam. Fu rafforzato il sistema di difesa, restaurate le mura ed aggiunti i ribat, piccoli nuclei fortificati esterni alla città. Palermo divenne sede di un emirato, fu dotata di edifici direzionali e residenziali per l’aristocrazia musulmana, e di un grandioso complesso di edifici (castello) nella parte più alta della città, la Halqah, coincidente con l’antica paleapoli. La strada principale, il Cassaro (“al csar“, strada che conduce al castello), ritornò ad essere strada mercato e sede degli uffici di cambio. Nel tratto centrale del Cassaro fu eretta intorno al IX secolo la grande moschea delle adunanze, Gami, che inglobava un più antico edificio cristiano e si componeva di una serie di edifici tra loro aggregati. *

Docente di Storia dell’Arte, Università degli Studi di Palermo.

131


Vicino al mare erano l’arsenale, i cantieri e i magazzini. Attorno al vecchio nucleo urbano, ma fuori dalle antiche mura puniche, andavano sorgendo nuovi agglomerati, abitati prevalentemente da popolazioni immigrate. La città, identificata col toponimo Balarm o Banarm, si riorganizzava attorno al suo nucleo antico, il Cassaro, con una serie di quartieri esterni, ma integrati, che ne allargavano il circuito in maniera concentrica. Nel 937 fu decisa la costruzione di una nuova città fortificata, a sud del fiume Kemonia, esterna al circuito delle mura del Cassaro. La cittadella detta Kalsa (al-Halisah) ebbe funzioni di centro direzionale e politico e residenza dell’emiro. Panormo trasformava radicalmente la sua forma urbis; già alla fine del IX secolo era definita “città di mercanti”, esisteva un bazar e si commerciavano soprattutto granaglie, pellami e le preziose stoffe prodotte nel tiraz. Il tessuto urbano era formato da basse cortine di edifici frammiste a cortili, giardini ed orti, alcuni dei quali vennero sfruttati fino al XIV secolo. L’insieme dei quartieri esterni venne cinto da mura nel corso dell’ XI secolo. In prossimità del mare, a protezione dell’imboccatura del porto, fu edificata una cittadella militare, in seguito divenuto il Castellammare, dotata di un mastio turriforme. Mentre la città si chiudeva in un ambito geografico ben definito, nella campagna che la circondava sorsero numerose casene, piccoli agglomerati e sontuose ville degli emiri, serviti da una fitta rete di “trazzere” in superficie e da un ingegnoso sistema di pozzi e canali sotterranei che garantiva l’approvvigionamento idrico e la possibilità di coltivazione e di vita in tutto il territorio. Il sistema di distribuzione dell’acqua consentì inoltre di alimentare le numerose fontane e i bagni pubblici che si trovavano in città nonché i giochi d’acqua delle dimore nobiliari1. Di tutta l’attività edilizia di quel periodo rimane solo qualche brano di edificio inglobato in costruzioni di epoca normanna, come la sala ipostila (cappella di S. Maria Incoronata), che forse faceva parte della serie di sale della grande moschea. Un altro frammento è un tratto murario del fianco destro di S. Giovanni degli Eremiti, riferibile ad un portico quadrangolare. La mancanza di reperti è stata attribuita alle distruzioni avvenute durante la guerra di conquista normanna, ma é dovuta anche alla carenza di scavi archeologici mirati alla ricerca. Restano le descrizioni letterarie dei viaggiatori2 che, lungi dall’illustrare opere grandiose, narrano piuttosto la attiva vita pubblica e mercantile della città; la descrizione dei suoi sfarzosi palazzi e delle sue delizie si riferisce esclusivamente alle costruzioni della successiva epoca normanna. Alla denominazione araba è legata buona parte del sistema toponomastico della città, il nome Cala dato all’antico porto, per esempio, deriva dall’arabo “Qala“ cioè insenatura riparata, ma sono di derivazione araba anche nomi di uso comune e ormai entrati nel gergo tradizionale; reminiscenze della cultura araba rimangono nelle connotazioni di costume e 1 Per quanto riguarda il sistema sotterraneo di canalizzazioni idriche cfr.: P. Todaro, Il sottosuolo di Palermo, Palermo 1988. 2 Tra queste é fondamentale la descrizione di Ibn Hawqal che visitò Palermo nel 972-73.

132


nella variopinta atmosfera dei mercati. Anche l’intrigo dei vicoli nei vecchi quartieri‚ riferibile ad un modo di abitare, tipico della tradizione musulmana, in cui lo spazio del cortile diveniva allo stesso tempo interno di una casa ed esterno ad esso, escluso a sguardi estranei, ma momento di aggregazione familiare e sociale. Pertanto l’ingresso ai vicoli ed alle corti interne assumeva spesso dimensioni paragonabili all’uscio di una casa. L’unica strada urbana di notevole dimensione fu il vecchio asse longitudinale del Cassaro, che, tranne alcune opere di rettifica della sua cortina edilizia, pare abbia mantenuto inalterato il suo andamento, mentre le arterie dei nuovi quartieri avranno una definizione urbana a partire dall’undicesimo secolo. L’edilizia cittadina dovette essere piuttosto bassa ed ottenuta con tecniche costruttive elementari; era concentrata vicino ai corsi d’acqua o a slarghi che divenivano luoghi di aggregazione sociale e commerciale, che nelle epoche successive daranno luogo al sorgere di piazze e di spazi dedicati ai mercati. Tuttavia l’immagine generale della città era quella di una struttura urbana già matura per la sua complessità morfologica, con una vita sociale e commerciale particolarmente attiva, che già coltivava, attraverso la tollerante accoglienza ed elaborazione di più culture, quei fermenti che scaturiranno nella particolare e raffinata esperienza culturale ed artistica dei secoli immediatamente successivi. La cultura islamica e gli scambi culturali e sociali di quel periodo consentirono lo stabilirsi a Palermo di maestranze ed artisti specializzati che approntarono in terra di Sicilia un particolare modo di concepire e tramandare l’architettura e l’arte che rimarrà pressoché inalterato nei secoli della dominazione normanna, quando fu stato elaborato il patrimonio artistico più ricco che la storia della Sicilia ricordi. Intorno alla metà dell’XI secolo nel Mediterraneo crebbero nuovi interessi di conquista: gia nel 1064 va registrata la prima incursione di Pisa che, come tutte le città marinare, mostrava interesse per il porto di Palermo. Nel 1072, incaricati dal Papa di riportare alla cristianità la terra di Sicilia, giunsero i Normanni guidati da Roberto il Guiscardo; la battaglia sulla terraferma ben presto si trasformò in battaglia di mare. Dopo aver spezzato la catena del porto, i Normanni penetrarono nell’Halisah, quindi presero il Cassaro. Con l’arrivo dei Normanni guidati da Roberto il Guiscardo, Palermo rientrava nella sfera latina. La trasformazione della città non fu radicale e Palermo non subì, in quel periodo, alcun sostanziale mutamento di tipo urbanistico, si trattò piuttosto di rendere evidente attraverso le opere costruite, l’egemonia raggiunta dal potere regio. Gli edifici normanni furono talmente qualificanti ed importanti per la città da rappresentare un momento di svolta per il futuro sviluppo dell’immagine urbana3. I limiti posti dalle mura, che avevano chiuso il rabat islamico, garanti3 Per una specifica conoscenza dell’argomento si rimanda agli interessanti studi del prof. Giuseppe Bellafiore e più particolare al suo esauriente testo: Architettura in Sicilia nelle età islamica e normanna 827-1194, Palermo 1990.

133


vano ancora spazio per nuove edificazioni. Le mura furono rafforzate e munite di torri, fu ampliato il Castellammare ed iniziò la graduale intensificazione edilizia dei quartieri intorno all’antico Cassaro, a cominciare dal nuovo quartiere dell’Albergheria nelle vicinanze del fiume Kemonia e del Seralcadio nel trans-Papireto, in cui risiedeva la popolazione di origine musulmana. La città risultava ancora suddivisa in quartieri, diversi per etnie, di cui il più popoloso era il Cassaro; nella zona del porto, con il progressivo interramento dovuto all’accumularsi dei materiali di risulta trasportati dal Papireto, si era formato un nuovo quartiere, detto Terrachina o Terracina, abitato prevalentemente da commercianti provenienti da altre province della penisola. Palermo fungeva prevalentemente da porto di scambio, tappa nelle rotte verso Levante ed i porti atlantici dell’Europa. Limitrofo a questo era il rione dei “mastri d’ascia”, addetti alla riparazione ed alla cura delle navi del vicino arsenale; la strada principale del rione era la lunga via detta Portae Maris, il cui tratto più vicino al porto era la via dei Cassarelli. Si sbarcavano panni, ferramenta e spezie e s’imbarcano pelli, conciate nel rione dei conciatori, vicino al Papireto; tra la Cala e la zona dei Lattarini esisteva un mercato portuale con magazzini per il deposito del grano ed una rachaba4 . Per il carico e scarico erano utilizzati animali da soma ed uomini che dalla Platea Marittima percorrevano il tracciato dell’odierna via Lungarini. Nell’area a settentrione del Papireto si trovava invece il mercato alimentare e del pesce, in corrispondenza del piano di S. Sebastiano5. Due lunghe arterie solcavano i quartieri dell’Albergheria e del Seralcadio fino al mare, collegandoli con la zona portuale, seguendo le quote altimetriche del terreno e correndo parallelamente al letto dei due corsi d’acqua, Kemonia e Papireto; i collegamenti trasversali, ove esistevano differenze di quota, avvenivano tramite gradinate. Dove le arterie principali intersecavano slarghi e spazi aperti, questi venivano usati prevalentemente come mercati; è infatti di quest’epoca l’impianto dei mercati di Ballarò, all’Albergheria, del mercato dei Lattarini nei pressi del quartiere di artigiani che abitavano il rione di porta Patitelli e quello del Capo, al Seralcadio. L’antica Galca assunse funzioni militari e di direzione giuridica e amministrativa. Recuperata al quartiere latino del Cassaro la funzione direttiva, la sua arteria principale divenne il fulcro della vita pubblica e commerciale; la strada, ricoperta interamente di basole, venne denominata via Marmorea. Vicina al Palazzo Reale, ma più in basso quasi a segnalare la supremazia del potere regio, fu realizzata la chiesa Cattedrale di vastissime proporzioni e, collegato a questa, il complesso arcivescovile. Il percorso in salita dal mare al Palazzo del Cassaro staLetteralmente: edificio vuoto; cfr.: M. C. Ruggieri Tricoli, M. D. Desirè, Palermo e il suo Porto, cit. pag. 76 Giovanni Boccaccio, nella 8° giornata del Decamerone, ambienta la Novella n°10 “Salabaetto e Jancofiore” presso i fondaci di Palermo e descrive le modalità con cui i “mercatanti” utilizzavano i magazzini detti “dogana” per “riparare la mercanzia”. A quei tempi Palermo era dunque uno dei porti principali delle rotte commerciali del Mediterraneo, dotato di tutte le attrezzature utili ai mercanti. 4 5

134


biliva diverse funzioni ed egemonie politiche e funzionali: commerciali e finanziarie, nel primo tratto più vicino al mare, sede della cristianità in corrispondenza della Cattedrale ed infine sede del potere regio nel piano del Palazzo dei Re Normanni. Quest’ultimo, costruito sui resti della dimora degli emiri arabi, prima che questi l’abbandonassero per risiedere alla Kalsa, fu concepito come una fortezza, ma anche come residenza di eccezionale sontuosità e raffinatezza. L’aspetto esterno corrispondeva all’immagine che i re desideravano dare ai sudditi; il palazzo, infatti, dominava la città dall’alto, presentando al centro la sagoma della Regia Cappella, prodigioso e prezioso connubio tra le diverse aspirazioni del potere reale: circondarsi di ricche e sfarzose vestigia, per le quali si attingeva dal già collaudato mondo musulmano, e ripristinare il mondo culturale legato al rito religioso cristiano. La decorazione musiva, eseguita da maestranze bizantine con temi iconografici religiosi, si salda magnificamente agli effetti cromatici del soffitto ligneo sagomato da strutture alveolari (muqarnas) interamente dipinte con scene di vita quotidiana da artisti musulmani. L’aspetto della città dal mare, frammista ad orti e giardini coltivati, ricca di corsi d’acqua, in parte navigabili, di acquitrini, con mercati organizzati ancora come i souk arabi, dovette sembrare ai viaggiatori esteri di tradizione islamica, segnando la fantasia dei geografi6. Proprio in questo periodo storico si riconosce alla Sicilia l’elaborazione di una cultura propria, risultato della sintesi culturale operata in ogni campo, che in ambito artistico è nota come arte arabo-normanna, ma che sarebbe meglio denominare siculo-normanna (termine utile per l’identificazione cronologica del periodo in questione, ma anche per indicarne l’origine locale) ed in campo letterario porterà più tardi alla istituzione della Scuola Poetica Siciliana della corte federiciana. Mentre per la seconda si tratta di produzione nuova dovuta al più stretto contatto con la cultura latina verificatosi a partire dal regno di Guglielmo I, l’espressione artistica è invece il risultato di più forti sedimentazioni culturali che, giunte da terre lontane, avevano prodotto una elaborazione del tutto autonoma in cui prevaleva l’influenza artistica islamica. Le maestranze che operarono durante il periodo della dominazione normanna, almeno fino all’età sveva, erano di cultura musulmana, anche se composte da artigiani provenienti da vari ambiti geografici quali la Spagna, il Maghreb, la Siria e l’Iraq. In quel periodo furono costruite le grandi cattedrali delle città di Palermo Monreale e Cefalù, furono edificati i palazzi dei re e muniti di chiese e castelli i centri maggiori dell’isola. L’architettura dei re Normanni faceva riferimento ai presupposti geometrici, relativi all’architettura islamica, fatimita in particolare7, che si basava sull’uso di forme stereometriche, de6 Si pensi ai racconti di Ibn Gubayr che paragona la città a Cordova, una delle capitali della Spagna musulmana. 7 Cfr.: G. Bellafiore, Dall’Islam alla Maniera, Palermo 1975.

135


rivate dal quadrato e dallo spazio cubico che ne diviene il conseguente risultato spaziale (quba)8. Alla particolare struttura interna si associava un gusto decorativo parietale che investiva, nelle sale più rappresentative, l’intera pagina murale9, affidata ad elaborati lambrì in marmo e alla decorazione musiva con figurazioni del mondo vegetale o animale. Le nicchie di raccordo con le coperture si moltiplicano in strutture alveolari (muqarnas) che nella Cappella Palatina ricoprono l’intera struttura del tetto. L’esterno di queste architetture, per contro, si presenta come un volume unico stereometrico, con precise regole di geometria e simmetria, ed una decorazione dal carattere quasi grafico. Spesso l’elemento di finitura è un’alta fascia su cui è incisa un’iscrizione cubica dedicatoria. Negli edifici religiosi si sommano a volumi architettonici e gusto decorativo, legati all’arte islamica, aspetti funzionali, di immagine e di culto basati sul rito religioso cristiano, in special modo bizantino, lontani dall’area culturale musulmana. Le maestranze attingevano dal repertorio convenzionale cristiano basato sull’uso della pianta basilicale. Architetture basilicali e centriche di tipo bizantino d’altronde erano già presenti in Sicilia in edifici anteriori al X secolo, soprattutto nella Sicilia orientale. Per le chiese di piccola dimensione furono adoperati in serie i moduli quadrati (S. Cataldo, S. Giovanni degli Eremiti) o fu dato maggior risalto al santuario con l’inserimento del cubo coperto da cupola, ma dove s’imponeva una maggiore affluenza di pubblico i due schemi organizzativi furono usati contestualmente. Come i palazzi fortificati, le cattedrali normanne erano munite di camminamenti interni fino alle coperture e di torri scalari, successivamente trasformate in campanili. L’apporto iconografico, seppure inserito in una stesura parietale impostata secondo canoni stilistici e repertori decorativi ancora tipicamente islamici, fu d’ispirazione bizantina, o dovuto a maestranze di sfera cristiana. L’espressione artistica dell’epoca normanna presenta quindi complesse commistioni di influenze e aspetti morfologici che divengono autonomi e precipui del territorio siciliano10. Episodio saliente dell’epoca normanna fu la costruzione dei palazzi e padiglioni reali in giardini disseminati nel vasto territorio limitrofo alla città, identificati col nome di Genoard, trasposizione dell’arabo giannat alard “giardino 8 Chiuso verso l’esterno, questo spazio è estremamente articolato all’interno, ove prende forma dall’aggregazione di altre entità geometriche. Così l’ideale copertura di un vano quadrato diviene la calotta semisferica, simbolo della volta celeste, retta agli angoli da quattro colonne, con riferimento ai quattro punti cardinali. Le pareti si aprono in nicchie o sale rettangolari, gli spazi possono complicarsi e moltiplicarsi; la sala quadrata centrale può essere scoperta e fungere da corte o coperta ed assumere forma trilobata con l’aggiunta di nicchie o sale rettangolari su tre dei quattro lati (iwan); attorno alla struttura centrale una serie di anditi e percorsi, spesso interni alle murature, complicano l’inseguirsi degli spazi. 9 Quello stesso gusto decorativo che in Spagna produrrà la decorazione mudejar, 10 Dimenticati per secoli, i monumenti normanni subirono una riscoperta da parte degli studiosi nella seconda metà del XIX secolo, dopo le ricerche arabiste di Michele Amari (M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia) che riportò l’attenzione su questo particolare momento della storia siciliana.

136


paradiso”. Si trattava di costruzioni isolate, in giardini variamente organizzati che costituivano riserve di caccia, padiglioni di riposo e luoghi di diletto della corte dei re normanni, detti “sollazzi”. L’uso di tali residenze temporanee era diffuso nelle terre musulmane ed in Sicilia fin dall’epoca degli emiri, tant’è che la datazione del più antico tra questi palazzi, quello della Favara, si fa ascendere al X secolo. Col progredire dei secoli e con l’affinamento dell’architettura e dell’arte, tale costume ha prodotto veri capolavori architettonici come la Zisa e la Cuba e si diffuse agli alti gradi del clero. Tra i giardini-paradiso, alcuni, come quello della Zisa e quello che comprendeva la Cuba e la Cuba Soprana, erano cinti da mura e costituivano il grande parco reale con giardini di vario genere, adorni di padiglioni, peschiere e vasche. Il palazzo della Favara, famoso per la sua posizione quasi al centro di un lago artificiale, tanto grande da sembrare un “mare dolce”, così appunto viene chiamata ancor oggi la località in cui si trova il palazzo, era ubicato a qualche chilometro dalla città nella campagna meridionale, vicino alle sorgenti di S. Ciro. Fondamentale era in questi edifici il rapporto della sala principale o del cortile centrale col giardino e lo spazio aperto, che risultavano in logica prosecuzione, e la presenza dell’acqua in forma di bacino (Favara), di peschiera, o di abbellimento degli ambienti interni, come alla Zisa. Il rinnovato vigore costruttivo di quest’età comportò la nascita della cittadina di Monreale, sorta lentamente attorno all’abbazia benedettina ed al complesso di edifici a questa aggregati, costruiti a partire dal 1174 per volontà di Guglielmo II. I normanni affidarono alla storia una città ricca e ben organizzata che ancora per altri quattro secoli avrebbe mantenuto intatta la sua forma e la sua struttura, pur racchiusa nella seconda metà del XVI secolo dalle mura bastionate. Solo con l’apertura nel XVII secolo della via Maqueda ed il proseguimento all’esterno delle strade medievali verso il territorio, lo sviluppo urbano avrebbe definitivamente travalicato la cortina muraria.

137



Marco De Michelis*

La Sicilia: porta per le Crociate? ... Non terra di crociati. Analisi storico - geografica da Ruggero I a Federico II di Svevia Introduzione

Nell’affrontare quest’argomento è necessario partire da un’analisi storico – geografica, cioè dalla relazione che lega gli eventi allo spazio. Questo legame risulta di rilevante importanza, la Sicilia, da un lato, è stata una terra di confine tra due continenti, dall’altro, un’isola collocata in una posizione strategica nel mar Mediterraneo. Questi due elementi di matrice geografica, supportati da eventi storici, hanno reso la Sicilia, una delle regioni d’Italia che, nel corso dei secoli, ha maggiormente subito, ma anche tratto vantaggio, da conquiste, dominazioni straniere e ripetute ribellioni. Quest’isola non ha quindi soltanto giocato un ruolo di rilevanza all’interno di uno scacchiere non suo; la sua storia mostra e mette in luce un triplice aspetto: questa terra è stata crocevia d’incontri in ambito arabo-islamico e cristiano-mediterraneo; è risultata essere un luogo di condivisione tra cristiani stessi, ma di differente rito (greco e latino) ed ha manifestato un connubio di valori che appartengono oggi a popoli considerati troppo diversi per poter convivere: i normanni, nazione del nord Europa con i latini del sud Italia, lo stile svevo -germanico con quello islamico di Palermo. È importante, inoltre, approfondire il rapporto molto stretto che associa la gestione della res publica, in terra di Sicilia, a quella religiosa. Le relazioni diplomatiche che hanno legato i sovrani d’Altavilla1 a diversi Papi e la loro intelligente politica matrimoniale, che ha permesso la costruzione di Ricercatore, Università Orientale di Napoli. Dinastia reale originata da Tancredi Conte di Hauteville (oggi Hauteville-la-Guichard) in Normandia (XI secolo), i cui figli intrapresero la conquista e l’unificazione politica dell’Italia meridionale, conclusa nel 1130 da Ruggero II, terzo Conte di Sicilia e quarto Duca di Puglia e Calabria, che unì al proprio dominio tutti i feudi normanni nel Mezzogiorno (Principato di Capua, Ducato di Napoli etc.) costituendo il Regno di Sicilia. Un Regno che si estendeva a Corfù, Malta, Gozo e a tutta la costa dell’Africa settentrionale, compreso l’entroterra tra Bona * 1

139


alleanze con le più importanti famiglie nobiliari europee, sono certamente da attribuire ad un’abilità politica, che da un lato ha portato i Normanni ad essere considerati dei combattenti della fede, mentre dall’altro, ad essere stati in grado di serbare, in Sicilia, uno stretto legame con i sudditi musulmani. Un immediato paragone con il governo di Isabella di Castiglia e Ferdinando D’Aragona, che spinsero i sudditi islamici, subito dopo la conclusione della Reconquista, nel 1492 ad una conversione forzata, può far riflettere non poco sul fatto che solo a distanza di un secolo, dalla riconquista normanna, la pressione sulla comunità islamica andasse sempre più aumentando in un periodo storico, che vede nella Crociata contro l’infedele, un apogeo non certo simbolico di tolleranza. A questi dati incontrovertibili va aggiunta, come riprova, il fatto che ancora durante il regno di Ruggero II2 e del figlio Guglielmo I3, la popolazione musulmana di Sicilia fosse maggioranza nell’isola, mentre solo settant’anni dopo, sotto Federico II di Svevia, sarebbe stata pianificata la deportazione degli ultimi musulmani dell’isola, a Lucera, nelle Puglie. È quindi necessario per capire se la Sicilia sia stata luogo di passaggio per le Crociate….Ma non terra di crociati, promuovere un’analisi che possa tenere conto di fattori geografici, ma soprattutto politico-religiosi, evidenziando come nei secoli medioevali questo legame sia risultato inscindibile. La Sicilia: porta per la crociate?...

Dal punto di vista geografico non si potrebbe negare il ruolo svolto dalla Sicilia durante il periodo delle crociate, che dal 1095, data d’inizio del concilio di Clermont, al 1291, data della conquista mamelucca di S. Giovanni d’Acri, interessò gran parte dell’Europa e del Vicino Oriente.

e Tripoli. Alleati del Papa, Boemondo I e Guglielmo II d’Altavilla, furono fra i principali organizzatori della prima e della terza crociata. Boemondo I - figlio di Roberto il Guiscardo, primo Duca di Puglia e Calabria - protagonista della prima Crociata, si impadronì del Principato d’Antiochia. Tancredi - cugino di Boemondo II - segnalatosi alla presa di Nicea, Antiochia e Gerusalemme, ebbe in feudo il Principato di Galilea e Tiberiade ed il Tasso lo celebrò nella Gerusalemme liberata. Ultima degli Altavilla fu Costanza (1154-1198) – figlia postuma di Ruggero II, “Rex Siciliae et Italiae” - che sposò Enrico di Svevia, Re di Germania ed Imperatore del S.R.I. - figlio di Federico Barbarossa – che spodestato il legittimo Re Guglielmo III – figlio del Re Tancredi – carpì così la successione al Regno di Sicilia. Morto Enrico, regnò in nome del figlio Federico II, poi Re di Sicilia, di Germania ed Imperatore del S.R.I. Per un’analisi esaustiva di questo periodo storico fare riferimento al testo di Amari M., Storia dei musulmani in Sicilia, nuova ed. annotata da C. A. Nallino, Catania, Romeo Prampolini, 3 voll. (in 5 tomi), 1933-39 2 Ruggero II (Mileto, 22 dicembre 1095 – Palermo, 26 febbraio 1154), conosciuto anche come Ruggero il normanno, figlio e successore di Ruggero I di Sicilia della dinastia degli Altavilla iniziò a regnare nel 1113. È suo merito l’aver accorpato sotto un unico regno tutte le conquiste normanne dell’Italia meridionale e di aver organizzato un governo efficiente, personalizzato e centralizzato. 3 Guglielmo I di Sicilia, detto il Malo (nato nel 1131 - 7 maggio 1166), discendente normanno degli Altavilla, fu re di Sicilia dal 1154 al 1166. Il suo regno fu segnato da una profonda instabilità sociale e politica.

140


Si rimane però un po’ stupiti dal fatto che non tutte queste spedizioni abbiano effettivamente utilizzato quest’isola come terra di passaggio; se infatti si osserva attentamente la cartina sottostante, si vede come solo in alcune occasioni, Messina e la Sicilia abbiano acquisito un rilevante ruolo geografico come passaggio obbligato per la Terra Santa.

http://www.ilpalo.com/mappe-cartine-storiche/crociate/pages/1096-1270-itinerari-delle-crociate%20_jpg.htm

La spiegazione principale fu determinata dal fatto che erano spesso i regnanti o le sempre più potenti città marinare italiane a giocare il ruolo di effettivi organizzatori dell’evento, scegliendo, in base a differenti motivazioni, il percorso da seguire e quindi i porti da cui imbarcarsi. Durante la prima crociata, per esempio, la necessità di passare da Costantinopoli e quindi dalla corte di Alessio Comneno, spiega perché la Sicilia non fu toccata da questa spedizione, essendo stato proprio il Basileus a richiedere l’intervento dei regnanti d’Occidente per difendere i suoi territori dalla conquista selgiuchide. La porta per giungere a Gerusalemme, quindi, era risultata obbligata. Durante questa prima spedizione, una parte dell’esercito, a maggioranza francese, guidato da Ugo di Vermadois, fratello del re di Francia, da Roberto Courteheuse, duca di Normandia, da Stefano, conte di Blois e di Chartres e da Roberto, conte di Fiandra, decise, dopo aver percorso la valle del Rodano, di scendere lungo la penisola italiana per imbarcarsi a Brindisi, sbarcare a Spalato e raggiungere Buda (un percorso molto inusuale e che infatti non venne mai più utilizzato). Un secondo gruppo invece, germanico, guidato da Goffredo di Buglione, partendo da Ratisbona, raggiunse Costantinopoli, passando dall’Ungheria e riunendosi a Buda, all’esercito francese. 141


Un terzo, al comando di Raimondo di Saint Gilles, partendo da Tolosa e attraversando la Lombardia raggiunse Brindisi, ma sbarcò a Durazzo per arrivare a Costantinopoli via terra; l’accoglienza bizantina nei Balcani fu pessima, anzi si arrivò ad uno scontro tra crucesignati e cristiani d’oriente, che sembrava anticipare quelli che li avrebbero contrapposti a breve, in Siria. Infine, il gruppo guidato da Boemondo d’Altavilla4, conte di Taranto e di Bari e figlio di Roberto il Guiscardo, sbarcò a Spalato dalle Puglie e senza incontrare alcuna resistenza, giunse pacificamente alla corte di Alessio Comneno. Il percorso compiuto in questa prima crociata fu decisamente itinerante per poter raccogliere il maggior numero di combattenti per la fede e quindi il periodo che intercorse tra la partenza e la conquista della città Santa, durò parecchi anni. Un solo accenno merita la sosta nell’isola del re di Norvegia Sigurd I Magnusson che, intorno al 1109 – 1110, fece tappa in Sicilia prima di giungere in pellegrinaggio al Santo sepolcro di Gerusalemme. La seconda crociata, guidata da Luigi VII di Francia e da Corrado III di Germania, organizzata per riconquistare Edessa, non toccò neanche lontanamente le terre italiche, mentre fu con la III, promossa dopo la conquista di Gerusalemme da parte di Salah ad-Din nel 1187, che giunsero in Sicilia sia Riccardo Cuor di Leone, sia Filippo Augusto di Francia. A onor del vero, la decisione del re inglese di fermarsi in Sicilia non fu dettata soltanto da motivazioni logistiche: Riccardo Cuor di Leone sbarcò in effetti a Messina nel settembre 1190, scontento della sorte di sua sorella Giovanna, privata dell’eredità promessa per il matrimonio con Guglielmo II d’Altavilla5. Riccardo avrebbe saccheggiato la Calabria e la Sicilia, nell’intento forse di impadronirsi del regno. Con l’arrivo e l’intervento diplomatico di Filippo Augusto si sarebbe risolta la contesa. Un accordo fu concluso con Tancredi di Lecce6 ed entrambi i re ripresero la strada verso Gerusalemme, nell’aprile 1191, portando con sé la regina Giovanna, in Terrasanta. Durante le successive spedizioni, la Sicilia non venne più presa in considerazione come terra di passaggio e soltanto durante la ‘’finta’’7 crociata di Federico II di Svevia (la sesta, nel 12271228), il sud Italia vide partire il sovrano dal porto di Brindisi. 4 Boemondo I d’Altavilla, o Boemondo I d’Antiochia (1058 – San Marco Argentano, 3 marzo 1111), principe di Taranto e duca di Calabria, successivamente principe d’Antiochia, fu uno dei signori feudali che partecipò alla Prima Crociata. Fondò inoltre, nei pressi di Otranto, il Monastero di San Nicola di Casole, che ospitò una delle biblioteche più ricche del Medioevo, particolarmente fornita di testi arabi e persiani. 5 Guglielmo II di Sicilia, detto il Buono (1153 – Palermo, 18 novembre 1189), era discendente della famiglia degli Altavilla e succedette al padre Guglielmo I. Re di Sicilia (1166-1189), fu uno dei monarchi normanni che ebbe la maggiore benevolenza popolare. 6 Tancredi di Sicilia (c. 1138/1140 - 20 febbraio 1194), fu Conte di Lecce (1149-1154 e 1169-1194) e Re di Sicilia (1189-1194), dovette affrontare alcune difficoltà di successione, riuscendo comunque, momentaneamente, a mantenere i vari troni all’interno della famiglia degli Altavilla. 7 Considerata finta, perché avrebbe conseguito l’obbiettivo di conquistare Gerusalemme, in maniera pacifica, attraverso un accordo diplomatico tra Federico II di Svevia e Malik al-Kamil, sultano del Cairo (trattato di Giaffa 1228).

142


Bisogna quindi ridimensionare il ruolo assunto dalla Sicilia durante le crociate come porta per raggiungere la Terra Santa, anche se tralasciando per un attimo le spedizioni ‘’canoniche’’ non si deve fare l’errore di dimenticare che le missioni di rifornimento, di aiuto economico e di continuo ricambio di uomini e mezzi militari, a supporto dei regni cristiani, durò per ben due secoli, assumendo proporzioni consistenti e certamente usufruendo della posizione geografica siciliana. Quest’isola infatti giocò un ruolo molto più rilevante come granaio, situato al centro del Mediterraneo e come terra di passaggio e di commercio per le città marinare di Genova e Pisa, che in questi secoli di intensi scambi con il Vicino Oriente crearono delle vere e proprie enclave nei principali porti della Sicilia. Ancora oggi infatti, a Palermo, si possono ammirare la Torre dei Pisani da un lato, e la Chiesa di San Giorgio ai Genovesi dall’altro, a dimostrazione del ruolo giocato da queste due potenze marinare nella regione. Diventa quindi più facile immaginare quest’isola come una terra di latte e miele, luogo di villeggiatura e di vacanze bucoliche d’altri tempi così come ci viene descritto da al-Idrisi8 nell’opera al-Kitab al-Rujari?

‘’Diciamo dunque che la Sicilia è la gemma del secolo per pregi e bellezze; lo splendore della natura, il complesso edilizio e il remoto suo passato ne fanno un paese veramente unico. I viaggiatori che vi giungono da ogni parte e tutti coloro che frequentano le sue città e metropoli mentre ne riconoscono concordemente l’eccellenza e la preminenza, rimangono colpiti per la sua fulgente bellezza e parlano diffusamente delle meraviglie che contiene, dei molteplici suoi incanti, delle ricchezze dei singoli paesi che qui si trovano tutte raccolte.’’9

Bisogna anche in questo caso cercare di conciliare ciò che la Storia pone spesso in contrasto con la letteratura: se infatti non si può negare lo splendore di una terra che in tutto il periodo medioevale mostra una centralità, non solo geografica, senza rivali in Italia, non si può certo negare che nell’isola, fin dall’inizio della reconquista normanna, siano andati a concentrarsi varie anime e fedi che alla lunga non sono riuscite a convivere insieme pacificamente. Anche per quanto concerne questo fattore, la geografia risultava avere un ruolo di grande importanza: la Sicilia si trovava troppo vicino a Roma e allo stato della Chiesa, immersa in un Mediterraneo dove annualmente varie spedizioni venivano organizzate per mantenere un controllo sui possedimenti in Terra Santa e promotrice lei stessa di spedizioni di conquista e di razzia contro la costa nordAl-Idrisi, (Ceuta, 1099- Sicilia, 1164) è stato un geografo e viaggiatore arabo. Dopo aver peregrinato per tutti i paesi del mar Mediterraneo, giunse in Sicilia e si stabilì a Palermo presso la corte normanna di re Ruggero II, intorno al 1145. 9 Al-Idrisi, Al-Kitab al-Rujari, Flaccovio Editore, Palermo, trad. da U. Rizzitano, p. 24. 8

143


africana dove era presente l’emirato Ziride10. Si potrebbe pensare quindi che in fondo la Sicilia descritta da al-Idrisi non sia solo stata una terra di piaceri e passioni, ma come la storia ben dimostra, un’isola di partenza per promuovere conquiste ai danni degli arabo- berberi dell’Africa. Si può quindi affermare che la Sicilia non sia stata: … terra di crociati !

L’argomentazione di questa tesi risulta essere molto più complicata di quello che si potrebbe immaginare per la presenza di fattori concomitanti che rendono questi secoli particolarmente confusi e di difficile interpretazione. Prima di tutto, infatti, bisogna valutare se la periodizzazione storiografica che fa iniziare le crociate con il famoso invito di Papa Urbano II, a Clermont, nel 1095, non debba essere preceduta dalla ‘’crociata’’ organizzata e pianificata dai normanni di Puglia e Calabria per conquistare la Sicilia a svantaggio della dominazione musulmana o persino da quegli scontri tra l’emirato di Cordoba e i regni cristiani di Leon e Navarra, nel corso del X secolo. Le motivazioni di tale conquista, iniziata nel 1061 dal conte Ruggero I11, possono risultare in contrasto o solamente differenti da quelle dei papi Nicolo II e Gregorio VII, che esaltavano i normanni stessi, come promotori della riconquista cristiana dell’isola. Goffredo Malaterra e Amato di Montecassino, descrivendo le gesta di Roberto il Guiscardo e di Ruggero I, esaltano il ruolo avuto in queste imprese dai duchi normanni, i quali però non erano animati da un vero e proprio spirito di crociata, bensì da una ricerca di guadagni e di territori da conquistare. Bisognerebbe ricordare inoltre che fino al 1053, anno della sconfitta pontificia a Civitate12, il papa Leone IX si era trovato in forte contrasto con i normanni stessi; fattore questo che venne ribaltato dall’intervento del duca Roberto, nel 1084, in favore di Gregorio VII contro Enrico IV di Germania, quando il duca riuscì a salvarlo da una sicura umiliazione. Qual’è quindi la giusta interpretazione: quella scritta dal Malatterra nel De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliane comitis, dove Ruggero I sembra essere stato spinto alla conquista siciliana da motivazioni politiche e religiose, oppure si 10 Dinastia Berbera discendete dei Banu Zirid che governò l’Ifriqiyah dal 972 al 1152. Provenienti dalla Cabilia algerina, si consolidarono fino a controllare la città di Grenada in al-Andalus. In Tunisia occuparono la costa ed alcune sue città venendo poi sconfitti dal Normanni nel XII secolo. 11 Ruggero I di Sicilia, citato spesso come il Gran Conte Ruggero (1031 circa – Mileto, 1101), figlio di Tancredi d’Altavilla e fratello di Roberto il Guiscardo della dinastia degli Altavilla, fu il conquistatore e il primo Conte di Sicilia (1062). 12 La Battaglia di Civitate ebbe luogo il 18 giugno 1053 nei pressi di San Paolo di Civitate e vide contrapposti i Normanni di Umfredo d’Altavilla ad un esercito di Suebi, Italiani e Longobardi coalizzati da papa Leone IX e guidati da Gerardo, duca di Lorena e Rodolfo, principe di Benevento. La vittoria dei Normanni segnò l’inizio di un lungo conflitto terminato solo nel 1059 col riconoscimento delle loro conquiste nel Sud Italia.

144


dovrebbe prendere in maggiore considerazione l’ipotesi che mostra i normanni di Puglia essere tra i principali esponenti della prima crociata, dove Boemondo, figlio di Roberto il Guiscardo13, conquista e mantiene sotto il suo controllo il neo-principato di Antiochia? Verrebbe da pensare che entrambi gli eventi esaltino la lotta contro l’infedele islamico, invece, se si approfondisce l’argomento, si scopre che lo storico Grousset nei tre volumi dell’Histoire des Croisades et du Royaume Franc de Jerusalem, ponga in risalto come prima Boemondo, poi Tancredi e Ruggero I d’Antiochia, avessero, quale unico scopo, quello d’impadronirsi di domini d’importante rilevanza a prescindere da chi fosse l’oppositore. Nel primo volume di quest’opera infatti si nota il ruolo esclusivamente politico che il principato d’Antiochia giocò in Terra Santa alleandosi e combattendo in pochi decenni con Bizantini, Armeni, Turchi Selgiuchidi e con i sovrani musulmani di Aleppo, Mossul e di Damasco. Era quindi la fede o il desiderio di conquista a muovere i duchi di Puglia e Calabria? Quest’analisi, non dovrebbe essere portata agli estremi, ma considerata nella sua totalità, ben prima infatti del 1084, quando Roberto il Guiscardo salvò la vita di Gregorio VII, i normanni si erano già resi meritevoli agli occhi del papa Nicola II per aver iniziato la conquista del Sud Italia e per averlo sottratto all’influenza bizantina, che ancora in quegli anni era imperante (già nel 1059 infatti il Papa Nicola II infeuda Roberto il Guiscardo del ducato di Puglia, Calabria e Sicilia, quando quest’ultima doveva persino ancora essere conquistata). Non bisogna dimenticare che fino alla battaglia di Manzikert del 107114, Bisanzio, sotto la cosiddetta dinastia macedone, era ritornata potente ed avrebbe voluto riprendere il controllo del Sud Italia a svantaggio certo di Roma. Non potendo quindi indagare con certezza nell’animo di Ruggero I, di Roberto il Guiscardo o di Boemondo d’Antiochia, anche se il Malaterra afferma che ci fu della sincera fede negli autori di questa reconquista, altri eventi ci spingono a pensare il contrario. A queste invasioni, per completare in maniera esaustiva l’argomento, si devono aggiungere quelle sostenute quando la Sicilia si trovava già sotto dominio normanno e che vedono in Giorgio d’Antiochia l’amiratus amiratorum del monarca Ruggero II. La conquista del Nord Africa aveva portato i normanni ad essere padroni di varie città costiere ed isole, in precedenza sotto controllo dell’emirato ziride. L’isola di Djerba era stata presa nel 1137 e città come Sfax, Mahdiyya e Tripoli erano state più volte saccheggiate. Solo però nel 1148 Giorgio d’Antiochia fu in grado di porre termine al dominio ziride, di conquistare Susa e 13 Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo cioè l’Astuto, (Hauteville-la-Guichard, 1025 – Cefalonia, 17 luglio 1085) è stato un condottiero normanno, figlio di Tancredi d’Altavilla e della sua seconda moglie Frensenda (o Fredesenda). Fu conte di Puglia e Calabria alla morte del fratello Umfredo (1057). In seguito (1059) fu investito da papa Niccolò II del titolo di duca di Puglia, Calabria e Sicilia. 14 La battaglia di Manzikert fu combattuta il 26 agosto 1071 tra l’esercito del sultano selgiuchide Alp Arsln e quello bizantino dell’imperatore Romano IV Diogene; lo scontro si risolse in una disastrosa sconfitta per i Bizantini.

145


di saccheggiare e mantenere sotto controllo la città di Mahdiyya. Gran parte dell’odierna costa tunisino- libica si trovava quindi sotto dominio normanno. Diventa oltremodo complicato cercare di comprendere se i monarchi siciliani fossero dei combattenti per le fede o solo dei conquistatori attratti dalla possibilità di un effettivo arricchimento. Le guerre di dominio e saccheggio contro gli infedeli infine, come scrive il Tramontana, furono in parte realizzate grazie ad un aiuto logistico e militare dei musulmani di Sicilia, che quindi sembravano non legati ai correligionari nella fede del nord-Africa. Risulta ancora più difficile capire quali fossero gli interessi in gioco e da che parte stessero gli attori in campo; bisogna forse, facendo un passo indietro, cercare di comprendere meglio il rapporto che lega la Sicilia alle sue innumerevoli conquiste medioevali. Per giungere all’ipotesi che la Sicilia non sia stata effettivamente terra di Crociati è necessario analizzare ulteriori episodi storici e soprattutto notare come gran parte dei dominatori di quest’isola, dall’Alto al Basso Medioevo, non fecero mai tesoro degli eventi precedenti. Il bizantino Eufemio (nel IX secolo) cercò nell’appoggio arabo-berbero un aiuto militare, aiuto che lo travolse e che trasformò l’isola da terra di saccheggio ‘’saracena’’ ad importante base per nuove incursioni sul continente. Allo stesso modo, i normanni di Puglia e Calabria furono utilizzati dai musulmani di Sicilia per i loro servigi militari, in un momento nel quale l’isola era nelle mani di tre emiri antagonisti. Se infatti le conquiste arabo-berbere in Puglia e Calabria come Otranto, Bari, Casignana (90 km. da Reggio Calabria), non furono mai che un avamposto nel dar al-harb (casa della guerra, territorio di guerra), la conquista della Sicilia, da parte Aglabide, aveva assunto un ruolo rilevante per la realtà politico-strategica nord-africana. Non bisogna dimenticare che se l’occupazione completa di questa terra giunse soltanto all’inizio del X secolo con la presa di Taormina nel 902 d. C., gran parte dell’isola si trovava già da qualche decennio sotto dominazione islamica e vi sarebbe rimasta fino alla seconda metà dell’XI sec.: Palermo infatti venne riconquistata dai Normanni nel 1072, mentre Enna (Castrogiovanni) cadde definitivamente nel 1087. Se quindi, la conquista arabo-berbera della Sicilia era stata certamente lenta e difficoltosa a causa dell’opposizione locale, anche quella normanna non lo fu da meno a causa degli abitanti che si erano convertiti all’Islam e di coloro che erano rimasti cristiani, ma che consideravano questi nuovi invasori soltanto come dei barbari dediti al saccheggio e all’omicidio. Il Tramontana in un suo scritto sull’argomento afferma infatti: … i suoi sistemi di conquista (quelli di Roberto il Guiscardo), al di là delle scarse notizie per quegli anni sui rapporti tra Normanni ed isolani, fanno piuttosto pensare, anche per la Sicilia, a una situazione analoga a quella che, dopo la comparsa dei primi contingenti giunti dalle terre di Normandia, si era venuta a creare nei vari centri del Mezzogiorno peninsulare e soprattutto in Ca-

146


labria, dove bastava il solo nome del Guiscardo per spingere i monaci a sotterrare, nelle cantine e nei loro conventi, tesori, vasellame e arredi sacri.15

Quindi, da un lato il potere temporale considerava la ri-conquista della Sicilia come una pre- crociata a vantaggio della cristianità, dall’altro invece la popolazione locale ne risultava dubbiosa proprio perché i Normanni si comportavano come soldati di ventura, pronti ad incamerare il maggior numero di ricchezze. Non si può negare che il passaggio dell’isola da una dominazione all’altra abbia provocato continue sofferenze per la popolazione e diverse inquietudini sul chi favorire: i nuovi arrivati o gli antichi padroni. La politica normanna messa in atto, in contrasto con le richieste pontificie ed ecclesiastiche, fu comunque quella di mantenere il sistema burocratico- organizzativo precedente, tutelando il ceto dirigente musulmano, così come questi ultimi avevano fatto prima con i bizantini. Alla base di questa scelta vi furono motivazioni gestionali e di esperienza amministrativa, ma anche numeriche: inizialmente i Normanni sull’isola risultarono essere una piccola minoranza che non si poteva permettere stravolgimenti eccessivi. La conquista normanna, a differenza di quella saracena, non aveva determinato un grande esodo o una migrazione di massa, ma una lenta infiltrazione che s’insinuava in gruppi sparsi, autonomi, ed alcune volte in contrasto tra di loro. Gli scarsi dati che rimangono oggi ci dicono che più del 50% della popolazione della Sicilia occidentale, con capitale Palermo, si era convertita, nei decenni successivi alla conquista musulmana, alla nuova religione, mentre la Sicilia orientale era rimasta in gran parte cristiana. I Normanni si trovarono dunque in stretto rapporto con un numero consistente di sudditi islamizzati e musulmani dalla nascita. Come scrive quindi Salvatore Fodale:

Se la tolleranza e l’utilizzazione delle capacità e delle esperienze dei vinti derivavano dalla prudenza e dall’intelligenza dei conquistatori Normanni, l’adozione dei loro modi di vita e l’uso della loro lingua, erano mezzi attraverso i quali i vincitori affermavano e legittimavano ulteriormente il proprio potere. È naturale, che in questo quadro, i re normanni facessero ricorso anche per l’amministrazione a funzionari arabo-berberi tanto più che certi uffici, come l’ammiragliato e la dogana, erano di origine e tradizione musulmana.16

Il passaggio successivo portò al riconoscimento della superiorità culturale araba e di conseguenza, regnanti come Ruggero II, Guglielmo I fino ad arrivare al 15 16

Tramontana S., Il Regno di Sicilia. Uomo e Natura dall’XI al XIII secolo, Einaudi, Torino, 1999 Fodale S., La Sicilia tra crociata e convivenza, (www.enec.it/VersoGerusalemme/05SALVATOREFODALE.pdf)

147


più famoso Federico II di Svevia, si circondarono di sapienti e di letterati musulmani che diedero lustro alla corona normanno-sveva. Sotto Ruggero II fu mantenuto l’interesse non solo verso il patrimonio culturale e scientifico bizantino-musulmano, ma fu anche accresciuta l’immagine di un sovrano che puntava a essere colto e amante dello stile orientale. La nascita di questo monarca, nel 1095, non era sembrata di buon auspicio per i rapporti interreligiosi; al contrario, il suo regno, tra il 1113 e il 1154, è ricordato come uno dei più proficui nel preservare l’isola dallo scontro inter-religioso. Il suo mecenatismo, che viene esaltato da al-Idrisi nel Libro di Ruggero, mette quindi in luce il motivo per cui, in un periodo storico dove si partiva per combattere l’infedele in Terra Santa, la Sicilia sembra rimanere un’isola felice priva di fondamentalismi religiosi. Goffredo Malaterra affermò che la riconquista cristiana di quest’isola era stata una grande impresa, perché aveva riportato al cristianesimo i suoi abitanti, ma per la verità, nel secolo e mezzo successivo, non vi furono molte conversioni. Fonti più o meno anonime affermano infine che presso la corte di Ruggero II, il sovrano avesse persino un harem personale con un numero imprecisato di concubine, a dimostrazione di come usi e costumi, non certo familiari ai Normanni, si fossero invece ben radicati in terra siciliana. Anche i successori di Ruggero II continuarono a favorire intellettuali arabi e bizantini, generalmente non indigeni, per le loro doti amministrative e le conoscenze tecniche. Si dice che Guglielmo I avesse una ricca biblioteca con testi arabi e greci e che sotto Guglielmo II, venne tradotto dall’arabo il testo di ottica di Tolomeo. La traduzione di opere greche e arabe, senza voler promuovere un paragone con il famoso periodo storico della dar al Hikma di Baghdad, mostra come società differenti ma tolleranti, abbiano tutte utilizzato il vettore della cultura per creare un humus di rispetto reciproco, basato su una cultura laica, che non disdegnava il confronto in ambito religioso e scientifico. I normanni non mostrarono nient’altro che una grande capacità di interloquire con attori diplomatici differenti cercando di non deludere nessuno. Con il potere papale, fino all’avvento dello svevo Federico II, essi puntarono a mantenere un rapporto corretto, mostrando il loro valore di combattenti per la fede in Terra Santa e in Sicilia, anche se, al contrario, si cercava di mantenere un livello di reciproco rispetto religioso, almeno in ambito isolano. A Baldovino I re di Gerusalemme, succeduto a Goffredo di Buglione nel 1100, sarebbe andata in sposa la vedova di Ruggero I d’Altavilla, Adelaide del Vasto, che, non più giovanissima, fece inserire nel contratto di matrimonio la clausola concernente l’eventualità per la quale se non fosse stata in grado di generar un figlio maschio, Ruggero II, avuto nel precedente matrimonio, avrebbe ereditato anche la corona di Gerusalemme. I normanni si sarebbero quindi ritrovati a dominare l’Italia meridionale, il principato di Antiochia e il regno di Gerusalemme; in questo caso probabilmente la Storia avrebbe percorso una strada diversa. Il fatto, che Baldovino risultasse bigamo, non permise il coronamento di 148


quest’obbiettivo, che dimostra ulteriormente come da soldati di ventura un po’ ‘’barbari’’ i normanni si stessero trasformando in abili ed intelligenti uomini politici. Tuttavia, se oggi possiamo ammirare monete argentee con scritte in greco e arabo provenienti da scavi archeologici in differenti zone siciliane, si istituì, nella seconda metà del XII secolo, un processo di latinizzazione dell’isola per cercare di omogeneizzare una società molto diversa. A livello diplomatico, infatti, la Sicilia non era risultata un’alleata fidata; durante l’organizzazione della seconda crociata, Ruggero II aveva fatto varie offerte di navi, porti, soldati, ma non venne preso in considerazione. Bernardo di Claivaux17, Luigi VII di Francia e l’imperatore Corrado non si fidavano infatti di un regnante che manteneva rapporti troppo amichevoli con degli infedeli. La Sicilia rimase quindi una terra di passaggio e, come abbiamo visto, neanche troppo frequentata, assumendo un atteggiamento difficile da interpretare per chi all’epoca vedeva nell’Islam, esclusiva mene, un nemico da combattere. Ad ulteriore riprova di ciò, possiamo accennare al fatto che la ‘’moda’’ orientaleggiante che i crociati con il passare degli anni fecero propria in Terra Santa, fu la stessa che Ruggero II mantenne nella sua Palermo; quindi se inizialmente lo zelo religioso e la fede ponevano i musulmani nel ruolo di infedeli, successivamente, tra gli ordini monastico-militari stessi e gli islamici, nacquero rapporti di reciproco rispetto. Ibn Giubayr18 tuttavia, nel 1184, si lamentava della triste condizione generale dei musulmani di Sicilia e della povertà nella quale erano stati ridotti dai normanni; questo aspetto, rilevato dal viaggiatore, mostra come a distanza di un secolo e mezzo dalla conquista normanna vi era stato un deterioramento delle relazioni e ad una latinizzazione sempre maggiore, si era contrapposta una cultura greca ed araba, che costituiva un ornamento intellettuale, ma che, di fatto, stava scomparendo dalla società. Già infatti prima della morte di Ruggero II, nel 1154, era iniziato un processo che avrebbe portato ad un rapido deteriorarsi delle relazioni tra le due comunità religiose maggioritarie. 17 Bernardo di Chiaravalle o Bernard de Clairvaux (Fontaine-lès-Dijon, 1090 – Ville-sous-la-Ferté, 20 agosto 1153) è stato un religioso, abate e teologo francese, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux. Viene venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Canonizzato nel 1174 da papa Alessandro III, fu dichiarato Dottore della Chiesa, Doctor Mellifluus, da papa Pio VIII, nel 1830 18 Nato a Valencia, in Andalusia, nel 1145, Ibn Giubayr svolse alti incarichi amministrativi a Ceuta e a Granada. Fra il 1183 e il 1205 intraprese tre lunghi viaggi in Oriente, che lo condussero pellegrino alla Mecca. Si trasferì poi a Gerusalemme e infine ad Alessandria, dove morì nel 1217. Diede una ponderosa testimonianza del suo primo viaggio, che durò oltre due anni, dal 4 febbraio 1183 al 25 aprile 1185, nel corso dei quali poté visitare e conoscere la Siria, la Palestina, la Mesopotamia, l’Arabia, l’Egitto e in ultimo la Sicilia, dove, a causa di un naufragio sbarcò nel dicembre 1184 per rimanervi fino al febbraio 1185. La parte siciliana della Rahlat ‘al Kinânî di Giubayr conobbe la prima traduzione in italiano nel 1846-47 a opera di Michele Amari, che l’accolse nel primo volume della Biblioteca arabo-sicula. Ma fu Celestino Schiaparelli, nel 1906, a stampare la traduzione integrale dell’opera, con il titolo Viaggio in Ispagna, Sicilia, Siria e Palestina, Mesopotamia, Arabia, Egitto.

149


Salvatore Fodale parla di una vera e propria conversione di Ruggero II, pochi anni prima della morte, per cercare di non dispiacere troppo la volontà papale. L’espropriazione di terre coltivate a danno di contadini musulmani, la costruzione di chiese che puntavano a circondare le presenti moschee, ed il processo di latinizzazione precedentemente nominato, se iniziarono negli ultimi anni di vita di Ruggero II, continuarono durante i regni dei suoi successori. Il degrado di questa società interculturale risultava essere dovuto ad una espropriazione del ruolo politico degli emiri di Siracusa, Catania e della stessa Palermo, a vantaggio di vescovi giunti da Roma, di prelati sempre più influenti alla corte normanno- sveva e di soldati mercenari del nord- Italia. Ruoli di corte che prima appartenevano a nobili di religione islamica, i quali avevano prestato servigi importanti sotto i primi regnanti normanni, vennero trasferiti nelle mani di intellettuali e funzionari più interessati a proteggere il sovrano da influenze islamiche, che a preoccuparsi, effettivamente, del buon governo. La presenza a corte di letterati come Roberto di Cricklade, biografo di Samuel Beckett, e Pierre de Blois, precettore di Guglielmo II, spinge a riflettere come nella seconda metà del XII secolo, la cultura fosse irrimediabilmente passata in mani molto legate a Roma. Se infatti, per alcuni anni della prima metà del XII secolo, il precettore di Guglielmo I era stato lo stesso al-Idrisi, già il figlio del successore di Ruggero II sarebbe stato formato da personale ecclesiastico. Infine, per essere esaustivi non bisogna limitare il peso dei Baroni, che in Puglia e Sicilia soprattutto, giocarono un ruolo, spesso in accordo con la Chiesa di Roma, ed in contrasto con i monarchi stessi. La bramosia di terre dei Baroni andava spesso a sposare la volontà ecclesiastica di sottrarre la principale fonte di ricchezza, alle schiere islamiche; solo infatti andando a modificare la struttura sociale musulmana che si basava su un rapporto di vassallaggio e protezione tra contadino e nobile islamico, si sarebbe riusciti, alla lunga, a promuovere una conversione che economicamente sarebbe convenuta al villico. In questo modo il nobile sarebbe stato depotenziato dal fatto di non avere più un seguito e quindi obbligato ad emigrare altrove, mentre il contadino, avrebbe potuto continuare a praticare la sua attività, ma solo dopo una ‘’ sincera ‘’ conversione. La minoranza musulmana, durante il regno di Federico II, sarebbe quindi stata posta sotto tutela e avrebbe mantenuto un ruolo minoritario nell’ambito culturale e militare. Federico II, primo ed unico re di Sicilia ad entrare nella città santa di Gerusalemme, anche se da scomunicato, era stato investivo dai pregiudizi che lo descrivevano come un agnostico, privo di valori cristiani, accusandolo di essersi convertito all’Islam e di avere fatto della sua terra prediletta, la Sicilia, un’isola di convivenza malsana e innaturale tra le fedi. Ad onor del vero invece, fu proprio il re di Sicilia e di Gerusalemme a manifestare una scarsa inclinazione nel proteggere i musulmani del Sud Italia. L’isola, appartenente alle terre cristiane della sponda nord del Mediterraneo, era ormai pienamente integrata al suo interno; con il per150


dono concesso a Federico, da parte del Papa Gregorio IX, ad Anagni, la riconciliazione tra il padre della Chiesa e il suo figliol prodigo, venne successivamente esaltata come una vittoria della cristianità sui suoi oppositori interni ed esterni. Anche in questo caso, l’attenzione deve essere focalizzata sul duplice comportamento dell’astuto sovrano. Federico II è stato da molti studiosi descritto come mecenate, amante dell’arte, del buon vivere, come colui che pose agli intellettuali arabo-musulmani le famose Questioni siciliane, inviate tra il 1237 ed il 1242 ad esperti in Egitto, Siria, Iraq e Yemen; i suoi quesiti risultarono essere filosofici, imperniati di conoscenze aristotelico-razionaliste e costituiscono tuttora un documento di inestimabile valore. Grazie al suo charme e alla sua capacità diplomatica siglò l’accordo di Giaffa nel 1228-1229, con il quale, in ottemperanza alla sincera amicizia con Malik al Kamil, nipote di Salah ad-Din e Sultano del Cairo, si giunse al ritorno di Gerusalemme all’interno del territorio controllato dai crociati; infine, cercò di elevare il livello culturale del suo regno con la creazione di università, con la presenza di intellettuali arabo-musulmani oltre che di filosofi di elevata levatura come Michele Scoto. Federico II risultava rispettoso del diverso, suo appassionato ricercatore ed amante allo stesso tempo. Per gli stessi studiosi invece egli è il monarca-imperatore, che per uno scopo di realpolitik si comportò in contrasto con la sua sensibilità tanto decantata. In Sicilia, i musulmani, durante il suo regno, diventano una minoranza da controllare, da deportare, e, se necessario, da uccidere. Il suo amore per questa cultura non gli impedì di combattere e di domare militarmente le rivolte dei musulmani, di fare in Sicilia ciò che non fece in Terra Santa e di deportare interi nuclei famigliari araboberberi, a Lucera, in Puglia. Giunse persino ad impiccare l’emiro Ibn Abed, che si era rifugiato, con alcuni suoi seguaci, all’interno dell’isola, ponendo fine, con questo atto, a quel percorso di tolleranza di cui la Sicilia era diventata un simbolo. Il 1242 è anche l’anno, in cui la cancelleria decide di non scrivere più documenti nelle tre lingue: latina, greca ed araba. Era la fine della Sicilia arabo-normanna: di una società che parlava e scriveva tre lingue, molto tollerante in fatto di religione, che non aveva mai partecipato alle crociate in Terrasanta, una società sospesa tra culture diverse…Una società che non aveva abbastanza coesione per resistere alle forze centrifughe, né alle contrapposizione frontali che erano nello spirito dei tempi, una società che non poteva sopravvivere all’integrazione nell’impero tedesco. 19

È necessario infine, per essere più precisi, dare una ulteriore chiave di lettura incentrata sul perché i musulmani, che rimasero in Sicilia, venissero poi deportati 19

Fodale S., op. cit.

151


a Lucera. Come scrive infatti Julie Anne Taylor sulla rivista The Muslim World20, l’emigrazione di 20000 musulmani nella città pugliese sembra essere stata un’altra sottile invenzione di Federico II. Lucera, situata a poca distanza dai territori dello Stato della Chiesa, era stata volutamente trasformata in un’enclave islamica per limitare le ribellioni che i musulmani avrebbero potuto promuovere rimanendo in Sicilia, ma allo stesso tempo, fino alla definitiva conquista angioina, questi abitanti continuarono a combattere e a servire i sovrani svevi. Anche in questo caso il monarca aveva dato dimostrazione di una grande conoscenza della natura umana: il trasferimento di questa numerosa comunità non era stata organizzata nel giro di qualche mese e ancora nel 1239 i musulmani della città pugliese avevano cercato di ritornare in terra di Sicilia; ciò che però alla lunga risultava essere interessante è che le relazioni intercorse con i cristiani, che abitavano da sempre nella comunità di Lucera o poco lontano, risultarono nuovamente incentrati su un reciproco rispetto. La necessità di commerciare con le comunità circostanti veniva certamente visto con approvazione da Federico II e dai suoi successori, mentre risultava disdicevole al Papa, che si trovava nella situazione di avere una numerosa comunità di infedeli, a qualche centinaia di chilometri da Roma. Ancora più interessante e fastidioso risultava essere, per il monarca di Roma, il fatto che 20000 islamici venissero tutelati come dhimmi, cioè protetti, fossero obbligati a pagare la jizia, la tassa per i non cristiani, ma avessero dei vantaggi in ambito religioso: a Lucera vi era infatti una elevata libertà di fede, la possibilità di costruire scuole coraniche, di eleggere e scegliere dei Qudat (giurisperiti) oltre a privilegi militari. Coloro che avrebbero combattuto per la monarchia sveva, non dovevano pagare la jizia, venivano inquadrati in reparti militari guidati da Capitani musulmani e avrebbero potuto trattenere, presso la propria comunità, parte del bottino. Fu probabilmente anche per questi vantaggi che l’intera comunità islamica di Lucera avrebbe combattuto a fianco degli ultimi discendenti svevi, contro l’invasione angioina, fino al proprio completo annientamento; sia infatti sotto Manfredi21 che poco più tardi sotto Corradino22, i musulmani di Lucera, si adoperarono per salvare Taylor J.A., Muslim- Christian relations in Medieval Southern Italy, The Muslim World, vol. 97, April 2007 Manfredi di Hohenstaufen, o Manfredi di Svevia (Venosa, 1232 – Benevento, 26 febbraio 1266), fu re di Sicilia. Figlio dell’imperatore svevo Federico II e di Bianca Lancia. Fu reggente dal 1250 e quindi re di Sicilia dal 1258. Morì durante la Battaglia di Benevento, sconfitto dalle truppe di Carlo I d’Angiò. 22 Corrado V di Svevia, detto Corradino (Landshut, 25 marzo 1252 – Napoli, 29 ottobre 1268), era figlio di Corrado IV re dei Romani e di Elisabetta di Wittelsbach: fu Re di Sicilia (1254-1268) e di Gerusalemme (12541268). L’ultimo degli Hohenstaufen. Sconfitto a Tagliacozzo da Carlo I d’Angiò. Tradito da Giovanni Frangipane, mentre era in fuga, e consegnato a Carlo I d’Angiò venne processato e condannato a morte. Fu decapitato a Campo Moricino (l’attuale Piazza del Mercato di Napoli), il 29 ottobre 1268. Probabilmente Carlo esitò di fronte alla decisione di giustiziare Corradino, evidentemente innocente del crimine di majestas - cioè di infedeltà all’usurpatore francese - che gli veniva assurdamente imputato. Ma ruppe ogni indugio la icastica risposta che a questi dubbi recapitò il Papa, Clemente IV: Mors Corradini, vita Caroli. Vita Corradini, mors Caroli. 20 21

152


una realtà del sud Italia, che se ormai risultava essere molto lontana dai fasti di Ruggero II, aveva ancora mantenuto, in piccola parte, alcuni valori e principi incentrati sul reciproco rispetto religioso. Con l’avvento della dinastia francese, la sorte della comunità di Lucera era ormai segnata ed in pochi anni si sarebbe giunti alla sua completa distruzione. Conclusioni

Se quindi si deve certamente ridimensionare il ruolo avuto dalla Sicilia durante il periodo storico delle crociate, le motivazioni che stanno alla base di questa tesi, possono essere riassunte brevemente, mostrandole per la loro specificità. Si può quindi identificarle a partire da tre fattori:

Demografico. Dopo la conquista normanna dell’isola e con la presenza di una numerosa popolazione islamica, difficilmente si sarebbe potuto organizzare un’impresa che contemplasse la partenza di cavalieri e uomini d’arme cristiani da una terra dove di cristiani vi era bisogno. Il controllo dell’isola, anche sostenendo l’opinione del Malaterra, faticosamente avrebbe potuto mantenersi in mano normanna, se i regnanti fossero subito partiti per il Vicino Oriente, lasciando l’amministrazione e la gestione in altrui mani. Diplomatico. L’acume normanno nella creazione di alleanze matrimoniali importanti e la sensibilità nel comportarsi da sovrani laici, anche se investiti dal Papa romano, denota che senza queste capacità, difficilmente, la pace avrebbe potuto regnare per un così lungo periodo, in terra siciliana. Culturale. La scelta di utilizzare le conoscenze precedenti e l’apparato amministrativo arabo-bizantino non avrebbe portato ad uno stravolgimento delle istituzioni e dell’organizzazione, ma anzi ha cementato una realtà, che altrimenti si sarebbe probabilmente frammentata. La cultura arabo-normanna divenne il collante a vantaggio della persistente volontà di unificazione dei regnanti stessi. Le società interculturali e interreligiose che interessano in particolare il mondo cristiano e quello musulmano hanno sempre avuto alla base le motivazioni sopra esposte. La Siria dei primi califfi Ommayyadi, a forte maggioranza cristiana, istituì una burocrazia molto simile: amministratori e uomini di cultura bizantina ed ebraica, un elevato livello di tolleranza verso gli ahl al-Kitab (popoli del libro) e l’obbligo al reciproco rispetto. La Baghdad dei califfi al-Mansur, al-Mahdi, ed al-Ma’mun mostra nei confronti di ebrei e cristiani nestoriani un comportamento analogo, in cui la cultura non è solo il collante, ma la base per la costruzione del dialogo. 153


Al-Andalus, nel periodo tra Abd al-Rahman I e III, mostra caratteristiche nuovamente affini. Il problema, che quindi si pone, è quello che identifica come tutte queste realtà si siano prima o dopo, allontanate dalla strada che stavano perseguendo; le motivazioni sono anche in questo caso similari e vanno da un naturale e normale processo di assimilazione, che porta alla conversione o all’emigrazione, alla violenza che dall’esterno della società spinge ad avere paura dell’altro, a non riconoscerlo più come proprio interlocutore, a non volerlo come vicino di casa, fino ad arrivare ad isolarlo dalla società civile.

Bibliografia

– Al-Idrisi, Al-Kitab al-Rujari, Flaccovio Editore, Palermo, trad. da U. Rizzitano. – Amari M., Storia dei musulmani in Sicilia, nuova ed. annotata da C. A. Nallino, Catania, Romeo Prampolini, 3 voll. (in 5 tomi), 1933-39. – Fodale S., La Sicilia tra crociata e convivenza, http://www.enec.it/VersoGerusalemme/05SALVATOREFODALE.pdf – Fumagalli M., Federico II. Ragione e fortuna, Laterza, 2004. – Francesco Gabrieli - Umberto Scerrato, Gli Arabi in Italia, Milano, Scheiwiller, 1979. – Grousset R., Histoire des Croisades et du royaume franc de Jerusalem, Paris, Librerie Plon, 1934. – Horst E., Friedrich der Staufer. Eine Biographie., Dussendorf, 1977, trd. Solari G. – Jeremy Johns, Arabic administration in Norman Sicily: The Royal Diwan, CUP, 2002. – Mallette Karla, the Kingdom of Sicily 1100-1250. A literary history, University of Pennsylvania Press, 2005. – Panetta R., I saraceni in Italia, Mursia, 1973. – Taylor J.A., Muslim- Christian relations in Medieval Southern Italy, The Muslim World, vol. 97, April 2007. – Tramontana S., Il Regno di Sicilia. Uomo e Natura dall’XI al XIII secolo, Einaudi, Torino, 1999. – Tramontana S., L’Italia meridionale dai Normanni agli Svevi, all’interno dell’opera, La storia, dall’impero di Carlo Magno al Trecento, vol.V, Grandi Opere Utet, 2004. – Storici Arabi delle Crociate, a cura di Gabrieli F., Einaudi, 2007.

154


Maria Amalia Mastelloni*

Messina nei secoli XI e XII: correnti formali romaniche, bizantine e "arabe"

Premessa

Sono ormai oltre dieci anni che si sono iniziati lo studio e l’edizione dei materiali di periodo normanno del Museo di Messina1 e di molti altri materiali presenti nell’area dello Stretto, legati a vario titolo ai pezzi musealizzati. Ciò nonostante possiamo ribadire che ancor oggi ne “… gli studi …, che hanno delineato lo sviluppo dell'arte di periodo normanno in Sicilia ed hanno esaminato le emergenze legate alla volontà di auto rappresentazione del potere, si è affermata la tendenza a valutare i materiali palermitani, in quanto abbondanti e inseriti negli edifici originari” come unici, e, solo raramente, ad esaminare i materiali di altre aree, quali corollari dei palermitani, o di quanto scoperto nella Sicilia occidentale, al massimo inserendo i reperti di altre zone della Sicilia nelle classi di appartenenza. Non solo questa scelta non sembra metodologicamente corretta, ma si è ritorta contro ed ha giocato a sfavore della comprensione degli stessi materiali occidentali. La difficoltà di ricostruire l’insieme originario è aggravata da più fattori: i materiali dello Stretto risultano decontestualizzati ed isolati, per diverse vicende nei secoli e la divisione amministrativa tra aree calabrese e siciliana e tra le aree della Sicilia medesima, rende complessa la ricostruzione dei nessi. Ciò ha spesso ostacolato il confronto tra esemplari o gruppi di oggetti, separando ciò che era strettamente connesso, invece, nella realtà antica. Infine alcune produzioni tra cui ad esempio le numismatiche, forse perché in periodo normanno spesso aniconiche, sono state esaminate al di fuori o a margine del conteSoprintendente del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma. MASTELLONI 1995, pp. 9-44, a p. 9 : la maggior parte delle analisi privilegiano l’area cefaludense palermitana, ad es. gli studi, peraltro fondamentali, di F. Gandolfo (GANDOLFO 1982, pp.73-89; ID. 1993, pp. 231-53). Paradigmatica è l’attribuzione al mondo palermitano di quasi tutti i materiali esaminati nella splendida raccolta di studi edita a corredo della mostra Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wien, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugno 2004), I, Catalogo, II, Saggi, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006. * 1

155


sto artistico o artigianale, che invece costituisce l'humus da cui nascono i tipi2. Sono così rimaste escluse dalla ricerca tipologie, che, per la loro matrice ufficiale, assumono particolare significato e consentono osservazioni utili ad arricchire il quadro generale. Egualmente la ricerca storica3 non si è interessata dei progressi e di quanto edito nell’ultimo decennio, pur avendo molti materiali, oltre che un valore artistico, un evidente valore di documenti della vita sociale e politica e, quindi, “storico”4. Non si può nascondere che la disomogeneità dei pezzi scultorei, pittorici, musivi, numismatici ed epigrafici, crei a chi li voglia riunire obbiettive difficoltà, per la diversità dei settori d’indagine, ma, d'altro canto, solo un esame globale offre l’ opportunità di tentare una ricostruzione delle formule artistiche iniziali sviluppatesi nell'area dello Stretto, secondo un logico riflesso delle vicende storiche, dalla conquista della Calabria - già nella alla metà dell'XI sec. - nel 1059-60 di Reggio e nel 1061 di Messina, tra i primi centri siciliani dominato e potenziato dai Normanni, centro vitale, se non capitale5, della conquista. È da premettere, con rammarico, che chi scrive non conosce l’arabo e molto superficialmente il mondo orientale, che, invece, ispira profondamente le realizzazioni normanne. Ciò nonostante continuando lo studio6 dei blocchi in marmi bianchi e porfidi inventariati col n. 268, e continuando il riordino – un vero e proprio “scavo” - dei magazzini, si è raccolta una messe di dati nuovi, che possono essere presentati in questa sede, in quanto coerenti con i temi del convegno. Rinviando anche a quanto già definito in altri studi, possiamo affrontare nuove riflessioni, nella speranza di aprire un dibattito costruttivo con Studiosi, che, per esperienza diretta, conoscono i materiali spesso chiamati in causa come archetipi, se non prototipi, di quanto prodotto in Sicilia in età normanna, ma di non facile conoscenza per chi lavora in Sicilia. 2 Sulla prima fase della monetazione di Ruggero I si veda ora il saggio nel Catalogo della mostra Capolavori d’arte della Calabria, cds. 3 Si veda ad es.: CATALIOTO 2007, pp. 63-102, che continua a ripercorrere la via già segnata da TRAMONTANA 1983, pp. 629-640; PISPISA 1993, pp. 147-194; Per Messina cf. SCIBONA 2001, pp. 105 ss., FIORILLA 2001, pp. 110-118 e pp. 121-140. Per il quadro dei rinvenimenti medievali cf BACCI 2002 nn. 3, 8, 10, 11, 12, 21, 22, 23, 26, 29, 30, 32, 33, 43, 46, 48, 79, 84; e ancora SCIBONA 2004, pp. 61-71. Per l’area da Taormina a Tindari e per un bilancio di un ventennio di scavi condotti dalla Soprintendenza BB CC AA cf. Bacci 2004, pp. 13-19; per Lipari: VANARIA 2004, per l’area costiera della Calabria che si affaccia sullo Stretto 4 Ciò si è notato ancora recentemente per la Sicilia arabo-normanna in occasione del convegno “La Sicile à l’époque islamique” tenutosi nel novembre del 2002 a Roma presso l’ École Française, all’indomani dell’inaugurazione della mostra di Lipari (nel 2003 riproposta a Reggio) e nel quale i risultati presentati in mostra ed editi - sia alla Guida che accompagnava la mostra di Lipari, che nei cataloghi della mostra di Reggio(2003) e di Lipari (2004) – con saggi degli stessi relatori, non hanno scalfito il quadro generale, né sono citati. I casi di Taormina, di Messina e di Merì, per i quali sono ricordati solo per i materiali ceramici, senza riferimento alle relazioni di scavo di chi quegli scavi ha condotto, appare grave. 5 Per la negazione del concetto di “capitale” nel mondo medievale BRÜHL 1967, pp. 193 ss.; in favore di un policentrismo si pongono varie osservazioni, quali la mobilità della corte attestata dalla varietà dei siti in cui sono rilasciati i diplomi, nonché il fenomeno delle diversi sedi in cui opera la zecca; lo spostamento della capitale da Mileto a Messina nel 1112 da CHALANDON 1907 , I, p.360. 6 Sicilia/Sizilien”, Catalogo della Mostra allestita presso il Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, Bonn, 25/01 - 25/05 2008.

156


Grati agli Organizzatori per l’invito a presentare questa relazione – che, per i limiti di tempo e di spazio e per le ulteriori possibilità di ricerca insite nei materiali, certamente non potrà essere esaustiva - si è pensato di prendere in esame le iscrizioni monumentali di Ruggero II e il soffitto ligneo decorato della chiesa Cattedrale di Messina, una delle chiese più significative nella parabola ruggeriana. Ricordando i rari materiali attribuibili a produzioni bizantine, arabe o locali, riconducibili a questo periodo – alcuni dei quali esposti nelle mostre di Lipari e Reggio, ai cui cataloghi si rinvia – possiamo notare il silenzio delle fonti storiografiche, che permette solo di considerare Messina nel secolo XI l’ unica roccaforte bizantina nella Sicilia musulmana, dal 1038 investita dall’avventura di Maniace. “Presidio di retroguardia” … più che “testa di ponte” bizantina, con trecento cavalieri e cinquecento fanti, in una realtà di cui le fonti bizantine tacciono7, ma che doveva avere una sua consistenza, se dopo un ventennio le truppe normanne8 possono approdare solo al “clibanum tegularum9” ed ai tre laghetti10 “qui Praroli dicuntur … iuxta Farum” e solo con più attacchi Ruggero riesce nel 1061 ad impossessarsi della città difesa da tutta la popolazione, comprese donne in armi11. Le iscrizioni in arabo

Sembra possibile attribuire al periodo normanno iniziale una colonna con iscrizione segnalata da P. Samperi12 nella chiesa di S. Michele (Fig. 1). La colonna appartiene ad un gruppo di colonne iscritte, in periodo non definito poi inserite in chiese cristiane, tra cui si ricordano a Trapani un esemplare e a Palermo, una colonna da area prossima alla chiesa di S. Francesco - oggi a Palazzo Abatellis13- ed altre alla SS. Trinità o Magione, a S. Maria dell’Ammiraglio o “Martorana”. Colonne simili sono segnalate anche una in Calabria, a Stilo (RC) e Santa Severina. È da sottolineare che, per le siciliane, G. Ventrone Vassallo14 ipotizza una provenienza da moschee. Anche in base alla topografia il sito di S. Michele a Messina non sembra improbabile corriAMARI 1933, II, pp. 453 ss. Al cui sbarco accenna Amato di Montecassino, in Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese, l. V, cap. 13 9 Fornace forse da porre nell’area dell’attuale quartiere “del Ringo”, forse legata alle proprietà che nella zona aveva il S. Salvatore in lingua Phari, in prossimità della rada S. Francesco, area tuttora usata per l’approdo. 10 Forse i Pantani di Ganzirri. 11 GOFFREDO MALATERRA, De Rebus Gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis fratris eius, Libro II capp. I, IV e V;VIII; X. 12 SAMPERI 1644, p. 625, assente in Amari e nelle raccolte di epigrafi arabe. La chiesa di S. Michele è, nel 1580, ceduta ai fiorentini, che la intitolarono al loro patrono, S. Giovanni Battista. Abbattuta a causa dei lavori per la nuova strada è ricostruita nel 1623 G. D’Austria, LA FARINA 1840 (1985), p. 100. 13 inv. 5101, AMARI 1881 (1971), n. XX, pp. 107 –8; DELOGU 1977, pp. 9, 58; SCERRATO, 1979, pp. 282–3 e fig. 179. Il testo dell’iscrizione messinese sembra proponesse la formula tradizionale: Non vi è altro dio che Allah e Maometto è il suo profeta. 14 VENTRONE VASSALLO 1993, p. 184. 7 8

157


spondesse al cuore della città musulmana e bizantina, della quale nelle cartografie pre terremoto del 1783 sembra si possano leggere la tortuosa pianta a mandorla e gli anditi. All’esterno di questa “mandorla” si pone la Cattedrale di S. Maria La Nova, mentre al suo interno si era inserita nel secolo XI S. Nicolò, la prima cattedrale normanna. Passando ai materiali pervenuti e con iscrizioni in arabo sono da ricordare una stele prismatica marmorea e frammentaria (inv. 254) (Fig. 2) e due altre steli (inv. 259 e 260) (Fig. 3), rilavorate come piccole semicolonne. Tutte sono state recentemente riedite da Vincenza Grassi15, che data la prima al secolo XI e gli altri tra fine XI e inizi XII, e propone una lettura dei testi frammentari. La rilavorazione e la rimozione dal sito originario dei due segnacoli di tombe di forma prismatica con iscrizione potrebbero essere messe in relazione o con l’annullamento della memoria di un gruppo o con un intervento di notevole portata, quale la trasformazione d’uso di una zona: nella II metà del secolo XI l’intervento edilizio più noto è legato alla realizzazione delle mura il cui percorso potrebbe aver interessato la necropoli islamica segnalata nel “piano della Mosella”, i cui lembi settentrionali potevano essere invasi dalla fortificazione. Ciò naturalmente presuppone l’attribuzione dei due segnacoli alla realtà locale e non ad importazione da altra zona, anche in considerazione della stretta somiglianza dei due elementi che rende poco probabile un’importazione duplice da aree lontane. La rilavorazione è poi da attribuire alla bottega che nella I metà del XII secolo realizza un certo numero di pezzi con decorazione a nastro e che opera anche per un centro di potere e di cultura di grande importanza - l’ Archimandritato del S.mo Salvatore in lingua Phari -creando opere di matrice bizantino-normanna, per lo più aniconiche, con un gusto venato di iconoclastia. La bottega16 che le produce, strettamente legata ai committenti ecclesiastici ed a personaggi vicini alla corte, reimpiega materiali paleocristiani, secondo il dettato della riforma gregoriana, che apprezza particolarmente quei materiali e inserisce iscrizioni, sia a fini di storicizzazione, sia per il valore decorativo delle iscrizioni stesse. Le rare sculture antropomorfe appaiono in opere di artefici che dimostrano di fondere con le “bizantine” le istanze romaniche settentrionali17, ben comprensibili in una delle sedi preferite da Adelasia18. 15 GRASSI 2004, pp. 56- 57, figg. 71- 73, nel 2008 sono stati esposti nella mostra di Bonn cf. MASTELLONI 2008, p. 302, n. 165, ivi bibl. prec.: 16 MASTELLONI 1995/1, pp.141-177, ivi bibl. prec.; EAD.2004/3, pp. 78-79; Le iscrizioni appaiono sia sulla conca di Gandolfo, sul bordo e sul corpo, che nel sarcofago di Luca, nel quale tutta una parete è percorsa da una iscrizione, in lettere greche, disposta in due lunghe e accuratissime colonne. Per materiali della bottega o ad essi simili oggi a Palermo GANDOLFO 2006, pp. 526; 527. 17 MASTELLONI 2008, pp. 302-304, ivi bibl. prec. 18 HOUBEN 1990, pp. 9-40. Nipote del Marchese Bonifacio del Vasto, lei stessa è l’esponente più nobile del flusso che dalla “longobardia” si dirige verso il Sud e la Sicilia. Emblematico forse dell’attenzione di Adelasia per il mondo romanico è il portale della Cattedrale di Patti, la chiesa scelta come sede della tomba di Adelasia stessa e che - pur con modi forse informati delle espressioni settentrionali e forse riusando le sospensurae delle terme della villa romana – per il decoro scultoreo si pone in linea con le opere di Cefalù e di Maniace.

158


Il gruppo di blocchi iscritti in arabo Inv. 268: aggiornamenti della ricerca considerazioni su archetipi e prototipi

Centrale per il tema proposto è lo studio delle iscrizioni in lettere e lingua arabe, che da tempo si cerca di riattribuire agli edifici messinesi per cui furono create e delle quali si è tentato di ricostruire la funzione decorativa ed insieme “politica”. I blocchi di S. Maria di Castellammare possono essere stati in parte architravi e in parte cornici di porte di collegamento tra la chiesa palatina19 e il Castellammare, e rappresentano una scelta20, progettuale complessa, al pari dei blocchi, che decorano la Cattedrale, in quanto appunto inseriti nella chiesa più rappresentativa della città.

“… l’ enimma che ci presenta A3…” M. Amari21 ha evidenziato il blocco A3= 268/ 19, (Fig. 4), per i problemi di traduzione che pone e per le caratteristiche della grafia, ma non ha rilevato la sua assenza nella foto del portone di S. Maria, né ha discusso dove sia stato rinvenuto. In effetti non sembra da inserire tra i blocchi dalla finestra della Cattedrale, né di S. Maria di Castellammare. Il pezzo rimane quindi isolato, per le difformità di misure (l’altezza è di cm 22 invece di 24-25, lo spessore è di 19 invece di 16,5-17,5), di disegno delle decorazioni e delle lettere, per la differenza delle dimensioni e del tipo di marmo, per come si pongono le decorazioni - non sopra le lettere, ma prima di esse - per essere le lettere tozze e disadorne. In sostanza sembra esprimere un gusto diverso, più legato ad un’epigrafia di tipo occidentale, meno finalizzata al decorativismo rispetto agli altri blocchi. Se l’autopsia può suggerire una minore raffinatezza, la si può ricondurre o ad una maggiore antichità, o ad una diversità di produzione, che potrebbe essere legata ad un inserimento in un terzo edificio, diverso da S. Maria di Castellammare o dalla Cattedrale. Recentemente si è rivelato vano anche il tentativo di considerarlo rinvenuto nella vecchia cattedrale di S. Nicolò22: si è infatti chiarito che l’attribuzione ad essa di altri frammenti iscritti in arabo, diversi da quelli editi da Amari23, è solo frutto di un equivoco. 19 La cappella palatina nella quale Adelasia e Ruggero nel 1110 presiedono un’assemblea di baroni e vescovi “in cappella Messanae” (= CA 13), cf. HOUBEN 1990, p. 28, nota 99. 20 Che anticipa la scelta ripetuta dopo un decennio per il Palazzo dei Normanni e la sua cappella a Palermo 21 AMARI 1881 (1971), pp. 121-136, soprattutto a p. 135. 22 Eretta prima del 1087 è menzionata in un diploma di Ruggero Conte: ADM Fondo Messina perg 1049 SPD, in STARABBA 1888, pp. 2-3; G. Buonfiglio-Costanzo la dice ornata da “molti depositi in aria, dove giacciono l’ossa di molti Arcivescovi, de’ quali non si sa la memoria, per essere le lettere rose e guaste dal tempo”. Per il sarcofago: AGNELLO 1965-6, pp. 197-199 e MASTELLONI 1992, p. 71; EAD. 2004/2 p. 54. 23 Dovuto ad una errata interpretazione di Ãoric´ di un passo di F. M. Hessemer, il quale in realtà si limita a citare nel 1829 la chiesa di Castellammare col titolo di S. Nicola, titolo che ad essa è trasferito dopo la distruzione della vecchia S. Nicola, conseguente il terremoto del 1783; Hessemer 1992, p. 60 nota:“ Nella chiesa di S. Nicola, le pareti del portale anteriore sono decorate con fasce di stile moresco, su cui sono incise alcune righe di una iscrizione araba, guarnite di porfido rosso e verde” . La correzione è stata possibile in seguito all’esame diretto dei disegni presso la Biblioteca della Graphische Sammlung dello Städel di Francoforte sul Meno, e non inseriti nelle cartelle degli “Skizzen und Studien auf der Reise nach Italien …” ma – come segnalato da M. T. Morreale - inediti e archiviati con segnatura

159


Non rimane quindi per ora che ipotizzare che A3 possa venire da un edificio non definito, ricordando un passo di R. Gregorio24 che dice frequenti questi blocchi “in città”, purtroppo senza ulteriori notazioni.

Dei quattro blocchi con tracce di cardini, indicati col n. inv. 268 nn.15, 16, 17 e 18 (= M1-M5) scoperti da chi scrive nei magazzini del Museo e attribuiti a S. Maria di Castellammare, due meritano alcune nuove osservazioni. Ignoti ad Amari, editi da Mazzanti25, che ne ha fornito una traduzione sono stati ridiscussi da Nef26. In seguito ad un ulteriore esame i frammenti n. 15 e 18 sono risultati parti di un solo blocco originario, spezzato27, ma le cui fratture ancora combaciano. (Fig. 5), dimostrando l’originaria unità, attestata anche da un arioso tralcio decorativo, che riunendo i due pezzi, si ricostruisce correttamente. Il testo del pezzo ricostruito sembra ribadisca, come i fabbricati circostanti “impallidiscano” al confronto con l’edificio cui appartiene. Ribadirebbe quindi l’esaltazione e confermerebbe l’ eccezionalità dell’edificio. Il pezzo ricostruito ha poi un valore particolare in quanto mostra un elemento decorativo a doppia foglia28, di circa 28 centimetri, che oltre ad assomigliare ai motivi a foglia che fuoriescono dai grandi vasi raffigurati nel pavimento di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo - a differenza degli altri motivi distribuiti negli altri blocchi - potrebbe essere centrale nella decorazione e indicare il centro di un elemento architettonico di oltre mt. 2,20. Troppo stretto per essere un architrave di un portale di S. Maria di Castellammare ( le cui porte laterali hanno architravi di oltre 2,30 mt con spessore superiore a cm 30) potrebbe essere una spalletta laterale di una porta (nella chiesa alte sino al capitello mt. 2,68) , analogamente a quanto ipotizzato per gli altri blocchi trovato nel portale centrale e per i blocchi della Palatina29 di Palermo. 16252 a-d. Tra essi quello segnalato come pertinente S. Nicola raffigura la facciata di S. Maria di Castellammare o dei Catalani. Ringrazio per la collaborazione alla ricerca la dott.ssa Dott. ssa S. Schütt dello Städel di Francoforte e le dott.sse K. Chrubasik e L. Salice della Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland di Bonn. Su Hessemer si veda da ultimo BARBERA, ROTOLO 2004, pp. 231-238; ed ancora THIEME – BECKER, XVI, p. 596 24 GREGORIO 1790, p. 189 n. XLIV: Jamvero inscriptionum huiusmodi non paucae extant Messanae, eaeque in quibusdam pilis inhaerent ophitae, porphyritae aliorumque id genus lapidum vermiculato opere ornatis. Sed adeo ob temporum injuriam deformatae sunt, ut nullus ex iis sensus erui queat. Il referente messinese di Gregorio è Gaetano Grano, Prefetto della biblioteca Universitaria messinese. 25 MAZZANTI 1997, p. 127. 26 NEF 2006, nn. 13-14. 27 Possiamo pensare che la frattura del blocco originario sia stata conseguente alle sollecitazioni subite a causa dell’inserimento di un cardine e per il distacco dal muro in cui era stato reimpiegati. 28 Simile a molti di quelli attestati sui vari blocchi ma più lungo. 29 Sulla ipotesi che essi siano cornici di porte concordano sia JOHNS 2006/ 2 p. 499 che Ãoric´ 2006, p. 40 che anzi stabilisce l’altezza della cornice in circa mt 2,50. A S. Maria di Castellammare, però, dovremmo pensare a porte di forma diversa, quali le due laterali, forse originarie. In esse i piedritti sono sovrastati da un architrave, da cui si alza un arco: di conseguenza l’ altezza della parte retta delle loro cornici deve essere valutata minore rispetto alla palermitana.

160


Fig. 2 - MIR ME inv. nn.254 - Stele prismatica marmorea e frammentaria.

Fig. 1 - SAMPERI 1644, p. 625: iscrizione della colonna nella chiesa di S. Michele.

Fig. 3 - MIR ME inv. nn. 259 e 260 - Steli rilavorate come piccole semicolonne.

Fig. 4 - MIR ME inv. n. 268/ 19, blocco Amari n.3.

Fig. 5 - MIR ME inv. nn. 268/ 15 e 18.

I due blocchi (Fig. 6) di S. Maria La Nova, Cattedrale30 votata da Ruggero e consacrata, il 22 settembre 1197, da Enrico VI di Svevia e Costanza d’Altavilla, hanno particolare importanza in quanto concretizzano l’uso della lingua araba e di un motivo decorativo di gusto arabo nella Cattedrale. Rinviando a quanto già illustrato nel 2004 e nel 2006 si può ricordare che Gregorio31 li segnala “in quadam fenestra” e già l’ingegnere L. Savoia, scrivendo ad Amari, afferma che “… spor-

30 Per inciso si ricordi che la chiesa è costruita su suolo donato da Galgana moglie di Guglielmo d’Altavilla “Villae Sperlingae Dominatrix”, abitato da “villani” arabi. 31 GREGORIO 1790, p. 189 n. XLIV.

161


gevano dal vivo della muraglia che li sosteneva potendosi ciò dedurre dall’esatta profilazione dei loro spigoli e dal preciso lavoro di tre centimetri circa di spessore, che sarebbe stato inutile quando non fosse stato appariscente”. Osservazione riportata da Amari, che però non ne tiene conto e – erroneamente - attribuisce il complesso al non vicino Palazzo Reale di Ruggero II. Se invece si valorizza il dato che offrono si può considerare che iscrizioni decorative in greco, latino e arabo corressero attorno alle aperture, sul marcapiano del transetto, nell’abside e sugli archi trionfali della chiesa. Di esse rimarrebbe solo una traccia, l’ iscrizione di XIV sec., oggi posta ai lati dell’arco centrale, che potrebbe sostituire altre preesistenti iscrizioni normanno-sveve. In favore di questa lettura come rifacimento si può notare che quanto oggi riinserito nel paramento murario sembra fermarsi irrazionalmente nella muratura, tra l’arcone dell’abside centrale e i due archi delle absidi laterali, mentre saFig. 6 - MIR ME inv. nn. 268/ 13+20 e 14. rebbe normale continuasse fino ai bordi degli archi laterali. Un sistema di cornici iscritte - forse richiamato nella facciata da ricorsi di fasce decorative32 e composto da iscrizioni in latino, greco e arabo. Se tale sistema di cornici era basato sulla simmetria possiamo pensare che almeno le finestre delle altre absidi - se non altre aperture nel transetto e nelle navate - fossero sottolineate anche da scritte in arabo.

Ricapitolando per i blocchi iscritti possiamo proporre alcune considerazioni finali. Un’attenzione particolare meritano le decorazioni che le ornano e che possiamo dividere in tre gruppi: 1 - a motivo “aperto; 2 – a motivo chiuso; 3 - a piccolo motivo vegetale “naturalistico”. Interpretati in altri manufatti di volta in volta

32 Ricche di marmi e pietre sono poi le fasce sulla facciata della Cattedrale, che forse reimpiegano brani di un pavimento in opus sectile imperiale. Il sectile trova evidenti confronti in sectilia di Villa Adriana cf. GUIDOBALDI 1994 , pp. 131-132, tavv. XXXV e LXI. È probabile che si tratti di pezzi del pavimento che otto secoli sarà trovato anche da P. Orsi negli scavi di un edificio romano nella zona antistante la Cattedrale.

162


come bizantini o islamici, i motivi sembrano un elemento diffuso in tutta la scultura romanica e particolarmente caro proprio alla bottega messinese, che in marmi bianchi produce manufatti a “nastro vimineo tripartito”, esportati anche a Palermo33. Se poi si esaminano in quanto iscrizioni si può ricollegarle alla tradizione normanna e romanica, che ad iscrizioni dipinte, musive o scolpite riserva zone chiave nei monumenti e nei materiali: nei secoli XI e XII iscrizioni di consacrazione o di dedica ricorrono su facciate e portali centrali, da Saint Denis34, a Spoleto35, a Roma36, a Montecassino, a Grottaferrata37, a Salerno38 ed Aversa39. In altri casi iscrizioni con diversi fini si pongono in zone significative, dall’arcone centrale, all’abside, all’altare maggiore e spesso esaltano i dedicanti, in sostituzione o accanto ai loro ritratti. A Roma, in tanti casi tra cui S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore e S. Maria in Trastevere40, a Venezia in S. Marco, sino a Salerno41 e Cefalù42. Altre iscrizioni di carattere religioso concorrono a monumentalizzare i portali in area “lombarda”, ad esempio a Cremona43, in opere che sono state attribuite a botteghe che col mondo artistico di Messina44 condividono la adesione alla dottrina teologica riformata. Queste iscrizioni recuperano una tradizione che, non ignota alla Grecia antica, ha grande sviluppo nel mondo romano repubblicano e, soprattutto, imperiale, dove le iscrizioni sono poste su facciate e all’interno di templi, di edifici pubblici, di monumenti onorari ecc. ed indicano l’autorità, la comunità o l’individuo che li dedica, la datazione dell’avvenimento che celebrano, la finalità di quanto realizzato45. 33 GANDOLFO 2006, pp. 526; 527; per i rapporti di questa col mondo “lombardo” MASTELLONI 2008, cds; per la presenza di motivi decorativi analoghi nel soffitto messinese cf. infra e per il ricorrere nel soffitto di Cefalù cf. AURIGEMMA 2004, p. 174-175. 34 FAVREAU 1996, pp. 58-59. 35 BONFIOLI 1999, pp. 1001 – 1009, ivi bibl prec. 36 FAVREAU 1999, pp. 947 ss., ne conta solo a Roma e solo per i tre secoli (XI-XIII) 27, ricorda inoltre le 154 per la Francia (tra VIII e XIII secolo) rinviando all’esame di J. Michaud, (tesi università di Poitiers) e nota come elemti significativi siano la datazione esplicita, dovuta all’esigenza di conservare la memoria per la liturgia annuale che celebra l’evento. Nota altresì come nelle iscrizioni siano descritte le cerimonie di consacrazione, con l’elenco dei prelati presenti. 37 GUILLOU 1996, pp. 119- 120 n. 111 . 38 PACE 2007, pp. 69-90 su entrambi i portali di S. Matteo. 39 PACE 2007, pp. 48-67. 40 Tra altri GANDOLFO 2002, a p.139 (iscrizione a S. Maria Maggiore) e a pp.140-142 iscrizione a S. Maria in Trastevere, e inserimento o sostituzione del ritratto da parte di Innocenzo II 41 Si pensi all’iscrizione inserita nel pavimento che ne ricorda l’Arcivescovo Romualdo, quale committente. Tale iscrizione sembra se non l’unica, tra le poche realizzate in lastrine di porfido rosso. 42 VALENZIANO 1987, p. 44-45. L’iscrizione in questo caso, molto lunga è posta nell’abside. Allo stato attuale non ne risulta proposta alcuna edizione critica. 43 QUINTAVALLE 2006, passim, sottolinea e illustra in più casi la trasposizione del dettato del testi evangelici (Giovanni, 10, 7 e 9). 44 MASTELLONI 2008, pp. 302-303 anche su questi materiali, come si è detto, le iscrizioni hanno un ruolo importante. 45 CALABI LIMENTANI 1991, per le varie classi di iscrizioni: onorarie pp. 221 ss; poste su opere pubbliche pp. 251 ss. sull’”eredità” di Roma, pp. 25-29.

163


Alle romane46 le nostre si possono avvicinare per il supporto che utilizzano47 e per l’intaglio delle lettere nel marmo. Jeremy Johns48 ha recentemente proposto confronti epigrafici nel mondo islamico centrale o con l’area magrebina, ma sembra propendere per il diffondersi della scrittura corsiva collegato alla conoscenza della cancelleria e del diwan fatimita in Sicilia49. Ha poi osservato l’originalità dei testi iscritti messinesi – a suo parere “rozzi … ancor più lontani dai canoni epigrafici” rispetto ai palermitani, già eccentrici – ipotizzando una lavorazione locale. Per Johns sia a Palermo che a Messina “si ha l’impressione che gli artigiani abbiano disperatamente cercato . . . di seguire il proprio modello usando il mezzo poco conosciuto dell’opus sectile”. Premesso che i blocchi messinesi sarebbero anche più antichi dei palermitani ( e forse A3 più antico di tutti) a noi sembra, in verità, ipotizzabile l’esatto contrario: gli artigiani locali erano abituati alla tecnica dell’opus sectile, tanto da riuscire a realizzare con sottili lastre di porfido e serpentino – entrambi marmi di non facile lavorazione, di difficile approvvigionamento e che dovevano essere usati con parsimonia – i delicati decori o le forme arcuate delle lettere, senza spezzare i marmi, o in alcuni casi - forse per carenza di lastre adeguate – impiegando frammenti dai contorni regolarizzati secondo la necessità del disegno. Ma questi artigiani si trovano in difficoltà nel capire il testo e nel riprodurlo secondo canoni alfabetici e calligrafici corretti. L’abilità degli artefici si collega a quella degli artigiani che realizzano l’iscrizione pavimentale di Salerno50, (Fig. 7) e, forse poco dopo, i tralci del pavimento di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo. Probabilmente si tratta degli stessi operatori che nell’area vi hanno realizzato i pavimenti in opus sectile nelle chiese di Ruggero Conte e Ruggero II, a Mileto51 e a Reggio52, (Fig. 8), esempi anteceNelle quali le incisioni sono riempite soprattutto di metallo fuso. I blocchi sembrano realizzati col riuso di un marmo che potrebbe essere stato in antico una membranatura architettonica. 48 JOHNS 2006/1, pp. 498-501 dove Johns continua a indicare come provenienti dal Palazzo Reale tutte le iscrizioni messinesi; per i casi di iscrizioni in corsivo o naskhj/tuluth ha richiamato l’iscrizione dalla Madrasa al N™riya di Mosul in Iraq, che però a suo stesso dire sarebbe da datare al 568/1172, mentre in JOHNS 2006/2, p. 61 ricorda le iscrizioni degli Almoravidi del Magreb con l’iscrizione/fregio alla base di Qubbat al Bar™diyyn a Marrakesh (Marocco). 49 JOHNS 2006/1, pp. 498-501 id 2006/2, pp.61-62. 50 MASTELLONI 1997, pp. 456-458, con note 43-48. 51 MASTELLONI 2003, pp. 56-58 e fig. 7. 52 Per i quali cf. MASTELLONI 1997, pp. 443-471. In quella sede si è chiarito che non esistono confronti per essi in manufatti locali di età bizantina, né in altri manufatti. Ciò però non può portare a condividere la lettura data per il pavimento palermitano di S. Cataldo da DI LIBERTO 1997, pp. 343 - 364, che ha chiamato in causa l’intervento di maestranze islamiche, in quanto non pare vi siano esempi nel mondo arabo (stranamente l’ipotesi che ha trovato eco in JOHNS 2006, pp. 46-67). Sia il pavimento di Reggio che quelli di Salerno e S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo rendono molto incerta la lettura del pavimento di S. Cataldo come episodio eccezionale e da attribuire a manodopera altra dalle normanno-romaniche. 46 47

164


denti di almeno un decennio ai sectilia di Palermo – appunto della Martorana e della Palatina - e precedenti di un ventennio rispetto al pavimento di S. Cataldo53. Ricapitolando possiamo pensare che le iscrizioni si sforzino di fondere la tradizione epigrafica occidentale con la tradizione calligrafica e decorativa, e anche per i contenuti innovino entrambe le tradizioni, sostituendo alla finalità di documentazione, di datazione e quindi di storicizzazione - finalità primaria dei testi occidentali – un obiettivo esornativo di tradizione islamica, che comunque non perde di vista totalmente l’uso occidentale. Ed infatti le iscrizioni, accanto all’alama, ripetono il nome di Ruggero, il dedicante e committente, lo ribadiscono, gli avvicinano il titolo di al – malik, il titolo che adotta prima dell’avvallo di Innocenzo II alla sua consacrazione regale54, il più rispondente a chi non vuole dichiararsi rex, né basileus, ma è signore feudale, con tanti vassalli, e, a sua volta, vassallo del Papa. Le iscrizioni amplificano l’uso dell’arabo peraltro presente negli edifici sacri dell’Italia Meridionale: in Calabria in una (pseudo) iscrizione molto evidente nel pavimento di S. Maria del Patir a Rossano55 (Fig. 9), a Stilo in una colonna, a Terreti56 sul bordo di una lastra, (Fig. 10). In Puglia evidente a Bari in S. Nicola, nel pavimento57 dell’abside, a Taranto, Brindisi e Otranto58. Le iscrizioni precorrono l’inserimento del titolo arabo nella chiesa palermitana di S. Maria dell’Ammiraglio la chiesa di matrice arabo siriaca, come il suo fondatore: Giorgio d’Antiochia. Le iscrizioni dimostrano quindi sia un sereno inserimento della lingua e degli usi arabi in sedi ufficiali e religiose 59, forse collegato anche all’uso dell’arabo da parte di gruppi umani di religione cristiana, e d’altro canto, documentano la capacità di rielaborare più modelli. Infine non sembra si sia evidenziato sinora abbastanza come i testi di Messina possano riflettere un’eco della tradizione letteraria arabo-siciliana, di cui condividono la lingua poetica, la prosodia e il lessico. Basti pensare ai versi di Abd ‘ar Raman Ibn Umar ‘al Butiri60 che esaltano “ i palazzi regali in cui la gloria ha preso albergo … ecco il teatro che risplende su tutte le opere di architettura” o di ‘Ibn Basurun61, che canta la trionfante reggia, che splende di incantevole bellezza: la loro 53 Per la datazione connessa alla figura di Majone di Bari identificato come committente della chiesa cf. DI LIBERTO 1997, pp. 343-364. 54 JOHNS 1986, pp.19 ss. 55 Posta al di sopra dell’iscrizione latina: Blasius Venerbilis abbas / hoc totum iussit fieri; ORSI 1929, rilievo di R. Carta fig. 68 ( il testo arabo non identificato come da Orsi) considerata in pseudo –cufico “foliato” in FONTANA 1993, p. 456. 56 NEF 2004 b, pp. 108 e 109, mentre sulle alte appare il motivo pseudoepigrafico. 57 Per Bari FONTANA 1993, p. 458. 58 FONTANA 1993, P. 456. 59 A prescindere dalla comprensione della massa che non si hanno elementi per considerare inferiore a quanto avviene in altre regioni del mediterraneo. 60 AMARI 1880, p. 434-439 . 61 AMARI 1880.

165


Fig. 7 - Salerno, S. Matteo, Cattedrale - iscrizione pavimentale.

Fig. 8 - Reggio Calabria, Chiese di S. Gregorio e di S. Maria detta degli Ottimati.

Fig. 10 - Reggio Calabria, fraz. Terreti – lastra in stucco.

Fig. 9 - Rossano - Chiesa dell’Abbazia di S. Maria del Patir.

Fig. 11 - MIR ME inv. nn. 268/ 1- 12.

166


automatica attribuzione ad ambiente palermitano potrebbe essere oggi discusso e forse sarebbe possibile pensare ad altri “palazzi reali” in Sicilia62.

Per concludere questa prima parte possiamo ricordare che le iscrizioni messinesi, nel loro insieme, possono far ricostruire i seguenti testi, liberamente adattati dalle traduzioni sinora proposte da A. Nef, S.M. Mazzanti, M. Amari: (Fig. 11), 1 – Con la gloria, la nuova fortuna, l’ascesa degli astri, la felice felicità 2 – i soli (i raggi) della bellezza si alzano dagli orizzonti di questo edificio 3 – sontuoso // O grandi del regno entratevi poiché è il Paradiso… 4 – la residenza del più grande dei signori il signore (al malik) Ruggero il pertinace 5 – la sottomissione agli ordini e la beatitudine all’interno e la felicità irradia 6 – Ammira le bellezze del creato (tramite =) nelle bellezze della costruzione … 7 – i pensier, un castello… (qa¡r) 8 – lo splendore, Ruggero signore (al malik) 9 – elevato … 10 – il castello dei sultani … (qa¡r) 11 – lo splendore, eredi di… 12 – la bellezza se non il Khawarnaq 15 + 18 – gli (altri) palazzi sono diventati più piccoli in confronto … 16 + 17 - ed esso è un Paradiso … regale i grandi 13+20 – grazie a me Ruggero raggiunge (rivaleggia con ) le stelle 14 - una pietra: nessuna delle chiese del Paradiso63 (Tibâ’i) Altri materiali in lingua araba o con caratteri formali riconducibili al mondo arabo, inseriti in S. Maria La Nova.

Possiamo ora notare che l’attribuzione dei due blocchi iscritti innestati nella finestra dell’abside alla Cattedrale apre ulteriori possibilità di lettura e spinge a notare che nella stessa chiesa non vi sono solo questi materiali con grafemi arabi o con caratteri formali riconducibili al mondo arabo: ma altre iscrizioni tracciate nel soffitto ligneo. Ed anzi spinge a verificare l’affermazione che lo stesso soffitto sia un manufatto attribuibile a manodopera specializzata araba o di tradizione islamica. Di questo soffitto, grazie a poche reliquie riscoperte e all’esame di rilievi e della copia, possiamo tentare una rilettura. 62 Ad esempio, ma molti potrebbero essere i casi da esaminare - l’arrivo a Messina nel 1168 di Ibn Qal…qis è riferito incidentalmente da A. De Simone, che pur dichiarando che il testo nulla dice di un suo spostamento trasferisce il racconto dell’autore a Palermo. DE SIMONE 1995, pp. 100-152; JOHNS 2004, pp 409-449.

167


Il soffitto ligneo – Di esso si conservano pochi frammenti in un legno che sembra sia abete rosso dei Nebrodi64. La storia recente ne rivela due distruzioni: l’una nel 1908, per il terremoto, e l’altra per un incendio conseguente un bombardamento65. Non sono noti i danni inferti dal terremoto del 1783, mentre alcune relazioni del Patricolo accennano alle condizioni alla fine del XIX sec. (1886). Ed è proprio in seguito agli interventi conseguenti eventi “minori” che G. Patricolo studia il soffitto66. In questa occasione certamente il Salinas, di cui Patricolo era assiduo collaboratore, dovette venire a conoscenza del soffitto, di cui, però, sembra si occupi solo dopo il 190867, quando informa come “la ricerca del soffitto arabo” abbia dato “scarsi risultati”. Il soffitto nel 1908 sembra danneggiato molto gravemente dalla caduta e dalla conseguente lunga esposizione alla pioggia e – noi possiamo aggiungere - per i metodi dell’ opera di recupero, attuata “segando le fronti dipinte de ... i correnti giganteschi” (di m. 15 di lunghezza per 0,90 di altezza) ” - forse da intendersi come un distacco delle tavole dipinte inchiodate alle travi. In questa occasione sono trasferiti in museo “i resti dei rosoni e delle capriate”. Non si è per ora trovata una relazione relativa al reinserimento di alcuni di questi frammenti68 nel tetto creato nel 1929, mentre la musealizzazione voluta dal Salinas salva dall’incendio del 1943 i frammenti oggi conservati. Per le complesse vicende la lettura di quanto conservato o solo noto del soffitto è ardua e rende ancor meno esaustivo l’ esame che si propone. Partiamo dai rilievi di H. Labrouste69, (Fig. 12), E.-E. Viollet Le Duc70 e di M.-P. Morey71, nonché di G. Patricolo72 (Fig. 13). Tra tutti sono proprio i rilievi del 63 NEF 2006, p. 508 nota che la parola T. ibâ’ i “che rinvia ad un albero del Paradiso e per estensione al Paradiso” è l’unico elemento che consente di ricondurre le iscrizioni ad ambiente cristiano. 64 Secondo Aurigemma il soffitto di Cefalù sarebbe di cedro (Aurigemma 2004, p. 26), ma l’affermazione è forse da riconsiderare alla luce delle analisi condotte sul soffitto della Palatina, che hanno portato a riconoscervi il legno dell’ abete rosso dei Nebrodi, sicuramente di più facile reperimento anche a Cefalù. Interessanti sono le valutazioni sul ruolo della gomma arabica o della resina nella conservazione del manufatto e della pellicola pittorica. 65 Nel giugno del 1943, quando la chiesa volutamente e reiteratamente colpita bruciò per oltre tre giorni 66 Relazione di G. Patricolo “Lavori al soffitto del Duomo di Messina, 5 gennaio 1892 in ACS, DGABA, II vers., II ser., b. 181 cf. OTERI 2002, p. 156 nota 447. 67 SALINAS 1911, pp. 89-92. 68 Sembra anzi contraddittoria la notazione di Salinas che sembra alludere a pochi frustuli e la notizia di un “recupero” nel 1929. 69 SAVORRA 2004, p. fornisce una tavola dell’opera di Labrouste (BNF Cabinet des Estampes) senza ulteriori indicazioni. 70 VIOLLET-LE-DUC 1875, III, pp.32-35, figg. 17 (schizzo assonometrico della struttura del tetto)-18 (schizzo assonometrico del tavolato con motivo a stelle ottagone traforate; per il disegno acquerellato di Viollet Le Duc spesso riprodotto in bibliografia Ãoric´ rinvia alla scheda n. 72 fig. 72, in Le voyage d’Italie. 71 MOREY 1841-1842, Quest’ultimo ben noto a Messina, grazie alla copia presente nella Biblioteca del Museo Forse utilizzata e – come vedremo – ulteriormente semplificata da D. Schmiedt. 72 Rilievi inediti conservati presso l’archivio storico della Soprintendenza BB CC AA di Palermo copertura del transetto – attuata da Patricolo in occasione della rimozione della cupola.

168


primo e dell’ ultimo – non ricordati dalla moderna critica, che ha trattato della carpenteria messinese - i più interessanti, dato il carattere tecnico di entrambi73. Ed anzi per la decorazione possiamo ottenere un ulteriore dato dal rilievo di H. Labrouste74, che offre immagini che non sono mai più riprodotte. Nessuna attenzione è stata riservata dalla critica alla copia di tutto il tetto75, oggi in situ, perfetta riproduzione della carpenteria, evidentemente derivata dall’autopsia di quanto veniva sostituito, ma non fedele riproduzione della decorazione pittorica76. Anch’essa sembra meritevole di attenzione,essendo, comunque una fonte di informazioni da utilizzare con prudenza. La struttura

I tratti della struttura caratteristici del tetto messinese erano: le dimensioni ampie, la presenza, sia nelle campate centrali che nelle navate laterali e nella passerella, di stelle ottagone, di diverse dimensioni e forme, (Fig. 14), la decorazione, che copre tutti gli elementi strutturali. Nella nave centrale il tetto a due spioventi era diviso in quattordici spazi e nei due spioventi in due gruppi di quattordici rettangoli ( per un totale di ventotto) inquadrati da larghi montanti, ognuno dei quali è sostenuto da travi minori - o “arcarecci” – e decorato da quattordici linee di stelle. Inoltre aveva al centro un controsoffitto a tavolato doppio, decorato da doppia fila di stelle, raccordato da tavole inclinate agli spioventi. Nel tavolato centrale le zone tra le stelle ottagone a doppia calotta emisferica., erano superfici a croce, piatte, con decorazioni a fiori di quattro petali, con motivi decorativi a fascia pseudo iscritta. Tra la passerella ed i puntoni a soffitto per chiudere lo spazio di risulta erano inserite due tavole di diverse dimensioni e decorate da grafemi arabeggianti. Tutte le travi ed i travetti, di almeno quattro diverse dimensioni, erano coperte su tre lati di tavole inchiodate e su cui correva il decora pittorico. 73 Sulla cui interessante figura e sui metodi di lavoro si veda DUBBINI 2002, con particolare attenzione al testo di GAIANI 2002, pp. 50-80 in cui però purtroppo nulla è detto circa un soggiorno a Messina. 74 SAVORRA 2004, p.186, fornisce una tavola dell’opera di Labrouste senza ulteriori indicazioni . 75 Ricostruito dal Galletta, realizzata in cemento armato dall’impresa Cocchetti e dipinto da D. Schmiedt (Palermo 16/01/1888 - Messina 04/12/1954) docente di Disegno alla Scuola Tecnica "Tommaso Aloysio Juvara". Ringrazio per alcune informazioni il prof. G. Romano figlio del prof. A. Romano, che ha collaborato con Schmiedt ai lavori di restauro della Cattedrale nell’immediato dopoguerra, per interessamento dell’Arcivescovo A. Pajno. La “copia” moderna, stabilite alcune iconografie le ha riproposte più volte, alternandole “a gruppi”, ma in alcuni casi travisando le iconografie attestate (si veda il caso della zoomachia). 76 si è chiarito che è il frutto di una operazione di recupero delle rare immagini leggibili nei frammenti recuperati o comunque visibili tra le rovine, in quanto musealizzato ed edito da Mauceri, meno sulle immagini tramandate da Morey e ancor meno su quelle di Viollet Le Duc. A queste immagini però, purtroppo, sembra siano stati aggiunte altre iconografie considerate di età manfrediana e tardo-sveva o angioina, inserite in base al convincimento che il tetto fosse di tale periodo. Queste sono state tratte dalle sculture sia di S. Maria Alemanna, che di altre chiese europee (legate all’ordine teutonico come l’Alemanna).

169


V. Ãoric´, basandosi sui disegni di Viollet Le Duc (Dict. III fig 17 e 18) (Fig. 15), nota “… le due falde del tetto suddivise dai puntoni delle capriate in tante campate, striate. . . dagli arcarecci che reggono un doppio tavolato. Lo strato inferiore di questo era traforato a stelle ottagone e questi rincassi risultavano perciò a fondo piatto (Figg. 262-263). L’orditura principale della carpenteria messinese risultava così uguale a quella che attualmente vediamo nella Cattedrale di Cefalù, compreso l’interasse tra le incavallature e la larghezza delle tavole dipinte collocate sul bordo di ciascun campo stellato. La differenza essenziale tra le due carpenterie … si vede nella zona centrale della struttura, dove in quella messinese troviamo disposto longitudinalmente sotto il diedro del colmo un continuo controsoffitto orizzontale largo circa 2 metri. L’intradosso di questo soffitto è pure lavorato con motivo di stelle ottagone; sono disposte in due file, in mezzo alle quali si incastra una fila di croci incassate. Mentre il cavo delle croci risulta a fondo piatto, le stelle appaiono sfondate, prolungate in profondità con delle cavità cupoliformi. …. Essendo il controsoffitto … costruito con questa parte centrale leggermente pensile, a chiusura del vuoto che risultava lateralmente e quale raccordo con la parte coperta della falda era stato posto un tavolato inclinato incastrato leggermente nei fianchi dei puntoni. La decorazione

Caratteri salienti della decorazione sono: il coprire tutte le parti visibili e il disporsi su tre lati delle travi. Essa propone immagini di Gesù, Maria, Arcangeli, Angeli e Santi sia a mezza figura che a figura intera, nonché figure di gruppi sia umani che di animali, con iconografie nuovotestamentarie, bibliche e romaniche. Sulle facce laterali di tutte le travi sembrano esservi medaglioni ovali, intercalati da motivi decorativi rotondi, sulle facce inferiori, direttamente leggibili da terra, elementi decorativi ovali a volte a contorni trilobati. Nei travetti o archerecci che dividono in quattordici strisce di stelle il soffitto delle campate e sulle travi che incorniciano ognuno di questi rettangoli le immagini più semplici sono entro ovali, circondati e intercalati da motivi geometrico – floreali. Su tutto il tetto si stende una decorazione a tralci con foglie trilobate oppure a ventaglio che ricordano molto le forme delle decorazioni in porfido delle iscrizioni in arabo sia della Cattedrale che di S. Maria di Castellammare (inv. 268/1-20). Per il comporsi dei tralci in stelle e motivi circolari possiamo confrontarli ad un precedente che è da considerare espressione di un gusto e non prototipo: il frammento di legno dipinto di Raqqada, Kairouan, Tunisia, (Museo Inv. BS 105 ( L. 135 cm, l. 27,5 cm;) datato al III E = IX d.-C. I frammenti conservati sono uno non inventariato e inedito, nonché i frammenti inventariati: con i nn. 975, 1111 – 1116 (Fig. 16).

170


Sono pertinenti i puntoni i nn. 975, 1111, 1112, 1114, 1116; sono pertinenti il tavolato di raccordo con la passerella i pezzi riuniti nel n. inv. 1115. I frammenti sono dipinti con una pellicola pittorica a tempera molto magra, su uno strato di preparazione sottile, poco coprente, tanto che lascia trasparire le venature e i grossi nodi del legno, in tavole non molto spesse che evidentemente foderavano le travi e ad esse erano fissate da file di chiodi. I disegni preparatori sono realizzati sullo strato sottile e sostanzialmente direttamente sul legno.77 I colori conservati sono: paglierino, bianco (spesso usato per grossi punti distribuiti sulle figure), azzurro petrolio intenso, celeste, oro, rosso e nero. Infine l’oro lumeggia in numerose cornici e in alcuni motivi decorativi. Partendo dal frammento non sottoposto a restauro, (Fig. 17), possiamo osservare che nonostante non sia in uno stato di conservazione buono documenta un’immagine realizzata ad ampie partizioni, con grosse linee che racchiudono zone campite a colore omogeneo e arricchite da grossi punti chiari o scuri, che ne movimentano la superficie e forse ne rendono il manto78. 1 - Il grifo ha grosso becco e un’orecchia felina, la figura è resa con masse robuste e emergenti dal fondo, ma piuttosto lineari. Se ricorda gli esempi di Cefalù79, se ne differenzia, però, per una minore plasticità, Non possiamo confrontare il nostro con le immagini del soffitto della cattedrale di Palermo, ma possiamo rilevare che gli animali in esso letti sembra abbiano manto maculato. Gli altri frammenti sembrano aver subito più interventi di restauro che possono aver lasciato il segno. Essi sono: 2 - Cavaliere al galoppo, inv. 975– Forse da leggere come il S. Giorgio che nella battaglia di Cerami incita alla vittoria i Normanni, e, come i cavalieri Normanni, sostiene uno stendardo con croce e a tre terminazioni, analogo a quello riprodotto nella moneta del Gran Conte e ai numerosissimi dell’arazzo di Bayeux. La figura del santo è ben proporzionata, serenamente forte e appare chiusa in se stessa e piuttosto statica, mentre lo slancio dinamico della cavalcatura ricorda quello di numerosi cavalli romanici, non ultimi quelli dell’ arazzo di Bayeux. L’immagine è inserita entro un medaglione trilobato e il fondo è quasi nero, ma la decorazione floreale laterale, che si dispone ai lati sembra parzialmente cancellata. 3 - Santi guerrieri inv. 1111 - I due santi indossano la corazza del cavaliere bizantino sopra la corta veste e gli stivaletti morbidi, entrambi si appoggiano ad uno scudo, non rotondo come quello bizantino, ma a punta, forse anch’esso di tipo normanno. Le due figure variano solo in ciò lo schema del guerriero stante con scudo e lancia, dell’iconografia bizantina dei santi guerrieri che celebrano le glorie e la 77 Come a Cefalù e diversamente da Palermo, sia Cappella Palatina che Cattedrale per il problema cf. Aurigemma 2004, pp. 168. 78 AURIGEMMA 2004, p. 31, sottolinea l’assenza di alcune iconografie proprie a suo parere del mondo siciliano. 79 AURIGEMMA 2004, p. 118, figg. 88 e 89.

171


storia dell’Impero. Il confronto più immediato è con i santi guerrieri della parete settentrionale dell’abside di Cefalù, da cui si differenzia la valenza dell’immagine, mentre il volto non differisce troppo da alcuni visi dell’artista tipo C1 operante nel settore B, lato ovest del soffitto di Cefalù80, (Fig. 18). 4 - Giona e la balena inv. 1116. La testa fuoriesce dalla grande bocca del grosso pesce dalle scaglie evidenti ed è caratterizzata solo da un grande occhio. La figura si pone entro cornice ovale. 5 – Mostro serpentiforme entro cornice ovale (Fig. 19). 6 – Zoomachia inv. 1112 7 – Grafemi arabi di diverse dimensioni inv. 1115, (Fig. 20).

Motivi epigrafici e pseudoepigrafici – Dai rilievi, dalle fotografie antecedenti il 1908, da quanto conservato e dalla copia attualmente visibile possiamo rilevare che nel soffitto erano tracciate alcune lettere o iscrizioni. Dalla fotografia della passerella centrale, antecedente il 1908, si nota che i bordi delle stelle ottagone erano decorati con elementi grafici, che potevano essere lettere o pseudo lettere. Purtroppo essi non sono chiaramente leggibili e sia Viollet le Duc che Morey li riproducono come elementi floreali, seguiti dai copisti moderni che rendono grossi punti e tralci. Labrouste non segna decorazione e li rende come zone scure. Il Morey rende come decorati con grafemi pseudo epigrafici un’ulteriore fascia a fondo rosso e una calotta, forse ad indicare che nelle stelle si disponesse un motivo grafico. I lunghi tavolati di raccordo della passerella alle falde del soffitto erano realizzati con due serie di tavole di diverse dimensioni decorate con motivi epigrafici. Oggi sono conservati nel pezzo inv. 1115 e riconoscibili in tutti i vari rilievi. Le tavole di dimensioni maggiori erano decorate da alte lettere bianche su fondo azzurro e intervallate da grandi fiori a cinque petali, al cui interno appare un germoglio a tre petali, (Fig. 20). Le tavole di dimensioni minori sembrano percorse da un motivo di lam-alif intrecciate, tra le quali si pone un mezzo fiore a tre foglie. Queste decorazioni grafiche trovano confronti diversi: per i grafemi che circondano le stelle ottagone possiamo ricordare le iscrizioni poste anch’esse nei bordi delle stelle a otto lati della Palatina. Ricordando le altre preudo iscrizioni o iscrizioni inserite in chiese e vergate in arabo - già ricordate – osserviamo che le decorazioni di dimensioni maggiori non trovano nei soffitti siciliani confronti, ma possono essere avvicinate: al motivo tracciato nel pavimento di S. Maria del Patir a Rossano81.

AURIGEMMA 2004, p. 85 n. 52. Posta al di sopra dell’iscrizione latina Blasius Venerbilis abbas / hoc totum iussit fieri; Orsi 1929, rilievo di R. Carta fig. 68 ( il testo arabo non è identificato da Orsi) considerata in pseudo –cufico “foliato” in FONTANA 1993, p. 456. 80 81

172


Fig. 12 - SAVORRA 2004, il rilievo di H. Labrouste.

Fig. 15 - Viollet Le Duc (Dict. III fig. 18).

Fig. 13 - G. Patricolo: rilievo disegno a matita. Fig. 16 - MIR ME - Frammenti conservati - inv. nn. 975, 1111 – 1116.

Fig. 17 - MIR ME - Frammento non sottoposto a restauro.

Fig. 14 - MIR ME - Archivio fotografico, soffitto prima del 1908, parte centrale.

Fig. 18 - Cefalù – Cattedrale, da AURIGEMMA 2004, p. 85 fig. n. 52.

173


Le altre lettere tracciate nel tavolato più stretto ricordano il motivo del pavimento82 dell’abside di S. Nicola a Bari e, nell’area dello Stretto, le lettere di una lastra di Terreti83, l’unica con grafemi arabi e non con pseudografemi. Tutti i motivi calligrafici infine hanno le terminazioni che assomigliano molto alle terminazioni dei motivi decorativi in porfido dei frammenti marmorei 268, come ad essi assomigliano le terminazioni dei motivi a tralcio vimineo di tutto il soffitto che intrecciandosi, formano i cerchi decorativi tra le figure.

Iconografie non conservate – Il rilievo di Labrouste propone una figura stante tra due inginocchiate ai suoi piedi, immagine che non sembra nota al Mauceri84, che riproduce a figg. 7-8 un Cristo e un angelo delle travi maggiori e un frammento di travetto o arcareccio, a fig. 1, persi. Queste due raffigurazioni nel Morey risultano abbinate85 sulla stessa trave. Al contrario nella copia postbellica l’angelo insieme ad altri tre con attributi differenti è abbinato ad un’ immagine della Vergine col bambino, mentre il Cristo è abbinato a figure di santi, peraltro mai riprodotti in rilievi ottocenteschi86. Morey riproduce nelle facce rivolte a terra di travi e puntoni un numero notevole di figure, (Fig. 21): nelle travi maggiori sei santi, nei puntoni montanti quattro figure alate, intervallate da medaglioni con animali fantastici, nei travetti o arcarecci motivi sia floreali che di medaglioni con animali alternati a motivi floreali. I caratteri della sua riproduzione sono fortemente ottocenteschi, tanto da far porre il quesito se la parte riprodotta fosse stata sottoposta a pesante restauro o se il Morey interpreti immagini poco nitide. I confronti - Tra gli elementi strutturali che differenziano i soffitti siciliani da esempi arabi – peraltro di non semplice identificazione, ma archetipo dei quali sembra quello della grande moschea di Cordova – il più determinante è lo spazio che coprono: nel mondo arabo le membranature architettoniche che li sostengono si pongono al di sopra di spazi circolari, mentre in Sicilia lo spazio che coprono è

FONTANA 1993 p. 458 e CARRINO 2001. NEF 2004 b, pp. 108 e 109. 84 I soli che abbiano esaminato i materiali restituiti e riinseriti nel tetto, durante la ricostruzione conclusa nel 1929 e che nel 1943 sono andati bruciati. 85 Nella copia moderna le immagini di Cristo e degli angeli non sono considerate pertinenti la stessa trave, ma su due travi diverse. 86 Il Cristo trova immediati riferimenti per l’atteggiare della mano benedicente nel Pantocreator dell’abside della Palatina e per alcuni aspetti dell’abbigliamento nel Pantocreator dell’abside di Cefalù, nonché nel Cristo dell’abside centrale nella stessa Cattedrale di Messina. Anche in questo caso il problema è stabilire quanto nella riproduzione oggi leggibile sia di recupero e quanto di integrazione Anche l’angelo raffigurato da Mauceri per quanto leggibile trova confronti negli angeli riprodotti nella decorazione che circonda l’arcone centrale e nei due arcangeli posti accanto al Cristo nell’ abside centrale messinese. 82 83

174


lineare e di dimensioni più vaste: quindi, le parti che nei soffitti sono incavate e circolari non hanno funzione statica, ma sono frutto di una scelta estetica, che forse ricorda archetipi più antichi e di altra area. È la stessa condizione che si rileva per i mosaici dove le maestranze “bizantine” si trovano a lavorare in spazi e su superfici estranee alle tradizioni orientali87. Iniziando dal soffitto della Palatina (la cui realizzazione si presume da porre tra il 1132 e il 1149) possiamo notare che il messinese ne differisce sostanzialmente, per le dimensioni, per la struttura e per la decorazione, sia in senso della resa formale, che per le iconografie e la scelta dei soggetti. Anche la parte più simile della struttura, il controsoffitto centrale con le stelle ottagone incavate, si diversifica perché negli spazi a croce il messinese sostituisce ai maqarnas superfici piatte, prive di alveoli. Senza voler ripercorrere la sterminata bibliografia e limitandoci alle opere più recenti, per il palatino possiamo ricordare posizioni spesso contrapposte o che partendo da analoghi elementi raggiungono posizioni diverse. Ad esempio Grube e Johns88 hanno ancora recentemente ribadito che i numerosi motivi propri dell’arte Fatimita – arricchiti da recenti scoperte - nel tetto sono attestati e possono essere attribuiti all’attività di pittori e carpentieri musulmani giunti dall’Egitto. D’altro canto se l’inquadramento di Monneret de Villard e U Scerrato ribadisce il carattere arabo, si deve al fondamentale apporto di C'ur¤ic89, del 1987, arricchito da varie osservazioni di Aurigemma90, se si può oggi rilevare come il soffitto Palatino possa essere ricondotto ad un gruppo di soffitti di matrice culturale araba, diffusi sino a Bisanzio, dove un soffitto è commissionato e realizzato per Giovanni Commeno, dato ampiamente discusso da Aurigemma91, con l’ aggiunta di altri documenti e fonti. Da tutto ciò sembra si possa concludere che i Commeni, si rivolgano a manodopera migrante o stanziale di matrice forse turca (dalla definizione di “… persoes …” fornita per le maestranze che realizzano il soffitto costantinopolitano). Tornando alla Palatina altri autori si sono staccati dal coro ed hanno identificato la Siria92 come possibile area di influenza per apporti formali. Ma come si è detto le letture del tetto palatino possono contribuire scarsamente alla comprensione del soffitto messinese. Diverso invece sembra l’apporto del confronto col tetto di Cefalù93: il confronto è molto significativo per quanto ANDALORO 1993, p.66 Si veda ora GRUBE –JOHNS 2005, DIMAND 1951, pp. 263-266; ed ancora TRONZO 1997 DIMAND 1951, pp. 263-266; ed ancora TRONZO 1997 89 C'UR¤IC 1987, pp. 125-144, che richiama un brano citato da Mango 1972, p.229 90 AURIGEMMA 2004, p. 48-9 91 Pp. 47-49 ivi discussion e bibl. prec. 92 CHRUIKSHANK DODD 1999, pp. 823 – 831, ivi bibl prec. 93 ÃORIC´ p. 336 per Cefalù precisa che l’impianto strutturale è : “Articolato in un complesso gioco di densi e continui rinvii in profondità, per la sua raffinata figuratività , il tetto … carico di reminiscenze basilicali, ma con fermenti islamici a suo parere il tetto parente di quello della Palatina; … era già proteso verso le ricerche tecniche del gotico europeo. 87 88

175


concerne le carpenterie, tanto più se si pensa che la mancanza a Cefalù del controsoffitto centrale può essere dovuta ad un mero e parziale rifacimento94. Se però il confronto strutturale è utile e significativo, altrettanto non lo è il confronto per la decorazione pittorica, il cui esame è molto agevole grazie alla splendida analisi della decorazione cefaludense, offerta da M. G. Aurigemma, sulla scia degli studi di Ãoric´95 e Viscuso, di U. Scerrato e M. Andaloro96. Rinviando per brevità all’esame di Aurigemma possiamo sintetizzare che la decorazione cefaludese sembra conservare molti aspetti della palatina, sia formali che ideologic e si differenzia totalmente dalla decorazione messinese. Continuando la ricerca tra i tetti siciliani possiamo notare che vago può essere il confronto col soffitto di Monreale97, dove le stelle nella zona centrale sono su una sola linea, le immagini scompaiono, sostituite da motivi decorativi vegetali, almeno secondo la riproduzione fatta dopo l’incendio del 1811. Più interessante è il confronto con la carpenteria della Cattedrale di Palermo, creata per volere dell’arcivescovo Gualtieri e della cui struttura fornisce una sintetica descrizione Amato98: “ Dal tetto fuoriescono fiori di legno dorato a guisa di piramidetta capovolta … il tetto della nave centrale, a forma di carena di nave rovesciata è sostenuto da diciannove travi lunghe palmi sessanta e spesse palmi nove coperte tutto intorno da tavole lisce e munite all’estremità di trentotto mensole…” Tali tavole che coprono le travi sono decorate da pitture, ancora secondo Amato99: “è ornato dai splendidi ed eleganti intagli, da una meravigliosa varietà di pitture, dal colore di zaffiro e dallo splendore irradiante dell’ oro … nei cassettoni, nelle travi e nelle mensole in campo oro, immagini di santi interi o fino all’ombelico … accompagnate dai rispettivi nomi interi o abbreviati in caratteri gotici …” . Sul problema è tornata M. Andaloro100 alle cui considerazioni si rinvia. Ultimo confronto, già istituito da F. Campagna Cicala, è col tetto della cattedrale di Siracusa101. 94 Colpisce che nessuno dei commentatori che si sono soffermati sul soffitto di Cefalù abbia ipotizzato una semplice sostituzione della passerella centrale con il manufatto ventimigliano. In caso tale sostituzione sia avvenuta potremmo presupporre che l’originale assomigliasse alla passerella messinese. Cefalù offre quindi anche un dato sulla “manutenzione” dei soffitti più antichi in XIII secolo. 95 ÃORIC´ 1989, V. B - Le pitture islamiche sul tetto della navata centrale, pp. 313-319 È interessante comunque la perplessità espressa da Ãoric´ circa la provenienza degli artefici, dall’Egitto Fatimite o dalla Mesopotamia settentrionale o dalla Siria oppure dall’Ifriqya. Ed è molto interessante il dubbio che alla fine solleva, se non siano artisti musulmani di Sicilia. 96 ANDALORO 1993, pp. 55-69 e ANDALORO 1995, pp.487-488 che considera il soffitto uno dei rari documenti della pittura islamica in Sicilia. 97 GRAVINA 1859-1870. 98 BELLAFIORE 1976, p. 202, ANDALORO 1993, pp. 62-65. 99 BELLAFIORE 1976, p. 202. 100 ANDALORO 1993, pp. 55-66, a pp. 62-65. 101 CICALA CAMPAGNA 1995, p. 492.

176


Oltre che in Sicilia soffitti lignei dovevano essere in Calabria102. A Mileto forse ve ne era uno dei più antichi dell’area, nella chiesa abbaziale della SS. Trinità: che fosse ligneo e decorato di pitture è detto da un erudito seicentesco103 e documentato da una stampa del ‘700 in cui si leggono, ormai sconvolte dal terremoto, grosse travi con tracce di decorazioni. Per altri siti mancano i dati, ma da fonti storiografiche sappiamo della tradizione di lavorazione del legno per le carpenterie calabresi104. Possiamo istituire alcuni legami e assonanze formali con la tradizione pittorica siriaca e specificatamente con le immagini delle pitture del monastero di mar Musa al Habashi a Nebek, nei dintorni di Damasco, (Fig. 22), opere che peraltro recentemente sono state ricordate per legami con immagini del soffitto della Palatina105, ribadendo così l’influsso siriaco già colto nei mosaici della Martorana e lì messo in relazione con l’origine siriaca del committente, Giorgio d’Antiochia. Ma sono i confronti con materiali da aree più vicine i più produttivi: possiamo ricordare opere di fine XI e XII secolo create sia in Calabria106, quali le immagine pittoriche di Scalea e di Stilo (Cattolica, Fig. 23), che in Sicilia, dal ciclo pittorico di S. Marco d’Alunzio, ai notissimi mosaici di Cefalù e di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo, sino alla più matura Odigitria107 di Santa Maria de Latinis di Palermo, i cui modi sembrano richiamati anche in opere della Sicilia araba quali il Liber de locis stellarum108 di Guglielmo II. Tante di queste realizzazioni possono essere avvicinate alle pitture lignee messinesi per impianto generale, per resa delle masse e per alcune “chiavi” espressive, quali le lumeggiature, le linee di demarcazione delle diverse parti, la resa delle figure e dei particolari, i lunghi contorni degli occhi, i volti ovali dai tratti evidenti e a linee continue, il rendimento plastico delle masse sottolineato e contrapposto a fasci di pieghe109. 102 Altri tetti forse dovevano essere stati realizzati, ma non vi sono tracce di notizie dei soffitti: a Reggio nella Cattedrale si parla di tetto con volte a botte, mentre per S. Gregorioil rifacimento di XVII secolo non consente ipotesi; privi di indicazioni siamo sia per il gruppo di chiese legate alla grande abazia di S. Eufemia, tra cui Lipari, fondata dall’abate Ambrogio; Nessun dato abbiamo della chiesa di S. Maria e dei XII Apostoli, chiesa-madre dei canonici agostiniani di Cefalù, che ospiterà Giovanna, vedova di Guglielmo II e sorella di Enrico Cuor di Leone. 103 CALCAGNI 1699: “templum non lapideo fornice, sed tabulis arte mira connexis, pictura ornatis tectum erat” nella stampa è fantasiosamente raffigurato anche un enorme sarcofago attribuito a Ruggero Gran Conte. 104 BURGARELLA 1993, p. 84. 105 CHRUIKSHANK DODD 1999, pp. 823 – 831, ivi bibl prec. 106 Inutile ricordare come gli scambi tra Calabria e Sicilia siano continui e come la cultura dei basiliani sia un vettore privilegiato. È stato già notato come alla Sicilia sembrino guardare ad esempio gli affreschi di S. Demetrio Corone tra fine XII e inizi XIII Cf. DI DARIO GUIDA 1999, a pp. 206-7 , anche se non ignari di episodi dell’area balcanica. Un quadro delle letture e di quanto rinvenuto nella Calabria centro meridionale in LEONE 2003, pp. 143-165. 107 ANDALORO 1995, pp. 442-447 recentemente attribuita al periodo di Guglielmo (1171 ca.). 108 Paris, Bibliothèque de l’Arsenal, ms. 1036, f. 36 r in OROFINO - PACE 1994, pp. 263-271, p. 266 (G.O.). 109 Nell’esame naturalmente vanno valutate anche le immagini perse del Cristo benedicente e dell’Arcangelo.

177


In questo quadro di scambi e di influenze però manca un importante elemento di raffronto: è necessario infatti ricordare che forse esisteva una produzione messinese specifica, di cui negli ultimi anni sono riaffiorati rari frustoli negli affreschi delle chiese di S. Tommaso e di S. Giacomo. A questi episodi poco noti si dovrebbe poi sommare la tradizione artistica legata alla realizzazione della decorazione musiva di XII sec. negli arconi e nei catini delle absidi della stessa cattedrale di Messina, di cui, quanto sopravvissuto sino al 1908 e al 1943, sembra fosse solo un’eco, alterata da pesanti rimaneggiamenti. Il tetto messinese può quindi conservare e trasmettere rare tracce di una scuola autonoma, identificabile col linguaggio delle maestranze varie, ma che trovavano una unità nel lavoro comune e creavano la decorazione della Cattedrale. Concludendo quindi i confronti tra il messinese ed i soffitti siciliani ci hanno offerto alcune sorprese: se dal punto strutturale forse si può ricostruire un solo schema per Messina, Cefalù, Palermo Cattedrale e, forse, Monreale, per le decorazioni pittoriche si rilevano diversità notevoli. Mentre la decorazione cefaludense è per temi ( dal convivio, alla musica, alla caccia) e per iconografie dichiaratamente collegata al mondo islamico, quella messinese richiama decorazioni di gusto islamico solo nei motivi intervallati alle figure, e negli animali entro medaglioni ovali a fondo azzurroverde.

La datazione - Nel caso della Palatina il soffitto è considerato realizzato in età ruggeriana. Per Cefalù la cronologia proposta da Gelfer-Jorgensen, che attribuiva la decorazione al decennio tra il 1131 e il 1145, con lievi variazioni sostanzialmente è accettata da più autori tra cui Scerrato110 nel 1995 e M. Andaloro111 e sostanzialmente ribadita da M. G. Aurigemma112, mentre è accantonata l’ipotesi di Ãoric´113 di una creazione delle due carpenterie - di Messina e Cefalù - negli anni 1170-1180. Per Messina il Salinas propende per l’ età normanna, mentre Mauceri114 nel 1928 pensa ad una realizzazione in due diversi periodi: il normanno per le analogie con Cefalù e il tardo svevo per alcuni elementi formali che gli sembrano rilevabili e la valutazione di una fonte storica, già menzionata da La Corte Cailler115: l’esistenza e l’ipervalutazione di questa fonte ha influenzato anche altri autori che, pur mettendone in risalto correttamente la matrice siriaco egizia116, senza valutare

SCERRATO 1979, pp. 271-571 a p. 359 e 394. Per la rarità di opere pittoriche di XII sec. e la conseguente difficoltà di inquadramento e l’oscillazione dei giudizi esemplare è il caso esaminato da ANDALORO 1995, pp.442-447. 112 AURIGEMMA 2004, p. 49. 113 Ãoric´ pur conoscendo e citando la cronologia di GELFER-JORGENSEN 1978, pp. 107-168 a p. 160; Ead. 1986, propone il decennio 1170-1180. 114 MAUCERI 1928, pp. 481-489; BOLOGNA 2002, p. 25, 67; BECK 1975, pp. 115-116. 115 Non si è riusciti a trovare, tra quanto edito, il brano del 1905 di LA CORTE CAILLER, nonostante le numerose citazioni da parte di molti studiosi messinesi 116 CICALA CAMPAGNA 1995, pp. 488-492: pensa ad un programma decorativo di età normanna conservato dall’intervento svevo; AURIGEMMA 2004, p. 170 e p. 186. 110 111

178


il parallelo strutturale con Cefalù, né i recenti rinvenimenti siriaci si sono espressi per una datazione ad età manfrediana. Dobbiamo quindi aprire una breve parentesi ed osservare che in effetti Bartolomeo di Neocastro117 nella Historia Sicula (c. LIII) ricorda la presenza di “aquilas et maiestatem” di Manfredi “ quas summis picturis preciosi tecti velamina demonstrabant …” , e che Pietro III d’Aragona osservando questi elementi nei velamina del tetto dipinto della Cattedrale, viene informato che si tratta di aquile pertinenti lo stemma del suocero, Manfredi. Gli astanti anzi gli narrano che esse sono state poste dopo un restauro conseguente l’ incendio, che ha distrutto l’edificio e ha “annichilito” la tomba di Corrado IV118, posta “dietro l’altare”. Subito possiamo obiettare che le aquile in quanto stemmi svevi, potrebbero essere state non necessariamente poste da Manfredi, ma già da Enrico VI, alla cui presenza a Messina e volontà si deve la prima consacrazione della Cattedrale. Ma ciò che sembra necessario cogliere nel dettato della fonte è una esaltazione dell’operato manfrediano, che può essere una “captatio benevolentiae” nei confronti di Pietro III d’Aragona, da parte di una città che sia con lo svevo che con lo stesso Pietro ha avuto un rapporto contrastato, e solo alla fine della guerra da lui mossa agli Angiò, si è allineata, tentando comunque sino alla fine di creare una federazione di comuni autonomi, sottoposta all’autorità papale, per ostilità alla soluzione monarchica. Ed ancor peggio, che gli astanti ben sanno di essere nella chiesa in cui erano stati arcivescovi Tommaso d’Agni di Lentini e Bartolomeo Pignatelli119: due inveterati e fortissimi nemici di Manfredi, quanto sostenitori di Carlo d’Angiò, e che la tradizione e la critica identificano alternativamente con l’efferato “pastor di Cosenza” dantesco120, artefice del disseppellimento e della distruzione del cadavere di Manfredi. La chiesa era stata sede quindi dei peggiori antagonisti del potere svevo e il cui Arcivescovo forse non era estraneo al progetto di federazione filopapale. Se quindi la fonte sembra poco serena, molto sospetto deve essere considerato il dettato che ricostruisce un intervento manfrediano e, di conseguenza, molto incerta la valenza del brano al fine di stabilire una datazione di concreti lavori di

BARTHOLOMAEUS DE NEOCASTRO, Historia sicula [aa. 1250-1293], (ed 1922) p. 42. La notizia che la tomba di Corrado IV sia distrutta da un incendio a tal punto da non consentire la minima conservazione della sepoltura è strana e suggerisce altre possibili ricostruzioni: o Manfredi ha deliberatamente rimosso in occasione dei lavori post incendio la tomba di Corrado IV o la stessa è stata eliminata da uno dei succitati Arcivescovi, ostili a Corrado, quanto a Manfredi. 119 PIRRI 1733, p.406; AMICI 1996, pp. 483-492. 120 Dante Alighieri, Divina Commedia, Purg. c. III, v. 103-145, ai vv. 124-132. "Se ‘l pastor di Cosenza, che alla caccia di me fu messo per Clemente allora, avesse in Dio ben letta questa faccia, l’ossa del corpo mio sarieno ancora in co’ del ponte presso a Benevento, sotto la guardia della grave mora. Or le bagna la pioggia e move il vento di fuor dal regno, quasi lungo ‘l Verde, dov’ei le trasmutò a lume spento.” 117 118

179


restauro del tetto. Bartolomeo di Neocastro esalta un presunto intervento manfrediano, allo scopo di ricordare il ruolo svolto da Manfredi a Messina e non è difficile che in un simile frangente ricordi come radicali, lavori in realtà o mai effettuati o molto meno significativi. In favore di questo ridimensionamento della portata del dettato si pone l’affermazione contraria contenuta in lettera di Clemente IV, il quale nell’agosto del 1266 – essendo arcivescovo il Pignatelli121 - scrive chiedendo contributi per la riparazione della chiesa devastata da un incendio122 “… Cum igitur ad reparationem Cathedralis Ecclesiea Messanensis, miserabili, prout nostis, incendio devastatae, subsidium nostrum et aliorum fidelium sit quamplurimum opportunum, universitatem vestram rogamus … ad repara(ti)nem ipsius…”. Una simile richiesta non sembra presupponga lavori fondamentali effettuati da poco tempo. Infine se si ricorda che il Salinas ancora nel 1911 vede sovrapposti all’aquila sveva i fiordalisi angioini, (Fig. 24) si potrà anzi concludere che un restauro successivo un incendio123 può essere stato realizzato in più momenti sino ad età angioina. Da ciò potrebbe derivare una datazione ancora più tarda solo di alcune figure o – alla luce dei caratteri formali delle immagini - una negazione di sostanziali interventi nella decorazione pittorica. Se ci si libera quindi dal condizionamento della presunta fonte e alla luce del dato tecnico dell’esame della carpenteria, nonché osservando i caratteri formali delle pitture, si può concludere che il soffitto può essere datato come il cefaludense verso la metà del XII secolo, molto probabilmente prima della morte di Ruggero II, forse entro il 1140, momento in cui Ruggero II è fortemente interessato a Messina. Ed ancora - alla luce di quanto suggeriscono le iscrizioni edili in arabo - verso il 11301140, quando ancora Ruggero, col titolo di al-malik, fa realizzare la Cattedrale. Siamo così giunti a poter valutare alla luce delle nuove letture e dei confronti istituiti la possibilità di un influsso arabo nel soffitto messinese. Ma più che risposte certe possiamo proporre un insieme di considerazioni e spunti: la stretta relazione strutturale col soffitto di Cefalù potrebbe orientare per maestranze specializzate in carpenterie, attive in chiese sorte tra 1130/40, eredi di altre maestranze attive in Calabria e autrici del soffitto perso della cattedrale di Mileto (c.a 1080) e che a loro volta trasmettono alla generazione successiva le conoscenze tecniche necessarie per realizzare i soffitto nelle Cattedrali di Palermo e di Monreale. Al quale indirizza nello stesso agosto una bolla cf. STARABBA 1888, I, II, p. 94, n. LXXI. STARABBA 1888, I, II, doc. LXX, pp. 93-94 lettera indirizzata ai suffraganei di Messina, all’Archimandrita del SS. mo Salvatore e ad altri prelati messinesi. 123 La cui datazione al funerale di Corrado IV non convince. Che poi la tomba scompaia per l’incendio è inverosimile, in quanto per quanto bruciata una tomba può essere ricostruita, se l’intento è di salvaguardarla, mentre in questo caso sia con Manfredi che ancor più con Carlo d’Angiò e i suoi arcivescovi non sembra credibile un interesse per la sepoltura. Per Corrado WEINFURTER 2003, pp. 315 ss. 121 122

180


Diverso invece è il problema della trasmissione della tradizione pittorica, che nel soffitto di Messina è molto differente da quella di Cefalù e, tanto più, da quella della Palatina di Palermo. Se la possiamo pensare in alcune parti per schemi iconografici simile a quella che decorava il tetto della Cattedrale palermitana, forse potremmo pensare con Mauceri a due fasi, ma porre la prima in età ruggeriana e la seconda in età tardonormanna o sveva, non lontana dall’anno di consacrazione da parte di Enrico e Costanza d’Altavilla. È ora da ricordare che nel 1169 vi è un rovinosissimo terremoto che distrugge Messina e quindi non è improbabile danneggi il tetto della Cattedrale, la cui decorazione pittorica, romanico-siciliana, già creata e partecipe delle esperienze ruggeriane pervenuteci soprattutto grazie ai mosaici cefaludensi e palermitani, potrebbe essere sottoposta ad un restauro. Tutto ciò non può orientare inequivocabilmente per manodopera islamica, ma potrebbe far pensare a manodopera specializzata per la carpenteria di soffitti lignei, itinerante, che raccoglie esperienze comuni nel mediterraneo. La decorazione pittorica potrebbe essere dovuta a maestranze impegnate nella decorazione di tutto l’edificio, sia dei mosaici che del del soffitto. Torniamo quindi al punto di partenza della nostra indagine: caratteri arabi usati sono per decorare le finestre (e forse altre zone) ed hanno elementi decorativi a palmette e tralci, che ritornano quasi analoghi in tralci del soffitto, dove alle lettere in naskhj si sostituiscono lettere in cufico e pseudo cufico. Vedere in esse solo elementi decorativi, come avviene in tante chiese dell’Italia Meridionale, sembra riduttivo, proprio per la presenza delle iscrizioni-cornici in marmo, porfido e serpentino, di alto prestigio, con richiami alla tradizione imperiale e allo sfarzo di Bisanzio, forse più che dei Fatimiti o degli Ziriti. Ma non sembra cogliere nel vero nemmeno una lettura che esalti troppo la loro presenza e con essa sostenga una particolare attenzione per i gruppi islamici della zona, nella loro matrice musulmana. Si può pensare che le iscrizioni attestino un’attenzione rivolta ad arabi e gruppi che si esprimono in arabo, ma provenienti dal vicino oriente, sudditi per nascita dell’impero di Bisanzio, gruppi di siciliani eredi del precedente dominio e nuovi arrivati dall’Egitto e dal Magreb, attratti, come i poeti, dal benessere e dal clima dell’età ruggeriana. Ringrazio per l’invito al Convegno il professor Antonino Pillitteri e per le cortesi attenzioni tutti i Suoi Collaboratori ed in particolare la dottoressa M. G. Sciortino. L’edizione di questo lavoro è successiva all’assunzione dell’incarico di Soprintendente del Museo Nazionale d’Arte Orientale di Roma (2008), ma il testo si attiene a quanto letto nella relazione originaria, senza ampliamenti relativi ai sorprendenti confronti che si possono istituire tra l’arte normanna con influssi islamici e quella dei reperti medioorientali presenti al MNAOr, confronti colti sin da una ormai lontana visita occasionale al Museo. Mi auguro, però, compatibilmente agli impegni istituzionali, di poter tornare in altra sede su un tema così affascinante, pur se finora sostanzialmente ignorato. Maria Amalia Mastelloni

181


Fig. 19 - MIR ME - Frammenti con figura di mostro serpentiforme (ketos?) entro cornice ovale.

Fig. 20 - MIR ME - Frammenti con grafemi arabi di diverse dimensioni inv. 1115.

Fig. 21 - MOREY 1841-1842.

Fig. 22 - Nebek, mar Musa al Habashi.

Fig. 23 - DA LEONE 2003: STILO Cattolica, p. 146.

Fig. 24 - DA SALINAS 1911.

182


Bibliografia

– AGNELLO 1965-6 = G. AGNELLO, Le sculture bizantino-normanne del Museo di Messina, in Rend. Pont. Acc., XXXVIII, 1965-6, pp. 197-199 – AMARI 1933 = M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, con note di C. A. NALLINO, Catania 1933 – AMARI 1880 = M. AMARI, Biblioteca arabo-sicula, vol. I, Torino 1880 – AMARI 1881 (1971) = M. AMARI, Le Epigrafi Arabiche di Sicilia: Iscrizioni Edili, ed. F. GABRIELI, Palermo, 1971, – AMATO DI MONTECASSINO, Storia de’ Normanni volgarizzata in antico francese, a cura di V. de BARTHOLOMAEIS, in Fonti per la storia d’Italia, Istituto Storico Italiano, Roma 1935, l. V, cap. 13 – AMICI 1996 = S. AMICI, Bartolomeo Pignatelli. Una meteora sulla cattedra metro politica amalfitana, in La chiesa di Amalfi nel medioevo, Atti Convegno int. Di studi per il millenario dell’Arcidiocesi di Amalfi, Amalfi 4-6 dic. 1987, Amalfi 1996, pp. 483-492 – ANDALORO 1993 = M. ANDALORO, La Cattedrale della memoria, in La cattedrale di Palermo, Studi per l’ottavo centenario dalla fondazione, a cura di L. Urbani, Atti del Convegno La Cattedrale di Palermo e la cultura mediterranea europea, Palermo 1988, Palermo 1993, pp. 55-66 a pp.62-65 – ANDALORO 1995 = ANDALORO M., L’Odigitria di S. Maria de Latinis e il Cancelliere Matteo d’Aiello, in Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona, Arti figurative e arti suntuarie, M. ANDALORO ed., Palermo, 1995, pp. 442-447 – ANDALORO 1995/2 = ANDALORO, M. La tavoletta dipinta del Duomo di cefalù, caduta e ritrovata, in Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona, Arti figurative e arti suntuarie, M. ANDALORO ed., Palermo, 1995, pp. 487-488 – AURIGEMMA 2004 = M. G. AURIGEMMA, Il cielo stellato di Ruggero II : il soffitto dipinto della Cattedrale di Cefalù, Cisinello Balsamo (Mi) 2004 – BACCI 2002 = G. M. Bacci, La carta archeologica, in Da * Zancle a Messina. II, 2, pp. 9-20 – BACCI 2004 = G.M. BACCI, Testimonianze archeologiche di età bizantina ed altomedievale sul versante siciliano dello Stretto, in Alle *radici della cultura mediterranea ed europea, pp. 13-19 – BARBERA, ROTOLO 2004 = P. BARBERA, G. ROTOLO, Friedrich Maximilian Hessemer: il viaggio e l’Architettura, in The time of Schinkel and the age of Neoclassicism between Palermo and Berlin, M. GIUFFRÉ ed. con Paola Barbera e Gabriella Cianciolo Cosentino, Atti del Convegno internazionale, Palermo 17-20 giugno 2004, Cannitello (Reggio Calabria), pp. 231-238 – BARTHOLOMAEUS DE NEOCASTRO, Historia sicula [aa. 1250-1293] a cura di G. PALADINO, Bologna 1922 – BECK 1975 = I. BECK, Le pitture islamiche nel Duomo di Cefalù, Acta ad Archeologiam et Artium Historia pertinentia, 6, 1975,pp. 115-116

183


– BELLAFIORE 1976 = G. BELLAFIORE, La cattedrale di Palermo, Palermo 1976, p. 202 – BOLOGNA 2002 = F. BOLOGNA, Il soffitto della sala Magna allo Steri di Palermo, Palermo, 2002 – BONFIOLI 1999 = M. BONFIOLI, Qualche appunto sull’iscrizione metrica latina sotto il mosaico della facciata del duomo di Spoleto, in Arte d’Occidente. Temi e metodi, Studi in onore di angiola Maria Romanini, 3, Roma, 1999, pp. 1001 – 1009, – BRÜHL 1967 = C. BRÜHL, Rémarques sur les notions de “capitale” et de “résidence” pendant le haute moyen age, “Journal de Savant”, 1967, pp. 193 ss. – BULGARELLA 1993 = F. BULGARELLA, Lavoro, mestieri e professioni negli atti greci di Calabria, in Mestieri, lavoro e professioni nella Calabria Medievale, Atti VIII Congresso Storico Calabrese, Palmi 1987 Soveria Mannelli 1993 pp. 53 ss. – CALABI LIMENTANI 1991 = I. CALABI LIMENTANI, Epigrafia Latina, Bologna 1991 – CALCAGNI 1699 = D. CALCAGNI, Historia cronologica brevis abbatiae Sanctissimae Trinitatis Mileti, Messina 1699 – CAMPAGNA CICALA 1994 = F. CAMPAGNA CICALA La cultura figurativa a Messina dal periodo normanno alla fine del Quattrocento, in Il ritorno della memoria, Catalogo mostra Messina 1994, Palermo1994, pp. 215-225, p. 247 e p. 250 – CICALA CAMPAGNA 1995 = F. CICALA CAMPAGNA, Tre assi dipinte dal distrutto soffitto del Duomo di Messina, in Federico e la Sicilia, dalla terra alla corona, Arti figurative e arti suntuarie, M. ANDALORO ed., Palermo, 1995, pp.488-492 – CARRINO 2001 = R. CARRINO, Mosaici pavimentali dell’ XI e XII secolo in Puglia: committenza artefici e musivari in La mosaïque gréco-romaine VIII, Actes CollIntÉtude de la Mosaïque antique et médiévale, Lousanne 1997, Lousanne 2001, pp. 132-160 – CATALIOTO 2007 = L. CATALIOTO, Il medioevo: economia, politica e società, in Messina. Storia, cultura economia, Soveria Mannelli 2007, pp. 63-102 – CHRUIKSHANK DODD 1999 = E. CHRUIKSHANK DODD, Christian arab sources for the celing of the Palatine chapel, Palermo, in Arte d’ Occidente. Temi e metodi, Studi in onore di Angiola Maria Romanini, 2, Roma, 1999, pp. 823 – 831 – C’URČIC 1987 = S. C’URČIC, Some Palatine aspects of the Cappella Palatina in Palermo, in Dunbarton Oaks Papers, Studies on Art and Archeology of Ernst Kitzinger, 41, 1987, pp. 125-144 – DELOGU 1977 = DELOGU, R., La Galleria Nazionale della Sicilia, Roma, 1977, pp.9, 58; – DEMUS 1949 = O. DEMUS, The Mosaics of Norman Sicily, London 1949 – DE SIMONE 1995 = A. DE SIMONE, Al-Zahr Al-Bāsim di Ibn Qalāqis e le vicende dei musulmani nella Sicilia normanna, in Del nuovo sulla Sicilia musulmana, Giornata di studio, Roma, ANLincei, F. L. Caetani, n. 26, Roma 1995, pp. 100-152; – DI DARIO GUIDA 1999 = M. P. DI DARIO GUIDA, La cultura artistica in Calabria dall’Alto medievo all’età aragonese, in Storia della Calabria Medievale. Cultura, arti, tecniche, Roma 1999, pp.149- 271 – DI LIBERTO 1997 = R. DI LIBERTO, Il pavimento a tarsie marmoree della chiesa Normanna di San Cataldo in Palermo, Atti del IV Colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Palermo 9-13 dic. 1996, Ravenna 1997, pp. 343 - 364

184


– DIMAND 1951 = M. S. DIMAND, in Artibus Asiae, 14, 1951, pp. 263-266 – DUBBINI 2002 = R. DUBBINI, Henry Labrouste. 1801-1875, a cura di, Milano 2002 – FAVREAU 1996 = R. FAVREAU, 1.9.3 - L’inscription d’Airard à la porte nord de l’abbatiale, in Atlas historique de Saint-Denis. Dès origines au XVIII siècle, sous la direction de M. Wyss, Paris 1996, pp. 58-59 – FAVREAU 1999 = R. FAVREAU, Inscriptions de dédicace d’églises et de consécration d’Autels à Rome, XI-XIII siècles, in Arte d’Occidente. Temi e metodi, Studi in onore di angiola Maria Romanini, 3, Roma, 1999, pp. 947-956 – FIORILLA 2001 = S. FIORILLA, Primi dati sulla produzione e la circolazione ceramica tra XII e XV secolo a Messina, in Da Zancle a Messina. Un percorso archeologico attraverso gli scavi, a cura di G.M. Bacci e G. Tigano, Messina 2001, II, I, pp. 110-118 e schede pp. 121-140 – FONTANA 1993 = M.V. FONTANA, L’influsso dell’arte islamica in Italia, in Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia, Catalogo della Mostra Venezia 30 10 1993- 30 04 1994, a cura di G. Curatola, Venezia 1993, pp. 455- 476 – GAIANI 2002 = M. GAIANI, Il viaggio in Italia, 1824-1830, in Henry Labrouste. 18011875, a cura di R. Dubbini, Milano 2002, pp. 50-80 – GANDOLFO 1982= F. GANDOLFO, Scultori e lapicidi nell’ architetture normanno - sveva della chiesa e del chiostro, in Documenti e testimonianze figurative della basilica ruggeriana di Cefalù, Cefalù 1982, pp. 73-89 – GANDOLFO 1993= F. GANDOLFO, Le tombe e gli arredi liturgici medievali in La Cattedrale di Palermo, Studi per l’ottavo centenario della fondazione, ed. L. URBANI, Palermo 1993 pp. 231-253 – GANDOLFO 2002= F. GANDOLFO, Il ritratto di committenza, in Arte e iconografia a Roma, M. Andaloro e S. Romano edd., Roma 2002 pp. 139-149 – GANDOLFO 2006 = F. Gandolfo, Pluteo frammentario; Fonte con fasce musive, schede nel catalogo della mostra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, a cura di M. Andaloro, Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wienn, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugno 2004, a cura di M. Andaloro, Catania 2006,I, Catalogo, pp. 526; 527 – GELFER-JORGENSEN 1978 = M. GELFER-JORGENSEN, The Islamic Paintings in Cefalù, Hafnia, Copenhagen Papers in the History of Art, 1978 – GELFER-JORGENSEN 1986 = M. GELFER-JORGENSEN, Medieval Islamic symbolism and the paintings in the Cefalù Cathedral, Leiden, 1986 – GRASSI 2004 = V. GRASSI, Steli funerarie - Museo Regionale di Messina nn. inv. 259260, Catalogo della Mostra: Alle *radici della cultura mediterranea ed europea, p. 57, fig. 73 – GRAVINA 1859-1870 = D. B. GRAVINA, Il duomo di Monreale illustrato e riportato in tavole cromo litografiche, Palermo 1859-1870 – GREGORIO 1790 = R. GREGORIO, Rerum Arabicarum quae ad historiam Siculam spectant ampla collectio opera & studio, Panormi, 1790,

185


– GRUBE – JOHNS 2005 = E. J. GRUBE – J. JOHNS, The Painted Ceilings of the Cappella Palatina, Islamic Art, Supplement I, The Bruschettini Foundation for Islamic- Asian Art and the East-West Foundation, Genova- New York, 2005 – GUIDOBALDI 1994 = F. GUIDOBALDI, Sectilia Pavimenta di Villa Adriana, in Mosaici antichi in Italia, Roma 1994 – GUILLOU 1996 = A. GUILLOU, Recueil des Iscriptions Grecques Médiévales d’Italie, Coll. ÉFRome, n..222, Rome 1996 – HADERMANN-MISGUICH 1975 = L. HADERMANN-MISGUICH, Kurbinovo: Les fresques de Saint-Georges et la peinture byzantine du XIIe siècle, Brussels, 1975, – HESSEMER 1992 = F. M. HESSEMER, Lettere dalla Sicilia, a cura di M. T. MORREALE, Palermo 1992, p. 60 – JOHNS 1986 = J. JOHNS, I titoli arabi dei sovrani normanni di Sicilia, BdN, 6-7, 1985, pp. 11-54 – JOHNS 1995 = J. JOHNS, I re normanni e i califfi fatimiti. Nuove prospettive su vecchi materiali, in Del nuovo sulla Sicilia musulmana, Giornata di studio, Roma, ANLincei, F. L. Caetani, n. 26, Roma 1995, pp. 9-50 – JOHNS 2004 = J. JOHNS, ‘Una Nuova fonte per la geografia e la storia della Sicilia nell’ XI secolo: il Kitab Ghara’ib al-funun wa-mulah al-`uyun’, in La Sicile à l’époque islamique. Questions de méthode et renouvellement récent des problématiques, MEFR MA, 116/1, 2004, pp 409-449 – JOHNS 2006/1 = J. JOHNS, VIII, 1, Tre lastre frammentarie con iscrizioni arabe in lode di Ruggero II dal Palazzo di Palermo, nel catalogo della mostra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wienn, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugnio 2004), I Catalogo, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006, pp. 498-501 – JOHNS 2006/2 = J. JOHNS, Le iscrizioni e le epigrafi in arabo. Una rilettura, Catalogo della mostra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wienn, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugno 2004), II, Saggi, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006, pp. 46-67 – JOHNSON 1999 = M. J. JOHNSON, The lost royal portraits of Gerace and Cefalù cathedrals, Dumbarton Oaks Papers, 53, 1999, pp. 238-263 – KITZINGER 1985-7 = E. KITZINGER, La chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo in BCA 1985-7, pp. 11-31 – KITZINGER 1990 = E. KITZINGER, I mosaici di S. Maria dell’Ammiraglio a Palermo, con un capitolo sull’architettura della chiesa di S. C’URČIC, Monumenti, 3, Istituto Siciliano Studi Bizantini e neoellenici, Palermo 1990; (= Dumbarton Oaks Studies, XXVII) – LA CORTE CAILLER 1905= LA CORTE CAILLER, pp. – LA FARINA 1840 (1985), G. LA FARINA, Messina e i suoi monumenti, Messina, 1840, rist.1985, p. 100 – LEONE 2003 = G. LEONE, Fragmenta picta. Per una storiografia della pittura calabrese in età normanna tra fonti archeologia e restauri, in I Normanni in finibus Calabriae, F. Cuteri ed., Soveria Mannelli, 2003, pp. 143-165

186


– MASTELLONI 1992 = M. A. MASTELLONI, Sarcofagi romani del Museo Regionale di Messina, in Ricerche di archeologia, Quaderni dell’attività didattica del Museo Regionale di Messina, 2, Messina, 1992, pp.57 -91, tavv. XXIII-XLI; – MASTELLONI 1995/1 = M. A. MASTELLONI, Un’ officina di periodo normanno legata all’Archimandritato del SS. Salvatore in lingua Phari, in Calabria Bizantina, Il territorio grecanico da Leucopetra a Capo Bruzzano, Atti X Incontro di Studi Bizantini, Reggio Calabria 1991, Soveria Mannelli 1995, pp. 141-177 – MASTELLONI 1995/ 2 = M. A. MASTELLONI, Monete ed espressioni artistiche di periodo normanno, in Miscellanea di studi e ricerche sulle collezioni del Museo,in Quad. A.D. Museo Messina, 5, Messina 1995, pp. 9-44 – MASTELLONI 1997 = M. A. MASTELLONI, Pavimenti medievali nell’ area dello Stretto, Atti del IV Colloquio dell’ Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, Palermo, 9-13 dic. 1996, Ravenna 1997 , pp. 443-471 – MASTELLONI 1997/2 = M. A. MASTELLONI, Aspetti fatimiti della cultura normanna a Messina, in Numismatica Archeologia e storia dell’arte medievale: ricerche e contributi, in Quad. A.D. Museo Messina, 6, 1996, Messina 1997, pp. 135- 160 – MASTELLONI 2003 = M. A. MASTELLONI, Mileto, in I Normanni nel Sud. Nuovi segmenti di storia europea / The Normans in the South. New elements in European History, Reggio Calabria, maggio - ottobre 2003, p.56-58 – MASTELLONI 2004/1 = M. A. MASTELLONI, Le monete, in Alle radici della cultura mediterranea ed europea, pp. 37-42 – MASTELLONI 2004/2 = M. A. MASTELLONI, Messina tra arabi e normanni, XI-XII secoli, nel catalogo della mostra: Alle radici della cultura mediterranea ed europea p. 54 – MASTELLONI 2004/3 = M. A. MASTELLONI, La produzione scultorea e L’Archimandritato del S.mo Salvatore in lingua Phari, nel catalogo della mostra: Alle radici della cultura mediterranea ed europea, pp. 78-79 – MASTELLONI 2004/4 = M. A. MASTELLONI, Scavi in Piazza Vittorio Emanuele, detta Piazza Italia - Le monete, in Alle radici della cultura mediterranea ed europea, pp. 100-101 – MASTELLONI 2006, M. A. MASTELLONI, “...per me Ruggero raggiungerà le stelle...” Le iscrizioni in porfidi e marmi bianchi di Messina, nel catalogo della mostra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wienn, Alte Geistliche, 30 marzo 13 giugno 2004), II, Saggi, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006, pp. 68-75 – MASTELLONI 2008 = M. A. MASTELLONI, Sicilia/Sizilien”, Catalogo della Mostra - Kunstund Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland, Bonn, 25/01 - 25/05, Bonn 2008 – MASTELLONI 2008/2 = M. A. MASTELLONI, La zecca di Mileto e le monete di Ruggero Conte e di Ruggero II Conte (1060- 1111), in Capolavori di Calabria, Catalogo Mostra Cosenza 2008 cds – MASTELLONI - MERCURIO 2002 = M.A.MASTELLONI, M. MERCURIO, SS. Annunziata dei Catalani in Messina, Studio, restauro conservativo e valorizzazione, Messina 2002, pp. 13-29

187


– MAUCERI 1928 = F. MAUCERI, Esemplari di pittura primitiva siciliana, in BA 1928, pp. 481-489 – MAZZANTI 1997 = M. S. MAZZANTI, Paradiso arabo e Paradiso cristiano nella reggia di Ruggero II, in Numismatica Archeologia e storia dell’ arte medievale: ricerche e contributi, QuadMMess, 6, 1996, Messina 1997, pp. 121-135 – MONNERET DE VILLARD 1950 = U. MONNERET DE VILLARD, Le pitture musulmane al soffitto della Cappella Palatina in Palermo, Roma 1950 – MOREY 1841-1842 = M. P. MOREY, La cherpente de la Cathédrale de Messine, Paris 1841-1842 – NEF 2004 = A. NEF, Le iscrizioni edili di Messina da S. Maria, nel catalogo della mostra: Alle radici della cultura mediterranea ed europea, pp.74-75 – NEF 2004 b = A. NEF, I caratteri arabi pseudo-epigrafici in Italia, nel catalogo della mostra: Alle radici della cultura mediterranea ed europea, pp.108-109 – NEF 2006 = A. NEF, VIII, 2, Venti blocchi frammentari con iscrizioni arabe in lode di Ruggero II dal Palazzo di Messina, nel catalogo della mostra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wienn, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugnio 2004), I Catalogo, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006, pp. 502-509 – Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wienn, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugno 2004), I, Catalogo, II, Saggi, a cura di M. Andaloro, Catania 2006 – I *Normanni nello Stretto e nelle Eolie, Guida breve alla Mostra tenutasi a Lipari 1-13 ottobre 2002, a cura di G. M. BACCI e M. A. MASTELLONI, Palermo 2002 – OROFINO PACE 1994 = G. OROFINO - V. PACE, La miniatura, in I Normanni popolo d’Europa, 1030-1200, a cura di M. D’Onofrio, Venezia 1994, pp. 263-271 – ORSI 1929 = P. ORSI, Le chiese basiliane della Calabria, Firenze, 1929 – PACE 2007 = V. PACE, Arte Medievale in Italia meridionale. I Campania, Napoli 2007 – PIRRI 1733 (1987) = R. PIRRUS, Sicilia sacra, disquisitionibus et notitiis illustata editio tertia, Panormi, 1630-1647, emendata e continuatione aucta cura A. MONGITORE et additiones V. M. AMICO, Panormi, 1733, rist an. (intr. F. Giunta) Bologna 1987 – PISPISA 1993 = E. PISPISA, Messina, Catania, in Itinerari e centri urbani nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle decime giornate normanno-sveve, Bari, 1991, G. Musca ed., Bari 1993, pp. 147-194 – QUINTAVALLE 2006 = A. C. QUINTAVALLE, Il medioevo delle Cattedrali. Chiesa e impero: la lotta delle immagini (secoli XI e XII), Milano 2006 – Alle *Radici della cultura mediterranea ed europea. I Normanni nello Stretto e nelle isole Eolie, a cura di G. M. Bacci e M. A. Mastelloni, Palermo 2004, – SALINAS 1911 = A. SALINAS, Un palinsesto araldico svevo-angioino nel Duomo di Messina, BdA, 5, 1911, pp. 89-92 – SAMPERI 1644 = P. SAMPERI, Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio... protettrice di Messina, Messina 1644

188


– SANTUCCI 1980 = SANTUCCI P., La produzione figurativa in Sicilia dalla fine del XII alla metà del XV, in Storia della Sicilia, V, Napoli 1980, pp. 141-230 – SAVORRA 2004 = M. SAVORRA, “À la recherché des couleurs”: I disegni degli architetti francesi e la Sicilia negli anni venti dell’Ottocento, in The time of Schinkel and the age of Neoclassicism between Palermo and Berlin, a cura di M. Giuffré con P. Barbera e G. Cianciolo Cosentino, Atti del convegno internazionale, Palermo 17-20 giugno 2004, Cannitello (Reggio Calabria) pp. - - – SCERRATO 1979 = U. SCERRATO, Arte islamica in Italia, in Gli arabi in Italia, a cura di F. GABRIELI, U. SCERRATO “Antica Madre”, Milano1979, pp. 271-571 – SCERRATO 1994 = U. SCERRATO, Arte normanna e archeologica islamica in Sicilia, in I Normanni popolo d’Europa -1030-1200, a cura di M. d’Onofrio, Catalogo della Mostra, Venezia 1994, pp. 339-349 – SCIBONA 2001 = G. SCIBONA, Nuovi dati sulla città romana e medievale nell’ area del municipio di Messina, in Da *Zancle a Messina II,I Messina 2001, pp. 105-110 – SCIBONA 2003 = G. SCIBONA, Messina: livelli, contesti, forme di XI-XII secolo nello scavo del Municipio. Primi dati, in Alle *radici della cultura mediterranea ed europea, pp. 61-71 – La *Sicile à l’époque islamique = La Sicile à l’époque islamique. Questions de méthode et renouvellement récent des problématiques, MEFR - MA, 116/1, 2004 – STARABBA 1888 = R. STARABBA, I diplomi della Cattedrale di Messina, raccolti da A. Amico, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. I, II, Palermo 1888, – THIEME - BECKER = U. THIEME - F. BECKER, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler von der Antike bis zur Gegenwart, hrsg. von; bearb. von Hans Vollmer; Bände XVI, p. 596 – TRAMONTANA 1983 = S. TRAMONTANA, Messina Normanna, in Nuovi annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina, I, 1983, pp. 629-640 – TRONZO 1997 = W. TRONZO, The Cultures of His Kingdom: Roger II and the Cappella Palatina in Palermo, Princeton 1997 – TSIGARIDAS 1986 = E. TSIGARIDAS, Οι τοιχογραφιϖες της µονηϖς Λατοϖµου Θεσσαλονιϖκης και η βυζαντινηϖ ζωγραφικηϖ του 12ου αιωϖνα, Thessalonike, 1986 – VALENZIANO 1987 = C. VALENZIANO, La Basilica ruggeriana di Cefalù nei documenti d’archivio e nelle epigrafi, in La Basilica Cattedrale di Cefalù. Materiali per la conoscenza storica e il restauro, Palermo s.d. (1987) – VANARIA 2004 = M. G. VANARIA, Le isole eolie dal tardo antico ai Normanni, IN Alle *radici della cultura mediterranea ed europea, pp. 43-46 – VENTRONE VASSALLO 1993 = G. VENTRONE VASSALLO, La Sicilia Islamica e postislamica. Dal IV/V al VII/XIII secolo, in Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia, Catalogo della Mostra Venezia 30 10 1993- 30 04 1994, a cura di G. Curatola, Venezia 1993, pp.183-193 – VIOLLET-LE-DUC 1875 = E-E. VIOLLET-LE-DUC, Dictionnaire raisonné de l’architecture française, XIe-XVIe siècles, Paris, 1875,

189


– Le * voyage d’Italie = Le * voyage d’Italie d’Eugène Emmanuel Viollel le Duc, 18361837, a cura di Viollet-Le-Duc G., Aillagon J. J., Catalogo della mostra Firenze 1980 – WEINFURTER 2003 = S. WEINFURTER, Die deutschen Herrscher des Mittelalters, Historische Porträts von Heinrich I. bis Maximilian I., Verlag C.H. Beck, München 2003, pp. 315 ss. – Da *Zancle a Messina II.1 = Da Zancle a Messina. Un percorso archeologico attraverso gli scavi, II.1, a cura di G. M. BACCI - G. TIGANO, Messina 2001 – Da *Zancle a Messina II.2 = Da Zancle a Messina. Un percorso archeologico attraverso gli scavi, II.2, a cura di G. M. BACCI - G. TIGANO, Messina 2002 – ŽORIĆ 1989 = V. ŽORIĆ, Considerazioni analitiche sulla costruzione della Cattedrale Normanna di Cefalù, V, Una grande carpenteria: tra struttura e decorazione, V D Struttura del tetto della navata centrale nella storia, in La Basilica Cattedrale di Cefalù. Materiali per la conoscenza storica e il restauro, Palermo 1989, pp. 93-340 – ŽORIĆ 2006 = V. ŽORIĆ, Le porte bronzee della Cappella Palatina, Catalogo della Mostra: Nobiles Officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, (Palermo, Palazzo dei Normanni, 17 dicembre 2003 - 10 marzo 2004; Wien, Alte Geistliche, 30 marzo - 13 giugnio 2004), II Saggi, a cura di M. ANDALORO, Catania 2006, pp. 33-45

190


Abdul-Karim Rafeq*

The Socio-Economic and Political Impact of Pilgrim Travelers on Ottoman Damascus

When the Ottoman Sultan Selim I (1612-1520) defeated the Mamluk Sultan north of Aleppo on 23 August 1516 and entered the city, the orator in the Grand Mosque bestowed on him the title of Servitor of the Two Holy Sanctuaries (khadinm al-haramayn al-sharifayn), that is Mecca and Medina. The title is sometimes also rendered as Protector of the Two Holy Sanctuaries (hami al-haramayn alsharifayn). Following their conquest of most of the Arab lands and the extension of their rule over the Hijaz, the Ottomans became directly responsible for organizing and protecting the pilgrim caravan to the Hijaz. They established two caravans: the Damascene pilgrim caravan (qafilat al-hajj al-Shami) that assembled in Damascus and was joined by pilgrims from Bilad al-Sham (Geographical Syria). Iraq, Anatolia, the Balkans, and Persia, and the Egyptian pilgrim caravan (qafilat al-hajj al-Misri) that included pilgrims from Egypt and North Africa. A third caravan that departed from Yemen to the Hijaz was short lived and ceased to exist after Yemen seceded from Ottoman rule in 1635. The Twelver Shi’i Safavid rulers of Persia tried hard to have a pilgrim caravan of their own but the Ottoman Sultan in his capacity as top Sunni ruler in control of the holy places in the Hijaz refused to grant them this religious honor because it implied sharing sovereignty with them over the holy places in Islam. The Persian pilgrims, therefore, had to come to Damascus to join its caravan.1 The pilgrimage is one of the five pillars in Islam. It was incumbent on every Muslim to go on the pilgrimage at least once in a lifetime if he can afford it financially and physically. Between the sixteenth and the eighteenth centuries an average of about fifteen to twenty thousand pilgrims assembled in Damascus annually to join its caravan to the Hijaz. They came from Bilad al-Sham (Geographical Docente di Storia, William and Mary College, Williamsburg (U.S.A.). Abdul-Karim Rafeq, TheProvince of Damascus, 17231783 (Beirut: Khayats, 2nd ed. paperback, 1970), pp. 52-76 * 1

191


Syria), as well as from far away places, such as the Balkans, Anatolia, and Persia. Some also came from North Africa even though the majority of North Africans joined the Egyptian caravan. The Social Impact of Pilgrim Travelers on Damascus

The gathering of thousands of pilgrims in Damascus whose population ranged from one hundred to one hundred fifty thousand in the first three centuries of Ottoman rule had great political, economic, and social impact on the city and its countryside. Many pilgrims stayed on in Damascus temporarily as nuzala (residents), either before or after they had performed the pilgrimage. Others lived next to famous religious shrines, such as the shrine of the famous Andalusian Sufi Muhyi al-Din Ibn al-Arabi (d. 1240), and were known as mujawirs. A good number of alien pilgrims also settled in Damascus. The Damascene biographical dictionaries abound with information about these residents, mujawirs, and permanent residents, giving their geographical and ethnic origins, the schools of law to which they belonged, as well as their education and profession. Current family names in Damascus, such as Istanbuli, Diyarbakarli, Busnawi, Tabrizi, Maghribi, and Afghani, to mention a few, indicate the mixing of population in this cosmopolitan city because of the pilgrimage. The pilgrim caravan thus served as a catalyst, bringing people of diverse origins and affiliations to the city. Damascus benefited from this mix of people and cultures but paid for it in the plagues and other diseases carried with pilgrims, and also by the instability caused by mercenary troops who were employed to protect the caravan. Accommodation for pilgrims in Damascus was available in Khan al-Haramayn (caravansary of the two holy sanctuaries), in the Takiyya Sulaymaniyya, a complex of rooms with a mosque, a vast square, and public facilities, as well as in other caravansaries and mosques in the city. Pilgrims also encamped in the open space next to the Takiyya Sulaymaniyya. Needy families rented part or all of their houses to pilgrims. Twlever Shi’i pilgrims coming from Persia to Damascus to join the caravan usually stayed in the homes of their co-religionists in the Kharab quarter in the neighborhood of the Christian and the Jewish quarters and intermarried with the local population2. The number of Persian pilgrims arriving in Damascus sometimes reached two thousand a year, and they attracted the attention of the people and the chroniclers on account of their Twelver Shi’i faith and the precious goods, including gems, they carried with them. 2 ‘Ali al-Muradi, Hanafi mufti of Damascus (d. 22 Shawwal 1184/8 February 1771), issued a fatwa, at the request of the judge of Damascus, entitled “al-Rawd al-ra’id fi ‘adam sihhat nikah ahl al-sunna li’l-rawafid”, in which he invalidated intermarriage between Sunnis and Shi’is. Two copies of this fatwa exist in manuscript form at Asad Library (formerly at al-Zahiriyya Library) in Damascus, nos., ‘am 6817 and ‘am 9674.

192


The length of stay of pilgrims in Damascus depended on the time of their arrival into the city and the time of departure of the caravan. Pilgrims usually arrived in groups from different locations for security reasons. The pilgrims from Anatolia and the Balkans who often came together were collectively referred to by the Damascenes as the Rumi pilgrims (al-hajj al-Rumi) – the name Rum was used earlier by Syrian Muslims to refer to the Greek Byzantines. The Syrian chronicles and biographical dictionaries also referred to the Ottoman sultan as sultan al-Rum3. A side street branching out from Suq al-Hamidiyya is still today called suq al-Arwam after the Rumis who gathered and did business there. Pilgrims coming from Aleppo and its countryside were known as al-hajj al-Halabi, and those from Persia as al-hajj al-‘Ajami. The departure of the caravan to the Hijaz usually took place in the middle of the month of Shawwal, the tenth month of the Hijri calendar. The Hijri calendar being lunar, the departure date of the caravan from Damascus changed from one season to the next. The day of departure from Damascus was marked by a magnificent procession in which the commander of the caravan took part accompanied by the sanjaq (holy standard) and the mahmal (a richly-decorated litter carried on camel back and sent by the Sultan to Mecca to emphasize his role as Custodian of the Two Holy Sanctuaries)4. Elite troops walked in the procession, and the notables of the city saw the caravan off at the southern extremity of Damascus, at Qubbat al-Hajj, near Bab Allah (also known as Bawwabat Allah) that leads to the holy places in the Hijaz and also Jerusalem. The return of the caravan usually occurred in the first half of the month of Safar, the second month in the Hijri calendar. It was also marked by celebrations. The notables of Damascus received the returning caravan at Qubbat al-Hajj, and Christian and Jewish notables also welcomed the returning caravan near there. The Command of the Pilgrim Caravan

In the sixteenth and early seventeenth centuries, Bedouin chieftains, who were district governors and tax farmers in the southern regions of the province of Damascus, such as ‘Ajlun, Lajjun, and Nablus, were appointed commanders of the caravan. The Bedouin chieftain nominated commander used to come with his troops to Qubbat al-Hajj to assume the command of the caravan. Neither he nor his troops 3 On the significance of referring to the Ottoman Sultan in the contemporary Syrian writings by the title “Sultan al-Rum”, rather than “Our Sultan” (sultanuna), see Abdul-Karim Rafeq, “Social groups, identity and loyalty, and historical writing in Ottoman and post-Ottoman Syria’, in Les Arabes et l’Histoire Créatrice, sous la direction de Dominique Chevallier (Paris: Presses de l’Université de Paris-Sorbonne, 1995), pp. 79-93. 4 On the mahmal, see Abdul-Karim Rafeq, “Le Mahmal en route pour la Mecque”, in Dama: Miroir Brisé d’un Orient Arabe, dirigé par Anne-Marie Bianquis, avec la collaboration d’Elizabeth Picard (Paris: Autrement, Série Monde-H.S., No. 65, Janvier. 1993), pp. 49-57.

193


entered Damascus, thus sparing the city the chaos and depredation associated with the troops. When the Bedouin chieftains were weakened by warfare among themselves, by Ottoman disciplinary action, and also by attacks launched against them by the paramount chieftain of Mount Lebanon Fakhr al-Din Ma’ II (1585-1635), the Ottoman government appointed Janissary chiefs from Damascus as commanders of the caravan. Some of these Janissary commanders were also appointed district governors and tax farmers at the same time to keep the troops assigned to protect the caravan with them and away from Damascus. When influential Damascene merchants joined the Janissary Corps in Damascus, it became known after them as Yerliyya (local) Janissaries, and began to challenge the governor. The authorities then eliminated several of the Yerliyya chiefs and sent a fresh Janissary Corps, known as Kapi Kullari (slaves of the sultan or Imperial Janissaries) to Damascus in 1759 to balance the Yerliyya Janissaries. Ottoman officials were then appointed commanders of the pilgrim caravan in place of the Janissaries. Some of the official/commanders stayed in Damascus with their troops, causing trouble and insecurity in the city. Murad al-Muradi, a noted Damascene ‘alim, appealed to the sultan shortly before 1690 to remove the command from Damascus and return it to the governors of ‘Ajuln and the neighboring regions where it had been before, because Damascus had suffered greatly from the rapacity of the troops who assembled there. The sultan granted Muradi’s request. Due to neglect on the part of the caravan commander in 1102 A.H./16901691 A.D., the Bedouin attacked the caravan. Given the diminishing military prestige of the sultan after the failure of the second Ottoman siege of Vienna in 1683 and the signing of the humiliating treaty of Carlowitz with the Habsburgs in 1699 in which the Ottoman lost territories they had occupied in the Balkans for three hundred years5, the sultan returned the command of the caravan to Damascus and entrusted it to top Ottoman officials. Due to continuing attacks on the pilgrim caravan, the sultan finally appointed the governor of Damascus commander of the pilgrim caravan in 1708. This dual role of governor of Damascus and commander of the pilgrim caravan, which continued well into the nineteenth century, brought the governor both prestige and heavy responsibilities. The governor who ensured the security of the caravan had prolonged tenure. Members of the ‘Azm family ruled Damascus for long periods in the eighteenth century because they were successful in ensuring the safety of the pilgrims6. A relief force, known as jarda, headed by either the governor of Tripoli or the governor of Sidon, carried provisions to the returning caravan, and was supAbout the significance of the failure of the second siege of Vienna in 1683 and its impact on the pilgrimage, see Suraiya Faroqhi, Pilgrims and Sultans: The Hajj under the Ottomans, 1517-1683 (London: I.B. Tauris, 1994). 6 For the extended rule of the ‘Azm governors in Damascus, see Rafeq, The Province of Damascus (the whole book is focused on the ‘Azm governors). 5

194


ported by troops. The ‘Azm governors of Damascus in their capacity as commanders of the pilgrim caravan appealed to the sultan to nominate a member of the ‘Azm family as governor of either the province of Tripoli or the province of Sidon to serve as commander of the jarda. Their rationale was that a jarda commander from the same family would be more enthusiastic in offering aid to the returning caravan. The jarda thus benefited the ‘Azms and enabled them to extend their rule over the provinces of Damascus, Aleppo and Sidon7. The mercenary troops the governor/commander employed to protect the caravan stayed in Damascus after their commission had ended. The annals of Damascus abound with information about the lawlessness and crimes these troops committed in the city and its countryside. Prostitutes roamed the streets of Damascus in the eighteenth century in the company of unruly troops. Iraqi traveler ‘Abd Allah al-Suwaydi who arrived in Damascus in 1744 for the pilgrimage was surprised at the large number and daring attitude of prostitutes who appeared in the company of lawless persons8. Three years later, the Damascene chronicler Budayri mentioned the public appearance of prostitutes in the city in the company of mercenary troops9. As commander of the caravan, the governor of Damascus was away for three months on the pilgrimage: one month on the way to the Hijaz, one month there for the religious rituals, and one month on the way back. Being tax farmer-in-chief of his province and now directly responsible for financing the pilgrimage, the governor spent another month prior to the departure of the caravan making a tour (dawra) of his province to collect taxes from the local tax farmers. When the tax farmers refused to pay their taxes, the governor had to fight them which further prolonged the dawra and also exposed him to danger10. The absence of the governor/commander from Damascus for four months added to insecurity in the city despite the presence of a deputy governor. The Transportation of Pilgrims

The pilgrim caravan generated a variety of economic activities in Damascus and the surrounding countryside. A large number of craftsmen organized in guilds benefited from offering food supplies and transporting the pilgrims to the Hijaz.

For details on the jarda, see Rafeq, The Province of Damascus, pp. 65-68. ‘Abd Allah al-Suwaydi, al-Nafha al-Miskiyya fi’l-Rihla al-Makiyya, Ms., British Library, no. Add 23,385, fol. 94b. 9 Ahmad al-Budayri al-Hallaq, Hawadith Dimashq al-Yawmiyya, 1154-1175 A.H./1741-1762 A.D., ed. Ahmad ‘Izzat ‘Abd al-Karim (Cairo: Matbu’at al-Jam’iyya al-Misriyya li’l-Dirasat al-Tarikhiyya, 1959), p.92. 10 The Governor of Damascus/Commander of the pilgrim caravan, Sulayman Pasha al-‘Azm, for example, died in 1747 while fighting Zahir al-‘Umar in the region of Tiberias because he did not pay the taxes. 7 8

195


The guild of buksmadiya that produces dry cubes of rusk, for instance, supplied pilgrims with tons of rusk which could last the length of the journey and were eaten soaked in water or tea. The transportation of about 15,000 to 20,000 pilgrims, together with the troops that accompany them, involved the participation of a number of guilds in this business. The guild of mahairiyya, which make wooden seats or boxes (maharas) for pilgrims to sit in on the back of a camel, did a thriving business in preparation for the pilgrimage. The surname of Mahairi is carried today by several Syrian families, indicating the profession of their ancestors. Occasionally, a bed-like box, called mahaffa was placed on the back of a camel for seating women, sick people, or notable persons. The guild that was entrusted with the transportation of pilgrims was called ta’ifat al-muqawwimin, which equals present-day travel agents. A code of ethics required the muqawwimin to honor their commitments to the pilgrims. The contract between the passenger and the muqawwim had to be legalized in the law-court. Furthermore, to prevent any muqawwim from leaving the passengers stranded en route, all the muqawwimin, accompanied by the shaykh (head) of their guild, appeared in the lawcourt and pledged themselves collectively responsible for their passengers11. Other guilds in Damascus that were involved in the transportation of pilgrims included the ‘akkama, who lead the camels and serve the pilgrims, and the masha’ iliyya, who carry torches at night in front of the caravan. A special guild known as ta’ifat aljammala (guild of cameleers) brought camels from neighboring villages in the Hawran for carrying the pilgrims. The journey to the Hijaz required camels that could endure the hardships of the road. The court records in Damascus abound with information about the heads (shaykhs) of villages who rented camels for the transportation of pilgrims. In 1762, for example, the governor of Damascus, commander of the pilgrim caravan, and the governor of Tripoli, commander of the jarda, rented hundreds of camels from shaykhs of villages in the Hawran to transport their baggage (athqal) and munitions (dhakha’ir) to the Hijaz. In one case, the Agha (commander) of the Maghariba mercenaries rented the camels on behalf of the governor of Damascus. The villages in the Hawran involved in renting camels to the two governors in 1175-1176 A.H./1762 A.D., according to the court records of Damascus (cited in appendices 1 and 2), are: Adhra’, Basila, Basir, Busra, al-Hrak, Khirbat al-Ghazaleh, al- Mansura, alMusayfra, al-Mujaymir, al-Sahwa, al-Sa’liyya, Ashmiskin (Shaykhmiskin), and Tafas12. 11 For a detailed study of the guilds that served the pilgrim caravan, see Abdul-Karim Rafeq, “New light on the transportation of the Damascene pilgrimage during the Ottoman period”, in Islamic and Middle Eastern Societies, ed. Robert Olson (Battleboro, Vermont: Amana Press, 1987), pp. 27-136; see also “Damascus and the pilgrim caravan”, in Modernity and Culture: From the Mediterranean to the Indian Ocean, eds. Leila Fawaz, C.A. Bayly, with the collaboration of Robert Ilbert (New York: Columbia University Press, 2002), pp. 130-143. 12 See Appendices 1 and 2 in which cases from the Law-Court Records of Damascus are cited about the renting of camels by shaykhs of villages in the Hawran for the use of the commanders of the pilgrim caravan and the jarda. (The Law-Court Records are found in the Directorate of Historical Documents (Syrian Archives) in Damascus).

196


A special discounted fare for pilgrims, known as s’ir al-Muslimin (price for Muslims), was applied at the time of the pilgrimage. In 1745, for example, a transporter (muqawwim) charged a pilgrim for the trip from Damascus to Mecca the sum of seventy piasters: forty for the ride in a wooden seat (mahara), fifteen for carrying fifteen okkas of baggage (one okka equals 2.8 English pounds), five for drinking water, and five for the ‘akkam, who leads the camel and serves the passengers13. No mention is made in this case about the passenger’s food. The price, however, changed from one year to the next and also differed according to the outgoing or incoming journey. A round trip cost less than paying for each way separately. However, the total cost of going on the pilgrimage was unaffordable to many Syrians. Judged by the economic standards at the time, the cost of going on the pilgrimage about the middle of the eighteenth century was enough to buy a modest house in Damascus which sold at 170 piasters in 1746.14 After halting in Muzayrib, about 62 miles southwest of Damascus, for about a week, waiting for late arrivals, making final preparations, and for those who wished to deposit their valuables in its fortress, the caravan then made a fresh start as a more compact whole. Relatives and peddlers, who had accompanied the pilgrims to Muzayrib, then returned to Damascus. On the arrival of the caravan at al‘Ula, more than half way to Medina, the pilgrims sent letters to their relatives concerning their safety and affairs. The major threats to the caravan en route were the attacks by Bedouin tribes and the occurrence of natural calamities, such as flooding and excessive heat. The tribes that threatened the caravan on the way to Mecca were paid money by the commander of the caravan to secure safe passage for the pilgrims. The money was paid in two installments: half on the way to the Hijaz, and half on the way back. When Ottoman officials were nominated commanders of the caravan for one year only, they very often kept the second installment for themselves, causing the Bedouin to attack the caravan. The average time to reach Mecca from Damascus is estimated at thirty-five days. One pilgrim mentioned that it takes 490 hours of travel to reach Mecca, which makes fourteen hours of travel per day. Another pilgrim estimated the return journey at 450 hours, apparently because the pilgrims were more anxious to be home. The return into Damascus which very often occurs in the first half of the month of Safar could be delayed to avoid, or to deal with, an attack by Bedouin tribes. On certain occasions, the returning caravan diverted its route through Gaza to avoid an impending Bedouin threat which entailed a late return. 13 14

Law-Court Records, Damascus, vol., 121, p. 63, case dated 11 Shawwal 1158/6 November 1745. Law-Court Records, Damascus, vol., 125, p. 86, case dated 8 Rabi’ I 1159/31 March 1746.

197


The commander of the caravan used to dispatch an emissary, known as jawqadar al-Hajj, from Ma’an, currently in Jordan, to Damascus informing the Damascenes of the safety of the pilgrims. The pilgrims themselves also sent letters with a kattab (mail person) to Damascus and other cities from where they came informing relatives of their safety and also to make arrangements for celebrating their arrival. The worst calamity that befell the Damascene pilgrim caravan during the Ottoman period occurred in early December 1757 when the caravan was attacked on its way back by the Sakhr Bedouin and their tribal affiliates at a place between Qatrana and Ma’an, in the Syrian desert. The jarda, intended to provide supplies and protection to the returning caravan, was also attacked. Many pilgrims were killed, while others fled the scene. The cause of the attack has not been known with certainty. Some sources say that the commander of the caravan refused to pay the Bedouin the second installment of their customary pay. Other sources say that the deposed As’ad Pasha al-‘Azm, who had ruled Damascus for fourteen years (17431757) and ensured the safety of the caravan, incited the Bedouin to attack the caravan to tarnish the reputation of the governor who succeeded him and refocus attention on his rule. The goods the caravan carried on the way back were certainly tempting for the Bedouin to launch their attack and loot the caravan15. The Commercial Importance of the Pilgrim Caravan for Damascus

Damascus and its countryside benefited tremendously from the gathering of thousands of pilgrims in the city each year. Many pilgrims went on the pilgrimage more than once, either for religious reasons or acting on behalf of ailing persons who paid for their expenses. Merchants also posing as pilgrims went on the pilgrimage more than once for commercial purposes. The probate inventories of Damascus give detailed information about the belongings of deceased pilgrims, establishing the types, and sometimes the origins, of the goods they carried with them. Merchants also sent their merchandise with the pilgrim caravan, benefiting from the security provided to it. Indian textiles, spices and perfumes from the Far East and Yemeni coffee were traded in the Hijaz for rugs, precious stones, and textiles from the Arab countries and from Turkey and Iran. Coffee, a major product exported from Yemen through the Yemeni seaport of Mukha (hence Mokka coffee in the West), was transported with the Damascus pilgrim caravan to Syria and beyond. A letter sent by merchants of the English Levant Company in Aleppo to their superiors in London dated 19 October 1726 mentions that “the Hagis (Arabic for pilgrims) are arrived and have brought great supply of coffee”16. 15 16

198

For a detailed study of the attack on the pilgrim caravan in 1757, see Rafeq, The Province of Damascus, pp. 213-222. British National Archives, State Papers, 110/25, pt. 2, letter dated 19 October 1726.


Despite the religious controversy surrounding the drinking of coffee in Yemen and in Syria and the Ottoman Empire at large, and the ban enforced on coffee houses by the Ottoman authorities in the sixteenth century because of unbecoming behavior and political conspiracies that accompanied the consumption of coffee, Yemeni coffee soon dominated the local markets in the Ottoman Empire. The Europeans took Yemeni coffee beans and planted them in their colonies in the West and East Indies. Colonial coffee then became a major rival to Yemeni coffee and eventually dominated the markets of the Middle East on account of its cheapness, though not its quality. French coffee from Martinique, for example, was first sold in Syria in the early 1730s. Colonial coffee imported through Syrian seaports deprived the pilgrim caravan of its monopoly of carrying this popular beverage from Arabia17. There were, however, other products that were carried with the pilgrims into Damascus and beyond. The eighteenth-century Damascene chronicler Budayri, for example, mentions in the events of 1751 that the arrival of Persian pilgrims into Damascus, carrying a variety of goods, including gold rupees, gems, beads, and shawls, stimulated commercial activity in the city18. The probate inventories of Damascus give detailed information about the belongings and goods carried by Syrian pilgrims as well as pilgrims from Anatolia and the Balkans who died on the pilgrimage19. The court records themselves occasionally refer to goods carried with the pilgrim caravan without giving specifics about their content. In a rare court document from Damascus dated 3 Sha’ban 1119/30 October 1707, a group of Rumi pilgrims were robbed by highwaymen near Antioch. The goods stolen from them included several loads of shawls and saffron20. A report by the French consul in Damascus, dated 30 March 1842, gives details of the quantities of goods carried by the pilgrim caravan that returned to Damascus on 28 March of the same year. The goods included 225 loads of henna (coloring substance used by Oriental women for their hair and nails), weighing 2,250 rotles and valued at 120,000 piasters (30 thousand francs); 40 loads of mokka (Yemeni) coffee (originally 90 loads, but 50 were stolen en route), weighing 4000 rotles and worth 140,000 piasters (35,000 francs); and 20 loads of Indian cloth for turbans, each load consisting of two bales and each bale contained 100 lengths of cloth and worth 800,000 piasters (200,000 francs). The caravan also carried jew17 For the carrying of coffee with the pilgrim caravan to Damascus and the controversy it generated, see Abdul-Karim Rafeq, “The socioeconomic and political implications of the introduction of coffee into Syria, 16th -18th centuries”, in Le Commerce du Café avant l’Ère des Plantations Coloniales, ed. Michel Tuchscherer (Le Caire: Institut Français d’Archéologie Orientales, 2001), pp. 127-142. 18 Budayri, p. 161. 19 For the belongings of deceased pilgrims, see Colette Establet et Jean-Paul Pascual, Ultime Voyage pour la Mecque: Les Inventaires Après Décès de Pélerins Morts à Damas vers 1700 (Damas; Institut Français de Damas, 1988). 20 Law-Court Records, Damascus, vol., 33, p. 82, case dated 3 Sha’ban 1119/30 October 1707.

199


els valued at 170,000 piasters, ostrich plumes worth 100,000 piasters, perfumes and incense worth more than 160,000 piasters, and other miscellaneous merchandise. The total value of the merchandise carried by the caravan was 1,550,000 piasters or 387,500 francs21. The situation, however, changed in the nineteenth century when most pilgrims from Anatolia and the Balkans took the sea route to the Hijaz. Sea travel was cheaper and safer than travel by land at the time. The ships of the French Méssageries Impériales and the Compagnie Russe transported the pilgrims to Port Said and Alexandria; from there they proceeded by rail to Suez, and then by sea to Jiddah. The opening of the Suez Canal in 1869 further hurt the caravan economy. The caravan that returned from the Hijaz to Damascus in early March 1878 included only 218 pilgrims. Writing in the early 1870s, the Damascene author Nu’man al-Qasatli lamented the drying up of the streams of gold that had once poured into Damascus with thousands of pilgrims on their way to and from the Hijaz. He wrote (fa-imtana’a al-hujjaj ‘an al-ityan ilayha fa-khasirat jadawil al-dhahab al-ghazira al-lati kanu yaskubunaha biha dhihaban wa-iyaban)22. In his attempt to promote his religious prestige as Caliph in the Muslim world, the Ottoman Sultan Abdul-Hamid II (1876-1909) issued an order on 1 May 1900 for building a railroad linking Damascus with Medina. A year later he issued an order to start a school of medicine in Damascus that became the nucleus of the Syrian University. Both projects helped the sultan promote his Islamic standing in the Arab world and beyond23. Built with German expertise and support, the Hijaz railroad was completed in 1909. A beautiful terminal building (Mahattat al-Hijaz) built in Damascus on the occasion still stands as a historical monument, giving its name to the whole district. The ostensible aim of the sultan from building the Hijaz Railway was to facilitate pilgrim travel. The railway infuriated the Bedouin tribes who could no longer rent out their camels for the transport of pilgrims. It also failed to bring all the Muslim pilgrims back to Damascus who continued to go to the Hijaz by sea. The Hijaz railway was used during the First World War to transport Ottoman and German troops to Arabia, thus threatening British interests in the region. When Sharif Husayn of the Hijaz declared the Arab revolt against the Ottomans on 10 June 1916, the discontented Bedouin tribes rallied behind Amir Faysal, Sharif Husayn’s son and commander of the Arab force, who, with the collaboration with the British liaison officer T.E. Lawrence (Lawrence of Arabia), blew up the Hijaz Railway. The Damascus pilgrim caravan (qafilat al-hajj al-Shami) had become a thing of the past. Ministère des Affaires Étrangères, Paris, Correspondance Commerciale, Damas, vol., 1, 30 Mars, 1842. Nu’man al-Qasatli, al-Rawda al-Ghanna’ fi Dimashq al-Fayha’ (Beirut, 1979; reprinted Beirut, Dar alRa’id al-‘Arabi, 1982), pp. 124-125. 23 For these projects, see Abdul-Karim Rafeq, al-Jami’a al-Suriyya: al-Bidaya wa’l-Numuw: Awwal Jam’ia Hukumiyya fi’l-Watan al-‘Arabi (Damascus: Librairie Nobel, 2004), pp. 3-13. 21 22

200


Gianroberto Scarcia*

La città dell’Ahl al-Kahf

La vicenda dei cosiddetti Sette Dormienti di Efeso (così nella vulgata cristiana, ma la corrispondente dizione islamica – Ahl, o più spesso A¡|āb al-Kahf – non conosce certezze quanto al numero preciso di questi edificanti personaggi, né quanto alla relativa sede) è una leggenda cristiana di origine con ogni probabilità siriaca. Quei figli giovanetti di dignitari dell’impero romano ricordati uno per uno, con qualche variante, nel nome, perseguitati dal pagano Decio (249-251) per la loro fede in Cristo (nell’Islam la tipologia sarà sostanzialmente quella del monoteista tout court, del |anīf) si rifugiano in una caverna ove dormono a lungo, per risvegliarsi solo sotto il cristiano Teodosio (il primo o magari il secondo), rischiare una nuova inchiesta intorno al loro possesso di monete fuori corso (un “tesoro” di provenienza sospetta), essere poi riconosciuti come santi e tornare quindi a un riposo tombale stavolta definitivo. Accolta nel Corano, la vicenda ha ovviamente acquisito una sua veridicità storica: essa appartiene a quella categoria di cose oggettive che sfuggono per definizione alla possibilità di un superamento, o abrogazione (naskh), anche se qualche raffinato teologo, come Fat| al-Dīn Rāzī, ammette la relatività in linea di principio, in pratica l’abrogabilità, anche per gli akhbār. Ciò nella scia, pare, del giudice Abū Ya‘là (m. 1066), che parlava addirittura di possibilità di deesistenzializzazione, da parte di Dio, di fatti occorsi: ma si riferiva a fatti incresciosi, come la Grande Fitna. Superamento, peraltro, del fatto stesso, oppure della sua portata, o della necessità ovvero opportunità di menzione e memoria? Non è certo il caso dei nostri Dormienti, Fatto/Monito per eccellenza, dei quali si precisa anche la durata del sonno: 309 anni, probabilmente lunari, quindi corrispondenti a 300 anni solari. Questo porterebbe il risveglio a ben oltre un *

Docente di Storia, Università degli Studi “Ca’ Foscari” - Venezia

201


Teodosio, e anche a tempi posteriori ai primi resoconti cristiani. Peraltro Decio, storicamente attivo tra Pannonia e Mesia piuttosto che sulle rive del Mare Nostrum, è solo l’archetipo, il simbolo del tiranno pagano. Della cifra sono state escogitate interpretazioni varie sul piano mistico ed esoterico, non oggetto del nostro interesse specifico in questa sede. Comunque, se qualche cosa è stata autorevolmente detta sul quando, nulla è stato detto sul dove della medesima vicenda: a rigor di logica un luogo compreso entro i confini dell’impero romano, ma che fantasia e devozione hanno rintracciato anche a grande distanza all’esterno di quelli; soprattutto verso Oriente, bisogna dire, e soprattutto nel mondo turcofono, tramite forse per una diffusione via mare ancora più in là. Ma il Mediterraneo primeggia, così da potersi sostenere che, se c’è una località che possimo veramente riconoscere come pan-mediterranea, nel senso che la ritroviamo pressoché ovunque lungo le coste – a poca distanza dalle coste – questa è la città che ha ospitato la Gente della Caverna, reperita un po’ dappertutto tra Siria e penisola iberica. (Verrebbe da dire fra Tarso, o Tartus, e l’assonante Tartesso, lo speculare estremo occidente del Mar d’Occidente, o di Siria, passando, come mi viene autorevolmente suggerito qui da Muhamed Hassen, per l’altrettanto assonante Tarshīz/Tunisi). S’è detto mondo turcofono; ma può osservarsi che risultano privilegiate località le quali hanno fatto parte dell’impero ottomano, dove il culto degli Eshabikehf risulta diffuso più ampiamente che altrove nell’Islam. L’impero ottomano è del resto il nuovo impero di Rum, anche in ciò erede dell’impero selgiuchide di Anatolia, verosimile responsabile primario della grande diffusione. Motivi iranici non mancano certo sullo sfondo, dal colore rosso della montagna cava ospitante i Dormienti alla collocazione in apertura d’anno della loro celebrazione siriaca, in suggestiva corrispondenza funzionale con il curioso motivo cairota di un risveglio annuale di “fantasmi” in prossimità dell’equinozio di primavera. E la collina di Muqattam è una delle località candidate alla bisogna. Luogo in ogni caso, il Cairo, dove possibili iranismi fatimidi si incontrano con ancor più plausibili iranismi bektashi, quindi ancora anatolici: anatolici e selgiuchidi, appunto, essendo importanti elementi cui tra poco accenneremo a proposito di altre localizzazioni. Nell’Iran in senso proprio, peraltro, poche Grotte dei nostri Dormienti: una celebre identificazione afghana occorre per la verità in terra uzbeca, e a Jīroft una città di Deciano significa solo qualche cosa come “sito antidiluviano”. Ai Sette, beninteso, sono dedicati anche luoghi sacri del mondo cristiano, sviscerati accanto agli altri da Massignon: ma si tratta di luoghi dedicati, non di sedi storiche. (Il più vicino a chi parla - forse proprio per questo un devoto anche lui di quegli autorevoli esorcizzatori del demone dell’insonnia - si trova sull’Appia antica, a non più di duecento metri dalla sua casa romana, e ospita vestigia pittoriche di notevole antichità). Neppure di tali santuari ci occupiamo naturalmente qui. Dobbiamo osservare però che anche nell’ambito del dār al-islām la collocazione 202


degli A¡|āb al-Kahf è sui generis. Non mancano infatti, in Islam, luoghi dedicati a santi in quanto loro maqām, luoghi di passaggio che pur possono apparire nelle sembianze di tombe, in quanto il più palpabile segno di presenza è dato appunto dall’immagine di stabilità offerta dal sepolcro: un sepolcro ovviamente vuoto, un cenotafio, un heroon per adottare un linguaggio classico. Qual migliore segno di immanenza, infatti, del segno della morte? Il sepolcro dell’Immortale è il simbolo sensibile dell’intelligibile. Basti pensare che la regione di Antiochia conta – dovrebbe contare – 365 cenotafi dell’immortale KhiØr. Ma i nostri Dormienti devono essere effettivamente, da qualche parte, morti e sepolti. La località deve quindi esistere ed essere teoricamente reperibile, pur se, al solito, il miglior conoscitore dei fatti è sempre Dio. La più antica indicazione in Islam, attribuita a Ibn cAbbās, è particolarmente singolare: la grotta in questione – per i cristiani rinvenuti presso Efeso – si troverebbe a undici giornate di distanza a occidente di Tarso, tra Amorium e Nicea. Poiché si danno nelle mura di Nicea le “porte dell’Ahlikehf” e si danno specularmente, ad Aleppo, le “porte dell’Ahl al-Kahf” (e di cAmmuriyya), si avrebbe la tentazione di emendare l’irreperibile fonte originaria in un: a undici giornate a occidente di Aleppo, passando per Tarso e per Amorium, e non oltre Nicea. Tarso e Amorium sono infatti candidate tradizionali, e lo pseudo-Ibn cAbbās se la caverebbe quasi salomonicamente collocando la Grotta lungo un itinerario plausibile, senza assunzione di temerarie responsabilità in merito. Quanto alle porte aleppine, di lì si procede verso Qinnasrīn, cioè verso sud, si potrebbe obiettare; ma poi, dal bivio di al-Afārib, si piega verso ovest. Amorium, città quanto mai illustre ma oggi mero sito archeologico in attesa di scavo, occupa un posto importante nel martirologio cristiano, ma non certo in consonanza con l’Islam. Tuttavia custodì nelle sue viscere pagani esempi di scritture sapienziali: il tema del raqīm, dello scritto nella caverna, vi è quindi presente. Tarso è – come è noto – la localizzazione prescelta da Tawfīq al-H.akīm e dagli arabi in genere, siriani in particolare, che frequentano tuttora il ben accudito santuario, spesso inserendolo come tappa (una tappa assolutamente inusitata per i turisti occidentali) nel ricco programma del viaggio culturale in Cilicia. Un mio goffo balbettante tentativo di appurare l’eventuale appartenenza nusairi – chissà… - di alcuni siriani in visita è stato recentissimamente frustrato da un seriosissimo capogruppo turco hanafita dalla pomposa loquela arabo-classica. Il mio interesse per un sopralluogo in quel di Tarso aveva due motivazioni principali, facenti capo a un analogo, o contiguo, elemento di contaminanzione cristiano-islamica: né più né meno che le tracce più cospicue ovunque reperibili della presenza di un cane nel sacro locale. È là e solo là, infatti, che compare in arte figurativa, in ambito siriaco-armeno, la tematica del cinocefalo folgorato come Paolo – anche lui, essere selvaggio, o comunque subumano – dalla rivelazione pentecostale; è là e solo là che compare in letteratura, grazie guarda 203


caso a un’interpolazione nella traduzione araba del testo latino di Orosio, l’inserzione simultanea di un Cristoforo e degli Ahl al-Kahf in un non nutritissimo drappello di martiri cristiani di Antiochia; è là e solo là che compare nella tradizione popolare una versione tarda della leggenda dei Dormienti (meglio ancora se solo quattro, e non sette, come in varianti islamiche) che ne fa delle creature gigantesche, “sansoniane”, fornendo un altro tramite tematico con quella presenza del gigante selvaggio e buono, oltretutto compromesso anche lui in faccende di monete fuori corso, per l’appunto il cinocefalo Cristoforo, che in altra sede io propongo quale incarnazione primaria del celebre cane dei nostri Dormienti, incarnazione divulgata come tale – come cane e non come cinocefalo - dal buon senso e dalla ragionevolezza dell’Islam. Islam che il suo cajīb e il suo gharīb, quando se lo figura, lo pone in qualche isola misteriosa ai confini del mondo, e non nel cuore del mondo civile. Armeno di Cilicia, o nobilitato da armeni, anche il toponimo Lampron che, corretto in qualche cosa di assonante con Nembrotte, avrebbe condotto all’ennesimo “gigante della montagna” anatolico; ma, naturalmente, anche un preesistente gigante, selvaggio prima, |anīf poi – una sorta di sintesi di Nembrotte e di Abramo – avrebbe ben potuto influenzare la rilettura. Non torno qui su quella mia ricerca, mi limito a ribadire qualche risultato del sopralluogo di qualche giorno fa, il sapore antiocheno della cultualità locale, che appare a tutt’oggi di grande evidenza. Non ultima, certo, la dedica a San Pietro della chiesa, oggi Eski Cami, trasformata solo nel 1415, da Safahettin dei Ramazanogˇullarï, interessante lectio difficilior nella città di Paolo. Senza dire che il Budrus di certe tradizioni è anche indicato localmente, senza incertezze né alternative, quale testimone per eccellenza del fatto sacro. Tanto poteva già sospettarsi; ma quel che mi si è imposto come suggestione nuova, e di gran peso, è cosa connessa con il culto locale, altresì, di Daniele. La pretesa tomba di questo profeta - in concorrenza con quella più rinomata e meno implausibile di Susa/Shush - ubicata sotto la moschea di Kubut Paşa e finalmente fatta oggetto di una campagna di scavi scientifici che la restituiranno senz’altro all’età romana è palesemente contaminata con la grotta dei leoni, altri animali addomesticati e civilizzati per virtù divina. Il che potrebbe avere anche minore impatto – non superiore a quello più generico del raqīm di Amorium – nella repertorizzazione delle varie formelle costituenti la possibile costellazione del grande, complesso motivo del Sonno salvifico, se il leone della tradizione abramitica non fosse, ch’io sappia, l’unico altro appartenente al mondo animale subumano che possa e risorgere e dormire ad occhi aperti, giusta l’interpretazione pressoché unanime dei commentatori, e fin di certi vernacolari riecheggiamenti tardo-cristiani dei versetti coranici, del sonno dei nostri martiri, terrificante a vedersi proprio per questo suo sembrare morte. Nel cristianesimo orientale, il motivo si stabilizzerà in quello dell’anapeson e dello “occhio sempre vigile” del Cristo dormiente, mentre, in certo senso paradossalmente, sarebbe l’Islam a fissare, facendo del sonno una morte 204


provvisoria, un’incoscienza precaria e sublimabile, quello che dovrebbe essere stato, pare, il fine teologico ispiratore della leggenda cristiana, e cioè la veridicità dogmatica del dogma della resurrezione dei corpi, da certe eresie negato. Quanto alla grotta vera e propria indicata come quella degli A¡|āb, una giornata sola a monte di Tarso, là dove la rudemente dolce Cilicia arcaica – come agli occhi di un Edipo accecato dalla devastazione blasfema della costa - si riprende e respira in un idillio agreste tipo Colono di vigne, ulivi, pampini, fichi e melograni, nel mezzo di un esclusivo cimitero ormai saturo di defunti privilegiati e costretto a rifiutare nuovi arrivi, essa corona un precinto festoso più simile a quello che i turchi chiamano piknikyeri che a un luogo di severo raccoglimento. L’aspetto generale del complesso è decisamente moderno, frutto di ulteriori sistemazioni intorno alla moschea del 1289 dell’Egira. Speleologicamente interessante, credo, la grotta presenta un’escrescenza rocciosa dalle sembianze, senza nemmeno grandi sforzi di fantasia ma indubbiamente barando un po’, non tanto vagamente canine (Fig. 1).

Fig. 1

205


E arrampicandosi ancora più su per il Tauro, ecco il castello di Nembrotte, oggi dominante lo yaylak estivo dei conterranei di San Paolo che preferiscono la villeggiatura montana (Fig. 2). Ed ecco anche l’occasione collaterale di pensare, guardando quel Sinep Kalesi che nell’antico sistema difensivo recepisce a valle i fuochi di segnalazione del Gigante e che ricorda il nartece del Duomo di Casale Monferrato (Fig. 3), come persino i tempi delle vituperatissime crociate fossero sovrastrutturalemente ben più produttivi di incontri di quelli attuali della vana contrizione. Di aspetto paesaggisticamente più ovvio, ma monumentalmente più antico e nobile, è la località prescelta quale sede della nostra Grotta dai selgiuchidi presso l’attuale cittadina – non più villaggio – di Afşin, o Yarpuz, antica Arabissos-Arbassus-Absus-Afsus, nella zona di Elbistan, lungo i confini nordoccidentali della regione di Marash, quindi sempre in ambito in senso lato siriaco, e anche siriano. Selgiuchidi in contatto con siri, e ancora con armeni, dunque: e non dimentichiamo che Qïlïç Arslan, il primo dei Romani di Conia, era stato - almeno secondo Matteo di Edessa e Michele Siro - una sorta di provvido protettore di quei cristiani orientali gementi sotto il giogo della chiesa greca. La quale peraltro poteva avere anche’essa, là, una sua Grotta dei Sette Dormienti. Non fu necessariamente in rapporto, comunque, con la nuova alleanza con i bizantini (1162) che Qïlïç Arslan II (1155-92), entrato in Antiochia nel 1159, pensò di valorizzare anche cultualmente la sua nuova residenza, conquistata sei anni dopo in quel di Elbistan. Residenza, o “satrapia”, secondo la terminologia degli storici bizantini (per i quali i turchi sono perlopiù definiti “persiani” in perfetta simmetria con i nomi firdusiani di quei principi), a indicare quella che, secondo l’uso altaico, era piuttosto una proprietà privata del principe del sangue che non un “feudo”, o iq¥ā‘. Viene dunque fatto di pensare a una sorta di “cappella di famiglia” (Fig. 4) trovata in loco e adottata, provvista com’era, per di più, di un’acqua taumaturgica che ancora scorre.

Fig. 2

206

Fig. 3


Ma sarebbe stato il grande Alauddin Keykobād (1220-37) a costruire, già nel 1215, il rabāt intitolato agli Eshabikehf, con madrasa e moschea. Questa è un palese riadattamento, sennonché in Anatolia, come è noto, i pezzi antichi di reimpiego (Keykobād, per inciso, si dilettava anche d’architettura), pezzi reperibili pressoché ovunque a piene mani o piene carovane, non possono datare una ricostruzione islamica di luogo di culto. Quindi l’alta cronologia dei capitelli che tuttora vediamo (Fig. 5) non attesta altro che la preesistenza in loco di una chiesa. È tuttavia la personalità stessa di Keykobād, il magnifico e munifico signore di “Roma” che divideva le sue notti fra leture coraniche e ghazaliane e spumeggianti banchetti, marito di una cristiana almeno, che offre il destro a considerazioni interessanti in tema di contaminazioni e, in particolare, di “invenzioni” di sacre caverne, al di là della diffusa usanza, da parte di principi e no, di sposare donne “del Libro” che poi facevano battezzare i figli, se non altro per scaramanzia. Più tardi, in tempi di Lumi, accesi anche là, ci sarebbero state le vaccinazioni di cui parla Lady Montagu. Alauddin Keykubād è infatti connesso, attraverso la madre Sultan Ummuhan Hatūn altrove sepolta in quella che sembra la cripta dell’unica “chiesa selgiuchide” superstite, con la scoperta del luogo di riposo di un altro Eroe caratterizzato anch’egli dal fatto di essere transitato dal sommo della fiduciosa attesa alla morte del santo grazie, letteralmente, al messaggio d’amore iscritto in una pietra. Un’altra pietra tombale raqīm, del cui fatale lancio è responsabile l’invaghita figlia di un Cesare. È Seyyed Battal Gazi -frutto epico di una contaminazione turco-bizantina, interrato sotto un cosiddetto Monastero delle Vergini (sorta di pendant speculare femminile dei nostri pueri integri, così come le meno consuete Quaranta Vergini perseguitate da Giuliano lo sono dei Quaranta Martiri di Sebaste), e sempre sotto l’ala protettrice dell’arcangelo Michele, il pesatore delle anime, il tramite cristiano che si vuole riconoscere tra l’Anubi antico-mediterraneo e ambedue i monoteistici cinocefali, il Cane dei Sette

Fig. 4

Fig. 5

207


e Cristoforo. Tutti, altresì, sotto la guardia della grave mola, per usare un linguaggio dantesco. Questo pendant del transito sonno-morte occorre in terra frigia. Due cappelle, dunque, situate a grande distanza l’una dall’altra, ma tutte e due connesse, in un gemellaggio selgiuchide-cristiano, da variazioni tra l’esoterico e il popolaresco sul tema del sonno e del Sonno, del sonno che si sublima in Sonno. Anche il reimpiego – o semplice impiego – di segni figurativi cristiani non è eccezionale nell’Anatolia turco-islamica, ricca fra l’altro di immagini plastiche non ignoranti il raro, in Islam, tutto tondo, ben al di là dell’esegesi altaica e totemica dei critici nazionalisti moderni. Ciò nonostante, e nonostante la presenza letteraria della croce, e le notizie cronachistiche circa episodi di punizione severa, da parte dei principi selgiuchidi, di offese alla croce, sarebbe probabilmente barare un po’ – ma un po’ meno che nel caso della roccia di Tarso, con il conforto del pensiero che la cosa non sarebbe stata sgradita a Louis Massignon – vedere nella croce (Fig. 6) di riporto ai piedi del portale di Keykobād a Yarpuz (Fig. 7) una sorta di firma: una sorta, se si vuole, di battesimo scaramantico. Quel che è certo è che tutti i fili del grande e complesso tessuto islamicocristiano degli Ahl al-kahf sono ancor ben lungi dall’essere districati come si converrebbe. E non mi trattengo qui sul già sufficientemente noto, quale l’emblema marinaresco del transito assimilato a una nave da porto a porto, sul quale pure ho avuto occasione di dire qualche parola in altra sede. È tipico emblema ottomano, ma non è escluso che anche l’impresa di Crimea (1224 o 1225) dei selgiuchidi abbia chiesto protezione e ausilio al rullio e al beccheggio dei nostri dormienti ad occhi aperti cullati dall’onda. Il complesso, già a suo tempo riconsiderato dai primi ottomani, è stato restaurato nel 2002, ma, ultimamente, la Direzione Regionale dei Waqf ha varato un progetto di risistemazione ambientale che dovrebbe avere definitiva esecuzione

Fig. 6

208

Fig. 7


entro il 11-09-2008. Geometri e architetti erano al lavoro sul posto giorni fa, armati di mappe ma poco interessati al culto. Una gloria locale, senz’altro, da valorizzare al massimo anche con intenti laici: ma nonostante le profferte di un’impresa di trasporti che garantiva spostamenti quotidiani da e per Marash almeno per tutto il mese di ramaÿān, il luogo era segnato da una suggestiva solitudine, dal pensoso sussurrato raccoglimento dei pochi devoti (nessun turista, stavolta) e da un unico orante. Per una bizzarria della sorte richiamante l’assonanza del toponimo con Efeso, responsabile primaria, secondo Babinger, della diffusione del culto islamico degli A¡|āb (con implicazioni manicaiche e pauliciane che fanno pensare a un’altra moschea selgiuchide che pare una chiesa, quella dell’acropoli di Divrigˇi, altro caposaldo selgiuchide e altra sede di una grotta dei Nostri), un cartello inneggiava in zona per l’appunto a Efeso. Ma si trattava della laica, kemalisto-consumistica scolorita pubblicità di un grande magazzino, una specie di Auchan in via di sviluppo, in cui si compera e si vende di tutto, per tutta la Turchia. Fosse stato in caratteri pre-kemalisti, come resistere alla tentazione di leggervi Efsus, cioè “Ahimé, che peccato!”, con riferimento ai nostri tempi in cui tanto si parla di dialogo interreligioso, nel povero confronto con tempi in cui di dialogo non si parlava affatto, perché il dialogo era in re? Anzi non era neppure un dialogo ma un discorso comune? E del tutto indipendenti, il fatto religioso e il fatto cultuale, dalle vicende politiche e militari non meno truci allora di quelle odierne. Novembre 2007. Valgano, queste righe, come una sorta di post-scriptum alle mie Rêveries canicolari intorno a Cristoforo e ai Sette Dormienti, in Scritti in onore di Biancamaria Scarcia Amoretti, Roma, 2008, vol. 3, pp. 1109-1130, e a Gao-Basilea: un incontro/scontro di civiltà nel Dì del Giudizio?, in Il filo di seta. Studi arabo-islamici in onore di Wasim Dahmash, Roma, 2008, pp. 213-222.

209



Università degli Studi di Palermo Facoltà di Lettere e Filosofia - Cattedra di Storia dei Paesi Islamici Dipartimento di Scienze Filologiche e Linguistiche Master di Studi sui Paesi Arabi e Africani - Accademia Libica in Italia

con il patrocinio di Ministero degli Affari Esteri - Regione Siciliana - Ambasciata Libica in Italia ALECSO - Arab League Educational, Cultural and Scientific Organization Fondazione Universitaria Italo-Libica

Convegno Internazionale di Studi

La città crocevia di incontri in ambito arabo-islamico e mediterraneo Fonti storiche, letterarie, viaggi, memorie

Palermo 31 Ottobre - 3 Novembre 2007 Palazzo Steri, Sala Magna Facoltà di Lettere e Filosofia, Aula Magna Palazzo dei Normanni, Sala Rossa


Mercoledì 31 ottobre ore 15,30 Palazzo Steri, Sala Magna

Seduta inaugurale ed apertura dei lavori:

Prof. Giuseppe Silvestri

Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Palermo

Min. Pl. Cosimo Risi

Partenariato Euromeditenaneo, Ministero Affari Esteri

On. Salvatore Cuffaro

Presidente della Regione Siciliana

On. Gianfranco Micciché

Presidente Assemblea Regionale Siciliana

On. Giuseppe Gianni

Presidente della Commissione Cultura dell’Assemblea Regionale Siciliana

S.E. al-Mungi Bousnina

Presidente Arab League Educational, Cultural and Scientific Organization

Prof. Giovanni Ruffino

Preside della Facoltà di Lettere e filosofia

Prof. Antonino Pellitteri

Organizzatore scientifico del Convegno, Università di Palermo

S.E. Hafez Gaddur

Ambasciatore della Jamahiriyya Libica in Italia

Prof. Khairia Kasmieh

Università di Damasco (a nome degli invitati arabi)

Prof. Ibrahim Magdud Accademia Libica in Italia

Ore 16,30 Presiede

I seduta

Mohamed Edweb

Rettore dell’Università al-Margheb, Libia

Rita Dolce

Università di Palermo

Le prime città dell’Oriente Antico. Incontri/scontri tra culture urbane di Mesopotamia e di Siria Biancamaria Scarcia Amoretti Università “La Sapienza”, Roma

Ricordo, nostalgia e orientalismo. Intorno ad Alessandria

Salem Sari

Philadelphia University, Amman

The Arab-Muslim City: Cultural Identity and Interaction


Mohamed Sulaiman Darrat Università Garyounis, Bengasi

Dibattito Break

Ore 18,00 Presiede

La città detta islamica e spazio mediterraneo

II seduta

Biancamaria Scarcia Amoretti Università “La Sapienza”, Roma

Antonino Giuffrida Università di Palermo

Intermediazioni e mediazione nei rapporti tra Occidente mediterraneo e mondo musulmano: il caso dei Redentori siciliani Mohammad al-Haddar

University of Garyounis, Bengasi

La città dei viaggiatori e dei consoli

Mohamed Hassen Università di Tunisi

Regard croisé Orient-Occident sur la ville de Mahdia (X-XVeme s.) Khairia Kasmieh

Università di Damasco, Siria

Dibattito

In their owen eyes: Two damascene Intellectuals in Paris at the Eve of ith World War

Giovedì 1 novembre Palermo: segni dell’islam (giro turistico) Venerdì 2 novembre Facoltà di Lettere e Filosofia (Aula Magna) Ore 9,00 Presiede

III seduta

Abdul-Karim Rafeq

The College of William and Mary, Williamsburg USA

Muhannad Mobiadeen

Philadelphia University, Amman

Traveller Scientists: Acculturation in an Arab City: 18th Century Damascus as a Case Study”


Federico Cresti

Università di Catania

Viaggiatori italiani nelle città della Cirenaica nel sec. XIX

Antonino Pellitteri Università di Palermo

Sguardi sul riodinamento moderno di due città arabo-ottomane: Beirut e Damasco nei diari di viaggio dell’abate Stoppani (1874) e dello shaykh al-Qayati (1882-83)

Abdallah A. Al-Rhebi

Università Garyounis, Bengasi

Dibattito Break

Ore 11,00 Presiede

Le città libiche e il ruolo degli ulema

IV seduta

Gianroberto Scarcia

Università di Venezia Ca’ Foscari

‘Adnan al-Bakhit

University of Jordan, Amman

The city of Jerusalem as depicted by Shaykh Abdul Ghani al-Nabulsi in his travels to the place Brahim Abdelkader Boutchich Un. Moulay Ismail, Meknes, Marocco

Kairouan, un centre de rencontre de voyageurs pour le commerce et la culture au moyen Age Axel Havemann

Oriental Studies, Berlino

Tariq Ali ‘s historical novel ‘A Sultan in Palermo’ - how much fact, how much fiction? Stefano Pellò

Università di Venezia Ca’ Foscari

Dibattito

Ore 15,30 Presiede

La città pensata: Lucknow come crocevia letterario V seduta

Aldo Casamento

Università di Palermo

Adriana Chirco Architetto, Palermo

Da Panormo a Balarm, dal sistema di città antica a capitale normanna


Marco De Michelis Università di Genova

La Sicilia passaggio per le crociate, non terra di crociati

Maria Amalia Mastelloni Museo Regionale di Messina

Dibattito Break

Ore 17,30 Presiede

Messina nei secoli XI e XII: correnti formali romaniche, bizantine e “arabe”

VI seduta

Antonino Buttitta Università di Palermo

Mohamed Afifi

Cairo University, Egitto

Cairo by Arab and Muslim Travelers in Ottoman Era Carlo Giordano

Università di Palermo

La città di Delhi luogo di trasmissione dei saperi islamici: il caso della rihlah hindiyyah dello Shaykh Mawlana Khaled Abdul-Karim Rafeq

The College of William and Mary, Williamsburg USA

The Socio-Economic and Political Impact of Pilgrim Travellers on Ottoman Damascus

Gianroberto Scarcia

Università di Venezia Ca’ Foscari

Dibattito

La città degli Ahl al-Kaf

Sabato 3 Novembre Palazzo dei Normanni (Sala Rossa) Ore 9,30

Workshop sul tema “Città e interculturalità”

coordinano: Brahim Abdelkader Boutchich Un. Moulay Ismail, Meknes, Marocco

Antonino Pellitteri Università di Palermo

Arch. Francesco Mannuccia ONG Lapis

Ibrahim Magdud

Accademia Libica in Italia


interventi:

Ali Mustafà al-Misrati

scrittore

Mohamed Miludi

Università al-Fateh, Tripoli e Presidente del Comitato al-Madinah al-Qadimah

Dibattito

Tripoli capitale della cultura islamica 2007

Partecipano giovani ricercatori, dottorandi e studenti del Master di “Studi sui Paesi Arabi e Africani”

Interventi previsti: Giuseppe Bonaffini, Isabella Camera D’Afflitto, Mohamed Edweb, Monica Ruocco, Maria Amalia De Luca, Giovanni Montaina, Maria Giuffré, Abdelmajid Kaddouri, Abdrrazzak Moaz, Abdalla T. Masoud Saad, AlBoughdadi AM, Ali Abdel Mtaleb ElHuni, Malek MA. Bushheua, Baej Ziad Ali K., Saad Omran S. Nafo, Lotfeya ElBasher ElGbaily, El Khayat Fekri Moh. S., Abdurazak Mohamed Khams Ganbur, Farg Mohamed A. Al arabi, Attia E. A. Elfeituri. EVENTI SPECIALI

Mercoledì 31 ottobre Palazzo Steri, Sala Magna

ore 9,30

ore 11,30

Solenne cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Lettere allo scrittore libico ‘Ali Mustafà al-Misrati

presentazione del volume degli Atti del Convegno “Mondo Latino e Mondo Arabo” (Palermo, 23-25 febbraio 2006): Antonino Pellitteri Università di Palermo

S.E. Al-Mounji Bousnina

Presidente della Arab League Educational, Cultural and Scientific Organization

Amb. Bernardino Osio

Presidente dell’Union Latine

• Comitato Scientifico Organizzatore Antonino Pellitteri, Ibrahim Magdud

• Segreteria organizzativa Carlo Giordano, Jessica Giordano, Maria Grazia Sciortino, Maria Antonietta Salvia, Augusta Troccoli, Nino Mangiaracina. • Facoltà di Lettere e Filosofia Tel. 091 6560256


96

+ > - & @e > < W I' 6 = L $ $4 : 222 $ 4 5/ `;<M ) & 6 N4 " $ + 4 V % &#/ 2 f 6 # 6 N4 : = # + & / &#/ + 3

% "U & @ " & !+ # 4 `;<M ) < ? & - "% : &4M e > ( - - 0 0 @ # + &4M

G e 2 3 4 g / " $ . 5 & % " 4 / " + 2 $ (

N4 " $ + $ 0 + > L= % 4 9 >" #/ "4 . ) 4 S P " 64 " h @ K 6 @ " 4 = : % ` 6 2 @< W '

+ " # $ # 0 @ $ 5 @ & ' $P " 4 6 0< /- &3 4 + > ?

= % 2 " # : 4 &4 ( /K >" 4 K

+ < W 4 & + $ .4 @ $ * + $? $ "< P4 > < W I' 6 # = $ % 8 4 G

2 ? 2 ? 4

217


95

- _= 2@ [ 4 + 4 . 6 5 2 4 A + $? 8

N $ 4 9 0 ' > & + $? & L & 6 K > ) 6 8K N `. $4 6 N4 " $ + 8K 2 a ) + . - > K = + bZ > 6 N4 " $ + $# . # + 4 V % N 0 I_

6 ? . + N 222 " 8c . N

+ R `. !4 8K 0'

+ & ) >" W 1' P >5 : ! @& % "S > & 5 G 0 % >@ & / @& ) !4 " $P % " / " 4# "% 5 $ 8 222 # : ? 4 2 # / @ # @(# # L " # R " * * #4 9 4 6 , 4 - R

L= % > 8K 4 6 .4

" L= % >7 # 4 : 4 + @#

+ 3 @ &+ `. 5 $ + 8K " .? 6 4 9 2 )K >" 6 " > ?<?

6 & !4 ! " #$ % &

> $+ < W @ + + $? $ 0 # $ @

" @ $ ' # " 2 &4 - )- 3 4 L= % @ A > $ +

7 K + , 6 + 3 4 6 .4

5' P 5 4 %

$ N+ @ >: G % . + Ed 6P 4 \#4 54 $ + , 6 1H R 7 # . N T 0 " 2 &3 # L 4 &#$ : $ K " 4 > $ +

, 6 ) " # ? + 2@ = K : L44 " >: ) # + 3 5 % # # # 4 4 % 2E " M

0 0M # K : 3 :

2 W : 7 W "!6 + @ /= ! " 2 W &+

218


94

> 6 R " $ + $# ' # # # 5 4 % " 2 6 N4 " $ + 4 V K &6 #

? + $ " " 4 K : 4 + 3 " " :# 0 # L4 $ , W . 4 " 4 3 : $ Z$ ( A 2 & X $ @ Y5 64 & R = > W % 4 $ I =

2 $ & =

: 5 4 >: 4 &4 & 5 % + K : ?! ) & + 2 ? + " K / @ ! & # > ? + # # E F ? E >' # % @ 6 + G P 4 ? @ "%

" 2 ' # ? ) [ I#/ > ' 4P > $# $ + / . 4 + E 4 ' # & $ @& 2 " ' # !6 % 0

T 4 & + \ 4P + ? # " " 4 $ + " " $ . : * 6 & - # T 4 8S P >]6

2 ? : - " - > # # # 0 ^= * 3 " : 4? " . F A 4% " 2 ? + 4 " @3 # " $ # $+ R $ " $ + $ " ' # &4 P "

$ 2 / $ - 64 @ / > 6 R 3 # 5 # E 4 > $ G P + L ' # + 5 % $ + $ - @M . # " $+ 2 & # Y5 % + 219


93

! " # !$ % & '( ) * * + # , $ , ( 5 2 ! 3 4 1 - . /& ' - * 0 $ 3 , 9 ! :; <* = % 3 8 2 6 7 #

1 >

* # / ?% ! " 9 3 ! # * 8 ! " 9 % 5 * !$ ! , ( ! 9 3 3 ? !$ 1C B A @;>

1 D E # ( F ($ 4 53 !G =F& 8 H& 5 .$ 9 3 =! % 5 6 " 9 3 4 I" K L " 5 9 ! 1 " " . 3J < =! 8 9 3 5 3 * ? , ? M , 9 3 * 1 >

* ! "

! # M " * # *J ! G7 ! 9; F& 8 ;3 ! .

! # ! 5

= 3 8 " !3 3 F#N"O # P 3 3$ = 5 Q 1 5 ! > ! # ! ; > = 5 M3 ! :; <* = "3 8 3 %5 #5 ?R " %5 " ? 5 !

* # * # 5 5 ( * 9 9 3 S 3 1 5 ! > ! # ! 4 J /

# F T " . 9 @ 3 7

220



91

21

J 4 $ & " % () 6??Z 1 2 F 1 $ ( % () & 6??[ 1 6??a O = ( 1

() + 0 + "

1

1$ #3 < )k 9 % ] % F $ % 4 % 0 1 ,* 2 K " % ' . & ) "' + 1 # 1 " 8 < > % 6

CE 2 P ^ ' F9 7 117 -3 2 GH;* [ =9 : Bh 118 -O 2 `LaH 6e 119

222


90

20

F () & ( &C "> ' , - 1 3% ( < , &

6???> ' , - ) 2 ' - ( 2 ) ) "

' & " + I / 1 F ' () F( K$

F + 8 5

() F @ + 1 " < ) +I 9) +

F + 8 , , 6??L % + + c 3) "4 ' &O) " + 31 ` 1 6F < ' % ( < - G 8 D , $ 9 > # % () 1 " ) C + 9 # # $

0 / _ F _ # + 4 $ &

) "D % 6??M# ( 1

) " ' '$ K$ #3 - % ) " +

+ % ( "??SR + < N - < %

- + K$ 6 # 1 ,* < ) $ F 9) c , X () ' 2 ,3 #@ 6??T 1 8 2 X ) ( ( 2 8 * "

> . < ' () + "/ 1 + K$ & "/ +% + 2 # 9 / ) 1C) "F + 8 G 8 "< = #

6??U < () $ +I 0C +G " 84

+ O) " ( 1 # ` 1 c 5

+ G$ c% 6( 9 % # 1 8I ' % ] c f D 0 ( 5= = ) 2 ] * & ( 0 64 5= ( '3 () @ 8 2$ 4 1 2 2 2$ # " ' 8 2 0 $ 4 5= O3 2 * 111 03- 2 0P ^ %L <H; 112

40 2 GH;* [ =9 : Bh 113 452 ^ ; i CE2 ^ %H ( _ 114 03- 2 0P ^ %L <H; 115 0 2 CP `LaH 116

223


89

19

& @ 8$% " d (, + J& () 28 l# ) ( ' 8 8 2 ' " f = = & > = l# ,

6?bT 2'3

+ @ 3$ " 5B A #3 & , $ F $

2 ) & 1 $ ( = 4 4 1 @ ( (

6?bUA 454 J&+

V #3 ,

) " ( 8

11 < . & d > 8 4$ V %+

+ = - 1 $ % , 6 '! @ ?bZ 18 +

6 + % ( 1$ ". & ( & c 1 V " $ ( 6. & d $ ( = ` 1 D $ ( < , 4 0 V $ +% () ( 8 - D ! 1 8

"?b[( 8 H ) f ( C ! # 1= F

&

2 8 3$ % 8 6?ba( & + 0 43 1 6??b#1= ( ) ; ( %0

" ' / 1 + 3 ! 5 ,=

/ 8 " ; ` 1 2 $ "/ = < = > %= %0 " 7 # 8 ( 2 K $ (8) e & # C D

C4 2 `LaH 105 CO 2 4P ^ ' 106 ^# S ;b~ F "# % a= g) Q "I } T u <*; ' " j X T kH 107 H S : 6= K I % h; *d K 9 7 w <H a= jV m) ' b 4 & bH l \ 055 & bh Bh Q jL_ 05 2 ^ ; 108 4- 2 `LaH 109 C4 2 `LaH110

224


88

18

& F K$ ( #1= - 1 ) "( $ / - " ` - 2 1 9% & $ 2 8 D + ` - 2 1 9% & ( 4 $ ( # . & 6aa

" : "% 84

2 $ & $ (, $ X $ # ) . >

6?bb + % , $ "R # < $ # N "(

& " (, $ () D $8 + % 4 % & 0 0 < () 0 9 #@ < $ # 3% 8 ` - /

J&+ (, $ ; ( ` 1 $ - ) O) "?b? - + & - # < $ F

X

) "> $ < ' ( , "D 1 # ( 1 $ 1 * # #

# > 2 - " - # 1 . > !

, & () D @ f (, $ $ - # 6?bL 6?bM + ( 8 9

F $ $ 3I " ' 8 5= 1 #3

$ @ ( 3$ + $ ' () ( C " , $ G8 " - ' 8 - "4 5= ( 4 & ( 4 () ) V A 0-O 2 ) - $ ( " + $ &+ 6?bSD + +

C 2 0P [#B ^#9 %BXF i - 2 P ^ " 7 D O 2 ^ ; 99 E5 2 0P ;a Y 100 0 2 ^ ; 101 - 2 `LaH 102 05E 2 `LaH 103 C4 D C0 2 P ^ ' F9 7 104

225


87

17

6 aL2 - 2 8 ( 8 ( C ` ( D ( & < 2 % ! () , 2 "< - 8 0$ , =

() D + \ % < @ # , + , + "aM + 6aSD $ < '

2 8 2 % () ) " ( = ` ` N j + ) # - "2 ) V J & $) e

6aTRF > = E

" 84

) "4 @ 3 3 ! 8 0 - ( % $

( %

+ > ) *d D 2$ 4 '1 , 9) - = 0 6aU 8 ( = 41

8 - > , 0 ( $ I 4 " - & - 8 # C) " ; %

J . =

" +% - > \ ) " 1 # + p ) " > 2 N 4 $

- D ) 1 $ D - % K+ "aZR G < + 9 %

( 3 / () 2 J& ' + 8 - # 6 # $ - N + <35 # I & 4 ' " i I

6a[R + 0

[ \! ( )* = B_ %X B E4 - - - 2 P G 6HI [ =9 * %w a 7 92 P = I 7

i 452 -O5 : W6 6 ] z " : ;< % Z

0 0 - 0OO2 -O5 : % # S " %X , 6 ) & aVI ; 6 ) ( )* ?9 7 o b ?9 7 93 O4 2 % j X 7 %) 7L) ; { T V * kH

0P & 9 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ > ? |aH ' 94 %L 6HI & J 7 6 ) y 6B9 ; V * 34-2 C3 2 P >XF P B 6 95 4 2 P ^ % 96 C 2 `LaH 97 0 2 ^ %H ( _ 98

226


86

16

" 0 . " 9 84

( @

) "< $ 0 % () 5 ) 4 G & @ F $ ) "( $ # % () 1 " 8 ( = _ J& & ( 8 ( 3$ 4 % - & " ' + % 4 @ > - $ # , 2 - > & (' 0 ] % 6[Z-1,=

6[[ ( 1= f ( = j +% &

) ( = % ` 1 - > = % D % V % +% + = %

# , V A 455 #% & "A 4

6[a % D % < 8 % + - , & 8$%

= $ 43' F $

X V $ +% (+) +% I + + ) + $ 4 ' , " + $ 0 - # "\ 8 G) N & ( = ( ( # $ $ 2 % - 0 > #$% D + 2 "abR2 '

6a?RJ D N

= $ 43' H F k ( 8

0 # # - " + F - &

& 0 $ $ ! $ & 4 $ 0 , % < - # & 4 5 # " 1 E 9 f 3 ) " 5 ( > $ ( E F 1 8 8 2

O-2 ^ : , 7 87 & 9 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ [ b a : Bh 'A < 88 CC2 P C- 2 P ^ ' F9 7 89 C0 2 4P [#B ^#9 %BX6 90 430 2 P ^ &;\ 7 91

227


85

15

4 = / 4 % ( R , D N 4 ) D + 11 6[b D +

( # F $ K$ % #3 ( %

$ J 0 4$1 "A 45 () ( 1 6[?A 454 7 % & ' () & ( & + . (

, 1 # , + ' & ' D $ ( , 6[LR4 &$ F , + )N - ' ( %) 1$ D C D ) - ( 1 $ . & 9

' 8 0 #

* G " ' \ 3 # " 4 2 / $ ) " k $ ) " % 6[M % ()

& " : & D F K$ % 1 1 8

2 4 $ & ( + ( ( + ` =9 y l=RP # ) $ 6666 I > ,N j2

D F

$ * 6[T. 9 % [S1j=

@ 1 + ` 1 6 . ! 9 % ( 31 G $8 # N - & () ( # 6 G () + & 9 %

, () G ( + # ) " + , + F $ 4 ' () &

6[UR

EO 2 ^ ; 80 E E4 2 `LaH 81 2 ^ %H ( _ 82 4E- 2 0P ^ %L <H; 83 2 GH;* [ =9 : Bh 84 3- 2 `LaH 85 C5 2 0P ^ % 86

228


84

14

' +G "> %= F %

) $ - j( D 4 1 " 4 84 h

= 4 @ 1 $ " ' & ( #1= 1 $ & #

, 6 1 $ &+ 3 #I % + 1 #I , 6ZMR # N 9% " # = % ( D & ) > ' 4 1

6ZS $ , - + 1

j `, , % + 1

G - # D 1 - + ( > 0$ J 1 & /0$ +

6ZTA 4

& 0 & "( 3+ 0@ F + $ ( D ! () # ) (

6ZU4 4554 A 34 9, & 0@ & #3 +8 & -

$ F 1 O

() 31 ( 3 ( , ( #I %

" ` ) - A 3 4 + ) "' = 4 @ Q P

6ZZ(% 0 ( \ + C

f 0$ + () ( 1 $ / ) " , 6Z[> ) 05 g

"2 % < ) = & + , "( ' 8

* !4 ! h0

* 0 %

d "( 3 ! 4 @ () 3 ! 8 F + $ , "ZaR ,N 4 1 () ) , , 1 1 "

00 2 eB M K;b c d 73 05 2 ^ t A % 7 74 0- 2 0P ^ ' F9 7 75 0-4 2 `LaH 76 C3 2 3P 1: ". % " % Z [ \! " & 6=B j :;_ 77 & 9 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ H a LJ R H 78 - 2 P E4 2 P & B ' F9 7 79

229


83

13

( ( ( 3$ D ) 9, " F $ 9 % + #$ R " ) 1 4 D 85 2 0 % 9 ) V "A 54 D ) > $ ` "RF $ 2 = > < J , 6 ) - , F $

" 0 $ '

c , 6 1 # % F $ F '= H $ 43' $ F ' i % - / " = - + ) ' & + K$ d 6 \ ( % / , 6 ' 7 !0 + +

> %= % F 8 8 D 1 ' 1$ #3 ,

, % ' 0 - / + + ) ( 8 "F + 8 J ^ ( %= ^ % & , 6 d ) , - ( 8 (8) " 1= ( = - I ' I8 J& % - + ) 1C)

9 % , > N " F ) , 1 < # 0 R + N ( '1 l#$ 6Z?R , 1 & > * = 4 " + 5 +

6> %= ' < # - # R + N 5 G 3 " ' ( > %= < = J& 1 # ,

$ $ ( & 1 K$ F 2 ( & 4 % ' ! $ 1 $ 1 $ $ K$ " ' ( (

2 X " I % () %* I8 G$ O) " * (8 5 > + <) 6666/ * N j V K $ () 2 - , , + - + % * " 1 * + 4@ * % 8 9 ( 6ZLR + , l#@ 98 " + $

34 2 -P ^ %L <H; 71 0502 ^ % 6 72

230


82

12

= `3 " D 0% " $ % 2 F ,

d 6U? + (% + 1 > 0$ #3 - C% ) 7 - # ) " $ 4 = # D ,3 - 2 ' J , "Q P

6UL F

& F $ "F $ F '= 4 % -

& ( = ( @ ( + & "< - + ' () ( % 1 = 3$ "UM < 2 2 8 l# & 4 . , ) # & # ( "US - &

$ $ 3 ) "UTA 4O5 ( - 4 5 ( 3$ D $ - "UU ( i - 2 ' () 9 &

( ( 2 8 1 $ 4 ' & > ) F + ) 6UZ(

$ "< )k - - F $ F*; & %

F*;

D G 1 % & " + 8 F 9 G

$ F G 6U[ +% F 9 " +% < $ F 6Ua , 0 + + 1 + , 8

J # , 0 1 D G \ #

] * & () $ 8 " + . 1 # % D 0 I8 & % <) # 2 C > N $ 0 1 $ % () ( J &

6ZbRJ; 4 % +

03 2 P = I 7 61 0-E 2 0 P ^ " 7 62 -O 2 P : Fn " 7 63 35- 2 05P [#B ^#9 64 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ >XF P B 6 &;\ 7 65 342 P & 9 C 2 P -CC W X V c x = e 6 G 6HI [ =9 * %w a 7 66 355 D --2 0] ^ %w 7 67 E5DC 2 0P ^ % 68 E32 `LaH 69 4 2 0P ;a Y 70

231


81

11

# > & ". & i + ' () - ) & @ # % () 2 $ . , e ( 0 ( 2 8 - 8 #0 & * & 3 =

. "TT2 G8 2 , () 2 # , - G8

4, % ' 4 - \ % (8 "# C * +I # % c 6< $ 1 ] % & % ' ! 5 / -

# " $ , & # i

F '= F $ ) 1 4' _ $ + & % # 8 h ' D = J& ' ) $ + I% & "<0 $ ' + & F $ 6 + () + ' &

( ! 0 4 ' 3 ) () # ' & F '= ) 2 666 d I , ' N & < `8 & " & 1 () + $ F + , F ' + ) 6TUR -

+ ' 2 # ) " 4 5= f D 0 J & < O

6TZF - 2 @ J ' ( 5= = 2 4

2 1 & ( I ! < 4 ' . & - ) "#

6T[ + f ($ ! () ( " 1

+ & " F $ 4 ' 0 "2 & , () Ta

" 2 0 ( - ) & = $ - C% ) " 2 1 ' 2 81 ) > = X ) & ( = o - < & ( @ 3 ) "Ub( ' 8 0$ ()

-3 2 ] -E4 / _ ; 9 B?= ;e " B _M W FV %w 7 55 ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ [ BhI : Bh % [ BHI &; 9 B R % 7 56 3 E E5 2 P & 9 i &" I P HS E- D EO 2 `LaH 57 E- 2 `LaH 58 400 2 CP & 9I : & =J 7 59 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ Bf 7 BJ % B %BXF 60 44 2 0P & 9

232


80

10

( (% + 1 0 ( 2 , " + & () 31! () J . - 2 # 1 + 2 # & ( %

6TbF 1 % + 1 #I , () + 3 (

J % " ' ' 8 F % F & + *

0 - & () $ & "T? () & 8 , 6 0 D + # , # * - > $ " ' > C + () F 6( 3 ! 4 @ E () 1 2 " 0

3 !4 , -

F & F $ # '

0 . $) " + ]& K$ & - 1 "i )

6TLR # 8 F = < - # N 6TM # $ ' J # @

"4 & , i ) F = 1, F $

0 & K ( 1 - & () 6D $ < ' () + 2

6TS 3$ c D 0 1 8 #@ " 8 F $

) "> = 18 () # 2 4 & @ ( ' ] 8 $ (

< ' () 6F $ / @ # i ) / < - # = = 2@ - D ( . " 1 X "2 62 ) ) > = (

00 2 ^ t A % 7 50 " @ W g) X k v % W6 6V W[ _ T % # M * u <*; ' " j X ! T kH 51 X6 3 2 -- : =?

E5 2 4P = I 7 52 055 2 P `LaH 53 r _ I W A : ;< a n 7 6 ) ( )* Y 9 %w c Y 9 7 6 ) 54 35 2 10/. -O0 6 )

233


79

9

F % & 4 3 ) "2 ) () 2$ & # %

6SU > = 2

& 0; 1 2 ( +

- () ! 0 $% " 1 - 5 -

- 1 9 % & "-1,= 4 @ ' f > " $ 2I J * - () J* ) J&+ 2 0 $ , () # ( 2 0 % + - = \ & 2 K $ () ( # 6-1,= 4 @ 1 2 C) 2 ] > - $)N j>

+ # + 7 ) 2 #1 - #0 666. & 1 " = + ' / ( D @ B J& $ 6R666 % ' 3 6 = > C ' + () 8 6 f > , ( D c18 * & `

&

# 1 8 _ \ 0 ( . & () _ / = C 0 2 < () & V "K 5 # J = & # " $ ,C) " @ - % & C) ) - 31 N + J* =

6D . < , SZR-1,= 4 @ - % D +

> C ; 8 0 F 9 "#

0 = < $ 6 ' , "( 3 ! 4 @ () ( ( \ "> ) ' & 8 @ # 1= & ( 8 ( ( ( 0 ! #G () I 8 G 2 4 , + $ 2

D l# "J ' $ 6S[ 5BA #3 -1,= 4 @ . & d

4 F )! > + + . & $ $ " @ - 2 #1 # ,

6Sa' $ 9

- 2 P ^ % i OC 2 ^ %H ( _ 46 O2 -E4 / _ ; 9 B?= ;e " ;e 7 X; 6B9 ( )* h Y 47 0O2 -E0 / _ ; 9 B?= ;e " s B : *; \I 7 48 OO DOE 2 -O [ g B ( ; 6 \ ( )* r;< $ : , 7 49

234


78

8

/ 0 + .

4 @ 3 \ () 3 ! + 8 ( $ 3 )

+ + ' & $ 1 % " EB %A+ # = #3 $ ' + ) "( 3 ! $ 8 ( = ( ( / = ( 3 ! 4 @ <' (, ' % & + " +I 6 $ ) + )

2 1# 1 > , -

1 & () 1

_ V$ 0 0$ = 8 & 6SL F 2$

"( % f + % " + () > + 8 - $ D h *

( % D SM 1 = # ( % $ $

6SS 5

8 , 6( 3 ! 4 @ ' () $ # $

6 3 m = n + $ ( 2 8 () @ ,* , -

0 ' ' 1$ D ) '

( $ 0 J $ F % 9) 4 % - O) 6 $ / "> = -1,= ' = @ c 8 ' &

` c18 ' 2I 1 - , - + 8 #0 6ST +% - K + c% " ) ( 0

1 1 - X " 2 > = c ) 2I + $ . "' ) # + $ ( + / () #0 "A -3 () J %

04 2 P ^ ' F9 7 42 5C D 50 i -- 2 P ^ % 43 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ =e = I 7 44 EE2 P & 9 4O3 2 CP ^ %L <H; 45

235


77

7

$ D + J& l#$ 6MZR. - * ( < -

% ( N j2 6M[R $ () 8 N + 4 @ C +81 ( ! #$% H

#& 0 - +$% F $ - ( #

"MaRF $ 1 "F $ N > 0$ "F '$ 4 1 ( 1 2 $% " ! 'l & F $ 1

F () ' 1$ # K$ 6Sb2 C 9) 2 &

6 + $ $ - / "S? + 4 > >

#$% () " # , $ F $ 2 & 9 % & . * F $ $ G $ ( " + , 6 $ ) J & ( C () 0 () 5 ( $ 1 ,* 0*

c #1 (% * +$, + # 3 ) " 2 G &

I ' > %= - 4 ' ' + $% 6( $ < ) K "/ <' ' ) " < = 6 I + 8 + ' ( > %= K$ , - +

' + C & 1 " & < ( # $ - C

$ 3 " 0 ] % $ % + ;

& 4 % $ & V " B %+ > - \ ' 6( 3+ 0@ 4 + 1 CC DC32 `LaH 37 0O 2 P ] < X,H 38 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ >XF : Fn " 7 39 0 2 0P & 9 2 `LaH 40 " r _ I W A : ;< 7 N\ B 7 9; q Q* %L <H; 41 443 2 EP -O : % # S

236


76

6

- R $ 4 ' () 2 + "2I 4 + 4 @ $ N #,=

6Mb( $

V "> # 4&% ' + $% " $ . *

; - " $ I8 # H $ ' #% + i c 1

& 6M? + C - = #3 F 4C4 -1

"> + + 3 < 4 @ ) ) $ H

+ 8 6 () 0 9, .

+ + @ & H $ "( $ 0 & 0

2 # " I 0 N & ( 0 ( 2 8 # F

N & QA 4E P 2 8 "MLR2 & k 2 1 4% ',=

D 0@ . ! 2X & 8 3$ "MM R 1 = # ! ' 2 "MTA 54 () - R > , N & ( ( "MS 2

& ( < $ ( # ^ I 0 D& = ^ K$ 3 ) $ # , + $ + > - 8 2 "4 ' 1 6MU J X -

13 " H D + ; ^ > 8 K ^ 4 1 + 0

2 2 X ) _ F _ $ - # ( 4 ' +

) "( $ 2 + < 2 1 () 45 2 " $ 4 ' # ) 2 & E % 2 1 () c ' & $ C 9 , "E 9 4 '

350 2 1E/. -EO [ g B & 6 % = 6 ) ( )* G 6HI BJ % > 30 O- D OO 2 P ^ % 31 & 9 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ [#B ^#9 %BXF 32 5 2 P 4 - 2 CP `LaH 33 0C 2 P ;a Y 34 C5 2 EP ^ %BXF 35 0 2 0P ^ % 36

237


75

5

' ( . < ' ' + 1 $ 6 K$ ) # + ( ` 1 K$ c

0 ** # F = J& # "LTR 4 N ) 4 - >

= " J - & #1 - 64 = . < ' 8 % 3 G F O $ \ J& #1 ' 1 ) , 6 4 1 $ "2 - > I 2 &

< ' #I 4 # 1 6LU gI 1 f 2 ) 6L[ #% 0 ' "LZ4

"' + *

# * ' $ ' ( 3 ! $ ! $ 4 '

+ 4 ( 3 ! $ 6 % J $ # "2 1 ( +I D + $ + +

" 1 +

6 $ 43' # , + $%

$ ', ) F $ - + "D J& - $ 43' + i & +I D + ' 1$ () ( 3 ! h( $ & "9) - J& & 2 . & 6 ) $ 0 0

Y + N jJ; 2 V D0 $ , C >8 (: =

- %+ > - 5 V ". & J&+ , 6LaR + ) 43 4-2 ^ ' B 25 W X % " < 9 B?= $ < GHd 7 L\ ( )* [ L =) I 7 26 O- P -C4 5 2 ^ %H ( _ kH 27 GH;* l ! & 7 $ b m \ ` >h Q [ < 6\ ` kH n - 2 % ' B $F 28 T o B FX 6\ % K; )L U * % lH " ;=9 l= & ;fA % ( _ i 52 P -O4 : % # S " p; B < ( )* ;a Y % 29 5 2 ^ %H

238


74

4 I &@ % # ) ' % F*;

"- & () 6 9 #3 . & " & % ( 9 % - 1

" 18, + #1 d 4 % - "?U> K "D 2 %

2 8 # + F* % 6?Z K 2 % () 2

( 6?a 0 + #1 4 0 () "?[#

6Lb< < - 1 (I3 % + " K$ 1 + 8

3 - % 9% " % * \ % & () . * 67 = < () 9) # F * ) - + % V $ / - 8 % # $ ,

0 4 ' () " $ "L? I &@ $ 1 6 1 $ = + + & - )

' 0+% " 8 > %= % D ) = J& 4 $ *

K$ 4 , () " + 8 # F < 8 % - , $ 4 + % V "3 0 ( + $ ( ) +

< 8 () + 8 % K$ ` 1 $ * 6LL , ) 05

F 2 4 & 8$% ( 1 () F*; % " 6LM % = D % < 8

' < ' 731! + , $ # "#

& - \ % 6LS 5 3% D $ <'

E4 2 -O3 [ g B N " K;=fA 6 ( )* eB M K;b c d 16 E 2 ^ ' B 17 40 2 `LaH 18 E3 2 `LaH 19 - 2 ^ 8_;\ 7 iO32 GH;* [ =9 : Bh ; 20 & 9 i &" I P HS ( ;L = > ?Q # S W g) B 2 _ j 7L\ % 6 21 050 2 0E 0- 2 BJ $ % 22 C- 2 ^ ' F9 7 23 0-3D0- 2 ^ ^ %L "S 24

239


73

3

# ) " 1 $ () 5 "> = ) % - 8 I , - ] # - 0 D ('$ ; & (' # % \ ) % 4&% ' J& "< , -

64I # () ^ I ) ^ ) + -

; 0BA C ( ) @% ( ! 0 "2 +% 2 0 ; _ ( 3+ 0@ # , _ ( @ 1 () () 5 ; . ( 6` 1 - % # % () 1 ,

1 & () ?b , 6a +I E F 2 + , G

O - ) . & " D - 0 ( I 1 ! ; K$ * 8 () > ; + c & c18 d , 3 ) " 6 % 9 F3 ; ( " -35 - #1 F

D - (I # () $ # d ;

) ?? 6 () & % + 1 " $ ' 8 5= 1 #3 +

\ G 2 ) J& () % - # *

3 ) " %

$ % % "?L 0 + + () < Y

" % + ; 6?M + c ( K 3 + 2 ?S & J ` (8) e + 3 ; # ( % '

% " -BA 4 () ($ f ( # & % = % "($ 0 ) ( 1 $ , + ' . & 9 6 # 1 X c81 8$ 4 '

?TA 454

0O 2 ^ 1: ".W X 6 N B ] < X,H 9 0C 2 "# $ % 10 4E5 2 6 11 - 2 -CO GH;* %? L : ;< %B % ( )* * %H ( _ 12 054 D EO 2 OP %L <H; 13 35 P & B 14 E4 2 `LaH 15

240


72

2

6 > %= ) - + $% & + & % (% * +$, -

6L % 4 K % 44 # ' (' $ ' < ' () % + $ * ( D , 2 < () 5 # + M 1 ,

< * F # Q> P )O > N 2 - 2 ) "# $ C * +

I + . "S ' + & +81 "R + 4 ' * ' () 8 1 . & " + + ( #% + 0 (

6U & $ - R G N # "TR4 @ K C #% N + C

$ * V (' # % () 2 & 9, . & - 8 &

+' ( 8 , ' 3 ) " = 2% (' # " ' 4 $ + 0 ( & % 8 "F )O $ ' # = # % % ) # , # +

6 5

"' ( % ) *

W ) $ #3 ( D 05 # , "A 3 -

) " ) @% ; J 1 , ) 5 $ "D #X% "( 3 ! 4 @ () X " 5BA ( ) @% #, + 3 ) "< Y G 9 " $ % # 2) $

# 1 - "Z % 4I 9 % + + ' ( ! 1 $ + ; 6[ 1 () ' 8 + ( $ 3 ( I

$ # \ 8 # J & " # 21 1 + ' ( : @ A; < 9 B?= ' > : ;< % 8 9 ! ( )* $ 6 7 2 2 1 /. 1: ". 0E D0C 2 "# $ % 3 : N " &M;$ K L K ( )* G 6HI BJ % & B ' F9 7 4 0-4 2 P -O5 4 2 -C W X % L) K 6B9 V 6 ) ( )* U U L T ' Q?RS 5 0- 2 P & B 6 - 2 --0 : W ) " B : ;< Y I W ;R 7 4CE D4CC 2 1: ". : % Z [ \! " 6 & 6=J 7 8

241


71

"#$ % &

'( '$ ) *#+ , - - % ./# ! *$ 1+ ' 2

# 3 4 ! *$ ( "0 0 * 3# : & * "#$ !6 7 ) 3 8+ % * 9 + 5.

!> '( "2 5; < = $< "0

* # , ( ! 1 A@ 5 ' ( ?$ & * B 6 7 , ) " ' + : !. 2 C $ & < " 3 & 7 !' 2 3 ? D '( 0 & * !

'( ! *( & # ! & / ( !3 # E

5 3 F# '( $ ) :2 G ! " #$ %

'( 0 "#$ ' < G 8+ #

5' # 7 /H I 4 1 &( ! & 3%$ ;& & 0# ( ?$ 8 $ ( 4 ) 5 , * ( C I% ; &

/2 1 0/.- , * + %" &! ' () !" # $ 1

242


70

7 * *>7 *T& * 5 - J "< ! U 7P-!$$!H/)!!*"I O 1 * 2

•

7P-!#')H/)!&*) I O * # 1 * f #

•

7!#** * * $ 1 *>7 *:< . "< "< 8 U / 1& 0 / *)> * / g - - * 9 3 , 3 U 7!#*) * 9 " b *T& *3

7P-!$(%H/)!!"&I O 1 2 1 % 1 * W #

•

*a / > * - # 1 *!> * $ + 1+ ! ; 1 U 7!##( 7P-!$#!H/)!)%'I O 1 *D

•

* / *T( * < *- 1 *&> * + G U

7!#**

" + , + 7- #

•

:/ > %/ 1 3 - # 4 1 ) ? U 7#"U'' IVUV *!#*% *!a * * :

• RAFEQ, ABDUL - KARIME. - The province of Damascus, 1723-1783, Berouth. 1988

243


69

'

* * + ' )# (

// // # // 1 // - ) // & // // 1 * # //# 7

7P-!$!#H/)!!&%I O

•

* . (! * * 5 # * ) ? *#%$& -. > > *A & ' + a U P-!"&% H/)#&' I O D 1 > *

7 7 •

/25 4 2 *> > * - > % & ! 1 2 U 7 * ) ? # 7P-!$")H/)!!'$I O 1 1 1 3 *D b

•

/ **) -/. * * < $< > U

") / * / 5 * > > < # *!"* -. > % 4 2 7 . 7P-!$!*H/)!!&!I O 1 * #

•

7 7 *?"(U"(# I U * * 5 # * ) ? *$)'% -. > > * U )

•

*)((# -/. > /> *-!*H //)!) 0 # & a U

7 . , ! * * 5 # * ) ? +* + '

7P-!$')H/)!!$" I O 1 1+ *D

•

/ 1+ 1 *!> *P-!$')U!$(!H/)!!$"U!!"(O ; 1 U *4 ) * 2 *- # 7P-!$!(H/)!!)'I O 1 . ") + *

•

/ * / C / ? 1 : > 1 1 *!> * 1 ") + U 7!#** * * # 7P-!*)!H/)!)&'I O 1 1 * 244

•


68

C:&(G /

HT

6../ @!##; ( A 8 . B -. U6.....g .....E C#); Z e F, 6 + : ?./ @)%%; ( A 8 . B - C&%); < 6 =1> C))); (A 8 B - C)&); (A 8 B -

B6 F 7T

4Q-, ...................P 4O . ...................P 56317 56317

B6 / -V

56317

B6 / O .................3S HT C)&"; (A 8 B - U .......V: W 6.......S .................3S B6 A Z

56317 56317

!$(*4!!') W 7................g B-a3 !$!&4!!)" W 7................g D 67 X !$"!4!!$& W...................... 6 1 !$('4!!%# ......................... D 67 !$$!4!!*" b6......................P D a

'

a / \/ * 1 # 1 : 2 ?+

= 1 & 1 % & 1 ( 0 5 0

-/ 1 - / ) % 5 > 1 * < 2+ = + % & 1 b 1 *Pe!(C)*O 4 ) - Pe"$C!(O 7Pe)*C"$O A " b 3 > * 2 *" 1 * *3 * 1 0 / 1 * > % & $ 15 0 + 1 '() ?1 .

3 / - ? T B 1 0 C - *4 ) % & ")( B "2 % 21 - + # * # 3 " % & 2 = > + % G (# 76 5 7 ) 8 $ 5 > 0 9 # "2 # & *

-/ /# * : : . 2 0 +

/ , A/ / /. 5 - -) - + *A R -) 1 / 1 - % < . . - + # * B 7G $ \ * , 245


67

C)*!; )A 8 B -

F 7T

..=1> ?../ @*) + -..S 6..E E ?../ C$$; < 6 C)#(; )A 8 B -

fe

@(*" ; < 6..... .....=1> ?...../ C&%#; )A 8 B - B -.... @I& G + -....S -.... 1 C'; &A 8 C!!; )A 8 B -

456317.............. ] / -..................^ 4b-....................c CQ-, P 56317

U -E F PD

D

56317

O

D

56317

O

456317.............. Q-, P F \ Q-, P

....=1> ?..../ @:' G H.... .... B6 / O Q-, ..................P C("$; < 6 56317 ?.../ @&'; &A 8 ... B -... fe Q-, ..................P C("); < 6\ =1> l P3 O P C#&; &A 8 B - O ............................ 56317 Y C!!#; &A 8 B - G : E Q-, P M 6e C!)&; &A 8 B - Q-, P C&*; &A 8 B - O / O H.................P1S 56317 D

O ....... / M:- @!%" ; Z ...e F..., 6 6.../ B6 / O Q-, P C''; < 6 =1> ?/ @b"); + -S 6E E ?/ U -E F PD L6 56317 C)%"; &A 8 B - D 1 / O 456317.............. Q-, P C)!!; &A 8 B - B6 / O -........ 56317 fe @))!; &A 8 ....... B -....... fe F............S- 56317 C))); U- B - D o @)*$; &A 8 ....... B -....... fe - 56317 C"(; < 6\ B- 3 C)*; (A 8 B - .......c/ .......h V H.................P1S 56317 O P : O / C&*; (A 8 B - -........ 56317 fe @(*; (A 8 ......... B -......... O .................3S 56317

246

!$"%4!!'( ? \-.... ....3 P 1g !$&"4!!(* ? \-.... ....3 B P !$"*4!!$) ? \-.... ....3 D a !$&$4!!"% ? \-.... ....3 D - !$$#4!!#& + \-..... .....3 - 1 !$"#4!!$& ?/ + \- 3 k PE !$&(4!!(" M ...... ......3 B a !$&%4!!(& .......1c .......3 / 1 !$(!4!!"( m .....................3 / -7 !$(*4!!') n..... 7 .....3 3 a !$%#4!!)! n..... 7 .....3 Pe !$%'4!!!* ....7 ....3 Pe !$!(4!!)'

e o

!$'!4!!$% !$"!4!!'"

D R B-/_a

!$&#4!!")

B-

!$$%4!!*(

B -

!$('4!!"#

B-

!'*#4!!%! Pe !$$'4!!#! ? .... \ .... p:- !$&$4!!"" /6


66

C!$&; !A 8 B - ......e M ...... 0 B6 / C)%$; !A 8 B - B6 X / O ?..../ @!&$ ; U-.... B -.... B6 X F 7T C!'(; + -S 6E E 8 B - @:$ + -S - 1 - 1 3V O C)#%; !A C!!; )A 8 B - O @!$); + -.......S 6.......E E ?......./ C!%*U- B - !&"; U-............ B -............ C$%; )A 8 B - C$'; )A 8 B - B -.... @I$ G + -....S -.... 1 C!)%; U-

fe

D

!$*%4!!##

56317 56317

!$"4!!$! P3 \ !$&*4!!#) H ................ 0 1 1 !$(*4!%') H ................ 0 D6 R !$#(4!!%' ......................... \ D6 R !'"$4!!$* B \

Q-, P

fe

56317 56317

B6 X / O N R : h V ............h V 456317.............. :- O P 4Q-, P

@!$' ; < 6..... .....=1> ?...../ D 1.... F... 7T .........L6 C#*; )A 8 B - e : : ? g B -.... @I* G + -....S -.... 1 i.....R .....h V .................3S C##; )A 8 e A Z

56317

C!)&; )A 8 B - @()" ; < 6..... .....=1> ?...../ C!)*; )A 8 B - 8 B - @:* + -S - 1 C!&&; )A ....S-3R @I*G + -....S -.... 1 C&%"; !A F` R

56317 56317

P PR / O O P Q .jV S: O P B6 / O - E F

B -... @:!% G + -...S -... 1 ? ^ MNX C!"!; )A 8 @'"; < 6....... .......=1> ?......./ B6 O C!'%; )A 8 B - ?./ @)%& ; < 6. .=1> ?./ K ......../ D 6.......S C#) + -S 6E E +> C)!*; )A 8 B - C)!#; )A 8 B -

56317

56317 4F........................ \ 456317.............. 4N ..................R 4H...............L6 C83 / 56317

D

K / 1 6S .................3S A Z L6

56317

56317

D

56317 56317

B \

!$$(4!!** ? ....................... \ B - !'#!4!!%' Pe Q_ \ !$"#4!!$& P g H T !$!!4!!)& H.......................... T D g !$$)4!!*# 5 H T

!$()4!!"" D 1a !$&!4!!(( ......................... D !$'#4!!*& B- R !$"*4!!$)

!$&(4!!($

B- B

!$%&4!!!"

.................... B P !$$&4!!*$

.................... 1

56317

!$$'4!!#%

B- -> E

456317

!$''4!#*% B - -, ^

247


65

* , 1 D( 0 7 - ? " 1 0 & 2 "

@($! ; < 6..... .....=1> ?...../ 8......... / + ......... C#; !A 8 B - 9 2 : B -.... @I(!G H.... .... - E F C!"; !A 8 C)"; !A 8 B - J.......... K ..........L M:- / N B -..... @I)& H..... ..... - E F C&&; !A 8 @)"$ ; < 6..... .....=1> ?...../ U .......V: W 6.......S C&#; !A 8 B - B6 X C"!; !A 8 B - O ........ / O M:- C''; !A 8 B - B6 / O C*&; !A 8 B - Q ....PD Z .... ^

@)!; < 6....... .......=1> ?......./ ....... a F.......` D C); (A 8 B - b 3 C'; !A 8 B - d6 ? C)!; !A 8 B - B6 / O C)(; !A 8 B - .. O .. P 6........./ I& G + -.........S -......... 1 O : C$$; Z e F, 6 C#*; !A 8 B - F - E !%$; !A 8 B - C!&&; !A 8 B -

56317 / O / 1

8 B - @:' + -S - 1 B6 F 7T C!&'; !A C!("; !A 8 B - O ....... ....... D

248

56317

D

56317 56317

!$&"4!!(* + , -..................../0 123 !$%"4!!!$ - .. + , -../0 D !$)#4!!() + , -..................../0 B - !$)"4!!&* + , -..................../0 -

4O .....................P 4Q-, ...................P 56317 .................3S 456317.............. !$&*4!!"! + , -..................../0 HT Q-, P B: 3R 56317 ..................................... / ..... Y 6...../ !'##4!!!! S6 Z Q-, P !$$#4!!#& [ ........ 6......../ D6 R 4Q-, ...................P !$*(4!!## .......................... \ 4] / -...............^ D 56317 4 Q-, .................P !$%*4!!)% ?......../ ........ 56317 Q_ \ Q-, P !$*)4!!#$ B_c + , -/0 Q-, P !'#"4!!%* + , -..................../0 1 1R a !$)&4!!&' + , -..................../0 eZ3 Q-, P !$!(4!!)' F...., 6 6..../ 3 4Q-, ...................P !$)%4!!&% D 6 a \ 56317 e 7 56317 !$%"4!!!$ Pe \ 56317 !$$"4!!*# 3 \ D

4 56317............ N R 4O P 4H Z 56317

$"*4!!$)

1 1 \

!$''4!!*%

B - \


64

3 - E7 , 3 A> % & & G ) + /. / B : 1 # A , 3 - !$!*H/)!!&! "

/# 0 ) 3 2 *FLE777 0 0 ' Z

/ 6 / ) # EI # . G ( d / > C : C B % B - # -

7FME " -8 ] 2 " #

& $ % " # -

) ( + * + 0 0 5 0 1

#/ (& * /, 9 1 * - 1 >1 9 % 21 2 # *" 5 - 4 = = 0 1

PFQO - / / + *PFNO- % & - & + - ( 0 + 7PFSO- + 4

/ 9 / 1 4 / / ' 2 .+ - = 1 - 0 . 7PFYO 9 : # + = # G ( 0 & - 1 # *6 5

7 1 4 ) - > 2 % & % 5 - 1

G/< + 0 * > 0 , - " # - /2 /# - / " 1 * & + ( + * ( / : - " # @ *0 ) 2. 1

7&%)V *; 1 * # 12 7&*&V *; 1 * # 13 7 )% * + a * # # X&)V * * 1 ") + 14 ) * a * X?#" * $ * + a * # # 15

*!T *3 * # I 9 @ >2 ? *?!! *3 *D b X ) * * # 16 7!(%V *!T *"< * X'$V

7&%"V *!T *"< * X !) *- * X!()V *)T *G *D 17

249


63

B 1 ; 1 - " # # 7YP . O #+ 3/# / + B& [ Z 1 & B 1 '() * > 0 - 2

() * # $ A & -) 1 - % & 0 0 1 -/ ? / 1 ,. 1 A + B& * 1 4 2 A 8 # & - R/ / /. > 0 / G 1 # ) * > 3 : % & 7 > - A \# - . B

! -

/ / - / - / / 0 B " #

/ 5 :/ / E7 # " >B 4 # ( #( # (

] / * , 1 1 ! * !!!* 5 :

1 *A , 3 # E7 Z : 7^E77C , / + ' Z *3 + _ C + . 5 # :

7`E 0 0 - *A ,

%/ / ,. # ( 4 ( 3 - EIA # 1 I ) # C B #( , > "> ; 1 B C 4 2 " / C / B #( * C : C C C +

FcE777 / / #( *a 2 4 b - C

/ $/2 0 G ( . # 3 : : ) B $1 3 # !$)) H!!&" 3 - EIA # FFE 1 > 4 ) ? . 2 # ( " 12B

) ? * I # ? *&! *'%" IV7V *; 1 *D X"!# *!)#V *; 1 * W # 7 Rafeq, A. The Province of X'& *') IV7V * #/ * / 1 X#)U'' IV7 V * #/ 4 / 1 / Damascus, P. 3 7!%*V *; 1 * # 8 7&%!V *; 1 * W # 9 7!#'V *; 1 * # 10 7&(#V *; 1 * # 11

250


62

/ / / # - *- C "< / / ? / ) * 3 ( # 1 *" 1 - > % & ! 1 2 E 4 !"!# D 1 F7E

/ G/ ( ; /1 7- > 1 - * . 0 2 ? / D 3 % 4 "< C 1 -!$%&H/)!!!"

EI ; 1 2 , #

/ %/ '() :, 1 ") ! % & - E

! - ' 8J ' # : ! .

%/ ,. - 7777 A ! % C , > / ? '() : + K 1 B A #( . ")

LE77-# '() &

:/ 4B / # 0

: 1 B "

*N4 # % , B - " > B " + 0 - & + *M3

- / -? + -) P . O ( , -? % 0

( *QE . + &E I A 8 & - *-!$()H/)!!'! / - : $ 1 - # *- = 0BR) 0

=/ > $ 1 *S 1 2 - 8+ # ( P O 1

> * I ? 7 4 . T () !")% !"!$ >

1 25 4 2 *> > * - > % & ! 1 2 P-!"&% H/)#&' I O D 1

7#U"I U 7;1 # - # # ( 5 . * * ) ? #

$# V ; 1 # 2

X!)) *'' *&! *)% *!# V *; /1 *D X"!' *(!! *&*% *)%$ *!&% *!)# IV7V *; 1 * W # 3 7!(V *"< 8 * 2

7)%% *!%( *!%! *#' *#& IV7V *; 1 *D X&!( *(!! *($) IV7V *; 1 * W # 4 7!!!V *; 1 *D 5

7!(V *"< 8 *E 1 # B +E 2 ) < ? 6

251


61

*

! " # " . / . . ) + , -* $ % &'( ) 2 . " 3 , - " ) 1 / ) 0 6 4 0 5 * ) / )! 0 - . . 8 . 0 ( 7 &'( - -* * " ) , " 0 * )

69 9- ,

: 04 ! " , ; / 0 % .- " " - = 3 0 > 3 % < 69 ?; # , /

@. "0 . .- . / 9- 0 0 3/ &'( " *

9 / + , 0 1 ), / = " - 5 6 14 / A ! 0

-

: .04 , / 0 ! " # "

1 # , > 0 '( ) 1 2+ ,

252



59

= 5M + - UC - ( # , P2003O 0 &,?% − &,?%

&' % . #G 2002O O R ' −

1 !/ 4! ; 4 ; C - , - . 3 P1992O d 0 −

! 0 ! . !3 ( &' UC &' O 1 ,` , 1

P L , P2005O R,6 , b 6 8 ,

. ! ! 4I; &' 0 . G P2003O + , − K # ", R0 & 0 L 9 &' #

& ! 0 L 9 ! &' 1 P2003O 1 0 L % − , 0

! , - ! = 1 -, &' U . P1994O , : − / 1

254


58

*@; 4 0 ` 0 - & - G , G , F &+ \ b@! # - 6 - V &' & &' 0 Q ) Q &'

! - "! - &!' - , -, 4 @ '

" V ; 4 6 ( - ! *

@ , &, - &' % , F % P1997O _ , + , −

/ P1984O , ; , −

G ! ( ( . 0 U &' (@ & G P2003O d 4 ; , − L %! & ! 0 L 9 ! &' 1 0 &' 523-517 W 1 0

P % 0 ,O < 0 P1968O , −

%! Q! 0 Q U&, - & 4 - P1988O , , 0 − @ , &, - &'

> ! , "@ &' . , 4 G P2003O (@6 − & 0 L 9 &' 1 U&' 83-61 W W G 0

!S 1996O O ! # ! 8 8 ! 0 L % , 0

& ! - 88 8 4 , 1 / 1921-1864 . ( 4I; + 0

L ` C - 1I C &' 1 , P1992O 4 1 ! 1 0 U @ ' L & 1I P1984O − L ` / ,

0 , , , , 0 6 4, P1990O X T , 0 − - ` . 0

' & 0 1 / K ) "' &' " / P1991O ^ − , -

255


57

!/ 1! A ) L 1 & &+ 0 ; 3 &!' & ! ( / 0 - \ / + @, (

%! %- !3 \! %! &!' @! ( 3 1E &' & % &' 6( 2* A O + \ -, , &' ,- @ P2005-9-7 F ) ! (&'

4!-(, ! F @ 8R 0 8 7 4 /

, 1 #Y' 1 F 1, & " ' > &' ` , 0

! ; 1 !, ! PI > - 6 1 &,A , O V ; , ! , 0 R ' K#+ Y' , , 6 ' 3 ' , " ' 4I V - ; I ' , - , - , 4

&!' ! I! a - . &3 1 / # , - 0 8 # , 4 : - % < 6 3 : ' Q * / , Z &, - &3 ' ( A Q! ! ' !@, % % % &, - 3 ( K ,

Q > , Q, : - ( Q* , 4 2 %

O , 4, ) 3 &3 + b3 &3 ? Q ? 6 K - 4, . 6 P A' 1 0 , ! . ( 4, ? 6 P , - 1 , O 0 ! & , - Y' / 4* , . 0 6

K#+ &' 6 , 1, , + 0 1 F , ! ! ? !6 &!' F . * ' 0 -

&0 !; ! A 4 / &' * 1 4A Y' R 0 ! - !3 ! 1 1I ( 1 I- 3 &' @ '

&!' . ! 0 ' 4 \ K> 6 & 4 6 ( K#+ V 4 6 ( , 256


56

1 !6 ! 1 !; "!' E' 1 E & - #; # ! ! 0 1 % 0 1 1 - / 1I6

> 8 ( 1 1 + 0 1 0 ; 1 , &' ! @ 1 , ) c 9 G , G G / G G ( G G G &' 0 % 1 &' @I ; 6 - & + V . @ ' #+ E I+= 6 @ ' 4 &' 1 , : &' Z , > / # &' > / #( @ & &

&! G ( ?I G % > I , ; E - : + A W ;/ :DE F U - & - -' . 3 , 5 Q , " 8 , @ . 6, , , . % 8

% . 6, ( 6 ' 6 . 0 68 Q ( , , F / - - 8 !+% = V , C E ( ' K 0 8

. 6 -

! .> !( , ! 1 % . % . 0 . ( 1 /8 ]] + % 1 ! - &' 8>&/ 4 &' 1 , + F "* / # + < I@ ! &' 1 + &' 1 @ 1 - @ &' 1 + 0 4 &'

! , 4 & @ 38004 &,?% 0 = Q 0 - \

! &!' G + - UMC - ( # , G 1 L , I 4 \ GM , +L >&/ G U. / , * Q ' Q & L C-/ + 4 %E K , &' R

P85: 2003 &,?%O & C 0 4 \ , Q;

!- 0 , 0 ! 1 ! %! K 0 - <I@ &' . * 1 - 'I; , , 0 1385 0 i , - L

257


55

! ! 1 !, K#!+ Q &3 @ , 1 = R 3 ( 6- 1 - K#+ Q-,@, K & - Q Q -' K ( &' (@ c I

.%! G ' I- G G 6 G G 0 G Q 0 A W & - #

Q &(; - ( I 1 , :E/ A > Y' !; C! 0 / ' ( G ' G 1 ) Q > Q, , @ & ; -' ; . > (0 . &(; & L R,@ '

U &0 ;

' F0 9 \ ,G1 # G C , >%0 + C &; 1!, &!, F ; , , 0 - Q 1 # C ? + -, ; 6 / 6 # & - < 6; - ; !0 Q!- 1I !- 1 I- 1 0 - @ / G. = A G

> ! ! -, @ / Q- 1I ( 1 , 1 I- : @ , 1 @ ;, ;3

>&/ 4 , V / , + 0 , & L R* ,@ Q !/ E . &' 4- ( W 1 - , , 3 < ( > , 7 ]. , >&/

! . / 1 % , > Q Q , &' : (@ < ( Q

! ! ! ; 6 G ( A 1 G 1 K#+ ] * , \ C 1 I- % % 4 6 < 0 :E ; 6 1 , , V / , & - + 0

,- Q ) 0 Q Y' 1 = W ;/ ' ' ! 46 R @ Q ) : - ]> / > / > / 4 ! 8< 1 A %0 "* ]] !- & $ - . &' 0 1 K#+ 1;$ . E/ @ , Q! E Q C0 " T ( . @- 1 E +#; Q Y'

!' - ! Q! &!' + 0 / Q ) 0 7 ] . -, , V ; &' @ , E * ( ,

258


54

! &!' E GC + 0 G K#+ : ; V ; &(' b,/ Q -, * % R @ &(' E * @ 1 & V ,

! 7 `I , F < / E: # & 0 R 4, : ; &' & D4 , 0 , ` . ' R @ ] ,6 84 . ' 4 @

@ Q ) D4 &3 1 # 1' - U& R 0

&!' ! 1 A K#+ 1,- 1 1 , C % V , ! : - -( A L 0 . 4 / 8 ?7 1 = @, 1 - 0 . 0 +L Q ) . , /, . /- , / >@,, . Q0 E / / E /, ! 4 !0 b! ( ( , @ 0 V + , , * -

1 = ( % . A &' & R 0 1 = I ! , 1! & ! R 0 1 = 3 , L &!' &+ ) 6- @ *, 0 A - / A U 3 0

! P 9! ( ' -* 6 (A . I0 O - & - & - ! !? 8.% !, I; 1 + E/ . , 1 I ; . @; ( Z K#!+ ! A ! Q I - Q Q I &' G G G /;G G A A'G A E ! ' I - 6 ,-/ 1 ,@ \ &' G , G b I

! ! ' E I &* , > E , 0 +# 3 . &! W , / "* ( #( ) 1I 0 , , O &' 0 b* / ' R / , & ? 6 ; . 6, &' 6 ) 6;/ &' (-3 & - \ &' :DE@ b* / K#+ + * 0 G - ) Q # &' / Q ) 1 &' & - P] 0

1 ! 1 !, @ ! @ F3, - 4 ( 4 - 4 - ^ - UG ;

259


53

9 % . ' &' : A 1 , 46 4 ( C0 \ 1I* - R % 46 &' E * / R 0

!, !E 1 % 4-(, ] '. # - ) V ; % ( A 1I 0 ' - 6 1 ,0 . /- . 0 1 3 F - 1 1 0 1 0 U& 0 X 8 &!' P + . ,* # 1 O &- ,@ ? 0 , 0 1 0 &+

1 \ & & L R 0 - @; &' \ &- 0 2

: A U: ; - J &' C ? . 0 + A I , ! 1- 1 # / 1 K#+ V 1DEA/ % . ' 4I; 9 ! L * , 1 E / / - \ & 0 #

0 @ ; . ' , 0 . 1, 4 6 ,

1 & 4*I / + - 6 ' . 0 ! ! @ 4-(, ) ' . 0 , 0 4-(, 1 @ 4 ! - ' 0 R 6 ' ' > , I . *

! , F 6 &' 4 + O Q IA , 6 ; * - ' 6 ; @, & &+ ) PI @( 0 ; Q! < ,@ ) + : 3 4 = &' , U 8 ] G ( A G U C 0 Q M F +

] G h G U , C 0 Q cQ ( 4 =

!@ &!( 6 ; 0 * , 4 4500GO U ' A % 1 % % 1 % P2005 8. 13 F 8G 1 ( ! &!' 4 0 V , &+ 4, ; ; 6N , - * @ ' I RE @ C * %

. 0 - , ; (

260


52

! ! @ I-' %- 6( > &' ' > , &' 6 #, > ( , - ' . , * "@ ' 0 %- & - '

& 0 I % 4E / ' , . ' > &' # 0 @ / / + "@ ' G !E % G G G G 1 ,6 , G . , - Q' - &' 9 ! # 1 ; 0 ' @/ Z 4 ( UC \ ' /

&' 9 , 6 ; R* 3, ' 1

" E ( @ G 0 , G . , F Q' - < -, ' (* @ Gb (6 G G 3 C 0 ,G . 6 Q' - &' \ G ,,@G 1 , 6 "@ 0 9 ( 0 % G . # "@ G

! 1 ; "' ( & = A X ; 40 G R3 ,

1 ! ! !/ ! ? % (E ; > ( 0 U@,3 , + 0 1 * , W* 6; Q' -

! # !/ & 0 X F 0 -

1 ! A 1 ! ! . 0 6 , Q Q 0 Q : - !; H ( & R 0 1 A U4 1 I Q- - @ Q > - Q- 46

! C+# U , >&/ 4 &' & L & - U 8

. ! @ ' &' < E - Q C F 6 X % > Q " # & Q ,@ E . /, &' 8 ; >&/ &' , . - 1, 4 6 1I* 3 ? U& 0 0 8 ! C ! PI6 , - . %0 C O 4 6 &' , / 4; E Y'

- 0 4-0 P 6 . 0 4-(,O : E P. + 6 C 4-(,O

. 0 1I* - & + , E / 1 1 E 0 , &E 46 - 3 . 1I* &+ &'

261


51

&! &!+ P , 0 , % S,- - % ( O V , L 4* , Y' # + Y' &3 ; 4* , K#+ 1 -' V , 1 [ /

I A O +# ( 0 S - + - . 1 ,6 77-61: 2003O

] ! 0 @( &+ 0 1 - Y' @( 1 R,@ , 1 #Y' !6 ! 0 . 4 4* , K#+ %%- . 0 .% K# , , W ; %S - %S 4 . . =

1 &+ + > , ? ( &3 R@ A I > 1 !6 -!/ 1 , ; ' . 0 , 1 , , GC 3 G . + 6 1 + 0 4, H H ' &(N , 1 ( C , ' ,% 1 , ; 1I &' & 1 ( 1 - % , 4( C

V >&/ K#+ + / & 4* , > , & / , , .> , * 4 , 8 # 4-' =@ 1, 1 - + % U $ GC F G G" / G

" / d . EF6 . 6, Q ( &, - G" / G b I 1 , / g

! ! 1 !, K#!+ Q! 0 ) , Q(6 &' G / G 1 , 13 ' 3 ' : :E ; I + / , 1 6 E;3 @ 6 C !F d !3 . EF6 . 6, Q ( &, F G C F G b I 1 , F g

! Q! A Q A & :6 &' G , F G 1 , Z ( 0 Q ) 3 1 % Y' I 1 , A( 1 % 1 # U - &, F & / 4 ; 6- ! * %0 !, 6 ( " - &' 0 , @@; &' V , @

. + ! 81 ! 1 , - / 4 + , & , 1@ @ *

< ! 0 1 !3 ! 6 1 , 1 I ' * %0 "/ I6 &' @ 4, - ' 262


50

? !6 . ! %! 3 6 - 6 &' &, - 3 P1992 A O " # 4 ; = 6 ,

! ! , !+ % 1 % !0 ! , 0 6 C - ? ! !+ 0+ ! E"/ 1 % ' E' 1 , , ' K#+ 4, 6 4 @ . ( - , > 6 #Y!' Q Q* 6 R G & ( %I G G &' G < Q &, -

& & &+ 8 3 3 3 , 8 , `> 6 Y' > 6 & C+# &!' + E Q ' 1 % 8 I @ ,7 &+ 4, ] Q ]]Q > !3( ! A 4 !- / ; O 5V , V F6 5 + ( % 1 % . ! 0 .> ! !/ 0 : / b, 4 0 . 40 #

@ 3 & - . &' - #; P9 ' 3 6

@ , Q 0 - 0 ' Q -0 ! ! 0 & ! &!, - . @ &' 1 , 4 @ &' Q; V # + &! ! & ! U ! ( / 1 *

\ . 6 - 6 0

%

1 , ' G + 1 -, . # : , 40 ! , - . %0 4+ 0 / ' 1 I- 0 ; 1 > I #! V !; . . %0 # " @ -, ? &' , ! ? 0 " -, ? " / C F &' > 0

249: 1994O : O G / " @ -,

1,@ ! &! &!+ 1 1 [ / & &+ # 6 1 4-(, 3 1 ' . 0 , &+ ) ' . 0 ! , -, + 1 @ / 1 0 , 1 0 , ' , 1 I ( 1 I 1

263


49

& ' -( Q 0 Q-0 Q ( - @ ' b@ & & I I-' & - ' , ` * / ,` I'

U4 ; , A I . > "$ - &0 , Q , &' ! G ! (@G ! ) ' 1 # ( ( ) ' - & &' G G . . / G G F , UA I

( ) , , F' + (@ & # 6 G H I!' Y' # #;G U ;I + 4 ' 0 0 P522: 2003 4 ; , O G , Y' I' 1 ) 1 # G U ; GHI' , 0 ' F0 0 % 4E / 0 ; 6 Q @, , @ , G& G & - G ( G & $ - . E 3 *I 0 % ) C '

! - ! ' C-!6 !0 Q @ 4 0 ? @ 0 % &+ GQ ,G

#+ " 6 1I ( 1 I '8G& @ G I-' G& & - G C ,/ 4 0 Q 6 E , 4 0 ! . ! 1 > ? 1 PC? O R @ & , 4 0 4, X ; , * /- * - Q % ( @ ,

! e I! &' . I Q 6 A+ , 0 ( 4 &' P ( O V ]G 1, G 1 , @ 4E G4 6 G 1 % ! Q Y' PMM< ; ( & : O R3 #+ , ? ?

!3 . @ , % ` 4 . ' A I >&/ &' , F

&!, - & 0 9 $W; 8 Q* EA 7 . ' &+ , . @ K !3 ! I! a A 4,O C - - I a # ' ! ' ! V ; ' + C - , P 3

! 1 0 C - 2 ) , ? > 6 . ( !@ ? > - !6 . + F, "/ 6 - 4+# < !, ! ! > , ' @ @ ,/ ,@ 264


48

1 !, @ A + 0 3 1 > ? -, Q Y' < / , !, @; G1 + 0 G 1 , &' A CI@ C ,/ 6 ; 6 I X ; X %

1 ,! " ( &' e#, % K 0 & A 1 % " ! ( !@ ; ! " ! ! , 1 6 0 \ H H 'L ! ! ! 0 1 K#+ 9 1 F K# , 1 , @ @ 0 + - 3, 0* V , . 0 % 4

! ! 0 ! I 3( : > , . ' 1 * 6 @ &' > /- ' 3 . . . *( 9 K#! . 0 ! ! A % -, ,-/ &+ @ &' @( 1 ! 1 % &' , 6 . &' . 1 , &' 1 *( G E' I - G . * X ; R 1 + /

! + Q! ( ( A 4 0 * &- &' K 0 ! , Q 0 Q Q & I - Q % 1 G : !6 G ; . ' % , &3 , - &' Q -' K '

Q Q ' Q, A ( 4 0 4 - R C ,/ I &'G4 G

I0 7 &/ - 6 C @ 0 Q # , 4 - 4 - + C 4 &' 0 + ) 8> . ! 0 G -0 % , @ 5 @? 3 & R / 0 ! ! I - ! % ^ - G 0 #) f' 4 G U. 0 - , G&( (

% &+ V ; * % R & - A !, !3 =! Q ! Y' 6 "@ 4 - , 0 & - 4 - ' !6 ! 0 Q! &' , R # C 6 : >%0 , R 0 &' K ? &+ K (@ -

Q!- . @ &' 4/( %0- : - 0 Q ' Q, K % # : !0 & - I - % , # + Q &' Q -

6- Q , % 0 ; . /

265


47

# 6 & & 0 1 , ; 1 G ' C GK#+ 4 / ! 1 ! % ! (* @ * !/- . 0 @ ) . -, &, - 4, " I!F * - C6- & :S @ 1 0 C 3 I &' $ # !"

G !3 G G !, G / ; , , - 0 [ , =

! ) !; < 3' / /, < 0I , . !3 , ! ! % 0 . @ ) @ /

,!6- , ' / - C 1 I- &' 3 % ! ! ' ! ' !3 ! > / > * + * (/ P1984 -,@ ; , 7 A O 3 * / #) 4! &' ! . ! @ &+ , 0 @ ,, 1 G 3 G U E / % + A 1 1 ,

1 ! 1 @ !/ 4 - < , 1 ' / 0, > ,

&' , Q & - A 1 1 ; 1I 3( 4 / , > & ,6 . 0 ' 4 6( R 0 1! ! & ,6 @( 4 - 4% . F 4, K @' 4 W

P ! ; Q ( + , ? O Q K , # W;/ Q

1 !,0 > G GQ 0 % , * - GQ ( ,G Q , & - 1 ; ( + ,! ! ! 0 % 1 , &' 1 -, > W \ d ( E" / 4 -N - 1 0 ; "% 4 - :DBA & - , C , Q * ' Q / & Q & - ! - , 4, 4 Q C F . 0 Q ' . 0 . > / Q H & I - Q , ' # ! # ' !6 1I Z - . ( 1 6;/ G G #, %! & + ( . 0 L 1 0 4+# ( 6 C 266


46

&, F & + ( % 0 %0 &, - R 0 < 3 4 , - C - A I &, - 4, 1 - @ : / 3 1 0 &3 1 @- , @

,/ :/ , # 4-' V 0 &, - R 0 < 3 4

+ !( K#!+ S , - 0 , &' " -, ; + ( ! , - ! 4 !( b ' . 1 % b ( 3 &+ % < ! 0 !6 % S ' 3 . &+ ) C ' ;

9 46 4 - 4 ( '

!, ! S ! ! , - ' 9 1 > ' - 1 ( < , ! * b !( ` 1 I @ , &' ; - 0 &' ( ( # , 0

4 ! 4 !-' S - ( @= &, - 9 &' . 0 * 1 A ! I,( 3 3 8 ,-/ I; / &' , - 4 P 8 , 0 A O . - F , U\I % b (

R 0 ' , 4 , - . 4 6 ( &' F F , 0 X U , -1 !, % * < ; & , R 0 K 6, &, - ! * ! >%0 > ,6 * / . @ ) . - + 6, c9 C% (* @ 0

- Q " @ K + A K 6 , & I 6 &, - 6 U F -2 & 4 / , %0 >&( X ; GRS G % * Q , 6

1 1 * ^ - 9 4 1 1 ,+ @ b 4 &, - 6 &' S A &0 4 - 1 * 1 - " !( , 1 % Q : 6 A A S " % &' G G ; ' :/ A

C+ #! 1 % , 6 C6- &0 & C+# & - U. - -3 &(@ !- &,-!/ &- 0 4 - + , G , G 4 / F (* @ " @ % 1 -/ R' , ' - =

+ , "@ , Q ,/ ,

267


45

! !/ - , !A I ! . . # ; . ( , - : , , . 0 0 ; 1I 0 K#+ % , V 1 I 1I ( @ > / 1 -, &' Q .

U , # A I 6 : , S - % &' /, /, 3 ' @ ' ' F0 %S . 1 &' G Q I C ' ( , / . - 6 , 0 I :/ # +

1 # , &' # % W ; + /, Q ' / # /, 4I;

! @ !/ K#!+ ! + , 1 (6 b I C ' & , 0 &' - , % &' 1 (6 K#+ 1 ,6 &' + , = % I % > @ &' G ' = Y' # + 4 / # ,

P 8 8 : O

!S 1 -, &' 4 4-0 : , < @ 2 # , ! /- 1 , &' Q K + A F W ;!/ ! 4* #+ 6 I* + P * , O S # + @ '

! ! 4+L 1 & - 0 #+ S 0 \ > / - 4; < * / , I0 . # &' 0 0* 0 "* .> " " , !S b! I P2002O R ' < @ &3 1 / # R* & 0 4 / 0 1 0 C - 6 # ) Q R

- 0

# , & &+ & 3 R K#+ .% & 0 R 6 6;/ 4* , 1 , !3 1 !/= + !A , S ) + , A I 6 K#+ & & - S,- Q A I -, # V - ) K 0

P O R #

268


44

!6 ! - "!' 4 - R % ;3 K#+ &' - . ! ! : (; 4 - , 9 1 6 1 I- Q 0 Q ' 1 ;

!6 ! &!' P 6 - @, 0 ( 4 O 0 1I / 4!6 1 A 1 0 1 0 [ , , F + '

! S 1 ; &' ^ - 4 , 1 ' 1 1 F 4S 4 ( 1 !, #! 0 H * Q0 #+ # , /

Q! % !/ \ &, L C 0 &' \ , U /-

T , !0 1968 ! ,8 !A O & C 0 &' 0 , Q % , & 1990: (32-23 #! , 4 / 0 . 6, 4 F/ & 0 \ , # # + 1I ( 1 I- R* + A 1 - 0 &' * & / R &!' & ! \ ! 3 , = 0 ' . 0 1 > 6 , S

. @; < 0 , &( R & - % 0 3 ] P4, , % O . @; P&3 6I; O >

1 6, Q , 0 2 #+ 1 ' &' 1 3 3 # + ! ( ! * , ( A A + ( V - & 3 ; V , 1 3 + ? &' V , I / &' > A' 1 -, 4 / ( ; &' & &' , ( \ 3 < 0 , , ' # ! ' > -! & !- R' , C , 4 ( , 4-( & # , & 3 0 % &' - " -, . + A

& ! & 0 2 Q0 , V ; 1 / &' / &' K#!+ , , 0 + 0 \ : W ;/ + A 4 -' R ! - 0 + , , ) , . @- 1 / * 4 ( &'

! ! 7 - 1 S 4 & & 0 2 #+ 3 ! 0 , ) 8 ! 1 ! 0 ; 1 , 4 8R 0

269


43

V I C > =+ R @ ' C C+ # 3 U\I @ + 6 , F = @ X ; / :6

! P&, O 4 . A . P , O . : @ 0 P&, O I )

]]4 / ! %- - / > + 1 , &' , + / 1 < , R@ ' , . . 1 / A ) , F % &'O . + A F * ' - P1997 + , _ , 1991^ 1 ' A , > , 4 , F 0 , > , < ! + !/ , &' - , F ? /, 1 - 0 1 0 %! @ 1 ( / - , A I C `2 , 4S0

* !/- 4* , ' . %? 1 - 0 , , V 1 : - , , R3 * 1 - 0 1 F 4 / 9 &(6 \ , &' ? . + !6 @ ! a ! , 1 I- - ` A 1 @ & &' @ + * -/ + # F 0

1 X % T , I U. . &' . 1 , 2+ ! 1 ! A , Q ! &- 0 , &' ' < 0 , + ! &!' ! !- 0 R , " 6 S 6 Z C

-! , / I ( I 4 . - A + , @ ) + @ ( % 0 I / W ;/ > ! 0 ? / Q # < 0 - , & ,@ Q0 #+ 3 < @ ! ! < ! 0 -, : I* + 3 < 0 , 2 ) :S 6 1 0* 1-3 ;3 ,@ 0 \ , % 0 ) 4 0 #+ &' ,

A . @ 4 2 , + 0 # - 0 & & - @ @; 0 . 0 ;3 6

270


42

#!; ! . 0 1 3 , 0 ! + ! !, &/ - @ 4 # + 4 /

+

! !( ; > / & - . #) ' 1 ; . ! - 4+ : - G + 0 G + MM ( ; ) 1! ! ! &! . !6 , !+ &! - N , G + A

! &' 4-0 & &+ P 3 0 O 0 ) # 0

&' $ 4-0 # + ) Q # $ , . " , " , ; . ' , ? 1 9 &' 3 R,@ , 1 , !? F S (/ ,@ ) 1 , , # R 1 A ,

!A O , 0 0 , ; = 1 1 P 0 L % 1996 1992 & - 1984 I &3 / 9 0 > A 1 ' 1 - 0 &' R!* ! 1 % 0 ) 1 , R 6 , ,

- 9 G = # 3 &' 6 0 K 0 &3

3 # . - A ) . 3 ,GQ ( 0* 0+ &' *

; 1 , ; &' 0 1 , -6 T , 0 A I U 6 4,

&!' , #! ,6 ) 0 S 9 4-0 &' , ; = V ,? G ! 0 C ,! !6 , ? ' @ , 4, , W ;/ . % * ! ! ! 4 0 8X# # #+ 0 ' 6 : !6 &@ A ) , C [ Z-, + I Y' #

T= , 0O G -3 C 0 , # + , A - , , F ! !/ (/ ) @ ' ; = P

271


41

*$ ) ( ' ' ' %& $ # ! " ! . 0 , +/ 0 - - . + , )

* * . % !. - %* ")" %& , 6 4 5 , * + 4 3 12 + / 0 + ,+ 9 " 0 & 8 . 3 7 .+ = ' = , ' $ + - < ' ; + ! :

0 + - * 0 + , . @, & 2 5 : " * < +? > 5

+ 9 * A , & 2 + %& 32& : % %* ) $/ %& + ,5 0+ ? ' 9 , 3+ / > B + , & %& G ' %& ? & F9 : - F BCCD E B 3 ' 3 5 3 5 0 +? ) . /

+ / $, - & E 0 / & & 5,

% H,& * 3 . 3 ' %& # I. = ',2 , / 9H : +

* # 3* , / - J" + A < . = * 3 ( !) + , / +? + . 5

K ' H & , / ; / " 272


40

-$ % / Q 7/ " % 37 5 #"$ C / " $ & > L % +J C

J 5 % . + 7 / :" 4 G . &

7 M C 8 3 6 7$

P +" & - -$ 5 A-/ " 37 7 " " 7 3 5 #"$ L 1"$/ " J 17 ? 7 > " / > 0 7 C 37 " 9e

273


39

- -." 7 0 <) 6 1 < " O 0 ' " N L < - 6 P# ? . " # " + " "R A0 " % $ - C -6 - L 0 " + " 1 < 6 +.5 3

! 9 7 "

%- 37 < L * 5 "5 " 3. 8 9 > E" * > - 0 0 > " - " - 3 C 6 5 > 8 5 " = 5 1 < " / 3

=8& 3- > 3 " " 9/ <5" &=9 !" G" 0 ?* )/

" -0 -& * ) " = 3 $ ; / & 8"' 3 $ " J / 4 ' + )/ +$ A6 " & 8"' G . (" C # " 0 = +4 & J=J 3 6! 7 6 9 <9' 7 " " # # . " - - 4 " " 4 P"X >= & > " " * ! +" " 4 ' G . #

- : 7 + $ / " * / 0< < " 3 6 "6" >=8& jd ( " 1 % 1 " C

$ " > 5 " P 95 ! - 3 6! A6 " & 8"' G . $ ?* X 3 6 & ' 8"' ". & + / " 1" + 1 & 1 ) 9V" ; / " 8 L J=J

<-8 & *-0 7 < 6 7 & 3 0 ( " 1" & > 8 5 "

7 " " 6 + / & " " e "5 & C E]

- 8$ > 8 5 8"' G . 5 ji?( " * < / 1 6 " *

! 377 " " 37 .R & 37 3 7 +"R 3 + /5 + / 5 1 E +4 & @

@* 0 " A ( & " . < " ! % 37 " " + $ A6 " & "5 0 9e $ ! : $ " & 37 5 $ 3

- 0 (# . " 9 & C \" 7 " "# P"X J=J 0< 97 +"0 " ?37 6 & X 3 : 5 < C 1 * ! X 0& 5 & 37 > = $ <"

E C "J > A8 ; ! 5 * 9' " 9 M *J B $ & " 9

" " < < " & 9J5" L < ( " o" T 3 f-. & * 5 23. J5 " " A " ? ?D L ?3 ?T 6 ( ! E &" " 0 " ! 6 " B 5 : /" ? ; \ 7 4 98

274


38

C $ < 7 3

" 7 C . 1 # C & "

3- & G ; g 1 C 0 E C ."

#

- -7 & 7 " " 7 7 7 ! % $ " 7 5 3 ! & " & ) " . > " 6 ! 7 > 6 $ 3 " + 7 <E" 7 5 +- & & 9 7 B$ + $ 7 0 & 1 5" - M&= : 37 " 7 + 37 $<0 " 0 :

? 8 6" " 3 0 + ".

- - & L " & "5 & C G . & 3 0 3 4 3 -& 1 E' & 76 !" * #9 & C" J L +E / * )/ !" M $ 7 L S & "5 C " / E * E 7 89!" + ! -& "5 -0 ( $-/ "5 9 9/ " F;=< $

+ "- ' * " " $8 " 0 7 ( ! P ' "5 9

- 5 0 3 ?( " 7 $ " 3 1 0 * & 7 + 1 7 " J=J 7 "

5 - ! - X 3 + % " ? # 0 + & C +0 ! > E + 0 = 37 A& ". L #$ 5" 6 & =7 0 R + 37 & < 6=

?* ( 5 A * & * L " ! * 0 + 0 L R M 5 L "

& ." 6 37 5" 37 > = 5 <& F " 9 1 & > v > 86 % . 5 " -0 < 0 0 m& 7 $ ( 5 5 * ( 5 +0$ +7& 7 " & 37 - :=9 & * ! 7 & %/ (= " 9 0 & 7 " . 7

-7 > 5 * 7 5 ! P 9' J=J 5 95 3 7 " + 7&"

" 1 - P 6 0 & > h 6 7 5 ; * / % . ( +J 3

P 9' C $ & " 3 7 & 3 3 * ! & C $ +0 " 9

P - " " 9 P G $ " =7 3" 6 + 6 3 . & . " " ( J 7& ( X ; $ &" C 7 m& ; $ &" $ 1 ) 0 & "5 & 7 " " * 5 + 1 95 1 5 3- & " 9 m& +"' 7 5 $ " " 5 " 9 P " . 7&" 7 & C "

?* 0 & 3

1 < " " 0 & B$ 1 5 +" 0 0 " $ C 8 0 " $ 0 N / 6 ." # ) L " 6 $ L CX . ( 8 5 0 0 & 3" 0 5 * "8" .

?O>

275


37

37 X 7 G 7 " " 0 3 $ + " 9 * R 3

" ( - -& " -$ - C"-95 +$ & G " ; 0 3

! P 5

-& -&' 7 < ' X& > " 8 L " = / + " ( 8 " ;- < "-$ 3-7 $ - / 37 " / $ 3 * / +7 X- 37 +" 3. 7 P 6 " " < 9/ M " $ C " - C )- 6 " < 37 ( "6' " 1" 5 P -0 A : ; 9 + $ " 3. $ !" 7 9 & > L "

3. 9- " 37 C < " 78 5 C . <" 7 < " # # "6 " " P 9' 1" - > "#7 > < " G . X& $ 7 X/ 9/ E ?*/ 0 X G " 0 L C - -& - 4 +4 0< & J=J "6" 4 "

". 0 3 6 & 34 A + /5 + / 5 1 E" L " " 3- % " j` " 0 / 3 . " 9 1 L J=J + " 5

" 9" 1 ) +=7 " ; / 3 u + & = " 0 " ??T 2 " 9 +"0 ? ?D L ?3 2 " 9 96 2 e 1 s * " +"0 ." ?T " " "5" (

- C - " 6 J=J +0 # + & " ! C G 7 $ 1 L " 9 ! 2 "5 3- *- 5 =8& 7 1 ) ! $6 " 0< " 6 ! =7 B$ + 0 Q " " 9 7 & \

? " $ G . * +0

L ?3 2 " 9 N < X 3 3 6 & =7 I(# 5 * " 9 +"0 2> J ; " &" $ =7 C 7 + 6 +6' 9 6 3 6! (# 37 5 $ O @ ?D D

7 " : " ." 37 5 5 3 " X 3 A 37 ( J5 C J 5 6 C < 37

"- - <! & ! 7 37 < " 7 I(# 37 8$ 5 M " 37 6! ." ?*$ > 0 + " & * C & ( J5 " 0& 3 6 & X 3

* .5 " * # 'T 6 " C J " " J' > 0&" 6 3 6! !

" 0 + " 2> J J

- E - - - " C "/ 37 ) " " " O ?D L ?3 2 J' N TL #$ 3. X& *< M & 1 9 & 0

"5 C -6 =. ! 5 3 6 " ?37 B$ *< 3 < =8& C " C 0 *

- X- 3 C 0$ < C # C 6 " 37 " P 9' + 0 8$ C"95 > $ 37 5 =8& ! 3 6 & 37 0 "

0 3 5 K 3 " " " 6 " & & + 6= ;=< 5 " O3= = & 3 E N

276


36

-0< ( -0 ! P 5 L < 3 6 6 / " ! 6 / 7 "6 + " L " 0 " ?> 0 + g & . " J=J

37 - 5 +=0 5 " 37 < :" 4 > 0&" 37 X 37 "R/ " 3 - 0 - & " J G 7 & 3 $ C 0& $ / 0< & ( 0 6 :" 4 8"' * $ +=0 * ! ?3 \ $ " 0 ;0 4 6 </ 5 " +9 L " &" & < C ".

-7&" 4 \ $ C $ C 0 ;< + .! ! + $ < P 5 > 0 ? 7 X $

- 9 + -/ L " " & 4 + )/ 5 X/ . & 37 "

= / K J " / J 0 & & 6 9"

J 5 <= * & 3 J=J 3 6m 3 . 3

! P 5 . $ " & * 9 5 3 0 " 1 & O> "/ " C #N + " ' * 3 6!

- -J$ & 3. 8 $ = + ' " " 3 $ - K 37 <"5 % " " 3 1 0$ 37 " 1 ' 3 E "$ 1 X 6 ! > < 3 f-. * < . % j[ 1 ) ! 1 7 ! + 0 " <85 C #

- & - * +# * 1 $

6 ( 5 5 8

*- 6 9e <= " < . 3= ! A / ; % 5 " j^yyy 7 - ! -." " ( E' 6 " 9X " + "' 3= ! " G $ " -8"' ". C # & $ G . . ?j_=J "# & K ( 0 - 9 6 * </ ' A &X A& 6 3 6! & ' ?> 5 J ' ;< ! + 0 ! 1 - # " :$8 ! 0< 8"5 & ' 1 P#$ " - 3 - $ "R " " " 3 $ > > 7& 37& 3

? ?D # ) A #" " / " Q 1 & 23 : " " L ! 93 ? ?D L ?3 94

? ?D L ?3 2 = 95

277


35

- @ J E 7/ = / K J "

( $ B $ M % " jk P"0 G . + 6 @ >

- C ) + /5 + / 5 " ." <0& J X - $-/!" 7 X & 85 ; !" 37 17 " 7 B$ + 6 & " & " & " " % R 1 6 6 C "<9 C 6 37 0 jU " . (

5 + 6 > & 7 5 W 6x5 5 $ 5 " . ! t

+-$& 7 X jY & < 4/ ! C V 0 \"0 C " % -/ J 0 & " . $ (

5 + 6 q M ' @ 3 " 0 ? = / K J "5 1- X -6 3 6! ! L " & # "5 7 " = 5 0 3 A- 3$ - " -0 < B " 7 0& + " " . " $

" ?% 3 0 # $ $ ; & J > V ; < "$ " ' 7 .5 J 5 G"5 L " " & < + )/ ! # $ . 5 M - 9 "J - >

7 5 $ 3 / & G " J =)/ X 3 & *- 7 & A8" % " 7 &" 3 / & < # " <X "

- *- A- " * # A * $ L " & =)/ L " " G $ ?G $ #$ * A + % " $ 0 1 C . -0 -& - "' # A0 & # " < < 3 . 5 <- " - J C # A0 " 6 3 6! A ) . " ! ) 7 "6 + " B-$ -8 0 & " " 7 / E # 0 G

% + 90 +"6" F @ ?D D L ?3 f " f " f 2 " &

2* 6 ( G " O f * 5 N /

A- 7/ +=. +.5 % ." 0 : $ " 6 ( C v". : $u > $8" & " 5 ! ???T - & JR h % . +# " * 6 " $ :"9 * & " 9e

? ?D L ?3 23 : " " L ! T??? & " $ " " "$ M. Mostafa, "Excavation in Medinet Sultan", A preliminary Report, Libya Antiqua, 34, Tripoli, 91 1996, p. 252. Abdulhamid Abdussaid., "An Early Mosque at Medina Sultan", Libya Antiqua, 34, Tripoli 92 1996667, pp. 58-60.

278


34

+ $ < P" . ! ' 8"' +" " & 3" A0 " -& C 6 &" + 6 0& > 0 X 3 7 < " - " C"6 5 % ! < " 6 (= > & > X<9

A- +4 - " 6 ;&" 3 " " * 4 P & -& L ( X : & L " " # "5 $ "5 1 6 ; & * 4 3 - 9 ! ". ! J' + R " ? 7 3 0 . " 0

-& J' $ ' 3 " / 0& O = / $ 0 7 N X - - 5 % :/ 3 " 9 . ! "$ 8& 3. A6"

/ S # :#9 1 E5 "$ % id G 7$ ; Q ! "$ C(" 0 P 95

ii?Q C G . ! % *

+ $& " / 7 E 3 "5 3 . 5 < +" 3

1 8 3 f-. > " 8 > < \ B 9 @ @ + J 37 - + " +" 0 3. " * " 1 ijT < " C 6 T C

& -< C #E ( ." C J + " 5 8 & 1 1 0 * + 0 3. 5 - 9 7 % % 1 " 6 3 6! ! 37 C 6 0 (" "

> J5 C " 6 3 6! <)8 C #" " #9 : # " ? . X J=J 0< @ + $ < @ - J=J 0< * / g 5 . 1 ) 5 1 " M - - $ ' + /5 + / 5 " 9 0< +$ 0< ! O >=J- - " "5 &N $ " "' P"0 P ! + 6 * =)

-8"' & + 9 ' :0 P"0 G . 5 = Q A : $ C ) / & 9 37 / + )/ & 1 = = & -/ J 0 5 > 8 5 :" $ " = :$8' <0

ibid, pp. 98-99. 87 Ibid., pp. 69-91. 88 - - 95 2O f 3 3" &" N 1 : " 89

? ?D C . 0 6 / $ D 9 $ 7$ $ < * . *

279


33

7& " 5 & * J 6 & ' A8" += 9 JR 5 . " - $ <"- ) ;/ + " 0 > $ = / 7 + 7 (# > 0

$ F37 < " A6" . > 6 > " $ " * 6 / ;/ " -$ ! -7 $ 8 ' & ' += 9 ( > 8 J ' . G . 5 L ;" * 6" & ." C J " 8 7 ' "

"-$ - L $ " 0 &5" " $ C % . J=J G .

? G . < " &" M

- - + - :$8 ! J=J 3 6! & ' 8"' ". P 5 7 / 0 " / $ 0 7 & ; < ) ;/ A C G# " P 95 7 7 1 ) ! $6 " ;< " - 6 " 5" & :/ :#9 E5 5 % R = 3 $

- " "- - * E5 5 6" i^ 0 " $ 1 ) C G . ! "$ 7 0 Underglazed-painted Ware # 0 < *& 9# - 3 - - " A C 5" A 34 <9

- " " . " i_?C 0 " 7 < 1 "6 ; <

" & 1" +J J=J < " " 0 3 P 95

+- - - ". C & ( J5 P 9' 3 6 1 8 : -0 7 & # +" "7 +"6 % R " 6 C $ < C 0< 5 S 9 % 0 a 6 ( T 2 = / L

L - ! " " " / 37 0 37 L ( 0 b 5 ! E " - 7 = 0 "# 6" M ! * & + $ R 7 0< &

i`?TA& ! 3. "5 " . & J A& "# $

Blake, A. Hutt and Whitehouse, Ajdabiyah and the earliest Fatimid architecture, Libya 84 Antiqua,III, 1971, p. 113 Kennet. D., "Pottery as Evidence for Trade in Medieval Cyrenaica", Libyan Studies, 25, 1994, p. 85 27679. # -) 1 e - ?: ?: Q & T " ) ! #" T 2C # "0 86

? ?D

280


32

" - -E / " 1" X > $ " 6 37 5 ! P 0 0 ! ? 9" 16 " % A &

O* # " * " " * #" C 6 " N 6 3 8 ! C 6 &" + 6 5 3- 8 3 /. " 7 $/5 C "J ! > 8 5 " 5 M ' " - & " dj 3

f-. += ! 5" 6 & <

-& > - 95 " < - M C "J G . A < " C . 0 : / ! 0 =

5 ! - . -/ " - - ! 8 & ik 3

f-. 7 ( 80 - 5 - < - C ! J=J 3 6 0 C ! & " 3 <

- . 6 B$ 95 3 f-. 7 " 3

f-. iU - ;- < - -7 & $ 6 " " X 3 ! L "

- > 8 5 " 5 M ' " < " 0 " -0< ; < " ? < $ + 6 . " 5 - - ; < 3 7 " + + M 5 % " C 5 E J=J " f & F " B$ L $ " ! 7 > -8 5 " 7 ! 1 & L " ! X 3 .

-&=9 #- - * "6 ; R ' iY * ! 7 5" 6 & 8m =

- < P 7 .5 D6 1 6 & 8"' C < < *$8" ! 4 L " ! * 0 & 7 >= 0J > + / % 5" - - 7 G " #" 3 * 0 G " ;< +9 1$

7 > 3 f-. 7 5 . 6 B$ 95 % R <0& ?37 $ * < : 3

$ i[ X 3 !

? ?D L ?3 79

? @ ?D D L ?3 80 ? ?D L ?3 81

? ?D L ?3 2P 82 ? @ ?D D L ?3 83

281


31

" - C 9 * "# > 0&" 9 ( 8 5 R R C # R 3$ " +8&' " > 6 7 " 7 4& " / "

+ "- - C & ! " &5 % > "" 7 4 +4 + %

5 0 0 E 9/ M % & 37$& 0 " 6 / " ) " " 7 # # " & > = 9 K 7 m& " / 3 ! 9/ 1 " $ 3 " 3 4 / " 3 $ 5" "R L :$8 % " ? 7 "#

" - " - &5 !" 7 . /9 " ' 0 0 & % . 3 " . - ( $8 3. 8" 37 & : + $ ! " > 8$ 378$

85" = ( 5 : 9 & 0 3 $ " ' += 9 " C J ! P 5 - - B -$ 3 4 (" " ?37 5 " 37 :"9 & L -&=9 - - . $ 1 M ' + " J=J 8"' - 9 7 -8"5 - - L " & # " & <

?3 +. C & 7 0 ;< "6" & <8 *- E -$ ! & * $ ! ! X 3 9 0 " C < 5 *- " - 9 A 65 "5 +$& 1 & 6 ! L C . 0 0 L + 6 ! P 5 dd # A ; ; " L < ! * 0 3 " . 5

? C -/ " " K / " 9 " * 6 5 * +- 5 -7 ! # < G C +" ! " > 7 " 6 ! "# "5" L < ! " C 0 " <

1 E' & +/ ( 5 ! > 7

6 & 0 C 6 6 !" "8" " 0 8"' 3 "0 " ? 7 5 " " L ! 3 $ +- 6 4 1 E5 C # R & 0 C 6 37 x5 * = ! W= di3

f-. 37 &" "J$ & 7 : 7 ; 0 & * /& "

0 - -$ < - - < C ! -. C +"' G / Q & + 2 J' 77 ? ?D C . 0

? ?D L ?3 2 " 9 78

282


30

-7 - ( . " / . C # * & 7 1 9 - ! 0 & 0< & 7 "6" G . 8"5 ". # " ?P 9'

- > - 5 L +"<7 1 < I% & $ " $ G J ?( <9 $ < C B $ C

* "R/ * 5 ! A & C 1 ". 3 4 5 E" !" + " "< " 3= " 5 & A \ > "6 > / > 4 m& 9

% +<$ " # "5 C . ! ( & / 1 " 0 3 $ " ' + 9 % :=9

- $ -$ 3- J=J 0< K ." G "< " A 0 + "

-& -/ " - -7 ! &# " 7$6" +=) 3 0< J 5 < ? 7 ! + 0 &" C < < 3 $ M ' C . 0 J=J $ & " < 0 5 A-0 3. " - +-$ & 1 ) " 0 &5 3 & * 9 # ( " #$ :" -4 &"- - < C / $ $ / 0< % > L < 1 E -& - # - u 7 " < <<9 0

] #-$ 3-.5 # <9 ( 80 g L < 3 6! 1 E $6 " 8 '

- - $ G -. -7 " d_? " 9 +"0 * E 0 &5 /9" G 5

*- ! 5" " L < 38 u 1 < # #$ ;& " 3 f-. "- - =)-/ u 0& 9' . ". $ G -. - "$ 3 8 . m& " * # 6 8 * & > 0 + " ?= 5 C " / " 7 : # # !

#" 3 & 3 f-. &=9 X 3 " $ (" ' #5 - 9 ( -/ : *7 " 0 " * C < * $ C / P ! *- " & 0$ X 3 ". =8& 1 & 9/ * ".' - ! G 0 & 1 " % 1 < 9 \ $ < " +$ ' d`C 9'

? ?D " 1 S " 9 =$ Q 2 " 9 75

? @ ?D D O Q " N " ??? " 4 " 2 0 # 0 76

283


29

-. 9V" -/ 7 "5 5 2 $ 3= > R O3 f-. N $ +"0 dY? 0 3 7 7 " 7 3 ; < J 5"

0< .5 L < & "R 6 J$ "8 "

< - 7 5 % > $ 1 = ) " 6 / 0/ + " 0 7 " - 37 " 7 8 5 + + % R " " 0 C 7 B "

" 7 3 f-. 7 G " * 5 0< d[ / $ K

" 0 A6" & L L < & < + 6 R 3

* )-/ * & #

& 3 " 7 1 ) ! - $ 6 3J C

" 0 G $ " = M # O " L " N\ ) - 6 - ! $ & 3 +" # 6 3 & 3 * A6" & " -< P - 5 $ 0 G . " 0< & < > 0 " ?d^ J C " . $ = ! 7

- ! < + 0 ! . J " J=J 8"5 ". P#$

7 ; < 0 5 C

6 5 $ & G . Q & +" <0 + / - $ #- - > C $ "#$ 0< ! 7 " 37 = (#- A-0 " - 6 7 8 5 1 E5 : X L " " + & P

? ?D L ?3 23 : " " L ! 72 - - -$ 7 9 " +"' J$ 7$ & 0< 7 / 8" + 73 - "5" ??? - "' # " ???T 2 e / $ K " ' 1 E" 0 +$ 9e

1 - ' "- 37 85 37 5 ! ; < 37$ " 37 " " $< +.5 "< ( 0& " 4 - e 3-7 5 E ( R. "5 ( R. ! C E 6" 37 3 0& 6 1 " 1 37 '

- * -/ "6" 1 ' 76" = T* " T 10 " & $ + 5 +=4 -& % " $ B$ = " 3. = ! 1 ' ( 0& A & ' B$ + X& +.5 7 " " " 8 " 1 9 3$ & B$ 378$ " $ h 9 " !" C " 5 $ " =

? ?D L ?3 2L ! f3 : " T? 7 6 B 5 9 1 Goodchild., ibid. p. 102; Reynolds, J., ibid, p. 136. 74

284


28

*- "&" 1 - 5 37 " ??? 7 < 5 + 9 7 " ?? 5 + # 3 ) " + 37 C" E ." ? 5 +9 &"5 7 9 " 6"' v 3. $ 5" 1/ * ( / 7 " 7 > 8 5 1 " + C " &

???A 5" X8 7 & P E5 # 3" " > 8 5 :" " J #E 7 * m& w

?`iT+ " & # 9 < ( 7 .5 1 /" 2 J +"0 "

-7 " ; "- 5" 3 " A 7 " 1"< " 7 : C ." ??T - " +-9 37 " B 5 7 " L ? ! ) 1 " &" " 6 1 " 5 J=J - ;- < + R L < 7 " # 37 ?C J 1 " V" +#- - " ? *- 37$ ; 6 $ ! " " "$ ??? 7 " 1 <5 -E ; -6# - ! " - $ & * ! L h" 5 3." # > 6" " 37 1

3. - - # 5 1 +.5 P 37 &5" 37 " & 7 " 3J 7 " " " 7 "9 & 3-7 " ???37 ! 37 " " 0 5 ( / 1 +.5 3 65 " & J `j?T3. E *& $ " < 6 " " " $ L * " < 3=

- ! < - + $ + " ". & 8"5 5 M8 " "

& 6 7 ! ! * "&" 1 5 37 " :$8 7 & 7 !T 2 +"0 - 5 1 5 E T "' "< & ! ( / 7 ; 3 " . 6"

< -/ B-$ - - + dk 7

# 5 *J ? 7

- "0 - b a 7 !T 2* & +"0 O3 f-. N $ 3= 37 " dUT 1 -$ 7 " 6 ! 7 & ; 3 " ???C " 1 & C " 0

"- 6 C

! 0< & ; 3 " / K J 0 7 & " " 7 $ 3 5

? @ ?D D L ?3 2+6" 68 ? ?D L ?3 2 69

?D L ?3 2 : / 70 ? D ?L ?3 2 ) $ 71

285


27

% - 5 -7 " & :0 C ] 6 / )J 7& ; = 79 & % " 0< .5 * " 0 P "/ +.5" 1 <9 " 5 % 5 6" ?+

> - +-.R " -7 .5" 7-8 5 : $ 6 . 5 " 5 " 8 $ - -9 " - L" & 8 ' 1. +) ) + $ K > " 5 1 <9 " 5 " % " A6" "

5 " +$

-. -& = " " ?`^ & $ 9 7 .5" 0< : $ " $

9 " 5 3 $ " V 0 4 0< & " 5 ; ;- < - 3 V 0 4 9 / > 0&" 5 ! 8 '

" 1 E A0 `_\ ) S ; < & G( 0

6 X C S ; < % & ( 0 > 0 : 7 " & > 0 3 +- V 0 3 +"5 5 2 9 / +"0 " ? " + & * <" 7 " P 0 "- =.R * 5 + `` < &! * + 0 +# * "

" ? &" $ ( "5 R & ! 3 1 E' & ." 3 $ 7 -& < &! C G . & V 0 4 X/ 5 5 M 3 -65 7& % M !" C 7 J 0 +"' : & O " N ) + `d

? & X/ 1 = !

"- "5 > - - 37 < 10 < 5 K ' 37 " - % $& J 5 # 7$6" 9 " J " 9 2+"' +"0 " +6" P * : " 9 &" 9

0 L & # 37 " ??? <" < A M " "T

- -& 6 " =) " + " ' G" " 7 " 7 S " < ! 7 "

? ?D L ?3 64 ? ?D L ?3 65

- - ) : & " 0< 6 1 E < &! 6 0 A0 F ?D L ?3 66 ? ) +

+ - &" ?! " " ?L ?h ; 0 1 ) " L ' 95 & 1 ) 2 / P 67

? ?D 3 < " & 0J

286


26

3 ! 9 G " 5 : / C !" +

" 7/ 3 6] = M > "5 C" r& 5 9

< - 7 % . G . 7

5 % 37 " ?M & 7 < # & 7 3 ! C 7 +"' 0 & A8" 0 * " : $ " 3 C " C ! $ 1 ) M & + 7 " =

- + `U \ ) ! b3 a -. * " CX< 5 5 2+"0 ? = "0 . A 7 <0 7 5 :- +=9 7 9 R " 0 7 > J 5 7/ 3 0< 5 " " -8 ' - I(#- - 5 0< & = A f 7 +"' 0 J C < - <- - " "7- + > E 7 " ' \" 7 & % = -& - J " $ 1 ) ( 5 0 & " ' &=9 3

" = ( <95 37 8 ' = J f 7 J 0 +"' : "- ' 3 3 4 A ." &= 9 "5 A + $ & C " B$ 7 - q 1- E' -& q $6 " 9 ;< . $ 1 5

- 6 J " A K % 1 " 1 ' P"X L 6" L < #. $ ! X * 5 23 +"0 7 1 \ "5 - -8 K " L 6 C 0 * 8 '

`Y ? "5 f

- f - & $ M ' 1 <9 " 5 C 0 8 ' ?> 6 / ! > E " 0 $6 " 0< 37 < < " `[L < +=

G 7$ 3 8 ' C 7 & D 9 3 . 4 # A6" 4 " ? ?D L ?3 23 61

N - " - $ 5 9 / P " 7 " 3 P 3 F D L ?3 62

& 0J " "0 K C #" < "' $ < "$ 5 ; 0 1 2O f ?

?

?D f

D ?L ?3 2 9 / 63

287


25

1 E5 <) 0 7 J " ( 1 > 8 5 " 1 & 7 9 ( # 5 5 ; +"0 3

" ? 7 " % C "<9 % * / " 7 8 5

1 1 J = ) & $ " " ) & T T > # $ TL T G - +- 0 K > S 9 ; < "." %" $ C"9 + "5 G - < - - > > <9 + / ( ( 7 9 C J J G ? . " $ > <8 > & "5 7 ! ( 5" 7 6 *

-& L -6 S - 9 3 5 % R TS 9T $ T T 5 M "

- + 0 & ) S 9 5 Minor Syrtis ) ". = L 6 S 9 C 0< & % & E " S 9 5 Syrtis Major Q " & 0J " ) & 7 & % / C " 0< + # " S 9 ! - C G 5 2 " 6 ( 0 5 > 0 5 1 %

? 95 3 X G"< 3 " T S 9 T 5

Charax - o - - <" 5 > 0 > M " - J 5 * & P 3 * ' ;" " " S 9 ;" 5 Syrtis ?%

- " 0 7< ( 7 7 7 " & .5 " *- ) " - $ <" ; / < ; < 7 " < " B ' 7<- "" 1" " 0 &5 < " 0 ; < . 7 " & - ! + C 9 0< < " 37 7$6" # %

+"-< #" - - "5 C

76 9 3 ! < " & + ; $ " 3 . 6

?3 78$ > - ( & ( HB 5 < " 7 "6" ! > 8 5 .5 "$ " % ( ) " ( K 7 8 5 ! * " " "& < " $/ " .# & "-." "N C - - " 6 & 7 $ S 9 "6" m&

?> 0 . A & C ; < . 0 " < " O " "

-J 5 3 3 "5 f -. "5 = M 5 " " "5 " - ' $ 3 5 & ;" + 5 " / " * & 0 ) ;" 288


24

C - -7& $ <- " B - ' P 95 ( # 5 & " + 1 & " - + - ' - " 3 " & 7 3. = & 78$ " + > " 0 E

+-0 + ' T T 3 5 W < ; " ? ' G . G"0 <5 - B-$ & C "<9 1 L > # 7 & $ " ) ! 289


23

$ ; / & &" $ To T + 0 L & "5 L 9 5 M " > - " * 3 + ; $ " (# & A0 P 95 6 <" " !

?_d o 3 . * 0 % R _`TCharax MesseneT

7 5 o ; $ & OG E" "4 < 1 $ N $ 3 $ " ?> TL 9T " * : " "." > 6" $ " < - > &" $ 8 6" ! * + # S 9 3 ;=<! !

- ! *- # " *) 5 0& " ! " " . C # ; # 7. 5 3" + / > $6 " " 6 C * 6

- " _i L - 5 1 87 +"< 1 ) " B ' M<

_j? 9 K=J & *J 3 " " .

C - # ; - C - & ( 0 P > &" $ 3 5 ; M8

G - - 7 6 5 M $ ' ! " " .

T - $ - `kSuresthai " " 7 " " L " "

G -. - " - S 9 & C JX ! C /! T n u B - ' - P -95 ( # 5 & " + 1 & S 9 & "

Thomson, J. O., Everyman's Classical Atlas, London: J. M. dent &Sons Ltd, 1961, p. 68. Map, 56 p. 24. ? ?D 3 h"6 3 ; 0 1 9 2O3 N 7 5 5 * 0 57 Herodotus, the Histories: translated by Aubrey de Selincourt, Revised, with an introduction and 58 notes by A. R. Burn, Penguin Books, 1977, Book 2, p. 189. %- L"9 ! 5 * & +"0 + 7 A *J . " " . 7 & "' 59 *J J " FO ?D L ?3N???G") 5 & " L " 6 B$ 5 2*) 5 " e

FO ?D L ?3N ??? - S - 9 +9 = C # 7 5 2+"0 K 3" S 0< ?O ?D L ?3N S 9 +9 A0 * 5 2+"0 6 3 6! *J J J "

F ?D L < J $ < D" 2 7& 3 /9 60 Reynolds, J., Libyan Studies, Selected Papers of the Late GOODCHILD, R. G., PAUL ELEK, London, 1976, pp. 133-142. 2 e " $ +"'

$ L < Je 0 & C +"' "8" . /r Goodchild, R. G., "Medina Sultan (CharaxIscinaSort)" Libya Antiqua, I, 1964, pp. 99-106. -. 1 + 6 0 5 O 7 6" " . . # " . "74N 0 C 8 " $ G . 0 ? 3 $ 1$/ R K" # & 4" ."

f f Q $ & "8"

290


22

+- 6 3 " ; / ! O J' N 0 A0

*-8 < " t " 3 " * "< t " 7 < 3 " < 6 + / 7 1 " 5 J=J 7 3

" t " 3

- 7 +9 " C $0 " J=J 7 " ; / " 1 ) "

_U?3 " / 1 3 5 K J A0 " ) " " 6 / "

- 5 P -95 - " Je 7 6 J' / " + #- - G . JV B$ & $ A " $

P -95 5" O " (# N " & J + "& 7 E5

+-J P -95 JV =8& " " " ( # 5" O;" (# N ?_Y* " 5 : 9 :#9 " $ " h # " $

-< 2 " - +"0 + ' & = * )/ > 1 3" " < 0 7 & + Charax L 9

- 0 C # % " Pharax Komi _^L & 6 L" < 7 " _[ 3- : $ " __ " C < 7 "6" $ Iscina 5 7 3J 3 6] = C 7 $ = A 0 : & C - & P 3 7 &" $ <" 5 M * 5 3E ? 6

L -< A " K J 0 = < 2 < 51

?D DN *-

$ . & "/ + # D D9 ". $ D . 5 " F ?D

? & " G= 5 C " " $ 5" O @ Savage Elizabeth, Excavation at Surt between 197781, the Department of Antiquities, Tripoli 52 and the Society for Libyan Studies, London, 2002.

< # ) L " 6 $ 1 " %" ? O : "N / A 1 2 " 53 ?

?D

-$ 2 %" - - 1 " ? OO " O 0 &5 C 6N : "NN & ) 2L" "= L" "< 54

? ?D

< # ) L " 6 Reynolds, J., Libyan Studies, Selected Papers of the Late GOODCHILD, R. G., PAUL ELEK, 55 London, 1976, pp. 13-45.

291


21

( *$6" "." < C < $ <0& 6 " -. ?* 3. X " ( " / 3 4 5 >

+9 * / > =9 * 5 M8 5" 9' ". * :/ 0& 0 ; $ & 5

* 5" $ 6 &" 7 & P 95 " 6 * / * 5" C 6 & E' 0

- 6 -& - ^d :" $ <<9 A * 0 0 " J=J

( J5 #$ 9 * & M * 5" ^i + J + O; $ &N 8 9'

^j?3 f-. "' P & 3 C . 0 C * $ *

= / K J 0 & 5 & C 0 C 7 5 ; M8 - 3. E" h N & " " 7

G 5 ! 7 ; 3 " > 0 = / A 0 C 9' " & ! C 7 & K$ 3 " O+ -& "- " $ 9 ;& ( $ /" J$ < 7 $ -. # " " C 5 5 " 0 5 7 )/ > 0 7 0< ?3 + < + "6 7 0& = "< 3 3 % 5 ! C ] > 0 3 " & 6" B$ 5 /$ 7 =0 - 37& 6 & 7 8" 9 & " < M "

- 5 & ; 0 37 3 ) ;/ & . +# ! " 3." 3 " 3 7 " 5 < "0 . % 37 ;0 " 6" - > 7 " J $ 1 & 7 #. 3 ! . ) - 5 5 - ! " " J 5 5 3J 6 / 0<

*- !" < - : / +8 " 37 7$6" +8 &" $ >

_k? 7 1 0 / 5 " G "

Ibid., pp. 20-21. 47 Creswell, K. A. C., A short Account of Early Muslim Architecture, Revised and Supplemented 48 by James W. Allen, Scolar Press, 1989, fig, 147, p. 258. ? ?D L ?3 2 5 49

2 e " $ + $ + 0 : C 9' " $ 0 50 Abdulhamid Abdussaid, Early Islamic Monuments at Ajdabiyah, Libya Antiqua, 1, Tripoli, 1964, p. 115.

292


20

* Q * B$ & "" 3 7 3 6 3 % ." " + .

- *- - ( - J5 - X - N = J "- +"-0 " ^UT J=J > /"0 % ^Y > 6 + # * J5 5" " * 5 2O3 f-.

7 7 + 3 5 # ^["/ G# 5 3 M8" 3 - <0 C " R " ? . J=J " 0 0 " + / J 7 : " A 1 0 < ! > 0

-JV - 6 : -/ 5N+ / $ C

6 " $ 7 J=J C " !

3 -65 95 A C / :0 * 5 * X A / " ?O /

7 A ! * / * 5" ^^ "0$ G A * 5 M *

Q - - (# 7 \0 A & ( C J % ^_ * " * 6 ; " 5 M8 > 0 / $ G \0 C "$ " b a / "5 / "." (

- 3- ( 5 X ! L" . " + " 3 "5 f-. "5 . (

R 9 A 6" 5 .

1 s : 8 " % & G R " ^` f

" 0. 5 9 # " 5 C "J ( J5 A0 7& -. A ( -& - " / 7 ! + 9 7 5" 7 80 5 " <

- *- " 5 & " < 5 + 3 ! $ % 7 7 " 3- A ( m& % " C "J G . ( 80 7 " % E P 9' ; G" "

? ?D L ?3 41 " $ 1 < 9' " Q 3 +8& & 4 ' .# 2 = J " 42

? ?D J. R. Pacho, Relation d'un voyage dans la Marmarique, etc. (Paris 182729) 43 pp. 268-269, pl. XC. (pL.I, a & b). 21 $ " / " & 3 0 " " D G " * "5 "" * "6" C ! " 2"/ " ? + /" + / "' $ < " " + " W ?

Whitehouse, D, "Excavations at Ajdabiyah. Second Interim Report", Society for Libyan Studies. 44 Forth Annual Report, 1972 1973, p. 22. Whitehouse, D., "Excavations at Ajdabiyah. An Interim Report", Society for Libyan Studies. 45 Third Annual Report, 1971 1972, p. 17. Whitehouse, D., 1971 1972, Ibid, pp. 17-18. 46 ? JV 1 ! / JV 6 # 9 & O / N \0 . +0 3

293


19

-7 " C - 78$ " e " < .R !" C " 8 & " A 8

[_?T( ( 7 .5 1 /" 37 0 " 37 1 + 9 7 " : 8 A

"- 5 G - ( 7$ X : 8 " 0 +6" " $ R " - & ; " 5" C J ; &" 7 " + $ $ J $ " * 3 0

[`? " " 6 J=J 7 " "" 7 .5" C " 0

& - - ! 37 - : $ 5 5 " " C " ( 5 5 * : R "

". ! " [d3 f-. 7 #$ * ?G E J + " 35 +6" G 0 - ' K < + $ 7 " ' ". *6 K 5 M8 " " -& - 6 ! -7 ; 3 & e 5 : & " ' 2+"0 7& " * R + # ( 5 ! [i * 6" :$8 7 & 7 5" (

0& $ ' b 5" a 7 1 "T 2 +"0 A8 " "

- L - " * 7 ( 5 & G + [jT . 6 7$& " 7 &

?; < / P" ."T 2* "0 / K J 0 7 & 5 ( 7 $ R "

- ( * * 5 9 R B$ " C 6 3 6 b 5a C -/ " - ( B ' (=9 & +J 6 ! % . e L " +9 " * "

^k?TC "

-& - 6 - - ' B$ . ; " $ X 3

3 f --. 7 3 6 * ( J5 X / $ 7& 5

" & C "0 4 V" C J C JV b 5a G . &" ???T 2+"0 ? @ ?D D L ?3 2+6" 35

? @ ?D D L ?3 2 36 L " 0 $ ?< 3 / ; $ " ; 0 L " " 0 &5 95 & L R 2 5 37

? ?D

? ?D L ?3 2 : / 38 ? ?D L ?3 39

? ?D L ?3 23 : " " L ! 40

294


18

295


17

296


16

- ' 5 ! - 0 <" 7 5 7$6" .5 + " ? . A \"-0 " 0& <0& " $ ! 7 < 3 65 M r > C & " J'

" " + 5 " C

" " 7/ 3 = " & e 0< 1 6 0 E!

7 . 5 5 / "6 W 0 " Yj?3 " & " 8 ; < * 7 " " K " 6 74 3 = "

- 7 *6 +J % & 7 J 5 5 5 M8 " " [k?G V" +& "0

[U? 6 7 & & 7 & P 9' . & 0& = $ &

- - + " 3 65 7 " 6 ; " 5" A " 7 5 2 "0$ +"0 " [Y?1 * M

<- -$ - 6 3 X [[3 f-. > 5 37 " < <

- - ? 7- 1 & 6 37 < + 6" 37 -7 37 C & < 3. 8 7 5 3 < &" 5

; - - 7 > ! G X 3 0 3 0 " 5 3 + A . % R 7 & " C < 7 " < = 3 9 5 " ?( " 1" < 3

"

=- " 3 f --. - [^ 8 X 3 0 . 6 A K ? 7 $ P 9' 1 6 ( " 7 A 6 ; < G 0 37 5 A6" -. # - - 0 - 5 A8"" 3" : J 5 * ! +" " ; ) - +"0 . ' ' ;& .( " &

6

+& "0 + " ' * 7 D 9 7 7 7 6 7 5 2+6" "- 5 : - 9 7 1 5T 2+"0 " " = C " " C Reynolds, J., Ibid, p. 181. 29 Op cit 30 ? ?D Q " " L / < 9 +"' 3 $ 2 " "6 31 ? ?D L ?3 1 2 "0$ 32 ? ?D ?L ?3 2 / P 33 ? ?D L ?3 2 / 0 34

297


15

- :- " 6 " $ + ' 5 ! ; & > V $ 3 e ." 6 = C

6 6 5 2O3 N ) $ +"0 ! #

- -J < ( + 1 5 +"0 " ?h 3" 7 + 0 " 1 9

"- " *- 5T 2 $ 3= > R $ +"0 " ?Y_ $/ " M 0 " + $ " 3- B 5 3- L e 6 " J < ! C " " 6 7

-7 + = + 6 A 0 & *6 K ; 37 Y`?T

- " 1- 7 O J <N L "< C C " 7

+ 6 h 7 5 G X >=8& $ & A 8 " 5 / 5 +"0 * $ "?YdT 7 " 6 B 5 . J < 5T 2+"0 $

- O < " " 0 N 6 5 YiO " \"0 " :#9N J' :/ + 5 K- J -0 7 & " J " $ > 0&" h + #- # - J h 7 65 7 0< & A0 > 0 /

1 -) ! $6 " h ( " . . & 1 " 7 1 E5 3 - - $ 6 J h 5 " " C $ 7 C - & -& ;-& 5 ! 7 " ' 6! & / 3J 3 ?% > 3 + # # A8" 5 ! " & " < +=

- ; < 7 ' "8" . 7 ! 6 + " 5 ". 1 5 K X " ?> 8 5 5"

-7 - S 9 6 / 7 1 6 # ) 1" 3 " $ 5 A0 - 0 +& "0 ; < . 0 " 3 " 7 $ ( " 37 ! A6" *- ;- " * 0 A8"" *00 & ) 1 2O f N " 5 ) $ 25 ? ?D < " A #" " / " < 1 $ + ! ?

?D L ?3 23 : " " L ! 26

? ?D L ?3 27 Abdulhamid Abdussaid., "Barqa ElMerj", Libya Antiqua, 8, 1971, pp. 12-45; Dore. J., Is ElMerj 28 the site of ancient Barqa? Current Excavations in Context. Libyan Studies, 25, 1994, p. 272; ? ?D 3 0 6 / 4& = ! " 6 . "/ 2h

298


14

-7 .5 - - A + ' " 9 " * " C J C 6T

?YUTW= " 9 +.5 3." ( )

2K J +"0 "

- - ! 7 + " 7 +.5 M J 5" ??? 9 C J ( 9 7 5 T : - 5" + - " h - ' " #" J C J ." <0 " + $ " :" ?YYT* "

=- -79 "' $ ' " 0 & $ 6 5 ; M8 " -$ + - ' 5 ! 7 8"5 0 +8 C . # . C L -9 -0 - - - C . 0 C 37 ! < + 0 (#- "J X 3 &=9 ( J5 = / f 7 ? 6 3 6! & 7

-& B # C 5 > > ". . 5 O3

N R "

2+"0 76 " 5 1 5 3E 6 - 7 " ??? G . E : & " C 76 " 5" + 6 . 5T =)

-7 - " <0 : 5 : * 7 ! 1" <0 # &

:"- -7 +0 " "5 " Y[ " " 0 " g e !"

;- < 5 - + Y^T ; < " ! # " + $ " ? ?D 3 C . 0 " < 3 6' & $ & 3 0 5 2O f N 0 21

- P & 5" &" & 5 * 7&" * 3 6" *00 % " % 2O f N 22

? ?D O L " q L < N 1 $ " h < 6

-6 - " $ 8$ 5 " ! <0 L " <0 " 0 5 M 2T " ??? <0 T 23 - * / 1 +0 ( J5 A6" > 5 ! <0 7 & " G . +6" "0

1 5 K 3

5 . 3

" o + 6 "5 * 0 + 6 ! T b a<0 T 3 - * +"0 ; < " <0 h m 6 C 7/ "J 3. & 6 8 <0 5

-. X-/ . & m& " ". 7 + + # " "5 h ! 5 ! T " T

?o + 6 A6" X<9 ." T "5 7 ! " " T > +6" G "." T " T

; &' ; 9 & ; / .# 1 C "9X L ' " " " B 5" 1 ) 2 : / 224

? ?D 3

299


13

C 0 < \ B 9 ! $ 3 f-. ! 7 C < 3 !" 7 89!

?Ui 7 .5 J 5 &5 > 7/ / J > " 8 > 7 o" & " 5

7 $/ C 0 " V 6 " 5 ! & + $ < " < " ! 3. " 7 < ( ' 7 " & 37 > "6 > % " " " 37 0 0 ( " 3 $ 37<<9 J ; 0 + 5 7 $ < ( 80 " -& > - 5 > " - $ 6 6 ! 37 " + 0 "$ /&

& D0 1 * & B "$ 3 ! < +" " - -6 5 / P +"6 % R 3 ( " 8 "

% ?Uj3 f-. & $ 8 ) & " /

"86" ' " / & C . # 0 6 8"5 " < +

+ + $ ; <" G

< " + /& ] 3 \ $ ; $ +

C G . & C . # 6 8"' : " 9 +$ " +8&5 C + 5 7 " 2+"' +"0 " 0 " +6" K & G - -7 " " - 0 ! 3 0 * # +"5 ." 7 " 5 G" "" ???T -7 - " C 7 & > =< A<0 6" + & ( ) C J "

"7 " J & L <0 C & 7 5 % " 6 / " )

C - ; "- 5 7 " "5 C # 7 ! " " " g " " " C 1" 8" # " A / " + $ " + " :" " C . $- 5" -7 9n " < ( 7 .5 1 /" 1 ) C " " ; /

?YkT?? E' A & D9 8 & 6"' J X 2 J +"0 "

+ &" ?! " " ?L ?h $ " ; 0 1 ) " L ' 95 & 1 ) 2 / P 18 ? ?D 3 J $ < " & 0J

? ?D L ?3 19

- N " - C "/ B ' C " 1 2O f p N 3 0 5 +6" 20 A- #" " -/ = " & ) 1 & 2L ! f3 : " ?D O Q "

? ?D # )

300


12

" 0& 6 3 6! 1 E5 *$ 1. ". 1. 5 M " K=-J C - 5 A & 3 $ 7 "7/ 1. n 5 5 "." " 3

A0 ' " 9 5 M8 " " ?U^-. " -/ 8 37 > 0 > 7& 1. 37& 7 .5 ! : 7 6 " ?> 6 / G / 8 > $ > * 6" & " " " 37 8 ' 1. JR 3 < "J B$ J 0& = A f 7 K J 0 & 5

- " 3 f --. - " --. N C . # 6 8"5 A6 " & - M- ' - "- "< - - 5 - " ( - J5 P 95 C "J" 3 f-. "5 C " 7 "8 $ $ (" 1 1 E' & " U_O3 f-.

1 E5 7 & % / C "J -. C "J & K 37 + 6

J 5 / C "J I(# "5 U` +"6 1 O " N "5 --. C "J & K 3 / " & $ &=9 3 65 3 6! ?-. C "J & K 37 $ " 8 3

1 3-7 " L X & 37 $ < 5 C . # 6 8"5 R " - 1- & 7 = $ 6 ( " 4 " 3 L " > : $ & - 6" 3 f --. J 0& #" 3 < C & ! Ud3 f-.

-& " < - M - 3 " 7 7 3 0 " 5 37 9

& + 2O ' N h #" ! " 7 & 3 6 D" 9 4 14 F ?D L " / " +"' (# +"' 3 0 7 1 2; 0 " 9'

: " " L ! 2 / $ & 7 0 C D" 9 4 " ? ?D * K J 3 0 " ? ?D # ) / = " & ) 1 & 23

-4 " F ?D 3 " - - J Q 2 "0$ -. C "J D" 9 4 15

F ?D ?L ? 3 --. C "J D" 9 4 " F ?D L ?3 2 "0$ 3 f-. C "J D" 9 C . 0 & 0J ; 0 " "< 5 C 2 " -. C "J D" 9 4 " ? @ ?D D Q "

? ?D L ?3 2 16

-Je " &" 9' " 1 1 ) < " Q 2O f N L ! / 0 17 ? ?D L " " / & ? / .

" 700 0&

301


11

- V - - 3 - 6] 6 5 K ' M8 " g"- - ! * K$ !" h 9 7 9 " &"" "

& ( 5 > $8 " G 6 5 " .( " ; + i* 5

6 & ' 1 + J 9 +$ " ? 8 & G 7$ 3 5 "." G &" 3 - 5 > # 3 5 & 6 # # & " T 2D $ " +"6

?jT 7 +# 5 "

-7 5" 0 " (" 7 $ 6 5 " & ) " 9 R K 37 "

- "' $ ' " 0 < 6 . . # +8 \ $ " & \ $ FUk 1 -) -& 3"6 1 95 7 .5 5 2 = +"0 ! "' 0 7

7 & " ; & 9e " J < & " ( 78 5 & " * 5T 2 "0$ +"0 "

>=-8& . < " B" l " " 7 < / " " + UUT1 ? ; < 7< "" 0 &5 + / " 7

- & 7 J 0 & " 8 ' "J X & 6 / 1 " 1 E $6 " 0< 6 3 " f-. " $ &=9 3 7 5 . " ? " " 3 > $ & 9 7

- -J$ 0& ; / " 8 ' A " " = :0 > " > 6! 0 6 3 6m -&=9 - X 1- ! > E 7. & " C

" -.

L" & 8 ' 1. +) ) 1 7 +/ @ 4 1 E5 @ UY " 5 3J $

" 3 # $ 3 "5 f-. "5 6 5 3J ?U[ 3= 7

? 7 ? ?D 9 0 ? ?D ?L ?3 2 = F ?D ?L ?3 8

? ?D L ?3 2 = 9 ? ?D ?L ?3 10

? ?D 3 * ;= ' 1 A A 8 1 2 "0$ 11

" - " ; 0 C " 2O f N : " 12 ? ?D

? ?D L ?3 13

302


10

C"-95 -7 ! X- "5 .X-/ 5 3?; L 0 : &" $ ."

> 6 C . # " Y37 " * 1/ :=9 J! "6 % J L"= 5

-0 - 7 & Z= > "< 3 3 % 5 ! 3 " 7 $ 7 + ( 7 -6 +- C ( . M ' [+"' L" < +$ 3?; A

* " = A 0 : & ! " " 7 $ 3 " 8 " ! *7 " > O 6 N "6 3 6 7 $ " = \ 7 ! 7 5 L" " + M8 J < ! "5 < # 7$ 9 "5 & * O - = L -9 0 " A 0 9 "5N G 7 & 3 6 3.5

- A- # 9 5 ! "$ % ( " 1 5 " " " $/ 3 370 & < # \ * " 3 37 5 "

37 - -&" "J$ & ^3 " & 3. 8 78 9 1 +=9 3 6]

- & 1 <9 ! 3J & D $ " ! ( 8 5 : X _ 37 - 6! - < # C < 37 9 C"

" 37 = ! = C "

- 5 1 ) - E % " ` 6 +.5 " " 5 2 = +"6 % R & > 0 " " % L $ + 37 # +6 $ " 0 5 " -7 .5 5 + # A& D $ " $ 7 .5 7$ " 3 > 7 & c 7 b 6 aL < 5 +.'T 2" +"6 % R 0 37 "0 +6' 37 "5

?dT* 37 &"

? @ ?D D # ) 1 e < 7 0 0/" "6 ( / ! 23 . ! 2

?C / ; ?L ?3 9 0 ? @ ?D D L ?3 3 ? \ . & " * L" " 1 4 4

A #" " / $ / ! < &=9 + 0 " $ M 2W < M 5

2 =0 ?D L < "' $ < = " Fournel Henri, Les Berbers Etudes Sur La Conquete de L'Afrique Par Les Arabes, Paris, pt I, p. 26. ? ?D " 5 6 < "8 3 . ! 3 0 W" & 2 = 6 ?D - . "- + $ $ < P " # / / . 95" W" & 2O f N 3 7 ?

303


9

+" - * " " K . & > $ G= = 5 C " K 0 & C 0 < "" + + /" < " B" & P 9'

0 J" 7 J=J G -." . - 7 "5 .# " ; < " 77 < " ; <

3-J 3 0 79

C 9 C K +" " " 5" 6 2 . 1- +=-9 % " " J " ". 3J . # & = 79 - - J' * 5 " 1 $ & ) " 1 " = W"

? G . &

? < " " 0 & ; < " " " < 9

304


8

- C & " ' +4 & +6' 7 7/ "5 G . "$ " ???" " L" /" ? = " < # " " " 0 E " " 0 C & !

. "74 + " ( 0 . . # " "74 :6" :" $ ". "

- L R 0 1$ + " ! 0 % - - 4& & 7 " 1 " 0 C " ' 1 -& 37 - ! +- . 37$ / " < % 5 ! . "< " 7 "

? 7 L </ ' : 9

1 E" ' 8"' ". " 1" <8 8"' JR A < " & C * " " * " % ! 0 3 " " " 0 1 E' K ." 7 "# ! "5 7 = 8 ! R " $ < " / + $ 1$ 0& 7 ! = +" " 0 J=J " 0 &

+# #" O < #- " + - "" - " N - 6 3 - 8 " * / "JN - - & C 0 C 0 + * / & I " O " 0 "T 2L" " +"0 O* C " ;< " S 9N < " 0< &

: 8 " UT ) 17 " 1 + 5 1 6 5 5 $ 0 &5 ?> 8 5 < #

A - -0 :- -& = " 8 5 I(# 5 " 5" 6 +J V A6 " &" B$ /$ > 0 = ." ? "" * "#" * "5" L E" L" /" * " L <" C " "

< / :$8 . " D 0 " 7/ $ * " P 9' ( 7 $ - =- Q C C G . & +6' * 6" "5 < / 7 & 0 L P 6 "5 +0 "5 J " -7$ -9 "5 & O 6 N "6 3 6 " ." " 6 - A < " " G " ; " G " " J <" " ; <" < # . < ? ; 0 " " 1 2O = L 0 N L" 0 & L" " 1 ? ?D L < 7 #

305


7

*

!" #

),- . # ! %& * ! "+ ! & ! ' ( ) $ % # $ 2 % 3 * 4 5 1 ! 0 *!/ !6% ! 7 4 # !6% )8 9 # ! ! :; ) 4 <7% % ) )

, !; @ ? " ! >) ! < % ! = / # C 8 6 % % ! A & B #/ % . " ? ) / !

, ! , 4! , ! , B 0 & @ 6 = = 6 *#

' , !4 4 " !4 B # !4 * ' 4 E - D! !4 , 8 - % ! F / !4 ) @5! !4 > = !,. = ,7 = ! 6. % 5! % !5! !" ;

B , %! , " GA 4! 0 . F ) 0 / !4 ) % % ! 0# ! :,% - *! 2 / .% .! *5& F ; !4 ) / ! % H -! H ! 9, /I 4! F +. ! : ! @ ! - / ! 2 ; ! : ! > ; ;. & $ D! 7 / ! B 0 ! ) % ! ; , J! % 6 H ! " 6#5! 0# /% : # %!

4 B @5 ! % !; 8 ! ! 6 7 4 :; % , % /I ! , ! , 5 ;,. & !, 4 9 8 6 % K L 4 ), !5! , ! ! O F ! NK ;M !4 *I E ! ! K ,D! !! B" ,5! ), !4! 4! ! ! ! : ! I ;! 5 ! K ! 5 # P 4

306


6

307


5

308



3

310


2

! " !#$ ! ! ! # ! " %& '( - + !# , ! ) * ( !0 $1 . / ;!< ! !# = 8 : !74 + 9 & 85 6 !74 2 3 , C D E4 A# B 8@0 !74 >! ? 8%$ !74 J 0 , 8! , I !74 H ; 8G !, ;!$ !74 F #$! F ;!7 89 ! H +( 8 C # N !OP 4 M! !/ '( 8 L 0 A ! !74 !# K$ -8G !L !74 S B 8 R !74 Q 6 ; O !0 B + V+WX KJ + $ T M 7 A M ! !J A !U #J 0 , ;! $ M! !/ '( !Y Z M '( 5 " ! [!, O ! \ 3 %& '( AO 6 ` '( D 'I B A ] O ^ 7 M!' # _, %

$ a B b Ja A ( R!O :c * ? $ '7 d 7 A A ( e$ %Ja Aa e H(!$ f '( (: g!X( A h > i! ! ! M L ! ! A = j 7 j $ 1 ' B A !0 7 $ ! * k !+ $ A !$ k M! 7 :6 ! ! ! J O !J6! * ! ; : 'J ! A 6 ! 6!+ $ e ! M ! ! ! !# ! 6 ! ! $ ! " 3 O : ! 1 ;! C U !J ! " W$ U !# K$ : 0 , ! $ ! J 6! ! 1 6 O A !, 7 k !' !O $! G , !+ ! 1!, L A :6 U ! A !6! ! ! ! # " A 6! ! ! A !, 7 06 e !# J #$ #J 0 , 6! G U ! ! 7 !# J 7 AJ $! ! ( ,! ! " k ,! T M 7 A !O!7 A # : ! ! A6!' M ;!W M l M !O! A #$! k 6 1 6 " ! J6 U ! ! ;! ( & J -bm ' ! 0 @'J n C P R!C ! R!$ o h' *' 6 A ! ; V (Re$

AlifbĂ , Accademia Libica - Via Ricasoli 29, 90139 Palermo, Italia Tel. +39 091 332347 Fax +39 091 585859 alifba@accademialibica.com www.accademialibicabica.com

311





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.