CLAUDIO MATTALONI
Acquedotto POIANA SpA
UN SECOLO CHE SCORRE. I CENTO ANNI DELL’ACQUEDOTTO POIANA A 12 Comuni limpide e pure acque portò
RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare l’ing. Alessandro Patriarca, la signora Tosca Todone e il personale del Consorzio Acquedotto Poiana per l’amabile collaborazione prestata nella fase di ricerca archivistica e documentaria. Inoltre le dott.sse Francesca Ferin e Marzia Mazzoli della biblioteca comunale di Cividale, per la gentilezza e la competenza e, per l’Archivio storico del Municipio di Cividale, in particolare Simonetta Coceani.
Un plauso alla professionalità delle Arti Grafiche Friulane / Imoco, in particolare all’operato di Lorena Bergamin.
Per aver cortesemente fornito cartoline, immagini d’epoca e altro materiale utile alla ricerca, si ringrazia: Angela Borzacconi Fabrizia Bosco Lucia Brosadola Walter Ceschia Wanda De Bernardo Giordano Di Zanutto Fausto Fantini Giuseppe Furlan Romeo Lancerotto Oscar Marchese Maria Luisa Mulloni Geremia Nonini Felice Peressin Walter Peruzzi Michele Pizzolongo Paolo Rossi Stefano Scaravetti Maria Visintini Comune di Corno di Rosazzo Comune di Pavia di Udine Comune di Remanzacco
Se non diversamente indicato, le fotografie sono dell’Autore. Le immagini qui pubblicate di documenti e progetti sono tratte dalla documentazione originale presente nell’archivio del Consorzio Acquedotto Poiana; le relative riproduzioni sono state eseguite dall’Autore. © Acquedotto Poiana SpA, Claudio Mattaloni
CLAUDIO MATTALONI
UN SECOLO CHE SCORRE. I CENTO ANNI DELL’ACQUEDOTTO POIANA A 12 Comuni limpide e pure acque portò
Acquedotto POIANA SpA
PRESENTAZIONE
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PRESENTAZIONE DEL PRESIDENTE DELL'ACQUEDOTTO POIANA SPA
L’Acquedotto Poiana taglia il traguardo del secolo di attività in un tempo in cui si è rafforzata la consapevolezza dell’importanza della risorsa acqua e matura pare, finalmente, la convinzione della necessità di una sua oculata gestione. Abbiamo voluto ricordare questa riccorrenza e onorare con questo studio chi, in giorni passati e certo non più facili di quelli attuali, ha saputo guardare oltre il suo presente e soddisfare i bisogni di una collettività cui non era garantita con adeguatezza la più essenziale fonte di vita, ed anche tutti coloro che in questa realtà hanno operato con dedizione. Lo abbiamo fatto cercando di andare al di là del pur dovuto ricordo degli anni, degli uomini e delle opere compiute, per cogliere anche il come si è giunti a quest’appuntamento e quali sono le problematiche e gli scenari del domani. Ne è scaturito un lavoro a più mani in cui storia, legislazione, tecnica e ricerca scientifica si mescolano offrendo uno spaccato ricco di informazioni e spunti di riflessione. Un pensiero riconoscente deve andare in particolare alle amministrazioni comunali che, con spirito consortile e sostenendo oneri economici gravosissimi, seppero superare i localismi e dare una risposta unitaria di territorio a un’esigenza che non si poteva differenziare per confine amministrativo. Spirito che ancora permane integro al di là delle oscillanti visioni sulla gestione dei servizi pubblici locali che caratterizza il nostro sistema paese. L’acqua che scorre dal rubinetto, cosa per noi tanto scontata da non suscitare alcuna emozione, è il frutto di un lavoro continuo che deve garantirne costanza e qualità a costi contenuti. E che prosegue con la restante e non meno importante parte del ciclo al fine di restituire quella depurata all’ambiente nelle migliori condizioni possibili. Dovremmo avere una maggiore consapevolezza di queste così ‘ovvie’ comodità. Consapevolezza che certamente avevano i nostri avi, costretti a servirsi di pozzi, sorgenti o cisterne per gli usi più essenziali e, certamente, senza spreco alcuno. Un grazie a tutte le persone che hanno fornito il loro contributo, in particolare al prof. Claudio Mattaloni per la parte storica e il coordinamento generale. E un grazie d’obbligo va a tutte le persone che operano oggi in questa bella realtà pubblica, portatori di un testimone che ha iniziato il suo percorso ‘ufficiale’ nel lontano 1912.
Attilio Vuga Cividale del Friuli, 13 marzo 2013
I CAPITOLO PRIMO
IL PERENNE DESIDERIO D’ACQUA
UNO SCHIZZO INTRODUTTIVO Una sintetica ma efficace descrizione del distretto cividalese, all’affacciarsi del XX secolo, è stata così limpidamente tratteggiata: La regione è quasi tutta pianeggiante, racchiusa a nord e ad est dai colli digradanti delle Prealpi, tagliata quasi a metà dalle catene collinose con direzione nord-ovest, di Rosazzo, Ipplis, Manzano e Buttrio; tagliata nel suo mezzo, da nord e sud, dal corso del Natisone, bagnata dalle acque povere e irregolari dell’Iudrio, del Torre e di tanti altri torrentelli e ruscelli che, malgrado il loro numero, lasciano il territorio in perenne desiderio d’acqua. Sull’aspetto economico-sociale: La popolazione si applica nella sua grandissima maggioranza all’agricoltura; poche, benché fiorenti industrie si trovano nella regione, come quelle principali dei laterizi e dei cementi a Cividale, dei laterizi a Buttrio, delle seggiole a Manzano, S. Giovanni di Manzano e Corno di Rosazzo, della filatura della seta a Cividale e Buttrio. Questi i dettagli sulle produzioni agricole: Come graduatoria delle diverse colture, tiene il primo posto e, a grande distanza da tutte le altre, quella dei prati naturali, alla quale seguono, in linea sempre decrescente, il granoturco (compreso il cinquantino), il frumento, il prato artificiale, la segale, l’avena, le patate, l’orzo e altre colture di minore estensione ed importanza. L’allevamento dei bachi, colla conseguente gelsicoltura, ha un notevolissimo sviluppo e dà prodotti abbondanti e di pregio che in parte vengono lavorati nella regione, in parte trasformati in seta in altre filande del Friuli. La viticoltura, estesissima (specialmente nei colli), mentre nella pianura vede predominare i pessimi Clinton e Isabella, nella collina dà prodotti di molto pregio e che hanno un’ottima fama; citiamo fra questi i vini di Rosazzo, S. Giovanni di Manzano, Buttrio e dei colli di Cividale. Rinomatissimi i bovini di Buttrio, S. Giovanni di Manzano e Corno di Rosazzo.1 E per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico? Negli studi sul passato, lontano o relativamente recente, è assai più facile trovare indirizzata l’attenzione
sulle grandi difficoltà di procurarsi il pane quotidiano, mentre molto meno frequenti sono gli approfondimenti sul reperimento dell’acqua, altrettanto indispensabile alla vita. Si tende quasi a sorvolare su di esso eppure, lapalissianamente, è elemento basilare per ogni insediamento e il suo costante approvvigionamento ha sempre richiesto la perenne, affannosa cura dei nostri antenati. La relazione tra l’acqua e lo sviluppo di un territorio è strettissimo, nei paesi ove difettavano le sorgenti, per provvedersene si ricorreva alle rogge, usualmente canali aperti derivati dai torrenti, a ristagni naturali o artificiali – con acque quasi sempre contaminate –, a cisterne di raccolta dell’acqua piovana, a pozzi più o meno profondi. Si poneva mano, qua e là, alla posa di qualche conduttura, ma le competenze idrogeologiche non erano ancora in grado di emettere sicuri giudizi intorno al valore delle sorgenti, nè di stabilire in quali casi potevano considerarsi perfettamente immuni da L’approvvigionamento di acqua potabile era una costante preoccupazione in ogni località, spesso tutt’altro che agevole, richiedendo molto tempo ed energie. Nella foto, abitanti di Risano in una cartolina di inizio Novecento, in tempi ancora lontani dalla realizzazione dell’acquedotto Poiana (collezione Fausto Fantini, Lauzacco).
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IL PERENNE DESIDERIO D’ACQUA
Le acque scorrenti nei paesi, in percorsi naturali o artificiali, assumevano un’importanza fondamentale per svolgere le più comuni operazioni, legate al lavaggio e all’igiene, ma talvolta erano pure fonte di approvvigionamento per uso alimentare (gentile concessione di Oscar Marchese).
qualsiasi pericolo di contaminazione. D’altra parte, le amministrazioni pubbliche, anche per la tenuità dei bilanci comunali, non giungevano a concepire progetti grandiosi – e dispendiosi – che avrebbero richiesto di dilatare le ricerche al di fuori del proprio territorio, anche a grande distanza. Non era ancora sufficientemente noto il valore dell’igiene pubblica, permaneva ancora sfuggente la stretta relazione tra qualità dell’acqua e igiene, con le temibili malattie infettive che trovano il loro maggiore e naturale veicolo nell’elemento liquido; in questo campo, solo a fine Ottocento si facevano dei reali progressi. Una volta consolidate queste conoscenze, aumentava notevolmente l’attenzione delle amministrazioni locali per provvedere ai bisogni idrici della popolazione, anche affrontando ingenti dispendi organizzativi ed economici. L’acquedotto si presentava, in genere, come la migliore soluzione possibile. La metropoli udinese trovava sollievo alla sua carenza idrica solo quando dopo ripetuti, infruttuosi tentativi riusciva infine a dotarsi, nel 1888, dell’acquedotto di Zompitta. Dei 179 Comuni che nel primo decennio del Novecento componevano la provincia di Udine, 77 si erano provvisti di acqua potabile buona e sufficiente dopo il 1892, solamente 25 l’aveva avuta sempre tale; rimanevano 24 Comuni con acque parzialmente e 53 con acque interamente cattive. Questi ultimi erano per lo più ubicati in zone pedologicamente caratterizzate da alluvioni grossolane di spessore più o meno grande, con assenza di corsi d’acqua perenni, solcati da letti normalmente asciutti e poco incavati – faceva eccezione il Natisone –, con estrema rarefazione di sorgenti non essendovi pressioni sufficienti per portare alla superficie le acque della falda freatica. Mentre riuscivano a realizzare acquedotti bastevoli a soddisfare le esigenze dei propri abitanti i Comuni di Tarcento, Nimis, Faedis, Povoletto, Torreano, permanevano in una pessima situazione di approvvigionamento, per quantità e qualità, quelli di Remanzacco, Pradamano, Pavia d’Udine, Buttrio, Corno di Rosazzo, Manzano, S. Giovanni al Natisone.2
In questo contesto, il percorso di avvicinamento prima all’idea, poi al progetto e infine alla realizzazione di un acquedotto consorziale nell’ambito territoriale del Cividalese, fu lento e complesso. Per affrontare e superare le difficoltà che soverchiavano l’impresa, di proporzioni titaniche tenendo conto dei tempi e dei mezzi, fu necessaria l’unione di forze e la condivisione di intenti. Molte opere centenarie, di varia natura, sono già relegate a impolverarsi nel cantone delle memorie vacillanti, nei casi migliori gli è riservato l’onore di essere esposte, per destar meraviglia tra i visitatori dei musei. Alla stessa età, il secolare acquedotto consorziale del Poiana, invece è in piena attività e continua a svolgere ottimamente il suo ruolo, come una presenza silente che accompagna i gesti quotidiani di decine di migliaia di persone. Il suo valore vitale può, da alcuni, non essere neppure percepito, ma la sua indispensabilità merita sicuramente una attenta riflessione, da parte di tutti i suoi utilizzatori. Dopo cento anni, con questa ricerca si intende contribuire a sciogliere le incertezze cronologiche e documentarie che, come un opaco velo, ne avvolgono ancora origini e sviluppo, infittendo il più possibile le conoscenze sui molteplici aspetti di questa straordinaria realizzazione.
I PAESI INNAQUOSI Gli abitanti attualmente sono nella triste condizione di doversi portare ad attingere l’acqua per abbeverare gli animali e pegli usi domestici, nel lontano ed incassato Natisone, con grave disagio e pericolo per le rapide calate, rese impraticabili da alcuni indiscreti frontisti.3 In questa descrizione del 1861 sicuramente si riconoscevano molti paesi innaquosi – ovvero carenti d’acqua – del locale circondario,4 che condividevano la sfavorevole condizione, pur variamente graduata, relativa al liquido potabile, non solo insufficiente ai bisogni locali ma spesso anche inquinabile e dunque potenzialmente pericoloso. Con poche pennellate verbali l’ingegner Nussi tratteggia i principali mezzi di approvvigionamento dell’indispensabile elemento: La maggior parte delle acque potabili sono il prodotto di rivi d’acqua che scorrono o sulla superficie del suolo od entro il primo strato di terreno, oppure sottostano ai fondi detti terziarii. Quelle superficiali non sono che il risultato delle scolaticcie dei monti più o meno durevoli, a seconda della durata delle nevi e della spessezza ed estensione dei boschi montani. Da ciò facilmente s’induce come, colla mancanza di questi, le acque si esauriscono sollecitamente ed oltre alla mancanza dell’elemento pell’uso della vita, colla loro grande velocità riescono ai contermini fondi di effettivo danno. Quasi tutti i paesi pedemontani sono provveduti di acque potabili che raccolgonsi in vasche o conduconsi con tubi di pino, pietra o ferro.5
IL PERENNE DESIDERIO D’ACQUA
Si valorizzava l’acqua piovana, per secoli creduta la più adatta all’uso potabile, mentre l’evolversi degli studi chiariva che doveva ritenersi sempre sospetta di inquinamento. Ma dove non vi erano i mezzi per sfruttare le acque sotterranee, giocoforza quelle meteoriche rappresentavano le uniche risorse disponibili. L’acqua piovana era considerata la migliore perché – apparentemente – più leggera e pulita, veniva fatta scolare dai tetti e raccolta in cisterne o, più spesso, in semplici pozze o modeste depressioni naturali o artificiali del terreno (sfueis), come usualmente praticato negli insediamenti isolati sui rilievi collinari di Rosazzo, Spessa e dintorni, ameni ma grandemente disagevoli per viverci. Anche dove c’era la possibilità di attingere il liquido per consumo umano dai pozzi, gli sfueis – generalmente situati in posizioni centrali dei paesi e impermeabilizzati con argilla – rappresentavano ugualmente una utilissima risorsa, soprattutto per l’abbeveraggio del bestiame e, talvolta, per il lavaggio dei panni; uno stagno di tal fatta si trovava anche a Cividale, sul Foro Boario, l’attuale piazza della Resistenza, ove si svolgeva il mercato bovino.6 Va tenuto conto che anche la toponomastica può fornire validi indizi in tal senso, con nomi quali Caludra, Cisterna, Lama, Pozatis.7 I diversi modi con cui gli abitanti del Friuli soddisfavano le necessità quotidiane della scorta potabile erano oggetto di una accurata ricerca, condotta a partire dal 1893 da Achille Tellini e pubblicata nel 1898-1902. Per la dovizia di precisi e interessanti dati esposti, si ritiene di riportare le descrizioni telliniane, necessariamente in sintesi, utilissime per conoscere la situazione idrica nell’ultimo decennio dell’Ottocento di diversi dei Comuni che, nel successivo decennio, uniranno le forze per dare vita alla fortemente impegnativa, ma appagante, esperienza consorziale dell’acquedotto Poiana.
Buttrio Popolazione totale nel 1881: 2.219 abitanti. Sui colli eocenici vi sono sorgentelle e cisterne quasi presso ogni abitazione. Vi è un antico pozzo poco profondo nella parte settentrionale ed orientale del colle della villa Morpurgo ed una cisterna cui si attinge con pompa nella villa Tellini. Esiste una sorgentella a sud di detta villa, che si riduce a stillicidi durante la siccità. Una perenne di piccola portata e con leggero sapore ferruginoso alle case Prestavo. Havvene un’altra presso le case Maniago che è condotta mediante tubi metallici, fin entro l’abitazione. Il pozzo comunale di Vicinale è profondo m. 15,50. Fra Buttrio e Vicinale havvi un piccolo pozzo poco profondo spettante alla famiglia Deganutti.
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A Buttrio vi è un pozzo presso la chiesa costruito nel 1892, e scavato in molta parte nelle marne eoceniche. È profondo 21 metri. Havvene un altro alla sinistra del R. Rivolo sulla strada di Buttrio in monte presso l’antica sede del Municipio. Caminetto. Il pozzo comunale è profondo m. 38,50. È costruito da non molti anni, non è perenne, perché restò asciutto negli anni 1892 e 1893. In casa Domenico Beltrame ad una distanza di 100 metri circa dal precedente vi è un pozzo profondo m 40,50. È perenne. La ghiera reca la data 1686. Lungo la ferrovia abbiamo i seguenti pozzi: alla Casa cantoniera 134-197 presso il torrente Torre, la profondità è di 29 metri. Altri pozzi: nella stazione ferroviaria di Buttrio, alla Casa cantoniera 137-275. Nel capoluogo ed in Vicinale vi è inoltre un acquedotto che distribuisce con 16 fontanelle acqua poca fresca, ma in grande copia. È fatto nel 1892 e deriva dalla Roggia Cividina che passa per vari villaggi e che è inquinabilissima. Pare che l’acqua della conduttura sia preventivamente filtrata. Talora si attinge anche direttamente dalla roggia. Si ebbero più volte nel comune casi d’ileotifo.8
Corno di Rosazzo Popolazione nel 1881: Corno 451 (142), Gramogliano 50 (112), Noax 73 (44), Sant’Andrat 223 (86), Visinale di Sotto 230 (N. B. I dati riportati si riferiscono alla popolazione presente secondo il censimento del 31 dicembre 1881. Il numero che segue il nome di ogni località indica la popolazione agglomerata, il numero fra parentesi gli abitanti in case sparse) Si hanno soltanto pozzi ordinari e sorgenti. Nel capoluogo esiste un pozzo ordinario in casa Cabassi, profondo metri 6, l’acqua è reputata poco buona. Un altro è in casa A. Moretti, con canna di pietra del diametro di 1,30 metri, avente verricello a manovella e corda Fontana pubblica di acqua potabile a Noax, primo decennio del Novecento (archivio fotografico comunale Corno di Rosazzo).
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fissa. È stato approfondito cinque anni or sono e d’allora in poi è perenne. Un terzo in casa Turriani ora Felissent, a verricello e corda fissa, profondo metri 14, è perenne. Altro in casa privata, a destra del torrente Corno presso Madonna d’Aiuto, poco profondo. Risulta che lo stato freatico trovasi a 65 metri sul livello del mare. Il pozzo comunale sito in piazza del Plebiscito presso la chiesa, costruito nel 1898, è profondo metri 6. Alla profondità di 2 metri si incontrò la puddinga. Quello in borgo di Sotto, eseguito nel 1898, è profondo 4 metri. In conclusione abbiamo: 2 pozzi pubblici e 5 privati, 4 contengono acqua buona, 2 mediocre, uno cattiva. In S. Andrat si hanno circa 16 pozzi ordinari, tutti privati; però solo 5 conterrebbero, a detta del signor medico, acqua buona. Al Gallo vi sono complessivamente 6 pozzi. Il pozzo dell’Armistizio è temporaneo, colla canna in mattoni. L’altezza dello strato freatico è a 69 metri sul livello del mare. Lungo la sponda sinistra del torrente Judri, alla base del terrazzo di conglomerato calcare, vi sono 3 sorgenti giudicate di ottima acqua. A Visinale del Judri vi è una sorgente vicino al torrente, ed un pozzo comunale nel centro di Visinale di Sotto. Questo fu costruito verso l’anno 1891 e non restò asciutto nella notevole siccità del 1893. Si chiude ogni sera, la profondità è di metri 29. A Noax vi è pozzo privato di acqua buona (forse si tratta di quello presso Madonna d’Aiuto, già citato), ed un’abbondante sorgente rinomata nei dintorni, scaturisce a un centinaio di passi a sud della chiesuola. Un’altra sorgentella trovasi ad est del monte S. Caterina, all’altitudine di 175 metri. Le case sparse sui colli di Noax, attingono a piccole fontanelle inconcludenti, altrettanto fanno gli abitanti delle
Pozzo/cisterna nella villa Cernazai a Ipplis.
case isolate sui colli di Gramogliano, ove vi è anche qualche pozzo di acqua discreta. Le condizioni igieniche, rispetto all’acqua potabile, non sono buone, tant’è vero che nel 1884 infierì il tifo specialmente sui colli e nel 1894 si ebbe una dissenteria sanguigna che si estese nel capoluogo del comune, poiché gli abitanti si servivano di una fonte in cui stavano vegetali in putrefazione, che venne poi chiusa. In conclusione non ispirano completa fiducia se non i pozzi molto profondi come quello privato del sig. Moretti.9
Ipplis Popolazione nel 1881: Ipplis 188 (346), Azzano 104, Leproso 183 (10). Sulle colline sonvi una quarantina di case coloniche isolate che usufruiscono di stillicidii e sorgentelle inconcludenti che spesseggiano in questi terreni, in cui predominano gli strati argillosi capaci di trattenere l’acqua ovunque esiste un po’ di bacino. Le poche case signorili come la villa Cernazai e la Rocca Bernarda hanno probabilmente cisterne. Una sorgente degna di nota è quella di Leproso che scaturisce nel fianco della profonda incisione in cui scorre il fiume Natisone. Ultimamente una parte di essa, per mezzo di un ariete idraulico venne innalzata fino al livello della pianura e condotta ad Oleis per uso potabile. Seguendo la sponda sinistra del fiume fino dirimpetto al villaggio di Paderno di Orsaria, s’incontrano altre tre o quattro sorgenti che non sono usufruite perché lungi dall’abitato. Nel comune esistono soltanto 4 pozzi. A partire dal nord verso sud abbiamo: Nella frazione Le Braide un pozzo privato di proprietà Cernazai costruito nel 1877, a verricello, è perenne, venne ripulito nel 1892. L’uso della corda per movimentare i secchi dal pozzo ha lasciato profondi solchi nella pietra del bordo.
IL PERENNE DESIDERIO D’ACQUA
Nella piazza del Municipio a Pavia di Udine, sulla destra troneggia il pozzo pubblico, il cui prezioso contenuto era attinto tramite una pompa, cartolina del primo Novecento (collezione Stefano Scaravetti, Pavia di Udine).
Ad Ipplis vi è un pozzo comunale del quale è ignota l’epoca in cui venne costruito, è rivestito di mattoni e di sassi, profondo metri 12, con metri 8 d’acqua. Subisce forti oscillazioni ed intorbidamenti. Non è perenne. Vi è anche un pozzo privato (dal quale è concesso di attingere anche al pubblico) in casa Bernardis. Fu costruito nel 1872, profondo 9 metri, con metri 3 di acqua che è ritenuta ottima. È perenne. Ad Azzano vi è un pozzo pubblico di costruzione remota; si chiude la notte, è profondo metri 32,50. Non subisce oscillazioni, si pulisce ogni 4-5 anni. Rimase asciutto l’anno 1892. Nel comune non si lamentano malattie infettive attribuibili all’acqua.10
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Davanti al municipio di Lauzacco, nella parte destra di questa cartolina si vede la posizione del pozzo pubblico. Risultando disagevole l’attingimento con la corda, nel dicembre 1898 vi era applicata una pompa a volante (collezione Fausto Fantini, Lauzacco).
Tra i numerosi abitanti di Percoto radunati sulla via Maggiore, in posizione centrale si nota una giovane con un paio di secchie appese al bicollo, per il trasporto dell’acqua potabile attinta al pozzo (dal volume Pavie 2006, p. 370).
Pavia d’Udine Popolazione nel 1881: Pavia 753 (49), Selvuzzis (69), Percoto 853 (100), Lauzacco 474 (67), Persereano 368, Ronchi e Popereacco 138, Castello 107 (19), Risano 703 (88), Lumignacco 327 (39). È collocato nella pianura alta, sulla sponda destra del torrente Torre. Possiede soltanto pozzi ordinari. Lumignacco. Pozzo pubblico costruito nel 1840, profondo in origine m 30,54, ma essendo restato asciutto fu approfondito di 2 metri nel 1842 e nel 1858 di altri 2,50. È fornito di carrucola. Pavia. Pozzo ordinario comunale costruito l’anno 1843, dietro progetto dell’ing. Antonio Nussi, nel borgo della chiesa. Era profondo m. 33,32 colla canna di m 1,20 fatta in muro a secco, il puteale è di pietra. Appena fatto conteneva solo mezzo metro d’acqua; nel 1858 si prosciugò e venne approfondito di m. 2,80. Parecchi anni or sono gli si applicò la catena e secchie fisse ma non funziona bene. Presentemente vi si attinge mediante la pompa. Nel villaggio esisterebbe anche una cisterna privata, da cui si attinge mediante una pompa.
Cortello. Pozzo nel cortile di palazzo Caiselli. È antico ed ha una bella ghiera in pietra. Si asciuga nelle siccità eccezionali, ha la profondità di 34 metri. Selvuzzis. Pozzo privato nella villa Francesco Deciani; ha canna in mattoni e carrucole. È profondo m. 34,50. C. Boga, vicino al torrente Torre, pozzo con canna in mattoni e con carrucole di legno. Lauzacco. Esisteva un pozzo antico che crollò l’anno 1839. Nel 1840, dietro progetto dell’ing. Ballini ne venne costruito un altro nella piazza del villaggio, profondo m. 30; fu rivestito con calcare di Medea, non intonacato. Rimase talora asciutto e gli abitanti erano costretti a ricorrere a quello di Persereano. Nel dicembre 1898 fu chiuso e vi si applicò la pompa a volante. Prima si attingeva con carrucole. Mi si riferì che nelle siccità l’acqua si riduce di molto ma non è mai asciutto. L’acqua però è ritenuta dagli abitanti cattiva ed inquinata, poiché lascia deposito sul fondo delle secchie. Percoto. Pozzo comunale antico, scavato nella roccia, che a cominciare dalla profondità di 27 metri è tenace. La canna crollante, venne ricostruita l’anno 1847 con calcare
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di Medea. Ha la profondità di 32 metri. Vi scorre vicino il roiello e vi sono letamai dai quali durante la pioggia può filtrare acqua inquinata. In casa C. Kechler esiste un pozzo della profondità di m. 31, 12 dei quali sono occupati dall’acqua. Il Taramelli dice che in Percotto vi sono 6 pozzi profondi 40-45 metri con 7 metri d’acqua. Sono scavati in alternanze di sabbia, ghiaia e conglomerato. In realtà esistono 2 soli. Risano. Pozzo comunale presso la chiesa. Ha carrucole ed è profondo 30 metri. È spesso rimasto privo d’acqua. L’anno 1858 venne perciò approfondito di m. 3,50. Vi sarebbe in basso una notevole cavità. Nel 1899 in questa frazione i fratelli Burelli praticarono un pozzo trivellato che diede acqua a 29 metri di profondità. La si attinge con pompa a volante. Persereano. Pozzo comunale antico a carrucole, scavato nella roccia dai 23 metri di profondità in avanti. Più in su è rivestito con pietre di Medea. Al fondo esisterebbe una caverna larga 6 od 8 metri, perciò non si può prosciugare per ripulirlo. Il roiello passando vicino ne inquina l’acqua con danno alla salute pubblica. Popereacco. Pozzo comunale antico colla canna di arenaria eocenica del diametro di m. 1,30. È perenne, mentre quelli dei villaggi vicini si asciugano. Ronchi. La canna è di arenaria del diametro di m. 1,50. È fornito di carrucole, ed ha la profondità di 25 metri. Quello esistente in casa Rubini, fornito di un grande cimiero e con ghiera di pietra a sculture. Questo non fu mai asciutto. Alla Madonna di Muris vi è un pozzo privato, profondo m. 30,50. Sul cimiero porta la data: 1866 B. V. M. Chiasottis. Pozzo a carrucole, chiudibile. La roggia scorre a una quarantina di metri. È perenne. Il comune è attraversato dalla roggia e da canali del Ledra, in guisa che ogni frazione ha un roiello. Siccome perdura il cattivo uso di lavare le stoviglie, i legumi e perfino bere di quell’acqua, vi è sempre la minaccia che si rinnovi qualche infezione come quella di tifo del 1897 e 1898.11
Premariacco Popolazione nel 1881: Premariacco 1082 (44), Firmano 207 (52), Paderno 126, Orsaria 929 (145). Al piede dell’incisione profonda, percorsa dal fiume Natisone, scaturiscono parecchie sorgenti nel tratto tra Paderno ed Orsaria. Una sulla strada che da Orsaria mette al ponte di legno di Leproso, che però è affatto temporanea ed una più a valle (ad est della chiesetta di S. Martino, lungo la stradicciuola che discende al fiume). Le poche case sui colli eocenici, chiamati di Buttrio, usufruiscono di piccolissime sorgentelle locali. Il palazzo Ottelio possiede una cisterna sormontata da un cimiero in ferro battuto di discreto valore artistico.
Pozzo ad Azzano di Premariacco. Secondo quanto riportato in uno studio di Achille Tellini nel 1898, è di costruzione remota e profondo 32,50 metri.
I villaggi di Premariacco e di Firmano sono i più sfortunati poiché non possono usufruire che dell’acqua del fiume Natisone, il quale dista dalle case più lontane almeno 1500 metri. Sarebbe ancor più faticosa la faccenda di provvedere l’acqua per bere, per gli usi domestici e il bestiame, se i contadini non avessero l’uso di recarsi a farne provvista al fiume per mezzo di carri con botti. Nel borgo Sacco (Premariacco) havvi un solo pozzo privato in casa Pontoni, costruito 40 anni or sono, scavato nel conglomerato villafranchiano, fuorché pei primi 4 metri attraversanti ghiaia; è profondo 60 metri, 6 dei quali sono di acqua che non subisce oscillazioni. Ai casali Pitassi trovasi un pozzo privato, scavato quasi interamente nel conglomerato, profondo 40 metri. Vi sono poi nel comune molte cisterne private di costruzione semplice, che raccolgono le acque piovane dai cortili ma che servono più che altro per uso del bestiame. Ad onta di queste condizioni doppiamente sfavorevoli, non sono state segnalate malattie causate da inquinazioni di essa.12
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Trivignano Popolazione nel 1881: Trivignano 934 (7), Claujano 823 (32), Melarolo 157, Merlana 253 (9). Il comune è situato nella pianura alta alla destra del torrente torre. Vi sono soltanto pozzi ordinari. Melarolo. Pozzo pubblico il quale si asciuga durante le siccità notevoli. Restò asciutto e venne pulito nel 1893. Il roiello passa solo a 5 metri di distanza. Merlana. La canna ha il diametro di un metro. È scavato nella puddinga e presenta al fondo verso nord-ovest una cavità a guisa di una stanza. A memoria d’uomo una sola volta restò asciutto. Non si ripulisce mai. L’acqua ha un sapore sgradevole e contiene corpuscoli natanti, di più vi s’infiltra quella del vicino roiello del Ledra per cui si sospetta il doverle imputare i casi di ileo-tifo più o meno gravi succedutisi nel piccolo villaggio. Trivignano. Pozzo comunale a carrucole presso la chiesa, profondo m. 24. Pozzo comunale in Borgo di Sotto, profondo m. 24, acqua m. 3. Entrambi i pozzi rimasero asciutti nell’agosto e settembre 1865 e nel 1893, e in tali occasioni vennero ripuliti; sono di pietra e non intonacati di cemento; non si conosce l’epoca in cui vennero costruiti. Un terzo pozzo è in casa Gallici-Strassoldo, sede della r. Dogana. È profondo m. 28. Sonvi poi nel villaggio altri 2 pozzi privati, cioè in casa Rubini, e questo è munito di pompa, ed in casa Maniago. Le acque dei pozzi quantunque limpide ed inodori, presentano corpuscoli natanti. Presso i pozzi scorre un roiello derivato dal canale del Ledra della cui acqua però non si fa uso per bere. Ai casali Mantica, che pare corrispondano ai casali Rubini della Carta, vi è un pozzo profondo 22 metri con 5 metri d’acqua. Claujano. Vi sono 3 pozzi, uno solo dei quali è comunale. Nel pozzo comunale, non ripulito dopo l’anno 1865, penetra l’acqua del vicino canaletto del Ledra. Tra la gente in posa a Chiopris si vede una persona con il cariolon a due ruote, mezzo assai usato un tempo per trasportare una botte, ove raccogliere l’acqua per l’abbeveraggio del bestiame; questa cartolina postale è stata spedita nel 1900 (collezione Felice Peressin).
I viaggi al pozzo con i recipienti in rame erano un’immancabile incombenza giornaliera, prima che la rete consorziale portasse l’acqua prima in prossimità delle case e poi fin dentro alle abitazioni. Una comodità impensabile, ai tempi in cui questa donna di Pavia di Udine è stata immortalata dall’obiettivo fotografico (dal volume Pavie 2006, p. 380).
Si verificarono nel villaggio di Claujano parecchi casi d’ileotifo; invece il capoluogo e Melarollo sono esenti da malattie imputabili all’acqua.13 Dopo aver capillarmente raccolto una quantità di dati veramente cospicua e di estremo interesse, Tellini aveva individuato, profeticamente, come via possibile per risolvere in modo più ampio e duraturo il problema idrico nella zona la seguente soluzione: attingendo alle alte valli del torrente Judri o del fiume Natisone, consorziandosi con altri comuni.14
LA SETE DI CIVIDALE Il ruolo di capitale della terra friulana, assunto anticamente, aveva fatto sì che la città ducale si distinguesse, oltre che per una ragguardevole dotazione architettonica e artistica, anche per le modalità di approvvigionamento idrico. Sin dal XIII secolo, precisamente dal 1277, nel cuore commerciale della cittadina, ovvero nella piazza del Mercato, l’acqua zampillava da una fontana pubblica alimentata da una conduttura che captava alcune sorgenti sgorganti in località Zuccola.15
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Questo acquedotto, che nel lontano medioevo aveva collocato Cividale all’apice tra i centri più all’avanguardia nella fornitura idraulica, pur seguito costantemente e con gran dispendio economico nelle sue onerose fasi manutentive, rimaneva sostanzialmente della medesima portata e, a causa dell’accrescimento insediativo, con il trascorrere dei secoli si era inevitabilmente rivestito di una cronica inadeguatezza, facendo assai regredire la cittadina nell’ipotetica graduatoria delle località friulane meglio servite dell’elemento liquido. Alla fine dell’Ottocento la carenza si faceva particolarmente sentire e ad ogni tornata amministrativa il consiglio comunale doveva fare i conti con le rimostranze della popolazione, che rimarcava la deplorevole insufficienza del servizio. Nonostante i gestori della cosa pubblica se ne facessero coscienziosamente carico, per quel che permettevano le finanze comunali, la situazione permaneva fallace e carente. Un nervo scoperto cui i cittadini erano, comprensibilmente, assai sensibili e che spesso era usato come metro di valutazione per saggiare l’abilità degli amministratori: un Consiglio che lasciava a becco asciutto i concittadini vedeva scendere in caduta verticale i consensi. Ciò dà ragione degli incessanti tentativi che sul declinare dell’Ottocento si praticavano a Cividale, periodo nel quale era ormai saldamente consolidato il ruolo apicale che la qualità dell’acqua riveste nel mantenimento della salute pubblica. Per l’importanza fondamentale che, come vedremo, Cividale assumerà nel promuovere l’istituzione dell’acquedotto consorziale – oggetto precipuo di questo studio – si ritiene di dedicare una sintesi delle iniziative e dei tentativi miranti a risolvere, definitivamente, l’assillante problema idrico che assediava la città, d’altronde pienamente condiviso dai Comuni contermini.
L’acquedotto realizzato nel XIII secolo per condurre l’acqua fino alla piazza del Mercato di Cividale, con il trascorrere dei secoli non riusciva più a soddisfare le crescenti esigenze della città. La fontana pubblica, tuttora esistente, ha sempre caratterizzato questo luogo centrale di Cividale, molto importante anche commercialmente (collezione Michele Pizzolongo).
I PRIMI STUDI OTTOCENTESCHI Gli studi, reiteratamente commissionati dagli amministratori cividalesi, non riuscivano a fornire l’auspicata soluzione radicale per l’approvvigionamento idrico. Fin dal 1839 l’ing. Antonio Luigi Lavagnolo aveva iniziato delle ricerche nell’interesse del proprio Comune,16 senza conseguire risultati pratici, in quanto le sorgenti della valle di Zuccola, prese speranzosamente in considerazione, nei periodi di magra si esaurivano del tutto. Le esplorazioni erano riprese nel 1865 con l’ing. Locatelli, attento indagatore della valle di Guspergo, ma anche in questa località i tentativi si rivelavano infruttuosi.17 Il progettista allora rivolgeva la sua attenzione al Natisone, sicuramente incantevole ma osticamente irragiungibile. Il sito ove gli antichi abitatori avevano voluto far sorgere il municipio forogiuliese era stato prescelto, oltre che per la sua posizione leggermente elevata e quindi ben difendibile, per la presenza del provvidenziale canalone ove correva incessantemente un luccicante nastro liquido. La scia d’acqua serpeggiante scorreva rapida sotto i piedi di chi attraversava il ponte – noto con l’appellativo del diavolo – steso ad unire, prima in precaria forma lignea e dal Quattrocento in solida sembianza lapidea, le due parti della città. Acqua fresca e abbondante, che allettava da sempre gli assetati Cividalesi ma che assumeva beffardamente le sembianze di un miraggio, trovandosi a scorrere su un letto assai profondo, precipitato in una forra dirupata di friabile conglomerato. Un fiume dunque restio a concedere la sua linfa, raggiungibile solo percorrendo irti e malagevoli percorsi, che ne avevano sempre impedito un comodo prelevamento. La fiducia nel progredire delle scienze meccaniche pareva finalmente avvicinare la possibilità, sino ad allora negletta, di cogliere anche ai fini potabili i potenziali benefìci del tesoro acqueo che lambiva la città. Per l’innalzamento dell’acqua fino al livello dell’abitato, nel 1865 l’ing. Locatelli aveva ipotizzato due soluzioni. Una consisteva nell’innalzamento artificiale mediante pompe agenti con meccanismi mossi a vapore o, per maggiore economia, dalla stessa forza della corrente del fiume. Le acque sarebbero state portate in un serbatoio collocato al di sopra dei punti più alti della città e da questo distribuito alle varie fontane, con incanalamento sotterraneo in tubi; tenuto conto della popolazione del tempo, si sarebbero dovuti innalzare quotidianamente circa 500 metri cubi d’acqua. Questo sistema avrebbe richiesto un capitale d’impianto non inferiore a 150mila fiorini e una spesa d’esercizio annuale di altri 2000. Cifre enormi e improponibili. L’altra idea era quella di utilizzare una condotta forzata per legge naturale, risalendo cioè lungo la pendenza del fiume, sino a trovarsi con la presa d’acqua
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Dunque i deludenti esiti degli studi condotti nel 1865 non avevano fatto profilare efficaci soluzioni e non erano ispiratrici di nessuna innovazione. Occorreva mantenere in funzione almeno la condotta esistente, quella duecentesca di Zuccola, di costosa manutenzione e sempre avara di risultati apprezzabili, con gravi carenze soprattutto nella stagione estiva.
ALLA RICERCA DI NUOVE FONTI Nella fase di ricerca di nuove fonti di approvvigionamento idrico per Cividale, si pensò anche di utilizzare l’acqua del Natisone, innalzandola fino al livello dell’abitato. Tale progetto si rivelò inattuabile.
almeno otto metri al di sopra del piano medio di Cividale. Questa condizione si sarebbe verificata a S. Pietro al Natisone, alla distanza di circa 6,5 km e qui l’acquedotto avrebbe avuto origine da una galleria filtrante scavata due metri sotto la magra del fiume e percorrente le sue sponde fino a giungere alla città. Si sarebbero spesi almeno 55mila fiorini, più altri 5000 di esercizio annuale. Anche in questo caso, una soluzione assolutamente non praticabile.18
UNO SGUARDO TUTT’INTORNO Constatata l’impossibilità economica e la difficoltà tecnica di dissetarsi con l’acqua che così abbondantemente bagnava la città, l’ing. Locatelli alzava lo sguardo sugli ameni dintorni di Cividale. Non temeva di consumare le suole e perlustrava un ampio territorio, inerpicandosi sulla parte collinare, scarpinando per ripidi versanti e scendendo per le vallate, scrutando dai poggi, fiutando e interrogando marne, arenarie, calcari, argille, brecce, ghiaie e conglomerati, saltando dai cretacei alle formazioni eoceniche. Giungeva alla sorgente di Torreano detta il Fontanone, poco abbondante, mentre quella di Montina forniva acqua discreta, ma dalla portata molto variabile e decisamente scarsa in tempi di magra, inoltre posta a insufficiente altitudine rispetto alla cittadina.19 Aggiungiamo che pure ad Achille Tellini, indagatore della medesima fonte nel 1898, la Montina non faceva buona impressione, dandone la seguente descrizione: alta circa 148 metri sul mare, alimenta un ruscello che mette nel torrente Chiarò. Scarseggia nell’estate, è cruda e si ritiene infetta poiché tutti coloro che ne usarono soffrirono nell’estate 1898 una febbre infettiva a localizzazione intestinale e l’uso dell’acqua del rigagnolo alimentato da questa sorgente produsse nel 18951896, una epidemia di febbre tifoide.20
Dopo quasi un trentennio, tornava a galla l’idea di un nuovo acquedotto, stante che quello antico continuava a ingollare somme ingenti, restituendo in cambio una quantità d’acqua via via scemante. Nel 1892 la Municipalità incaricava la rinomata «Società italiana per le condotte d’acqua in Roma» di studiare ulteriormente la possibilità di fornire Cividale di liquido potabile.21 Agli ultimi di giugno di quell’anno giungeva in città l’ing. Giuseppe Zanini per un sopralluogo,22 nel corso del quale studiava le sorgenti Zucco, Carniello, Tarpezzo, San Giovanni d’Antro, Vernasso, Costaperaria, Montina, Prestento, Bennati e altre piccole fonti presso Gagliano.23 Reputava interessante per purezza e temperatura una fonte in Costaperaria, sopra Vernasso, della quale però non si poteva stabilire la portata perché di estrema variabilità stagionale, inoltre era soggetta a intorbidirsi nelle giornate di pioggia; preventivava che un acquedotto derivato da questa sorgente sarebbe costato circa 210mila lire.24 L’iniziativa si dissolse senza un nulla di fatto, e possiamo dire fortunatamente, poiché i dati rilevati dal visitatore romano nella sua rapida perlustrazione si rivelarono errati, tutti parecchio sovrastimati, ad esempio la sorgente di Costaperaria cui Zanini attribuiva una portata di 30 litri/secondo, fu successivamente determinata di soli 0,5 litri.25 Le relazioni elaborate dalla Società romana erano date in esame a un nuovo esperto, l’ing. Grablovitz, che nel 1893 puntava l’attenzione su tre fonti di Purgessimo – dette Zucco, Cargnello e Bon –, le quali unite avrebbero potuto far ottenere una portata media sui 4/5 litri al secondo, spendendo per i lavori 100mila lire. Era una possibilità da vagliare, ma l’interesse per tale proposta si dissolse di fronte a nuovi, eccezionali ritrovamenti, come tra poco vedremo. Un’altra proposta di acquedotto giungeva al Comune nel dicembre 1895 da Milano, per mano dell’ing. Massimo Schiffi. Questi avendo preso conoscenza, su richiesta di un tecnico udinese, di alcuni studi sulle sorgenti di Purgessimo e di Montina, nel 1892 per sua personale iniziativa si era interessato all’ostica questione dell’idrografia locale. Proponeva alla Giunta comunale un suo progetto per condurre 10 l/secondo di acqua potabile, in pressione tale da garantire il necessario servizio
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per le case, all’altezza normale dei piani. Prevedeva una conduttura in tubi di ghisa, con un tronco principale e diramazioni di tubi minori in modo da alimentare nove fontane pubbliche, il tutto per la somma di 125mila lire. Lo Schiffi non svelava altri dettagli tecnici e, soprattutto, teneva segreto il luogo di presa da lui individuato. La Municipalità si mostrava tiepidamente interessata, manifestando dubbi per l’esiguità della decina di litri proposti. Schiffi controbatteva che tale quantità è non solo bastevole, ma esuberante, adducendo come prova gli studi di Francois Weis, attestanti che la razione giornaliera per bere, cuocere e lavare di ciascun uomo chiuso in fortezza è di litri 6 e 3/4 ed a Glasgow in un quartiere di poveri l’uso era completamente libero per qualunque persona e constatò che la cifra era di litri 4 e ½ per individuo. L’estemporanea iniziativa in breve si spegneva, senza alcun seguito.26 L’ing. Matteo Del Fiorentino indagava la possibilità di utilizzare l’acqua del torrente Chiarò, che già alimentava la roggia Torreano-Cividale, per trarne anche un acquedotto. Cercava di risolvere il dubbio se l’acqua sgorgava da una vera e propria sorgente o se si trattasse di una risorgente, impiegando un apposito colorante – l’uranina – che versava a Canalutto nel marzo 1896. L’esito dell’esperimento non dovette essere positivo, se nel seguente mese di aprile si portava a San Leonardo e in maggio a Blaisn in comune di Savogna, per verificare una sorgente ivi esistente, sempre nell’intento di costruire un acquedotto per Cividale; in giugno nelle sue perlustrazioni giungeva sino a Picigh di Schiavonia.27
LA SOLERTE COMMISSIONE AL LAVORO Nonostante la cura costante delle Amministrazioni comunali per individuare il modo di soddisfare i crescenti bisogni dell’elemento indispensabile alla vita, i vari studi e le replicate ricerche condotte in 60 anni mostravano come i pur lodevoli intenti si infrangevano contro le difficoltà naturali, trovando fonti che davano acque in quantità sufficienti ma inquinabili e soggette a intorbidamenti, o le davano scarse e incostanti. Quelle che forse avrebbero potuto soddisfare per qualità e quantità, esigevano spese talmente ingenti per il loro utilizzo che imponevano di lasciar languire i relativi progetti sugli scaffali. Grazie a un nuovo contratto decennale sui dazi, a fine Ottocento il bilancio comunale di Cividale andava incontro a un sensibile miglioramento. Ciò schiudeva nuove possibilità sul fronte dell’approvvigionamento idrico, la costante spina nel fianco di ogni Amministrazione che, come detto, a ogni tornata elettorale era immancabilmente rimproverata per non aver saputo risolvere definitivamente tale secolare problema. Su auspici del sindaco Ruggero Morgante, una Commissione composta dall’ing. Ernesto de Paciani,28
Lorenzo d’Orlandi, Vittorio Nussi, Giuseppe Venier, l’ufficiale sanitario Antonio Sartogo e l’ingegnere municipale Matteo del Fiorentino assumeva l’incarico di ricercare nuove sorgenti, allargando l’orizzonte di indagine; i risultati erano pubblicati in una relazione datata 14 marzo 1898.29
LA SORGENTE DEI SOGNI SI MATERIALIZZA La Commissione, colpita da provvida ispirazione, abbandonava la zona collinare e i bassi rilievi sovrastanti alla piana cividalese, che dopo essere stata frugata per decenni nelle ricorrenti, affannose campagne di ricerca, si era rivelata spoglia delle bramate sorgenti dispensatrici di copiosa e pura linfa. Anche nell’areale che si solleva a ridosso del precedente, inciso da valli trasversali diramanti verso il piano, si riscontrava una limitata circolazione sotterranea. Essendo la litologia assai varia, essa si manifesta alla superficie sia con sorgenti numerose, ma in maggioranza di scarsissima portata sia – ove hanno prevalenza i calcari – con fonti più notevoli, come ad esempio quella di Montina, dalla quale nel 1908 si deriverà l’acquedotto di Premariacco. Nella più elevata zona retroposta, le masse di rocce fessurate, tipicamente carsiche, invece assorbono pienamente le acque meteoriche originando una sviluppata idrografia sotterranea, con le sorgenti disposte lungo la linea di falda dei monti o sui fondi delle valli e gole; stranamente, la loro presenza non era mai stata nemmeno accennata in antecedenti memorie scientifiche o descrizioni geografiche riguardanti tale area. Dopo una visita alle fonti di Pizzic e Scrutto, l’avveduta Commissione sagacemente si inoltrava nella valle del Natisone, che oltre la borgata di Pulfero si fa angusta restando serrata tra fianchi dirupati. Qui constatava che, nel tratto di canalone da Stupizza fino al confine, chiuso tra pareti ripidissime, scaturivano ben cinque sorgenti principali, poste a pochi decimetri sul livello medio dell’acqua del fiume, con una portata complessiva nelle magre ordinarie di oltre 600 l/secondo. Due si trovavano sulla riva sinistra del fiume: l’Arpit, che usciva da sotto la strada carrozzabile con acqua abbondante, freschissima, senza sapore ma con un aspetto leggermente opalino, che si scaricava subito nel fiume; la sorgente delle Mine di Zidnecelò, così denominata dalla località ove era ubicata, anch’essa uscente sotto lo stradone, più limpida della precedente ma che si intorbidiva leggermente dopo le piogge. Un chilometro più oltre, sulla sponda destra si trovavano la sorgente Log (in seguito più nota come Tulogu), meno copiosa di tutte e mescolata ad acque superficiali di ristagno e la sorgente Losaz, costituita da vene che appena fuoriuscite si gettavano nel Natisone; di
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Localizzazione delle sei sorgenti, nell’area tra i monti Mia e Matajur, studiate tra ’800 e ’900 per individuare una idonea fonte di approvvigionamento di un acquedotto consorziale. Tre di esse (Le Mine, Arpit e Na-klanz) si trovano sulla sponda sinistra del Natisone, altrettante su quella destra (Poiana, Tologu e Losaz). La Poiana si è rivelata la migliore di esse ed è stata utilizzata dal 1912. Ora nell’omonimo acquedotto (qui tracciato con linea verde) confluisce anche l’acqua della sorgente Tologu (carta elaborata dall’ufficio tecnico dell'Acquedotto Poiana SpA).
entrambe non era possibile calcolare la portata, senza aprire apposite trincee. La quinta, posta alla quota di 222 m sul livello del mare, era quella che incantava i visitatori, detenendo le migliori qualità che si potessero chiedere a una fonte. Denominata Pojana, essa mostrava caratteristiche superiori alle altre: una portata di almeno 80-100 litri al secondo di acqua sempre freschissima e limpidissima, che si manteneva tale in ogni stagione, anche durante le piene del fiume.30 L’ing. Matteo del Fiorentino comunicava al Sindaco di Cividale di aver nuovamente visitato l’11 dicembre 1899 la sorgente Pojana, distante 18 km dal centro di Cividale, accompagnato da Pier Silverio Leicht e dal segretario comunale Luigi Brusini, riscontrando che dopo 64 giorni di ininterrotta siccità la sorgente non aveva per nulla variato la sua portata, conservando la temperatura di 10°C, nonostante ci fossero parecchi gradi sotto lo zero e mantenendosi limpidissima.31
IL FUGACE DUBBIO SU LOSAZ Il naturalista e geologo Achille Tellini suggeriva di prendere in accurata considerazione anche la sorgente Losaz, che, pur non essendo ricca come la Poiana, era però più vicina a Cividale di circa 2,5 km e non avrebbe dato problemi per la posizione del confine.32 L’ing. Grablovitz, interpellato dal collega Ernesto de Paciani, concordava coll’esimio Tellini, ma sottolineava che scaturendo essa al livello di magra del Natisone, nelle piene sarebbe sempre stata del tutto coperta e ciò avrebbe reso necessario realizzare opere speciali per isolarla dalle acque del fiume e consentirne la derivazione in sicurezza anche durante le fasi di piena. Tale spesa avrebbe così del tutto vanificato l’ipotizzabile risparmio di circa 30mila lire, ottenibile per la minore conduttura da posare. Per questo motivo e per l’incertezza sulla portata, preferiva concepire un progetto la cui conduttura avrebbe trovato alimentazione dalla sorgente Pojana.33
IL RIPENSAMENTO DI MUSONI In questa prima fase di studio i professori Achille Tellini, geologo, naturalista, folclorista e linguista36 e Francesco Musoni – geografo dall’ampia produzione
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A COSA DEVE LE SUE ECCELLENTI PROPRIETÀ LA SORGENTE POJANA? DOMANDE E RISPOSTE DEL 1898 E 1908 Perché il territorio del Monte Mia è così ricco di sorgenti? I calcari dolomitici e dolomie di cui è costituita la gran parte della catena montuosa Matajur-Mia-Lupia presentano i medesimi caratteri, cioè di essere permeabilissimi, cosicché la maggior parte dell’acqua meteorica che cade sulla sua superficie, per fessure strettissime od ampie discende sempre più profondamente, insinuandosi nel seno della montagna finché incontra uno strato impermeabile od una via di uscita. Le montagne di natura calcarea (specialmente se il calcare appartiene al cretaceo, come è il caso del monte Mia, che è più puro e più erodibile) sono quasi prive di vegetazione e scarsissime di acque superficiali sia raccolte in bacini sia correnti, non hanno sorgenti in alto o sui fianchi, ne posseggono invece di copiose alla base. Mostrano dunque un evidente contrasto tra la ricchezza delle acque sotterranee e la scarsezza di quelle sulla superficie. Perché le sorgenti a sinistra del fiume Natisone sono soggette ad intorbidamenti e ciò non succede invece a quelle sulla destra, come quella del Pojana? I terreni eocenici (l’eocene è il periodo più antico dell’Era Terziaria) possono avere fra strato e strato piccole vene argillose, le acque che scorrono sopra e attraverso questo terreno stemperano le argille e ne convogliano le particelle, cosicché in seguito a piogge anche di breve durata le sorgenti somministrano acque più o meno torbide; siccome il fenomeno continua quasi sempre, sia pure con minore intensità, tali sorgenti non offrono mai la limpidezza cri-
scientifica, autore di una approfondita ricerca sull’aspetto idrografico delle Valli del Natisone, in cui era nato37 – avevano concordemente ritenuto che la fonte Poiana provenisse dai calcari del Monte Mia. Dopo l’esecuzione dei lavori di presa e altre approfondite ricerche e osservazioni, il prof. Musoni modificava tale supposizioni, dimostrando che molto probabilmente le sorgenti del Poiana derivano dalla corrente subalvea del Natisone, ovvero in parte dalla corrente subalvea e in parte dal massiccio del Monte Mia, come pubblicava nel 1912. Le opere di presa erano state fondamentali per far sorgere il dubbio sulla correttezza dell’opinione sino ad allora condivisa, ovvero che la sorgente fosse emuntrice del monte Mia. Infatti si era creduto di poter realizzare la presa praticando diagonalmente, da valle a monte, una galleria destinata a raggiungere l’acqua nel punto ove si pensava scaturisse dalla viva roccia, prima di sparpagliarsi in un reticolo di rivoletti
stallina di quelle che hanno il loro letto, sia superficiale che sotterraneo, in mezzo a strati calcarei. Pertanto, le sorgenti come l’Arpit sono in relazione colla superficie del terreno di natura argillosa per mezzo di canali discretamente ampi nella maggior parte del loro percorso e quindi danno dopo le forti pioggie acque torbide perché non hanno campo di ristagnare e chiarificarsi in bacini sotterranei, invece le sorgenti come il Pojana hanno tutto il bacino di raccoglimento in terreno che non produce mai torbide, o per lo meno le cavità ed i meati sotterranei sono così estesi e prolungati da permettere la perfetta loro purificazione. Il differente comportamento delle due serie di sorgenti è dunque in relazione col rispettivo versante, dipende direttamente dalla natura fisica e litologica del monte ad esso sovrapposte. Perché la sorgente Pojana ha una portata quasi costante? È dovuto all’ampiezza ed estensione dei serbatoi sotterranei che si svuotano lentissimamente e prima che giungano ad essere esauriti sono già di nuovo alimentati dalla superficie.34 Donde proviene l’acqua del Pojana? La temperatura rilevata alle polle è poco oscillante e perciò quasi indipendente dalle influenze metereologiche esterne. Si ritiene che l’acqua debba provenire dal monte Mia, da un’altitudine superiore di almeno 300 metri a quella delle polle, quindi a circa 520 metri s.l.m.35
sotterranei, ma il tentativo non riuscì. Si dovette invece approfondire una trincea sino a discendere sotto lo strato impermeabile inferiore, stagnandone con calcestruzzo fondo e pareti, lasciando aperti dei pertugi in corrispondenza delle polle. Queste immettevano l’acqua da destra e da sinistra, come se provenissero da una rete di canaletti scorrenti tutti allo stesso livello. Di fronte a tale doppia provenienza, prendeva corpo il dubbio che una parte delle polle, quelle di destra, derivassero dal monte Mia, le altre dal Natisone. La prova contraria, addotta da taluni, che nell’eccezionale magra del settembre 1911 il fiume si disseccasse completamente a monte della Poiana, mentre essa era comunque sempre ricca di almeno 90 l/secondo, secondo Musoni non valeva nulla, essendo noto quanto nei letti ghiaiosi fossero lunghi i percorsi sotterranei spesso compiuti dai fiumi-torrenti del Friuli. Dall’esame della temperatura delle sorgenti della zona, rilevata costantemente per nove mesi, risultava
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che le sorgenti Arpit e Naclanz, pur poco distanti dalla Poiana e più basse della stessa, avevano una temperatura notevolmente inferiore a quest’ultima – mediamente 10,34°C –, oscillando entrambe intorno a 9°C. Lo studioso non dubitava del loro carattere carsico, mentre la Poiana non lo presentava in modo accentuato, tutt’altro. Lo studio della temperatura, pur non potendo fornire elementi definitivamente chiarificatori sulle origini della fonte Poiana, dava indicazioni utili in tal senso.38 Di notevole rilievo era anche la costante limpidezza della Poiana, in confronto alla ricorrente torbidità di Arpit e Naclanz. Durante tutto il periodo dei lavori di presa e per molti mesi seguenti, le acque dei campioni prelevati ogni volta che pioveva fortemente, furono trovate sempre perfettamente limpide. Musoni ne concludeva che le polle o derivavano dal lentissimo passaggio delle acque del Natisone attraverso le minute ghiaie e sabbie tra due strati impermeabili argillosi o giungevano dall’interno del Mia – e la prova di ciò sarebbe stata ancor più difficile – subendovi la filtrazione tra detriti minuti. Potevano anche essere di doppia origine, poiché essendo costituito il fondo della conca su cui spicciano da alluvioni e detriti di falda, difficilmente poteva escluderne l’imbibizione del Natisone, non solo a monte della sua ansa ma anche lungo i margini della conca. In ogni modo, affermava, si distinguono dalle acque a tipo prettamente carsico le quali non sono certamente quelle che meglio rispondono alle esigenze delle acque potabili.39 Per potersi pronunciare con maggiore sicurezza sull’argomento, Musoni riteneva necessario possedere una più lunga serie di osservazioni sistematiche geoidrologiche, fisico-chimiche e microbiologiche. Elementi questi che avevano valenza eminentemente scientifica, Modello plastico in gesso del Monte Mia, di remota realizzazione per illustrare la localizzazione della sorgente Poiana. È tuttora conservato presso la sede dell’acquedotto. La posizione della fonte è qui indicata dal punto azzurro.
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mentre era evidente che allora si fosse maggiormente interessati al lato pratico, ovvero alla migliore utilizzazione possibile della sorgente. Un ulteriore, autorevole contributo alla questione perverrà successivamente dal prof. Gortani, al quale sarà chiesto un parere, auspicabilmente chiarificatore, sulle controverse origini della sorgente, nel corso della complessa causa giudiziale coinvolgente il Consorzio dal 1921 al 1934, come si vedrà più oltre.
PERCHÉ IL NOME POJANA? I primi esperti che si sono occupati di questa sorgente, hanno ritenuto di individuare in questo toponimo (nome di luogo) il significato di ‘pianura’, dal vocabolo slavo Poljana. Così Francesco Musoni ne spiegava la motivazione: «La sorgente Poiana scaturisce con numerose polle a 222 m sul livello del mare, lungo l’unghia di tre conoidi di detriti di falda fusi insieme alla base, appoggiati alla parete meridionale del Monte Mija e mascheranti il tratto inferiore di tre letti di torrentelli visibili superiormente. In detto punto la valle si allarga alquanto in forma di bacino elissoidale, fiancheggiato verso l’uscita lungo ambe le rive del Natisone dai tronchi di due conoidi scendenti dagli opposti versanti, in corrispondenza di due rughi maggiori e che già, incontrandosi, dovettero sbarrarla così da produrvi un ristagno d’acqua o lago. Infatti il fondo ne è pianeggiante e vi si scoprono depositi di alluvioni minute e argillose, in cui trovammo delle conchiglie appartenenti al gruppo dei gasteropodi lacustri, e ammantati di vegetazione erbacea, con qualche raro cespuglio. Il fiume gira ad ansa intorno a detto fondo cui è bene appropriato il nome slavo di Poiana (Poljana, pianura) che leggermente declive per materiali franativi dall’attiguo monte, lo respinge verso la riva sinistra».40 Tale spiegazione del nome trova conferma in studi specificamente toponomastici, indicanti che Polje designa propriamente il ‘campo’ e passa anche a designare spazi aperti, pianure, radure, prati; la formazione suffissale Poljana ha un significato più vago e, come campagna, vuol dire ‘terreno aperto’ e anche ‘piana’‚ ‘distesa’. Polje/Poljana hanno pure ispirato la denominazione di paesi e borgate, a tal proposito si può ricordare Redipuglia, Tapogliano e altre località a Faedis, Prata, S. Dorligo, Prepotto, Doberdò. L’area di diffusione del toponimo Poljana è notevole, sia in territorio latino che slavo, producendo più di sessanta nomi di un certo rilievo e continua oltre il confine orientale (Isontino, Carso, Istria interna) e anche in Carinzia.41 Dunque il termine non ha nulla a che fare, come molti erroneamente pensano, con la poiana, il comune rapace diurno, il cui nome scientifico è Buteo buteo.
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MA SARÀ VERAMENTE BUONA QUEST’ACQUA? BUONISSIMA! Il sito dunque pareva offrire quanto desiderato ma, prima di abbandonarsi a facili entusiasmi, occorreva verificare un requisito indispensabile: la potabilità. Il 7 settembre 1897, alla presenza della Commissione con l’ufficiale sanitario e il sindaco di Cividale, l’acqua delle tre sorgenti era raccolta, osservando tutte le regole e formalità prescritte dalla circolare 6 febbraio 1889 relativa alle acque potabili dei Comuni del Regno, suggellata in vasi e spedita “a mezzo ferroviario a grande velocità” all’ufficio competente del Ministero dell’Interno a Roma. Il successivo 1 ottobre pervenivano i risultati analitici, che attestavano la piena potabilità per tutti i campioni, prevalendo però la limpidezza in quello del Poiana. Si incaricava poi il prof. Achille Tellini di svolgere uno studio geologico sulle sorgenti e sui terreni della località in osservazione. Nella sua relazione del 10 gennaio 1898, egli faceva la seguente descrizione della sorgente Pojana: Nasce per diverse polle lungo un abbondante ruscello che affluisce nel Natisone e segna per un certo limite il confine con l’Austria. Fuorché la prima polla, le successive nascono in vari punti al fondo di questo ruscello per una lunghezza di oltre un centinaio di metri. L’acqua è abbondantissima e di quantità quasi costante, poiché la differenza della portata del ruscello è poco diversa dopo la pioggia e durante la siccità. Anche dopo un periodo piovoso, la sorgente si mantiene limpidissima; anzi ha un tal grado di limpidezza che non si riscontra nelle altre due sorgenti Arpit e delle Mine.42 Inoltre: La portata della sorgente è quasi costante, ed anche nelle massime magre è di molte volte superiore ai bisogni non soltanto della città di Cividale, ma di parecchi altri comuni della pianura che si volessero associare nella impresa. Per questi caratteri deve riguardarsi di gran lunga la migliore acqua potabile cui possa rivolgere l’attenzione la città di Cividale ed i paesi della pianura solcata dal fiume Natisone. Senza indugio, l’autorevole esperto così riassumeva il suo lusinghiero giudizio: Allorché l’acqua potabile per Cividale e per altri comuni fosse fornita dalle sorgenti del monte Mia, si potrebbe proclamare codesto l’acquedotto migliore di tutto il Friuli, per bontà d’acqua ed estensione dei paesi beneficati.43
L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI POTABILITÀ La cultura dell’acqua come risorsa e come fonte di salute e di benessere per la persona trovò la sua massima espressione in epoca romana, con la costruzione di imponenti acquedotti e reti fognarie, centri termali e bagni pubblici, e subì un forte declino nelle epoche successive. Il medioevo, seguente la caduta
Risultati delle analisi eseguite sull’acqua prelevata dalle fonti Poiana e Arpit il 7 settembre 1897 e, a mezzo ‘ferrovia a grande velocità’ inviate per l’esame in un laboratorio di Roma (da L’acquedotto 1898, unione delle tabelle alle pp. 11-12).
dell’Impero Romano, determinò anche la decadenza delle grandi opere idrauliche romane. Fino al medioevo non si immaginava che l’acqua potesse essere un importante mezzo di trasmissione di alcune malattie; limpidezza e assenza di sapori erano considerati, erroneamente, parametri in grado di garantirne la salubrità. In seguito si giunse a riconsiderare il fondamentale ruolo igienico e alimentare dell’acqua, che già l’aveva caratterizzato nel passato.44 L’acqua è un ottimo vettore per il trasporto di molti agenti patogeni, come dimostrato dalle epide-
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Comunicazione che l’ing. Lorenzo De Toni sarebbe giunto con il treno a Cividale, per visitare le sorgenti dette “Poiana”, 17 luglio 1900.
mie propagate nel passato tra la popolazione a causa del consumo di acque scarsamente protette. Particolarmente legate all’uso di acqua contaminata sono le epidemie di tifo e di colera. Il bacillo responsabile del tifo addominale si trasmette per via oro-fecale, quindi normalmente i germi entrano nell’organismo attraverso l’acqua e il cibo contaminato. Tipiche epidemie idriche a carattere ‘esplosivo’, caratterizzate da una rapidissima ascensione, si sono avute, ad esempio a Rubignacco.45 Nel 1855 il colera imperversava a Cividale46 e anche, con elevata mortalità, nel Comune di S. Giovanni al Natisone.47 Già nel XVI secolo gli studiosi avevano ipotizzato l’esistenza di microrganismi in grado di causare le malattie, ma occorrerà attendere fino alla fine del XIX secolo per veder dimostrata l’esistenza dei microscopici agenti patogeni in grado di generare infezioni. Le basi della moderna microbiologia vennero gettate con i lavori di Pasteur (1822-1895) sui microrganismi, realizzati verso la metà del XIX secolo. Con la rapida successione di ulteriori scoperte e isolamenti dei ceppi microbici responsabili di malattie contagiose, si evidenziò l’esistenza di una chiara correlazione tra il livello igienico dell’acqua bevuta e utilizzata e il livello di salute della popolazione. L’esigenza di avere a disposizione acqua abbondante e, soprattutto, di buona qualità si faceva sempre più forte ed era presa seriamente in considerazione dagli amministratori pubblici, consci che con le dovute precauzioni si poteva registrare un notevole decremento della diffusione di contagi dovuti alle fonti alimentari. Nel XIX secolo cominciavano a essere impiegati vari tipi di trattamenti, inizialmente diretti soprattutto al miglioramento dei caratteri organolettici dell’acqua
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e, in particolare, a quello che ne comprometteva la limpidità, con lo sviluppo di tecniche di decantazione, filtrazione e rimozione del ferro e del manganese. Cominciavano a diffondersi anche i primi sistemi di disinfezione, con il ricorso a cloro o a suoi derivati; prima ancora che si perfezionasse la teoria microbiologica del contagio si ricorreva a essi per eliminare colori od odori sgradevoli presenti nell’acqua, inizialmente aggiungendoli in maniera discontinua, tramite aspersione. In ogni caso, si riscontrava una generalizzata diminuzione dei decessi dovuti a malattie connesse all’ingestione di germi patogeni. Nello sviluppo dei sistemi di potabilizzazione ora accennati l’Italia non era particolarmente presente, in quanto grazie alla disponibilità di acque sorgive di buona qualità, nel nostro Paese si preferiva ricorrere ad acque già dotate di un’elevata qualità al punto di prelievo. Si realizzavano così opere di alta ingegneria civile per trasportare l’acqua da grandi distanze, possiamo ricordare l’acquedotto del Setta (Bologna 1881), del Serino (Napoli 1885), l’Acquedotto Pugliese (Bari 1905).48 Dopo aver acquisito l’idea che l’acqua poteva essere causa e veicolo di trasmissione di malattie, anche gravi, si avevano dei criteri per ritenere un’acqua idonea all’uso umano, variabili a seconda dell’epoca. I concetti dominanti che definivano un’acqua potabile erano che essa doveva essere limpida (la presenza di colonie microbiche conferisce torbidità), inodore e incolore, le acque maleodoranti erano considerate contaminate, le stagnanti non erano mai salubri ed era noto che i metalli a contatto con l’acqua potevano indurre contaminazione, tranne l’oro e l’argento cui erano attribuite proprietà benefiche nel rapporto con l’acqua. Va tenuto presente che la limpidezza costante è requisito essenziale, ma non è sinonimo di purezza batterica. Una perfetta limpidezza è tutt’altro che sufficiente per dichiarare potabile un’acqua.
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Nel Settecento vengono elaborate le prime basi scientifiche per stabilire criteri di potabilità delle acque, ma solo nella seconda metà del secolo successivo iniziano studi approfonditi sulle caratteristiche che devono possedere le acque per uso umano. Nel 1880 Eberth identifica la causa del tifo e nel 1883 Koch individua i microrganismi all’origine della diffusione del colera. In seguito alla grave epidemia di quest’ultimo sviluppatasi in Italia nel 1884-85, il ministro dell’Interno Depretis promuove un’inchiesta sull’approvvigionamento idrico nel Paese, particolarmente sulle acque potabili e sul sistema fognario, ritenuti responsabili delle malattie infettive. Ne emerge che solo la metà dei Comuni italiani è dotata di condutture per la distribuzione dell’acqua potabile, ma non sempre con sicuri requisiti di potabilità, e oltre il 77% è privo di fognature. I risultati disegnano un servizio idrico gravemente deficitario e costituiscono una forte sollecitazione all’emanazione della legge 14 luglio 1887, che prevede finanziamenti ai Comuni per l’approvvigionamento di acqua potabile e per altre opere igieniche. Segue la legge sanitaria Crispi-Pagliani del 1888 e poi le Istruzioni ministeriali 20 giugno 1896. Compilazione dei regolamenti locali sull’igiene del suolo e dell’abitato. I concetti di purezza e potabilità sono valutati secondo un apparato di leggi e decreti, periodicamente revisionato, sia a livello nazionale che comunitario, adeguandolo all’evoluzione delle conoscenze, che può comportare, ad esempio, l’introduzione di nuove sostanze da controllare, l’eliminazione di altre ritenute ormai poco significative o la modifica di alcuni valori limite di quelle mantenute fra i parametri di controllo.
COMUNI DIVERSI, STESSA SETE Riporteremo ora un sintetico quadro riassuntivo per ogni singolo Comune, basato su una specifica relazione dal Consiglio Provinciale Sanitario che – una dozzina d’anni dopo la ricerca di Achille Tellini, del quale abbiamo poco sopra riportato gli esiti d’indagine – studiava la situazione ante-Consorzio Poiana, la cui costituzione avrebbe consentito di raggiungere forniture idriche per quantità, qualità, sicurezza igienica e comodità prima impensabili.49
Buttrio Il capoluogo ha un pozzo assai profondo, che dà acqua discreta ma insufficiente ai bisogni locali. Le frazioni hanno pozzi comuni meno profondi e male protetti, che furono spesso causa in passato di epidemie dissenteriche.
Il territorio comunale di Buttrio godeva del passaggio dell’acqua della roggia Cividina, derivata grazie a un Consorzio sorto tra il Comune di Buttrio e il conte Brazzà Savorgnano nel 1877; attraversando i vari borghi, il nuovo canale roggiale inaugurato nel 1881 alimentava ben undici lavatoi e quattro abbeveratoi. Nella piazza del Tiglio a Buttrio, a Vicinale e Caminetto si trovavano i diffusi piccoli stagni (sfueis). Nel capoluogo vi erano sei pozzi pubblici e altri cinque privati ma, nonostante la continua e attenta manutenzione dell’Amministrazione comunale, non si giungeva a una situazione di sufficienza e di sicurezza igienica.50
Corno di Rosazzo È fornito di pozzi molto profondi, come a Visinale, che danno acqua discreta ma scarsa oppure assai superficiali, come nel capoluogo, che danno acqua mal sicura, facilmente inquinabile con la pioggia e che talora manca nei periodi di siccità. Predominano perciò nel Comune le affezioni gastro-intestinali.51
Ipplis Prima dell’incorporazione con Premariacco, formava Comune a sè stante, in condizioni molto infelici per le acque potabili, attinte a pozzi o modeste sorgenti locali mal protette e che in tempo di magra in parte o in tutte si disseccano. In tal caso gli abitanti sono obbligati a lunghi viaggi per andare ad attingere acque nel Natisone od altrove, anch’esse tutt’altro che sicure igienicamente.
Manzano Il Comune è assai di frequente bersagliato dal tifo addominale, dalla dissenteria e dalle varie infezioni gastrointestinali, causa la sua pessima acqua potabile fornita o da corsi aperti o da pozzi troppo superficiali ‘incorreggibili’, che danno acqua scarsa e mal sicura. Sul declinare dell’Ottocento il sacrestano di Manzano scavava una profonda buca nei pressi della sua abitazione, dietro la chiesa parrocchiale, vi individuava una falda acquifera e, tramite una pompa, riusciva a estrarre l’acqua. Il suo esempio era seguito da altri compaesani e nel 1899 erano otto le pompe manuali installate da singole famiglie, in grado di fornire acqua, sia pure con potabilità probabilmente incerta; la pratica però dava risultati positivi solo in alcune aree di Manzano, evidentemente quelle ove le falde erano più superficiali, dove non era possibile l’acquisizione con pompe di privati non rimaneva che ricorrere ai vari pozzi pubblici.52
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Il pozzo nella piazza principale di Manzano, ben evidente nella parte destra di questa foto d’epoca (gentile concessione di Walter Peruzzi).
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Le dimore nobiliari, come la villa de Puppi a Moimacco, spesso disponevano di un proprio pozzo, come si vede in questa cartolina viaggiata nel 1914 (collezione Michele Pizzolongo).
Moimacco Ha un acquedotto in consorzio con le frazioni di Prestento e Togliano del Comune di Torreano. Costruito circa nel 1907, in origine funzionava bene e permetteva di
Pozzo a Case di Manzano, inserito per metà nella dimora privata dei conti Romano e metà a uso pubblico.
raggiungere una sorta di ‘redenzione igienica’ per i paesi ai quali conduceva l’acqua sicura, raccolta con una speciale galleria filtrante nel letto del torrente Chiarò sopra Prestento. In seguito, però, per i guasti continui che si verificano nel sifone in cemento a monte di Prestento, si hanno delle dispersioni d’acqua che diminuiscono di molto la dotazione per le due più lontane frazioni di Moimacco e Bottenicco. Da ciò la necessità di dover meglio provvedere alle proprie esigenze, approfittando dell’acquedotto del Poiana, del quale un ramo sarebbe passato nel proprio territorio per recarsi in altri Comuni. In tal modo sarebbero restate meglio fornite, rimanendogli l’acque del vecchio acquedotto, le frazioni di Togliano e Prestento.
Vera del pozzo pubblico di Moimacco, collocato nei pressi della chiesa parrocchiale, nel suo aspetto attuale.
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Pavia d’Udine Tutte le numerose frazioni sono fornite di almeno un pozzo pubblico, profondo e coperto alla bocca, munito di pompa Vanelli per l’estrazione dell’acqua. Prima dell’applicazione di queste ultime erano frequentissime le epidemie da cattive acque potabili. Le pompe effettivamente arrecano un sensibile miglioramento, restano comunque la relativa scarsezza d’acqua, la notevole perdita di tempo per l’attingimento e la continuazione dell’uso dei roielli attraversanti i paesi per lavare gli erbaggi, che poi si consumano crudi, le stoviglie ecc. Nel Comune di Pavia di Udine si ha la sicura attestazione di una pozza d’acqua al centro dell’abitato di Lauzacco, disegnata in una mappa del XVI secolo, cui se ne aggiungevano in seguito altre due e uno ‘sfoglio’ era presente sicuramente anche a Cortello e a Valisella di Risano; presumibilmente non mancavano neppure nelle altre frazioni.53
Il pozzo a Pavia di Udine, dotato di imponente pompa, visto da via Plebiscito (dal volume Pavie 2006, p. 377).
Il pozzo pubblico di Pradamano in via Roma, prima della sua demolizione. La pompa gli era applicata nel 1901 (da CESCHIA 1990, p. 73).
Pradamano Il capoluogo e la frazione di Lovaria sono forniti di pozzi profondi, che forniscono però acqua insufficiente. Per lenire la carenza idrica nell’agosto 1901 era proposta l’installazione nei pozzi pubblici del capoluogo e di Lovaria di due pompe aspiranti, per avere una più pronta e copiosa presa d’acqua, evitando di servirsi di quella del Rojello scorrente attraverso l’abitato, spesso veicolo di malattie, in quanto nei periodi piovosi vi si scaricavano anche gli spurghi di alcune cloache tracimavanti durante le piene. Nel mese di settembre era sistemato il muretto di protezione del roiello scorrente per Lovaria e si faceva spostare più a valle il lavatoio pubblico della stessa frazione, per evitare l’inquinamento delle acque.54 Il sito ove si trovava il pozzo pubblico di Pradamano, nell’aspetto attuale.
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Il pozzo pubblico, coperto da un’ampia e solida tettoia, si erge sulla piazza principale di Remanzacco (gentile concessione di Oscar Marchese).
Premariacco
San Giovanni di Manzano
Il capoluogo e le frazioni di Firmano e San Mauro sono già fornite di un ottimo acquedotto, derivato nel 1908 dalla sorgente Montina, dovrebbe entrare nel Consorzio per la sua più lontana frazione di Orsaria, che conta da sola 1320 abitanti. Questa non può usufruire del Montina e ricorre a pozzi comuni che danno acqua non ben sicura per la qualità e incomodi per l’attingimento.
Tutte le frazioni del Comune hanno pozzi comuni, mal protetti, che danno acque poco sicure e scarse. Sovente nei periodi di magra mancano, per cui non è infrequente il caso di dover ricorrere per l’acqua a Udine, a mezzo di cisterne ferroviarie.
Remanzacco
Dispone di pozzi profondi, che in passato, specie Clauiano e Melarolo, furono causa di gravi e frequenti epidemie tifiche e dissenteriche. Con speciali lavori ai pozzi e con l’applicazione di pompe si migliorarono sensibilmente le condizioni, ma resta sempre la relativa scarsità, il disagio dell’estrazione con le pompe, che spesso anche si guastano.
È uno dei Comuni meno dotati della Provincia in fatto di acqua potabile. Il capoluogo ha un pozzo, ben fatto e assai profondo, che dà però con grave fatica e grande perdita di tempo acqua insufficiente ai bisogni locali. Le frazioni di Ziracco, Orzano e Cerneglons usano quasi esclusivamente l’acqua dei roielli aperti che attraversano i paesi e sono assai di frequente infestate dal tifo e da altre infezioni gastro-intestinali. Oltre ai pozzi collocati a corredo delle ville padronali, nel territorio comunale anteriormente alla prima guerra mondiale si trovavano due pozzi nel capoluogo (uno comunale nella piazza della Chiesa e l’altro privato della famiglia Vidoni, in quella del Municipio), uno a Orzano di proprietà comunale nella piazza della Chiesa, uno a Ziracco e uno a Cerneglons, fuori dell’abitato. Questa frazione era la peggio servita sotto il profilo idrico, in quanto l’acqua del roiello vi arrivava scarsa e incostante. Non molto meglio stava Selvis, che doveva attingere acqua per tutti gli usi, compreso quello potabile, da un modestissimo rivolo alimentato stentatamente dalla roggia Cividina. Nella piazza principale di Remanzacco fino al 1909 vi era una pozza alimentata dalle acque di scolo delle strade, chiamata poçate, collocata di fronte all’attuale Municipio.55
Trivignano
Il pozzo pubblico usualmente si trovava in una posizione centrale degli abitati, come si riscontra a Medeuzza (San Giovanni al Natisone), in questa cartolina di inizio Novecento (collezione Felice Peressin).
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CAPITOLO I
Relazione 1920, pp. 36-37. MUSONI 1912. NUSSI 1861b, p. 114. La definizione “paesi innaquosi ” era espressa da Bassi e Locatelli nel 1858, si trova riportata in NUSSI 1861a, p. 106. NUSSI 1861a, p. 97. MATTALONI 2010, pp. 126-127. Si veda, ad esempio, quanto riportato da BELTRAME, PUNTIN, FIAPPO 2006, pp. 206-208. TELLINI 1902, pp. 25-27. Si chiarisce che, per non appesantire eccessivamente l’esposizione dei brani originari, la loro sintesi è effettuata senza riportare, in ogni frase, i tre punti di sospensione indicanti che vi è del testo, precedente o successivo, qui non trascritto. TELLINI 1898, pp. 67-70. TELLINI 1898, pp. 89-90. TELLINI 1898, pp. 124-128. TELLINI 1898, pp. 147-148. TELLINI 1898, pp. 206-208. TELLINI 1898, p. 70. Su quest’opera idrica: MATTALONI 1998, pp. 59-105 e MATTALONI 2010, pp. 35-52. Sulla figura dell’ing. Antonio Luigi Lavagnolo: Nuovo Liruti 2011, tomo 3, pp. 1854-1859. Il bacino di Guspergo era densamente disseminato di fonti, come in seguito constatava personalmente Francesco Musoni, che in una superficie di 4,52 Kmq, rilevava la presenza di una dozzina di sorgenti, trascurando le altre minori, MUSONI 1908, pp. 20-21. L’acquedotto 1898, p. 7. L’acquedotto 1898, pp. 7-8. TELLINI 1898, p. 202. Deliberazione del Consiglio comunale di Cividale del Friuli n° 8 del 4 febbraio 1892, in ASMunCiv. Del suo arrivo dava immediata notizia il Forum Iulii (settimanale stampato a Cividale dal 1884), sul n. 6 del 25 giugno 1892, p. 3. Questa consulenza – cui il professionista dedicava, tra viaggio e permanenza in città, dieci giorni, precisamente dal 21 al 30 giugno – costava al Comune di Cividale 543,80 lire, come risulta dal relativo mandato del 29 ottobre 1892, ASMunCiv, cart. 179 (vecchia numerazione) Consuntivi 1892, fasc. Passività titolo 1, capo 1, cat. 26, art. 1,2,3. Relazione 1920, pp. 11-12. Forum Iulii n. 28 del 26 novembre 1892, p. 3; L’acquedotto 1898, p. 8. Tali situazione è espressa in una lettera inviata il 26 luglio 1901 al Sindaco di Cividale dall’ing. de Toni, che sottolineava di aver appurato non esservi equivoci sul fatto che la sorgente misurata fosse la stessa, ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo’. Questi dati sono riportati anche in Relazione 1920, p. 12. Una sintesi delle vicende storiche dell’acquedotto Poiana si trova in PATRIARCA, CASARSA 2000 e MATTALONI 2010, pp. 95-105. Lettere del 21 dicembre 1895 e 14 gennaio 1896, ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo’. Distinte delle spese dell’ing. Del Fiorentino dal 29 marzo al 14 dicembre 1896; la visita a ‘S. Leonardo di Schiavonia’ si svolgeva il 6 aprile, a Savogna il 10 maggio e il 14 giugno a Picigh, ASMunCiv, cart. 196 (vecchia numerazione) (anno 1897), Titolo I, capo 2, cat. 39, art. 1.
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Su questo ingegnere cividalese: DE BENVENUTI 1932, pp. 190-192, ove si cita espressamente il suo operato per il Poiana: il massimo vanto di Ernesto de Paciani rimarrà l’acquedotto del Pojana, il più importante della Provincia. È sua l’idea della costruzione, sua la concezione come deludere le mene della potente astiosa vicina per rivendicarne le sorgenti all’Italia; da lui fu anche eseguito parzialmente il lavoro di allacciamento. L’acquedotto 1898; una copia a stampa si trova in ASMunCiv, cart. 239 (vecchia numerazione) LL.PP. 1905-1907, Sezione 11 Lavori Pubblici, Anno 1905, fasc. Cat. 19 Fontane, Lavatoi, Acquedotti. Un’accurata descrizione delle sorgenti si trova in MUSONI 1908 e MUSONI 1912. Comunicazione del 16 dicembre 1899, ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III, fasc. Acquedotto di Purgessimo. TELLINI 1908, pp. 18-19. Relazione dell’ing. Grablovitz datata 7 febbraio 1898, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. TELLINI 1908, pp. 7-11. PAOLETTI et alii, 1908, p. 7. Sul Tellini: GROSSUTTI 2011, pp. 3303-3307. MUSONI 1908. Sul personaggio PETRICIG 1996, pp. 7-33 e il recente MICELLI 2011, pp. 2417-2422. MUSONI 1912, pp. 104-108. MUSONI 1912, p. 109. Musoni al termine dell’articolo dichiarava che le sue considerazioni, prima di essere pubblicate, avevano ricevuto l’attenzione dell’illustre prof. De Marchi, dell’università di Padova. MUSONI 1912, p. 101; anche in Relazione 1920, p. 14; è definita Sorgente Bianca in RIEPPI 1925, p. 135. DESINAN 1982, pp. 80-81. TELLINI 1908, p. 6. TELLINI 1908, p. 18; il suo giudizio era riportato anche in L’acquedotto 1898, pp. 11-14. MANTELLI, TEMPORELLI 2007, p. 115. MATTALONI 2010, p. 155. Elenchi di ammalati di colera, con età e il decorso della malattia diffusa nella città ducale l’anno 1855 si trovano in ASMunCiv, b. 65 (nuova numerazione, ex 48) (1856) Sanità, Poste, fasc. XV Sanità. Atti di contabilità. BOSCO 2002, p. 102. MANTELLI, TEMPORELLI 2007, p. 128. Relazione del Consiglio Provinciale Sanitario, presentata nella seduta del 22 febbraio 1912, ACAP, cart. Trasformazione azienda. Un’ampia e dettagliata descrizione della situazione idrica del Comune di Buttrio in MARCHESE 2003, pp. 65-95, sull’approvvigionamento ‘ante Poiana’ specialmente le pp. 83-87. Immagini legate all’approvvigionamento dell’acqua nel passato sono pubblicate, con accurate didascalie, nel recente volume Corno 2010. Desidero ringraziare la curatrice Maria Visintini per la gentile collaborazione fornitami, nonché il Comune di Corno di Rosazzo. PERUZZI 1984, pp. 309-310. CAIAZZA 2006, pp. 274-275. CESCHIA 1982, pp. 88-89. Una citazione della piazza ove era collocato il vascone del lavatoio pubblico, con acqua corrente si trova in CESCHIA 1990, p. 41. MARCHESE 1999, pp. 50-58.
II CAPITOLO SECONDO
IL LUNGO CAMMINO VERSO IL CONSORZIO
L’IDEA EMBRIONALE DEL CONSORZIO Di fronte alle risultanze delle varie indagini chimiche, fisiche, batteriologiche, organolettiche e geologiche che attestavano inequivocabilmente l’eccellente qualità della sorgente Pojana, l’apposita Commissione sosteneva con forza la proposta di derivare l’acqua da questa straordinaria fonte. Tenendo conto dell’abbondanza con la quale sgorgava, Cividale riteneva di poter condividere il frutto di tale insperato ritrovamento con parecchi comuni della pianura, nella triste condizione di servirsi per gli usi domestici di acque scorrenti sulla superficie del suolo, esposte alla lavatura dei campi concimati, agli scoli dei cortili, delle strade, ai prodotti delle lavature delle biancherie, delle vesti, degli oggetti domestici d’ogni specie, che talvolta furono a contatto più o meno diretto con ammalati di varia natura.1 Con questo ordine di idee, si era dato incarico all’ing. Adolfo Grablovitz da Ronchi di Monfalcone – benemerito iniziatore degli acquedotti di maggior importanza del Friuli 2 – di predisporre un preventivo di massima, individuando come Comuni potenzialmente da consorziare, assieme a Cividale, quelli di San Pietro al Natisone, Premariacco con Orsaria, Buttrio, Ipplis e Manzano con Oleis. Secondo il censimento del 1881, la loro popolazione era di 11.120 abitanti, che uniti ai 7.202 di Cividale e frazioni assommavano a 18.322; tenendo conto dell’aumento avvenuto da allora e dei probabili incrementi futuri, si calcolava un totale di 23mila abitanti. Su queste basi il Grablovitz impostava i suoi calcoli, distinguendo le modalità di erogazione in città – provviste di una regolare rete di distribuzione a mezzo di rubinetti e necessitante di serbatoi di riserva – e in piccoli centri rurali ove ordinariamente l’acqua si traeva da fontane pubbliche e nei quali il consumo preponderante dipendeva dall’allevamento degli animali. Per il tecnico la portata più conveniente di ogni singola fontana era di 0,40 l/secondo, in grado di far riempire un normale secchio in mezzo minuto e riteneva sufficiente asse-
gnare 16 fontane alle frazioni cividalesi e 44 ai cinque Comuni, formando un acquedotto della portata di 27 l/secondo (14 per Cividale, 3 alle sue frazioni e 10 agli altri Comuni). Dal preventivo di Grablovitz risulta una spesa di 266.400 lire per un acquedotto costruito solo per Cividale e frazioni, con un costo per ogni litro d’acqua dalla sorgente al serbatoio presso la città di 22.200 lire, mentre nel caso del consorzio l’importo sarebbe salito a 589.600 lire, ma con la diminuzione a 21.837 lire quale costo unitario, per 27 litri di portata. L’estensore della proposta si rendeva conto che la spesa a primo aspetto può sembrare esagerata, ma tale non appare quando non si considerino gli immensi vantaggi che risentono i paesi che possono provvedersi di una condotta d’acqua buona ed abbondante, e il conseguente benessere che nei riguardi igienici ne deriva alle popolazioni.3 La relazione della Commissione e il preventivo erano stampati, divulgati tra gli amministratori e discussi nel consiglio comunale di Cividale del 27 maggio 1898. I presenti concordavano, e non poteva essere altrimenti, sull’opportunità di risolvere il problema della provvista d’acqua potabile, ma il cammino era frenato dall’imponente scoglio economico, che sovrastava massicciamente le esigue possibilità delle deboli casse pubbliche. Il dibattito in aula oscillava dalla più ferma convinzione di procedere senza ulteriori indugi alla titubanza di chi, facendo presente di trovarsi nell’imminenza delle elezioni amministrative, consigliava di muoversi cautamente in quello scorcio di fine mandato, evitando di addentrarsi in iniziative potenziamente criticabili per la loro onerosità, pur essendo l’acquedotto sentitamente invocato dai cittadini. Infine prevaleva, per dieci voti contro cinque, la proposta di costruire l’acquedotto, incaricando la Giunta di procedere alla formazione di un consorzio con altri Comuni e di far predisporre il relativo progetto di dettaglio, con una spesa non superiore a 1.500 lire per la parcella del tecnico.4
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Nonostante il desolante, magrissimo raccolto di adesioni, si procedeva con l’affidamento del titanico progetto all’ingegnere Grablovitz, che già si era occupato dell’elaborazione del preventivo; le coordinate che gli venivano fornite erano quelle di derivare 15 l/secondo dalla sorgente Poiana per Cividale, più altri 3 per Premariacco e Orsaria.8 Trovarsi a ripartire su due sole teste un conto che già dal preventivo si preannunciava assai salato, portava a cercare altre formule alternative, come trovare una Società che si assumesse la progettazione, la costruzione e l’esercizio dell’acquedotto verso la concessione dell’acqua e di un canone annuo da convenirsi. Così era stato fatto, ad esempio, dalla ditta Marsaglia di Torino per l’acquedotto di Chioggia ma, all’uopo interpellata, questa impresa rispose picche e analogo rifiuto espresse l’impresa costruttrice dell’acquedotto di Venezia.9
LA TRIBOLATA PROGETTAZIONE INIZIALE
Preventivo elaborato nel 1898 dall’ing. Grablovitz per un acquedotto alimentato dalla sorgente Poiana, che prevedeva due possibilità: solo per Cividale e frazioni per una quantità d’acqua di 12 litri/secondo e del costo di 366.400 lire oppure anche per altri Comuni utilizzando 27 litri/secondo, con la spesa di 589.600 lire.
LE PRIME, COCENTI DELUSIONI In esecuzione a quanto deliberato dal Consiglio comunale di Cividale, il passo successivo era la diramazione dell’invito ad aderire all’ideato consorzio, rivolto ai Comuni di S. Pietro al Natisone, Buttrio, Corno, Ipplis, Manzano, Premariacco con Orsaria, Remanzacco e S. Giovanni di Manzano (ora ‘al Natisone’).5 Il primo tentativo falliva,6 in quanto il Consiglio comunale di Manzano non aderiva per ragioni finanziarie, lo stesso per Buttrio, mentre S. Pietro al Natisone non solo rifiutava, ma si riservava a suo tempo di fare opposizione all’attuazione del relativo progetto nell’interesse dei molini situati lungo il Natisone, che probabilmente durante le magre resterebbero danneggiati dalla derivazione. Ciò, nonostante le rassicurazioni che la sottrazione d’acqua sarebbe risultata insignificante, riducendosi a 1/33 della portata di magra del Natisone. Tirando i conti, aderiva alla proposta solo Premariacco.7
Neanche sul fronte della progettazione si procedeva, in quanto il prof. Grablovitz lasciava questo mondo il 6 luglio 1899, senza aver dato corso all’elaborato tecnico di cui era stato incaricato ufficialmente. Per la scelta del suo sostituto, inizialmente era accolto il suggerimento del direttore dell’acquedotto di Venezia che indicava l’ing. Luigi Marangoni di quella città, allora addetto ai lavori delle nuove condotte d’acqua per le isole dell’estuario di Venezia e litorale di Lido per conto della Compagnia Generale delle Acque.10 Poco dopo, invece, tale compito era affidato all’ing. Lorenzo de Toni di Udine, che prometteva di dedicarsi con alacrità all’impegnativo lavoro. L’incarico ufficiale era conferito dopo che l’ing. de Toni, con lettera del 9 giugno 1900 si dichiarava disponibile, anche se avvertiva di dover prima ultimare il progetto dell’acquedotto di Tarcento e perciò di non potersi occupare subito di Cividale.11 A una pronta effettuazione dei primi sopralluoghi alle sorgenti, svolti già intorno alla metà di luglio,12 seguiva un sensibile rallentamento dell’attività, tanto che nel settimanale Forum Iulii edito a Cividale, undici mesi dopo si scriveva: (…) da tanto tempo è stato incaricato l’ing. De Toni di Udine del progetto, ma non se ne sa nulla.13 In effetti il professionista si era perso dietro a vaste ricerche, poi rivelatesi vane e infruttuose, come ammetteva in una lettera personale diretta al sindaco Morgante: sono pentito di non avere senz’altro seguito il di lei desiderio di fare il progetto dell’acquedotto dalla sorgente Pojana, perché il mio temporeggiare nella speranza di trovare una soluzione più economica e quindi più possibilmente attuabile, ha causato un ritardo nella stesa del progetto ed ha dato motivo ad escogitare nuove proposte che non approderanno a niente, ma faranno perdere tempo prezioso.14
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I mesi scivolavano veloci e l’ing. de Toni riconosceva un altro suo errore, stavolta aveva sottovalutato l’impegno richiesto dalla progettazione; dopo l’effettuazione dei rilievi, infatti, riteneva che la stesa del progetto sarebbe stata una cosa semplicissima mentre si accorgeva ben presto che le contropendenze erano tante e tali da dover frequentemente abbandonare la strada per discendere in campagna e riprendere al punto opportuno la strada. Servivano assolutamente tutte le mappe dei terreni lungo la strada Nazionale detta del Pulfero, dal confine fino a Cividale e a Premariacco, la soluzione più economica per disporne era di chiedere alla Regia Finanza la concessione di estrarre gratuitamente i tratti necessari, con l’ausilio di capaci disegnatori; per avere il permesso di compiere tale ingente opera di copiatura, l’ingegnere auspicava la visita personale del sindaco di Cividale direttamente all’Intendenza di Finanza, per sottolineare l’importanza di tale operazione. Era intenzione di de Toni dedicare il periodo invernale alla predisposizione delle mappe e poi compiere ulteriori rilevamenti sul tracciato in primavera, prima che i terreni venissero occupati dalla vegetazione e dalle colture.15
SOLO PER DUE L’ing. de Toni concepiva un acquedotto della portata di 21 l/secondo, a uso di Cividale con le sue frazioni e prolungato fino a Premariacco, preventivando un costo di mezzo milione di lire, mentre fermandosi alla città ducale e limitando la portata a 8 l/s, sarebbe costato solo 300.000 lire; a Premariacco si attribuiva, come compartecipazione alle spese, la quota di 150.000 lire. Per scrupolo, riesaminava assieme al prof. Tellini la situazione locale, onde escludere definitivamente ogni altra possibilità di derivazione da sorgenti più vicine. Il risultato degli studi nelle valli di Zuccola e di Guspergo, nei dintorni di Purgessimo e a Montina confermava in pieno la sconfortante assenza di valide alternative alla fonte Poiana e alle vicine consorelle. In verità, un barlume di speranza era stato acceso da due sorgenti in Guspergo, una elevata 125 m rispetto alla piazza Diacono di Cividale e ancora inesplorata. Si presentava sotto buoni auspici, ma in una specifica visita il prof. Tellini l’aveva trovata superficiale e molto incostante, inoltre l’ing. del Fiorentino la misurava di un solo litro al secondo, quindi assolutamente deficiente. L’altra sorgente si trovava solo 25 metri più alta della medesima piazza e, pur non essendo ancora in magra forte, spicciava un paio di miseri litri, quindi bollino rosso anche per essa. Prima di procedere alla stesura del progetto per i due soli Comuni di Cividale e Premariacco – il che avrebbe comportato un esborso significativo per ognu-
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no dei partners – l’ing. de Toni interpellava il sindaco cividalese per avere chiare indicazioni sul da farsi.16 La Giunta comunale cividalese intanto si occupava dell’aspetto finanziario, intendendo contrarre un prestito con ammortamento a lunghissima scadenza, per gravare il meno possibile sui bilanci municipali e ripartire le contribuzioni anche sulle generazioni future, in quanto anch’esse avrebbero beneficiato di tale iniziativa. Gli istituti di credito ai quali si faceva domanda – Casse di Risparmio di Verona, di Bologna e di Milano – rispondevano tutte negativamente e non si poteva neanche accedere a un mutuo dalla Cassa Depositi e Prestiti, in quanto la legge limitava le somme mutuabili a 20.000 lire e per un periodo di tempo non eccedente i 35 anni.
LA PROTESTA VA CRESCENDO. POJANA ADDIO? Alle difficoltà economiche si aggiungevano altre grane, relative all’acquisizione del fondo ove era localizzata la sorgente, in Comune di Tarcetta, non risultando agevole determinare con precisione se l’acqua zampillava in territorio italiano o austriaco, era sicuro solo che il filone in alcuni tratti scorreva sul loro sottile confine. Si temeva poi le proteste degli utilizzatori delle acque del Natisone, che ne paventavano la diminuzione della portata, a danno dei loro opifici posti a valle della fonte stessa, anche se secondo i calcoli del prof. Tellini essa sarebbe stata sostanzialmente insignificante, come già detto pari a 1/33 della sua portata di magra.17 Questo insieme di difficoltà faceva sorgere tra gli amministratori cividalesi una corrente contraria all’esecuzione della faraonica opera. Una sequenza di forti e ripetute siccità esasperava la popolazione che voleva veder risolto, senza ulteriori indugi, il perdurante problema idrico cittadino. La stampa locale amplificava le lamentele, sul Forum Iulii leggiamo: il problema dell’acqua potabile va diventando ogni giorno più serio ed imponente. Ormai siamo indotti al punto che la fontana di piazza Paolo Diacono – l’unica della città – fornisce tanto poco del prezioso elemento da sembrare una cosa irrisoria (...).18 Anche se tutti gli ostacoli legati alla captazione del Pojana si fossero prontamente e magicamente dissolti, i relativi lavori avrebbero richiesto anni per il loro completamento, mentre gli amministratori mostravano di preferire il soddisfacimento dei bisogni più urgenti degli elettori, attraverso la derivazione dell’acqua dalle fonti di Purgessimo. Si dava pertanto incarico all’ing. Lorenzo de Toni – cui si doveva l’acquedotto di San Pietro al Natisone derivato dalla fonte Naclanz – di approntare il relativo progetto. Nonostante le reiterate promesse di questo professionista, i suoi elaborati si facevano lungamente attendere.
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Di fronte al crescere della sete e del malumore dei Cividalesi, i disperati amministratori pubblici ripescavano la vecchia idea di utilizzare l’acqua del fiume, sfruttando la novità dell’energia elettrica per innalzarla a un grande serbatoio e da qui diramarla a tutta la città. Infatti sul greto del fiume, sulla riva destra in località Mulinuss, nel 1901 era stata inaugurata la centrale elettrica, gestita dalla ditta Garlatti,19 proponente un sollevamento dell’acqua dei sottostrati del Natisone con trasmissione elettrica di forza.20 L’idea era giudicata negativamente dall’ing. de Toni, cui il Comune aveva chiesto un parere tecnico. Interpellando in proposito il prof. Nallino per un responso di tipo batteriologico, questi non crede che l’acqua possa ritenersi scevra da inquinazioni a profondità minori di 12 metri, è pericoloso il sistema di attingere con tubi infissi, perché in breve si perforano lasciando passare l’acqua inquinata dagli strati meno profondi. Il costo, poi, sarebbe stato assai alto, come chiaramente risultava dai preventivi dell’officina meccanica Giovanni Barnabò di Conegliano, che per scavare un pozzo tubolare chiedeva 50 lire al metro e si rifiutava categoricamente di accogliere le controposte del Comune, disposto a pagarne solo 35 per un diametro di 100 mm, tutto compreso.21 Si chiedeva al prof. Piutti dell’Università di Napoli un parere per gli esperimenti utili a determinare la qualità batteriologica dell’acqua del Natisone, ma le pratiche avrebbero richiesto molto tempo e parecchi quattrini per realizzare dei pozzi di esplorazione. Non pareva dare nessuna garanzia di riuscita neppure
l’allacciamento della sorgente bassa di Guspergo al vetusto acquedotto di Zuccola. Finalmente, nel gennaio 1902 il progetto de Toni per l’acquedotto di Purgessimo era pronto.22 Probabilmente sotto la pressione dell’opinione pubblica che dissentiva vigorosamente per il protrarsi delle carenze idriche, onde soddisfare subito tale imperioso bisogno, nel consiglio comunale del 17 marzo 1902 si deliberava di revocare, per questioni di spesa, la risoluzione presa il 27 maggio 1898 che stabiliva la costruzione dell’acquedotto dalla sorgente Pojana, realizzando invece quello, ben più modesto, di Purgessimo, autorizzando la Giunta all’acquisto o all’espropriazione forzata della sorgente denominata “Fontana del Ronch” di Cargnello Lorenzo fu Michele, stipulando un mutuo di 70.000 lire al tasso non superiore del 5%, ammortizzabile in un trentennio.23 Sul progetto più impegnativo dunque calava, per il momento, il sipario. All’Amministrazione comunale del tempo spetta comunque il merito di aver pensato, per prima, all’utilizzazione della sorgente Pojana.
POJANA RITORNA A GALLA I consiglieri comunali votanti per la sospensione dell’acquedotto del Pojana erano ben consci che la questione idropotabile a Cividale non era risolta con il limitato manufatto di Purgessimo, ma ritenevano che ciò non precludesse la possibilità in avvenire, allorquando
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Verbale dell’incontro del 24 novembre 1906, tramesso ai sindaci partecipanti, nel quale era deliberato di promuovere un regolare consorzio per la costruzione dell’acquedotto Poiana, nominando un apposito comitato per svolgere i passi necessari a ottenere la relativa concessione.
le condizioni del bilancio lo permettessero, di nuovamente pensare alla costruzione del grande progetto di derivazione dalla fonte Pojana.24 I prospettati lavori relativi a Purgessimo avevano esecuzione e, per qualche anno, non sortivano novità sull’argomento.25 Poi l’aumentata popolazione, la fornitura mediamente di soli 3 litri/s in periodo di magra e l’inconveniente che l’acqua proveniente da questa località si intorbidiva durante le piogge, confermavano che quest’opera non rappresentava altro che una sottile parentesi palliativa e che il colossale problema rimaneva, di fatto, sostanzialmente ancora insoluto. Ricordiamo che con l’emanazione del Regio decreto del 29 marzo 1903 n. 103 la gestione degli acquedotti era delegata ai Comuni, che già la legge Crispi-Pagliarini del 1888 aveva obbligato a dotarsi di acqua potabile riconosciuta pura e di buona qualità. All’orizzonte, si profilava nuovamente la proposta originaria. Era il dott. Domenico Rubini a proporre nell’autunno 1906 al Consiglio comunale di Cividale, A sinistra: invito ai sindaci di partecipazione alla seduta del 24 novembre 1906, per gettare le basi per l’eventuale costituzione di un consorzio (copia inserita in Pratiche 1908, p. 13).
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congregato il 28 ottobre, la ripresa delle pratiche per usufruire della sorgente Pojana, chiedendo ai Comuni contermini di unirsi nell’imponente impresa. Sappiamo che in precedenza una delegazione si era recata alle falde del Monte Mia, restando meravigliata in vedere la grande quantità del prezioso elemento che da esso scaturisce limpido.26 Il 24 novembre 1906 nell’ufficio municipale cividalese si svolgeva una riunione con i rappresentanti dei Comuni di Brazzano (podestà Macorig Alessandro), Buttrio (assessore Giuseppe Cossutti), Cormòns (1º deputato Giuseppe Leghissa), Corno di Rosazzo (assessore Luigi Crassevig), Ipplis (sindaco Adolfo de Polo), Manzano (assessore Francesco Rossi), Premariacco (sindaco Bernardino Goia), Remanzacco (assessore Giuseppe Moreale), Rodda (sindaco Giuseppe Pussini), S. Giovanni di Manzano (sindaco Desiderio Molinari), S. Pietro al Natisone (delegato Francesco Musoni) e Cividale (assessori Giuseppe Paciani e Giovanni Carbonaro) per trattare della costruzione di un acquedotto consorziale. Erano stati invitati, ma non era presente alcun loro rappresentante, anche i Comuni di Chiopris, Prepotto e Tarcetta. Tutti i presenti sentivano la necessità di provvedere senza ulteriore dilazione ai bisogni delle rispettive popolazioni, divenuti ancor più intensi rispetto agli anni precedenti – quando un’analoga proposta di unione delle forze era malamente abortita – anche per le rabbiose siccità, di straordinaria durata e intensità, che più volte avevano azzannato i raccolti agricoli, lasciandone solo miseri residui. All’unanimità, i presenti deliberavano conveniente e opportuno unirsi in consorzio regolare – anche se i sindaci di Premariacco e San Pietro al Natisone dichiaravano di ritenersi liberi da ogni legame, qualora avessero trovato il modo di provvedervi da soli, avendo già in corso studi in tal senso – nominando allo scopo un comitato con ampio mandato di promuovere gli atti occorrenti per ottenere la concessione dell’acqua. Il comitato era composto dai sindaci di Cividale – in quel tempo era Antonio Miani che, come assessore anziano, ne svolgeva la funzione – e di San Pietro al Natisone, dal Podestà di Cormòns, dal dott. Domenico Rubini e dal segretario capo di Cividale, Luigi Brusini.27
ACQUA ITALIANA O AUSTRIACA? La prima, delicata questione che il comitato doveva definire era se la sorgente Pojana si trovava tutta, o solo in parte, sul territorio nazionale. Le carte topografiche, sia italiane che austriache, riportavano la linea confinaria lungo l’asse del rugo discendente dal monte Mia; abbandonato questo alla pietra di confine, la linea arrivava alla prima sorgente, che era quella del Pojana, seguendo il ruscello da esso originato fino allo sbocco del Natisone. Per il Tellini,
Planimetria inviata il 21 dicembre 1906 da Caporetto al sindaco di Cividale Antonio Miani, riportante le particelle n° 1190, 1192, 3931 e 3932, nel territorio di Kred (Creda) ove si trova il fondo comunale Poljana.
che esaminava a questione nel 1898, era evidente che le sorgenti escono dal lato del territorio italiano, perciò spingendosi con una galleria sotto il detrito di frana, e quindi facendo l’allacciamento nella viva roccia, si andrebbe qualche decina di metri lontani dal confine e si eviterebbero questioni.28 Invece, dall’esame della cartografia presso l’ufficio steurale di Tolmino, i membri del neo comitato traevano un parere opposto, stabilendo essere le varie polle in Austria e costituire queste un rivo di cui la sponda destra è italiana, la sinistra austriaca.29 La molteplicità degli aspetti giuridici sotto la quale si presentava il problema, obbligava gli Enti interessati alla costruzione dell’acquedotto a preoccuparsi di ottenere la concessione dall’Austria, in linea generale per essere il Rivo/Rugo Poiana un elemento definito di confine, sia pure per un breve tratto,30 in particolare perché secondo il diritto austriaco anche l’utilizzazione di acque private, quando ciò possa portare qualche conseguenza sul diritto altrui è subordinata alla concessione di un permesso da parte dell’Autorità tutoria.31 Pareva dunque che si rendesse indispensabile la richiesta di concessione dall’Austria, per tre motivi: per la costruzione dell’acquedotto, per la captazione delle
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acque da destinarsi in totale a uso dei bisogni potabili e per la scomparsa di un elemento di confine ben determinato – il Rugo Poiana – da sostituirsi una volta prosciugato con la posa di cippi da concordarsi fra i due Stati. Era dunque una domanda complessa, sottoposta al governo austriaco prima tramite la Capitaneria di Tolmino e successivamente dal Ministero degli Esteri. Per esperire le pratiche – ostiche anche perché in Austria erano diverse a secondo della provincia – ci si avvaleva di un legale, l’avvocato Adolfo Gollob di Gorizia, e dell’ingegner Mosè Schiavi di Udine.32 Ottenuto dal Capitanato Distrettuale di Tolmino nel maggio 1907 il permesso di eseguire i necessari rilievi preliminari sul posto, questi si svolgevano dal 1º giugno al 6 settembre seguenti, sotto la direzione dell’ing. Schiavi33 e proseguivano poi per altri sei mesi a mezzo di osservazioni svolte da persone di fiducia;34 lo stesso Schiavi compilava il progetto di captazione.35 La plaga con le polle sorgenti, dove sarebbero dovute sorgere le opere di presa, era formata da particelle inserite nel libro fondiario di Creda, di difficile accesso, con terreno sassoso, quasi sterile perché coperto da rada erba e Circolare con cui il sindaco di Cividale informa i colleghi sindaci che sono state iniziate le pratiche per l’acquisto delle sorgenti Poiana, 14 agosto 1907.
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bassa boscaglia; rappresentavano quindi, riguardo alla meschina rendita catastale, un valore di poca entità, ma il sottosuolo celava un inestimabile valore. Dopo che sull’istanza di concessione erano apposte le firme, oltre che del sindaco di Cividale, anche dei podestà di Cormòns e di Chiopris – quello di Brazzano invece si rifiutava perché non intende che il Comune da lui presentato abbia a sostenere spese per l’ottenimento della concessione – il voluminoso incartamento era inoltrato il 5 novembre 1907 alle competenti autorità tolminesi.36 In via non ufficiale era giunta l’assicurazione che non vi sarebbero state difficoltà e che tutto sarebbe stato definito in tre-quattro mesi. Una previsione, questa, che si sarebbe rivelata realistica o utopistica?
DUE VANNO E DUE VENGONO Nell’attesa, proseguivano le pratiche per formalizzare il consorzio fra i Comuni, al quale dichiaravano di non aderire Premariacco e San Pietro al Natisone. Quest’ultimo stava procedendo autonomamente per derivare l’acqua potabile dalla sorgente Naclanz e tale iniziativa aveva portato alcuni consiglieri di Cividale a valutare, nella seduta del 2 settembre 1907, se era il caso di aggregarsi a esso, parendo la via più agevole
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per disporre di un acquedotto; dopo un lungo dibattito consigliare, la proposta di aprire le trattative con San Pietro al Natisone fu messa in minoranza e si riconfermò l’impegno morale contratto con gli altri Comuni favorevoli al nascente Consorzio della fonte Poiana.37 Due Comuni si allontanavano, ma in compenso si aggregavano spontaneamente prima Pavia di Udine e poi Pradamano. Cormòns e Brazzano, trovandosi oltre confine, dichiaravano di non essere loro concesso di fare parte di consorzi appartenenti ad altro Stato, però avrebbero potuto acquistare l’acqua alla frontiera, dietro pagamento di una quota fissa annua e condurre poi il liquido come meglio avrebbero creduto.38
Risultati dell’analisi batteriologica, eseguita nel 1907 dal Laboratorio della Sanità pubblica di Roma per verificare la potabilità dell’acqua sgorgante dalla sorgente Poiana (da Relazione 1920, p. 15). I primi metodi ufficiali delle analisi microbiologiche, risalenti al 1905, si basavano sulla ricerca degli indicatori di contaminazione fecale e degli indicatori di superficialità; questi ultimi, capaci di fondere la gelatina a circa 22°C, sono presenti negli strati più superficiali del terreno dove concorrono alla degradazione dei rifiuti organici. Un loro basso numero nei risultati analitici, come quelli qui riportati, indica una buona situazione di potabilità.
NEIN, ASSOLUTAMENTE INAMMISSIBILE! Le pratiche di concessione – che pur nella loro complessità erano credute solo una fastidiosa formalità burocratica – iniziavano invece a subire preoccupanti rallentamenti. L’incartamento spedito oltreconfine era dirottato prima all’I. R. Luogotenenza di Trieste e in
Copertina dell’opuscolo stampato nel 1908, nel quale si riassumevano le iniziative sino ad allora attuate per la realizzazione dell’acquedotto, usufruendo di una delle sorgenti individuate a Stupizza.
seguito a Vienna, dove iniziava un estenuante rimpallo tra i Ministeri della Guerra, dell’Interno e dell’Agricoltura. Provavano a sospingere la pratica nel tortuoso e inaspettato labirinto burocratico austriaco il barone Giorgio Locatelli, quale podestà di Cormòns e mons. Luigi Faidutti di Gorizia, deputato al parlamento di Vienna. Dopo un intenso scambio di lettere sollecitatorie e di un memoriale presentato da mons. Faidutti al barone Beck, presidente del consiglio dei Ministri, finalmente il 31 agosto 1908, a firma del Consigliere luogotenenziale Prinzig, partiva da Tolmino la sospirata risposta diretta al municipio cividalese. Non era però quella attesa, tutt’altro: Ai sensi del capitolo 79 della legge sulle acque Le si restituisce qui unita l’istanza ed il progetto per l’acquedotto della sorgente Pojana essendo l’impresa per riguardi pubblici inammissibile. Non erano motivate le cause dell’inaspettato e netto rifiuto, sicuramente non giustificabile da un eventuale interesse a utilizzare la sorgente sul versante austriaco, ostandovi i consistenti problemi tecnici e le ingenti spese che ciò avrebbe comportato, piuttosto sarebbe stato agevole estrarre l’acqua dal Poiana e poi trasportarla da Cividale a Brazzano e Cormòns, cioè nuovamente in territorio soggetto all’Austria, a diretto vantaggio di queste località.39
NACLANZ ALLA RIBALTA, MA PER POCO A questo punto, per il granitico e assoluto veto posto dal governo austriaco, la sorgente Pojana era messa da parte per la seconda volta, rivolgendo forzatamente l’attenzione alla pur meno appetibile fonte Naclanz – sita qualche chilometro più a valle, tutta in territorio incontrovertibilmente italiano – della quale il Comune di San Pietro al Natisone aveva in parte ottenuto la concessione per il proprio acquedotto. Come poco sopra riportato, già in precedenza il Consiglio comunale di Cividale si era occupato dell’ipotesi di associarsi in questa impresa, a fianco dei Sanpietrini. Se nel settembre 1907 tale prospettiva non era prevalsa, stavolta invece otteneva la maggioranza, parendo ormai definitivamente tramontata la possibilità di approvvigionarsi dalla Poiana. La Giunta istruiva la pratica per ottenere tutta l’acqua ancora disponibile della sorgente Naclanz.40 L’ing. de Toni – che intanto era stato incaricato dal Comune di San Pietro al Natisone di redigere un progetto di acquedotto per la fonte Naclanz a beneficio del proprio territorio – preparava pure uno studio di massima per la derivazione di 55 litri di acqua al secondo, da ripartire fra nove Comuni con 29.171 abitanti complessivi e una spesa di 1.135.000 lire per la sola condotta principale, poi ognuno doveva provvedere a completare la propria condotta di distribuzione.41
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Il 18 agosto 1908 era inviata la domanda, attraverso la Prefettura di Udine, al Comando del VI Corpo d’Armata di Bologna, per ottenere il nulla osta della derivazione dalla sorgente Na-klanz, corredata da un progetto compilato dagli ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris.42 Per iniziativa del Prefetto Alessandro Brunialti, si teneva a Cividale un’adunanza dei Comuni interessati, con l’intervento del deputato del Collegio barone Elio Morpurgo, del comm. Domenico Rubini, del medico provinciale Frattini e dell’ing. de Toni. I presenti, stante il secco diniego del governo austriaco per la fonte Poiana, deliberavano di unirsi a San Pietro al Natisone per usufruire della sorgente Naclanz.43 Questa soluzione, però, innescava parecchie polemiche, proliferanti sui giornali del tempo, che davano largo spazio a una lunga serie di contrastanti pareri. L’ing. Ernesto de Paciani – presidente del comitato che nel 1898 aveva studiato il problema dell’acqua a Cividale – affermava gravemente stimerei colpevole ogni mio ulteriore silenzio e disinteressamento in questo solenne momento, si stanno maturando decisioni, gravi di pericoli e di irrimediabili conseguenze, in una bisogna di tanta e così vitale importanza. Essendo convinto che si potesse disporre dell’acqua del Poiana senza chiederla all’Austria,
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riteneva grave errore guardare altrove, come dichiarava alla stampa il 21 ottobre 1908: noi abbiamo di già l’acquedotto di Purgessimo insufficiente non solo ma che troppo spesso ci presenta, non richiesto, dell’acqua torbidissima!… Dobbiamo ora forse prenderci l’acqua del Naclanz e gettare le sudate centinaja di mille Lire dei contribuenti, per offrire loro un’acquedotto «Purgessimo numero due?».44 Tre giorni dopo, Francesco Musoni trovava ospitalità sullo stesso quotidiano, con un lungo articolo ove voleva chiarire che sulla sufficienza della portata della Naclanz non potevano sussistere dubbi, mentre effettivamente si mantiene sempre leggerissimamente opalina, anche durante le magre.45 Nell’agone giornalistico entrava poi un altro soggetto, anonimo, favorevole a procedere con l’acquedotto Naclanz, che nell’ultima misurazione aveva dato 68 litri/s di acqua, minimizzandone l’opalescenza: Non sarà certo il peggiore dei mali se forse per una ventina di giorni all’anno, nel periodo delle forti pioggie, avremo l’acqua opalina, quando si sappia che l’acqua è perfettamente pura nei riguardi bacteriologici. (…) Fare attendere per un tempo indefinito tanti comuni, col dubbio di lasciarli forse a bocca asciutta, mi pare che non sia il migliore suggerimento: l’arsura di quest’anno consiglia ben altrimenti! (…) Qualche comune ha già votato in seconda lettura per l’acquedotto del Naclanz, e chi resterà fuori, vedrà poi
Tabella con le spese calcolate nel 1908 dall’ing. Lorenzo de Toni derivando l’acqua potabile dalla sorgente Naclanz. Per non gravare troppo sui Comuni più distanti, per il loro riparto si adottava il sistema di porre nel rapporto due volte la popolazione e una la distanza, dividendo poi per tre. Con tali computi si determinava il costo della rete principale da farsi in comunione e della rete di distribuzione, a carico di ciascun Comune. Il calcolo della lunghezza delle singole reti secondarie era effettuato sulla base delle carte militari.
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se sarà il caso di scapricciarsi alla sorgente Pojana.46 L’indomani de Paciani correggeva diverse inesattezze pubblicate su tre testate, concordava sulla sufficiente portata della controversa sorgente, ma non transigeva sul carattere assolutamente negativo dell’opalescenza, così come ribadiva la convinzione che Il Pojana spaccato in due metà dalla linea di confine senza alcuna servitù di utenze è per metà nostro e per metà austriaco; da qui non si scappa.47 I torchi di stampa gemevano ancora per questa questione, infatti solo ventiquattr’ore dopo, l’anonimo articolista esprimeva il suo disappunto per aver assistito al blocco del progetto Naclanz: si tratta di perdere l’occasione che non tornerà mai più, di dotare cioè Cividale e frazioni di acqua potabile.48 Per fortuna, non sarà così. Ciò che aveva tanto preoccupato il Cividalese innamorato della sorgente Naclanz, era stato l’esito del tormentato e dibattuto consiglio comunale del 26 ottobre 1908, concluso con il rimando di ogni decisione e la nomina di una commissione di cinque membri (prof. Francesco Musoni, ing. Lorenzo de Toni, ing. Ernesto de Paciani, ing. Mosè Schiavi e ing. Giovanni Carbonaro) per riattivare l’accantonata idea di derivazione dal Poiana, del quale dopo una lunga serie di misurazioni protratte per una decina di mesi si era accertata una portata di ben 175 litri al secondo in epoca di magra, molto superiore alla Naclanz.49
GLI ESTIMATORI DELLA NACLANZ
Progetto di derivazione d’acqua potabile dalla sorgente Naclanz, elaborato il 31 luglio 1908 dall’ing. Lorenzo de Toni. Prospetto della somma complessiva, preventivata dall’ing. de Toni nel 1908 in 1.375.000 lire, per la costruzione dell’acquedotto dalla fonte Naclanz, a beneficio dei nove Comuni che in quel tempo si erano dichiarati interessati all’iniziativa.
Il dilemma se associarsi a San Pietro al Natisone, sfruttando la fonte Naclanz, o svincolarsene e sbrigarsela da soli era ormai da sciogliere improcrastinabilmente. L’amletico dubbio accalorava gli animi, le polemiche arroventavano le pagine dei giornali, le frazioni reclamavano e i sindaci sollecitavano premura. In questa caustica baraonda la prima commissione di studio in breve si disfaceva. Sulla scrivania del Prefetto di Udine intanto giungeva il progetto elaborato in data 11 agosto 1908 dagli ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris, per la derivazione di 65 l/secondo dalla fonte Naclanz, posta circa 800 metri a monte di Stupizza, alla quota di 204 metri s.l.m. Aveva sette polle lunga una linea estesa per una trentina di metri, con la portata di 80 l/secondo. La conduttura proposta avrebbe percorso la strada nazionale n. 5 detta del Pulfero fino a Cividale, alimentandola con 20 litri e spegnendo la sete anche di Ipplis (5 l), poco a valle di questa si biforcava e con una diramazione ad anello raggiungeva Buttrio (10 l), Caminetto (6 l), Manzano e poi si prolungava anche a Pradamano (4 l), Corno (4 l), S. Giovanni al Nat. (6 l) e Pavia d’Udine con relative frazioni (10 l); ricordiamo che S. Pietro al Natisone si era staccata dal Consorzio per ottenere una propria concessione.
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In alto: pianta con la localizzazione del manufatto di presa e del primo tratto delle condutture. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla sorgente Na-klanz, 11 agosto 1908, ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris di Udine.
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In basso: sviluppo previsto delle condutture nel territorio dei Comuni di San Giovanni al Natisone, Manzano, Buttrio, Pavia di Udine, Pradamano. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla sorgente Na-klanz, 11 agosto 1908, degli ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris di Udine.
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In alto: edificio di presa, sezioni trasversali A-B, C-D, sezione longitudinale e ‘Dettaglio di costruzione del chiusino’. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla sorgente Na-klanz, 11 agosto 1908, ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris di Udine.
In basso: edificio di presa, sezione longitudinale. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla sorgente Na-klanz, 11 agosto 1908, ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris di Udine.
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I progettisti proponevano due tipi di camere di raccolta, elaborate prevedendo di trovare le situazioni più difficili, eventualmente dopo i lavori di assaggio si poteva, se possibile, adottare soluzioni meno costose. Era previsto un serbatoio a monte di Cividale e due ‘volanti’ al Tiglio e a Buttrio per complessivi 12.000 o 15.000 ettolitri, con tubazione in ghisa di vari diametri, da 350 a 30 mm. I preventivi erano calcolati per derivare 50 l/ secondo, spendendo 1.200.000 lire mentre per 65 litri si saliva a 1.365.000 lire.50 A sostegno di tale ipotesi progettuale si esprimevano molti abitanti del circondario, tutti preoccupati di veder evaporare anche questa possibilità di approvvigionamento idrico. Infatti sul tavolo prefettizio si accumulavano la lettera sottoscritta da 56 frazionisti di Gagliano che dopo numerose istanze per essere provveduti d’acqua potabile, vedevano nell’acquedotto derivato dalla sorgente Naklanz l’esaudimento dei loro voti; ora, in seguito alle ultime deliberazioni del Consiglio Comunale di Cividale, si vedono nuovamente delusi (…), un’altra analoga firmata da 45 Rualesi, lamentanti che l’acqua di cui dispone attualmente la frazione è scarsissima e di pessima qualità di modo che s’impone un provvedimento risolutivo da una condizione insopportabile e, ancora, una richiesta Edificio di presa, particolari di costruzione. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla sorgente Na-klanz, 11 agosto 1908, ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris di Udine.
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proveniente da Spessa e una caterva di firme di Cividalesi, che facendo appello alla concordia ed all’interessamento dei propri amministratori, confidano che essi, convinti dell’imperiosa necessità di un tale provvedimento, vorranno senza alcun indugio occuparsi della soluzione di questo problema, che è di vitale importanza per il paese; erano 175 i cittadini che sottoscrivevano questo appello.51 Tali istanze rappresentavano un forte stimolo alla personale partecipazione del prefetto della Provincia di Udine, comm. Brunialti, all’incontro che si svolgeva il 10 ottobre 1908 nel municipio di Cividale, assieme ai rappresentanti dei Comuni interessati al consorziamento e all’on. Elio Morpurgo, rappresentante al parlamento per il locale Collegio elettorale. Alla seduta, presieduta dal prefetto, davano il loro contributo tecnico il medico provinciale Frattini e il progettista ing. de Toni. Il consesso si chiudeva con l’impegno a convocare dopo otto giorni i rispettivi consigli comunali per deliberare sulla costituzione del Consorzio per l’acquedotto Na-klanz. Nonostante la perentorietà della scadenza, il concepito gruppo consorziale non vedeva ancora la luce, probabilmente fatto rimanere in stallo da chi non voleva rassegnarsi alla bocciatura dell’attraente sorgente Poiana.
Edificio di presa, pianta. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla sorgente Na-klanz, 11 agosto 1908, degli ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris di Udine.
Istanza di Cividalesi che chiedono di riunirsi con il Comune di San Pietro al Natisone per derivare la sorgente Naclanz e soddisfare così, nel minor tempo possibile e con sensibile risparmio di spesa, un bisogno ampiamente sentito. La missiva del 27 ottobre 1908, diretta al municipio di Cividale, era sottoscritta da numerosissimi concittadini.
LA DEFINITIVA RESURREZIONE DEL PROGETTO POIANA Il 13 novembre 1908 il Municipio di Cividale, senza ulteriori indugi, designava il prof. Giulio Paoletti del Regio Istituto Tecnico di Udine, gli ingegneri Ugo Granzotto di Sacile e il cividalese Ernesto de Paciani a costituirsi in commissione ristretta, per fare nuovi studi sulla possibilità di togliere l’acqua della fonte Pojana in territorio italiano. L’alternativa della Naclanz continuava a non convincere, soprattutto per la qualità dell’acqua, opalina e suscettibile di inquinamenti. Per taluni consiglieri erano dettagli di secondo piano, per altri invece erano determinanti, in ogni caso si doveva procedere con urgenza, tanto che si chiedeva alla neonata commissione di svolgere e terminare gli studi in sole due settimane. Nel frattempo, l’impaziente Comune di S. Pietro al Natisone, risoluto nel voler comunque procedere, aveva indetto per il 17 novembre 1908 l’asta per affidare i lavori del proprio acquedotto di Naclanz.
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I professionisti incaricati da Cividale, il 20 novembre si recavano alle falde del monte Mia, dove la fonte Pojana così appariva loro: una serie di numerose polle disposte secondo una linea sinuosa di circa 200 metri, rappresentata dal rugo a cui esse danno origine (…) prolungandosi ancora per oltre un centinaio di metri fino a immettere nel Natisone, con pendio così sensibile, che già alle polle inferiori il suo fondo si eleva più di un metro su quello del fiume. Le polle stesse sorgono sul fondo, là dove questo apparisce libero dalla vegetazione acquatica, appunto al centro di piccole chiazze per lo più tondeggianti, formate di minuta arena biancastra, a superficie convessa e col vertice munito di una cupoletta che rapidamente si solleva e si scompone pel continuo affluire dell’acqua.52 Dopo aver rilevato i dati utili, il prof. Paoletti concludeva che per la composizione chimica, per i caratteri organolettici e per il grado di freschezza, unitamente alla costanza nella limpidezza e nella portata considerevole, detta acqua può figurare tra le migliori destinate ad alimentare un acquedotto. Riteneva, inoltre, che una galleria di presa, convenientemente costruita sotto il piede del Monte Mija, riuscirà a catturare non soltanto l’acqua destinata ad effluire nel rugo, ma una parte anche di quella che probabilmente va dispersa nel sottosuolo detritico del ripiano erboso od in qualche spaccatura della sottostante roccia viva. Gli altri due colleghi della ristretta commissione concordavano che si poteva creare una presa sotto tutti gli aspetti efficace in territorio italiano, intercettando la falda acquea con un cunicolo, fino all’incontro del piano impermeabile di scorrimento, da tagliare per 50 o 60 centimetri e questa incisione veniva a costituire il vero canale di raccolta dell’acqua. La galleria, della sezione di circa 3,15 mq, necessari affinché due operai vi potessero agevolmente lavorare e sviluppata un centinaio di metri, sarebbe costata circa 50 lire al metro. Sul controverso aspetto dei confini – fondamentale per il proseguimento del progetto – ritenevano che operando esclusivamente su territorio italiano, si esercita il più elementare diritto di proprietà. Non mancava una velenosa frecciata all’operato precedente: sembrerebbe pertanto ai sottoscrittori inconcepibile che si potesse anco soltanto pensare di dover chiedere concessioni al governo austriaco per derivare in territorio italiano una terza parte di una fonte che nasce in territorio italiano e che dopo un breve percorso a cavaliere del confine italo-austriaco immette in un fiume italiano. Con parere unanime, concludevano: non solamente sussiste la possibilità di togliere l’acqua della fonte Pojana in territorio italiano, ma anzi la presa tecnicamente ed igienicamente perfetta non si possa fare che su territorio italiano.53 Nella seduta del 30 novembre 1908 le idee degli amministratori cividalesi non erano ancora chiare, desideravano approfondire ulteriormente la questione, chiedendo a tal fine una copia della relazione estesa dalla commissione appositamente istituita. Erano accontentati e dai torchi della tipografia Giovanni Fulvio usciva la stampa richiesta.
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LA MEMORABILE DECISIONE Il consiglio comunale di Cividale nella seduta del 21 dicembre 1908 prendeva finalmente una decisione che si può definire memorabile, deliberando con voto unanime: (…) di confermare la risoluzione 2 settembre e 28 ottobre 1907 relativa alla costruzione dell’acquedotto consorziale del Poiana, autorizzando l’inizio dei lavori di presa (dopo riportati i permessi del caso) in economia, mediante persona tecnica competente, da scegliersi dalla Giunta Municipale; di assumere un prestito provvisorio di lire 10.000 per poter far fronte all’inizio dei lavori di presa. In questa occasione, pertanto, fu definitivamente deciso di intraprendere la monumentale impresa,54 alla cui riuscita sono affidati così grandi interessi igienici ed economici di una vasta, laboriosa ed industre regione.55 Va detto che un nucleo di consiglieri premetteva al voto, pur favorevole, una dichiarazione, fatta inserire a verbale: Non avendo il Consiglio Comunale creduto di approfittare della fonte Naclanz, pressoché uguale a quella del fonte Pojana, la quale avrebbe con minore spesa e in pochi mesi, portata l’acqua a Cividale, ora non potevasi a meno di appoggiare il Pojana; sebbene non ancora istruita quella derivazione, nella fiducia che (…) prima di qualsiasi approvazione, esecuzione e pagamento, sarà nell’interesse dell’Erario Comunale e dell’opera in progetto, provveduto (…) all’elimina di opposizioni, anche in sede possessoria, da parte di qualsiasi terzo, regnicolo od estero, tanto per le opere di assaggio, come per quelle di derivazione e percorso vicino a Cividale, e quindi dichiarano che voteranno l’ordine del giorno proposto dall’onorevole Giunta Municipale. Sottoscrivevano la dichiarazione Gio Batta Mulloni, Amedeo Rieppi, Pietro Brosadola, Antonio Miani, Antonio Mulloni, Domenico Rubini. Il Comitato promotore, costituito dai rappresentanti del Comuni di Cividale, S. Giovanni di Manzano (al Natisone) e Ipplis si poneva all’opera per raccogliere le adesioni dei Comuni consorziandi e, nel contempo, dava l’avvio delle prove alle falde del monte Mia. Risultati comparati delle analisi compiute nel settembre 1897 sulle acque delle tre fonti individuate lungo il corso del Natisone, verso Stupizza: Naclanz, Arpit e Poiana. L’attenzione degli assetati Comuni della plaga cividalese si appuntava anche sulla sorgente detta Naclanz o delle Mine.
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PRIMA TI ASSAGGIO... I lavori preparatori e di saggio nell’area delle sorgenti erano compiuti, in economia, dal 2 agosto 1909 al 18 giugno 1910, con un dispendio di 6.521,50 lire.56 Era stato incaricato di seguirli l’ing. de Paciani che, un mese prima della loro conclusione, esprimeva le seguenti considerazioni: rimane provato in modo assoluto che le sorgenti che alimentano il rivo Poiana provengono dal territorio italiano del Monte Mia e che esse possono tutte venir catturate con una galleria di raccolta. Le sorgenti sono sparpagliate a ventaglio su una lunghezza di circa 200 metri, e questa lunghezza avrà presumibilmente la galleria di raccolta, a meno che non si arrivi a raccogliere l’occorrente quantitativo con minore percorso; lo che io credo probabile assai. Alla lunghezza di metri 200 si dovranno aggiungere le due tratte K.K. della lunghezza complessiva di circa 60-70 metri. Queste sono le previsioni che si possono fare oggi (…). Mi preme di non essere frainteso e che si sappia che gli assaggi eseguiti avevano lo scopo di ricercare la provenienza delle sorgenti; a questo scopo essi hanno completamente soddisfatto. Non si deve chiedere che gli assaggi raccolgano l’acqua che occorre in quantità determinata. Anzitutto sarebbe un non senso chiedere ciò che solamente può dare una galleria di raccolta, e si fosse anche casualmente ciò ottenuto sarebbe un errore di avviare alla condotta quell’acqua che invece và raccolta nelle viscere della montagna a garanzia di ogni possibile inquinamento.57 Abbiamo visto come il manufatto, abbassato rispetto al livello naturale del terreno, avrebbe richiamato in sè l’acqua delle polle circostanti e così il problema della concessione austriaca sarebbe svanito, per quanto riguardava la costruzione sul suo territorio. Rimanevano però in piedi gli altri problemi di diritto sulle acque, anch’essi scottanti, in quanto l’edificio di presa assorbendo l’acqua delle varie polle del Rugo avrebbe, pur lasciando intatto l’alveo del Pojana, fatto mancare l’elemento di confinazione costituito dalla mediana dell’acqua ruscellante. Fortunatamente, l’esito degli
Frontespizio della relazione geologica del prof. Paoletti e dei membri della commissione Granzotto e Paciani, incaricati di studiare le possibilità di derivare l’acqua dalla sorgente Poiana, data alle stampe dalla tipografia Fulvio nel 1908.
assaggi compiuti dall’ing. de Paciani offriva tranquillità anche su questo, infatti affermava che naturalmente resta acquisito e fuori di ogni contestazione che dal nostro territorio noi potremo estrarre con facilità ed esuberanza la quantità d’acqua occorrenteci. Il Rivo Pojana con ogni probabilità non avrà nemmeno a risentirsi. E, ancora: L’impressione che si acquista sul posto è che molta acqua dalle sorgenti non giunge al Pojana, ma si disperde per numerose vie nel sottosuolo permeabilissimo, giungendo fino al vicino fiume Natisone, nel cui sottosuolo si fonderà con le sue acque. Così si risolveva anche il problema relativo alla paventata distrazione di una quantità, sia pur minima, del volume proprio del Rugo Poiana.
IL CONSORZIO PRENDE FORMA Il comando del VI Corpo d’armata, con sede a Bologna, faceva pervenire un particolare dono natalizio: il proprio nullaosta per la costruzione dell’acquedotto Poiana, con la relativa passerella sul Natisone.58 Nel Consiglio comunale di Cividale del 13 aprile 1909, prendendo atto del progetto di presa elaborato dall’ing. Ernesto de Paciani, già esaminato dall’ufficio del Genio Civile di Udine, si deliberava di offrire al Comune di Tarcetta mille lire quale acconto dell’indennità di occupazione dei fondi, salvo l’espropriazione permanente e la determinazione dell’indennità definitiva; inoltre, si dava facoltà alla Giunta municipale di procurarsi i fondi necessari all’esecuzione delle opere di presa, circa 14.000 lire, ove meglio sembrasse opportuno, al tasso d’interesse non superiore al 5%, da restituirsi con il mutuo che in seguito si sarebbe dovuto contrarre per la realizzazione dell’acquedotto. Il 9 maggio seguente Tarcetta comunicava di aderire all’occupazione del fondo necessario per i lavori progettati59 e il 22 ottobre il Genio Civile faceva pervenire le condizioni e gli obblighi regolanti la costruzione di un ponte pedonale in legno sul Natisone, in prossimità del confine austro-ungarico, necessario per poter raggiungere il luogo di presa anche in caso di piena del fiume.60 Il passo successivo era praticare alcuni assaggi alle falde del monte Mia, secondo i tracciati dell’ing. Ernesto de Paciani.61 Altri studi sull’acquedotto furono svolti dagli ingegneri Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris.62 Il 12 febbraio 1910 si radunavano nel municipio di Cividale i sindaci e i rappresentanti di S. Giovanni di Manzano, Ipplis, Remanzacco, Manzano, Buttrio e Moimacco. Lo scopo dell’incontro era la formazione del Consorzio relativo al servizio di Ufficiale Sanitario, ma l’occasione era propizia anche per discutere sull’acquedotto. Giovanni Brosadola esponeva una succinta relazione sullo stato in cui si trovavano le
pratiche e sull’andamento dei lavori, già iniziati. Era importante confermare che l’acqua della sorgente Poiana si derivasse in territorio italiano, a tal proposito la lettura delle note inviate il 27 gennaio dall’ing. Ernesto de Paciani aveva toni molto rassicuranti. I convenuti, memori di quanto era successo anni prima – quando si era inoltrata con relativa tranquillità la richiesta di concessione all’Austria, ricevendone un netto e fermo rifiuto – raccomandavano di evitare il più possibile pratiche non necessarie e che potrebbero diventare pericolose per la riuscita dell’opera desiderata.63 Una spinta acceleratrice proveniva dall’assicurazione dell’ing. de Paciani che rimane provato in modo assoluto che l’acqua proviene dal monte Mia in territorio italiano e che la stessa può venire catturata con una galleria di raccolta. Ecco pertanto giunto il momento di spiegare con tutta alacrità la soluzione del vitalissimo problema.64 Si invitavano i sindaci a effettuare prima un sopralluogo per constatare personalmente la favorevole congiuntura e poi, lo stesso giorno, a tracciare congiuntamente la linea di azione ritenuta migliore. In tale incontro, avvenuto il 25 maggio 1910, si concordava di portare nei rispettivi Consigli comunali la proposta di realizzazione dell’acquedotto Poiana, approvando in via di massima l’ingresso nel Consorzio e stanziando la somma di 5000 lire, con cui affrontare le prime spese.65 I presenti erano: il sindaco Brosadola, l’avv. Marioni, Antonio Miani e Francesco
Comunicazione del sindaco di Cividale ai colleghi degli altri Comuni che, in seguito ai lavori di assaggio praticati alla sorgente, era provato in modo assoluto la provenienza dell’acqua dal territorio italiano, 18 maggio 1910.
Del Basso assessori di Cividale, per Buttrio il sindaco Tellini, per Manzano l’assessore delegato Brosadola, per Moimacco l’assessore delegato Antonio Vecchio, per Pavia d’Udine il sindaco conte Carlo Caiselli, per Remanzacco il sindaco Luigi Feletig e l’assessore Masetti, per San Giovanni di Manzano il sindaco cav. Desiderio Molinari, inoltre intervenivano anche diversi segretari comunali. In ottobre si deliberava che i lavori di presa iniziassero non appena sette Comuni, oltre a Cividale, fossero in regola con il versamento di 5000 lire, necessarie per pagare i lavori già compiuti e per la redazione del progetto; quale criterio provvisorio per stabilire il concorso nella spesa, ci si sarebbe basati sul numero degli abitanti dei Comuni.66 L’11 febbraio 1911 i municipi – tranne Pradamano e Pavia di Udine – avevano contabilmente stanziato la somma, anche se nessuno aveva ancora effettuato il versamento. Ipplis deliberava solo 1500 lire in quanto, avendo una popolazione limitata, difficilmente avrebbe Schizzo planimetrico con la situazione nel 1909 dove, nel punto indicato con C, si voleva costruire una baracca per il ricovero del personale impiegato nella presa della sorgente Poiana. Serviva solo il nullaosta del Comando del IV Corpo d’Armata in Bologna, si era già ottenuto di gettare un ponticello nella posizione P.
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Invito rivolto il 15 settembre 1910 al sindaco di Cividale di convocare i Comuni del costituendo Consorzio Poiana, con timbri e firme dei sindaci, allora in carica, interessati alla realizzazione dell’acquedotto.
avuto una contribuzione maggiore, pur dichiarandosi pronto a versare un’eventuale aggiunta, se necessario. Pradamano era già ben incamminato per completare lo stanziamento, mentre Pavia di Udine non aveva ancora deciso se consorziarsi o meno; di lì a poco, anche questo Comune aderirà.
SI PROCEDE SENZA INDUGIO Ormai si era entrati nel campo delle scelte operative concrete, si incaricava dunque il sindaco di Cividale di attivare la procedura di espropriazione forzosa, se non fosse stato possibile ottenere il possesso della fonte con un’intesa amichevole. Era deciso di effettuare la presa scavando la galleria centrale – probabilmente ne sarebbero occorse altre laterali – e di designare un valido e capace progettista.67 Proseguendo con la logistica organizzativa, il 14 marzo 1911 si stipulava un contratto di affitto di beni situati a Mersino: due terreni a pascolo, su uno dei quali si trovava già costruita una baracca per ricovero dell’ingegnere e degli operai addetti ai lavori dell’acquedotto e una piccola casa colonica composta da due sole stanze, prospiciente la strada nazionale. La locazione era fissata per cinque anni, con un affitto di 25 lire mensili e con il patto che, alla scadenza, la baracca esistente sarebbe rimasta ai proprietari del terreno su cui sorgeva, però esclusa qualsiasi cosa mobile che in detta costruzione allora si rinvenisse.68 Il 15 luglio 1911 l’Assemblea dei sindaci consorziandi – che continuavano a riunirsi nel palazzo municipale della città ducale – nominava il Comitato esecutivo
provvisorio, formato dal conte Enrico de Brandis quale assessore di San Giovannni di Manzano, Domenico Rubini sindaco di Ipplis e un rappresentante del Comune di Cividale, successivamente designato in Giovanni Marioni fu Francesco, nato e domiciliato a Gagliano;69 nell’espletamento della complessa, ostica e tortuosa parte burocratica questo Comitato poteva giovarsi del sostegno, assai valido, del Prefetto della Provincia di Udine comm. Brunialti, del deputato del locale Collegio on. barone Elio Morpurgo e di Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d’Italia. Il Comitato svolgeva il suo compito in dieci sedute, tenute fra il 22 luglio 1911 e il 12 gennaio 1912; nel marzo 1912 rassegnava il mandato,70 passando il testimone alla nuova amministrazione del Consorzio, che subentrava a quella provvisoria. Anche il Comune di Corno di Rosazzo entrava a far parte del Consorzio e, infine, pure Trivignano; quest’ultima richiesta era accolta nell’assemblea consorziale del 21 settembre 1911, dopo aver avuto assicurazione dall’ing. Granzotto che ciò non avrebbe compromesso gli altri utilizzatori; a Trivignano era assegnata una portata di 5 l/secondo.71
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CAPITOLO II
L’acquedotto 1898, p. 14. Così è definito in Relazione 1920, p. 21; nel Forum Iulii del 26 novembre 1892 si riporta che l’ing. Grablovitz ha costruito l’acquedotto di Udine. L’acquedotto 1898, pp. 17-18. Deliberazione del Consiglio comunale di Cividale del Friuli del 27 maggio 1898, ASMunCiv. Deliberazione del Consiglio comunale di Cividale del Friuli del 18 luglio 1898, oggetto 23, in ASMunCiv. BRUSINI 1902, pp. 2-3. Sulla stampa locale si dava notizia dell’incontro, cfr. Forum Iulii n. 31 del 30 luglio 1898, p. 3. ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’, fasc. Acquedotto di Purgessimo. Deliberazione del Consiglio Comunale di Cividale del Friuli del 3 novembre 1898, ASMunCiv. BRUSINI 1902, p. 3. Deliberazione del Consiglio Comunale di Cividale del Friuli del 15 maggio 1900, oggetto 24, in ASMunCiv. ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’, fasc. Acquedotto di Purgessimo. De Toni nel novembre 1903 pubblicava il primo progetto organico di un acquedotto consorziale per i Comuni di San Daniele, Fagagna, Moruzzo, Rive d’Arcano, S. Vito di Fagagna, Dignano, Coseano, S. Odorico (Flaibano), Mereto di Tomba, Ragogna, Campoformido, Pasian di Prato, Basiliano, Sedegliano, Codroipo, che avrebbe attinto l’acqua dal Rio Gelato, notizia riportata in Quel costante fluire 1997, p. 15. Quel progetto non andò a termine, ma con altre modificazioni e attingendo alla falda freatica del Molino del Bosso, parecchio tempo dopo darà origine all’attuale acquedotto del Friuli Centrale. In una lettera del 17 luglio 1900 de Toni scriveva al sindaco di Cividale che si sarebbe recato in visita alle sorgenti il venerdì successivo, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. La notizia della visita dell’ingegnere udinese appare riportata anche in Forum Iulii n. 29 del 21 luglio 1900, p. 3. Forum Iulii n. 22 dell’1 giugno 1901, p. 3. Lettera del 5 agosto 1901, ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’, fasc. 1902 Acquedotto di Purgessimo. La complicazione nell’ottenere le copie delle mappe necessarie e le non previste difficoltà nella fase progettuale erano illustrate dall’ing. de Toni in tre lettere inviate al sindaco di Cividale il 18 dicembre 1900, 21 gennaio e 8 febbraio 1901, in ACAP, cart ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’, Fasc. 1902 Acquedotto di Purgessimo. Delle necessità relative alle mappe si trattava nella riunione della Giunta Comunale di Cividale dell’8 febbraio 1901, oggetto 10, in ASMunCiv. Relazione dell’ing. Lorenzo de Toni al Sindaco di Cividale del 26 luglio 1901, ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’. TELLINI 1908, pp. 14-15. Forum Iulii n. 34 del 24 agosto 1901.
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MATTALONI 2010, pp. 458-459. Forum Iulii n. 34 del 24 agosto 1901. Il primo preventivo per il pozzo è datato 4 dicembre 1901, cui seguirono altre lettere il 16 e 18 dicembre successivi, in ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’. La lettera di accompagnamento del progetto dell’ing. de Toni è datata 27 gennaio 1902, in ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’. Deliberazione consigliare del 17 marzo 1902, oggetto 6, in ASMunCiv. Copia del verbale di questo Consiglio comunale è conservata in ACAP, cart. ‘Acquedotto Poiana. Avviso d’asta e capitolato d’appalto. Contratto di appalto e atti relativi. Pubblicazioni ed opuscoli relativi all’acquedotto. Acquedotto di Purgessimo III’. Quanto deliberato sull’argomento dalla Giunta comunale, costituita da R. Morgante, A. Mesaglio, F. Moro, A, Pollis, G. Paciani, era stampato dalla tipografia Fulvio e presentata al consiglio del 28 febbraio 1902 in forma di fascicoletto: BRUSINI 1902. BRUSINI 1902, p. 5. Il relativo contratto d’appalto era stipulato in data 10 dicembre 1902 con l’impresa Giovanni Battista di Girolamo D’Aronco di Udine, affidando la direzione di tali lavori agli ingegneri progettisti Lorenzo De Toni e Matteo Del Fiorentino. Altri dati su questo acquedotto in MATTALONI 2010, pp. 85-94. Forum Iulii n. 37 del 15 settembre 1906, p. 2. Pratiche 1908, p. 14. Della riunione svolta il 24 novembre 1906 fu redatto un verbale, per mano del segretario del Comune di Cividale Luigi Brusini, che fu anche stampato dalla tipografia Fulvio. Una copia a stampa è conservata in ASMunCiv, cart. 228 (vecchia numerazione), LL. PP. 1905-1906-1907, fasc. 1906, cat. 19 Fontane e in ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. TELLINI 1908, p. 18. Pratiche 1908, p. 4. Questa è la descrizione dell’andamento della linea di confine dallo sboco del Poiana nel fiume Natisone al Monte Lubia (cippo n. 9), in una relazione annessa al protocollo 3/1912: La linea di confine, partendo dalla mediana del fiume Natisone, segue la normale alla stessa sino allo sbocco del Pojana, che verrà precisato dalla Commissione. Poi risale la mediana del Torrentello Pojana fino alla sua origine, dalla quale in linea retta raggiunge il cippo n. 11 M. CV-CI-1841. Segue indi la linea retta congiungente il cippo predetto al seguente n. 11 N. CO-CI-1841 (...), ACAP, cart. ‘Planimetrie Progetto dell’acquedotto. Cartelle n. 1-33’, fasc. Sorgente Poiana. Rettifica Confine di Stato. Secondo l’art. V dell’atto finale di confinazione tra l’Italia e l’Austria stipulato a Venezia il 22 dicembre 1867: Lungo i corsi d’acqua di confine non sarà lecito ad alcuna delle parti di erigere o di permettere che siano eretti manufatti per regolarne il corso o per uso di navigazione, di fluttuazione di legname o simili, né di recare mutamento di manufatti esistenti destinati a tale scopo, senza l’adesione dell’altra parte contraente. Inoltre il paragrafo 16 della legge dell’Impero 30 maggio 1869 disponeva per ogni altra utilizzazione delle acque pubbliche, diverse da quelle suaccennate [uso per i bisogni potabili e per cavarne dall’alveo prodotti generali e vegetali] non meno che per (...) occorre il previo
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permesso dell’Autorità politiche in proposito competenti. Questo permesso si richiede anche rispettivamente alle acque private se la loro utilizzazione è tale da poter influenzare i diritti, oppure la qualità, il corso o l’altezza di livello delle acque pubbliche. Che ogni cambiamento nel corso d’acqua anche privata fosse subordinata a una concessione di diritto pubblico risultava esplicitamente anche dai paragrafi 27 e 45 della legge, per applicazione dei quali nel maggio 1878 si aveva una deliberazione del Ministero dell’agricoltura austriaco del seguente tenore: Il proprietario di un fondo non è facoltizzato, senza concessione, a divergere dal suo fondo gli scoli di una sorgente che si versano in altra altre acque e di utilizzarne a vantaggio del proprio fondo ovvero di lasciarli utilizzare da altri in modo non precedentemente utilizzati, Rizzoli, La legislazione delle acque in Austria, Innsbruk 1884, p. 59 nota 4. Era l’avvocato L. C. Schiavi che, dichiarando di conoscere perfettamente le pratiche da esperirsi nel Regno ma ignorando del tutto quelle del limitrofo Impero, suggeriva a Domenico Rubini di consultare il collega Gollob di Gorizia, al quale il Comune di Cividale si rivolgeva prontamente, inviandogli il 22 febbraio 1907 una richiesta di parere in materia di derivazione d’acqua potabile, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’; in tale cartolario è conservata diversa corrispondenza tenuta con lo studio legale Gollob. Il 3 luglio 1907 si rifondevano 18,72 lire a Andrea Cebocli podestà di Creda, a rifusione di danni arrecati ai proprietari dei fondi presso la sorgente Poiana, nel corso delle misurazioni; ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. I nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandato n° 357. Relazione 1920, p. 25. L’ing. Mosè Schiavi il 4 gennaio 1908 percepiva 500 lire quale acconto per spese e competenze per la compilazione del progetto e il 17 maggio 1910 altre mille lire a saldo ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. I nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandati n° 7 e 234. Copia delle lettera di accompagnamento dell’incartamento inviato il 5 novembre 1907 Al Capitanato Distrettuale in Tolmino, istanza di Cividale coll’intervento dei Comuni di Cormòns, Brazzano e Chiopris in affar d’acqua per la concessione del diritto di uso dell’acqua della sorgente Poiana a sensi dell’art. 78 della Legge Prov. 28 agosto 1870 n. 41 B. L. P. si trova in ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Copia dattiloscritta del verbale della seduta del 2 settembre 1907, il cui originale è in ASMunCiv, si trova – in forma autenticata il 16 aprile 1947 – anche in ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, fasc. Pratiche relative per la presa dell’acqua in territorio austriaco. Le dichiarazioni dei Municipi di Cormòns (datata 10 dicembre 1906), Brazzano (20 dicembre 1906) e Chiopris (24 gennaio 1907), rilasciate nel dicembre 1906 sono conservate in ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Pratiche 1908, pp. 4-6. La relazione, firmata per il comitato da Domenico Rubini, era datata: Spessa di Cividale, 15 settembre 1908. Deliberazioni della Giunta Municipale di Cividale del Friuli, seduta dell’8 agosto 1908, delibera 60, ASMunCiv. Pratiche 1908, pp. 8-9; alle pp. 9-11 sono pubblicate le tabelle con il riparto dettagliato delle spese ripartite tra i nove Comuni che avrebbero usufruito dell’acquedotto della fonte Naclanz. Tali dati sono desunti da una comunicazione del 18 marzo 1909 di tale Comando, che chiedeva se il progetto successivamente pervenuto dell’acquedotto dalla fonte Poiana sostituiva quello prima presentato della Na-klanz, ASMunCiv, cart. LL. PP. 1908-1912, fasc. 1909, cat. 19 Fontane. Relazione 1920, p. 26. L’adesione del Comune di Pradamano a tale ipotizzato Consorzio, deliberata il 18 ottobre 1908 prevedendo il pagamento di 21.530 lire a condizione che gli fosse assicurata una quantità di acqua non inferiore a 5 litri al secondo è citata in CESCHIA 1982, p. 92. La Patria del Friuli, 21 ottobre 1908. La Patria del Friuli, 24 ottobre 1908. La Patria del Friuli, 26 ottobre 1908. La Patria del Friuli, 27 ottobre 1908. La Patria del Friuli, 28 ottobre 1908.
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Deliberazioni del Consiglio comunale di Cividale del Friuli, seduta del 26 ottobre 1908, deliberazione 62, in ASMunCiv; Relazione 1920, p. 27. Progetto sommario di Acquedotto per Cividale e comuni consorziati dalla Sorgente Na-klanz. Relazione-Preventivo di spesa, ing. Lorenzo de Toni e Giacomo Nigris, 11 agosto 1908, ACAP, cart. ‘1918-1920 Costruzione, Servitù’, fasc. Derivazione d’acqua dal Rio Naclanz in Comune di Rodda. Istanze del 2 novembre 1908 degli abitanti di Gagliano, del 3 novembre 1908 di Spessa, senza data (ma 1908) di Rualis e del 27 ottobre 1908 dei cittadini di Cividale, ACAP, cart. ‘1918- 1920 Costruzione, Servitù’, fasc. Derivazione d’acqua dal Rio Naclanz in Comune di Rodda. Dalla Relazione geologica del membro della commissione prof. G. Paoletti, presentata il 30 novembre 1908, in PAOLETTI et alii 1908, p. 5. PAOLETTI et alii 1908, pp. 10-11. Verbale del Consiglio comunale di Cividale del Friuli del 21 dicembre 1908, deliberazione n. 100 in ASMunCiv.; Relazione 1920, p. 28. Relazione del Comitato Provvisorio, 6 marzo 1912, Introduzione, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Seduta del 5 ottobre 1912, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Relazione dell’ing. Ernesto de Paciani del 15 maggio 1910, ACAP, cart. ‘Planimetrie. Progetti acquedotto 1-33. Mancando in tale cartolare la planimetria in origine allegata alla Relazione, non risulta agevole comprendere la precisa posizione dei pozzi e delle trincee scavate in fase di saggio, accuratamente dettagliate dal professionista. Copia del nullaosta datato 23 dicembre 1908, concesso dietro specifica richiesta inoltrata il 4 dicembre 1918, è conservata in ACAP, cart. ‘Pratiche relative alla costituzione del Consorzio’; l’arrivo di questo atteso documento era pubblicato in Forum Iulii, n. 1 del 2 gennaio 1909, p. 3. Consiglio comunale di Cividale del 13 maggio 1909, in ASMunCiv. Il Comune di Tarcetta autorizzava a compiere gli assaggi alla sorgente Poiana con propria deliberazione del 5 maggio 1909. Verbale del Consiglio comunale di Cividale del Friuli del 9 novembre 1909, in ASMunCiv; il 31 dicembre 1909 era fatto un deposito di 25,20 lire al Magistrato delle Acque in Venezia per spese inerenti al decreto di concessione di un ponte provvisorio sul Natisone, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. I nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandato n° 709. Il 19 maggio 1909 era emesso dal Comune di Cividale un mandato di pagamento di 510 lire, quali saldo spese e competenze a ing. Ernesto de Paciani per spese e competenze per schizzi planimetrici, progetto per la baracca, ponticello in legno e galleria di presa, relativi all’acquedotto del Poiana, ASMunCiv, cart. 258 (1909), Passivo art. 76 a 138, Cat. 3, artic. 84 a 88, n° 97 del registro mandati. Ai due professionisti de Toni e Nigris il 19 febbraio 1909 si versarono 350 lire per saldo spese e competenze per studi relativi all’acquedotto del Poiana, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. I nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandato n° 97. ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923, Seduta del 12 febbraio 1910; il registro si apre con il verbale di questa riunione. Circolare diramata il 18 maggio 1910 dal sindaco di Cividale Brosadola ai colleghi sindaci dell’istituendo consorzio, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Seduta del 25 maggio 1910, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta dell’8 ottobre 1910, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta dell’11 febbraio 1911, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1910-1923. Il contratto era stipulato con i coniugi Filippo e Marianna Birtig, domiciliati a Specognis di Tarcetta, dal notaio cividalese Geminiano Cucavaz, il 14 marzo 1911, copia del quale si trova in ACAP, cart. ‘Conti Consuntivi 1912-13-14’, fasc. Conto consuntivo 1912. Seduta del 15 luglio 1911, ACAP, Registro Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1910-1923. Della sua attività il Comitato provvisorio lasciava una Relazione, datata 6 marzo 1912, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Seduta del 21 settembre 1911, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1910-1923.
III CAPITOLO TERZO
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LA REALIZZAZIONE DELLA PRESA Fissata la portata complessiva dell’acquedotto in 100 litri al secondo, durante il periodo di tempo assegnato per la compilazione del progetto e prima della sua ultimazione si rendeva necessario stabilire, con certezza, se le sorgenti affluenti idrologicamente nel rio Poiana possedevano la desiderata efficienza in epoca di massima magra e se detta portata fosse conseguibile in territorio italiano, con i mezzi di raccolta suggeriti dalla Commissione e tradotti in progetto dall’ing. de Paciani, delegato anche a dirigere i lavori di ricerca, avvalendosi dei consigli tecnici dell’ing. Granzotto.1 I lavori di esecuzione della presa erano assunti, prima in economia e poi a cottimo, dall’impresa Domenico Ceconi detto Brent, nato e domiciliato in Comune di Vito d’Asio.2 Prioritaria era la posa di un ponticello scavalcante il Natisone, per raggiungere agevolmente il sito di presa, e l’assemblaggio di una baracca in legno, del costo rispettivamente di 2.703 e 3.359 lire. Ai primi di maggio 1911 Ceconi si recava con gli ingegneri de Paciani a Caporetto, Zaga e Plezzo per ricercare il legname più adatto da impiegare nei lavori da intraprendere. Il primo colpo di piccone per scavare la galleria di presa fu vibrato il 17 maggio 1911, cinque settimane dopo erano stati perforati 14 metri di terreno. Gli studiosi concordemente ritenevano che la fonte Poiana fosse emuntrice dei serbatoi interni del Monte Mia, pertanto si credeva di poterne fare la presa praticando diagonalmente, da valle a monte, una galleria destinata a raggiungerla dove si pensava scaturisse dalla viva roccia, prima di sparpagliarsi in un reticolo di rivoletti sotterranei. Questi originavano le numerose polle poste, a breve distanza una dall’altra, su una linea di oltre 200 metri, coincidente con l’antico letto del rivo Poiana. Il primo tentativo non riusciva: la cavità metteva in luce una presenza sorgentifera posta 1,5 metri più in basso della soglia dell’intrapresa galleria, ove l’acqua seguitava a scaturire dal basso, zampillando con una certa forza ascensionale da uno strato di sabbia e
Intestazione della ditta di Domenico Ceconi, originario di Vito d’Asio, assuntore nel 1911 dei lavori di realizzazione della presa Poiana.
ghiaiette fluviali sottoposto ad argilla; riempiendosi continuamente il cunicolo, non si rendeva possibile la continuazione dei lavori. Di concerto con il prof. Granzotto si stimava necessario abbandonare la galleria stessa, sostituendola con un cunicolo di presa fino alla profondità della falda acquea scoperta, previa costruzione di un canale fugatore, onde poter abbassare il pelo dell’acqua e lavorare all’asciutto. La falda acquea da derivarsi, dello spessore di 50 cm, mostrava di avere la protezione naturale di due forti e spessi strati argillosi, con lieve inclinazione sull’orizzonte. Con questa constatazione di somma importanza, i lavori di raccolta delle sorgenti potevano essere realizzati nel modo più funzionale. Infatti, scorrendo l’acqua nel sottosuolo fra due strati impermeabili, per Timbro usato nei documenti relativi alle prime opere eseguite per la costruzione dell’acquedotto, ovvero il Lavoro di Presa.
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Elenco dei primi operai iscritti nel Libro di Paga per l’esecuzione della presa Poiana, in agosto e settembre 1909. Dai cognomi si evidenzia che la manodopera assunta era locale. Le prime operazioni eseguite consistevano nella costruzione di un ponticello in legno e di una baracca, di scavi all’aperto e di un cunicolo per la raccolta d’acqua. La mercede giornaliera era di 2,50-3 lire.
raccoglierla efficacemente bastava praticare una trincea longitudinale rispetto all’unghia del conoide e perpendicolare alla falda idrica, spingendola fino a incidere lo strato impermeabile inferiore, rendendo in pari tempo stagno a valle il cunicolo di raccolta, con opportuno muro di calcestruzzo su fondo e pareti, lasciandovi aperte delle feritoie in corrispondenza delle singole polle, ove potevano sgorgare.3 Così facendo rimaneva intersecata completamente la falda idrica e tutta l’acqua delle sorgenti era raccolta nel cunicolo – largo 1 m e alto 2,85 m –, come si evinceva dal trovare il rio Poiana disseccato nei periodi di magra. Con lo stramazzo Cippolletti si effettuava la misura diretta, in epoca di massima magra – riscontrata nel settembre 1911 – la portata dell’acqua raccolta nel cunicolo era determinata in oltre 100 litri al secondo. Gli operai assunti per lo scavo della presa in maggioranza erano del luogo. Particolare da foto del 1911.
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Dati per la realizzazione di 464,34 metri cubi di scavo armato per il cunicolo di presa della sorgente Poiana. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
Nel settembre 1911 l’ing. Granzotto presentava in Assemblea tre tavole progettuali dell’edificio di presa e la relativa perizia di stima, prevedendo il costo del cunicolo in 15.700 lire, di galleria e canale fugatore (necessario per permettere lo scavo all’asciutto del cunicolo di presa) in 15.000 lire, comprese le costruzioni il totale era di 45.700; nel medesimo consesso il de Paciani illustrava il modo di funzionare della presa attraverso un modello in gesso appositamente realizzato. I Comuni approvavano i lavori illustrati, ne deliberavano l’esecuzione a cottimo per trattativa privata, sulla base dell’importo di 30.707,69 lire, mantenendo la direzione dell’ing. de Paciani. Per agevolare lo spo-
stamento del materiale scavato, si posava un binario decauville su cui scorrevano dei vagonetti. Fino ad allora le spese per il canale fugatore e per lo scavo del cunicolo di presa erano state anticipate dal Comune di Cividale, che per ragioni di bilancio non era in grado di fare ulteriori anticipazioni, dunque per proseguire i soci erano chiamati a versare 25.000 lire, da ripartirsi secondo il criterio provvisorio adottato, ovvero quello della popolazione. A tal proposito, contestualmente si dava formale incarico a Granzotto di procedere, con il concorso di altre persone di adeguata competenza tecnica o amministrativa, anche alla fissazione definitiva delle quote di riparto delle spese
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relative a ciascun Comune.4 Il 1º dicembre 1911 si chiedeva ai consorziati un ulteriore versamento di altre 21mila lire complessive, per versare l’acconto di 8.000 lire al progettista e pagare i lavori già eseguiti in novembre, relativi al cunicolo di raccolta e per l’inizio della camera di presa, previsto in dicembre. Dalla lettura dei rapporti che il de Paciani regolarmente compilava, possiamo conoscere l’evolversi dell’opera di presa, compiuta dall’estate 1911 alla primavera 1912, con le braccia di una sessantina di operai. Ne riportiamo di seguito fedelmente i passi più significativi, in carattere corsivo: Rapporto n° 1 del 30 luglio 1911: Sospeso il lavoro della galleria si costruisce il canale fugatore lungo m 266. A tutt’oggi eseguiti mt 133 di scavo, mt 112 di muratura dei piedritti. Bettonata sul fondo del canale. Copertina. Ritombatura del canale. Rapporto n° 2 del 14 agosto 1911: Canale fugatore, furono eseguiti mt lineari di scavo 240, mt di muratura dei piedritti 175, m di copertura in cemento armato 40, m di bettonata sul fondo e stabilitura interna 100.
Rapporto n° 3 del 27 agosto 1911: Continua la costruzione del canale fugatore, a tutt’oggi sono eseguiti: mt lineari di scavo completo 200, mt di muratura dei piedritti 191, m di copertura in lastroni (cemento armato) 136, m di betonata sul fondo e stabilitura interna 136. Rapporto n° 4 del 10 settembre 1911: Galleria ferma a m. lin. [metri lineari, nel testo abbreviati anche m.l. o ml] 14. Canale fugatore ultimato, ad eccezione della sua testata alla foce, del confezionamento di m.l. 20 di Copertine, della posa in opera di m. lin. 90 di Copertine, essa si farà fra circa 1 mese, occorrendo per ora di tenere questo tratto di canale aperta, onde poterla pulire durante il lavoro del cunicolo di presa. Canale di presa lungo ml 95,20, scavato per una profondità di circa ml 2 in media, con una cubatura di m3 658,24. Si prosegue ad approfondirlo per altri ml 2 circa. N. B. Si sta posando il binario Decauville e si inizierà a giorni lo scavo dell’edificio di Raccolta situato all’altezza della bocca della Galleria. Col 9 settembre si liquidò il lavoro ad economia. Col 11 settembre si iniziò quello a prezzi unitari a cottimo, forza circa 60 uomini. Nel rivo Pojana non scorre quasi più acqua essendo tutta catturata. Per i lavori in economia condotti sino al 9 settembre furono versate alla ditta Ceconi 25.526 lire.5 In seguito i lavori alla presa proseguirono, sempre dall’impresa Ceconi, sulla scorta del progetto dell’ing. Ugo Granzotto, datato 20 settembre 1911, che preventivava una spesa di 27.535,69 lire. Rapporto n° 5 del 30 settembre 1911: Canale fugatore ultimato meno la sola posa di m. lin. 25 di Copertine pronte. Cunicolo di presa lungo ml 107. Ultimato tutto lo scavo, iniziata la muratura in calcestruzzo dei piedritti. Edificio di presa iniziato lo scavo. Galleria m.l. 14 ferma. Non risulta menzionata nel rapporto, ma è rilevabile dai resoconti contabili, una frana dovuta alle piogge del 21 e 22 settembre, che rendeva necessario l’impiego di 192 ore di manovale per trasportare i circa 9 metri cubi caduti nell’area del cantiere.
Schemi per l’esecuzione di murature in calcestruzzo. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
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Canale fugatore o di scarico, tratta in sostituzione di quella trasformata in galleria di raccolta. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
Rapporto n° 6 del 28 ottobre 1911: Canale fugatore ultimato ad eccezione della posa di m. lin. 25 di Copertine. Galleria ferma, m.l. 14. Cunicolo di presa lungo ml 107. Scavo ultimato, muratura in calcestruzzo completa per m.l. 7, soli piedritti m.l. 14, piedritti ad 80 cm dal fondo m.l. 80. Edificio di presa ultimato lo scavo.
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Rapporto n° 7 del 20 maggio 1912: Dai primi di gennaio 1912 alla metà di aprile 1912 il lavoro (causa la rigida stagione) fù sospeso. Alla completa ultimazione di essi, oggi rimane a farsi quanto segue: a) La copertura in cemento armato dell’edificio di presa, la stabilitura interna di esso ed i serramenti. b) Circa 20 metri di canale fugatore in prossimità dell’edificio di presa in sostituzione di altrettanti del vecchio, tramutati in canale collettore di n° 10 polle. c) Una piccola tratta di regolarizzazione del terreno esterno e la posa dei confini.6 Nell’intento di divulgare ampiamente l’inizio della grande opera, nel settembre 1911 si faceva realizzare
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dal fotografo Attilio Brisighelli di Udine delle immagini sul cantiere ove si svolgevano i lavori di presa; ne erano fatte stampare 125 copie, consegnate a tutti i Comuni consorziati affinché prendessero conoscenza dello stato dei lavori, inviate a personalità locali a vario titolo coinvolte nell’operazione, nonché spedite a Roma all’on. Elio Morpurgo e a Bonaldo Stringher, direttore generale della Banca d’Italia.7 I lavori di presa furono ultimati definitivamente il 20 giugno 1912.8 Sappiamo che a causa di un nubifragio dovuto alle incessanti piogge cadute il 6, 7 e 8 ottobre 1912, era necessario liberare il cantiere dalla grande massa di materiale franato, dedicandovi complessivamente 162 ore di manovale.9 Il cunicolo sotterraneo di allacciamento alla sorgente presenta, in ambedue le pareti laterali e in basso, complessivamente 68 feritoie, attraverso le quali fluiscono le polle d’acqua; di tali pertugi, 40 si trovano a levante verso il torrente, 27 a ponente verso il Monte Mia e uno al centro. L’inizio dei tubi dell’acquedotto si trova alla quota di 219,05 metri sul livello del mare. Edificio di presa, pianta e sezioni. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
IL COSTO DELL’OPERA DI PRESA Le opere di presa costarono complessivamente 62.751,57 lire, delle quali 41.326 per l’impresa Ceconi e 6.251,50 all’ing. de Paciani.10 La spesa era maggiore del preventivato per l’esecuzione di alcuni lavori supplementari: la galleria era di maggiore lunghezza rispetto a quella prevista, per rendere possibile la cattura di alcune polle che non era il caso di tralasciare; complessivamente le polle raccolte era di circa 80, tutte marcate sui piedritti della galleria stessa con piastrelle di maiolica, numerate progressivamente. Per lo stesso motivo era stata costruita una diramazione della galleria di raccolta lungo due dei lati dell’edificio di presa, per una lunghezza di 20,40 metri, non preventivata ma che permetteva la cattura di cinque polle di qualche entità. Per l’acquisizione di altre cinque polle nei primi 20 metri del canale fugatore, ne furono innalzati entrambi i piedritti, trasformandolo in canale raccoglitore e fu poi necessario costruire una nuova tratta di canale fugatore, per pari lunghezza. Si eseguirono anche lo spianamento a displuvio e la regolarizzazione del terreno sovrastante alla galleria e adiacente all’edificio di presa, nonché l’apposizione dei confini lapidei sul terreno consorziale, i cippi indicanti le polle di piccole entità sfuggenti al canale fugatore e quelli per individuare la posizione delle copertine del canale fugatore stesso, levabili e munite di anelli di sollevamento.11
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ENTRATE E USCITE DAL 16 MARZO 1898 AL 30 SETTEMBRE 1912 PER L’ACQUEDOTTO POIANA ENTRATE Dai Comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58.280,96 Dalla Banca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14.895,00 Totale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73.175,96 USCITE All’ing. de Paciani per lavori in economia. . . . . . . . . . . . 6.521,50 All’impresa Ceconi per lavori in economia . . . . . . . . 16.026,00 All’impresa Ceconi per lavori a cottimo . . . . . . . . . . . 25.300,00 All’ing. de Paciani per competenze . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 978,50 All’ing. Granzotto acconto progetto . . . . . . . . . . . . . . . 13.000,00 Al Comune di Tarcetta acconto acquisto sorgente . 1.000,00 A professionisti vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.261,50 Spese d’amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.065,60 Viaggi e consumazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 716,20 Stampe e fotografie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 327,00 Varie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.907,26 Totale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73.103,5612 Specifichiamo che la prima spesa per l’acquedotto fu sostenuta precisamente il 16 marzo 1898, per il pagamento di 100 lire al prof. Achille Tellini, incaricato di eseguire studi e rilievi sulla sorgente Poiana.13
All’importo complessivo si fece fronte con 58.280,96 lire riscosse dai Comuni consorziati e 14.895 lire prelevate dalla Banca Cooperativa di Cividale, ove era stato reso disponibile un credito di 25.000 lire, come deliberato dalla Giunta il 1º maggio 1912. Quietanza per fornitura di legname in abete impiegato nei lavori di presa dell’acquedotto, 16 luglio 1911.
Misure per la realizzazione del coronamento in pietra artificiale sull’edificio di presa. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912. Quietanza di Giovanni Battistigh per la somma di 45 lire, ricevuta a saldo della concessione di deviare l’acqua attraverso un suo terreno, 31 dicembre 1911.
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Scavo del cunicolo per la presa della sorgente. Particolare da foto scattata nel 1911.
Sul cantiere erano coinvolte varie maestranze, compresi i marangoni, ovvero i falegnami, come si può vedere dagli strumenti che impugna, con orgoglio, questo salariato.
Calcestruzzo armato per il pavimento. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
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Misure dei muri interni. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
Dopo la limpidità, per la bontà di un’acqua la costanza della temperatura si deve considerare un fattore molto importante, in quanto forti variazioni sono indice di contatto con acque superficiali, mentre le acque potabili qualificate come ottime hanno cambiamenti di pochi decimi di grado da stagione a stagione, come appunto quelle del Poiana. Muovendosi a bassa velocità attraverso i tubi, l’acqua avrebbe impiegato cinque ore a percorrere l’intero, lungo tragitto dell’acquedotto, scaldandosi inevitabilmente nella stagione estiva. L’inconveniente sarebbe stato attenuato con la collocazione dei tubi alla massima profondità possibile, ma si prevedeva che nel solleone canicolare il liquido non poteva arrivare agli utilizzatori più fresco di 13°C, che si considerava comunque un’ottima temperatura per l’acqua potabile e quindi anche sotto questo profilo la Poiana non lasciava nulla a desiderare.15
Sezione del cunicolo di raccolta alla presa, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911. Il cunicolo o galleria di raccolta è lungo 105 metri, ha una larghezza in luce di 1 metro e un’altezza media, fino sotto l’intradosso del volto, di 3,50 metri.
IL TERMOMETRO NELLA SORGENTE Nel corso dei lavori di presa furono costantemente eseguite delle osservazioni termometriche, con uno strumento di precisione fornito da Francesco Musoni e usato, sotto la vigilanza dell’ing. Paciani, per due osservazioni giornaliere, una nelle ore antimeridiane e l’altra al pomeriggio. I dati furono studiati e messi in relazione con le temperature atmosferiche medie e la quantità di pioggia registrata dai pluviometri che l’ufficio idrografico del Regio Magistrato alle Acque aveva collocato, qualche anno prima, a Stupizza e a Platischis, fra cui si trovava l’altipiano del Mia, presunto bacino alimentatore della sorgente in esame; in complesso si disponeva di circa nove mesi di osservazioni. La media totale ricavata da Musoni per la temperatura dell’acqua della Poiana risultava di 10,34°C, con le variazioni dei singoli mesi che si mantevano entro il ristretto limite di 1,23°C; la temperatura dell’acqua appariva pressoché indipendente da quella dell’atmosfera.14
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Serie di quattro fotografie riprese sul luogo dei lavori di presa per l’acquedotto Poiana, in occasione della visita al cantiere effettuata dal prefetto di Udine Brunialti e dal barone Elio Morpurgo, deputato nel collegio di Cividale del Friuli, convinto e attivo sostenitore della grande opera. Le immagini, dello studio Brisighelli di Udine, furono inviate a tutti i sindaci dei Comuni consorziati e a varie altre personalità .
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In alto: Edificio di presa, pianta, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
In basso: Edificio di presa, sezione A-B, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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In alto: Edificio di presa, sezione C-D, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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In basso: Edificio di presa, sezione E-F, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Prospetto dell’edificio di presa, in corso d'opera.
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L’edificio di presa a costruzione ultimata, nell’estate 1912.
CAPITOLO III
All’ing. de Paciani il 19 febbraio 1909 si versavano 160 lire per saldo spese e competenze per schizzi planimetrici, progetto per la baracca, ponticello in legno e galleria di presa, il 17 dicembre 1910 altre 978 lire per prestazioni professionali nei lavori di ricerca e raccolta alla sorgente Poiana, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. I nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandati n° 97, 691 e 692. Domenico Ceconi, con atto del 21 febbraio 1912 del notaio Daniele Fabrici di Pielungo in Comune di Vito d’Asio, dava pieno mandato di procuratore a Pietro Peresson dello stesso Comune, per l’esecuzione del lavoro assunto della derivazione dalla sorgente Poiana e relativo edificio, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. GRANZOTTO 1911, Pezza 1, p. 10, MUSONI 1912. I dettagli sulle modifiche da introdurre nel progetto iniziale, dopo aver effettuato i primi saggi di presa, erano illustrati all’assemblea consorziale del 15 luglio 1911, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1910-1923. Seduta del 21 settembre 1911, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1910-1923. Tale cifra risulta dalla somma di sette versamenti eseguiti, per i lavori in economia fino al 9 settembre, a Ceconi dal 1º luglio al 20 novembre 1911, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. II nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandati n° 371, 458, 500, 523, 571, 613 e 641. Si segnala, però, che nella Relazione del Comitato Provvisorio Esecutivo, datata 6 marzo 1912, è scritto che al Ceconi si liquidarono 16.026,74 lire, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, fasc. Edificio di presa.
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Il pagamento di 170 lire a Brisighelli per la fornitura di 125 copie delle fotografie era effettuato il 20 novembre 1911; ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. II nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandato n° 641. Sappiamo che cinque stampe fotografiche erano allegate a ogni copia del verbale della seduta assembleare del 21 settembre 1911, fatto pervenire a tutti i Comuni consorziati. L’edificio di presa era completamente ultimato nel luglio 1912, come specificava il Presidente Rubini nella lettera di accompagnamento di una stampa fotografica di tale costruzione, inviata il 23 luglio 1912 ai sindaci dei Comuni interessati, ASMunCiv, cart. 260 (vecchia numerazione) LL. PP. 1908-1912, fasc. 1912, cat. 19 Fontane, Lavatoi (...). Dell’avvenimento si ha documentazione nel resoconto contabile sui lavori di presa, datato 14 settembre 1912, esteso dall’ing. Lorenzo de Paciani, ACAP, cart. ‘Planimetrie Progetto dell’acquedotto. Cartelle n.133’, fasc. 16/XX. Seduta del 5 ottobre 1912, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Dati riportati nel Certificato n. 9 di pagamento per il lavoro di presa della sorgente, relazione dell’ing. dirigente Ernesto de Paciani, 8 giugno 1912, ACAP, cart. ‘Conti Consuntivi 1912-13-14’, fasc. Conto consuntivo 1913 compresa la gestione provvisoria 1912. Dimostrazione delle Entrate e delle Spese sostenute per la Poiana, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Nota delle spese sostenute dal Comune di Cividale per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. MUSONI 1912, pp. 104-105. TELLINI 1908, p. 16.
IV CAPITOLO QUARTO
L’ISTITUZIONE DEL CONSORZIO POIANA
QUEL SOTTILE, INSIDIOSO CONFINE L’atto finale di confinazione tra Italia e Austria fu firmato a Venezia il 22 dicembre 1867, ratificato a Firenze il 12 gennaio 1868, ove le rettifiche furono poi scambiate il 17 marzo dello stesso anno; l’art. III dispose che nei corsi d’acqua di confine il thalweg formerà la separazione di Stato, a meno che sia altrimenti specificato da precedenti determinazioni governative, o che la pratica contraria trovisi nel fatto applicata.1 Nel nostro caso non vi erano particolari determinazioni, data la poca importanza del Rugo, per cui trovava applicazione il criterio generale. Da quando si era messo gli occhi sulla fonte Poiana, dalle notevoli attrattive, prima di intraprendere ogni iniziativa ci si era preoccupati di percorrere un cammino giuridicamente affidabile e corretto. La Commissione per lo studio dell’acquedotto sin dal 1897 aveva chiesto un parere tecnico a Valentino Barbiani, il quale, esaminate le mappe del Comune censuario di Bodrino (Tarcetta) e del Comune di Creda (Austria), ebbe a riscontrare che per quanto riguarda la linea di confine fra i due Comuni nella località della Pojana, essa, partendo dal capitello di confine n° 11 N va in linea retta alla sorgente della fontana di Pojana e prosegue verso il Natisone lungo la fontana omonima. Da informazioni assunte e constatate sopraluogo, detta linea di confine è precisamente l’asse della fontana stessa essendo così delimitati di due Comuni e di conseguenza in quella località è anche il confine fra le due limitrofe Nazioni Italia ed Austria. Ciò stante si può con fondamento ritenere che dalla Sorgente in parola, metà appartenga all’Austria e l’altra metà all’Italia.2 Il confine tra Italia e Austria seguiva un burrone sul lato sinistro, attraversava il Natisone, poi coincideva con il rivoletto denominato Poiana per circa 150 metri, e quindi piegava ad angolo retto per seguire un altro burrone. Formando il rivolo stesso il confine, non si poteva asserire che scorresse tutto su territorio italiano o tutto sull’austriaco, però era alimentato esclusivamente dalla falda originata sul territorio italiano. Nel corso della visita sul posto, avvenuta il 20 ottobre
1911, la Commissione Internazionale italo-austriaca incaricata della rettifica del confine politico, non ebbe nulla da osservare sull’incisione effettuata e sulla costruzione della galleria filtrante, scavata per intercettare la falda acquea che dava vita al rivoletto Poiana, raccomandando solo di non toccare il tracciato del rivo, il cui letto era rappresentato da una lieve incisione nel terreno.3 Questo era un elemento tranquillizzante, ma non mancavano altri dubbi. Ad esempio, nonostante si diponesse già di pareri legali favorevoli, non era ancora del tutto chiara la natura dell’acqua del rio Poiana: pubblica o privata? Secondo l’avv. Buzzati di Milano – cui ci si era rivolti per avere un ulteriore parere qualificato – la condizione giuridica del Poiana rispetto all’Austria era da ricercarsi nella legge dell’Impero 30 maggio 1869 e nella legge provinciale del Tirolo 28 agosto 1870 sulla condotta e sull’arginazione delle acque: in base ad esse i rivi, i laghi e le altre acque Intestazione della Commissione internazionale che, nel settembre 1913, si recava sul luogo della presa del Poiana per verificare la posizione del confine italo-austriaco.
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correnti o stagnanti sono beni pubblici. Però nel caso in esame questa disposizione non fa risaltare il carattere di pubblico alle acque del Poiana, in quanto il successivo paragrafo 4 annovera tra le acque appartenenti al proprietario del fondo quelle sorgenti dal fondo stesso e i loro scoli fintantoché questi non siano versati in un’acqua straniera di privata ragione od in un’acqua pubblica e non siano usciti dal fondo del proprietario. Da ciò risulta che il Poiana appartiene alla sua sorgente e finché non esca dal fondo in cui scaturisce, al proprietario del fondo stesso (…). La questione era giuridicamente intricata e complessa, per l’avv. Buzzati una ipotetica opposizione alla cattura non potrebbe che essere promossa dal proprietario di un fondo situato in Austria, sulla sponda sinistra del rivo Poiana, ma che questi potesse fondare la sua domanda davanti ai giudici italiani sulla base del diritto austriaco lo escludeva, in quanto la sorgente, le opere di presa, la condotta e le erogazioni erano tutte sul territorio italiano e se l’azione fosse stata condotta in Austria nessun effetto avrebbe sortito sul suolo patrio, ostandovi tra l’altro anche articoli del Codice di procedura civile. Riguardo poi alla necessità o meno della richiesta di concessione per l’utilizzazione della sorgente, il forense meneghino pensava che in Austria la sua mancanza poteva forse costituire una contravvenzione alle leggi regolanti il diritto d’acqua, comunque esse non erano efficaci al di fuori del territorio austriaco. In ogni caso, se trascorrevano sei mesi dal giorno della commessa contravvenzione senza che venisse incamminata inquisizione contro il trasgressore, in sostanza si andava incontro a una sorta di prescrizione e tale termine era forse già scaduto o stava per esserlo. Non era neppure il caso di pensare alla possibilità di una azione diplomatica dell’Austria verso l’Italia, per pochi metri cubi d’acqua, tolti da un rivoletto. L’avvocato concludeva con l’escludere praticamente la necessità di domandare concessioni all’Autorità Austriaca per la utilizzazione della sorgente Poiana.4 La delicata questione del confine si riproporrà ancora, parecchi decenni dopo, come si vedrà più oltre.
DI CHI È LA SORGENTE? Con i pareri di autorevoli legali, diversi dubbi erano stati dissolti, ma altri ancora costellavano il percorso che avrebbe portato alla piena disponibilità della fonte dalle straordinarie qualità, quale si era rivelata la Poiana. L’avv. Buzzati aveva escluso obblighi verso la parte austriaca, però occorreva anche appurare se fosse stato necessario riportare la concessione governativa dallo Stato italiano. Per dirimere la dibattuta questione, si chiedeva un illuminante consulto all’avvocato Giovanni Levi di Udine. Questi il 16 ottobre
1911 emetteva un limpido parere: È fuori di contestazione che l’acqua Pojana sorge in fondo privato, di proprietà patrimoniale del Comune di Tarcetta; che la stessa non può considerarsi caput fluminis, perché il Natisone nasce molto più a monte, di modo ché il corso del fiume ha già al punto di confluenza col rivo Poiana un lungo percorso. Le conseguenze sono, a mio avviso, piane ed evidenti. La sorgente in esame è indiscutibilmente acqua privata, la cui disponibilità è fissata dalla regola scritta nell’art. 540 del Codice Civile. Il proprietario del fondo è dunque proprietario della sorgente e ne può liberamente disporre, salvo i diritti eventualmente acquisiti dai proprietari di fondi inferiori. Il Comitato aveva bisogno di chiarimenti su due altri aspetti, il primo era: se e quali conseguenze giuridiche derivino dal fatto che l’alveo nel quale si scarica la sorgente Poiana segna per la lunghezza di circa 200 metri il confine di Stato fra l’Italia e l’impero AustroUngarico. Anche in questo caso il responso era tranquillizzante: Il confine territoriale è una linea ideale che non ha e non può avere influenza alcuna sui privati diritti di proprietà; essa solamente limita il punto fino al quale arriva la sovranità dei due Stati confinanti. Come il Governo nostro non ha nè concessioni nè autorizzazioni da dare al privato che voglia usare della propria acqua, per quanto questa scorra sul confine, così, per parità di ragione, è a dirsi del Governo austriaco. Questo il secondo quesito: se e quali conseguenze giuridiche derivino dal fatto che la sorgente stessa, dopo breve percorso, confluisce nel fiume Natisone. Va detto che all’origine di questa domanda vi era un atto notificato il 29 settembre 1910, con il quale il cavalier Francesco Braida e il marchese Francesco Mangilli, dichiarando di agire in nome proprio e nell’interesse di tutti gli utenti degli opifici industriali situati lungo il Natisone, affermavano di aver diritto all’uso di tutta l’acqua di quel fiume, compresa quella del confluente rivo Poiana e prevenivano il Comune di Cividale, quale capofila dell’erigendo Consorzio, che essi intendevano avanzare in ogni grado il diritto della congrua indennità. Secondo l’autorevole avvocato Levi, è canone indiscutibile che l’acqua privata non perde tale suo carattere se non nel momento in cui entra nel fiume e si confonde coll’acqua pubblica. Sino a quel momento conserva la sua natura di acqua privata ed il proprietario può disporne a suo piacere. Ne deriva ad evidenza che il concessionario o più genericamente l’avente diritto all’uso dell’acqua pubblica, non può vantare diritti contro chi iure suo utitur, utilizzando l’acqua fino a che questa è privata (…) gli opificianti del Natisone, non avendo costituito la servitù di presa d’acqua o di acquedotto sul fondo di Tarcetta, dal quale sorge l’acqua Poiana, non possono, a mio giudizio, invocare la legge austriaca per far valere ipotetici diritti contro il proprietario attuale o futuro di quel fondo o di quell’acqua.5
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Telegramma da Caporetto per richiedere una planimetria della località Poiana da usare nella prevista visita della “Deputazione italiana per la revisione del confine italo-austriaco”, 12 ottobre 1911.
L’ACQUISTO DELLA MERAVIGLIOSA FONTE Di fronte al notaio Geminiano Cucavaz di Cividale, il 25 ottobre 1910 era stipulato un contratto d’obbligo, mediante il quale Filippo Birtigh e Marianna Bressan di Stupizza si impegnavano ad affittare al Comune di Cividale terreni e fabbricati di loro proprietà, occorrenti per le opere dell’acquedotto.6 Con l’autorizzazione del Comune di Tarcetta, nel 1909 erano iniziati i saggi nell’area della sorgente Poiana che, dando esito positivo, erano in breve cangiati nei lavori di presa, prima descritti. A quel punto, Tarcetta giustamente sottolineava di aver concesso solo le prove, pertanto era necessario giungere a un accordo per poter utilizzare l’acqua che sgorgava nell’ambito del territorio comunale di sua pertinenza.7
Tale ente era rassicurato che, non appena il Consorzio Poiana fosse stato riconosciuto come personalità giuridica propria, avrebbe prioritariamente concluso l’acquisto. Intanto, il 4 aprile 1911 si effettuava un versamento di mille lire a Tarcetta.8 La parola fu mantenuta, poco più di un mese dopo l’istituzione ufficiale dell’ente consorziale, si stipulò il preliminare del contratto. Il 15 aprile 1912 si incontrarono Pietro Guion, Giuseppe Mucigh e Giovanni Costaperaria, delegati speciali del Comune di Tarcetta, con Rubini, Brandis, Caiselli, Perusini e Miani quali membri della Giunta del Consorzio per sottoscrivere il documento con il quale si cedevano tutte le sorgive del Poiana nonché i terreni ad esse adiacenti, necessari per i lavori previsti dal progetto
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Copia della delibera di approvazione del nascente Consorzio Poiana, da parte della Giunta Provinciale Amministrativa di Udine, 10 febbraio 1912.
tecnico-amministrativo del 23 novembre 1911 e per costituire la zona di protezione delle accennate sorgenti, il tutto descritto in mappa del Comune censuario di Bodrino (Tarcetta) al numero 275: (…) Viene espressamente stabilito che il Comune di Tarcetta non dovrà mai attorno alle zone protettrici delle sorgive scavare pozzi, fossi, trincee o fare opere tali che potessero far diminuire o disperdere o danneggiare in qualsiasi maniera le acque delle sorgenti salvo restando i rispettivi diritti nascenti dalle leggi regolanti la materia (…).9 Tale compromesso, per essere efficace, doveva riportare l’approvazione delle competenti autorità superiori. L’assemblea consorziale riunita il 22 giugno 1912 approvava il preliminare del contratto, che prevedeva il pagamento di 12.000 lire e il 27 dicembre 1913 deliberava di completare definitivamente l’acquisto. Per il perfezionamento dell’operazione però trascorreva altro tempo, solo il 9 agosto 1914 il Municipio di Tarcetta autorizzava la vendita di tutte le sorgenti Poiana, nonché le terre ad esse adiacenti, per una superficie complessiva di 18.460 metri quadrati.10 Per decisione del Prefetto di Udine del 12 settembre 1912 il Comune di Tarcetta, non avendo in quel tempo impegni speciali, doveva convertire le
12.000 lire in vaglia del Tesoro per acquisto di rendita pubblica. Inoltre, con contratto di compravendita del 14 dicembre 1913, rogato dal notaio Geminiano Cucavaz di Cividale, si era acquistato da Marianna Bressan di Giovanni, moglie di Filippo Birtig, e Giuseppe Crucil una porzione di pascolo, della mappa di Mersino n. 2051b, di pertiche 0:10 con la costituzione di perpetua servitù di acquedotto sui beni in mappa 2421a e 2421b, per l’importo di 500 lire; tale fondo era in comunicazione con la passerella sul Natisone.11 Per successive vicende amministrative e per lo stato di guerra, il contratto definitivo di acquisto si poteva stipulare solo il 27 febbraio 1917.12
IL PREFETTO INCORAGGIA E APPROVA Nel consesso del 24 novembre 1911 era approvato lo Statuto Consorziale e, pertanto, si era veramente giunti a un momento cruciale per la concreta attuazione dell’acquedotto, disponendo sia del progetto tecnico, sia dello strumento per regolare l’attività del nascente Consorzio.
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Il Prefetto di Udine, rilevando l’entusiastico interessamento dei sindaci dei 12 Comuni e conoscendo l’assoluta deficienza di acqua potabile di buona qualità nel territorio, premeva a sua volta sull’acceleratore dell’iniziativa, invitando i sindaci stessi a convocare i rispettivi Consigli comunali entro il 10 dicembre successivo, per deliberare in prima lettura l’adozione del progetto e la provvista dei mezzi finanziari per l’acquedotto; valendosi delle sue prerogative, autorizzava l’abbreviazione dei termini, in modo che la seconda lettura seguisse già il 17 dicembre successivo. Raccomandava che l’ordine del giorno venisse approvato senza alcuna modificazione da tutti i Consigli, per evitare ulteriori lungaggini e rinvii. Lo sprone finale del Prefetto Alessandro Brunialti, rivolto personalmente a ogni sindaco, si staccava dal freddo tono burocratico per librarsi in un sentito auspicio tenuamente venato di lirismo: codesto Consiglio con slancio unanime corrisponderà, non dubito, alla attesa dei propri rappresentanti cooperando con i limitrofi comuni i quali dall’unione delle forze si ripromettono l’attuazione della fin qui invano sognata provvista, di un sì importante elemento per la vita quale l’acqua potabile.13 Tutti i Comuni deliberavano unanimi e senza variazioni l’ordine del giorno proposto dal Comitato promotore, limitandosi taluni a suggerire raccomandazioni; quello di Premariacco subordinava l’approvazione a talune condizioni, comunque non influenti sull’esecuzione dell’opera. Nella seduta della Giunta Provinciale Amministrativa del 10 febbraio 1912, il Prefetto nella sua qualità di presidente, viste tutte le deliberazioni, decideva di dare parere favorevole per la costituzione del Consorzio per la derivazione e distribuzione dell’acqua della sorgente Poiana.14
IL PARERE DEI CAMICI BIANCHI Anche il medico provinciale era chiamato a esporre il proprio parere tecnico, esaminato dal Consiglio Provinciale Sanitario congregato il 22 febbraio 1912. Era facile persuadersi che, in materia d’acqua potabile, tutti i dodici Comuni si trovavano in condizioni veramente disagiate, talvolta anche pericolose. Il provvedimento che si proponeva, effettivamente indispensabile, così era reputato nella conclusione finale della relazione: Il magistrale progetto dell’acquedotto del Pojana dell’ing. Granzotto specialista in questo genere di lavori – progetto meritevole in linea igienica di piena approvazione – viene a sciogliere mirabilmente il grave e difficile problema, con cui tutta la zona orientale dell’altopiano friulano verrà risanata. (…) Urge specialmente che venga subito costituito il Consorzio agli effetti dell’art. 116 del testo unico delle leggi sanitarie 1º agosto 1906.15 Il traguardo finale, almeno quello burocratico, era ormai vicinissimo.
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LA MAGNIFICA DOZZINA SI CONSORZIA UFFICIALMENTE Il Prefetto di Udine emanava, in data 28 febbraio 1912, il decreto ufficiale n° 4549 di costituzione del Consorzio per l’acquedotto Poiana tra i Comuni di Cividale, Buttrio, Corno di Rosazzo, Ipplis, Manzano, Moimacco, Pavia di Udine, Pradamano, Premariacco (per Orsaria), Remanzacco, San Giovanni di Manzano e Trivignano Udinese, con complessivi 34.813 abitanti. Il primo incontro assembleare a svolgersi postdecreto aveva luogo il 14 marzo seguente, in esso si nominava la Giunta Consorziale, deliberando che oltre ai tre membri effettivi fossero nominati due delegati supplenti. I suoi cinque membri erano: conte Carlo Caiselli sindaco di Pavia di Udine, Domenico Rubini sindaco di Ipplis, Enrico de Brandis sindaco di S. Giovanni di Manzano, Antonio Miani assessore di Cividale e Costantino Perusini sindaco di Corno di Rosazzo; Luigi Brusini, che era segretario capo del municipio cividalese, era confermato segretario del Consorzio. I sindaci prendevano atto che il progetto Granzotto aveva percorso un buon tratto dell’iter burocratico, avendo già ricevuto i pareri favorevoli del Genio Civile con atto del 6 febbraio 1912 n° 216, della Giunta Provinciale Amministrativa il 10 febbraio 1912 n° 3007-68 e del Consiglio Provinciale Sanitario il 22 febbraio 1912.16 Il Ministero dell’Interno autorizzava i Comuni consorziati a contrarre con la Cassa Depositi e Prestiti i rispettivi mutui, senza interessi ed estinguibili in 50 anni; si può sottolineare che questo è stato uno dei primi acquedotti a usufruire della legge Luzzatti del 25 giugno 1911 n. 586, che consentiva di accedere a mutui, sui prestiti ai Comuni per le opere di igiene con il concorso dello Stato. Per la concessione del mutuo davano un efficace contributo Bonaldo Stringher, allora direttore generale della Banca d’Italia e il senatore del Regno Elio Morpurgo. Nell’assemblea del 22 giugno 1912, alla presidenza del Consorzio Poiana era innalzato Domenico Rubini, residente a Spessa e in quel tempo sindaco di Ipplis.
Nella pagina seguente: Decreto di approvazione del Prefetto di Udine per l’unione in Consorzio dei 12 Comuni per la provvista d’acqua potabile mediante la costruzione dell’acquedotto Poiana, 28 febbraio 1912. Questo documento si può considerare l’atto ufficiale di nascita del Consorzio.
L’ISTITUZIONE DEL CONSORZIO POIANA
Intestazione del neo-costituito Consorzio Acquedotto Poiana.
STATUTO E REGOLAMENTO CONSORZIALE Lo Statuto, redatto il 18 novembre 1911 nei modi di legge, era approvato dall’Assemblea consorziale il 24 novembre 1911, reso esecutorio con decisione della Giunta Provinciale Amministrativa di Udine del 10 febbraio 1912 n° 30007-68 e del 15 giugno successivo n° 13494. All’articolo 9 di detto statuto era prescritta l’adozione di un Regolamento, il cui testo era approvato nell’assemblea consorziale del 22 giugno 1912 e approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa di Udine il 13 luglio seguente, con decreto n° 15802, Div. 2. Il regolamento organico per la sorveglianza e la manutenzione dell’acquedotto, composto da 13 articoli, era approvato dall’assemblea il 25 settembre 1915.17
COME RIEMPIRE I FORZIERI? Ancor prima di concludere l’iter istitutivo del Consorzio, il Comitato provvisorio aveva pensato bene di inoltrare due domande, una al Ministero dell’Interno e l’altra all’Amministrazione Generale della Cassa Depositi e Prestiti, dirette a ottenere la prenotazione fra coloro che intendevano valersi dei benefici contemplati dalla legge 25 giugno 1911 n° 586. La promulgazione di quest’ultima era provvidenziale, in quanto accordava speciali provvedimenti finanziari di favore per la costruzione degli acquedotti. Dopo il riconoscimento ufficiale del Consorzio e una volta perfezionata la domanda del mutuo, il relativo incartamento era inviato a Roma il 15 maggio 1912, informandone l’on. Elio Morpurgo e Bonaldo Stringher. Nella capitale queste due personalità facevano in modo che le carte non languissero, abbandonate sugli scaffali e già il 10 luglio seguente era emesso il decreto che permetteva la contrattazione dei mutui con la Cassa Depositi e Prestiti, registrato alla Corte dei Conti il 26 agosto; i Comuni consorziati erano autorizzati a Intestazione della Relazione del “Comitato Provvisorio Esecutivo per l’Acquedotto del Poiana”, con firme dei componenti Domenico Rubini, Enrico de Brandis e il rappresentante del Comune di Cividale Giovanni Marioni, 6 marzo 1912.
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contrarre i rispettivi mutui, senza interessi, estinguibili in 50 annualità d’ammortamento. Queste ultime dovevano essere garantite con una corrispondente quota annua di sovraimposta alle imposte dei terreni e fabbricati, da deliberare con apposito atto nei singoli Consigli comunali. L’importo complessivo era di 2.400.000 lire. Per ulteriore interessamento dell’on. Morpurgo, si riceveva la notizia che i decreti dei mutui erano registrati il 13 dicembre 1912, facendo affermare in assemblea che la poderosa impresa trovasi nella fase risolutiva.18 I mutui concessi ai Comuni erano dei seguenti importi, in lire: Cividale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 426.843 Buttrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 160.776 Corno di Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129.805 Ipplis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66.339 Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215.326 Moimacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95.307 Pavia d’Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363.200 Pradamano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164.061 Premariacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73.625 Remanzacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131.187 S. Giovanni di Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272.991 Trivignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .181.14019 Si procedeva con l’apertura alla Banca Cooperativa di Cividale di un conto corrente con credito di 25.000 lire, istituito con deliberazione d’urgenza dalla Giunta consorziale del 1º maggio 1912, approvato dal R. Prefetto il 6 di detto mese e ratificata nell’assemblea del 22 giugno 1912.20
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Alla presidenza del Consorzio Acquedotto Poiana era eletto il dott. Domenico Rubini, che manterrà tale carica dal 14 marzo 1912 al 26 novembre 1921.
Lo strumento dell’apertura di credito presso l’istituto locale sarà utilizzato più volte anche in seguito, nel progredire dei lavori: la Giunta consorziale il 13 luglio 1914 deliberava l’apertura di un conto corrente fino a 30.000 lire con la Banca Cooperativa di Cividale, per esigenze amministrative; l’Assemblea riunita il 28 novembre 1914 ratificava la decisione presa.21 Con deliberazione 29 dicembre 1915 la Giunta stabiliva di chiedere alla Banca Cooperativa di Cividale, sotto forma di conto corrente, la disponibilità di 20.000 lire al tasso non superiore del 6%. Si conveniva che era sì piuttosto elevato ma altri istituti interpellati, quali la Cassa di Risparmio, la Banca d’Italia e la Banca Popolare Friulana di Udine non concedevano prestiti senza la personale responsabilità degli amministratori del Consorzio, mentre quella di Cividale si dimostrava di lodevole correttezza.22
Tenuto conto delle spese anticipate da Cividale per il canale fugatore e cunicolo di presa, il Comitato esecutivo il 29 settembre 1911 decideva di chiedere ai Comuni interessati l’immediato versamento di 25.000 lire, da ripartirsi secondo il criterio provvisorio basato sulla popolazione. Per l’entrata in Consorzio anche di Corno di Rosazzo e Trivignano, il riparto tra i 12 Comuni era quello dello schema qui sotto riportato.
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Autorizzazione uffi ufficiale ciale ai dodici Comuni consorziati a contrarre i mutui occorren occorrenti alla costruzione dell’acquedotto Poiana, per un totale di 2.400.000 lire, rilasciata dal Ministero dell’Interno il 10 luglio 1912.
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CAPITOLO IV
Dati contenuti nel parere dell’avv. G. E. Buzzati di Milano, espresso con lettera del 19 novembre 1911, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Per thalweg si intende la linea mediana dei corsi d’acqua, che può essere anche considerata divisoria fra due Paesi, passando nel mezzo della massa d’acqua. Relazione di Valentino Barbiani del 7 settembre 1897, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Notizie inviate dall’ing. Ernesto de Paciani all’avv. Brunetti di Milano il 31 ottobre 1911, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Parere dell’avv. G. E. Buzzati di Milano, espresso con lettera del 19 novembre 1911, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. Nella sua relazione del 16 ottobre 1911, l’avv. Giovanni Levi da Udine argomenta più dettagliatamente le sue convinzioni, qui necessariamente riportate in sintesi, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, fasc. Pratica relativa all’acquisto delle Sorgenti. La richiesta di un accomodamento era avanzata dal Comune di Tarcetta il 13 agosto 1911, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’. ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, doc. II nota delle spese sostenute per il Consorzio dell’acquedotto del Poiana, mandato n° 198. La copia del contratto preliminare manca nell’archivio del Consorzio Acquedotto Poiana in quanto dispersa a causa dell’invasione austriaca del 1917, quella depositata all’archivio notarile di Udine ha avuto analoga sorte. Quanto era concordato è riportato nei verbali assembleari del 22 giugno 1912 e 27 dicembre 1913, conservati in ACAP. Per la precisione, di essi 932 mq erano incensiti e 17.528 mq erano parte del mappale 275; il Comune di Tarcetta il 5 marzo 1916 chiedeva gli venissero corrisposti anche gli interessi sul prezzo di vendita di 11.000 lire, in quanto 1000 lire erano già state versate a suo tempo, ACAP, cart. ‘Anteatti costruzione’, fasc. Pratica relativa all’acquisto delle Sorgenti. Seduta del 27 dicembre 1913, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Il dato è riportato nel Memoriale per la Commissione italiana per la delimitazione dei confini, 9 aprile 1947, ACAP, cart. ‘Planimetrie. Progetto acquedotto 1-33’.
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Comunicazione del 28 novembre 1911 dalla R. Prefettura della Provincia di Udine, ASMunCiv, cart. 260 (vecchia numerazione) LL. PP. 19081912, fasc. 1912, cat. 19 Fontane. L’assemblea consorziale nella seduta del 22 giugno 1912, conscia del fondamentale sostegno fornito dal prefetto, deliberava di esprimergli la sua gratitudine: L’Assemblea dei Sindaci del Consorzio «La Poiana» oggi riunitosi per la prima volta dopo la regolare costituzione del Consorzio, rivolge i sensi della maggior gratitudine all’Ill. Comm. Brunialti R. Prefetto della Provincia per la sollecitudine, degna del più vivo elogio, con la quale in tempo brevissimo ha saputo dare corso a tutte le pratiche per la costituzione dell’Ente destinato a fornire acqua potabile di ben 12 Comuni che ne sono completamente sprovvisti, esprimendo il desiderio e l’augurio che con altrettante cura e benevolenza egli possa aiutarci nelle pratiche tutte ancora necessarie all’esaurimento dell’opera. Ciò non si poteva tradurre in pratica, per il passaggio a miglior vita del Prefetto, lutto che era ricordato nell’assemblea del 27 dicembre 1913: (...) E se in tutti la tragica fine del comm. Brunialti produsse vivo dolore, esso in noi più che mai deve essere profondo, sapendo quanto interessamento, quanto affetto egli aveva posto alla nostra impresa. Relazione del Consiglio Provinciale Sanitario, presentato nella seduta del 22 febbraio 1912, ACAP, cart. ‘Trasformazione azienda’. Seduta del 14 marzo 1912, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 25 settembre 1915, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923; il testo discusso, datato 21 settembre 1915, era adottato pressoché integralmente, tranne alcune modifiche all’art. 3. Seduta del 18 gennaio 1913, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Verbale della seduta del 10 febbraio 1912 della Giunta Provinciale Amministrativa, ACAP, cart. ‘Trasformazione Azienda’. Seduta del 10 ottobre 1912, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 28 novembre 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 3 giugno 1916, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19101923.
V CAPITOLO QUINTO
IL PROGETTO GRANZOTTO
L’INCARICO PROGETTUALE Dalla votazione per la nomina del progettista dell’acquedotto, effettuata a scrutinio segreto nell’Assemblea consorziale dell’11 febbraio 1911, usciva eletto l’ing. Ugo Granzotto di Sacile,1 che un mese dopo era incaricato di redigere il progetto generale; il professionista in tempi veramente rapidi espletava questo lavoro di imponente complessità, presentando il suo elaborato già nel mese di novembre 1911. Il Comitato provvisorio, per doverosa cautela, aveva stabilito di far rivedere il progetto a un ingegnere idraulico di non dubbia competenza, ma in quel contesto non si riteneva necessario, per le doti del progettista e anche sapendo che una attenta revisione sarebbe stata eseguita tanto dal Genio Civile governativo quanto dal Ministero, prima di concedere il mutuo. Nelle sue linee schematiche, l’acquedotto progettato da Granzotto consta di una conduttura forzata alimentatrice, di un serbatoio interruttore, di un capiente serbatoio di carico e riserva e della rete di distribuzione. Quest’ultima comprende due arterie principali con le rispettive diramazioni e sottodiramazioni per l’approvvigionamento dei vari centri, sparsi in un’area, piana o leggermente ondulata, estesa per circa 20 km da tramontana a mezzogiorno e per circa 15 km da levante a ponente. Si riportano ora, in maggiore dettaglio, le varie componenti dell’opera, secondo la descrizione originale del suo progettista.
Convocazione all’assemblea dei sindaci indetta per il 24 novembre 1911, per discutere del progetto esecutivo dell’acquedotto Poiana e dello statuto consorziale, da approvare nei rispettivi consigli comunali.
Intestazione del fascicolo contenente l’elaborato progettuale dell’ing. Granzotto.
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IL PROGETTO GRANZOTTO
Le opere di raccolta
Il primo tratto della conduttura dell’acquedotto Poiana, con il cunicolo di raccolta della sorgente Poiana, l’edificio di presa, la tubazione che attraversa il letto del fiume per portarsi sulla sponda sinistra, nel progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
Sezione dell’area di presa della sorgente Poiana, con il cunicolo di raccolta. Il fondo della galleria di presa giace circa a 5 metri dal soprassuolo naturale. È costruito in getto di calcestruzzo Portland e, mediante ballatoio pensile, è percorribile da una persona in piedi per tutta la sua lunghezza.
Basandosi sui lavori di ricerca e di accurata misurazione della portata, prima descritti, era possibile progettare con dati affidabili i lavori di presa e di raccolta, soddisfacendo a tutti i criteri tecnici e igienici che tali opere richiedono. Granzotto contempla la costruzione di un cunicolo con pareti, copertura e platea in calcestruzzo di cemento Portland, della lunghezza di 92 metri, avente il lato longitudinale a monte e, in corrispondenza della falda idrica, molte aperture da cui far sgorgare le varie polle delle sorgenti. L’acqua raccolta dal cunicolo – di dimensioni sufficienti per poter essere agevolmente accessibile su tutta la sua lunghezza – viene immessa nell’edificio di presa. Questo è previsto in robusta muratura con copertura in ferro e calcestruzzo, convenientemente ubicato e protetto in modo da non risentire danni dall’eventuale distacco di grossi macigni dal monte sovrastante; è suddiviso in vari scomparti e concepito in modo che si possa procedere alla pulizia di una camera d’acqua, mentre è in funzione l’altra.
IL PROGETTO GRANZOTTO
Le camere d’acqua immettono in un canale fugatore interno, sia a mezzo di sfioratore che di scaricatore di fondo e tutta l’acqua del cunicolo di raccolta può eventualmente essere convogliata nel fugatore, intercludendo completamente – se necessario – le camere di presa. Le varie manovre relative alle camere vengono effettuate da un palco superiore accessibile da un locale interno, dal quale si accede pure al basso locale delle saracinesche delle condutture di presa e di scarico. All’edificio di presa fa seguito il canale fugatore, che ha la funzione di smaltire l’eccesso sulla portata delle acque raccolte dal cunicolo e immesse nell’edificio di
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presa; costruito in muratura a conveniente profondità, questo canale segue l’unghia del conoide fino allo sbocco nel Natisone. Tutte le opere sono progettate in modo che il rigurgito prodotto dal massimo pelo di piena del Natisone lungo il canale fugatore non abbia alcuna influenza sulle camere di presa e sul cunicolo di raccolta. Sezioni per la galleria di presa della fonte Poiana. Allegato n. 1 alla Liquidazione finale del cottimo D. Ceconi, Computo metrico del Cunicolo ed edificio di presa dell’acquedotto consorziale della sorgente Poiana, ing. Ugo Granzotto e Lorenzo de Paciani, 4 settembre 1912.
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IL PROGETTO GRANZOTTO
La condotta maestra alimentatrice
Struttura con pali di castagno infissi nell’alveo del fiume, a protezione della conduttura da 420 mm nel tratto di attraversamento del Natisone. Per le vorticose correnti la briglia protettiva, progettata nel 1911 dall’ing. Ugo Granzotto, nel corso degli anni doveva essere riparata parecchie volte. Serbatoio del Monte dei Bovi, sezione A-B, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911.
Il primo tratto di conduttura, dall’edificio di presa all’incrocio con la sponda destra del Natisone, corre in corrispondenza verticale del canale fugatore, adagiandosi sulla sua copertura di calcestruzzo armato, ricoperto da un conveniente spessore di materiale terroso, proveniente dagli scavi. Attraversa poi il fiume in corrispondenza di un tratto molto stabile, che non soffre asportazioni durante le piene. Lungo l’attraversamento la tubatura scorre per 183 metri incassata nell’alveo, protetta su tutti i lati da una robusta muratura di calcestruzzo e sostenuta a valle da una fila di pali di castagno. Raggiunta la sponda sinistra del Natisone, corre per un breve tratto su terreno prativo e quindi raggiunge la strada nazionale del Pulfero, sulla quale si mantiene fino a Sanguarzo, località che, assieme a Guspergo, serve con piccole diramazioni. A Sanguarzo abbandona la Nazionale per giungere, con un tratto rettilineo attraverso terreni privati, al serbatoio incastonato sul colle in prossimità di Cividale. La condotta maestra alimentatrice forma una sorta di grande sifone, della lunghezza di circa 18,1 km, in tubi di ghisa del diametro interno di 420 mm, che si
IL PROGETTO GRANZOTTO
sviluppa tra il manufatto di presa alla quota di 219,60 m sul livello del mare e il serbatoio di distribuzione, al quale l’acqua affluisce alla quota 187,52. La tubazione presenta sulla metà del suo percorso una importante contropendenza, o sifone rovescio, lungo complessivamente 1.512 m e culminante nella località Tiglio.
Il serbatoio Nel cunicolo di raccolta si era misurata, in epoca di massima magra, una portata superiore a 100 l/secondo, ma il progettista riteneva utile ipotizzare che essa potesse subire un’eventuale diminuzione. Adottando quindi un criterio prudenziale, era indispensabile la costruzione di un capace serbatoio, con la funzione di permettere la costante erogazione della massima portata durante le ore diurne, anche quando lo spicciare delle sorgenti si fosse sensibilmente ridotto. Inoltre, aveva la funzione di bilanciare gli sbalzi momentanei di carico in partenza, dovuti alle repentine oscillazioni nelle erogazioni. Le condizioni topografiche e altimetriche dei dintorni a nord di Cividale si prestavano perfettamente alla bisogna, in particolare il colle denominato La Fratta,
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propaggine sud del monte dei Bovi. Nelle intenzioni del progettista, il serbatoio da collocarvi avrebbe potuto funzionare in piena efficienza fino a una diminuzione di portata delle sorgenti di 25 l/secondo, cioè ridursi a erogare solo 75 l/secondo. Calcolava che, dovendo rendere possibile l’erogazione di 100 l/secondo durante le 12 ore diurne, doveva essere capace di contenere 1.080.000 litri, pertanto lo progettava della capacità di un milione e 100mila litri, pari a mille e cento metri cubi. Durante le 12 ore notturne, poteva ancora erogare 50 l/secondo, portata più che sufficiente essendo quello il periodo di minimo consumo. Il serbatoio è diviso in due vasche interrate, con copertura a volta e adiacenti nel senso della comune lunghezza di 30 metri, con il pelo di sfioramento dell’acqua a 3 metri dal fondo. I due grandi scomparti sono indipendenti, in modo da permetterne alternativamente la pulitura, senza interrompere il servizio. Vi sono annessi i locali di servizio e di manovra degli apparecchi di immissione, di erogazione, di scarico e di misurazione dell’acqua in arrivo; il complesso del manufatto è costruito parte in calcestruzzo di cemento, parte in pietrame e malta cementizia. A monte delle vasche e adiacente alle loro testate vi è l’edificio di arrivo della conduttura maestra, delle
Serbatoio del Monte dei Bovi, sezione C-D, coppia di vasche interrate, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911.
Serbatoio del Monte dei Bovi, prospetti delle torricelle laterali, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911. Nel manufatto di presa l’acqua è immessa alla quota d’origine di 219,60 m e sbocca nel serbatoio di distribuzione alla quota di 187,43 m sul livello del mare (quota piezometrica di progetto). La massima pressione idrostatica nella condotta risulta 79 m sull’unghia del colle dei Bovi, ove sorge il serbatoio e la massima pressione idrodinamica 47 m, nella medesima località.
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Serbatoio del Monte dei Bovi, sezione E-F, locale di erogazione, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911.
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Serbatoio del Monte dei Bovi, sezione A-B, locale di immissione dell’acqua in arrivo, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911.
Prospetto laterale del serbatoio del Monte dei Bovi, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911. In basso a destra si vedono le firme dell’ingegner Giuseppe Parpinelli e di Vittorio Natalini, aggiudicatari dei lavori di costruzione dell’opera.
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IL PROGETTO GRANZOTTO
Serbatoio del Monte dei Bovi, dettagli della pianta con saracinesche e collegamento delle tubature nel locale di erogazione, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 settembre 1911.
dimensioni interne di 7,90 m di lunghezza e 4,60 m di larghezza, con l’altezza di 3,13 m fino alle piattabande di copertura, decorato al coronamento con merlature ad archi, sormontato nella parte centrale da una torricella, anch’essa con funzione decorativa, dell’altezza di 2,34 m; le torricelle laterali sono erette in laterizi. A questo edificio mette capo la conduttura d’arrivo dalle sorgenti, munita di manometro, che con pezzo speciale a T si biforca in una coppia di diramazioni adducenti alle due vasche, munite di saracinesca e contatore d’acqua a quadrante asciutto, sistema «Faller». Attiguo alla testata a valle del serbatoio è costruito, con forme identiche alle forme ora descritte dell’edificio di arrivo, quello di intubamento per la rete di distribuzione, ne differisce soltanto per la parte sotterranea, costituente il locale degli apparecchi. Qui si sviluppano i due tratti delle tubature di presa delle vasche, del diametro interno di 420 mm, che si raccordano con un pezzo speciale a T e curva sulla conduttura di partenza, ognuno munito di saracinesca; vi si trovano anche le tubazioni di ghisa per scarico di fondo e sfioramento delle vasche del serbatoio e quelle serventi per sfiato.
La conduttura principale La rete di distribuzione parte dal serbatoio – alla quota 183 corrispondente al fondo delle vasche – e con un tratto rettilineo attraversa terreni privati, riprende la strada nazionale per raggiungere, dopo un breve tratto, Cividale alla porta S. Giovanni; sin qui conserva il diametro di 420 mm, per il secondo tronco prosegue in ghisa con il diametro di 350 mm. Dopo aver attraversato la città ducale secondo la diagonale minore, uscendo da porta S. Pietro giunge al crocevia del ‘Gallo’, dove la conduttura si divide nelle due grandi arterie principali: una volgente a ovest per i Comuni di Moimacco e Remanzacco (con Selvis e Cerneglons), con tubi d’acciaio Mannesmann di diametri interni vari, cioè di 150, 80 e 60 mm, terminando ai casali Martini di Cerneglons sulla sponda sinistra del Torre, per 14,4 km; l’altra a sud lungo la strada che conduce a Premariacco, per la lunghezza di 4,35 km, con tubi in ghisa di 300 mm; da qui riprendono le condutture di acciaio. Al termine dell’abitato di Premariacco si divide in altre due sottoarterie: una a ovest per Orsaria e i Comuni di Buttrio, Pradamano, Pavia di Udine, Trivignano e termina alle ultime
Tratto di conduttura da Sanguarzo al serbatoio del monte dei Bovi, nel progetto dell’ing. Granzotto, 23 settembre 1911.
case di Clauiano, dopo un percorso di 23,15 km con tubi Mannesmann; l’altra sottoarteria volge a est e attraversa il Natisone, diretta verso Ipplis, Manzano, San Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo e finisce alle ultime case di Medeuzza dopo un percorso di 14,8 km. Dalle arterie e sottoarterie vengono alimentate le diramazioni in tubi Mannesmann con diametri interni variabili da 125 a 40 millimetri. Fra queste diramazioni vi sono anche ‘circuiti ad anello’, che trasformano la struttura schematica dell’acquedotto a spina di pesce in struttura mista, introducendovi i vantaggi della distribuzione chiusa con l’acqua sempre in movimento, in entrambe le direzioni del tubo, e assicura il servizio da una parte o dall’altra, quando deve ripararsi una tratta, giovando anche all’equilibrio dei carichi. Una ‘condotta di allacciamento’ è progettata tra le due sottoarterie di ponente (ovest) e di levante (est) fra Buttrio e il nodo per Manzano, attraverso Camino, Manzinello e Soleschiano con un percorso di 10,9 km. Una seconda diramazione chiusa ‘ad anello’ si stacca dalla sottoarteria di levante per Leproso e, attraverso Ipplis, Spessa, Corno di Rosazzo e Dolegnano, le si riallaccia nei pressi di S. Giovanni al Natisone, dopo un percorso di 11,5 km. La terza ‘diramazione ad anello’ si origina dalla sottoarteria di ponente a Lovaria e per Lumignacco, Risano e Lauzacco, le si ricongiunge a Selvuzzis, dopo un percorso di 12,2 km. Dalla medesima sottoarteria, fra Buttrio e Lovaria, si stacca una diramazione di 3,4 km che attraversando Pradamano termina a Cerneglons Vecchio, sulla sponda destra del Torre, di fronte all’estremità cieca della prima arteria (casali Martini) che si trova sulla sponda opposta del torrente a uguale quota piezometrica. Eccetto brevi tratti, tutte le condutture percorrono il margine delle strade pubbliche – nazionali, provinciali e comunali – rendendo così più agevole il servizio di sorveglianza.
La rete di distribuzione è progettata da Granzotto in modo completo, con le derivazioni minori per l’alimentazione delle singole frazioni, suddividendo tra tutti gli abitanti il beneficio apportato dalla grande opera. Si pone cura nel mantenere pressoché uguali i carichi di erogazione di ogni Comune – quasi ovunque superiori ai 20 m sul piano stradale –, ove necessario includendo opportuni apparecchi riduttori di pressione. In piccoli edifici con volta a cupola è prevista la collocazione di apparecchi di misura, per constatare l’effettiva quantità di acqua erogata in ogni singolo Comune. Le condutture – munite di apparecchi di sfiato e di scarico e di tutti gli accessori occorrenti per la pratica e razionale distribuzione dell’acqua – sono poste a una profondità di 1,40 m, per evitare un eccessivo aumento di temperatura dell’acqua; si ritiene che misurando all’uscita dalle sorgenti 11°C, il liquido non sorpasserà i 15°C, nemmeno nei centri di erogazione estremi. I diametri sono variabili da 420 a 40 mm: fino al diametro di 300 mm con tubi di ghisa a cordone e bicchiere, catramata a caldo internamente ed esternamente,
Ponte sul torrente Corno a Dolegnano alla Sezione 155-O. Progetto originale dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
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IL PROGETTO GRANZOTTO
Lo sviluppo delle condutture progettate da Granzotto per la frazione di Lumignacco, comune di Pavia di Udine, 23 settembre 1911.
per i diametri da 225 a 40 mm in acciaio Mannesmann senza saldatura, a cordone e bicchiere, pure catramati a caldo e inoltre rivestiti esternamente di iuta asfaltata. I tubi Mannesmann, assai più resistenti alle forti pressioni, vengono adottati nei tratti esterni, in cui si verificano le maggiori pressioni, specialmente idrostatiche, ad acquedotto non funzionante o parzialmente erogante. La suddivisione in due specie di tubi, adottando per quelli di diametro maggiore la ghisa e nei minori l’acciaio, avrebbe consentito un risparmio di spesa ma in alcune località ciò sarà foriero di non poche discussioni, come vedremo più oltre. Sommando tutti i diametri previsti, la rete delle condutture progettata da Granzotto nel 1911 misurava 194,191 km di tubi, con i quali approvvigionare le località, sparse in una zona leggermente collinare e piana, estesa circa 300 km quadrati. Si contemplava anche la costruzione di un ponte pedonale sul Natisone – opera costituita da una travata metallica di 40 m di luce, sostenuta da piedritti di muratura – in prossimità dell’edificio di presa, per poter convenientemente accedere al medesimo, in ogni condizione di corrente fluviale. Il 24 novembre 1911 l’ing. Granzotto illustrava ai rappresentanti dei Comuni coinvolti il suo intero progetto, che era discusso nei dettagli, negli aspet-
ti economici e nei criteri di ripartizione della spesa, preventivata in 2.334.079,44 lire, escluse le opere di raccolta e l’edificio di presa. La fiducia nell’elaborato del Granzotto era tale che, come detto, si rinunciava alla revisione preventiva del progetto da un ingegnere idraulico, com’era stato stabilito il 13 settembre, ritenendola affatto superflua nel caso nostro.2
Schema del pozzetto per scarichi su tubazioni da 420 mm, giugno 1914.
IL PROGETTO GRANZOTTO
Tubazioni da posare a Orsaria, Progetto originale dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
Rete acquedottistica progettata per Buttrio, progetto dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
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IL PROGETTO GRANZOTTO
Ricevuta del presidente del Monte di Pietà, che prende in consegna il progetto dell’acquedotto Poiana per conservarlo nella solida cassaforte dell’istituto cividalese, 3 ottobre 1912.
IL GENIO LODA, CON DUE OSSERVAZIONI Il progetto Granzotto era approvato dall’Ufficio del Genio Civile di Udine il 6 febbraio 1912, che lo riteneva tecnicamente rispondente in ogni sua parte all’importante scopo cui era destinato. Il serbatoio presentava una capacità tale da sopperire largamente alle richieste nei momenti di maggior consumo, anche la rete era studiata in modo da rendere minimo lo sviluppo delle tubature, offrendo comunque larga possibilità di servirsene in modo facile e sicuro ai vari centri, dislocati nell’estesa zona da servirsi con la benefica opera. La distribuzione ad anello per Cividale era confacente alla speciale conformazione di quell’abitato, l’allacciamento delle due grandi arterie diramantisi da Premariacco a mezzo della conduttura da Manzinello a Camino di Buttrio equilibrava i carichi nel caso di forti variazioni nelle erogazioni e assicurava, inoltre, la continuità del servizio per tutta la parte meridionale della zona servita.
Intestazione del Corpo Reale del Genio Civile di Udine, chiamato ad esprimere un parere sul progetto dell’acquedotto del Poiana.
Nella relazione del Genio Civile, firmata dall’ingegnere capo Gadda, si esprimevano però due osservazioni. La prima sul coefficente di attrito adottato nel calcolo delle condutture, costante secondo l’ing. Granzotto, mentre per gli esaminatori del progetto esso variava non solo con la natura del materiale impiegato ma anche con il diametro delle condutture adottate; l’Ufficio reputava quindi conveniente che nel calcolo delle tubature con un diametro interno non superiore a 10 centimetri si tenesse conto dell’influenza che può esercitare la variazione di tale coefficiente, con conseguente aumento di diametri delle tubature stesse e relativo lieve aumento di spesa. La seconda osservazione riguardava i prezzi unitari, in prevalenza attendibili ma quelli riferiti ai movimenti di materia, scavi di roccia e riporto per coperture di manufatti si trovavano un po’ elevati, in quanto analoghi lavori in località simili, seguiti da quell’Ufficio, erano stati eseguiti a prezzi più miti. Anche i costi della pietra da taglio, di quella artificiale e della ferramenta minuta erano leggermente superiori a quelli allora comunemente praticati. Si invitava pertanto il progettista a verificare se non fosse il caso di apportare le modifiche consigliate. Si ricordava, inoltre, che per gli attraversamenti di corsi d’acqua pubblici con le condutture e la posa delle stesse lungo la strada Nazionale n° 3 si rendevano necessarie due distinte concessioni, rilasciate sia dal Magistrato alle Acque che dal Ministero dei Lavori Pubblici, producendo due diverse domande, ognuna corredata dai tipi planimetrici e altimetrici.
Comunicazione ai sindaci dei Comuni consorziati di Domenico Rubini, presidente del Consorzio Acquedotto Poiana, che i lavori alla presa procedevano nella maniera migliore e che era possibile effettuare, con semplice preavviso, una visita alle opere in corso, 29 luglio 1912.
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Galleria di presa della fonte Poiana (disegno a corredo dell’articolo di MUSONI 1912, p. 103, fig. 2).
Si faceva presente che non tutti gli attraversamenti dei manufatti esistenti lungo la strada Nazionale si sarebbero potuti eseguire come progettato, ad esempio in corrispondenza dell’abitato di San Quirino si ravvisava la convenienza di attraversare il Natisone portando il tubo esternamente al ponte e proteggendolo, eventualmente, con apposita scatola di lamiera, in ogni caso l’esistente arcata non poteva in alcun modo essere manomessa, dato l’esiguo spessore in chiave e la ristrettezza del suo piano viabile. Granzotto progettava l’attraversamento di numerosi ponticelli praticandovi due fori in corrispondenza alle reni dell’arco e sottopassando lo stesso lungo la superficie di intradosso, ma secondo l’Ufficio del Genio tale disposizione dava luogo a due inconvenienti, di non piccola entità: in primo luogo diminuiva la luce libera di deflusso delle acque e, soprattutto, alterava e indeboliva in modo sensibile la resistenza delle volte, che essendo per la maggior parte costituite da pietrame rozzamente squadrato e messo in opera con malta comune, sarebbero rimaste gravemente danneggiate eseguendo i lavori nelle modalità proposte. Si riteneva più opportuno attuare tutti gli attraversamenti attraverso le spalle, in corrispondenza della platea di fondazione, tranne dove le condizioni locali non lo avessero impedito.3 Il 1º maggio 1912 il progetto era approvato dal Prefetto della provincia di Udine, con decreto n° 8045 Div. III.4 A norma della tariffa allora vigente del Collegio degli Ingegneri per la Provincia di Udine, la specifica dell’onorario del progettista era di 37.635 lire, da lui spontaneamente ridotte a 20.000.5
Un supplemento al progetto, datato 17 maggio 1912 prevedeva una maggiorazione di spesa di 5.700 lire. Alla fine del 1912 l’ing. Granzotto si recava in sopralluogo nei Comuni, accogliendo da questi le richieste, nel complesso limitate, per adattare ancor meglio l’opera alla situazione locale; l’insieme di queste modifiche importava un’ulteriore somma aggiuntiva di 125.203,58 lire, come risultava dal progetto di varianti del 6 luglio 1913; in esso era soppresso il tronco di conduttura di alimentazione scendente in corrispondenza dell’abitato di Oleis e Abbazia di Rosazzo, sostituendolo con altro tronco sviluppantesi lungo la strada provinciale cormonese.6
L’AGGIUDICAZIONE DEI LAVORI Nell’assemblea consorziale del 18 gennaio 1913 era deliberato di procedere all’affidamento dei lavori tramite pubblico incanto, da tenersi a termine dell’art. 87 lettera A del Regio Decreto 4 maggio 1885 n° 3074, stralciando tutta la costruzione del grande serbatoio sul monte dei Bovi, in quanto richiedente opera di artisti specializzati e facendolo oggetto di un lotto speciale, da appaltare anche a licitazione o a trattativa privata.7 Il primo esperimento d’asta si teneva il 3 aprile successivo8 e andava fallito; una delle motivazioni che allora circolava per spiegare questo inaspettato risultato era la sostituzione, deliberata da alcuni Comuni, dei tubi Mannesmann previsti originariamente con quelli in ghisa, materiale il cui prezzo aveva subìto una forte impennata, tale forse da far preoccupare e
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Intestazione a stampa dell’Impresa Parpinelli, alla quale con contratto del 30 giugno 1913 erano affidati i lavori di costruzione dell’acquedotto Poiana.
Comunicazione ai sindaci consorziati che l’Impresa aggiudicataria per i lavori di costruzione dell’acquedotto Poiana era la «Checchetti, Parpinelli e Natalini di Cologna Veneta», 21 maggio 1913.
allontanare le imprese potenzialmente interessate a concorrere, rimanendo un insufficiente margine di guadagno. Commentando questo esito, i consorziati ritenevano che, data la specialità dell’opera, l’apertura di una nuova asta si sarebbe presentata poco conveniente, piuttosto era meglio procedere con una trattativa privata fra le ditte più serie e capaci. Per togliere ogni potenziale remora alle imprese, si decideva che i Comuni avrebbero sì potuto avere i tubi di ghisa, ma cambiandoli a proprie spese. A quel punto si deliberava di chiedere al prefetto l’autorizzazione a ricorrere alla trattativa privata.9 Ciò era concesso il 18 aprile, alla licitazione privata del 20 maggio 1913 delle 7 ditte invitate se ne presentavano due, quella dell’ing. Giuseppe Parpinelli di Cologna Veneta (Verona) e la Fratelli Ratti & Compagni di Venezia. Dopo aver offerto la prova dell’eseguito deposito cauzionale, i comparsi consegnavano Nella pagina a fianco: avviso d’appalto per i lavori di costruzione dell’acquedotto Poiana, da realizzarsi in base al progetto dell’ing. Granzotto per l’importo di 2.334.079,44 lire, soggetto a ribasso, pubblicato il 28 febbraio 1913.
al banco della presidenza le schede suggellate. Dalla loro apertura e lettura risultava che la prima ditta offriva un ribasso dello 0,25%, la seconda dello 0,11% sulla base di 2.334.079,44 lire. Tenuto conto della migliore offerta, i lavori di costruzione dell’acquedotto erano aggiudicati all’impresa Giuseppe Parpinelli,10 poi dalla stessa assunti con contratto del 30 giugno 1913, approvato il 4 luglio seguente dal Regio Sottoprefetto di Cividale al n° 1922 e registrato il 22 luglio 1913 al n° 225 vol. 81 atti Pubblici, dietro pagamento della tassa di 28.491,88 lire. Dopo aver recuperato tutti gli allegati del voluminoso progetto originale – di parte di esso per qualche tempo si erano perse le tracce, essendo transitato nei contorti meandri ministeriali – tutte le 66 pezze di cui era costituito si mettevano prontamente al sicuro, infilandole nella solida cassaforte del Monte di Pietà cividalese.
CIVIDALE SI VUOLE ALLARGARE Con deliberazione dell’agosto 1913 il Comune di Cividale approvava la perizia dell’ing. Granzotto, relativa alla costruzione di una rete sussidiaria di distribuzione per l’allacciamento delle sue frazioni e borgate, non prevista nel progetto primitivo e dello sviluppo complessivo di 5.940 metri lineari. Le relative condutture si progettavano in tubi Mannesmann del diametro costante di 40 mm, applicando il prezzo unitario di 4 lire per ogni metro, con importo complessivo di 23.760 lire. Su tale variante era chiamato a esprimere un giudizio il Genio Civile, che notava come tale prezzo non fosse stato rigorosamente determinato in conformità alle analisi di progetto, in base al quale avrebbe dovuto essere di 3,34 lire/m, pertanto la spesa si doveva ridurre a 19.839,60 lire. L’altra considerazione, di tipo tecnico, consisteva nel dubbio che – quantunque la competenza idrica dell’acquedotto potesse ritenersi esuberante rispetto agli abitanti della zona servita – l’estensione delle reti urbane e nelle frazioni limitrofe producesse qualche riduzione nei carichi piezometrici per i Comuni maggiormente distanziati dal serbatoio, specialmente nei periodi di massima erogazione; secondo lo stesso Genio, tuttavia,
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IL PROGETTO GRANZOTTO
Testo del telegramma di ringraziamento inviato all’on. Elio Morpurgo, deputato al parlamento per il collegio di Cividale del Friuli, che aveva sempre dimostrato notevole interessamento per l’acquedotto e sostenuto la formazione del Consorzio Poiana, 11 marzo 1913.
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all’atto pratico le eventuali variazioni potevano essere assorbite dalla potenzialità del serbatoio. Trattandosi di modifiche che riguardavano tutti gli Enti consorziati, prima di emettere un parere definitivo si consigliava che le stesse fossero oggetto di uno speciale esame da parte della Giunta consorziale.11 Sulla richiesta estensione, la Sottoprefettura cividalese si riservava di riferire definitivamente in seguito, constandogli in via indiretta che anche altri Comuni consorziati intendessero chiedere l’ampliamento delle loro reti; solo quando il Consorzio avrebbe presentato una perizia completa degli invocati ampliamenti per tutti i consorziati, sarebbe stato possibile conoscere l’entità della spesa e giudicare la convenienza e ammissibilità delle aggiunte, nei riguardi dell’applicazione della legge.12
CAPITOLO V
Seduta dell’11 febbraio 1911, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1910-1923. Seduta del 24 novembre 1911, in ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Copia del decreto del Corpo Reale del Genio Civile della Provincia di Udine del 6 febbraio 1912 in ACAP, cart. ‘Trasformazione azienda’. Copia del decreto del Prefetto del 1º maggio 1912 in ACAP, cart. ‘Trasformazione azienda’. ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923, seduta del 5 ottobre 1912. La specifica originale delle competenze spettanti all’ing. Granzotto, datata 30 settembre 1912, ove è indicata la somma totale del suo avere e la riduzione spontanea a 20.000 lire, è conservata in ACAP, cart. Conti Consuntivi 1912-13-14, fasc. Conto consuntivo 1913 compresa la gestione provvisoria 1912. Il progetto completo, costituito da 66 pezze e dell’importo di 2.400.000 lire comportava competenze complessive, calcolate per scaglioni, pari a 28.035 lire e lo studio Granzotto eseguiva anche una seconda copia completa del progetto, con 12 planimetrie generali e altre copie richieste da amministrazioni diverse. L’ing. Granzotto il 6 luglio 1913 presentava al Consorzio tre pezze (I Relazione, II Planimetria generale, III Perizia della spesa), nelle quali aveva
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riunito le varianti e le aggiunte al suo progetto del 23 novembre 1911, assecondando i desideri dei Comuni interessati; la maggiore spesa sarebbe stata ripartita tra essi, con i medesimi criteri già stabiliti a suo tempo. Seduta del 18 gennaio 1913, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La notizia dell’asta era pubblicata anche in Forum Iulii n. 9 dell’1 marzo 1913, p. 3. Seduta del 10 aprile 1913, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19101923. Verbale di licitazione del 20 maggio 1913, ACAP, cart. Contratti e collaudi; Relazione 1920, pp. 28-31. Per la precisione, in base a quanto riportato in una circolare del Consorzio datata 21 maggio 1913, l’impresa assuntrice era Cecchetti-Natalini-Parpinelli, come si legge anche in Forum Iulii n. 27 del 5 luglio 1913, p. 2. Comunicazione del Corpo Reale del Genio Civile alla R. Prefettura di Udine del 20 aprile 1914, ASMunCiv, cart. LL. PP. 1913-1914, fasc. 1914, cat. 19 Fontane, Lavatoi. Lettera della R. Sottoprefettura di Cividale al Sindaco del 28 maggio 1914, ASMunCiv, cart. LL. PP. 1913-1914, fasc. 1914, cat. 19 Fontane, Lavatoi.
VI CAPITOLO SESTO
LA REALIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO
VAI COL PICCONE, OVVERO IL VIA AI LAVORI Per la completa realizzazione di tutte le opere contemplate nel progetto dell’ing. Ugo Granzotto era stato previsto il termine di 14 mesi, ma considerando l’enorme estensione del tracciato – intorno ai 200 chilometri – e le difficoltà di approvvigionamento delle tubature occorrenti, tale tempistica era stata dilatata, aggiungendo sei mesi nella seduta assembleare del 10 aprile 1913 e poi ancora una sessantina di giorni, per ritardi causati da forza maggiore. La scadenza finale era quindi stata fissata al 31 marzo 1915. L’ing. Ugo Granzotto era direttore dei lavori, mentre il cav. Lorenzo de Toni aveva l’incarico di direttore dell’esercizio provvisorio dell’acquedotto. Va rimarcato che l’opera risultava significativa anche per attenuare sensibilmente la disoccupazione locale, assai intensa in quel frangente storico.1 La consegna dei lavori avveniva il 1º luglio 1913, tracciando sul colle dei Bovi il perimetro degli scavi ove sarebbe sorto il serbatoio. Nei giorni successivi si procedeva alla consegna dei lavori di completamento per la parte meccanica dell’edificio di presa, al tracciato della conduttura principale in corrispondenza del primo attraversamento del Natisone e del rimanente percorso fino al serbatoio. Si continuava il tracciamento di tutte le condutture discendenti con i relativi dettagli di attraversamenti e la consegna materiale di tutti i lavori appaltati aveva termine il 2 agosto.
Durante il periodo di tempo occorso per effettuare il completamento della consegna, l’impresa intraprendeva già i lavori di scavo in roccia sul monte dei Bovi. Iniziava così la scalata all’imponente montagna di lavoro da compiere. Quando si sarebbe raggiunta la vetta?
Intestazione a timbro della ditta Giuseppe Parpinelli, adottata nel periodo in cui era esecutrice dei lavori di costruzione dell’acquedotto.
I LAVORI IN CRONACA DIRETTA
Intestazione del verbale di consegna dei lavori di realizzazione dell’acquedotto all’Impresa Parpinelli, 2 agosto 1913.
Grazie ai rapporti mensili che l’ing. Granzotto stilava puntualmente per la presidenza consorziale, possiamo conoscere in dettaglio l’evoluzione e la sequenza cronologica dei lavori. Per l’efficace immediatezza di queste venti relazioni, da esse si estrarranno gli elementi per seguire, in una sorta di cronaca diretta, l’impegnativa impresa della costruzione dello straordinario manufatto.2 Come in precedenza, i brani qui trascritti
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LA REALIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO
Sezioni di scavi praticati nel dicembre 1913 per il tracciato dell’acquedotto. I disegni sono riportati nel Libretto delle misure, compilato dall’impresa costruttrice.
Sezione di un ponte di 8 metri di luce e, sotto, di due tombini, realizzati nel marzo 1914 per la posa dell’acquedotto. I disegni sono riportati nel Libretto delle misure, compilato dall’impresa costruttrice.
testualmente sono distinti con il carattere corsivo; per maggiore completezza, ove ritenuto utile si riporteranno anche altre notizie legate al divenire della complessa attività consorziale, tratte da diverse fonti. I-II) agosto-9 settembre1913 Si scava lungo il canale fugatore presso l’edificio di presa, per dar luogo alla posa della tubazione in corrispondenza di quel tratto. Si infiggono nell’alveo del Natisone i pali di sostegno della briglia a protezione della conduttura in corrispondenza dell’attraversamento del fiume. Si sono ultimate le spalle in calcestruzzo del ponte pedonale sul Natisone presso la presa. È stata fatta la prima spedizione dei tubi di ghisa da 420 mm di diametro. III) 10 settembre-13 ottobre 1913 Gli scavi in roccia sul colle dei Bovi sono pressochè ultimati, hanno subito un lieve ritardo in causa della durezza della roccia in corrispondenza della parte più profonda della trincea. Eccettuati pochi metri in corrispondenza della sponda destra del Natisone, è stata posta in opera la conduttura di ghisa da 420 mm di diametro, dalla presa fino all’incrocio della strada nazionale. Il lavoro è riuscito benissimo, benchè sia stato ostacolato da frequenti morbide del fiume e da abbondanti piogge. I tubi si presentano ottimamente fusi e di calibro perfetto; la qualità della ghisa è bella all’aspetto e pertanto si potrebbe arguire che anche alla prova soddisferà alle prescrizioni del capitolato. Le spalle del ponte sul Natisone sono state ultimate.
LA REALIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO
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IV) 14 ottobre-21 novembre 1913 Gli scavi in roccia per la costruzione del grande serbatoio sono stati completamente ultimati e si è iniziata la gettata di calcestruzzo per le platee, avendo l’impresa messo in regolare funzione l’apparecchio a motore termico per il sollevamento dei materiali da costruzione. Superate le maggiori difficoltà, la posa della conduttura principale di ghisa da 420 mm procede ora regolarmente lungo la strada nazionale e fra pochi giorni saranno raggiunti i 3000 metri. I tubi provengono da tre fabbriche: Savona, Forlì e Brebach, ugualmente accreditate. V) 22 novembre-31 dicembre 1913 È stata compiuta la gettata di calcestruzzo in corrispondenza delle fondazioni e del primo strato della platea del serbatoio al colle dei Bovi. Attualmente le gettate di calcestruzzo sono sospese in causa del gelo persistente che ne comprometterebbe la solidità. Anche i lavori di posa della conduttura da 420 mm hanno proceduto in questi ultimi giorni a rilento in causa della rigidità della stagione, precipuamente pregiudizievole alle prove idrauliche della conduttura stessa ed in causa delle difficoltà incontrate nell’escavo della roccia in trincea. Siamo però arrivati a Stupizza con uno sviluppo di metri 3000 circa. Sollecitata l’impresa ad affrettare il lavoro di posa della conduttura, ha promesso di attendervi con maggior sollecitudine ed a tale uopo userà le perforatrici meccaniche, le quali permettono di rendere molto più spedito il lavoro di escavo della roccia in trincea. Si era individuato nelle difficoltà dello scavo in roccia l’elemento che avrebbe cronicamente rallentato la tabella di marcia dell’epica impresa, pertanto si stabiliva di iniziare separatamente anche la posa dei tubi nel tratto a valle, privo dell’ostica rupe da demolire. I lavori erano eseguiti da una cinquantina di operai. Il freddo assai intenso faceva sospendere quasi completamente le operazioni durante il mese di gennaio; riprendevano regolarmente dal 9 del mese seguente, ma non con la desiderata alacrità, a causa delle insistenti piogge che si manifestavano subito dopo il disgelo. Gli acquazzoni non impedivano di procedere sia alla prova della conduttura da 420 mm fino a Stupizza, con conseguente ritombamento degli scavi e ripristino dei manti stradali, sia alla posa in opera di circa 900 metri di conduttura da 420 mm fra Sanguarzo e il serbatoio; si aprivano anche le trincee per la posa dei tubi fra lo stesso serbatoio e Cividale, essendo i materiali in parte già giunti in città. VI-VII-VIII) 9 marzo-26 aprile 1914 Del serbatoio al colle dei Bovi sono state ultimate le vôlte di copertura ed ora si procederà alla costruzione degli avancorpi laterali.
Sezioni di opere costruite nel marzo 1914 per la posa dell’acquedotto. I disegni sono riportati nel Libretto delle misure, compilato dall’impresa costruttrice.
Le condutture da 420 mm sono state pressochè ultimate a monte ed a valle del serbatoio fra Sanguarzo e Porta S. Giovanni di Cividale. Il direttore Granzotto non aveva motivo di lagnarsi verso l’impresa per il modo in cui erano eseguiti i lavori, piuttosto lamentava un’insufficiente solerzia nel loro proseguimento, tanto da trasmettere una nota ufficiale alla medesima, il 26 aprile 1914, del seguente contenuto: Con mio rincrescimento debbo ancora una volta constatare che i lavori di costruzione dell’acquedotto procedono troppo a rilento per deficienza soprattutto di previdente ed efficace organizzazione da parte vostra. Si debbono infatti continuamente lamentare sospensioni forzate nelle prove delle condutture per mancanza di pezzi speciali e di organi, dei quali l’impresa dovrebbe essere provvista in tempo utile. Per effetto di mancanza di scatole ed otturatori è anche sospesa la posa delle condutture da 350 e 300 mm (…) E le rotture dei tubi sono dovute molte volte a negligenza nel trasporto e posa dei medesimi. Debbo pertanto richiamarvi nuovamente alla stretta osservanza dei patti contrattuali (…).3 Per far procedere il lavoro con maggiore sollecitudine, l’impresa si provvedeva di un sistema meccanico di perforazione della roccia, utile a collocare le mine lungo le trincee.
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LA REALIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO
Carta intestata della Direzione dei lavori dell’acquedotto Poiana, in uso nell’anno 1917.
Sorgevano dei contrasti con l’ufficio del Genio Civile, che aveva dato delle indicazioni inerenti alla prova della conduttura, secondo l’ing. Granzotto – che mal aveva digerito questa ingerenza ritenuta eccessiva e illecita – troppo rigorose, tali che adottandole occorrerebbero molti anni prima di veder finito il lavoro ed all’acquedotto delle Puglie non basterebbe mezzo secolo.4 IX) 27 aprile-30 maggio 1914 Del serbatoio al colle dei Bovi si è completata la parte centrale più importante, ed iniziato la costruzione dei corpi laterali e del muro di sostegno del terrapieno di copertura. Della condotta da 420 mm di diametro si sono posti in opera e provati m. 450 a monte di S. Guarzo e si è iniziata la posa di una nuova tratta di m. 300 presso Pulfero. Della conduttura di 350 mm di diametro, attraverso Cividale da porta S. Giovanni a porta S. Pietro, si sono posti in opera e provati 600 metri circa. Da porta S. Pietro a Gruppignano si sono posti in opera 1500 metri di conduttura in parte da 350 mm ed in parte da 300 mm, che saranno provate fra brevi giorni. In questo periodo lavoravano mediamente una settantina di operai. Dall’edificio di presa, la posa dei tubi proseguiva in modo continuo per circa 3000 metri, fino a Stupizza, ma qui si cominciava a incontrare la roccia compatta, che impediva di procedere sollecitamente con il lavoro. Si faceva giungere sul cantiere il macchinario per l’installazione delle perforatrici, le armi più adatte per Ricevuta di pagamento del canone annuale di 200 lire dovuto per la concessione demaniale alla posa della tubatura dell’acquedotto lungo la strada nazionale del Pulfero, 26 agosto 1913.
Lettera pubblicata su un quotidiano locale il 9 maggio 1914, con la quale un lettore esprime il suo disappunto nell’aver inaspettatamente incontrato, lungo la strada nazionale percorsa per giungere alla stazione di Cividale, gli scavi per la posa delle condutture del Poiana. Per i ritardi subiti, deprecava di aver perso il treno.
combattere proficuamente la durezza della roccia incontrata sul percorso. L’impresa, preoccupata del tempo eccessivo impiegato nel cammino dei tubi dalla presa verso valle, chiedeva alla direzione di poter iniziare la posa anche a monte e a valle del serbatoio. Ritenendo che ciò non tornasse pregiudizievole alla buona esecuzione delle opere e ai precetti igienici, gli era consentito di procedere contemporaneamente con le condutture da 420 mm da Sanguarzo in sù, continuando inoltre la posa di quelle da 300 mm da Grupignano verso Premariacco.
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Di concerto con il Genio Civile si era convenuto di procedere da Stupizza in giù e da Sanguarzo in sù contestualmente, per tratte contigue di 300 m alla volta, fino a che le due testate di avanzamento sarebbero state tanto vicine da ostacolare il transito; da quel momento, si sarebbe proceduto su un solo fronte di avanzamento. Ferme restando le norme stabilite dal disciplinare di concessione, era concesso all’impresa che il materiale proveniente dagli scavi si potesse riporre lateralmente alla trincea, ma esclusivamente da un solo lato, quello opposto alla sede del transito. Su questo nuovo modo di procedere, accordato per rendere più sollecita l’esecuzione, l’ing. Granzotto rassicurava la dubbiosa presidenza che non occorreva affatto disporre della massa idrica proveniente dall’edificio di presa per effettuare la prova idraulica della conduttura messa in opera, operazione necessaria prima di rinterrare i tubi inseriti sul fondo delle trincee profondamente scavate. Tale prova – sosteneva il tecnico – poteva solo riuscire più faticosa perchè invece di aprire un semplice rubinetto si doveva immettere l’acqua nella condotta a mezzo di una pompa, ma vi si impiegava lo stesso tempo, anzi forse di meno perchè il liquido non poteva passare da un tratto a quello successivo che a mezzo del piccolo tubo di soli 20 mm di diametro, posto a cavaliere della scatola di prova, interposta tra i due tratti contigui di conduttura; non era importante avere 5 o 10 metri di carico naturale d’acqua, in quanto era essenzialmente con la pompa speciale di prova che si potevano raggiungere le pressioni necessarie, di 10 e 15 atmosfere. Relativamente poi agli inconvenienti igienici che si temevano usando per la prova acqua diversa da quella proveniente dalla presa, faceva osservare che di qualunque natura fosse stata l’acqua immessa, essa sarebbe sempre diventata imperfetta nelle tubazioni, per effetto dei depositi terrosi che inevitabilmente si trovavano al loro interno. L’unico, semplice mezzo usualmente adottato per pulire le condutture a lavori ultimati era quello di far funzionare i tubi a piena portata per otto o dieci giorni, lasciando aperti tutti gli scarichi collocati nei punti più depressi del tracciato. Si faceva osservare che l’acqua adoperata per le prove della maggior parte delle tubazioni fino ad allora posate proveniva dalla fonte Poiana per il primo tratto da 420 mm fino a Stupizza, quella dell’acquedotto di Sanguarzo per il tratto in prossimità di quell’abitato e quella di Purgessimo per i tratti da Cividale in giù, soltanto per poca tubazione si era adoperato il contenuto del Rio Emiliano, ma anch’esso perfettamente limpido e forse in condizioni di potabilità migliori rispetto a Purgessimo.5 In questa pagina e nella seguente: intestazioni su fatture delle ditte fornitrici di materiale impiegato nelle varie fasi di realizzazione dell’acquedotto Poiana, i cui lavori furono intrapresi dal 1913. Si tratta di prodotti idraulici e di altra eterogenea tipologia, necessari per portare a compimento un’opera di enorme mole e grande complessità.
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X) 1-30 giugno 1914 Del serbatoio al colle dei Bovi si è quasi ultimato il muro di sostegno del terrapieno di copertura. Della tubazione da 420 mm di diametro si sono posti in opera, provati e ritombati circa m. 500 lungo la strada nazionale a monte di Pulfero; m 400 sono stati posti in opera a monte di S. Guarzo e si sta attualmente provandoli. Della tubazione da 300 mm si sono posti in opera m 250 a valle di Gruppignano verso Premariacco e si è provato il tratto precedente di m 1000. Si provavano le perforatrici meccaniche, per formare le trincee nella roccia, da Stupizza verso Pulfero. Sul cantiere arrivava anche la passerella metallica per l’attraversamento del Natisone alla presa. Per una tratta di 2500 metri si adottava la variante del tracciato in corrispondenza di S. Pietro al Natisone, proposta dallo stesso Comune, onde giungere all’attraversamento del ponte di Vernasso. In tal modo si attivavano altri due fronti di lavoro, che ai primi di luglio 1914 erano dunque sei:
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1) da Stupizza in giù, 2) da Sanguarzo in sù, 3) e 4) a monte e a valle di S. Pietro al Natisone fuori della sede della strada nazionale, 5) da Grupignano verso Premariacco, 6) dal crocevia al Gallo verso Moimacco. XI) luglio 1914 Del serbatoio al colle dei Bovi si sono ultimati gli intonaci e la platea nell’interno delle vasche continuando quelli di costruzione dei corpi laterali. Della tubazione da 420 mm di diametro si sono posti in opera, provati e ritombati m. 40 lungo la strada nazionale fra S. Guarzo e S. Quirino (…) posti in opera, ma non ancora provati, m. 300 a Valle di Stupizza. Della tubazione da 300 mm si sono posti in opera, provati e ritombati m 750 a valle di Gruppignano e provati e ritombati m 250 e sono infine stati posti in opera, ma non ancora provati, m 800 verso Premariacco. Della tubazione di 150 mm si sono posti in opera, provati e ritombati m 1600 fra il bivio del Gallo e Bottenicco e posti in opera, ma non ancora provati, m 300 in corrispondenza di Bottenicco. I lavori continuano a progredire con una certa lentezza, tanto che la Presidenza del Consorzio diffida l’impresa per farli procedere con maggiore efficenza, dato che vi è la possibilità di operare su più fronti. Il geom. Antonio Miani, membro della Giunta consorziale, per l’esito delle elezioni amministrative di Cividale rinunciava all’incarico e vi subentrava l’ing. Ernesto de Paciani. Un ulteriore rinuncia per la Giunta era quella del conte Caiselli, in quanto non ricopriva più la carica di sindaco di Pavia di Udine; conservando comunque quella di assessore anziano di quel Comune, non vi erano motivi plausibili per l’abbandono del posto e così si evitava di privare l’amministrazione della sua autorevole presenza.6 XII) agosto 1914 Del serbatoio sono stati quasi ultimati i corpi laterali ed i muri di sostegno al terrapieno di ricoprimento delle vasche. Fu montata completamente la passerella in ferro sul Natisone presso alla presa. La sequenza di tubature posate, provate e non provate, ritombate, trincee scavate ma non posate ecc., minutamente riportata nelle periodiche relazioni della direzione lavori diventa complessa, lavorando in contemporanea sui diametri di 420, 300, 225, 200 e 150 mm. Non è il caso di riportare qui integralmente questi lunghi elenchi, ci si limita a sintetizzare che con la tubatura di 225 mm si giungeva fino a Orsaria, con quella di 200 mm si arrivava a valle di Buttrio e con i 150 mm a Bottenicco. Quella da 420 mm, fino ad agosto era posata per complessivi 6,250 chilometri. Le perforatrici per lo scavo delle rocce nelle trincee non funzionavano che a brevi intervalli, stante la pochissima roccia che s’incontrava poco a valle di
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Stupizza; si riteneva che potessero essere maggiormente utilizzate in seguito. I lavoratori impiegati erano in media 170. Troppo pochi, per pensare di concludere i lavori nei tempi prefissati. L’impresa, accogliendo l’ordine del Consorzio di aumentare sensibilmente gli addetti, dislocava ulteriori forze lavorative fino a raggiungere il numero di 312, così censite nel sopralluogo effettuato in tutti i cantieri il 17 agosto 1914: 31 operai per gli scavi nell’alveo del Natisone presso la presa, 10 per la posa del ponte in ferro sul Natisone, 52 per scavi e posa di condutture da 420 mm di diametro a Stupizza, 15 per scavi a monte e 45 a valle di San Quirino, 14 per la costruzione del serbatoio, 73 per scavi e posa di tubi da 150 mm a Moimacco, 60 per i tubi da 225 mm a Premariacco, 12 per opere varie, giunzioni, lavori di fabbro e falegname.7 L’attraversamento delle condutture sul Natisone avveniva su un’apposita struttura sospesa tra le due alte sponde del fiume.
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XIII) settembre 1914 Il serbatoio è stato quasi ultimato, non mancano che alcuni lavori di finimento. Si sono iniziati nell’edificio di presa i lavori per la posa in opera degli apparecchi metallici. Sono state eseguite le piombature delle giunzioni dei tubi lungo l’attraversamento del Natisone presso alla presa, e le conseguenti gettate di calcestruzzo. (…)
Posizione dei tubi metallici su due attraversamenti di corsi d’acqua nei pressi di Cividale, uno sul Rio Emiliano e l’altro sulla roggia Torreano-Cividale, nel giugno 1914. I disegni sono riportati nel Libretto delle misure, compilato dall’impresa costruttrice.
Schemi dei tubi collocati per l’attraversamento di un piccolo ponticello, all’altezza della sezione 89 del tracciato dell’acquedotto, giugno 1914. I disegni sono tracciati nel Libretto delle misure, compilato dall’impresa costruttrice.
Questo attraversamento era stato realizzato nell’autunno precedente, ma allora non era stato possibile ultimare la giunzione dei singoli tubi a motivo delle morbide che si verificavano successivamente, cioè dell’acqua alta del fiume. Per poter impiombare i 27 giunti all’asciutto, si dovette costruire attorno ad ognuno di essi una specie di cassa stagna, servendosi d’una gabbia di tela da vela assieme a 75 sacchetti telati ripieni di bèton, calcestruzzo di cemento; questa delicata operazione aveva richiesto la paziente posa di 2.025 sacchetti in totale.8 Proseguiva la posa della tubazione di vario diametro, quella da 200 mm era inoltrata per 1600 m fra Buttrio e il bivio per Pradamano-Lovaria, altri tubi di diametro minore giungevano a lambire Remanzacco e Ziracco. Dalla sorgente al serbatoio mancavano ancora 7,2 km di conduttura da 420 mm. Il numero di operai impiegati era sensibilmente aumentato, la media era di 400 unità. Di essi 185 lavoravano tra Cividale e Stupizza, posando circa 50 m di tubi al giorno; 20 persone erano addette al montaggio della passerella e nell’esecuzione dei giunti lungo l’attraversamento dell’alveo del Natisone e 15 al serbatoio. Nei cantieri a valle di Cividale vi erano 180 operai, che giornalmente posavano circa 340 metri di condutture. Riassumendo, sino a questo momento erano iniziati i lavori nei Comuni di Cividale, Moimacco, Remanzacco, Premariacco, Buttrio e Pradamano, dovevano ancora cominciare a Ipplis, Manzano, San Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo, Trivignano e Pavia di Udine. Le tubazioni da porsi in opera, secondo il progetto misuravano complessivamente sui 194 km, ne erano state posate 28,26 km e mancavano quindi ancora circa 166 chilometri. Sezioni di tre diversi attraversamenti con i tubi, quello tracciato superiormente relativo al Rio Emiliano, quelli inferiori nei pressi di borgo S. Pietro di Cividale, giugno 1914. I disegni sono riportati nel Libretto delle misure, compilato dall’impresa costruttrice.
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LA SITUAZIONE DELLA POSA DELLE CONDUTTURE AL 24 SETTEMBRE 1914
Poste in opera km
Cividale
Moimacco
Remanzacco
Premariacco
Buttrio
Pradamano
14,62
6,50
1,30
4,64
0,95
0,25
2,00
1,40
0,50
12,00
2,60
9,50
In corso di lavoro km Mancano ancora km
51,70
1,90
XIV) ottobre 1914 Il serbatoio sul colle dei Bovi venne ultimato. Nell’edificio di presa fu ultimata la posa in opera degli apparecchi metallici e sistemate le vasche per la perfetta impermeabilità. Fu iniziato l’escavo di una trincea della lunghezza di circa m 1000 nei terreni privati fra S. Pietro ed il Natisone. (...) I tubi si avvicinavano a Orzano, Chiasalp, Pavia d’Udine, Oleis, Manzano e San Giovanni, Lumignacco, Selvis. Complessivamente in questo mese si ponevano in opera 23.460 m di condutture. A metà ottobre si dava l’ordine di sospendere i lavori delle diramazioni interne da Moimacco per Chiasalp, fino all’ultimazione della raccolta del granoturco e della semina del frumento, operazioni altrimenti ostacolate dagli scavi lungo le strade. La costruzione del serbatoio era effettuata con diligenza ed accuratezza, impiegando materiali murari di buona qualità, come era esplicitamente rilevato nel corso del collaudo finale.9 Secondo il direttore dei lavori, tenendo conto del precorso andamento delle opere, per poterle ultimare nel termine stabilito dal contratto necessitava che l’impresa, oltre che sistemarsi tecnicamente ed amministrativamente, impiegasse altri 200 operai nei cantieri a valle di Cividale e 60-70 a monte. L’ing. Granzotto esternava alla presidenza consorziale le difficoltà per indurre la ditta a migliorarsi sotto il profilo organizzativo. XV) novembre 1914 La tubazione da 420 mm si posava ancora lungo la linea dal Ponte di San Quirino verso Pulfero, si provava e ritombava quella di varie località interrata il mese precedente. Nuovi tratti erano quelli fra Pavia di Udine e Selvuzzis, fra Lumignacco e Risano, a Purgessimo, fra il crocevia Al Cristo e Madriolo, Rualis, Gagliano, fra Selvis e Cerneglons, fra Buttrio e Manzinello, fra Buttrio e Maniago, fra Camino e Manzinello, a Bolzano. A novembre si posavano 28.165 metri di tubi. In questa pagina e nella seguente: intestazioni di imprese fornitrici di materiale per la costruzione dell’acquedotto, variamente dislocate, soprattutto nel nord Italia.
8,85
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XVI) dicembre 1914 I lavori non sono progrediti con la dovuta alacrità, in causa delle frequenti pioggie e delle feste, sì che si ebbero poche giornate lavorative. (…) Si aprivano scavi per nuovi tratti di conduttura, si provavano e ritombavano porzioni posate il mese precedente e si riusciva ad affidare all’abbraccio della terra i tubi tra il bivio per Ipplis e Spessa, altri 1500 metri fra Selvuzzis e Percoto, 300 fra il bivio per Dolegnano e San Giovanni. Altri tratti fra S. Lorenzo e Manzinello, a Leproso. Per la situazione climatica sfavorevole si posavano in totale 12.290 metri, meno della metà del mese precedente. XVII) Gennaio 1915 I lavori si dislocavano maggiormente fra Percoto e il bivio per Melarolo, fra Lovaria e Lumignacco, fra Lumignacco e Risano, fra Villanova e Medeuzza, fra Soleschiano e Manzinello, fra il bivio per Chiasottis e la stazione di Risano, da Buttrio a Buttrio in Monte, Cortello, negli interni di Cerneglons, Selvis, S. Lorenzo, Vicinale di Buttrio. In questo mese si tornava alle medie precedenti, con 24.601 metri posati. XVIII) febbraio 1915 Della tubazione da 420 mm fra Brischis e ponte S. Quirino furono provati e ritombati m 650 posti in opera nel mese scorso, posti in opera ma non ancora provati metri 500. (…) I diametri minori, da 125 a 40 mm, trovavano collocazione da S. Giovanni di Manzano al nodo per Villanova, da Villa Torriani verso case Brandis, tra Trivignano e Clauiano, tra Trivignano e Case Rubini, all’interno degli abitati di Buttrio, Purgessimo, Soleschiano. I metri di tubazioni interrate erano 13.560, il maltempo impediva di posarne una quantità maggiore. XIX) marzo 1915 Della tubazione da 420 mm lungo la strada nazionale detta del Pulfero, fra Brischis e Ponte S. Quirino furono posti in opera, provati m 1530; presso il serbatoio furono posti in opera, provati e ritombati m 40; con questo ultimo tratto la tubazione da mm 420 dall’edificio di presa a Cividale (Porta S. Giovanni) è completata. Fra Buttrio e il bivio per Pradamano furono posti in opera, provati e ritombati m 370; su detta tratta e precisamente in corrispondenza dell’attraversamento del ponte sul Torre, furono posti in opera provati e ritombati m 261 di tubi d’acciaio Mannesmann del diametro interno di mm 300, quale controtubo di rivestimento. Gli apparecchi del serbatoio sono stati posti in opera e fra otto o dieci giorni si renderà officioso il serbatoio, essendo completata la tubazione principale di arrivo al medesimo.
L’edificio di presa della sorgente Poiana a costruzione ultimata: solido, funzionale, ben rifinito nei particolari costruttivi e con una ammirevole attenzione ai dettagli decorativi.
Entro il corrente mese si ritiene che potranno essere ultimate tutte le condotte principali in tutti i Comuni ed entro il p.v. mese di maggio anche le derivazioni minori. Altra tubazione si adagiava tra Spessa e Corno di Rosazzo, fra Lovaria e Lumignacco, fra Trivignano e Clauiano, fra Gagliano e Dernazzacco, fra Corno di Rosazzo e Gramogliano e negli interni di Orsaria, Visinale, Rualis, Risano, Clauiano, Manzano, Grupignano. In totale si raggiungevano i 26.000 metri posati. XX) dal 10 aprile a maggio 1915 Della tubazione da mm 225 fra Premariacco ed il nodo per Ipplis in corrispondenza dell’attraversamento del Natisone, furono posti in opera, provati e ritombati m 256. Nuovi tratti si avevano anche tra Persereano e Popereacco, a Lumignacco, all’interno di Sanguarzo, Rualis, Corno di Rosazzo, Manzano, Melarolo, Pavia di Udine, Clauiano, Risano,Trivignano, ma soprattutto proseguivano le prove e i ritombamenti dei segmenti posati nel mese precedente. La distanza ottenuta In questa pagina e nella seguente: come si evince dalle intestazioni una parte, pur limitata, delle imprese fornitrici di attrezzatura e materiale per il cantiere dell’acquedotto, era locale.
sommando tutti i tubi posati in questo periodo di tempo assommava a 36.998 metri. Per avere i lavori ultimati ne mancavano solo 6.625, per diramazioni nelle località di Godia, fra Melarolo e Merlana, fra Rubignacco e le Fornaci, fra Corno e Villa Torriani, a Oleis verso Palazzo Marchi e Abbazia di Rosazzo, Percoto e Pavia, oltre a tutte le diramazioni interne di Cividale.
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I lavori proseguivano con decrescente intensità durante il resto del 1915 e la prima metà dell’anno successivo. Il 28 ottobre 1915 era immessa l’acqua nella condotta di distribuzione verso Gagliano, San Giorgio di Rualis e Purgessimo, mentre nella zona oltre Torre risulta immessa nel febbraio 1916. In seguito il lavoro illanguidiva, limitandosi a modeste opere di completamento, con parziali sospensioni dovute alle circostanze eccezionali della guerra.10 Pur mancando alcune opere di completamento e il serbatoio di carico non fosse ancora in servizio efficiente, funzionando l’acquedotto con una tubazione provvisoria di collegamento, il 26 settembre 1916 si stipulava tra Impresa e Consorzio un atto consensuale con il quale, in dipendenza delle particolari condizioni create nel territorio dalla mobilitazione e dal conflitto, si liberava consensualmente e senza gravami l’impresa dall’obbligo di ulteriori lavori – tranne alcuni di finitura – mantenendola impegnata solo per le riparazioni e la manutenzione. Entrando l’acquedotto in fase di manutenzione a partire dal 27 luglio 1916, in mancanza di altri documenti – perduti durante l’invasione – si può ritenere questa come la data di ultimazione dei lavori agli effetti contrattuali.11
LA PASSERELLA Allo scopo di rendere agevole l’accesso ai manufatti di presa dalla strada nazionale del Pulfero, che corre lungo la sponda sinistra del fiume, si assemblava un ponte pedonale in ferro della lunghezza di 45 m e largo 1,10 metri. Secondo il progetto, questa passerella doveva essere formata da due travate maestre a briglie parallele e croci di S. Andrea alte 2,20 metri, del peso complessivo di circa 8.000 kg. In seguito al rifiuto di eseguire il lavoro contenendolo nei limiti di spesa assegnati, espresso dalla prima officina costruttrice interpellata, quella di Savigliano (Cuneo), ci si rivolgeva a una ditta di Verona, che accettava, sostituendo però le travi rettilinee con quelle paraboliche, più pesanti (9.338 kg), che posizionava sulle spalle murarie nell’agosto 1914. Constatando che con tale struttura la passerella oscillava parecchio anche al passaggio di pedoni isolati, sorgevano dubbi sulla sua stabilità, anche tenendo conto dei forti venti dominanti lungo il corso del Natisone. Si incaricava l’ing. Voghera di Padova di compilare un progetto di irrobustimento della struttura, ma per la sopravvenuta invasione nemica ciò non si poteva eseguire.12 Nel 1917, dopo l’invasione, gli austriaci rimossero la passerella dal sito originario, trasportandola sul Natisone a Vernasso, rinforzarono le due travate con sostegni intermedi e le caricarono con doppia tubazione,
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Per attraversare il letto del fiume in ogni condizione di afflusso d’acqua, era costruita una apposita passerella.
lungo la quale evidentemente volevano deviare la condotta maestra; un’operazione non condotta a termine, continuando questa sul tracciato originario, solcando il fiume sul ponte in muratura di Vernasso. In fase di collaudo, nel 1920 i tecnici trovavano la passerella ancora in quei pressi, che giaceva inutilizzata.13
PALA E MINE. GLI SCAVI A COTTIMO Per posare i circa 200 km di tubature previsti, si dovevano tagliare terreni geologicamente di natura molto diversa: rocce compatte da mina, rocce stratificate, disgregate o sfatte, da piccone e leva; conglomerati più o meno tenaci, talora refrattari alla mina e faticosamente scavabili a punta e mazza. Non mancavano banchi di ghiaia e sabbie miste a ciottolame e anche a grossi trovanti, il più delle volte compatti e smuovibili a piccone e pala, nonché terreni acquitrinosi su soggiacenti letti impermeabili. In limitata misura vi erano poi i terreni di media e limitata compattezza, scavabili a zappa e badile.14 Gli scavi in roccia eseguiti dalla ditta Parpinelli, in via approssimativa si possono così distinguere: a) 5000 metri cubi per la condutture principale (2000 mc conglomerato da mina e 3000 mc roccia compatta da mina) b) 5500 metri cubi per le condutture a valle di Cividale (4000 mc conglomerato da mina e 1500 roccia compatta da mina) c) 2700 metri cubi per il serbatoio del monte dei Bovi (tutti in roccia compatta). Lo scavo del conglomerato da mina è più oneroso di quello della roccia compatta, sia per la necessità di impiegare esplosivo più potente – quindi più costoso – e in quantità superiore, sia per il maggior tempo richiesto in conseguenza del limitato effetto delle mine sopra tale materiale; questo maggiore onere si calcolava fosse
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Il numero degli operai era variabile, il massimo si aveva nell’ottobre 1914, quando sul cantiere gli occupati erano 650.
superiore dal 15 al 20%. Per gli scavi necessari alla realizzazione dell’interruttore al Tiglio, scavare i 20 mc di conglomerato da mina richiedeva l’impiego di 540 ore, i 22 di terreno vegetale compatto solo 176.15 Le trincee per la posa delle tubature da Ponte S. Quirino al serbatoio si fecero tutte a cottimo, affidando a ciascun operaio circa 10 metri di scavo, della profondità di 1,60 e larghezza media di 0.80 metri e comprendevano lo scavo di terreno compatto – inclusi i trovanti da rompersi colla mazza –, esclusa la sola roccia; si pagavano 0,40 lire al metro. Il compenso dei cottimi effettuati a Moimacco, Bottenicco, Remanzacco e Ziracco, ove si posarono tubi da 40 a 150 mm, era di 0,28-0,30 lire/metro, per scavi profondi 1,40 e larghi 0,50 metri, esclusa la sola roccia. I ritombamenti, cioè il ricoprimento degli scavi dopo la posa dei tubi, erano pagati da 0,16 a 0,17 lire al metro lineare.16
LE FRUSTATE STIMOLATRICI ALL’IMPRESA Alcuni mesi dopo l’inizio dei lavori, si rilevava che l’impresa lavora bene e con coscienza, quantunque difetti di organizzazione. Alla fine di aprile 1914 l’impresa svolgeva il lavoro secondo il programma imposto dalla direzione, il che faceva ritenere all’ing. Granzotto: è da ripromettersi una regolare prosecuzione dei lavori anche per l’avvenire. Rosee prospettive inzuppate d’ottimismo, queste, che si dissolveranno come i cristalli di neve ai primi tepori primaverili. In maggio nei cantieri ci si muoveva con solerzia, mentre a giugno calava una ondata di fiacca tale da far preoccupare grandemente il direttore Granzotto, convinto che proprio durante la stagione estiva si dovesse procedere con la massima operosità per poter sperare in un effettivo compimento delle opere nel tempo prefissato, ovvero il 31 marzo 1915. Oltre che
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un allontanamento dell’atteso miglioramento delle condizioni igieniche delle tante località interessate all’immane opera acquedottistica, il temuto ritardo avrebbe provocato anche un grave danno alle Amministrazioni comunali, in quanto erano tenute a pagare le annualità del prestito senza introitare i proventi dalla vendita dell’acqua, che invece avevano fatto conto di ricevere. Il 30 giugno 1914 l’ingegnere faceva risuonare tra quelle amene valli il suo severo richiamo all’impresa, rimarcandone le gravi mancanze rilevate: La posa della conduttura da 300 mm a valle di Gruppignano è sospesa per mancanza di tubi. La posa della conduttura da 150 mm per Moimacco non è ancora stata iniziata per mancanza di tubi, mentre l’attacco era disponibile fino da un mese fa. Il lavoro di escavo della roccia per la posa della conduttura da Stupizza in giù, non è stato ancora iniziato perchè mancano i fiorelli forati, pur essendo gli apparecchi sul cantiere da qualche settimana! I lavori del serbatoio procedono stentatamente in causa della mancanza di materiali… e continuava in questa assortita sequenza di riproverevoli mancanze, aggiungendo ancora un’altra lista di rilievi, apparentemente di minore entità, ma dai quali si evince che non vi curate sufficientemente dei dettagli che pure hanno grande importanza in tal genere di lavori. Spronava energicamente l’ing. Giuseppe Parpinelli, titolare della ditta redarguita, a rimuovere subito gli inconvenienti lamentati e a riprendere immediatamente il lavoro secondo le indicazioni della direzione, che voleva progredire contemporaneamente su tutti i cantieri attivati.17 L’impresa rispondeva a stretto giro di posta, prendendo atto dei richiami e promettendo che si sarebbe accinta con alacrità al lavoro, appena fossero giunti sul cantiere i tubi attesi. Tale consegna era effettuata nella prima decade di luglio, ma alla metà del mese non erano ancora stati posati con la dovuta sollecitudine. L’ing. Granzotto richiamava nuovamente l’impresa al suo dovere, assumendo nel cantiere un numero adeguato di sterratori. In effetti alla fine del mese si riscontrava un loro lieve aumento, ma si era ancora ben lungi dalle condizioni di lavoro ottimali, tali da avere l’affidabile prospettiva del loro termine nel tempo prefissato. In quel frangente, ove il sentore della guerra aleggiava sempre più intensamente, l’imposta chiusura della migrazione all’estero e la non ancora iniziata mobilitazione italiana avevano di molto ribassato il costo della mano d’opera, ovunque abbondantemente disponibile. Si era calcolato che, a partire dai primi di agosto 1914, occorrevano costantemente sul cantiere non meno di 300 sterratori, oltre ad altri 50 operai, meccanici, montatori ecc., agli addetti ai trasporti e alle altre opere provisionali. Invece nel sopralluogo del 31 luglio l’ingegnere non trovava che 120 operai sul cantiere: 26 a Stupizza, 20 a Sanguarzo, 43 a Bottenicco, 21 verso
Remanzacco e 10 al serbatoio, nel complesso circa un terzo del quantitativo ritenuto necessario. Inoltre, era stato per suo diretto interessamento presso le case fornitrici dei tubi che si otteneva l’invio regolare e continuativo dei pezzi occorrenti, in modo che il lavoro non avesse a soffrire il minimo ritardo per la loro assenza, com’era già successo.18 Dato che non si trattava di un rallentamento temporaneo, bensì di preoccupante cronicità e visto l’insuccesso che si era riportato con due richiami ufficiali, l’ing. Granzotto proponeva di presentare all’impresa un atto di diffida, rifacendosi all’art. 49 del capitolato d’appalto. Accogliendo tale sollecitazione, il Consorzio il 5 agosto 1914 faceva notificare all’impresa un’ingiunzione affinchè intraprendesse entro dieci giorni i lavori di posa della conduttura con un numero adeguato di operai, per ultimare i lavori entro il tempo convenuto.19 Considerando che rimanevano a disposizione non più di 180 giorni lavorativi prima della scadenza del termine fissato, occorreva operare in modo da posare circa 900-1000 metri di tubi al giorno in media. Allo scadere del termine fissato, si trovava sensibilmente aumentato il numero degli addetti, ma sarebbero serviti almeno altri cento sterratori; l’impresa dichiarava che era disposta a incrementarli ancora, purchè le fosse stato garantito l’incasso dei mandati in tempo utile per poter provvedere alle paghe degli operai.20 Nel complesso, i miglioramenti non dovevano essere particolarmente incoraggianti se, per pervenire alla sistemazione organizzativa dell’impresa, dal mese di novembre 1914 l’ing. Ernesto de Paciani passava alle sue dipendenze, assumendo la direzione dei lavori. Visto che questo nuovo ruolo era palesemente incompatibile con la precedente carica di membro della Giunta consorziale, il posto liberato dall’ingegnere era coperto da Antonio de Pollis, allora sindaco di Cividale.21 Per spostare più rapidamente il materiale scavato, nei pressi della presa erano posati dei binari su cui scorrevano i carrelli metallici.
LA REALIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO
CONTIAMO LE BRACCIA Dal Giornale dei lavori si può ricavare il numero degli operai impiegati dall’impresa, in tempi diversi: 12 agosto 1914, operai occupati . . . . . . . . . . . . . 194 24 settembre 1914, operai occupati . . . . . . . . . . 297 10 ottobre 1914, operai occupati . . . . . . . . . . . . 450 circa 15 ottobre 1914, operai occupati . . . . . . . . . . . . 589 24 ottobre 1914, operai occupati . . . . . . . . . . . . 650 20 marzo 1915, operai occupati. . . . . . . . . . . . . . 600 15 aprile 1915, operai occupati . . . . . . . . . . . . . . 300 19 aprile 1915, operai occupati . . . . . . . . . . . . . . 220 20 aprile 1915, operai occupati . . . . . . . . . . . . . . 265 3 gennaio 1916, operai occupati . . . . . . . . . . . . . . 40 14 febbraio 1916, operai occupati . . . . . . . . . . . . . 2522
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13 cabine dei contatori.23 Per tale ritardo – erano già trascorsi due anni dalla consegna dei lavori –, essendo in quel periodo di guerra i costi dei materiali già saliti moltissimo, non si potevano costruire agli stessi prezzi del capitolato. Inoltre, avendo compiuto quasi tutti i lavori dell’acquedotto, l’Impresa si trovava sprovvista della manodopera scelta e doveva ricorrere alla ditta
OGNUNO HA LE SUE COLPE Va detto che, a giudizio dei collaudatori, l’impresa costruttrice si trovava davanti a prezzi talmente risicati da esigere grande oculatezza e prudenza, per non esporsi a sicure perdite. Inoltre qualche ritardo era dipeso dalle carenze dell’ente appaltante, responsabile ad esempio delle lentissime operazioni di espropriazione, ancora incomplete il 2 novembre 1915, data in cui erano designate e consegnate – per mezzo del perito Locatelli di Udine – le località ove dovevano sorgere le
Manufatto per contatore, sezione A-B, progetto ing. Granzotto del 1911.
Il progetto Granzotto del 23 novembre 1911 prevedeva l’inserimento, in apposite cabine, di contatori sulle tubature del massimo diametro. In seguito però essi non erano collocati e tali manufatti servivano, invece, come punti di controllo della pressione idrica.
Pianta del manufatto per contatore, progetto ing. Granzotto del 1911.
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GLI ATTRAVERSAMENTI
Il territorio consorziale è disseminato dalle cabine originariamente previste per i contatori. Comparandone la struttura con il progetto originale, è evidente che in fase di realizzazione era modificata la loro forma.
Tonini di Udine per tali manufatti – eretti nell’agosto 1916 –, che il 4 gennaio 1917 inviava una fattura di 9.484 lire, mentre il capitolato ne prevedeva solo 4.172. Va segnalato che, in realtà, quelle cabine di così costosa realizzazione non serviranno mai allo scopo originario. Infatti dovevano ospitare i contatori, previsti per misurare l’acqua consumata nei singoli Comuni, ma con la gestione diretta dell’esercizio tali controlli si rendevano inutili. Tenuto conto che l’applicazione dei misuratori avrebbe richiesto una spesa rilevante, la giunta deliberava non solo di non collocarli, ma di procedere subito alla vendita di tutti gli 11 contatori acquistati sin dal 1914 e rimasti inutilizzati, chiedendo un’offerta a varie ditte potenzialmente interessate.24 Si cedevano alla ditta Zacchi di Milano, utilizzando il ricavato di 7.930 lire per comprare altri piccoli contatori, da impiegare nelle utenze private.
Il passaggio delle tubature dell’acquedotto sulla strapiombante forra del Natisone alla Sezione 119, in corrispondenza del ponte di Premariacco, detto ‘romano’. Progetto originale dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
Fra le opere ‘fuori strada’, rileviamo che le condutture attraversavano una prima volta il Natisone in subalveo, lo stesso fiume era poi scavalcato tramite ponti in muratura in località Vernasso, Cividale e Manzano; la gola presso Premariacco era superata con un valico a travata. Altri attraversamenti di corsi d’acqua sono i seguenti: uno sul torrente Torre con il ponte di Buttrio, due sulla Malina e uno sull’Ellero, entrambi affluenti del Torre, oltre a numerosi altri passaggi di torrentelli minori e rivi. Inoltre si aveva l’attraversamento del canale Ledra-Tagliamento e della Roggia di Udine. Questi i passaggi su ferrovie: tre su quella a doppio binario Udine-Gorizia, quattro sulla ferrovia a binario semplice Udine-Cividale.25
MEGLIO GIRARE A DESTRA Il sindaco di San Pietro al Natisone faceva pervenire al Consorzio la calda raccomandazione di non danneggiare il loro acquedotto comunale nel corso dei lavori; in diversi punti poteva essere pericoloso un nuovo scavo per la collocazione di una conduttura parallela all’esistente, inoltre nell’abitato del capoluogo vi era una fitta rete di distribuzione che avrebbe intralciato e reso grandemente difficoltosa la posa della nuova tubazione. Non solo, lungo il tratto dalle ultime case di San Pietro al Ponte di San Quirino vi era roccia lungo tutto il percorso, di estrema durezza e di ostica estrazione, sia con mazza e piccone, che con le mine. Anche nell’interesse del Consorzio, il sindaco Domenis consigliava di deviare la nuova linea del Pojana fin dal principio di questo Capoluogo seguendo la campagna per attraversare il ponte di Vernasso e seguire la comoda strada di destra del Natisone che conduce al Ponte di S. Quirino.
In basso: ponte sul Torrente Corno a Villanova alla Sezione 157 P, sezione longitudinale. Progetto originale dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
Nel caso che il Consorzio trovi ciò utile nel proprio interesse, come è evidente, quest’amministrazione non mancherà di favorire con tutto l’appoggio morale, la intesa coi proprietari i cui terreni fossero da attraversarsi, concedendo naturalmente gratuito il passaggio per le strade comunali. La nota era del 25 aprile 1914, tre mesi dopo il Genio Civile dava parere favorevole alla proposta di tale variante.26
LA VIRATA DI CORNO Nella perizia di variante al progetto principale, elaborata dall’ing. Granzotto accogliendo le richieste dei singoli Comuni, si inserisce anche quella di Corno di Rosazzo. Il tracciato delle condutture maestre per il suo approvvigionamento idrico, anzichè aver luogo a mezzo della progettata conduttura PremariaccoIpplis-Manzano-San Giovanni al Natisone, si compie a
In alto: attraversamento del Ponte sul Malina alla Sezione 134-H. Progetto originale dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
mezzo di apposita tubatura che diramantesi da Ipplis scende all’osteria ‘Alla frasca’, poi a Gramogliano-Corno di Rosazzo-Dolegnano e quindi a San Giovanni al Natisone si allaccia ad anello alla precedente. La variante offre principalmente il vantaggio di un maggior carico disponibile presso Gramogliano, in grado di consentire anche l’alimentazione idrica della Badia di Rosazzo e di numerosi gruppi di case disseminati fra Ipplis e Gramogliano a oriente della Rocca Bernarda; il 4 agosto 1914 l’ufficio di Udine del Genio Civile acconsente alla chiesta variante.27 Oltre a qualche scostamento della condotta maestra dal tracciato progettato, in corso d’opera si apportano altre modifiche, qui di seguito riassunte. Alla tubazione da 60 mm di diametro progettata per la diramazione dal nodo di Leproso attraverso Ipplis, sino a Spessa, si sostituisce una tubazione Mannesmann da 125 mm la quale, riducendosi a Spessa al diametro di 100 mm, prosegue verso sud fino a Gramogliano con un maggior sviluppo in confronto al progettato di circa 3 km, conseguendo però il vantaggio di chiudere ad anello la principale derivazione dalla sottoarteria di levante e conseguentemente ridurre i suoi diametri fra Attraversamento del “Corno”, diramazione interna di Corno di Rosazzo. Progetto originale dell’ing. Ugo Granzotto, 23 novembre 1911.
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Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Corno di Rosazzo, particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917; In fase di posa, il loro tracciato era modificato rispetto al progetto originario. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare. Alcuni dati risultano essere stati qui modificati dall’ing. Cudugnello, nel corso di uno studio di cui era stato incaricato nel 1925.
i nodi di Leproso e per San Giovanni di Manzano, da 200 e 175 mm progettati, rispettivamente a 175 e 150 posti in opera. Un nuovo tronco di allacciamento si costruisce fra Lauzacco e Risano, lungo 2 km del diametro di 50 mm, ottenendo così un secondo anello fra le condotte principali di distribuzione alimentate dalla sottoarteria di ponente. I due anelli così ottenuti assieme a quello, già contemplato in progetto, che fra Manzinello e Camino allaccia le due sottoarterie diramanti da Premariacco, tornano utili a migliorare la regolarità di distribuzione dei numerosi paesi serviti.28 In queste pagine e nella seguente: intestazioni di fatture relative a tubazioni e accessori, in ghisa e acciaio, impiegati per formare la conduttura dell’acquedotto Poiana. L’utilizzo di elementi difettosi sarà concausa di molte rotture, prolungatesi per parecchi anni dopo la sua messa in esercizio.
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LA QUALITÀ DEI METALLI Non si riscontravano inconvenienti per i tubi di acciaio Mannesmann, mentre più delicate risultano le forniture in ghisa, specialmente del diametro maggiore, quello da 420 mm. Era l’officina di Forlì che meritava le più energiche tirate d’orecchie, non sempre rispondendo alla condizione di perfetta fusione prescritta dall’art. 76 del capitolato d’appalto. Controllando i parecchi vagoni di tubi giunti da Savona e da Forlì il 15 dicembre 1913, questi ultimi avevano un diametro variabile da 415 a 420 mm e spessore non uniforme, da 11 a 18 millimetri.29 L’ing. Granzotto nel febbraio 1914 dichiarava: in seguito a nuovo esame praticato ai tubi da 420 mm della Fonderia di Forlì, notifica che resta interdetta la posa in opera dei medesimi, il tubo non ha resistito alla prova idraulica, in corrispondenza della frattura si presenta di qualità scadentissima e presso i tappi a vite la ghisa è perfino commista a materie calcari! (…) Reputando il rilievo di una gravità eccezionale, ordinava l’allontanamento dal cantiere di tutti i tubi di Forlì entro otto giorni.30 Anche in seguito, alcuni tubi continuano a presentare abrasioni e in parecchi si rompe il bicchiere durante la calafatura dei giunti; a causa di alcune inclusioni trovate nel materiale, nel febbraio 1915 giunge personalmente sul cantiere il direttore delle Fonderie di Forlì, costretto ad ammettere che tali difetti sono dovuti alla trascuratezza dell’operaio addetto alla sorveglianza della fusione. Va però aggiunto che, scartati o riparati i tubi difettosi, all’atto della messa in carico effettuata dal 1916 in poi, le minori rotture si verificavano proprio nei tubi di Forlì. Non mancano appunti, pur lievi, sulla ghisa di altre provenienze: il 13 marzo 1914 si scarta un tubo da 420 mm di Savona per le sue profonde abrasioni, maldestramente mascherate dalla catramatura, in una prova idraulica del 13 luglio 1914 un tubo di Savona va in pezzi alla pressione di 11 atmosfere e uno dei frammenti mostra di avere lo spessore di soli 9 mm. In altre prove condotte il 22 gennaio 1915 da un tubo di 420 mm delle Fonderie di Brebach si stacca un pezzo di circa 80x30 cm, la frattura presenta un minimo di spessore di 10 mm, mentre il primo carro giunto dalla medesima fonderia era composto da tubi di 420 mm tutti perfetti, dello spessore di 13 mm, lunghi 4,13 m e pesanti da 480 a 520 chilogrammi. Va detto che il capitolato d’appalto non prescrive per le tubazioni limiti di peso e spessore, ma esige che resistano alla pressione di prova di 15 atmosfere. Nelle analisi dei prezzi del progetto generale di Granzotto è conteggiato il peso di 150 kg per metro lineare del tubo da 420 mm, posta a 7,3 la densità delle ghisa ne risulta che lo spessore ritenuto normale dal progettista fosse di 15 mm, sul quale secondo la consuetudine
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era ammissibile una tolleranza limite di 3 mm in meno. La direzione dei lavori era oculata e rigorosa nella visita esterna compiuta prima di accettare i tubi e faceva anche eseguire delle prove tecnologiche sulla ghisa. Nonostante ciò, vari erano i difetti di fusione che non si rivelavano all’esame visivo e che si manifestavano all’atto delle prove idrauliche, con la rottura degli elementi. Le prove idrauliche si eseguivano, a tubo scoperto, man mano che i tronchi di condotta erano completati; dal 10 dicembre 1913 al 14 maggio 1915 tali verifiche erano in totale 242. Mentre nelle condotte d’acciaio le prove riuscivano quasi sempre favorevoli al primo tentativo – effettuato alla pressione di 20 atmosfere mantenuta per due ore –, per quelle in ghisa era più difficile ottenere risultati positivi. Talvolta si dovevano ripetere gli esperimenti su un medesimo tronco a causa di vari contrattempi, ad esempio difetti della pompa di compressione o errori nel suo impiego, perdite o rotture delle guarnizioni, dei dischi di chiusura o degli otturatori Torelli, per ingenti quantità d’aria entrate nella tubatura che richiedevano l’esecuzione di vari forellini di sfiato per poter raggiungere la pressione di prova, per spostamenti radiali di curve non sufficientemente ancorate, per piccole fughe attraverso le giunzioni. La prova della ghisa avveniva alla pressione di 10 atmosfere, mantenuta per un paio d’ore e poi elevata a 15 per altre due ore. Nella condotta principale in ghisa, durante le fasi di prova si rompevano 37 tubi da 420 mm, di tutte e tre le fonderie fornitrici, fendendosi longitudinalmente o addirittura spezzandosi sotto pressioni variabili da 2 a 10 atmosfere; altri 5 tubi di 300 mm si rompevano fra le 5 e le 14 atmosfere; in tali casi l’impresa interveniva sostituendo prontamente i tubi offesi. Quasi tutta la condotta, circa 165 km, era provata in opera alle prescritte pressioni. La tubazione di ghisa era controllata interamente, salvo che per l’attraversamento di Cividale fino al bivio di Rualis e per gli ultimi 30 metri dell’adduzione al serbatoio.31 Le prove idrauliche sui tubi da 420 mm che davano risultati negativi dal 27 marzo 1914 al 5 gennaio 1915 erano 18, con complessivi 27 tubi rotti. La Direzione rilevava le pressioni alle quali pezzi avevano ceduto, compilando il seguente prospetto: a 2 atmosfere n° 1 a 3 atmosfere n° 1 a 4 atmosfere n° 3 a 5 atmosfere n° 3 a 6 atmosfere n° 3 a 7 atmosfere n° 1 a 8-9 ½ atmosfere n° 12 a 10 atmosfere n° 2 a 11 atmosfere n° 132
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SOLO PERSONE PROBE E CAPACI Entrando nell’anno 1915 e constatando che la rete era ormai ben estesa, anche se non con l’auspicata velocità, si iniziava a pensare alle derivazioni d’acqua a favore dei privati. Nel progetto era stato volutamente limitato il numero delle fontanelle pubbliche, proprio per stimolare la concessione di utenze private; era provato che una erogazione pubblica sottraeva all’esercizio una quantità di acqua corrispondente a quella di trenta utenze private.33 Per uniformare tale operazione, il 30 gennaio si diramava una circolare a tutti i consorziati, richiamando che condizione essenziale per il regolare funzionamento dell’acquedotto è anche la perfetta esecuzione degli attacchi, o prese, per la derivazione d’acqua ai privati. La Deputazione consorziale prescrive ai singoli Municipi che le prese non potranno compirsi se non da persone probe e capaci, preventivamente autorizzate da questa Rappresentanza. Ai Comuni si chiedeva se vi erano persone competenti in materia e se le medesime potevano documentare questa loro speciale attitudine. Dalle risposte fatte pervenire, risultano sprovviste di maestranze adatte Manzano, Corno di Rosazzo, Ipplis, Premariacco, Pradamano, Moimacco. In migliori condizioni erano Trivignano (Colavini Valentino fabbro meccanico, capace ma non in grado di produrre documenti, ma a dimostrare la sua capacità per tali lavori basta osservare gli attrezzi e le macchine da esso posseduti), Pavia di Udine (fabbro meccanico Nardoni Dante che fa pratiche per perfezionarsi sull’esecuzione degli attacchi e si sta procurando dei documenti per provare tale attitudine), Buttrio (tre ditte: Tecco Valentino meccanico per Buttrio, De Cecco Raffaele e fratelli fabbri meccanici per Vicinale e fratelli Maestrutti pure fabbri per Caminetto e Camino, si ignora se siano in grado di provare con documenti), Cividale si limita a confermare che avrebbe preso buona nota delle prescrizioni.34
Attrezzi per filettare i tubi della ditta Zanoletti di Milano, primi anni Venti. Il Consorzio esigeva che gli allacciamenti fossero eseguiti solo da chi sapeva maneggiare con maestria questi strumenti idraulici.
Avviso alla popolazione per chiarire che le diramazioni secondarie dell’acquedotto, ancora in fase di completamento, sarebbero state realizzate in seguito, su decisione delle singole amministrazioni comunali, 23 marzo 1915.
Per utilizzare al meglio l’impianto acquedottistico, la direzione intendeva affidare le diramazioni per i privati solo a personale di comprovata capacità tecnica. Nell’immagine, un idraulico intento a filettare un tubo, disegnato in un catalogo della ditta Zanoletti di Milano.
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CAPITOLO VI
Il 1º dicembre 1912 dalla Sottoprefettura di Cividale si chiedeva al Sindaco di indicare quali lavori erano previsti nel bilancio 1912-1913, ricevendone come risposta che L’unico lavoro importante che potrà influire alquanto sulla disoccupazione degli operai è quello dell’acquedotto Pojana che si prevede possa venir eseguito nell‘anno 1913, ASMunCiv, cart. 260 (vecchia numerazione) LL. PP. 1908-1912, fasc. 1912, cat. 40 Pratiche attinenti alla sezione non classificate. I rapporti, compilati a cadenza mensile dal 7 agosto 1913 al 5 giugno 1915 sono in numero di venti, conservati in ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Rapporto VIII del 26 aprile 1914. Seduta del 16 maggio 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Comunicazione n. 53 datata 29 maggio 1914 dell’ing. Granzotto alla Presidenza consorziale, ACAP, cart. 1918-1920 Costruzione, Servitù. Seduta del 28 luglio 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Verbale di constatazione del 17 agosto 1914, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato, fasc. Arbitrato 2º memoriale, allegato 1. L’impresa chiedeva il rimborso delle spese sostenute per l’acquisto dei sacchetti, che erano gli stessi con i quali era spedito il cemento; ogni sacchetto costava 1 lira, tenendo conto dell’elevato numero di sacchetti, l’esborso relativo non era indifferente e il collaudatore ammetteva la spesa, ma dimezzava il costo dei sacchetti, Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi del 4 agosto 1920, p. 93, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 30, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 25, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Processo verbale delle visite di collaudo, ing. Luigi Zanetti, 4 agosto 1920, p. 4 e Certificato di collaudo, p. 2, ACAP, cart. Contratti e collaudi. L’impresa chiedeva al Consorzio di essere rimborsata delle 500 lire pagate all’ing. Voghera, Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi del 4 agosto 1920, pp. 94-95, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 16, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 16, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Promemoria del direttore del Consorzio Giuseppe Rossi, inviato in risposta alla nota del 30 giugno 1920 dell’ing. Luigi Zanetti, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano,
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Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. Dati rilevati dalle testimonianze rese dai dipendenti dell’impresa Parpinelli, rispettivamente Gio Batta Toti e il piombatore Luigi Alessio, ACAP, cart. Varie 1920 Costruzione, Arbitrato, fasc. Arbitrato. Comunicazione dell’ing. Granzotto n. 62 del 30 giugno 1914, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Comunicazione dell’ing. Granzotto n. 78 del 2 agosto 1914, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Seduta del 26 settembre 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Verbale di constatazione del 17 agosto 1914, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato, fasc. Arbitrato 2º memoriale, allegato 1. Seduta del 28 novembre 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 2627, ACAP, cart. Contratti e collaudi. La maggioranza della manodopera era locale, come si evince anche dai nomi segnati sui registri delle presenza. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 25, 29, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Seduta del 25 gennaio 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1920-1921. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 13-14, ACAP, cart. Contratti e collaudi; Relazioni 1920, p. 55. ACAP, cart. Anteatti costruzione. Relazione del Corpo Reale del Genio Civile della Provincia di Udine, del 4 agosto 1914, inviata alla Prefettura di Udine, ACAP, cart. Anteatti costruzione. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 6-7, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 31, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Comunicazione dell’ing. Granzotto al presidente Rubini del 7 febbraio 1914, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fascicoli ‘Pratica relativa alla sostituzione di tubi d’acciaio con tubi di ghisa nell’interno di Cividale’ e ‘Varianti ed aggiunte al progetto principale’. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 31-34, che rilevava i dati dal ‘Giornale dei lavori’, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Riassunto delle prove idrauliche sui tubi da 420 mm che diedero risultati negativi, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Ciò viene dichiarato dall’ing. Lorenzo de Toni in due lettere indirizzate alla presidenza del Poiana, il 20 e 26 maggio 1916, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Fontanelle pubbliche. ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Distribuzione acqua ai privati.
VII CAPITOLO SETTIMO
IL CONSORZIO DURANTE IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
SCOPPIA LA GUERRA Il 31 marzo 1915, termine fissato per l’ultimazione dei lavori, si avvicinava a grandi passi. Una ulteriore proroga lo dilatava fino al 15 aprile, ma alla fatidica data dell’entrata in guerra dell’Italia – il 24 maggio 1915 – l’opera non era ancora compiuta. L’inizio delle operazioni belliche, con tutte le incognite che portava con sé, allontava in un tempo imprecisato l’auspicato traguardo finale. In quel momento, la costruzione dell’acquedotto era a buon punto, al compimento mancava la diramazione presso Corno di Rosazzo, l’ultimazione degli attraversamenti ferroviari, del canale Ledra Tagliamento e di alcune strade, la costruzione in cemento armato di tutte le tredici cabine per i grandi contatori, la posa delle oltre 100 fontane pubbliche, l’intera rete interna della città di Cividale, l’esecuzione di parecchi allacciamenti, il collocamento di saracinesche, la costruzione di pozzetti, la posa di qualche chilometro di condutture di piccolo diametro.1 L’Autorità Militare subito ordinava la forzata sospensione dei lavori, che si protraeva per circa tre mesi. La Giunta si attivava prontamente per togliere il dannoso veto militare, ma solo ai primi di settembre potevano riprendere i lavori di completamento della rete di distribuzione, senza i quali non si sarebbe potuto mettere in esercizio l’acquedotto. Per l’intenso traffico delle truppe lungo la strada nazionale del Pulfero, l’Autorità militare rallentava o impediva l’esecuzione di lavori dell’acquedotto lungo questa direttrice viaria (collezione privata).
Nel periodo di guerra, per l’uso dell’acquedotto era data la priorità alle esigenze dell’esercito, che consumava moltissima acqua (collezione privata).
LA SETE IN GRIGIOVERDE Alla data del 4 giugno 1915, l’esercito disponeva già dell’acqua del Poiana che scorreva dalla condotta principale fino a monte del Tiglio.2 Grossi contingenti di truppe e di quadrupedi si trovavano acquartierati in diversi Comuni, specie in quelli più a valle. Il Comando Supremo di Ordinamento e Mobilitazione, preoccupato per il ritardo con il quale erano condotti i lavori di compimento dell’acquedotto – che in quelle contingenze sanitarie sarebbe risultato di validissimo ausilio all’azione profilattica – intendeva rendersi dettagliatamente conto della situazione.3 La verifica era affidato all’ing. capo colonnello Carlo Vlacovich, direttore del Genio Civile della 2ª Armata. Dopo il sopralluogo, egli riscontrava che nella tratta principale vi erano state le note rotture di molti tubi e piccole lesioni in moltissimi altri, rendendola non idonea a resistere alla pressione d’esercizio. Era persuaso che l’unica possibilità per mettere in funzione l’acquedotto consistesse nel costruire un pozzetto d’interruzione nella conduttura discendente dal serbatoio, circa venti metri sotto il livello del serbatoio stesso, nonché
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un tratto di nuova conduttura di circa 300 metri per allacciarsi con la conduttura ascendente; in tal modo la pressione d’esercizio sarebbe diminuita di quasi due atmosfere, aumentando grandemente la probabilità che i tubi lesionati resistessero.4 Sarebbe diminuita la portata, progettata in circa 9000 metri cubi al giorno, ma la quantità era comunque sufficiente a soddisfare le urgenti necessità militari. La Giunta consorziale faceva notare l’inopportunità di tale provvedimento, così poco razionale in quanto avrebbe eliminato l’uso del serbatoio con funzione di accumulo, insistendo per sistemare definitivamente la condotta principale prima di iniziare la distribuzione dell’acqua. Nell’agosto 1915 era posata una diramazione dalla condotta maestra di 350 mm, attraversante Cividale per alimentare la fontana pubblica in piazza Paolo Diacono.5 In qualche modo si tergiversava, finché il 9 settembre 1915 giungeva l’ordine tassativo del colonnello Vlacovich di eseguire senza alcun indugio l’allacciamento con una tubazione supplementare tra la condotta di arrivo e quella di distribuzione, a una quota più bassa del serbatoio di Cividale, rinunciando così provvisoriamente al suo funzionamento; in tal modo, la quota d’origine della distribuzione sarebbe stata di 163 metri invece dei 183 previsti progettualmente. Per la particolare congiuntura del momento il Consorzio non poteva opporsi ad oltranza e doveva eseguire l’allacciamento nei modi prescritti dall’Autorità militare, che era invitata ad assumerne la spesa.6 Realizzato questo collegamento, lungo 92 metri, l’acquedotto entrava in funzionamento provvisorio e si poteva collocare una grande quantità di fontanelle, a uso delle truppe. Da maggio a ottobre 1915, su tubature di provvisoria distribuzione l’impresa applicava 70 rubinetti da ¾ di pollice ad altrettante fontanelle provvisorie, nei Comuni di Cividale, Moimacco, Remanzacco e Premariacco; sette erano le fontanelle pubbliche applicate a sfiati sulla tubazione principale fra Sanguarzo e Stupizza. I tempi stretti, così perentoriamente imposti, non consentivano di epurare la conduttura a monte del serbatoio di tutti i tubi lesi nelle prove di carico, il suo funzionamento era dunque caratterizzato da fughe e nuove rotture. Per la diminuita pressione la portata in distribuzione calava di due terzi e, tenendo conto anche del basso coefficente usato nei calcoli progettuali, l’acqua a disposizione si riduceva a circa 50 l/secondo e non poteva salire ai punti più elevati della rete, quali Buttrio alto e Abbazia di Rosazzo. Nel 1915-1916 il costo d’impianto per una fontanella pubblica provvisoria con tubo di ferro zincato da ¾ di pollice, calcolato facendo una media tra le 95 fontanelle impiantate, era di 44,25 lire.7 Inoltre, una ingente quantità d’acqua era trasportata al fronte con le autobotti.
Nel contempo, l’impresa organizzava due squadre di operai, sufficienti a sistemare tutta la rete e a realizzare le altre opere di finitura; il loro lavoro era facilitato da quando i vertici militari avevano compreso che senza il loro appoggio era impossibile eseguire i lavori mancanti, che però non si autorizzavano all’interno di Cividale, ove non si poteva intralciare l’incessante traffico dell’esercito.8
LA DELUDENTE PRIMA VOLTA Ultimate le prove idrauliche e ritombata la condotta, nell’aprile 1915 erano iniziate le prove di immissione dell’acqua nella conduttura principale da 420 mm, corrente per 18,1 km dalla sorgente al serbatoio sul monte dei Bovi. L’ing. Granzotto nella fase progettuale aveva contemplato tutte le misure precauzionali che reputava necessarie, trattandosi di una tubatura di grande diametro, molto lunga e con sensibili variazioni altimetriche. La conduttura era munita in grande numero di scarichi e sfiati – ritenuti anche esuberanti per il regime di esercizio – e ciò faceva presumere che il prezioso elemento si sarebbe copiosamente riversato nel serbatoio in pochi giorni, senza inconvenienti. Non sarà così.
Sezione di pozzetto per sfiato automatico e per saracinesche da 350 a 150 mm, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911. Nonostante l’abbondante presenza di sfiati, la messa in pressione della conduttura principale fu assai difficoltosa e diede luogo a numerose e protratte rotture dei tubi.
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Un primo esperimento di carico era svolto all’inizio d’aprile 1915: l’acqua giungeva per poche ore al serbatoio, ma si rompevano tre tubi. Vuotata la condotta e sostituiti questi ultimi, le operazioni riprendevano il 29 aprile. Si effettuavano due prove, in ognuna di esse si spezzava un tubo per effetto di colpi d’ariete; una terza rottura dipendeva, invece, dal violento assestamento in un punto della strada, causato dal passaggio di pesantissimi compressori militari. La notizia del fallimento destava preoccupazione in tutti i Comuni consorziati, ma l’ing. Granzotto diramava messaggi tranquillizzanti, sia verbalmente che in una specifica relazione scritta, richiestagli dalla Presidenza. Egli spiegava la natura delle rotture: è d’uopo si sappia che gl’inconvenienti speciali che si possono verificare in occasione della prima immissione d’acqua in carica in una conduttura dipendono dall’aria che trovandosi nella conduttura precedentemente vuota, viene convogliata irregolarmente dalla massa d’acqua immessa alla testata. L’aria può formare delle sacche che agendo da tampone, arrestano improvvisamente la forza viva della massa d’acqua in moto. Si producono in tal modo i cosidetti colpi di ariete, in forza dei quali si genera una pressione interna che può raggiungere limiti molto elevati e tali da superare quelli di resistenza della tubazione.9 Ne viene allora che in un dato punto un tubo si rompe ed in modo caratteristico, cioè in senso longitudinale. Con la rottura del tubo viene a cessare istantaneamente la sopra elevazione di pressione interna e quindi il danno resta limitato a quel solo tubo. Ma se il danno resta così limitato, vi è l’inconveniente della perdita di tempo, inquantoché per procedere al lievo del tubo rotto ed alla sua sostituzione con altro tubo, si deve vuotare tutta la conduttura e quindi successivamente ripetere la lenta operazione del riempimento. Affermava che disporre le cose in modo di essere certi a priori che inconvenienti di tal natura non abbiano a verificarsi, è assolutamente impossibile, a meno che non si voglia dotare la conduttura di un tale numero di ampi scarichi e sfiati da rendere il costo dell’opera troppo elevato e inadeguato certamente all’intento che si vuole raggiungere. In fatto – in ultima analisi – l’inconveniente che si lamenta non ha a che vedere col funzionamento dell’acquedotto, il quale una volta reso officioso, non ha più da temere i colpi d’ariete per causa delle sacche d’aria. Gli sfiati di cui è munita la conduttura sono più che sufficienti per smaltire automaticamente quel po’ d’aria che viene normalmente trascinata assieme all’acqua, in cui trovasi sospesa. Il tecnico quindi rassicurava che ci si trovava in una situazione di normalità, l’operazione della messa in funzione di una conduttura di ghisa di grande diametro e di lungo sviluppo può richiedere parecchio tempo, e ciò senza pregiudizio del successivo funzionamento dell’acquedotto e indipendentemente dalla buona esecuzione delle opere. A conforto dell’asserto, citava il recente esempio del
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Varie fasi del collocamento dei tubi dell’acquedotto in località Vernasso. In questo tratto, la tubazione in ghisa da 420 mm doveva attraversare la profonda forra del Natisone. Le immagini a documentazione di questi lavori sono state scattate, su commissione del Consorzio Poiana, dal fotografo cividalese Giacomo Bront.
grande acquedotto pugliese, che aveva richiesto parecchie prove con relative rotture prima di giungere alla piena efficienza. L’ing. Granzotto dichiarava di aver individuato i due punti in cui, formandosi forti sacche d’aria, si producevano i temibili colpi d’ariete e in loro corrispondenza aveva disposto l’applicazione di due grandi scarichi, in grado di eliminare gli inconvenienti lamentati. Mentre uno si poteva collocare senza problemi, in quanto in quel punto la conduttura non interessava la strada pubblica, per l’altro non era possibile perché era sulla Nazionale del Pulfero, che l’Autorità militare non voleva in alcun modo venisse manomessa, né la stessa
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aveva sino ad allora permesso di procedere alla sostituzione del tubo rotto dal pesante compressore. Se non fossero intervenute le particolari circostanze del continuo, intenso traffico militare – che avevano anche reso più difficoltosa l’esecuzione delle ultime opere di rifinitura lungo tutto il tracciato –, secondo l’ingegnere l’immissione dell’acqua sarebbe già stato un traguardo felicemente raggiunto e superato.10 A questo punto, l’ing. Granzotto aveva dovuto lasciare l’incarico per sopraggiunti impedimenti personali.
Timbro circolare in uso agli esordi dell’ attività del Consorzio Poiana.
IL CAMBIO ALLA DIREZIONE
DE TONI INDAGA
Per un fatto dolorosissimo legato alle sfera famigliare – che non conosciamo nei dettagli – coinvolgente il Direttore dei lavori ing. Granzotto, questi non poteva continuare in tale delicato, fondamentale incarico; come suo sostituto era designato, con la piena approvazione dello stesso Granzotto, l’ing. Lorenzo de Toni, professionista di indiscussa competenza che nel suo curriculum professionale poteva vantare la costruzione di ben 25 acquedotti; il suo incarico decorreva dal 20 luglio 1915, fino a quando sarebbe perdurato l’impedimento dell’ing. Granzotto.11 Dopo aver preso piena conoscenza della situazione dei lavori, de Toni era in grado di elaborare un piano previsionale degli sviluppi futuri, pur tenendo conto che la congiuntura guerresca rendeva instabile la programmazione: alla fine del mese di settembre mancava poco per completare l’anello Cividale-S. Giovanni al Natisone-Buttrio, in seguito si sarebbe provveduto alla sua continuità nei siti ove l’acquedotto era interrotto lungo la condotta Ipplis-Gramogliano-Spessa e all’allacciamento della condotta oltre il Torre; in assenza di difficoltà da parte dell’Autorità militare, si sarebbe completata anche la condotta per Corno di Rosazzo. Appena assicurato il funzionamento della condotta principale si sarebbe portata l’acqua a Buttrio e a San Giovanni al Natisone. Pure per le altre località non si sarebbe ritardata l’immissione, se non per eseguire gli eventuali lavori di completamento.12
Appena assunto le veci di Direttore dei lavori, l’ing. de Toni promuoveva le indagini sulle cause dei ricorrenti danni, verificati durante le prove d’immissione dell’acqua nella condotta. Iniziava esaminando i tubi ancora depositati in cantiere e i frammenti di quelli lesionati, poi necessariamente rotti per effettuare la loro sostituzione. Queste le sue impressioni: Il capitolato prescrive tubulature di tipo normale, quelle di Savona e Forlì soddisfano pienamente a tale condizione, con ghisa di buona qualità e fusione, mentre i tubi di Brebach, pur con qualche millimetro di minor spessore sono di qualità ancora migliore, anche nella fusione; nel complesso, tutto corrisponde alle norme statiche. Le congiunzioni a corda e piombo sono state fatte in modo perfetto, in quanto non avvenne nessuna spiombatura. Per inciso diciamo che questo era il testuale giudizio di de Toni ma, come abbiamo poco sopra riportato, spulciando con accuratezza i documenti disponibili, emerge che non mancano dei rilievi sul livello qualitativo delle tubazioni fornite, d’altronde comprensibili in un’opera di tale mole. La pressione interna dell’acqua, considerata la forza principale, non poteva da sola produrre le rotture, come risultava da una complessa serie di calcoli, anche se lo spessore del tubo si fosse limitato a quello minimo – di soli 9 mm – riscontrato in un pezzo infranto, lo stesso valeva per gli sforzi addizionali di ovalizzazione cui trovasi cimentato il metallo per effetto del peso proprio del tubo e per le pressioni idrostatiche, dovute alle differenze di battente d’acqua ai diversi livelli del-
Carta intestata utilizzata dalla Direzione del Consorzio, che nel luglio 1915 passava dall’ing. Granzotto al collega Lorenzo de Toni.
Intestazione a stampa del Consorzio, impiegata nei primi tempi della sua istituzione.
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la sezione trasversale. Una certa influenza sulla sollecitazione interna del metallo potevano avere le variazioni di temperatura quando la condotta era esposta per un certo tempo direttamente all’azione dei raggi solari, come durante le prove idrauliche, mentre era molto minore sulla condotta ritombata, a causa della protezione del terreno.13 Tenendo conto di ciò, secondo de Toni i danni ai tubi potevano dipendere da colpi d’ariete avvenuti nei primi tentativi di immissione dell’acqua: presentando la condotta parecchie pendenze e contropendenze – se ne contano 16, molte delle quali sul profilo della tubazione maestra – ci possono essere diverse tratte intermedie non riempite completamente e con molta aria accumulata nei colmi; ne deriva che l’aria, compressa prima per la pressione dell’acqua montante, dilatandosi poi anche per variazioni di temperatura, tende in qualche punto a essere bruscamente scacciata, generando ulteriori, considerevoli sovrapressioni. Potevano poi esserci eccessive pressioni nella prova con la pompa, per imprudente manovra di essa, per difetti o errori del manometro di controllo e i guasti rilevati probabilmente erano dovuti a un insieme di tutti questi elementi.
LA DIFFICOLTOSA MESSA IN CARICO Riparati i precedenti danni, ai primi di agosto 1915 si ricaricava la conduttura, dividendola in quattro tronchi, immettendo l’acqua lentamente e controllandone gli effetti con due manometri, uno alla base della salita del Tiglio e l’altro sotto alla salita al serbatoio dei Bovi. Anche stavolta però, prima che l’acqua vi giungesse, si avevano delle rotture, addirittura in numero di venti. Dall’attento esame degli elementi spezzati, risultava che la rottura avveniva longitudinalmente nella parte inferiore; i margini dei tubi levati presentavano estese tracce di ruggine non recente, quindi dovevano essere lesionati già in precedenza. Dal complesso di queste osservazioni, come dal fatto che a ogni successiva prova di carico i tubi si rompevano a pressioni sempre crescenti, se ne deduceva che le lesioni, pur estese, dovevano comunque avere un limite. Dato che con le ultime prove effettuate l’acqua finalmente entrava copiosa nel serbatoio, né maggiore pressione serviva all’esercizio, così l’ing. de Toni relazionava all’Assemblea il 25 settembre 1915: la condotta sarà in breve in buone condizioni di funzionamento e forse saranno anche totalmente eliminati i tubi lesi. Ad ogni modo, prima del collaudo ufficiale, ed appena le condizioni speciali lo permetteranno, si farà una prova sopra elevando convenientemente il carico in modo artificiale e così verranno eliminati dalla condotta anche quei tubi che potessero essere sospetti, se mai ne saranno.
Copertina del catalogo delle tubazioni in ghisa prodotte da una fonderia bresciana, il 25% più leggere rispetto a quelle comuni. I tubi dell’illustrazione misurano 7,5 metri, quelli impiegati per l’acquedotto Poiana erano di 3-4 metri.
L’impazienza dei Comuni era tanta, Manzano dichiarava di subire gravi inconvenienti per il ritardato funzionamento dell’acquedotto, la sua Giunta era determinata a chiedere un’inchiesta allo scopo di stabilire eventuali responsabilità per la rifusione dei danni. Per raffreddare gli animi surriscaldati ed evitare la diffusione di notizie non corrette, si riteneva utile divulgare il rassicurante parere dell’ing. de Toni tramite la stampa locale.14 Finalmente, l’acqua riempiva il serbatoio all’undicesimo tentativo, l’11 settembre 1915.15
CHE ROTTURA DI TUBI! Nella protratta, impegnativa e difficile fase del riempimento, oltre a quelli già menzionati si rompevano altri 22 tubi, un ulteriore pezzo il 27 novembre 1915 durante una nuova immissione e poi ancora due, nel dicembre 1915 e agosto 1916, ad acquedotto funzionante. In totale erano 28 i tubi di ghisa della lunghezza di 4 metri e del diametro di 420 mm che si spezzavano; le rotture erano più numerose presso i vertici della condotta, ove tendeva ad accumularsi l’aria, tanto che si
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Catalogo di tubi da acquedotto con varie caratteristiche, prodotti dalla ditta Zanoletti di Milano.
contano 13 tubi rotti in corrispondenza degli sfiati di progetto; essi prevalgono sui due rami del sifone ascendente del Tiglio e nel tronco più basso della condotta a valle di Sanguarzo. Quasi tutti i 28 tubi erano sostituiti, su pochi si interveniva riparandoli con cerchiature e steccature sul posto. Era necessaria la costante disponibilità di una squadra composta da un meccanico, un assistente e 14 braccianti. Sulla rottura dei tubi mostravano di avere influenza anche le circostanze di guerra. La condotta alimentatrice decorreva in gran parte lungo la strada nazionale del Pulfero, arteria sulla quale transitavano tutti gli eserciti del fronte Caporetto-Tolmino e lungo la quale si rovesciava l’invasione austro-ungarica della fine d’ottobre del 1917. Al momento del ripiegamento questa strada era fatta saltare con mine in due punti sopra Stupizza, nel primo di essi si spezzavano più tubi, poi rimpiazzati dal nemico, nell’altra località ne era lesionato uno, che resisteva durante l’esercizio provvisorio, ma si rompeva quando era sottoposto ai maggiori carichi per la messa in esercizio del serbatoio dei Bovi. Gli invasori tentarono subito di rimettere l’acquedotto in efficienza, ma non vi riuscirono se non dopo La qualità dei materiali impiegati nella realizzazione della conduttura principale era molto importante. Gli errori nella posa si evidenzieranno non appena l’acquedotto entrerà in servizio. Particolare di una foto scattata sul cantiere nel 1911.
l’intervento di un tecnico specialista chiamato da Praga. Nella loro permanenza in zona, gli austro-tedeschi dovettero cambiare dei tubi, sembra in numero di sette e probabilmente i loro tentativi, per scarsa esperienza, provocarono ulteriori sforzi eccezionali nella condotta, lasciandola lesionata in qualche punto, poi evoluto nelle rotture durante le operazioni di sistemazione definitiva del 1920. Dopo la costruzione dell’interruttore in località Tiglio, terminato nei primi mesi del 1920, per togliere l’allacciamento imposto dai militari nel 1915 sotto al serbatoio dei Bovi e far funzionare l’impianto secondo il progetto originario, si doveva svuotare la condotta, modificare i collegamenti e ricaricare i tubi. Durante ques’ultima fase si rompevano ancora 20 tubi di ghisa da 420 mm, anch’essi generalmente fessurati lungo la generatrice inferiore; a serbatoio di carico attivo si constatava la rottura di altri due elementi. Dei 22 tubi, metà era sostituita e gli altri riparati. Ai fatti militari appena citati, pur sfuggenti a una precisa definizione quantitativa, si attribuivano le cause di metà del danno verificatosi e riparato a spese del Consorzio, pertanto la rottura di 11 dei 22 tubi era considerato danno di guerra e dava diritto al relativo risarcimento.16 Quale onere sosteneva il Consorzio per ogni elemento lesionato? Dall’accurata analisi, compiuta in sede di collaudo finale, sul costo della sostituzione di un tubo di ghisa lungo 4 m, si rileva il consumo di mezzo quintale di legna per spiombare i due giunti posti alle estremità, mentre per rifarli – a cambio avvenuto – servivano 36 kg di piombo in pani, 3,60 kg di corda catramata e un’altra trentina di chili di legname per sciogliere e riapplicare il piombo. Lo scavo, la sistemazione del fondo, la sostituzione del tubo lesionato e il successivo ritombamento comportavano il lavoro di 70 ore di manovale e 18 di idraulico; la mercede giornaliera di un meccanico fontaniere era di 6 lire, un assistente meccanico ne percepiva 4, che scendevano a 3,50 per un manovale, ma se i lavori erano prestati in notturna, i loro compensi erano rispettivamente nove, sei e cinque lire. Tenendo conto di tutte le voci, il costo totale era di 812,18 lire per ogni tubo sostituito; la spesa occorsa per la fasciatura di un tubo lesionato corrispondeva al 40% di quella incontrata per il cambio integrale del pezzo.17
GIURI TU? LO GIURO! La testimonianza giurata di un assistente dell’impresa Parpinelli, resa di fronte a un notaio per essere utilizzata in una controversia – che verrà trattata più oltre – ci aiuta a conoscere meglio le operazioni di messa in carico. La dichiarazione resa è, testualmente, del seguente tenore: Ricordo che in fine agosto od ai
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primissimi di settembre 1915 un giorno, durante i tentativi che si facevano per riempire la tubazione principale dell’acquedotto Poiana, tentativi che portavano a frequenti rotture di tubi, il signor Ugo Ing. Granzotto direttore dei lavori dell’acquedotto, mi diede ordine di eseguire la carica della conduttura coll’aprire tutto di un colpo la saracinesca all’inizio della tubazione dell’edificio di presa. Io dopo essermi anche consigliato con altri, non eseguii l’ordine perché ritenevo disastroso il risultato di una carica fatta a quel modo. Il signor Ing. Granzotto, tornato in altro giorno sopraluogo, e mentre percorreva la strada della vallata del Natisone in automobile coll’impresa Ing. Parpinelli e con me per visitare l’andamento delle operazioni di carica della conduttura; giunto a San Pietro di Natisone e trovato il suo assistente Battistutti Giuseppe, domandò perché la carica non si era fatta secondo che aveva ordinato, cioè coll’aprire tutto di colpo la saracinesca alla Presa. Il signor Battistutti rispose che non si era fatto a quel modo perché io mi ero opposto. Il signor Ing. Granzotto manifestò allora vivamente la sua disapprovazione e mi diede nuovamente ordine che la carica si facesse aprendo tutto di colpo la saracinesca. Al che io opposi un altro rifiuto: e per di più discesi dall’automobile dicendo che piuttosto di eseguire un ordine simile me ne sarei andato immediatamente ed avrei abbandonato il servizio che allora prestavo come assistente all’Impresa. Dopo qualche altra spiegazione, risalii in automobile, e si è continuata l’ispezione fino alla Presa. Qui giunti il signor ing. Granzotto ha finito con l’approvare che io non avessi eseguito l’ordine dato in precedenza: ed anzi ha prescritto che dal quel momento la carica della tubazione si facesse girando il volano di manovra della saracinesca di Presa invece che di mezzo giro ad ogni quarto d’ora, come si era fatto fino allora, di solo un quarto di giro ad ogni quarto d’ora. Eseguita la carica in questo modo l’acqua del Poiana è entrata per la prima volta nel grande serbatoio sul Colle dei Buoi presso Cividale il cinque settembre millenovecentoquindici. Quanto ho ora detto sono pronto a ripetere in qualunque momento ed avanti qualunque autorità.18
DE O GRATIAS Il 22 ottobre 1915 sui quotidiani si pubblicava la notizia tanto attesa: L’acqua del Poiana è giunta. Per la Città furono applicati diversi tubi, provvisoriamente; e da questi spilla abbondante e limpida acqua tanto desiderata. Non perciò il lavoro è compiuto, non essendo giunta l’acqua al serbatoio; per adesso viene condotta per una linea più bassa.19 Era ancora la stampa, un mese dopo, ad informare che La distribuzione d’acqua ai dodici Comuni consorziati continua a procedere bene ed in pochi giorni tutta la rete sarà in esercizio; solo a Buttrio Alto e all’Abbazia di Rosazzo non si potrà al momento dare acqua perché circostanze speciali consigliarono una riduzione del carico di venti metri, ma tale inconveniente non sarà che temporaneo.
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Annotazione su un registro amministrativo del Consorzio, che ricorda il preciso momento in cui l’acqua del Poiana entrò nel serbatoio del Monte dei Bovi – il 5 settembre 1915 alle ore 14.50 – e quando zampillò dalla storica fontana in piazza Diacono, più comunemente detta ‘del Mercato’.
Purtroppo un ritardo nella spedizione degli attacchi e rubinetti ritarda ancora la possibilità di erogazione in importanti centri ed istituti, ma si spera che presto giungeranno anche gli aspettati apparecchi. Il tono che trasuda da queste comunicazioni è di contenuta soddisfazione, probabilmente a ingrigire il momento contribuiva aver intrapreso l’impervio e incerto cammino nel conflitto mondiale, mentre questo traguardo si sarebbe dovuto sottolineare con colori ben più vivaci, essendo finalmente riusciti ad attivare un servizio di assoluta, primaria necessità. Altrove non era andata altrettanto bene. Tutto il Friuli centrale era ancora in attesa che il progetto – pressoché coetaneo del Poiana risalendo al primo decennio del Novecento – di una rete idrica per quel vasto comprensorio, compisse dei passi concreti. Oltre alla stesura degli elaborati per mano degli ingegneri de Toni e Cudugnello, non si era riusciti ad andare. Gli utenti del Poiana potevano già riempire i loro secchi sotto alle fontane pubbliche, mentre la popolazione di altri ventitre Comuni dovrà attendere ancora parecchio per aprire i rubinetti, in quanto solo il 23 ottobre 1960 si aveva l’inaugurazione dell’acquedotto Friuli centrale.20
IL PARERE DI FORLANINI In occasione della presenza a Udine dell’ing. Enrico Forlanini di Milano, gli si chiedeva un consulto sull’effettiva possibilità che l’acquedotto potesse funzionare pienamente secondo il progetto originale e la conferma o meno che gli inconvenienti verificatisi nella prima tratta non rivestissero una tale importanza da giustificare le preoccupazioni di perenni malfunzionamenti,
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rapidamente propagate nel territorio. Il giudizio del luminare era confortante, consigliava di sottoporre la condotta ad una pressione più alta della normale per provocare deliberatamente la rottura e quindi lo scarto dei tubi il cui difetto di posa sia eccessivo ed ottenere così, non dirò una certezza assoluta, ma almeno una buona e ragionevole probabilità di un regolare funzionamento della tubazione. Affermava che conviene provare ora la tubatura, mentre alcune poche rotture sotto la prova possono essere previste e, verificandosi contemporaneamente, sarebbero poco dispendiose e dannose, che non attendere che le rotture si verifichino saltuariamente ed isolatamente col decorrere del tempo e in momenti imprevisti epperò con danno evidentemente assai maggiore.21
L’INCHIESTA DE TONI GIUNGE AL CAPOLINEA Dopo aver diligentemente osservato, studiato, calcolato ed essersi abbeverato alle fonti di conoscenza più affidabili nel campo dell’idraulica, come l’appena citato luminare Forlanini, l’ing. de Toni nel gennaio
Produzione specifica per condotte d’acqua della ditta Macchi di Milano, realizzate in ghisa. Soprattutto a causa di una sistemazione non perfetta del fondo su cui erano collocati, furono molto numerosi i tubi soggetti a rotture nelle prime fasi di riempimento e messa in pressione della conduttura del Poiana.
1916 presentava una relazione sugli inconvenienti verificatisi nella messa in carico della prima tratta di conduttura principale, sulla ricerca delle loro cause, con considerazioni e proposte per la sistemazione definitiva dell’acquedotto. Quando questo tecnico subentrava all’ing. Granzotto alla direzione dei lavori, nel luglio 1915, erano già stati cambiati dodici tubi spezzatisi lungo la prima tratta della tubatura da 420 mm, quella dalla sorgente al serbatoio sul monte dei Bovi, lunga 18,1 km e con cinque contropendenze, delle quali una accentuata di 22 metri a metà lunghezza e che all’estremità affronta una salita di 45 metri per giungere al serbatoio. I tubi si provavano in officina a 15 atmosfere e le prime tratte si assoggettavano in opera alla medesima pressione, dopo le prime rotture poi ridotta a 12; dal 1º al 27 agosto 1915 se ne rompevano altri sette. All’inizio si era fatto affidamento sui numerosi sfiatatoi a galleggiante che avrebbero dovuto dar sfogo all’aria esistente nella conduttura, ma il loro insufficiente funzionamento provocava delle rotture per colpi d’ariete. Dopo aver collocato altri sfiati per l’aria, si riprendeva a caricare la conduttura dividendola in tre tronchi e sorvegliando con i manometri l’andamento del carico. L’acqua arrivava senza inconvenienti fino al piede della collina dove si trova il serbatoio, ma nel corso delle manovre per farla salire, raggiunta una certa pressione, si spaccava un tubo. Sostituito, se ne rompevano altri, ma sempre a pressioni crescenti; dato che i manometri non davano segni di colpi d’ariete e che dall’esame dei tubi rotti risultava sempre traccia di ruggine preesistente, si arguiva che quei tubi erano stati lesionati in precedenza. Le cause potenzialmente possibili erano diverse: difetti di eccentricità e quindi minori spessori da un lato, porosità, soffiature, noccioli o cavernosità, incrinature più o meno estese sia in lunghezza che in profondità; danni per maneggi incauti, urti di trasporto e alla posa, percosse, cadute di sassi. La posa in opera, oltre che il trasporto, può essere ulteriore fonte di guasti, per il posizionamento sul fondo della trincea e l’incastro con i pezzi vicini, anche le contrazioni e dilatazioni prodotte dalle variazioni di temperatura dipendente dall’immissione dell’acqua possono assoggettare i tubi a carichi permanenti notevoli. Ripetendo la prova in opera alla stessa pressione di quella subita dai tubi in officina, questa si somma ai carichi permanenti e si possono produrre altre rotture o lesioni. Quando un tubo è lesionato, il malanno va sempre aumentando e finisce col rompersi anche a una pressione molto inferiore a quella che ha prodotto l’avaria iniziale. Va sottolineato che nella conduttura dal serbatoio di Cividale in poi, l’immissione d’acqua avveniva senza inconvenienti e rotture nella rete.
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Non c’era stato nessun snervamento delle tubulature, come qualcuno aveva ipotizzato, ma il funzionamento non poteva ritenersi sicuro in quanto, avendo ordinato l’Autorità militare di immettere l’acqua nella condotta di distribuzione a mezzo dell’allacciamento al di sotto del serbatoio, era diventato impossibile sostituire tutti gli elementi lesi. Sicuramente non aveva giovato l’estrema lentezza dell’Impresa nel ricambio dei tubi rotti, solo in parte giustificata dalla scarsezza di mano d’opera e dal transito militare straordinario lungo la strada del Pulfero. Allo stato delle cose, qual’era la strada migliore da seguire? Secondo de Toni, portando l’acqua al serbatoio la pressione piezometrica massima sarebbe stata di cinque atmosfere e quella per assicurarne la stabilità di sette, per cui non vi erano timori per tubi che normalmente devono resistere a 10 e che furono provati a 15 e 20 atmosfere. Egli consigliava di aumentare la pressione a quattro metri, mentre l’ing. Forlanini ne consigliava la sopraelevazione artificialmente a venti, sistemando così stabilmente la conduttura, per evitare la perdurante incertezza. Non potendo però fare sicure previsioni sull’entità e sulla durata dei tubi lesi – la deleteria interruzione totale del servizio sarebbe potuta durare anche un mese –, il forte movimento lungo la strada del Pulfero e la mancanza dell’Impresa di mezzi sufficienti a provvedere rapidamente a tutti i bisogni, consigliavano di tirare innanzi alla meglio, mantenendo il servizio ridotto, ma predisponendo ogni cosa per approfittare di eventuali situazioni favorevoli che consentissero il deflusso dell’acqua nel serbatoio.22
UN FATTO NUOVO L’ing. de Toni era convinto che i lamentati inconvenienti delle reiterate rotture derivassero principalmente dall’andamento altimetricamente sinuoso della condotta e dalle modalità di immissione dell’acqua, sfuggendogli altri motivi plausibili. In seguito, invece, si accertava l’esistenza di gravi difetti nel piano di posa: i tubi erano adagiati su punte rocciose sporgenti o si livellavano ricorrendo a sassi o zeppe, cosicché gli elementi poggiavano solo su tre-quattro punti, spesso anche su uno solo e non era nemmeno ben costipato il materiale di riempimento sparso al di sotto; in sostanza, i tubi erano ricoperti facendoli rimanere nella medesima condizione in cui erano stati provvisoriamente posati per facilitare la formazione dei giunti. Questa caratteristica non si era potuta scoprire prima, perché a causa dello stato di guerra il lavoro di sostituzione si avviava urgentemente appena avvenuta la rottura e non vi era tempo per verificare attentamente quanto
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Tubi e pezzi speciali in ghisa prodotti dalla ditta milanese Macchi.
si rimetteva in luce con lo scavo. Secondo le buone regole dell’arte, dal piano di posa si dovevano accuratamente estrarre tutti i sassi grossi sporgenti e, dove si riscontrava roccia, andava spianato il fondo con uno strato di terreno o di ghiaietta, che si poteva estrarre comodamente dal vicino Natisone, formando così un appoggio uniforme. Era ben noto agli specialisti in materia che rilevanti sforzi nel metallo possono dipendere dalle condizioni di posa, allorquando i tubi non appoggino con continuità su un buon letto terroso o sabbioso per la loro intera lunghezza; in caso contrario, i tubi appoggiati verso il punto di mezzo e liberi all’estremità per mancanza o cedevolezza di altri appoggi e per la plasticità dei giunti sono sollecitati a flessione, che nella parte estrema della sezione anulare produce tensioni massime parallele all’asse. A ulteriore prova della responsabilità dell’Impresa costruttrice, de Toni faceva presente che si erano avute rotture anche vicino alla presa, lungo il cono di deiezione del monte Mia, ove la pressione era bassissima; si erano fatte numerose ipotesi per spiegarne la causa, ma dopo aver rimesso in luce i tubi, si trovava che erano tutti appoggiati solo su grosso pietrame, senza un buon letto di posa; si regolarizzava Firma dell’ing. Lorenzo de Toni, che condusse un’accurata indagine per individuare le cause delle ripetute rotture dei tubi nella conduttura principale dell’acquedotto.
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la superficie con una gettata in calcestruzzo e dopo questo semplice provvedimento non avvenivano più rotture in quella località.23 Leggendo i verbali stilati dai tecnici incaricati, si trova conferma della maldestra esecuzione di posa, così il 12 maggio 1920 l’ing. Matteo del Fiorentino e il geom. Gio Batta Mulloni su invito del Consorzio si recavano sulla conduttura principale, a 100 metri dal ponte di San Quirino, per visionare come era stato posto in opera un tubo di ghisa che la sera precedente aveva manifestato una fortissima perdita d’acqua, tale da interrompere il regolare funzionamento dell’acquedotto. Constatavano: I) Che il tubo non appoggiava su tutta la sua lunghezza ma solamente sopra un tratto roccioso di forma quadrata di circa 10 cm di lato, il cui asse si trovava a m 2,40 dal bicchiere del tubo a valle. II) Che mancava la regolarizzazione del fondo né vi era steso del materiale minuto perché il tubo appoggiasse uniformemente su tutta la sua lunghezza, sebbene nella parte mediana affiorasse la roccia. III) Che il tubo era fessurato e che la fessura lunga m 2,90 era tangente all’appoggio sulla roccia e che si estendeva longitudinalmente al di sotto, per m 2,20 a valle dell’appoggio e per m 0,70 a monte, sollevandosi ad arco alle estremità. IV) Che dall’esame dei rottami e dalle traccie (sic) lasciate dalla ruggine sul tubo, risulta che la rottura era avvenuta da vecchia data.24 Una testimonianza diretta si affianca a questi dati, quella di Antonio Zanutto fu Giacomo, in servizio quale capo operaio alle dipendenze dell’impresa Parpinelli da circa sei mesi dopo l’inizio dei lavori fino alla loro ultimazione. Riguardo alla collocazione dei tubi di ghisa da 420 mm, che aveva personalmente seguito, egli dichiarava testualmente: La collocazione di tali tubi si faceva nel seguente modo: eseguito lo scavo da apposite squadre, il tubo veniva calato sul fondo col mezzo di un paranco, infilato quindi nel tubo già in opera e collocato poscia secondo una certa pendenza in conformità dell’andamento del terreno. Per la esecuzione di questa ultima operazione, quando il tubo risultava troppo basso lo si sollevava col paranco e si collocava al di sotto, a circa m 1,20 dall’estremità del tubo, un pezzo di mattone o un sasso, per modo che il tubo stesso appoggiasse contro un corpo rigido e quindi non si spostasse. Quando invece il tubo era troppo alto e si rendeva necessario abbassarlo, dopo aver osservato in quale punto del fondo appoggiasse, lo si sollevava o lo si toglieva dal cavo e si procedeva alla escavazione della parte alta, di quel poco che occorreva per mettere il tubo a posto e poscia lo si ricollocava sul fondo. Quando quest’ultimo fatto era dovuto a sporgenza rocciosa, si tagliava o si spuntava, naturalmente il meno possibile per non perdere tempo e si riponeva quindi il tubo facendolo il più delle volte appoggiare direttamente sulla roccia rimasta. Successivamente si riempivano i fianchi del tubo col materiale scavato e lo si pigiava con pali di legno cercando di farlo scorrere sotto il tubo stesso.25
SPERPERI FUORI CONTROLLO La direzione del Consorzio per raggiungere una certa regolarità nella distribuzione dell’acqua, pur ridotta nella portata, disponeva che non venissero concessi allacciamenti a privati e che soltanto la metà delle fontanelle pubbliche fosse messa in funzione. I privati si potevano tenere facilmente sotto controllo, non così invece i militari, essendo risultate vane le raccomandazioni di non eccedere nel numero delle derivazioni, usando piuttosto le fontanelle più vicine alle loro varie dislocazioni. La coesistenza delle due diverse esigenze, entrambe legittime – il Consorzio di procedere con i lavori di distribuzione e l’esercito di dissetarsi – non era facile. L’Autorità militare requisiva due fontanieri tra le maestranze dell’Impresa, già carente di personale, e lo stesso faceva con i tubi destinati alla riparazione dei guasti.26 In base alla deliberazione di Giunta dell’8 febbraio 1916, quando ricorrevano condizioni anche di interesse militare si concedeva acqua per il rifornimento di locomotive, fissando il contributo in 0,08 lire/mc di consumo Avviso di attivazione del servizio di vigilanza delle opere acquedottistiche, oggetto di stolte manomissioni, che per la funzione pubblica dell’acquedotto erano quanto mai ingiustificate e riprovevoli, 1 agosto 1916.
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per le ferrovie dello Stato (alla stazione di San Giovanni di Manzano) e 0,012 per quelle appartenenti a privati (Società Veneta; impresa Enrico Corradini alla stazione di Buttrio) e per le linee decauville (rifornitore in Medeuzza per il Genio Militare della III Armata). Per l’utilizzo dell’opera a beneficio dell’esercito e per esigenze ferroviarie, si calcolava che il Consorzio potesse introitare circa 2.000 lire al mese. Per taluni si sarebbe potuto ritrarre utili ben maggiori, com’erano riuscite a fare le città di Padova e di Vittorio, invece secondo altri ciò serviva anche a dimostrare la nostra riconoscenza verso il Governo, che ci fu largo di appoggio in questa nostra impresa. Tenendo conto delle particolari condizioni del momento storico, non si poteva pretendere di più, in quanto l’Autorità militare avrebbe forse anche potuto requisire gratuitamente quel che gli era necessario, come aveva già paventato qualche esponente del Genio Militare.27 Negli ultimi mesi del 1916 la situazione non era ottimale, tutt’altro, in quanto la manutenzione era abbandonata e dalle fontanelle guaste derivava uno sciupìo tale da ridurre assai la pressione, per modo che le località elevate rimanevano senz’acqua. Di ciò si lamentavano anche le autorità militari, ma pure esse non sapevano frenare gli sperperi d’acqua e i vandalismi da parte delle loro truppe. In seguito ad accordi presi con l’Ufficio Fortificazioni di Udine si ponevano le basi per regolare il servizio con personale qualificato, scindendo la competenza dei servizi di manutenzione della rete e delle fontanelle a uso della popolazione dai lavori inerenti alle utenze militari; il personale però avrebbe dovuto offrire reciproco aiuto all’occorrenza, specialmente quando guasti sulla condotta richiedevano di procedere con la massima urgenza.28
TI SOPPRIMO Dall’ottobre 1915 al luglio 1916 si installavano 95 fontane pubbliche provvisorie, così dislocate nei Comuni: Cividale 17, S. Giovanni di Manzano 12, Buttrio 11, Remanzacco 10, Manzano 9, Corno di Rosazzo 7, Trivignano 7, Pavia di Udine 6, Moimacco 5, Pradamano 4, Ipplis 4, Premariacco (Orsaria) 3.29 Il conte de Claricini osservava che, a suo parere, le fontanelle attivate erano poco solide e si guastavano facilmente, ma gli era fatto osservare che il modello era quello scelto dall’assemblea, di cui anche lui faceva parte.30 Durante i sopralluoghi svolti congiuntamente dai responsabili del Consorzio e dell’esercito si individuava un buon numero di prese d’acqua divenute inutili, ma le intese verbali per procedere alla loro soppressione non avevano poi avuto un concreto seguito. Quando diventava impellente la necessità di diminuire
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lo spreco d’acqua per fronteggiare ulteriori necessità, l’Ufficio delle Fortificazioni di Udine reiterava l’ordine, stavolta in forma scritta, di procedere alla concordata soppressione. Le fontanelle da eliminare, elencate nella comunicazione del 17 gennaio 1917 erano una trentina, quelle da modificare una decina, dislocate in quasi tutti i Comuni consorziati.31 La costante preoccupazione di ridurre i dannosi sprechi, di varia natura, che potevano intaccare anche pesantemente la disponibilità d’acqua per le esigenze militari si evidenzia dalle circolari emanate dalle autorità militari per divulgare e fare osservare le norme dirette all’uso oculato del prezioso liquido.32
GHISA O ACCIAIO? Un consistente dubbio avvolgeva alcuni amministratori cividalesi, relativo ai materiali previsti dal progetto. Questo contemplava l’impiego di tubi in ghisa solo per i primi 20 km della conduttura, usando invece per le diramazioni principali e secondarie quelli innovativi in acciaio Mannesmann, di diametro minore, campanati, all’interno incatramati a caldo e rivestiti esternamente con tela di iuta asfaltata.33 Il criterio prioritario seguito dal progettista era quello dell’economia, ritenendo di risparmiare adottando la ghisa per i tubi di diametro maggiore e l’acciaio nei minori; i prezzi preventivati nel 1911 erano di 21 lire/quintale per le condotte in ghisa e di 51-61 lire/quintale (a seconda dei diametri) per l’acciaio. L’art. 87 del capitolato d’appalto dava la facoltà di effettuare la sostituzione dei Mannesmann con quelli di ghisa. L’assessore comunale cividalese Francesco Del Basso era particolarmente dubbioso su quale fosse il materiale da preferirsi per i tubi e, a scanso di responsabilità, proponeva di chiedere un qualificato parere all’ing. Ettore Paladini, ordinario di idraulica Raccordi e accessori per impianti idraulici disponibili dalla ditta Giuseppe Vèlez di Milano.
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al Politecnico di Milano, di illustre e riconosciuta fama. Questi inviava sollecitamente un’articolata risposta – che era stampata e distribuita ai componenti il Consiglio comunale del 18 dicembre 1911 – ove dichiarava che Non sono a mio avviso da adottarsi tubi Mannesman ma sono da preferirsi quelli in ghisa quando non si possa o non si voglia predisporre le diramazioni e i T d’innesto per la rete al completo sviluppo e si voglia invece mantenere arbitrarie e nel tempo e nel luogo le diramazioni per i futuri sviluppi della rete (…). Dato che non era possibile prevedere tutte le diramazioni future per gli attacchi privati, che sarebbero stati man mano attivati, il Consiglio cividalese nella seduta del 18 dicembre 1911 deliberava di chiedere tassativamente che nel progetto venissero sostituiti ai tubi di acciaio quelli in ghisa, realizzati a perfetta regola d’arte.34 Il dilemma ghisa/acciaio continuava a tenere banco ancora l’anno seguente. Nell’assemblea del 5 ottobre 1912 si interpellava l’ing. Granzotto su questo punto ed egli manifestava la sua amarezza in quanto da taluni non si è esitato di asserire che la scelta dei tubi sia frutto di preventivi accordi con la casa fornitrice a scopo di speculazione. Proprio per fugare ogni ombra di dubbio, il professionista intendeva lasciare alla ditta appaltante i lavori la libertà di scegliere il materiale che meglio avrebbe creduto, pur sottolineando che non trova ragionevole di escluderli solo perché vi è chi dubita senza fondamento della scrupolosa lealtà, mentre ragioni tecniche concorrono a farli preferire.35 A pro del cambio si ricordava che pure gli acquedotti del Rio Gelato e delle Puglie non adoperavano i tubi Mannesmann. Il 20 marzo 1913 il Consiglio comunale di Cividale accettava, a grandissima maggioranza, la mozione che proponeva il cambio dei tubi.36 Alla decisione di alcuni Comuni di sostituire l’acciaio con la ghisa, dal costo maggiore, si imputava addirittura il risultato negativo della prima asta indetta il 3 aprile 1913 per l’appalto della costruzione dell’acquedotto. Temendo che questa scelta avrebbe scoraggiato anche in seguito le ditte interessate ai lavori, si deliberava che i Comuni propensi all’utilizzo della ghisa avrebbero dovuto sostenere direttamente l’onere del prezzo più elevato.37 Al termine dei lavori, la rete risulta così composta: la condotta maestra alimentatrice forma una specie di grande sifone della lunghezza di 18,1 km con tubi di ghisa, del diametro interno di 420 mm. Dal fondo del serbatoio parte la condotta di distribuzione, che per un primo tronco di 1,26 km fino alla porta S. Giovanni di Cividale mantiene il diametro di 420 mm e per un secondo tronco attraversante la città fino al nodo del Gallo prosegue ancora in ghisa, ma con il diametro interno di 350 mm per 1,06 km. Da qui partono le due arterie principali, una per l’alimentazione di nordovest (abitati di Moimacco, Remanzacco, Selvis, Cerneglons) per la complessiva lunghezza di 14,4 km con
tubazioni d’acciaio Mannesmann di diametri interni di 150, 80 e 60 mm; l’altra per le zone di levante e di sudovest, in ghisa fra il nodo del Gallo e quello di Premariacco per 4,35 km, del diametro di 300 mm. A questo punto terminano le tubazioni di ghisa, riprendendo quelle di acciaio e l’arteria si biforca in due sottoarterie. Quella di levante passa per Oleis, Case di Manzano, S. Giovanni al Natisone e termina alle ultime case di Medeuzza, dopo un percorso di 14,8 km con tubi Mannesmann del diametro variante da 225, 175, 150, 100 e 70 mm. La sottoarteria di ponente attraversando gli abitati di Orsaria, Buttrio, Lovaria, Pavia d’Udine, Percoto, Trivignano per 23,15 km e con tubi Mannesmann di 225, 200, 175, 150, 125, 100 e 80 mm, termina alle ultime case di Clauiano. Dalle arterie e sottoarterie vengono alimentate le diramazioni di vario ordine fino a servire anche i centri più piccoli della zona, tutte in tubazione Mannesmann con diametri interni variabili da 125 a 40 millimetri. Le diramazioni minori si estendono per circa 86 chilometri.38 Riassumendo, per le condotte principali e secondarie di distribuzione si impiegavano 5,4 km di tubi in ghisa del diametro da 350 a 300 mm e 171,4 km di acciaio tipo Mannesmann, con diametri interni da 225 a 40 mm.
IL CAMBIO DI CIVIDALE Cividale aveva chiaramente mostrato di preferire la ghisa, deliberandone l’utilizzo per la propria conduttura interna e assumendo integralmente a suo carico la maggiore spesa. Il Genio Civile, però, trovava da ridire su questa decisione, basata principalmente sul timore che i tubi Mannesmann durassero assai di meno. I tecnici del Genio infatti ritenevano che l’acciaio avesse rapidamente acquistato largo favore per la sua assoluta omogeneità, leggerezza, facilità di trasporto e minor attrito offerto al passaggio dell’acqua. A parità di durata ritenevano innegabile che l’acciaio offrisse incontestabili vantaggi nei riguardi tecnici ed economici in confronto alla ghisa e, appunto in considerazione degli stessi, quell’ufficio aveva espresso a suo tempo parere favorevole al progetto principale elaborato da Granzotto. Era opinione diffusa che i tubi in acciaio fossero soggetti a rapido deterioramento e conseguente corrosione per l’azione deleteria di sostanze organiche e ammoniacali contenute nel sottosuolo, ma il Genio precisava che le esperienze dalle quali erano derivate le dette conoscenze erano state condotte in gran parte su tubature in ferro trafilato e per di più affondate nel terreno senza protezioni di sorta, condizioni nelle quali pure la ghisa offriva limitata resistenza, specialmente quella ottenuta negli altoforni, con un notevole tenore di carbonio allo stato lamellare. Invece i tubi di acciaio in uso, oltre a offrire il vantaggio di una ragguardevole omogeneità
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Saracinesca di scarico in ottone, sostituita a Brischis. Da notare l’ingegnosa soluzione adottata in lontani tempi per tapparne un’estremità, applicando una serie di cinque riduzioni progressive. In un modo o nell’altro, i problemi si dovevano risolvere...
del materiale, erano protetti esternamente e internamente da una incatramatura a caldo e rivestiti da doppia fasciatura di iuta asfaltata, quindi assicurati in modo soddisfacente contro l’influenza degli agenti esterni. L’Ufficio dunque non reputava che si trovassero in quella condizione di palese inferiorità rispetto alla ghisa, come tendenziosamente si voleva far credere dalle fonderie fornitrici di quest’ultima. Era provato, poi, che ambedue i tipi di condutture in determinati casi potevano dare adito a gravi inconvenienti, ad esempio i Mannesmann per la presenza di correnti elettriche vaganti nel sottosuolo e la ghisa per la formazione dei cosiddetti tubercoli ferruginosi, con conseguente rammollimento del materiale. Per cui, concludeva il Genio Civile, ritiensi che le motivazioni di base alle quali il Comune di Cividale deliberò di sostituire la ghisa all’acciaio non risultino tecnicamente fondate su una provata inferiorità del secondo rispetto alla prima. Pur lasciando in facoltà a Cividale di adottare o meno la sostituzione proposta, quell’Ufficio era dell’avviso che la maggiore spesa inerente non potesse formare oggetto di concessione di un mutuo suppletivo, come era stato chiesto per l’importo di 23.575,59 lire, non risultando giustificata da reali necessità, nè poteva essere sufficiente il dubbio sulla limitata durata delle tubature Mannesmann, incertezza che a parere del Genio non trovava la conferma nei fatti; in ogni caso, tale variante prima della sua attuazione avrebbe dovuto essere approvata e autorizzata dal competente Ministero. Si doveva poi tenere conto di un altro fatto, squisitamente tecnico: l’attrito offerto al passaggio dell’acqua era minore nell’acciaio, come già detto. Avendo voluto mantenere inalterato il diametro delle condutture anche con la divisata sostituzione, conveniva assicurarsi se le tratte destinate all’alimentazione delle frazioni fossero ancora suscettibili di convogliare la portata occorrente senza il verificarsi di eccessive riduzioni nei carichi piezometrici. Il dubbio presentato
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dall’Ufficio del Genio era fondato sulla constatazione che nel calcolo dei diametri delle tubature Mannesmann il coefficente d’attrito costantemente adottato era pari a 0,0025, troppo esiguo per la ghisa, i cui diametri non oltrepassavano i 100 mm. Su tale punto si dovevano fornire ragguagliate delucidazioni da parte del progettista, prima di adottare qualsiasi decisione definitiva in merito alla sostituzione proposta.39 Sulla scorta di questi pareri, la Regia Sottoprefettura di Cividale, non rivestendo la spesa inerente alla sostituzione acciaio/ghisa il carattere di assoluta necessità, confermava che l’importo non poteva formare oggetto di una nuova proposta di mutuo di favore, giacché l’esecuzione delle opere riflettenti la pubblica igiene e fruenti delle agevolazioni della legge 25 giugno 1911 n° 5940, deve essere contenuta entro i limiti della più stretta economia, cioè adottando quei sistemi che all’atto pratico risultano meno dispendiosi, quando non siano dannosi per la buona riuscita e l’efficienza delle opere da costruirsi. Era lasciata facoltà al Comune cividalese di provvedersi a sue spese, ove avesse insistito ulteriormente per praticare il cambio di materiale.40 Trascorrevano ancora alcuni mesi, immersi nella titubanza, ma la decisione definitiva doveva infine essere presa. La presidenza del Consorzio aveva ufficialmente comunicato che reputava conveniente adottare le tubazioni di ghisa nell’interno della città, essendo molto numerose le utenze private, succedentesi una all’altra anche a brevissima distanza e facendo così ridurre la spesa da 23.760 a sole 4.130 lire. Inoltre le tubature in ghisa erano già disponibili e pronte da collocare in sito, mentre le Mannesmann si sarebbero potute avere solo molto più tardi. Tenendo conto di ciò, il Consiglio comunale nella seduta del 26 novembre 1914 deliberava la sostituzione dei tubi d’acciaio con quelli in ghisa, limitatamente alle condutture interne della città, con la spesa a esclusivo carico del Comune.41 Nella relazione dei lavori finali, si trova conferma che le tubature del diametro maggiore – di 420, 350 e 300 mm – erano in ghisa e tutte le altre in acciaio, a eccezione della rete di distribuzione di Cividale, che per complessivi 4.945 metri era in ghisa.42 Timbro e firma del direttore tecnico, perito Ferruccio Poletto, su un documento del 9 luglio 1917.
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IL PRIMO PERSONALE DELL’ACQUEDOTTO A partire dal 13 ottobre 1913 era stato assunto in servizio Eugenio Calligaro, con l’incarico di sorvegliante. L’ing. de Toni proponeva alla Presidenza del Poiana che dal 1º maggio 1916 si costituisse l’Ufficio Consorziale, secondo le norme del Regolamento organico approvato il 25 settembre 1915; era necessario mantenere l’insostituibile perito Ferruccio Poletto e provvedere alla completa sorveglianza dell’esercizio. La scelta del sorvegliante capo poteva cadere su uno di quelli in servizio, come suo assistente andava bene il migliore dei tre che l’Impresa impiegava lungo la strada del Pulfero, tutti ormai ben pratici dell’acquedotto. Per la sorveglianza nei singoli Comuni era opportuno rivolgersi agli Enti stessi, affinché designassero un incaricato, scegliendolo fra gli stradini o i guardiani municipali. Dopo una quindicina di giorni, lo stesso de Toni ribadiva l’assoluta necessità di provvedere che in ciascun Comune un agente fosse immediatamente nominato per essere in diretto rapporto con la Direzione dei lavori. Non si trattava di occupazioni gravose o contiIl personale del Consorzio Acquedotto Poiana in servizio nell’agosto 1916. In quel tempo la sorveglianza della conduttura era affidata a incaricati che risiedevano in ognuno dei dodici Comuni consorziati.
nuate, bastava notificare senza ritardi alla Direzione ogni nuovo lavoro intrapreso nel proprio territorio, verificare che le nuove prese fossero state autorizzate e informazioni simili.43 L’assemblea consorziale concordava sull’opportunità di assumere senza indugio il personale occorrente per sorvegliare le opere compiute, a norma del Regolamento organico 1915. Si fissavano gli stipendi al personale dipendente del Consorzio, per il biennio 1916/17: al segretario 3000 lire annue, al tecnico 2800, al sorvegliante capo 2400, al sorvegliante assistente 1800 e all’inserviente 1000.44 Per la sorveglianza di tutte le strutture connesse all’acquedotto, il 23 settembre 1916 si stipulava una convenzione tra il Consorzio e l’Impresa Parpinelli per la nomina – con effetto dal 17 luglio 1916 e fino alla conclusione delle straordinarie e non previste condizioni dipendenti dallo stato di guerra – del seguente personale: perito Ferruccio Poletto quale tecnico aggregato all’ufficio consorziale, preposto alla sorveglianza; Giuseppe Battistutti quale sorvegliante capo e Giovanni Lancerotto quale sorvegliante assistente. Dai suddetti dipendevano il vigilante esterno del serbatoio e i dodici sorveglianti incaricati interinalmente dalla Giunta Consorziale su proposta dei singoli Comuni.45 Questi ultimi erano ufficialmente nominati dal 1º agosto 1916, con i relativi compensi qui di seguito indicati: Buttrio, Celestino Favenzi (30 lire) Cividale, Gio Batta Zuccolo (50 lire) Corno di Rosazzo, Girolamo Tantolo (25 lire) Ipplis, Virginio Scaravetti (20 lire) Manzano, Francesco Biancuzzi (50 lire) Moimacco, Giuseppe Caporale (20 lire) Pavia d’Udine, Angelo Bertossi (50 lire) Pradamano, Gio Batta De Sabata (20 lire) Premariacco, Onorio Baschino (20 lire) Remanzacco, Luigi Genuzio (35 lire) S. Giovanni di Manzano, Antonio Don (40 lire) Trivignano, Giuseppe Bosco (30 lire).46 Ci si avvaleva dell’ing. Lorenzo de Toni quale ispettore per l’esercizio e la manutenzione dell’acquedotto, anche dopo che l’ing. Granzotto aveva ripreso la Direzione. Nominato il personale – che nell’insieme curava l’amministrazione, la direzione tecnica, la sorveglianza e la manutenzione – si manifestava subito qualche miglioramento, nonostante il perdurante vandalismo dei soldati rendesse impossibile il regolare e protratto funzionamento delle tante fontane attivate. Gli operai davano buona prova nelle rispettive mansioni, anche se mancavano di esperienza pratica. L’esercizio si stava assestando positivamente, ma l’evolversi degli eventi bellici non permise di giungere alla sua ottimale sistemazione, verso cui era ben avviato.47
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VIA AI PRIVATI, MA LIMITATO L’entrata in guerra alterava le priorità sugli utilizzatori dell’elemento liquido, come detto in precedenza. Se già all’inizio del 1915 i Comuni erano stati caldamente invitati a provvedersi di abili fontanieri, nel dicembre dello stesso anno il Consorzio era costretto a frenare rudemente sul proseguimento in questo settore, comunicando ai sindaci: stante la riduzione di carico in corrispondenza del serbatoio e per le necessità di provvedere sollecitamente al servizio pubblico ed in modo speciale a quello degli ospedali e delle truppe accantonate nei vari Comuni, non è il caso di dare corso alle domande di utenze da parte dei privati. Con apposito avviso si renderà nota la possibilità di effettuare tale servizio.48 Rilevando che, in taluni casi, il beneficio dell’acqua potabile era interamente precluso alla popolazione, come quella residente nelle case isolate e molto lontane dai centri abitati, qualche Comune chiedeva almeno la collocazione di fontanelle a uso pubblico, in via provvisoria. Ne erano state già concesse molte per usi militari ma, mentre alla cessazione delle operazioni belliche esse sarebbero state agevolmente soppresse d’ufficio, ai Comuni sarebbe riuscito ben più difficile togliere le erogazioni da essi collocate, per le presumibili rimostranze degli utilizzatori locali. La direzione dei lavori
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riteneva dunque preferibile accordare – eccezionalmente e solo ai gruppi isolati di famiglie in condizioni igieniche molto precarie – un conveniente numero di utenze private, facendo scegliere a insindacabile giudizio della Giunta consorziale le più bisognose di intervento, tra quelle mancanti di zampilli a conveniente distanza. Stante poi la difficoltà di provvedere materiale e manodopera, le derivazioni si dovevano realizzare a cura e a spese dei singoli interessati, con operai specializzati approvati dal Consorzio e dal costruttore, che avrebbero poi compiuto i necessari controlli e ispezioni sulla congruità dei lavori.49 Terminato il collocamento di tutte le fontanelle pubbliche e dopo che le erogazioni militari raggiungevano il massimo sviluppo, si poteva disporre di dati concreti sulle potenzialità dell’acquedotto e sulla sua capacità di sopperire a bisogni straordinari. Eseguendo un accurato giro d’ispezione con l’autorità militare in tutta la rete acquedottistica, si appurava di poter sopprimere molte erogazioni, in quanto ormai divenute inutili, e di limitare gli sperperi con adatti provvedimenti. La zona media e alta del comprensorio servito dal Poiana garantiva soddisfacenti prestazioni, mentre la zona bassa essendo solcata da tubi di piccolo diametro, pur bastevoli ai bisogni in circostanze normali, sopperiva a malapena agli eccezionali bisogni delle truppe.
Circolare con le norme per la concessione d’acqua ai privati, emanata dalla presidenza consorziale del Poiana il 30 novembre 1916. Era previsto il deposito preliminare di una somma di 150 lire da parte degli aspiranti utenti.
A parziale rettifica di quanto diffuso con la circolare del 30 novembre 1916, il 14 dicembre seguente si modificavano alcune condizioni relative al canone mensile, di 3 lire per i privati e raddoppiato per gli esercenti.
Il Consorzio riteneva doveroso iniziare la concessione di utenze private per non ritardare ulteriormente il beneficio dell’acquedotto ai civili, ma nel contempo doveva limitarle per non perturbare il servizio pubblico e militare. Nel novembre 1916 diramava un avviso con le modalità da seguire per richiedere l’allacciamento alla rete: le ditte interessate faranno domanda, secondo un modello prestabilito, al Comune che la trasmetterà, col proprio avviso, al Consorzio; se sarà accolta, la Ditta dovrà depositare anticipatamente presso l’Esattore di Cividale la somma determinata [150 lire], salvo liquidazione dei lavori di presa secondo la tariffa in appresso.50
SCEGLIAMO IL PASQUOTTI Nell’intento di salvaguardare il complesso impianto acquedottistico, proteggendolo da interventi inappropriati, la direzione intendeva affidare le delicate derivazioni per privati solo a soggetti di provata capacità. Non ritenendo sufficienti a garantire la piena affidabilità delle operazioni le poche persone segnalate a suo tempo dai Comuni, il Consorzio individuava quale miTimbro dell’idraulico Pasquotti, originario di Sacile ma trasferitosi a Cividale per realizzare le derivazioni degli utenti dell’acquedotto Poiana.
glior esperto Francesco Pasquotti di Sacile, classe 1883. Le informazioni che su di lui forniva l’ing. civile Ezio Bellavitis erano confortanti: meccanico idraulico da 8 anni eseguisce tutte le introduzioni e condutture d’acqua ai privati, sia in ghisa sia in ferro per conto del Comune di Sacile, ha eseguito conduttura d’acqua con tubi in ferro dal ponte di S. Odorico sino al passaggio a livello della ferrovia per oltre 400 m (…) eseguiti con le regole dell’arte e con diligenza e intelligenza, inoltre è persona onesta, rispettosa e di buona moralità. Parimenti favorevole era il giudizio del sindaco di Sacile: a Pasquotti è affidato da più di 12 anni l’incarico della manutenzione dell’acquedotto comunale, della esecuzione delle nuove diramazioni dello stesso, riparazione ed introduzione d’acqua nelle private abitazioni ecc., ha dato prova di capacità e di diligenza.51 Anche l’ing. de Toni guardava con favore alla sua candidatura, considerando che il Pasquotti invece di essere assunto come salariato del Poiana, assumerebbe la manutenzione dell’acquedotto alle condizioni da stabilirsi e si occuperebbe delle introduzioni ai privati, fisserebbe il suo domicilio a Cividale. L’idea non è malvagia (…) il Consorzio ha diritto di esigere che nessuno manometta le condutture, perciò si potrebbe imporre che tutte indistintamente le prese per fontane, le diramazioni per conto dei Comuni siano fatte a mezzo del Pasquotti a determinate condizioni e anche le prese dei privati, dal tubo al confine od Fattura di Francesco Pasquotti, dal 1916 idraulico autorizzato dal Consorzio Poiana per eseguire gli allacciamenti di utenti privati.
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In alto: seghetti allungabili per il taglio dei tubi metallici, la cui ottima qualità era decantata in questa pubblicità dei primi anni Venti. A fianco: schema con schizzi, misure e calcoli dei costi per la posa di pozzetti esterni e interni da utilizzare negli allacciamenti privati, 19 novembre 1916.
entrata nello stabile sieno fatti dall’incaricato del Consorzio. Ma le introduzioni interne delle case possono essere commesse dai privati a chi meglio loro accomoda, salvo solo l’ispezione ai lavori e il collaudo da parte del Consorzio. Pasquotti ha assicurato di avere attrezzi e mezzi per dar lavoro anche a 6 operai e per tenere i suoi depositi riforniti del materiale occorrente, si avrebbe una vera fortuna sia per provvedere facilmente alla manutenzione quanto alle distribuzioni senza né rischi né noie per il Consorzio che non anteciperebbe un centesimo.52 Nella stessa circolare, diffusa nel novembre 1916, con la quale il Consorzio faceva conoscere ai Comuni il modello della domanda da compilare dagli aspiranti utenti, si avvertiva pure che delle opere di presa private era stato dato incarico al Pasquotti, che aveva trasferito la residenza a Cividale. Rubinetteria in bronzo per tutte le esigenze, disponibile dalla ditta Zanoletti di Milano.
Utensili per idraulici, in un catalogo della ditta Ferdinando Zanoletti di Milano, distribuito nei primi anni Venti.
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LA COROGRAFIA GIARDI Il 4 maggio 1917 il Consorzio dava ufficialmente incarico di eseguire, in 800 copie, la carta corografica dell’acquedotto allo studio Giardi di Firenze, che aveva già iniziato a prepararla nei mesi precedenti. Verso i primi di ottobre il disegno era terminato e si attendeva solo il ritorno nella città sull’Arno del prof. Olinto Marinelli, per una sua revisione prima di effettuarne la riproduzione fotozincografica.53 Le vicende della guerra consigliarono di rimandare la pubblicazione della carta e della relazione; nel frattempo l’elaborato era depositato, assieme alla minuta del disegno, presso la sede di Roma del Credito Italiano, come risulta dalla “ricevuta di deposito a custodia” del 21 marzo 1918.54 Vista l’urgenza di provvedere l’ufficio tecnico di una planimetria della rete dell’acquedotto, si faceva tirare delle copie dallo studio cartografico Giardi, con il solo colore nero, con riserva di completarle degli altri colori dopo aver aggiornato la rete delle condutture.55 Nell’agosto 1919 i membri della Giunta avevano sotto gli occhi una copia del lavoro, che trovavano eseguito con molta precisione, esattezza e nitidezza, per cui ne ordinavano le copie colorate. Il materiale finale era consegnato nell’ottobre 1919, si facevano stampare in fotozincografia mille copie della planimetria in scala 1:25.000, a 4 colori (nero, rosso e due tonalità di blu), il cui costo finale ammontava a 1499 lire.56 A sinistra: corografia in scala 1:50.000 delle reti dell’acquedotto Poiana estese nei dodici Comuni consorziati. La litografia è stata realizzata dallo studio cartografico Giardi di Firenze, che per questo accurato lavoro si avvaleva anche della competente consulenza del prof. Olinto Marinelli. In basso: circolare diramata dall’Intendenza della 2ª Armata il 13 luglio 1917, per limitare al massimo ogni forma di spreco d’acqua del Poiana.
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LA DISFATTA DI CAPORETTO CORRE SUI TUBI. LA PROFUGANZA Per il Consorzio Poiana, l’ultima settimana dell’ottobre 1917 si prospettava come un periodo di routine, pur inserita in un cupo scenario di guerra. Per la data del 27 era stata convocata l’assemblea consorziale, vi era da approvare il conto consuntivo 1916 e stendere il bilancio preventivo dell’anno seguente. La Storia sconvolgerà l’ordine del giorno, scrivendo le pagine più tragiche del primo conflitto mondiale: le truppe nemiche dilagavano dalla falla di Caporetto, marciando proprio sulla strada del Pulfero, sotto alla quale con tanta fatica erano state posate le condutture principali dell’acquedotto. Il 27 ottobre entravano in Cividale e l’occupavano, trovando il ponte del Diavolo distrutto e una città quasi deserta, per l’esodo in massa della popolazione, sparpagliata in varie parti della penisola. Per la successione degli eventi in quei concitati frangenti e il dipanarsi della gestione del Consorzio nei mesi successivi, attingiamo alle testimonianze del presidente Domenico Rubini, che affidava i suoi ricordi a un memoriale.57 Sfogliando quelle pagine apprendiamo che, senza riuscire a mettere in salvo alcun documento dell’ufficio consorziale – nè, per l’incalzare dell’avanzata nemica, a eseguire l’ordine ricevuto di far saltare l’edificio di presa –, già nel pomeriggio del 27 ottobre Rubini prende necessariamente la via della profuganza, partendo per Roma il giorno dopo. Giuntovi, subito stende un rapporto informativo per il Prefetto di Udine. Questa autorità, che si trova a Firenze, il 10 gennaio 1918 emette un decreto con il quale nomina Commissario Prefettizio lo stesso Rubini, tenuto conto della necessità di un rappresentante per curare gli interessi del Consorzio, sia nei riguardi del personale, sia per le importanti questioni ancora pendenti con l’impresa costruttrice; l’ing. Lorenzo de Toni prosegue la sua collaborazione in qualità di Ispettore dell’acquedotto. Nella capitale, una delle prime necessità pratiche da risolvere è trovare una sede. Per la rarefazione di ambienti da affittare, all’inizio si usufruisce temporaneamente di una stanza, grazie all’interessamento del conte Antonio Revedin, presidente dell’Associazione tra i proprietari delle province invase, che aveva sede in piazza Aracoeli, al civico 33. Il 1º febbraio 1918 Rubini scrive alla redazione del bollettino per i profughi di guerra, chiedendo di pubblicare che ha stabilito la propria sede provvisoria in Roma, piazza della Trinità dei Monti 13. In seguito, trovando necessario sistemare l’ufficio in un locale sicuro e indipendente ove poter conservare gli atti, tenere le udienze e svolgere l’ordinario lavoro, prende in subaffitto una stanzetta ammobiliata in Via Catelfidardo 31 interno 5, per 25 lire
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mensili. Il propagarsi di una epidemia in quella zona impone un nuovo trasferimento, ancora in una stanza subaffittata, stavolta in via Tirso 6, con una pigione aumentata a 35 lire. Il segretario del Consorzio Luigi Brusini, sfollato a Fossano (Cuneo), è invitato a raggiungerlo nella città eterna, ma questi dichiara che le sue condizioni di salute non glielo consentono, chiedendo piuttosto un lungo periodo di riposo, che gli verrà accordato fino a tutto giugno. Fino al 30 marzo Rubini disimpegna anche le funzioni di segretario, in seguito nomina a tale funzione l’avv. Giuseppe Picone, del Ministero del Tesoro, assunto dal 1º aprile con l’assegno mensile di 125 lire. Da gennaio a marzo si raccolgono tutti i dati possibili per la compilazione del bilancio preventivo 1918, che viene approvato il 31 maggio seguente, sulla cifra a pareggio di 634.783,70 lire. Ottenendo dall’Ufficio Fortificazioni di Udine un versamento per consumo d’acqua e riscuotendo altri piccoli importi, riesce a disporre il pagamento delle scadenze più urgenti e improrogabili, nei confronti di parecchi piccoli creditori e degli stipendiati consorziali, anch’essi profughi. Ricordiamo che al momento dell’esodo, nel Consorzio vi era il seguente personale: direttore tecnico, segretario, sorvegliante capo e assistente, dodici sorveglianti comunali più il custode del serbatoio. Pur essendo in pianta organica, nessuno è assunto con carattere di stabilità, per cui sono tutti licenziati dal 31 dicembre 1917, ricevendo lo stipendio sino a detta epoca; fa eccezione il segretario cav. Brusini al quale, anche in considerazione dell’opera fino ad allora prestata in modo degno del massimo elogio, viene corrisposta la paga fino al giugno 1918. Nell’estate seguente, trovandosi nell’assoluta impossibilità per motivi di salute di riprendere servizio, Brusini chiede una soluzione definitiva e conveniente per entrambe le parti; si delibera che dal 1º luglio 1918 egli sia considerato dimissionario, restando esonerato dalla carica di Segretario del Consorzio.58
Timbro e carta intestata del Commissario Prefettizio del Consorzio dell’acquedotto Poiana, incaricato di seguire l’amministrazione consorziale da Roma, dov’era sfollato in seguito alla rotta di Caporetto, nell’ottobre 1917.
RIDARE L’ACQUA PROVVIDENZIALE AL NOSTRO POPOLO Quello che successe all’acquedotto Poiana durante l’anno di occupazione straniera, possiamo conoscerlo con precisione attraverso le memorie di mons. Valentino Liva, arciprete di Cividale che in quel particolare frangente assunse anche il ruolo di autorità civile della disastrata città, visto che l’amministrazione comunale era sfollata a Firenze. Il sacerdote, oltre a prestare un’incessante opera di aiuto, materiale e spirituale, alla spaurita popolazione rimasta, ebbe anche il merito di occuparsi della salvaguardia dell’acquedotto, riuscendo a ripristinarlo e a garantirne, pressoché ininterrottamente, il servizio a tutto il territorio.59 Su questo specifico argomento ha lasciato un dettagliato resoconto, che si riporta di seguito. Il nostro acquedotto del Poiana, dal 27 ottobre 1917, non dava più a Cividale, nè agli altri undici Comuni del Consorzio, una goccia d’acqua, perché schiacciato vicino al luogo di presa, sotto la massa rocciosa, che franò per lo scoppio d’una mina al momento della nostra ritirata, schiantato presso Vernasso per il crollo del ponte sul Natisone, ed interrotto in più altri luoghi. Restarono perciò senza la sua acqua salubre, in tutto il Consorzio, oltre 40.000 abitanti, e nel Comune di Cividale più che 4.000 persone, con i soli pozzi di Callisto, di S. Francesco e di casa Brosadola, con lo scarso acquedotto di Zuccola e quello poco igienico di Purgessimo. Così due oscuri pericoli s’avanzavano: il pericolo di epidemie e il pericolo di incendi, cui non avremmo più potuto resistere che con mazze, scuri, picconi e qualche altro utensile per arrestarne le fiamme. Ecco perché noi componemmo subito un gruppo di sette operai, tre dei quali da noi sottratti al campo dei prigionieri di borgo S. Pietro; ed affidammo loro il compito di questa importantissima riparazione. Essi lo disimpegnarono con tale alacrità e con tanta bravura, che non possiamo tralasciar di segnarme qui i nomi: Caporale Antonio di Nicolò, Caporale Giulio fu Francesco, Caporale Angelo di Angelo, Mataloni Giuseppe di Antonio, Mataloni Angelo di Antonio, Rieppi Luigi di Domenico, Jacolutti Giuseppe fu Giuseppe. Terminate le pratiche necessarie con i Comandi mandammo gli operai a Stupizza il 25 novembre 1917, dopo di averli riforniti di un po’ di pane e di un poco di carne e per evitar loro ogni noia da parte delle truppe applicammo al loro braccio una fascia con la scritta Wasserleitungs-arbeiter, operaio dell’acquedotto. Fatte le prime urgenti riparazioni a Stupizza, fui richiesto da Antonio Caporale di scrivere al Comando germanico per utensili ed altro materiale occorrente e scrissi diffatti addì 15 dicembre 1917 al Comando di tappa bavarese 73: «È già cominciato il trasporto dei tubi dell’acquedotto al ponte di Vernasso sul Natisone. Ora chiedo, che venga messo a disposizione dei nostri operai il materiale necessario già da me specificato».
IL CONSORZIO DURANTE IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Dal 27 ottobre 1917 Cividale era occupata dalle truppe nemiche. Tra le tante necessità da soddisfare, era indispensabile mantenere la funzionalità dell’acquedotto, danneggiato durante le concitate fasi dell’invasione.
Così pure scrissi il 24 dicembre al Comando austriaco succeduto al germanico: «I nostri operai sono pronti per recarsi domani a Stupizza, ma affinché il lavoro possa procedere, occorre sospendere per quella strada il passaggio dei veicoli, lasciando libera per questi solo la via di Tolmino, Luico, Cividale. Per ora potremo dare l’acqua sino a S. Pietro, ma presto si compirà l’opera anche per Cividale. Insistiamo su ciò per le urgenti necessità dell’igiene pubblica». Allora il Comando stabilì di partecipare alla importantissima impresa, mandandovi degli operai soldati, ma noi mantenemmo al loro posto i nostri, ossia Caporale Antonio, Caporale Angelo e Angelo Mataloni. Perché eravamo irremovibili nel nostro proposito di fare ogni sforzo con le nostre proprie mani per la vita del nostro paese: come figli, che vogliono assistere da sè la propria madre ferita, o ammalata, a costo della loro vita. E anche quando il Comando austriaco, in attesa di materiale, dovette sospendere per parte sua il lavoro al ponte di Vernasso, noi non desistemmo, ma approfittando dell’armatura già ivi preparata, proseguimmo l’opera da noi soli, e collocandovi sopra i tubi necessari potemmo ben presto ridare l’acqua provvidenziale al nostro popolo: ciò che voleva dire far ritornare dal cuore il sangue vivo a tutte le membra di un organismo già ammalato, e farlo risorgere a nuova vita; e come per Cividale, così per tutti i paesi del Consorzio. Quest’opera del nostro Comitato, nella travagliosa vita nostra, passò senza solennità, come doveva essere in quella triste ora; ma noi ci sentivamo già soddisfatti solo a vedere scorrere un’altra volta i getti di questo puro e vitalissimo alimento fra il nostro popolo, che lo agognava come la sua stessa vita. Il giorno 5 marzo 1918 stavo discorrendo di ciò col nostro distintissimo signor conte Claricini, il quale mi fece sapere, con mio vivo compiacimento, come si trovasse a Udine l’egre-
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Al ritorno dalla profuganza, la città si presentava in condizioni disastrose. L’archivio del Consorzio Poiana fu salvato dal conte de Puppi, membro della sua Commissione Amministratrice.
gio signor conte Carlo Caiselli, membro della Giunta consorziale dell’acquedotto; al quale perciò scrissi subito, addì 6 marzo 1918, una breve relazione, lieto di poter rendere alle autorità e alle persone civili le opere e le istituzioni, che erano venute a noi sacerdoti da sè, unicamente per le ultime tristissime vicende della guerra. Ed ecco la relazione: «Egregio signor conte Carlo Caiselli, seppi dall’illustrissimo signor conte Nicolò de’ Claricini, che Lei si trova in Udine. Perciò mi affretto a riferirle, come a membro della Giunta consorziale del Poiana, quanto sinora l’amministrazione provvisoria del nostro Comune potè fare per l’acquedotto e per i Comuni del Consorzio e La prego di tenerne conto per l’avvenire. Interrotto in parecchi punti il corso dell’acqua sin dal 26 ottobre 1917, e rimastine perciò privi con grave danno e pericolo i Comuni del Consorzio, noi ci presentammo immediatamente al Comando militare germanico ad esporre l’urgenza della riparazione e ce ne assumemmo il lavoro, alla sola condizione, che venissero perciò messi in libertà, come lo furono di fatto, parecchi dei nostri prigionieri di guerra, che ci avrebbero aiutati nell’impresa. La riparazione sarebbe stata compiuta in breve, se l’autorità militare non avesse per parte sua sospeso la ricostruzione del ponte di Vernasso, in attesa del necessario armamento in ferro. Intanto i nostri operai trasportarono dal deposito di Zuccola i tubi e a gran pena raccolsero in diverse località strumenti ed altro materiale. Giunti con la riparazione a Vernasso, noi, per affrettare il lavoro facemmo la proposta che la conduttura dell’acqua, mancando il ponte, venisse collocata provvisoriamente sulle armature: ciò che fu approvato. Succeduto al germanico il Comando austriaco, la riparazione fu finalmente ripresa, concorrendovi con i nostri operai anche altri della truppa, dietro ordine espresso del Comando.
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Dell’attività svolta durante la profuganza a Roma nel 1917-1918 quale Commissario Prefettizio del Consorzio, il comm. Rubini ha lasciato un’accurata relazione in forma scritta, della quale si riporta l’intestazione.
IL RITORNO A CIVIDALE
Intanto nuovo materiale fu da noi riportato dal deposito di Risano e con difficoltà ritirammo il piombo necessario da un magazzino esistente qui, in borgo S. Domenico. Poi i nostri operai si prestarono anche per gli altri Comuni. In quanto al Consorzio noi ne curammo innanzi tutto la sede, procurando, appena cessati i saccheggi, di raccoglierne il materiale e di riordinare il locale, ma purtroppo, come sempre in casi simili, poco dopo tutto fu nuovamente sconvolto. Ritirammo dal magazzino un buon numero di contatori e guardammo, in quanto ci fu possibile, i depositi di tubi in Zuccola e al Cimitero vecchio. Rimasti soli sotto il peso delle pubbliche responsabilità, abbiamo finalmente saputo con vivo piacere, che Lei, signor conte, continua ad aver a cuore il Consorzio; ed abbiamo visto con sensi di gratitudine il signor conte Claricini adoperarsi per ricuperarne, in quanto le presenti rovine lo consentivano, gli atti ripetutamente dispersi. Le ho scritto la presente per informarla del nostro operato: ma non posso tralasciare di prenderne occasione per pregarla di venirci in aiuto nel continuo lavoro necessario per il difficile mantenimento dell’acquedotto, da cui pure dipendono le condizioni igieniche dei Comuni consorziati ed il benessere di tanta popolazione». Alla lettera aggiunsi questa nota allo stesso signor conte Caiselli: «Prestarono la loro opera per la riparazione, alle volte brevemente interrotta per mancanza di materiale, i nostri operai dal 25 novembre 1917 al 28 febbraio 1918, come risulta dalle nostre note giustificative. La spesa complessiva sino al 28 febbraio 1918 fu di lire 2913. La prego dunque di procurare, che si faccia una ripartizione equa fra i Comuni del Consorzio, in proporzione del canone annuo». Fatto così il nostro dovere verso la rappresentanza del Consorzio, noi continuammo a prenderci la massima cura dell’acquedotto, alla cui conservazione attesero sino al momento della liberazione i nostri operai. Ed io confidavo sempre di poter un giorno, nella pace e nel lavoro, ripetere anche questa pagina della nostra vita con tutti quei cari operai, che così noi avevamo potuto salvare dalla prigionia.60
Domenico Rubini tornava a Cividale verso la metà di novembre 1918 e subito si attivava per il riordino dell’ufficio, trovato in condizioni tali da risultare inabitabile. Prioritaria era la ricerca dell’archivio del Consorzio, che fortunosamente trovava in Municipio, in una cassa dove i documenti era stati gettati alla rinfusa. Sappiamo che il salvataggio dell’archivio dalla lacrimevole distruzione, cui abominevolmente era stato avviato, si deve al conte Nicolò de Claricini Dornpacher, che così descrive questa benemerita operazione: Tutto l’archivio dell’Acquedotto Poiana, che si trovava in casa Brusini a Cividale, era stato buttato in mezzo alla corte a marcire insieme al letame; io, coadiuvato dal mio bravo segretario Eugenio Lavaron e dal messo comunale Giuseppe Caporale, salvai tutto quello che fu possibile maneggiare, e riposte tutte queste carte in un grande cesto le depositai in Municipio.61 Appena l’ufficio tornava a essere usufruibile, si provvedeva a riordinare pazientemente le tante carte sconvolte dalle vicissitudini belliche. Molto materiale risultava smarrito, anche se ne rimaneva una quantità non indifferente; quasi tutte le pratiche risultavano più o meno incomplete. Anche tutto l’archivio dello studio dell’ing. de Toni a Udine, ricco di rilievi, appunti e minute dei progetti in corso, era andato distrutto. Dopo molte ricerche, Rubini trovava chi provvisoriamente poteva coprire il ruolo di segretario del Consorzio: Il Commissario governativo della provincia di Udine Luigi Spezzotti, con un telegramma spedito da Firenze il 5 novembre 1918 ringrazia Domenico Rubini per il messaggio fattogli pervenire alla conclusione del primo conflitto mondiale.
IL CONSORZIO DURANTE IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
Eugenio Zorzini che, ancora profugo a Roma, avrebbe raggiunto Cividale nei primi giorni del febbraio 1919. L’Ufficio idrico dell’8ª Armata si occupava delle più urgenti necessità tecniche dell’acquedotto, in attesa del ritorno dell’ing. de Toni, sfollato a Firenze, che l’11 novembre 1918 aveva dichiarato di accettare l’incarico della sistemazione dell’impianto nel dopoguerra.62 Il suo ritorno in Friuli non sarà agevole, dovendo sollecitare più volte il permesso di rimpatrio per il tecnico e la sua famiglia.63 Per colmare la lacuna di una affidabile direzione tecnica dell’acquedotto, dal dicembre 1918 si spronava il Comando Supremo a comandare a Cividale il capitano geom. Giuseppe Rossi, appartenente alla 143ª Compagnia Genio, 56º Battaglione, 11ª Divisione. Erano necessari reiterati solleciti, anche tramite il Prefetto, facendo presente l’interesse pubblico igienico oltreché quello noto dal lato Militare, finché il 10 febbraio 1919 l’Ufficio delle Fortificazioni di Udine disponeva che il capitano Rossi fosse inviato a disposizione del locale Commissariato per la sistemazione dell’acquedotto che, per numero dei Comuni ed estensione, era il più importante della Provincia. Disponendo finalmente delle due figure professionali necessarie – de Toni e Rossi –, alla fine di marzo 1919 l’acquedotto cessava di essere alle dipendenze dell’amministrazione militare e riprendeva il suo normale funzionamento. La carica di Commissario Prefettizio di Domenico Rubini, attribuitagli il 10 gennaio 1918, si esauriva il 31 marzo 1919, riprendendo egli la presidenza consorziale.
SI RECUPERA, QUEL CHE SI PUÒ Dal 1º aprile l’Ufficio tecnico si premurava di recuperare tutti i materiali e attrezzi sparsi in varie case in Cividale, depositandoli in un unico magazzino affittato presso la sede dell’ufficio. Erano riunite le tubazioni del Consorzio esistenti nel vecchio Cimitero di Cividale e in S. Pietro al Natisone, depositandole nel costituendo magazzino materiali del Consorzio, nel cortile del Ricreatorio festivo. Iniziava a Cividale e nei dintorni la sistemazione delle prese abbandonate e la chiusura di quelle inutili, portandosi poi a Dolegnano, S. Giovanni di Manzano e Risano per bloccare le numerose perdite d’acqua e i getti non indispensabili; in totale venivano soppresse 50 prese inservibili e si recuperavano parecchie centinaia di metri di tubi zincati. Sul ponte di Brazzano si procedeva all’interruzione della conduttura che portava l’acqua del Poiana a quella località. Era completato il riordino dell’ufficio, suddividendo le carte raccolte che si trovavano in sommo
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Dichiarazione di consegna dell’Amministrazione Militare italiana al direttore del Consorzio Giuseppe Rossi di materiali e oggetti mobili recuperati al termine della prima guerra mondiale, tra cui 772 tubi e 10 anelli di ghisa, 24 giugno 1919.
disordine e provvedendo all’occorrente per il suo funzionamento. Dalla statistica estesa in tutti i 12 Comuni per conoscere la situazione post bellica, risultavano esistere: Fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 Fontane pubbliche per uso militare . . . . . . . . . . . . . . . 52 Utenze militari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 Utenze private . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Lentamente i magazzini tornavano a riempirsi, anche con la collaborazione degli abitanti, ad esempio il cividalese Giuseppe Jacolutti recuperava e custodiva materiale di proprietà del Consorzio durante l’invasione, si trattava di 14 contatori, una colonna di ghisa per fontana e un tubo, per un valore di 12.000 lire.64 A Pradamano il signor Dante Nardone metteva al sicuro un tubo Mannesmann del valore di 150 lire trovato nel torrente Torre; a entrambi era accordato un piccolo compenso, in segno di riconoscenza.65 Nei centri di recupero attivati a Cividale si trovavano 690 tubi di varie dimensioni, appartenenti al patrimonio del Consorzio e subito si inoltravano le pratiche per ottenere l’autorizzazione a prelevarli. Alla metà del mese di agosto 1919 erano recuperati circa 13.000 metri di tubazioni e di pezzi speciali.
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IL CONSORZIO DURANTE IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
I DANNI DI GUERRA Già il 25 ottobre 1918, Domenico Rubini nella sua veste di Commissario Prefettizio del Poiana ancora sfollato a Roma, richiamava l’attenzione della Commissione Reale del Dopo Guerra, Sezione V, su quanto era indispensabile fare affinché la grande opera pubblica potesse finalmente rispondere pienamente ai suoi scopi. Un’opera che aveva fornito dei vantaggi incalcolabili all’esercito, iniziando a funzionare sin dall’estate 1915, in coincidenza con l’avvio delle operazioni belliche e rifornendo anche ospedali, forni, reparti di quadrupedi, ferrovie dello Stato, della Società Veneta e a scartamento ridotto, compresa la Caporettana. Con il ritorno alle condizioni di non belligeranza era urgente attuare i provvedimenti necessari a far esplicare appieno il beneficio dell’acquedotto a favore dei numerosissimi abitanti, per i quali era stato concepito, residenti nei dodici Comuni gravati dal pesante onere dell’ammortamento della somma mutuata. In attesa di poter indicare dettagliatamente tutti i lavori che, in conseguenza dello stato di guerra prima e dell’invasione poi, si sarebbero individuati come prioritari, Rubini faceva presente alla Commissione: per ragioni militari, il 26 ottobre 1917 è stato fatto saltare il bellissimo edificio di presa situato presso il vecchio confine italo austriaco, edificio il cui costo fu veramente notevole; inoltre vennero apportati non pochi altri danni alle condutture in più punti. E non si sa quali altri danni siano stati in seguito apportati.66 In realtà, a tale ordine dell’Autorità militare non fu possibile dare piena attuazione per il veloce sopraggiungere delle avanguardie nemiche, cosicché le mine che scoppiarono coinvolsero le tubazioni ma non danneggiarono con esiti irrimediabili la costruzione di presa. Per la rilevazione dei danni alle strutture dell’acquedotto si riteneva fosse meglio affidare tale compito all’Ufficio tecnico, perché chi non aveva completa conoscenza della rete non avrebbe mai potuto compilare un’affidabile perizia, senza comunque ricorrere all’ausilio del personale esperto. Nel novembre 1920 era ultimata la compilazione della denuncia dei danni di guerra, con i seguenti risultati: Beni immobili (compreso il ponte di Vernasso, il maggior costo dell’impianto interno di Cividale e i maggiori prezzi dei materiali metallici) . . . . . . . 94.479,20 lire67 Beni mobili (ai prezzi anteguerra) . . . . . . 28.313,55 lire67
La direzione tecnica consorziale dal febbraio 1919 era affidata al geometra Giuseppe Rossi, su concessione dell’Ufficio Fortificazioni di Udine, in quanto egli aveva il grado di capitano. Rossi sarà direttore fino al 29 febbraio 1956.
I LENTI RISARCIMENTI In occasione di una sua visita in Friuli, il 15 maggio 1919 a S. Giovanni di Manzano si incontrava il ministro delle Terre Liberate on. Fradeletto che, anche per le premure del deputato del locale Collegio barone Elio Morpurgo e del conte Enrico de Brandis, prometteva di anticipare la somma di centomila lire per le opere di ripristino dell’acquedotto.68 Nonostante le insistenze e le assicurazioni ufficiali avute – il presidente Rubini si era anche recato a Treviso nell’Ufficio del Ministero per le Terre liberate per sollecitare personalmente la pratica – in novembre non era giunto alcun versamento, che si incasserà solo il mese successivo. Il risarcimento dei danni ai beni mobili (attrezzi, materiali idrici e mobilio) subiti dal Consorzio, si valutava dell’ammontare complessivo, ai prezzi anteguerra, di 28.941,89 lire.69 Il 24 giugno 1919 l’Autorità militare consegnava a Giuseppe Rossi, in qualità di rappresentante del Consorzio, 772 tubi e altro materiale recuperato.70 Nel 1925 l’annosa pratica degli indennizzi per danni di guerra sofferti dall’acquedotto si avviava a soddisfacente conclusione, essendo state accolte, nella quasi totalità, le cifre denunciate. La liquidazione era a cura del Commissariato di Treviso, per i danni ai beni mobili il risarcimento era di 29.482,70 lire, la cifra spettante per i guasti ai beni immobili alla cui riparazione il Consorzio aveva provveduto direttamente era di 39.814 lire e di 7.600 per quelli ancora da riparare.71 Nel 1929 si otteneva la liquidazione di 31.900 lire per i danni in fase di riparazione e, avendo già avuto 100.000 lire di anticipazione nel 1920, in totale il Consorzio riscuoteva per danni di guerra 201.196,70 lire.
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CAPITOLO VII
Lettera di Domenico Rubini del 28 giugno 1915 al dottor Mario Alverà di Venezia, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Relazione dell’ing. Ugo Granzotto del 4 giugno 1915, ASMunCiv, cart. 297 (vecchia numerazione) LL. PP. 1915-1916, fasc. 1915 cat. 19 Acquedotto, fontane, pozzi. Comunicazione del 30 agosto 1915, ACAP, cart. Antefatti costruzione, fasc. Prolungamento della conduttura all’Abbazia di Rosazzo. Relazione alla Prefettura di Udine del 1 ottobre 1915, ACAP, cart. Anteatti costruzione. Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi, ing. Luigi Zanetti, 4 agosto 1920, p. 81, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Seduta del 25 settembre 1915, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi, 4 agosto 1920, p. 80 e 85, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Relazione 1920, pp. 38-39. Il colpo d’ariete è un fenomeno idraulico che si presenta in una condotta quando un flusso di liquido in movimento al suo interno ha una brusca variazione della portata e quindi della velocità di flusso, in genere avviene per effetto di un blocco di chiusura, per l’apertura di un organo di intercettazione o per il brusco arresto di una pompa. L’intensità del colpo e il valore della pressione massima dell’onda possono raggiungere livelli tali da far esplodere le condotte. Relazione dell’ing. Ugo Granzotto del 4 giugno 1915, ASMunCiv, cart. 297 (vecchia numerazione) LL. PP. 1915-1916, fasc. 1915 cat. 19 Acquedotto, fontane, pozzi. La sollecitazione nei confronti di Granzotto per provvedere alla sua sostituzione era comunicata il 6 luglio 1915, l’accettazione di de Toni alla proposta del 20 luglio giungeva quattro giorni dopo, ACAP, Cart. Varie 1920 Costruzione, Arbitrato, fasc. Pratica relativa alla sostituzione temporanea dell’ing. Lorenzo De Toni. Seduta del 25 settembre 1915, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Una vasta e complessa serie di formule e calcoli a supporto di queste affermazioni è riportata nella relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 37-46, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Seduta del 25 settembre 1915, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La relazione dell’ing. de Toni, improntata su toni ottimistici, era pubblicata in La Patria del Friuli, 30 settembre 1915. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 34, che rilevava i dati dal Giornale dei lavori, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Si segnala che nella deposizione di un lavoratore, riportata nel testo, il giorno indicato per il raggiungimento di questo traguardo, in base ai suoi ricordi, è il 5 settembre 1915 e la medesima data compare anche negli atti di collaudo dell’ing. Luigi Zanetti. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, p. 35, 37 e 48, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi, ing. Luigi Zanetti, 4 agosto 1920, pp. 64-65, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Altri dati sui costi di materiali e manodopera per sostituzione di
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tubi lesionati si trovano in una Relazione del direttore del Consorzio Giuseppe Rossi, inviata il 24 maggio 1920 all’ing. Luigi Zanetti, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano, Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. Testimonianza di Silvio Santolin, resa il 16 giugno 1920 nello studio dell’avvocato Gian Domenico Gaspari in Cologna Veneta, davanti al regio notaio Antonio Gaspari residente in Minerbe, iscritto al collegio notarile del distretto di Verona-Legnago, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. La Patria del Friuli, 22 ottobre 1915. Dati ricavati dall’articolo L’acquedotto del Friuli Centrale è ormai una grandiosa realtà, non firmato, pubblicato in Il Friuli, quindicinale turistico della Regione, n. 20 del 31 ottobre 1960, pp. 4-5. Su questa realizzazione, si segnala inoltre PECILE 1994 e Quel costante fluire 1997. Giornale di Udine, mercoledì 1 dicembre 1915, p. 1. Relazione a stampa dell’ing. Lorenzo de Toni, gennaio 1916, ACAP, cart. Pratiche relative alla costituzione del Consorzio. Secondo memoriale, 28 dicembre 1922, pp. 6-8, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato, fasc. Arbitrato. Verbale di constatazione dello stato in cui fu trovato un tubo di ghisa alla progressiva di circa m 13734 (...) ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Dichiarazione giurata di Antonio Zanutto resa il 19 gennaio 1923 di fronte a Geminiano Cucovaz notaio di Cividale, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato, Allegato C. Le lamentele per la difficile situazione creatasi nei frangenti di guerra era segnalata dall’ing. de Toni alla Prefettura di Udine, con una lettera del 9 gennaio 1916, ACAP, cart. Anteatti costruzione. ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923, seduta del 3 giugno 1916. Pro-memoria circa la gestione tecnica dell’Acquedotto Pojana durante l’anno 1917, documento non datato né firmato, ACAP, cart. 1918 Atti del Commissario Prefettizio, fasc. 26 Rendiconto economico e morale a 31 dicembre 1918. Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi, 4 agosto 1920, pp. 81-82, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Seduta del 3 giugno 1916, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Comunicazione del 17 gennaio 1917, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Allacciamento provvisorio della conduttura dell’acquedotto sotto il serbatoio di Cividale. In un’unica circolare a stampa si riunivano le indicazioni per evitare sprechi, dettate il 13 luglio 1917 dal colonnello Santini dell’Intendenza della 2° Armata e le ‘Norme relative alle erogazioni d’acqua ed alla sorveglianza dell’acquedotto del Pojana dell’Ufficio delle Fortificazioni di Udine’ dell’11 maggio 1917, ACAP, cart. Anteatti costruzione. Il brevetto Mannesmann – depositato da due fratelli tedeschi e impiegato industrialmente per la prima volta nel 1887 – permetteva di ricavare tubi senza saldatura direttamente da barre di acciaio pieno. Fino a quel momento i tubi venivano prodotti per fusione in stampi, per foratura di
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cilindri, per saldatura di lamiere curvate, ma i tubi così realizzati non sopportavano alte pressioni ed erano soggetti a deformazioni. In Italia la laminazione dei primi tubi senza saldatura venne avviata nel 1909 a Dalmine, vicino Bergamo. Il prof. Paladini per la sua consulenza chiedeva un onorario di 50 lire, somma pagata personalmente dal pro-sindaco Giovanni Marioni, il quale sollecitato dall’assessore Del Basso aveva interpellato l’illustre cattedratico, attraverso una sua lettera del 13 dicembre 1911. Una copia a stampa del parere Paladini si trova in ASMunCiv, cart. 260 (vecchia numerazione) LL. PP. 1908-1912, fasc. 1912, cat. 19 Fontane, Lavatoi. Seduta del 5 ottobre 1912, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La mozione era presentata dall’assessore supplente Francesco Barbiani, che nel Consiglio comunale di Cividale del 20 marzo 1913 proponeva l’adozione dei tubi di ghisa anche nelle diramazioni per le frazioni del Comune. Seduta del 10 aprile 1913, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 8-12, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Comunicazione del Corpo Reale del Genio Civile alla R. Prefettura di Udine del 20 aprile 1914, ASMunCiv, cart. LL. PP. 1913-1914, fasc. 1914, cat. 19 Fontane, Lavatoi. Lettera della R. Sottoprefettura di Cividale al Sindaco del 28 maggio 1914, ASMunCiv, cart. LL. PP. 1913-1914, fasc. 1914, cat. 19 Fontane, Lavatoi. Deliberazioni Consiglio comunale di Cividale, 26 novembre 1914, delibera n. 139, ASMunCiv. Relazione 1920, p. 54. Documenti del 4 e del 30 aprile 1916, ACAP, Cart. Varie 1920 Costruzione, Arbitrato, fasc. Carte varie. Seduta del 3 giugno 1916, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Convenzione del 23 settembre 1916, ACAP, Cart. Varie 1920 Costruzione, Arbitrato, fasc. Allegati alla 1° Memoria. Compenso ai 12 sorveglianti durante il loro servizio interinale, 30 settembre 1916, ACAP, cart. Conti Consuntivi 1915, 1916, 1917, fasc. 1916. Pro-memoria circa la gestione tecnica dell’Acquedotto Pojana durante l’anno 1917, non datato né firmato, ACAP, cart. 1918 Atti del Commissario Prefettizio, fasc. 26 Rendiconto economico e morale a 31 dicembre 1918. Circolare del Consorzio ai Sindaci, dell’8 dicembre 1915, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Distribuzione acqua ai privati. Comunicazione dell’ing. Lorenzo de Toni alla presidenza del Poiana, 20 maggio 1916, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Fontanelle pubbliche. Circolare a stampa del 30 novembre 1916, con aggiunta del 14 dicembre 1916 riportante la modifica delle condizioni relative alle concessioni, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Fontanelle pubbliche. Attestato dell’ing. Bellavitis del 12 maggio 1916 e del sindaco di Sacile del 3 luglio 1916, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Pasquotti. Comunicazione dell’ing. de Toni al segretario Luigi Brusini del 3 luglio 1916, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Pasquotti. Il 4 aprile 1917 si spediva il ringraziamento al prof. Marinelli – che fu presidente della Società alpina friulana dal 1901 al 1926 – per il suo prezioso apporto nella compilazione della carta corografica da allegarsi alla relazione storica. In base al preventivo del 17 aprile 1917 il prezzo fissato era di 870 lire per le prime 500 copie e 130 lire al mille per le successive, il Consorzio decideva di stamparne 600, ACAP, cart. Varie 1920, Costruzione, Arbitrato, fasc. Pratiche relative con lo studio Cartografico G. Guardi per la compilazione di una planimetria dell’acquedotto a colori. Il 17 febbraio 1918 Giardi chiedeva al Commissario Prefettizio Rubini a Roma l’anticipazione di 300 lire, che a suo tempo non aveva ritenuto necessaria, ACAP, cart. 1918 Atti Commissario Prefettizio, fasc. 9 Carta Corografica Giardi. Seduta del 13 maggio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 8. Fattura del 22 ottobre 1919, ove era specificato che la riproduzione fo-
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tozincografica al 1000 costava £ 369, preparazione dei colori in pietra £ 120, carta e stampa di n° 1000 copie a 4 colori ossia in nero, rosso e due blu £ 700, imballaggio £ 10, totale £ 1499, in ACAP, cart. Conto Consuntivo 1919. Relazione del Commissario Prefettizio, datata 31 maggio 1919, ACAP, cart. 1918 Atti Commissario Prefettizio. Se non diversamente indicato, i dati di questo paragrafo provengono da tale cartolario. Deliberazione n. 12 dell’8 agosto 1918, ACAP, cart. 1918 Commissario prefettizio, fasc. 23 Copia delle deliberazioni. Nella seduta dell’assemblea consorziale del 22 novembre 1919 era discusso del trattamento di buona uscita al cav. Brusini. Il presidente informava del suo ottimo stato di servizio e della sua efficace opera quale segretario e per la parte preminente nella costituzione del Consorzio, come nelle pratiche inerenti all’appalto ed al Prestito con la Cassa D.D. P. P. Il compenso a titolo di buona uscita era assegnato all’unanimità. L’opera prestata a favore del Consorzio era citata nelle memorie autobiografiche del segretario, cfr. BRUSINI 1913. Su mons. Liva: BACCINO 2007. In particolare, sulle vicissitudini del territorio cividalese nel periodo di guerra, pp. 159-182. LIVA 1928, pp. 177-183. Mons. Liva scrisse un resoconto sul suo operato durante l’anno di occupazione, presentandolo al sindaco di Cividale, nel quale al punto 3 riporta specificamente L’acquedotto Poiana compromesso per lo scoppio di una mina in zona di Stupizza, venne ripristinato mediante l’opera di soldati italiani, tenuti in certi campi di prigionia (...), BACCINO 2007, p. 180. DE CLARICINI 1919 p. 34. Sin dal 10 novembre 1918 Rubini aveva comunicato a Firenze, dove si trovava sfollata l’Amministrazione comunale cividalese, la sua intenzione di dare subito il formale incarico all’ing. de Toni. Questi il 1° novembre chiedeva un certo tempo per prendere una decisione e dopo dieci giorni scioglieva la riserva, comunicando l’accettazione dell’incarico. Il carteggio originale è conservato in ACAP, cart. 1918 Atti del Commissario prefettizio, fasc. 29 Dopo-guerra. In una lettera del 31 dicembre 1918, diretta alla Prefettura di Udine, ancora insediata a Firenze, si ribadiva che il rimpatrio di de Toni è necessario non solo per il Poiana, ma per tanti acquedotti comunali dei quali ha la manutenzione ed anche per lavori privati, non può muoversi senza il resto della famiglia e per l’età e per la questione finanziaria, mentre a Alnicco la famiglia può trovare vitto ed alloggio convenientemente; si fa viva preghiera per il permesso di rimpatrio allo scrivente, a sua moglie Elisa e alla figlia Emma, ACAP, cart. 1918 Atti del Commissario prefettizio, fasc. 17 de Toni ing. Lorenzo sovraintendente ai Lavori. Seduta del 13 maggio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919. Seduta dell’8 luglio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919. Comunicazione del 25 ottobre 1918, con oggetto ‘Riattivazione dell‘acquedotto’, prot. 334/29, ACAP, cart. 1918 Atti del Commissario prefettizio, fasc. 29 Dopo-guerra. Della distruzione impostagli, Rubini ha lasciato testimonianza scritta anche nel memoriale del 31 maggio 1919, a pag. 1 (...) Ma già nel giovedì 25 l’Ufficio Tecnico aveva ricevuto l’ordine dall’Autorità Militare di far saltare l’edificio di presa e interrompere la conduttura in tre punti, ordine, del quale io non potei che prendere atto con immenso dolore. Seduta del 23 novembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. Il testo della lettera di ringraziamento inviata dal presidente Rubini all’on. Fradeletto è pubblicato in La Patria del Friuli, 26 maggio 1919. Seduta del 15 dicembre 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Dichiarazione di consegna a favore del presunto proprietario di materiali e oggetti mobili ricuperati del 24 giugno 1919, ACAP, cart. Recupero materiali e vendite. Pratica Pasquotti. Cassa Naz. Ass., Ferrovie dello Stato, Società Veneta. Zona di protezione delle sorgenti, fasc. 30 Recupero materiali e Vendite. Seduta dell’8 agosto 1925, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929; seduta del 22 agosto 1925, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929.
VIII CAPITOLO OTTAVO
L’AVANZARE DELL’OPERA NEL DOPOGUERRA
LA RIPRESA NELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA Il 5 marzo 1919 l’Ufficio Idrico dell’8ª Armata, dopo averne curato la gestione dal novembre 1918, riconsegnava integralmente l’acquedotto al Consorzio. La prima assemblea del dopoguerra si svolgeva il 7 giugno 1919. Dopo aver espresso un riconoscente saluto ai nostri soldati che con fede, sacrificio ed entusiasmo seppero abbattere l’esercito nemico, riportando su di esso la grande vittoria che ci frutterà la realizzazione delle nostre aspirazioni, i rappresentanti dei Comuni affrontavano la complessa opera di sistemazione e miglioramento della struttura, rudemente sfruttata dalle truppe italiane nel corso del conflitto e maldestramente strapazzata durante il periodo dell’invasione. Prima di dedicarsi alle problematiche di natura materiale, occorreva dare un efficace assetto all’ente, per la parte direttiva, amministrativa e di sorveglianza. La direzione tecnica era affidata al geometra Giuseppe Rossi, nominato provvisoriamente anche segretario, con lo stipendio netto annuo di 6000 lire, Giuseppe Battistutti era riconfermato sorvegliante capo, con aumento di stipendio da 2400 a 3360 lire, mentre il sorvegliante avrebbe goduto di un incremento da 1800 a 2960 lire, scritturale d’ufficio era Eugenio Zorzini, con 1800 lire mensili.1 Come stabilito sin dal 1916, ogni Comune avrebbe avuto un proprio sorvegliante, con un assegno variante da 150 a 300 lire. Questi erano i nominati: Celestino Favenzi (Buttrio), Enrico Qualizza (Cividale), Girolamo Tantolo (Corno di R.), Luigi Costantini (Ipplis), Pietro Alessio (Manzano), Giuseppe Caporale (Moimacco), Angelo Bertossi (Pavia di Udine), Gio Batta De Sabata (Pradamano), Onorio Baschino (Premariacco), Luigi Genunzio (Remanzacco), Antonio Don (San Giovanni di Manzano), Giuseppe Bosco (Trivignano Udinese), Antonio Pocosgnich (serbatoio di Monte dei Bovi). Per prendere esatta cognizione delle condizioni della rete acquedottistica, l’ing. de Toni appena rientrato dalla profuganza effettuava tre visite alle strutture
dell’acquedotto, l’11 febbraio, il 13 e 14 marzo 1919, accompagnato dal comm. Rubini, dal geom. Rossi e dal tenente Bianchi. Da questi sopralluoghi si traeva gli elementi utili per stendere un piano dei lavori più immediati per la sistemazione: Edificio di presa. Durante l’invasione il nemico non si curava di limitare le fughe e manovrava incautamente le apparecchiature, pertanto occorreva aggiustare le paratoie dello scarico e le saracinesche di presa, oltre a sistemare il vecchio alveo del rio Pojana. Passerella sul Natisone. Era asportata e collocata presso S. Pietro al Natisone, occorreva smontarla e riportarla nei pressi della Presa, irrobustendola. Attraversamento della tubazione sul fiume. Per le corrosioni avvenute, occorreva rincalzare i tubi per oltre cento metri, con palificazione e calcestruzzo, lavoro complesso dovendo operare lo scavo in acqua. L’esercito italiano disponeva di un proprio Ufficio Idrico, che si occupava della manutenzione dell’acquedotto prima di riaffidarlo alle cure del Consorzio. Questo gruppo di militari stanziati a Cividale si trova in officina, dotata di attrezzi d’idraulico, impugnati da alcuni di essi; il soldato seduto a terra mostra una madrevite (collezione privata).
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L’AVANZARE DELL’OPERA NEL DOPOGUERRA
Conduttura principale. Dopo alcuni infruttuosi tentativi di ripristino dell’acquedotto, gli Austriaci avevano chiamato uno specialista da Praga. Non si conosce con che tipo di operazioni questo ‘esperto’ sia intervenuto, con certezza si appurava che al termine del conflitto la portata a Cividale era minore di un terzo rispetto a quella anteguerra. Trattandosi di una condotta lunga 18 km, sicuramente molti malanni sarebbero emersi poco a poco, in tempi lunghi; subito evidenti invece erano le granate e le bombe ancora occultate in tanti pozzetti. Conduttura di distribuzione. Nei 220 km di sviluppo erano avvenute manomissioni per prese superflue e inconsulte diramazioni protratte anche fuori Consorzio, ad esempio verso Brazzano, da sopprimere perché riducevano grandemente la portata. Essendo stati levati e dispersi i segnali dei pozzetti di manovra, scarico e sfiato, servivano apposite ricerche per rimetterli a posto e occorreva una accurata disinfezione del serbatoio. Gli attrezzi da lavoro, che erano stati comprati d’occasione in quanto ceduti dall’Impresa, andavano dispersi e dovevano essere riacquistati. Nonostante l’ing. de Toni fosse rimasto privo di tutto il materiale conservato nel suo studio di Udine, ove teneva rilievi, appunti e minute dei progetti in corso, in breve elaborava un preventivo di massima per l’esecuzione dei lavori necessari, pari a 250.000 lire, che comprendeva anche la costruzione dell’edificio interruttore al Tiglio.2 La Sottoprefettura di Cividale il 16 maggio 1919 approvava il progetto de Toni e l’assemblea lo ratificava il 7 giugno seguente. Confidando di ricevere le 100.000 lire promesse dal Ministero delle Terre
Particolare di un soldato appartenente all’Ufficio Idrico militare che impugna saldamente una madrevite, strumento usato per filettare i tubi.
Liberate, per la somma mancante di 150.000 lire, dopo aver esperito pratiche con diversi istituti di credito della Provincia, si incontrava la sola disponibilità della Banca Cooperativa di Cividale ad accordare un prestito, al tasso del 5,5%, per un anno. L’aiuto ministeriale doveva essere dispensato in due rate, metà entro giugno e il resto a luglio, ma in novembre non era giunto alcun fondo. Per consentire il proseguimento dei lavori e il pagamento dei materiali di imminente arrivo urgevano mezzi finanziari, avendo quasi esaurito l’importo del primo mutuo contratto nel precedente mese di giugno. Non rimaneva altra via che quella di accenderne uno nuovo, per la somma di 60.000 lire.
I LAVORI DI RIPRISTINO NEL 1919 Il direttore era inviato a Milano per l’acquisto di strumenti e attrezzi da idraulici, che riusciva a trovare a prezzi di grande convenienza. Anche grazie alla collaborazione prestata dal tenente cividalese Renato della Torre, dopo lunghe pratiche burocratiche con l’autorità militare erano recuperati e trasportati nel magazzino 772 tubi di ghisa. Dalla lettura del ‘Giornale dei lavori’ compilato da marzo a dicembre 1919, possiamo qui di seguito ricostruire la dettagliata sequenza delle operazioni compiute per riportare alla massima efficienza l’acquedotto. La prima quindicina di marzo è dedicata alla sistemazione dell’ufficio, il 10 del mese viene assunto in servizio l’idraulico Costantino Lancerotto e può iniziare la chiusura delle fontanelle superflue e delle utenze private non usufruite. Nel mese successivo si riunisce il materiale sparso nei dintorni di Cividale e di San Pietro al Natisone in un sito poco lungi dalla stazione ferroviaria, usato quale Ricreatorio festivo. Continua la chiusura delle utenze abbandonate e delle fontanelle esuberanti alle necessità, provvedendo di rubinetti quelle a getto continuo, causa di forte spreco. Si procede alle riparazioni più urgenti nei vari Comuni del comprensorio, allo scavo e al recupero dei tubi lungo le condutture abbandonate, nonché al trasporto dei tubi da 420 mm necessari all’erigendo interruttore in località Tiglio, per il quale il 20 giugno si procede con il tracciamento del perimetro del serbatoio. Il 10 luglio entra in servizio Cesare Blasigh, il 17 seguente gli operai impiegati sono 22 a San Giovanni di Manzano, 18 a Cividale e 10 a Villanova; il 25 luglio gli operai salgono a 69, il 4 agosto se ne contano 80. Due giorni dopo sciopera il gruppo di 20 lavoratori occupati a Visinale, chiedendo un aumento di paga, viene assicurato loro che verrà concesso quel giusto miglioramento che si riterrà.
L’AVANZARE DELL’OPERA NEL DOPOGUERRA
Il materiale recuperato, di vari diametri, da marzo al 9 agosto è il seguente: Tubi zincati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.602 m Tubi ferro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54.514 m Tubi ghisa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .299 m Tubi Mannesmann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.341 m In complesso 13.656 metri di tubatura, del peso totale di 34.130 kg. Il recupero della tubatura prosegue anche nei mesi seguenti; questa paziente e accurata operazione si dimostrerà valere circa 130.000 lire.3 Si lamenta ovunque la mancanza di rubinetti, che sono sciaguratamente asportati tutte le volte che si riparano o si rimettono. Di grande utilità, soprattutto per il recupero del materiale sparso in diverse località, risulta un autocarro concesso in prestito, ma dal 10 settembre questo prezioso ausilio non è più disponibile, in quanto un ordine ministeriale vieta la concessione gratuita di automezzi. In settembre, essendo quasi ultimati i lavori di riparazione e di recupero delle condutture inutilizzate, il numero degli addetti scende drasticamente, a Cividale si riduce al minimo indispensabile, a San Giovanni ne rimangono 10, di cui 4 impiegati a Cascina Rinaldi. In ottobre travagliano 6 persone a Trivignano, altrettante a Buttrio, 4 a Cascina Rinaldi, 14 a Cividale, oltre ai 40 dediti all’interruttore del Tiglio. In dicembre sul monte dei Bovi si mettono a dimora 600 piante di pino.4 La passerella per l’accesso all’edificio di presa durante il conflitto era stata trasportata in altra località; potendo raggiungerlo usufruendo del ponte della vicina ferrovia, non si ritiene necessario rimettere la passerella al suo posto primitivo, inoltrando invece la richiesta alla Delegazione trasporti per ottenere l’autorizzazione a usufruire dell’esistente ponte ferroviario.5
LE SFURIATE DELLA NATURA NEL 1920 Quando i grandi sforzi per sistemare al meglio l’acquedotto stanno dando i loro frutti, ecco che la Natura obbliga a compiere un passo indietro. Nel settembre 1920, particolarmente il giorno 20 e 21 il Friuli è martoriato da una serie di precipitazioni eccezionali,6 che provocano veementi piene dei fiumi.7 Il Natisone morde rabbiosamente il muraglione e la strada che costeggia il suo letto, strappando due tratti di conduttura che vi scorrono in aderenza, a nord di Stupizza. Cento metri di tubi di grande diametro sono inghiottiti dalle acque e finiscono sepolti sotto la turbolenza delle vorticose ghiaie. I visitatori che si recano sul posto così descrivono la situazione: in località ‘Le Mine’ la conduttura è scoperta per la lunghezza di circa due tubi, fortunatamente questi ultimi appoggiati sulla roccia non hanno subito guasti. Oltre la galleria della caporettana la strada
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franata per circa 80 metri, privò d’appoggio la conduttura che rovinò nel Natisone. Sei tubi andarono perduti, trasportati dalla corrente. Più oltre, a circa 800 metri dall’edificio di presa, il fiume asportò per una cinquantina di metri il muraglione a sostegno della strada, determinando la caduta della conduttura situata dietro a lui.8 Appena il maltempo si attenua, le squadre sono sul posto e dal 22 settembre iniziano i lavori di ripristino, che si prevede durino un mese, con un danno di circa 50.000 lire; per affrontare tale spesa, occorre ricorrere al prestito di un istituto di credito.
L’AMBULANZA DELL’ACQUEDOTTO Tenuto conto dell’estensione dell’acquedotto e della necessità di spostarsi rapidamente da un luogo all’altro per riparare le manomissioni dovute alle operazioni belliche, sarebbe stato assai utile avere a disposizione un automezzo. Si facevano pratiche attraverso la “Delegazione italiana per le truppe alleate e terre liberate” con sede a Vicenza, per ottenere la disponibilità di un autocarro; questo sarebbe stato concesso ma, com’era risposto il 25 marzo 1919, solo dietro pagamento. Il Consorzio disponeva di mezzi limitati e, trattandosi di un servizio pubblico di somma importanza, insisteva perché la concessione fosse fatta gratuitamente; il 15 aprile 1919 era data notizia dell’assenso a ciò.9 In seguito, però, per la grande deficienza di automezzi l’Autorità militare non era più in grado di mettere a disposizione l’autocarro, già concesso dal Comando supremo. Vista l’assoluta necessità di un mezzo rapido di trasporto per i lavori da svolgere su un’estensione di 240 kmq, la Giunta pensava di cogliere la conveniente opportunità offerta dall’alienazione dei mezzi automobilistici delle truppe alleate e deliberava di acquistare un’autoambulanza americana, il cui prezzo di vendita era di 5.000 lire.10 Il direttore partiva speranzoso per Padova e Castelfranco Veneto, ma anche questa prospettiva sfumava, perché l’automezzo non era possibile averlo a quella bassa cifra, che si provava a innalzare fino a 6.000 lire.11 Neanche questo consentiva di concludere positivamente l’operazione e si dirottava tale stanziamento per avere almeno un mezzo rapido con le ruote dimezzate, ovvero per l’acquisto di una motocicletta. Permaneva però il bisogno di effettuare i trasporti più ingombranti e, dopo aver vagliato le offerte pervenute, nel marzo 1920 era deliberato l’acquisto di un autocarro 15 Ter, non superando la spesa di 15.000 lire.12 Questo mezzo svolgeva egregiamente la sua funzione, consentendo un rapido trasporto di mezzi e personale per i successivi quattro anni, poi era rivenduto perché i lavori si erano ridotti alla sola manutenzione ordinaria e derivazioni private, per le quali non era
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necessaria la macchina, che consumava molto carburante e usurava rapidamente gli pneumatici.13 Dopo un po’ si riteneva opportuno riacquistare un mezzo proprio, di minor potenza, per i frequenti trasporti di materiali, ispezioni urgenti lungo le reti per riparazioni, verifiche, rilievi, ecc. ma la giunta provinciale non giustificava la spesa deliberata. In seguito, si faceva ancor più consistente la necessità di un mezzo rapido di trasporto – ricordiamo che la rete si estendeva fino a Clauiano, distante dalla sede circa 28 chilometri – e infine si decideva di acquistare una buona automobile FIAT usata, spendendo 13.000 lire.14 Da allora il parco automezzi del Consorzio era periodicamente, e oculatamente, rinnovato.15
L’INTERRUTTORE IN LOCALITÀ TIGLIO Nell’assemblea del 21 ottobre 1916 l’ing. Granzotto presentava ai convenuti l’opportunità di interrompere la condotta maestra a circa metà della sua lunghezza, in località Tiglio, in corrispondenza di un’accentuata contropendenza di 21 metri. Per le favorevoli condizioni del terreno, si sarebbe potuto costruire un piccolo serbatoio nel quale il pelo libero dell’acqua in arrivo avesse la quota uguale a quella piezometrica fissata dal progetto per la condotta forzata. Ricordava che nel corso delle prove di immissione, condotte rigorosamente alla massima pressione prevista dal capitolato, si era lesionato qualche tubo, d’altronde quello ero lo scopo dell’esperienza, in tal modo si poteva effettuare il cambio dei pezzi lesionati prima che l’acquedotto fosse posto in regolare funzionamento. Essendo entrati in stato di guerra durante tali prove, non era stato possibile effettuare compiutamente il ricambio dei tubi. Con l’interruttore progettato, le operazioni di sostituzione sarebbero state grandemente facilitate e, nel Posizione dell’interruttore in località Tiglio, previsto nel progetto del 23 novembre 1911 dell’ing. Ugo Granzotto. A causa della guerra, la sua costruzione dovette essere posticipata al 1919.
Telegramma spedito da Forlì il 18 ottobre 1917, con il quale le locali Officine chiedono di poter finalmente spedire i due vagoni di materiale, ingombrante e da molto tempo in sosta nel piazzale della fonderia, da utilizzare per l’interruttore al Tiglio.
contempo, la conduttura sarebbe stata preservata da forti colpi d’ariete, che si potevano pericolosamente verificare con maggiore intensità proprio al Tiglio, coincidente con il vertice del grande sifone formato dall’andamento della condotta alimentatrice. L’assemblea approvava tale progetto, autorizzandone la spesa di 36.974,53 lire, da pagarsi possibilmente con introiti straordinari o, in loro mancanza, mediante un mutuo da contrarsi con la Cassa Depositi e Prestiti.16 La grandissima utilità del manufatto era riconosciuta anche dall’ufficio del Genio Civile, che il 7 dicembre 1916 ne approvava con sollecitudine il progetto, raccomandandone l’immediata realizzazione e pure l’Autorità Militare palesava il suo gradimento per la sollecita costruzione dell’opera, accordando il prelievo del cemento occorrente presso lo stabilimento ‘Cementi del Friuli’. L’ing. de Toni concordava sulla pronta attuazione di questo provvedimento, per non andare incontro a sicuri, maggiori aggravi. Nel tempo che era trascorso dall’approvazione della proposta alla successiva assemblea, i prezzi avevano già subìto un forte aumento, nel solo periodo da marzo ad aprile erano schizzati in alto del 25%, con forte tendenza a ulteriori aumenti e senza nessuna speranza che, al termine della guerra, calassero. Entrando in fase operativa, però, ci si trovava di fronte all’indisponibilità dell’impresa costruttrice Parpinelli, il cui titolare dichiarava di non potersi occupare della sua realizzazione, in quanto aveva ormai spiantato il cantiere e licenziato tutti i dipendenti, non intendendo assumere altri lavori, nè per enti pubblici nè per privati.17 Un paio di mesi dopo, lo stesso Parpinelli cambiava atteggiamento, avendo trovato conve-
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niente appoggio nella ditta Ratti & C. di Venezia. Il 23 marzo 1917 dunque si impegnava a eseguire anche quest’opera addizionale, secondo il progetto approvato ma con le modifiche dei prezzi unitari, per i cospicui e rapidi aumenti di materiali e manodopera: dalle 37.000 del preventivo l’importo saliva a circa 60.000 lire.18 Pur con qualche dissenso – qualcuno riteneva l’opera sì utile, ma non proprio necessaria e proponeva di rinviarne l’esecuzione alla conclusione del conflitto in corso – era deliberato di procedere alla sua costruzione, facendo fronte alla relativa spesa di 60.000 lire tramite un prestito a un tasso non superiore del 6% concesso dalla locale Banca Cooperativa.19 Si ordinavano i tubi alle Officine di Forlì, che era in grado di fondere anche i necessari pezzi speciali. Ai primi di agosto il materiale era già pronto, l’8 e 9 dello stesso mese l’ing. Granzotto si recava a Forlì per eseguire personalmente il collaudo, che aveva esito favorevole, tranne per un tubo da 420 mm da sostituire. Dopo avere licenziato i pezzi per la fase finale di catramatura, il tecnico si attivava per ottenere dall’Autorità militare l’autorizzazione alla spedizione a mezzo strada ferrata, con tre carri ferroviari da 10 tonnellate l’uno.20 Trovandosi in stato di guerra, l’Autorità militare era restia a concedere il permesso di scavare lungo la strada nazionale del Pulfero e di interrompere, sia pure temporaneamente, il funzionamento dell’acquedotto. Intanto, dalle fonderie forlivesi si premeva per far ricevere a Cividale il materiale già approntato da tempo. La prima spedizione da Forlì di 17 tubi di ghisa catramati avveniva il 15 settembre 1917, un secondo carico trainato da una locomotiva sbuffante partiva alla volta di Cividale il 26 ottobre seguente, ma i noti fatti di Caporetto interrompevano il lento tragitto e il carico – tubi e pezzi speciali del peso di oltre 185 quintali – era riportato al magazzino della casa madre. Inevitabilmente, l’iniziativa subiva un prolungato arresto.
Il progetto perso e ridisegnato Terminato il conflitto, si scopriva che anche il progetto cartaceo dell’interruttore al Tiglio era andato perduto a causa dell’invasione, ma poteva essere ridisegnato grazie al recupero di molti dettagli, spediti a suo tempo presso le Officine di Forlì, affinché preparassero gli appositi pezzi speciali. I prezzi nel dopoguerra avevano continuato la corsa verso l’alto, facendo schizzare il preventivo a 65.000 lire; tutto sommato, non andava neanche tanto male in quanto, come appena detto, le tubature metalliche erano già pronte nella fonderia di Forlì, disposta a cederle ai prezzi convenuti prima dell’occupazione nemica. Nulla si poteva fare invece per il maggior costo della manodopera e dei cementi, per i
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Linee delle condutture e pianta dell’edificio ‘serbatoio-interruttore’ in località Tiglio, previsto nell’elaborato originale del 1911 ma realizzato solo nel 1919-1920.
quali erano previsti ancora forti aumenti tanto che, prudentemente, si elevava il preventivo a 90.000 lire. I tubi giacevano da quasi un anno presso le Officine di Forlì, che chiedevano insistentemente di farli pervenire a Cividale, in quanto molto ingombranti. Dal Consorzio partivano ripetute richieste tese a prolungare il periodo di deposito, una prima dilazione da Forlì era accordata in ottobre, ma limitata a qualche mese, perché le loro esigenze lavorative richiedevano maggiore spazio, che gli era sottratto dal materiale immagazzinato per il Poiana. La guerra terminava e la fonderia ribadiva l’impossibilità di trattenere ancora i voluminosi pezzi di ghisa, ora che l’odiato invasore ha dovuto sloggiare dalle nostre Terre non vi è più ragione per lasciare a Forlì i tubi e pezzi speciali che ingombrano uno spazio prezioso. Il principale ostacolo che teneva lontano i tubi era caduto, ma a Cividale non si era ancora pronti a metterli in opera e allora si cercava di posticiparne ulteriormente la
Pianta dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911.
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In alto: disposizione delle tubature, viste in pianta, dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911.
In basso: sezione A-B dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911.
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scavati 98 metri cubi, impiegandovi 504 ore; nel terreno argilloso, compreso il taglio di zolle e il loro trasporto alla distanza di 6 metri, ogni operaio scavava mediamente in una giornata 1,633 metri cubi; vi lavoravano inizialmente 8 operai, che in agosto salivano a 30. Superata la profondità di un metro, nel terreno argilloso cominciavano ad affiorare le rocce, che man mano andavano aumentando, tanto da richiedere l’esplosivo per essere frantumate; in 2099 ore si scavavano 342 metri cubi di materiale, raggiungendo una profondità media di 2,50 metri. Per poter proseguire l’opera, disponendo finalmente dell’esplosivo, il 16 agosto si facevano brillare 15 mine, incrementando gli operai a 49 e utilizzando un paio di carri a due cavalli.22 La massa complessiva di materiale scavato in 9.589 ore di manovale era di 855 metri cubi; 210 erano i metri cubi di conglomerato che necessitavano della spaccatura con mine, ricorrendo a 35 kg di dinamite. Ultimata l’impegnativa fase di scavo, il 9 settembre 1919 si iniziava a innalzare le murature. Il materiale si trovava con difficoltà, particolarmente il cemento: dato che un mese dopo la sua ordinazione non era ancora possibile trovare un vagone ferroviario per spedirlo, si disponeva l’invio di un paio di carri a ritirarne una certa quantità a Udine; i carrettieri per condurlo fino al Tiglio chiedevano 5 lire al quintale. Sezione C-D dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911. Sezione E-F dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911.
spedizione. Stavolta si tirava in ballo il motivo che le ferrovie non avevano ancora iniziato il regolare trasporto delle merci e, mancando la giustificazione dell’urgenza, non era il caso di ricorrere all’Autorità Militare, meglio era disporre l’invio quando i tubi – ricordiamo che erano lunghi 4 metri – non avrebbero più intralciato il regolare servizio dei rifornimenti. Davanti a queste ragioni – scriveva Rubini ai fornitori Fratelli Ratti & C. – di necessità, umanità e patriottismo non credo neanche le Officine di Forlì faranno obiezioni.21 Il 25 marzo 1919 era presentato dall’ing. Lorenzo de Toni un preventivo sommario di 250.000 lire, comprensivo sia della costruzione del serbatoio interruttore con i nuovi prezzi aggiornati, sia dei più urgenti lavori di riatto delle opere danneggiate per fatti di guerra.
Brillamenti, carrettieri e trapanatori In seguito alla definitiva approvazione dell’assemblea consorziale congregata il 7 giugno 1919 e dopo che era stato portato sul posto un gruppo perforatore, i lavori potevano iniziare il 26 luglio seguente; essendo riuscite infruttuose le pratiche per appaltarli, erano condotti in amministrazione diretta dal Consorzio, come autorizzato dalla Prefettura. Il 31 luglio risultano
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Sezione G-H dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911.
In dicembre i lavori erano sospesi per il mancato arrivo dei materiali e riprendevano solo alla fine di febbraio, mettendo in opera tutta la struttura metallica. La sorpresa, non piacevole, era che le saracinesche non avevano gli stessi fori dei pezzi adiacenti, per cui si doveva praticare manualmente un’ottantina di buchi nuovi. I lavori trovavano pieno compimento il 10 aprile 1920 e l’interruttore cominciava a funzionare regolarmente il 6 maggio seguente. La spesa sostenuta ammonta a 134.904,33 lire, così suddivisa: per scavi e opere murarie 64.320,98 lire, per condutture metalliche e pezzi speciali 66.233,35 lire, per servitù di acquedotto e acquisto del fondo 4.350 lire.23 Tali importi, pur consistenti, in caso di appalto sarebbero stati sicuramente superiori ed erano stati limitati grazie all’attenta e oculata gestione in economia dei lavori, sotto la direzione dell’ing. de Toni.24
Le caratteristiche dell’interruttore L’interruttore è di forma simile al serbatoio principale, con un corpo centrale sotterraneo e due piccoli edifici attigui d’ala, parte in sotterraneo e parte fuori terra. Nel corpo centrale si trovano due vasche adiacenti e indipendenti di 5x2,65 m ognuna e dell’altezza di 2,67 m dal fondo al livello di sfioro, della capacità utile complessiva di 62,80 metri cubi. Nel corpo d’ala a monte arriva e si biforca per le vasche, munite delle relative saracinesche, la tubazione di 420 mm proveniente dalla presa, dopo un percorso di 62 metri in derivazione della conduttura maestra. Nell’ala a valle si riuniscono i due rami di adduzione dalle vasche, con altre saracinesche e relativi congegni di manovra, il tubo di troppo pieno, il tubo di scarico del fondo e di areazione della conduttura in partenza. Questa poi riprende subito il tracciato del tronco d’arrivo, per ricollegarsi dopo un breve percorso alla preesistente tubatura maestra.
Il 6 aprile si procedeva alla chiusura dell’acqua alla presa, iniziando l’allacciamento con la derivazione al serbatoio del Tiglio e per la sostituzione di un tubo rotto in località detta ‘delle Mine’. Ultimati i lavori, il giorno 10 si immetteva l’acqua nella conduttura, iniziando la posa in carico del primo tratto di conduttura, dalla presa al serbatoio del Tiglio. Si verificavano due fughe d’acqua ai piedi della riva del Tiglio; dopo la riparazione si ritentava la messa in carico causando altre fughe sulla strada. Si procedeva con nuove riparazioni, sostituzioni e assaggi fino al 5 maggio, ottenendo che l’acqua entrasse definitivamente e senza perdite manifeste nel serbatoio del Tiglio. Con lo stesso procedimento il 6 maggio si provava il secondo tratto della conduttura, dal Tiglio al serbatoio dei Bovi. Anche in questo tratto si verificavano varie rotture di tubi e solo il 14 maggio 1920 si otteneva che l’acqua defluisse stabilmente nel serbatoio del monte dei Bovi, dal quale due giorni dopo era immessa nella distribuzione, togliendo l’allacciamento imposto dall’autorità militare che aveva provvisoriamente funzionato per quattro anni e riconducendo così, quasi definitivamente, l’opera agli intendimenti iniziali concepiti dal progettista. Il tempo per rimettere l’acqua nella rete di distribuzione era di 41 giorni, con una media di 28 operai impiegati; in complesso si avevano 22 tubi lesionati, dei quali 11 nella prima tratta e altrettanti nella seconda, la loro riparazione costava mediamente 1600 lire l’uno.25
Sezione I-L dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911.
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In alto: fianco dell’interruttore al Tiglio, progetto del 1911. Facciata dell’edificio interruttore al Tiglio, progetto del 1911. In basso: l’interruttore al Tiglio a costruzione ultimata.
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Con questo manufatto – dalla tormentata fase realizzativa avendo incontrato sul suo cammino costruttivo anche la rotta di Caporetto –, in breve tempo si poteva migliorare grandemente l’efficienza della rete acquedottistica. La visita di collaudo, da parte dell’ingegnere principale di Sezione Mario Prucher del Genio Civile per il 3º Circolo, avveniva il 4 aprile 1925.26 L’interruttore era costruito su terreno di proprietà della signora Teresa Carbonaro di Ponteacco, che autorizzava l’occupazione del fondo, concedendo di dilazionare il pagamento e la stipulazione del contratto. L’acquisto dei 1300 mq necessari era effettuato in seguito alla deliberazione dell’assemblea del 28 aprile 1928, al prezzo convenuto di 2,50 lire al metro quadrato. Per assicurare un buon funzionamento della condotta principale a valle del Tiglio si rendeva necessario assicurarsi che l’acqua in questo serbatoio fosse sempre a un livello superiore al tubo per evitare dannose infiltrazioni d’aria nella condotta stessa; per conoscere le variazioni del livello occorreva installare un idrometrografo, che nel 1929 era acquistato dal Regio Magistrato alle Acque con una spesa, compresa l’installazione, di 1.900 lire.27
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I COLLAUDI La Giunta nella seduta dell’8 luglio 1919 nominava collaudatore dei lavori, per conto del Consorzio, l’ing. civile Luigi Zanetti fu Cesare del Regio Istituto Tecnico di Udine; in precedenza si era richiesta la presenza dell’ing. Oddone Tosolini, ma per esigenze di servizio la Deputazione provinciale non gli aveva concesso l’autorizzazione a ricoprire tale incarico.28 Le visite alle strutture murarie, al serbatoio, alle condutture principali con esame delle opere non interrate si svolgevano il 6 e 7 agosto 1919. Oltre al collaudatore, vi partecipavano Domenico Rubini presidente del Consorzio, ing. Ugo Granzotto progettista e diretTratto dell’acquedotto, dalla presa della sorgente Poiana all’edificio interruttore in località Tiglio. La condotta principale, oltre a numerose ondulazioni altimetriche, presenta a metà del suo percorso una importante contropendenza o sifone rovescio, lunga complessivamente 1.512 m e culminante nella località Tiglio, alla quota di 193,59 metri.
Firme apposte a conclusione del verbale di collaudo dell’acquedotto Poiana, 15 febbraio 1921. Il documento venne sottoscritto dall’ing. Giuseppe Parpinelli assuntore dei lavori, dai rappresentanti del Consorzio e dalla Commissione collaudatrice, composta dagli ingegneri Mario Prucher e Nicolò Salvini del Genio Civile di Udine, Carlo Manzini ingegnere capo del Genio Civile di Belluno.
tore dei lavori, geom. Ferruccio Poletto già addetto alla direzione lavori, ing. Giuseppe Parpinelli titolare dell’Impresa costruttrice, ing. Orazio Ramarini fiduciario dell’Impresa, ing. Augusto Olivotto procuratore della ditta Ratti & Alverà di Venezia fornitrice delle tubazioni, ing. Lorenzo de Toni ispettore dell’esercizio, Giuseppe Battistutti sorvegliante capo per l’esercizio.29 Eseguendo misurazioni saltuarie sulle parti del lavoro direttamente ispezionabili risultava la piena corrispondenza fra le opere eseguite e la rispettiva contabilità di liquidazione, così pure la regolare esecuzione con idonei materiali e in conformità alle buone regole d’arte. Si accertava solo qualche spostamento nel tracciato delle tubazioni, imposto o consigliato da particolari circostanze di tempo e luogo, specialmente per la condotta maestra fra la presa e il serbatoio. Il collaudatore riteneva necessario qualche assaggio dei terreni attraversati dalle tubazioni, per confrontare i dati rilevati direttamente con quelli indicati nella liquidazione dei lavori. Un assaggio era effettuato il 23 settembre 1919, sul margine della strada provinciale Cividale-Udine, fra le sezioni 104 B e 105 B, misurando i tempi occorrenti per scavare una trincea lunga 5 m, larga 0,62 m e profonda mediamente 1,52 m. Ne risultava che per un metro cubo di materie misurate allo stato naturale occorrevano 3,89 ore di un manovale di media età e robustezza per lo scavo e paleggiamento semplice, 0,32 ore per il ritombamento della trincea, 0,08 ore per la regolarizzazione delle materie eccedenti, in tutto 4,29 ore. Un’altra prova si svolgeva la settimana dopo, praticando uno scavo nel terreno naturale all’unghia del monte dei Bovi, attività che, sempre sulla base di un metro cubo di materiale, richiedeva in totale 3,32 ore; un terzo esperimento si praticava sulla strada
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Cividale-Botteniccco, cronometrando 4,07 ore per metro cubo di terreno movimentato. I tecnici presenti concordavano nel ritenere che la natura del terreno sulle altre sedi stradali fosse analoga a quest’ultima posizione, osservando però che la dimensione del ciottolame andava diminuendo mano mano che si procedeva verso valle, mentre risalendo a monte lungo il Natisone emersero materiali anche molto più grossi e pure trovanti, da ridurre in pezzi con l’impiego delle mine.30 L’opera doveva essere sottoposta a un ulteriore collaudo, stavolta sotto la direzione del Corpo Reale del Genio Civile. L’Ispettore Superiore per il 4º Compartimento con disposizione 4 maggio 1920 n° 438 nominava la seguente Commissione collaudatrice: ing. Carlo Manzini ingegnere capo del Genio Civile di Belluno (quale presidente della Commissione stessa), ing. Giovanni Zazera ingegnere capo del Genio Civile di Udine, ing. Mario Prucher del Genio Civile di Udine; Zazera verrà poi sostituito dall’ing. Nicolò Salvini, reggente del Genio Civile di Udine. Il Consorzio era rappresentato dal presidente Rubini, ing. De Toni, ing. Zanetti collaudatore per la stazione appaltante e cav. Giuseppe Rossi direttore tecnico del Consorzio. L’impresa era rappresentata dall’ing. Parpinelli di Colugna Veneta, sig. Olivotto della ditta Ratti Alverà & C. di Venezia fornitori del materiale metallico e ing. Ramarini di Roma.31 Nonostante la commissione fosse stata nominata da parecchio tempo, le operazioni di collaudo non iniziavano e ciò causava un aggravio finanziario al Consorzio, che si trovava ad accumulare interessi sulle somme da versare all’Impresa costruttrice, saldabili solo a collaudi avvenuti. Partivano parecchi solleciti verbali e scritti alla R. Prefettura di Udine, senza alcun esito. Quando finalmente la prima riunione della Commissione era fissata per il 28 settembre 1920, il nubifragio scatenatosi il 20 e 21 di quel mese danneggiava notevolmente l’opera pubblica, interrompendo il deflusso dell’acqua. In località ‘le Mine’ la conduttura era scoperta per la lunghezza di circa due tubi, poggianti sulla roccia; la strada franava per un’ottantina di metri e, priva di appoggio, la conduttura rovinava nel Natisone, perdendo sei tubi trasportati dalla fortissima corrente. Crollava anche un altro tratto di strada, nei pressi dell’edificio di presa, determinando la caduta di altra conduttura.32 Per fortuna la riparazione procedeva rapidamente, l’interruzione era di durata inferiore a quanto previsto e già il 13 ottobre riprendeva il normale funzionamento.33 Le visite di collaudo potevano svolgersi dal 9 all’11 novembre seguente, quando oltre all’esame delle strutture acquedottistiche, si eseguivano anche tre saggi, in
In questa pagina e nella seguente: tavole illustrative delle strutture realizzate per l’acquedotto Poiana, inserite nella pubblicazione Relazione 1920.
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corrispondenza delle mine di Zadocelo, del bivio di Ponteacco e all’uscita dell’abitato di Sanguarzo. Si esaminavano pezzi di tubo da 420 mm depositati al Tiglio, di spessori variabili fra 11 e 17 mm, le misure minori appartenevano ai tubi forniti dalla fonderia di Brebach. La visita era completata con la presenza anche dell’ing. Eusebio Vaccino in rappresentanza del Ministero degli Interni, Direzione generale della sanità pubbblica e, a tal proposito, si ricorda che per
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disposizioni contrattuali il saldo del mutuo sarebbe avvenuto solo dopo l’approvazione del collaudo da parte di questo Ministero. Erano compiute varie misure di portata e di pressione, applicando il manometro alle bocche delle fontanelle di erogazione. Una misurazione di portata effettuata a mezzo dei contatori installati sulle condutture in arrivo al serbatoio dei Bovi, dava per risultato 127 l/secondo. Si constatava che la costruzione dell’opera era avvenuta in conformità ai tipi di progetto, salvo varianti di lieve entità, ed eseguita con materiali rispondenti alle prescrizioni di contratto.34 Ultimate tutte le procedure previste dalle norme, comprendenti anche la pubblicazione degli avvisi ad opponendum nel Foglio degli Annunci Legali della R. Prefettura di Udine, verificato il regolare funzionamento dell’acquedotto e che tutte le opere si trovavano in stato di buona conservazione, il certificato di collaudo era firmato dalla Commissione il 15 febbraio 1921.35
PARTE LA PARTITA (DOPPIA) Nelle fasi gestatorie dell’iniziativa consorziale, le procedure economico-finanziarie erano dirette prima dalla Giunta municipale di Cividale, che svolgeva tutte le operazioni di cassa, poi da un comitato provvisorio nominato dai sindaci dei Comuni consorziandi; dal 28 febbraio 1912, data ufficiale di riconoscimento del Consorzio Poiana, passava alla competenza della Giunta consorziale. All’avvio di questa fase, ogni partita risultava pareggiata e dal 1912 si affidava il servizio di cassa alla Banca Cooperativa di Cividale, adottando la contabilità a partita doppia. L’anno seguente la cassa passava all’Esattoria distrettuale delle imposte e la contabilità si modellava sul medesimo sistema utilizzato dalle amministrazioni comunali. I tre revisori dei conti iniziavano a svolgere il loro compito a partire dal consuntivo del 1912, che non era accompagnato da nessun preventivo, in quanto era
mancata una base attendibile per poterlo redigere. Durante quell’esercizio ogni spesa era fronteggiata con le somme attinte dal conto corrente acceso alla Banca Cooperativa di Cividale, con un’apertura di credito di 50.000 lire. Il primo anno si incassavano 44.040,90 lire e se ne spendevano 40.759,09. Mentre il conto del 1912 era steso in via sommaria, sull’unica base dei registri contabili e senza la classificazione delle spese in base alla loro natura, quello del 1913 era strutturato in maggiore dettaglio. Per entrambi gli esercizi, i revisori si assicuravano della loro esattezza aritmetica e della presenza della regolare documentazione giustificativa; riscontravano solo talune inesattezze puramente formali, relative alla collocazione delle somme nelle varie voci del resoconto. Sottolineavano che sarebbe stato opportuno preventivare sin dal primo esercizio un certo contributo da parte del Comuni consorziati, per fronteggiare spese ordinarie di carattere continuativo, quali quelle per oneri patrimoniali e per amministrazione, inoltre consigliavano di approntare un prospetto patrimoniale, da allegare ai futuri conti consuntivi.36
IL COSTO DELL’OPERA La liquidazione finale dei lavori era compilata dall’ing. Ugo Granzotto il 12 settembre 1917 e, tenuto conto della deduzione del ribasso d’asta in ragione dello 0,25%, ammontava a 2.562.559,18 lire. Ricordiamo che il preventivo indicato nel 1911 era di 2.334.079 lire, cifra superata per lavori aggiuntivi e imprevisti. Frazioniamo il conto finale, espresso in lire, nelle sue voci più significative: I) Serbatoio sul monte dei Bovi . . . . . . . . 84.733,78 II) Tratte principali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.142.742,26 III) Diramazioni interne . . . . . . . . . . . . . . . .199.004,49 IV) Ponte pedonale sul Natisone . . . . . . . . . 10.032,25 V) Lavori vari alla presa . . . . . . . . . . . . . . . . 13.063,30 VI) Manufatti di erogazione . . . . . . . . . . . . . 34.959,53 VII) Tubi e apparecchi fuori opera . . . . . . . . 84.446,0237
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Questo il costo delle diramazioni interne, posate in ogni singolo Comune: Buttrio 11.113,58 lire; Cividale 50.635,21; Corno di Rosazzo 18.645,23; Ipplis 7.312,37; Manzano 14.245,96; Moimacco 6.594,56; Pavia d’Udine 25.808,20; Pradamano 4.783,84; Premariacco (Orsaria) 8.668; Remanzacco 10.032,17; S. Giovanni di Manzano 23.846,90; Trivignano Udinese 17.318,47.38 In fase di collaudo era approntato un dettaglio dei costi, che qui riportiamo: Costo dei lavori di costruzione dell’acquedotto, come riportato nella relazione di collaudo: A) Lavori di raccolta alla sorgente 1) Lavori preparatori e di assaggio alla presa, eseguiti in economia dal 2 agosto 1909 al 18 giugno 1910, liquidazione dell’ing. de Paciani 18 giugno 1910 . . . . . L 6.521,50 2) Lavori ad economia eseguiti alla presa per raccolta acqua etc. dal 17 maggio al 9 settembre 1911, liquidazione ing. de Paciani 18 ottobre 1911 . . . . . . . . . L 16.026,74 3) Lavori di costruzione del cunicolo e dell’edificio di presa, assunti dall’impresa Ceconi, liquidazione ingg. De Paciani e Granzotto 14 settembre 1912 . . . . . . . . . . L 10.204,07 Totale per le opere di presa (parte muraria). . L 62.752,31 B) Lavori principali di costruzione dell’acquedotto Appalto Parpinelli, lavori eseguiti dal 2 agosto 1913 al 27 luglio 1916, liquidazione ing. Granzotto 12 settembre 1917 14) Opere di completamento ed apparecchi 13.063,30 meccanici all’edificio di presa . . . . . . . .L 10.032,25 15) Ponte pedonale sul Natisone . . . . . . . . . .L 16) Condotta maestra dalla presa al serbatoio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 715.976,53 17) Serbatoio di carico sul monte 84.733,78 dei Bovi a Cividale . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 18) I condotta principale dal serbatoio a Cerneglons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 235.765,36 19) II condotta principale e sottoarteria di levante, dal nodo del Gallo a Medeuzza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 324.831,66 10) Sottoarteria di ponente dal nodo di Premariacco a Clauiano . . . . . . . . . . .L 369.835,83 11) Condotte di diramazione primarie e secondarie esterne agli abitati . . . . . . .L 496.332,88 12) Diramazioni interne nei 12 Comuni . .L 199.004,49 34.959,53 13) Fontanelle stabili e provvisorie . . . . . . .L 84.446,02 14) Tubi e apparecchi fuori d’opera. . . . . . .L Importo complessivo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 2.568.981,63 Deducesi il ribasso contrattuale 6.422,45 dello 0,25% . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L Importo netto liquidato all’Impresa Parpinelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 2.562.559,18
Certificato di versamento della 12ª rata di acconto all’impresa Parpinelli, assuntrice dei lavori dell’acquedotto, 31 ottobre 1914.
C) Lavori complementari e suppletivi, fuori appalto 15) Posa in opera di diramazioni interne a Cividale, degli apparecchi delle cabine dei contatori ed altri minori lavori di finimento, preventivata nel settembre 1917 la somma di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L 30.000 16) Costruzione del serbatoio interruttore al Tiglio, eseguita ad economia nel 1919 e 1920, costò L 110.000 circa, per uniformità coi prezzi precedenti, si riporta il costo preventivato nel settembre 1917 di . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L 60.000 D) Espropriazioni 17) Indennità e spese per occupazioni permanenti di terreni e per servitù d’acquedotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L 30.000 E) Spese generali 18) Spese per progetto e pratiche diverse, per sorveglianza, direzione e liquidazione lavori, spese d’ufficio, etc. . . L 149.688,51 Spesa complessiva 2.895.000 lire, che si ragguaglia a 74,5 lire per abitante della zona alimentata (in base alla popolazione del censimento 1911), a 28.950 lire per litro/ secondo di portata normale, a 14.500 lire per chilometro di condotta. Dal confronto fra la spesa preventivata per l’esecuzione dei lavori (comprendendo il progetto principale del 23 novembre 1911 preventivato in L 2.334.079,44, il progetto suppletivo del 17 maggio 1912 di L 5.700 e quello di varianti ed aggiunte del 6 luglio 1913 di L 125.203,58) ammontante a 2.464.983,02 lire con la spesa consuntiva (dai numeri 3 a 14
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inclusivo sopra riportati) di 2.602.763,25 lire, emerge una maggiore spesa di 137.780, 23 lire, così ripartite: a) maggior costo delle opere di presa esclusi i lavori d’assaggio eseguiti precedentemente al progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .L 29.230 b) maggior costo delle opere di costruzione del serbatoio sul monte dei Bovi . . . . . . . . . . .L 15.000 c) compenso speciale all’Impresa per lo sgombero della strada nazionale del Pulfero, ordinato dal Genio Civile . . . . . . . .L 12.000 d) maggiore spesa occorsa per gli attraversamenti ferroviari . . . . . . . . . . . . . . . .L 18.000 e) maggior numero di fontanelle pubbliche installate (118 invece di 58) . . . . . . . . . . . . . .L 15.000 f) spese per fontanelle provvisorie richieste dall’Amministrazione Militare . . . . . . . . . . .L 5.578,96 g) maggior importo per opere diverse, come pozzetti per apparecchi, attraversamenti di manufatti, passerella alla presa e per maggior escavo in roccia . . . . . . . . . . . . . . . . .L 42.971,27 Nel corso dell’inaugurazione, il progettista ing. Ugo Granzotto sottolineava che la rapidità con cui nel 1911 era stata affrontato tutto l’iter burocratico-progettuale – completato in soli sei mesi –, aveva consentito di accedere al prestito statale. Il mutuo di 2.400.000 lire accordato dallo Stato con decreto 10 luglio 1912, era versato in 21 rate, l’ultima delle quali veniva incamerata il 3 dicembre 1921. La rete acquedottistica del Poiana al momento dell’inaugurazione superava già i 200 Km, sviluppandosi nei Comuni secondo le misure riportate in questa tabella (da Relazione 1920, p. 54).
Se invece di iniziare i lavori nel 1913 – affermava ancora Granzotto – si fossero intrapresi nel dopoguerra, i costi sarebbero lievitati a 20-21 milioni di lire, somme iperboliche che verosimilmente non si sarebbe mai potuto affrontare.39 Per il riparto della spesa tra i Comuni consorziati si seguirono due metodi. Il costo dell’edificio di presa e della conduttura dell’acqua fino al serbatoio del monte dei Bovi furono divisi in ragione dell’acqua assegnata ad ogni Comune, mentre le spese delle altre opere si calcolarono come se ogni Comune dovesse far partire un proprio acquedotto da detto serbatoio; siccome da questo calcolo i più lontani risultavano molto aggravati, si introdusse un apposito elemento moderatore.40 All’epoca del collaudo si dichiarava che i conteggi non erano definitivi in quanto, come vedremo ora, pendeva la gravosissima domanda di maggiori compensi avanzata dall’Impresa Parpinelli.41
LA LIQUIDAZIONE CONTROVERSA L’Impresa non accettava le risultanze della liquidazione finale di 2.562.559,18 lire, compilata il 12 settembre 1917 dall’ing. Ugo Granzotto. Era tenuta a presentare la propria controliquidazione entro il 15 ottobre seguente, ma quando tale data giungeva, Parpinelli si riservava di consegnare per iscritto le sue riserve entro i 130 giorni successivi. Una manciata di giornate dopo si verificava la rotta di Caporetto e lo scompaginamento era totale. Il 15 febbraio 1918 l’impresa riallacciava i rapporti con il Commissario Prefettizio Rubini, che gestiva gli affari del Consorzio dalla sua profuganza a Roma, comunicando che intendeva far pervenire i documenti il 15 maggio seguente. A far scivolare più innanzi anche tale termine interveniva un’ulteriore difficoltà: era andata smarrita la copia autentica della liquidazione finale dei lavori, redatta da Granzotto a Sacile il 12 settembre 1917 e senza di essa non si era in grado di controllare le riserve dell’impresa. Si dovette perciò acquistare la copia che possedeva quest’ultima, operazione conclusa dopo una lunghissima corrispondenza e che, per la necessità di bollarla, era motivo di forte dispendio economico. La controliquidazione dell’impresa era infine consegnata il 25 giugno 1918, con essa l’ing. Giuseppe Parpinelli presentava domanda di maggiori compensi, per un ammontare complessivo di 711.166,40 lire. La maggiore somma richiesta dall’Impresa derivava dalle seguenti voci: 1) Escavi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . £ 518.039,90 2) Interessi e danni sospensione pagamenti . . . . £ 68.002,84 3) Rottura di tubi per il carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . £ 65.242,85 4) Maggior costo di materiali per la guerra . . £ 39.310,52 5) Trasporto materie dal serbatoio . . . . . . . . . . . . . . . . . £ 4.260,40
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Comunicazione prefettizia, tramite telegramma di Stato, che la Cassa Depositi e Prestiti ha emesso i mandati di pagamento a favore dei dodici Comuni consorziati, 11 dicembre 1914.
6) Impianto fontanine provvisorie . . . . . . . . . . . . . . . . £ 5.250,06 7) Cabine dei contatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . £ 5.311,63 8) Compensi vari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . £ 5.748,2042 Parpinelli contestava al Consorzio Acquedotto Poiana che il 30 giugno 1913 egli aveva assunto l’esecuzione dell’acquedotto alle condizioni previste nel contratto con allegato capitolato speciale e dato esecuzione, con la maggiore solerzia possibile, all’esecuzione dei lavori non risparmiando sacrifici e fatiche, tanto più gravi per le mutate condizioni dovute alla sopravvenuta guerra e per un insieme di perturbamenti materiali ed economici imprevisti e imprevedibili. L’ing. Granzotto il 15 maggio 1919 presentava le controdeduzioni alle riserve dell’Impresa. Per evitare le spese di arbitrato con le conseguenti lungaggini, l’ufficio tecnico consorziale avviava un componimento ma le relative offerte, a detta di Parpinelli, erano così esigue da rendere impossibile l’accordo.43 Constatando che la Commissione collaudatrice dichiarava la responsabilità dell’Impresa, sia per la costruzione del piano di posa, sia per la fusione e messa in opera dei tubi di ghisa da 420 mm, il Consorzio nella seduta assembleare del 29 ottobre 1921 deliberava di approvare la relazione e il certificato di collaudo, che stabiliva un ammontare netto dello stato finale dei lavori di 2.562.559,18 lire, con un credito residuo dell’impresa di 516.715 lire. Rilevando però che dopo il collaudo si manifestavano nuovi inconvenienti dovuti alle dette cause, manteneva le proprie riserve sulle richieste dell’Impresa, formulate nel memoriale 25 giugno 1918, disconoscendo le avanzate pretese per maggiori compensi.44 Ne derivava un’aspra controversia tra le parti, che si trascinava per oltre un anno tra i tortuosi gironi delle Autorità giudiziarie chiamate a dirimere la dibattuta questione.
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Parpinelli pretendeva il giudizio arbitrale su una serie di dieci quesiti. Il primo riguardava il diritto di richiedere che i prezzi del capitolato fossero aumentati sia per il maggior costo dei materiali e della manodopera in causa della guerra europea, sia per i perturbamenti derivati al normale svolgimento dei lavori dall’eccezionale traffico militare sulle vie pubbliche, sempre a motivo del conflitto. A tal proposito, come esempio possiamo riportare che lo stabilimento di Brebach forniva, dal 2 ottobre 1914 al 26 febbraio 1915, 2.267 metri di tubo, soggetti all’aumento di 3,70 lire al metro lineare, dal 14 aprile al 9 novembre 1915 consegnava pezzi speciali del peso complessivo di 9.735 kg con un aumento medio di circa 6 lire/kg, piombo per 73.348 kg con aumenti progressivi da 0,12 a 0,96 lire/kg. In percentuale, gli aumenti erano mediamente del 20,35% sulle tubazioni di ghisa e del 26,60% sul piombo.45 Gli altri quesiti riguardavano controversie di natura tecnica. Riguardo alle rotture di tubi durante gli esperimenti di messa in carico del tronco principale, l’impresa accampava un doppio ordine di richieste, sia per il rimborso delle spese vive di riparazione sia per i danni che le derivavano. Per ogni tubo affermava di aver speso 1244,47 lire, per i 29 pezzi rotti e reintegrati dal 29 aprile 1915 al 28 agosto 1916 la domanda di maggior compenso era di 36.089,63 lire. Per la seconda richiesta, dichiarava che le operazioni di messa in carico erano eseguite esclusivamente sotto la personale disciplina della direzione, al di fuori di qualsiasi responsabilità della ditta costruttrice. Se non fossero avvenute le reiterate rotture, essa avrebbe potuto ultimare i lavori entro il 1915, mentre era dovuta rimanere altri due anni a Cividale, fino all’ottobre 1917, permanenza che per affitto locali, stipendi, viaggi e interessi comportavano l’esborso di 29.153,22 lire. Particolare da una foto d’epoca della località con le opere di presa dell’acquedotto Poiana. Il loro costo, comprensivo di scavi e costruzione dell’edificio, era di 62.752,31 lire. Sulla sinistra si nota il serbatoio di rifornimento idrico per la stazione ferroviaria di Poiana.
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L’ente appaltante, al contrario, attribuiva la responsabilità della rottura dei tubi all’impresa, per non aver eseguito a regola d’arte il piano di posa, e chiedeva di essere indennizzato della spesa effettivamente sostenuta per le riparazioni dall’8 aprile 1920 al 4 maggio 1922, calcolata in 44.850 lire.46 Le due parti duellavano a suon di memoriali e perizie tecniche; il collegio giudicante alla pretura di Venezia disponeva che gli arbitri si recassero il 23 marzo 1923 a Cividale, ove in una sala dell’albergo «Al Friuli» le parti erano interrogate su tutti i fatti della causa, in seguito il collegio si recava a visitare i luoghi cui si riferiva la dibattuta controversia; in tale incontro si raccoglievano le testimonianze giurate di diciassette testimoni. La sentenza del Collegio arbitrale era emessa il 27 aprile 1923: 1) Il Consorzio Poiana deve pagare alla Impresa Parpinelli la somma totale di lire 539.509,13 con interessi 5% dal giorno del decreto di esecutorietà di questa sentenza al saldo. 2) È respinta la domanda del Consorzio di risarcimento danni contro l’Impresa per la rottura dei tubi come ogni maggiore domanda della Impresa contro il Consorzio. 3) Sono compendiate tra le parti le spese di difesa e di patrocinio e poste a carico del Consorzio per tre quinti e della Impresa Parpinelli per due quinti le somme dovute agli arbitri per onorari e rimborso spese. Così deciso a Venezia, S. Angelo n° 3560.47
L’esito della sentenza, pur apparendo gravoso, non era poi tanto sfavorevole, considerando che l’Impresa aveva richiesto un compenso di oltre settecentomila lire e che il Consorzio al 1º gennaio 1921 sarebbe stato disposto a transare con 350.000 lire. Il legale del Consorzio avv. Giovanni Levi, interpellato sulla possibilità di impugnare la sentenza, la trovava regolare ed esprimeva il parere di accettarla.
LA MIRABILE INAUGURAZIONE Pur ancora immersi nella gelida criura invernale, già si cominciava a sentire il corroborante tepore del fulgido momento inaugurale, che si diffondeva a partire dalla seduta del 22 gennaio 1915 della Commissione esecutiva. I lavori procedevano bene, pertanto si riteneva che verso gli ultimi di febbraio od i primi di marzo – sempreché, s’intende, non sopravvengano difficoltà – l’acqua possa scorrere in tutta la conduttura principale (…) che in estate dunque si possa in tutti i comuni usarne. La Commissione era ben conscia che i tempi non portassero a indire festeggiamenti – ricordiamo che la prima guerra mondiale aveva già intrapreso il suo sciagurato cammino – ma si pensava a un modo non meno solenne e con una pubblicazione seriamente curata la quale tramandi ai posteri memoria delle difficoltà superate.48 In realtà, di anni ne passeranno ancora ben sei per giungere all’inaugurazione, avvenuta il 21 agosto 1921, solennità di San Donato, patrono di Cividale. Questa la cronaca della memorabile giornata, avviata con il ricevimento offerto dal Consiglio comunale nell’elegante sala del municipio, carica di storia e straripante di invitati. Nella città ducale, calda e sciroccosa, convergono le più alte autorità del tempo – non mancano il senatore Elio Morpurgo e il direttore generale della Banca d’Italia, Bonaldo Stringher – e le rappresentanze di enti e ditte coinvolti nella realizzazione della monumentale opera. Il sindaco Giovanni Brosadola con brevi parole dà il benvenuto agli intervenuti e li ringrazia della loro partecipazione alla festa, che è festa di civiltà, festa del lavoro concorde, trionfatore di ogni difficoltà. Ricorda la seduta memoranda tenuta in quella sala quando, con voto unanime del Consiglio, fu lanciata nel crogiuolo della pubblica opinione la proposta di fornire d’acqua la città, prendendola dalle sorgenti del Pojana e chiuse ringraziando con effusione quanti – noti ed ignoti – contribuirono ad attuare quell’ardita idea, superando traversie di ogni sorta. Biglietto d’invito all’inaugurazione dell’acquedotto Poiana, organizzata per il 21 agosto 1921. Il programma prevedeva una cerimonia a Cividale e, dopo la sosta per il pranzo, la visita alla presa della sorgente e al serbatoio sul Monte dei Bovi.
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Invito per il banchetto ufficiale, da tenersi nel Convitto «Paolo Diacono» di Cividale, offerto in occasione dell’inaugurazione dell’acquedotto Poiana. Si chiedeva garbatamente di dare conferma della propria adesione, onde non andare incontro ad inutili spese. Vi era accluso un tagliando, da staccare e consegnare per poter accedere al salone da pranzo.
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Dopo un copioso, signorile rinfresco,49 si forma un lungo corteo, aperto da un gran numero di religiosi – era presente l’intero corpo canonicale e l’arcivescovo di Udine mons. Antonio Anastasio Rossi – che raggiunge piazza Paolo Diacono, già stracolma di popolo in attesa. Davanti alla fontana è stata eretta una tribuna, ai cui lati si dispongono canonici e sacerdoti, a semicerchio. Il clero intuona un salmo. Quando cessa il canto, l’Arcivescovo intuona le orazioni rituali. Ad un certo punto si avanza – tocca un meccanismo – e l’acqua sgorga limpida e pura da quattro bocche della fontana, tra il mormorio di soddisfazione della folla. Ritornato in mezzo ai canonici, l’Arcivescovo riprende le invocazioni perché gli zampilli continuino perenni e benefici. Indi asperge d’acqua lustrale la fontana. Le campane suonano a festa…50 Dalla tribuna, il presidente Domenico Rubini pronuncia il discorso inaugurale sull’opera pubblica desiderata dal 1892 e compiuta nel 1920, cioè dopo un periodo di quasi trent’anni. In un suo passaggio, proclama: L’acqua, non si dimentichi, è il primo elemento della vita, se igienica; diviene il veicolo delle malattie più gravi, più fulminee, più sterminatrici, quando non sia perfettamente potabile; si tenga presente che il tifo e il colera si bevono. Nei Comuni serviti dal Poiana, la febbre tifoidea che infieriva, recidendo anche due o tre vite nella medesima famiglia, è scomparsa. Basta solo questo fatto, questa sola affermazione a giustificare qualunque onere finanziario assunto (…). Anche l’intervento del sindaco di S. Pietro al Natisone Carlo Jussig viene accolto da nuovi generali ed insistenti applausi, dopo essersi così espresso: Mi associo sì alla gioia comune, con tutta cordialità, ma sento pure che questa inaugurazione rappresenta per me e per il mio capoluogo, un atto di congedo perpetuo alla fonte primogenita della mia terra slovena. L’acqua del Poiana non è più nostra, è tua, popolo del Friuli; ricevila oggi in solenne consegna! Essa ti scenderà dai nostri monti pura e fresca come puro e fresco di forze morali e fisiche è il popolo da cui trae origine. Essa, dal calice del ricco o sulla parca mensa del lavoratore, ti parli di noi. Il corteo si dirige poi nel duomo per la solenne funzione, con l’esecuzione della Messa ducale del maestro Jacopo Tomadini. Seguono numerose cresime, come di consueto impartite dal presule nella ricorrenza del patrono cittadino. Il banchetto, a cura dell’albergo “Al Tamburino”, è allestito nei locali del Convitto Nazionale, ove il pranzo è ottimamente servito da camerieri solleciti. Al convito aderiscono una sessantina di invitati e vi prende parte anche la quindicina di dipendenti del Consorzio.51 Tra una gustosa portata e l’altra si distribuiscono cartoline commemorative della giornata e si leggono i telegrammi dei ministri e delle personalità impossibilitate a intervenire. Un treno speciale, composto da molte carrozze e decorate con verdi frasche, viene messo a disposizione
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In occasione dell’inaugurazione dell’acquedotto, la Società Veneta metteva a disposizione un maggior numero di corse per il collegamento ferroviario con Udine, come comunicato il 16 agosto 1921.
Epigrafi collocate sull’edificio del monte dei Bovi in occasione dell’inaugurazione del 1921, dettate dal dott. Gualtiero Valentinis, per imprimere nel tempo la memoria dei principali fautori dell’iniziativa e i suoi dati peculiari (da Relazione 1920, p. 65).
Edifici sopraterra del serbatoio interrato sul monte dei Bovi, della capacità di 1200 metri cubi d’acqua, durante l’inaugurazione aperti alle visite.
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Fronte e retro della cartolina commemorativa stampata, in 2000 copie, per la cerimonia di inaugurazione dell’acquedotto consorziale del Poiana, titanica e provvida opera che, secondo la mirabile sintesi dettata da Gualtiero Valentinis, alle genti di dodici Comuni limpide e pure acque portò.
degli invitati per raggiungere la presa dell’acqua. L’edificio è visitato, spingendosi fin nella lunga galleria raccoglitrice dell’ottantina di polle d’acqua, seguendo attentamente le esaurienti spiegazioni del progettista ing. Granzotto. Risaliti sul trenino della ferrovia Caporettana, attraversando paesi con folla festante assiepata ai lati dell’inusuale convoglio, si arriva sul monte dei Bovi, ove troneggia il mastodontico serbatoio di carico della capacità di 11mila ettolitri. L’edificio, su cui garriscono i tricolori, ha l’aspetto di un castello fortificato, sulle due torri si scoprono quattro lapidi collocate a ricordo dell’opera realizzata, con epigrafi dettate dal conte Gualtiero Valentinis.52
Il prospetto di facciata dell’edificio di presa, visitato il giorno dell’inaugurazione.
Copertina del libretto riassuntivo delle vicende relative alla realizzazione dell’acquedotto Poiana, distribuito in occasione dell’inaugurazione dell’opera.
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Il giorno successivo si distribuisce il volumetto, curato dal cav. Francesco Coceani, con la relazione storico-tecnica-morale del Consorzio. Un risvolto benefico è legato all’avvenimento: nel corso della visita all’edificio di presa si raccolgono 200 lire in offerte, ad altrettante rinuncia l’impresa esercente la ferrovia per il treno speciale e la somma a disposizione viene destinata agli Orfani di guerra ospitati nel collegio di Rubignacco.53
IL COMMIATO DEL PRIMO PRESIDENTE All’articolo 3 del primo Regolamento, risalente al 1912, era contemplato che: Il Presidente e i delegati nominati ab initio dall’Assemblea dei Sindaci dureranno in carica fino al termine dell’anno in cui avverrà il collaudo definitivo del lavoro: entro il dicembre dell’anno stesso si procederà alle nuove nomine.54 In ossequio a ciò, a lavori ultimati e suggellati dal collaudo finale, Domenico Rubini che aveva ricoperto l’incarico della Presidenza del Consorzio ininterrottamente dal 14 marzo 1912, lasciava il suo impegnativo compito nel 1921.55 I Comuni consorziati, in occasione dell’inaugurazione dell’acquedotto, per mano del sindaco di Manzano dott. Dorigo offrivano al comm. Rubini una medaglia d’oro e una artistica pergamena, in segno di unanime riconoscenza per il suo protratto operato.56 A succedergli era chiamato Giovanni Brosadola, sindaco di Cividale. Gli altri membri della Giunta consorziale, anch’essa decaduta alla fine dell’anno del collaudo, erano il geom. Tito Brida sindaco di Pavia di Udine, Giuseppe Missio sindaco di Remanzacco, Gio Batta Tilatti sindaco di Moimacco e Luigi Cumini sindaco di S. Giovanni al Natisone.57
Firma di Domenico Rubini, primo presidente del Consorzio Acquedotto Poiana, che ricoprì tale carica dal suo sorgere al 1921, anno in cui si inaugurò l’opera, come era stato espressamente previsto dallo statuto consorziale.
Il secondo presidente del Consorzio Acquedotto Poiana fu l’avv. Giovanni Brosadola, che svolse questo incarico in due periodi, il primo dal 26 novembre 1921 al 10 agosto 1923 e poi dal 29 maggio 1945 al 5 maggio 1951.
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CAPITOLO VIII
A causa dell’aumentato costo della vita e per il servizio speciale cui il personale era addetto, nell’assemblea del 25 settembre 1920 si deliberavano i seguenti aumenti annuali: direttore-segretario Rossi da 6000 a 10.800 lire, Giuseppe Battistutti da 370 a 460 lire, Giovanni e Costantino Lancerotto da 300 a 445 lire, inoltre per tutti l’indennità ‘caro viveri’ era fissata in 100 lire mensili. Progetto, Preventivo sommario per la sistemazione dell’acquedotto, ing. de Toni, 25 marzo 1919, ACAP, cart. Danni di Guerra. Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. Seduta dell’8 luglio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 17. GENTILLI 1964, pp. 537-538. Una sintesi di questi avvenimenti in MATTALONI 2010, pp. 234, 235. Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 13 maggio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 4. Seduta del 31 maggio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 14. Seduta dell’8 luglio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 16. Seduta del 2 marzo 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921 e seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923.
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Seduta del 23 dicembre 1924, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Seduta del 9 dicembre 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 68. Scorrendo i verbali della giunta e della commissione amministratrice del Consorzio per il corso di alcuni decenni, emerge la sequenza degli acquisti degli automezzi, che in estrema sintesi si riporta qui di seguito: 1962 autocarro Hanonag Kurier per trasporto promiscuo di persone e materiali; 1971 camioncino promiscuo Mercedes L 406 D; 1972 motofurgone Piaggio Ape 200; 1974 camioncino Ford Transit; 1977 camioncino promiscuo L 206 D Kombj di q.li 25 a 9 posti; 1977 furgone Mercedes; 1982 furgone Fiat 242 E diesel; 1984 Fiat 124 usata; 1985 autoveicolo Iveco marca OM; 1987 autovettura leggera Fiat 1100; 1988 Mercedes mod. 307 D; 1988 Fiorino 1300 cc; 1991 Fiat Fiorino e Iveco. Seduta del 21 ottobre 1916, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Il progetto del serbatoio interruttore era stato elaborato da Granzotto sotto la data 6 ottobre 1916, sullo stesso aveva relazionato favorevolmente il Genio Civile il 7 dicembre 1916, n. 3499. Risposta del 24 gennaio 1917 dell’ing. Parpinelli all’ing.Ugo Granzotto, che con nota del 29 gennaio seguente la trasmetteva alla presidenza consorziale, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano, Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. Dichiarazione d’impegno della ditta Parpinelli, con relativo elenco dei nuovi prezzi del 23 marzo 1917. Il giorno seguente l’ing. Granzotto raccomandava vivamente al Consorzio di accogliere tale proposta, fermamente convinto dei notevoli benefici che ne sarebbero derivati non solo
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nei riguardi del funzionamento dell’acquedotto, ma anche per il collaudo generale delle opere, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano, Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. Seduta del 7 aprile 1917, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Comunicazione alla Presidenza dell’ing. Granzotto del 13 agosto 1917, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano, Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. La corrispondenza tra la fonderia Ratti di Forlì e il Consorzio dal 18 settembre 1917 al 22 gennaio 1919 è conservata in ACAP, cart. 1918 Atti Commissario Prefettizio, fasc. 11 Serbatoio del Tiglio Ditta Ratti. Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. I dati sono desunti da due ‘Relazioni’ sul serbatoio interruttore al Tiglio, senza data, del presidente Rubini e da informazioni spedite all’ing. Zanetti dal direttore dell’acquedotto Giuseppe Rossi il 24 maggio 1920. La spesa sostenuta era anticipata dalla Banca Cooperativa di Cividale, verso la quale restava acceso il relativo debito, da soddisfare con la stipulazione di un mutuo, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano, Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. Si segnala che i dati sulle cubature scavate al Tiglio e trasmesse da Rossi all’ing. Zanetti sono leggermente diversi da quelli che si leggono nel Registro dei lavori da marzo a dicembre 1919, nel quale sono registrati sotto la data 15 settembre: conglomerato da mina 228 mc, terreno argilloso con presenza di trovanti da mina 430 mc, terreno vegetale 219 mc. Il riconoscimento del notevole risparmio ottenuto con i lavori ad economia era espresso dall’assemblea consorziale, che a tal fine votava una gratificazione di 3.000 lire a de Toni e di 8.000 lire al direttore Rossi, Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 18 giugno 1920, in ACAP, Registro Verbali Giunta consorziale 1920-1921. Verbale di visita, relazione e certificato di collaudo, 18 aprile 1925, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns Brazzano, Serbatoio del Tiglio, Macchina addizionatrice ecc., Statuti e Regolamenti, fasc. Serbatoio del Tiglio. Un’altra copia del medesimo verbale si trova in ACAP, cart. Opere di completamento acquedotto. Seduta del 10 maggio 1929, in ACAP, Registro Verbali Giunta consorziale 1929-1932. Seduta dell’8 luglio 1919, in ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 16. Giuseppe Battistutti era alle dipendenze del Consorzio sin dal 1915; moriva il 5 ottobre 1934. Processo verbale delle visite di collaudo, esteso dall’ing. Luigi Zanetti il 4 agosto 1920, con allegato verbali di assaggio dei terreni attraversati dalla conduttura, pp. 9-12, ACAP, cart. Contratti e collaudi. I componenti della Commissione di collaudo sono riportati anche in La Patria del Friuli, 17 novembre 1920. La Patria del Friuli, 27 settembre 1920. La Patria del Friuli, 14 ottobre 1920. Verbale della visita di collaudo, 11 novembre 1920, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Le firme erano apposte con riserva di riferire in separata ‘Relazione segreta’ sulle domande di compenso avanzate dall’Impresa, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Relazione dei revisori dei conti sulla gestione consorziale 1912 e 1913, 15 aprile 1914, ACAP, cart. Conti Consuntivi 1912-13-14, fasc. Conto consuntivo 1913 compresa la gestione provvisoria 1912. Liquidazione dell’ing. Ugo Granzotto datata 17 settembre 1917, copia conforme autenticata a Bologna l’8 giugno 1918, ACAP, cart. Contratti e Collaudi, fasc. 37 Collaudi lavori. Liquidazione dell’ing. Ugo Granzotto datata 17 settembre 1917, copia conforme autenticata a Bologna l’8 giugno 1918, ACAP, cart. Contratti e Collaudi, fasc. 37 Collaudo lavori. La Patria del Friuli, 23 agosto 1921.
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Si raddoppiava la spesa assegnata a ogni Comune per i lavori del serbatoio, si aggiungeva quella proporzionata alla quantità d’acqua assegnata e si faceva la media di queste due cifre, Relazione 1920, p. 43. Relazione del collaudatore ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, pp. 4852, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Documento memoriale del 25 giugno 1918, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Delle 711.000 lire chieste dall’Impresa, la commissione di collaudo ne ammetteva 296.000. il Consorzio offriva un importo superiore, che non era accettato, dati riportati nella seduta del 29 luglio 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro delibere assemblea 1910-1923. ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato, allegato n. 15. ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato, fasc. Arbitrato 2° memoriale, p. 7. ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. La Patria del Friuli, 23 gennaio 1915. Nel rinfresco si consumavano 12 litri di Vermouth, 70 bibite di sciroppi al seltz, 1 bottiglia di Maraschino e 1 di Ananas, 100 paste dolci, savoiardi e biscotti, del costo totale di 412 lire, come appare da una nota di Antonio Lucchitta, gestore del Caffè S. Marco che forniva tale servizio, ASMunCiv, cat. 332 (vecchia numerazione) (1921). Il sindaco di Cividale Giovanni Brosadola il 17 febbraio 1921, aderendo alla festa per l’inaugurazione, acconsentiva all’immissione dell’acqua del Poiana in due dei getti della fontana in piazza Diacono, dove la cerimonia avrebbe avuto il momento focale. Nella speciale occasione si doveva rimettere in sesto il manufatto, a tale scopo si prevedeva la sostituzione di una lastra della vasca in pietra piacentina, con specchiettatura e semplice sagomatura battuta a martellina grossa, la demolizione e ricostruzione dell’acciottolato tutt’attorno, posato su letto di sabbia, il lievo dei gradini esistenti, loro ripassatura e ricollocazione in opera, la provvista e collocazione di un paracarro mancante, la cordonata in pietra piacentina a delimitazione della cunetta attorno alla fontana, la sostituzione dei ferri per l’appoggio dei secchi e dei 4 bracci per gli zampilli, costituiti da mensole in ghisa e conduttura in bronzo. La derivazione avrebbe mantenuto un doppio attacco, sia per l’acqua del Poiana che dell’antico acquedotto di Zuccola, chiuso tramite uno sportello in ferro sul pilastro, dotato di serratura; il preventivo per tutti i lavori era di 9.315 lire, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. Questo il menù fornito da Pietro Sopracasa: antipasto misto, zuppa reale, vitello a tonno, 1/4 di pollo arrosto con patate, frutta, formaggio, dolce e caffè, vino bianco e rosso, una coppa di spumante. Il prezzo convenuto per ogni persona, con minimo di 60 commensali, era di 29,75 lire, ACAP, cart. Inaugurazione Acquedotto. Gli amministratori dell’acquedotto si rivolsero al maggiore esperto di stesura di epigrafi di quel tempo. A Gualtiero Valentinis, infatti, si rivolgevano molte autorità per celebrare fatti e personaggi legati al Friuli e le sue iscrizioni sono caratterizzate da concisione e chiarezza, cfr. la relativa scheda di Paolo Pastres sul personaggio in Nuovo Liruti 2011, pp. 364-365. Oltre alla stampa della cartolina ricordo, il conte Enrico de Brandis aveva avanzato la proposta di coniare in bronzo una medaglia commemorativa della grande opera, l’idea era approvata all’unanimità dalla Giunta, che decideva di informarsi presso la ditta Jonshon di Milano sull’entità della spesa da affrontare. In seguito non si trovano altre notizie su questa iniziativa, Seduta del 17 maggio 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1920-1921. La dettagliata cronaca dell’inaugurazione è pubblicata su La Patria del Friuli del 22 e del 23 agosto 1921. Altri dati si rilevano dal verbale della seduta del 18 agosto 1921, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 19201921. L’avvenimento è riportato anche in BACCINO 2007, pp. 240-242. Consorzio per l’Acquedotto della sorgente Pojana, Statuto e Regolamento, Udine, Tipografia Giuseppe Seitz, 1912, p. 8. In occasione del suo commiato, Rubini diffondeva il suo saluto e il ringraziamento ai collaboratori con una lettera a stampa, datata 21 dicembre 1921. ASMunCiv, cat. 348 (1923) (vecchia numerazione) Spesa, Residui art. 1-12, verbale del Consiglio comunale svolto il 7 dicembre 1922. Tale medaglia costava 850 lire e la somma era ripartita, analogamente alle altre spese riguardanti l’acquedotto, tra i Comuni consorziati. Seduta del 26 novembre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923.
IX CAPITOLO NONO
L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
REGOLAMENTIAMO I primi statuti e regolamenti amministrativi Il consorzio volontario tra i dodici Comuni il 18 novembre 1911 si dotava di un proprio Statuto, approvato dai singoli Consigli comunali e reso esecutorio con decisioni della Giunta Provinciale Amministrativa di Udine in data 10 febbraio e 15 giugno 1912. In 9 articoli si dettagliava la composizione del Consorzio – rappresentato dal collegio dei sindaci dei
Frontespizio dello Statuto e Regolamento, anno 1921.
Comuni coinvolti, che dovevano eleggere il Presidente e quattro delegati formanti la Giunta consorziale –, demandando alla successiva stesura del Regolamento il più dettagliato funzionamento della struttura. L’assemblea consorziale il 22 giugno 1912 deliberava il detto Regolamento, di 18 articoli, approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 13 luglio seguente.1 L’assemblea consorziale nella seduta del 25 settembre 1920 deliberava alcune modifiche al Regolamento, lasciando invariati gli articoli dall’1 al 13. Gli altri sette prevedevano anche le modalità di ripartizione delle spese, secondo le norme contenute nel progetto originario Granzotto del 1911. Riguardo alla fornitura d’acqua ai privati, il prezzo normale delle utenze stabilito dal Consorzio poteva essere modificato: Ciascun Comune avrà diritto di stabilire un sovra-prezzo a suo esclusivo vantaggio od anche un prezzo inferiore a suo esclusivo carico.2
Il regolamento per le utenze private Completati i lavori di presa alla sorgente e in fase avanzata di posa delle condutture si redigeva il Regolamento per la concessione e la distribuzione dell’acqua potabile ai privati ed enti nel Comune di Cividale, deliberato dal Consiglio nella seduta del 13 aprile 1915 e approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 5 maggio successivo. Dopo 19 giorni era dichiarata guerra all’Austria. Il regolamento consiste di 21 articoli, il n. 7 prevedeva che il richiedente poteva scegliere i seguenti tipi di somministrazione dell’acqua: a) a efflusso continuo e costante; b) a efflusso facoltativo misurato, e a getto intermittente; c) per bocche da incendio. Il primo tipo è «misurato mediante una lente idrometrica, il cui forellino sarà calibrato in modo da lasciar fluire in 24 ore la quantità richiesta, la quale non
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L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
Il regolamento del personale L’assemblea consorziale il 25 settembre 1915 approvava il primo Regolamento organico del personale. Nove anni dopo la sua prima emanazione, questo atto non rispondeva più alle esigenze dell’azienda e si modificava per uniformarlo alle altre amministrazioni consimili, facendolo entrare in vigore dal 1º luglio 1924. Il personale con carattere di stabilità e senza diritto a pensione si limitava a due figure, che costituivano l’Ufficio consorziale: Direttore-segretario ed Esattore-rilevatore. Entrambi avevano un orario di servizio obbligatorio di otto ore, per gli stipendi si era preso esempio dai pari grado dell’officina comunale del Gas di Udine, come azienda che più si avvicinava al Consorzio, ma fissandoli in misura inferiore. Il Direttore era a capo di tutto il servizio e ne era il responsabile diretto; doveva possedere il titolo di ingegnere, di geometra o di perito industriale, provvedeva all’esecuzione di tutti i lavori inerenti all’esercizio e manutenzione ordinaria e straordinaria dell’acquedotto, secondo le disposizioni del Presidente. Disimpegnava anche le funzioni di segretario ed esercitava le funzioni di economo e sotto la propria responsabilità provvedeva, mediante persona di sua fiducia, alla riscossione dei canoni e al loro versamento; per tale mansione doveva prestare una cauzione di 5.000 lire. Era nominato dall’Assemblea consorziale, su proposta Frontespizio del primo regolamento per la concessione e la distribuzione dell’acqua agli utenti privati, deliberato dall’assemblea consorziale del Poiana nella seduta del 13 aprile 1915.
potrà essere minore di 500 litri. L’acqua somministrata ad efflusso facoltativo verrà misurata mediante contatore e pagata in ragione del consumo fattone, il quale però non potrà essere calcolato nell’abbonamento per una quantità minore di 500 litri al giorno. Per le bocche da incendio verrà collocata una chiave sopra il condotto di arrivo, il quale sarà di dimensioni sufficienti ad alimentare tutte le bocche richieste nello stesso stabile». Ogni contravvenzione alle prescrizioni o ai divieti stabiliti dal regolamento era passibile di una pena pecuniaria da 5 a 50 lire.3 Nel 1925 si apportavano alcune aggiunte e varianti, specie nei riguardi delle tariffe. Dopo ulteriori anni di esercizio, emergevano diverse manchevolezze nelle norme e la Giunta Consigliare con delibera 19 settembre 1930 modificava il Regolamento, proponendo un testo unico, approvato dall’Assemblea nella seduta del 22 novembre seguente. Il Regolamento organico era approvato il 25 settembre 1915 e dato alle stampe.
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Dopo alcuni anni di esercizio, nel 1930 era emanato un nuovo Regolamento per la concessione dell’acqua ai privati.
Per le scritturazioni, copiature, tenute dei registri ecc. ci si avvaleva di uno ‘scritturale’, la cui assunzione aveva carattere di provvisorietà, con obbligo reciproco di un mese per il licenziamento. Tutto il personale operaio era considerato avventizio, con mercede oraria o giornaliera stabilita di volta in volta dalla Giunta Consorziale per le singole categorie, pagate quindicinalmente. Per impiegati e operai, l’orario di servizio era di otto ore giornaliere.4 In seguito, l’Assemblea deliberava che dal 1º gennaio 1931 entrasse in vigore il nuovo Regolamento per l’Amministrazione del Consorzio, anche per disciplinare in modo preciso i rapporti tra Comuni e il Consorzio e tra i Comuni stessi.5 della Giunta e doveva sottostare a un periodo di prova di tre anni. Lo stipendio iniziale era fissato in 12.000 lire, al quale si aggiungeva una indennità di servizio attivo in ragione di 600 lire annue; a queste somme si doveva dedurre la tassa di Ricchezza Mobile. L’Esattore-rilevatore era assunto dalla Giunta consorziale, su proposta del Direttore, poteva essere riconfermato tacimente di anno in anno, con stipendio iniziale di 6.000 lire annuali, più 300 di servizio attivo. Gli stipendi erano aumentati di un decimo, per quattro consecutivi quadrienni.
Il regolamento amministrativo del 1930 Il 21 giugno 1930 l’Assemblea deliberava il Regolamento Amministrativo previsto dal nuovo Statuto, in armonia con quest’ultimo. La Giunta Provinciale Amministrativa di Udine il 12 dicembre 1930, pur ritenendo il Regolamento stesso approvabile, lo rinviava perché non essendo il Consorzio una azienda municipalizzata, ma una Azienda intercomunale gestita in economia, non
Canoni mensili di abbonamento, in vigore dal 1º gennaio 1932. La determinazione del quantitativo minimo di abbonamento era stabilita dalla Direzione consorziale.
Quadro delle tariffe per la concessione dell’acqua ai privati, in uso nel 1930. L’acqua si concedeva ad efflusso facoltativo, con un abbonamento minimo di 5 ettolitri giornalieri per ogni derivazione.
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poteva applicare le norme proprie delle Aziende Municipalizzate. Avrebbe dovuto prima deliberare la sua trasformazione a quella forma di gestione, che sarebbe stata la più adatta alla natura industriale dell’acquedotto, così la sua azione sarebbe stata svincolata in gran parte dalle pesanti norme burocratiche della gestione in economia, come vedremo più oltre. In via provvisoria si apportavano quelle varianti che adattavano il Regolamento alle forme praticate di gestione in economia.6
LE FONTANELLE PUBBLICHE Il numero delle erogazioni pubbliche lievitava sensibilmente. Nell’immediato primo dopoguerra si rilevava che molte fontane pubbliche erano state oggetto di stolti vandalismi, tanto da richiedere la sostituzione di tutti i rubinetti: le fontane su cui intervenire erano ben 220. Secondo l’ing. de Toni, era opportuno usare una rubinetteria più robusta, come quella sotterranea tipo ferrovia; ogni pezzo costava 50 lire e la sua applicazione, con una modificazione necessaria al collo della fontana, altre 75.7 Nell’assemblea del 25 settembre 1920 si apportavano modifiche al Regolamento consorziale, l’art. 18 riporta in dettaglio il numero delle fontanelle assegnate a ogni Comune, in base al progetto originario e alle successive Offerta al Consorzio Acquedotto Poiana di colonne in ghisa per fontane pubbliche, presentata dalla fonderia Bertoli di Paderno d’Udine, 20 giugno 1920.
Sezione verticale di una fontana pubblica da impiegare nei Comuni consorziati, secondo il progetto del 23 novembre 1911 dell’ing. Ugo Granzotto.
varianti ad esso apportate: Cividale 38, Moimacco 13, Trivignano 12, Remanzacco 11, Buttrio 10, Corno di Rosazzo 10, Pavia di Udine 10, Manzano 8, Ipplis 6, Pradamano 5, S. Giovanni di Manzano 5, Premariacco 5. Per ogni fontanella si calcolava un consumo in ragione del deflusso continuo di 0,20 l/secondo e per ognuna di esse eventualmente attivata in soprannumero, rispetto a quelle assegnate nel nuovo regolamento, erano dedotte a quel Comune 30 utenze private da quelle che aveva facoltà di concedere nel proprio territorio.8 Si rilevava che in qualche Comune, nonostante le insistenze e le raccomandazioni a ridurle, il numero delle fontanelle pubbliche rimaneva ancora eccessivo, a tutto svantaggio delle stesse amministrazioni comunali, sia per il dispendio della manutenzione sia perché ciò deprimeva la richiesta di utenze private. Nella seduta del 15 dicembre 1923 l’assemblea deliberava di affidare alla Giunta il compito di stabilire quali fontane pubbliche lasciare in ogni Comune, limitandole allo stretto necessario per i bisogni della popolazione. In seguito ad accordi presi con i singoli municipi, il direttore tecnico elaborava la seguente ripartizione dei manufatti di erogazione, approvata dalla Giunta il 23 febbraio 1924 e da mandare in vigore il 1º marzo successivo: Buttrio. Delle esistenti 10 fontane pubbliche sono da sopprimerne 3, restano assegnate 7 fontane: 4 nel capoluogo (1 presso il municipio, 1 presso la roggia, 1 su
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via Pavia, 1 in via Sottomonte), 1 a Visinale presso la chiesa vecchia, 1 a Camino sulla piazza della trebbiatrice, 1 in Caminetto presso il pozzo. Corno di Rosazzo. Delle 10 fontane sopprimerne 2, restano 8: 2 nel capoluogo, 1 a Gramogliano, 1 a Noax, 1 a Godia, 1 a Casali Comini, 1 a S. Andrat del Judrio, 1 a Visinale del Judrio. Ipplis. Di 5 fontane sopprimerne 2, restano 3: 1 nel capoluogo all’imbocco della via Cimitero, 1 in Leproso verso il Natisone, 1 in Azzano. Manzano. Si assegnano 11 fontane, tutte le esistenti eccettuato quella presso Villa de Marchi, che va soppressa. Moimacco. Delle 13 esistenti sopprimerne 7, restano 6: nel capoluogo 4 (1 presso il Municipio, 1 presso casa Vicenzutti, 1 presso la chiesa di S. Giovanni, 1 presso la piazzetta Cotterli), a Bottenicco 2 (1 presso la chiesa e 1 presso la casa del colono Rieppi). Remanzacco. Delle 13 fontane sopprimerne 6, restano 7: 2 nel capoluogo (1 presso il Municipio e 1 sulla piazza della chiesa), 1 a Orzano sulla piazza, 1 a Cerneglons presso la chiesa, 2 a Ziracco (quelle stabilite dal progetto), 1 in Selvis.9
FINALMENTE L’ACQUA IN CASA Dopo aver sistemato la conduttura, aggiornato il Regolamento, stabilito il numero della fontanelle pubbliche, si poteva procedere con la concessione delle utenze ai privati, che nel corso della guerra erano state grandemente limitate per volere dell’Autorità militare, preoccupata di soddisfare prioritariamente la sete delle truppe. Nella revisione del Regolamento, deliberato nell’assemblea consorziale del 25 settembre 1920, all’art. 18 si stabiliva che ogni Comune aveva diritto a un numero di utenze della media di 5 ettolitri giornalieri, proporzionato al quantitativo di acqua assegnata in progetto, espresso in litri al secondo, dedotto il numero delle fontane (ricordiamo che per ogni fontanella aggiunta si deducevano 30 utenze private): Buttrio 4 l, Cividale 17,40 l, Corno di Rosazzo 3 l, Ipplis 1,50 l, Manzano 6,40 l, Moimacco 2,40 l, Pavia di Udine 11 l, Pradamano 5 l, Premariacco 2 l, Remanzacco 7,30, S. Giovanni di Manzano 11 l, Trivignano 2,60 litri. La Giunta consorziale poteva concedere un maggior numero di fontanelle o di utenze, se ciò non tornava di danno al servizio generale.10 Le prime tariffe a forfait per la concessione dell’acqua potabile erano le seguenti: Consumo/giorno 5 ettolitri canone mensile L 3,50 Consumo/giorno 7 ettolitri canone mensile L 5 Consumo/giorno 10 ettolitri canone mensile L 7 Consumo/giorno 12 ettolitri canone mensile L 8,5011
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Il Regolamento deliberato il 22 novembre 1930 stabiliva per gli esercizi pubblici un abbonamento minimo di 5 ettolitri giornalieri, con un canone mensile di 9 lire. Visto che nei piccoli esercizi il consumo risultava sempre inferiore a quel quantitativo, quattro anni dopo si deliberava di accordare ad essi un abbonamento minimo di 4 hl/giorno, con una riduzione del canone mensile a 7 lire.12
I RISCOSSORI Entrando a regime la concessione d’acqua ai privati, occorreva stabilire le modalità di riscossione dei canoni di consumo. Si scartava subito l’ipotesi di affidare il servizio a terzi, era sicuramente più opportuno provvedervi direttamente, versando gli importi all’Esattore del Consorzio. Il personale addetto a tale mansione, recandosi nelle singole abitazioni poteva così controllare la regolarità delle concessioni e, non appena sarebbero stati collocati, avrebbe eseguito anche la lettura dei contatori, compilando gli appositi bollettari da allegarsi alla contabilità dell’esercizio. Visto che il numero delle utenze non era ancora tale da richiedere l’impiego di una persona esclusivamente per la riscossione, allo scopo di evitare un nuovo aggravio al bilancio nel 1921 si stabiliva, provvisoriamente, di introitare gli incassi mediante i sorveglianti dei Comuni consorziati. Sarebbe stato loro assegnato un compenso aggiuntivo, in proporzione alle somme riscosse.13
VANDALI IN AZIONE Nell’ordine del giorno votato nel dicembre 1911 da tutti i Consigli comunali aderenti al Consorzio, era previsto di concedere gratuitamente alla popolazione l’acqua necessaria mediante un conveniente numero di fontanelle e beveratoi nell’interno degli abitati, salvo ad accordarla, verso pagamento, a coloro che richiedessero la distribuzione a domicilio. La palese intenzione era quella di mettere a disposizione di tutti un bene primario e indispensabile quale l’acqua potabile. Il lodevole proposito andava però a cozzare contro l’inqualificabile stoltezza di alcuni scellerati, che all’entrata in funzione delle fontane pubbliche invece di gioire per la materializzazione di un sogno lungamente vagheggiato da generazioni, non trovavano di meglio che... manomettere i rubinetti. Per quanto possa apparire assurdo, dopo avere finalmente a disposizione dei comodi punti di erogazione dell’acqua vicino alle proprie abitazioni, alcuni degli stessi utilizzatori non esitavano a vandalizzare
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L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
Timbro e firma del direttore Giuseppe Rossi. Oltre alla gestione ordinaria, il personale dell’acquedotto si trovava costretto a contrastare alcuni perduranti vandalismi.
le fontane pubbliche, tanto a lungo reclamate, danneggiando se stessi prima di tutto. Nella circolare inviata dal Consorzio ai Comuni il 29 giugno 1921 si evidenziava il diffuso e ingiustificabile sperpero d’acqua, cui si era tentato di porre freno con l’applicazione di congegni a intermittenza, puntualmente sabotati con legature o altri sistemi di bloccaggio, che facevano scorrere senza sosta il prezioso liquido. In verità, non sempre erano ignoti vandali a mettere mano alle fontane, talvolta le Amministrazioni comunali stesse a mezzo dei propri rappresentanti si sono arbitrate di far aprire i robinetti delle fontane a getto continuo per dare una maggiore erogazione, contravvenendo alle disposizioni regolamentari che vietano a chicchessia di manomettere le fontane pubbliche. Si giungeva alla severa decisione di chiudere per un paio di settimane le fontane alterate, cosicché fosse palpabile il disagio provocato dall’assenza del servizio.14 L’agosto seguente si provava anche a tappezzare i muri dei centri abitati con vistosi inviti a non sprecare l’acqua. Dal mese di aprile al settembre 1916 si doveva intervenire per 16 riparazioni e per sopprimere 11 fontane pubbliche, stupidamente manomesse da ignoti.15 I perduranti, gravi danneggiamenti alle fontane, sempre dovuti ad atti di vandalismo, erano argomenti all’ordine del giorno in più riunioni assembleari del 1922. Nei verbali si legge ripetutamente il biasimo per tali inqualificabili atteggiamenti, che causavano consistenti e molto costosi danni. Dopo aver effettuato le ennesime, ricorrenti riparazioni alle fontane pubbliche, nel dicembre 1922 era stabilito che, per equità, a ogni Comune venisse addebitata tutta la spesa sostenuta nella manutenzione di quelle presenti nel rispettivo territorio.16 Si doveva prendere atto che la dozzina di sorveglianti, nonostante i ripetuti richiami, non svolgeva efficacemente il compito affidatogli. Per la cospicua estensione della rete il Consorzio non era in grado di vigilare continuamente sull’operato del personale, che nella quasi totalità dipendeva dai Comuni per altre incombenze. Stante la situazione, si deliberava che dal 1º gennaio 1923 i sorveglianti passassero direttamente
alle dipendenze delle rispettive amministrazioni comunali, che avrebbero potuto a loro piacimento impartire prescrizioni atte a limitare gli atti vandalici e, nel contempo, essendo a continuo contatto con i sorveglianti, controllarli in ogni momento.17 Dal 1922 la sorveglianza delle fontane pubbliche era affidata a Francesco Canonico, che per questo servizio era compensato con 150 lire a semestre;18 dallo stesso anno la vigilanza esterna dell’edificio di presa era compito di Antonio Blasutig, casellante della stazione di Poiana, che si trovava appena una cinquantina di metri dalla presa stessa.19
ATTENTI ALLA STRADA FERRATA L’asse della ferrovia del Predil, che nelle intenzioni avrebbe collegato Trieste a Tarvisio per la via più breve, in fase progettuale era tracciato a soli 8 metri dall’edificio di presa dell’acquedotto Poiana, sulla spianata a valle dello stesso. La costruzione della strada ferrata in tale punto avrebbe danneggiato enormemente l’acquedotto, in quanto con i necessari lavori di scavo sarebbero cer-
Avviso di sospensione del servizio idrico, necessaria per la riparazione di un tubo, 19 settembre 1925.
L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
tamente state alterate le sorgenti. Sotto l’incombenza di tale pericolo, il preoccupato presidente Rubini conferiva con l’ing. Lenzini, capo dell’Ufficio costruzioni, facendo presente l’impossibilità di attuare il tracciato così delineato, chiedendone una modifica tale da garantire pienamente che le sorgenti non subissero alcun danno, né durante i lavori né in fase di esercizio. Riconoscendo fondata l’opposizione, l’ingegnere proponeva di spostare il tracciato a monte della presa, alla distanza di 26 metri dall’estremità nord del cunicolo di raccolta e a 70 metri dall’edificio di presa, alla quota di 8 metri sopra lo sfioratore. Pur riuscendo subito accettabile alla presidenza, tale proposta doveva essere sottoposta al vaglio dell’ingegnere capo del Genio Civile, del medico provinciale, dei tecnici e dell’ispettore dell’acquedotto.20 Analogamente alle altre direttrici ferroviarie internazionali che avrebbero dovuto attraversare il Cividalese e l’alta valle del Natisone, anche la nuova ferrovia del Predil non venne costruita.21
LE ROTTURE CONTINUANO Abbiamo visto come la fase di riempimento della conduttura, iniziata nella primavera del 1915, era tormentata dalle reiterate rotture dei tubi. Dal 2 aprile 1915 all’agosto 1916 se ne guastavano 30 e vi poneva rimedio l’impresa costruttrice. La lista però si allungava ulteriormente, si riteneva sempre a causa della loro cattiva posa originaria. Dall’8 aprile 1916 al 4 maggio 1922 erano 27 i tubi rotti, poi riparati o sostituiti a spese del Consorzio.22 Le rotture si manifestavano ancora, sia pure a intervalli più ampi, come il 19 dicembre 1922 e, nell’anno seguente, il 31 gennaio, 14 e 19 febbraio. Il costo sopportato dal Consorzio per questi 31 tubi era, in totale, di 55.425 lire.23 Da un calcolo riassuntivo, risulta che dal 2 aprile 1915, data di inizio della messa in efficienza dell’acquedotto al 14 maggio 1920, quando si aveva l’immissione dell’acqua in modo continuativo, i tubi rotti erano 51. Da questa data sino al 5 maggio 1929 se ne rompevano altri 14, quindi in totale 65 su 4.500 messi in opera. Si chiedeva un parere all’ing. Forlanini del Politecnico di Milano e all’ing. Prati di Bergamo, entrambi consigliavano di attendere l’epurazione naturale di tutti i tubi lesionati, a causa di difetti preesistenti o per i rilevati errori di posa.24 Le notizie delle rotture di tubi costellano i resoconti amministrativi, sarebbe noioso riportare integralmente la lunga sequenza delle operazioni di sostituzione. Ci si limita a citare che vi era una lunga parentesi nella quale non si manifestavano scoppi di tubi della conduttura principale, protratta per cinque anni, dal 1936
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Avviso per improvviso guasto della rete idrica, 15 febbraio 1929.
al 1940. Quando si pensava che la fase di epurazione degli elementi per diversi motivi lesionatisi nella fase di impianto e di prove di immissione fosse ormai terminata, nel 1941 erano ben tre le rotture cui risultava necessario mettere pronto riparo.25 Avviso del 21 febbraio 1929, con la raccomandazione di aprire i rubinetti al termine della riparazione, per evitare i dannosi “colpi d’ariete” dovuti all’aria rimasta nelle tubature.
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L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
LA ZONA DI PROTEZIONE DELLE SORGENTI All’atto di acquisto delle sorgenti si predisponeva anche un’adeguata protezione delle stesse, comprando dal Comune di Tarcetta 12.000 metri quadrati di terreno verso il Monte Mia, ma non si poteva acquisire l’area a valle perché allora era territorio austriaco. Dopo la captazione delle polle sorgentifere, il Rio Poiana si esauriva superficialmente in epoca di magra, scorrendo ancora durante le morbide. Si era notato che in diretta relazione a ciò si abbassava o alzava il livello dell’acqua nell’edificio di presa, posto a fianco. Ciò portava a ritenere che potesse esserci qualche comunicazione filtrante attraverso o sotto il fondo delle opere di raccolta. Per evitare ogni ulteriore preoccupazione, la Direzione lavori provvedeva subito a tramutare in solida e stabile briglia muraria una tura provvisoria in terra, eretta attraverso il Rio per mantenervi elevato il livello. A completamento di quest’opera, l’ing. Zanetti incaricato del collaudo finale, dato che non erano più possibili contestazioni per lo spostamento del confine politico di Stato prima segnato dall’asse del ruscello Poiana, consigliava l’estensione della zona di protezione della presa, includendovi con ampiezza anche il corso del rivo.26 L’ampliamento della zona di protezione era suggerito per evitare possibili inquinamenti o dispersioni; in quella zona, infatti, sgorgavano alcune polle, in diretta comunicazione con quelle che versavano nel cunicolo di raccolta. Il medico provinciale dott. Alessandro Bajardi faceva presente il pericolo di inquinamento delle sorgenti qualora la zona adiacente fosse rimasta in proprietà a privati, ai quali non sarebbe stato possibile vietare né la coltivazione dei terreni né l’esecuzione di
Sviluppo delle opere di muratura, in calcestruzzo e argilla, posizionate nel 1925-1926 per la protezione dell’area ove scaturivano le polle sorgentifere del Poiana. Con tale muretto di sbarramento si impediva la fuga dell’acqua che sgorgava dalle polle, rialzando il pelo sotterraneo del liquido e migliorando le condizioni di stabilità della portata dell’acquedotto.
L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
qualsiasi lavoro. In ossequio a tale considerazioni, nell’ottobre 1921 si deliberava di estendere la zona di protezione fino alla ferrovia Caporettana, procedendo all’espropriazione del terreno compreso tra tale limite e quanto già di proprietà del Consorzio.27 Ciò trovava attuazione l’anno seguente, quando si concludevano positivamente le trattative condotte dal geom. Brigo, che per la somma di 17.558 lire faceva acquistare tre appezzamenti, per complessivi 10.669 mq, siti nel territorio ex austriaco e appartenenti al Comune censuario di Boriana, compresi tra i limiti del terrapieno ferroviario.28 Dopo la rettifica del vecchio confine italo-austriaco, eseguita dall’ufficio catastale di Tolmino, aumentava di 721 mq la superficie dei terreni da acquistare, sempre al prezzo unitario di 2 lire.29
La bonifica dell’area Si reputava utile sistemare convenientemente l’intera zona, bonificandola e riducendo al minimo le dispersioni d’acqua, che andavano inevitabilmente a svantaggio del carico e quindi della portata.30 Era stato durante la grande magra dell’inverno 1921-1922 che si era pensato di eseguire uno sbarramento sotterraneo in muratura, a valle delle sorgenti allo scopo di impedire fughe d’acqua e di ottenere una maggiore costanza nella portata dell’acquedotto. Le opere, secondo il progetto del 7 settembre 1923, comprendevano: la bonifica del rugo Poiana, che si presentava acquitrinoso e paludoso, riempiendo le zone depresse con strati di pietrame, coperti da ghiaia e poi da circa 30 cm di terra; la costruzione a valle di un muretto di sbarramento per impedire la dispersione nel terreno acquistato dell’acqua sgorgante dalle polle, rialzando così il pelo sotterraneo del liquido ottenendo un maggior battente alla partenza della conduttura. Inoltre: la recintazione della parte pianeggiante, per impedire l’accesso ai quadrupedi che pascolavano nelle adiacenze e la piantumazione di pini, abeti e larici, posti a una distanza non minore di 25 metri dalle sorgenti, lasciando lo spazio restante a prato naturale non concimato.31 Nell’intento di eliminare, o quanto meno ridurre al minimo, le dispersioni accertate nelle varie captazioni alla presa, nel 1926 erano eseguiti vari lavori, tra cui la prevista costruzione del diaframma a sbarramento della falda, parte in calcestruzzo e parte in argilla, integrato da due briglie attraverso il canale fugatore, allo scopo di ottenere il rifluimento dei filetti liquidi che prima si disperdevano al di sotto della quota di presa.32 Altri lavori erano realizzati dal 18 febbraio al 23 aprile 1927; in luogo delle previste 14.000 lire, se ne spendevano 27.131 perché le opere, compiute in condizioni difficili, su proposta dell’ing. capo del Genio
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Civile di Udine cav. Maioli avevano un’estensione superiore al progettato.33 L’area di protezione era ulteriormente ampliata una decina d’anni dopo, approfittando della favorevole iniziativa del Circolo Ferroviario d’Ispezione di Trieste che nel 1935 aveva iniziato la vendita degli immobili esistenti sulla linea della ferrovia Caporettana. Era così acquistata una superficie di 9.465 mq di terreno e anche l’edificio adibito alla ex stazione di Poiana, da utilizzare come abitazione del custode delle sorgenti, spendendo complessivamente 10.581,40 lire.34 Nel 1939-40 proseguiva il rimboschimento dell’area, piantando altre 1.000 piantine di abete e 200 pini, forniti gratuitamente dalla milizia forestale, raggiungendo così una densità di 5.000 abeti e 1.200 pini. Anche l’area circostante il serbatoio sul monte dei Bovi era oggetto di attenzione. Sin dal 1912 erano iniziate le trattative relative a un fondo presso il manufatto, per regolarizzare la proprietà35 ed evitare l’uso di una cava di pietra adiacente, attività che potenzialmente avrebbe potuto danneggiarlo.36 Per difficoltà tra i coeredi non si era mai riusciti a concludere l’acquisto. Solo dopo parecchi decenni, la situazione trovava sistemazione e si riapriva la possibilità di effettuare la compravendita.37 Per lo sfruttamento della cava, il proprietario avrebbe dovuto osservare le norme di polizia mineraria imponenti cospicue limitazioni negli scavi, inibiti fino a 20 m dal serbatoio e fino a 50 m dalle condutture dell’acquedotto, con a suo carico eventuali danni ai manufatti e quindi la cava poteva svilupparsi solo su una superficie molto limitata, così nel 1954 preferiva cedere l’intero fondo al Consorzio.38 Tabella con distribuzione della spesa sostenuta per la realizzazione dell’acquedotto Poiana. Per il riparto del consistente costo, onde non aggravare troppo i Comuni più lontani, si introdusse nel calcolo degli specifici elementi moderatori (da Relazione 1920, p. 44).
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L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
LA FRAGILE SITUAZIONE FINANZIARIA NEGLI ANNI VENTI Riassumiamo brevemente le ricadute che la complicata, protratta sequenza degli eventi costruttivi aveva determinato sull’aspetto economico, fino ai primi anni Venti. Il Consorzio con decreto del Ministero degli Interni del 10 luglio 1912 era stato autorizzato a contrarre un mutuo con il beneficio della legge 25 giugno 1911 n. 586 per l’importo di 2.400.000, somma preventivata per dare attuazione al progetto dell’ing. Ugo Granzotto. I propositi di completare l’acquedotto in tempi ragionevolmente brevi, compatibilmente con la complessità della mastodontica opera, si infrangevano contro l’onda d’urto del primo conflitto mondiale, che subito faceva sentire il suo deleterio effetto sul cantiere per la difficoltà, già avvertita sin dal 1914, di rifornirsi del materiale metallico, proveniente in gran parte dall’estero. Quando anche l’Italia entrava in guerra, era l’Autorità militare a ingerirsi nel programma dei lavori da compiere, dando la priorità al completamento della conduttura principale onde avvalersene a beneficio dell’esercito e imponendo di non proseguire in altri lotti della rete distributiva. Al termine della terribile avventura bellica, l’Amministrazione consorziale procedeva alla liquidazione delle opere eseguite – che non erano tutte quelle progettate –, stabilendo in 2.676.715 il loro costo, con un maggior dispendio di 276.715 lire in confronto al mutuo ricevuto. L’Impresa Parpinelli presentava riserve per un ammontare di 711.166 lire, delle quali la Commissione governativa di Collaudo ne ammetteva 270.000 a stretto diritto, per le difficoltà incontrate durante la guerra avendo eseguito i lavori in prossimità del fronte e delle retrovie, pur riconoscendo tale cifra inferiore al giusto compenso. La Commissione arbitrale invocata dall’Impresa, con sentenza del 27 aprile 1923 stabiliva spettasse all’Impresa la somma totale di 539.509 lire, con interessi del 5% dal giorno del decreto di esecutorietà della sentenza al saldo. Le spese di arbitrato di 71.345,45 lire erano addebitate per 3/5 al Consorzio, per un ammontare di 42.807,27 lire, cui andavano aggiunte 16.971 lire per le consulenze legali e tecniche approntate per la sua difesa in tribunale; inoltre si sostenevano le spese di collaudo di 16.000 lire e si dovevano ancora pagare 76.000 lire di competenze al progettista. Fin dal 1917 si era progettata la costruzione a metà tratta di un serbatoio interruttore in località Tiglio; la relativa spesa era preventivata in 60.000 lire, ma l’invasione nemica ne impediva l’esecuzione e quando finalmente si poteva realizzare, comportava un costo più che doppio, sfiorando le 135.000 lire. Nel complesso, la spesa per le opere eseguite superava di 1.103.000 lire il mutuo già riscosso. Un massiccio sforamento, questo, in massima parte dovuto ai fatti
di guerra. Infatti senza di essa l’opera sarebbe stata ultimata in breve tempo, procedendo subito al collaudo e provvedendo al sollecito pagamento all’Impresa, evitando così l’accumularsi di interessi, aggravanti i bilanci di 129.000 lire, e la svalutazione delle cauzioni pari a 28.000 lire. Altri oneri sostenuti erano poi dovuti alla sostituzione, dal 1919 al 1923, di 31 tubi danneggiati o difettosi, costata oltre 50.000 lire e pagata con il contributo dei Comuni. L’alluvione del 1920 provocava un danneggiamento alla conduttura principale valutato 65.000 lire. Delle opere progettate restava ancora da eseguire l’impianto interno di Cividale e diramazioni nei Comuni di Pavia di Udine e San Giovanni al Natisone, con una spesa preventivata di 265.000 lire. Per il buon funzionamento amministrativo e di esercizio si doveva provvedere a una conveniente sede, la cui costruzione avrebbe comportato un costo ipotizzato in 239.000 lire e, su parere della Commissione di collaudo, si doveva pure ampliare la zona di protezione delle sorgenti, spendendo 34.000 lire per l’acquisto e la sistemazione del terreno. In totale, una spesa di almeno altre 538.000 lire per queste tre opere, ritenute indispensabili per la completa efficienza dell’impianto e l’esercizio dell’azienda. Nel 1923, i ricavi iniziali dell’acquedotto erano appena bastevoli alle spese di manutenzione, gli onerosi interessi sul debito del milione e passa di lire andavano repentinamente aumentando, senza speranza che con le esauste finanze del dopoguerra i Comuni potessero farvi fronte. In quel frangente, il Consorzio non vedeva altra possibilità che richiedere allo Stato un mutuo integrativo per le opere già eseguite di 1.103.000 lire e di un mutuo suppletivo per quelle di completamento, di 538.000 lire. Per il favorevole accoglimento dell’istanza, si confidava venisse tenuto in debita considerazione che la vasta e provvida opera pubblica (…) durante la guerra si è resa benemerita della Patria e dell’Esercito provvedendo alla alimentazione idrica delle truppe, di ospedali, ferrovie e di tutti gli stabilimenti militari, fornendo persino l’acqua che veniva trasportata al fronte.39 Non sappiamo quanto peso abbia avuto il tono di questo patriottico appello, fatto sta che il Ministero degli Interni con decreto 14 dicembre 1926 autorizzava i Comuni consorziati a contrarre 12 mutui suppletivi, per l’importo complessivo di 1.401.390 lire, in applicazione della legge 25 giugno 1911 n. 586, contenente le agevolazioni accordate ai Comuni del Regno per la provvista di acqua potabile e per l’esecuzione di opere riflettenti la pubblica igiene; il mutuo era successivamente finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti sui fondi degli Istituti di Previdenza, con provvedimento 14 febbraio 1928 al tasso d’interesse del 6,50%, con il
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Intestazione del preventivo della spesa da sostenere per il completamento del progetto originario dell’ing. Granzotto, collocando la rete di distribuzione nei Comuni di Cividale del Friuli, Pavia di Udine e San Giovanni al Natisone (un tempo denominato ‘di Manzano’), 30 gennaio 1923.
concorso dello Stato che si assumeva parte dell’onere degli interessi, del 2 e del 4%.40 Il primo certificato di pagamento per il mutuo accordato era emesso il 18 giugno 1928, per l’importo di 1.312.000 lire, con le quali coprire il costo dei lavori sino ad allora completati, conformemente ai progetti approvati.
LE OPERE DI COMPLETAMENTO IN TRE COMUNI Le reti di distribuzione nell’interno di Cividale, Pavia di Udine e San Giovanni al Natisone, pur previste nel progetto generale del 1911, non erano state completate durante la prima guerra mondiale per divieto dell’Autorità militare, principalmente perché i lavori avrebbero potuto ostacolare il traffico legato allo spostamento e all’approvvigionamento delle truppe nelle retrovie. Mancava la posa di 5.973 metri di conduttura, così ripartita: Cividale 4.403, San Giovanni al Natisone 820, Pavia di Udine 750. Il preventivo di spesa, calcolato dall’Ufficio Tecnico del Consorzio in 182.548,16 lire a carico dei 12 Comuni, era approvato dall’Assemblea consorziale del 29 luglio 1922, che deliberava di eseguire tutti i lavori in economia. Al progetto del 23 luglio 1924 ne seguiva un altro, del 7 luglio 1925 per mano dell’ing. Lorenzo de Toni, aggiornato nei prezzi e con le aggiunte delle nuove diramazioni riconosciute indispensabili; il nuovo elaborato, approvato dal Ministero dei LL. PP. con decreto 14 dicembre 1926, prevedeva una spesa aumentata a 265.000 lire. All’interno di Cividale si posavano 22 diramazioni a spese del Consorzio (2.744 m di tubazioni in ghisa e 758 in acciaio, per complessivi 3.502 metri), inoltre
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ulteriori 17 ampliamenti, anche nelle frazioni, erano pagati dal Comune (5.858,20 metri). Per parte delle opere si approfittava dei lavori stradali che erano in corso su iniziativa dell’Amministrazione comunale e ciò consentiva una riduzione della spesa, anche se il lavoro si prolungava maggiormente nel tempo. Con il decreto ministeriale di concessione del mutuo, il Ministero fissava in due anni il termine per l’ultimazione dei lavori, quindi il 14 dicembre 1928; una prima proroga era accordata, portando la scadenza del tempo utile al 14 dicembre 1930, una seconda la posticipava di altri due anni e, ancora, una terza faceva avanzare il termine al 14 dicembre 1934, anno nel quale i lavori avevano effettivamente conclusione. A Pavia di Udine si prolungavano le condutture con tuberie di acciaio Mannesmann, per complessivi 913 metri; oltre a questi lavori di competenza del Consorzio, si facevano altre diramazioni a carico del Comune.41 Nel capoluogo di San Giovanni al Natisone l’impianto interno era completato con cinque condutture, per complessivi 682 metri. Dal 1923 al 1931 si realizzavano altre 11 diramazioni, prolungando di 1.310 metri la rete, con la spesa di 15.199,25 lire sostenuta dal Comune. Nel complesso, avendo realizzato notevoli economie sia per il minor costo delle opere e provviste sia per riduzioni nello sviluppo delle condutture all’interno di Cividale, si potevano aggiungere ulteriori diramazioni; il progetto del 1924 prevedeva uno sviluppo complessivo di 8.633 metri, mentre con una somma addirittura inferiore a quella prevista se ne posavano ben 13.547,50.42 Il completamento della rete di distribuzione interna a Cividale, Pavia di Udine e San Giovanni al Natisone poteva avvenire solo nel 1925. A Cividale si posavano 22 diramazioni a spese del Consorzio (indicate in questa mappa) e altri 17 ampliamenti, estesi anche nelle frazioni, erano pagati dal Comune.
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L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
In alto: piano schematico del progetto della rete di distribuzione per l’interno della città di Cividale, elaborato dall’ing. Lorenzo de Toni e dal geom. Giuseppe Rossi, 7 luglio 1925.
In basso: pezzi speciali fatti realizzare appositamente nel 1915 per le condutture all’interno della città di Cividale.
L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
A Pavia di Udine nel 1925 si prolungavano le condutture con tuberie di acciaio Mannesmann, per complessivi 913 metri e nuovi tubi si collocavano anche a Risano, nei tratti indicati dal colore rosso.
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L’acqua del Poiana alimentava anche le caldaie dei treni a vapore, la fornitura alle ferrovie avveniva mediante apposite convenzioni (collezione privata).
DA BERE AI TRENI Con la convenzione del 5 ottobre 1922, il Consorzio Poiana si obbligava a fornire l’acqua occorrente per gli usi delle stazioni di Buttrio, Manzano, San Giovanni di Manzano e di una casa cantoniera della linea Mestre-Cormòns, nonché della stazione di Risano sulla linea Udine-San Giorgio di Nogaro. Tale convenzione aveva la durata di tre anni, a partire dal 1º gennaio 1922. Alla scadenza, l’Amministrazione ferroviaria chiedeva di rinnovare la fornitura, estendendola anche agli impianti della cava di Buttrio e ad altre cinque case cantoniere. I canoni annui in abbonamento erano concordati in 5.724 lire, gli Nel capoluogo di San Giovanni al Natisone l’impianto interno era completato con varie condutture, per complessivi 682 metri posati nel 1925, ulteriori lavori erano compiuti negli anni seguenti.
eventuali maggiori consumi sarebbero stati pagati 0,45 o 0,60 lire al metro cubo.43 Al servizio dell’acquedotto ricorrevano anche diverse altre istituzioni, ad esempio su espressa richiesta dell’Intendenza di Finanza di Udine, era stata concessa l’erogazione di 12 ettolitri al giorno di acqua del Poiana nei locali usati dalla dogana di Stupizza, per un quinquennio, verso il corrispettivo annuo di 50 lire; la concessione era rinnovabile tacitamente, se non interveniva la disdetta di una delle parti e, qualora la Dogana fosse cessata per qualunque causa, non vi sarebbe stato diritto a rimborsi da parte della Finanza.44 Serbatoio della stazione ferroviaria di Buttrio, che si avvaleva del servizio acquedottistico del Poiana (foto di Geremia Nonini, scattata nel 1988).
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L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO
Officina di controllo per la regolazione e l’aggiustatura dei contatori d’acqua, dal catalogo dell’anno 1908 della ditta Siemens & Halske di Berlino che, con grande tempestività, ancor prima dell’ultimazione dei lavori dell’acquedotto Poiana aveva proposto i suoi articoli al Consorzio.
IL CONTEGGIO DELL’ACQUA? S’HA DA FARE! Sin dal 1914, ovvero quando si stava ancora posando la rete acquedottistica, pervenivano all’ufficio consorziale i consigli, e le relative proposte commerciali, delle ditte produttrici di apparecchi di misurazione idrica, che esaltavano i vantaggi dell’uso dei contatori: Il sistema, ormai antiquato, in uso alcune diecine d’anni fa, di proporzionare la quantità d’acqua al numero dei componenti una famiglia, al numero di capi di bestiame ed al numero degli ambienti abitati, ha portato sempre ad uno spreco eccessivo d’acqua. Esso è da scartare, tanto più oggi in cui l’industria specialistica, così ben progredita, ci dà apparecchi di misura sotto ogni aspetto perfetti. (…) Le amministrazioni degli acquedotti lamentano forti perdite d’acqua dovuta alla trascuratezza ed allo spreco degli utenti, specialmente per rotture o per l’imperfetta tenuta delle tubazioni installate nei loro immobili. Questo sciupio rapFonderia dei metalli ove le carcasse, i recipienti misuratori e gli attacchi a vite erano realizzati con leghe metalliche speciali, utilizzando forme e macchine adatte, dalla ditta Siemens & Halske nel 1908.
Officina per campionare i contatori d’acqua prodotti dalle officine del Wernerwerk di Siemens & Halske nel 1908, ditta tedesca in quel tempo rappresentata in Italia dalla Elser e C., con sede e officina a Milano.
presenta una pura perdita, rende incerto, nel caso di scarsezza di acqua, che gli approvvigionamenti riescano sufficienti ed eleva in molti casi il prezzo dell’acqua senza che perciò alcuno se ne avvantaggi. In effetti, il computo a forfait si dimostrava inadatto a controllare e a regolare le quantità distribuite agli utenti. Era necessario un dispositivo, pratico e nel contempo preciso, per conteggiare l’acqua e un notevole miglioramento si conseguiva introducendo i contatori; la prima ditta che ne iniziò la fabbricazione fu la Siemens di Berlino, nel 1858. Assodata l’opportunità di collocare i contatori, si consigliava di non compiere un errore assai diffuso, quello di acquistare il contatore di minor prezzo sul mercato; per giudicare il suo valore si doveva invece guardare alla potenzialità a funzionamento continuo e la sua attitudine a mantenere esatte le indicazioni per un tempo il più lungo possibile. Fabbricazione automatica delle ruote dentate, mediante accurata fresatura con macchine speciali di precisione, ditta Siemens & Halske di Berlino, 1908.
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Officina frese, ditta Siemens & Halske di Berlino, 1908.
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Officina trapani, ditta Siemens & Halske di Berlino, 1908. In questa pagina e nella seguente: intestazioni di ditte produttrici di contatori che, in vari tempi, hanno effettuato forniture all’acquedotto Poiana.
Il variegato mondo dei contatori Cosa offriva il mercato a quel tempo? Erano disponibili contatori a velocità (a turbina) e a volume (a disco o a stantuffo). Questi ultimi, a disco, si differenziavano per la grande precisione di misurazione e, nonostante il maggior prezzo (nel 1914 costavano 56 lire al pezzo, rispetto alle 40 del tipo a turbina), avevano un rendimento economico superiore agli altri tipi, perché la loro maggiore registrazione portava a un incasso superiore. Non erano molto diffusi perché la loro lavorazione richiedeva macchine utensili di notevole precisione tecnologica e si potevano impiegare solo in acque molto limpide ed esenti da sedimenti, in quanto l’oscillazione del disco non permetteva la raccolta di materie estranee all’interno della camera di misura. Per i contatori a turbina, era preferibile scegliere un tipo in cui la ruota a palette si trovi racchiusa in apposita camera in modo che l’acqua, entrando in essa tangenzialmente per dei fori praticati ad intervalli uguali alla sua periferia, possa azionare la ruota stessa da tutti i lati. Gli apparecchi non muniti di tale camera si fabbricavano a buon prezzo e quindi attraevano di più gli acquirenti, possono in principio raggiungere anche una sufficiente esattezza di misura, ma possono peraltro essere causa dopo poco tempo di funzionamento di enormi
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perdite negli incassi per le amministrazioni, giacché essi, con lo sporcarsi, registrano erroneamente.45 Il principio di funzionamento dei contatori a turbina – anche questi ampiamente illustrati in pubblicazioni informative dei primi decenni del Novecento, da cui sono tratte le informazioni che seguono – è che, in sezioni uguali di una tubazione, a una variazione della portata corrisponde necessariamente una diminuzione o aumento della velocità. Il compito di trasmettere a un organo di misura il movimento dell’acqua spetta a una turbina interposta nella corrente e che riceve impulso da uno o più getti d’acqua di uguale forza. Dato che il movimento della turbina non avviene senza resistenze – a causa della disposizione delle palette, dell’attrito dei perni, ecc, – tutti i contatori devono venir regolati, prima dell’impiego, entro i limiti di precisione prescritti. Ciò generalmente si consegue a mezzo di palette mobili o di bocche di regolazione, che influiscono sulla direzione del getto d’acqua nell’interno del contatore e quindi sul numero di giri della turbina. Questi poi vengono trasportati a mezzo di ruotismi – meccanismi contatore e indicatore – a un quadrante su cui è possibile la lettura diretta delle portate defluite attraverso l’apparecchio. Vi sono i contatori a getto unico o a getti multipli: nei primi l’acqua viene guidata alla turbina sotto un determinato angolo, a mezzo di una semplice bocca, nei secondi lo è mediante una serie di canaletti regolarmente distribuiti alla circonferenza della cosidetta ‘scatola di fondo’ che circonda la turbina. Di consueto i contatori sono impiegati per la misurazione di acqua fredda e le turbine possono essere costruite in celluloide, che resiste bene a tutte le azioni chimiche legate al liquido, non necessita di lubrificazione e non si consuma se non con grande lentezza, è elastica e leggera, cosicché l’attrito sui propri perni viene ridotto quasi a zero; grazie all’impiego di speciale ebanite grafitica per i supporti della turbina anche gli attriti interni sono mantenuti assai bassi. Nei contatori per acqua calda, superiore a 30°C, invece non devono essere impiegate parti in celluloide o ebanite.46
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Asciutto o bagnato? I contatori erano offerti in due esecuzioni: a quadrante asciutto e a quadrante bagnato. Nel primo il meccanismo di trasmissione è separato da quello del contatore mediante una robusta piastrina di metallo e la trasmissione del movimento dal primo meccanismo, situato inferiormente alla piastrina, al secondo situato superiormente, avviene per mezzo di un albero, attraverso un premistoppa a perfetta tenuta; tanto il meccanismo contatore quanto il quadrante non sono bagnati. Nei contatori a quadrante bagnato i meccanismi di trasmissione e contatore sono riuniti in un unico meccanismo, completamente immerso nell’acqua, compreso il quadrante. Mancando la trasmissione del movimento a tenuta ermetica, le perdite per attrito vengono diminuite e la sensibilità dell’apparecchio risulta alquanto maggiore, in confronto ai contatori a quadrante asciutto. Non è necessario alcun premistoppa e ciò rende il meccanismo più semplice ed economico, inoltre è possibile la maggiore esattezza e costanza di misura essendo eliminato, per la mancanza del premistoppa, l’attrito tra questo e l’albero del pignone. Il vetro, spesso e robusto, è meno soggetto a rottura del sottile vetro del
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In questa pagina e nella seguente: materiale illustrativo di contatori prodotti da varie ditte, italiane ed estere, il cui acquisto era proposto al Consorzio Acquedotto Poiana, negli anni Venti, Trenta e Quaranta. La tipologia comprendeva i misuratori a quadrante asciutto e a quadrante bagnato.
contatore a quadrante asciutto e protegge anche indici e quadrante da manomissioni, per cui è evitata ogni frode nell’indicazione del consumo d’acqua. Va detto che in quelli a quadrante bagnato, per la disposizione interna, restano immersi nell’acqua anche gli ingranaggi il cui movimento è lentissimo e con acqua non perfettamente pura si formano depositi che oppongono resistenza al movimento; dall’alta
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Pur con variazioni e particolarità introdotte dalle singole case costruttrici, un contatore in uso negli anni Venti-Trenta essenzialmente è composto dalle seguenti parti. Carcassa: in ottone o leghe speciali, provvista alle due bocche di afflusso e di efflusso di raccordi filettati per l’attacco alla tubazione. Staccio: il tubo d’afflusso prima di immettere nella carcassa propriamente detta è sagomato per contenere lo staccio, con il quale bloccare gli eventuali depositi in sospensione. Camera di misura: la turbina ruota nella scatola di fondo, poggiando su un perno provvisto di punta in ebanite grafitica. Con tale disposizione non possono verificarsi depositi di impurità, che potrebbero ostacolare la rotazione della turbina. Dispositivo di regolazione: il numero di giri della turbina e, di conseguenza, l’esattezza di misura, sono regolati mediante una paletta disposta sopra alla turbina. Se può essere manovrato dall’esterno, a mezzo di apposita chiave, si consegue una notevole economia di tempo. Meccanismo contatore: mediante un piccolo rocchetto il movimento della turbina viene trasmesso alla prima ruota dentata dell’apparecchio contatore. Meccanismo indicatore: il collegamento fra il meccanismo contatore e quello indicatore si effettua mediante un alberetto. Nei contatori a quadrante asciutto restano a contatto con l’acqua solamente le poche ruote del meccanismo contatore, le cui velocità di rotazione sono elevate, le altre restano perfettamente all’asciutto. Nei contatori a quadrante immerso i due meccanismi indicatore e contatore sono riuniti in un rotismo unico, che assieme al quadrante si trova immerso nell’acqua. Quadrante: con rulli numeratori o indici. Per la chiusura della camera del meccanismo indicatore è impiegato un robusto cristallo, mantenuto al proprio posto dalla testa del contatore avvitata sulla carcassa e che, con l’aggiunta di apposita guarnizione, resiste alla pressione d’esercizio.
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precisione iniziale, la sensibilità quindi può decadere in modo notevole. Col tempo, poi, il quadrante si legge meno bene di quello asciutto, per cui richiede una maggiore pulizia. L’opinione generale che il tipo a quadrante bagnato fosse soltanto da impiegarsi con acque assolutamente limpide, non dure e senza sedimenti via via si stemperava e, per la maggiore semplicità e il basso costo di manutenzione, trovava un impiego sempre crescente. La preferenza gli era accordata anche perché necessitava di riparazioni dimezzate rispetto al quadrante asciutto, inoltre mentre quest’ultimo poteva essere riparato soltanto da specialisti, per il tipo bagnato bastava il personale comune, adeguatamente addestrato.47
Celluloide, nichel ed ebanite Gli opuscoli informativi diffusi negli anni Venti appaiono prodighi di descrizioni tecniche per illustrare dettagliatamente le caratteristiche degli apparecchi di misura, che le ditte cercano di diffondere in misura sempre più ampia. Grazie alle esaurienti spiegazioni, possiamo rilevare la cura con cui erano scelti i materiali per l’assemblaggio dei delicati meccanismi dei contatori: Per la scatola esterne e quella interna si adopera normalmente una lega speciale. I materiali che meglio si prestano alla costruzione delle parti mobili o a contatto con organi
In questa pagina e nelle seguenti: materiale illustrativo di contatori prodotti da varie ditte, italiane ed estere, il cui acquisto era proposto al Consorzio Acquedotto Poiana, in vari tempi.
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mobili e quindi soggette a logorio sono l’ebanite, la celluloide e il nichelio puro. Ogni altro materiale, come bronzo, leghe di nichelio ecc, è inadatto, per la facile tendenza all’ossidazione, che in un periodo più o meno breve a seconda delle qualità delle acque, rovina le varie parti e distrugge completamente i meccanismi.
Per la turbina si impiegano l’ebanite e la celluloide, materie che avendo un basso peso specifico gravano in modo trascurabile sulla punta di rotazione, con vantaggio per l’esattezza, la sensibilità e la durata di buon funzionamento. La turbina di celluloide però ha l’inconveniente che deve essere costruita con più pezzi incollati assieme, mentre
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quella di ebanite si ricava da un solo pezzo, guadagnando in robustezza. L’ebanite inoltre ha un peso specifico minore e non viene attaccata dall’acqua, per quanto impura sia. Per l’albero della turbina e per la punta di rotazione va preso in considerazione solo il nichelio puro, mentre il materiale più acconcio per la piastrina di base per la punta di rotazione è l’agata, oppure una combinazione di agata ed ebanite, combinazione che si è affermata notevolmente, resistendo ottimamente per molti anni di esercizio continuo dei contatori, anche con acque tutt’altro che adatte a non danneggiarli. Per l’orologeria sono indicati due soli materiali: il nichelio puro e l’ebanite. Il primo per pignoni, rotismi e piastrine, il secondo, allo scopo di render più dolce il movimento, soltanto per piastrine e rotismi, purché si eviti di far muovere a diretto contatto due pezzi formati entrambi di ebanite; con i rotismi di ebanite però può succedere che i denti si spezzino, mentre i rotismi di nichelio pur essendo più sottili non mostrano nè deformazioni, nè logorii, anche dopo molti anni di esercizio. Invece per le piastrine del meccanismo di orologeria, l’ebanite si è affermata altrettanto bene quanto il nichelio puro, anzi forse qui merita la preferenza per le sue ottime proprietà quale materiale antifrizione per la guida di assi o perni.48
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I misuratori del Poiana
Materiale illustrativo di contatori prodotti da varie ditte, italiane ed estere, il cui acquisto era proposto al Consorzio Acquedotto Poiana, negli anni Venti, Trenta e Quaranta. La tipologia comprendeva i misuratori a quadrante asciutto e a quadrante bagnato.
Quanto affermato nell’opuscolo informativo diffuso nel 1914, poco sopra citato, relativamente al facile spreco del prezioso liquido quando il suo consumo non era soggetto a controllo, trovava riscontro sin dai primi tempi di funzionamento dell’acquedotto Poiana. Si doveva rilevare che, specialmente durante l’estate, molti utenti sperperavano senza ritegno l’acqua, con grave danno del servizio generale, tanto che si assisteva alla mancata erogazione nelle fontane pubbliche e private collocate alle quote più elevate. Non vi era altro mezzo che l’applicazione di misuratori, per far sì che i consumi da parte degli utenti venissero limitati ai reali bisogni e per addebitare i maggiori costi a coloro che non si contenevano nei limiti fissati. La forte siccità estiva del 1921 imponeva di evitare, in ogni modo possibile, il grande sciupio di acqua imputabile agli utenti, che approfittavano della mancanza del misuratore per lasciare aperti i rubinetti più del necessario, facendo scorrere l’acqua senza limitazione e lasciando, in talune località, le fontane pubbliche e private all’asciutto per buona parte della giornata. Era indispensabile far limitare i consumi ai reali bisogni e prendere provvedimenti contro coloro che eccedevano senza alcuno scrupolo. Sino ad allora, stante il limitato numero degli utenti, non si erano mai verificati gli inconvenienti lamentati, ma era ormai indilazionabile procedere alla collocazione dei contatori, pur se saliti a prezzi elevati. Il 29 ottobre 1921 l’Assemblea deliberava l’acquisto di 1500 contatori e la loro successiva applicazione, con una spesa di circa 250.000 lire, ripagata applicando gradualmente a ogni utente un canone mensile per ammortamento e noleggio.49 Si esaminavano le offerte presentate da sei ditte, comparando il prezzo dei contatori dalle medesime caratteristiche e misure ed esaminando i campioni inviati. La ditta Rebosio chiedeva 127,75 lire al pezzo, Ferrani 135, Beyerle 115, Zacchi 115, Keller & C. 125 e Spanner 108. Era a quest’ultima che la giunta deliberava di ordinare una prima fornitura di 500 contatori, riservandosi di deliberare in seguito a chi affidare la successiva.50 Visto che i locali a disposizione erano insufficienti per depositare gli 800 contatori via via acquistati, si prendeva in affitto una stanza sita in borgo San Pietro, con decorrenza dall’8 febbraio 1922 e affitto mensile di 80 lire. L’applicazione dei primi contatori alle utenze private dava luogo a lagnanze da parte degli interessati, sia per la spesa sia nei riguardi dell’installazione, talvolta poco accurata. In effetti molti pozzetti erano stati costruiti da manovali che, probabilmente per mancanza di esperienza specifica, li avevano collocati in posizioni inadatte, facilmente soggetti ad allagamenti in caso di pioggia, coperti da sigilli deboli e soggetti a facili lesioni. Inoltre, in base all’articolo 2 del regolamento,
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era il Consorzio stesso a dover applicare e mantenere il contatore a tutte sue spese, per non abbandonare all’eventuale negligenza altrui quanto era destinato a divenire suo patrimonio e per garantire il regolare funzionamento del servizio.51 Il Consorzio si approvvigionava da ditte diverse, anche per saggiare la qualità e l’efficienza dei diversi modelli di contatori proposti, ad esempio nell’anno 1928 erano fornitrici le ditte Astra e Maddalena, nel 1929 Schinzel, nel 1930 Bosco, Siemens e Allason, l’anno 1931 Meinecke e Zacchi. Nel 1931, delle 3006 utenze attivate solo 1364 risultano provviste di contatore. Era evidente la necessità di munire tutte le utenze dell’apparecchio misuratore, atto a limitare i consumi e gli sciupii di acqua che, specie nella stagione estiva, continuavano a causare interruzioni nel funzionamento alle utenze poste a quote più elevate e deficienze nelle estremità della rete. Si deliberava di provvedere all’acquisto di 1000 contatori e di applicarli in opera direttamente col personale specializzato del Consorzio.52 L’attuazione del deliberato aveva tempi lunghi, perché solo nel giugno del 1932 la Prefettura dava la sua approvazione. Alla gara per la fornitura partecipavano cinque ditte, una udinese e le altre di Milano; la Commissione appositamente incaricata di vagliare i campioni e le offerte dava la
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preferenza alla ditta Maddalena & C. di Udine, che fabbricava i contatori brevetto Schinzel e vi si recava anche a compiere una visita diretta.53 Nel dicembre 1932 la fornitura, al costo di 73 lire al pezzo, era quasi ultimata. Per la verifica delle esattezze di registrazione si sottoponevano alcuni contatori al banco di prova dell’acquedotto di Udine, con risultati sfavorevoli. La Ditta produttrice chiedeva di ricorrere ad altra stazione per il controllo e, alla presenza del direttore e del presidente del Consorzio, si facevano altre accurate prove a Trieste, dove su otto contatori solo uno non forniva esiti soddisfacenti. Nell’estate 1933 per dotare tutte le utenze mancavano ancora 600 contatori, per i quali ci si rivolgeva alla stessa ditta Maddalena, che aveva disponibile un apparecchio più perfezionato – Schinzel modello Italia 1933 a quadrante bagnato del diametro di 13 mm – e a un prezzo minore, sceso a 61,80 lire. Si acquistavano 550 pezzi di quest’ultimo modello e altri 50 dalla ditta Astra di Milano, delle stesse caratteristiche per 62 lire l’uno, allo scopo di raffrontarne il funzionamento e la precisione.54 Ultimata l’applicazione dei contatori, si sentivano subito i benefici effetti dell’operazione, nella stagione estiva il serbatoio del Monte dei Bovi usualmente si vuotava del tutto, mentre nel 1933 rimaneva sempre efficiente; tale sensibile miglioramento si attribuiva proprio all’uso capillare degli apparecchi di misurazione.55
Il nolo contatori. Cinque, tre, due... venti Il nolo bimestrale dei contatori a carico degli utenti era di 2 lire per quelli più piccoli, del diametro di 13-15 mm, fino a 10 lire per quelli da 50 mm.56 Nel Regolamento deliberato dall’Assemblea il 22 novembre 1930, all’art. 6 il Consorzio fissava un consumo minimo normale di 5 ettolitri, in quanto allora le utenze erano quasi tutte sprovviste del contatore e le erogazioni avvenivano senza controllo. Quando tutti gli utenti erano muniti dei misuratori e ponevano attenzione a limitare le erogazioni, ritenendo eccessivo l’abbonamento normale di 5 hl per le piccole famiglie il Consorzio fissava un minimo di 3 hl giornalieri per le famiglie con meno di sei componenti.57 Un nuovo ritocco a questo quantitativo si apportava nel 1945, allorché nei primi mesi del dopoguerra le tariffe aumentavano del 100% e per far gravare il meno possibile tale maggior costo, si riduceva a 2 hl giornalieri il minimo della concessione in abbonamento.58 A causa dei rilevanti aumenti dei costi del servizio, il Commissario dei Prezzi del Litorale Adriatico nel dicembre 1944 autorizzava l’aumento anche della tariffa per nolo contatori, che raddoppiava, per quelli del diametro di 13 mm si passava da 2 a 4 lire mensili.59 Nel 1946 toccava le 6 lire, nel 1947 l’aumento galoppava, salendo a 9 lire in febbraio e, nel luglio seguente, facendo un balzo sino a 20 lire al mese.
Il rinnovo dei contatori Il divario dei prezzi con i primi modelli acquistati diventava stratosferico: se con 61,80 lire si acquistava un esemplare nel 1933, alla stessa ditta se ne dovevano sborsare almeno 3200, nel 1957.60 Dopo oltre trent’anni di servizio, i primi contatori installati avevano perso sensibilità e lasciavano scorrere, senza segnalarle, grandi quantità d’acqua, con evidente danno del Consorzio. Nel 1960 iniziava la progressiva sostituzione dei 700 apparecchi di misura che si trovavano in questa situazione di vetustà.61 L’ammodernamento proseguiva, coinvolgendo i contatori che raggiungevano la ventina d’anni e già nel 1961 si registrava un sensibile aumento negli introiti per la cessione dell’acqua, risultando questa meglio misurata; in tal modo, risultavano già in buona parte coperte le spese di acquisto dei nuovi apparecchi.62 Nel 1962 era deliberato di costruire una sala prova contatori direttamente in Consorzio, per migliorare Stazione per il collaudo dei contatori d’acqua, composta da banco di prova e recipiente di misurazione, proposta dalla fabbrica contatori d’acqua Zacchi di Milano nel 1923.
Il dipendente dell’acquedotto Poiana Elso Cantarutti effettua la prova di un contatore, 31 ottobre 1935 (archivio privato).
All’interno dell’apposita stanza di riparazione nella sede consorziale, Cantarutti Elso sta revisionando un contatore, anni Trenta (archivio privato).
l’attrezzatura e ridurre i costi di produzione; alla spesa si faceva fronte con la cessione dei rottami ferrosi giacenti nel magazzino consorziale. I lavori di costruzione della sala prova erano ultimati nel giugno 1964. Continuando la sostituzione dei contatori da lungo tempo in funzione, nel 1965 si riduceva la durata massima di servizio degli stessi a dieci anni.63 Nel 1995 si osservava che l’operazione di sostituzione dei contatori, in corso da diversi lustri al ritmo di 500 esemplari all’anno, andava intensificata affinché la loro permanenza applicativa tendesse a coincidere con il limite fisiologico di durata dei misuratori, calcolato in una quindicina d’anni, ai fini di una corretta totalizzazione. Per le ottime caratteristiche delle acque fornite dal Consorzio si valutava pure l’opportunità di passare all’impiego di contatori di classe C, maggiormente precisi e affidabili ma anche più delicati di quelli della classe B, normalmente usati.
ARGENTO AL CONSORZIO Nel 1924 la città di Vercelli si rendeva promotrice della ‘Prima Mostra Italiana di Attività Municipale’, sotto l’Alto Patronato di Sua Maestà il Re. Il Consorzio Poiana deliberava di concorrere alla manifestazione, con alcuni disegni, fotografie e una relazione storicotecnico-morale del proprio acquedotto. Si prenotava uno spazio espositivo di 4 metri quadrati di superficie su parete, che al momento dell’assemblaggio dei quadri appositamente preparati si rivelava insufficiente, occorrendone il doppio. La cassa del materiale, pesante ben 189 kg, era spedita a mezzo ferrovia e i cinque
Programma della cerimonia di inaugurazione alla Prima mostra italiana di Attività municipale, tenuta a Vercelli nei mesi di settembre-ottobre 1924, alla quale era previsto l’intervento di Sua Maestà il Re. Vi partecipava anche il Consorzio Acquedotto Poiana, esponendo materiale illustrativo della grande opera realizzata a favore di dodici Comuni.
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LE FONTANE PEREGRINE
Il Consorzio Acquedotto Poiana era presente all’Esposizione agricola-industriale, allestita a Cividale nel settembre 1925, dove riceveva questo “Diploma di Gran Premio”.
elementi da comporre non subivano danni durante il viaggio. La mostra si teneva nei mesi di settembre e ottobre 1924; la giuria, apprezzando l’alto valenza dell’iniziativa condotta a termine e il materiale esposto, conferiva all’Ente la medaglia d’argento, consegnata in una apposita cerimonia il giorno 7 dicembre 1924. Il gratificante premio ottenuto a Vercelli era menzionato da Antonio Rieppi nella sua guida della città di Cividale. Enfaticamente, ma con piena convinzione, egli definiva l’acquedotto Poiana l’opera più importante compiuta nel circondario nel giro di qualche secolo.64
ADDIO PASSERELLA All’inizio dei lavori di costruzione della presa, il Natisone era stato scavalcato con una passerella metallica, che nel corso della prima guerra mondiale veniva smantellata e trasportata altrove da parte delle truppe nemiche. Visto che il solo rimontaggio del manufatto avrebbe comportato una spesa elevatissima e che per l’accesso alla sorgente ormai ci si avvaleva dei due comodi ponti della ferrovia Cividale-Caporetto, l’assemblea consorziale il 20 novembre 1926 deliberava la vendita del ponte pedonale in ferro al miglior offerente. Nonostante le ripetute proposte di vendita fatte a privati ed enti, nessuno presentava un’offerta, trovando difficoltoso reimpiegare la passerella. La vendita del ferro sagomato avrebbe richiesto una forte spesa di schiodatura, d’altra parte lasciandolo alle intemperie sarebbe andato irrimediabilmente deteriorandosi. Dal signor Brigo, negoziante di ferramenta in Cividale e imprenditore di costruzioni edilizie, era avanzata un’offerta di acquisto per l’importo di 3000 lire, pari a 0,32 lire al kg, carico e trasporto a sue spese. Data la difficoltà di esitare la passerella come manufatto e che l’offerta era vantaggiosa, nel 1930 si deliberava di cederla a quelle condizioni.65
Riuscire a soddisfare completamente le esigenze idriche della popolazione era tutt’altro che facile, anzi sembrava proprio impossibile. Pareva che con la posa dell’acquedotto, di botto si cancellasse dalla memoria la fatica e le difficoltà che, per secoli, le generazioni precedenti avevano incontrato per approvvigionarsi d’acqua. Mentre prima dell’avvento del Poiana si compivano lunghi tragitti, anche impervi e disagevoli, per riempire i secchi con liquidi di potabilità spesso dubbia, poi sembrava che essere posti alla distanza di qualche decametro da una fontana pubblica dispensatrice di acqua pura fosse una insopportabile scomodità, da scongiurare in ogni modo. I gruppi di famiglie residenti nei vari borghi si coalizzavano, per ottenere un avvicinamento del punto di erogazione maggiore di quello goduto altrove. Sulle scrivanie dei sindaci si ammonticchiavano le lettere di richiesta, sottoscritte da sfilze di concittadini e frazionisti inviperiti, tutti lamentanti disparità di Schedina di lavoro, compilata con l’indicazione del materiale idraulico impiegato per lo spostamento di una fontana pubblica, 27 agosto 1921.
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trattamento; un vero stillicidio di domande – varianti da toni timidi e supplichevoli a quelli rabbiosamente perentori – alcune fondate, molte altre legate più al capriccio e alla ripicca che a reali necessità. Così, per citare qualche caso, nel luglio 1921 i componenti di sette famiglie di Fornalis, in Comune di Cividale, chiedevano alla giunta municipale di avvicinare alle loro abitazioni la fontana esistente nei Casali Juretigh, che ai tempi della grande guerra era stata collocata dai soldati colà accantonati. Tale richiesta provocava l’insorgere di un altro gruppo di nove famiglie, che invece esigeva di ridurre lo spostamento a pochi metri, sulla pubblica via; queste ritenevano che essendo in totale 57 persone, le loro rivendicazioni avessero più peso rispetto a quelle avanzate dagli altri compaesani, solo in 17. Anche il municipio era dello stesso parere e infatti ordinava al consorzio lo spostamento esternamente al cortile medesimo, subito a destra o a sinistra del portone d’ingresso. E ciò per evitare motivi di ulteriori lagnanze. Che invece puntualmente avvenivano, stavolta erano 13 le famiglie, in rappresentanza di 72 abitanti, a sottoscrivere una nuova lettera, per bloccare non solo la deriva della fontana verso Prepotto, ma per sostenere che forse neanche serviva spostarla fuori dalla corte privata, perché il signor Juretigh non faceva mai alcuna opposizione verso chi entrava per attingervi l’acqua. Era chiesto alle autorità di compiere un sopralluogo per verificare direttamente la situazione, che ognuno descriveva a suo modo.66 Le motivazioni per spostare le fontane erano varie, le più diffuse erano quelle di evitare danneggiamenti nei loro pressi, così nel 1924 a Manzano si faceva traslocare una fontana pubblica per evitare infiltrazioni alla casa vicina, stessa motivazione per quella a Gagliano di Cividale, che andava a inumidire eccessivamente la canonica del parroco; anche la pubblica fontana di Bolzano si spostava dall’area antistante la casa Zorutti, per togliere lo sconcio dipendente dal deflusso dell’acqua priva di scolo adatto e invadente la piazza principale del paese. Al balletto delle fontane non si sottraeva Remanzacco, che nel 1919 chiedeva di trasportare la fontana pubblica dalla piazza del Municipio in altra prossima località distante circa 30 metri dove più facile e vicino sarebbe lo scolo delle acque di rifiuto nel ruscello, nonché quella esistente pure in Remanzacco sulla piazzetta di via Ziracco in altra prossima località distante circa 20 metri per facilitare lo scolo. Meno usuale il motivo alla base del trasporto della fontanella a Chiasalp di Moimacco: impediva il libero transito dei carri agricoli lungo la strada comunale. Moimacco mostrava fantasia richiedendo non solo spostamenti di fontane, ma proponendo pure un balletto di rubinetti: si desiderava applicare all’erogazione posta nel Borgo di mezzo il rubinetto a getto continuo, togliendolo da quella in borgo S. Giovanni, su cui andava messo quello intermittente prima usato nel Borgo di mezzo.67
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Richiesta di aumento della portata d’acqua della fontana di Ipplis, 2 ottobre 1929.
Un colono in Chiasottis segnalava che la fontana del suo paese, quando spandeva d’inverno, rendeva il transito assai pericoloso anche pel pubblico, poiché vi si forma un vasto lastricato di ghiaccio, anche a causa del difettoso scolo delle acque. La comunicazione si chiudeva con l’ovvia richiesta di spostamento della fontana: la voce pubblica indica come sito più adatto pello scolo e meno dispendioso quello sul crocevia all’ingresso di Chiasottis venendo da Risano.68 Un vasto campionario di rubinetteria in ottone, in catalogo negli anni Trenta.
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CAPITOLO IX
I due elaborati erano diffusi in forma stampata: Consorzio per l’Acquedotto della sorgente Pojana, Statuto e Regolamento, Udine, Tipografia Giuseppe Seitz, 1912. Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La versione integrale di quanto deliberato era data alle stampe: Consorzio per l’Acquedotto della sorgente Pojana, Statuto e Regolamento, Cividale, Tipografia Fratelli Stagni, 1921. Regolamento per la concessione e la distribuzione dell’acqua potabile ai privati ed enti nel Comune di Cividale, Cividale, Tipografia Fratelli Stagni 1915. Seduta del 12 luglio 1924, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19241929. Seduta del 22 novembre 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 22. Seduta del 27 giugno 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 44. Progetto, Preventivo sommario per la sistemazione dell’acquedotto, ing. de Toni, 25 marzo 1919, ACAP, cart. Danni di Guerra. Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 23 febbraio 1924, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929. Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 25 gennaio 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1920-1921. Seduta del 29 dicembre 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 128, punto 4. Seduta del 25 gennaio 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1920-1921. ASMunCiv, scaffale 9, ripiano 4 (vecchia collocazione), circolare del Consorzio Poiana del 29 giugno 1921. Relazione riservata sulle domande dell’Impresa per maggiori compensi, 4 agosto 1920, p. 82, ACAP, cart. Contratti e Collaudi. Seduta del 23 dicembre 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 29 luglio 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19101923. ASMunCiv, cart. 358 (1924) (vecchia numerazione). Canonico svolgeva questo incarico almeno sino al 1929, come risulta in cart. 413 (1930). Seduta del 23 dicembre 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 18 agosto 1921, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Sulle direttrici ferroviarie nei pressi del confine orientale: VECCHIET 2003, pp. 209-248, su quella del Predil specialmente pp. 237-238.
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Memoriale per gli Arbitri, doc. non datato, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Distinta dei tubi di ghisa da 420 mm che si sono rotti per cattiva posa in opera durante la messa in carico dell’acquedotto, dall’8 aprile 1920 al 4 maggio 1922; in questo documento si aggiungevano, da altra mano, ulteriori dati fino al febbraio 1923, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Seduta del 18 maggio 1929, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Seduta del 31 ottobre 1941, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1949, punto 1 a. Relazione dell’ing. Luigi Zanetti del 4 agosto 1920, ACAP, cart. Contratti e collaudi. Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 23 dicembre 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. L’autorizzazione all’acquisto da parte della Prefettura di Udine era rilasciata il 20 maggio 1924, n. 9732 Div. IV. Si segnala che nella liquidazione finale del 20 agosto 1935 delle opere di protezione delle sorgenti l’area acquistata è indicata di 11.402 mq, pagandola 19.000 lire, in ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. Seduta del 23 febbraio 1924, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929. Seduta del 30 giugno 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La relazione e il progetto sui lavori di sistemazione della zona di protezione è del 10 marzo 1925, riceveva il parere positivo del medico provinciale Alessandro Bajardi il 22 giugno seguente, ACAP, cart. Opere completamento acquedotto. Verbale di visita, relazione e certificato di collaudo, 27 maggio 1936, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. Relazione al collaudo lavori di completamento dell’acquedotto, 20 agosto 1935, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. Seduta del 21 settembre 1936, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 154. Il contratto di acquisto dall’amministrazione dello Stato era stipulato il 12 novembre 1936. L’opportunità di acquistare una porzione di terreno in mappa di Cividale al n. 5634 a, in vicinanza del serbatoio, per il prezzo di 550 lire già convenuto con i proprietari consorti De Lorenzi, era unanimente condiviso in assemblea, seduta del 25 settembre 1915, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La cava di pietrame era utilizzata dall’impresa Alvise Petrucco di Cividale per sistemare la carreggiata della strada Cividale-Caporetto, il 31 dicembre 1928 si chiedeva al Prefetto di proibire l’impiego di mine, per
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timore di danneggiamenti al serbatoio, ACAP, cart. 1918-1920 Costruzione, Servitù, fasc. Varie. Seduta del 2 aprile 1953, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19481958, punto 7. La superficie era di 3280 mq, pagata 428.000 lire; Seduta del 12 settembre 1953, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 4. Una copia, non datata, della domanda di mutuo integrativo e suppletivo indirizzata al Ministero degli Interni, Direzione Generale Sanità Pubblica si trova in ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Mutuo suppletivo. I dati sono riportati nella richiesta inoltrata il 30 maggio 1928 dal Consorzio alla Prefettura di Udine, per ottenere il pagamento delle opere sino ad allora eseguite, per le quali si erano spese 1.310.378 lire. in ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Mutuo suppletivo. Il mutuo per la quota a debito dei Comuni era estinguibile in 35 anni. Liquidazione finale dei lavori e delle provviste per costruzione di condutture nei Comuni di Cividale, S. Giovanni al Natisone e Pavia di Udine (...), 20 agosto 1935, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. Relazione al collaudo lavori di completamento dell’acquedotto, 20 agosto 1935, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. Processo verbale della seduta tenuta dalla Giunta consorziale nel giorno 17 gennaio 1925 per Rinnovazione convenzione per somministrazione d’acqua alle Ferrovie dello Stato, ACAP, Cart. Recupero materiali e vendite. Pratica Pasquotti. Cassa Naz. Ass., Ferrovie dello Stato, Società Veneta. Zona di protezione delle sorgenti, fasc. 35 Ferrovie dello Stato e Società Veneta. Seduta del 28 novembre 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Nel febbraio 1914 la ditta Siemens-Schuckert di Milano inviava al Comune di Cividale un opuscolo informativo dal titolo Si debbono adottare i Contatori d’Acqua?, da cui sono state tratte le informazioni, qui riportate in carattere corsivo, ASMunCiv, cart. LL. PP. 1913-1914, fasc. Cat. 19 Fontane, Lavatoi. Dati dall’opuscolo 51 Contatori d’acqua a turbina, brevetto Siemes della Ditta Siemens Sezione Contatori d’Acqua di Milano, ACAP, cart. Personale dal 1931-37, Aziende Municipalizzate... Fornitura contatori 1935-1937, fasc. Contatori. Quale contatore adottare: quello a quadrante bagnato o quello a quadrante asciutto? pubblicazione n. 52 della Società Anonima Astra, Milano, pp. 3-7, ACAP, cart. Offerte Contatori. Quale contatore adottare: quello a quadrante bagnato o quello a quadrante asciutto? pubblicazione n. 52 della Società Anonima Astra, Milano, pp. 12-13, ACAP, cart. Offerte Contatori. Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923.
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Seduta del 14 novembre 1921, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. La segnalazione delle contestazioni degli utenti per i contatori era effettuata dal sindaco di Pavia di Udine il 10 luglio 1922, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pavia di Udine. Tenendo conto di ciò e di quanto contemplato nell’articolo 2, la Giunta il 22 luglio seguente deliberava che nell’applicazione dei contatori agli utenti venisse addebita la sola spesa per la costruzione dei pozzetti e per l’eventuale sistemazione delle derivazioni eseguite non conformemente alle prescrizioni, rimanendo a carico del Consorzio la spesa per l’applicazione dei contatori sulle condutture. Seduta del 9 dicembre 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 62. Seduta del 30 luglio 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, punto 1 d. Seduta dell’8 agosto 1933, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 101. Seduta del 9 gennaio 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, punto 1 d. Seduta del 31 luglio 1937, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, punto 1 b. Seduta del 26 gennaio 1938, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 4. Seduta del 22 novembre 1945, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 5. Seduta del 27 dicembre 1944, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. Nel 1957 si acquistavano 200 contatori, metà dalla Ditta Astra di Milano (50 a getto unico a 3.350 lire cadauno e 50 con distributore a 4.150 lire) e 100 dalla ditta Maddalena di Udine (50 a getto unico a 3.200,50 lire e 50 con distributore a 4.200 lire); Seduta del 28 dicembre 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, n. 682. Seduta del 20 aprile 1960, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965. Seduta del 20 aprile 1962, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, punto 1 e. Seduta del 4 marzo 1964, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1045. RIEPPI 1925, pp. 135-136. Seduta del 26 aprile 1930, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, p. 28. Documenti del 20 luglio, 16 e 24 agosto, 27 ottobre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Cividale. Comunicazione del 19 novembre 1924, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Moimacco. Comunicazione dell’1 aprile 1925, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pavia di Udine.
X CAPITOLO DECIMO
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UN TEMIBILE PROGETTO, OSTINATAMENTE AVVERSATO Appena un paio d’anni dopo il tormentato completamento delle sue reti, il Consorzio si trovava di fronte a un temibile pericolo che rischiava di vanificare tutto l’immenso lavoro fino ad allora compiuto. Con un editto del 24 luglio 1921 il Commissario politico di Tolmino pubblicava una domanda della Società Elettro Ferroviaria Italiana (S.E.F.I.), datata 26 febbraio 1921, che con una chiusa intendeva deviare una parte delle acque del Natisone nel bacino dell’Isonzo, per utilizzarle nell’impianto idroelettrico di Ternova. Lo scopo principale era quello di produrre energia da destinare, soprattutto, all’esercizio a trazione elettrica delle linee della Venezia Giulia, che le Ferrovie dello
Stato avevano compreso nel loro vasto programma di elettrificazione. La massiccia quantità di energia necessaria a questo scopo induceva la S.E.F.I. a ricavarla dalle forze idriche disponibili nella valle dell’Isonzo, prendendo in considerazione gran parte dello sviluppo di questo corso d’acqua, dalle origini fino a Tolmino, comprese quelle scorrenti nelle più importanti vallate Nella pagina a fianco: particolare del progetto delle due dighe da erigersi lungo il corso del Natisone e del Legrada, 1921. Progetto di impianto idroelettrico per l’Alto Natisone, elaborato dagli ingegneri Briuti e Petz nell’ottobre 1921, messo a confronto con quello proposto dalla Società Elettro Ferroviaria Italiana.
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del fiume, prima della loro immissione nel corso principale. Mediante opportuni bacini di ritenuta delle acque di piena, la Società avrebbe sopperito alle larghe variazioni della portata dell’Isonzo nelle varie stagioni, non potendo fare assegnamento soltanto sulle portate di magra per la produzione di un’energia continua, che sarebbe risultata insufficiente allo scopo. Il progetto, a firma dell’ing. Ruggeri, prevedeva lo sbarramento con due dighe, una sul Natisone e l’altra sul suo affluente Legrada, poco a monte della loro confluenza, alte rispettivamente 58 e 54 metri, formanti due bacini artificiali della capacità complessiva di 14 milioni di metri cubi, collegati mediante una galleria, dalla quale dipartiva un canale lungo 18 chilometri e posto a mezza costa, convogliante l’acqua nella vallata dell’Isonzo. Qui era posto un bacino di carico, dal quale partivano due tubazioni forzate attraversanti il fiume Isonzo sopra un’apposita passerella, fino alla centrale di Ternova, dotata di tre gruppi da 1500 kW. Terminata l’utilizzazione in essa, le acque dovevano essere riunite con quelle di medio corso dell’Isonzo, per essere poi impiegate nella Centrale di Tolmino. Si sarebbe trattenuta tutta l’acqua scolante nel bacino del Natisone per una superficie di 56 chilometri quadrati, pari a un quinto del bacino imbrifero totale del suo corso montano (266 kmq), derivandone una quantità media di circa 4 metri cubi al secondo, fino a un massimo di 6. Il salto medio teorico delle acque derivanti dai due serbatoi dell’Alto Natisone (quota 370) era calcolato di 103 metri e, tenendo conto anche dell’utilizzo in Tolmino (quota 144), in totale avrebbe raggiunto 226 metri.
I timori del Consorzio Il Consorzio inizialmente non aveva manifestato preclusioni a tale iniziativa, ritenendola di interesse pubblico, e aveva promosso degli studi per individuare la migliore soluzione onde conciliare le proprie esigenze con quelle generali. Da essi era però emerso che le prospettate opere della S.E.F.I., se attuate, avrebbero danneggiato irreparabilmente le sorgenti del Poiana, per cui il Consorzio non poteva che manifestare una forte opposizione ai divisati lavori.1 Il prof. Francesco Musoni già il gioioso giorno dell’inaugurazione dell’acquedotto, avvenuta il 21 agosto 1921, aveva proposto agli intervenuti una mozione, approvata all’unanimità, contro tale derivazione invitando le competenti autorità a svolgere un’azione energica presso il Governo perché la domanda di concessione avanzata dalla S.E.F.I. sia respinta senz’altro.2 Propagato l’allarme, sorgevano gravi preoccupazioni nella popolazione della valle, la stampa si occupava con premura dell’importante questione e gli Enti locali formulavano forti opposizioni
per scongiurare i gravissimi danni che si paventavano in caso di attuazione del progetto, del costo preventivato di ben 100 milioni di lire. Già nell’agosto 1921 il Consorzio presentava al Commissario Civile di Tolmino un reclamo e, in occasione del sopralluogo tecnico del 7 settembre 1921, era organizzata una manifestazione di protesta nella valle di Caporetto, a Staroselo, alla quale partecipava una quarantina di persone, a partire dalla Provincia di Udine rappresentata dal deputato provinciale canonico Trinco e dall’ingegnere capo Cantarutti, con sindaci e segretari del territorio assieme ai tanti privati che vedevano nei lavori proposti un menomante pericolo alle proprie attività.3 In tale occasione erano esposte verbalmente le preoccupazioni sui danni alle sorgenti, che non erano state nemmeno visitate dalla Commissione colà intervenuta e che dava solo due giorni di tempo al Consorzio per presentare una più dettaglia opposizione. Ventiquattr’ore dopo era già pronta una corposa e motivata relazione scritta, con memoriale e allegati alla cui stesura concorreva pure la deputazione provinciale di Udine e i sindaci dei Comuni consorziati; tutto il materiale era fatto pervenire anche al Ministero dei Lavori Pubblici, a Roma.
Le sirene della S.E.F.I. La Società Elettro Ferroviaria Italiana nell’ottobre 1921 pubblicava lestamente l’opuscolo “Cenni sull’utilizzazione delle forze idriche dell’alto Natisone”, tendente a dimostrare che nessun discapito sarebbe venuto alla valle dell’Alto Natisone – anzi le acque di magra si sarebbero mantenute nella stessa misura, addirittura anche maggiorate – e che le sorgenti non avrebbero subìto alcun detrimento in seguito all’esecuzione dei lavori progettati i quali, a detta della S.E.F.I., abbelliranno poi il paesaggio ed avranno anche l’effetto di migliorare le condizioni pluviometriche ed igieniche della regione. Non mancava chi guardava con meno timore al grandioso progetto, ritenendo che la prevista produzione di circa 130.000 HP di energia elettrica, dei quali 60.000 da utilizzare per l’elettrificazione di ferrovie e i rimanenti concessi a condizioni di favore agli enti pubblici, consigliasse di non insistere in una opposizione sistematica, per non ostacolare l’attuazione di un’opera di grande importanza.4 Il Consiglio di Amministrazione della S.E.F.I. aveva sagacemente divulgato, tra i decantati pregi della contrastata opera, che i laghi artificiali dell’Alto Natisone, mentre allontaneranno per sempre dalla valle i gravi inconvenienti delle sue piene impetuose, sovente devastatrici, abbelliranno quei pittoreschi paesaggi, che diverranno ogni giorno più mèta agognata di tutti gli Italiani desiderosi di conoscere e di venerare i luoghi più aspri e più santi della nostra guerra! Non solo, toccava anche
La soluzione ritenuta tecnicamente migliore dalla Società Elettro Ferroviaria Italiana (S.E.F.I.), nel suo progetto di utilizzazione delle forze idriche dell’Alto Natisone che intendeva attuare nel 1921, era di sommergere separatamente i due tratti di valle del Natisone e del Legrada, a monte delle strette gole, che entrambi questi corsi d’acqua attraversano poco al di sopra del ponte sulla strada da Lonc a Ribedische. Per la sua natura in prevalenza argillosa, il terreno che doveva essere coperto dalle acque dei due serbatoi artificiali era da ritenersi impermeabile in massa. Le dighe previste erano del tipo in muratura, a gravità. Sulla parte destra della Tavola si vede la posizione della presa dell’acquedotto Poiana, che si riteneva fosse messo in pericolo dall’attuazione del progetto della S.E.F.I. (Tav. I allegata a “Cenni sull’utilizzazione delle forze idriche dell’alto Natisone”, Roma 1921).
un tasto economico molto sentito in zona: Non deve poi dimenticarsi il larghissimo benessere cui darà luogo l’esecuzione di lavori che importano parecchie diecine di milioni di spesa e che richiedono l’impiego di molte centinaia di operai e di maestranze assai numerose. La Società naturalmente chiamerà a concorrere, per l’esecuzione di queste importanti opere, tutto quanto la regione offre come Imprese costruttrici e come masse operaie, le quali per parecchi anni non saranno più costrette ad emigrare per procurarsi un lavoro al quale hanno tanto diritto per la loro intelligenza e la loro operosità così favorevolmente conosciute. Né il vantaggio cesserà con la costruzione degli impianti perché l’esercizio di questi ultimi proseguirà ad essere larga fonte di benessere.5 Sirene che non incantavano gli amministratori locali, a giudicare dal tenore dell’opposizione; particolarmente veemente e schietta era quella presentata da Carlo Jussig, allora sindaco di S. Pietro al Natisone: (…) Chi ha il
coraggio di affermare che il privare d’acqua un bacino intero non reca pubblico danno rinnega la storia, la vita, la civiltà di secoli interi. (…) prescindiamo dai piccoli danni che la scomparsa del Natisone apporterebbe alle piccole industrie, come molini, segherie, ecc., e che potrebbero essere facilmente riparati con altrettanti cavalli di forza elettrica, ma e il resto? L’irrigazione si sa quanto è utile all’agricoltura, e proprio quest’anno si è visto nel nostro Comune quanto danno ha fatto il secco, ma mentre tutto ha disseccato il caldo in campagna aperta, proprio nelle vicinanze del fiume la campagna fu discretamente risparmiata. Proprio quest’anno inoltre la siccità ha dimostrato la necessità indispensabile del fiume Natisone perché gli abitanti della montagna, dove le piccole sorgenti furono completamente disseccate, furono costretti a scendere dall’alto fino al Natisone per provvedere l’acqua alle loro famiglie ed agli animali. Ed anche il Natisone ne aveva poca acqua con quella siccità; se si toglie completamente l’acqua quei poveri disgraziati dove andranno ad attingerla? Al mare? Queste non sono iperboli, od altre frasi retoriche ma verità dolorose che possono essere testificate dalla popolazione intera. Deviare un bacino intero per lasciare paesi interi senza acqua sono idee che confinano con la pazzia. L’igiene e la salute pubblica non ne prendono di mezzo? Purtroppo e come! (…) Un altro danno ancora potrebbe derivare da tale opera. Chi garantisce la diga? I calcoli di illustri ingegneri, la buona costruzione ma potrebbero fallire gli uni e l’altra. E se anche fosse costruita solida e qualche manipolo di
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malcontenti per vendetta, perché privati dell’acqua, facessero cadere la diga con esplosioni e lasciassero così libero il corso a 140 milioni di ettolitri d’acqua cosa succederebbe? I nostri paesi sarebbero allagati e completamente asportati. (…)6 Al quesito del perché non si poteva invece utilizzare le acque del Natisone nella stessa valle, senza effettuare la diversione da un versante all’altro, la Società rispondeva che in base ai dati idrologici studiati, le precipitazioni dei due versanti del Natisone e dell’Isonzo erano tra loro sfasate, risultando che quando erano più Il bacino imbrifero competente al torrente Legrada si riteneva pressoché uguale a quello che competeva all’alto corso del Natisone, per cui anch’esso era progettato poco a monte della confluenza col Natisone stesso, ottenendo con i due invasi la capacità utile complessiva di 14 milioni di metri cubi di acqua. I due serbatoi, progettati dall’ing. Ruggeri, erano comunicanti, ma con opportuna manovra potevano essere resi indipendenti. Le due dighe sarebbero state erette in muratura di pietrame, con malta di calce e di pozzolana, ciascuna con una curvatura planimetrica circolare di convessità a monte. Al paramento a monte delle dighe si sarebbe appoggiata una maschera di guardia, costituita da una serie di volte cilindriche, di calcestruzzo di cemento con leggera armatura di ferro; lo scopo era di impedire sul corpo della diga gli effetti delle sottopressioni, determinate dalle infiltrazioni che potevano trovare passaggio nelle discontinuità delle murature. I due serbatoio avevano la presa delle acque alla stessa quota di 368 metri s.l.m. Dalla galleria di comunicazione e di presa diparte un’altra galleria alla quale accede un pozzo di presa contenente le paratoie d’interruzione del deflusso delle acque. Al termine di questa seconda galleria si originava il canale di adduzione dell’acqua al bacino di carico, che avrebbe trovato sede nel paramento a valle della diga costruita sul fiume (Tav. II allegata a “Cenni sull’utilizzazione delle forze idriche dell’alto Natisone”, Roma 1921).
abbondanti in uno erano deficienti nell’altro. Dunque immagazzinando quelle del Natisone, si sarebbe potuto derivarle e utilizzarle, in alcuni periodi, per sopperire alle carenze dell’Isonzo, egualizzando le portate derivabili dal medio corso di quest’ultimo e ottenendo un’utilizzazione idraulica costantemente elevata nelle due centrali, inoltre in esse si poteva creare una caduta motrice molto maggiore rispetto alle condizioni topografiche locali.
No alla commissione La S.E.F.I. invitava la controparte a nominare una commissione tecnica – di cui si sarebbe assunta le spese – che studiasse se le progettate opere di sbarramento potessero effettivamente diventare pregiudizievoli alle sorgenti. Il punto fondamentale da chiarire era se l’utilizzazione delle acque di morbida e di piena del Natisone potesse diminuire la portata delle sorgive che alimentavano l’acquedotto del Poiana, infatti nel suo memoriale il Consorzio aveva dichiarato perentoriamente … le acque onde è formata la sorgente del Poiana, provengono non già dalle acque esistenti nell’interno della massa calcareo-carsica del Mia, bensì dalle filtrazioni e dalle dispersioni del fiume Natisone, attraverso il suo letto ghiaioso, nel tratto a monte della sorgente. Il Consorzio non aderiva alla proposta di istituire una commissione che, con poteri arbitrari, decidesse la controversia in
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Il Natisone tra Lonc e Stupizza descrive un grande arco attorno al Monte Mia. I due tratti rettilinei, appartenenti il primo al corso superiore del Natisone e il secondo a quello medio, sono quasi paralleli, per modo che una sezione trasversale tracciata attraverso il massiccio del Monte Mia, dalle progettate dighe fino al Poiana, intersecherebbe due volte il corso del Natisone, come mostra lo schizzo geologico della tavola III. Da esso si rileva che i previsti serbatoi artificiali stavano sopra il diaframma impermeabile argilloso-arenaceo-calcareo (Flysch alpino, qui indicato con la lettera e), che separa il massiccio del Monte maggiore e dello Stol, dai monti Mia e Matajur costituiti da calcari e dolomie del mesozoico, permeabili e, secondo i tecnici della S.E.F.I., perciò acquiferi (d dello schizzo). (Tav. III allegata a “Cenni sull’utilizzazione delle forze idriche dell’alto Natisone”, Roma 1921).
corso, proponeva invece un incontro con i rispettivi tecnici delle due parti, per esaminare insieme, sul sito, lo stato delle cose. Questo si faceva, ma dopo il sopralluogo, effettuato l’11 febbraio 1922 con i rappresentanti della S.E.F.I., si rafforzava il convincimento del Consorzio che l’attuazione dei progettati lavori recasse un danno irreparabile alle sorgenti del Poiana.7 Il cav. Brida, in qualità di presidente consorziale nel 1923 si recava personalmente a Roma, per far rilevare il danno enorme cui l’acquedotto sarebbe andato incontro. Egli colloquiava con Guglielmotti del Ministero dei Lavori Pubblici e successivamente con il conte Cozzi, Presidente del Consiglio Superiore dei LL. PP., che confermavano la notizia del parere favorevole espresso dalla Commissione, la quale dopo i suoi studi aveva concluso che il Poiana non ne avrebbe risentito alcun discapito. Dai contatti avuti, il geom. Brida ricavava la netta convinzione che nessuno aveva compiuto i necessari approfondimenti e che l’apposita Commissione incaricata degli studi non aveva fatto altro che riportarsi alle conclusioni della Società richiedente. Brida otteneva anche un incontro con il Ministro dei LL. PP., al quale esponeva dettagliatamente la delicata questione, prospettandogli la grave responsabilità che andava as-
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sumendosi firmando il decreto di concessione. Il Consorzio desiderava fortemente essere interpellato dalla Commissione di studio e il Ministro invitava a esporre per iscritto quanto ritenuto utile alla causa. Tornato a Cividale, si dava subito incarico all’ing. Granzotto di compilare una nuova e più ampia relazione, notificata celermente a Roma. La preoccupazione poi diveniva ancor più densa e si prospettava di ricorrere al Presidente del Consiglio per ottenere che la concessione venisse riconsiderata e seriamente riesaminata.8 Non mancavano progetti alternativi, come quello presentato nel 1921 dagli ingegneri Mario Brigiuti e Sergio Petz di Udine, che prevedevano di regolarizzare il corso del fiume e di produrre molta più energia e a un costo assai inferiore di quanto previsto dalla S.E.F.I. asciugando la vallata del Natisone. Per l’indifferenza con cui era accolta la loro proposta, essi promuovevano l’iniziativa di far pervenire collettivamente una vibrata protesta al Ministero dei Lavori Pubblici, magari con lo spostamento di tutti gli interessati a Roma.9
Lo scontro frontale La S.E.F.I. tentava la via di un accordo amichevole, offrendo al Consorzio le acque della vicina sorgente denominata Arpit, in cambio del ritiro dell’opposizione. Nulla si concludeva e non rimaneva altra strada che lo scontro frontale, percorrendo la via giudiziaria. La S.E.F.I. affidava all’ing. Vittorio Novarese l’incarico di un completo studio sulle condizioni geologiche e idrografiche della Valle del Natisone e, in particolare, sull’origine e natura della sorgente Poiana; i risultati, concretati in una dettagliata memoria tecnica del 5 maggio 1923, erano fatti pervenire al Ministero dei Lavori Pubblici.
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Va detto che, avendo il Consorzio riportato nei suoi atti presentati a corredo del contenzioso civile …neanche una sola goccia [della sorgente] proviene dall’interno del Monte Mia, esso entrava in palese contrasto con quanto sino ad allora aveva sempre dichiarato, anche per tramite degli autorevoli geologi e idrologi Tellini e Musoni, ovvero che la fonte Poiana proviene dai calcari del Monte Mia ed è del tutto indipendente dal Natisone, contraddizione subito individuata dagli avvocati della parte avversa. Il Consorzio ribatteva che era stato indotto a negare qualsiasi influenza del Natisone sulla Poiana, perché temeva che l’Austria volesse intervenire nella captazione delle sorgenti in quanto, appunto, influenzate dal Natisone che scorreva nel tratto a monte del proprio territorio. La fragilità di tale scusante per la S.E.F.I. era evidente, considerando che il concetto della completa indipendenza tra Poiana e Natisone era stato anche pubblicato a stampa, a cura dello stesso Consorzio, nel 1920 ovvero quando tutto il corso del fiume era già compreso nel suolo italiano. Il Consorzio ribatteva che, invece, i propri tecnici non erano mai rimasti fermi alle prime impressioni di Tellini e Musoni del 1908, ma avevano seguito attentamente l’evolversi degli studi. Le nuove teorie, anche quelle dello stesso Musoni edite nel 1912, erano per una probabile origine della sorgente dalla corrente subalvea del Natisone, oppure in parte dalla corrente subalvea e in parte dal massiccio del monte Mia. Quanto alla relazione del 1920, essa non era che una relazione di quanto compiuto per la costruzione dell’acquedotto, scritta da un impiegato amministrativo, nella quale, forse per inavvertenza o forse perché allora pareva avere più gradimento nell’opinione pubblica l’acqua derivata dai monti che non quella proveniente da filtrazioni di fiumi, si citò l’antica opinione del Tellini, anziché quella posteriore del Musoni.
La batosta del Poiana Investito dello studio comparativo delle domande concorrenti, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici delegava una Commissione a recarsi in sopralluogo, per rendersi conto delle utilizzazioni progettate e delle opposizioni prodotte, accertandone il fondamento tecnico. Tale consesso, convocato il 15 ottobre 1923, esprimeva il parere conclusivo che… le acque scorrenti nel Natisone non influiscono sul regime della sorgente Poiana, la quale deve ritenersi alimentata dal grande massiccio calcareo del Monte Mia, al piede del quale esso sgorga. Non può perciò accogliersi la opposizione prodotta dal Consorzio Acquedotto Poiana, tanto più che il regime di magra del Natisone non viene alterato, dovendo la Società concessionaria della derivazione, lasciar defluire costantemente nel suo alveo litri 500 al minuto secondo (…). La batosta di questo esito, nettamente contrario, non fermava il Consorzio, che con atto
notificato al Ministero il 15 gennaio 1924 rinnovava fermamente la sua opposizione, rimarcando come il tecnico del Consiglio, quando si era recato sul sito, non avesse ritenuto né necessario, né opportuno interpellare i preposti del Consorzio e visitare il cunicolo di raccolta. Il mancato svolgimento del rilievo e del contradditorio superlocale fra tecnici, pur ripetutamente chiesto, secondo i legali era un aspetto importante, perché per la gravità della questione nessuna indagine doveva omettersi e la decisione ministeriale non risultava, pertanto, sufficientemente motivata. La nuova pronuncia del Consiglio Superiore, del 15 febbraio seguente, rinnovava la doccia fredda precedente, dichiarando che… nel memoriale non si espongono argomenti che non siano già stati tenuti presenti in occasione del precedente esame, in base al quale la opposizione del Consorzio fu respinta (…). Si giungeva così all’emanazione di quanto temuto. Con Regio Decreto 6 agosto 1926 il Ministero accordava alla S.E.F.I. la concessione di una serie di grandi derivazioni di acqua dall’Alto Isonzo e suoi affluenti, e dal Natisone e suo affluente Legrada al fine di produrre, con creazione di serbatoi artificiali e a mezzo di nove centrali, la potenza complessiva media di 94.488 HP nominali. La concessione era assentita a tale Società, rispetto ad altre numerose utilizzazioni che erano state progettate da altri gruppi, più o meno direttamente interessati allo sfruttamento della parte alta dell’Isonzo, avendo riconosciuto, su conformi pareri emessi dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici riunitosi in quattro adunanze, che l’utilizzazione proposta dalla S.E.F.I. rispondeva al criterio previsto dall’art. 10 del Regio Decreto 9 ottobre 1919 n. 2161, in quanto attraverso gli impianti progettati si raggiungeva la migliore e più vasta utilizzazione delle forze idriche dell’Alto Isonzo, conseguendosi il più alto valore idrodinamico, la massima produzione di forza motrice e inoltre un notevole miglioramento del regime di magra dell’Isonzo, sia mediante l’accumulo di oltre 56 milioni di metri cubi d’acqua nei serbatoi, sia con l’apporto delle acque derivate dal lago di Raibl e dal Natisone.10 A una ulteriore protesta, presentata dal Consorzio il 24 dicembre 1926, il Ministero rispondeva di aver a suo tempo esaminato l’opposizione, ritenendo di non prenderla in considerazione poiché si era convinti che la concessione non avrebbe danneggiato l’acquedotto.
Si tenta il ricorso Il Consorzio, sentito il parere di valenti legali, in seguito a propria deliberazione del 29 gennaio 1927, avanzava ricorso davanti al Tribunale Supremo delle Acque, sedente in Roma, per l’annullamento o la riforma del citato Decreto, nel quale appariva del tutto inadeguato pure l’obbligo della Società concessionaria di lasciar defluire costantemente nell’alveo del fiume
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500 litri di acqua al secondo, che era ingenuo pensare fossero sufficienti ad alimentare contemporaneamente il corso superficiale e le falde idriche subalvee, imbevendo un materasso alluvionale di centinaia di metri di larghezza e diverse decine di metri di spessore; a patrocinatori del Consorzio furono incaricati gli avvocati Pacelli di Roma e Renier di Udine.11 Il ricorso contro il Regio Decreto del 6 agosto 1926, presentato anche per deficienza di motivazione, era notificato alla S.E.F.I. il 9 febbraio 1927, appena due giorni prima era stata la Società Officine Elettriche dell’Isonzo a denunciare la stessa per violazione ed eccesso di potere, affermando di detenere fin dal 1906 il pieno diritto di utilizzo delle acque isontine. Da allora, entrambe queste cause erano riunite in un cammino giudiziario comune. Un ulteriore sopralluogo era effettuato d’ufficio dal Tribunale Superiore delle Acque il 30 giugno 1927, ma l’acqua trovata nelle escavazioni praticate in quell’occasione sul fondo della valle, intorno al margine del conoide, non convinceva tutti i presenti che fosse quella del Natisone, ritenendola invece quella della falda alimentante la sorgente Poiana. In seguito, da aspetti eminentemente idrologici si scivolava su schermaglie giuridiche basate su sottili e complesse disquisizioni legislative, eccezioni pregiudiziali, illegittimità e irricevibilità, sfere di discrezionalità, reiezioni immotivate, affermazioni assiomatiche e via di questo passo, una tempesta di carte bollate ove placidamente sguazzavano gli illustri principi del foro assoldati da ambo le parti. Si chiedeva al prof. Michele Gortani di esprimere il proprio parere e l’illustre geologo dimostrava come la Poiana differisse nettamente da tutte le altre sorgenti della zona, rimarcando come una riduzione della portata del Natisone avrebbe causato un abbassamento della falda freatica, con inevitabili conseguenze sull’acquedotto, rendendo inservibili le opere di presa e le condutture, da rifare integralmente a una quota più bassa.12
Il lieto fine La discussione della causa a Roma era soggetta a ripetuti rinvii,13 il 21 marzo 1928 si era già arrivati al quinto rimando. Una consistente novità si aveva nei primi mesi del 1930, quando il marchese Francesco Pacelli, patrocinatore legale del Consorzio nella lite contro la Società Elettro Ferroviaria Italiana presso il Tribunale supremo delle acque, era nominato Presidente della stessa Società avversaria. All’avv. Renier, l’altro patrocinatore del Consorzio, l’ex collega Pacelli chiariva che aveva assunto tale carica a condizione che la Società sistemasse la causa col Consorzio Poiana, persuadendola a modificare l’utilizzo del Natisone in modo da evitare danni
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ai Comuni Consorziati. La Società assicurava che il progetto sarebbe stato rivisto e poi sottoposto al Consorzio per le eventuali osservazioni. La causa intanto era nuovamente rinviata, prima al 26 novembre 1930,14 poi all’ottobre dell’anno dopo e, ancora, al dicembre 1931.15 Quando ci si avvicinava alla chiusura dell’istruttoria, zigzagando tra i rinvii e le corpose memorie e contromemorie, la S.E.F.I. proponeva un accomodamento: rinunciava alla concessione di deviare il Natisone se il Consorzio ritirava il ricorso. La Giunta Consorziale dichiarava di essere disposta a farlo, ma solo dopo che il Ministero avesse preso ufficialmente atto della rinuncia alla concessione, a condizione che tra le due parti venissero compensate le spese e suddivise in parti uguali quelle relative all’avvocatura erariale, che invece si voleva addossare in toto al Consorzio. La lunga e dibattuta causa contro la S.E.F.I. per opporsi alla deviazione del Natisone si concludeva nel 1934, tredici anni dopo l’avvio del progetto. La Società rinunciava all’emanata concessione di deviare il Natisone, il Ministero prendeva atto della rinuncia e il Consorzio, essendo venuta a cessare la ragione dell’opposizione, la ritirava.16 Le verdi acque del Natisone e gli splendidi scenari naturali in cui scorrono, negli anni Venti hanno corso il grande rischio di essere profondamente alterati dall’enorme diga prevista per usi idroelettrici, progetto che fortunatamente poi non ha trovato attuazione.
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NUOVE IPOTESI SULLE ORIGINI DELLA SORGENTE POIANA Come appena visto, la necessità di approntare un corposo memoriale con cui opporsi nel 1921 alla richiesta deviazione di acqua dal fiume Natisone verso l’Isonzo, allo scopo di far funzionare una grande centrale idroelettrica, stimolava ulteriori studi sulla natura della sorgente Poiana, per la quale si temevano irreparabili sconvolgimenti. Il Consorzio si opponeva al progetto, affermando di aver accertato che… le acque onde è formata la sorgente del Poiana, provengono non già dalle acque esistenti nell’interno della massa calcareo-carsica del Mia, bensì dalle filtrazioni e dalle dispersioni del fiume Natisone, attraverso il suo letto ghiaioso, nel tratto a monte della sorgente. I legali della Società Elettro Ferroviaria Italiana rimarcavano che l’indipendenza della sorgente dall’acqua subalvea propriamente detta è stata inoltre luminosamente provata durante la eccezionale siccità 1921-22, perché in seguito ad una nevicata caduta sul Monte Mia, seguita da una giornata di sole, la portata della sorgente, che era notevolmente scemata, prese ad accrescersi sensibilmente, senza che nel Natisone in quelle eccezionali circostanze inaridito, si manifestasse la benché minima morbida.17 L’argomento delle precipitazioni nevose era stato utilizzato pure dal Consorzio, ma per sostenere una tesi diametralmente opposta: (…) che il bacino imbrifero del Mia non apporti alcun contributo idrico alle sorgenti fu dimostrato anche da osservazioni invernali fatte nel 1922 e 1927 aventi identici aspetti: dopo una abbondante precipitazione atmosferica, costituita da neve sulla parte montuosa e pioggia nella parte bassa si è notato per vari giorni un sensibile aumento nella portata del Natisone ed un conseguente aumento nelle sorgenti dell’acquedotto, mentre sui pendii del Mia permaneva la neve. Come poteva il bacino imbrifero del Mia fornire acqua alle sorgenti se non aveva altro che neve che si mantenne per parecchi giorni?.18 Nella stessa relazione si esponeva che nuove constatazioni, emerse durante recenti lavori eseguiti a valle dell’edificio di presa, andavano a convalidare l’asserzione che la sorgente Poiana provenisse esclusivamente dal Natisone; ciò si basava sulla natura e sulla profondità dei vari strati del sottosuolo, incontrati durante l’esecuzione di scavi perpendicolari al rugo Poiana e al cunicolo di raccolta. A riprova della constatazione, il presidente Pollis si richiamava anche all’andamento delle linee di carico piezometrico della falda idrica sotterranea che dalle quote del rugo dove sgorgano le polle vanno alzandosi verso il letto del Natisone, se l’acqua provenisse dal Monte Mia esse dovrebbero avere una pendenza contraria, cioè abbassarsi verso il Natisone. La questione dunque era assai dibattuta e se all’epoca dei primissimi lavori compiuti alla presa nel
1909-1911, la precisa origine dell’acqua alimentante la sorgente era tutt’altro che di preminente importanza, essendo più rilevante poterla estrarre nel modo più proficuo, con la causa in corso contro la S.E.F.I. l’argomento diventava invece determinante.
I pareri degli ingegneri Consci dell’importanza del dibattimento, si chiamava anche l’ing. Granzotto a dare il suo contributo tecnico; egli il 7 marzo 1922 stendeva una relazione, ove formulava tre ipotesi sulle origine delle acque della fonte Poiana: 1. Che abbiano essenzialmento alimento dal bacino imbrifero del Mia. 2. Che sieno essenzialmente risorgenti del Natisone. 3. Che sieno in parte risorgenti del Natisone ed in parte traggano origine dal bacino imbrifero del Mia. All’infuori di esse, non se ne potevano affacciare altre di plausibili. Basandosi sulle osservazioni fatte durante la costruzione del cunicolo di raccolta, ove l’acqua era raccolta da entrambi i lati, Granzotto concludeva di poter affermare irrefutabilmente che il Poiana ha origine bensì dal bacino del Mia, ma in forma più cospicua essa è risorgente dal Natisone. Anche l’ing. Lorenzo de Toni era chiamato a intervenire nel dibattimento tecnico, redigendo una relazione, anch’essa allegata agli incartamenti della causa in corso. Rispetto a Granzotto, egli intendeva dimostrare che nessun contributo veniva alla sorgente dal monte Mia. La sua tesi era corroborata da recenti trattati di idrologia francese, che classificavano le acque di sorgiva in due sole categorie, la calcarea proveniente da zone fessurate con uscita in volumi relativamente notevoli (come Arpit e Naclanz) e quella freatica da masse di terreano permeabile, caratterizzate dal pullulare in estensioni anche notevoli da polle sempre piccole, sparse ed a differente livello. La fonte Poiana si presentava proprio così, con numerose polle estese oltre un centinaio di metri, per l’impossibilità dell’acqua di aprirsi uno o più varchi a mezzo di cunicoli sotterranei, essendo invece costretta a infiltrarsi attraverso i meati della massa detritica. Inoltre, de Toni affermava che nel corso degli studi effettuati per valutare se concedere o meno il rifornimento ai Comuni di Brazzano e Cormòns, si erano fatti vari assaggi e uno sbarramento per includere le acque freatiche. In tal modo si era dimostrato che in corrispondenza del rigagnolo ove scorreva il Poiana, esiste l’antico alveo del Natisone, coperto prima da un grosso strato di limo argilloso che lo rende impermeabile, poi da un letto di ghiaia spesso due o più metri sul quale si appoggia il conoide dei rottami sgretolati dal Monte Mia. Ciò spiegava perché l’acqua affluiva alla galleria
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di presa dai due lati, sia da levante che da ponente e, contemporaneamente, convalidava l’ipotesi della provenienza dal Natisone. Un altro dato portato in giudizio a favore delle tesi del Consorzio era il fatto che nel 1922 o 1923 gli ingegneri che studiarono il tracciato della ferrovia attraverso il valico del Predil, fecero degli assaggi nei pressi delle sorgenti Poiana per conoscere lo stato del sottosuolo e riscontrarono che alla profondità di circa 16 metri non si trovava ancora la roccia, ma sempre terreno alluvionale.19 Va ricordato che agli esordi dei lavori di presa, sotto l’impressione che l’acqua discendesse dal monte e contrariamente al parere dell’ing. de Toni, si era perforato un tratto di galleria per raggiungere il liquido lungo il massiccio del Mia con il miraggio di averla sgorgante dalla roccia. Si scopriva invece che l’acqua saliva incessantemente dal sottosuolo con una certa forza ascensionale e, come qui già riportato a suo luogo, si doveva abbandonare l’inutile tentativo, anche parecchio costoso.20
L’autorevole voce di Gortani Nell’intento di irrobustire con un’altra, autorevole voce scientifica la propria tesi, il Consorzio commissionava al prof. Michele Gortani, allora all’Università di Bologna, una ricerca chiarificatrice sull’origine dell’acqua alimentante l’acquedotto. Nel nuovo elaborato, egli sosteneva che il regime della falda sotterranea del Poiana fosse connesso alle vene acquifere (carsiche o semicarsiche) influenti direttamente nel materasso alluvionale di parecchie decine di metri di spessore, ove circolava la grande massa delle acque sotterranee del Natisone. Dimostrava che il conoide detritico sovrastante alle sorgenti non era anteriore alle alluvioni del Natisone, ma il materiale di falda e di deiezione si era accumulato in pochi secoli al piede del Mia, mentre la piana alluvionale che sostiene tale conoide esiste da millenni, come provato dalla natura finissima delle alluvioni. Gortani si basava sulle osservazioni che stralciamo qui di seguito, traendole dalla sua relazione finale, datata 5 novembre 1927: (…) c) Il comportamento della Poiana in seguito a piogge è nettamente diverso da quello delle sorgenti che sgorgano visibilmente dal massiccio Mia-Matajur, come l’Arpit e la Naclanz. Queste infatti (e lo sanno le popolazioni che attingono alla Naclanz) sono facilissime a intorbidarsi; mentre la Poiana è sempre limpida e tale si mantenne anche dopo i grandi nubifragi del settembre 1920 e ottobre 1926. La Poiana non ha mai gli enormi aumenti di portata che subiscono invece le prime; la sua portata mostra invece una stretta relazione con il carico della falda freatica del Natisone.
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d) Tutte le numerose misure termiche eseguite da molti osservatori, cominciando da Tellini nel 1897 e finendo con le recentissime dello scrivente, hanno mostrato che la Poiana ha una temperatura variabile entro i limiti estremi di 10° e 12°C, elevata di almeno 1,5°C a fino a 3°C (in media 2°C) in confronto con le sorgenti Arpit e Naclanz e con le polle scaturenti a piè del M. Mia 1 Km a nord della Poiana e quota solo 4 metri più alta. Questi dati costringono di per sé ad ammettere per la Poiana un’origine diversa da quella delle altre sorgenti della zona. e) Alle medesime conclusioni porta l’esame delle analisi chimiche eseguite presso la R. Stazione Chimica Agraria Sperimentale di Udine (…) Risulta dalle analisi: 1) che le acque della Poiana hanno composizione pressoché identica a quella delle acque superficiali del Natisone 2) che le acque della falda freatica del Natisone hanno composizione analoga a quella delle acque superficiali e a quelle della Poiana, notandosi solo un residuo fisso leggermente più alto, per una percentuale alquanto maggiore di calce. f) Ai dati termici e chimici corrispondono anche gli indici biologici. La fauna del rivoletto alimentato dallo scarico della Poiana, a Bithynia tentaculata e Planarie, è infatti nettamente diversa dalla fauna delle altre sorgenti più volte nominate, rappresentata da Ancylus fluviatilis, Hydrobia, Octebius. Concludendo: l’esame idrogeologico della sorgente Poiana è facilitato dalla possibilità di confronti diretti con le sorgenti (carsiche e semicarsiche) derivanti visibilmente dai monti Mia e Matajur e una di esse spicciante poco a nord della Poiana e a quota quasi uguale. Da tali confronti risulta che la Poiana differisce nettamente da tutte le altre: (1) per le condizioni delle scaturigini, spiccianti da una falda idrica a leggiero (sic) carico contenuta fra strati alluvionali; (2) per il comportamento rispetto alle precipitazioni; (3) per la temperatura, di 2 gradi più elevata; (4) per la composizione chimica, più ricca di sali (specie calce e magnesia) e (5) per i caratteri biologici. Tenendo conto di tali dati, delle esposte condizioni idrogeologiche generali, dell’analogia di composizione con le acque superficiali e freatiche del Natisone, se ne inferisce che la Poiana non può assimilarsi alle altre sorgenti del territorio, ma è invece una sorgente complessa, le cui acque derivano bensì in parte dal massiccio del Mia, ma si riversano da questo, in località imprecisata, nel materasso alluvionale del Natisone, unendosi alle acque sotterranee che lo imbevono. È difficile poter dire se tra le acque della Poiana e le falde idriche del Natisone vi sia una mescolanza completa ovvero parziale, e quale contributo di erogazione diretta diano quindi le acque sotterranee del fiume alle polle in discorso. Ma oltre a tener nel debito conto tale contributo, molta e probabilmente maggiore importanza si deve attribuire, nel caso presente, al carico che la falda freatica esercita sulle polle e che è di grande momento per la portata della sorgente in corrispondenza del cunicolo di presa. (…)21
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LE DOMANDE DI BRAZZANO E CORMÒNS La prospettiva di estendere fino a Cormòns la rete dell’acquedotto Poiana prendeva corpo nel 1906, quando ci si era già ben inoltrati nel cammino verso la definitiva formazione del Consorzio. Le Autorità austriache, però, si opposero al divisato consorziamento, piuttosto era vista con maggiore favore la possibilità di fornire l’acqua a Cormòns come utenza privata. In una comunicazione del 5 marzo 1911, il municipio cormonese si dichiarava non alieno di entrare in trattative per l’acquisto d’un contingente d’acqua delle sorgenti Pojana, quando le condizioni che il consorzio di queste acque verrebbe a porre, venissero trovate accettabili; la quantità necessaria era di circa 4000 ettolitri al giorno.22 Sul finire dell’estate 1915, quando l’acquedotto stava per essere ultimato, le esigenze di Cormòns erano salite a 10 litri d’acqua al secondo e circa altrettanti ne servivano anche per Brazzano e centri circonvicini, quantità che il Poiana non era in grado di fornire; in alternativa, quelli avrebbero potuto stendere un acquedotto specifico, derivandolo da sorgenti lungo lo Judrio, ove se ne trovavano di buone e abbondanti, mentre per situazioni d’urgenza si poteva ricorrere alla fonte di Noax, erogante almeno 5 l/secondo, con minor spesa e senza canoni da pagare. Anche l’Autorità militare e l’ing. Schiavon di Milano, espressamente consultato, erano favorevoli a questa possibilità.23 La proposta non ebbe seguito e l’approvvigionamento idrico di Cormòns, basato sul modesto acquedotto della Subida, alla metà degli anni Venti si confermava, oltre che insufficiente per le quantità fornite, anche inadatto all’alimentazione, per l’acqua durissima e facilmente inquinabile. Nei suoi studi sull’utilizzo delle acque sotterranee in Friuli, condotti alla fine dell’Ottocento, Achille Tellini La situazione relativa alle assegnazioni d’acqua nei dodici Comuni consorziati del Poiana, nel 1921.
Il Podestà di Cormòns trasmette al sindaco di Cividale la delibera del 7 dicembre 1906, con il voto di non adesione al Consorzio Poiana; analoga decisione era stata presa dai Comuni di Chiopris e di Brazzano. In seguito, mutavano radicalmente opinione e chiedevano di essere consorziati.
Nel 1925 chiedevano di essere aggregate al Consorzio Acquedotto Poiana anche Cormòns e Brazzano, quest’ultima qui raffigurata in una cartolina d’epoca (archivio fotografico comunale Corno di Rosazzo).
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rilevava in questo territorio, oltre a piccoli stillicidi rinvenuti qua e là nei colli e ai loro piedi, la sorgente di S. Sobida che alimenta le fontane di Cormons esistenti nelle piazze principali. Al punto della presa vi è un edifizio in muratura. La conduttura deve essere lunga non meno di 1500 metri; la portata, in tempo di siccità, è inferiore al litro. Tra S. Sobida e Cormons, nel fondo pianeggiante di una valletta, a pochissima distanza però dagli strati marnosi eocenici inclinati verso nord, scaturisce una sorgente d’acqua minerale detta del Faiet, scoperta intorno l’anno 1825 (…) ha un odore leggero di uova putride, racchiude piccole quantità di gas, probabilmente idrogeno solforato.24 La situazione delle sorgenti, dunque, non era effettivamente propizia a fornire un buon servizio. Anche Brazzano non stava meglio, lo stesso Tellini non aveva notizie di sorgentelle sparse fra i colli di quell’area e trovava solo numerosi pozzi ordinari, un paio erano privati, uno era ad uso della filanda e uno pubblico, verso San Rocco, costruito nel 1895; anche Giassico possedeva un pozzo comunale, la cui costruzione sarebbe risalita a 400 anni indietro.25 Gli studi e i progetti fatti approntare dagli amministratori cormonesi nel cinquantennio precedente non avevano mai avuto alcuna ricaduta pratica. Nel gennaio 1925 nominavano una nuova commissione con l’incarico di risolvere sollecitamente il problema, molto consistente in quanto erano disponibili solo una decina di litri giornalieri per abitante, mentre secondo i dettami ministeriali la dotazione d’acqua non doveva essere inferiore a 125 litri. Si ristabilivano i contatti con il Consorzio Poiana, al quale si chiedeva l’adesione e l’aggregazione in via definitiva, anche per Brazzano.26 Infatti era riconosciuta l’indissolubilità che, nello stesso problema idrico, legava Cormòns con Brazzano, località che per la sua ubicazione e per la modesta importanza demografica – 964 abitanti censiti nel 1921 – si riteneva sarebbe di lì a poco stata aggregata al Comune più grande, di 7.169 persone. Possiamo ricordare un altro tentativo di utilizzo del Poiana, che aveva le caratteristiche della temporaneità.
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Schema della soluzione immediata proposta nel novembre 1925 dall’ing. Cudugnello, incaricato di verificare la possibilità di aggregare Cormòns e Brazzano. Consisteva nello staccare una condotta da quella consorziale di 420 mm a porta San Giovanni di Cividale, seguire la via Gagliano-Spessa-Corno di Rosazzo fino a Brazzano, dove far partire una derivazione per il serbatoio di quel Comune e quindi fino a Cormòns.
Schema e calcoli delle condotte, per il confronto tra quelle esistenti, quelle secondo la soluzione Granzotto e quelle della “soluzione parallela”, 1925.
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L’ing. Cudugnello per alimentare anche Cormòns e Brazzano prevedeva l’inserzione di tre nuovi serbatoi (nello schema indicati con S), uno sul colle alto di Buttrio in Monte, il secondo sopra Manzano (Colle Trento) e il terzo presso Corno (Prà di Corte), suddividendo così in tre zone i territori serviti dalle reti estreme dell’acquedotto (novembre 1925).
Nell’assemblea del 30 giugno 1923 si respingeva la richiesta della Società Industrie Seriche Friulane di Brazzano di poter disporre di 7 l/secondo d’acqua, non reputando opportuno estendere l’acquedotto fuori dal territorio dei Comuni consorziati.27 Successivamente la stessa Società rinnovava l’istanza per una concessione provvisoria, della durata di un anno, durante i lavori necessari per provvedersi altrove d’acqua. Stavolta, ritenendo doveroso fornire un aiuto alle industrie locali, la risposta era positiva e si accordava alle Industrie Seriche di Brazzano la concessione di 90 ettolitri giornalieri, derivandoli dal Comune di Corno di Rosazzo e convogliandoli poi alla filanda; il prezzo richiesto era di 2 lire/mcubo.28
Tornando alla richiesta del 1925, Granzotto – che a suo tempo aveva elaborato alcune proposte di derivazione – era già passato a miglior vita e l’incarico di proseguire lo studio della fattibilità della concessione di 11,80 l/secondo era affidato all’ing. Enrico Cudugnello,29 professionista che due anni prima era stato incaricato di progettare quello che diventerà l’Acquedotto del Friuli Centrale.30 Egli svolgeva un’approfondita ricerca, esaminando i molteplici aspetti del problema e proponendo più soluzioni possibili. Una, definita immediata, consisteva nello staccare una condotta da quella consorziale di 420 mm a porta San Giovanni di Cividale, seguire la via Gagliano-SpessaCorno di Rosazzo fino a Brazzano, dove far partire una derivazione per il serbatoio di quel Comune e quindi fino a Cormòns. Altre varianti erano quelle di staccare la condotta da Premariacco, anziché da Cividale o dall’interruttore del Tiglio, seguendo poi il tracciato Purgessimo-Rualis-Spessa-Cormòns. Un provvedimento compensativo era quello di portare al serbatoio
Un provvedimento compensativo prevedeva di portare al serbatoio di Cividale, oltre ai 100 litri che vi giungevano, quelli che si sarebbero consegnati a Cormòns, prelevandoli da un’altra sorgente posta 1200 metri più a monte. La presa sarebbe stata effettuata in località Tiglio, seguendo il tracciato Purgessimo-RualisSpessa-Cormòns (novembre 1925).
di Cividale, oltre ai 100 litri che vi giungevano normalmente dalla Poiana, quelli che si sarebbero consegnati a Cormòns, prelevandoli da un’altra sorgente posta 1200 metri più a monte. La soluzione definitiva era l’esito della fusione tecnica ed economica di vari studi esaminati, ricalcava sostanzialmente la soluzione immediata modificandone i diametri e inserendo tre nuovi serbatoi, atti a garantire la piena efficienza alle esistenti reti; era previsto un costo di 2.556.000 lire. Secondo la perizia dell’ing. Cudugnello, l’efficienza della conduttura non sarebbe stata compromessa, rimanendo a disposizione dei Comuni 182 litri di acqua al giorno per abitante, quantità di gran lunga superiore ai 125 litri prescritti dal Ministero degli Interni per poter ottenere la concessione dei mutui di favore. Le due località avrebbero sostenuto le spese dei lavori di derivazione e di quelle accessorie, versando inoltre un contributo di «buon ingresso» a forfait di 900.000 lire, somma che il Consorzio avrebbe potuto impiegare per la reintegrazione di opere, quali la costruzione di serbatoi a Buttrio, Manzano e Corno, utili al miglior funzionamento alle estremità della rete.31 Il 30 gennaio 1926 era accolta dall’Assemblea la domanda di Cormòns e Brazzano di aggregazione al Consorzio, rispettivamente di 10,4 e 1,4 litri/secondo; all’incontro era presente anche il Sottoprefetto di Udine, a testimonianza dell’interesse che ruotava intorno a questa decisione, presa all’unanimità.32 Il presidente Tito Brida confidava che le proposte coniugassero la doverosa tutela degli interessi Consorziali con la soddisfazione delle aspirazioni dei due Comuni finitimi, ai quali, come offerta amorosa al fratello che ritorna, porgeremo, protesi verso le libere sponde dell’Iudrio, il sano ristoro delle nostre limpide fonti.33 Quando però la notizia diveniva di dominio pubblico, dilagavano le accese proteste di chi temeva una diminuzione delle competenze idriche spettanti ai singoli Comuni, con danno specialmente a Cividale.34 Anche l’ing. de Toni si mostrava fortemente critico sui risultati dello studio condotto dal collega Cudugnello35 e,
dopo aver appreso dell’avvenuto accordo tra il Consorzio e Cormòns per il rifornimento dell’acqua potabile, in aperta polemica con la decisione presa declinava l’incarico di consulente del Consorzio, non volendo assumersi la responsabilità di lavori per i quali non condivideva le risultanze tecniche.36 Altre osservazioni erano esposte dall’ing. Alvise Petrucco, il quale valutava che nel 1911, epoca di redazione del progetto, i 39.000 abitanti dell’area consorziata avevano potenzialmente a disposizione 220 litri giornalieri ognuno, Schema della soluzione economica dell’ing. Cudugnello. Per conseguire un risparmio nella condotta di Cormòns, egli pensava di staccarla dal nodo di Premariacco anziché da Cividale. In tal modo però si sarebbe pregiudicato il regime dell’acquedotto, perché ai tre serbatoi previsti non sarebbe affluita tutta l’acqua disponibile, ma circa il 10% in meno (novembre 1925).
La soluzione definitiva dell’ing. Cudugnello prevedeva sostanzialmente una modifica dei diametri della soluzione definita immediata, con l’inserzione di tre nuovi serbatoi ausiliari a Buttrio, Manzano e Corno. Da porta S. Giovanni si sarebbe staccata la conduttura di 200 mm capace di alimentare anche Ipplis, Spessa e il serbatoio di Corno-Dolegnano; da qui, seguendo la via Spessa-Corno, proseguiva fino al raccordo con il serbatoio di Brazzano e quindi a Cormòns (novembre 1925).
con portata normale, scesi a 190 nel 1926, essendo cresciuta la popolazione di circa il 20%; per Cividale, in particolare, dai 216 litri/giorno per abitante del 1911 si passava ai 175 del 1926, che si prospettava scendessero a 145 nel 1940. La diminuzione dell’assegnazione giornaliera era dunque assai rapida, nonostante solo parecchio tempo dopo l’attivazione del servizio la popolazione avesse cominciato a usarlo anche per l’igiene domestica, in quanto durante la guerra l’acqua era riservata prioritariamente alle truppe e agli ospedali; la gente era dunque abituata a usarla con parsimonia e pochissime erano le case che al loro interno disponevano di bagni, water, lavatoi con acqua corrente.37 La decisione del Consorzio sollevava un notevole fermento in tutti i Comuni consorziati, la Giunta di Cividale sentiva tutta la gravità della situazione e dava incarico agli ingegneri de Toni e della Torre di compilare dettagliate relazioni, il cui esito non era favorevole alla concessione.38 La questione si ingrossava tanto che se ne interessava anche l’Autorità politica, il Prefetto incaricava l’ing. Majoli, allora Capo del Genio Civile in Udine, di esprimere un qualificato parere sulla possibilità di at-
tuazione del progetto di aggregazione; egli effettuava un sopralluogo e faceva collocare uno stramazzo al serbatoio del monte dei Bovi per la precisa misura della portata. Nel 1927 si prospettava una comoda soluzione dell’intricato problema, facendo giungere a Cormòns l’acqua attraverso il medesimo acquedotto progettato per Gorizia da una Società di Roma, alimentato dalle copiose sorgenti del Frigido, presso Aidussina. La distanza di circa 40 km e l’oneroso costo, circa 4 milioni di lire, in breve smorzavano sul nascere anche questa speranzosa possibilità. La questione era lungamente dibattuta ancora per un paio d’anni. Dopo la travagliata gestazione biennale, l’ing. Majoli partoriva l’attesa relazione conclusiva, datata 30 gennaio 1928.39 In essa egli esprimeva un parere favorevole all’aggregazione, proponendo pure che la competenza per Cormòns e Brazzano venisse elevata da 11,8 a 18 l/secondo (pari a 16.000 ettolitri al giorno), con una quota di ingresso limitata a 653.000 lire. Il Consorzio, però, non era ancora sufficientemente persuaso che mai vi sarebbero state carenze future del suo acquedotto nel nuovo assetto previsto, anche perché nessuno, compreso lo stesso Maioli, poteva offrire piene rassicurazioni che la portata di 127 litri, da lui rilevata in fase di magra, non potesse scendere ancora. A Cividale, tra l’altro, in quel periodo era stata fissata la sede del 17º Reggimento Fanteria e ciò avrebbe comportato ulteriori bisogni idrici. Gran parte dei Comuni consorziati, temendo che la concessione a Cormòns tornasse di danno all’esistente servizio, incaricava l’ing. de Toni di riesaminare progetti e proposte, riferendo in merito. Egli confermava il suo giudizio negativo e consigliava a Cormòns e Brazzano di derivare l’acqua dalle sorgenti Mine di Falugno, sulla destra del Natisone, quattro chilometri a valle della Poiana, ricavandone una portata sui 50 l/secondo. La relativa spesa superava il progetto Cudugnello di sole 426.000 lire, ma avrebbero goduto di un loro acquedotto indipendente. Su questo punto dissentiva l’ing. Cudugnello, secondo il quale la differenza sarebbe invece stata di ben 947.000 lire, per il maggior costo degli scavi. Stante l’incertezza che regnava ancora sovrana e i discordanti pareri emessi dai tecnici più competenti in materia, nel 1928 l’assemblea consorziale deliberava di revocare la deliberazione del 30 gennaio 1926 che concedeva 11,8 l/secondo. Si doveva prima completare lo sbarramento delle sorgenti, già intrapreso, con l’intento di accertare l’effettiva disponibilità d’acqua, oltre quella
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necessaria per assicurare al serbatoio dei Bovi la portata costante di 127 l/secondo. Solo possedendo questi dati si sarebbe potuto decidere, con cognizione di causa, se destinare una parte dell’eccedenza ai due Comuni richiedenti, senza pregiudizio dell’acquedotto consorziale.40 Dopo aver appreso di questa deliberazione, che non dava alcuna garanzia di avere l’acqua neanche se ci fosse stata in sovrabbondanza, Cormòns attuava una diversa, inaspettata strategia. Presentava infatti una domanda al Ministero dei Lavori Pubblici di derivare dalla fonte Poiana 26 l/secondo, per sé e per Capriva, progettando un edificio di presa nella zona di protezione delle sorgenti di proprietà del Consorzio. Con il perdurare della siccità e della eccezionale calura dell’estate 1928, Cormòns si trovava con i pochi pozzi privati completamente asciutti e le fontanelle pubbliche, che si nutrivano della scarsa vena acquifera di origine freatica, ormai moribonde; l’acquedotto della Subida forniva solo 2 litri al secondo e andava sensibilmente diminuendo la sua potenzialità. La Civica Amministrazione, ricevendo il rifiuto del Consorzio, per affrontare l’assillante penuria nel suo territorio, non trovava di meglio che inoltrare la domanda al Ministero.41 Di fronte a tale mossa, il legale avv. Reiner consigliava al Consorzio di concedere, qualora ve ne fosse stata la disponibilità, l’acqua richiesta da Cormòns, verso il ritiro della sua domanda di concessione. Era infatti preferibile che il Consorzio rimanesse il solo proprietario delle sorgenti, se del caso accordando direttamente, e non tramite il ministero, la concessione. L’anno successivo, adducendo elementi di diritto sulla proprietà delle sorgenti e ragioni tecniche dimostranti l’insufficienza delle sorgenti nei tempi di magra, il Consorzio non accoglieva la domanda di Cormòns.42 La partita non era ancora chiusa, in quanto il Ministero affidava l’incarico di studiare se effettivamente vi era la possibilità di derivare a favore di Cormòns i 26 litri richiesti al comm. Salvini del Regio Magistrato
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Il dilemma se concedere a Brazzano e Cormòns di entrare a far parte del Consorzio Poiana era lungamente dibattuto, si chiedeva un parere anche al Corpo Reale del Genio Civile di Udine che, dopo un biennio di studi, nel 1928 dava alle stampe la relazione dell’ingegnere capo Majoli.
alle Acque di Venezia, che compiva un sopralluogo il 3 novembre 1930. A quel punto, il Consorzio non poteva fare più alcuna opposizione, né intendeva sostenere altre spese per prove, studi e assaggi.43 La dibattuta questione andava poi lentamente a spegnersi, senza che venisse mai attuata la derivazione verso Cormòns.
CAPITOLO X
La Patria del Friuli, sabato 25 marzo 1922. La Patria del Friuli, lunedì 22 agosto 1921. La Patria del Friuli, 8 settembre 1921. Queste valutazioni erano espresse nella seduta del 26 novembre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Cenni 1921, p. 23. Osservazioni del Sindaco di San Pietro al Natisone al Commissario Civile per il Distretto politico di Tolmino, 8 settembre 1921, copia a stampa inserita negli atti della causa con la S.E.F.I., in ASMunCiv, cart. Lavori Pubblici 1925, fasc. 18 Fiumi, Torrenti. Si segnala che nel testo del sindaco Jussig risulta riportato 140 milioni di ettolitri, che invece erano 14.
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Seduta del 29 luglio 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19101923. La memoria, stesa dall’ing. Granzotto il 7 marzo 1922 in seguito all’incontro, era trasmessa dal Consorzio al Regio Ministero. Seduta del 15 dicembre 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. L’azione collettiva di protesta era proposta dai due professionisti Brigiuti e Petz in una lettera inviata a tutti i potenziali interessati il 16 febbraio 1924, ASMunCiv, cart. Lavori Pubblici 1924, fasc. Cat. 18 Fiumi, Torrenti. Una copia del loro «Progetto di impianto idroelettrico per l’Alto Natisone», stampato a Roma nel 1921, è conservata in ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano 1931-37.
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Comparsa conclusionale per la Società Elettroferroviaria Italiana contro la Società Officine Elettriche dell’Isonzo, contro il Consorzio per l’Acquedotto del Poiana ed in confronto del Ministero dei Lavori Pubblici, avvocati Ricci e de Francesco, Roma 23 settembre 1927, pp. 1-2, copia a stampa conservata in ACAP, cart. Causa con Società Elettroferroviaria Italiana. Seduta del 29 gennaio 1927, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Relazione geologica sulla sorgente della Poiana, prof. Michele Gortani, Bologna 5 novembre 1927, copia ms in ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano 1931-37. Seduta del 24 dicembre 1927, punto VI, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Seduta del 21 giugno 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937. Seduta del 9 dicembre 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 56. Seduta del 27 luglio 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, p. 116. Comparsa conclusionale per la Società Elettroferroviaria Italiana contro la Società Officine Elettriche dell’Isonzo, contro il Consorzio per l’Acquedotto del Poiana ed in confronto del Ministero dei Lavori Pubblici, avvocati Ricci e De Francesco, Roma 23 settembre 1927, p. 37, copia a stampa conservata in ACAP, cart. Causa con Società Elettroferroviaria Italiana. Relazione sulle origini delle sorgenti dell’acquedotto Poiana, a firma del Presidente del Consorzio Pollis, 28 aprile 1927, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano 1931-37. Comparsa del Consorzio per l’Acquedotto del Poiana contro la Società Elettro-Ferroviaria Italiana e contro il R. Ministro dei Lavori Pubblici, 25 aprile 1931, pubblicazione a stampa, ACAP, cart. Causa con Società Elettroferroviaria Italiana. Relazione dell’ing. civile Lorenzo de Toni del 21 aprile 1927, costituente l’allegato n. 6 della causa, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano 1931-37. Relazione geologica sulla sorgente della Poiana, prof. Michele Gortani, Bologna 5 novembre 1927, copia ms in ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano 1931-37. L’illustre studioso era richiamato in causa per ribattere alle asserzioni che la S.E.F.I. aveva presentato in una Comparsa conclusionale, presentata al Tribunale Superiore delle Acque il 23 novembre 1927. Nella sua relazione del 26 dicembre seguente segnalava le inesattezze e controbatteva alle speciose argomentazioni della controparte. Comunicazione del 5 marzo 1911 al Municipio di Cividale, cui si dava risposta l’11 marzo 1911, dichiarando che tale richiesta sarebbe stata tenuta nella dovuta considerazione, ACAP, cart. Anteatti costruzione, fasc. Richiesta d’acqua del Comune di Cormòns e della Dogana di Stupizza. Seduta del 25 settembre 1915, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. TELLINI 1902, pp. 51-52. TELLINI 1902, pp. 23-24. Estratto del Processo verbale della Seduta della Giunta del 5 gennaio 1926, Municipio di Cormòns, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano. Nello stesso cartolario si trova anche un altro documento analogo, della stessa data, del Municipio di Brazzano che incarica il sindaco di Cormòns a svolgere le ulteriori trattative tecniche e finanziarie. Seduta del 30 giugno 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 15 novembre 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta dell’8 agosto 1925, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929.
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Il dato è ricavato dall’articolo L’acquedotto del Friuli Centrale è ormai una gradiosa realtà, non firmato, pubblicato in Il Friuli, quindicinale turistico della Regione, n. 20 del 31 ottobre 1960, pp. 4-5. Relazione di accompagnamento ai disegni dell’ing. Enrico Cudugnello, 1925, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano. Seduta del 30 gennaio 1926, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929; il resoconto dell’assemblea era riportato in La Patria del Friuli, 5 febbraio 1926, ampio risalto all’iniziativa si trova in Il Gazzettino del 17 febbraio 1926. Relazione del presidente Tito Brida ai sindaci dei Comuni consorziati del 12 gennaio 1926, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano. Giornale del Friuli del 18 e 25 febbraio 1926, La Patria del Friuli del 18, 25 febbraio e 1 marzo 1926. Una serie di osservazioni manoscritte di Cudugnello sono conservate in ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione CormònsBrazzano. Lettera dell’ing. de Toni inviata al Presidente consorziale, datata 16 febbraio 1926, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano. Diverse altre osservazioni fatte pervenire dall’ing. de Toni al Municipio di Cividale, sul medesimo argomento e scritte nel febbraio e marzo 1926, sono conservate in ASMunCiv, cart. Lavori Pubblici 1926, fasc. cat. 19 Fontane, Lavatoi. Osservazioni di Alvise Petrucco al Presidente del Consorzio, 15 febbraio 1926, che erano sottoscritte pienamente anche dall’ing. Nelusco Zorzi; quest’ultimo però il 22 febbraio seguente inviava al Consorzio una comunicazione personale su questo argomento, dichiarando che essendo venuto a conoscenza che il serbatoio dei Bovi scaricava ininterrottamente durante la notte una rilevante quantità di acqua, non poteva escludere che l’acqua per Cormòns fosse disponibile a sufficienza, ACAP, cart. Varie, Società Elettroferroviaria, Aggregazione Cormòns-Brazzano. Il Consiglio comunale di Cividale si riuniva in seduta straordinaria il 24 marzo 1926 e, ritenendo che ogni concessione d’acqua ad altri Comuni avrebbe portato una sensibile diminuzione alla competenza spettante ai singoli Comuni consorziati, invitava la Giunta Municipale ad opporsi a qualsiasi concessione d’acqua ai Comuni non consorziati. L’elaborato del Majoli si dava alle stampe: Relazione 1928. Seduta del 28 aprile 1928, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19241929; il resoconto dell’assemblea era riportato in La Patria del Friuli, 30 aprile 1928. Fu durante la grande magra delle sorgenti, verificatasi nell’inverno 1921-22 che sorse l’idea di realizzare uno sbarramento sotterraneo in muratura a valle delle sorgenti stesse, allo scopo di impedire fughe d’acqua e di ottenere una maggiore costanza nella portata dell’acquedotto. Il progetto di massima fu redatto dall’ing. Lorenzo de Toni, ma per le opere si rimase in attesa di finanziamento. L’ing. Maioli, Capo del Genio Civile di Udine, faceva presente la necessità di conoscere anche quale disponibilità di acqua si potesse avere nei momenti di massima magra, per poter decidere sulla possibilità o meno di aggregare Cormòns e Brazzano. Nell’assemblea del 29 gennaio 1927, ritenendo necessario realizzare le progettate opere di sbarramento per eseguire tale rilievo, si decideva di assumere la relativa spesa di 40.000 lire, cui far fronte con mezzi propri. La difficilissima situazione estiva in cui si trovava Cormòns era riportata sulla stampa locale, ad esempio in Giornale del Friuli del 24 luglio 1928. Seduta del 21 dicembre 1929, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937. Seduta del 22 novembre 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 22.
XI CAPITOLO UNDICESIMO
LA SEDE CONSORZIALE
La sede itinerante Sin dalle primissime riunioni consultive, esplorative e organizzative, l’erigendo Consorzio era ospitato nel municipio di Cividale. Quando l’istituzione era ufficialmente riconosciuta, si attivava un ufficio in via Vittorio Emanuele (attuale corso Mazzini), affittando un locale nella casa ex de Senibus, poi passata ai Corte.1 La sede era arredata spartanamente, nel 1914 l’inventario contava veramente pochi pezzi: 2 tavoli comuni in abete, 7 sedie di faggio e 1 armadio in tre scomparti, completavano la stanza una riproduzione in gesso del monte Mia e una planimetria incorniciata dell’acquedotto. Il bene ‘mobile’ di maggior valore era una bicicletta, nuova di zecca che valeva 200 lire, l’insieme dei pezzi inventariati era stimato 292 lire.2
Le assemblee continuavano a tenersi nella sala consigliare del municipio cividalese. Nel 1920 ci si spostava in casa Brusini, ubicata in via Dante n. 9, affittando due stanze per 665 lire annuali, una per l’ufficio e una adibita a magazzino di materiali minuti.3 Nel febbraio 1920 il Comizio Agrario si dichiarava disponibile a cedere in affitto dei suoi locali disponibili, da usarsi solo come uffici, per l’affitto annuo di 600 lire,4 ma tale soluzione non avrebbe migliorato molto la comodità, per cui non si aderiva alla proposta. Si continuava a usare i locali Brusini, pagando 1000 lire per disporre anche del garage e altre 250 per l’occupazione della legnaia e della stalla.5 Le esigenze di spazio dell’azienda andavano sempre aumentando e i vani della casa Brusini – il cui canone era intanto salito a 1800 lire – si mostravano ormai insufficienti e inadatti; inoltre, servendogli l’abitazione, il proprietario non intendeva rinnovare il contratto. Il deposito dei ricambi ingombranti si trovava presso la stazione ferroviaria, pagando un affitto di 400 lire e altro materiale si trovava pure in località Tiglio. Stante la perdurante difficoltà di trovare un idoneo locale a pigione, dal carattere stabile e continuativo, era inopportuno ricorrere ad altre affittanze; piuttosto era meglio, anche per ragioni di decoro, acquistare o costruire una propria sede in grado di soddisfare tutte le esigenze, presenti e future.
Comprare il vecchio o costruire il nuovo? Si erano individuate due possibilità, una relativa alla casa degli eredi Nicolausig, nei pressi della stazione ferroviaria, e l’altra di un terreno di 2000 mq sul viale della stazione, di proprietà del sig. Achille Velliscig.
Pianta della sede per il Consorzio dell’Acquedotto Poiana, realizzata nel 1925-26.
La Commissione d’Ornato del Comune di Cividale approvava il progetto di costruzione della sede consorziale, ma proponeva di collocare diversamente l’edificio, spostandolo verso il confine ovest della proprietà, come nello schizzo qui riportato. La collocazione finale invece rimarrà la stessa, ma con un orientamento che consentiva di avere la facciata parallela al fronte di via Udine.
Per l’utilizzazione, sistemazione e adattamento della prima si sarebbe speso circa 60.000 lire, che sommate al costo dell’edificio avrebbe comportato un investimento di 220.000 lire. Con la stessa somma si sarebbe comprato il terreno Velliscig, al prezzo di 18 lire/mq e costruito i locali necessari, ottenendo anche il vantaggio di un’ubicazione più centrale, dunque si deliberava di procedere all’acquisto di tale terreno.6 Nella seduta del 22 luglio 1922 la giunta incaricava l’ufficio tecnico del Consorzio di allestire il progetto per l’edificio da adibirsi a sede. L’atto di compravendita del terreno avveniva nel gennaio 1923, ma riguardava un altro appezzamento rispetto a quello deliberato, trattandosi di una porzione della grande ‘braida’ posseduta da Elvira e Bianca de Nordis, ubicata appena oltre la porta esterna di borgo S. Pietro. L’area era più decentrata dal centro città, ma la posizione era comunque ottima e costava solo 10 lire al mq, prezzo che faceva realizzare un’economia di 16.000 lire; sfruttando la Prospetto della facciata principale della sede del Consorzio Acquedotto Poiana, lucido a matita disegnato e firmato dall’architetto Raimondo D’Aronco.
Prospetto laterale della sede del Consorzio Acquedotto Poiana, lucido a matita disegnato da Raimondo D’Aronco, che vi appose la sua firma in basso a destra.
favorevole occasione, invece dei previsti 2000 mq se ne acquistavano 2790.7 Il progetto per la nuova sede, da realizzare con mezzi propri, era approvato nell’assemblea del 30 giugno 1923, che valutava positivamente l’iniziativa anche per lenire la forte disoccupazione che allora regnava nel Mandamento. La palazzina era strutturata con un piano terreno sopraelevato, primo piano e sotto tetto: il piano terreno di quattro vani adibito a uso uffici, sala adunanze, archivio e magazzini, quello superiore per abitazione del direttore, con ingresso indipendente e composto da cinque vani, nel sottotetto si sarebbe ricavato un piccolo locale per abitazione del custode, un deposito di materiali leggeri ed eventuali alloggi di personale dell’azienda.8 Un’altra costruzione di un solo piano terreno sarebbe stata addossata al muro di cinta sul lato ovest della proprietà, per officine, magazzini, depositi e laboratorio, garage, stanza di prova e, ancora, tettoie per il deposito delle grosse tuberie e di macchinari. Il tutto per un costo preventivato di 215.000 lire.9 Prospetto posteriore della sede del Consorzio Acquedotto Poiana, lucido a matita disegnato e firmato da Raimondo D’Aronco.
LA SEDE CONSORZIALE
La mano daronchiana Si ritiene che nella fase progettuale un ruolo importante sia stato svolto all’architetto Raimondo d’Aronco, che a Cividale aveva operato all’inizio della sua carriera, ideando nel 1888 il Cimitero maggiore; oltre trent’anni dopo, con la sede del Consorzio egli vi lasciava una delle sue ultime opere, con la particolarità di essere uno dei pochissimi edifici daronchiani realizzati rispettando pienamente quanto da lui indicato. La firma dell’architetto compare in calce a tre disegni originali, tuttora conservati in sede.10 La scelta di rivolgersi a D’Aronco si ritiene dovuta anche all’interessamento dell’ing. de Toni, che essendo stato dal 1910 al 1913 direttore dei lavori di costruzione del Palazzo Comunale di Udine, in tale occasione aveva collaborato con il famoso architetto;11 lo stesso de Toni si occupava del computo metrico e del preventivo di spesa per la sede consorziale. Al termine dei lavori, egli era anche incaricato del collaudo finale; in tale documento del 1928, egli esprime esplicitamente la riconoscenza al valente architetto: Devesi anche fare un vivo ringraziamento al Comm. Arc. D’Aronco che fu cortese di valido aiuto per dare al fabbricato quell’estetico ed indovinato aspetto in relazione allo scopo, come, con tanta semplicità, non poteva fare che un valente Architetto.12 Tenuto conto di quanto emerso dalla documentazione, apparirebbe che la progettazione esecutiva sia stata realizzata dall’Ufficio Tecnico Consorziale, sulla base delle indicazioni estetiche fornite dall’arch. D’Aronco, attraverso le sue tavole autografe dei prospetti.
Le tappe dell’edificazione Per la costruzione della sede, dalla locale Prefettura era ottenuta l’autorizzazione alla trattativa privata con la Società Costruttrice Cividalese, che offriva un ribasso dello 0,25% e alla quale si affidava l’opera, iniziata il 3 agosto 1925;13 direttore dei lavori era Giuseppe Rossi. In un quaderno sono stati annotati, in stile scarno ed essenziale ma con lodevole acribia, la cronologia dei lavori eseguiti, assieme a schizzi, misure e calcoli. Ne proponiamo una sintesi che consente di seguire, in una sorta di presa diretta, il divenire dell’opera: anno 1925 29 e 30/7 un operaio sfalcia l’erba 31/7 con 3 operai fu iniziato lo scavo delle fondazioni 5/8 scavo per introduzione acquedotto 6/8 inizio getto calcestruzzo fondazioni tettoie 17/8 operai sono in sciopero 21/8 ripreso il lavoro. Si è tracciato l’edificio 22/8 iniziato scavo fondazioni edificio 27/8 iniziata la gettata del calcestruzzo
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Scavo fogne come disegno 18/9 iniziato muro edificio 19/9 rilievo scavo cantina 2/10 soletta di copertura della fogna 7/10 gettata la soletta della cantina 19/10 iniziata la posa della pietra artificiale sulla porta ingresso 22/10 inizio getto anello in calcestruzzo, collocati con due tondini diametro mm 12 30/10 fatta la gettata del solaio sopra ufficio e corridoio 31/10 idem sopra la direzione
Sede del Consorzio Acquedotto Poiana, particolare delle misure, dettagli del balcone e del frontone decorativo, su cui poggiano due teste. Il ritratto barbuto a destra è ritenuto l’impersonificazione del fiume Natisone, accompagnato dalla sorgente Poiana sull’altro lato (1925).
Si sta coprendo la tettoia 6/11 piove, non si lavora 7/11 il lavoro continua al 1º piano 9/11 piove, non si lavora 14/11 si lavorò 6 ore – venne gettata la soletta di copertura sopra il magazzino 16/11 si lavorò 8 ore. Fu fatta la gettata della lastra in cemento armato del balcone – ferro impiegatovi Kg 32,50 17/11 si lavorò l’intera giornata. Consegnato dettagli comignoli 18/11 inizio posa in opera stipiti delle finestre 20/11 disarmati gli archi della terrazza. Sono giunte le tegole. Fu ultimata la copertura tettoie. Fatto il getto della testa “Natisone”. Il modellatore da 2 giorni non lavora 26/11 iniziata posa travi solai sottotetto 30/11 si lavorò 2 ore causa il gelo. Ritirati dal Presidente 7 abeti, 2 magnolie e una magnolia piccola 1/12 non si è lavorato per il gelo. Si sono fatti scavi per la collocazione delle piantine 2/12 posa in opera sulla piattabanda del corridoio 2 tondi da 19 mm per ciascuno Kg 16
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Posa in opera sopra capitelli del motivo del balcone le doppie mensole con cornice 19/12 iniziata la posa della incavallatura [in dicembre e in gennaio per molte giornate non si lavora causa il gelo o la pioggia, posa in opera del ferro per legamento]
Sede del Consorzio Acquedotto Poiana, facciata principale, copia da lucido (1925).
Sede del Consorzio Acquedotto Poiana, prospetto posteriore, copia da lucido (1925).
Sede del Consorzio Acquedotto Poiana, lato est, copia da lucido (1925).
anno 1926 7/1 inizia posa coppi 11/1 ultimata la copertura [febbraio scavi e posa pozzetti, tubi scarico, pozzo perdente] 1/3 ordinato di iniziare stabilitura esterna, manca la calce idraulica 2/3 si lavorò 8 ore, solo 10 muratori 9/3 si è fatto richiamo per la calce che non viene spenta bene [marzo stabilitura] 22/3 iniziato a battere la pietra artificiale con 2 operai 11/3 gettato il pianerottolo ferro Kg 134 29/3 Morandi[ni] lavora le figure 29/3 presi accordi con Miani per serramenti 29/3 economie per posa mensole 1 aprile inizio scavo fondazione muro di cinta 13/4 getto zoccolo muro di cinta 13/4 un muratore impiegò ore 1 ½ per inizio posa lettere iscrizione 14/4 un muratore ore 6 per posa in opera lettere 16/4 muratore ore 4 per incisione lettere AD 1.9.2.6. 19/4 inizio posa fascie scala 1 operaio e 1 apprendista 20/4 continua il lavoro sulla scala 22/4 posa delle stufe Si è costruito il fornello della liscivia impiegando muratore ore 18, manovale ore 10 24/4 continua lavoro scala. Continua lavoro muro di cinta 3/5 due garzoni hanno eseguito in 8 ore la lucidatura del pavimento cesso bagno e anticesso al 1º piano 15/5 il fabbro dell’Impresa ha iniziato la costruzione del serramento a vetri 20/5 stabilitura fondazione cantina verso strada 2/6 ultimato serramento di vetro grande in ferro 5/6 posto in opera il cancello di ferro Kg 560 12/6 inizia posa in opera portoncini larice 15/6 rilievo Zoccolo pietra artificiale sulla scaletta accesso ufficio 16/6 posa reti metalliche e ultimazione spolert 24/6 due operai muratore e manovale ore 6 per applicare lastre finestrone scala 28/6 un muratore lavorò ½ giornata per riparazioni alla rottura rifioritura malte. Due verniciatori ½ giornata per dipingere balaustra balcone 17/7 occupata la casa con abitazione del Direttore Manca la terza verniciatura dei serramenti al pianterreno ed officine 21/7 un falegname in economia per costruire banchi per l’officina ore 4.14
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Progetto della cancellata in ferro battuto, per l’accesso principale della sede consorziale.
Rispetto ai previsti 180 giorni, per rallentamenti vari e sospensioni dovuti al gelo invernale l’edificio era ultimato in tutte le sue parti il 21 luglio 1926; il 6 agosto seguente si chiedeva il certificato di abitabilità. Però, per la cattiva cottura della calce fornita, gli intonaci sfiorivano in tal modo da doversi rifare del tutto e ciò posticipava l’effettiva ultimazione del fabbricato, nel quale gli uffici si trasferivano il 9 novembre 1926.15 La sede era dotata di nuovi mobili, limitandosi allo stretto indispensabile e spendendo per essi circa 6.000 lire.16 Sin dal 4 marzo 1926 il geometra Tito Brida, in qualità di Presidente del Consorzio, inoltrava alla Commissione Reale per la Provincia del Friuli di Udine la richiesta d’autorizzazione a costruire sul proprio terreno un muro di cinta, in mattoni e paramento a vista con zoccolo, banchine e pilastri in pietra artificiale e sovrastante cancellata in ferro. L’ingresso al fondo sarebbe stato mantenuto dove già si trovava, salvo un lieve arretramento. La facciata è caratterizzata da un timpano spezzato decorato con due grandi mascheroni, realizzati a stampo in pietra artificiale e di forma classicheggiante. Raffigurano le due divinità acquatiche simboleggianti Natisone, il fiume che attraversa Cividale, e Poiana, la sorgente da cui sgorga il liquido dissetante il vasto territorio consorziale; questi pezzi, assieme a un terzo mascherone – posto sul prospetto est e che in seguito andrà distrutto – erano realizzati in getto di cemento e graniglia, rifiniti e posti in opera dal cividalese Morandini, non è specificato se Pio o Leo. La costruzione soddisfava pienamente la committenza per la sua funzionalità e per le calibrate soluzioni ornamentali dal gusto classicista. La fantasia decorativa di D’Aronco si sviluppava anche nei camini, il tetto infatti mostra esempi di tutti i tipi di fumaioli usati dall’architetto nelle sue numerose opere. In sede di liquidazione finale, alcune richieste dell’impresa costruttrice, che affermava di aver eseguito opere diverse da quelle stabilite in contratto e adoperato materiali non previsti dal medesimo, ci consentono di conoscere alcuni dettagli realizzativi. Ad esempio, nel capitolato d’appalto l’art. 30 prescriveva: Le pietre artificiali saranno formate fuori opera secondo i dettagli che verranno consegnati dalla Direzione dei lavori; la loro composizione sarà con q.li 4 di cemento per metro cubo d’impasto e le superfici saranno composte con graniglia di marmo. Nei libretti di liquidazione dei lavori si legge Tutta la pietra artificiale, anziché con semplice graniglia è stata eseguita con tinta di terra d’ombra, si chiede venga Una volta ultimata, la sede consorziale è divenuta il soggetto di una cartolina illustrata. L’esemplare qui pubblicato è stato spedito nel 1936 (collezione Michele Pizzolongo).
Firme apposte sul verbale di collaudo dei lavori di costruzione della sede consorziale, 18 giugno 1928. Collaudatore fu l’ing. Lorenzo de Toni di Udine.
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applicato il sovraprezzo del 10%; inoltre i gradini anziché in pietra artificiale comune sono stati eseguiti con graniglia a più colori; in luogo della semplice battitura venne eseguita la levigatura e lucidatura, in conseguenza della speciale formazione della scala per parecchi gradini si dovette fare per ognuno apposito modello a stampo Al punto 73, relativo alle ‘Sculture’: Si chiede che i portoncini d’ingresso siano conteggiati almeno quanto pagò l’impresa alla ditta Miani e cioè £ 1.717, ciò ci fa conoscere quale bottega artigiana locale realizzò le ante decorate con rilievi, tuttora visibili.
Il costo della sede Le mercedi per operai e noleggi impiegati nei lavori di costruzione della sede erano le seguenti: Muratore, falegname, fabbro, carpentiere, bandaio, cementista, scalpellino ecc. . . . . . 3,00 lire/ora Manovale, terraiuolo e simili . . . . . . . . . . . . 1,95 lire/ora Garzone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,50 lire/ora Sorvegliante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3,80 lire/ora Carro ad un cavallo con conducente . . . . . 4,00 lire/ora Carro a due cavalli con conducente . . . . . . 7,00 lire/ora La spesa preventivata era di 208.000 lire, a consuntivo risultava di 239.103,45, così suddivise: Edificio principale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L 179.225,32 Officine, tettoie, muro di cinta . . . . . . . . . . . L 35.701,00 Liscivaia, legnaia, latrina . . . . . . . . . . . . . . . . L 5.797,55 Muro di cinta sulle strade . . . . . . . . . . . . . . . L 13.226,90 Scoli acque, sistemazioni interne e diverse L 5.751,94 La maggiore spesa era giustificata dall’aggiunta di una fabbrichetta di servizio (usata per legnaia, liscivaia e latrina) e dalla modifica della distribuzione degli ambienti, introdotta in corso d’opera.17 L’Impresa assuntrice dei lavori sul computo della liquidazione avanzava delle riserve, chiedendo 36.612,40 lire in più, il collaudatore ing. Lorenzo de Toni ne accordava 13.896,55, per cui il costo finale risultava di 253.000 lire. La spesa in un primo tempo doveva essere oggetto di un prestito con la locale Banca Cooperativa, già autorizzato dalla Sottoprefettura, o di un mutuo con la Cassa Depositi e Prestiti, invece fu sostenuta interamente con i mezzi propri del Consorzio, impiegando gli utili sulla gestione dell’acquedotto, i reimpieghi dei danni di guerra e la compartecipazione dei Comuni. Il collaudo avveniva, a opera dell’ing. Lorenzo de Toni di Udine, dietro visita eseguita il 12 giugno 1928. Con decisione del 4 febbraio 1929 l’Ufficio Distrettuale delle Imposte di Cividale accordava l’esenzione venticinquennale delle imposte per il fabbricato di nuova costruzione adibito a sede del Consorzio e abitazione, officina e magazzino, in base al Regio Decreto L. 30 agosto 1925 n. 1548; l’esenzione scadeva il 30 giugno 1951.
Dato che le semplici invetriate collocate sulla facciata di levante dell’edificio, nonostante la loro perfetta costruzione, non risultavano sufficienti a riparare dal freddo e dall’acqua a causa del forte vento che spirava da quel lato, era deliberato di applicare una seconda vetrata sulle tredici finestre rivolte a est, in legno di larice e vetri semidoppi, per una superficie complessiva di 35 mq, con la spesa di 3500 lire.18 Relativamente alle strutture sull’altro lato del cortile, nel 1961 era progettato l’ampliamento dei locali adibiti ad officina e magazzino, per realizzare una camera di prova per contatori; i lavori iniziavano il 9 marzo 1964 ed erano ultimati il 20 maggio successivo.
La manutenzione dell’edificio consorziale Dopo aver riscontrato che gli ultimi lavori di sistemazione alla sede del Consorzio risalivano al 1938, nell’assemblea del 9 luglio 1971 si riscontrava necessario sottoporla agli interventi palesemente più necessari.19 Nonostante il via libera ai lavori, cinque anni dopo nulla era stato eseguito. Nella primavera del 1976, proprio quando si decideva di aggiornare il preventivo, arrivava lo sconquasso del terremoto. In seguito agli eventi sismici – in quel tempo l’appartamento al primo piano era occupato dalla famiglia del direttore Giuseppe Rossi – si riscontravano danni quali lesioni e fessurazioni delle murature, sconnessioni della struttura del tetto, del solaio in legno, lesioni sui tramezzi. Era necessario intervenire per il consolidamento antisismico del fabbricato e l’adeguamento funzionale dell’alloggio e degli uffici. Nel 1983 si prendeva in considerazione la possibilità di far catalogare la sede fra gli immobili di valore artistico-storico-ambientale, in quanto esito di un progettista illustre, deceduto e di realizzazione ultracinquantennale.20 Dopo aver seguito il prescritto iter, la catalogazione della sede avveniva nell’anno 1992. Nel 1991 era stato deliberato il ripristino della sede, affidando l’incarico progettuale all’arch. Ennore Pascolini di Cividale; il suo progetto di ristrutturazione antisismica, datato 12 aprile 1991, era approvato dalla Commissione amministratrice21 e riceveva l’assenso della Soprintendenza archeologica di Trieste per i beni ambientali, architettonici ed artistici del Friuli Venezia Giulia il 18 dicembre 1991, n. 5268. Nel 1995 era deliberato il metodo di gara e scelto il direttore dei lavori.22 Oltre al consolidamento statico-funzionale dell’edificio, l’intervento era finalizzato anche al recupero artistico dell’immobile e all’ampliamento degli uffici, estendendoli anche al primo piano. Il completo restauro aveva luogo nel 1997.
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PRONTO, CHI PARLA? LA POIANA L’aspetto delle comunicazioni era prioritario, in quanto il territorio consorziale era vasto, la rete di notizie scambiate nei dodici Comuni era fitta e, nei casi di segnalazione di guasti, doveva avere il carattere della rapidità. Il mezzo più veloce allora disponibile era il telegramma e la documentazione conservata nell’archivio del Consorzio testimonia il frequente ricorso a tale servizio. Era pertanto indispensabile modernizzare tale settore, do-
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tandosi dell’invenzione in grado di annullare le distanze e abbattere i tempi: il telefono. Molti Comuni già disponevano di un collegamento telefonico e così la Giunta consorziale nella seduta del 7 luglio 1928 deliberava di applicare un apparato telefonico negli uffici della sede. La spesa sarebbe stata di 460 lire per il canone annuo e altre 220 per la compartecipazione alle spese, ma visto che i Comuni potevano usufruire di apposite agevolazioni, lo si richiedeva con il tramite di Cividale, spendendo così solo 250 lire di canone e 225 di impianto.23
CAPITOLO XI
Il 1° maggio 1912 si stipulava verbalmente il contratto di affitto con Cesare Corte, valido fino al S. Martino seguente, concordando la pigione di 100 lire. Per la precisione, come era indicato nel modulo di “Denunzia di Contratto Verbale di Affitto di Fabbricati” si trattava di Stanza nella casa di sua proprietà in Corso Vittorio Emanuele al Civico n. 3 e precisamente quella che sta di fronte al portone d’ingresso e che prima d’ora serviva ad uso ufficio Dazio Consumo. Lo stesso giorno tale atto era approvato dalla Giunta consorziale, senza rinunciare all’idea di scegliere un locale più confacente e con espresso incarico al Presidente di porgere i dovuti ringraziamenti al Municipio di Cividale per l’ospitalità fin qui accordata alla rappresentanza consorziale. Inventario al 31 dicembre 1914, ACAP, cart. Atti Commissario Prefettizio. Il semplice mobilio era stato realizzato in parte dall’artigiano cividalese Giovanni Battista Miani, come risulta dai resoconti contabili delle spese, la bicicletta era acquistata dalla fabbrica Fatutto Egisto di Casale Monferrato. Seduta dell’8 luglio 1919, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1919, p. 17. La sede in casa Brusini è citata anche in PATRIARCA-CASARSA 1999, p. 395. Comunicazione del 29 febbraio 1920, ACAP, cart. 1918-1920 Costruzione, Servitù. Seduta del 18 giugno 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La deliberazione era riportata anche in La Patria del Friuli di lunedì 31 ottobre 1921. Seduta del 26 novembre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Il contratto di vendita del terreno per costruirvi la sede fu stipulato il 3 gennaio 1923, in atti Geminiano dott. Cucavaz; per 22.320 lire fu ceduta una porzione di aratorio fuori borgo S. Pietro, mappale 1333c. Relazione del Progetto di costruzione edifici per la sede del Consorzio, 7 settembre 1923, firmata dal direttore geom. Giuseppe Rossi e dall’ing. Lorenzo de Toni, ACAP, cart. Opere completamento acquedotto. Il progetto era approvato in linea tecnica dall’Ufficio del Genio Civile di Udine il 1° ottobre 1925 al n° 6646. Seduta del 30 giugno 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923; l’ordine del giorno di quest’assemblea era riportato in La Patria del Friuli, 2 luglio 1923. A quest’opera daronchiana è dedicato un corposo saggio di Gabriella Bucco: BUCCO 1999, vol. I, pp. 382-394. La sede dell’acquedotto compare nel corpus dei lavori del D’Aronco pubblicato nel 1983, ma allora non era nota l’esistenza dei disegni originali, cfr FRENI, VARNIER 1983, p. 194. Nella documentazione contabile ed amministrativa conservata in ACAP e consultata dallo scrivente non si trova citato il nome di D’Aronco, se non in un documento riassuntivo dell’opera, datato 18 giugno 1928; in esso, a pag. 13 è menzionato (...) si ricorda ancora l’arch. D’Aronco che fu cortese di valido aiuto per dare al fabbricato quell’estetico ed indovinato aspetto (...) frase che troviamo citata anche nel verbale di collaudo dei lavori, come qui riportato nel testo, ACAP, cart. Sede, fasc. Liquidazione finale dei lavori di costruzione degli edifici per la sede, contratto 31 luglio 1925 atti Cucavaz, Riassunto generale £ 239.103,45. Anche nel verbale della seduta della
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Giunta consorziale del 7 luglio 1928, nella quale era approvato il collaudo degli edifici per la sede, non viene ricordato l’apporto dell’architetto D’Aronco, limitandosi a riportare (...) esecuzione delle opere per la Sede Consorziale secondo il progetto redatto dall’Ufficio Tecnico Consorziale (...) elogi rivolti dal collaudatore al promotore della costruzione, cav. Brida ed al progettista e Direttore dei lavori cav. Rossi, Direttore del Consorzio. BUCCO 1999, vol. I, p. 382. Consorzio Acquedotto Poiana Costruzione degli edifici per la sede consorziale Collaudo dei lavori, 1928, in ACAP, cart. Sede. Seduta del 22 agosto 1925, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. La Società Costruttrice Cividalese – di cui allora era presidente Giovanni fu Andrea Sabottig e direttore Luigi Picco – fu assuntrice dei lavori con contratto del 31 luglio 1925, rogito del notaio Cucavaz n. 15834/22483. Questa Società, che era una “Anonima Cooperativa”, con sede in borgo San Pietro, cioè nei pressi dell’erigenda palazzina consorziale, aveva deliberato di espletare la trattativa per la costruzione della sede nell’adunanza del suo Consiglio d’Amministrazione tenuto il 28 luglio 1925; una copia del verbale è conservato in ACAP, cart. Sede. Il manoscritto è conservato in ACAP, cart. Sede. Seduta dell’11 novembre 1926, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. L’inaugurazione, in forma privatissima, avveniva l’11 dicembre 1926. Seduta del 3 luglio 1926, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19241929. Resoconto spese sede, 18 aprile 1928, ACAP, cart. Sede. Seduta del 7 luglio 1928, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929, oggetto 5. I lavori individuati erano il montaggio di nuovi serramenti esterni per la parte nord dell’edificio, nuove grondaie, ricostruzione pavimenti deteriorati, rappezzatura delle zone ove l’intonaco era consumato dalle intemperie e ritinteggiatura di tutte le pareti esterne. Nella successiva seduta del 24 settembre 1971 era deliberato di eseguire i lavori necessari, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministatrice 1970-1972, n. 1519. Seduta del 9 giugno 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2534; nella seduta del 30 agosto successivo si deliberava di inoltrare la domanda per la catalogazione dell’immobile, ivi, n. 2551. La proposta non trovava accoglimento per la limitatezza dei fondi disponibili, era consigliato di ripresentare la domanda, corredandola di ulteriori documenti. La loro predisposizione era affidata all’arch. Giuliano Quendolo di Cividale. Questo professionista approntava tre Relazioni, datate 10 dicembre 1984: 1° sulle caratteristiche dell’immobile, 2° sull’uso attuale dell’immobile e quello previsto per il futuro, 3° sullo stato di degrado dell’immobile e la natura e l’entità dei lavori da eseguire, conservate in ACAP, cart. Terremoto 1976-1996. Sedute del 18 gennaio n. 3349 e 12 luglio 1991 n. 3402, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1989-1991. Oltre all’elaborato dell’arch. Pascolini, il progetto era redatto con il contributo dell’arch. Giuliano Quendolo e dell’ing. Guido Frossi. Seduta del 7 luglio 1928, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929, oggetto 6.
XII CAPITOLO DODICESIMO
TRA GELO E FISCHI DI PALLOTTOLE
GELO SIBERIANO L’inverno polare del 1929 affondava la sua affilata, gelida lama anche sulla rete acquedottistica, causando danni per circa 12.000 lire. La catena di anticloni siberiani formatisi nel febbraio 1929 provocava congelamenti di tubi sugli attraversamenti di ponti, rotture di saracinesche nelle cabine, spiombature di giunti; 20 erano i contatori resi inservibili e di 350 si spaccavano i cristalli. Gran parte delle derivazioni private non sfuggiva al congelamento, con moltissime rotture, il gelo in certi punti arrivava a penetrare nel terreno fino alla profondità di 80 centimetri. A causa delle perdite d’acqua per spaccature, si esauriva completamente la portata e la riserva del serbatoio. Per riparare prioritariamente le fughe più copiose e manifeste e poi iniziare la ripassatura di tutte le utenze, si doveva assumere personale avventizio, chiedendo agli operai di lavorare 12 e anche 14 ore al giorno, finanche l’intera notte; dal 17 febbraio al 7 aprile erano impiegati pure in tutti i giorni di festa, assiduamente e intensamente, come le esigenze del momento richiedevano. Tutto il personale era meritevole di elogio, per il continuo impegno che aveva profuso in quell’eccezionale rigidità stagionale.1 Situazioni fuori della norma si avevano pure nell’inverno 1941-42, sia per la forte siccità che colpiva anche le sorgenti dell’acquedotto, impoverendole al punto da ridurne sensibilmente la portata dal 10 al 20 febbraio 1942, sia per il forte abbassamento della temperatura, che alla fine di gennaio raggiungeva per diversi giorni 15°C sotto zero, provocando il congelamento di numerose condutture private e di contatori. Nel periodo di magra delle sorgenti si aveva un innalzamento della temperatura e, in seguito allo sgelo, si riscontravano numerosissime fughe d’acqua attraverso le crepe. Le riparazioni proseguivano sino all’aprile, complessivamente se ne facevano circa 550 su condutture e rubinetti e si sostituivano 180 contatori. La deficienza di personale specializzato nei vari Comuni costringeva tutti i danneggiati a rivolgersi al Consorzio per le ripa-
razioni; si lavorò di notte e anche tutte le feste, durante uno stato di eccezionalità prolungato dal 21 gennaio al 31 marzo. Ai danni per il gelo si era aggiunta una forte fuga d’acqua in Buttrio, che per non essersi manifestata al soprassuolo fu difficile individuare. Riparata quest’ultima il 23 marzo, la rete tornò al normale funzionamento.2 Il freddo dal 30 gennaio al 20 febbraio 1956 arrecava sensibili danni agli impianti e causava deficienze nel funzionamento dell’acquedotto, a causa delle erogazioni continue delle utenze per evitare congelamenti; il Nella pagina a fianco: sfiato in ottone da un pollice, per far fuoriuscire l’aria, potenzialmente dannosa, penetrata nelle condotte d’acqua del Poiana. In basso: l’inverno del 1929 fu glaciale. Un’ennesima testimonianza dei danni provocati dal freddo intensissimo si ha con questa comunicazione dell’Essiccatoio Bozzoli di Cividale, che il 28 febbraio segnalava di trovarsi da una ventina di giorni privo d’acqua, a causa delle rotture ai tubi provocate dal gelo, responsabile anche del guasto al contatore.
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Il Pozzo di Lovaria ricoperto dal ghiaccio, durante il freddissimo inverno del 1928-1929 (da CESCHIA 1990, p. 73).
Per limitare i danni del gelo, nella depliantistica degli anni Venti era consigliato l’impiego del contatore a quadrante bagnato, in quanto in essi si aveva solo la rottura del vetro. Quelli a quadrante asciutto erano i più danneggiati: la piastrina di separazione dei meccanismi di trasmissione spesso veniva completamente contorta e, quasi sempre, anche la scatola esterna era deformata o spaccata dal ghiaccio.
ghiaccio metteva fuori servizio circa 500 contatori. Al momento del disgelo erano 90 le perdite individuate e riparate nelle reti consorziali e circa 150 quelle nelle reti private. Durante il mese di gennaio 1963, a causa della bassa temperatura si doveva intervenire presso numerosi utenti con apposite squadre per sgelare la conduttura di derivazione; erano sostituiti e riparati circa 2000 contatori guastati dal gelo. Le avversità climatiche del gennaio 1985 provocavano la rottura di oltre 300 contatori. Le conseguenti fughe d’acqua portavano allo svuotamento dei serbatoi e all’entrata in condotta dell’aria, con i suoi effetti dannosi sulle giunzioni delle tubature. Consistente era il dissesto sulle vecchie condotte, si individuavano una cinquantina di fughe, delle quali 15 sulla Orsaria-Buttrio e 12 sulla Visinale-Quattroventi di Corno di Rosazzo.3 Quando i periodi siccitosi si prolungano oltre un dato limite, si rende necessario tutelare le riserve idriche, imponendo agli utenti di evitare gli usi impropri dell’acqua, come previsto in questo avviso, diramato il 17 luglio 1928.
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SICCITÀ DESERTICA Una fortissima siccità si aveva nell’inverno del 1921, che riduceva la portata della sorgente Poiana a circa un terzo di quella normale. A compensazione delle piogge straordinarie del settembre 1920, l’anno seguente si aveva la massima magra, con soli 626 mm di pioggia, un vero record, tenuto conto che la media annuale del quarantennio 1898-1931 è di 1525,10 mm.4 Il prolungamento del periodo secco prosciugava anche molti pozzi, tanto che il sindaco di Santa Maria La Longa nel gennaio 1922 chiedeva al collega di Pavia di Udine di permettere che le famiglie di Tissano e S. Stefano potessero provvedersi nel suo Comune dell’acqua occorrente ai loro bisogni, del cui uso non mancherò di raccomandare la più rigorosa parsimonia. Da Pavia si rispondeva che, dovendo con rigorosi mezzi impedire lo sciupio d’acqua e l’utilizzazione dai non utenti, alle guardie comunali era stato impartito l’ordine di impedire l’attingimento al gran numero di persone che, a frotte, affluivano dai paesi vicini con secchi, damigiane e fusti. Il presidente del Poiana, data l’eccezionale siccità e considerando che le popolazioni limitrofe alla zona beneficata dall’acquedotto si trovavano in difficilissime condizioni di rifornimento idrico, riteneva un atto che potrebbe venir interpretato poco umanitario il proibire assolutamente l’attingimento dell’acqua nelle fontane pubbliche. Stimava pertanto opportuno aiutare le popolazioni dei Comuni vicini.5 La deficienza d’acqua meteorica si faceva sentire per tutto il quinquennio dal 1920 al 1924, con una media annua di soli 1256,96 mm di pioggia.6 Dopo l’eccezionale abbassamento di temperatura dei primi mesi del 1929, anche l’estate si faceva ricordare, rendendosi protagonista di un lungo periodo siccitoso, a causa del quale dal 15 al 19 settembre si ebbe a lamentare una sensibile diminuzione delle sorgenti, il cui livello il giorno 18 scendeva a 2 cm sotto il cielo del tubo alla partenza. In tale periodo il Natisone era quasi asciutto e le sorgenti mostravano essere in stretto rapporto con esso. Il direttore Rossi faceva realizzare altri due sbarramenti nel canale fugatore, a valle del casello ferroviario, per trattenere le acque che dal sottosuolo si riversavano in esso e defluivano nel fiume. Con tale provvedimento si otteneva un sensibile giovamento, infatti il livello dell’acqua nel cunicolo di presa si alzava di ben 9 cm, raggiungendo i 6 cm sopra il tubo. Il 20 settembre scrosciava la benefica pioggia che riportava le sorgenti allo stato normale.7 L’acquedotto nell’autunno 1945 subiva una preoccupante riduzione della portata a causa dell’impoverimento delle sorgenti, verificatosi in misura mai raggiunta dalla sua costruzione. L’insufficienza della portata raggiungeva il massimo il 19 ottobre 1945, con una riduzione valutata in 20 litri al secondo, pari a 1/5 della
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portata normale. Per il 21 era già stato deciso il provvedimento della chiusura di tutte le fontane pubbliche, ma provvidenzialmente il 20 pioveva a dirotto, il Natisone che era in fortissima magra cresceva sensibilmente e con esso le sorgenti, ridando all’acquedotto la portata normale. Il 21 ottobre il serbatoio dei Bovi, da otto giorni desolatamente vuoto, si riempiva velocemente e già la stessa notte sfiorava l’acqua in eccesso.8 Il record del 1945 era destinato a essere infranto in breve. Nel settembre 1947 le sorgenti, a causa di una nuova persistente siccità, avevano una diminuzione di portata mai riscontrata; per ridurre i consumi si chiudeva metà delle fontane pubbliche, con divieto dell’attingimento d’acqua nelle ore notturne e per usi diversi da quelli domestici. Con l’auspicato ritorno delle abbondanti piogge, l’acquedotto riprendeva l’originaria efficienza. Dopo la magra di settembre, il 25 dello stesso mese scoppiava un tubo della condotta principale, probabilmente per una sovrapressione attribuibile all’improvviso afflusso nella conduttura, ingombra d’aria, dell’acqua in aumento alla presa in seguito alle intense precipitazioni.9 Era ancora la siccità a imporre una drastica cura dimagrante alle sorgenti, a cominciare dal 26 marzo 1948; il 6 aprile la portata a Cividale si era ridotta da 102 a L’eccezionale siccità primaverile del 1949 faceva emanare queste limitazioni all’uso dell’acqua, divulgate con l’avviso del 28 marzo.
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circa 60 l/secondo, con grave pregiudizio del servizio. Si doveva manovrare giornalmente gli sfiati lungo le condutture dalla presa al serbatoio, per liberarle dall’aria che, entrando dalla presa, poteva provocare rotture; tale inconveniente, dovuto alla particolare aridità, si era verificato per brevi periodi solo negli anni 1919 e 1947. Lungo la rete si chiudevano 45 fontane pubbliche e si vietava l’uso dell’acqua nelle ore notturne. Dopo una giornata di pioggia, caduta il 7 aprile, le sorgenti riacquistavano la portata normale. Anche durante il successivo periodo estivo-autunnale, nonostante la siccità, la portata si manteneva sempre sufficiente, grazie alle precipitazioni avute in montagna. Nell’estate 1957 il caldo bruciante raggiungeva punte in grado di assorbire totalmente la portata dell’acquedotto, comprese le riserve, creando nella rete un abbassamento di carico tale da far cessare l’erogazione alle quote elevate durante le ore di punta. Visto che la situazione si aggravava, il 5 luglio si diffondeva in tutti i Comuni consorziati un manifesto invitante la popolazione a limitare l’erogazione allo stretto indispensabile e solo per i bisogni domestici; le fontane pubbliche a getto continuo erano munite di rubinetto, L’immagine dello sfioratore sul Monte dei Bovi, da cui esce acqua a piena portata come in questa foto d’epoca, cambiava radicalmente nei mesi siccitosi, ove il livello delle riserve idriche calava parecchio.
onde limitarne il consumo. La situazione si ristabilizzava del tutto alla prima pioggia, caduta il 10 luglio, in totale la crisi del servizio era durata dieci giorni.10 Durante luglio, agosto e la prima decade di settembre 1962 il funzionamento era deficitario sia per una sensibile diminuzione di portata alla sorgente, che il 30 agosto segnava il 60% della portata normale, sia per i forti consumi in questo periodo, con il 95% delle utenze che consumava il doppio e anche il triplo rispetto al consueto. Però solo due punti del Consorzio, Abbazia di Rosazzo e Rocca Bernarda, rimanevano completamente sprovvisti d’acqua; la situazione tornava normale il giorno stesso della bramata precipitazione, avvenuta l’8 settembre.11 Nel 1967 il funzionamento era fortemente deficitario dal 1º luglio, per la situazione di eccezionale siccità, acutizzata dall’elevata temperatura; il 4 luglio si affiggeva un avviso per raccomandare la limitazione dei consumi. La situazione si presentava critica in diverse frazioni (Lumignacco, Ziracco, Cerneglons, Spessa) e il Consorzio interveniva, di concerto con i Sindaci, presso l’Autorità Militare per istituirvi un servizio di emergenza, tramite autobotti. La criticità si risolveva con la pioggia caduta la notte del 25 luglio.12 Talvolta la siccità, pur temibile, era un’alleata in quanto consentiva di eseguire dei lavori che altrimenti non sarebbe stato possibile portare a termine. Ad esempio nel 1971, approfittando della eccezionale magra del fiume verificatasi nella zona delle sorgenti, si poteva consolidare l’attraversamento del letto da parte della conduttura principale ed era riparata anche la briglia di sostegno a valle.13 Così pure nel secondo semestre 1985, durante il periodo siccitoso si effettuavano lavori e interventi specifici nella zona delle sorgenti Poiana e Arpit, era interamente revisionata la vecchia adduttrice, particolarmente nelle tratte in alveo e lungo il Natisone, intercettando tre fughe; si eseguiva una sistematica rilevazione della portata della sorgente Poiana, che registrava alla fine di ottobre 1985 il minimo storico. Inoltre si riusciva a collegare la condotta dell’acquedotto di S. Pietro al Natisone all’adduttrice; eseguendo tale lavoro in alveo prima del sopravvenire di piogge si evitavano costi di esecuzione notevolmente superiori e diverse difficoltà esecutive.14 L’assoluta carenza di precipitazioni atmosferiche in luglio e agosto 1986 riduceva la portata della sorgente Poiana portandola a livelli di poco superiori a quelli registrati alla fine dell’eccezionale magra autunnale del 1985; si registravano 10 cm di acqua sopra l’asse mediano della tubazione di partenza, con una portata valutata al 60% di quella normale.15 Un lunghissimo periodo di scarse precipitazioni piovose si protraeva dal dicembre 1992 fino a settembre 1993, nonostante questo il funzionamento della rete
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Avviso di limitazione dei consumi d’acqua a causa del perdurante periodo siccitoso, pubblicato dal Consorzio il 24 luglio 1963.
alle prime opere di protezione, cosicché alla successiva piena del giorno 13 ottobre la conduttura resisteva alla fortissima corrente.17 Non mancavano danneggiamenti alle strutture di difesa delle tubazioni, con erosioni sotto il canale fugatore, sulla sponda destra vi era l’abbassamento delle coperture e di parte del fondo, con asportazione della massicciata sopra e lateralmente al tubo, provocando la rottura in diversi punti della briglia di sostegno. Il totale dei danni assommava a 16.168,80, lire, si inoltrava domanda per disporre di un sussidio governativo, ma il Genio Civile di Udine respingeva tale richiesta.18 Per un nubifragio scatenatosi sul Monte Mia, il 29 agosto 1935 precipitava a valle una voluminosa colonna d’acqua, che nella discesa trascinava terra e detriti,
A causa delle prolungate e intense piogge, il 21 giugno 1958 il Natisone si gonfiò tanto da far franare un tratto di strada statale 54, con l’asportazione di 50 metri della conduttura principale dell’acquedotto Poiana (foto gentilmente concesse da Giordano Di Zanutto).
riusciva a mantenersi nei limiti di normalità, nella zona nord ciò anche grazie a più consistenti acquisti di acqua in attesa del completamento delle opere previste per raggiungere l’autonomia del fabbisogno idrico consorziale.
PIOGGE TORRENZIALI Le furiose piene del Natisone rappresentano una costante minaccia all’integrità della conduttura, in quanto nel tratto iniziale questa corre rasente al fiume. Dell’eccezionale piovosità del 1920 abbiamo già trattato, citando i danni alla conduttura principale. Per fronteggiare l’emergenza determinata dall’interruzione del servizio idrico, nel 1920 i Comuni procedevano come potevano, ad esempio la giunta di Buttrio deliberava di provvedere d’urgenza alla pulizia del pozzo del capoluogo – eventualmente anche degli altri esistenti – per rifornirsi d’acqua.16 Per trovare un episodio con simili danni risaliamo di oltre un decennio: durante la piena del Natisone del 10 ottobre 1933 in località Rio Secco la corrente demoliva un tratto di scogliera di protezione della strada nazionale, asportando un tratto della stessa e mettendo in serio pericolo la conduttura, che in quel punto passa dall’alveo del fiume alla strada. Si provvedeva subito
I danni della piena del 21 giugno 1958 erano prontamente riparati, sul posto interveniva la squadra del Poiana non appena l’abbassarsi delle acque del fiume consentiva di raggiungere il luogo della rottura (foto gentilmente concessa da Giordano Di Zanutto).
invadendo la camera di raccolta del Poiana a Stupizza. La sera stessa si vuotavano i serbatoi del Tiglio e dei Bovi e vi si immetteva in gran copia acqua limpida, annullando prontamente il disagio.19 Nei cinque anni dal 1933 al 1937 si avevano sempre piogge molto abbondanti, raggiungendo una media di 1.932 mm, con un massimo assoluto di 2.168,50 nel 1937.20 Nella notte tra il 21 e 22 giugno 1958 l’eccezionale piena del Natisone asportava circa 100 metri della strada statale 56 in prossimità del valico di Stupizza e con essa circa 40 m della conduttura principale dell’acquedotto, collocata ai piedi del muraglione di sostegno della strada. L’acquedotto restava interrotto per 5 giorni. I danni, comprensivi anche della spesa per il cambio di un tubo rotto in precedenza a S. Pietro al Natisone, ammontavano a 2.709.200 lire; due milioni erano rifusi dallo Stato con i fondi di pronto intervento stanziati per l’alluvione.21 Il 13 marzo 1963 il servizio era interrotto per la rottura di un tubo dell’adduttrice principale a Brischis di Pulfero, la riparazione si ultimava il 14 marzo alle ore 5, il guasto era causato da un cedimento del terreno avvenuto a causa dell’erosione del fiume straripante.22
A seguito dell’eccezionale piena del Natisone del 4 novembre 1963 le acque limacciose penetravano nell’edificio di presa attraverso lo scarico, invadendo ed intorbidendo la galleria e la camera di partenza. L’acqua perdurava torbida per tutta la giornata del 5 novembre, nonostante lo svuotamento del serbatoio dei Bovi. Per la potenza dell’alluvione, il Consorzio era chiamato a rimettere in funzione anche gli acquedotti di Faedis e di Savogna.23
Il terzo presidente del Consorzio Acquedotto Poiana era Tito Brida, in carica dal dicembre 1923 al maggio 1926 e, per circa un anno, nel 1929-1930.
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Un danno consistente si aveva il 28 gennaio 1978, quando a seguito delle piogge persistenti e del disgelo un masso di grandi proporzioni rotolava dalla montagna, cadendo sulla conduttura principale a circa dieci metri dalla presa e provocando la rottura di un tubo. Dalla breccia di 1x0,30 metri fuoriusciva parte del liquido, riducendo la portata dell’acquedotto da 100 l/secondo a circa 80-85. Era impossibile l’accesso alla presa a causa della sommersione di tutta la zona delle sorgenti e solo il giorno dopo, in seguito al ritiro delle acque, si poteva procedere alle riparazioni.24 Nel maggio 1987, a causa della consistente erosione provocata dalle acque di piena del Natisone, si creava uno stato di enorme pericolosità per la stabilità di un tratto della nuova condotta adduttrice, su cui si interveniva con la dovuta urgenza.25
I TIMONIERI AI VERTICI Essendosi l’avvocato Giovanni Brosadola dimesso dalla carica di sindaco di Cividale – in tale frangente la carica era assunta temporaneamente dal Commissario Massimiliano Celli – nell’assemblea del 15 dicembre 1923 era eletto quale nuovo presidente consorziale il cav. Tito Brida, del Comune di Pavia di Udine. Gli succedeva nel 1926 l’avv. Antonio de Pollis, nominato sindaco della città ducale. Quando la carica di sindaco era sostituita da quella di podestà, il nuovo organigramma consorziale a partire dal 2 aprile 1927 era il seguente: presidente Antonio Pollis, membri
Antonio de Pollis, quarto presidente, dal 25 maggio 1926 al 29 febbraio 1928.
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della Giunta Tito Brida, Raimondo Puppi, Giacomo Tilatti e Agostino Angeli. Nell’aprile 1928, in seguito alle dimissioni di Antonio de Pollis da primo cittadino di Cividale,26 il membro anziano Tilatti declinava la proposta di sostituirlo ai vertici del Consorzio, per cui si doveva procedere a una nuova nomina. Operazione, questa, che si riteneva opportuno rimandare a quando Cividale avesse riavuto un rappresentante regolare, in quel frangente surrogato dal commissario Guglielmo Bianco, che era anche nominato presidente temporaneo del Consorzio.27 Nella seduta assembleare del 18 maggio 1929 era innalzato alla presidenza Tito Brida, che l’anno successivo si dimetteva da podestà di Pavia di Udine e pertanto il 30 maggio 1930 decadeva pure dalla carica consorziale. Dalla votazione del 21 giugno 1930 usciva eletto presidente Giuseppe Mulloni, in quel tempo podestà di Cividale. Dal 3 giugno 1931 Mulloni non era più podestà della città ducale, in sua vece partecipava alle riunioni consorziali Giuseppe Sandrini in veste di Commissario Prefettizio del Comune; in quel frangente faceva le funzioni del presidente del Consorzio Agostino Angeli, podestà di Remanzacco, in quanto membro anziano. L’avv. Giuseppe Sandrini era eletto presidente nell’assemblea del 27 giugno 1931, i membri della Giunta erano il rag. Aldo de Luca rappresentante di San Giovanni al Natisone e il dott. Rinaldo Accordini, rappresentante di Premariacco.28 Sandrini nel 1937 era nominato Presidente della Commissione Amministratrice del Consorzio.
Giuseppe Mulloni, quinto presidente, dal 21 giugno 1930 al 26 giugno 1931.
Giuseppe Sandrini, sesto presidente, dal 27 giugno 1931 al 21 novembre 1945.
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LA SECONDA GUERRA MONDIALE
I sabotaggi alle condutture nel 1943
In seguito all’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale – il 10 giugno 1940 – tutti gli stabilimenti industriali erano obbligati a provvedere nei loro impianti a quanto concerneva la protezione antiaerea. Il Consorzio Acquedotto Poiana era classificato di III categoria e doveva urgentemente attuare quanto previsto, ferme restando le disposizioni di legge per la distribuzione delle maschere antigas. La protezione contemplava una serie di dettagliate norme riguardanti l’oscuramento, l’allarme, il servizio antincendio, i ricoveri.29 Nel 1941 il Consorzio concedeva all’Amministrazione Militare tre utenze fuori territorio: in S. Pietro al Natisone per l’Ospedale Militare di Riserva, in Premariacco nella Villa Pontoni per le truppe accantonate, nella frazione di San Mauro al Campo Concentramento Prigionieri di Guerra.30 Con il prolungarsi del conflitto, il rifornimento del materiale idraulico diventava sempre più difficoltoso. Dal mese di giugno 1942 il Consorzio rimaneva senza tubulature di piccolo diametro e, a seguito di ripetute richieste, dopo sei mesi il Sottosegretariato di Stato per le Fabbricazioni di Guerra autorizzava il prelievo di 20 quintali di tubi metallici, con i quali in breve si attivavano 37 nuove utenze. Solo a distanza di un anno dall’ordinazione si poteva avere due tubi di ghisa da 420 mm, da tenere come scorta per eventuali rotture; il costo del paio di tubi con relativi manicotti era di 4.200 lire, gli stessi anteguerra si pagavano 1.400 lire. Pure per gli altri materiali di comune utilizzo, come cuoio, gomma, grassi, olio, carburo, canapa ecc. si aveva difficoltà di rifornimento, alle volte occorreva ripiegare come meglio si poteva, con riutilizzi e surrogati di ogni tipo. Il richiamo alle armi di due operai specializzati e di tutti i tre impiegati del Consorzio preoccupava seriamente la Direzione, per la situazione di comprensibile difficoltà creatasi; si assumeva una apprendista e una impiegata, istruendole velocemente per le varie mansioni da coprire.31 Nell’agosto 1942 l’assemblea deliberava la spesa di 1100 lire per l’invio di 11 pacchi, a beneficio dei combattenti in guerra.32 Dovendo completare la difesa antincendio di Cividale, si ordinavano alle officine di Forlì dieci idranti completi, che però rimanevano fermi alla stazione di partenza, in quanto le Ferrovie dello Stato non accettavano di effettuare il trasporto di tali merci. Solo dopo aver chiarito che il materiale si doveva considerare “per servizio di guerra” e che il Consorzio era stato dichiarato dalle Autorità Germaniche “Stabilimento ausiliario” si riusciva a sbloccare la spedizione, del peso complessivo di circa 700 chilogrammi.33
Al verificarsi di azioni di sabotaggio e di aggressioni nei dintorni di Cividale, il Consorzio si preoccupava per la sicurezza dell’acquedotto che poteva venire manomesso, specie nelle opere di presa e all’interruttore del Tiglio, essendovi stata sospesa fin dal giugno 1941 la sorveglianza militare. Si segnalavano le preoccupazioni al Comando della Difesa Territoriale di Udine, ma tale provvedimento era di specifica competenza dello Stato maggiore dell’Esercito, che disponeva per l’immediato ripristino del servizio di guardia alla presa e al Tiglio, iniziato ai primi di maggio 1943. Nella notte tra il 5 e il 6 luglio 1943 un nucleo di partigiani si avvicinava alla presa, i soldati di guardia intervenivano facendo uso della mitragliatrice e di bombe a mano, cui rispondevano colpi di fucile; all’arrivo di una pattuglia di alpini, gli incursori si dileguavano.34 Il 19 settembre 1943 i partigiani facevano saltare il ponte di Vernasso sul Natisone e la conduttura principale dell’acquedotto, collocata sul manufatto, precipitava nel fiume. I guasti all’impianto sono attribuiti al comandante Viktor Lazar “Slovenko”: (…) che era un guastatore. Egli era conosciuto in tutta la Benecia per aver Avviso con le misure prese per supplire all’interruzione dolosa dell’acquedotto, dopo i sabotaggi del settembre 1943. Il manifesto porta la data 12 ottobre 1943.
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fatto saltare in aria l’acquedotto del Pojana che riforniva d’acqua Cividale ed altre località del Friuli (…).35 La riparazione era di entità non indifferente, trattandosi di ricostruire la conduttura in ghisa del diametro di 420 mm all’altezza di 16 metri dal letto del fiume e sviluppata per una lunghezza di 32 metri. I lavori di armatura furono affidati all’impresa Brigo, l’unica disponibile sul posto e convenientemente attrezzata. Dal Comando germanico si ebbero molti materiali e una passerella metallica militare di 20 metri di luce, che facilitò parecchio l’operazione. Nel corso dell’esecuzione si dovette interrompere il lavoro per tre giorni, a causa dei combattimenti nelle immediate vicinanze e per l’emanazione di divieti di accesso nell’area, inoltre i partigiani requisirono l’autocarro che l’impresa Brigo aveva messo a disposizione per il trasporto dei materiali. Affinché rimanesse a continuare il lavoro, al personale dell’impresa fu necessario fissare una mercede superiore al normale, operando in zona pericolosa. Il 7 ottobre, quando il lavoro era giunto all’ultima fase e si stavano mettendo in opera i tubi definitivi, tre partigiani armati si presentarono sul cantiere, ordinando la demolizione di quanto già sistemato. Le obiezioni sulle grandi difficoltà in cui si sarebbero trovate Indicazioni per gli utenti, da seguire per la riattivazione del servizio idrico. Era necessario eliminare l’aria rimasta intrappolata nelle tubature durante le riparazioni effettuate, lasciando i rubinetti aperti e facendo scorrere a lungo l’acqua, 18 dicembre 1943.
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le popolazioni dei Comuni consorziati non sortirono effetto e l’operazione di abbattimento dei tubi collocati si dovette eseguire. Il personale presente si riservò un’ulteriore ora di tempo per lo smantellamento della passerella e dei castelli in legno, ma approfittando del momentaneo allontanamento dei partigiani, non sentendosi di demolire quanto con tanta fatica si era costruito, i pochi operai rimasti rientrarono a Cividale. La stessa sera i partigiani fecero saltare un tubo da 420 mm, interrompendo la giunzione provvisoria che era stata perfezionata per portare l’acqua almeno a Cividale e a Moimacco; il 13 ottobre fu fatta precipitare anche la passerella e il castello di sostegno verso S. Pietro. Del materiale portato sul luogo per le riparazioni, una parte fu recuperata, una parte distrutta o rubata e una parte rimase ancora in sito, non risultando possibile il suo recupero. La conduttura principale era interrotta in altri quattro punti: uno a Loch per un bombardamento germanico, gli altri in seguito a demolizione di piccoli manufatti fatti saltare dai partigiani.36 La popolazione suppliva ai bisogni come poteva, riattivando quelle fonti idriche che erano state abbandonate da decenni e a cui si pensava di non dover più ricorrere, come i pozzi. Nelle interviste orali condotte in vari Comuni, ho avuto la conferma che nei circa tre mesi di mancato funzionamento dell’acquedotto, i pozzi furono una risorsa provvidenziale in tante località. A Cividale sia riattivò quello detto di Callisto, posto dietro l’abside del duomo e assai sfruttato era anche quello presente nello Stabilimento degli Estratti Tannici, in località Crognolet; si ricorse pure alla fonte dei Mandolini in Rubignacco.37 Per le complesse condizioni locali, la ricostruzione di quanto demolito non poteva riprendere che il 21 novembre successivo. In tale intervallo, la conduttura principale subiva altri rilevanti danneggiamenti in nove punti, per interruzioni stradali provocate dai partigiani e per bombardamenti dei tedeschi; il 24 dicembre 1943 erano ultimati tutti i lavori e riattivato l’acquedotto.
Altri danni di guerra Il 13 febbraio 1944, con una mina era fatta saltare la conduttura per un tratto di 16 metri, il guasto era rimediato in quattro giorni. Nell’insieme, l’acquedotto subiva 11 interruzioni della conduttura principale lungo la strada statale n. 54, con danneggiamenti a 97,20 metri complessivi di conduttura di ghisa del maggiore diametro. Esaurite le scorte da 420 mm, si dovevano impiegare tubi di diametro inferiore (350 mm) e ripiegare sui pezzi speciali disponibili. Il danno a carico dell’azienda si aggirava sulle 420.000 lire, solo per provviste e lavori, cui
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andava aggiunta la somma di 100.000 lire per mancati proventi nel periodo di interruzione del servizio, dal 19 settembre al 24 dicembre 1943.38 Nel gennaio 1945 l’ufficio si trovava obbligato a consegnare ai partigiani una macchina da scrivere. In seguito ad azioni conflittuali svoltesi in borgo San Pietro tra partigiani e tedeschi il 28 aprile e il 1º maggio 1945, andavano in pezzi lastre di vetro nella sede dell’acquedotto e nella vicina abitazione, di proprietà Nicolausig Clementina in Cavarzerani.39 Nel periodo estivo successivo alla Liberazione, il funzionamento dell’acquedotto era turbato dagli eccezionali consumi delle Truppe Alleate, che causavano deficienze in talune parti della rete. Una presenza, quella degli Alleati, che prosciugava le riserve idriche ma in compenso era molto collaborativa, ad esempio dopo la rottura di un tubo della conduttura principale, il 26 luglio 1945 in località Sopravilla, con il determinante aiuto dei Genieri americani nella fasi di riparazione, in 24 ore l’acquedotto era rimesso in funzione. Quale «Premio di Liberazione», gli impiegati ricevevano in più 2/3 di una mensilità di stipendio, gli operai 144 ore di salario.40 Giovedì 25 ottobre 1945 aveva luogo la consegna dei lavori di ricostruzione del ponte di Vernasso.41 Si otteneva che la conduttura venisse mantenuta in opera senza interrompere il funzionamento dell’acquedotto e che la spesa relativa fosse assunta dallo Stato. Nel 1972, sfiorando i vent’anni dalla domanda, presentata il 14 aprile 1954, si concludeva la liquidazione dei danni della seconda guerra mondiale, con 1.380.210 lire.42
DA BERE AI MILITARI... Sin dal 1922 era stipulata una convenzione tra il Consorzio Acquedotto Poiana e la Sottodirezione del Genio Militare di Udine per la somministrazione d’acqua a uffici, corpi e stabilimenti militari dislocati nel territorio dei 12 Comuni consorziati. In quell’anno a Cividale si riforniva: Caserma Alpini, 9ª Compagnia Telegrafisti, Magazzini recuperi d’artiglieria e R. Guardia di Finanza; a S. Giovanni il Deposito munizioni, 5º Plotone automobilistico e Deposito munizioni di Medeuzza; a Cascina Rinaldi un Magazzino, a Manzinello il Deposito munizioni, a Risano il 10º Magazzino avanzato e 7ª Compagnia Minatori.43 Nel 1940 somministrava acqua potabile agli edifici militari di Cividale – ove erano stabilmente attive tre caserme – e, in Comune di San Giovanni al Natisone, al Deposito munizioni ubicato a Medeuzza. Oltre agli stanziamenti fissi, il servizio era esteso a reparti di passaggio o accantonati nei diversi Comuni consorziati e anche al di fuori di essi. Il rifornimento alle truppe accantonate avveniva in promiscuità con gli uten-
ti presso i quali erano acquartierate, oppure con impianti a uso esclusivo dei militari. In tal caso erano provvisti di contatore, dalle cui letture si calcolava l’effettivo consumo, mentre in promiscuità i consumi si desumevano dal numero delle presenze, in base a competenze giornaliere convenute tra la direzione dell’acquedotto e l’amministrazione militare, nel 1943 i valori erano di 40 litri ogni uomo, 50 litri per quadrupede e 80 litri per automezzo. Si rilevava che i militari generalmente sciupavano l’acqua, spesso trascuravano di chiudere i rubinetti, non di rado soggetti a guasti. Nella seconda guerra mondiale, quali concessioni militari dell’acquedotto non convenzionate – corpi di guardia, casermette, magazzini, ospedaletti – ve n’erano 4 a Cividale, 1 a Remanzacco, 1 a Buttrio, 3 a Pradamano e 1 a San Giovanni al Natisone; altre truppe erano accantonate in Villa Pontoni a Premariacco, cui si forniva una quantità giornaliera di 40 metri cubi. L’utilizzo di questo servizio proseguiva con intensità anche negli anni Cinquanta, ad esempio nell’ottobrenovembre 1953 in diversi Comuni erano dislocati vari reparti militari ai quali – tenendo conto del consumo convenuto per ogni presenza di 30 litri giornalieri e per ogni automezzo 50 litri – si forniva e si fatturava per tale bimestre un totale di 4.606,6 metri cubi d’acqua.44
... E AI PRIGIONIERI A Premariacco, in località S. Mauro dal 1940 si trovava il Campo di concentramento per prigionieri di guerra, denominato «PG 57 di Grupignano», al quale il Poiana forniva l’acqua, con un abbonamento di 100 metri cubi al giorno. L’Ufficio Lavori del Genio Militari avendo rilevato che al Campo concentramento prigionieri non arrivava acqua sufficiente, incaricava il Consorzio di provvedere al miglioramento del rifornimento idrico. A tal fine si progettava una nuova derivazione in fibronit del diametro di 100 mm, per la lunghezza di 1100 metri, con la spesa complessiva di 125.000 lire; i lavori erano portati a termine nel febbraio 1943.45 Una fatica poco sfruttata, in quanto il luogo di prigionia ove erano ospitati militari di nazionalità mista, catturati sui fronti di guerra dell’Africa, rimaneva attivo fino a pochi giorni dopo l’8 settembre 1943. Anche quando tutte le strutture erano definitivamente smantellate dalla popolazione locale, che le riutilizzava in vari modi, rimaneva ancora ben visibile la condotta dell’acqua, posta ai margini dell’ampio cortile.46 In seguito, la fontana di questo luogo era in concessione ordinaria al Comune di Premariacco, per la quale doveva pagare il consumo secondo la tariffa per privati, perché considerato fuori Consorzio, essendo socio solo per la frazione di Orsaria e l’ex Comune di Ipplis.
Mappa di confine tra l’Italia e la Repubblica Federale Jugoslava, con l’area circostante la presa della sorgente Poiana, stampata nel 1951 (particolare). La linea rossa di confine in un tratto segue la mediana dell’alveo del fiume Natisone.
QUEL TORMENTATO CONFINE Al termine del secondo conflitto mondiale, nella fase di delimitazione dei nuovi confini tra l’Italia e la Jugoslavia, in corrispondenza delle sorgenti Poiana sorgevano delle discordanze. La Sottodelegazione jugoslava affermava che il confine italo-austriaco passava lungo il cunicolo di presa e ciò faceva ricadere una porzione delle opere in territorio jugoslavo, mentre a mezzo della Delegazione italiana il Consorzio Poiana documentava, ampiamente e in varie forme, che la presa era stata costruita nel 1912 interamente in territorio italiano. A quel punto, l’ostica vertenza era rimessa alle rispettive Delegazioni.47 Nel 1935 i rappresentanti delle Province di Gorizia e di Udine avevano delimitato il confine amministrativo tra di esse, alla presenza anche dei Comuni interessati. Nello stesso anno il Catasto di Udine rilevava il Comune di Pulfero e la zona della sorgente Poiana; nella nuova mappa risultava chiaramente sia il nuovo limite tra le due Province sia come le opere di presa si trovassero tutte in quella di Udine. Purtroppo, tali rappresentazioni grafiche non avevano valore ufficiale perché non erano state pubblicate sulla Gazzetta
Ufficiale, in quanto dopo il rilevamento occorrevano mediamente 5-6 anni per le dovute classazioni dei terreni agli effetti erariali e i conseguenti appelli dei proprietari particellari; a causa della guerra, invece, non fu possibile ultimare l’iter e così valevano ancora le vecchie mappe, pur decretate come ‘sorpassate’ già molti anni prima. Si riteneva però che il rilievo catastale del 1935 costituisse un documento sufficiente a dimostrare la fondatezza della tesi italiana, perché il rilevamento di quel tempo era il risultato grafico degli accordi presi sul posto al momento delle relative misure tacheometriche, in altre parole il geometra aveva disegnato la mappa con la linea di demarcazione provinciale in quel modo, sicuramente con il consenso di tutte le parti interessate colà presenti.48 L’11 marzo 1947 il presidente e il direttore del Consorzio si recavano a Trieste per avere un primo colloquio con il colonnello De Renzi, capo della Delegazione italiana per la delimitazione dei confini italo-jugoslavi. Siccome la nuova delimitazione confinaria pareva dovesse passare lungo il rivo Poiana, adiacente alla presa, segnalavano le duplici preoccupazioni per l’acquedotto nel caso non fosse stata spostata: di ordine igienicosanitario – non si sarebbe più controllata la zona di protezione già costituita e di proprietà del Consorzio nel territorio ex austriaco – e di natura tecnica, in quanto eventuali scavi o manomissioni apportati nella metà del rio, se rimaneva alla Jugoslavia, potevano diminuire la portata per deviazione delle sorgenti o abbassamento
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della falda idrica. Inoltre, la dimora del custode sarebbe finita in territorio jugoslavo. A conclusione, si chiedeva che la linea di confine venisse allontanata di circa 300 metri a est o, come minimo, oltre la già esistente zona di protezione. Il colonnello, al quale era consegnata una dettagliata memoria scritta, riconosceva legittime le preoccupazioni e assicurava il suo appoggio. Il 21 marzo, informati che entrambe le sottodelegazioni dei due Paesi stavano eseguendo rilievi nella zona delle sorgenti, presidente, direttore e un ufficiale italiano subito si recavano sul posto, dove avevano un lungo colloquio con il capo della Sottodelegazione italiana, maggiore Albertini, che era già stato informato della situazione del Poiana. Come accennato all’inizio del paragrafo, non si raggiungeva l’accordo e la decisione si rimetteva alle Delegazioni. Si produceva una voluminosa documentazione, un altro corposo memoriale con disegni, fotografie, copie di lettere e documenti, si facevano diversi sopralluoghi con topografi e ciò dimostrava che la causa era presa in grande considerazione. Dopo gli interventi con la “Commissione italiana per la delimitazione dei confini con la Jugoslavia”, il Consorzio con note del 22 febbraio 194749 e 28 giugno 1948 chiedeva che il confine ex italo-austriaco dalle
adiacenze dell’edificio di presa venisse spostato verso il fiume Natisone, per la tutela igienica e tecnica delle sorgenti e per evitare che la zona di protezione venisse a trovarsi fuori dal suolo nazionale. La Commissione italiana per la delimitazione confini nella primavera del 1949 finalmente dava notizia dell’intervenuto accordo con la Commissione jugoslava per lo spostamento del confine fino al limite della proprietà del Consorzio, costituente la zona di protezione, oltre l’ex confine italo-austriaco; in tal modo il Consorzio assicurava alle sorgenti le garanzie igieniche e il ritorno in territorio italiano della casa del custode.50 Seguendo tale nuova linea, tracciata chiaramente sulle mappe, si faceva la posa definitiva dei cippi sul terreno, ma l’occupazione del suolo da parte jugoslava si manteneva sempre secondo il tracciato pre-accordo 1949. Nel 1965 il presidente del Consorzio chiedeva alla “Delegazione diplomatica italiana per la delimitazione del confine italo-jugoslavo” di intervenire presso le autorità competenti affinché il confine, già regolarmente ‘incippato’ sin dal 1949, fosse reso al più presto operante in modo da permettere ai propri operatori i sopralluoghi, i controlli e i lavori necessari alla sicurezza igienica della sorgente.51
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CAPITOLO XII
Seduta del 18 maggio 1929, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Sedute del 28 febbraio e 22 agosto 1942, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. Seduta del 4 aprile 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2678. GENTILLI 1964, pp. 537-538. L’Autore sottolinea che all’epoca di pubblicazione della sua ricerca (anno 1964), il dato del 1921 rappresentava ancora il minimo assoluto di piovosità. Comunicazioni del 2, 4 e 10 gennaio 1922, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pavia di Udine. GENTILLI 1964, p. 538. Seduta del 21 ottobre 1929, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, p. 13. Seduta del 9 novembre 1946, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1 b. Seduta del 24 febbraio 1948, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 1 a. Seduta del 28 dicembre 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 1. Seduta del 15 dicembre 1962, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 1 a. Seduta del 26 agosto 1967, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1967-1969, n. 1199. Seduta del 25 ottobre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1522. Seduta del 4 novembre 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2728. Seduta del 3 settembre 1986, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1986, n. 2794. MARCHESE 2003, p. 95, nota 38. Seduta del 9 gennaio 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, punto 1b. Le cronache registrano che il 13 ottobre 1933 caddero ben 254 mm di pioggia, GENTILLI 1964, p. 538. La domanda di sussidio era inoltrata il 21 giugno 1934, ACAP, cart. Amministrazione militare, Imposte e Tasse (...) 1931-1937. ACAP, Cart. Contatori, Catalogo, Ufficio, Statistica 1937-1945, fasc. Ufficio. GENTILLI 1964, p. 538. Seduta del 13 dicembre 1958, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 1. Seduta del 19 ottobre 1963, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 1 b. Seduta del 16 novembre 1963, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 1 e. Seduta del 16 febbraio 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2035. Seduta del 26 maggio 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2855. Venuti a conoscenza del fatto il 18 maggio 1987, lo stesso giorno era effettuato il sopralluogo con il prof. Cola, che preventivava un intervento del costo di 105 milioni di lire. L’Impresa che si trovava sul posto per i lavori del 3° stralcio di ripristino dell’adduttrice principale, accettava di eseguire anche gli interventi straordinari, su cui l’Ufficio del Genio Civile di Udine accordava il proprio nullaosta idraulico per l’esecuzione dei lavori, che venivano avviati con la massima tempestività, trattandosi di un evento di emergenza da porre in atto senza alcuna dilazione di tempo. Presidente del Consorzio dal 25 maggio 1926 al 11 febbraio 1928, Antonio de Pollis decedeva il 21 novembre 1928. Seduta del 28 aprile 1928, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19241929. Seduta del 27 giugno 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 48, punto 7. Comunicazione del Podestà di Cividale del 29 gennaio 1941, ACAP, cart. Contatori, Catalogo, Ufficio, Statistica 1937-1945, fasc. Ufficio.
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Seduta del 31 ottobre 1941, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 4. Seduta del 27 febbraio 1943, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punti 1 b, 1 c. Seduta del 22 agosto 1942, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1 e. Comunicazione del Consorzio al Capo stazione di Forlì del 13 marzo 1944, ACAP, cart. Contatori, Catalogo, Ufficio, Statistica 1937-1945, fasc. Bocche incendio. Seduta del 30 ottobre 1943, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1. Il dato è riportato in OSGNACH 1982, p. 152. Ringrazio Giuseppe Furlan per questa indicazione bibliografica. Tutti gli avvenimenti citati sono riportati nel verbale della seduta del 30 ottobre 1943, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1. Informazione orale di Paolo Rossi, terzo figlio del direttore dell’acquedotto Giuseppe Rossi, che risiedeva con la famiglia al primo piano della sede consorziale. Il dott. Paolo ricorda nitidamente la situazione di grande disagio che si era creata con i guasti deliberatamente provocati alle condutture; la loro riparazione, essendo resa molto difficile dalla particolare situazione del conflitto, richiedeva una continua presenza di suo padre a Vernasso, per dirigere i lavori e cercare di procurare i pezzi idraulici necessari, con le difficoltà acuite dalla mancanza di idonei mezzi di trasporto. Si ringrazia il dott. Rossi per le informazioni cortesemente fornite. Seduta del 16 marzo 1944, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1. Documento del 7 settembre 1945, ASMunCiv, cart. 338 (vecchia numerazione) Cat. X Varie 1936-1949. Seduta del 22 novembre 1945, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1/3. La comunicazione della consegna del ponte era inviata da Udine il 22 ottobre 1945, ACAP, cart. Contatori, Catalogo, Ufficio, Statistica 19371945, fasc. Ufficio. Seduta del 25 agosto 1972, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1970-72. Seduta del 23 marzo 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1920-1921 [1922]. Dati tratti da documenti dal 1940 al 1953 in ACAP, cart. 1946-1965 Commissione Amministratrice/ Assemblea Consorziale/ Personale/ Amm.ne Militare/ Imposte, Tasse, Redditi, Cataloghi, Listini, Offerte/ Manufatti, fasc. Commissariato Militare XI C. A. Convenzioni. Seduta del 27 febbraio 1943, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, p. 44. Tale presenza è citata in ZACCURI 1996, pp. 33-34. Seduta del 24 luglio 1947, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19381947, punto 1 a. Tali considerazioni erano espresse dal topografo Giuseppe Raiser e dal maggiore Giovanni Braca, in relazioni compilate a Trieste il 24 e 25 aprile 1947, ACAP, cart. Planimetrie Progetto dell’acquedotto. Cartelle n. 1-33, fasc. Sorgente Poiana. Rettifica Confine di Stato. Della regolazione dei confini nei pressi della sorgente Poiana, con il coinvolgimento della Prefettura, l’effettuazione dei rilievi topografici e la predisposizione della planimetria a corredo della richiesta di rettifica si discuteva nella seduta del 21 febbraio 1947, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1 c. Seduta del 17 marzo 1949, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 1 a. Richiesta del presidente avv. Guglielmo Pelizzo del 17 aprile 1965, ACAP, cart. Planimetrie Progetto dell’acquedotto. Cartelle n. 1-33, fasc. Sorgente Poiana. Rettifica Confine di Stato. Tra il materiale allora fornito ai destinari della richiesta vi era anche la copia della relazione La questione ‘sorgente del Pojana’. Esame dei dati alla luce del Trattato Italo-Austriaco e dell’ordinamento Giuridico Austriaco, elaborata nel 1947 dal capitano Enzo Campanella, componente della Delegazione italiana.
XIII CAPITOLO TREDICESIMO
IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
IN SANATORIA Dopo aver appreso che, con Decreto Reale del 5 febbraio 1923, il rugo Poiana era stato inscritto nell’elenco delle acque pubbliche e quindi demaniali, su consiglio dell’avv. Pacelli non si attuava alcuna iniziativa e si rimaneva in attesa degli eventi, in quanto era ancora in corso la causa di opposizione contro l’iniziativa della Società Elettro Ferroviaria Italiana, che intendeva derivare una parte delle acque del fiume Natisone per alimentare una centrale idroelettrica. Solo nel 1928 i legali Rainer e Pacelli ritenevano fosse giunto il momento di inoltrare la domanda di sanatoria della concessione;1 l’Assemblea deliberava di accogliere tale indicazione, chiedendo al Ministero dei LL. PP. la concessione di derivare dalle sorgenti Poiana 150 litri/secondo, a sanatoria della derivazione già attuata e funzionante da lungo tempo.2 Con Regio Decreto 8 luglio 1943 n. 2532, registrato alla corte dei Conti il 26 agosto 1943 reg. 18 LL. PP., foglio 71, era concesso ‘in via di sanatoria’ al Consorzio Acquedotto Poiana di derivare dalle sorgenti del rio Poiana, in località Tarpacione del Comune di Pulfero, su domanda presentata il 4 settembre 1928,3 con allegato progetto dell’ing. de Toni del 1º settembre 1928. Erano concessi 1,27 moduli d’acqua per l’alimentazione dell’acquedotto, con decorrenza dal 1º luglio 1914, per 70 anni; la concessione scadeva il 30 giugno 1984. La domanda di rinnovo era presentata il 14 febbraio 1984 ed era accolta con decreto del 22 novembre 1990, n. 2325 Div. III/AE registrato alla Corte dei Conti il 12 giugno 1991, per la durata di settant’anni, successivi e continui, decorrenti dal 1º luglio 1984, giorno successivo alla scadenza dell’originaria concessione.
LA TASSA DI RISCOSSIONE Constatando che il servizio di esattoria per gli incassi degli utenti lasciava molto a desiderare, nel giugno 1923 si deliberava di eseguire le riscossioni
direttamente a domicilio, a mezzo di agenti dipendenti del Consorzio. Dal 1º bimestre 1923 a ogni bolletta era applicata una tassa di riscossione di 0,50 lire, evitando in tal modo all’utente la perdita di tempo per recarsi all’Esattoria o facendo risparmiare le spese postali.4 Poco dopo, però, si evidenziava come quei 50 centesimi gravassero eccessivamente sulla maggioranza degli utenti, avendo verificato che le bollette si potevano così raggruppare: importi fino a 10 lire il 60%, da 10 a 20 lire il 20%, da 20 a 50 lire il 16% e superiori a 50 il 4%. Per un doveroso criterio di equità, già nella successiva seduta assembleare si modificava la tassa di riscossione a domicilio, in base agli importi riscossi: per importi fino a 10 lire tassa di 30 centesimi, che saliva poi, all’aumentare della bolletta, a 50, raggiungendo 1 e 2 lire per i consumi più elevati.5
NOTIZIE ASSORTITE DEGLI ANNI TRENTA Nel novembre 1930 erano concesse tre fontane al Comune di Pulfero, per le borgate di Stupizza, Loch e Pulfero, che ne erano sprovviste, con una erogazione massima di 0,45 litri/secondo. Data la vicinanza delle sorgenti, ciò non avrebbe portato alcun pregiudizio al buon funzionamento della rete.6 Il 18 luglio 1936 furono ultimati i lavori per la ricostruzione della passerella sul Natisone per l’accesso alle sorgenti. Si acquistarono a condizioni di favore le funi portanti, usate ma in perfetta efficienza, realizzando così una sensibile economia e nei momenti di minor lavoro si allestì tutto il materiale metallico. Il montaggio fu attuato dal personale del Consorzio e solo per la costruzione degli ancoraggi e dei piloni si ricorse a manodopera avventizia. La spesa complessiva risultò di 21.600 lire, sensibilmente minore rispetto alle 28.400 preventivate da una ditta specializzata.7
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IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
Fondamentale risulta l’emanazione del Regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775 Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, ove vi è anche la trattazione dei «Consorzi per l’utilizzazione delle acque pubbliche». Il decreto afferma il principio della natura pubblica e della necessità di intervento della pubblica amministrazione per la gestione delle acque. Nel 1936 è pubblicato l’esito del lavoro della Commissione Nazionale per la Potabilizzazione delle Acque: Criteri di potabilità e norme di potabilizzazione delle acque, mettendo così a disposizione un quadro unico di riferimento con cui stabilire i criteri ufficiali per la definizione dell’acqua potabile e dei controlli da eseguire a tal fine.
GLI USI DELL’ACQUA Il dibattito sulla possibilità e sull’opportunità di aggregare al Consorzio Poiana i due Comuni di Cormòns e Brazzano, che nel 1925 avevano avanzato tale richiesta, era molto ampio. Il nodo centrale era quello dell’effettiva quantità d’acqua a disposizione, tenendo conto dei fabbisogni del momento e di quelli futuri; basandosi sul censimento del 1921, in 5 anni la popolazione dei Comuni consorziati era aumentata di 2.800 unità e in mezzo secolo si presumeva crescesse di 28.000 abitanti. Anche l’ufficio tecnico municipale di Cividale dava il suo contributo alla discussione, attraverso una relazione elaborata dall’ing. Ruggero della Torre il 20 marzo 1926, con la quale si conosce dettagliatamente la situazione idrica della città ducale in quel frangente, con alcune considerazioni generali estensibili a tutto il territorio. Ad esempio, il tecnico rilevava che nel passato la popolazione aveva sempre dovuto faticare per contrastare la cronica mancanza d’acqua e, essendo recente la realizzazione dell’acquedotto, non era ancora abituata a impiegare il liquido disponibile in tutti gli usi relativi alle condizioni del moderno vivere e per le esigenze igieniche di persone, abitazioni e pubblici servizi. Il numero delle case provviste di bagni, latrine, lavandini ad acqua era ancora irrisorio. Una recente ordinanza prefettizia aveva fatto obbligo di introdurre tali apparecchi negli alberghi ed esercizi pubblici, che ne erano nella quasi totalità ancora sforniti, ma non era lontano il giorno in cui tale obbligo sarebbe stato esteso anche alle case private. Inoltre, proseguiva l’ing. della Torre, riguardo ai pubblici servizi si può dire che in essi l’acqua manchi quasi completamente: l’inaffiamento stradale con carri botte è fatto insufficientemente, mentre sarebbe desiderabile venisse eseguito con il getto diretto degli idranti; gli orinatoi pubblici sono sprovvisti del getto d’acqua; i bagni pubblici non esistono, il giardino pubblico non viene mai innaffiato, ecc. ecc.
Lavaggio dei panni a Bolzano (San Giovanni al Natisone). La foto è stata scattata da militari, nel 1916 (collezione Felice Peressin). Era calcolato che l’acqua disponibile per gli usi personali d’alimentazione, di pulizia, per lisciviazione, ovvero il bucato della biancheria, e igiene della casa era di circa 120 litri per abitante.
Donna che si reca ad attingere l’acqua con i recipienti in rame, portati con l’arconcello, nel paese di Medeuzza (San Giovanni al Natisone). Collezione Felice Peressin.
IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
La situazione rilevata nel 1926 a Cividale era quella esposta qui di seguito. In base al progetto del 1911, la città aveva una competenza di 25 l/secondo, pari a un quantitativo giornaliero di 2.160.000 litri. In generale, gli altri Comuni possedevano una competenza per abitante superiore a Cividale, in quanto quest’ultima aveva a disposizione 1/4 della portata dell’acquedotto, mentre la sua popolazione era quasi 1/3 di quella dei consorziati. I litri giornalieri erano teorici, infatti nel progetto si era calcolata una portata di 100 l/sec, mentre dalle misurazioni eseguite essa risultava di 97 litri, inferiore del 3%. Inoltre occorreva tener conto delle inevitabili perdite lungo le condutture e della minor portata effettiva, in conseguenza dell’adozione nel progetto 1911 di coefficenti di attrito alquanto bassi nel calcolo delle tubature; l’insieme delle perdite poteva ammontare al 12%. La popolazione di Cividale al 1º gennaio 1926 era di 12.276 abitanti, più 690 di popolazione fluttuante (650 Orfani dell’Istituto di Rubignacco, cui si sommavano gli altri giovani ospitati dal Convitto Nazionale, dalle suore Orsoline e i bambini dell’Istituto Umanitario di Carraria). Ne risultava una competenza giornaliera di 146,6 litri per abitante. Per inciso, va ricordato che i quantitativi indicati dall’Ufficio Superiore di Sanità subivano negli anni delle consistenti modificazioni, il Governo a fine Ottocento basava il limite di concessione dei propri sussidi su 45 litri per abitante nelle 24 ore, ritenendoli più che sufficienti, poi si saliva a 100 e, all’epoca della progettazione del Poiana, a 125 litri. Come veniva consumata la competenza giornaliera nel 1926 a Cividale? Dagli accertamenti eseguiti, risulta che per i pubblici servizi, l’ospedale con la lavanderia e le industrie locali si usavano circa 300.000 l/giorno, corrispondenti a 23,1 l/abitante. Per l’abbeveraggio del bestiame (oltre 2.000 capi grossi) se ne andava una quantità pari ad altri 5,5 l/abitante. Il volume d’acqua che rimaneva per gli usi personali d’alimentazione, di pulizia, per lisciviazione e igiene della casa era quindi di 118 l/abitante. Queste cifre corrispondevano alla portata normale, che in tempi di magra si riduceva notevolmente, ad esempio nel dicembre 1921 e gennaio 1922, a causa della siccità la portata da 100 era scesa a soli 30 l/secondo. Il serbatoio dei Bovi nei primi tempi sfiorava da 10 a 15 l/secondo di acqua in eccesso durante tutte le 24 ore, in seguito sfiorava solamente nel periodo notturno, circa 2-3 litri. Dunque la portata di 97 litri era totalmente consumata dai dodici Comuni e, nelle ore di maggior erogazione, l’acqua molte volte non arrivava nelle zone più elevate di Spessa, Gagliano, Fornalis e Carraria.8 Carta intestata del Consorzio, con la specificazione ‘Azienda Municipalizzata’, status acquisito nel 1932. Si noti il numero di telefono (20), che era stato installato in sede nel 1928.
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Nel 1936 era emanato un quadro unico di riferimento per i criteri relativi alla potabilità dell’acqua. Nell’immagine sono riportati i risultati dell’analisi dell’acqua, prelevata il giorno 29 luglio 1919 all’interno dell’edificio di presa a Stupizza ed eseguita dal prof. Domenico Feruglio, direttore del Regio Laboratorio di Chimica Agraria di Udine (da Relazione 1920, p. 19). Per la costante limpidezza, la temperatura e per il complesso dei caratteri fisico-chimico-microbiologici, quella della Poiana fu ritenuta fra le migliori acque potabili di cui dispone la nostra provincia.
IL CONSORZIO SI MUNICIPALIZZA Il Consorzio Poiana, costituito per decreto prefettizio, era un servizio intercomunale gestito in economia e quindi per il suo funzionamento, deliberazioni, finanze, contabilità, vigilanza e ingerenza governativa era soggetto a tutte le norme cui erano sottoposti i Comuni. Aveva una personalità giuridica propria e un’amministrazione distinta dai Comuni, per conto dei quali gestiva l’esercizio dell’acquedotto. La Giunta Provinciale Amministrativa di Udine nell’approvare il nuovo Regolamento di gestione, il 5 agosto 1931 invitava il Consorzio a trasformarsi in una Azienda Municipalizzata, in conformità alle disposizioni della legge 15 ottobre 1925 n. 2578.
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IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
Prima di prendere qualsiasi decisione, il Consorzio poneva dei quesiti alla Federazione Nazionale Fascista delle Aziende Municipalizzate con sede in Roma, per conoscere vantaggi e aggravi legati alla nuova forma di gestione proposta. Emergeva che essa avrebbe risposto a un criterio assai più confacente alle disposizioni di legge in materia di pubblico servizio, in quanto un acquedotto consorziale come il Poiana – dalla forma ibrida di servizio intercomunale in economia – doveva sottostare a tutti i vincoli burocratici propri dei Comuni, che mal si adattavano alla gestione di aziende con carattere industriale. L’ordinamento del Consorzio allora vigente era già molto simile a quello fissato dalla legge n. 2578, sarebbe bastato ritoccare lo Statuto e il Regolamento per metterli pienamente in armonia. I vantaggi conseguibili erano evidenti, in quanto le prescrizioni legislative cui attenersi erano molto più semplici, ad esempio gli atti della Commissione Amministratrice – nella sostanza corrispondente alla Giunta Consorziale – non erano soggetti all’approvazione dell’Autorità tutoria.9 In sostanza, la trasformazione non avrebbe mutato il funzionamento amministrativo, si sarebbero invece snellite le pratiche burocratiche attribuendo alla Commissione Amministratrice maggiore responsabilità. Anche la Prefettura, cui ci si era rivolti per avere più precise indicazioni in merito, dimostrava la necessità e l’opportunità della trasformazione. Tenuto conto delle indicazioni e dei pareri ricevuti, l’Assemblea il 22 dicembre 1932 deliberava, all’unanimità, la trasformazione della forma di gestione in Azienda Consorziale Municipalizzata, soggetta alla legge 15 ottobre 1925 n. 2578 e al relativo Regolamento. Nella medesima seduta si deliberavano anche le varianti e le aggiunte allo Statuto, per adattarlo alle disposizioni della legge sulle municipalizzazioni.10 L’Azienda era inquadrata nella “Corporazione dell’Acqua”.
IL NUOVO STATUTO E IL REGOLAMENTO DEGLI ANNI TRENTA L’assemblea nella seduta del 22 novembre 1930 aveva deliberato il nuovo Statuto, approvato dai singoli Comuni consorziati e reso esecutivo dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 20 dicembre 1930. Come ora visto, la proposta trasformazione in Azienda Municipalizzata trovava attuazione in breve tempo e, nella stessa seduta assembleare del 22 dicembre 1932 ove essa era deliberata, si procedeva pure con i conseguenti adattamenti dello Statuto, che sarebbe andato in vigore il 1º gennaio successivo alla data della sua approvazione. Le varianti e le aggiunte riguardavano gli articoli 1, 7, 8, 10 e 11, per adattare l’Azienda al nuovo stato del servizio assunto con
il suo progressivo sviluppo e per la precisazione dei rapporti tra i Comuni e il Consorzio.11 La Giunta Provinciale Amministrativa di Udine nella seduta del 20 novembre 1935 approvava il nuovo testo dello Statuto, composto da 14 articoli. Nel primo di essi si cancellavano i Comuni di Corno di Rosazzo e di Ipplis, in quanto fusi rispettivamente con S. Giovanni al Natisone e con Premariacco, inoltre si specificava che oltre alla manutenzione era attribuito anche “l’esercizio dell’impianto e la gestione delle utenze”. Nell’Assemblea consorziale del 21 settembre 1936 era deliberata l’approvazione del nuovo Regolamento speciale, formato da 71 articoli. Rimanendo in tema di regolamenti, la necessità di redigerne uno nuovo per la distribuzione dell’acqua ai privati emergeva nel 1957, quando si riteneva quello adottato nel 1930 ormai sorpassato, con lacune che potevano dar adito a interpretazioni non chiare da parte degli utenti. Era nominata una Commissione di studio per la redazione di uno schema del nuovo Regolamento, da sottoporre all’Assemblea nella seduta successiva.12 La nuova edizione del “Regolamento per gli utenti” era approvata dall’Assemblea il 28 dicembre 1957.
PAGHE ORARIE Il Consorzio si avvaleva spesso di operai avventizi per le opere praticate nei vari Comuni consorziati, perseguendo così un’economia interna e offrendo nel contempo un contributo efficace all’attenuazione della pesante disoccupazione locale. I limiti delle mercedi orarie da corrispondersi alle varie categorie di operai avventizi, conformemente all’articolo 10 del Regolamento Organico, nel 1930 erano così fissati: A fontanieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . da 2,90 a 3,45 lire B aiutanti fontanieri . . . . . . . . . . . . . . . . da 1,70 a 2,20 lire C muratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . da 2,70 a 3,20 lire D manovali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . da 1,50 a 2,00 lire Queste invece le tariffe all’ora applicate nei lavori eseguiti per privati o Comuni, sempre nel 1930: In Comune di Cividale (senza trasferta) A fontanieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3,45 lire B aiutanti fontanieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,50 lire C muratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3,40 lire D manovali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,20 lire Fuori del Comune di Cividale (con trasferta) A fontanieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,75 lire B aiutanti fontanieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3,30 lire C muratori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4,40 lire D manovali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2,20 lire Dal novembre dello stesso anno vi era una riduzione degli stipendi del 12%.13
IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
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LE UTENZE CRESCONO Vi erano varie categorie di utilizzatori del servizio dell’acquedotto Poiana, anzitutto gli utenti privati della popolazione residente nei Comuni consorziati, cui si univano poche decine di utenze fuori Consorzio, a favore di case che sorgevano adiacenti ai confini comunali. Nel 1924 le 2.200 utenze erano così suddivise nei Comuni consorziati: Buttrio 137, Cividale 615, Corno di Rosazzo 85, Ipplis 61, Manzano 198, Moimacco 56, Pavia di Udine 334, Pradamano 92, Premariacco 75, Remanzacco 179, S. Giovanni di Manzano 239, Trivignano Udinese 129. L’anno 1925 vedeva un incremento di 310 nuove utenze, raggiungendo il totale di 2513: Buttrio 150, Cividale 646, Corno di Rosazzo 90, Ipplis 72, Manzano 236, Moimacco 71, Pavia 442, Pradamano 157, Premariacco 80, Remanzacco 190, S. Giovanni di Manzano 248, Trivignano Udinese 148. Vi era la concessione ai Comuni, gratuita, per servizi quali scuole, uffici, ambulatori, ecc. Inoltre si concedeva l’acqua alle ferrovie, in media per il rifornimento di una decina di stazioni, e alle forze militari, comprendenti sia le grandi caserme che i piccoli distaccamenti. Completava l’utilizzo dell’acqua il servizio antincendio tramite idranti, distribuiti in tutto il comprensorio della rete acquedottistica, che negli anni CinquantaSessanta si aggirava mediamente sui 150 pezzi. Indennità di trasferta da corrispondere al personale dell’acquedotto Poiana, per prestazioni del mese di dicembre 1920.
LA RETE SI ESTENDE ANCORA Ottenendo nell’autunno 1945 una fornitura di 26 quintali di tubi, già nell’immediato secondo dopoguerra si poteva procedere con gli allacciamenti di molteplici nuove utenze, anche se permaneva la difficoltà nel rifornimento delle rubinetterie e dei raccordi.14 Nel 1949 si ampliava la rete per complessivi 2.380 metri a Lauzacco, Manzano e Remanzacco. L’anno seguente i metri di ampliamento erano 1.478, così distribuiti e con il relativo costo: Remanzacco, località Magnis . . . . . 429 m . . . 226.000 L Cividale, Rualis e Darnazzacco . . . 204 m . . . 118.021 L San Giovanni, via Nuova . . . . . . . . . 291 m . . . 226.330 L Manzano, via della Libertà . . . . . . . 220 m . . . 187.485 L Pradamano, via Stazione . . . . . . . . . 334 m . . . 155.725 L Al 30 giugno 1957 lo sviluppo delle reti principali risulta di 289,086 chilometri, con un aumento di 2.230 metri rispetto al 31 dicembre 1956. Modello di domanda per la richiesta di divenire utenti dell’acquedotto Poiana, compilata il 13 agosto 1929 per un’abitazione di Trivignano Udinese.
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IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
I NUMERI DEL CONSORZIO Si riportano, riuniti in quadri riassuntivi, i dati numerici sull’evoluzione delle varie tipologie di utenze, specificando che i documenti disponibili non hanno consentito di coprire, con la desiderata precisione, tutti gli anni. Incremento delle utenze private nell’intero territorio consorziale dei 12 Comuni 1919 . . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 (...) 1922 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 1.620 1923 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 1.850 1924 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 2.200 1925 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 2.513 1926 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 2.639 1928 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 2.715 1931 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 3.006 1932 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 3.010 1933 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 3.030 1934 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 3.056 1935 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 3.123 (...) 1946 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 3.816 (...) 1950 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 4.284 (...) 1954 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 4.843 1955 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 5.057 1956 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 5.565 (...) 1958 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 6.132 (...) 1960 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 7.158 1961 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 7.387 1962 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 7.687 1963 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 7.967 1964 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . . . 8.386 (...) 1984 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 15.580 (...) 1995 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 19.171 1997 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 19.542 1998 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 19.801 1999 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 20.127 2000 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 20.472 2001 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 20.732 (...) 2007 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 22.215 2008 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 22.481 2009 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 22.642 2010 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 22.793 2011 . . . . . . . . . . . . totale . . . . . . . . . . . . . 22.849
Utenze fuori Consorzio 1934 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 1935 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 1946 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 1950 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 1956 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 1957 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43 1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48 Utenze Comunali 1934 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44 1935 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 1946 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75 1950 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 1954 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 1955 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 97 1957 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 1960 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 Utenze ferroviarie 1950 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1953 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1956 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Utenze militari 1950 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1953 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 1956 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Idranti antincendio 1950 (comunali 127, privati 15) 142 1954 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152 1956 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 1957 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 1960 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 1961 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 1962 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 153 1963 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154 1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 154
IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
ALTOLÀ ALLE FUGHE Ci facciamo una canna? Per la precisa localizzazione delle perdite idriche sulle tubature interrate, e quindi non visibili, era comprensibile il desiderio di avere a disposizione strumenti in grado di agevolare questa complicata e laboriosa ricerca. La prima tecnica a giungere in aiuto alle maestranze dell’acquedotto si basa su metodi acustici: quando l’acqua sotto pressione fuoriesce dal tubo ove scorre produce rumore, più forte se è metallico, meno intenso con altri materiali. La vibrazione provocata dalla fuoriuscita dell’acqua sul terreno circostante, può essere localizzata in superficie tramite apparecchi in grado di amplificare i rumori prodotti. I primi sussidi di tale tipo utilizzati dal Consorzio Poiana erano canne acustiche, ovvero degli ‘apparecchi idrofonici a bastone con amplificatori in ebanite’. La proposta del loro utilizzo perveniva al Consorzio nel 1933, da parte della ditta artigiana Umberto Lazzari di Genova, ed era accolta. Un altro ‘apparecchio ricercatore’ dalle medesime caratteristiche era acquistato due anni dopo e altri esemplari si compravano ancora nel 1941 – in
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quell’anno costava 180 lire – e nel 1943, assieme a dischi di ebanite quali pezzi di ricambio per gli ascoltatori.15 Pur risultando decisamente datate come tecnologia, l’uso delle canne acustiche proseguiva nel tempo. Nel 1951 il Consorzio inoltrava l’ordine per altri due bastoni idrofonici alla medesima ditta fornitrice di Genova, apprendendo che il prezzo era schizzato alle stelle, avendo raggiunto le 15.000 lire. Dieci anni dopo, la richiesta di un altro paio di apparecchi idrofonici a bastone non poteva essere evasa, in quanto la ditta genovese Lazzari aveva ormai cessato la loro produzione. Anche il tentativo dell’aprile 1964 presso la ditta ‘Augusta’ di Rovereto (Trento) naufragava, in quanto la stessa rispondeva che non costruiamo le canne acustiche che ci richiedete perché le riteniamo da lungo tempo ormai superate. Nonostante la dichiarata obsolescenza del prodotto, il personale riteneva offrisse ancora un buon aiuto per individuare le perdite e l’ufficio tecnico consorziale continuava le ricerche, fino a scovare un’altra ditta genovese, quella di Antonio Spinetta, che nello stesso 1964 era in grado di fornire il suo modello di canna acustica, formata da due pezzi in ‘segaleo’,16 con raccordi in bronzo avvitabili e accessori in ebanite per ascolto, dotata di cornetto d’ascolto. È l’ultima traccia documentaria di que questo ausilio acustico, così lungamente utilizzato.
Le olive (dei geofoni) fanno male
La canna acustica per la rilevazione delle perdite sotterranee era in dotazione al Consorzio Poiana sin dal 1933 ed essendo di facile e pronto uso, veniva utilizzata per parecchi decenni. Gli ultimi esemplari erano acquistati alla metà degli anni Sessanta, in seguito uscivano di produzione, soppiantati da modelli più sofisticati di ‘geofoni’. Nella foto, acclusa a materiale informativo inviato al Consorzio Poiana nel 1930, si vede l’operatore mentre usa la canna.
Per l’ascolto su sede stradale risulta più idoneo l’uso P m di microfoni a piastra, posati sul terreno. L’anno 1930 u precoce dimostrazione dell’uso di un geofono – la a una cui forte amplificazione permette di sentire alla superfici ficie del suolo il rumore della perdita d’acqua sotterranea – assisteva anche il direttore Giuseppe Rossi; l’ac l’acquedotto di Udine ne acquistava subito un paio, che imp impiegava con successo. In breve tale apparecchio entra trava in dotazione anche del Consorzio Poiana, che nel 193 1931 ne comprava un esemplare, del costo di 1800 lire. Era commercializzato dalla ditta Siemens di Milano e, in bbase alla sua descrizione presente nel materiale illustr strativo del tempo, era composto essenzialmente di 2 gra grandi membrane di rame, ciascuna provvista di due capsule m microfoniche di alta sensibilità , con due telefoni, due elemen menti a secco, relativi morsetti di attacco e conduttori di coll collegamento, il tutto disposto in una scatola comodame mente trasportabile. L’operatore collocava le due me membrane sul terreno, sopra la condotta d’acqua, a una dis distanza tra esse di una decina di metri al massimo, bad badando che fossero in buon contatto con il terreno anc anche nella parte centrale, non solo con i bordi. Per evi evitare altri suoni di disturbo, il periodo migliore per l’us l’uso del geofono era la notte. Scambiando i due telefon foni all’orecchio, era possibile stabilire in quale direzio zione il rumore fosse maggiormente udibile e poi,
Per ridurre i lunghi e gravosi lavori di sterro necessari all’individuazione delle perdite sotterranee dei tubi, dagli anni Trenta ci si avvaleva di apparecchi acustici. Si usano ponendo due membrane sul terreno, sopra la condotta d’acqua e con l’uso di auricolari si capta il rumore dell’acqua in scorrimento. Confrontando le differenze di suono si riesce a stabilire in quale direzione si trova il guasto del tubo.
trasportando in altri punti le membrane, via via si delimitava con maggior precisione la zona del guasto. Il prodotto non era proprio entusiasmante, almeno a giudicare dalla richiesta indirizzata nel 1951 alla Siemens, di un altro apparecchio per ricerca delle fughe d’acqua, in sostituzione di quello acquistato nel 1931 che si guasta facilmente e di poco pratico uso. La ditta proponeva il ‘Geophon’, al prezzo di 39.900 lire, acquistato dal Poiana. Era dotato di nuovi ricevitori, dall’innovativa forma a oliva, che dovevano essere introdotti con cura nel condotto auricolare dell’operatore, per escludere i rumori complementari o estranei. Proprio quello che era propagandato come un punto di forza del modello aggiornato, rappresentava un elemento negativo per gli utilizzatori, tanto che si spediva alla ditta fornitrice il seguente quesito: Gli operatori lamentano che i ricevitori introdotti nel condotto auricolare dopo quale tempo producono dolori alle orecchie. C’è un modo di ovviare all’inconveniente? Le maestranze tedesche così rispondevano: Dopo molte esperienze, abbiamo dovuto sempre ritornare all’attuale forma delle olive di materiale plastico artificiale, ottenendo, dopo accurate prove e modifiche per raggiungere la forma più adatta, che questo svantaggio fosse ridotto al minimo, tanto che da tempo non ci pervengono più reclami se non molto isolati. I produttori convenivano che la forma normale intermedia delle ‘olive’ poteva effettivamente essere non adatta ad alcuni canali auricolari. Il principio su cui si basano questi strumenti per la localizzazione acustica ha mantenuto la sua validità nel tempo. I geofoni – sottoposti a continue migliorie, ad esempio eliminando o diminuendo, con appositi filtri, i rumori di disturbo secondari e permettendo di udire solo le frequenze toniche prodotte dalla perdita d’acqua – sono tuttora utilizzati, con buoni risultati, nella ricerca delle perdite, impiegando aste geofoniche o geofoni a campana.
Fotografia e disegno schematico della cassetta contenente il Geophon, di cui si dotava il Consorzio Poiana negli anni Trenta. L’apparecchio per la localizzazione delle perdite era composto da due ‘camere acustiche’, con grandi membrane in rame, da applicare sul terreno e un paio di ‘cornetti di ascoltazione’, ognuno con un cavo di un paio di metri. Per esaltare la facilità d’uso del Geophon, si mostrava che anche una donna era in grado di mettere in pratica le semplici istruzioni a corredo dell’apparecchio acustico. Spostando una rispetto all’altra le camere posate sul terreno, si poteva riconoscere la direzione di arrivo dei rumori all’orecchio, affinando poi la ricerca della rottura trasportando in altri punti le membrane (anni Trenta).
IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
Revisioni diurne e notturne Con l’intento di ridurre il più possibile le perdite del prezioso liquido intubato, si procedeva all’accurata revisione della rete, individuando e riparando le fughe. Spesso erano causate da spiombature dei giunti, per i colpi d’ariete attribuibili all’aria penetrata durante le magre. Dal 1º gennaio al mese di settembre 1951 si eliminavano 98 fughe d’acqua, in gran parte dovute a difetti nelle giunture a piombo e, nell’anno 1955, altre 120, alcune di sensibile portata; nel 1958 erano 90 le fughe bloccate. Nei primi mesi del 1959 lungo la rete sulla riva destra del Torre si attuava una revisione generale e per facilitare l’individuazione delle fughe, data la poca pressione che si aveva durante il giorno, si procedeva con i lavori in notturna. La revisione partiva da Clauiano – la frazione più distante dal serbatoio di Cividale – e attraverso Percoto e Pavia era controllata tutta la rete, fino al sottopasso di Lovaria-Pradamano; si individuavano 60 fughe d’acqua, che una volta riparate facevano subito ottenere un sensibile miglioramento nel carico in quella zona.17 Depliant della ditta Siemens del 1930, illustrante le caratteristiche dell’apparecchio acustico d’ascoltazione, facilmente trasportabile e di facile utilizzo.
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Complessivamente, durante l’anno 1959 erano eliminate 217 perdite. La loro individuazione era grandemente facilitata dall’avere a disposizione il nuovo apparecchio ricercatore marca Sewerin.18 Nel 1961 si compiva la revisione notturna generale di San Giovanni al Natisone, riparando una dozzina di fughe, che sommate a quelle individuate in altri Comuni, in quell’anno raggiungevano il numero di 120. Non appena messo in funzione l’impianto di sollevamento del pozzo di San Nicolò, nel 1964 si revisionava la rete di Manzano, operazione che non si era potuta effettuare prima a causa della sua carenza di pressione; si trovavano e si riparavano 20 perdite.19 Nella primavera 1977 era ultimata la revisione della parte dell’acquedotto alimentato per gravità, che aveva portato all’eliminazione di 105 perdite. Seguiva la revisione della rete rifornita con sollevamento (Manzano, Pavia, Trivignano, S. Giovanni al Nat. e Corno), iniziando dal tratto Buttrio-Lovaria, ove si presentavano le maggiori deficienze.20
La grande sfida Il personale dell’acquedotto Poiana effettua la ricerca delle perdite lungo Via della Stazione a Buttrio, utilizzando le membrane acustiche posate sulla linea della condotta, il 5 settembre 1935. L’operatore centrale è Elso Cantarutti, coadiuvato da aiutanti del posto. Occorreva badare che le membrane si trovassero a completo contatto con il terreno, non solo con il bordo ma anche nella parte centrale. L’operazione dava i migliori risultati in assenza di altri rumori di disturbo, per cui spesso era eseguita di notte.
A causa della carenza di personale, il programma di ricerca e riparazione perdite non riusciva a essere rispettato e si decideva di ricorrere all’esperienza di Luigi Lancerotto, ex dipendente che aveva svolto con notevole perizia tale mansione.21 Iniziava così la grande sfida contro le perdite occulte. Da gennaio al 17 marzo 1982 venivano riparate 43 perdite non affioranti in superficie, con un recupero di portata dell’ordine di 8-10 l/secondo. Nel seguente mese di giugno risultava completamente revisionato il territorio dei Comuni di Corno di Rosazzo, Manzano, S. Giovanni al Natisone e le località di Spessa, Vicinale di Buttrio e altre zone sparse di Premariacco e Cividale. Le fughe complessivamente rilevate erano 125, di cui 99 riparate, con un recupero di almeno 20 l/secondo.22 Al 26 luglio 1982 il consuntivo finale saliva a 188 fughe individuate, delle quali 158 riparate; per questa operazione erano impiegati per sei mesi tre dipendenti, coordinati dal lavoratore autonomo Lancerotto.23
Sempre sotto pressione Quale ausilio per la ricerca delle perdite occulte, nel 1982 si acquistavano tre registratori di pressione mensili, da collocare nei nodi strategici di Buttrio, Manzano e Corno di Rosazzo.24 L’accurata e sistematica ricerca delle fughe, al fine del contenimento delle perdite d’acqua nella rete, continuava a rappresentare un costante impegno del Consorzio e ad assorbire consistenti oneri finanziari.
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Al Consorzio pervenivano molte proposte di nuove apparecchiature per la ricerca delle perdite, basate sull’amplificazione del rilevamento dei rumori. Questo depliant illustra il prodotto della casa americana Fisher Research Laboratory Inc., di Palo Alto in California, anno 1956.
Il sistema di individuazione delle perdite si basava esclusivamente sulla sensibilità uditiva dell’operatore, solo alla fine degli anni Ottanta la moderna tecnologia predisponeva uno strumento in grado di individuare le fughe, in automatico e con buona speditezza. Il 26 febbraio 1988 il Consorzio assisteva ad una dimostrazione di ricerca perdite, con l’ausilio di un computer correlatore. In località Case di Manzano, fin dal 1982 si era a conoscenza di un sospetto rumore di perdita, che non si era riusciti a individuare nemmeno con interventi notturni. Il correlatore in prova invece forniva, immediatamente e in presenza del traffico stradale, la posizione della fuga, poi accertata mediante l’infissione di una stanga di ferro alla profondità di circa 1,80 metri; in un’altra verifica effettuata in una località vicina, si individuavano tre fughe. Visto l’esito ottenuto, era deliberato di acquistare il nuovo ausilio tecnologico.25
Depliant di un apparecchio elettronico per la ricerca delle fughe d’acqua nelle tubazioni, prodotto in Svizzera, anno 1957.
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Nel marzo 1957 presso il Consorzio si svolgeva una dimostrazione del ‘Rivelatore elettronico’ prodotto a Rovereto (Trento), che agevolava la ricerca di tubazioni metalliche nel sottosuolo, funzionando con il principio della deformazione del campo elettromagnetico a radiofrequenza, determinata dalla presenza di metalli o minerali entro il campo di azione dell’apparecchio. Costava 80.000 lire ed era composto, come si vede dall’illustrazione, da un trasmettitore con telaio da ricerca, un ricevitore e una cuffia.
Nel 1958 si effettuavano prove dimostrative del Detecton, apparecchio elettronico svizzero, “localizzatore delle condutture”: l’emittente emetteva una certa frequenza, che quando giungeva sopra un tubo faceva percepire nettamente un suono nelle cuffie dell’operatore. In base al parere della città di Bassano del Grappa, che l’aveva adottato: È utilissimo perché permette di distinguere la conduttura cercata da altre masse metalliche eventualmente interrate nella zona di ricerca.
In vista dell’intenso impegno della nuova apparecchiatura per la ricerca delle fughe idriche, risultava necessario impostare un sistema di rilievo in punti strategici della rete consorziale, in modo da consentire tempestivi interventi nelle località in cui si registravano sostanziali anomalie, differenze di portata e di pressione nella rete idrica. Nel 1988 si acquistavano altri 6 registratori di pressione, in aggiunta ai 7 già in dotazione.26 Nell’esercizio 1993 la percentuale di acqua dispersa era più che dimezzata rispetto al 1981, grazie agli interventi di rinnovamento degli impianti e alla assidua, capillare ricerca delle fughe occulte.27 Due anni dopo si era meno ottimisti, rilevando che la percentuale di acqua attribuibile a fughe era in aumento, nonostante l’ininterrotta azione di ricerca e di riparazione condotta dal Consorzio. Gran parte delle rotture era attribuibile a escavazioni maldestre in prossimità dell’acquedotto, con danneggiamento dei rivestimenti bitumati dei tubi e ‘strattonatura’ di derivazioni L’apparecchio Acqua-Test, prodotto a Zurigo e pubblicizzato nel 1958, disponeva di un microfono super-sensibile, con il quale sentire le perdite d’acqua alla superficie del terreno. Con una amplificazione di 6000 volte, il produttore affermava che poteva essere scoperta anche la perdita minima.
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Detettore di difetti Richter, pubblicizzato nel 1961. Questo ricercatore di perdite aveva un conduttore del suono in tre parti avvitabili, inserite in apposita valigetta. Il principio di funzionamento era lo stesso della canna acustica degli anni Trenta.
d’utenza. Nel corso del 1995 erano eseguiti 284 interventi per riparazioni di perdite e di trafilamenti, con un onere complessivo valutato in circa 600 milioni. Era calcolato che, nello stesso anno, l’approvvigionamento idrico immesso in rete aveva un volume di 8.334.632 mcubi, l’acqua erogata all’utenza era di 6.133.936 mcubi, la differenza di 2.200.696 mcubi, pari al 26%, era attribuibile a fughe, lavaggi, spurghi e rotture causati da interventi murari e di scavi estranei all’acquedotto.28
DISCIPLINARE IL SERVIZIO Man mano che aumentava il numero dei dipendenti, si palesava la necessità di disciplinarne attentamente il servizio. Riguardo alle mercedi, dal 1º giugno 1920 per ogni giornata di permanenza in servizio, non inferiore alle 5 ore, prestata nel territorio dei Comuni consorziati, con l’esclusione di Moimacco e Cividale, era corrisposta un’indennità di 4 lire al giorno per la qualifica di sorvegliante e idraulico e di 3,50 lire per l’apprendista; in caso di pernottamento fuori sede, tali indennità venivano raddoppiate. Le mercedi mensili e orarie si intendevano per un orario di lavoro effettivo di 8 ore giornaliere. Non erano ammesse ore straordinarie salvo casi eccezionali, dietro espresso ordine della direzione, retribuite con un compenso unitario variante da 2,50 a 3,50 lire. In base al Regio Decreto 29 dicembre 1927 n. 2672, il personale dipendente non coniugato doveva essere
assoggettato alla riduzione della mercede nella misura corrispondente a 1 lira per giorno. La Giunta, di conseguenza, deliberava che a partire dal 1º dicembre 1927 la retribuzione oraria dei tre operai celibi venisse diminuita di 0,125 lire per ogni ora di lavoro.29 Il personale aveva assoluto divieto di eseguire qualsiasi lavoro per conto di terzi, sotto pena di multa o anche di licenziamento. Nei giorni di pioggia e negli altri giorni in cui non era comandato per lavori sulla rete, il personale fisso con mercede mensile, doveva lavorare in officina. Ogni idraulico doveva provvedersi, a proprie spese, di una pinza da idraulico, una chiave inglese e una chiave piccola per tubi. Vi era l’obbligo di denunciare alla Direzione qualsiasi infrazione o abuso, compiuto sulla rete da utenti o da terzi. Le biciclette e gli attrezzi del Consorzio, quando non erano impiegati per servizio, dovevano sempre depositarsi presso la sede.30 Di una norma relativa al riposo si trova documentazione nel 1931, quando in attesa del contratto di lavoro da stipularsi tra le Federazioni degli Industriali, ritenendo che anche gli operai avventizi dipendenti da Enti Pubblici avessero diritto alle ferie fissate dalla legge sul lavoro, la Giunta accordava a tutto il personale avventizio dipendente che aveva superato l’anno di servizio previsto, un periodo di ferie di sei giorni, nei tempi stabiliti dal Direttore.31
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LA MANODOPERA NON ARRETRA Il Consorzio si avvaleva di maestranze che non indietreggiavano di fronte al lavoro, come era unanimemente riconosciuto nel corso del consesso assembleare del 1923. In esso era deliberata la gratificazione complessiva di mille lire a quattro operai – Giuseppe Battistutti, Giovanni e Costantino Lancerotto, Emilio Fantini – che in modo encomiabile promuovevano la creazione di nuove utenze e durante le riparazioni avevano sostenuto dei gravi sacrifici fisici sotto le intemperie, nelle ore notturne e per un lavoro continuativo anche di 24 ore.32 L’efficienza delle operazioni condotte nelle situazioni di emergenza, senza ausili meccanici ma con la sola forza delle braccia, risalta in abbondanza dai dati d’archivio, così ad esempio, il 13 settembre 1927 alle 15 improvvisamente mancò l’acqua per la rottura di un tubo della conduttura principale tra Pulfero e Brischis. Si assunsero 10 uomini sul posto, già
Gli operai del Consorzio intenti a ricollocare la tubazione strappata dalla furiosa piena del Natisone il 21 giugno 1958, lungo la strada nazionale del Pulfero. Il fornello che si vede sul lato destro serviva a scaldare il piombo usato per fissare i giunti, sulla sinistra si vede un operaio intento a saldare. In situazioni di emergenza, il personale lavorava senza sosta, fino al completo ripristino dell’indispensabile servizio idrico (foto gentilmente concessa da Giordano Di Zanutto).
alle 18 avevano iniziato il lavoro di scoprimento (...) Alle ore 6 del giorno successivo il tubo era sostituito ed immediatamente iniziata la manovra di rimessa in carico della condotta principale, che richiede molta prudenza per evitare nuovi malanni e che perciò è lunghissima.33 Il 4 febbraio 1929 si ruppe un tubo sulla condotta principale presso Sanguarzo. Il consueto pronto intervento del Consorzio rese possibile, nonostante le cattivissime condizioni climateriche, di rimettere in efficienza l’acquedotto in sole 24 ore. Il 15 febbraio stesso si manifestò una fortissima diminuzione nella portata dell’acquedotto. Immediatamente si è provvisto alla ricerca della causa e dopo poche ore si riscontrò una forte fuga d’acqua presso Ponteacco a circa 200 m. dalle condotte. Fu disposto il giorno stesso per i lavori di assaggio per la ricerca del tubo lesionato, assumendo 25 operai avventizi e impiegando tutto il personale. Dopo sette giorni di lavoro, difficilissimo, si trovarono due tubi lesionati e nella notte dal 22 al 23 furono entrambi cambiati e poscia rimesso in carica l’acquedotto impiegando circa 20 ore. Durante i lavori di ricerca l’acquedotto funzionò regolarmente, con portate ridotte.34 Il giorno di domenica 5 maggio 1929 è scoppiato un tubo della conduttura principale nella campagna presso S. Pietro al Natisone. Il Direttore avvertito telefonicamente alle ore 12.30, dopo avere disposto per la riunione di tutto il personale e organizzato la preparazione dei materiali, si
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recò sul posto e constatata la gravità della rottura si recò a Tiglio a chiudere l’acqua per iniziare i lavori di scavo. Alle ore 13.30 raccolti 8 operai avventizi, si iniziò il lavoro, alle ore 19 il tubo si era già cambiato e alle 19.30 si iniziò la rimessa dell’acqua nel tratto Tiglio-Bovi. L’acqua arrivò alle 23.45 ai Bovi e fu tosto immessa nella rete con la solita manovra mentre il personale suddiviso in squadre fu scaglionato lungo la rete stessa: alle ore 3 del mattino di lunedì già a Cividale si aveva l’acqua ai piani terreni.35 Durante l’esercizio del 1929 l’acquedotto richiedeva un lavoro eccezionale, per i danni ingenti causati dal gelo e per le rotture, appena citate, dei tre tubi della condotta principale, che imponeva di lavorare giorni e notti tra neve e ghiaccio per riattivare il servizio. Per circa due mesi il personale non ebbe alcun riposo, lavorò 12 ore al giorno, comprese le festività. La Giunta riconobbe che il personale anche in quell’occasione, dimostrando alto senso di comprensione delle necessità di fare ogni sacrificio per rimettere in efficienza in breve tempo l’importante servizio pubblico, si è reso degno di elogio. Al plauso era aggiunto un premio, a titolo di compenso del servizio straordinario prestato nei momenti di
Il personale attornia lo scavo per la posa di tubi, il 25 agosto 1934 a Rubignacco (archivio privato).
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massimo disagio e di riconoscimento del rendimento durante l’esercizio, distribuendo la somma di 2.750 lire tra i sette dipendenti.36 Il 20 maggio 1930 improvvisamente alle ore 11 scoppiò un tubo sulla conduttura principale a circa m. 200 a monte di Ponte S. Quirino. Con la solita prontezza si è provveduto al cambio del tubo e alle ore 17 dello stesso giorno, dopo solo 6 ore, si rimetteva l’acqua nella condotta principale e alle ore 21 nella rete. Il personale lavorò tutta la notte per rimettere in efficienza la rete e solo verso il pomeriggio del 21 si poteva considerare ultimata la manovra.37 Anche nel 1930, per le prestazioni di natura straordinaria del personale, che non aveva neanche potuto usufruire di licenze, si distribuiva un premio complessivo di 2.820 lire e così pure nel 1931, per l’importo di 3.140 lire. Alle 21.30 circa del 30 novembre 1933 è scoppiato improvvisamente un tubo della conduttura principale sulla strada tra Ponte S. Quirino e Vernasso. Alle ore 23.30 si sono iniziati i lavori per il cambio del tubo, operazione che ebbe termine solo alle ore 6 del successivo giorno per le difficoltà dovute al freddo e al buio (…) l’interruzione del funzionamento nella rete durò solo 20 ore.38
INDENNITÀ PER LE DUE RUOTE Pur dispondendo di mezzi meccanici per il trasporto di persone e del materiale più pesante – ad esempio nel 1920 era acquistato un autocarro 15 Ter, utilissimo a questo scopo –, gli spostamenti degli operai nel vasto comprensorio consorziale avvenivano usualmente con i mezzi a due ruote, che nei tempi più lontani necessariamente avevano come propulsione la sola forza delle gambe. Il primo esemplare era fornito in dotazione nel 1914 a Eugenio Calligaro, entrato in servizio come sorvegliante l’anno precedente, che doveva essere fornito di una buona bicicletta per poter giornalmente ispezionare i lavori nella vasta zona assegnata. Il presidente Rubini vistava questa motivata richiesta, avanzata dal direttore dei lavori ing. Vittorio Poletti e autorizzava la spesa, non superando però le lire duecento. Per raggiungere il connubio di robustezza ed economicità del mezzo, si acquistava un bicicletto Bianchi tipo P – proprio così, al maschile – a Casale Monferrato, spendendo esattamente 200 lire.39 Il Consorzio nel 1917 comprava un altro esemplare di velocipede, per il prezzo di 415 lire, stavolta a Udine, città dalla quale nel 1919 proveniva anche la bicicletta “tipo Militare”, marca Bianchi che con accessori e campanello costava 550 lire, mentre nel 1922 accettava l’offerta del municipio di Cividale di una bicicletta usata, alla quale mancavano alcuni pezzi, per 350 lire; reimpiegando le parti di quella fuori uso che giaceva nel magazzino, si riusciva a comporne una funzionante.
PRANZARE CON 1300 LIRE
Nel 1917 il Consorzio Poiana acquistava una bicicletta, accessoriata e dotata del prescritto bollo di circolazione, per uso di servizio. Questa è la relativa ricevuta quietanziata.
In seguito il personale impiegava il proprio mezzo personale e nel 1945 era fissata, quale specifica indennità per l’uso della bicicletta, la somma di 50 lire mensili. Nel 1954 l’indennità giornaliera per l’uso delle motorette – il cui impiego nel frattempo si era grandemente diffuso – era in misura proporzionale alla cilindrata, andava da 160 a 250 lire per ogni giornata di servizio fuori sede. Cinque anni dopo per i viaggi fuori Cividale, mediamente di 32 km, si incrementava la rifusione: per un motociclo di 150 cc di cilindrata da 250 a 300 lire, di 125 cc da 210 a 250 lire, di 50 cc da 160 a 200 lire. Nel 1969 un furgoncino Fiat 850 famigliare, comprato usato in ottimo stato di conservazione, permetteva agli operai di mettere in riposo i loro mezzi e di muoversi con tale veicolo di servizio, via via sostituito con modelli più performanti. I tre letturisti dei contatori però continuavano a usare i loro motocicli, per i quali vi era un progressivo aggiornamento del rimborso, così nel 1970 per ogni viaggio calcolato su una media di 30 km per uscita si passava da 550 a 650 lire, l’anno successivo 750 lire, nel 1973 mille lire, nel 1974 millecinquecento e poi duemila, nel 1976 portato a tremila lire, tre anni dopo a 4500 lire. Dal 1980 l’indennità di viaggio si calcolava in base alla tariffa ACI della provincia di Udine, che nel 1985 era pari a 290 lire al chilometro.
Le indennità di trasferta da corrispondersi agli operai per servizi prestati fuori dal Comune di Cividale nel 1924 erano le seguenti: Sorvegliante per ogni giornata . . . . . . . . . . . . 10,00 lire Operai qualificati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7,80 lire Aiutanti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,00 lire40 Tali importi erano confermati nel 1930.41 Nel 1945 l’indennità di trasferta consisteva in 80 lire giornaliere, i galoppanti aumenti nel secondo dopoguerra faceva compiere all’importo diversi balzi in avanti, ad esempio nel 1954 tale riconoscimento era portato da 300 a 400 lire, un aumento della stessa portata era richiesto due anni dopo, ma non era accolto per le restrizioni imposte dal blocco dei prezzi, limitandosi ad arrivare a 450 lire. Le 500 lire erano però raggiunte nel 1959. Nel 1973 per ogni pasto consumato fuori sede si rifondevano 1300 lire, poi 1500, nel 1974 duemila lire, 3000 nel 1977 ed elevate a 3500 dopo un ulteriore biennio. Fino al 1980 gli operai rientravano in sede per consumare il pasto di mezzogiorno, per cui dovevano partire con largo anticipo dalle località più lontane del territorio consorziale. Accordandosi con alcune trattorie dislocate nei Comuni consorziati in modo da coprire tutta l’area servita, potevano consumare comodamente in zona il desinare, con la cifra di 5.000 lire a persona, escluso i Comuni di Cividale, Premariacco e Moimacco. In tal modo l’orario di effettivo lavoro era sfruttato appieno. L’indennità ‘di mensa’ era poi di 8.500 lire, dall’1 settembre 1982 saliva a 10.000 lire e quindi a 15.000.
L’ORARIO DI LAVORO Dal 1º gennaio 1969 entrava in vigore l’articolo 9 del Contratto Nazionale di Lavoro, con la riduzione di un’ora nel lavoro settimanale degli operai, abbassato da 44 a 43 ore settimanali. Si procedeva con il “riposo a conguaglio”, cioè si manteneva per tre settimane mensili l’orario sino ad allora osservato, assegnando al personale una giornata di riposo il sabato di ogni ultima settimana del mese, essendo maturate le 4 ore da recuperare. Nei giorni di riposo era istituito un turno di due operai, per i servizi urgenti;42 il turno di sabato cessava nell’ottobre 1978.43 Con l’applicazione dell’Accordo Nazionale Interfederale 4 marzo 1970, dal 1º maggio 1970 al 30 settembre 1971 l’orario era ridotto a 41 ore settimanali. Dal 1º ottobre 1971 tale orario era portato a 40 ore settimanali.
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TRA STABILI E AVVENTIZI, CRESCE L’ORGANICO Il regolamento del Consorzio deliberato nel 1924 stabiliva solo due posti in organico, quello del Direttore e quello dell’Esattore, ma dava facoltà alla Giunta consorziale di assumere personale avventizio per lavori di scritturazione, compilazione bollette, ecc. Nel 1925 il direttore percepiva uno stipendio di 12.000 lire e una indennità di servizio attivo di 600 lire annue, l’esattore uno stipendio di 6.000 lire e una indennità di servizio di altre 300. Negli anni seguenti, durante i quali l’azienda si sviluppava grandemente – come testimoniava l’aumento degli utenti fino al numero di 3.016 e la rete giunta a 225 km –, era necessaria la permanenza continua in servizio di un applicato avventizio e la saltuaria assunzione di un’ulteriore unità. A una presenza fissa in ufficio ormai non era più possibile rinunciare, se non con grave pregiudizio del funzionamento del Consorzio. Dal 10 marzo 1923 prestava ininterrottamente servizio di applicato Cesare Blasigh, disimpegnando in modo lodevole i suoi compiti, per cui si riteneva di assumerlo in pianta stabile. L’Assemblea il 30 luglio 1932 deliberava di inserire nel regolamento l’istituzione di un posto di ‘applicato’, con lo stipendio iniziale di 5.800 lire annue, al lordo del 12% di legge e con le indennità di caro viveri.
Davanti all’ingresso degli uffici della sede consorziale, il 27 luglio 1933 si mette in posa una piccola parte del personale dell’acquedotto, da sinistra: Efrem Di Zanutto, Elso Cantarutti, Giuseppe Battistutti e Cesare Blasigh. Sulle grandi sfere poste ai lati della scalinata sono seduti i primi due figli del direttore Giuseppe Rossi, che con la famiglia risiedeva al primo piano del medesimo edificio, a sinistra Isidoro e a destra Giuseppe (archivio privato).
Nel 1930 il Consorzio aveva alle dipendenze 5 operai specializzati, 4 aiutanti e assumeva di volta in volta nei singoli Comuni il personale di manovalanza di cui abbisognava; in quell’anno l’organigramma degli stipendiati era il seguente: Rossi Giuseppe direttore Blasigh Cesare scritturale Battistutti Giuseppe rilevatore Lancerotto Giovanni fontaniere Corte Giuseppe fontaniere Fantini Emilio muratore Mattaloni Angelo aiuto fontaniere.44 Nel 1951 il personale era così composto: Impiegati di 2ª categoria Blasigh Cesare, Fachini Guglielmo e Cirant Santo Operai specializzati Corte Giuseppe Operai qualificati Fantini Emilio, Cantarutti Elso e Lancerotto Luigi Operai comuni Di Zanutto Efrem e Coccetta Rosario Manovali Mattaloni Gio Batta e Marano Mario.
Stampato con la composizione della prima Giunta consorziale, di cinque membri con la presidenza di Domenico Rubini. Secondo il regolamento, doveva rimanere in carica fino all’anno in cui era compiuto e collaudato l’acquedotto, ciò avverrà nel 1921. Per statuto alla Giunta era affidata l’esecuzione delle pratiche tutte inerenti alla costruzione, manutenzione, funzionamento ed amministrazione dell’acquedotto in armonia alle deliberazioni dell’Assemblea dei Sindaci.
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Nell’anno 1965: Impiegati Blasigh Giuseppe, Marangon Emma, Paluzzano Pier Luigi Operai Lancerotto Luigi, Di Zanutto Efrem, Mattaloni Gio Batta, Marano Mario, Lancerotto Romeo, Miani Giuseppe, Cocetta Luciano, Zompicchiatti Giuseppe, Podrecca Lucio, Costaperaria Luciano, Iacuzzi Mario, Virgilio Enzo, Benati Aldo. Apprendista Tomat Luciano. Nell’anno 1972: Impiegati Blasigh Giuseppe, Marangon Emma, Paluzzano Pier Luigi Operai Lancerotto Luigi, Mattaloni Gio Batta, Marano Mario, Lancerotto Romeo, Cocetta Luciano, Miani Giuseppe, Zompicchiatti Giuseppe, Podrecca Lucio, Tomat Luciano, Caporale Franco, Costaperaria Luciano, Iacuzzi Mario, Virgilio Enzo, Paviotti Adriano, Di Zanutto Giordano, Benati Aldo. Nel 1979 risultano essere già in quiescenza i dipendenti Corte Giuseppe con 38 anni di servizio effettivo prestato, Blasigh Cesare 37, Di Zanutto Efrem 37, Mattaloni Gio Batta 35, Fantini Emilio 34, Cocetta Rosario 30, Cantarutti Elso 32, Fachini Guglielmo 32, Cirant Santo 31, Lancerotto Luigi 32, Marano Mario 29, Miani Giuseppe 20, Iacuzzi Mario 16; a Emilio Fantini, Giuseppe Corte, Rosario Cocetta e Cesare Blasigh era conferita la medaglia d’oro di operosità.45 Il 28 dicembre 1962 erano state consegnate le medaglie d’oro a sei dipendenti posti in quiescenza con 30 anni di servizio, analoga cerimonia si svolgeva nel 1984, per gli ex dipendenti a riposo che non avevano ancora avuto tale riconoscimento.46
Personale del Consorzio nei pressi dell’edificio di presa dell’acquedotto, anno 1931 (archivio privato).
Offerta commerciale per indumenti impermeabili da lavoro, adatti al settore acquedottistico, pervenuta al Consorzio Poiana l’anno 1931. Sul depliant era applicato anche un campione di tessuto.
Lavorazione del ferro sull’incudine, dopo averlo reso incandescente nella fucina dell’officina Poiana, 31 ottobre 1935 (archivio privato).
All’interno dell’officina dell’acquedotto, il fontaniere Elso Cantarutti fora con il trapano un collarino da presa, 31 ottobre 1935 (archivio privato).
Limatura alla morsa nell’officina del Poiana, 10 ottobre 1935 (archivio privato).
Filettatura a un tubo con la ‘madrevite’, da parte di Elso Cantarutti, 31 ottobre 1935 (archivio privato).
MERCEDI OPERAIE Mercedi per 1 ora di lavoro, applicate per lavori dell’acquedotto affidati a imprese esterne (anni 1923, 1953, 1957, 1978) Le mercedi per un’ora di lavoro, fissate dal Genio Civile, comprensive di retribuzioni e oneri di gestione, spese generali e utile, erano le seguenti, espresse in lire: 1923 1953 1957 1978 operaio specializzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . . . . . . . . . . . . . . . 417 . . . . . . . . . . . . 501 . . . . . . . 8.300 operaio qualificato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380 . . . . . . . . . . . . 456 . . . . . . 7.900 manovale specializzato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 340 . . . . . . . . . . . . 424 . . . . . . 7.500 manovale comune . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1,95 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 401 . . . . . . 7.500 garzone di 18-20 anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 380 . . . . . . . . . . . . . Garzone di 18-25 anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Garzone di 16-18 anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 269 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Garzone sotto i 16 anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carro ad un cavallo con conducente, 1 ora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 . . . . . . . . . . . . . . . 400 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Carro a due cavalli con conducente, 1 ora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 . . . . . . . . . . . . . . . 500 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il nolo di un motocarro per quintale/chilometro costava . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . . . . . . . . . . . . . . Il nolo di un autocarro per quintale/chilometro costava . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 . . . . . . . . . . . . . . Nolo autocarro 30-35 q.li fino a 50 Km q.le/Km . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Nolo autocarro 30-35 q.li da 51 Km a 100 Km q.le/Km. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 Escavatore meccanico 50-80 Hp, 1 ora. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12.000 Motocompressore meccanico con martello demolitore Kg 37, 1 ora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.000 Rullo compressore da 14-18 t, 1 ora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.000 Saldatrice elettrica escluso consumi, 1 ora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.000 Costo degli operai del Consorzio Poiana per ogni ora calcolata su un periodo quindicinale (anno 1936) Idraulico mercede base media £ 2,82, più oneri (quota assicurazioni sociali, cassa malattia, contributo famiglia, assicurazione infortuni, spese amministrative) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .totale 3,17 lire Aiutante idraulico mercede base media £ 1,70 più oneri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .totale 1,95 lire Manovale mercede base media £ 1,50 più oneri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . totale 1,68 lire47 Prezzi orari della manodopera del Consorzio, stabiliti dalla Commissione Amministratrice (anno 1964) Operaio specializzato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .in territorio di Cividale £ 1.276, fuori territorio £ 1.426 Operaio qualificato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .in territorio di Cividale £ 971, fuori territorio £ 1.121 Manovale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .in territorio di Cividale £ 747, fuori territorio £ 897
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IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
LA COMMISSIONE AMMINISTRATRICE Lo statuto adottato nel 1932 in seguito alla trasformazione dell’Ente consorziale in Azienda Industriale Municipalizzata prevedeva all’art. 7 l’attivazione della Commissione Amministratrice, composta da 5 membri (1 presidente e 4 membri) di cui 2 facenti parte dell’Assemblea e 3 esterni alle Amministrazioni comunali; il podestà di Cividale era membro di diritto della Commissione. Al termine del secondo conflitto mondiale si svolgeva una seduta straordinaria per la nomina della nuova Commissione amministratrice del Consorzio, che era decaduta.48 A presidente della Commissione nel 1945 era proposto ed eletto il sindaco di Cividale, avv. Giovanni Brosadola, con la principale motivazione che poteva con maggiore assiduità e facilità sorvegliare l’andamento dell’Azienda, in quanto aveva la sede nel suo Comune, dai soci concordemente ritenuto l’ideatore del Consorzio. Gli altri commissari erano: Romeo Boscutti sindaco di Premariacco, Nicolò de Claricini da Bottenicco (Moimacco), Alfredo Fantini da Corno di Rosazzo (San Giovanni al Natisone), Giovanni Turchetti da Trivignano Udinese.49 Quest’ultimo decadeva dall’incarico l’anno seguente, non avendo mai partecipato alle sedute, pure Boscutti doveva lasciare in quanto non rivestiva più la carica di sindaco di Premariacco. Essendo morto anche il conte de Claricini, in pratica era azzerata gran parte della Commissione, i cui nuovi membri erano il maestro Dante
Ai dipendenti del Consorzio Acquedotto Poiana con almeno 25 anni di servizio era conferita una medaglia d’oro. Quella qui riprodotta è stata consegnata a Romeo Lancerotto, in quiescenza dopo 29 anni e 10 mesi di lavoro.
Donato, sindaco di Premariacco, il conte Raimondo de Puppi di Moimacco e il geom. Luigi Cargnello da Remanzacco.50 Nel 1948 il membro Fantini era sostituito da Adriano Maseri da Oleis di Manzano.51 Giovanni Brosadola passava improvvisamente a miglior vita il 5 maggio 1951; egli era stato per tre volte sindaco di Cividale e presidente del Consorzio dal 26 novembre 1921 al 10 agosto 1923 e dal 29 maggio 1945 alla morte.52 La Commissione Amministratrice nel 1951 risultava così composta: presidente Guglielmo Pelizzo, membri Dante Donato sindaco Premariacco, geom. Luigi Cargnello da Remanzacco, geom. Adriano Maseri da Oleis (Manzano), Pino Zamparo di Moimacco;53 quest’ultimo in breve rassegnava le dimissioni ed era sostituito da Secondo Zilio di Corno di Rosazzo. Il 25 aprile 1956 decedeva Luchino Valle, segretario dell’assemblea. La Commissione amministratrice nominata il 6 settembre 1956 era la seguente: presidente Guglielmo Pelizzo, Giovanni Montemezzo sindaco di Manzano, Adriano Maseri da Oleis, Secondo Zilio da Corno di Rosazzo, Giovanni Duca da Remanzacco. Alla scadenza del mandato quadriennale, nel 1961 era rinnovata con questa composizione: presidente Guglielmo Pelizzo, membri Antonio Bonino sindaco di Pradamano, Adriano Maseri da Oleis, Ernesto Pividori da Pavia di Udine, Giovanni Duca da Remanzacco. Commissione amministratrice dal 1965: presidente Guglielmo Pelizzo, membri Antonio Bonino sindaco di Pradamano, Adriano Maseri da Oleis, Anselmo Deganutti da Pavia di Udine, Gianfranco Vidoni da Remanzacco. Il 16 novembre 1973 entravano come nuovi componenti della Commissione Basilio Monai di Cividale e Livio Braidotti di Manzano. Nel 1975 la Commissione nominata era: presidente Giovanni Maria del Basso sindaco di Cividale, Livio Braidotti, Virgilio De Paoli sindaco di Buttrio, Francesco Miani, Sergio Nadalutti, la funzione di segretario era svolta dal direttore Giuseppe Rossi.
LA DIREZIONE Dal 29 febbraio 1956 il Direttore Giuseppe Rossi era collocato a riposo, dopo aver raggiunto 37 anni di servizio e 69 di età. Dal 1º marzo 1956 si assumeva il geom. Giuseppe Rossi – suo figlio – con la qualifica di Capo-Tecnico, affidandogli le funzioni direttive. Queste erano svolte come facente funzione fino al 1959, quando l’Assemblea deliberava la sua nomina come Direttore per chiamata diretta,54 compito che svolgeva fino al 30 giugno 1980.
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Dal 1º luglio 1980 era assunto per sei mesi a termine l’ing. Paolo Cleani, che allo scadere di tale periodo rassegnava le dimissioni. Il 1º luglio 1981 la direzione era affidata al geom. PierLuigi Paluzzano, già impiegato del Consorzio, che la manteneva fino al collocamento a riposo nel giugno 1997. Durante il periodo di vacanza successivo alla quiescenza di Paluzzano, ne faceva le veci la dott.ssa Claudia Casarsa. Nel febbraio 1998 ha assunto servizio il nuovo direttore ing. Alessandro Patriarca, che attualmente continua a rivestire tale ruolo.
L’UFFICIO TECNICO Il settimo presidente consorziale è stato il sen. Guglielmo Pelizzo, dal 6 maggio 1951 al 6 ottobre 1974.
Giovanni Maria Del Basso ha ricoperto l’incarico dell’ottava presidenza consorziale dall’8 ottobre 1975 al 2 novembre 1980.
Tariffe per la concessione d’acqua agli utenti privati del Consorzio Acquedotto Poiana, nell’anno 1924.
Nella seconda metà degli anni Novanta vi era un consistente avvicendamento per il ruolo di capo dell’ufficio tecnico consortile: dopo le dimissioni dell’ing. Gianpaolo Zannier avvenute nel dicembre 1996, nel gennaio 1997 prendeva servizio l’ing. Andrea Zagolin che in settembre rassegnava le dimissioni. Al suo posto dal novembre 1997 era assunto l’arch. Silvio Colaone, tuttora in servizio.
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IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO
LE TARIFFE IMPENNANO I diritti di concessione Il regolamento del 1930 stabiliva all’art. 30 i diritti da versare per chi voleva farsi utente dell’acquedotto Poiana: per la prima concessione 10 lire, per la rinnovazione 3 lire. In seguito all’aumentato costo del materiale di cancelleria, delle targhette di zinco da inserire nell’indirizzario per ogni concessione o rinnovazione, delle spese generali, nonché della manodopera, nel corso della seconda guerra mondiale gli importi fissati un decennio prima non riuscivano a coprire le spese. Nel 1943 pertanto si modificava tali tariffe: diritti per la prima concessione 15 lire, rinnovazione 6 lire; anche l’indennizzo per ritardo nei pagamenti era aumentato a 5 lire.55
Sconti per le super famiglie L’anno 1939 era accolta la domanda presentata dall’Unione Famiglie Numerose per fornire agevolazioni sui prezzi di concessione dell’acqua, accordando una riduzione sul canone di abbonamento nella misura del 10% della tariffa in vigore. Per ottenerla occorreva presentare un certificato anagrafico dal quale risultasse un numero di figli viventi non inferiore a sette, potendo computare però fra questi i figli caduti in guerra o per causa nazionale.56 Nel 1940 le famiglie numerose nei Comuni consorziati erano 600, così distribuite: Buttrio 41, Cividale 94, Manzano 50, Moimacco 26, Pavia di Udine 135, Pradamano 16, Premariacco 74, Remanzacco 63, San Giovanni al Nat. 63, Trivignano 38.
La maratona degli incessanti aumenti I danni subiti dall’acquedotto per i fatti bellici causavano un gravissimo perturbamento economico all’Azienda che, per far fronte alle spese, doveva utilizzare gran parte delle riserve accumulate in diversi anni, originariamente destinate all’esecuzione di opere di miglioramento e ampliamento degli impianti. Le entrate, a causa del blocco dei prezzi, rimanevano invariate, ma le spese crescevano incessantemente in misura rilevante: l’aumento di salari e stipendi raggiungeva il 90% in pochi anni e quello dei materiali il 300% in un triennio. Per di più, con l’esercizio 1944 cessavano i proventi per utenze militari, che davano un gettito considerevole. Nell’intendimento di migliorare la delicata situazione finanziaria si prospettavano le difficoltà alla Prefettura, chiedendo lo sblocco dei prezzi per accrescerli del 90%. La Prefettura si limitava ad
Esemplare di bolletta del Consorzio Acquedotto Poiana, emessa nel sesto bimestre dell’anno 1925.
autorizzare un aumento massimo del 30%, che andava in vigore dal 1º maggio 1944.57 Il Commissario dei Prezzi del Litorale Adriatico, alla richiesta di aumento nella misura del 76% rivoltagli per il tramite dell’Unione Industriali di Udine, autorizzava il Consorzio ad aumentare la tariffa in vigore per la fornitura d’acqua fino ad una misura massima del 40%, a decorrere dal 1º novembre 1944.58 Nel primo dopoguerra gli aumenti continuavano a succedersi con ritmi ravvicinati: nella prospettiva di pareggiare il bilancio, iniziava una azione collegiale tra i principali acquedotti della Provincia affinché venisse concesso un ulteriore aumento, in misura corrispondente ai bisogni delle Aziende. Si riteneva necessario elevare la tariffa nella misura del 150% per l’acqua e del 200% per le quote fisse (nolo contatori e spese di lettura ed esazione). Il Presidente della Camera di Commercio di Udine, al quale si presentavano le documentazioni attestanti il deficit previsto, pur convenendo sulla giustezza della domandata maggiorazione, l’accordava solo nella misura del 100%, ovvero al limite fissato dalla Commissione Prezzi Alta Italia.59 Dal 1º gennaio 1946 si aveva una nuova maggiorazione, stavolta del 200%. In tal modo, rispetto all’anteguerra i prezzi erano maggiorati del 320%, con la seguenti tariffe: A) Concessioni in abbonamento (con minimo di consumo) a) per usi domestici per ettolitro £ 0,20 b) per usi industriali, commerciali per hl £ 0,26; maggiori consumi (…) B) Concessioni a consumo tassa fissa £ 150, per ogni hl consumato £ 0,63. C) Nolo contatori diametro 13 mm mensili £ 6 (…) Bocche da incendio private, canone annuo per ogni apparecchio £ 210. Bocche da incendio comunali, canone annuo £ 75.60 Nel corso dell’esercizio 1946, grazie a tali maggiorazioni e con gli incassi per fornitura d’acqua alle truppe alleate si faceva fronte alle maggiori spese.
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Con l’evacuazione dal territorio degli Alleati veniva a mancare tale consistente integrazione, tanto che secondo il bilancio preventivo si sarebbe raggiunta una perdita d’esercizio di ben 2.877.000 lire. Si dimostrava al Comitato Provinciale dei Prezzi che per il pareggio necessitava un aumento delle tariffe nella misura dell’83%, ma il Comitato proponeva di limitarlo, per il momento, al 50%.61 In effetti, dopo l’aumento delle tariffe del 50%, a causa delle sopravvenute, rilevanti maggiorazioni delle spese, lo scoperto del bilancio andava aumentando. Il deficit era da coprirsi con nuovi aumenti delle tariffe o con contributi dei Comuni o riduzioni di spese. Poiché non era possibile ricorrere al sostegno dei Comuni, tutti con magri bilanci e stante che le spese erano già ridotte al minimo, necessitava far fronte alle deficienze con una maggiorazione delle tariffe nella misura del 100%, che rispetto alla situazione anteguerra voleva dire raggiungere un aumento del 1200%. Per l’acquedotto del Comune di Udine, circa delle medesime potenzialità e con spese di esercizio lievemente superiori per il sollevamento, era deliberato di maggiorare i prezzi nella misura del 1469% a decorrere dal 1º maggio 1947, cosicché il prezzo base dell’acqua era elevato a 0,80 lire per hl, mentre per pareggiare il bilancio del Tariffe per la concessione d’acqua e altri servizi, in vigore dal 1º marzo 1953, mantenute invariate anche dopo l’approvazione del nuovo Regolamento per gli utenti del 28 dicembre 1957.
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Poiana si proponeva che il prezzo base fosse limitato a 0,60 lire, ovvero il 25% in meno rispetto a Udine. La Prefettura invece imponeva che tale tariffa venisse ridotta del 12%, limitatamente al periodo 1 luglio-31 dicembre 1947.62 Nel 1948 si introduceva una variante all’art. 20 del Regolamento, che assumeva la seguente nuova formulazione: (…) Nessun abbuono sarà concesso per il maggior consumo dipendente da eventuali guasti nelle condutture interne anche se gli stessi non fossero visibili; in precedenza invece potevano essere abbuonati fino al 50%.63 In seguito agli adeguamenti degli assegni al personale, il bilancio di previsione presentava una rilevante perdita d’esercizio, per cui si chiedeva un aumento del 35%, che il Comitato Provinciale Prezzi riduceva al 28%, pari al 1400% sulle tariffe bloccate del 1942.64 Dopo sei mesi, ecco l’immancabile ritocco, alle sole voci per consumi d’acqua nella misura del 1900% e 2000% sulle tariffe bloccate 1942, che divenivano le seguenti: A) Concessioni in abbonamento (con minimo di consumo) a) per usi domestici per ettolitro £ 0,90 b) per usi industriali, commerciali per hl £ 1,20; maggiori consumi (…) B) Concessioni a consumo tassa fissa £ 500, per ogni hl consumato £ 3. C) Nolo contatori diametro 13 mm mensili £ 20 (…) Bocche da incendio private, canone annuo per ogni apparecchio £ 500. Bocche da incendio comunali, canone annuo £ 300.
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Il primo ausilio ‘meccanico’ in dotazione all’ufficio consorziale era una macchina da scrivere, marca Underwood a 80 spazi, acquistata nel 1919 per 2000 lire, come quella rappresentata in questa offerta commerciale.
Neanche con tali aumenti il bilancio dell’Azienda raggiungeva il pareggio, per lo squilibrio esistente tra gli aumenti delle entrate (21 volte l’anteguerra) e delle spese (50 volte l’anteguerra). Si otteneva l’autorizzazione all’aumento del 2400%, dal 1º luglio 1950.65 Le tariffe prevedevano due prezzi, uno per i maggiori consumi fino al quantitativo di abbonamento e uno, ancora superiore, per i maggiori consumi eccedenti. Dato l’elevato numero di bollette (4200 al bimestre) la contabilizzazione risultava passibile di errori e dunque si riteneva più conveniente, come aveva fatto anche il Comune di Udine, stabilire un solo, unico prezzo per i maggiori consumi. Con decorrenza 1º gennaio 1951 le voci per i maggiori consumi d’acqua erano unificate nel modo seguente: a) per usi domestici per ogni hl £ 1,70 b) per usi commerciali e industriali per hl £ 2,20.66 Si schizzava così all’aumento del 2650% rispetto alle tariffe del 1942.67 Il blocco dei prezzi alla misura di 27,5 volte anteguerra non consentiva di riprendere la normalità economica, per l’enorme squilibrio esistente tra gli aumenti delle entrate per fornitura acqua – l’unico cespite – e l’aumento delle spese accertate in circa 70 volte anteguerra. Infatti il bilancio presentava costantemente una sensibile perdita di esercizio a carico dei Comuni. Dal 1º marzo 1953 era autorizzato l’aumento nella misura massima del 3300% per gli acquedotti a gravitazione, corrispondente al 23,65% delle tariffe in vigore. In assemblea si calcolava che il maggior aggravio per gli utenti sarebbe stato abbastanza lieve – ad esempio per una utenza media di 3 hl giornalieri l’importo mensile era di 273 lire in luogo di 227 – e per le utenze popolari 176 lire invece di 148.68
LE MACCHINE DEL CONTABILE Le incombenze amministrative-contabili erano svolte da un esattore-rilevatore e da uno scritturale, inoltre per la compilazione dei nuovi ruoli, copie dei conti consuntivi, revisione contabile ecc., prestava servizio per tre ore giornaliere un impiegato avventizio, che negli anni Venti era Eugenio Zorzini. Il progressivo aumento del numero degli utenti – nel 1928 erano già 2.800 – comportava lo svolgimento di calcoli via via più lunghi e complessi. Era necessario preparare bimestralmente i documenti della riscossione dei canoni, con un totale di 16.800 bollette all’anno, per la cui compilazione uno scritturale impiegava quasi 30 giorni a bimestre. I riassunti delle bollette sui ruoli, poi, richiedevano un tempo lunghissimo nelle operazioni di addizione, ripetitive e stancanti per l’addetto. Apprendendo che in diverse aziende simili si faceva uso, con piena soddisfazione, di macchine che consentivano speditezza e precisione delle operazioni d’ufficio, nel dicembre 1928 si deliberava l’acquisto di una “addizionatrice scrivente”, che nella seguente primavera troneggiava negli uffici consorziali, a cui poco dopo faceva compagnia una stampatrice di bollette, funzionante con targhette metalliche punzonate.69 Con l’ulteriore incremento delle utenze era necessario migliorare ancora la dotazione delle macchine. La scelta non era facile, sul mercato si trovavano modelli eccessivamente elaborati e troppo costosi oppure, all’opposto, insufficienti per i bisogni del Consorzio. Sfumava un’offerta conveniente, riguardante un esemplare usato dall’Azienda di Gorizia, che trovandosi a gestire 16.000 utenti voleva sostituirla con un’altra più produttiva e infine, nel 1955, si acquistava una macchina per bollette Astra, con la spesa di 1.395.000 lire e anche una macchina calcolatrice, per 189.200 lire.70
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Stampato per bolletta del Consorzio Acquedotto Poiana, in bianco, utilizzato negli anni Quaranta. In basso: bolletta completata con tutti i dati, anno 1945. L’indirizzo era impresso con una apposita macchina stampatrice.
Dopo otto anni di onorato servizio la fatturatrice lasciava il posto a una nuovo modello, sempre di marca Astra, ceduto dal Comune di Trieste.71 Nel 1971 si procedeva all’acquisto di una macchina fatturatrice contabile “Ascota Universal Classe 1717”.72
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In seguito la fatturazione e la stampa delle bollette era affidato a un centro contabile di Udine. Nel 1970 il sistema di esazione bollette e lettura contatori era trasformato da alfabetico a stradario, apportando una riduzione nei tempi di esazione e lettura dell’8-10%.73 Per la stampigliatura degli indirizzi sulle bollette si continuava a usare una vecchia macchina stampatrice manuale Adrema fino al 1974, quando si ricorreva a una stampatrice elettrica.74 Dal 1974 l’esazione delle bollette cambiava cadenza, passando da bimestrale a trimestrale.
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Quando gli utenti dell’acquedotto divenivano parecchie migliaia, per velocizzare l’apposizione dell’indirizzo sulle bollette bimestrali si utilizzava una apposita macchina stampatrice, a piastrine mobili, le cui caratteristiche erano illustrate in questo depliant.
La stampatrice manuale degli indirizzi, in uso negli uffici del Consorzio Acquedotto Poiana dagli anni Quaranta era del modello qui raffigurato. In essa l’abbassamento del braccio della macchina avveniva con la pressione dell’operatore, il più moderno modello successivo era mosso elettricamente, lasciando così ambedue le mani libere per l’alimentazione degli stampati.
I cassetti degli indirizzi erano disposti in appositi mobili ad elementi estraibili, che consentivano di formare un grande archivio in spazi ristretti. Negli anni Cinquanta, quando erano in uso questi sistemi, gli utenti del Poiana erano già oltre 5000.
Le schede metalliche con i singoli indirizzi erano raccolte in cassette speciali, suddivise con cartellini indicatori che ne rendevano più rapida la ricerca e la selezione.
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Targhetta metallica con indirizzo in rilievo di un utente dell’acquedotto Poiana.
Bolletta esemplificativa del risultato ottenibile con l’impressione dell’indirizzo e di altri dati tramite la targhetta metallica, anno 1942.
Arrivano i bit Nell’ambito della ristrutturazione aziendale, era prevista la meccanizzazione dei servizi contabili e amministrativi; nel 1982 il Consorzio aderiva al progetto esecutivo della Giunta Regionale nel settore della elaborazione elettronica dei dati.75 Per risolvere convenientemente i problemi della sua particolare contabilità, era consigliato al Consorzio di dotarsi di un “Personal Computer” IBM, con il quale collegarsi all’istituendo Centro Elaboratore Dati SIER Informatico Regionale presso il Municipio di Cividale.76 L’acquisto del primo personal computer si effettuava nel febbraio 1984; ultimate tutte le procedure della programmazione computerizzata della contabilità, il 28 settembre 1984 avveniva il collaudo del programma. Con questo strumento si compiva i primi passi nel mondo informatico, che in breve tempo diventava preponderante, mandando in soffitta tutti gli altri ausili utilizzati in precedenza nelle attività d’ufficio.
“La macchina che calcola da sé”, pubblicizzata nel 1925. Avendo le bollette scadenze ravvicinate, i calcoli che il personale amministrativo del Poiana doveva effettuare manualmente erano molti e, con l’introduzione dei contatori di consumo, divenivano ancor più impegnativi. Era comprensibile la ricerca di un ausilio in queste operazioni.
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Materiale illustrativo delle macchine addizionatrici Burroughs Portable, anno 1928.
ATTENTI ALLE MULTE Nel Regolamento per la distribuzione dell’acqua ai privati, deliberato dall’Assemblea nella seduta del 22 novembre 1930, all’articolo 27 si fissavano le penalità per le varie contravvenzioni alle norme: saranno punite con una pena convenzionale da L. 10 a L. 100 a giudizio della Giunta Consorziale. Tali importi rimanevano immutati per oltre quattro lustri, finché nell’Assemblea del 16 giugno 1952 si
proponeva di elevarli 40 volte. Dopo varie discussioni, era deliberato di moltiplicare le vecchie multe per 20, portandole a 200 e 2000 lire. Nel 1975, ad esempio, si riscontravano 117 infrazioni al regolamento di distribuzione d’acqua ai privati, così distribuite: Buttrio 18, Cividale 4, Corno di Rosazzo 28, Manzano 26, Pavia di Udine 5, Remanzacco 10, S. Giovanni al Nat. 25, Trivignano Udinese 1; ai responsabili era applicata la penale massima, che a quel tempo era pari alla somma di 5.000 lire.77
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Addizionatrice ‘Precisa’, propagandata nel 1936.
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Addizionatrice ‘Dalton’, anno 1936.
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In basso: macchina a comandi elettrici ‘Gardner’: la più veloce addizionatrice scrivente, così era definita nella sua reclame del 1936, consentendo 160 battute al minuto e nessun movimento superfluo.
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CAPITOLO XIII
Seduta del 27 agosto 1928, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929, oggetto 1. Seduta dell’1 settembre 1928, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Seduta del 23 ottobre 1928, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Seduta del 30 giugno 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 15 dicembre 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 22 novembre 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 28. Seduta del 21 settembre 1936, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, punto 1 b. Relazione riguardante l’aggregazione dei Comuni di Cormòns e Brazzano al Consorzio, ing. Ruggero della Torre, 20 marzo 1926, ASMunCiv, cart. Lavori Pubblici 1926, fasc. Cat. 19 Fontane, Lavatoi. Il quesito a Roma era rivolto con lettera dell’11 giugno 1932, la Federazione Nazionale rispondeva il 25 giugno seguente, ACAP, cart. Trasformazione azienda. Seduta del 22 dicembre 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, punto 3. Seduta del 22 dicembre 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937. Seduta del 9 febbraio 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 5. Seduta del 20 novembre 1930, ACAP, Deliberazioni Giunta Consorziale 1929-1932. Seduta del 22 novembre 1945, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. ACAP, cart. CISPEL Notizie anno 1972 (...), fasc. “Apparecchio acustico Terrophon” rivelatore elettrico. Il segaleo è una resina fenolica, come la bakelite, che utilizza una base di tela di cotone o lino. Seduta del 1 giugno 1959, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, n. 1 c. L’acquisto dell’apparecchio per la individuazione di perdite nelle condutture marca Sewerin comportava l’investimento di 816.000 lire, ma era in grado di faciltare e snellire notevolmente il lavoro, come era riportato nell’incontro assembleare del 20 aprile 1960, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, n. 1 b. Seduta del 24 ottobre 1964, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967. Seduta del 16 marzo 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1887. Seduta del 7 ottobre 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2397. Seduta del 10 giugno 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2439. Il costo per la riparazione delle perdite, comprensive di viaggi, scavi, ritombamenti, ripristino dei manti bituminosi era complessivamente di 88.500.000 lire, con un costo medio a perdita di 560.000 lire circa. Seduta del 29 luglio 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983. Seduta del 22 novembre 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2478. Seduta del 29 febbraio 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. I, n. 2922, ivi del 9 maggio 1988 n. 2948. Per il correlatore di ricerca delle fughe era valutata quale migliore offerta
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quella della ditta Haus Brand sas Milano, che offriva il “microcorr costruzione Palmer ltd Inghilterra”. Seduta del 18 novembre 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. II, n. 3006. Seduta del 29 luglio 1994, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19921995, n. 10. Seduta del 28 giugno 1996, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1996. Seduta dell’11 febbraio 1928, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929, oggetto 7. Seduta del 18 giugno 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921, p. 7. Seduta del 31 agosto 1931, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, n. 103. Seduta del 15 dicembre 1923, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. Seduta del 24 dicembre 1927, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 1924-1929. Seduta del 2 aprile 1929, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, pp. 2-3. Per la sostituzione dei tre tubi si spesero 10.800 lire. Seduta del 10 maggio 1929, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, p. 7. Seduta del 20 gennaio 1930, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, pp. 20-21. Seduta del 21 giugno 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 1929-1937. Seduta del 9 gennaio 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 1929-1937, punto 1 c. Comunicazione dell’ing. Vittorio Paoletti del 30 ottobre 1914, con fattura della ditta Fatutto Egisto di Casale Monferrato del 19 novembre 1914, in ACAP, cart. Conti Consuntivi 1912-13-14, fasc. Conto consuntivo 1914. Le indennità erano fissate dalla giunta consorziale il 23 febbraio 1924. Seduta del 20 gennaio 1930, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932. Seduta del 9 novembre 1968, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1967-1969, n. 1280. Seduta del 20 ottobre 1978, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980. Seduta del 20 gennaio 1930, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, p. 21. Seduta del 31 ottobre 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2123. Gli ex dipendenti a riposo, con servizio almeno venticinquennale, che ricevevano il riconoscimento erano: Costaperaria Luciano, Cirant Santo, Lancerotto Luigi, Marano Mario, Mattaloni Gio Batta; non avevano raggiunto i 25 anni di servizio Rossi, Iacuzzi, Miani e Benati. A Fachini Guglielmo la medaglia d’oro era stata consegnata nel 1982. Dati riportati nella seduta del 26 luglio 1984, ACAP, Delibere Commissione Amministratrice anno 1984, n. 2631. Elenco prezzi unitari allegati al conto finale, per la realizzazione di acquedotti rurali 1934-1936; ACAP cart. Acquedotti rurali cividale 1932 (2), Quaderno “Conto finale della spesa per i lavori per la costruzione degli acquedotti rurali in Comune di Cividale del Friuli”, 25 novembre 1936. Si doveva procedere a norma dell’art. 22 del Testo Unico sull’assunzione diretta dei pubblici servizi approvato con R. D. 15 ottobre 1925 e degli art. 7 dello Statuto e 12 del Regolamento Speciale del Consorzio in vigore. Seduta del 6 luglio 1945, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19381947, p. 64. Seduta del 9 novembre 1946, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punti 7 e 8. Dal 1947 al presidente e ai membri della Commissione amministratrice, oltre al rimborso delle spese vive sostenute (viaggio, vitto, alloggio) si corrispondeva una indennità di presenza per l’intervento alle sedute della Commissione o per incarichi speciali, nella misura stabilita dall’Assemblea e dal 1° gennaio 1947 l’assegno di presenza era fissato in 500 lire per ogni seduta, seduta del 24 luglio 1947, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 5. La medesima somma era riconfermata per il 1948 e 1949, quando si introduceva anche l’assegno fisso forfettario di 10.000 lire mensili per il Presidente e si elevava dal 1° gennaio 1949 il compenso annuo al Segretario
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dell’Assemblea consorziale da 10.000 a14.000 lire annue. Dal 1° luglio dello stesso anno tale somma era ritoccata, innalzandola a 16.000 lire. Seduta del 24 febbraio 1948, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 5. La commemorazione di Giovanni Brosadola avveniva nell’assemblea del 5 giugno 1951, per onorarne la memoria era erogata in beneficenza la somma di 30.000 lire. Seduta dell’8 settembre 1951, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 5. Seduta del 4 luglio 1959, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, punto 4. Seduta del 27 febbraio 1943, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 4. Seduta del 30 agosto 1939, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 3. Queste erano le nuove tariffe: A per concessioni in abbonamento (con minimo di consumo) per usi domestici £ 0,06 per hl, per usi commerciali-industriali £ 0,008 per hl (...); B per concessioni a consumo (senza minimo di abbonamento) canone fisso £ 33 e per ogni hl consumato £ 0,20. Alle utenze situate fuori dai territori dei Comuni consorziati i suddetti prezzi erano aumentati del 50%. Seduta del 16 marzo 1944, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, p. 58 punto 3. Seduta del 27 dicembre 1944, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. Il Commissario dei Prezzi del Litorale Adriatico autorizzava l’aumento dei prezzi con provvedimento n. 1331 del 22 dicembre 1944. Seduta del 22 novembre 1945, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punti 1/ 4 e 4. Seduta del 7 febbraio 1944, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 3. Seduta del 21 febbraio 1947, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 3. Seduta del 24 luglio 1947, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19381947, punto 3. Seduta del 24 febbraio 1948, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 3. Seduta del 24 febbraio 1948, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 3. Seduta del 27 luglio 1950, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19481958, punto 3. Seduta del 20 marzo 1951, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 4. Seduta dell’8 settembre 1951, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 2. Seduta del 2 aprile 1953, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19481958, punto 5. Seduta del 29 dicembre 1928, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1922-1929, oggetto 1. La macchina addizionatrice era fornita nell’aprile 1929 dalla ditta Lagomarsino, il cui modello 191-102 costava 3.400 lire, mentre la macchina stampatrice manuale Adrema, mod. II completa di accessori e targhette metalliche era fatturata il 17 marzo 1930 per un totale di 4.300 lire. Seduta del 30 maggio 1955, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 4. Seduta del 16 novembre 1963, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 5, deliberazione 955. La macchina costava 3.560.000 lire, Seduta del 18 giugno 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 19701972, n. 1502. Seduta del 30 aprile 1970, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972. Seduta del 4 marzo 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1661. Seduta dell’1 marzo 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2511. Seduta del 9 dicembre 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2576. Seduta del 13 novembre 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976.
XIV CAPITOLO QUATTORDICESIMO
GLI ACQUEDOTTI RURALI
GLI ACQUEDOTTI RURALI Nonostante la buona volontà degli amministratori, per varie ragioni – tecniche ma principalmente di carattere finanziario – diversi decenni dopo la posa della conduttura principale dell’acquedotto Poiana erano ancora numerose le località e le abitazioni isolate che non potevano contare su di esso per l’approvvigionamento idrico. Necessariamente, era stata data la priorità ai centri abitati più densamente popolati, escludendo temporaneamente da tale beneficio i tanti insediamenti colonici sparsi nella vasta area consorziata. Alcune disposizioni legislative emanate dal Governo a favore dell’agricoltura consentivano di attenuare il problema dell’acqua potabile, assai sentito nell’intero territorio consorziato. Ovunque si trovavano, infatti, famiglie che per le esigenze domestiche e per il bestiame erano ancora costrette a ricorrere a fontanili sgorganti nelle adiacenze abitative e alla raccolta dell’acqua piovana in depressioni del terreno: soluzioni antiquate, precarie e di dubbia potabilità, soggette a prosciugamenti nei periodi siccitosi e rappresentanti potenziali forme di inquinamento, ma obbligate e inevitabili in assenza di migliori alternative. La legge del 21 dicembre 1928 n. 3134 – comunemente nota come ‘legge sulla Bonifica integrale’ – all’articolo 3 stabiliva che per la costruzione di acquedotti rurali lo Stato poteva concedere un contributo nella misura del 75% sulla spesa ammissibile; analoghe agevolazioni erano poi previste dagli articoli 43 e 44 del Regio Decreto del 13 febbraio 1933 n. 215. La bonifica integrale era intesa come un insieme organico di opere idrauliche, agricole e fondiarie, perseguendo il generale progresso dell’agricoltura, da raggiungere sia con la radicale trasformazione sia perfezionando gli ordinamenti della produzione terriera; era ‘integrale’ nel senso di estensione e di intensità. A tal fine il Governo predisponeva un piano organico di finanziamento delle opere di bonifica e di miglioramento agrario, fissando il periodo di esecuzione in quattordici anni, a partire dall’esercizio
1929-30 e prevedendo un ammontare complessivo di spese di 7 miliardi di lire, di cui 4 miliardi e 300 milioni a carico dello Stato. Grazie a tali misure si riuscì a fornire, in tantissime località, acqua igienicamente pura e quantitativamente sufficiente, eliminando l’enorme profusione di energie sprecate nell’attingimento del prezioso elemento, in quanto spesso dislocato a notevole distanza dagli insediamenti. Le opere erano eseguite in economia direttamente dal Consorzio, che aveva a disposizione attrezzature, mezzi e personale specializzato, procedendo con la trattativa privata per le forniture di tubi e accessori e mediante cottimi fiduciari per opere murarie e scavi. Questo sistema, previsto dal Regolamento Amministrativo, era il migliore, permettendo la minor spesa e la migliore esecuzione degli impianti che, una volta completati, dovevano in ogni caso essere assunti in gestione dal Consorzio stesso. Il primo ampliamento sussidiato dalla legge dello Stato sulla ‘Bonifica integrale’ si aveva su iniziativa del dottor Guido Giacomelli, membro della Giunta consorziale, che nel 1930 proponeva di estendere l’acquedotto a favore della zona Lippe-Lonzano, appartenente ai Comuni di Premariacco, Buttrio e Pradamano; nel contempo anche il signor Agostino Angeli, podestà di Remanzacco, chiedeva che per il suo Comune si provvedesse a rifornire d’acqua tutti i casolari sparsi.1 Da allora, l’ufficio consorziale non solo collaborava con tutti i Comuni, ma provvedeva anche ad espletare le complesse pratiche richieste dalle norme della legge 3134 del 1928, per la realizzazione degli acquedotti rurali nell’intero territorio consorziato. Il terzo acquedotto rurale a essere intrapreso era quello per i ronchi di Dolegnano (San Giovanni al Natisone). Di seguito, si descrivono le principali realizzazioni rurali, raggruppate per Comune, avvertendo che diversi dei progetti attuati coinvolgono plaghe rurali ricadenti in più Comuni contermini.
BUTTRIO Strada Buttrio-Manzano L’Ufficiale sanitario di Buttrio lamentava ripetutamente il ‘disagio igienico’ della numerosa popolazione rurale dislocata lungo la strada Buttrio-Manzano e sulle pendici sud dell’adiacente zona collinare, costretta a usufruire di sorgenti locali di incerta potabilità e, in mancanza delle stesse, a portarsi alla fontana di Casali Maniago, distanti circa mille metri. Per sopperire a tale mancanza, il Consorzio elaborava il progetto del 10 ottobre 1933, che prevedeva una derivazione presso la strada per Villa Morpurgo. Con decreto del Ministero per l’Agricoltura e le Foreste del 14 agosto 1934 il progetto era approvato, limitandolo però alla tratta Buttrio-Case Borghese, eliminandone i 230 metri verso Case Trento e, per l’avvenuta diminuzione dei prezzi dei materiali, riducendo la spesa da 59.000 a 55.000 lire, su cui era concesso il contributo del 75%. Nel corso di esecuzione delle opere i proprietari delle case da servire con due fontanelle pubbliche chiedevano insistentemente al Comune che, per le abitazioni più distanti, si facessero piccole derivazioni per ciascuna di esse, obbligandosi a eseguire gratuitamente i relativi lavori di scavo e a farsi utenti dell’acquedotto. In tal modo il Comune non avrebbe avuto spese di manutenzione per le fontane pubbliche e poteva introitare i sette canoni delle relative concessioni private,2 che si aggiungevano a quelle già previste in progetto. Corografia del progetto di derivazione per le case rurali poste lungo la strada Buttrio-Manzano, 10 ottobre 1933.
Panoramica di territorio cividalese con insediamenti rurali sparsi, secondo una tipologia diffusamente presente nell’area consorziale. A partire dagli anni Trenta, anche tutte le case isolate furono progressivamente raggiunte e servite dall’acquedotto.
I lavori, iniziati il 23 gennaio 1936, erano ultimati il 1º novembre successivo. Alla profondità media di 1,20 metri si posavano complessivamente 2802,95 metri di condutture di diversi diametri, rispetto ai previsti 2405 e spendendo circa 1.500 lire in meno del preventivato; dell’opera beneficiavano dieci famiglie rurali, composte
GLI ACQUEDOTTI RURALI
da 98 persone e con 50 quadrupedi allevati. Il Ministero però non riteneva opportuna la soppressione di ambedue le fontane pubbliche, perché sarebbe venuto meno il principio fondamentale di dare l’acqua a tutta la popolazione della zona, presente e futura, e non solo ai proprietari che potevano pagare i relativi canoni, pertanto se ne realizzava una, posta presso i Casali Maniago.3
Villa Tellini Nel 1935 il Consorzio compilava un progetto di acquedotto rurale per fornire acqua potabile a diversi insediamenti collinari in località “Villa Tellini”, poste a quote altimetriche superiori alla pressione media della rete; con questo lavoro, il territorio comunale di Buttrio sarebbe stato totalmente fornito di acquedotto.4 Dopo una verifica in zona, il Consorzio rilevava l’esistenza di una striminzita conduttura del diametro di 1 pollice che da Vicinale di Buttrio portava l’acqua a due case coloniche, collocata dall’Amministrazione militare durante la prima guerra mondiale, che oltre a essere di diametro insufficiente per qualsiasi maggiore sviluppo, era formata da tubi deteriorati senza alcuna protezione e posati superficialmente, ormai fortemente ossidati. Era possibile estendere il beneficio dell’acquedotto a 21 case coloniche, costrette a servirsi di fontanili sgorganti nei dintorni, facili a inquinarsi e a prosciugarsi; la popolazione della zona era di 250 persone, con 100 quadrupedi, necessitanti nel complesso di un’assegnazione giornaliera di 49.500 litri, soddisfabile con una portata di 0,60 l/secondo. Per dar modo a quei casali di avere acqua a tutte le ore del giorno, nei periodi di minore consumo della rete era previsto un accumulo a debita quota altimetrica; una valvola di ritenuta da inserirsi a valle del nodo serbatoio-casa Spinotti avrebbe impedito il ritorno
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dell’acqua nella rete, consentendo che nei momenti di minore pressione l’acqua accumulata fosse distribuita, con la medesima conduttura, ai diversi punti di erogazione nella zona alta. Il progetto del 5 novembre 1935 prevedeva una derivazione da Vicinale di Buttrio con tubi del diametro da 60 mm, che doveva alimentare nelle ore di maggiore pressione un serbatoio di 30 mcubi, posto alla massima quota della zona, sopra Villa Tellini. Nella seduta del 9 novembre 1935 della Giunta consorziale, approvando il progetto tecnico si riteneva opportuno estendere l’acquedotto anche a due case del Comune di Manzano e a tre di Premariacco, contigue alla progettata nuova rete. L’opera doveva beneficiare del sussidio concesso dalla legge sulla bonifica integrale per il 75% della spesa preventivata di 125.000 lire, il Magistrato delle Acque di Venezia approvava il progetto ma riducendone la spesa a 112.000 lire, di cui 84.000 a carico dello Stato. Pur essendo stato l’elaborato tecnico regolarmente approvato dai competenti uffici, non si otteneva il voluto finanziamento, per insufficienti assegnazioni di bilancio. Il Sanatorio di Buttrio, pressato dal bisogno di un adeguato impianto idrico, visto che trascorrevano gli anni senza che i lavori potessero essere attuati,5 nel 1943 costruiva per suo conto una derivazione del diametro di 50 mm, portando l’acqua al suo istituto. Il Comune di Buttrio, sollecitato da alcuni coloni della zona, nel 1946 intendeva attuare parzialmente il progetto del 1935, usufruendo dell’impianto del Sanatorio, incaricando il Consorzio di compiere uno studio attuativo. Tecnicamente era possibile dare esecuzione all’opera, pur limitando in piccola parte la quota del serbatoio, onde sopperire alle minori portate della conduttura da 50 mm, la cui utilizzazione era resa disponibile gratuitamente dal Sanatorio. La spesa complessiva prevista era di 1 milione di lire.6 La documentazione disponibile non consente di chiarire gli sviluppi successivi.
Prolungamento dell’acquedotto a Buttrio per i Casali Cicotti, progetto del 30 maggio 1950.
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Case Zambruno, Buttrio in Monte
CIVIDALE DEL FRIULI
Il 25 maggio 1950 era allestito il progetto per derivare l’acqua da via Sottomonte e farla giungere a due case coloniche nei pressi del Sanatorio, di proprietà della signora Maria Venier in Zambruno. Dopo aver ottenuto dall’Amministrazione D’Attimis-Maniago il permesso di attraversare un suo fondo per la posa dalle condutture, i lavori potevano procedere speditamente. In fase di liquidazione finale risultava che rispetto alle 930.000 lire preventivate, se ne spendevano solo 660.415.7
Derivazioni del 1932-36
Corografia del progetto di 11 derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali in territorio del Comune di Cividale del Friuli , 25 maggio 1932.
Le provvide disposizioni legislative statali del 1928 sulla bonifica integrale consentivano al Comune di Cividale di procedere con gli ampliamenti della rete consorziale a favore degli insediamenti rurali che ne erano sprovvisti. Il progetto predisposto dall’ufficio tecnico del Consorzio il 25 maggio 1932 prevedeva 11 nuove derivazioni e sottoderivazioni, aventi tutti i caratteri di ruralità previsti dalla legge, con le quali beneficiare una novantina di famiglie rurali, in totale circa 800 persone abitanti ai Casali Scarbolo, Casali Treppo, la Pelosa, Zuccola, Fortino, Sottocastello e Molini di
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Planimetria della derivazione per il mulino di Sanguarzo e la località Sottocastello nella frazione di Purgessimo, dal progetto di 11 derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali in territorio del Comune di Cividale del Friuli, 25 maggio 1932.
Sanguarzo, Casali Druga, il Casone, Gagliano, Valanzana, Case Romanutti e Zanutto, Cimitero dei Tedeschi. Vi si assegnavano, complessivamente, 3,75 l/secondo, prelevandoli dalla competenza di 25 l/secondo spettanti al Comune di Cividale secondo l’originaria ripartizione dell’anno 1912. La spesa prevista era di 243.000 lire, che per l’avvenuta diminuzione dei prezzi della manodopera era ridotta, con decreto ministeriale del 14 dicembre 1934, a 237.700, sulla quale lo Stato concedeva il contributo del 75%, pari a 178.175 lire.8 I lavori, eseguiti in economia direttamente dal Consorzio, iniziavano nel giugno 1934 ed erano conclusi nell’ottobre 1936, sotto la sorveglianza dell’Ufficio del Genio Civile di Udine. Queste erano le diramazioni realizzate e la singola spesa preventivata in progetto, con indicati tra parentesi i tempi di esecuzione, il costo effettivo finale ed eventuali altri dati: 1. Da Rubignacco a case Scarbolo, 2 fontane pubbliche, sviluppo della diramazione 1325 metri, spesa preventivata 27.483,60 lire (eseguita dal 17 ottobre al 28 novembre 1934; costo finale 15.687,55 lire). 2. Dalla strada per Moimacco a case Treppo, 1 fontana, 395 m, 6113 lire (dal 15 novembre al 22 dicembre 1934; costo 2.404,70 lire). 3. Dalla conduttura per Guspergo alla casa “La Pelosa”, 1 fontana, 1010 m, 17.417 lire (dal 25 febbraio al 27 marzo 1935, la derivazione anziché dalla conduttura per Guspergo venne fatta da quella di Sanguarzo, a case Boscutti, avendo riscontrato un minor percorso di circa 100 metri e minore difficoltà di scavo; costo 6.224,80 lire). 4. Dalla conduttura per Zuccola (mulino) verso il Fortino, 1 fontana, 215 m, 3.674 lire (dal 24 settembre al 9 ottobre 1934; costo 1.577,55 lire). 5. Da Purgessimo a Sottocastello e a “Molino di S. Guarzo”, 1 fontana, 1150 m, 19.000 lire (dal 28 novembre 1934 al 16 gennaio 1935, prolungamento della
tubazione da Purgessimo ai casali Margutti e Sdraulig; costo 6.112,20 lire). 6. Da Carraria a Casali Druga, 1 fontana, 570 m, 10.599 lire (dal 21 dicembre 1934 al 6 febbraio 1935, con diramazioni per la fontana Cencig, la fontana Bignolini e le fontane Olivo-Cantoni, fontana Strazzolini, fontana pubblica; costo 8.059,40 lire). 7. Da San Giorgio di Rualis alla località “Il Casone”, 1 fontana, 630 m, 10.787 lire (dal 4 al 23 giugno 1934, derivata anziché da S. Giorgio dalla conduttura esistente tra borgo Tomba e borgo Viola e collocata lungo la strada tra borgo Tomba e il Casone, per servire le case lungo detta strada, con derivazione alle fontane Cantarutti, Toso, Blanchini, Crucil; costo 6.824,90 lire). 8. Dalla strada Cormonese di fronte a Valanzana fino alla fontana oltre Valanzana, 1 fontana, 420 m, 7.453 lire (dal 3 al 13 settembre 1934, con derivazione alle fontane Ricotti, Braidotti, De Paciani; costo 2.536,15 lire). 9. Da Rualis (nodo per borgo Viola) per Gagliano ai casali Romanutti (con cambio della esistente conduttura da Rualis e Gagliano perché insufficiente), 3 fontane, 3890 m, 85.306 lire (dal 2 luglio al 4 settembre 1934, con diramazione alle fontane Cudicio, Braida, Pascolini, Bon Edoardo, Sturam, Spezzotti e Marinig, Spettante, Bon Eugenio, Bon Giuseppe, Bon Luigi, Bon Valentino e Accordini, casa Romanutti; costo 58.374 lire). 10. Da Casali Barbiani a casa Valentinuzzi (verso Romanutti) e a Case Zanutto, 2 fontane, 1310 m, 22.342 lire (dal 6 settembre al 3 dicembre 1934, derivazione alle fontane Valentinuzzi, Canzut, scuola, Braidotti, Camussig, case Zanutto; costo 14.785 lire). 11. Da borgo Viola al Cimitero dei Tedeschi, 1 fontana, 510 m, 8.922 lire (dal 18 al 28 giugno 1934, diramazione alle fontane Olivo Giuseppe, Olivo Carlo, Petrussi; costo 4.571,40 lire). La lunghezza prevista delle diramazioni e sottodiramazioni progettate ammontava a 11.405 metri;
Acquedotti rurali nel Comune di Cividale del Friuli, realizzati nel 1935-1936. Le relative condutture sono evidenziate in rosso.
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si teneva come base l’assegnazione di 0,25 l/secondo per ciascuna delle 15 fontane pubbliche, prevedendo piccole dispersioni e anche la possibilità di aprire nuove erogazioni pubbliche, giungendo in totale ai 3,75 l/ secondo, prima citati.9 Procedendo con le derivazioni, si riscontrava la necessità di apportare alcune aggiunte e varianti al progetto per una migliore distribuzione dell’acqua, senza modificare la spesa autorizzata, avendo potuto realizzare sensibili economie. Nella perizia del 26 settembre 1934 si prevedeva che dalla derivazione n. 9 si sviluppassero altri cinque prolungamenti: I. Diramazione per casa Periz, casa Bon e casa Sturam, sviluppo 725 ml, spesa presunta 7.461,50 lire II. Derivazione per casa Spezzotti e Casa Marinig, sviluppo 284,5 ml, 3.175,90 lire III. Derivazione per case Accordini e Bon, sviluppo 180 ml, 1.984,50 lire IV. Derivazione per le case Cudicio, Braida, Spettante e tre case Bon, sviluppo 96 ml, 13.735,40 lire V. Prolungamento verso 7 case in località ‘I Planez’, sviluppo 1.760 ml, 23.352,50 lire. Inoltre, nello stesso elaborato si contemplavano le seguenti due ulteriori modifiche: VI. Nuova derivazione per località “Madonna delle Grazie”, con impianto di sollevamento. L’acqua era derivata sulla strada di Fornalis e mediante una conduttura da 25 mm di diametro era portata in una vasca di accumulo di 5,4 mcubi posta alla quota della linea di carico media rilevata a 160 metri. Sopra la vasca c’era la cabina di sollevamento. Con la pompa centrifuga azionata da motore a scoppio il liquido veniva spinto nel serbatoio posto alla quota di 209 metri, di 5,4 mcubi, da questo una derivazione di ¾ di pollice adduceva alla fontana di attingimento. Sviluppo della conduttura 310 ml, spesa presunta 18.454,85. I lavori si svolgevano dal 26 marzo al 25 maggio 1936, con la spesa effettiva di 14.108,53 lire.10 VII. Derivazione presso il Macello vecchio, per fontane di case Moschioni, Omosigh, Cepile, sviluppo 240 ml, 2.827 lire (dal 6 all’8 febbraio 1935). La spesa per l’insieme di queste varianti ammontava a 58.369,75 lire, che rimaneva contenuta entro i limiti del preventivo già approvato, visto che i risparmi per riduzioni del costo delle tuberie di alcuni diametri, degli scavi e per minori sviluppi di condutture erano di 59.000 lire.11 Ulteriori varianti e aggiunte formavano oggetto della perizia del 23 marzo 1936, approvata con il Decreto ministeriale 24 agosto 1936, fermi restando il contributo statale e le altre condizioni stabilite nei precedenti decreti. Il progetto del 1932 prevedeva un determinato sviluppo delle condutture, invece grazie alle economie
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effettuate e con le debite autorizzazioni ministeriali, si aggiungevano altre derivazioni e prolungamenti, raggiungendo l’estensione totale di 17.855,05 metri, di tubazioni di vario diametro. Tenuto conto che nei nuovi impianti erano reimpiegate condutture già in opera (Rualis-Gagliano per una tratta di 1.601 metri), la rete di Cividale era aumentata di 16.254,05 metri. Si installavano 6 fontane pubbliche e 59 private nelle case rurali, portando così beneficio a 98 famiglie coloniche popolate da 850 bipedi e 300 quadrupedi. Il materiale metallico per le condutture era acquistato dagli Stabilimenti di Dalmine, i lavori iniziavano per la precisione il 4 giugno 1934 ed erano ultimati il 18 ottobre 1936. Per la posa delle condutture ed apparecchi la manodopera impiegata – a parte scavi, ritombamenti e sistemazioni stradali – era la seguente: idraulico 2.345 ore, aiutante idraulico 3.099 e muratore 99 ore. Rilevante era il concorso degli interessati all’esecuzione degli scavi, compiuti gratuitamente per una lunghezza complessiva di 8.776,80 metri, che si potevano valutare pari a 17.500 lire risparmiate e ciò aveva contribuito sensibilmente al maggiore sviluppo dato alle derivazioni, rispetto al preventivato. La liquidazione finale era di 246.619,40 lire, in confronto delle 237.700 del progetto originario, la maggiore spesa restava a carico del Comune di Cividale.12
Derivazioni 1939-1946 L’ufficio tecnico consorziale compilava un progetto, datato 25 ottobre 1939, per un ulteriore ampliamento della rete a favore delle case rurali, nei Comuni di Manzano, Moimacco, Pavia di Udine, Trivignano Udinese e Cividale. Delle 20 derivazioni previste, con uno sviluppo complessivo di 10.682 metri di condutture, 13 ricadevano in quest’ultimo Comune: 1. Dall’esistente fontana sulla strada per ‘Il Fortino’ alle case di detta località, con impianto di sollevamento, dotato di vasche di accumulo e di distribuzione interrate, entrambe di 5,4 mcubi, sviluppo condutture 717 metri lineari (ml), abitanti serviti 60 2. Dalla strada per il Tiro a Segno a Case Leicht, sviluppo 92 ml, abitanti 10 3. Rubignacco, da case Braidotti a case Specogna e Rossigh, 510 ml, abitanti 24 4. Rubignacco, dalla strada comunale per Faedis a villa Gabrici e case coloniche, 475 ml, abitanti 29 5. Zuccola, dalla conduttura per casa Iuri a case Boscutti, 161 ml, abitanti 12 6. Rubignacco, dalla strada presso il ponte sul Chiarò a casa Dorbolò e Sione, 150 ml, abitanti 16 7. Dal bivio per Tiro a Segno al bivio case Rossi, 580 ml, abitanti 22
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Scavi a Rubignacco per la posa di condutture dell’acquedotto Poiana, anni Trenta (archivio privato).
18. Da Carraria a casa Lucchitta, 305 ml, abitanti 28 19. Da Darnazzacco a case de Nordis, 250 ml, abitanti 16 10. Fornalis, dalla strada a case Cragnolini e Ghendaro, 650 ml, abitanti 15 11. Da casali Spessa a casa Albini, si usufruisce di una conduttura privata, pagando metà costo, 100 ml, abitanti 9 12. Spessa, dalla strada Cormonese presso Zucchiatti ai Ronchi di San Giuseppe, 1309 ml, abitanti 26 13. Dal nuovo Macello alle case Operai verso Grupignano, 335 ml, abitanti 30.13 L’opera avrebbe beneficato 42 famiglie cividalesi, con una spesa complessiva di 140.740 lire. Nel 1940 l’Italia entrava nuovamente in guerra e i prezzi del materiale facevano un balzo in avanti, tanto che l’Ispettorato di zona del Regio Magistrato alle Acque con nota 12 ottobre 1941 ravvisava la necessità di aggiornare i preventivi del progetto elaborato due anni prima: da 235.000 si passava a 350.000 lire. In quel frangente, con le scarse scorte dei materiali di magazzino, si sarebbe potuto realizzare solo 3 derivazioni (nn. 1, 2 e 11) e il cambio della motopompa in Fornalis, rimandando le altre 17 alla cessazione dello stato di guerra. Si riteneva comunque opportuno istruire e definire la pratica per poter attuare gli impianti non appena la nostra Vittoria avrà ridato la possibilità di continuare nell’attuazione di quel programma di opere di bonifica rurale, saggiamente voluto dal Governo (…). L’esito del conflitto non sarà quello auspicato e solo nel 1946 poteva essere riconsiderato il progetto, che tecnicamente manteneva la sua valenza ma doveva essere completamente rivisto nella parte economica. Per comprendere l’evoluzione dei costi, si riportano le spese del primo progetto 1939 e di seguito, in corsivo, quelle ricalcolate nel 1946, per ogni singola derivazione: 11. £ 29.380,80 £ 717.705,50 12. £ 1.112,80 £ 31.420,80 13. £ 7.431,80 £ 207.150,80 14. £ 7.855,80 £ 237.630,80 15. £ 2.392,80 £ 65.260,80 16. £ 1.677,80 £ 47.800,80 17. £ 13.279,80 £ 265.050,80 18. £ 6.978,50 £ 186.450,80 19. £ 3.055,80 £ 83.400,80 10. £ 9.797,50 £ 272.100,80 11. £ 3.550,50 £ 80.235,80 12. £ 21.518,70 £ 594.530,80 13. £ 5.000,80 £ 133.850,80 A fianco della sede stradale vi sono le trincee, aperte utilizzando solo pala e piccone, per la posa delle condutture dell’acquedotto, anni Trenta (archivio privato).
Corografia con l’indicazione delle derivazioni dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali in territorio del Comune di Cividale del Friuli e di Moimacco, 3 settembre 1946 (la rete esistente è indicata in blu, le nuove derivazioni in rosso).
Si può sottolineare che nel progetto del 1939 era prescritto di impiegare, nei limiti del possibile, materiali autarchici, cioè tubi di cemento e amianto, limitando l’acciaio per i diametri inferiori ai 40 mm; superata la difficoltà dell’impiego del metallo, nel 1946 si prevedeva l’uso, come per il resto della rete, di tubi originali Mannesmann Dalmine, senza saldatura e laminati a caldo, muniti di giunto a bicchiere per pressioni d’esercizio fino a 15 atmosfere, bitumati internamente ed esternamente e protetti all’esterno con uno strato di Vetroflex e bitume per i diametri oltre i 40 mm; per quelli inferiori gli stessi tubi ma con giunto a vite e manicotto. Solo nei terreni di natura ‘aggressiva’, ovvero particolarmente corrosivi si impiegavano tubi di cemento con giunto monolitico. L’unico impianto di sollevamento previsto era quello per la derivazione n. 1. Nella località ‘Il Fortino’ l’acqua arrivava a quota 147 metri s.l.m., ma salendo fino a quota 190 si trovavano altre sette famiglie, prive di acqua potabile. Ipotizzando un incremento futuro fino a 60 abitanti, si preavvisava in 54 ettolitri il fabbisogno giornaliero, da innalzare mediante elettropompa centrifuga della potenza di 1,5 cavalli. Si calcolava che il serbatoio di accumulo atto a contenere il fabbisogno di un giorno, prevedendo una erogazione minima media di 0,20 l/secondo, si riempisse in sette ore e mezza. Il fondo del serbatoio di accumulo, anch’esso di 5,4 mcubi,
era posto alla quota 193,30, che consentiva di portare l’acqua con un conveniente carico anche nelle case poste più in alto.14 Dalle 350.000 lire previste nel 1941 si passava, cinque anni dopo e con la guerra di mezzo, alla somma di 3.463.000 lire. Per dar corso alle progettate 13 derivazioni, il Comune di Cividale chiedeva il finanziamento statale con i fondi a disposizione per il sollievo della disoccupazione, come previsto dal Decreto legge 10 agosto 1945, n. 517; questo prevedeva che la spesa venisse sostenuta dallo Stato, recuperandoli poi per il 50% dai Comuni in 30 annualità senza interessi.15 La spesa complessiva dell’intero progetto, che andava a beneficio di 470 abitanti, era di 6.220.000 lire. L’Ufficio del Genio Civile rilevava l’elevatezza di tale costo, che si discostava parecchio dalle 15.000 lire di costo medio per persona, giungendo fino a 50.000 lire nelle derivazioni che servivano pochi residenti. Il Consorzio non negava l’effettiva consistenza della spesa, ma riteneva che quegli stessi abitanti, per la loro ubicazione costretti a situazioni di maggior disagio, contribuivano comunque alle spese d’impianto e di esercizio dell’acquedotto e avevano il legittimo diritto di poterne beneficiare anch’essi, eliminando l’ingiusta, se pur non voluta, disparità di trattamento.16 Una disparità che, per molti, si prolungava ancora per parecchi anni. Non era infatti concesso l’auspicato contributo, nè si rendeva possibile una impostazione tecnica tale da poter ricorrere ai finanziamenti di favore dello Stato, previsti dalla legge 9 agosto 1949 n. 589 e conseguire un mutuo a lunga scadenza da parte della Cassa Depositi e Prestiti.
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Derivazioni 1956-1958 Nel 1956 il Comune di Cividale poneva nuovamente lo sguardo sulla situazione idrica rurale, la cui carenza era particolarmente dannosa per l’allevamento zootecnico, e faceva elaborare un altro progetto, stavolta per sette derivazioni. Scorrendo il relativo elenco, si coglie che vi erano comprese anche quelle progettate nel 1939 e ancora rimaste solo sulla carta: 1. Zona collinare del Fortino, con parziale sollevamento a mezzo elettropompa, sviluppo conduttura 687 metri lineari, abitanti serviti 60, spesa prevista 2.329.000 lire. 2. Dal Tiro a Segno a Casali Zanon, 415 ml, abitanti 30, spesa 521.000 lire.17 3. Rubignacco, dalla rete sulla strada per Faedis in località Ponte sul Chiarò a case Dorbolò, Macorig, Gondolo e Sione, 435 ml, abitanti 20, spesa 535.000 lire. 4. Zuccola, dalla conduttura per Guspergo al bivio case Iuri a case Iuri e Boscutti, 105 ml, abitanti 14, 144.000 lire. 5. Carraria, dalla rete ai piedi della salita per Castelmonte a casa Luchitta, 305 ml, abitanti 28, 440.000 lire. 6. Ronchi di Spessa, dalla strada Cormonese a case dell’Ospedale, Coceani e Vanone, 1465 ml, abitanti 30, 1.835.000 lire. 7. Ronchi di San Giuseppe, dall’esistente estremità della rete sotto le case Romano fino ai limiti di altitudine consentiti dalla pressione della rete stessa. Serviva la casa del Pino, con una diramazione per case Miotti, sotto casa Copetti e derivazioni secondarie per case Zorzettig Isidoro, Bighettoni, Miotti e Micheli, l’ampliamento si sviluppava per 2.257 ml, abitanti 68, 3.106.000 lire. Per aumentare la quota piezometrica all’origine, riducendo la perdita di carico a monte era necessario cambiare la tratta da 40 mm dal bivio per casali Megaluzzi alla diramazione per casa Zorzettig con altra da 50 mm per 570 ml, con spesa di 910.000 lire; la somma complessiva era di 4.016.000 lire.18 Era opportuno provare a ricorrere ai benefici della legge sulla bonifica integrale del 1933, pur sussistendo scarse possibilità di ottenere la concessione del contributo, ma si confidava su ulteriori assegnazioni di fondi al competente Ministero.19 La derivazione n. 4 era eseguita da privati. Nel 1958 si effettuava il cambio della conduttura dalla derivazione per Casali Megaluzzi alla casa del conte Romano e alla casa dell’Ospedale in Spessa; gli scavi, affidati a cottimo a una ditta privata, erano praticati dal 15 al 27 febbraio 1958.
Progetto di sette derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali del territorio cividalese, corografia dell’area di Sanguarzo e Fornalis, 30 agosto 1959.
Seguiva la realizzazione delle derivazioni previste dal progetto, svolte secondo la consueta prassi in economia dal Consorzio, iniziate il 12 maggio 1958 e ultimate dodici mesi dopo, il 12 maggio 1959. Il 9 marzo 1959 entrava in funzione l’impianto di sollevamento e distribuzione per le case sparse della località ‘Il Fortino’. Dato che con il progetto del 1957 per il sollevamento dell’acqua in via Castelmonte era previsto anche il rifornimento di casa Luchitta, il programma dei lavori della derivazione n. 5 poteva essere limitato al solo rifornimento di casa Grinovero, con minore spesa.20 La spesa totale preventivata era di 11.200.000 lire, la liquidazione era inferiore, pari a 9.233.228 lire; sull’opera si aveva il contributo dello Stato per il 75%.
Derivazioni 1959-1961 Con la posa di ulteriori 1329 metri di tubazioni, nel 1959 si riteneva di estendere l’atteso beneficio della rete acquedottistica ad altre 18 abitazioni con le caratteristiche di ruralità, come tali ammesse ai benefici
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previsti dalla legge del 1933. Il progetto del 30 agosto 1959 prevedeva la realizzazione delle seguenti sette derivazioni, sparse nel territorio cividalese: 1. Sul confine con il Comune di Torreano, dal molino Cudicio a case Pecol, sviluppo conduttura 150 metri lineari, case servite 4 con una fontana pubblica. 2. Sanguarzo, dalla strada con il serbatoio di Guspergo a casa del colono Gio Batta Quendolo, 75 ml. 3. Carraria, località Druga, fino a casa Fanna, 140 ml, case rurali 6. 4. Fornalis, Madonna delle Grazie, impianto di sollevamento con elettropompa. 5. Valanzana, prolungamento fino a casa Vescul, 170 ml. 6. Gagliano, da casa Bernardi a casa Pidian, 150 ml. 7. Fornalis, lungo la strada Barbianis-Romanut, 119 ml, case rurali beneficiate 4. Per la maggiore protezione delle condutture, oltre alla bitumazione interna ed esterna, si applicava una guaina esterna di resina sintetica (cloruro di polivinile). La spesa complessiva preventivata era di tre milioni di lire.21 Il consiglio comunale di Cividale approvava tale progetto, ritenendo doveroso offrire le agevolazioni già concesse ad altri aggregati rurali, anche per evitare il pericolo ed il danno dello spopolamento delle zone collinari e montane, triste ed ineluttabile conseguenza dello stato di disagio e di abbandono in cui si trovano gli abitanti di dette zone.22 Questi lavori erano ultimati il 10 luglio 1961.
Derivazioni sulla strada per Castelmonte 1957-1963 Nella zona collinare di Carraria, lungo la strada per il santuario di Castelmonte fino alla località detta Tiracul erano residenti 17 famiglie rurali, di una novantina di persone, escluse dai precedenti ampliamenti per la loro ubicazione altimetrica superiore alla quota piezometrica della rete. Il Comune di Cividale, nell’intento di dare finalmente a quelle povere popolazioni benessere, serenità e salute, commissionava al Consorzio uno studio per risolvere tecnicamente il problema. Non vi era altra soluzione che provvedere al sollevamento meccanico, come dettagliato nel progetto redatto il 10 settembre 1957. Era prevista la costruzione di una nuova derivazione dal punto della rete più vicino alla distribuzione, ovvero partendo dalla strada per Purgessimo, percorrendo poi quella per la borgata di Zugliano fino a raggiungere la quota altimetrica massima (158 m) necessaria a consentire l’accumulo dell’acqua nei periodi di minor consumo, per ridurre la prevalenza alla pompa. Al serbatoio di accumulo della capacità di 15 mcubi si univa la cabina per il sollevamento. Un gruppo elettropompa centrifuga, dal funzionamento automatico,
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avrebbe sollevato il liquido fino a quota 286, al serbatoio di distribuzione in località Tiracul. Entrambi i serbatoi erano calcolati della capacità di una giornata e mezza di consumo (10.000 litri), creando così una riserva per eventuali interruzioni nel sollevamento, interrati e coperti con terrapieni. La rete di distribuzione era divisa in quattro tronchi: dal serbatoio a casa Bottussi (per 6 utenze), quindi a casa Bernard (6 utenze), a casa Pizzolini (3 utenze), al termine a casa Dorgnac (5 utenze). Complessivamente si prevedeva l’impiego di 3.270 metri di tubi. Per dare la possibilità agli agricoltori non abitanti nella zona di dissetarsi durante i lavori agricoli nelle proprietà adiacenti alla conduttura, si prevedeva l’apertura di due fontane pubbliche nei punti ritenuti di maggior utilità. Il preventivo di spesa era di 9.300.000 lire, l’opera era sussidiata per il 75% con la legge della Bonifica integrale del 1933.23 Durante l’istruzione della pratica, il Comune di Prepotto realizzava un acquedotto per la frazione di Cialla, dalla sorgente Grudina, sgorgante a quota 346,50 metri e della portata media di 0,70 l/secondo, con una eccedenza rispetto al fabbisogno giornaliero di quegli abitanti di 0,30 l/secondo. Si otteneva da Prepotto l’autorizzazione a derivare l’acqua eccedente, con cui servire le case sparse lungo la strada per Castelmonte. In tal modo si poteva eliminare il costoso impianto di sollevamento previsto dal progetto del 1957, che era modificato nel nuovo elaborato del 18 marzo 1961. Trattandosi di una variante, doveva essere predisposto con gli stessi prezzi di quattro anni prima, pur se superati dalle forti variazioni dei costi. Per questo motivo, alla licitazione esperita dal Comune di Cividale non si presentava nessuna Impresa e solo in seguito, procedendo a trattativa privata, si riusciva ad affidare i lavori delle opere di scavo e murarie, con un aumento del 25,5% sui prezzi del capitolato di appalto.24 I lavori iniziavano l’11 giugno 1962 ed erano ultimati il 31 marzo 1963, la liquidazione finale ammontava a 8.911.792 lire.
Derivazioni sulla strada per Castelmonte 1964-1999 Un ulteriore miglioramento sulla strada per Castelmonte si aveva con il potenziamento programmato nell’anno 1964, che prevedeva la captazione della sorgente “Marsnich”, spicciante alla quota di 425,50 metri e della portata di 0,40 l/secondo.25 Con il decreto del 4 aprile 1967 l’Assessorato regionale all’agricoltura approvava il progetto del 16 aprile 1964, dell’importo di 6.840.000 lire, concedendo al Comune di Cividale il contributo del 90% sulla spesa ammessa per il potenziamento dell’acquedotto di Cialla e, conseguentemente anche di via Castelmonte; la Giunta Comunale
Corografia del progetto di potenziamento dell’acquedotto di “Cialla” mediante l’immissione di una nuova sorgente, a beneficio dei residenti lungo via Castelmonte nel Comune di Cividale, 16 aprile 1964. Edificio di presa, pianta e sezioni nel progetto di potenziamento dell’acquedotto di “Cialla” con l’immissione di una nuova sorgente, per i residenti lungo via Castelmonte nel Comune di Cividale, 16 aprile 1964.
il 18 novembre 1967 deliberava di dar corso ai lavori,26 ultimati il 28 maggio 1968. In seguito Cialla non era più rifornita dalla sorgente Grudina e questa poteva essere utilizzata completamente per via Castelmonte, assieme alla sorgente di affioramente in località Tesa. Nel 1996 era allestito un progetto preliminare della tratta di completamento idrico di via Castelmonte, risalente al 1968. Ancorché sgravata dal rifornimento dell’abitato di Cialla la conduttura entrava in crisi in particolari periodi, quando la richiesta delle utenze superava la potenzialità delle sorgenti, determinando la necessità di integrare i rifornimenti idrici mediante autobotti, con elevati costi di gestione. L’impianto distributivo era provvisto di un serbatoio divisionale in località Mezzomonte, con lo scopo di ripartire le acque tra i Comuni di Cividale e di Prepotto e un altro di accumulo in località Subit, per consentire riserve idriche a favore delle case lungo la salita di Castelmonte (Druga). Le infrastrutture realizzate dal Consorzio Acquedotto Friuli Centrale avrebbero consentito di migliorare il sistema distributivo mediante un collegamento in località case Suoc e conseguente abbandono della sorgenti fornitrici, che comportavano ingenti spese di manutenzione e monitoraggio per il rispetto dei parametri di potabilità previsti dal DPR 236/88 sulla qualità delle acque desti-
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nate al consumo umano. Si doveva costruire una condotta di 1600 metri, da posarsi per 350 metri sulla vecchia strada dismessa di Castelmonte e per la restante lunghezza ai margini della Strada provinciale, fino alla località Mezzomonte, ove riemerge la condotta proveniente dalle sorgenti Grudina e Marsnich, dopo un percorso di 3.095 metri fra la boscaglia del versante di Purgessimo.27 L’opera era conclusa alla metà dell’anno 1999.
Derivazioni dell’anno 1966 A seguito di una revisione generale della rete di distribuzione nel Comune di Cividale, emergeva che nel 1964 erano ancora sprovviste di acqua potabile diverse case rurali che in passato, a causa di difficoltà finanziarie, non si era potuto rifornire. Sollecitato anche da diversi agricoltori interessati, il Comune decideva di estendere la rete a tutti quei fabbricati, approfittando delle agevolazioni concesse dalla legge sulla Bonifica integrale approvata con R. D. 23 febbraio 1933 n. 215 art. 43 e 44 e della Legge 2 giugno 1961 n. 454 art. 8.28 Con decreto del 10 agosto 1966 la Regione concedeva il contributo del 92% sulla spesa totale di 9.040.000 lire per la costruzione di cinque derivazioni a favore di case sparse.29 I lavori erano ultimati nell’aprile 1968.30
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Acquedotto e sollevamento per Ronchi di Spessa Erano 22 le case coloniche dislocate nella zona denominata Ronchi di San Giuseppe, in frazione di Spessa, abitate da 88 persone con 180 capi di bestiame, che non potevano essere servite per gravità data la loro elevata quota altimetrica. Sei casali, posti nella parte ovest, erano già collegati alle condutture consorziali, ma essendo la linea di carico piezometrico dell’acquedotto abbassata per l’aumentato numero delle utenze in pianura, l’acqua non vi arrivava. Un proprietario rimarcava per iscritto la situazione critica, che allontava gli abitanti: i Ronchi di San Anna di Spessa si vanno di anno in anno spopolando per i disagi che il contadino incontra in questa zona depressa e che derivano quasi tutti dalla mancanza d’acqua. Anche la sottoscritta che possiede in questa località 14 campi, dei quali gran parte a vigneto, e casa colonica, rimarrà senza affittuale il prossimo S. Martino per la mancanza di acquedotto e di sorgenti sul suo terreno. (…)31 Corografia del progetto di sette derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali, elaborato dall’Ufficio Tecnico del Consorzio, con ampliamento anche a favore di Ronchi San Giuseppe a Spessa, 30 giugno 1956.
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Pianta e sezione del serbatoio della capacità di 5 metri cubi previsto per l’ampliamento a favore di Ronchi San Giuseppe a Spessa, nel progetto di sette derivazioni dalla rete del Poiana a favore di case rurali, elaborato dall’Ufficio Tecnico del Consorzio, 30 giugno 1956.
Per migliorare il servizio nei Ronchi di San Giuseppe, data anche la vetustà della conduttura, nel dicembre 1958 era deliberato di sostituirla con una di maggior diametro.32 Nella stessa seduta era approvata la liquidazione finale dei lavori di scavo per il cambio della conduttura di Spessa, dal bivio Megaluzzi al bivio del Bosco Romagno; l’importo era di 293.009 lire. Alla metà degli anni Sessanta le sorgenti alle quali attingevano le popolazioni della zona erano inaridite o inquinate e il Comune di Cividale – costretto a intervenire con il rifornimento idrico tramite autobotti – incaricava il Consorzio di programmare le opere necessarie per dare un servizio regolare e sufficiente ai residenti. Il progetto predisposto il 16 febbraio 1968 prevedeva la costruzione di un serbatoio di accumulo con annessa stazione di sollevamento della capacità di 30 mc a quota 103 m. s.l.m., dal quale l’acqua sarebbe stata pompata in un serbatoio di distribuzione della medesima capacità, da costruirsi a quota 205 m s.l.m. in
prossimità del punto più alto del rilievo, presso la casa di Giuseppe Coppetti; da lì dipartivano due condutture, una verso Ronchi di San Giuseppe e l’altra verso Ronchi Sant’Anna. L’acquedotto rurale Ronchi di Spessa era ammesso a godere del contributo del 75% su una spesa prevista di 25 milioni. I lavori, aggiudicati con contratto 15 febbraio 1969, erano ultimati nella parte idraulica, stazione di sollevamento e serbatoio di distribuzione il 5 luglio 1969.33 Dopo quindici anni di funzionamento, la struttura necessitava di manutenzione straordinaria all’impianto di pompaggio, con la sostituzione di una elettropompa e con la maggiorazione della potenzialità di tutto l’impianto. In alternativa, si individuava la possibilità di un rifornimento generale di tutta la zona attingendo alle condotte del Friuli Centrale in località Prepotto, ovviando così a tutte le spese di manutenzione e di esercizio, assai gravose. L’onere per il Consorzio si limitava alla modifica dell’impianto esistente, con la ricostruzione di 700 metri di conduttura e l’inserimento di alcune valvole sulle condotte, pertanto si deliberava di procedere con tale modifica; a ogni buon conto era previsto di mantenere in efficienza tutto l’impianto idraulico esistente, in particolare della
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conduttura premente, che all’occorrenza si sarebbe potuto rimettere in funzione con semplici manovre di apparecchi e saracinesche.34 L’immissione dell’acqua senza sollevamento avveniva dal 31 ottobre 1985, eliminando in tal modo tutte le spese di esercizio. Per il risanamento idrico dell’intera zona da Spessa a Prepotto si riportava nelle convenienti sedi, su strada, le condotte esistenti da Casali Megaluzzi al bivio Sant’Anna-Strada Provinciale di Prepotto, che altrimenti a seguito della sistemazione della viabilità ne sarebbero rimaste escluse.
CORNO DI ROSAZZO Gramogliano Novantanove erano le persone che, residenti in undici case coloniche di Gramogliano, nel 1930 si ingegnavano nello sfruttamento di fontanili e pozzanghere, del torrente Judrio, di piccoli ruscelli dei dintorni e di un solo pozzo per approvvigionarsi d’acqua, mentre vedevano che a un migliaio di metri la rete del Poiana comodamente alimentava S. Andrat e altre frazioni di Corno, presso cui dovevano recarsi quando la siccità prosciugava le loro fonti. Invano avevano ripetutamente segnalato la problematica situazione igienica,
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nonostante la buona volontà degli amministratori le difficoltà finanziarie impedivano di attuare qualsiasi provvedimento a loro favore. L’emanazione della legge sulla bonifica integrale del 1928 faceva sorgere nuove speranze e il 15 dicembre 1930 i proprietari delle costruzioni rustiche chiedevano al Podestà di San Giovanni al Natisone di provvedere alla soluzione dell’annoso e vitale problema.35 L’Ufficio Tecnico Consorziale redigeva il progetto esecutivo, preventivando una spesa di 30.000 lire; i proprietari si obbligavano a corrispondere il 25% del presunto costo, il restante 75% sarebbe stato coperto dal contributo statale. Era progettata un’unica diramazione dalla condotta principale verso Villa Turriani sulla strada Cormonese, giungendo fino alle case De Santi e attivando tre fontane pubbliche, della portata di 0,20 l/secondo ognuna, corrispondente al quantitativo minimo normale assegnato ai modelli intermittenti. Tale modesta erogazione rimaneva compresa nella competenza di 17 litri/secondo assegnata al Comune di San Giovanni al Natisone.36 L’assemblea deliberava di eseguire le opere in economia, direttamente dal Consorzio;37 i lavori si protraevano dal 20 agosto al 30 settembre 1932.
Corografia dell’acquedotto rurale in Comune di Corno di Rosazzo, progettato nel 1946.
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Giungiamo agli anni Sessanta, quando si predisponeva un progetto di rifornimento idrico delle case rurali sparse sui Ronchi di Gramogliano, mediante sollevamento.38 I lavori iniziavano il 18 luglio 1966, in ritardo rispetto a quanto previsto per le prolungate condizioni atmosferiche avverse e il 18 novembre seguente,39 con la messa in funzione dell’impianto di sollevamento, si poteva collaudare l’intera opera. Con decreto del 10 febbraio 1964 l’Ispettorato Agrario Compartimentale di Venezia concedeva al Comune di Corno di Rosazzo un contributo di 9.373.794 lire sulla spesa di 12.536.000 lire preventivata nel progetto 3 giugno 1961 dall’Ufficio Tecnico del Consorzio. Limitandosi il contributo al 75% dell’importo i proprietari delle case interessate erano invitati a versare il rimanente 25%. Dato l’alto onere che gli stessi dovevano assumere, circa 500.000 lire per casa servita, il Comune di Corno di Rosazzo se ne accollava una quota, in modo da ridurlo a 200.000 lire per abitazione. I proprietari accettavano questo, ma non l’onere di esercizio che doveva essere completamente a loro carico, in base all’art. 21 del Regolamento per la concessione e distribuzione dell’acqua potabile agli utenti. Con l’entrata in vigore della Legge Regionale del 1965 si richiedeva, con buone speranze di ottenerlo, il contributo integrativo che avrebbe portato l’onere a carico dello Stato e della Regione al 92%, riducendo sensibilmente l’impegno dei privati e del Comune. Data l’esiguità della quota che rimaneva, si riteneva opportuno che la stessa venisse assunta integralmente dal Consorzio, come già era stato fatto per altri acquedotti rurali.40
Acquedotto e sollevamento per Noax All’atto della costruzione della rete di distribuzione principale, per il rifornimento della frazione di Noax il Consorzio Poiana aveva posato una derivazione che dalla strada statale Cividale-Cormòns giungeva alla località stessa. Rimanevano sprovviste di rifornimento, tra poche altre, le case con una ventina di abitanti dislocate nella parte collinare di Noax, escluse nei precedenti ampliamenti per la loro ubicazione altimetrica superiore alla quota piezometrica della rete. Il Comune di Corno, aderendo alle insistenti richieste dei residenti, incaricava il Consorzio di progettare il rifornimento idrico delle quattro abitazioni rurali sparse, costrette a servirsi di pozze locali nei periodi invernali e, quando queste si inaridivano in estate, a compiere faticosi percorsi per reperire l’acqua al piano. Per alimentare tutte le case, poste a diverse altitudini, giocoforza si doveva procedere al sollevamento. Il progetto del 5 febbraio 1967 prevedeva la costruzione di una nuova derivazione di 1.503 metri, dalla S.S. 356 alla località
Progetto per il rifornimento idrico della frazione di Noax, Comune di Corno di Rosazzo, con derivazione dal sollevamento esistente. Primo lotto, particolare della sezione AA del serbatoio di distribuzione, 24 luglio 1968.
“Case Magnan” e poi fino alla quota altimetrica massima, per accumulare l’acqua nei periodi di minor consumo e ridurre la prevalenza delle pompe. Il serbatoio di accumulo si prevedeva della capacità di 5,4 metri cubi e quello di distribuzione di maggior volume, in modo da far fronte con la scorta a eventuali interruzioni del servizio di sollevamento.41 Sul preventivo di 7.393.000 lire, l’Assessorato Regionale con decreto 2 luglio 1968 concedeva un contributo corrispondente al 90% della spesa.42 Progetto per il rifornimento idrico della frazione di Noax, Comune di Corno di Rosazzo, con derivazione dal sollevamento esistente. Primo lotto, particolare della sezione BB di opere murarie, 24 luglio 1968.
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A causa dei forti consumi che si registravano nella parte bassa del Comune di Corno, si aveva una deficienza nella frazione altimetricamente più alta che, particolarmente nei mesi estivi, obbligava ad affettuare il rifornimento idrico mediante autobotti. Escludendo la possibilità di una soluzione radicale mediante il potenziamento della conduttura Cividale-Cormòns, il 14 luglio 1968 si aggiornava il progetto già predisposto il 5 febbraio 1967 per le quattro case poste sui rilievi a nord della frazione, prevedendo di raddoppiare i serbatoi e costruendo una conduttura di distribuzione che dalla quota 163,90 portasse l’acqua alle varie case, poste a quote variabili da 124 a 94 metri s.l.m.; ne avrebbero beneficiato 12 famiglie, con circa 60 persone. Si prevedeva anche il cambio di tutta la rete di distribuzione di Noax, dalla casa più alta alla strada di accesso alla trattoria, in quanto la conduttura costruita nel 1918 era in tale stato di degrado da sconsigliare l’immissione di acqua a pressione alta, inoltre a seguito della rettifica stradale eseguita dal Comune i tubi erano venuti a trovarsi a una profondità di 3-4 metri, rendendo così quasi impossibile l’ordinaria manutenzione. I lavori erano ultimati il 31 dicembre 1969 e il 29 gennaio 1970 era messo in funzione l’impianto di sollevamento. L’acquedotto rurale in località San Biagio era ultimato il 31 luglio 1980.43
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Bosco Romagno Con deliberazione giuntale n. 175 del 17 ottobre 1979 il Comune di Corno di Rosazzo deliberava l’approvazione del preventivo di spesa per l’ampliamento della rete consorziale, destinata al rifornimento idrico dei casolari Pozzo in località Bosco Romano, per una lunghezza di circa 810 metri. Il contratto d’appalto per gli scavi era stipulato il 17 giugno 1980.44
MANZANO Villa de Marchi a Oleis Il Podestà di Manzano il 30 luglio 1931 chiedeva alla direzione consorziale di compiere un sopralluogo a Oleis, dove sei famiglie chiedevano insistentemente il prolungamento della tubatura per alcune centinaia di metri, trovandosi costrette ad attingere acqua e a dissetarsi nel fiume Natisone. Già due giorni dopo l’istanza era soddisfatta, con i rilievi compiuti personalmente dal direttore Rossi. Si verificava però che non era possibile far giungere l’acqua sino al Palazzo de
Progetto di serbatoio per l’acquedotto rurale a Villa de Marchi, Comune di Manzano, circa 1934.
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Marchi, come desiderato dai richiedenti, in quanto la sua quota altimetrica (144 metri s.l.m.) era superiore di dieci metri rispetto alla quota piezometrica all’estremità dell’acquedotto, forse poteva arrivarvi solo durante le ore notturne e nella stagione invernale, ma non si poteva dare alcuna garanzia di ciò. L’unico provvedimento fattibile era di prolungare l’esistente conduttura lungo la strada pianeggiante, fino al limite massimo consentito dall’altimetria locale, ovvero per 310 metri, dove si sarebbe aperta una fontana privata alla quale avrebbero potuto attingere le sei famiglie dei dintorni, distanti da 100 a 600 metri da essa; ognuna di esse avrebbe pagato un canone annuo di 49,20 lire. La spesa per tale lavoro, escluse le opere di scavo e ritombamento usualmente prestate dai richiedenti, era di 3.173 lire, con altre 1.900 si sarebbe potuto prolungare il tratto ancora per 210 metri fino al Palazzo de Marchi, sperando che l’acqua vi potesse giungere almeno nelle situazioni più favorevoli, prima indicate.45 Dopo tre anni era allestito un progetto, datato 12 giugno 1934, la cui esecuzione avrebbe potuto mitigare il disagio delle famiglie residenti in quelle case coloniche. Vista l’impossibilità dal lato economico di realizzare un impianto di sollevamento, dopo un attento studio della zona si pensava di far giungere la nuova diramazione alla quota 141; approfittando delle fasi di minor consumo durante la notte, nelle quali la quota piezometrica avrebbe superato tale punto di arrivo (quota 146, mantenuta per circa 6 ore notturne), era possibile accumulare l’acqua in un serbatoio, distribuendola poscia durante il giorno. Partendo dalla esistente conduttura a Case, si prevedeva la posa di 505 metri di tubi in acciaio senza saldature, muniti di giunti a vite e manicotto, catramati a caldo internamente ed esternamente, all’esterno sarebbero stati avvolti anche da iuta asfaltata; vicino a Palazzo de Marchi sarebbe stato costruito il serbatoio, della Corografia del progetto di acquedotto rurale per l’abbazia di Rosazzo, con derivazione dalla rete dell’acquedotto Poiana mediante sollevamento, 30 settembre 1934.
capacità di 12,5 mcubi, a cui sarebbe stato direttamente applicato un rubinetto di attingimento per il pubblico. Tenendo conto che dell’acqua avrebbero usufruito 50 persone e 20 quadrupedi, per circa 60 ettolitri al giorno, sarebbe bastato un serbatoio più piccolo, ma data la poca differenza di spesa si riteneva di raddoppiarne la capienza per disporre di una congrua riserva. Il tutto sarebbe costato 15.000 lire, sulle quali il Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste con decreto 31 agosto 1936 accordava il contributo statale del 75%. Il 30 agosto 1937 iniziavano i lavori, dopo la posa delle condutture le opere erano sospese per dare modo alla popolazione beneficiata, che si era impegnata con le prestazioni d’opera gratuita, di attendere ai lavori campestri.46 Il 25 aprile i lavori per il completamento riprendevano e il 20 giugno 1938 erano ultimati. Da tale data l’impianto funzionava regolarmente; lo sviluppo complessivo delle condutture era di 621,15 metri e la capacità del serbatoio era elevata a 16,2 hl per aumentare la disponibilità di acqua. Con le diverse economie realizzate, in confronto alle previste 15.000 lire se ne spendevano 14.797,15.
Rosazzo L’opportunità di costruire un serbatoio per accumulare l’acqua durante la notte, in modo da alimentare costantemente la fontana pubblica aperta in prossimità del Casale Valentinuzzi, che funzionava a singhiozzo, era avanzata dai frazionisti di Rosazzo sin dal 1921. Dopo aver eseguito un sopralluogo, dato che all’estremità della conduttura l’acqua arrivava soltanto per poche ore notturne e in quantità insufficiente per riempire un eventuale serbatoio che potesse servire tutta la popolazione circostante, il Consorzio non riteneva conveniente nè opportuno eseguire il manufatto richiesto.47 Planimetria dell’acquedotto rurale per l’abbazia di Rosazzo, con derivazione dalla rete dell’acquedotto Poiana mediante sollevamento, 30 settembre 1934.
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La proposta giaceva immota per oltre un decennio finché, su incarico del Comune di Manzano, il Consorzio Poiana a metà del 1932 compilava un progetto di massima per la rete di distribuzione dell’intera zona collinare di Rosazzo, prevedendo 18.400 metri di conduttura, due capaci serbatoi e altrettante elettropompe per il sollevamento; la spesa per realizzare tale progetto ammontava a 490.000 lire, con un costo di esercizio annuo per il sollevamento di circa 12.000 lire.48 L’entità di tali somme impediva di dar corpo alla proposta. In seguito si esaminava nuovamente la possibilità di avvicinare alla borgata di Abbazia di Rosazzo l’acqua alla massima quota possibile, nei limiti consentiti dal carico naturale della rete; non si poteva infatti portarla nelle adiacenze delle case, trovandosi queste a una quota di circa 30 metri superiore al livello piezometrico dell’acquedotto. Studiando il regime delle pressioni all’estremità della conduttura di Oleis, si riscontrava la possibilità di avere, solo per 12 ore al giorno, un carico tale da superare la quota del terreno più elevato e portare l’acqua nella conca sotto l’Abbazia; si approntava il relativo progetto, datato 16 giugno 1933, approvato dal Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste con decreto 21 febbraio 1934 n. 138. Esso contemplava la costruzione di un piccolo serbatoio di accumulo nei periodi di minor consumo, per dar modo agli abitanti di avere sempre la possibilità di attingere. Durante l’esecuzione della progettata derivazione, i locali facevano presente al Comune di Manzano le difficoltà materiali
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Profilo delle condutture di sollevamento e di distribuzione dell’acquedotto rurale per l’abbazia di Rosazzo, con derivazione dalla rete dell’acquedotto Poiana, 30 settembre 1934.
Progetto di acquedotto rurale per l’abbazia di Rosazzo, con derivazione dalla rete dell’acquedotto Poiana mediante sollevamento: pianta, sezioni e facciata del serbatoio della capacità di 5 hl, 30 settembre 1934.
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che avrebbero incontrato nel recarsi ad attingere alla nuova fontanella, posta una trentina di metri sotto il centro della borgata, percorrendo un impervio sentiero a forte pendenza; avrebbero preferito che tramite sollevamento si alimentasse una fontana sulla strada centrale. Inoltre, anche l’Arcivescovo di Udine, mons. Nogara, auspicava che l’acquedotto venisse spinto maggiormente vicino all’Abbazia, della quale era Abate commendatario.49 Aderendo a queste richieste corali, il Comune faceva sospendere la costruzione del serbatoio, chiedendo al Consorzio di accoppiarvi una cabina di sollevamento. Si attivava intanto una fontanella a uso provvisorio dei residenti, prevedendo di soddisfare appieno la loro richiesta innalzando l’acqua dalla cabina a quota 134 fino a un serbatoio posto a 193 metri, quota necessaria per una conveniente distribuzione. Il progetto del 30 settembre 1934 prevedeva una vasca della capacità di 15 mc, al cui interno una valvola a galleggiante avrebbe interrotto l’afflusso dell’acqua a vasca piena. La pompa centrifuga a 6 giranti in bronzo spingeva il liquido nel serbatoio di 15 mc – sufficienti per due giornate di consumo del centinaio di abitanti del luogo –, interrato e ricoperto da terra per la protezione dalla temperatura esterna, anch’esso dotato di congegni automatici per l’arresto dell’afflusso dell’acqua, lo scarico e lo sfioramento.50 Si sarebbero posati 248 metri di conduttura premente e 663 di quella distributrice, preventivando una spesa complessiva di 40.000 lire, poi ridotta dal Ministero a 35.400 in seguito alla diminuzione dei prezzi del 1935. Il Consorzio anticipava, come di consueto, le somme occorrenti ed eseguiva i lavori in economia, disponendo dell’attrezzatura e del personale tecnico, facendosi poi rimborsare dal Comune – come lo stesso deliberava nella seduta del 16 febbraio 1935 – la quota non sussidiata dallo Stato, che concedeva il contributo del 75%. I lavori per la costruzione dell’impianto di sollevamento iniziavano il 29 maggio 1939 e, stante che i proprietari della zona si erano offerti di eseguire gratuitamente gli scavi, l’andamento era subordinato alla loro disponibilità di tempo; il sollevamento funzionava regolarmente dal 22 settembre 1939 e l’opera era inaugurata ufficialmente il 4 novembre seguente. Nel corso dei lavori si apportavano alcune varianti: la capacità del serbatoio si portava da 15 a 23 mcubi, inoltre la conduttura di distribuzione era aumentata dal diametro 42 a quello di 50 mm, per avere una minore perdita di carico. Il costo dell’opera ammontava a 47.070,55 lire, con aumenti rispetto al preventivo dovuti al rincaro dei materiali metallici, dal maggior sviluppo di condutture – 68 m in più – e dal costo delle fondazioni della cabina
Dopo aver effettuato lo scavo, gli operai dell’acquedotto attendono l’arrivo dei tubi da posare, 25 agosto 1934 (archivio privato).
di sollevamento, più profonde e con platea di cemento armato avendo trovato, contrariamente alle previsioni, terreno di riporto. Tenuto conto delle prestazioni gratuite dei locali per scavi e rinterri, valutate 6.229,05 lire, la spesa effettiva ammontava a 40.841,50 lire, sostenuta dal Comune di Manzano.51 Ultimate le opere di sollevamento e distribuzione nella zona – dove si facevano anche derivazioni in dieci case ove vivevano 90 persone e si allevavano 60 bovini – nell’intendimento di non aggravare gli utenti dei costi di sollevamento (circa 120 lire mensili di energia elettrica) alla fine del 1939 il Comune di Manzano deliberava di concedere gratuitamente un quantitativo d’acqua per ogni abitazione che usufruiva dell’acqua sollevata, determinandolo in relazione alle presenze famigliari; le eventuali eccedenze di consumo sarebbero state addebitate in base alla tariffa in vigore per gli altri utenti.52
Il secondo sollevamento di Abbazia Nel 1956 si costruiva un serbatoio di accumulo, di 30 mcubi, in prossimità del bivio Oleis-Case Manzano, con quota fondo a 123 metri, da dove l’acqua era sollevata mediante elettropompa al serbatoio di distribuzione a 184,70 metri, anch’esso di 30 mc, posto in
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prossimità della cima del colle di S. Caterina; da questo dipartivano tre derivazioni, per portare l’acqua alla quarantina di case formanti la frazione. Le scosse telluriche del 1976 acutizzavano lo stato di degrado delle condotte alimentanti il serbatoio di accumulo, posate in più tratti dal 1918 al 1930, al punto da rendere il servizio deficitario a causa delle numerose perdite. Ritenuta antieconomica la loro manutenzione, il Consorzio progettava la costruzione di una conduttura di tubi di acciaio, lunga complessivamente 2.335 metri, posta ai bordi della strada provinciale Oleis-Abbazia di Rosazzo.53 I lavori erano consegnati con verbale del 26 marzo 1980 e venivano sospesi e ripresi più volte, giungendo all’ultimazione il 30 marzo 1981. Erano collaudati con la visita del 3 dicembre 1981.54
Il progetto congiunto per i Ronchi di Case e di Rosazzo Nei primi anni Cinquanta il rifornimento idrico nella zona collinare da Orsaria a Manzano era ancora limitato a una minima parte delle abitazioni, risultando molto elevati i costi degli impianti, che sino ad allora i Comuni non avevano potuto affrontare. Le case
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senz’acqua corrente erano 15, delle quali 12 in Comune di Manzano, 2 di Premariacco e 1 di Buttrio. Sulle colline di Rosazzo erano ben 35 le abitazioni rurali che si trovavano nella medesima situazione: 30 in Comune di Manzano, 4 di San Giovanni al Nat. e 1 di Corno di Rosazzo. Queste 50 famiglie contadine, con una popolazione di circa mezzo migliaio di persone e 220 quadrupedi, disseminate in vari poderi per gran parte coltivati a vigneto e posti a diverse quote altimetriche, cercavano di soddisfare i bisogni idrici con poche sorgentelle di dubbia potabilità che spicciavano in pozze scavate nel terreno o raccogliendo l’acqua piovana in rudimentali vasche d’argilla, oppure compiendo ripidi percorsi fino alle lontane fontane dell’acquedotto collocate nel pianoro sottostante; nei periodi siccitosi, quando le modeste sorgenti inaridivano, tutti si trovavano obbligati a scendere per attingere al piano. Questo evidente stato di disagio igienico ed economico dava ragione del preoccupante fenomeno dello spopolamento delle colline, allora massicciamente in corso. Preoccupata della gravità della situazione l’Amministrazione comunale di Manzano, anche a nome degli altri Comuni contermini, prendeva l’iniziativa di rendere più confortevole e salubre la sempre più negletta dimora in collina. Manzano era il Comune maggiormente interessato a tale miglioramento, infatti delle 50 famiglie di roncârs – ovvero abitatori dei ronchi – erano ben 42 quelle dimoranti nel suo territorio. Con una prima delibera del 4 marzo 1953 incaricava il Consorzio di allestire un progetto di massima per l’estensione della rete alle case che ne erano ancora prive, sui Ronchi di Case e di Rosazzo; per tali lavori era possibile presentare una domanda di contributo al Ministero dei Lavori Pubblici, in base alle disposizioni dell’art. 3 della legge 3 agosto 1949, n. 589.55 In seguito il Consorzio predisponeva un piano per il totale rifornimento idrico dell’area, con due progetti: uno del 9 giugno 1955, per la zona collinare da Orsaria a Manzano con una spesa di 20.100.000 lire e l’altro del 19 giugno 1955 per il comprensorio collinare di Rosazzo con un preventivo di 24.100.000 lire. Tutte le opere progettate, maggiormente dettagliate nei due paragrafi seguenti, erano da considerarsi acquedotti rurali e, rispondendo alle caratteristiche delle opere di miglioramento fondiario previste dal testo delle norme sulla bonifica integrale approvato con R. D. 13 febbraio 1933 n. 215, potevano beneficiare del concorso nella spesa da parte dello Stato, nella misura del 75%. Il restante costo sarebbe stato ripartito tra la popolazione interessata, con contributi o con prestazioni lavorative gratuite.
I tubi delle diramazioni nei paesi erano posati alla profondità media di un metro (archivio privato).
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Ronchi di Manzano Nell’area collinare Orsaria-Ronchi di Manzano in dodici case sparse ricadenti nel territorio dei tre Comuni confinanti di Buttrio (1 abitazione), Manzano (9) e Premariacco (2), l’anno 1955 risiedevano 89 persone, il cui fabbisogno giornaliero era di 100 litri d’acqua a testa, con 87 bovini che abbisognavano di 50 litri ognuno, 6 equini con lo stesso fabbisogno e 26 suini con 25 litri. La quantità di acqua giornaliera totale, tra uomini e animali, era dunque di 14.190 litri. Il progetto esecutivo del febbraio 1959 prevedeva una conduttura di alimentazione e di distribuzione con uno sviluppo di 8.850 metri complessivi, un serbatoio di accumulo della capacità di 30 mc e quattro fontane pubbliche. Dato che il contributo a carico dei proprietari era di 510.000 lire per ciascuna casa, per non creare eccessivi squilibri con altre situazioni, esso era assunto per metà dal Consorzio e per metà dai Comuni interessati.56 A sinistra: progetto di estensione della rete dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Rosazzo”, sc. 1: 5000, anno 1955.
In basso: piano schematico dell’andamento della nuova rete idrica prevista per servire l’areale dell’Abbazia di Rosazzo, anno 1955.
Corografia del progetto di massima per l’estensione della rete nella zona collinare di Rosazzo. In rosso sono indicate le diramazioni delle nuove condutture nel territorio circostante l’Abbazia di Rosazzo, anno 1955.
L’Ispettorato Agrario Compartimentale per le Venezie con decreto del 5 ottobre 1959 concedeva il sussidio dello Stato pari al 75% sulla spesa riconosciuta ammissibile. I lavori – eseguiti in economia dal Consorzio in base al progetto aggiornato nel febbraio 1959, a eccezione delle opere murarie e degli scavi che erano dati in appalto – si svolgevano dal 20 settembre 1961 al 10 marzo 1962. Si era preavvisata una spesa di 20.100.000 lire, la liquidazione finale era invece inferiore, risultando di 19.278.638 lire. Relativamente a questo territorio, aggiungiamo che i Comuni di Manzano, Corno e San Giovanni nel 1986 approvavano il progetto di ampliamento della rete idrica nella zona collinare di Ronchi di Rosazzo, con il finanziamento del Ministero dell’Agricoltura per il 75% della spesa e il restante 25% a carico dei privati. L’impianto di sollevamento con i due gruppi elettrogeni necessitava di urgenti interventi per perdite d’acqua e notevole degrado per vetustà e logorio. Le due elettropompe, acquistate nel 1961, da allora erano state riparate e regolarmente revisionate diverse volte, ma occorreva acquistarne di nuove.57
L’Abbazia di Rosazzo e il circostante territorio non erano località facili da servire con l’acquedotto, sviluppandosi a diverse altitudini, come si vede in questa panoramica. I lavori per giungere a una efficace e razionale distribuzione sono stati eseguiti, in più riprese, a partire dagli anni Trenta.
Ronchi di Rosazzo Dopo aver esaminato attentamente il problema sotto il profilo tecnico, trovandosi le case in Ronchi di Rosazzo dislocate a quote altimetriche superiori, uguali o inferiori alle quote dei carichi piezometrici della rete acquedottistica, la direzione consorziale proponeva una soluzione che, pur essendo complessa, era la più conveniente dal lato economico. Per le abitazioni site a quote inferiori l’acqua poteva giungere per caduta dalla rete, per le altre era necessario un conveniente impianto di sollevamento, in sostituzione di quello piccolo già esistente, costruito nel 1936 per 13 famiglie attorno all’Abbazia, del quale era prevista un’utilizzazione parziale. L’area veniva divisa in due zone, una soggetta a sollevamento (38 famiglie con 350 persone e numerosi bovini) e una non soggetta (10 famiglie con un centinaio di abitanti e 50 bovini). Il fabbisogno d’acqua nella zona soggetta a sollevamento si prevedeva di 250 hl giornalieri, che si elevava prudenzialmente a 300, da accumulare in un nuovo serbatoio da costruire vicino all’esistente condotta alimentatrice presso il bivio Rosazzo-Case; il previsto manufatto doveva trovarsi a una quota altimetrica tale da sfruttare i medi e massimi carichi di rete, per poterlo riempire in 12 ore con 1 litro al secondo e, nel contempo, essere il più vicino possibile alla quota del massimo sollevamento, per ridurre il costo di esercizio. Fatti i debiti calcoli, il fondo del
serbatoio di accumulo doveva essere posto a quota 123 metri s.l.m; per quello di distribuzione, invece, si sarebbe ampliato quello esistente fino alla capacità di 40 mcubi, con quota di arrivo a 186,65 metri. Unita al serbatoio di accumulo c’era la cabina di sollevamento con una elettropompa centrifuga, che avrebbe spinto l’acqua nella condotta premente formata da tubi metallici da 60 mm, fino al soprastante serbatoio di distribuzione; da esso si originava la rete costituita da 3 diramazioni e 4 sottodiramazioni, percorrenti le strade di cresta e di accesso alle case, che sviluppandosi per 9.000 metri si avvicinava a tutte le abitazioni. Nella zona senza sollevamento, per far giungere l’acqua alle case Naglos, Rovere e Casa del Bosco, si prevedeva la sostituzione dell’esistente conduttura in ferro senza protezione e di diametro insufficiente di un pollice, già corrosa in diversi punti essendo stata posata dai militari nel 1915, con una di acciaio di 50 mm di diametro protetta contro l’aggressività del terreno, dalla località Godia a case Naglos. Per le case basse si prevedeva un insieme di otto derivazioni con uno sviluppo di 4.445 metri, di vari diametri. Con la rete di distribuzione così concepita l’acqua poteva giungere a tutte le case rurali esistenti, fino al contatore da collocarsi all’ingresso dei rispettivi cortili, dando la possibilità di portarla all’interno con lievissima spesa. Per le necessità degli agricoltori che si recavano a lavorare giornalmente in zona, ma non vi abitavano, si prevedeva l’apertura di otto fontane pubbliche a getto intermittente, sei sulla rete soggetta a sollevamento e due nell’altra.58 Per l’esecuzione delle opere previste dal progetto di massima del 19 giugno 1955, con l’aggiornamento dei prezzi del 26 dicembre 195759 ed esteso in forma esecutiva il 15 marzo 1959, tutti i proprietari delle 32 case (27 nel territorio del Comune di Manzano, 1 in
Corno di Rosazzo, 4 in San Giovanni al Natisone) si impegnavano a corrispondere al Consorzio la quota di spese eccedenti il contributo statale, pari a 220.000 lire per ogni casa servita dall’impianto. In luogo del versamento in contanti, si poteva contribuire con prestazioni di manodopera per l’esecuzione delle trincee; gli scavi, della profondità di un metro, e i ritombamenti
Piano schematico dell’ampliamento della rete dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Rosazzo”, appartenente ai Comuni di Manzano, Corno di Rosazzo e S. Giovanni al Natisone, 19 giugno 1955.
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Piante e sezioni del serbatoio di accumulo e cabina di sollevamento, nel progetto di ampliamento dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Rosazzo”, comprendente i Comuni di Manzano, Corno di Rosazzo e S. Giovanni al Natisone, 19 giugno 1955.
Le diramazioni interessanti il Comune di Manzano nel progetto di ampliamento della rete dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Rosazzo”, 19 giugno 1955.
Piante dell’ampliamento del serbatoio di distribuzione esistente, nel progetto di ampliamento dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Rosazzo”, ricadente nei Comuni di Manzano, Corno di Rosazzo e S. Giovanni al Natisone, 19 giugno 1955.
Facciata del serbatoio di accumulo e cabina di sollevamento progettati per l’ampliamento dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Rosazzo”, Comuni di Manzano, Corno di Rosazzo e S. Giovanni al Natisone, 19 giugno 1955.
I manufatti previsti nel progetto del 19 giugno 1955 per l’impianto di sollevamento dell’Abbazia di Rosazzo, a realizzazione ultimata.
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In alto a sinistra: corografia del progetto di ampliamento della rete dell’acquedotto Poiana a favore della zona collinare a Villa Ottelio e Ronchi di Manzano, 9 giugno 1955. In alto a destra: corografia delle zone nei tre Comuni interessati all’acquedotto rurale “Ronchi di Manzano”: diramazione indicata con il n. 1 Buttrio, nn. 2, 3, e 4 Premariacco, nn. da 5 a 12 Manzano, 30 settembre 1958. A sinistra: sezione A-B del serbatoio di 35 metri cubi, progetto di ampliamento dell’acquedotto Poiana nella zona collinare di Villa Ottelio, 9 giugno 1955, rivisto nel 1959. In basso: diramazione verso Villa Ottelio, progetto di ampliamento nella zona collinare “Ronchi di Manzano”, 14 aprile 1962.
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Planimetria della servitù di acquedotto nel Comune di Manzano, per la posa di conduttura metallica alla profondità di 1 metro dal suolo e con diritto di transito per eventuali riparazioni, su una striscia di terreno della larghezza di 2 metri, 6 novembre 1961.
Scavo per conduttura di arrivo e diramazione verso Manzano, nel progetto di ampliamento dell’acquedotto Poiana nella zona collinare “Ronchi di Manzano”, 14 aprile 1962.
sarebbero stati valutati 450 lire al metro lineare. A tale proposta di convenzione aderivano subito 18 proprietari, chiedendo la rateizzazione del contributo, le altre adesioni arrivavano in seguito e così si poteva passare alla fase attuativa.60 I lavori iniziavano il 20 giugno 1960, a causa di piogge persistenti erano sospesi nell’intero mese di novembre e subivano ritardi nello svolgimento, terminando il 10 marzo 1961. Anche in questo caso, la spesa finale di 23.623.417 lire era inferiore al preventivo, pari a 24.100.000 lire. Il nuovo impianto di sollevamento era stato messo in funzione sin dal dicembre 1960, con esito soddisfacente; alla conclusione dei lavori complessivamente erano 47 le abitazioni coloniche servite da questo sollevamento. La cerimonia di inaugurazione dell’estensione dell’acquedotto alla zona collinare di Rosazzo aveva luogo domenica 23 aprile 1961.61 All’atto dell’esecuzione dell’impianto di sollevamento di Ronchi di Rosazzo, le tre case coloniche di proprietà dell’Amministrazione delle Zitelle, del dott. Ottavio Franz e della contessa Giuditta Claricini, già servite per gravità, non aderivano alla convenzione dell’11 gennaio 1960 per l’allacciamento al nuovo sollevamento; a quel tempo la situazione di rifornimento per gravità, se non abbondante, era comunque sufficiente alle necessità delle tre case coloniche. In seguito, a causa degli aumentati consumi, l’acqua non arrivava più alle tre case e i proprietari si trovavano nella necessità di richiedere l’allacciamento, sostenendo il relativo onere a carico degli utenti.62
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Corografia di due acquedotti rurali in Comune di Moimacco, uno per i Casali Chiarandis (19) e l’altro per Case Prabonissimo (20), progettati nel 1946.
Naglos
MOIMACCO
Nel progetto del 25 ottobre 1939 riguardante 20 derivazioni rurali in cinque Comuni, in quello di Manzano era previsto il prolungamento da casa Naglos inferiore a Naglos superiore e a Casasola, sviluppato per 830 metri a beneficio di 18 abitanti e con una spesa di 13.430,50 lire.63 Nel 1946, quando al termine della guerra il progetto poteva essere ripreso in considerazione, il costo saliva a 436.200 lire.
L’ufficio tecnico consorziale progettava nel 1939 un ampliamento della rete a favore delle case rurali, nei Comuni di Manzano, Moimacco, Pavia di Udine, Trivignano e Cividale. La sola derivazione ricadente nel territorio di Moimacco si sviluppava dalla strada presso il Municipio a casali Chiarandis, lunga 785 metri e a servizio di 10 abitanti più il cimitero, del costo previsto di 13.276,50 lire.64 Nel progetto aggiornato il 3 settembre 1946, il prezzo schizzava a 389.000 lire. In quell’anno si progettava anche un tratto per Case Prabonissimo.
Corografia del progetto di derivazione nel Comune di Moimacco per Casali Chiarandis e Casali Cotterli (linee rosse), 29 novembre 1955.
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Planimetria della derivazione rurale n. 14 nella frazione di Lauzacco, Comune di Pavia di Udine, progetto del 3 settembre 1946. Tale progetto riguardava complessivamente venti derivazioni rurali, sparse in tutto il territorio consorziale.
PAVIA DI UDINE Tra le venti derivazioni progettate il 25 ottobre 1939 per beneficiare case rurali, due si sviluppavano nel Comune di Pavia di Udine, entrambe a Lauzacco: la prima con sviluppo per 880 metri dall’inizio di Via Pavia alle case Stefanutti, Orter, Visentini e Biancuzzi, servendo 55 abitanti, la seconda dall’inizio di via Palma a casa Benati, per 30 residenti, con sviluppo per 653 metri e una spesa prevista di 28.158 lire.65 La guerra impediva l’esecuzione dei lavori; con la revisione prezzi attuata nel 1946, la spesa per le due derivazioni saliva a 775.100 lire, oltre 27 volte il preventivo di sette anni prima.
Corografia di due acquedotti rurali (indicati con i numeri 14 e 15) in Comune di Pavia di Udine, frazione di Lauzacco, progettati nel 1946.
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PRADAMANO I Casali di tre Comuni, in località Lippe-Lonzano La situazione idrica dei residenti nei Casali PitassiLonzano e Lippe, in territorio di Premariacco, Buttrio e Pradamano, nel 1921 era così descritta, da loro stessi: Si tratta di un nucleo considerevole di abitazioni con una popolazione di circa 160 persone, le quali sono costrette a bere l’acqua della roggia cividina che attraversa il territorio in canale scoperto, dopo aver percorso lunghi chilometri attraverso paesi e campagne portando seco ogni elemento atto a sviluppare malattie. Non è chi non vegga a quale costante pericolo per l’igiene sono esposti i suddetti casali in causa della mancanza d’acqua potabile; e già in passato, ed anche recentemente, il tifo li hà ripetutamente colpiti. Avanzavano l’istanza di poter usufruire anch’essi dell’acquedotto, prelevando l’acqua dalle diramazioni più vicine. A tale richiesta, sottoscritta da 14 capifamiglia, era allegata la dichiarazione dell’ufficiale sanitario di Buttrio, dott. Zurchi, attestante che nei tre casali suddetti frequentemente si hanno a lamentare casi di ileotifo dipendente dall’uso dell’acqua della Roggia ‘Cividina’ inquinata che attraversa dette località; dello stesso tenore era quella del collega del Comune di Premariacco.66 Durante la realizzazione dell’acquedotto Poiana erano rimasti lontani dalle sue condutture il gruppo di case a ovest di Orsaria site tra questo paese e il torrente Malina, comprendenti i Casali Pitassi, Lonzano, Zucco in territorio del Comune di Premariacco, Casali Castagnato (Lavaroni) e Casali Giacomelli in quel di Buttrio, Casali Flebus in Comune di Pradamano, con 201 abitanti complessivi. Prima della guerra nei Casali Pitassi esisteva un pozzo al quale, pur dando acqua di mal sicura potabilità, quasi tutti andavano ad attingere. In seguito il pozzo diveniva inservibile e i residenti, distanti in media tre chilometri dalla più vicina fontana del Poiana, erano costretti a bere il liquido della Roggia Cividina, che veicolava un bell’assortimento di malattie infettive, tra le quali prevaleva il tifo.67
Modello di valvola per acquedotto, prodotta nel 1935 dalla ditta “Fratelli Fisher” di Milano e pubblicizzata nel 1935, quando si realizzavano molte condutture rurali nel territorio del Consorzio Poiana.
Planimetria della derivazione rurale n. 15 nella frazione di Lauzacco, Comune di Pavia di Udine, progetto del 3 settembre 1946.
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Saracinesca flangiata in ghisa grigia, in uso nelle originarie condutture dell’acquedotto Poiana, sostituita a Pulfero.
Gli abitanti dei Casali incaricavano l’ing. Giovanni Carbonaro di Cividale, proprietario di fondi in quella zona, di individuare gli opportuni provvedimenti per il loro rifornimento idrico. Egli proponeva la costruzione di una conduttura in tubi Mannesmann che, partendo dall’estremità della diramazione esistente in via Stretta a Orsaria e percorrendo la strada comunale, raggiungeva i Casali Zucco (33 abitanti), poi i Flebus (10 abitanti) e i Giacomelli (36). All’incrocio per Casali Pitassi a sud e Casali Lonzano a nord, partivano due diramazioni secondarie per portare l’acqua ai Casali Lonzano (21 abitanti), ai Casali Pitassi (56) e quelli
Rubinetto di sfiato in ottone, appartenente all’impianto originario della condotta adduttrice del Poiana.
Ca Castagneto/Lavaroni (14). La spesa preventivata era di 123.000 lire, da ripartire tra i tre Comuni interessa sati, in base alle popolazioni beneficate e alle distanze de dei singoli centri dalla presa.68 Nulla di concreto accadeva, sino a quando lo Stato provvidenzialmente promulgava le disposizioni leg legislative a favore dell’agricoltura, tendenti a favorir qualsiasi attività miglioratrice in questo settore, rire sì primario ma rimasto assai arretrato. La zona detta Li Lippe-Lonzano, compresa tra la frazione di Orsaria e il torrente Torre, della superficie di circa 800 ettari di terreno fertile, per circa ¾ coltivati a prato stabile, sarebbe stata suscettibile di notevole sfruttamento agricolo intensivo con conseguente costruzione di nuove case coloniche, ma la mancanza d’acqua era stato sino ad allora un ostacolo insormontabile. Nel 1930 Buttrio, Premariacco e Pradamano si accordavano per concedere gratuitamente a quella popolazione l’acqua di loro competenza mediante cinque fontane pubbliche, incaricando il Consorzio di redigere un progetto tecnico e di esperire tutte le pratiche per ottenere il concorso dello Stato a norma dell’art. 3 della legge 24 dicembre 1928 n. 3134. Era la prima domanda di tale tipo a essere presentata dal Consorzio, alla quale ne seguirà un gran numero, per parecchie decine d’anni.69 Si teneva conto anche dei bisogni futuri dell’area, sia fissando il tracciato delle condutture lungo la strada sulla quale si ipotizzava sarebbero sorte nuove case coloniche, sia stabilendo una portata sufficiente per un numero doppio rispetto alle famiglie allora presenti nelle 15 case abitate. Era opportuno che la derivazione avesse luogo a Orsaria, dove nei periodi di maggior consumo era accertato un carico piezometrico di 30 metri. Per le cinque fontane era prevista la seguente dislocazione: 1 ai Casali Castagneto, alla quale avrebbero attinto anche i Casali Pitassi, 1 ai Casali Giacomelli (Comune di Buttrio); 1 ai Casali Lonzano, 1 ai Casali de Puppi, utilizzata anche dai casali Zucco (Comune di Premariacco), 1 ai Casali Flebus (Comune di Pradamano), usata pure dai Casali Giacomelli. La portata totale era di 1 l/secondo, la spesa di 168.000 lire. Con la revisione dei prezzi del 10 aprile 1931 tale somma scendeva a 158.500 lire. Con decreto del 16 luglio 1931 era accordato il contributo del 75% previsto dalla legge sulla bonifica integrale. Il 15 febbraio 1932 i proprietari della case coloniche si obbligavano a eseguire gli scavi e i ritombamenti per la posa di tutte le diramazioni rimanenti, pari a 4.637 metri, secondo le modalità che sarebbero state impartite dalla direzione lavori e in misura proporzionale al numero delle rispettive case coloniche.
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I lavori, condotti sotto la vigilanza dell’ing. Aldo Cremese del Corpo Reale del Genio Civile di Udine, iniziavano il 1º aprile ed erano ultimati il 15 giugno 1932. Le condutture poste in opera erano 7.853 metri, 496 in più del preventivato, in quanto era realizzata una ulteriore diramazione a favore del nuovo Casale Mesaglio, costruito dopo la redazione del progetto generale. Inoltre, con l’autorizzazione del Genio Civile, erano attivate 9 fontane pubbliche in luogo delle 5, per rendere più comodo l’attingimento alla popolazione. La spesa complessiva era di 138.314,35 lire, con un’economia sulle previsioni di 20.185,65 lire.70
PREMARIACCO Firmano e Casali Pasc Quando nel 1908 aveva realizzato il proprio acquedotto comunale detto “del Montina”, per ragioni di economia Premariacco doveva limitare la distribuzione dell’acqua al capoluogo e a una modesta derivazione per i casali a nord di Firmano. Ne rimanevano esclusi i casali a sud di quella località, con 55 abitanti e numeroso bestiame e i casali Pasc, comprendenti 4 case coloniche con 32 residenti, tutti notevolmente distanti dalle fontane di attingimento (900 metri per Firmano e ben 2.500 per Pasc). In verità, pure i casali a nord non erano messi bene, perché avevano un’unica fontana al centro della borgata, che funzionava solo nei periodi piovosi mentre a ogni minima magra l’erogazione cessava totalmente; per di più, dopo ogni pioggia l’acqua sgorgava talmente torbida da risultare imbevibile e senza alcuna garanzia dal lato igienico.
Schema delle condutture di due acquedotti rurali in Comune di Premariacco, denominati “case Pasc” e “Casali Firmano”, progettati nel 1932. Il collaudo tecnico delle due derivazioni eseguite fu eseguito l’anno 1934. In basso: tracciato dell’acquedotto rurale, con derivazione da Orsaria per la zona detta ‘Lippe’, progetto del 7 aprile 1930.
La sorgente Montina, in Comune di Torreano, si trovava tra i terreni coltivati, in una zona depressa in modo che le acque superficiali andavano parzialmente a finire nell’edificio di presa, trascinandovi materie terrose, probabilmente frammiste a sostanze organiche provenienti dalla concimazione praticata sui campi. Le 36 famiglie coloniche di questa zona, spesso si trovavano costrette a recarsi nel vicino Natisone per attingere l’acqua necessaria a persone e animali.71
per i Casali Pasc; l’opera era sussidiata per il 75% previsto dalla legge sulla bonifica integrale del 1928, concesso con decreto ministeriale del 17 novembre 1932. Dal 16 maggio al 22 giugno 1933 si costruiva la diramazione rurale per Firmano, per quella di Pasc si procedeva dal 22 agosto al 14 settembre successivo. Rispetto ai previsti 4.270 metri, se ne posavano 3.992,25 in quanto a Firmano si riusciva a reimpiegare alcune condutture preesistenti, dopo opportune sistemazioni e riparazioni. La spesa, anche grazie ad altre economie, risultava di 67.642,42 lire, ovvero oltre ventimila lire in meno del preventivato.72
Rocca Bernarda
Conferma d’ordine della ditta Dalmine di Padova, con specifiche tecniche dei tubi Mannesmann da impiegare per le due derivazioni rurali del Comune di Premariacco, 6 maggio 1933.
Il Comune di Premariacco, facente parte del Consorzio Poiana con le frazioni di Orsaria e di Ipplis – ricordiamo che quest’ultima nel 1912, alla nascita consorziale, faceva Comune a sé stante –, per sgravare quella popolazione dal disagio in cui si trovava, determinava di sostituire la derivazione del Montina con una conduttura del Poiana, fornendo con essa i casali sia a nord che a sud di Firmano, oltre che Pasc. L’ufficio tecnico consorziale il 6 luglio 1932 progettava due derivazioni: una che dipartiva dalla piazza del capoluogo e, seguendo la strada per Orzano, raggiungeva i casali Pasc, nel cui centro si sarebbe aperta una fontana pubblica, la seconda dalla spalla sinistra del ponte sul Natisone passava attraverso Firmano sud e giungeva alla parte nord, dove aveva due sottodiramazioni, ognuna con quattro fontane pubbliche della portata di 0,25 l/secondo. In complesso le condutture progettate erano lunghe 4.220 metri, con una competenza di 1,25 l/secondo prelevati dalla spettanza originaria per Ipplis e Orsaria di 5,5 litri, esuberante rispetto ai bisogni dei 2.300 abitanti allora consorziati. Il preventivo totale era di 88.000 lire, delle quali 45.000 Corografia generale in scala 1:25.000 del progetto di tre derivazioni, dalla rete dell’acquedotto Poiana verso case coloniche in località “Rocca Bernarda”, anno 1930.
La vasta zona collinare della Rocca Bernarda negli anni Trenta accoglieva venti famiglie coloniche, con circa 260 persone e 150 animali da lavoro e da allevamento, che utilizzavano l’acqua scaturente da fontanili e quella piovana raccolta in pozze scavate nell’argilla. Un breve periodo di siccità bastava a far scomparire anche queste scarne riserve e la gente doveva scendere nei paesi vicini serviti dall’acquedotto, con fatica e sacrificio di tempo. Per avvicinare l’acqua anche a questo territorio, tenuto conto del suo rilievo altimetrico, si reputava necessario realizzare tre derivazioni, da far
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avanzare il più possibile, compatibilmente con i carichi piezometrici minimi, verso il centro della regione collinare, attivando cinque fontane pubbliche nei punti più adatti per un comodo accesso. Secondo il progetto del 1º giugno 1930 la prima derivazione partendo dalla località Casone tra Azzano e Oleis terminava a casa Zorzenoni, a quota 125 m s.l.m., con una diramazione per i Casali Bastiani, verso la collina a quota 140; su questa erano aperte tre fontane pubbliche, beneficiando sei casolari isolati. La seconda portava l’acqua da Villa Cernazai alla zona centrale tra il casale Zamparo e Luogo Cossio, con una fontana all’estremità per quattro casolari. La terza dalla località ‘Le Maschere’ era spinta fino alla quota massima raggiungibile lungo la strada di accesso alla Rocca Bernarda, con una fontana per le cinque case poste nelle adiacenze. Ogni fontanella aveva la portata di 0,20 l/secondo, a getto intermittente, secondo il consueto modello costituito da una colonna di ghisa sopra una piattaforma di calcestruzzo, con contorno in pietra piasentina.73 Il preventivo di spesa era di 88.500 lire, da coprire per il 75% con il contributo statale. La restante quota cadeva a carico dei proprietari, per gli acquedotti rurali era consuetudine coprirla mediante prestazioni in natura, con le operazioni di scavo e ritombamento. Per la Rocca Bernarda sarebbe toccato alla signora Perusini soddisfare tale richiesta, ma rifiutandosi questa di assumere alcun obbligo in tal senso, il Comune di Premariacco non dava attuazione a nessun lavoro.74 Dopo chiarimenti e nuovi accordi con la signora Perusini, nel dicembre 1930 il Consorzio allestiva un altro progetto, che prevedeva cinque derivazioni, con una spesa totale di 107.000 lire, a beneficio di una ventina di famiglie coloniche. Anche stavolta, però, i buoni intenti rimanevano solo sulla carta.
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Il prolungato oblio Un ulteriore progetto era predisposto in data 12 ottobre 1933, stavolta a favore di 22 case di roncari abitate da 230 persone, raggiungibili con la posa di 8.426 metri di tubature alimentanti nove fontane pubbliche, con la spesa prevista di 212.000 lire. Per giungere oltre i limiti di altitudine consentiti dai massimi carichi piezometrici erano previsti quattro serbatoi di accumulo, così da attingere il prezioso liquido in qualsiasi momento del giorno, anche quando le pressioni non sarebbero state tali da consentire l’erogazione alle quote elevate. Dai quattro serbatoi l’acqua era portata ad altrettante fontane, dotate di abbeveratoio in muratura, strutture rivelatesi utilissime e comode per le zone agricole, mentre le altre nove fontane di attingimento restavano uguali a quelle esistenti nel resto della rete.75 Nonostante l’attenta cura progettuale, il mesto destino dell’elaborato era il medesimo dei precedenti, rimanendo inattuato e chiuso in un cassetto. Per il sopravvenuto stato di guerra, venendo a mancare l’indispensabile finanziamento da parte dello Stato, l’oblio progettuale si prolungava ancora parecchio.
Il risveglio progettuale Nell’anno 1946 si riprendeva in esame la pressante esigenza idrica del territorio di Rocca Bernarda. Come nuovo riferimento normativo si aveva il decreto legge del 10 agosto 1945 n. 517, che autorizzava l’esecuzione a carico dello Stato di opere pubbliche urgenti a sollievo della disoccupazione, ponendo a carico degli Enti locali metà della spesa, da restituirsi in 30 annualità e senza interessi. Per l’aumento dei prezzi, il costo del progetto
Planimetria di una derivazione rurale in Comune di Premariacco, che portava l’acqua a vari casali, fino alla casa Perusini, 10 aprile 1951.
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Pianta e sezione del serbatoio da 75 hl, nel progetto per otto derivazioni a favore della zona collinare di Rocca Bernarda (stralcio per le derivazioni 3, 5 e 7), 10 aprile 1951.
in base agli aggiornamenti del 16 agosto 1946 saliva a 5.300.000 lire. Queste erano le otto derivazioni previste: 1. Dalla località ‘Le Maschere’ a quota 103 metri s.l.m. sulla strada Cormonese l’acqua sarà spinta fino alla quota 132,60, con all’estremità un serbatoio di 4 metri cubi. 2. Con origine dalla strada Cormonese, per servire le case Tunella. 3. Con origine sulla strada tra Ipplis e Spessa, servirà case Carbonaro, Romanelli e Nicolausig; a case Romanelli si costruirà un serbatoio di 6 metri cubi. 4. Dalla strada Ipplis-Spessa a casa Albini. 5. Dalla strada Ipplis-Spessa alle case Loschi, Micheloni e Cossio; a casa Micheloni a quota 135,50 si costruirà un serbatoio di 6 metri cubi. 6. Origine all’estremità sud di Ipplis, servirà case Solzared e Nussi. 7. Origine dalla località ‘Il Casone’ tra Azzano e Oleis. Oltre casa Centis si diramerà in tre sottoderivazioni, una per casa Perusini, una per casa Zorzenoni e una per casa Perusini sotto la Rocca Bernarda; presso quest’ultima, a quota 133 si costruirà un serbatoio
della capacità di 7 metri cubi. Su questa derivazione si apriranno quattro fontane, in tal modo tutte le otto famiglie residenti nella conca potranno usufruire del beneficio. 8. Da Azzano alle due case coloniche in località ‘Fornace’.76 Il progetto complessivo andava incontro a grosse difficoltà di finanziamento, in quanto talune diramazioni risultavano a beneficio di pochissime famiglie e determinavano una forte sproporzione tra spese e vantaggi. Stante la situazione di estrema necessità, il Comune di Premariacco proponeva e otteneva, con non minori ostacoli, un contributo per attuare almeno le tre derivazioni principali (n. 3, 5 e 7)77 e anch’esse limitate alle tratte coinvolgenti il maggior numero di agricoltori.78 Queste si costruivano nel 1951 e 1952,79 avvicinando l’acqua alle massime quote altimetriche ammesse dalla pressione di esercizio nella rete e creando tre serbatoi alle estremità. Erano posati 4.700 metri di condotte, con la spesa di 5.400.000 lire. Il costo era maggiore del preventivato, anche perché il Comune limitava il concorso dei privati per gli scavi del primo stralcio. Dalla derivazione 7 si escludeva la costruzione del previsto serbatoio, che sarebbe stato eseguito direttamente a cura e spese dell’amministrazione Perusini, a compenso del maggior sviluppo di condutture
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da essa richieste per giungere nel punto più prossimo all’impianto di sollevamento.80 Il 9 settembre 1953 erano ultimati i lavori della derivazione idrica n. 6 del progetto 16 agosto 1946, a favore di Solzared e Case Nussi; l’ammontare totale della spesa era di 486.675 lire, inferiore alle 630.000 lire preventivate, a motivo della riduzione di diametri delle tubature posate e per varie altre economie.81 Alla fine degli anni Sessanta, a causa dell’aumento delle utenze, la linea di carico piezometrica dell’acquedotto consorziale si abbassava sensibilmente, con conseguente riduzione del rifornimento idrico nei punti più alti dell’area collinare, che nei mesi estivi obbligava il Comune a ricorrere al rifornimento di emergenza con autobotti. Come rimedio, nel 1971 il Consorzio proponeva il ridimensionamento della derivazione, con maggiorazione del diametro dei tubi.82
Ricostruzioni e riparazioni Nel 1977 il Consorzio deliberava di riattare la derivazione alimentante il sollevamento di Rocca Bernarda, estesa per tre chilometri.83 Questo tratto aveva origine in località Casonar sulla strada Oleis-Cividale e portava l’acqua a un serbatoio di accumulo in prossimità della villa di Rocca Bernarda, a una quota di 132,17 metri. Da qui, mediante una stazione di sollevamento era versata in un serbatoio di distribuzione sito nel cortile della villa, a quota 168,20. Con una rete di distribuzione costruita direttamente dai proprietari interessati si riforniva l’azienda agricola e tutte le case coloniche sparse nella zona, poste a quota superiore al carico piezometrico dell’acquedotto Poiana. Le scosse telluriche del 1976 acutizzavano lo stato di degrado delle condutture, già precario, al punto da rendere il servizio fortemente deficitario, con conseguente riduzione della disponibilità per il normale rifornimento. Ritenendo antieconomico procedere con la manutenzione dell’adduttrice al serbatoio di accumulo, per le numerose fughe che costantemente si verificavano disperdendo la già scarsa acqua disponibile, il Consorzio il 23 ottobre 1978 progettava la sua ricostruzione, adeguandola alle necessità del momento e al variato andamento delle pressioni rilevate all’origine. La nuova tubazione si sarebbe prolungata, in tubi di acciaio con giunto cilindrico per saldature elettriche, per 1.847 metri, con la spesa prevista di 60 milioni di lire.84 Nel corso dei lavori era accertato che essi non avrebbero espresso completamente il loro effetto migliorativo in quanto le nuove tubazioni sarebbero state collegate a un tratto di conduttura che, contrariamente alle aspettative, era costellata da rotture tali da abbassare fortemente la pressione rilevata. Ponendo in luce alcuni giunti si rilevava che, anche a causa della natura
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del suolo particolarmente acido, da essi sortivano delle copiose fughe, per cui era indispensabile provvedere alla sostituzione di 394 metri di tale conduttura. L’impresa ultimava i lavori il 20 dicembre 1980. Nel 1984 si eseguiva il collegamento per l’utenza di Casa Turolo.85
Il nuovo impianto di Rocca Bernarda Negli anni Novanta questo impianto idrico si mostrava fatiscente, a causa della vetustà e ormai inadeguato per le caratteristiche progettuali dell’opera. Il diametro delle tubazioni, che non superava i 30 mm, era del tutto insufficiente per gli usi civili, per la trasformazione dei prodotti coltivati, per gli allevamenti e le attività agrituristiche esistenti in zona. L’esiguità delle acque disponibili aveva costretto gli utenti a crearsi ognuno il proprio deposito d’acqua, accumulandola durante le ore notturne; da questi depositi ove le caratteristiche di potabilità potevano essere compromesse, le acque erano rilanciate ad altri serbatoi, mediante impianti di sollevamento individuali azionati da motori a scoppio, con evidenti dispendi di energia. Per evitare tali situazioni precarie e di notevole rischio igienico, il Consorzio concepiva un impianto centralizzato di distribuzione idrica, dal quale diramare una condotta in grado di rifornire adeguatamente tutte le utenze dell’altopiano. Nel 1993 era affidata la redazione della perizia geologica per la costruzione di un nuovo serbatoio sulla Rocca Bernarda. Il relativo progetto era mandato in esecuzione nel 1996, anno in cui si costruiva il manufatto della capacità di 300 mcubi, alla quota di fondo vasca di 162,4 metri s.l.m., idoneo al rifornimento idrico dell’intera zona collinare racchiusa tra la S.S. 356 e la Strada Provinciale di Prepotto, fino al confine con il Comune di Manzano. Dopo l’approvazione del progetto preliminare del 23 luglio 1996 della rete distributiva in località Rocca Bernarda da parte della Commissione amministratrice,86 i lavori in questo sito si concludevano nel 1999.
Località Cambiago Nella zona collinare di Rocca Bernarda, alla fine degli anni Cinquanta due case in località Cambiago e una in località Tunella erano ancora sprovviste di acqua potabile. Per esse, nel 1960 erano progettate due derivazioni, entrambe partenti dalla strada provinciale Cormonese, a sud di Spessa: la prima di 820 metri, servente le case di Cambiago, che trovandosi alle quote altimetriche di 145 e 152,26 metri, entrambe superiori a quella media del Poiana, non potevano essere raggiunte, ma solo avvicinate, riducendo il più possibile il
Corografia del progetto di otto derivazioni a favore di case rurali nel Comune di Premariacco, 1 agosto 1946.
Case rurali sparse a Premariacco
percorso per l’attingimento; la seconda di 460 metri, fino a casa Tunella, a quota 127 metri. Data la mancanza nella zona di energia elettrica di tensione adeguata, al fine di contenere la spesa nei termini di convenienza, era progettata una cabina di pompaggio da ubicarsi nelle immediate vicinanze della rete principale, dove passava una linea dell’Enel a bassa tensione. Il sollevamento dell’acqua sarebbe stato realizzato mediante un gruppo elettropompa con tre giranti e l’inserimento di una autoclave della capacità di 1.000 litri.87 Nell’ottobre 1963 l’Assemblea deliberava di dare corso ai lavori di costruzione degli impianti di sollevamento sussidiari di Rocca Bernarda.88
Per dotare di acqua potabile alcune case rurali sparse nel territorio di Premariacco, questo Comune commissionava al Consorzio un primo progetto, elaborato il 29 ottobre 1961 e poi modificato il 25 febbraio 1963. Per il notevole aumento dei prezzi e per i ritardi dell’approvazione tutoria, non si poteva dar corso all’iniziativa, al cui finanziamento si intendeva provvedere, oltre che con il concorso degli interessati, con il contributo previsto dall’articolo 8 della legge del 1961 n. 454. In seguito, il Comune si avvaleva delle possibilità offerte dalla legge regionale sulle opere di miglioramento fondiario 31 agosto 1965 n. 18, che prevedeva aiuti per la costruzione di acquedotti, anche per case rurali singole o raggruppate.89 In base al preventivo del progetto, aggiornato il 10 novembre 1965, con
GLI ACQUEDOTTI RURALI
Planimetria della derivazione n. 6 in Ipplis, nel progetto di otto derivazioni della rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali nel Comune di Premariacco, 1 agosto 1946.
decreto 1 agosto 1966 la Regione concedeva il contributo del 92% per le seguenti quattro derivazioni, di cui una con sollevamento meccanico, per sei case rurali sparse, lunghe 2.428 metri e comportanti una spesa preventivata di 6.580.000 lire: 1. dalla strada provinciale Ipplis-Spessa alla casa di proprietà Albini Mulloni 2. dalla strada provinciale Cividale-Cormòns alla casa di proprietà Piputto 3. dal termine della rete esistente in Azzano alla casa di proprietà Nussi e Boreanaz 4. dalla esistente rete a casa Coceancig, con un serbatoio di accumulo di 3,6 mcubi e uno di distribuzione di 4 mcubi.90 In corso di esecuzione dei lavori, svolti dal 5 aprile al 5 giugno 1967, essendosi verificate delle economie, principalmente negli scavi avendo trovato meno roccia del previsto, si provvedeva anche all’allacciamento della casa colonica di Giovanni Orian, che in sede di elaborazione del progetto esecutivo era stata erroneamente esclusa. Nel luglio 1968 il Comune di Premariacco comunicava che l’Ispettorato all’Agricoltura aveva effettuato il collaudo dell’acquedotto rurale dei suoi Ronchi.91
Sezioni di fontane con vasche, nel progetto di otto derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali nel Comune di Premariacco, 1 agosto 1946.
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Ronchi di Ipplis Nel versante a nord della Rocca Bernarda la zona era servita con un impianto realizzato grazie alle provvidenze delle leggi vigenti sul miglioramento fondiario e da una rete distributiva legata alle caratteristiche idrauliche-piezometriche imposte dal serbatoio di Monte dei Bovi. Tutte le utenze site altimetricamente al di sopra della linea dei carichi idraulici avevano provveduto a dotarsi di impianto meccanico individuale di rilancio, con sprechi di energia ed elevato rischio igienico. Grazie al nuovo serbatoio di accumulo da 300 mcubi in località Rocca Bernarda era attuabile una radicale razionalizzazione dell’impianto idrico mediante una condotta distributrice, che dal terminale realizzato presso gli insediamenti del Sovrano Militare Ordine di Malta discendeva per poi biforcarsi. Attraverso di essa si sarebbe risanato igienicamente l’intero altopiano dei Ronchi di Ipplis, dato che l’infrastruttura esistente non soddisfava più le necessità della popolazione interessata; lo sviluppo delle condotte in ghisa sferoidale, previste nel 1996, era di 2.750 metri.92
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GLI ACQUEDOTTI RURALI
SAN GIOVANNI AL NATISONE Ronchi di Dolegnano
Posa dei tubi per una diramazione di piccolo diametro, anni Trenta (archivio privato).
REMANZACCO Su richiesta del primo cittadino di Remanzacco, il signor Agostino Angeli, l’ufficio consorziale predisponeva un progetto, datato 7 aprile 1931, per la costruzione di sei diramazioni a favore di casolari isolati in quel Comune, con un preventivo di spesa di 112.500 lire.93 Affiancandosi al Comune, secondo una prassi consolidata il Consorzio si occupava delle pratiche per richiedere allo Stato il sussidio previsto. L’esito era positivo, ottenendo con decreto ministeriale del 16 luglio 1931 il 75% della spesa.94 I lavori erano iniziati l’8 novembre 1932 e ultimati il 15 marzo 1933. Si posavano 6.651 metri di condutture, 209 in meno del previsto, mentre il numero delle fontanelle pubbliche da 5 era elevato a 8, per maggior comodità di attingimento. La spesa di 88.254,80 lire risulta parecchio inferiore al preventivato, per il minor costo degli scavi, delle condutture e delle fontane.95 Nel dicembre 1962 era deliberata la realizzazione degli acquedotti rurali per Casali Magret e Molini di Sopra.96
Gli scavi per collocare i tubi e il successivo ritombamento, ovvero la ricopertura con terreno, generalmente era effettuata dalle stesse persone che volevano diventare utenti del Poiana. In tal modo avevano un sensibile risparmio nelle spese di allacciamento e il personale specializzato dell’acquedotto, potendo dedicarsi solo alle operazioni idrauliche, diminuiva i tempi di esecuzione dei lavori (archivio privato).
Nella zona collinare denominata ‘Ronchi di Dolegnano’ negli anni Venti si trovavano nove case coloniche sparse, i cui 80 abitanti in caso di necessità ricorrevano, anche per la settantina di quadrupedi allevati, alle fontane di Dolegnano distanti circa un chilometro, alla quota di una quarantina di metri sottostante, percorrendo strade malagevoli e di difficile transito ai veicoli a ruote. Dopo l’esecuzione dei rilievi sul luogo, il Consorzio progettava due diramazioni dalla rete, una dall’estremità della condotta di fronte al cancello del palazzo di Trento che raggiungeva la parte collinare fino a casa Zamò, attivando due fontane pubbliche a beneficio di sette abitazioni, parte in piano e parte in collina; la seconda dalla condotta principale raggiungeva le case Masarotti, con una sola fontana per le due colonìe presenti. Per l’elevata posizione altimetrica, a quest’ultima fontana l’acqua poteva giungere solo durante le ore notturne, quando all’origine per circa cinque ore consecutive si misurava una pressione di 4,80 atmosfere, sufficiente a innalzarvela. Era necessario costruire un piccolo serbatoio di 7 ettolitri nella parte sopraelevata adiacente a casa Zamò, completamente interrato, dotato di valvola di efflusso, sfioratore e chiusura automatica con galleggiante, da riempire durante il periodo di minor consumo della rete e in grado di alimentare la fontana durante tutta la giornata; in totale,
GLI ACQUEDOTTI RURALI
In alto: planimetria del progetto di acquedotto rurale per i “Ronchi di Dolegnano”, 30 ottobre 1931. In basso: piante e sezioni del serbatoio da 70 hl previsto nel progetto di acquedotto rurale per i “Ronchi di Dolegnano”, 30 ottobre 1931.
le tre fontane pubbliche avevano una portata di 0,40 l/ secondo.97 Il Ministero per l’Agricoltura e le Foreste il 25 marzo 1932 approvava il progetto e concedeva il contributo del 75% della spesa. I lavori erano eseguiti dal 15 settembre al 20 ottobre 1932, scavando 1.662 metri di trincea, profonda da 90 a 120 centrimetri; lo
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scavo era affidato a un cottimista, retribuito con prezzi diversi a seconda della natura del terreno, se il terreno era argilloso di media compattezza con 2,20 lire/ metro lineare, che salivano a 3 se era argilloso, misto a trovanti con rottura di massicciata stradale. Con un ulteriore decreto il Ministero approvava la perizia di variante 17 gennaio 1933, consistente nell’aggiunta di una elettropompa per il sollevamento dell’acqua nei periodi di magra, con spesa complessiva di 35.000 lire.98 Completati i lavori, la liquidazione finale era di 31.568,80 lire, con una economia di oltre tremila lire rispetto alle previsioni.
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GLI ACQUEDOTTI RURALI
TRIVIGNANO A spese della signora Marcotti Giulia in Capsoni, in parte con l’agevolazione del contributo statale per la bonifica integrale, nel 1931 era portata l’acqua potabile, derivandola da Merlana, sino ai Casali ComugneMarcotti, ove si trovavano cinque case coloniche.99 Nel progetto del 25 ottobre 1939, più volte citato in precedenza, riguardante 20 derivazioni rurali in cinque Comuni, in quello di Trivignano ne erano previste due, a Clauiano: una dal termine della rete in via San Marco a casa Marcuzzi, sviluppata 545 metri per servire 30 abitanti, l’altra come prolungamento di 300 metri della via Palma fino a casa Turchetti, a beneficio di 9 persone, con una spesa prevista di 14.559,70 lire.100 L’aumento cui questa somma andava incontro quando – nel settembre 1946 – si doveva aggiornare il progetto, inattuato per le vicende belliche, era enorme, salendo a 439.880 lire.
COMUNE DI PREPOTTO
Planimetria della derivazione rurale n. 17, conducente l’acqua alla casa Turchetti nella frazione di Clauiano, Comune di Trivignano Udinese, progetto del 3 settembre 1946.
Corografia di due acquedotti rurali (indicati con i numeri 16 e 17) a Clauiano, in Comune di Trivignano Udinese progettati nel 1946.
Il territorio di Prepotto è in prevalenza formato di colline e di piccoli rilievi, che hanno il punto più elevato a 719 metri, in una cima che si trova a sud della chiesetta di San Nicolò. Questa era la situazione idrica rilevatavi a fine Ottocento da Achille Tellini: Tutta la regione è ricca di sorgentelle (…). Presso Prepotto vi è una sorgente cui attingono gli abitanti. Le numerose frazioni e gruppi di case sparse sui colli, usufruiscono di piccole sorgenti che scaturiscono nelle vicinanze. La frazione di Marcolino ha un breve acquedotto, costruito nel 1898. Le sorgenti che alimentano Obborza (sic) e S. Pietro di Chiazzacco sono povere e vanno soggette ad essiccamento, per cui i frazionisti devono recarsi ad attingere da torrentelli abbastanza lontani.101 Nel 1928 non era possibile accogliere la domanda avanzata dal Comune di Prepotto di avere 0,5 l/secondo per il capoluogo e le frazioni di Albana e Poianis,102 ma nel giugno 1930 l’esito era diverso. Era infatti deliberata la concessione al Comune di Prepotto di 2,50 litri di acqua al secondo, ammettendolo al Consorzio, dietro il pagamento di 62.000 lire a titolo di concorso delle spese di impianto, come ‘quota di buon ingresso’. L’intendimento era di favorire anche quel Comune, essendo noto quanto abbisognava d’acqua e quale vantaggio igienico ne avrebbe ricavato. La portata del Poiana superava quella assegnata ai Comuni nella seduta del 9 agosto 1929 e il piccolo quantitativo richiesto non avrebbe danneggiato il servizio generale, tecnicamente era possibile l’adduzione fino alla frazione di Albana e la spesa per l’esecuzione dell’opera di 450.000 lire sarebbe rimasta tutta a carico del Comune richiedente. Quanto deciso doveva però essere sottoposto all’approvazione
Planimetria della derivazione rurale n. 16, diretta alla casa Marcuzzi nella frazione di Clauiano, Comune di Trivignano Udinese, progetto del 3 settembre 1946.
dei singoli Comuni consorziati,103 che evidentemente in seguito non era concessa. Nel 1964 la rete era ampliata a favore di cinque case rurali sparse in zona Polonetto, per le quali Prepotto sin dal 1957 aveva chiesto di attivare, quando fosse stato possibile, un paio di fontanelle in quella località al confine con il Comune di Cividale. La derivazione aveva origine dal termine dell’esistente rete a case Romanut, sviluppandosi per 840 metri lungo la strada comunale verso Prepotto e posando poi tre derivazioni secondarie per altri 775 metri. La spesa, di 3.100.000 lire, per il 75% era coperta dal contributo dello Stato.104
COMUNE DI FAEDIS Il Comune di Faedis comprende una parte dei bacini del torrente Legrada – affluente del Natisone – e dei rivi Cernea, Grivò, Grivò di Campeglio ed Ellero, estendendosi nella pianura alla base dei colli presenti. Dall’inchiesta di Tellini, si apprende che l’area più elevata scarseggiava di scaturigini, invece più frequenti nella parte pedemontana, ma di poca importanza. Diversi villaggi erano forniti di acquedotto, risalente
all’ultimo decennio dell’Ottocento: Canebola ha conduttura in cemento, costruita nel 1891 secondo progetto dell’ing. Manzini. Costapiana e Stremiz hanno piccole condutture in ghisa con una sola fontana. La sezione di Faedis che trovasi alla destra del torrente possiede un acquedotto costruito secondo progetto dell’ing. Puppati. (…) A Colloredo vi è un acquedotto a conduttura in cemento eseguito secondo progetto dell’ing. Manzini. Nel 1899 andrà in esecuzione un progetto, già approvato, per fornire di acquedotto la parte orientale di Faedis e si studieranno progetti di acquedotti per Campeglio e Raschiacco. Secondo il giudizio dell’illustre studioso molto resta da fare per le acque potabili di questo comune (…) nel capoluogo l’ileotifo è endemico.105 È comprensibile che le opere citate, dopo diversi decenni, mostrassero pesantemente i segni del tempo. Si chiedeva al Consorzio Poiana di contribuire a migliorare la situazione. Aderendo alla richiesta, il Consorzio assumeva la costruzione dell’acquedotto rurale di Costalunga, convenendo che il costo sarebbe stato rimborsato con la maggiorazione del 15% per spese generali. Nel febbraio 1939 l’opera era completata, la spesa prevista di 67.000 lire a consuntivo risultava inferiore, pari a 66.599,70 lire.106 Nel 1941 era sistemato l’acquedotto per la frazione di Pedrosa, che fin dalla sua costruzione, risalente al 1920, non aveva mai funzionato regolarmente. Si accettava, inoltre, di realizzare gli acquedotti rurali del medesimo Comune, regolarmente finanziati per una spesa di 180.500 lire, ma la difficoltà di disporre del materiale tubolare e la deficienza di mano d’opera consigliavano, dopo aver eseguito una sola diramazione, di rimandare il lavoro al dopoguerra.107 Ciò trovava puntuale esecuzione proprio con questa tempistica, nel 1946 si posavano due diramazioni della lunghezza complessiva di 1.875 metri: per la frazione di San Teodato con derivazione dell’acquedotto comunale di Faedis e per la frazione di Presa con derivazione della rete del Poiana, del costo di 800.000 lire.108
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Nel 1957 era sistemato e ampliato l’acquedotto di Canebola, soprattutto per rifornire l’edificio che stava sorgendo per conto dell’Ente Malga di Porzus; dato che questo Ente aveva una finalità patriottica, si assumeva la spesa per i lavori di posa della conduttura, dell’importo complessivo di 41.425 lire.109
COMUNE DI TORREANO La lunga attesa in Prabonissimo Nel 1939 vari Comuni consorziati chiedevano di estendere la rete a molte case rurali che ne erano sprovviste, anche due famiglie di agricoltori abitanti in località Prabonissimo domandavano di poter usufruire del servizio, con una derivazione di 775 metri partente da Chiasalp, il cui costo non poteva essere coperto dal contributo statale concesso con la legge sulla Bonifica integrale del 1933.110 La Commissione aministratrice nella seduta del 14 novembre 1939 autorizzava quanto richiesto, pur essendo Torreano fuori Consorzio, assumendo la spesa di 3.750 lire, in quanto riteneva doveroso provvedere acché anche quella popolazione rurale possa essere ammessa a godere dei benefici igienici ed economici derivanti dall’avere in casa buona ed abbondante acqua potabile. Quasi vent’anni dopo, però, al Consorzio riperveniva la richiesta di derivazione per le medesime due case ubicate in Prabonissimo che dunque, nonostante la più ampia disponibilità, si trovavano ancora nella prolungatissima, e sicuramente scomoda, situazione di attesa,111 che aveva finalmente termine nel 1960.
I disagi di Tamorig Su richiesta dell’amministrazione comunale di Torreano, nell’ottobre 1982 il direttore Giuseppe Rossi si recava in sopralluogo a Tamorig, i cui 60 abitanti e 30 quadrupedi per bere acqua sicuramente potabile dovevano attendere l’arrivo delle autobotti. La borgata attingeva da un’unica fontana pubblica posta al centro dell’abitato, alimentata da due piccole sorgenti raccolte a monte con due prese. Di un acquedottino funzionante in questa località troviamo documentazione nell’inchiesta di Achille Tellini, che così descrive la situazione rilevata nel 1898: Tamoris ha una conduttura in cemento, lunga 57,50 m, che attinge ad una sorgentella a levante della frazione. La portata è di litri 0,10 al secondo; ogni abitante usufruisce di 144 litri al giorno. Il costo dell’opera fu di lire 376,89. Credo che il nome della sorgente sia quello di Rahuot. È buona ma scarseggia nell’estate.112 La derivazione era stata costruita in superficie, senza lavori di sbancamento che permettessero una captazione sicura di tutta l’acqua, della quale una certa parte
Pianta e sezione dell’edificio di presa dell’acquedotto di Tamoris, Comune di Torreano, 19 novembre 1962.
sfuggiva cosicché al primo accenno di diminuzione della portata, l’acqua veniva a mancare completamente. Con la costruzione della strada militare che da Tamorig porta in vetta, per ragioni di tracciato il Genio Militare demoliva una delle prese, cosicché la rimanente era insufficiente a soddisfare i bisogni minimi della popolazione. Si riteneva di poter ridare a Tamorig l’autonomia idrica raccogliendo l’acqua dalla vecchia presa demolita e convogliandola opportunamente per 210 metri fino alla fontana, unendola alla pochissima proveniente dalla presa esistente.113 In un successivo progetto, di due anni posteriore, si prevedeva anche la costruzione di un serbatoio di accumulo della portata di 8 metri cubi.114 I lavori iniziavano il 10 agosto ed erano ultimati il 16 settembre 1964. Tamorig aveva così il suo nuovo, tanto atteso acquedotto.115
I COMUNI DELLE VALLI Nel dopoguerra erano costruiti numerosi acquedotti, specie per i Comuni delle Valli del Natisone, con rilevanti spese sostenute dallo Stato. La Prefettura, preoccupata delle difficoltà nelle quali i Comuni si venivano a trovare per la gestione degli impianti, mancando di personale specializzato e di adeguati mezzi e temendo che gli impianti venissero lasciati
GLI ACQUEDOTTI RURALI
progressivamente in abbandono senza curarne la manutenzione, invitava l’ente consorziale a studiare la possibilità di assumerne la gestione tecnico-amministrativa, consigliando la costituzione di un Consorzio tra tutti i 14 Comuni possessori di acquedotti. Accogliendo tale proposta, si deliberava di assumere la gestione tecnico-amministrativa degli acquedotti minori del Cividalese, stabilendo che essa sarebbe stata nettamente distinta da quella del Poiana, con gli oneri relativi completamente a carico del costituendo Consorzio.116 Con decreto del Prefetto di Udine n. 59045 del 5 maggio 1956 era costituito il “Consorzio obbligatorio per la gestione degli acquedotti di dieci Comuni delle Valli del Natisone e limitrofi”, con sede presso il Poiana, che accettava di assumerne la gestione tecnico-amministrativa. Siccome però la maggioranza dei Comuni era contraria alla costituzione del Consorzio, era emanato un Decreto Prefettizio di costituzione obbligatoria.117 L’insieme dei Comuni costituenti il Consorzio Acquedotti Minori del Cividalese decideva di interessare il Sindaco di Cividale per ottenere dal Prefetto la revoca del Decreto di costituzione del Consorzio, perché troppo oneroso. Il Prefetto dichiarava di non poterlo annullare, comunicando in seguito che l’Ente per l’Economia Montana, oltre al già deliberato contributo di 500.000 lire “una tantum”, avrebbe esaminato anno per anno la possibilità di concedere altri contributi al
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costituendo Consorzio, invitando i Sindaci a un attento riesame dell’importante questione. I Comuni recedettero dall’iniziativa. Vi era costante attenzione e collaborazione alle esigenze locali, nel 1964 era rimesso in funzione l’acquedotto di Tribil Superiore, riparando le numerose fughe che ne compromettevano pesantemente la funzionalità. Nel 1991 si assumeva la gestione degli acquedotti di Brizza in Comune di Savogna,118 cui nel 1993 si forniva acqua al serbatoio in forma automatica.119 Nell’assemblea del 24 giugno 1992 si comunicava che era pervenuta al Consorzio la richiesta di consorziamento del Comune di Pulfero, in quella successiva del 26 ottobre risulta che anche Torreano aveva presentato la domanda di far parte nel servizio idrico potabile.120 In quel periodo la situazione era delicata e controversa, in quanto tra i Comuni delle Valli aleggiava anche l’intendimento di aderire alle proposte di consorziamento di altri enti.121 Nel febbraio 1993 si deliberava il risanamento idrico della frazione di Altovizza e, nel giugno seguente, il riordino dell’acquedotto di Cocevaro, Tarpezzo e Cedron (Comune di San Pietro al Natisone), nel 1995 vi era l’assunzione in gestione consorziale della frazione di Spagnut (Pulfero) e si eseguiva l’impianto di sollevamento sussidiario di Sorzento (San Pietro al Natisone). Nel 1999 era deliberata la sistemazione dell’acquedotto della sorgente Brocchiana (Pulfero e San Pietro al Natisone).122 Panoramica ripresa dal santuario di Castelmonte.
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CAPITOLO XIV
Seduta del 15 febbraio 1930, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1929-1932, p. 24. Le nuove derivazioni per complessivi 599 metri servivano le seguenti case: Minen e Durì, Zanon, Menazzi, Paravano, Piccotti e Durì, Visentini e Rocali, Azzano. Relazione alla liquidazione finale dei lavori, 10 novembre 1936 e comunicazione del Ministero per l’Agricoltura del 24 agosto 1936. La visita di collaudo aveva luogo il 28 aprile 1937, ACAP, cart. Acquedotti rurali [1], fasc. 5º Buttrio, progetto derivazione via Manzano. La richiesta di allestire un progetto per il completamento dell’acquedotto era inoltrata al Consorzio dal Podestà di Buttrio il 13 maggio 1935, ACAP, cart. Acquedotti rurali [1], fasc. Progetto di derivazione dalla rete dell’acquedotto Poiana per le case rurali della zona collinare “Villa Tellini” in Comune di Buttrio, Manzano e Premariacco. Il 20 aprile 1942 Sergio Nannini, Sottosegretario di Stato per l’Agricoltura e le Foreste, comunicava che per l’insufficienza delle assegnazioni di bilancio, non si era potuto sino ad allora dar luogo alla concessione del sussidio statale per la realizzazione del progetto per l’approvvigionamento idrico della zona di “Villa Tellini” e chiedeva la restituzione del progetto per l’aggiornamento dei prezzi, “onde sia esperita la nuova istruttoria, riservandosi il Ministero di esaminare la possibilità di provvedere al finanziamento della spesa con i fondi disponibili dell’esercizio finanziario 1942/43”. Già nel 1938 Ugo Omet, Socio Accomandatario del Sanatorio in Buttrio, scriveva al Consorzio: “(...) non potrebbe il Poiana per conto dei 3 Comuni interessati, sollecitare il finanziamento? Mi spaventa l’idea che il sanatorio di Buttrio corra anche il venturo anno i gravi rischi del nostro acquedotto di fortuna”, ACAP, cart. Acquedotti rurali [1], fasc. Progetto di derivazione dalla rete dell’acquedotto Poiana per le case rurali della zona collinare “Villa Tellini” in Comune di Buttrio, Manzano e Premariacco. Relazione sul “Prolungamento dell’esistente conduttura dall’attuale entrata della medesima nel recinto del Sanatorio fino al serbatoio, costruzione del serbatoio della capacità di 30 mc, derivazione per le case lungo la strada dal bivio per il Sanatorio a Villa Morpurgo”, 8 giugno 1946, ACAP, cart. Acquedotti rurali [1], fasc. Progetto di costruzione di un serbatoio e due diramazioni in località Via Tellini, estratto dal progetto 5/11/1935. Liquidazione finale del 5 settembre 1950, ACAP, cart. Acquedotti rurali [1], fasc. Progetto per acquedotto case Zambruno, Buttrio in Monte. La comunicazione del contributo statale era inserita nell’ordine del giorno della seduta del 9 gennaio 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 114. ‘Relazione’ e ‘Computo metrico estimativo’ del Progetto per la costruzione di n. 11 derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali in territorio del Comune di Cividale, 25 maggio 1932, ACAP, cart. Acquedotti rurali Cividale [2]. Il progetto era approvato dal Podestà di Cividale il 22 ottobre 1932 e dal Ministero per l’Agricoltura e le Foreste con decreto 14 luglio 1933 n. 2152 Div. III. Il materiale metallico per le
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condutture era acquistato a trattativa privata dagli Stabilimenti di Dalmine, in seguito all’autorizzazione avuta dal Corpo Reale del Genio Civile di Udine con nota 11 aprile 1934 n. 6018. Il 18 maggio 1936 era compilata la ‘Liquidazione finale dei lavori per la costruzione di un manufatto per sollevamento dell’acqua alla località Madonna delle Grazie’, eseguito dal capo operaio Giovanni Sabottig, comprendente la cabina di sollevamento £ 3123,20; serbatoio di accumulo £ 2092,59; posa in opera di iscrizioni e fascia, costruzione di una vasca abbeveratoio in cemento armato di 1,80x0,89x0,70 m, spesa totale £ 5380,79. Nel luglio 1937 era deliberato di acquistare da un proprietario privato 165 mq di terreno, per costruirvi una cabina ove collocare una motopompa per sollevamento dell’acqua in località “Madonna delle Grazie”, con la spesa di 165 lire. Seduta del 31 luglio 1937, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 169. Il progetto contemplava l’uso di una motopompa della potenza di 2 CV, alimentata a petrolio o benzina. Dopo eseguito l’impianto si riscontravano difficoltà nel funzionamento del motore per le intermittenze, dimostrandosi inadatto a tale uso speciale. Si veniva pertanto nella determinazione di sostituirlo con un motore elettrico, riutilizzando la medesima pompa. ‘Relazione’ di Aggiunte e Varianti al Progetto 25 maggio 1932 approvato con R. D. 14 luglio 1932 n. 2152, Div. 3ª, 26 settembre 1934, ACAP, cart. Acquedotti rurali Cividale [2]. La nuova perizia era approvata con D.M. 8 aprile 1935 n. 2260. Relazione alla liquidazione finale dei lavori. Acquedotti rurali in territorio del Comune di Cividale, 25 novembre 1936, ACAP, cart. Acquedotti rurali Cividale [2]. Il 10 luglio 1937 il presidente del Magistrato alle Acque di Venezia emetteva il decreto di approvazione del certificato di collaudo 31 maggio 1937 e del certificato di liquidazione 15 giugno 1937 per l’estensione dell’acquedotto alle borgate rurali. Relazione al Progetto del 25 ottobre 1939, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali 20 derivazioni. Relazione al Progetto per 20 derivazioni dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di case rurali, 3 settembre 1946, ACAP, cart. 1946, 20 derivazioni in Manzano Cividale, Moimacco, Pavia, Trivignano, Torreano [Rurali 10]. Comunicazione del Consorzio del 4 settembre 1946 ai cinque Comuni coinvolti nel progetto delle 20 derivazioni, ACAP, cart. 1946, 20 derivazioni in Manzano Cividale, Moimacco, Pavia, Trivignano, Torreano [Rurali 10]. Comunicazione del Presidente del Consorzio al Sindaco di Cividale, 21 giugno 1947, ACAP, cart. 1946, 20 derivazioni in Manzano Cividale, Moimacco, Pavia, Trivignano, Torreano [Rurali 10] . La richiesta per la derivazione era stata inoltrata al Sindaco di Cividale con lettera inviata il 16 novembre 1955 dai quattro capifamiglia Zanon, che si dichiaravano disponibili a provvedere direttamente allo scavo e ritombamento, oltre a versare il contributo loro richiesto, ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12], fasc. Ampliamento rete case Zanon.
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Relazione al Progetto di 7 derivazioni dalla rete dell’acquedotto consorziale a favore di case rurali, 30 giugno 1956, ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12]. Delibera del consiglio comunale di Cividale, seduta straordinaria pubblica dell’8 ottobre 1956, ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12]. Comunicazione del Consorzio al Sindaco di Cividale del 27 marzo 1959, ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12]. Progetto del 30 agosto 1959, ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12]. Consiglio comunale di Cividale del Friuli del 22 ottobre 1959, estratto della deliberazione in ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12], fasc. Nuovi acquedotti rurali in Comune di Cividale. Il contributo dello Stato era concesso nella misura del 75%, con decreto del 16 maggio 1960. Relazione al Progetto di derivazione idrica dalla rete dell’acquedotto Poiana per il rifornimento di case rurali esistenti lungo la strada per Castelmonte, in Comune di Cividale con impianto di sollevamento meccanico, 10 settembre 1957, ACAP, cart. Acquedotti rurali via Castelmonte [Rurali 7]. Con deliberazione del Consiglio comunale di Cividale del 9 maggio 1958 veniva approvata l’esecuzione dell’opera; trattandosi di sollevamento meccanico, l’esercizio dello stesso doveva essere assunto dagli utenti interessati. L’Ispettorato Agrario Compartimentale per le Venezie riconosceva l’opera ammissibile al sussidio con decreto n. 234 del 31 maggio 1960, fissando la ruralità pari all’80,95%. Seduta del 10 febbraio 1962 della Commissione amministratrice del Consorzio Poiana, estratto in ACAP, cart. Acquedotti rurali via Castelmonte [Rurali 7]. Un primo progetto per il potenziamento dell’acquedotto di Cialla con l’immissione di una nuova sorgente era elaborato dal Consorzio il 25 gennaio 1963. Prevedeva la costruzione dell’edifico di presa per la sorgente Marsnich e una conduttura adduttrice di 1710 metri; l’acqua della nuova sorgente sarebbe stata potabilizzata con lo stesso cloratore già applicato sul serbatoio di Mezzomonte, usato per la presa esistente di Grudina, ACAP, cart. 1968 Cialla. Seduta del 14 dicembre 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1234. Progetto preliminare e Progetto definitivo dei lavori di ristrutturazione condotte di distribuzione idrica lungo via Castelmonte in Comune di Cividale del Friuli e Ronchi di Ipplis in Comune di Premariacco, 23 luglio 1996, ACAP, cart. 1996. Rocca Bernarda. Ronchi di Ipplis. Via Castelmonte. Il progetto preliminare del 23 luglio 1996 era approvato nella Seduta assembleare del 29 luglio 1996, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1996, punto 17. L’opera, del costo complessivo preventivato in 360 milioni di lire, era finanziata direttamente dal Consorzio con fondi propri. Le cinque derivazioni erano le seguenti: 1 dalla SS 356 a casa Monutti, 2 Rubignacco, dal termine dell’esistente rete a casa Angelini Gildo, Specogna Duilio e Mesaglio Attilio, 3 Borgo Corfù dalla SS 356 a casa Degano Giglia, Degano Giuseppe e Scudetto GioBatta [via Montuzza], 4 Planez, dal bivio Romanutti a casa Bergamasco e Zorutti, 5 Serbatoio di accumulo Fortino a casa Pasqualini, ACAP, cart. Cividale del Friuli [2] da “Derivazioni case sparse 1964” a “Ampliamento case popolari Gruppignano 1971”, fasc. Derivazioni case sparse 1964. Nella seduta del 4 febbraio 1967 si deliberava di dar corso ai lavori, anticipando la relativa spesa, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, punto 1164. Seduta del 30 aprile 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1259. Lettera alla Direzione del Consorzio del 22 maggio 1958, ACAP, cart. Impianto interno Convitto P. Diacono. Corrispondenza varia con i Comuni (...), fasc. Varie. Seduta del 13 dicembre 1958, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea 1948-1958, n. 704. Della relativa spesa di 910.000 lire, solo il 25% (228.000) era a carico del Consorzio, in quanto tale progetto faceva parte del lavoro delle 7 derivazioni rurali del Comune di Cividale, già ammesso al contributo dello Stato del 75%. Seduta del 3 aprile 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1322, ivi 17 ottobre 1969, n. 1369; la spesa finale ammontava a 9.321.384 lire.
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Seduta del 29 luglio 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2696. L’operazione era condotta nei modi indicati nella relazione 2 luglio 1985 dell’Ufficio Tecnico Consorziale e completata nel contesto della sistemazione della strada turistica Spessa-Strada Provinciale Prepotto. Lettera sottoscritta dai dieci proprietari delle 11 case coloniche, 15 dicembre 1930, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9]. Relazione al Progetto di acquedotto Rurale per la località ‘Gramogliano’ in Comune di San Giovanni al Natisone, 26 febbraio 1931, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotto rurale di Gramogliano. Seduta del 27 giugno 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 40. Era deliberato di respingere la domanda dei proprietari interessati, presentata al Consorzio il 31 maggio 1964, per far assumere al Consorzio l’onere dell’esercizio del costruendo sollevamento, progettato per conto del Comune di Corno di Rosazzo nell’anno 1960, perché ciò avrebbe derogato alle norme regolamentari, Seduta del 23 maggio 1964, ACAP, Registro deliberazioni Commissioni amministratrice dal 1° gennaio 1964 al 15 aprile 1967, p. 21. Dati citati nella seduta del 6 settembre e del 9 dicembre 1966, ACAP, delibere Commissione Amministratrice dal 1° gennaio 1964 al 15 aprile 1967, n. 1128 e 1143. Seduta del 21 maggio 1966, ACAP, delibere Commissione Amministratrice dal 1° gennaio 1964 al 15 aprile 1967, n. 1118. Progetto per il rifornimento idrico di n. 4 case rurali sparse in zona di Noax con sollevamento meccanico, 5 febbraio 1967, ACAP, cart. Sollevamento Noax Piccolo 1970. Seduta del 25 gennaio 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice1967-1969, n. 1298. Seduta dell’1 marzo 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2506. Il progetto originario era del 15 giugno 1978, ma il contratto dei lavori era stipulato solo due anni dopo, il 17 giugno 1980. Il tempo trascorso tra la data del preventivo e l’epoca di esecuzione comportava un aumento di spesa dell’opera, dovuto al notevole aumento dei costi verificatosi in tale periodo, ACAP, Cart. CornoRomagno. Ampliamento rete idrica Casali Pozzo, Bosco Romagno, Comune di Corno di R., fasc. Lavori di ampliamento acquedotto rurale in località S. Biagio, Bosco Romano, Legge 31/8/1965 n. 18, art. 1. ACAP, Cart. Corno-Romagno. Ampliamento rete idrica Casali Pozzo, Bosco Romagno, Comune di Corno di R., fasc. Lavori di ampliamento acquedotto rurale in località S. Biagio, Bosco Romano, legge 31/8/1965 n. 18, art. 1. Comunicazione del Presidente del Consorzio al Podestà del Comune di Manzano, 5 agosto (erroneamente indicato come luglio) 1931, ACAP, cart. Acquedotti rurali [1], fasc. Acquedotto Rurale Villa de Marchi (Manzano). Seduta del 26 gennaio 1938, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1 a. Documenti del 22 maggio e 14 giugno 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Manzano. Seduta del 30 luglio 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937. Tale desiderio del prelato era fatto conoscere al Consorzio dal Podestà di Manzano, con una comunicazione del 23 agosto 1934, in ACAP, cart. Acquedotti Rurali 1, fasc. Progetto di acquedotto rurale per “Abbazia di Rosazzo” con derivazione dalla rete dello acquedotto Poiana mediante sollevamento. L’Abbazia di Rosazzo terminava di esistere come ente ecclesiastico in seguito alla soppressione del patriarcato di Aquileia, nel 1751, e da allora suo possessore assoluto rimaneva l’arcivescovo di Udine, che aveva il titolo di Abate commendatario e Marchese di Rosazzo, PERUZZI 1984, p. 165. Progetto di acquedotto rurale per abbazia di Rosazzo con derivazione dalla rete del Poiana mediante sollevamento meccanico, 30 settembre 1934, ACAP, cart. Acquedotti Rurali [1], fasc. Progetto di acquedotto rurale per “Abbazia di Rosazzo” con derivazione dalla rete dello acquedotto Poiana mediante sollevamento. Sedute del 30 agosto 1939 e 22 gennaio 1940, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. Relazione finale della direzione dei lavori, 3 novembre 1911, ACAP, cart. Acquedotti Rurali 1, fasc. Progetto di acquedotto rurale per “Abbazia di Rosazzo” con derivazione dalla rete dello acquedotto Poiana mediante sollevamento.
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Deliberazione del Podestà di Manzano del 10 novembre 1911, ACAP, cart. Acquedotti Rurali 1, fasc. Progetto di acquedotto rurale per “Abbazia di Rosazzo” con derivazione dalla rete dello acquedotto Poiana mediante sollevamento. Il Regolamento consorziale allora in vigore prevedeva, come minimi in abbonamento, 3 hl giornalieri per famiglie con un numero di presenze di persone e quadrupedi fino a 8, 5 hl per 12 presenze, 7 hl per 7 presenze, 10 hl per 22 presenze, ecc. Dalla ripartizione delle spese sostenute per gli scavi eseguiti a spese degli utenti, apprendiamo che nel 1939, oltre al palazzo arcivescovile (abbazia), le unità famigliari beneficiate erano le seguenti: Gasparutti, De Sandrinelli, dott. Anzil (ex Gervasi), Zucchia, Locatelli, conte Orgnani. La visita di collaudo aveva luogo il 13 aprile 1940, il relativo certificato era esteso il 26 aprile seguente dall’ing. Aldo Cremese del Genio Civile di Udine, che determinava in 36.653 lire l’importo dei lavori eseguiti e delle espropriazioni; l’ammontare del contributo dello Stato era di 26.550 lire. Progetto del 27 ottobre 1978, dell’importo preventivato di 60 milioni di lire, ACAP, documentazione sciolta. Relazione sul conto finale e certificato di regolare esecuzione, 3 giugno 1982, ACAP, documentazione sciolta. Richiesta del Sindaco di Manzano al Consorzio del 6 marzo 1953, ACAP, cart. Acquedotti rurali Ronchi di Manzano [5]. Seduta del 20 aprile 1960, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, punto 5. Seduta del 28 febbraio 1986, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1986, n. 2755. Le elettropompe sommerse vengono impiegate per il sollevamento d’acqua da pozzi nei quali il livello del liquido si trova a una quota tale, sotto il suolo, che le normali pompe centrifughe non sono più in grado di aspirare. Progetto di ampliamento rete dell’acquedotto Poiana nella zona collinare di ‘Ronchi di Rosazzo’, 15 marzo 1959, ACAP, cart. Acquedotti rurali Ronchi di Rosazzo [3]. Nel 1957 le mercedi per un’ora di lavoro, fissate dal Genio Civile e comprensive di retribuzioni e oneri di gestione, spese generali e utile, erano le seguenti: operaio specializzato £ 501, operaio qualificato £ 456, manovale specializzato £ 424, manovale comune £ 401, garzone da 18-20 anni £ 380. Il nolo di un motocarro per quintale/chilometro costava £ 2, di un autocarro £ 3. La spesa preventivata nel 1957 era di 24.100.000 lire. Seduta del 20 aprile 1960, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, punto 5. A giudicare dagli alimenti serviti nel rinfresco, la partecipazione alla cerimonia inaugurale dev’essere stata veramente massiccia, avendo gli intervenuti bevuto 720 litri di vino – la metà era offerta dagli abitanti – e consumato 32 Kg di formaggio, 34 Kg di salame, 3120 uova, un quintale di pane, prosciutto, ossocollo, insalata russa, mandorle salate e bibite varie. Il Comune di Manzano chiedeva la compartecipazione delle elevate spese di rinfresco al Consorzio Poiana e di ciò la Giunta provava sorpresa e una punta di rammarico, come espresso in una comunicazione al Sindaco del 22 maggio 1961, ACAP, cart. Acquedotti rurali Ronchi di Rosazzo [3]. Il 1° luglio 1963 il Sindaco di Manzano esprimeva al Presidente del Consorzio il compiacimento degli abitanti che usufruivano del rifornimento d’acqua e comunicava che il Consiglio comunale aveva deciso di assumere a carico dell’Amministrazione comunale la spesa per l’energia elettrica della motopompa. Seduta del 18 luglio 1964, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, p. 36. Nel progetto del 25 ottobre 1939 era indica con il n° 18, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali 20 derivazioni. Nel progetto del 25 ottobre 1939 era indicata con il n° 19, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali 20 derivazioni. Nel progetto del 25 ottobre 1939 erano indicate con i n° 14 e 15, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali 20 derivazioni. La lettera dei capifamiglia non è datata, il certificato dell’ufficiale sanitario di Buttrio è del 29 aprile 1921, quello di Premariacco del 9 aprile 1921, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali Lonzano e Lippe. Nei Casali Pitassi, come ho personalmente verificato, è ancora chiaramente individuabile la posizione del pozzo, adesso però privo della vera. Relazione al Progetto di derivazione d’acqua dall’acquedotto Poiana da Orsaria per i Casali Pitassi, Zucco, Lonzano, Castagneto, Giacomelli e Flebus, redatta dall’ing. Giovanni Carbonaro di Cividale, 15 settembre 1921, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali Lonzano e Lippe.
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Deliberazione del Podestà di Buttrio del 18 marzo 1930, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali Lonzano e Lippe. Conto finale delle spese sostenute per costruzione di acquedotti rurali di Lippe Lonzano (...), 31 maggio 1933, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali Lonzano e Lippe. Il certificato di collaudo è del 31 marzo 1934. Una richiesta, sottoscritta da 26 agricoltori, giungeva sul tavolo del Podestà di Premariacco il 9 maggio 1933. In essa i rurali sottolinevano come “quando più è intenso il lavoro agricolo e ogni perdita di tempo è dannosa, si vedono costretti a portare i loro armenti fino sul profondo e distante letto del Natisone ovvero al Capoluogo per l’abbeverata”, ACAP, cart. Acquedotti Rurali [1], fasc. Progetto di due derivazioni d’acqua dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore delle case rurali di: 1° Case Pasc, 2° Casali Firmano in Comune di Premariacco. Dati inseriti nella domanda di collaudo finale, inviata al Ministero. Il collaudo finale è datato 14 luglio 1934, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4]), fasc. Progetto di due derivazioni d’acqua dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore delle case rurali di: 1° Case Pasc, 2° Casali Firmano in Comune di Premariacco. Relazione al Progetto per tre derivazioni d’acqua dalla rete dell’acquedotto Poiana per usi rurali nella località Rocca Bernarda in Comune di Premariacco, 1 giugno 1930, ACAP, cart. Acquedotti Rurali [4]. Comunicazione del 9 luglio 1930 dal Consorzio all’ing. Lorenzo de Toni, che due giorni prima aveva richiesto chiarimenti sulla situazione, avendo ricevuto nel suo studio di Udine la visita della signora Perusini, secondo la quale non era il caso di spendere una cifra così elevata per le derivazioni, bastando un paio di fontanelle, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4]. Il progetto era discusso nella seduta del 9 gennaio 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, punto 1a, p. 104. Progetto di n. 8 derivazioni d’acqua dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore delle case rurali della zona collinare ‘Rocca Bernarda’ ed adiacenze, 16 agosto 1946, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4]. Tale progetto risulta il medesimo di quello elaborato il 12 ottobre 1933, con il solo aggiornamento dei prezzi. Stralcio per la costruzione delle derivazioni n. 3-5-7, 29 marzo 1948, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4]. Dalla derivazione 5 si escludevano le derivazioni private per casa Muner (proprietà Orlando) e la casa del colono Tavagnacco (proprietà Loschi) perché sarebbero state costruite direttamente dai proprietari. Nella derivazione 7 si modificava il tracciato, costruendo un’unica conduttura lungo la strada per casa Torossi: deviando a destra passava presso le case Moret e Dondo, giungendo attraverso la proprietà Perusini a case Ferro, nelle cui adiacenze sorgeva il serbatoio, prima previsto a case Corgnali; Comunicazione del Presidente del Consorzio al Sindaco di Premariacco, 10 agosto 1951, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4]. La derivazione n. 3 era eseguita con lavori svolti dal 23 aprile al 18 giugno, dal 21 giugno al 4 luglio e da 5 al 15 dicembre 1951. La prima parte della conduttura n. 5 era completata il 15 dicembre 1951, spendendo 470 lire al metro anziché le 450 preventivate, per l’imprevista presenza di acqua negli scavi che richiedeva continui prosciugamenti. Nel giugno 1952 Luigi Cossio concedeva l’occupazione permanente di 52 mq di sua proprietà per la costruzione del serbatoio e della fontana pubblica. Nella concessione era previsto: “L’erba che crescerà sul terreno di copertura del serbatoio rimane di proprietà del sottoscritto”. Conto finale delle spese sostenute per i lavori relativi ai progetti del 2° stralcio 10 agosto 1951 per il completamento delle derivazioni 5 e 7 del progetto generale 16 agosto 1946, comunicato dal Consorzio al Comune di Premariacco il 31 dicembre 1952, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4], fasc. Derivazioni acquedotto zona collinare di Rocca Bernarda. Completamento derivazioni 5 e 7. ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4], fasc. Derivazione zona collinare di Ipplis, 3° stralcio, Derivazione per casa Nussi. Il 10 giugno 1960 il direttore del Consorzio Poiana comunicava al Sindaco di Premariacco che Gianpaolo Perusini aveva incaricato l’ufficio tecnico di allestire un progetto per due derivazioni, relative alle case Cambiago e Tunella, di sua proprietà.
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Relazione tecnico-illustrativa del Progetto di potenziamento della derivazione a favore delle case sparse in Ronchi di Rocca Bernarda e dell’azienda agricola di Rocca Bernarda, 5 febbraio 1971, ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4], fasc. “Preventivo di massima per potenziamento della derivazione per il rifornimento idrico della zona di Rocca Bernarda”. 83 Seduta del 26 aprile 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1899. Nel 1979 era deliberato l’acquisto dei tubi a trattativa privata, Seduta del 4 ottobre 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2114. 84 Progetto di riatto della derivazione per l’alimentazione del sollevamento di Rocca Bernarda in Comune di Premariacco, 23 ottobre 1978, ACAP, cart. Premariacco. Rocca Bernarda 1980. Il progetto era approvato dalla Regione con decreto LL. PP. del 7 maggio 1979. 85 Seduta del 29 febbraio 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2593. 86 Seduta del 29 luglio 1996, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1996, punto 17. 87 ACAP, cart. Otto derivazioni rurali Premariacco, Acquedotti Rurali [4], fasc. Progetto di due derivazioni idriche dalla rete dell’acquedotto Poiana a favore di tre case rurali nella zona collinare di Rocca Bernarda nel Comune di Premariacco. 1) Case Cambiago 1° e 2°; 2) Casa Tunella. 88 Seduta del 19 ottobre 1963, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, n. 932. 89 Richiesta del Sindaco di Premariacco al Consorzio di aggiornare il progetto di condutture alle case sparse e di allestire la relativa istruttoria della domanda di contributo, 2 ottobre 1965, ACAP, cart. Premariacco, Acquedotti Rurali [6]. 90 Relazione al Progetto di costruzione di n. 4 derivazioni per il rifornimento idrico di n. 6 case rurali nel territorio del Comune di Premariacco, 10 novembre 1965 a firma Giuseppe Rossi, ACAP, cart. Premariacco, Acquedotti Rurali [6]. Il progetto era approvato dall’Assessorato all’Agricoltura, Foreste ed Economia Montana con decreto 3664 del 1 agosto 1966. Nella seduta del 4 febbraio 1967 si deliberava di dar corso ai lavori, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1164. Nella versione precedente del progetto, la spesa indicata era di 4.500.000 lire. 191 Seduta del luglio 1968 ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n.1271. La liquidazione finale ammontava a 6.589.634 lire. 192 Progetto preliminare e Progetto definitivo dei lavori di ristrutturazione condotte di distribuzione idrica lungo via Castelmonte in Comune di Cividale del Friuli e Ronchi di Ipplis in Comune di Premariacco, 23 luglio 1996, ACAP, cart. 1996. Rocca Bernarda. Ronchi di Ipplis. Via Castelmonte. 193 Seduta del 21 giugno 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 18. 194 Seduta del 30 luglio 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, p. 69. 195 Conto finale delle spese sostenute per costruzione di acquedotti rurali di Lippe Lonzano e di diramazioni rurali in Comune di Remanzacco, 31 maggio 1933, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali Lonzano e Lippe. 196 Seduta del 15 dicembre 1962, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965. 197 Relazione al Progetto di acquedotto rurale per i Ronchi di Dolegnano con derivazione dalla rete dell’acquedotto consorziale del Poiana, 30 ottobre 1931, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali di Gramogliano e Ronchi di Dolegnano. 198 Il 7 giugno 1933 era ordinata una elettropompa centrifuga multipla con 4 giranti in bronzo tipo PN25/4 alla ditta Marelli di Milano, agenzia di Udine, del costo di 1.380 lire. Il pezzo era spedito da Padova l’8 settembre seguente; ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali di Gramogliano e Ronchi di Dolegnano. 199 ACAP, cart. Trivignano da “Nuove utenze 1954” a “Lottizz. Zona Industriale 1996”, fasc. Casali Comugne 1962. 100 Nel progetto del 25 ottobre 1939 era indica con il n° 18, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali 20 derivazioni. 101 TELLINI 1898, pp. 148-150.
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Seduta del 23 ottobre 1928, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. 103 Seduta del 21 giugno 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937. 104 I lavori erano deliberati nella seduta del 20 aprile 1962 della Commissione amministratrice del Consorzio, pur essendo tale località in territorio extra consorziale, in quanto Prepotto aveva a sua volta concesso la derivazione dal suo acquedotto per le case lungo via Castelmonte; a norma dell’art. 66 del Regolamento, la richiesta di derivazione doveva essere preventivamente sottoposta alla competente Commissione amministratrice, per la voluta autorizzazione. Il primo progetto per l’opera, datato 10 novembre 1960, era aggiornato il 29 novembre 1962. I relativi lavori erano consegnati il 26 settembre 1964 e venivano ultimati il 12 dicembre seguente, ACAP, cart. 1° Potenziamento acquedotto zona del Fortino Cividale 2° Derivazione idrica a favore di case rurali sparse in località Polonetto (Prepotto) 3° Costruzione acquedotto della frazione di Tamorig in Comune di Torreano, fasc. Case rurali sparse in località Polonetto in Comune di Prepotto. 105 TELLINI 1898, pp. 70-72. 106 Sedute del 4 gennaio e 30 agosto 1939, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. 107 Sedute del 23 novembre 1940, 22 febbraio e 31 ottobre 1941, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. 108 Seduta del 9 novembre 1946, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1 b. 109 Seduta del 28 dicembre 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, delib. 686. 110 Nel progetto del 25 ottobre 1939 la derivazione per Prabonissimo era indicata con il n° 20, ACAP, cart. Acquedotti rurali [9], fasc. Acquedotti rurali 20 derivazioni. 111 Il preventivo di 970.000 lire per la derivazione idrica a favore di Torreano per Prabonissimo, a favore di due famiglie con una ventina di persone, dello sviluppo di 720 metri è del 28 agosto 1957, ACAP, cart. Acquedotti Rurali. Cividale n. 7 derivazioni 1958/60 [Rurali 12] . 112 TELLINI 1898, p. 199. 113 Progetto di riatto per la borgata di Tamorig, 20 novembre 1962, ACAP, cart. 1° Potenziamento acquedotto zona del Fortino Cividale 2° Derivazione idrica a favore di case rurali sparse in località Polonetto (Prepotto) 3° Costruzione acquedotto della frazione di Tamorig in Comune di Torreano, fasc. Progetto di costruzione dell’acquedotto della frazione di Tamorig [Tamoris]. 114 Progetto acquedotto per la borgata di Tamorig, 9 giugno 1964, ACAP, cart. 1° Potenziamento acquedotto zona del Fortino Cividale 2° Derivazione idrica a favore di case rurali sparse in località Polonetto (Prepotto) 3° Costruzione acquedotto della frazione di Tamorig in Comune di Torreano, fasc. Progetto di costruzione dell’acquedotto della frazione di Tamorig [Tamoris]. 115 Seduta del 4 marzo 1965, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1053. Il lavoro costava 1.926.516 lire. 116 Seduta del 21 ottobre 1952, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 4. 117 Seduta del 6 settembre 1956, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958. Il decreto di costituzione era pubblicato sul F. A.L. n. 86 del 1° giugno 1956. 118 Seduta del 12 luglio 1991, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19891991, comunicazione delibera Commissione amministratrice n. 3392 del 16 aprile 1991. 119 La Commissione amministratrice accoglieva la richiesta del Comune di Savogna nella seduta del 26 agosto 1993, n. 3794. 120 La delibera formale di adesione al Consorzio del Comune di Torreano avveniva nel 1994; seduta del 29 luglio 1994, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1992-1995. 121 Considerazioni sulla situazione acquedottistica nelle Valli del Natisone sono espresse in Quel costante 1997, p. 57 e PECILE 1994, pp. 68-69. 122 Per eliminare la torbidità presente nell’acqua grezza della sorgente Brocchiana, nel 2006 si installava un impianto di filtratura a sabbia presso il manufatto interruttore Tiglio; Seduta del 6 giugno 2006, ACAP, Registro Verbali Consiglio di Amministrazione dal 2003, punto 39.
XV CAPITOLO QUINDICESIMO
LE FONTANE E LE TARIFFE
ADDIO FONTANE PUBBLICHE In base allo statuto consorziale, le eccedenze risultanti dagli incassi erano ripartite tra i Comuni, ma limitatamente alla quota corrispondente alla competenza assegnata per la concessione ai privati, dopo detratte le fontane pubbliche e le utenze comunali gratuite. Ne conseguiva che ogni Comune partecipava in misura minore al riparto, quante più fontane pubbliche aveva aperto. In tal modo vi era lo stimolo a ridurre le concessioni di erogazioni pubbliche, per avere una maggiore disponibilità d’acqua da destinare a utenze private, con le quali partecipare alla ripartizione degli utili. Sappiamo che nel 1936 la colonna di ghisa per fontane pubbliche, con bulloni di ancoraggio, del peso di 120 kg costava 120 lire, ovvero 1 lira al chilogrammo, ma la spesa per tali manufatti non era solo quella relativa al materiale. Infatti, per ogni Comune nel costo di una fontana si doveva calcolare pure la minore compartecipazione agli incassi, nel 1947 il mancato incasso per ogni fontana era pari al suo consumo annuo di 62.780 hl, che moltiplicato per l’aliquota di riparto di 0,5033 dava una somma di circa 33.400 lire; si prevedeva che per il 1949, aumentando i proventi per la maggiorazione dei prezzi o per l’incremento dei consumi, il costo si sarebbe aggirato sulle 45.000 lire, escluso il costo di manutenzione, anch’esso gravante sui singoli Comuni, di circa 10.000 lire annue.1 Dagli anni Cinquanta si assiste alla progressiva dismissione dei punti di erogazione pubblica, sia per il continuo aumento delle utenze private, sia per ridurre le erogazioni inutili e fronteggiare le potenziali deficienze dei mesi estivi, sempre più frequenti per il crescente numero degli utilizzatori. Inoltre, dato che ogni proprietario rimaneva responsabile della buona Prospetto della colonna di fontana pubblica, progetto del 23 novembre 1911 dell’ing. Ugo Granzotto. Ne verranno collocati oltre duecento esemplari dai quali, nei primi tempi di funzionamento, la maggioranza della popolazione dei dodici Comuni consorziati traeva l’acqua potabile. In seguito si diffondevano le utenze private.
conservazione delle singole fontane, ciò comportava meno spese di manutenzione per ogni Comune. Guardando alle rilevazioni sul numero delle fontane effettuate a cadenza periodica e riassunte qui di seguito, è evidente l’evoluzione in tal senso: 1950 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 1953 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 1956 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 100 1957 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98 1958 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 1960 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 1961 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 1962 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 1963 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40 1964 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38 1966 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35 1968 fontane pubbliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
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LE FONTANE E LE TARIFFE
Fontane pubbliche attive nei Comuni consorziati dell’acquedotto Poiana, anteriormente al 1950 BUTTRIO Buttrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Vicinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Camino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Caminetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 6 CIVIDALE Borgo S. Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Piazza S. Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Borgo di Ponte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Foro Boario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Borgo Brossana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Piazza P. Diacono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Piazza XX settembre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Casali S. Lazzaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Casali S. Chiara. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Borgo Viola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Rualis ” Borgo Tomba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” S. Pantaleone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Borgo Corfù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Gagliano Borgo Doria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Darnazzacco Casa Domenis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Spessa Casali Spessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Marioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Fornalis Casali Romanutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Barbiani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Sandrini. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Iurettig . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Casali al Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Carraria Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Druga. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Madriolo Purgessimo Borgo Causero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Borgo Roncuz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Ponte S. Quirino Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Soravilla Sanguarzo Osteria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Vasca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Borgo Viola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Pelosa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Guspergo Centro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Boscutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Zuccola Rubignacco Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Istituto Orfani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Borgo Braidotti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Baracche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Scarbolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Gruppignano Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 44
CORNO DI ROSAZZO Corno di Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Corno di R. Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Casali al Gallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Visinale del Judrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 S. Andrat del Judrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Noax . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Gramogliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 8 MANZANO Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Soleschiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 S. Lorenzo di Soleschiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Case di Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Manzinello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Oleis. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Abbazia di Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Villa de Marchi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 9 MOIMACCO Capoluogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Bottenicco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 3 PAVIA DI UDINE Pavia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Lauzacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Lumignacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Risano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Chiasottis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Perserano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Percoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 7 PRADAMANO Capoluogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Lovaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 4 PREMARIACCO Orsaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Firmano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 Ipplis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Leproso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Azzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Paderno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 13 REMANZACCO Capoluogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Orzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Ziracco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Selvis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Cerneglons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Casali Cainero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Casali Malina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 9 S. GIOVANNI AL NATISONE S. Giovanni al Natisone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
LE FONTANE E LE TARIFFE
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Medeuzza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Bolzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Villanova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Dolegnano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 totale 6 TRIVIGNANO UDINESE Trivignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Clauiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Melarolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Merlana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 5 Totale fontane pubbliche in tutto il territorio consorziale (ante 1950) . . . . . . 114 Fontane pubbliche attive nei Comuni consorziati dell’acquedotto Poiana, al 1º gennaio 1968 CIVIDALE Piazza P. Diacono (in giardino pubblico 2 zampilli) . . . . . . . 1 Rualis Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Viale Trieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Spessa Casali Marioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Carraria Via Castelmonte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Purgessimo Via Castello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Sanguarzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Rubignacco Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 ” Casali Scarbolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 9 CORNO DI ROSAZZO Visinale del Judrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 S. Andrat del Judrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Gramogliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 3 MOIMACCO Bottenicco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 1 PAVIA DI UDINE Pavia di Udine. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Lauzacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Lumignacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Risano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Perserano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Percoto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 6 PRADAMANO Capoluogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 totale 1 PREMARIACCO Orsaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (Ipplis 1 zampillo vasca vicino Ancona, applicato 15/1/1959)
totale 1 Totale fontane pubbliche in tutto il territorio consorziale (anno 1968) (più 3 zampilli pari a 1 fontana e ½)
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Base della fontana pubblica, con griglia metallica centrale, progetto del 23 novembre 1911 dell’ing. Ugo Granzotto. Schizzo di di colonne in ghisa per fontane pubbliche, presentato dalla fonderia Bertoli di Paderno d’Udine in accompagnamento alla sua offerta di fornitura al Consorzio Acquedotto Poiana, 20 giugno 1920.
Il revival delle fontane Man mano che si facevano nuove utenze, con la collaborazione dei Comuni si procedeva alla chiusura delle fontane pubbliche, che dopo essere state una presenza fondamentale e immancabile in ogni località abitata del territorio consorziale, scomparivano quasi totalmente dall’arredo urbano. Per diversi decenni raggiungevano un’estrema rarefazione, ma in tempi vicini a noi si è assistito a un prepotente revival delle fontane in ghisa. Molti Comuni volevano ricollocarle nelle stesse piazze e vie dove avevano avuto lunga e apprezzata dimora, ma non era possibile esaudire tali desideri in quanto i manufatti rimossi nel passato erano andati distrutti, eliminati, smarriti, ceduti. Aumentando le richieste in tal senso, nel 1989 si facevano rifondere le colonne, ricalcando fedelmente il modello originario.2 Da allora questi manufatti hanno fatto la loro elegante ricomparsa in diversi Comuni. Tabella con le competenze d’acqua, le fontane pubbliche e il numero delle utenze assegnate a ogni Comune consorziato, divulgata con una circolare del 7 novembre 1921. Il consumo delle fontane pubbliche era determinato tenendo conto che ognuna aveva una portata di 20 l/secondo. La differenza dava la disponibilità per le utenze private, per ogni litro d’acqua al secondo si potevano concedere 75 utenze private aventi un consumo giornaliero di 5 ettolitri. La fontana pubblica collocata a Grupignano di Cividale. Dal confronto con il progetto del 1911, si nota che i manufatti erano realizzati con fedeltà a quanto concepito dall’ing. Ugo Granzotto. Questo punto di attingimento sarà soppresso il 13 marzo 1959.
Dopo la pressoché totale scomparsa delle fontane, negli ultimi decenni si è assistito alla loro ricomparsa. Qui si vede il manufatto, fuso nel 1989 secondo le forme originarie e ricollocato in borgo San Pietro a Cividale.
LA NUOVA RIPARTIZIONE DI SPESE ED ENTRATE Il primo Regolamento del 1921 stabiliva che le spese consorziali fossero ripartite in base alle aliquote del progetto originario, redatto nel 1911. Esaminando in dettaglio la natura delle spese sostenute negli esercizi ordinari, ne risultava la proporzione di un quarto di esse destinate alla manutenzione della rete e tre quarti per la gestione utenze.3 Alla luce di questa constatazione, con la riforma statutaria del 1932 si introdusse l’innovazione dell’elemento ‘utenza’ nel riparto delle spese, secondo due modalità: 1º Spese relative alla costruzione dell’impianto ed eventuali innovazioni: con aliquote fissate per la costruzione, come dall’art. 2 dello Statuto. Con tali aliquote si ripartiscono le spese per il rinnovo dell’impianto e per gli interessi sul capitale anticipato dai Comuni nonché
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le spese per manutenzione straordinaria reti e miglioramenti impianti. 2º Spese relative all’esercizio e alla manutenzione dei contatori: con aliquote risultanti dall’applicazione della formula di cui all’art. 3 dello Statuto. In essa l’elemento principale è il numero delle utenze: ¼ di 3 volte l’aliquota in base al numero utenze + aliquota di progetto. Il riparto delle entrate per la concessione d’acqua, a norma dell’art. 5 del Regolamento invece si continuava a fare con l’accreditamento a ogni singolo Comune di tutti gli incassi fatti nel Comune stesso, limitatamente alla quota corrispondente alla disponibilità d’acqua della competenza assegnata per la concessione ai privati, dopo aver detratto il consumo delle fontane pubbliche e delle utenze comunali. Il riparto delle eventuali eccedenze si faceva tra tutti i Comuni. Con tali criteri, si verificava che i Comuni nel cui territorio gli incassi eccedevano i limiti risultanti dalla loro spettanza, dovevano ripartire con gli altri Comuni tali eccedenze, mentre sostenevano le spese sulla base anche del numero delle utenze, il cui reddito creava utili a favore degli altri Comuni. Al contrario, i Comuni che avevano incassi inferiori alle loro disponibilità perché avevano poche utenze, partecipavano al riparto delle eccedenze degli altri Comuni, ma avevano minori spese addebitate. Tale situazione, forse un po’ complicata da riassumere, creava delle evidenti sperequazioni, acuite per le sproporzionate maggiorazioni delle spese ripartite sulla base delle utenze rispetto alle entrate e per la diversità di aliquote di riparto tra spese di gestione e spese per ammortamenti e interessi passivi. Si reputava pertanto necessario provvedere alla modifica di tali riparti. Dato che la Commissione Amministratrice aveva attentamente esaminato la questione senza poter giungere a una soluzione equa e condivisa, nel 1949 si nominava una Commissione di studio,4 composta dal conte Raimondo de Puppi, dal rag. Carlo Dino Comugnero e dal direttore geom. Giuseppe Rossi. Dopo l’esame della situazione dal lato giuridico ed economico-contabile e l’individuazione delle possibili soluzioni in armonia con le disposizioni statutarie, nel febbraio 1950 la Commissione proponeva la soluzione ritenuta più rispondente alle ragioni e allo spirito della forma consorziale di gestione. Era ritenuto necessario sdoppiare in due gruppi le spese da ripartirsi: a) Spese riguardanti l’esercizio dell’impianto (reti consorziali), per manutenzione ordinaria e straordinaria delle reti e manufatti, interessi sul capitale anticipato dai Comuni, ammortamenti, miglioramenti impianti, quote spese generali e altre eventuali. Considerato però che l’esercizio delle reti serve anche all’esercizio delle utenze, si doveva attribuire annualmente una quota parte delle spese fissate per la gestione reti alle gestione utenze, decurtando così le prime di tale quota. b) Spese riguardanti le utenze, risultanti per differenza tra le spese totali e quelle relative alle reti consorziali.
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Le entrate per concessione d’acqua sarebbero state ripartite tra i Comuni in ragione della quantità annuale che gli stessi avevano a disposizione per la vendita, dopo aver detratto dalla propria competenza i consumi delle fontane pubbliche (calcolando una portata di 0,20 litri al secondo) e quelli delle utenze comunali rilevati dai misuratori, oltre a una percentuale generale per perdite e sfioro dal serbatoio. I proventi dovevano ripartirsi in proporzione all’acqua rimasta a disposizione, in tal modo quelli che consumavano più acqua con fontane o utenze comunali avrebbero partecipato al riparto in misura minore, cioè avrebbero pagato indirettamente quanto consumato. Le entrate per concessione d’acqua fuori dal territorio consorziale e tutte le altre (noleggi contatori, lavori per impianti, diritti, ecc.) erano ripartite con le medesime proporzioni delle entrate per vendite acqua, ora riportate.5 Per le sensibili variazioni di consumi e di popolazione verificatesi in seguito, nella seduta del 24 novembre 1976 l’Assemblea consorziale deliberava di modificare l’articolo 12 dello Statuto, che contemplava la tabella delle competenze d’acqua e delle aliquote per la compartecipazione nelle spese d’impianto, con il seguente testo: Le aliquote di compartecipazione di ogni singolo Comune consorziato nelle spese di impianto, di ampliamento, di esercizio e ripartizione degli eventuali utili vengono calcolate annualmente sulla base delle popolazioni, nella proporzione del 40% e dei consumi rilevati nella proporzione del 60%. Ogni Comune dovrà comunicare al Consorzio entro il 31 gennaio di ogni anno il numero della popolazione residente dell’anno precedente e i consumi verranno rilevati dai ruoli delle fatture acqua a chiusura di ogni anno di esercizio.
TABELLA DELLE COMPETENZE E DELLE ALIQUOTE PER COMPARTECIPAZIONE NELLE SPESE D’IMPIANTO (1930)6 litri* Cividale del Friuli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25,5 Buttrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,5 Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10,5 Moimacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5,5 Pavia di Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13,5 Pradamano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6,5 Premariacco. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5,5 Remanzacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9,5 S. Giovanni al Natisone . . . . . . . . . . . . . . . . 17,5 Trivignano Udinese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5,5 102,5
lire** 17,382 6,536 11,040 3,879 14,822 6,703 5,686 9,409 17,177 7,366 100
* Competenza in litri d’acqua. ** Aliquote di compartecipazione nelle spese di impianto progetto 1911, modificato per maggior assegnazione a Manzano. Per ogni 100 lire.
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LE TARIFFE DAGLI ANNI SESSANTA Nel 1965 il Comitato Prezzi ministeriale autorizzava l’aumento del prezzo dell’acqua 45 volte le tariffe del 1938 per gli acquedotti a gravità e 50 volte per quelli a sollevamento. Dato che l’acquedotto Poiana era diventato misto, cioè sia per gravità che per sollevamento, si domandava l’aumento di 47 volte.7 Il 10 giugno 1975 era ottenuto il visto tutorio per l’applicazione dei nuovi prezzi di vendita dell’acqua; dai primi consuntivi dei singoli Comuni si riscontrava il raddoppio del fatturato.8 Un ulteriore aumento era del 1977, quando il sistema si basava sull’applicazione di quattro sole tariffe: 1 tariffa agevolata per usi fondamentali . . £ 45/mc 2 tariffa base per quantitativi impegnati . . £ 80/mc 3 tariffa penalizzata per consumi in eccedenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . £ 120/mc 4 tariffa media per utenze temporanee . . £ 100/mc9 Dal 1982 la procedura della riscossione bolletta acqua poteva avvenire tramite banca o posta.10
A sinistra: tariffe delle forniture del Consorzio Acquedotto Poiana, in vigore dal secondo trimestre dell’anno 1978. In basso: tariffe per l’erogazione dell’acqua agli utenti dell’acquedotto Poiana, praticate per le bollette emesse dopo il 5 ottobre 1983.
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RESOCONTI ECONOMICI 1912-1963* Anno
Entrate (lire)
Uscite (lire)
1912 1913 1914 1915 1918 1919 1920 1921 1922 1923 1924 1925 1926 1928 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 1936 1937 1938 1939 1940 1941 1942 1943 1944 1945 1946 1947 1948 1949 1950 1951 1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 1960 1961 1962 1963
44.343,93 118.068,94 1461.156, 88 691.699,64 15.734,16 329.486, 26 399.592,22 302.861, 34 965.604, 69 333.408, 92 2.183.453,20 678.463, 75 1.360.220, 80 2.019.923,30 1.030.548,30 1.112.326,40 1.071.165,35 1.239.654,65 914.055,15 963.847,40 818.124,50 881.753,00 1.236.070,88 1.807.055,49 1.703.190,70 1.651.414,15 1.970.591,80 2.071.631,30 1.880.084,70 1.767.743,18 3.675.086,93 10.034.589,33 18.478.203,23 24.678.308 31.848.828 34.619.579 51.647.153 57.433.924 72.552.456 58.623.301 106.294.780 45.040.216 54.735.045 ------53.907.279 53.354.716 69.495.913 82.471.178 90.633.672
43.759,3 82.816,92 1.440.488,71 691.776,40 15.463,93 322.357, 14 361.589,33 289918, 87 932.267,95 275.433,67 2.122. 093, 55 513.990, 10 1.259.615,35 1.727. 112,40 668.860,45 717.423 525.603,85 998.676,75 647.816,40 860.217,05 671.157,95 667.072,50 673.365,70 1.243.945,60 1.211.341,70 959.907,15 1.335.127,25 1.568.796,45 1.492.229,30 1.416.832,20 2.508.620,40 7.443.772,05 11.453.915,40 15.552.105 21.551.783 23.864.290 28.954.822 33.225.716 38.257.755 40.806.347 51.424.049 45.617.456 46.819.423 63.040.864 54.064.626 53.460.174 70.065.077 82.522.001 90.698.868
Avanzo (+) Disavanzo (–) + + + – + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + + – + – – – – –
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Nel 1984 l’adeguamento delle tariffe portava a questa situazione, per gli usi domestici: Fino a 108 mc/anno, tariffa agevolata . . . . £ 150/mc Da 108,01 a 162 mc/anno (tariffa base) . . £ 230/mc Oltre i 162 mc/anno (tariffa eccedente) . . £ 350/mc11 Dal confronto con gli altri acquedotti della provincia, il Poiana nel 1990 praticava le tariffe più basse. La legge 144/89 disponeva la riduzione tariffaria del 50% per le attività di allevamento animali, rendendo necessaria una integrazione normativa, l’applicazione di contatori separati o il concordare un quantitativo convenzionale. La tariffa agevolata era 170 lire/mc, quella base 370 lire/mc, consumi eccedenti 540 lire/mc.12 Le categorie tariffarie per il 1992, che consentivano la copertura dei costi nella misura superiore al 90% e non eccedente il 100% erano le seguenti: agevolata 200 lire/mc, base 400 lire/mc, eccedenza 600 lire/mc13 che per l’anno successivo aumentavano rispettivamente a 250, 500 e 700 lire/mc.14 Nel 1992 era deliberato di non applicare la ‘tassa zampilli ornamentali’, per l’antieconomicità della fatturazione. Un’ulteriore evoluzione, deliberata nel 1994: agevolata fino a 3 hl 300 lire/mc, tariffa base 600 lire/mc, eccedenza 800 lire/mc.15 Nel 1993 era deliberata la sospensione del servizio di normale riscossione delle bollette presso la sede consorziale. L’aumento massimo concesso per il 1996 era del 3,5%: tariffa agevolata per usi domestici da 300 a 310 lire/mc, base da 600 a 620 lire/mc, eccedenza da 800 a 830 lire/mc, agevolata per allevamento animali da 300 a 310 lire/mc.16 L’adeguamento alla fine del 1998 avveniva secondo i criteri indicati nella delibera CIPE del 18 dicembre 1997, dal 1º gennaio 1999: tariffa agevolata 327 lire/ mc, base 654 lire/mc, eccedente 873 lire/mc, allevamento 327 lire/mc.17 Secondo l’adeguamento del 2000: agevolata 332 lire/mc, base 664 lire/mc, eccedente 888 lire/mc, allevamento animali 332 lire/mc.18 Tariffe per il 2001: agevolata 337 lire/mc, base 674 lire/mc, eccedente 915 lire/mc, allevamento animali 337 lire/mc.19
*Dagli anni Venti i resoconti contabili/finanziari del Consorzio Acquedotto Poiana si fanno via via più dettagliati e complessi, comprendendo i residui attivi, quelli passivi, ecc. In questa tabella, per semplificazione, si è fatto riferimento solo alle operazioni di cassa, riportate nei verbali delle assemblee.
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Note
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CAPITOLO XV
Comunicazione del presidente consorziale al sindaco di Cividale, 24 marzo 1949, ASMunCiv, cart. 338 (vecchia numerazione) Cat. X Varie 1936-1949. Il 21 settembre 1989 si affidava alla ditta Deltafond la fusione di 20 colonne di ghisa per fontane pubbliche, il cui modello sarebbe poi rimasto di proprietà del Consorzio; Seduta del 28 giugno aprile 1990, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1989-1991, punto 15 Delibere della Commissione amministratrice n. 3110. Ad esempio nel 1928 le spese di manutenzione erano di 30.400 lire (mezzo stipendio direttore 7.800, mezzo stipendio scritturale 5.000, indennità caro viveri 1.000, indennità servizio 1.600, sorveglianza serbatoio 450, cancelleria 900, riscaldamento e illuminazione sede 550, manutenzione immobili 250, trasferte 1.500, Cassa Previdenza 1.350, manutenzione ordinaria conduttura principale rete 10.000), quelle per la gestione utenze 92.550 (mezzo stipendio direttore 7.800, mezzo stipendio scritturale 6.000, indennità caro viveri 2.000, indennità servizio 2.000, esattore utenze e lettore contatori 7.200, cancelleria compreso £ 2.000 di bolli 3.500, riscaldamento e illuminazione sede 550, telefono 400, manutenzione immobili 250, trasferte 1.500, Cassa Previdenza 1.350, manutenzione contatori 20.000, ammortamento contatori 40.000). Seduta del 17 marzo 1949, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 3. La Commissione di studio per i riparti presentava la sua relazione il 14 febbraio 1950, la soluzione proposta era deliberata nell’assemblea consorziale del 13 aprile 1950, sostituendo gli articoli 50 e 51 dello Statuto e Regolamento Speciale del Consorzio approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa di Udine il 20 novembre 1935; queste modifiche erano approvate dal Prefetto della Provincia di Udine il 29 maggio 1950; ACAP, cart. Trasformazione Azienda. Seduta 21 giugno 1930, ACAP, Registro Deliberazioni assemblea dal 21 dicembre 1929 al 31 luglio 1937. Seduta del 12 giugno 1965, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967.
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Seduta del 30 giugno 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1751. Nel secondo trimestre 1975 si registravano incassi di 72.300.000 lire, con un aumento rispetto al secondo trimestre 1974 di 31.000.000 di lire. Seduta del 6 settembre 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1927. Si calcolava che le spese per costo gestione erano di “£ 825, costi sollevamento £ 135, manutenzione impianti fissi e mobili £ 1053, con un totale di £ 2013; con le vecchie tariffe si incassava per acqua una bolletta trimestrale di £ 1093, per una utenza con consumo di 3 hl giornalieri. La perdita per utenza era pari a £ 920. Inoltre, il prezzo medio di un contatore, della durata media di 5 anni era di £ 13.500, tenendo conto che per il nolo del contatore erano addebitate £ 25 x mese x 5 anni = £ 1500”, determinando una perdita di 12.000 lire. Con le nuove tariffe si prevedeva un maggior ricavo per vendita d’acqua in ragione del 40%. Seduta del 29 luglio 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2451. Seduta del 4 novembre 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2725. Seduta del 28 giugno 1991, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991, n.14. Seduta del 18 dicembre 1991, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991, n. 27. Seduta del 18 dicembre 1992, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 13. Seduta del 7 marzo 1994, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 3. Seduta del 9 febbraio 1996, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1996. Seduta del 24 marzo 1999, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1999. Seduta del 22 giugno 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. II, punto 21. Seduta del 27 giugno 2002, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2002 (17-33).
XVI CAPITOLO SEDICESIMO
IL POTENZIAMENTO DELL’ACQUEDOTTO POIANA
LE ESIGENZE CRESCENTI Alla fine degli anni Cinquanta, mediante 80 fontane pubbliche, circa 7000 utenze private e 150 idranti antincendio, le condutture del Poiana servivano una popolazione di oltre 41.000 abitanti, 7.000 militari distribuiti in nove caserme, tre grandi collegi, un ospedale, una casa di cura e diversi impianti ferroviari (linea Udine-Cividale e stazioni di Buttrio, Manzano, San Giovanni al Natisone sulla linea Udine-Trieste) nonché, per la prevalente ruralità del territorio, circa 30.000 capi grossi e 10.000 capi piccoli di bestiame. Inoltre, nel secondo dopoguerra aveva avuto un fortissimo sviluppo la vasta zona industriale dislocata nei Comuni di Manzano, S. Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo e Buttrio. Dopo un quarantennio di attività, era inevitabile che l’acquedotto non riuscisse più a corrispondere pienamente alle esigenze, profondamente mutate, nel vasto territorio dei Comuni consorziati. Si lamentava, specie nei periodi estivi, uno stato di deficienza nel rifornimento idrico che andava sempre più accentuandosi con il progredire degli sviluppi edilizi ed industriali, con le maggiori utilizzazioni d’acqua conseguenti al progresso civile della popolazione e con le aumentate richieste idriche per servizi originariamente non previsti, come appunto truppe, ospedali, collegi, ferrovie, latterie, ecc. Inoltre si osservava che, a ogni modesta siccità, le sorgenti riducevano la portata in misura preoccupante – anche a 60 l/secondo rispetto ai 100 normali –, incidendo fortemente sul funzionamento del servizio. La distribuzione era soggetta a sensibili variazioni nei carichi piezometrici che talvolta, per molte ore al giorno e pure di notte, causavano in estese zone elevate ma anche di pianura, la riduzione o la cessazione dell’erogazione di acqua potabile, con grave disagio e pericoli igienici; non di rado si giungeva a dover servire le zone più disagiate con autocisterne. Tutta la portata continua dell’acquedotto era ancora distribuita a gravità, eccettuato un piccolo sollevamento
sussidiario in Comune di Corno di Rosazzo. L’invecchiamento degli impianti e della vasta rete di distribuzione, che dagli originari 206 chilometri aveva raggiunto i 310, nonostante l’assidua manutenzione e continua vigilanza, dava inevitabilmente luogo a maggiori perdite. L’Amministrazione consorziale, preoccupata dello stato di deficienza del fondamentale servizio pubblico, per lenire la situazione di disagio e soddisfare con larghezza alle crescenti necessità della popolazione – nel 1960 gli utenti privati erano 7.158 –, intendeva porvi rimedio, integrando la portata esistente. Tenendo conto delle previsioni di incrementi futuri della popolazione, delle esigenze per il bestiame e di altre strutture sociali e produttive, delle fughe nelle reti, si calcolava che il fabbisogno giornaliero totale sarebbe stato di 15.130 m cubi, soddisfabili con l’aggiunta di almeno altri 80 litri al secondo.1
PER VINCERE L’OSCURO SOTTOSUOLO Visto che la sorgente Poiana non consentiva ulteriori prelievi e che nella zona montana non si trovavano sorgenti di sufficiente portata, su parere del geologo prof. Feruglio si stabiliva di prelevare una quarantina di litri dal sottosuolo nella zona di Manzano, ritenuta ricca di acqua del subalveo del Natisone e topograficamente baricentrica nel territorio consorziale. Una volta sollevata nella vicina collina di Ronchi di Manzano, da qui l’acqua sarebbe poi stata immessa nella rete esistente. Per gli assaggi e le prove di portata nelle località indicate dal prof. Feruglio, nel 1957 si incaricava l’ing. Giovanni Musoni, esperto in materia per aver costruito tutti i pozzi del Consorzio Ledra-Tagliamento, di provvedere agli studi relativi.2 Le ricerche, difficili in quanto l’idrografia sotterranea di quel territorio era ancora quasi completamente sconosciuta, si intensificavano l’anno seguente. Cinque sonde si infiggevano nel “Prato degli Arditi” di Oleis,
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dando esito sfavorevole circa la potabilità e pure il paio infilato in località “Sdricca” di Manzano era una delusione, in quanto si incontrava la roccia a soli quattro metri; altre due erano sprofondate nella golena del fiume in prossimità di Orsaria, ma anche lì l’acqua non si faceva trovare. Con la speranza di individuare una falda più profonda e potabile, in località “Prato degli Arditi” di Oleis si eseguiva una ulteriore trivellazione, con sonda del diametro di 180 mm, fino alla profondità di 17,50 metri. Dagli esami del materiale ricavato si rilevava che l’andamento del terreno consisteva in 8 m di spessore di materiale ghiaioso filtrante, seguito da 9,50 m di materiale roccioso impermeabile; vista l’eccessiva consistenza dello strato roccioso ed escludendo la possibilità di una eventuale falda utile a maggiore profondità, si sospendeva il lavoro. Si orientavano le ricerche verso la pianura alluvionale fra il torrente Torre e il fiume Natisone a valle di Manzano, iniziando con l’infissione di una sonda esplorativa a ovest di Soleschiano, in prossimità del Torre. La sonda rilevava la roccia a 8 metri dal suolo ed era necessario continuare con una sonda più grossa, in grado di perforarla.
Vai col rabdomante Onde disporre di uno studio approfondito del terreno ci si rivolgeva all’Istituto Geofisico di Trieste per un rilievo geoelettrico del sottosuolo, ma l’alto costo – due milioni di lire era la spesa presunta – e i dati molto approssimativi che si sarebbero ottenuti con tali misurazioni consigliavano, in accordo con l’ingegnere incaricato delle ricerche, di rivolgersi piuttosto a un rabdomante, mons. Ettore Valoppi. Originario di Gradisca di Sedegliano, questo prete dedito alla rabdomanzia – famosissimo, attivo in quasi tutte le regioni italiane, in Africa e che anche per tali meriti fu elevato al rango di monsignore3 – indicava la presenza di diverse falde acquifere alla profondità di 30-35 m, poste a valle di Manzano. Si contattavano ditte specializzate per compiere dei sondaggi utili a verificare la fondatezza delle affermazioni del rabdomante e per controllare la potabilità dell’acqua. La ditta Benedetti di Palazzolo dello Stella si offriva di eseguire il pozzo con la formula del pagamento condizionato alla possibilità di estrarre dallo stesso i 40 l/secondo necessari. Nell’impossibilità di estrarli, il pozzo sarebbe stato liquidato al solo prezzo di assaggio (650.000 lire circa), altrimenti a 34.000 lire per ogni metro di profondità raggiunta.4 Si incaricava il Centro Italiano Ricerche Minerarie (CIRIM), che già si trovava in zona a praticare ricerche similari per conto di altri Comuni, di eseguire dei sondaggi elettromagnetici nei punti indicati dal sensitivo. Il procedimento, denominato ‘quadripolo di
Wenner’, era basato sulla constatazione che i vari aggregati geologici, nelle diverse conformazioni esistenti nel sottosuolo, presentano tra loro una differente conducibilità al passaggio della corrente elettrica, immessavi da una qualunque sorgente di energia. Mediante un’apparecchiatura si erogava corrente nel sottosuolo creando un campo elettrico artificiale, ottenendo dei segnali diversi a seconda dei materiali incontrati dalla corrente; se ne ricavava un diagramma paragonabile a una radiografia del sottosuolo, in funzione della profondità esplorata. Con tale metodo idro-rilevatore, la Società affermava che il suo ‘rabdomante elettronico’ era in grado di stabilire esattamente l’esistenza o meno dell’acqua e di valutarne i quantitativi captabili.5 Ne uscivano dei risultati opposti a quelli del rabdomante in carne e ossa, infatti mentre Valoppi prevedeva di trovare una falda abbondante alla profondità di 35 m, il CIRIM praticando il 24 gennaio 1959 due assaggi in località detta “il Terron” dichiarava che fino a 50 m praticamente non vi era acqua, in una terza prova pareva esserci una falda di 4-5 l/secondo di portata e per di più soggetta a un periodo di magra,6 mentre per il Progettino con sezione e pianta del pozzo da scavare in località San Nicolò, della Ditta F.lli Benedetti di Palazzolo dello Stella, 19 giugno 1958.
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potenziamento ne necessitavano almeno 40. Ritenendo che entrambi i metodi, l’empirico e l’elettromagnetico, non offrissero sufficiente attendibilità, si deliberava di interpellare la “Fondazione Lerici” del Politecnico di Milano, per condurre uno studio scientifico e, solo dopo aver conosciuto con precisione la situazione, prendere le opportune decisioni. Si sarebbe operato nella zona di Buttrio, Pradamano e Manzano-Manzinello, sostenendo la spesa presunta di un paio di milioni. Su consiglio di un tecnico della Lerici, ci si rivolgeva anche al geologo prof. Gortani per avere notizie sull’andamento geologico del sottosuolo ove stavano per iniziare i rilievi geoelettrici. Dopo aver ottenuto tale relazione geologica, si svolgevano le operazioni di ricerca, protratte per 15 giorni; la Fondazione inviava sul posto il dott. Alfano e il prof. Vecchia del Politecnico di Milano.7 Il primo punto indicato dalla Fondazione Lerici, per il possibile rinvenimento di una falda acquifera sufficiente alle necessità del Consorzio, era localizzato nella località Borgo Tinet, a Manzano. La Ditta Giacomo Benedetti di Palazzolo dello Stella il 30 giugno 1959 vi iniziava i lavori di trivellazione. Nello stesso anno il Consorzio si dotava di uno ‘scandagliometro a fischio’, per la misurazione di variazione delle falde sotterranee, acquistandolo dall’Officina Meccanica di Precisione di Stra, tramite l’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque di Venezia.8 L’esito dei sondaggi a Manzano era favorevole, sia per il reperimento d’acqua sia per la sua potabilità. Il 5 ottobre 1959 si passava dalla fase di ricerca a quella di costruzione del pozzo di emungimento.9 Dopo non poche difficoltà, dovute alla particolare stratificazione del terreno che aveva molti strati di conglomerato da frantumare a forza di scalpello e mine, si giungeva alla falda acquifera a quota -14.00 (si specifica, a chiarimento del lettore, che le quote vengono misurate in metri e si assume il piano di campagna a quota 0). I lavori però dovevano continuare ancora per scendere a quota -30.00 e avere così un sufficiente materasso di emungimento, onde poter captare in sicurezza i 40 litri necessari al potenziamento. Per l’impossibilità di continuare il pozzo con gli anelli di cemento armato del diametro di 2 m, su proposta dell’ing. Musoni, incaricato della direzione lavori, si concordava con l’impresa Benedetti di proseguire con la posa di un tubo di lamiera forata del diametro di 900 mm. I lavori si protraevano assai più del previsto, nel novembre 1960 si stava ancora dibattendo sulle scelte tecniche più opportune, non potendo approfondire ulteriormente il pozzo neanche con il tubo da 900 mm. Era previsto lo svolgimento delle prove di portata nel momento di massima magra. Dai rilievi eseguiti, l’altezza dell’acqua si manteneva nel corso del 1961
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Apparecchio per ricerche geofisiche, completo degli strumenti elettronici di misura nel sottosuolo, utilizzato dalla ditta CIRIM per ricercare un luogo adatto allo scavo di un pozzo nella zona di Manzano, anno 1958.
a una quota media di -16 m dal livello terra. Ai primi di agosto il livello cominciava ad abbassarsi, raggiungendo il giorno 22 la quota di -18,78. Prevedendo una continua discesa della falda e quindi la possibilità di raggiungere i 24 m, misura che avrebbe permesso di compiere la prova, dalla ditta Serafini di Milano si noleggiava la pompa necessaria. La precipitazione nella notte del 22 agosto influiva però immediatamente sulla falda da rilevare e, di conseguenza, si dovevano sospendere i preparativi. La magra del mese successivo faceva nuovamente abbassare la falda acquifera del pozzo di Boschetta di Manzano e si rilevava che la quota era a -28, ovvero a un margine di soli due metri rispetto alla profondità di 30 m del pozzo. Rilevata tale forte diminuzione e dedotta l’insufficienza della falda nei momenti di magra, la Commissione Amministratrice del Consorzio deliberava di approfondire il pozzo con un sondaggio esplorativo. Ne era incaricata la ditta specializzata Massarenti di Piacenza, che attaccava gli strati inferiori del pozzo fino a quota -82. Questi lavori davano risultati opposti alle previsioni della Fondazione Lerici del Politecnico di Milano, non si trovava nemmeno uno strato di ghiaia acquifera, anzi alla massima profondità c’era dell’argilla e si decideva pertanto di sospendere ogni ulteriore attività in tale sito. Forse presi dallo sconforto, si preferiva nuovamente affidarsi a capacità più empiriche che scientifiche. Del tentativo abbiamo conoscenza attraverso una bozza di convenzione con Antonio Luchitta di Rubignacco, che si impegnava a dare esatta indicazione del luogo – situato entro un raggio di non oltre i Km 3 (tre) dal centro cittadino di Manzano – ove, ad una profondità di circa un centinaio di metri, trovasi acqua potabile capace di un gettito di almeno litri 40 (quaranta) al minuto secondo. Tale acqua potrà
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anche essere non perfettamente potabile, ma suscettibile, con accorgimenti tecnici e scientifici, d’essere resa tale. A tal fine il Luchitta si mette sin d’ora a disposizione del Consorzio e assume a sue spese rabdomanti e quant’altro occorra per fornire l’esatta indicazione di cui sopra. Il Consorzio Poiana si impegnava a effettuare a sue spese la ricerca in loco con i mezzi più adatti, escludendosi in forma assoluta l’uso delle mine.10 Non sappiamo se e quanto di questa prospettata iniziativa abbia avuto attuazione. Su consiglio del prof. Gortani, iniziavano degli assaggi in località Molini Vosca lungo la riva destra del Natisone, a circa 3,1 km da quelli già effettuati. Anche qui s’incontravano solo due strati di ghiaia mista a conglomerato e, avendo trovato dell’argilla gialla a 50 metri sotto il piano di campagna, si sospendeva la perforazione. La stratigrafia del terreno dava poche speranze di reperire l’acqua tanto ricercata, c’era comunque un miglioramento rispetto al primo assaggio e si decideva di fare un ulteriore tentativo, spostandosi di circa 1,6 km, verso San Nicolò.11
Il tentativo vincente a San Nicolò di Manzano Il terzo sondaggio era praticato a valle di San Nicolò di Manzano, in località Molini. Nell’aprile 1962 si trovava uno strato di ghiaia permeabile di una ventina di metri, abbastanza pulita, da quota -46,50 a quota -65,50. La consistenza di tale strato, a parere del prof. Musoni, faceva sperare nella possibilità di emungimento dell’acqua necessaria al potenziamento, ma occorreva tener conto che poteva essere un banco esteso in buona comunicazione colla falda acquifera – e ciò avrebbe assicurato la portata ricercata –, oppure una semplice lente ristretta e contornata da materiali più o meno impermeabili e con il pompaggio si sarebbe rapidamente esaurito il liquido di cui erano imbevuti. Era positivo aver riscontrato, con rilievi altimetrici, che la pendenza del pelo dell’acqua era sull’ordine dell’1,5 per mille, ossia uguale a quella della ricchissima falda acquifera della pianura fra Tagliamento e Torre. Dato che l’acqua doveva esser sollevata sulle colline di Buttrio, l’ing. Musoni proponeva di fare un altro sondaggio più a monte, in prossimità della statale Udine-Gorizia, sempre lungo il Natisone, per tentare di avvicinare la presa al punto di immissione nella
L’area a San Nicolò di Manzano ove è stata individuata un’abbondante falda, con la quale affiancare l’acqua della sorgente Poiana, potenziando l’acquedotto. Le immagini, scattate il 31 agosto 1962, documentano le strutture di trivellazione impiegate e l’acqua sgorgante dalla profondità di 65 metri, con la portata di 100 l/secondo.
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rete idrica, con conseguente minor costo d’impianto e d’esercizio, riducendo la lunghezza della conduttura premente di circa 1000 metri.12 Il quarto assaggio, però, dava risultati peggiori, incontrando ghiaia eccessivamente compatta e si decideva di eseguire il pozzo definitivo in corrispondenza della prova precedente. Iniziavano subito i lavori per avere la possibilità, nell’estate successiva, di compiere le prove di portata necessarie per decidere se il pozzo poteva effettivamente rispondere alle necessità del Consorzio. Le verifiche per conoscere se lo strato era in buona comunicazione con la falda si dovevano eseguire nel periodo di asciutta, in quanto pompando fuori il liquido il livello del pozzo sarebbe dovuto scendere solo di qualche metro, in caso contrario la pompa dopo qualche ora sarebbe rimasta a secco. Il pozzo a largo diametro in San Nicolò di Manzano era ultimato il 27 agosto 1962, raggiungendo la programmata profondità di 65 metri dal piano di campagna. Aveva un rivestimento in tubi d’acciaio con diametro interno di 503 mm fino alla profondità di 46 m dal piano di campagna e di 290 mm per l’ulteriore frazione fino ai 65 m; per l’altezza di 15 m fra le profondità di 47 e 62 m il tubo di trivellazione era finestrato nello strato acquifero. Alla fine d’agosto non pioveva da molto tempo, molte sorgenti erano già seccate, la vicina Roggia di Manzano era asciutta, l’acqua del Natisone scompariva circa 50 metri a valle del ponte di Manzano e dunque si erano verificate le condizioni ideali per determinare la reale disponibilità del pozzo. Per le prove di portata si provvedeva al montaggio di una motopompa della potenza di 100 cv, noleggiata dalla ditta Massarenti di Piacenza e si aveva a disposizione un modulo di misura a salto di bidone. Le prove iniziavano il 30 agosto, misurando 40 l/secondo. Verificando che con tale portata il livello della falda idrica si era abbassato di soli m 0,90, si continuava il pompaggio con la medesima portata il 1º settembre, ottenendo sempre lo stesso abbassamento dinamico della falda. Il 2 settembre si spingeva al massimo il motore raggiungendo una portata di 104 l/secondo con un abbassamento di soli 1,35 metri. Continuando così il pompaggio per due giorni, si verificavano sempre i medesimi favorevoli risultati, che permettevano di fissare la potenzialità del pozzo in 104 l/secondo, con possibilità di aumento.13 Per le necessità del Consorzio si prevedeva un fabbisogno di circa 40-50 l/secondo per 24 ore, dunque con gli oltre 100 litri del pozzo si sarebbero soddisfatte, con ogni garanzia, tali esigenze. Si riteneva opportuno acquistare un appezzamento di terreno intorno al pozzo stesso, per la costruzione del serbatoio di accumulo, della stazione di sollevamento e per la costituzione di un’area di rispetto, con la spesa complessiva di 420.000 lire.
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Le opere accessorie al pozzo di San Nicolò. Primo e secondo lotto Sino ad allora l’unico serbatoio esistente era quello di testa, sul Monte dei Bovi, posto all’arrivo della condotta adduttrice maestra, della capacità di 11.000 ettolitri. Durante le interruzioni totali del servizio, generalmente imposte dalla riparazione dei guasti, l’erogazione nella rete distributrice era interamente affidata alla riserva invasata in tale serbatoio, che si esauriva in tempi variabili a seconda della stagione e dell’ora in cui si verificava la rottura. L’efficacia del compenso era buona nella zona soggiacente al serbatoio dei Bovi, corrispondente ai Comuni di Cividale, Moimacco e Remanzacco, molto minore invece per quelli più lontani. In base al censimento del 1961, nei primi tre si raccoglieva una popolazione pari al 37,3% di quella consorziata, negli altri otto risiedevano gli altri due terzi. Essendo necessario invasare l’acqua emunta dal pozzo, era ragionevole collocare i nuovi serbatoi a favore dei Comuni più lontani da quello dei Bovi, onde riequilibrare i rapporti tra la quantità di acqua fluttuante e la competenza giornaliera. A seguito delle dimissioni dell’ing. Musoni dall’incarico di progettista del potenziamento dell’acquedotto, era l’ing. Giovanni Mantovani di Udine a compilare, sulla base del progetto di massima redatto dall’Ufficio del Consorzio e approvato dall’Assemblea il 15 dicembre 1962, l’elaborato generale per tutte le opere ancora da eseguire. Queste consistevano nel serbatoio di San Nicolò presso la stazione di sollevamento in Comune di Manzano, nella condotta premente da quest’ultima fino al serbatoio di compenso dei “Tre Pini”, anch’esso da costruire e nelle condotte adduttrici per Buttrio e Manzano, da collegare nell’esistente acquedotto consorziale a gravità; dato che già si era approfondito il pozzo, costruita la stazione di sollevamento e installati tutti i macchinari con finanziamento proprio del Consorzio, la spesa ancora da sostenere ammontava a 199 milioni. Il progetto, datato 5 settembre 1963, prevedeva la costruzione di due serbatoi seminterrati, identici, della capacità utile di mille metri cubi ciascuno. Uno più basso, adiacente al pozzo per immettervi l’acqua pompata, dotato di comando elettrico automatico a galleggiante per avviare il motore della pompa nel pozzo quando il pelo dell’acqua scendeva sotto il livello di metà altezza utile nel serbatoio stesso e arrestava la marcia quando il livello raggiungeva la quota di troppo pieno (sfioratore). L’altro serbatoio era incastonato nel rilievo più alto delle colline di Buttrio-Manzano con fondo a quota 147, in località “Tre Pini” che mediante una conduttura di sollevamento del diametro di 350 mm e della lunghezza di 4.547 metri avrebbe ricevuto l’acqua dal primo; tra i due vi era una prevalenza geodetica di 97,50 metri. Dal serbatoio più in alto, quello di compenso, sarebbe avvenuta l’immissione nella rete di
Stazione di sollevamento a San Nicolò, piano d’ingombro in scala 1:200 del pozzo (A), della stazione di sollevamento (B) e del serbatoio seminterrato (C), progetto del 5 settembre 1963.
distribuzione a gravità mediante due condutture, una principale per il nodo di Buttrio e una per Manzano. Si chiedeva di essere ammessi alle agevolazioni previste dalla legge 3 agosto 1949 n. 589.14 Il 29 luglio 1964 era messo in funzione l’impianto provvisorio di immissione di acqua in rete, completando così il primo stralcio dei lavori eseguiti con fondi del Consorzio, comprendenti: cabina sopra il pozzo di presa, edificio per la stazione di sollevamento, linee elettriche ad alta tensione, impianti di trasformazione e di pompaggio. Con l’adduzione dei 10 l/secondo previsti, si otteneva un decisivo miglioramento nel rifornimento dei Comuni di Manzano e S. Giovanni al Natisone, con benefici anche a Corno di Rosazzo e Premariacco. Le opere murarie della stazione di sollevamento erano realizzate dal 10 marzo all’8 luglio 1964.15
Stazione di sollevamento a San Nicolò, prospetto ovest, progetto del 5 settembre 1963.
Il Ministero dei Lavori Pubblici con nota 16 ottobre 1964, su richiesta del Consorzio, prometteva un nuovo contributo sulla spesa di 25 milioni. Per tale importo il dott. Mantovani compilava la perizia del 2º stralcio, estratto dal progetto generale di potenziamento del 9 ottobre 1963, già approvato. Lo stralcio prevedeva il proseguimento della conduttura premente dal termine del 1º lotto (progressiva 1826) alla progressiva 2926, con uno sviluppo di 1.100 metri da San Nicolò ai “Tre Pini”, dotata di tutte le opere accessorie.16 Per effetto dei lavori del 1º e 2º stralcio, nel corso di una giornata si poteva rinnovare completamente l’invaso d’acqua nel serbatoio di San Nicolò e l’oscillazione dei carichi piezometrici nella condotta premente era smorzata dal polmone dell’autoclave (50 ettolitri) e dal volume d’acqua complessivo di altri 285 mcubi che si rinnovavano completamente, nel medesimo tronco, in circa sei ore.17 Con i risparmi ottenuti mediante i ribassi contrattuali negli appalti dei lavori del 1º e 2º lotto, la condotta premente era portata fino alla progressiva 3730, invece che alla prevista 2926. Ultimati i lavori di montaggio delle pompe (due elettropompe sommerse e due ad assi verticali con annesse apparecchiature) e il completamento dell’impianto elettrico, il 18 marzo 1966 si metteva in funzione l’impianto di immissione in rete, come previsto dalla seconda fase del programma di potenziamento. L’acqua prelevata dal pozzo nella quantità di 85-90 litri al secondo era ora invasata nel serbatoio con la pompa sommersa, dal serbatoio stesso veniva a sua volta prelevata e immessa in conduttura nella quantità di 35-40 litri al secondo. Dai registratori di pressione posti in varie località del Consorzio e dalle informazioni assunte lungo tutta la rete di distribuzione, si rilevava un miglioramento sensibile nei Comuni di Manzano, S. Giovanni al Natisone, Corno di Rosazzo, discreto a Pradamano, Pavia di Udine, Trivignano Udinese e più limitato a Remanzacco.
Gli ulteriori miglioramenti sulla destra del Torre. Terzo e quarto lotto Le frazioni di Lumignacco, Ziracco e Clauiano non presentavano ancora la regolarità necessaria per godere di un buon servizio. Si poneva allo studio il collegamento da effettuarsi fra Manzinello e Percoto per potenziare ulteriormente la distribuzione sulla destra del Torre.18 Era necessario dividere in due parti la tratta, con il completamento della sezione ManzinelloPercoto dai primi di agosto 1967 si forniva a Percoto 3 l/secondo e, con l’ultimazione della seconda parte, corrispondente alla linea Fornace Rizzani-Percoto, dal 12 marzo 1968 era allacciato alla conduttura premente l’impianto di pompaggio in rete già in atto a San Nicolò di Manzano. Si misurava in 10,3 l/secondo l’acqua
In alto: stazione di sollevamento a San Nicolò, sezione, progetto del 5 settembre 1963.
In basso: stazione di sollevamento a San Nicolò, pianta di piano macchine, progetto del 5 settembre 1963.
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La perforazione del secondo pozzo a San Nicolò di Manzano, con l’acqua scaturente nel maggio 1971.
in arrivo a Percoto, ottenendo così il risultato previsto dal progetto. Con questo apporto si migliorava sensibilmente il servizio, con ricadute positive anche per il Comune di Pradamano, nelle sue appendici di via Garibaldi e via Matteotti.19 Per aumentare la quantità d’acqua immessa in rete a San Nicolò di Manzano, si sostituivano i giranti ridotti delle pompe con quelli definitivi; completato tale cambio, il 21 maggio 1968 si rilevava una immissione in rete di 46 l/secondo contro i 35 della pompa ridotta.20
I lavori del 3º lotto consistevano nella posa degli 817 metri di tronco terminale della premente, l’attraversamento della ferrovia Udine-Bivio S. Polo, la camera del nodo di Prà d’Ercole e la costruzione del serbatoio “Tre Pini”, identico a quello di San Nicolò.21 Va aggiunto che per alimentare la zona in destra Torre soggiacente a Percoto, era in corso di attuazione la condotta adduttrice tecnicamente prevista nel progetto generale, che dal nodo di Prà d’Ercole raggiungeva appunto Percoto, anche questa con mezzi finanziari del Consorzio. La consegna lavori del 3º lotto aveva luogo nell’agosto 1968 alla Cooperativa di Produzione e Lavoro di Udine; in attesa della fornitura dei tubi si dava corso alla costruzione del serbatoio “Tre Pini”. Le opere
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erano ultimate il 6 luglio 1969 e il serbatoio “Tre Pini” entrava in funzione per il rifornimento idrico della destra Torre, con una portata di 16 l/secondo. Per il 4º lotto la consegna dei lavori avveniva il 7 luglio 196922 ed erano ultimati il 18 maggio 1970, con l’immissione in rete a Buttrio dell’acqua del serbatoio di Manzano; la quantità era di 36 l/secondo, con un miglioramento sensibile nel regime di pressioni e conseguentemente nel servizio delle reti di Buttrio, Pradamano e Pavia.
Il pozzo di Ziracco Per migliorare il servizio nella zona di Ziracco, l’assemblea consorziale il 30 aprile 1968 deliberava di costruire un pozzo in tale località, con cui integrare la portata nei periodi di magra. Dopo aver fatto compiere, a partire dal 17 maggio 1968, i rilievi geoelettrici nella zona interessata dall’Osservatorio Geofisico di Trieste, era scelta la località vicina al ponte del Chiarò. Il 26 giugno 1968 era indetto un appalto-concorso per la costruzione del pozzo e il 6 luglio seguente si affidava all’Impresa F.lli Costa fu Ernanio da Fidenza la costruzione del pozzo, per il prezzo di 3.432.500 lire.23 I lavori iniziavano il 10 luglio ed erano ultimati l’8 agosto 1968; a causa di uno strato di argilla che avrebbe potuto intorbidire l’acqua si doveva approfondire il pozzo fino alla quota di -108 metri, in modo da avere garanzia per la limpidezza e la potabilità dell’acqua.24 Per la costruzione della stazione di sollevamento, i lavori erano consegnati il 4 marzo 1969 alla Cooperativa di Produzione e Lavoro di Udine.25 Nel seguente mese di giugno l’impianto era messo in funzione, ottenendo buoni risultati in tutto il Comune di Remanzacco. Il collaudo era eseguito il 13 maggio 1970.26 Con la prima fase del potenziamento giunta a ultimazione, si poteva mettere a disposizione degli utenti 250 l/secondo (100 dal Poiana, 140 dal pozzo di San Nicolò e 8-10 da Ziracco) rispetto ai 100 l/secondo originari.
Il secondo pozzo di San Nicolò Come previsto dal progetto di massima del potenziamento dell’acquedotto, sull’area già acquisita dal Consorzio in località San Nicolò, nel 1969 a circa 10 m dal primo si decideva di realizzare un secondo pozzo di emungimento, che avrebbe funzionato in alternativa con l’esistente.27 Risultava necessario costruire un pozzo avente il diametro minimo di 550 mm, data la dimensione d’inDisposizione schematica d’impianto dell’elettropompa sommersa da collocare nel pozzo a San Nicolò di Manzano, 15 aprile 1964.
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gombro della pompa, per l’aumentata portata di emungimento (140 l), resa necessaria dall’esame dei consumi rilevati nella precedente annata. Nel febbraio 1971 iniziavano i lavori di terebrazione; per migliorarne la portata, la Direzione riteneva opportuno approfondirlo fino a quota -70 m dal livello del terreno, contro i -65 m previsti. Il 19 aprile 1971 si svolgevano le prove di portata: si emungevano 150 l/secondo per circa 20 ore, con un abbassamento di falda di soli 0,90 metri; i lavori erano ultimati il 20 maggio. La visita di collaudo avveniva il 23 giugno 1973, da parte dell’ing. Leo Bruseschi di Palmanova.28 L’anno seguente si potenziava la pompa a grande portata, ottenendo quella dichiarata nel collaudo.29
Ancora più efficienza nella centrale di San Nicolò Per migliorare ulteriormente l’impianto di sollevamento di Manzano si sostituivano le elettropompe centrifughe ad asse orizzontale Pellizzari con una elettropompa di costruzione ingg. Audoli e Bertoli di Torino a tre giranti, avente le medesime caratteristiche.30 Si susseguivano altre migliorie dell’impianto, per renderlo più efficiente e sicuro.
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Gruppo elettropompa sommergibile per il sollevamento dalle falde acquifere a quote profonde, come quella di San Nicolò di Manzano. Non vi sono difficoltà di aspirazione, in quanto il gruppo è calato nel pozzo a una quota inferiore al livello dinamico dell’acqua, per cui durante l’esercizio le pompe lavorano sempre sotto battente e non sono necessari speciali dispositivi di adescamento. Non vi è pericolo per il gelo, in quanto pompa e motore sono immersi nell’acqua a una profondità tale che la formazione di ghiaccio è da escludere.
Il 13 giugno 1972, dalle prove di portata delle pompe montate alla stazione di San Nicolò, risultava che la pompa sommersa (funzionante dal pozzo al serbatoio) dava 199 l/secondo, mentre la pompa ad assi orizzontali (dal serbatoio al serbatoio “Tre pini”) dava 168 l/secondo, ovvero erano superiori alle portate contrattuali, rispettivamente di 150 e 140 l/s.31 L’anno seguente si operava un cambio di tensione elettrica, elevata da 10.000 a 20.000 volt, riscontrando un miglioramento sensibile nel funzionamento delle pompe e con minor pericolo di danni ai motori.32 Aumentava l’efficienza ma, a seguito dell’aumento del prezzo dell’energia elettrica, anche le bollette diventavano più pesanti; nel 1974 il costo mensile toccava i 5 milioni di lire.33 Anche il rumore dell’impianto raggiungeva alti livelli, cui si poneva rimedio con vari accorgimenti.34 Realizzata originariamente per lo sfruttamento della falda acquifera nella misura di 90 l/s con due elettropompe, la stazione di sollevamento nel 1983 raggiungeva i 180 l/s, con l’installazione di 4 elettropompe, oltre ai necessari quadri di manovra. I locali risultavano dunque sottodimensionati e non era possibile ubicare le casse d’aria necessarie all’assorbimento del colpo d’ariete allo stacco del funzionamento d’impianto di sollevamento, a salvaguardia dei motori e delle condotte. Si deliberava la costruzione di un nuovo fabbricato, su un’area di terreno da acquistare a tale scopo.35 Il progetto vincente l’appalto del concorso per il completamento, fornitura ed installazione delle apparecchiature elettromeccaniche del nuovo fabbricato della centrale di San Nicolò era approvato nel maggio 1990. I lavori per l’allestimento delle opere murarie erano consegnati con verbale 3 dicembre 1990, la loro ultimazione avveniva il 3 agosto 1991.36 Tipi delle apparecchiature e planimetria d’insieme, nel progetto esecutivo dei lavori di completamento e installazione delle apparecchiature elettro-idrauliche nel nuovo fabbricato della centrale di San Nicolò di Manzano, 25 luglio 1989.
Disposizione schematica dell’impianto di potenziamento della stazione di San Nicolò di Manzano, 25 marzo 1970.
Disposizione schematica dell’impianto di potenziamento della stazione di San Nicolò di Manzano, sezione A-A, progetto del 25 marzo 1970.
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In alto: corografia del progetto dei lavori di potenziamento dell’acquedotto consorziale, 12 ottobre 1963. La linea con i pallini verdi che parte da San Nicolò (bollino verde) indica la condotta premente, la linea rossa tratteggiata dal serbatoio ‘Tre Pini’ (bollino rosso) verso Manzinello e Percoto indica la condotta in costruzione.
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In basso: schema in sezione per la ricopertura con terra del serbatoio di accumulo in località “Tre Pini” (Manzano), anno 1970.
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CAPITOLO XVI
Progetto di massima per il potenziamento dell’acquedotto consorziale del Poiana, 5 novembre 1962, ACAP, cart. Sollevamento di S. Nicolò 1°-2° lotto. Potenziamento acquedotto. Seduta del 28 dicembre 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 3. La spesa preventivata era di 50 milioni di lire, per il finanziamento si decideva di ricorrere alle provvidenze dello Stato per le aree depresse Centro-settentrionali, come indicato in una lettera del presidente del Consorzio del 22 luglio 1957, ACAP, cart. Ricerche pozzo San Nicolò 1962. CASTELLARIN 2012, p. 73. Seduta del 13 dicembre 1958, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 3. Dati contenuti in un articolo dell’ing. Franco Sbordoni “Le acque sotterranee reperite mediante l’uso del Rabdomante Elettronico”, rivista “Memorie ed Atti”, Centro di studi per l’ingegneria agraria, a. XIII, fasc. V, settembre 1958, in ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Relazione del Reparto Ricerche Idriche della CIRIM del 24 gennaio 1959, ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Seduta del 1 giugno 1959, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, n. 1 c. In una lettera inviata al Consorzio il 17 novembre 1960 dall’ing. Giovanni Musoni, direttore dei lavori, egli ricorda che per la ricerca dell’acqua potabile in quella ristretta zona prima della Fondazione Lerici erano stati consultati, in ordine di tempo e senza ottenere nulla di concreto, il dott. Dorigo, prof. Poggi, prof. Feruglio, prof. sen. Gortani, mons. Valoppi e il CIRIM, in ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Il costo dello scandagliometro era di 10.837 lire, ACAP, cart. CISPEL Notizie anno 1972 (...), fasc. Scandagliometro. L’ing. Giovanni Musoni di Udine quale direttore dei lavori il 31 settembre 1959 provvedeva alla consegna dei lavori all’impresa Giacomo Benedetti di Palazzolo dello Stella, fissando il punto ove doveva essere costruito il pozzo; in base al cottimo fiduciario del 19 settembre 1959, i lavori dovevano essere ultimati entro 80 giorni lavorativi, con un importo presunto di 1.300.000 lire, ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Bozza di convenzione del 9 marzo 1962, ACAP, Cart. San Nicolò. Pompa grande. Dati riportati nella “Breve relazione sulle ricerche fatte a mezzo della S.p.A. James Massarenti e sul tipo di pozzo definitivo” del 14 giugno 1962, estesa dall’ing. Giovanni Musoni, in ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Seduta del 20 aprile 1962, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19591965, n. 1e.
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“Relazione sulle Prestazioni del Pozzo di San Nicolò” dell’ing. Giovanni Musoni, 17 ottobre 1962, in ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. La messa in fuzione del pozzo di San Nicolò è citata da PERUZZI 1984, p. 311. Con nota ministeriale dei LL. PP. - Direzione Generale Urbanistica ed Opere Igieniche Div. 22°, in data 3 giugno 1963 prot. 10197 era comunicato che l’opera era stata ammessa ai benifici della legge 3 agosto 1949 n. 589, con promessa di contributo statale per i lavori del I lotto, sulla spesa di 55 milioni di lire. Relazione del direttore i lavori per l’appalto delle opere murarie del 3 agosto 1964; Verbale di visita e certificato di collaudo dell’ing. Leo Bruseschi di Trivignano Udinese del 5 dicembre 1964, in ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Per la custodia della stazione di sollevamento di San Nicolò nel 1965 si nominava il sig. Misano Ernesto, che aveva anche l’incarico di riattaccare l’interruttore automatico nei casi in cui, per carichi della sovratensione della linea o folgorazioni nelle vicinanze, si staccava. Seduta dell’8 febbraio 1965, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, n. 3. Con decreto 28 maggio 1965 il Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Friuli V.G. concedeva il contributo del 3% previsto dalla legge 3 agosto 1949 n. 589 art. 12 sul 2° lotto stralcio di 25 milioni; l’ammontare delle somme ammesse a contributi pertanto era di 80 milioni. Data l’urgenza che presentavano i lavori, a causa della forte carenza d’acqua, si riteneva opportuno chiedere l’intervento dello Stato anche per la rimanente parte del progetto non coperto da contributo (119 milioni), non permettendo la situazione di bilancio dei Comuni consorziati di affrontare la spesa con un mutuo ordinario. Relazione del 2° lotto Progetto di potenziamento dell’acquedotto consorziale, ing. Mantovani, 12 dicembre 1964, ACAP, cart. 2° Lotto Potenziamento. Impresa Migotti. Conduttura premente SS-Fornaci. Il termine dei lavori del 2° lotto avveniva il 20 dicembre 1964, come risulta dalla Relazione del 3 marzo 1965 del Direttore dei lavori geom. Giuseppe Rossi. Ai lavori nella struttura di San Nicolò era dedicato, in occasione della visita dei sindaci dei Comuni consorziati al cantiere, un articolo del Messaggero Veneto, pubblicato il 10 aprile 1965, p. 4. Seduta del 22 aprile 1966, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1104. Il 9 febbraio 1966 si erano tenute presso la fabbrica Pellizzari di Arzignano le prove di collaudo di officina delle due pompe verticali e due pompe ad assi orizzontali che dovevano essere montate nella stazione di sollevamento di San Nicolò. Seduta del 30 aprile 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969.
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Seduta del 29 maggio 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969. La perizia per il 3° stralcio era redatta dall’ing. Mantovani il 21 gennaio 1967. Il 27 dicembre 1966 era stata comunicata la promessa del contributo statale per i lavori del 3° lotto dell’opera, sulla spesa di 50 milioni di lire, ACAP, cart. 3° Lotto Potenziamento. Impresa Consorzio Coop. Serbatoio Tre Pini. La ditta aggiudicataria era A. Del Fabro di Nevio ed Enzo Del Fabro di Reana del Roiale, Seduta del 17 ottobre 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969. Seduta del 9 luglio 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1265. Sedute del 31 agosto e 9 novembre 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969. La liquidazione finale per lo scavo del pozzo ammontava a 3.582.000 lire. Gli esami di potabilità dell’acqua davano esito favorevole, come da referto del medico provinciale datato 27 settembre 1968 n. 5444/San. Il 31 agosto 1968 la Commissione amministratrice approvava il progetto per la stazione di sollevamento, per la quale il Comune di Remanzacco cedeva al Consorzio 340 mq del mappale interessato, a 34.000 lire/mq. Seduta dell’8 marzo 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1307. La stazione sussidiaria di Ziracco aveva un costo complessivo di 9.536.192 lire, il collaudo del 13 maggio 1970 era eseguito dall’ing. Leo Bruseschi, Seduta del 3 luglio 1970, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1428. Seduta dell’8 marzo 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1313. Il lavoro era affidato alla ditta Fratelli Costa di Fidenza. Il certificato di collaudo è del 23 giugno 1973. La spesa finale era di 4.915.670 lire, ACAP, cart. Ricerche Pozzo S. Nicolò 1962. Al potenziamento dell’acquedotto Poiana attraverso il pozzo di San Nicolò è dedicato ampio risalto in un articolo dedicato al cinquantenario del consorzio: Cinquant’anni, 1972. Ringrazio il dott. Paolo Rossi per avermi cortesemente segnalato questo testo. Seduta del 2 ottobre 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976. Seduta del 17 aprile 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1487. Seduta del 25 agosto 1972, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1564.
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Seduta del 16 novembre 1973, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976. Seduta del 20 novembre 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976. Nel 1978, per la riduzione del forte rumore, segnalato dalle famiglie residenti nelle case poste lungo la linea premente, provocato dalla messa in funzione del gruppo da 510 cv al momento della fermata delle potenti pompe, conseguente ai colpi di ariete, si giungeva alla riduzione del 50% del rumore applicando alla valvola di ritegno di ogni pompa dei contrappesi. Dopo una consulenza del prof. Cola, si riduceva progressivamente anche la velocità dell’acqua facendo entrare in funzione la pompa più piccola di 180 cv, 4 minuti prima dell’arresto degli altri due gruppi. Nel 1981 si effettuava l’allacciamento telefonico per la stazione di S. Nicolò, in precedenza si doveva ricorrere al servizio di un vicino bar o chiedere la disponibilità delle famiglie nei pressi. Seduta del 9 giugno 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2550. L’approvazione del progetto e della ristrutturazione della stazione di S. Nicolò, riguardante le opere murarie e il nuovo edificio attiguo all’esistente serbatoio di accumulo, da parte dell’Assemblea consorziale avveniva il 9 dicembre 1983, con un importo preventivato di 230.000.000 di lire. Il Comitato Tecnico Regionale approvava il progetto generale di massima dei lavori di ristrutturazione della stazione di sollevamento il 18 settembre 1985. Il progetto approvato per le attrezzature era quello del 17 aprile 1990, proposto dalla Ditta Elettromeccanica Turello di Remanzacco (UD), e riguardava la fornitura e installazione di cinque gruppi elettropompe centrifughe ad asse orizzontale, completi dell’equipaggiamento elettromeccanico, con accessori (2 compressori d’aria da 4 Kw ciascuno, due casse d’aria da 3 mc cadauna con pressione d’esercizio di 25 atm (serbatoio Tre Pini) ed una da 3 mc e 12 atm di pressione, per la mandata in rete; era previsto inoltre un gruppo elettrogeno da 300 KVA per il servizio d’emergenza, con relativa cisterna di gasolio in caso di forzata sospensione dell’energia elettrica, quadri di distribuzione forza motrice. Una perizia suppletiva e di variante era compilata il 10 giugno 1991, sotto la direzione dei lavori dell’ing. Cola, nella quali si prevedeva di spostare solo una delle esistenti elettropompe in servizio (quella da 500 CV, in buone condizioni di funzionamento) dalla vecchia alla nuova centrale, assegnando a quest’ultima tutta la sua potenzialità, come era stata concepita secondo le intese del progetto generale entrando in batteria con i gruppi destinati al servizio del serbatoio “Tre Pini”. Il certificato di regolare esecuzione dei lavori è del 10 gennaio 1995, ACAP, cart. S. Nicolò.
XVII CAPITOLO DICIASETTESIMO
L’ADEGUAMENTO DELLA RETE DI DISTRIBUZIONE
IL CALCOLATORE ELETTRONICO PER GUARDARE AL DUEMILA
PROGETTO ‘200 MILIONI’
Dopo aver individuato e attuato le modalità di aumento della portata, tramite la centrale di San Nicolò che consentiva di potenziare la zona sud del Consorzio, si procedeva con la seconda fase di sistemazione dell’impianto, ovvero l’adeguamento della rete di distribuzione alle sempre crescenti necessità. Si affidava al prof. Dino Tonini dell’Università di Padova e al suo assistente ing. Francesco Veronese la verifica della rete consorziale, elaborando le proposte di adeguamento ai fabbisogni previsti per un futuro proiettato all’anno 2000. Il 29 marzo 1969 era consegnata al Consorzio la relazione, comprendente tutto il piano per una sistemazione definitiva dell’impianto, rapportandolo agli scenari previsti temporalmente all’ingresso nel XXI secolo. Lo studio denunciava l’insufficienza dell’adduttrice di Manzano, che nel progetto del IV lotto di potenziamento era stata proposta del diametro di 150 mm in un tronco e 175 mm in un altro, avendo il progettista attribuito alla stessa la portata di 25 l/secondo. Gli autori della ricerca programmavano il calcolo di verifica proponendosi di avere la quota piezometrica in ogni punto della rete consorziale almeno di 20-30 m superiore all’altitudine del luogo e portata maggiorata, avvalendosi dell’elaboratore digitale Olivetti tipo Elea 6001 del centro di calcolo elettronico universitario e ciò in quei tempi – ricordiamo che era il 1969 – costituiva un elemento di novità, fornendo con notevole precisione i dati sui quali fondare i provvedimenti da attuare nel breve periodo e progettare quelli futuri. Con la nuova portata di 72,2 l/secondo (da ripartire per 69 l/s a Corno di Rosazzo, Dolegnano, S. Giovanni al Natisone, Villanova, Medeuzza e per 3,2 l/s a Soleschiano e S. Lorenzo) attribuita alla tratta, si rendeva necessario introdurre la variante della posa di tubi del diametro di 300 mm, in modo da porre l’opera di imminente attuazione in armonia con quella parte del recentissimo studio Tonini-Veronese, concernente l’assetto futuro della rete idrica intorno al nodo di Manzano.1
Per il primo lotto di lavori, alla luce delle risultanze ora citate dei professori Tonini e Veronese e in base al finanziamento concesso in base alla legge 22 luglio 1966 n. 614 su una spesa complessiva di 200 milioni, si era in grado di provvedere alle condotte adduttrici di Purgessimo (totalmente), Remanzacco e Pavia di Udine (parzialmente) e da Manzano a Corno di Rosazzo (totalmente).2 La tratta di Purgessimo era ultimata nel dicembre 1970, risolvendo egregiamente le carenze in quella frazione; a quell’epoca erano iniziati i lavori per l’adduttrice Case di Manzano-Corno di Rosazzo, che era messa in funzione nel giugno 1971, migliorando particolarmente il servizio del Comune di Corno, ove si raggiungeva un aumento medio della pressione di 3 atmosfere, permettendo così l’arrivo dell’acqua anche ai secondi piani e nei rilievi. In questo Comune era pure costruito un serbatoio di compenso della capacità di 200 mcubi, alla quota di 122 metri s.l.m. L’Ufficio Tecnico del Consorzio predisponeva in data 17 ottobre 1970 un progetto di massima, indicante una presunta spesa di 160 milioni di lire per il completamento delle adduttrici da Premariacco al bivio Oselin in Comune di Remanzacco, da Selvuzzis a Risano in Comune di Pavia di Udine e da Guspergo a Rubignacco. Le prime due tratte entravano in fase di attuazione, su progetto 25 novembre 1969 dell’ing. Giovanni Mantovani, ma non era possibile completarle per insufficiente finanziamento. L’adduttrice di Rubignacco risultava indifferibile per far fronte alla forte carenza di rifornimento idrico della frazione, a seguito dell’aumento dei consumi dell’Istituto Friulano Orfani (IFO) e delle scuole annesse.3 Con una perizia di variante e con accorte economie nei lavori, tramite un nuovo progetto si completavano le derivazioni di Pavia di Udine fino a Risano, la derivazione di Rubignacco fino all’ingresso dell’IFO e quella di Remanzacco fino in prossimità di Cerneglons.
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L’ADEGUAMENTO DELLA RETE DI DISTRIBUZIONE
Dagli anni Settanta sono state emanate precise norme riguardanti le caratteristiche di qualità delle acque destinate al consumo umano, da sottoporre a esami chimici e batteriologici, con cadenza fissa e prestabilita.
Con tali completamenti si intendeva risolvere in via definitiva la problematica situazione di Rubignacco, Remanzacco e Lumignacco.4 I lavori di potenziamento della distribuzione di Rubignacco, Cerneglons e Risano, preventivati del costo di 116 milioni, iniziavano il 1º settembre 1974. Completata l’adduttrice di Rubignacco, si dava corso alle altre.5 Con l’allacciamento della nuova adduttrice Lauzacco-Risano, avvenuto il 27 gennaio 1975, i lavori previsti dal progetto erano ultimati.6
TRA LEGGI E DECRETI. LA POTABILIZZAZIONE È opportuno ricordare, sinteticamente, che dagli anni Cinquanta si assisteva a consistenti mutamenti indotti dal passaggio di una società prevalentemente rurale a quella con forti connotati industriali, che dopo non molti anni mostrava aver portato un degrado delle risorse idriche; particolarmente carenti erano quelle destinate all’uso potabile e il quadro diventava più fosco per l’incremento degli scarici civili, che avvenivano in assenza di una specifica legislazione in materia di tutela delle acque. In tale contesto era emanata la legge 4 febbraio 1963 n. 129 Piano regolatore generale degli acquedotti.7 Per inciso, a seguito di specifica disposizione del medico provinciale, nell’inverno 1974 il Consorzio Poiana dava inizio alla potabilizzazione dell’acqua mediante immissione di ipoclorito di sodio.8 Si giunge a una reale tutela delle risorse idriche con la legge 10 maggio 1976 n. 319 Norme per la tutela delle acque dall’inquinamento e successivamente, con la circolare 28 febbraio 1977 del Comitato dei Ministri per la tutela delle acque dall’inquinamento, sono determinate norme tecniche generali per la regolamentazione dell’installazione e dell’esercizio degli impianti di acquedotto. Ancora il 1977 vede la pubblicazione del primo atto normativo dello Stato relativo ai requisiti di qualità delle acque potabili, con la circolare n. 33 del 27 aprile 1977 del Ministero della Sanità, ove sono stabiliti i parametri batteriologici e chimici alla base di un razionale sistema di controllo delle acque potabili, allargando il campo analitico alle sostanze tossiche di tipo organico e inorganico. Una prima normativa sistematica sulle acque potabili si ha con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 febbraio 1985 Caratteristiche di qualità delle acque destinate al consumo umano, che fissa i requisiti di qualità in modo uniforme per tutto il territorio
nazionale, stabilendo parametri e limiti, frequenza delle analisi, tipologia e metodi analitici. L’inizio del moderno e razionale controllo delle acque per consumo umano in Italia si può però considerare successivo, con l’entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica del 24 maggio 1988 n. 236, più completo e articolato e che non si limita a disciplinare gli aspetti sanitari – valutati sulla base dei valori e delle indicazioni relative a 56 parametri chimici e 6 biologici – ma interviene anche sulla tutela delle risorse idriche destinate all’utilizzo come acque potabili, con nuove considerazioni e obiettivi nel dimensionamento e nell’esercizio degli impianti di potabilizzazione rispetto al passato.9 In ossequio alle nuove norme riguardanti le caratteristiche di qualità delle acque destinate al consumo umano, risultava opportuno fare eseguire esami chimici e batteriologici, a cadenza quindicinale, delle acque delle sorgenti Poiana e Montina e delle falde di San Nicolò, Pradamano e Trivignano10 e realizzare una radicale trasformazione del sistema di disinfezione, in particolare con controllo minimo dei parametri indicati nella normativa con il n. 41 ‘cloro residuo libero’ e nn. 57-58 ‘coliformi fecali e totali’, con frequenza minima annuale di 120 volte.11 Nel 1989 si realizzano gli impianti di sterilizzazione di S. Pietro al Natisone, all’impianto di San Nicolò, serbatoio Tiglio e di Trivignano.12
L’ADEGUAMENTO DELLA RETE DI DISTRIBUZIONE
La disinfezione, il monitoraggio e i controlli dell’acqua sono intensificati con l’entrata in vigore del Decreto del Ministero della Sanità 26 marzo 1991, attuativo del citato DPR 24 maggio 1988 n. 236.13 L’attività di monitoraggio e trattamento delle acque immesse in rete diviene di crescente importanza, comportando verifiche interne di controllo ed esterne di accertamento, con notevoli oneri per personale e prestazioni di servizi. Le acque di cui dispone il Consorzio Acquedotto Poiana, pur ottime sotto l’aspetto chimico, al pari di tutte le acque destinate al consumo umano devono essere sottoposte a disinfezione preventiva, a pena di sanzioni penali a carico del gestore per eventuali mancati rispetti dei parametri microbiologici, in quanto la concentrazione ammissibile di agenti patogeni, per legge è pari a zero.14 La qualità delle acque captate e di quelle distribuite è sottoposta a monitoraggio sistematico, secondo quanto descritto dal DPR 236/88 e dal DMS 26/3/1991 in forma diretta con il rilevamento del cloro residuo e mediante l’esecuzione di analisi chimiche e batteriologiche tramite un qualificato laboratorio esterno, accreditato presso il Ministero della Ricerca Scientifica e Tecnologica.15 Nel 1999 entra in vigore il decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 e, nell’intento di tutelare la salute pubblica attraverso la fornitura d’acqua di sempre migliore qualità, l’evoluzione delle conoscenze scientifiche porta alla revisione legislativa, culminata con il decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 31, al quale è seguito quello del 2 febbraio 2002 n. 27, con precisazioni e integrazioni sostanziali al testo precedente.
IL SISMA DEL 1976 Le terribili scosse che dal crepuscolo del 6 maggio 1976 squassano la terra friulana aggrediscono anche le condutture del Poiana. A farne le spese sono soprattutto i vecchi giunti a piombo tra i tubi, ma sono i tremori di inaspettata violenza del successivo settembre a risultare particolarmente deleteri. Dal 15 di quel mese iniziano a verificarsi parecchie deficienze nel servizio. Si dà subito inizio alla revisione generale delle reti, riparando in breve 60 perdite con un recupero di 15 l/secondo, calcolando per ogni perdita una fuoriuscita media di 0,25 l/secondo. Ritenendo che vi fossero ancora delle perdite nella rete si continuavano i lavori di revisione e, al 2 giugno 1977, ne risultavano bloccate 140. Si faceva ancora più assillante la necessità del potenziamento dell’acquedotto, la disponibilità di portata era sfruttata al massimo, senza più alcun margine di sicurezza necessario per far fronte a eventuali maggiori richieste. Apportando delle limitazioni alle utenze
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delle caserme e di altri edifici, si riusciva ad apportare un certo miglioramento al servizio, rispetto alle carenze riscontrate.16 Era necessario il riatto delle reti più danneggiate: a Cividale la sostituzione di tratte nella rete cittadina, di Purgessimo e di Sanguarzo per complessivi 3 km e il riatto della presa dell’acquedotto di Purgessimo messa quasi completamente fuori uso dal terremoto; per Buttrio la derivazione Vicinale-ex Sanatorio di 2 km, per Premariacco la derivazione per l’alimentazione del sollevamento di Rocca Bernarda per 3 km, per Manzano la derivazione di alimentazione del sollevamento dell’Abbazia di Rosazzo per 2,200 km. Ricordiamo che il Decreto Legge 13 maggio 1976, n. 227, convertito in Legge 29 maggio 1976 n. 336, stanziava 15 miliardi di lire per provvedere, tra l’altro, alle necessità urgenti di ripristino provvisorio della viabilità, degli acquedotti, delle fognature e di ogni altra opera di competenza degli Enti locali. Con ordine del Commissario Straordinario di Governo era stanziata la somma di 1.820.000.000 lire per il potenziamento dell’acquedotto (1.500.000.000 lire) e riatto delle reti con fondi della Legge 336/76.17
CONSORZIO ACQUEDOTTO FRIULI CENTRALE Per l’integrazione delle deficienze dell’acquedotto Poiana, si chiedeva al Consorzio Acquedotto Friuli Centrale (CAFC) la concessione di una derivazione, fino alla conclusione dei lavori di potenziamento,18 che nell’ottobre 1979 iniziava a funzionare, con una portata da 50 a 55 litri al secondo. L’integrazione avveniva mediante allacciamento all’adduttrice in località Monte dei Bovi, ufficialmente attivata il 10 ottobre 198019 e il funzionamento dell’acquedotto ne ricavava un netto miglioramento, in modo che le carenze di quel periodo erano molto attenuate, normalizzando il funzionamento in tutta la rete di distribuzione per gravità. Nel 1984 si richiedeva al Consorzio Friuli Centrale una derivazione con collegamento alla conduttura di alimentazione della zona ‘Fortino’ di Cividale, nel punto in cui le due condotte si intersecavano, in quanto la sua prevalenza piezometrica era maggiore del Poiana e ciò avrebbe permesso l’esclusione del sollevamento locale in quella zona, nel contesto del risparmio energetico perseguito dal Consorzio Poiana.20 Nel 1998 la dipendenza idrica dall’adduttrice pedemontana del CAFC era limitata alle derivazioni di Ziracco, di Azzida e altre minori, mentre con l’entrata in servizio dei prelievi dalla falda di campo S. Giorgio, l’integrazione al serbatoio di Monte dei Bovi era sospesa, pur mantenendo attivo il collegamento.21
Corografia del progetto per il potenziamento dell’acquedotto consorziale, 2º lotto (qui sopra la relativa legenda), 2 novembre 1978.
IL RADDOPPIO DELL’ADDUTTRICE PRINCIPALE Per rispondere alle necessità del momento e di quelle future, il Consorzio si era occupato prioritariamente del reperimento di nuove fonti alimentatrici d’acqua per il potenziamento dell’acquedotto, poi era intervenuto per migliorare il funzionamento della rete di distribuzione. Un altro problema, però, cominciava a rivestire caratteri d’indilazionabilità. La conduttura alimentatrice lunga 17,300 km e del diametro di 420 mm che, seguendo il corso del fiume Natisone, porta l’acqua dalla sorgente Poiana al serbatoio sul monte dei Bovi, era posata nel 1914 unendo tubi di ghisa fusi verticalmente, materiale ottimo e molto longevo ma con il difetto della fragilità. Il terreno del fondovalle, data la
sua caratteristica geologica, è soggetto a movimenti che possono causare rotture dei tubi, con conseguente interruzione completa del servizio. Quando le operazioni erano solo manuali, il tempo minimo necessario per la sostituzione del tubo rotto era di circa 72 ore. Dall’inizio del funzionamento fino agli ultimi anni Sessanta si contavano 96 interruzioni, e la loro sequenza andava via via più serrandosi, lasciando improvvisamente senza acqua il territorio consorziale, con tutti i relativi disagi. Il 30 aprile 1968 l’assemblea consorziale deliberava la ricostruzione dell’adduttrice principale, posandone una nuova di fianco all’esistente, con la spesa preventivata di 600 milioni di lire. Si ottenevano i primi 65 milioni di contributo statale – concessi in base alla legge 11 marzo 1968 n. 1090 – per affrontare le spese di ripristino più urgente, rimandando gli ulteriori finanziamenti al programma di interventi nel quinquennio 1971-1975. Si poteva iniziare lo studio delle opere per assicurare la stabilità alla vecchia conduttura, ma ecco l’imprevedibile sconquasso del terremoto del 1976. Essendo formata con tubi di ghisa grigia, non malleabile, l’adduttrice principale subiva con conseguenze disastrose il movimento tellurico, andando incontro a uno stato di degrado tale da ritenersi irreversibile.
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Il Consorzio in un ristretto lasso di tempo doveva intervenire per più giorni ben sette volte a sostituire tratti di questa conduttura, con interruzione completa del rifornimento, senza contare i continui interventi per riparazioni eseguite in forme precarie, tramite imbragature sulle più pericolose lesioni riscontrate su numerosi tubi dell’adduttrice. Tutti i giunti a bicchiere erano stati in origine sigillati a piombo, metallo soggetto a ossidazione e conseguente sfaldamento. Non risultava possibile intervenire sui giunti, se non con provvedimenti costosissimi e di scarse possibilità di successo, ormai da tempo il vecchio tipo di giunzione a bicchiere non era più in uso, sostituito dal modello ‘Rapido’ o ‘Express’, ove la tenuta viene garantita dall’anello elastico di gomma; inoltre era praticamente impossibile operare lungo il tracciato della vecchia adduttrice che, per buona parte, si sviluppa sulla sede stradale conducente al confine di Stato. Si doveva quindi provvedere alla sostituzione della condotta, posandola su un nuovo tracciato plano-altimetrico tale da garantire un migliore servizio sotto il profilo idraulico, con l’idoneità a poter convogliare una portata superiore a quella della sola fonte Poiana, in previsione che vi potessero affluire acque a gravità da altre sorgenti.
Il progetto dell’ing. Cola Nel settembre 1977 era affidato all’ing. Raffaele Cola, Ordinario di Idraulica all’Università di Padova, l’incarico dell’esecuzione del progetto generale di ripristino dell’adduttrice principale, nonché delle opere per la captazione delle sorgenti Arpit e Tologu. Con nota dell’Assessorato regionale ai Lavori Pubblici 19 ottobre 1978, in base alle leggi 336/76, 62/76 e 63/77 si autorizzava il Consorzio alla presentazione di un progetto per il ripristino dell’adduttrice principale servente i Comuni consorziati e la captazione della sorgente Arpit, per un importo complessivo di 1.500.000.000 di lire; l’elaborato dell’ing. Cola era redatto in data 2 novembre 1978 e il 16 febbraio 1979 gli era affidata la direzione lavori del progetto esecutivo finanziato con Legge Regionale 62 (interventi straordinari), per un ammontare di 1.539.154.734 lire.22 La sostituzione della condotta adduttrice, la più importante e la più onerosa tra le opere previste per il potenziamento dell’acquedotto, imponeva di operare delle scelte su tre caratteristiche principali: il diametro, il materiale, il tracciato. Il diametro era scelto in base al presupposto di poter derivare la portata di 200 l/secondo, che con grande probabilità si riteneva potessero dare congiuntamente le tre sorgenti interessate alla captazione per gravità (Poiana, Arpit e Tologu).
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Lo studio per la scelta dei materiali era più laborioso. Scartato subito l’impiego dell’amianto cemento che non dava sufficiente sicurezza di resistenza meccanica nella zona da attraversare, l’esame si restringeva ai materiali metallici, cioè la ghisa e l’acciaio. Quest’ultimo, essendo i vari tronchi saldati tra loro ha il vantaggio di non presentare il pericolo dello sfilamento dei giunti, ma per il limitato spessore richiede notevoli protezioni attive. Invece la ghisa è maggiormente resistente a fenomeni di ‘corrosione diffusa’ anche se, sia pure in misura più attenuata per la presenza dei giunti, è soggetta all’azione di corrosione localizzata. Si procedeva pertanto a una misura della resistività dei terreni da attraversare per valutare il pericolo della corrosione e, Locandina di invito alla conferenza del prof. Raffaele Cola sul progetto per il potenziamento dell’Acquedotto Consorziale, che si sarebbe tenuta il 30 novembre 1979.
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risultando questa da escludersi, si preferiva la ghisa, limitando l’acciaio agli attraversamenti del Natisone, in quanto materiale che non teme sollecitazioni dovute a eventuali assestamenti del terreno. Il tracciato era scelto in modo da evitare la zona franosa che poteva comportare pericoli di sollecitazioni eccessive ai tubi e, quando possibile, anche quella con affioramenti rocciosi, per i forti costi di esecuzione degli scavi. Inoltre, occorreva evitare che la tubazione si trovasse a quote eccessivamente vicine a quelle piezometriche di esercizio e di disporre per lunghi tratti le condotte in corrispondenza della strada statale 54, per le notevoli difficoltà di messa in opera; erano previsti cinque attraversamenti del Natisone. La presentazione ufficiale del progetto di potenziamento alla cittadinanza avveniva il 30 novembre 1979, nell’aula magna del liceo classico di Cividale, da parte dello stesso redattore. L’estenuante iter burocratico aveva inizio l’anno 1981. Il progetto generale dell’opera, redatto dall’ing. Cola in una ulteriore versione il 23 marzo 1982 e approvato dal Comitato Tecnico Regionale nella seduta del 1º luglio seguente, aveva un costo preventivato di 4.400.000.000 di lire. Nel giugno 1983 perveniva la comunicazione ufficiosa della concessione da parte della Cassa Depositi e Prestiti del mutuo di 430 milioni, necessario per dare corso al 2º stralcio dei lavori di ripristino dell’adduttrice principale, dell’importo totale di 1 miliardo.
Primo lotto dei lavori dell’adduttrice I lavori del primo lotto riguardavano la costruzione di un tronco di adduttrice tra i P. 80-142, per uno sviluppo complessivo di circa 3 chilometri, dall’abitato di Loch fino a Perovizza, al confine tra i Comuni di Pulfero e di San Pietro al Natisone. Il progetto prevedeva anche la realizzazione del primo lotto del manufatto di raccolta presso le sorgenti dell’Arpit, che però non si poteva intraprendere non essendo ancora pervenuta la concessione per lo sfruttamento della sorgente. Invece si aveva, prima del previsto, la possibilità di convogliare nella condotta adduttrice da 600 mm le acque della sorgente Tologu. Il relativo manufatto di raccolta, che era la terza opera nel programma di realizzazione, era pertanto inserito nel 1º stralcio lavori. Al 9 giugno 1981 lo stato dei lavori vedeva la realizzazione della briglia di sostegno ortogonale al corso del Natisone a nord di Stupizza, quale difesa dell’adduttrice, e la posa di 600 m di conduttura in località Stupizza.23 L’elaborato originario prevedeva di attraversare il nodo stradale Loch-Tarcetta-Montefosca passando nell’alveo del Natisone, con tracciato radente al-
la sponda destra e superamento della sponda stessa a valle del ponte in ferro, per ritornare sulla strada turistica di Tarcetta, presso il P. 90. Questo tracciato dava però origine ad alcune perplessità, valutate anche in fase di progettazione, relative allo scavalcamento dello sperone roccioso a monte del ponte, investito direttamente dal filone della corrente del fiume. Con la scorta di nuove verifiche e controlli più approfonditi, era valutata l’alternativa di risalire il costone con un tratto di tubatura in acciaio per ridiscendere lungo il versante sud del suo crinale, sempre con elementi di acciaio ancorati e protetti nel calcestruzzo. Preso atto che la prima soluzione era la più accettabile dal punto di vista idraulico e funzionale, ma al tempo stesso più costosa e dannosa per l’aspetto paesaggistico della zona, ci si orientava sulla seconda ipotesi, che prevedeva il superamento dello sperone lungo la sua dorsale. Questa modifica, apportata tra i P. 80 e 90 del tronco iniziale, comportava una modifica delle spese preventivate per i lavori in roccia, compensate però dalla sensibile riduzione nei volumi dei calcestruzzi, per l’abbandono delle opere di difesa nell’alveo del fiume. Un’altra scelta riguardava l’attraversamento del rio Zapostadum in Podvarchis. Scartata a priori la possibilità di porsi sulla strada, per non intaccare le strutture già precarie del vecchio ponte in muratura di pietrame ed evitare di costruire una curva a sviluppo troppo chiuso, era deciso di superare il rio con un nuovo manufatto pensile di struttura indipendente e a contatto del vecchio ponticello, verso valle. In tal modo si assicurava alla condotta un percorso planimetrico più regolare, senza compromettere l’assetto e il grado di conservazione dell’esistente manufatto.24
Secondo lotto dei lavori dell’adduttrice Il secondo lotto dei lavori per il potenziamento prevedeva la realizzazione di un tronco della nuova condotta adduttrice dall’opera di presa Arpit alla P. 126 in frazione di Brischis.25 Quale conseguenza dell’incalzante lievitazione dei costi, si doveva ridurre di circa 1600 metri il percorso del secondo stralcio, per contenere la spesa nei limiti consentiti dal finanziamento, redigendo un’apposita perizia suppletiva e di variante. La ricostruzione di un tratto di condotta dello sviluppo di 3.000 metri, con tubazioni di ghisa sferoidale del diametro di 600 mm, da Perovizza a S. Pietro al Natisone avveniva nel 1984.26 I lavori erano soggetti a una battuta di arresto per i freddi invernali e varie difficoltà amministrative-burocratiche; fino all’aprile 1985 la condotta ricostruita era pari alla lunghezza di 7.500 metri.
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Per questo lotto, secondo il progetto approvato il 10 giugno 1984, vi era la variante del trasferimento dell’adduttrice dalla sponda sinistra alla destra del Natisone, con la costruzione della relativa briglia tra Tiglio e Vernasso. Nei primi due stralci di lavori era realizzata la condotta compresa fra la sorgente dell’Arpit e la località Oculis, per complessivi 9.850 metri, superando diverse difficoltà topografiche con la costruzione di numerose opere in cemento armato, fra le quali quattro briglie di difesa di altrettanti attraversamenti del Natisone.
Terzo lotto dei lavori dell’adduttrice Il 1º settembre 1986 iniziavano i lavori del terzo stralcio di ripristino dell’adduttrice principale, per ulteriori 3 km, iniziando in Comune di San Pietro al Natisone, un chilometro a valle del Borgo Spagnut, sviluppandosi dapprima lungo la strada comunale Vernasso-Borgo Spagnut e seguendola fino all’abitato di Vernasso di Sotto. Era compreso l’attraversamento del torrente Potoc, con una struttura pensile e indipendente, in aderenza all’impalcato del ponte sulla strada Ponte San Quirino-Tarcetta, sfruttando l’appoggio delle esistenti murature di spalla del manufatto. L’indagine geologica sulla natura e consistenza dei terreni interessati dalle nuove strutture portava a porre in atto dei provvedimenti di consolidamento delle murature, mediante ancoraggi con tiranti di acciaio e l’allargamento dei basamenti delle strutture di fondazione. Nel corso dell’appalto, una piena eccezionale del fiume Natisone, con la causa concomitante e accidentale dello spostamento del filone del fiume, investiva un tratto di circa 300 metri di tubazione dell’adduttrice del diametro di 600 mm in un tronco a monte, in parte rimuovendolo ed esponendo la condotta al pericolo immediato e di altri eventi futuri; si interveniva urgentemente con opere di difesa e con la rimozione e ricollocamento in opera della condotta. Le opere di posa dell’adduttrice, finanziate dalla Segreteria Straordinaria Regionale, nel giugno 1987 giungevano fino in località Soravilla, nei pressi di Sanguarzo, per un totale di 12.550 metri. Dopo aver accertato una considerevole modificazione dell’assetto orografico dell’alveo del fiume con notevole abbassamento dello stesso, che provocava una consistente erosione della soglia della traversa a sostegno della condotta in alveo, erano necessari dei lavori di presidio migliorativi della briglia di Stupizza, secondo il progetto dell’ing. Cola redatto il 17 gennaio 1986;27 le relative opere iniziavano il 6 luglio 1987.
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Quarto lotto dei lavori dell’adduttrice Per il quarto stralcio, il 20 novembre 1987 la Giunta Regionale deliberava il contributo di 1 miliardo di lire, anche in questo caso la progettazione esecutiva e la direzione lavori era affidata al prof. Cola, coadiuvato dal geom. Mario Tubetto di Udine per la tenuta della contabilità. I lavori, secondo il progetto del 10 dicembre 1987, prevedevano la posa di un tronco di 2.550 metri di adduttrice, iniziando dal terminale del lotto precedente, Soravilla (P. 240), sviluppandosi per buona parte su terreni privati – quasi pianeggianti e quindi non comportanti onerose opere sussidiarie come quelle richieste nei tratti precedenti – fino a casali Pittioni (P. 301). La consegna dei lavori avveniva il 6 febbraio 1989, nel giugno seguente il quarto stralcio risulta interamente eseguito; per raggiungere il serbatoio di Monte dei Bovi mancava solo una tratta di 200 metri. Il 15 settembre 1989 era redatta una prima perizia suppletiva e di variante, che prevedeva il completamento dell’adduttrice dal P. 301 al serbatoio, in armonia con le previsioni del progetto generale, attingendo ad alcuni risparmi realizzati nel corso dei lavori. L’ultimazione dei lavori avveniva il 29 dicembre 1989. Con un’ulteriore perizia del 18 aprile 1990 si potevano portare a compimento anche alcuni lavori urgenti e indifferibili all’interno della camera di manovra del serbatoio e altre opere di presidio dell’area occupata dal manufatto, assicurando così una maggiore funzionalità e sicurezza all’impianto.28
IL RIATTO DELLE OPERE DI PRESA Per il ripristino delle opere di presa era approvato il progetto, con atto del direttore regionale dei Lavori Pubblici del 7 maggio 1979, su un preventivo di 30 milioni e con decreto 28 settembre 1983 era approvata la perizia suppletiva e di variante. I lavori erano ultimati il 17 gennaio 1984.29
IL LOGO La Commissione amministratrice nel 1982 approvava il logo del Consorzio Acquedotto Poiana, rappresentante una poiana in atto di erogare acqua da una saracinesca, con a fianco una combinazione delle lettere ‘CAP’,30 realizzazione di Lorenzo Procaccioli, che aveva prestato servizio in acquedotto quale Vigile del Fuoco ausiliario, nel periodo post-terremoto. Credo sia bene chiarire che si tratta di un traslato, ovvero la denominazione della sorgente nel logo è
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Dal 1982 il Consorzio Acquedotto Poiana è stato caratterizzato da un logo, rappresentante una poiana fieramente eretta su una saracinesca, dalla quale sgorga un abbondante getto d’acqua, affiancata da una combinazione grafica delle lettere ‘C A P’.
stata abbinata al fiero rapace per l’ovvia coincidenza con il nome, con il quale in realtà non ha alcun legame, in quanto – come è già stato sottolineato in precedenza – il toponimo Poljana significa ‘campagna, luogo pianeggiante’.
GLI AMMINISTRATORI DAL 1980 Nel 1985 era riconfermata la Commissione attivata nel mandato precedente, composta da Giuseppe Pascolini, Livio Braidotti, Giuseppe Lizzi, Francesco Miani, Italo Taviano, segretario il direttore rag. PierLuigi Paluzzano. Il 18 gennaio 1991, per scaduto mandato amministrativo, era eletto presidente del Consorzio il sindaco di Buttrio Silvano Passon, nominato presidente della Commissione Amministratrice (C. A.) Giuseppe Pascolini, i membri del mandato 1990-1995 erano Marino Ermacora di Lauzacco, Italo Taviano di Trivignano, Livio Braidotti di Manzano, Francesco Miani di Cividale; revisori Roberto Zanini, Luigi Pellizzer, Romeo Namor. Il 16 gennaio 1995 pervenivano le dimissioni, per intervenuta incompatibilità, da parte del Presidente della Commissione Amministratrice e del rag. Marino Ermacora, era nominato Presidente della C. A. il geom. Livio Braidotti di Manzano; la surroga dei componenti della C. A. avveniva con Franco Deganutti di Cividale e Rino Calligaris di Pavia di Udine. Nel giugno 1995, in qualità di componente anziano, assumeva la presidenza dell’Assemblea il sindaco di
Giuseppe Pascolini, al vertice consorziale dal 1980 al gennaio 1995.
Cividale Giuseppe Bernardi, nel dicembre successivo per il mandato amministrativo 1995-1999 veniva nominato presidente del Consiglio di Amministrazione Paolo Marseu, i cui componenti erano Renzo Lupi di Gorizia, Michele Coceani di Cividale, Mario Causero di Orsaria, Fabrizio Picotti di Cividale. Nell’anno 2000 il sindaco di Cividale Attilio Vuga assumeva la presidenza dell’Assemblea, per il quinquennio 2001-2006 era nominato presidente del Consiglio di Amministrazione Paolo Marseu e componenti Mario Causero, Michele Coceani, Renzo Lupi, Fabrizio Picotti. Il rinnovo delle cariche sociali, per un triennio dal 2006, portava alla riconferma di Paolo Marseu, Mario Causero e Michele Coceani, con Graziano Tilatti e Cristina Cecotti; collegio sindacale: Roberto Zanini presidente, Antonio Gonano e Renato Tedeschi. Nel 2007 vi era l’inserimento del Sindaco di Cividale Attilio Vuga nel Consiglio di Amministrazione dell’Autorità d’Ambito ATO (Ambito Territoriale Ottimale) Centrale Friuli. Nel 2009 era riconfermato il medesimo Consiglio di Amministrazione nonché il presidente, per un solo esercizio sociale, anziché un triennio. Dal 2010 il Consiglio di Amministrazione, limitato a tre componenti, risulta formato da Paolo Marseu, Graziano Tilatti e Attilio Vuga, quest’ultimo nominato presidente dello stesso.
L’EVOLUZIONE DEI FABBISOGNI IDRICI Nel territorio dei Comuni consorziati vi era stata una consistente dilatazione dell’industrializzazione. Mentre per gli usi d’acqua necessari nei processi produttivi e di prevenzione incendio il Consorzio declinava l’onere del rifornimento e le varie industrie soddisfavano autonomamente tali esigenze idriche, doveva invece provvedere alle necessità idro-potabili per gli uffici, servizi, mense, ecc. La modificazione della struttura socio-economica faceva convergere nell’areale consorziale una gran massa di lavoratori pendolari, che si valutava pari a un quinto della popolazione residente. Anche l’aumento di quest’ultima superava la previsione espressa nel Piano Regolatore Generale degli Acquedotti (PRGA) – redatto in base alla legge 4 febbraio 1963 n, 129 –, in quanto nel censimento del 1961 era di 42.118 unità e per il 2015 era stimata in 49.200 unità, mentre nel 1984 si attestava già a 51.214 unità. Un ulteriore elemento che concorreva a rendere necessario il miglioramento del corpo idrico disponibile era l’ammodernamento e il potenziamento delle caserme. Si aggiungevano le necessità connesse alla ricostruzione del Friuli imposta dal terremoto del 1976 che, oltre ad aumentare la richiesta idrica, aveva fatto nascere forti preoccupazioni per gli inquinamenti.
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Per far fronte alle richieste più pressanti, oltre a spingere al massimo il prelievo della falda di San Nicolò di Manzano – affrontando i relativi alti costi di produzione –, il Consorzio era costretto a interventi tampone, quali allacciamenti temporanei presso altri Enti e la riattivazione di vecchi pozzi superficiali abbandonati nel passato: nel 1986 erano funzionanti, con carattere di provvisorietà, i pozzi locali di Pradamano, Ziracco, Trivignano, la derivazione dalla sorgente Montina e l’allacciamento al Consorzio ZIU di Udine. Il Consorzio affidava all’ing. Raffaele Cola la ricerca e la redazione degli strumenti progettuali per una soluzione definitiva, sia del reperimento del corpo idrico sia del suo assetto distributivo. I progetti, approvati dal Comitato Tecnico Regionale, comportavano la richiesta di modifica al PRGA, al fine del ridimensionamento e dell’adeguamento delle dotazioni idriche rapportate alle effettive necessità e alle ipotesi progettuali. La disponibilità in uso indicata nel PRGA del 1967 da acquedotti esistenti era di 187,5 litri/secondo, la dotazione progettuale riferita all’anno 2015 la innalzava a 259. Dopo una ponderata valutazione delle possibili ipotesi, nel 1986 il Consorzio individuava come mezzi di innalzamento della portata l’uso di un’entità d’acqua pari a 25 l/secondo traibili dalla fonte di Molino di Bosso in concessione al Consorzio per l’Acquedotto Friuli Centrale e altri 50 l/secondo dalla sorgente Arpit.31
UN’ISTANTANEA DEL 1984 La situazione nell’anno 1984, relativamente all’approvvigionamento dell’acqua nei Comuni consorziati, è la seguente: Da sorgenti (Poiana) . . . . . . . . 2.838.240 mc (metri cubi) Da pozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.134.870 mc Acquistati da altri Enti . . . . . . . . 914.540 mc Quantità complessiva immessa in rete 7.887.650 mc, quantità distribuita 5.702.861 mc, conseguente perdita di rete 2.184.789 mc (pari al 27,6%). Quantità sopraelevata totale 4.352.820 mc. Spesa complessiva per energia elettrica occorsa nel 1984 per 3.375.441 Kw di 365.621.759 lire. Sviluppo della rete adduttrice e di distribuzione suddivisa per diametri: Sino a 100 mm . . . . . . . . . . . . . . . . . .258.476 m Da 101 a 200 mm . . . . . . . . . . . . . . . . 72.830 m Da 301 a 400 mm . . . . . . . . . . . . . . . . 23.980 m Da 401 a 500 mm . . . . . . . . . . . . . . . . 19.600 m Oltre 500 mm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.700 m Totale 389.046 m Pressione media a cui l’acqua viene distribuita: 3,9 atm Quantità massima giornalmente distribuita nel 1984: 28.122 metri cubi.32
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UN NUOVO STATUTO DI TRAVAGLIATA GESTAZIONE Nel 1966 si costituiva un’apposita Commissione per formulare concrete soluzioni sul Regolamento Speciale dell’Azienda, ancora fermo al contenuto del 1932, tenendo conto delle particolari situazioni dei singoli Comuni, ma ogni decisione era rimandata a dopo aver ultimato il potenziamento dell’acquedotto. Un’altra Commissione, nominata nel 1969,33 si limitava a presentare una relazione sull’art. 68. Troppo poco per poter procedere, quindi ecco un nuovo gruppo di lavoro, scaturito dalle nomine del 1972.34 Si chiedeva un parere in merito allo Statuto e Regolamento dell’Azienda all’avv. Antonio Fiorentin, nominato consulente con deliberazione del 28 maggio 1975. Secondo questo professionista il Consorzio non era un’azienda municipalizzata, in quanto era stato il Consorzio stesso a decidere di conseguire i propri fini a mezzo di una Azienda speciale Municipalizzata, gestita dalla Commissione Amministratrice. Le Aziende Municipalizzate erano sorte per superare l’appesantimento della gestione derivante dalla necessità per i Comuni di dover adottare per ogni decisione o spesa un apposito atto deliberativo di Giunta o di Consiglio, come tale soggetto al controllo di legittimità. La Commissione Amministratrice, composta da un ridotto numero di componenti (da 3 a 7 secondo l’importanza) consentiva riunioni celeri e quindi più aderenti al carattere industriale dell’Azienda.35 La Commissione di studio su statuto e regolamento si riuniva undici volte, ma gli incontri non bastavano a dirimere tutti i dubbi sul testo elaborato. Sulla parte legale della bozza era chiesto di esprimere un parere all’avv. Quercig, per il quale il Consorzio e l’Azienda Speciale sono due Enti distinti. Il Consorzio viene prima dell’Azienda, è infatti esso che delibera di costituire una Azienda Speciale per la gestione dell’acquedotto. Il Consorzio ha personalità giuridica, è costituito da enti pubblici consorziati, ha autonomia patrimoniale e funzionale, ha organi propri. L’Azienda Speciale è costituita dal Consorzio, non ha personalità giuridica, ma ha una sfera giuridica distinta da quella del Consorzio che l’ha costituita. Ha una capacità negoziale autonoma nei limiti concessale dal Consorzio. Ha la disponibilità di un patrimonio, organi propri. Vi sono due patrimoni, uno del Consorzio e uno dell’Azienda. (…) Si decideva di sottoporre la bozza all’Assemblea consorziale, per esaminarla collettivamente.36 Il sisma del 1976 modificava profondamente la priorità dell’attività consorziale, lo statuto indietreggiava rispetto agli enormi problemi pratici posti dal terremoto. Per l’ingresso nel Consorzio del Comune di San Pietro al Natisone, nel 1989 si rendeva necessario modificare l’articolo 12 dello statuto e gli articoli 51 e 52 del regolamento.
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La discussione della bozza di statuto era ripetutamente inserita all’ordine del giorno delle assemblee consorziali del 1992 e 1993; in essa si recepivano le indicazioni fornite dai segretari comunali, si modificava sulla base delle convergenze ottenute nelle riunioni e negli incontri con gli organi regionali, comunali, nonché con consulenti esterni, si sollecitava i soci a presentare eventuali proposte modificative. L’entrata in vigore del nuovo Statuto Consorziale si aveva il 1º gennaio 1995. Già l’anno successivo, per porre il Consorzio nelle condizioni di poter gestire anche il servizio di fognatura e di depurazione in base alla legge 142/90, si rendeva necessario modificare lo Statuto, estendendo i suoi scopi all’intero ciclo dell’acqua.37
LA SORGENTE ARPIT I costi di gestione delle stazioni di sollevamento salivano progressivamente e la crisi energetica del 1974, con i conseguenti stratosferici aumenti della forza motrice determinava spese di approvvigionamento dell’energia elettrica talmente onerose che l’amministrazione consorziale, anche nello spirito delle raccomandazioni del Governo relative al risparmio energetico, riteneva di diminuire tali costi integrando la portata dell’acquedotto per gravità.38 Era dunque necessario individuare una idonea fonte di approvvigionamento per captazione. A inizio Novecento, nelle pionieristiche ricerche della sorgente migliore per alimentare il nascente acquedotto consorziale, si erano esaminate tre candidature, tutte sulla strada statale da Particolare della planimetria con le opere di presa della sorgente Arpit, progetto per il potenziamento dell’acquedotto consorziale, 2 novembre 1978.
Stupizza al confine, ovvero le fonti Poiana, Naclanz e Arpit. Su quest’ultima, già nel 1898 il prof. Achille Tellini aveva compiuto approfonditi studi.39 Questa era la sua descrizione: In periodi di magra si presenta divisa in tre polle distanti l’una dall’altra alcune decine di metri, in località compresa fra la casa denominata Cristo di Blason e Casale Lusa, emergenti ai piedi di un ammasso detritico di frana delimitato a nord dall’alveo di un rio che scaturisce alcune centinaia di metri a monte, da una fenditura nella roccia e solcato al centro da un secondo rio che scorre lungo il pendio dell’ammasso stesso. In seguito alla pioggia la portata della sorgente aumenta rapidamente e le polle si allargano interessando terreni a quote maggiori. La sua condizione geologica fa si che le sue acque di percolazione profonda, che sono limpide, in periodo di piena si accompagnino acque di percolazione superficiale più torbide. Un settantennio dopo, su di essa tornava a posarsi lo sguardo indagatore dei tecnici, per svolgere uno studio idrogeologico generale e definire se le polle d’acqua tra la S.S. 54 e l’alveo del Natisone hanno origine dal fiume stesso o da una falda carsica a sé stante. Nel 1898 Tellini stimava la portata minima pari a 150 l/secondo, decisamente ottimistica, in quanto dalle valutazioni eseguite nel periodo di magra invernale del gennaio e febbraio 1976 risultava una portata media di circa 50 l/secondo; delle tre scaturigini, la coppia a valle dava la misura inferiore, trattandosi di diramazioni sotterranee della principale.
Nuove ricerche sull’Arpit Il 29 marzo 1976 il dott. Francesco Giorgetti, professore di idrogeologia all’università di Trieste, compiva il sopralluogo per determinare dove immettere nel Natisone il tracciante, necessario per scoprire la provenienza della sorgente; per la necessità di entrare nel territorio jugoslavo, si prendevano contatti con il presidente di Tolmino onde ottenere il relativo permesso.40 Si versava nel fiume l’apposita sostanza il giorno 8 aprile e l’esame del centinaio di campioni prelevati dalla sorgente, per scoprirvi la presenza del tracciante immesso, era ultimato il 16 aprile 1976. Per il tecnico Giorgetti era necessario effettuare anche alcuni sondaggi geognostici, con i quali rilevare la profondità della falda.41 Il 28 settembre 1976 il geologo comunicava che, anche dopo la seconda immissione di tracciante a monte del valico di Stupizza, l’esito delle analisi d’acqua prelevata alle sorgenti e nel fiume Natisone non poteva essere accettabile per difetto di campionatura, in quanto non vi si riscontrava alcuna sua presenza. Proponeva la perforazione di altri due assaggi a monte, in modo da stendere una planimetria esatta
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della situazione sotterranea e di eseguire prove di clorazione dell’acqua, onde ricostruire l’andamento sotterraneo della sorgente. Dopo ulteriori accertamenti, comprensivi di 16 perforazioni, il dott. Giorgetti giungeva alle seguenti conclusioni: perde sempre più consistenza l’ipotesi che la sorgente in oggetto sia in diretto collegamento con il fiume Natisone. Il bacino di alimentazione della stessa è probabilmente costituito dal massiccio calcareo del monte Nabruna e dalla parte occidentale del Monte Matajur. Questo risulta positivo per quanto concerne le valutazioni sulla potabilità dell’acqua e sulle caratteristiche di portata della sorgente di studio. L’analisi della stratigrafia dei pozzi perforati assieme alle misure di livello della falda nei pozzi e nelle sorgenti ed alle prove di marcatura delle acque eseguite nella zona subito a monte delle sorgenti ha messo in luce un sistema di circolazione sotterranea molto complessa. Le acque infatti che vengono a giorno in quest’area presentano probabilmente delle differenti caratteristiche. Un tipo di acqua è dovuto principalmente al ruscellamento superficiale che penetra nel terreno molto permeabile a monte delle sorgenti, che assume importanza quantitativa nei momenti di morbida quando viene a giorno in una lunga fascia di terreno a nord delle sorgenti vere e proprie. L’altra acqua, più importante dal punto di vista idraulico in quanto è quella che andrebbe captata per l’acquedotto e che viene a giorno nelle aree circoscritte alle sorgenti perenni, ha un percorso sotterraneo più complesso in quanto scorre all’interno della massa calcarea con modalità che non appaiono ancora completamente chiare. La sua captazione dovrà essere eseguita mediante una galleria drenante od una trincea nella zona di contatto tra il calcare e le alluvioni a meno che non sia possibile individuare con precisione il percorso sotterraneo nella massa calcarea stessa.42 L’ipotesi era dunque che l’acqua sgorgante dalle polle dell’Arpit non provenisse dal Natisone ma da un bacino a sè stante, situato a est/nord-est delle sorgenti; l’origine della sorgente era attribuita a percolazioni profonde di natura carsica: le acque meteoriche cadute sulle pendici del monte Matajur, costituito da calcari del Cretaceo, si infiltrano in fessure ed emergono alla base dei coni di deiezione dei rii o alla base degli ammassi di detriti provocati da frane di falde.
Gli studi e il progetto dell’Arpit L’Ufficio Tecnico consorziale nel 1977 predisponeva un progetto di larga massima per la captazione della sorgente in esame: l’acqua raccolta mediante un edificio di presa, filtrata e potabilizzata, mediante una conduttura in ghisa sferoidale nel diametro di 700 mm, della portata di 160 l/secondo e sviluppo di 7.700 metri, verrà convogliata al serbatoio interruttore del
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Tiglio, la cui capacità di 65 hl sarà aumentata di altri 40. Da lì, con una conduttura da 600 mm sviluppata per 7.800 metri, l’acqua giungerà al serbatoio del monte dei Bovi, la cui capacità sarà incrementata di 700 mc, in aggiunta agli esistenti 1100.43 Si dava incarico al prof. Raffaele Cola, Ordinario di Idraulica dell’università di Padova, di predisporre il progetto esecutivo dell’opera di captazione della sorgente e di una nuova condotta d’adduzione.44 Il 10 aprile 1978 si dava inizio ai lavori di costruzione del pozzo esplorativo all’Arpit, a monte della S.S. 54, in corrispondenza della striscia di terreno compresa fra la sede della strada stessa e l’ammasso detritico costituente il fianco della vallata. Si era preferita questa zona a quella dell’effettivo affioramento della sorgente, sia perché più protetta dalle piene del Natisone, sia perché si pensava, con un’opera sufficientemente profonda, di captare solo le acque scorrenti entro una massa di rocce calcari fessurate, prevista alla profondità di 5 metri dal piano di campagna. Gli scavi, approfonditi per 7-8 metri, non mettevano alla luce le previste rocce fessurate, invece si rilevava che il terreno si presentava della stessa natura alle varie profondità, ovvero materiale di frana comprendente sia argilla che grossi trovanti; la presenza di questi ultimi aveva falsato lo studio geologico, facendo pensare alla presenza di rocce calcari fessurate in cui scorrevano le acque. Si compiva un ultimo tentativo di individuazione della vena d’acqua, mediante apparecchiature di amplificazione dei suoni. Risultando infruttuoso anch’esso, data l’impossibilità di carattere economico di costruire le opere a quote inferiori a quella prevista nel progetto primitivo, il direttore dei lavori prof. Cola sospendeva gli scavi e decideva di impostare l’edificio di presa fra la S.S. 54 e il fiume Natisone, ove riteneva di avere la sicurezza del rinvenimento della falda, coincidendo con il suo affioramento.45 Era preferibile impiegare una struttura a cassoni autoaffondanti, di convenienti misure e realizzati precedentemente fuori opera, collegandoli poi fra loro, con opportuni accorgimenti tecnici, una volta raggiunta la quota di posa. Gli studi preliminari si concludevano con la presentazione alla popolazione il 1º dicembre 1979 dell’ipotesi progettuale, che aveva ricevuto l’approvazione del Comitato Tecnico Regionale il 19 gennaio 1979, affiggendo in tutti i Comuni consorziati dei manifesti divulgativi della notizia. Il Consorzio inoltrava all’Ufficio del Genio Civile di Udine la domanda di captazione della sorgente Arpit il 18 novembre 1980, registrata due giorni dopo al n. 32 del Registro derivazioni d’acqua. Le operazioni di verifica della portata della sorgente Arpit avevano conclusione il 15 settembre 1983, con esito positivo.46
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L’opposizione al progetto La popolazione dei Comuni di Pulfero e San Pietro al Natisone, assieme a Enti e Associazioni sportive e culturali delle Valli del Natisone, manifestava dissenso e forte opposizione, in particolare nell’anno 1984, allo sfruttamento della sorgente Arpit, temendo che la realizzazione del progetto avrebbe arrecato pregiudizio all’equilibrio idrologico del fiume, con danni economici, sociali e naturalistici. Il Consorzio, pur avendo rilevato dalle misurazioni effettuate negli anni precedenti che tale captazione idrica non avrebbe determinato pregiudizio di rilievo al fiume, era pienamente disponibile a utilizzarla in misura ridotta nei periodi di magra del Natisone, allorquando cioè l’acqua della sorgente Arpit fosse divenuta determinante per il regime idrico minimo del fiume e a ottemperare alle richieste dell’Ufficio Idrografico, dell’Ente Tutela Pesca e del Genio Militare. Venivano presentate delle formali opposizioni, cui il Consorzio dava risposta nei termini di legge, con le proprie controdeduzioni.47 L’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque di Venezia con le relazioni 5 luglio 1986 n. 1787 e 9 dicembre 1986 esponeva la conclusione che il mancato apporto nel Natisone dei 50 l/secondo da prelevare dall’Arpit – che ha un bacino di soli 0,235 kmq rispetto al complessivo bacino del Natisone di 288 kmq a Cividale – fosse da ritenersi ininfluente e non costituisse elemento pregiudizievole al regime idraulico del Natisone, anche nei periodi di magra o magra eccezionale. L’8 luglio 1987 perveniva al Consorzio da parte del Ministero LL. PP. la comunicazione di assentimento alla concessione per uso potabile della sorgente Arpit e del rinnovo di quella del Rio Poiana, unitamente all’autorizzazione provvisoria dell’inizio lavori nonché la dichiarazione di urgenza e indifferibilità.48
La concessione e le opere di captazione I lavori per l’opera di presa Arpit, relativi al progetto dell’ing. Raffaele Cola datato 7 dicembre 1987, erano consegnati il 9 marzo 1989; per causa di forza maggiore i lavori erano sospesi il 20 marzo seguente. Il decreto ufficiale della concessione di derivare dalla sorgente Arpit del Comune di Pulfero la portata di 0,50 moduli era emesso il 22 novembre 1990, n. 2325 Div. III/AE registrato alla Corte dei Conti il 12 giugno 1991, per la durata di settanta anni, successivi e continui, decorrenti dall’1 luglio 1984, giorno successivo alla scadenza dell’originaria concessione di 1,27 moduli già utilizzata dal Consorzio per la sorgente Poiana sin dall’origine dell’acquedotto. A garanzia dell’integrità del regime idrico del Natisone e delle attività ricreative esistenti nella vallata, era prescritto
che la derivazione doveva essere ridotta, e al limite sospesa, nei periodi di magra, quando venisse accertato presso la briglia di Stupizza che la portata del fiume Natisone, di cui la sorgente Arpit è tributaria, fosse stata inferiore o uguale a 500 l/secondo; in tal caso il Consorzio doveva far ricorso agli emungimenti dalla falda per le portate compensative.49 I lavori riprendevano il 29 novembre 1993. Con la scorta degli elementi desunti dalle prove e dai sondaggi eseguiti nell’ambito delle operazioni preliminari precedenti l’effettivo avvio dei lavori, si riscontrava la presenza di alcune lenti di depositi marnosi, intervallati dalla massiccia presenza del materiale alluvionale del fiume. Questa natura del terreno poteva favorire, nel sottosuolo, la formazione di correnti vaganti continue, per cui si riteneva opportuno sostituire la prevista tubazione in acciaio con quella di ghisa sferoidale che, disponendo di giunzioni discontinue isolate da anelli di gomma e per la sua stessa massa strutturale era molto più idonea dell’acciaio. Era necessario provvedere al cambio di materiale mediante perizia di variante, redatta il 6 dicembre 1993 dal prof. Cola, anche per finanziare gli oneri dovuti alla revisione dei prezzi maturati per la lunga sospensione dei lavori, che venivano nuovamente interrotti dal 3 agosto al 3 novembre 1994. Le strutture in calcestruzzo erano ultimate nell’estate 1995, l’ultimo getto era eseguito il 24 luglio.50 Il cantiere di lavoro per la presa alla sorgente Arpit. Le opere in calcestruzzo si realizzavano nel 1994-1995.
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Addio Arpit La captazione dell’Arpit, pur circoscritta al prelievo di 50 litri e con i vincoli garantistici dell’integrità fisica e della natura paesaggistica del fiume recepiti nel decreto interministeriale di concessione, continuava a rimanere un argomento problematico e dibattuto.51 Il progetto delle opere di completamento era redatto dall’ing. Raffaele Cola il 30 aprile 1997, riguardante la recintazione, la protezione dell’area a monte della presa e l’allontanamento delle acque meteoriche. I lavori erano consegnati il 27 agosto 1998 e ultimati il 22 febbraio 1999. Dalla campagna di analisi in corso nel 1999 presso la sorgente Arpit emergeva un inquinamento batteriologico della sorgente, che faceva prevedere ritardi nella immissione in rete delle sue acque, per la ricerca delle cause di inquinamento e per la loro eliminazione. All’inizio del 2002 si concludeva la prolungata fase di monitoraggio, il cui esito evidenziava la notevole torbidità in caso di pioggia e una vulnerabilità dell’acquifero, con la conseguente sua difficile e rischiosa utilizzazione.52 Tale situazione portava al progressivo abbandono dei progetti relativi alla sorgente Arpit.53
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Conseguentemente alla rimozione quasi completa della conduttura da Stupizza fino alla sorgente Tologu, il 17 luglio 1981 era proposto al Comune di S. Pietro al Natisone l’allacciamento della propria adduttrice al Poiana, con l’obbligo di fornirgli gratuitamente 5 l/secondo, il che era accettato.54 Inoltre, a potenziamento ultimato si intendeva provvedere all’allacciamento definitivo dell’acquedotto comunale Tologu a quello consorziale. Dopo ulteriori approfondimenti, si raggiungeva l’accordo anche su questo punto, per cui si poteva procedere con i lavori previsti dal progetto originario del 2 novembre 1978, compresa la captazione della fonte Tologu.55 In uno spirito di reciproca collaborazione, si concludeva con il Comune di S. Pietro la convenzione 28 gennaio 1982, regolamentando la posizione del Consorzio venutasi a creare con il ripristino dell’adduttrice principale. Tale Comune chiedeva al Consorzio di intervenire, con personale e mezzi tecnici, per la localizzazione di perdite occulte d’acqua nel proprio acquedotto civico.56 Nel 1985, durante la ricostruzione dell’adduttrice principale, raggiunta la località Tiglio era predisposto un allacciamento per la presa dell’acqua dalla sorgente Tologu a S. Pietro al Natisone.57
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CAPITOLO XVII
Seduta del 2 maggio 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1328. Seduta del 17 ottobre 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1364. Seduta del 23 ottobre 1970, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1444. Seduta del 20 dicembre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1526. Seduta del 20 novembre 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976. Per Risano, dato che falliva il tentativo di compiere l’attraversamento della ferrovia Udine-Palmanova, si otteneva dalla Sezione Lavori delle Ferrovie l’autorizzazione ad attraversare la linea a cielo aperto. Seduta del 10 febbraio 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1723. MANTELLI 2010, pp. 205. In ossequio a tale legge era redatto dal Consorzio il relativo Piano, nel quale fin dalla sua prima impostazione era prevista una integrazione di portata per i Comuni di Buttrio e Manzano, cfr. la “Relazione del Consorzio Acquedotto Poiana sulla variante al Piano Regolatore Generale degli Acquedotti”, 20 novembre 1986, ACAP, Delibere del Consiglio di Amministrazione, anno 1986. Seduta del 18 dicembre 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1715. Gli aspetti normativi qui sinteticamente riportati sono tratti, in particolare, da MANTELLI 2010, cap. 8, pp. 205-221. Seduta del 27 settembre 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. II, n. 2984. Seduta del 29 dicembre 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. II, n. 3020. Seduta del 29 giugno 1989, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991, punto 17 Delibere della Commissione amministratrice. Seduta del 18 dicembre 1991, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991, n. 25. Il DPR 236/88 cessava di avere efficacia con l’introduzione del DM del 26 marzo 1991 “Norme tecniche di prima attuazione del d.p.r. 24 maggio 1988, n. 236” relativo all’attuazione della direttiva CEE n 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, ai sensi dell’art. 15 della L. 16 aprile 1987 n. 183. Seduta del 14 marzo 1997, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998. Seduta del 7 agosto 1998, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998, con allegato Bilancio consuntivo 1997. Seduta del 12 gennaio 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1860. La comunicazione dello stanziamento avveniva il 24 maggio 1977, da parte dell’assessore ai LL. PP. della Regione, Seduta del 2 giugno 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1911. Seduta del 21 giugno 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2077. La data si rileva da una lettera di ringraziamento per la collaborazione prestata, inviata il 10 ottobre 1980 dal dott. Giovanni Maria Del Basso, quale Presidente del Consorzio Poiana al comm. Aldo Pecile, suo omologo del Consorzio Acquedotto Friuli Centrale, in occasione della “odierna messa in funzione dell’impianto di integrazione al serbatoio del Monte dei Bovi”, ACAP, cart. LL. PP. Arpit, fasc. Fasi progettuali anteatti. Seduta del 29 febbraio 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2594. Piano programma 1998-2000, allegato al verbale della seduta del 1 aprile 1998, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998. Dati esposti nella seduta del 27 dicembre 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2497. Seduta del 9 giugno 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2349.
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Relazione alla perizia suppletiva e di variante, lavori di ripristino dell’adduttrice principale ed opere relative alla sorgente “Arpit”, I stralcio, costruzione tronco di conduttura tra i P 80-142, 20 ottobre 1985, ACAP, cart. 1° stralcio tra P. 80 e P. 142. Dal progetto 2 novembre 1978 ing. Cola, con disegno del 7 ottobre 1980. Seduta del 14 dicembre 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2659 b. Seduta del 28 febbraio 1986, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1986, n. 2750. Con delibera del 18 settembre 1997 il Consiglio di Amministrazione deliberava di procedere alla revisione del progetto redatto dal prof. Cola datato 20 giugno 1983, al fine di dotarsi di un nuovo progetto generale organico di ristrutturazione, ampliamento e potenziamento dell’intera rete idrica di adduzione-distribuzione. Il mese successivo l’incarico di revisione era affidato allo studio INARCO, il cui elaborato di aggiornamento era approvato sotto l’aspetto tecnico ed economico dall’Assemblea consorziale nel dicembre 2000. Seduta 12 dicembre 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. II, punto 31. Seduta del 26 ottobre 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2653. La spesa finale ammontava a 47.341.525 lire. Seduta del 22 novembre 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2488. Relazione del Consorzio Acquedotto Poiana sulla Variante al Piano Regolatore Generale degli Acquedotti, 20 novembre 1986, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1986, riunione del 26 novembre n. 2817, Allegato. Seduta del 4 novembre 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2725. Seduta del 15 gennaio 1970, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1386. A formare la Commissione erano nominati Leo Bruseschi, Giuseppe Bernardis e PierLuigi Paluzzano. Seduta del 25 agosto 1972, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1572. A formare la Commissione erano nominati Mario Franzolini, Leo Bruseschi, Natalino Candotti, Guido Meiorin. Seduta del 28 maggio 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976. Seduta del 21 aprile 1976, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978. Nella seduta del 10 dicembre 1996 erano approvate le modifiche statutarie riguardanti gli art. 1, 42 bis, 42 ter, 42 quater; art, 3, commi 2 e 3 sono abrogati, art. 3 bis, 3 ter, 3 quater. Art. 7 bis della convenzione allegata allo Statuto, ACAP, Delibere Assemblea Consorziale 1996, punto 20. Il Consorzio calcolava i costi unitari di energia elettrica per il sollevamento di un metro cubo d’acqua per utilizzazione potabile pari a 100 lire, cui andavano sommati gli oneri di manutenzione ordinaria, straordinaria e di ammortamento, quantificati in altre 30 lire. L’ipotesi di un emungimento di 50 litri/secondo per un periodo di 9 mesi all’anno avrebbe comportato un risparmio in termini economici di 160 milioni annui, dati riportati in “Relazione per l’on. Consiglio Provinciale di Udine sul progetto di potenziamento dell’acquedotto mediante la captazione della sorgente Arpit”, 22 marzo 1984, ACAP, cart. Istruttoria Arpit. TELLINI 1908, pp. 5-6. Seduta del 31 marzo 1976, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978. I sondaggi erano affidati alla ditta Terratest di Tricesimo, seduta del 12 agosto 1976, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1836. Seduta del 12 gennaio 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1860. La relazione del prof. Giorgetti è dell’1 dicembre 1976. Progetto di larga massima per il potenziamento dell’acquedotto consorziale del Poiana mediante la captazione della sorgente Arpid (Sic!), 21 marzo 1977, ACAP, cart. LL. PP. Arpit. Il prof. Cola accettava l’incarico con nota 6 ottobre 1977, Seduta del 12 gennaio 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1931.
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Seduta del 3 aprile 1980, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2172 e del 21 luglio 1980, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2227. In aggiunta alla misurazione effettuata il 23 febbraio 1982 dall’Istituto di Idraulica dell’Università di Padova, con nota del 24 giugno 1982 l’Ufficio Idrografico del Magistrato alle Acque di Venezia chiedeva di eseguire ulteriori misure. Queste si effettuavano il 15 luglio e 2 settembre 1982 e 10 marzo 1983, tralasciando le due polle secondarie in quanto l’acqua che scaturiva dalla sorgente principale era di gran lunga superiore alla prevista utilizzazione. Per maggiore sicurezza si compiva una ulteriore misurazione definitiva di ricognizione il 15 settembre 1983. La portata minima misurata in tre anni era pari al 90 l/secondo, la conduttura adduttrice era tarata al fine di non convogliare più di 70 l/secondo e di conseguenza tutta la portata eccedente si sarebbe lasciata defluire nel Natisone, da “Relazione aggiuntiva di misurazioni di portata della sorgente Arpit in Comune di Pulfero”, 20 ottobre 1983, ACAP, cart. Istruttoria Arpit, fasc. Padova. Il materiale, comprese le opposizioni presentate entro e fuori termine presso l’Ufficio del Genio Civile di Udine oppure agli Uffici Comunale ove era stata affissa l’ordinanza 14 febbraio 1984 del Genio Civile di Udine, è raccolto in uno specifico cartolario, in ACAP, cart. Opposizioni captazione Arpit. Le opposizioni erano anche espresse in una pubblica audizione tenutasi presso il Municipio di Cividale. Seduta del 26 maggio 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2854. L’amministrazione regionale, dopo aver valutato attentamente i vincoli e le condizioni proposte dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, rendeva il proprio parere favorevole all’assentimento della derivazione da parte del Ministero dei LL. PP. con deliberazione 30 settembre 1988 n. 5014. Per il controllo delle portate del Natisone alla briglia di Stupizza, attuato mediante una soglia stramazzante, era prevista una lettura dell’acqua alla soglia anche con un registratore ad ultrasuoni che, mediante la chiusura di un circuito elettrico, quando la portata sarebbe scesa sotto i 500 l/secondo, avrebbe inviato un segnale di avvertimento per la chiusura della saracinesca posta sulla condotta di derivazione dell’Arpit, in modo che l’acqua fluisse interamente nel Natisone; questo progetto di telerilevamento era elaborato dal prof. Raffaele Cola il 22 febbraio 1988, ACAP, cart. LL. PP. Arpit. In seguito il prof. Cola, al fine di dare applicazione a tale disposizione, il 30 aprile 1997 elaborava un ulteriore progetto di monitoraggio, comportante anche alcune modifiche al coronamento della briglia di Stupizza, con un dispositivo per il facile controllo della portata del fiume, con cui verificare se fosse superiore o inferiore a 500 l/secondo e quindi far si che l’acqua della sorgente venisse immessa nella conduttura, fermo restando il limite massimo di 50 l/secondo o lasciata defluire nel Natisone. La relazione di ultimazione delle strutture in calcestruzzo semplice ed armato era elaborata il 19 settembre 1995 dall’ing. Raffaele Cola, il collaudo era eseguito il 12 dicembre 1995 dall’ing. Guido Frossi, ACAP, cart. Costruzione Opere Presa Arpit. All’inizio dei lavori di captazione della sorgente Arpit, nell’aprile 1994, il “Comitato permanente per la difesa del fiume Natisone” promuoveva varie iniziative esprimenti contrarietà alla loro prosecuzione, compresa una nuova raccolta di firme tra chi riteneva di opporsi a tale progetto. Seduta del 27 giugno 2002, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea 2002 (17-33) . L’abbandono era confermato nella seduta del 20 marzo 2008, ACAP, Verbali delle delibere Assemblea azionisti n. 1, verbale n. 18. Seduta del 7 agosto 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2389. Seduta del 7 ottobre 1981, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1980-1981, n. 1. Seduta del 25 giugno 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2449. Seduta del 10 settembre 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2714.
XVIII CAPITOLO DICIOTTESIMO
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I NUOVI POZZI I pozzi di San Giorgio Il Consorzio, con l’intento di mettere a disposizione della Comunità altre risorse idriche destinate al consumo umano sicure e affidabili, nel 1987 intraprendeva la ricerca di una falda acquifera nel triangolo RualisGagliano-Grupignano, posto a nord delle discariche civili e industriali del Cividalese e del triangolo della sedia, protetto dalla fascia collinare pedemorenica a flora spontanea e pressoché privo di coltivazioni tecno-umane. Tali falde, una volta individuate, si sarebbero potute riservate anche per l’eventuale sfruttamento in caso di calamità.1 L’ing. Alberto Mazzuccato, geologo e associato di risorse idriche all’università di Padova e il prof. Cola esaminavano lo studio idrogeologico della bassa valle del Natisone eseguito dall’Osservatorio Geofisico Sperimentale di Trieste nel 1975, nel contempo si contattava a Piacenza la ditta specializzata Massarenti, che scartava l’ipotesi di praticare dei pozzi spia, inidonei sia alla ricerca sia alla determinazione della potenzialità idrica. Per il primo pozzo di studio e di sfruttamento la tecnica di perforazione più adatta risultava quella a percussione, con esecuzione in opera dei filtri, in modo
da captare una o più falde predeterminate sulla base dei risultati ottenuti nel corso della perforazione.2 Il sito ove procedere alla terebrazione del pozzo di studio ed emungimento si individuava nella località di San Giorgio, presso Rualis di Cividale. Dopo aver ottenuto la disponibilità del proprietario del mappale, il 4 dicembre 1987 iniziava la trivellazione, che continuava fino al giorno 23, per poi riprendere il 4 gennaio 1988. Il 9 gennaio uno dei grossi spinotti d’acciaio della sonda si spezzava, una parte si conficcava tra la sonda e la parete del pozzo, imprigionando la sonda stessa. I complessi lavori di recupero della sonda con nuove attrezzature pervenute direttamente da Piacenza si concludevano dopo una settimana. La profondità raggiunta il 26 gennaio era di 81,50 m sotto il piano di campagna, attraversando terreni costituiti essenzialmente da conglomerati in parte compatti e in parte fessurati, di consistenza dura o durissima. Erano attraversate tre falde acquifere: la prima, a 60 m molto povera in quanto già a 62 m non c’erano più tracce d’acqua, la seconda da 67 a 73 m con una certa presenza d’acqua; la terza falda si riteneva L’area con i pozzi dell’acquedotto Poiana terebrati in località San Giorgio di Cividale del Friuli. Sullo sfondo, a destra si vedono i filtri a carboni attivi.
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iniziasse da 76 metri.3 Trattandosi di un pozzo in primo luogo di studio, si procedeva a raccogliere e collezionare una accurata campionatura del materiale estratto. La marna, a fine pozzo, si ritrovava alla profondità di 120 m dal piano di campagna anziché ai previsti 80. Le previsioni di potenzialità erano buone, così pure la potabilità dell’acqua di falda.4 I lavori si concludevano a tutti gli effetti il 24 marzo 1988, con la sigillatura e cementazione esterna del pozzo; la potabilità dell’acqua prelevata era accertata sia chimicamente che batteriologicamente. L’anno successivo si programmava l’esecuzione di un secondo pozzo e di uno studio geofisico e idrogeologico per la definizione della potenzialità dell’acquifero della zona, avviato il 26 giugno 1990 dalla Regione Friuli Venezia Giulia. 5 Il 26 ottobre 1992 l’Assemblea approvava il progetto redatto dall’Ufficio Tecnico Consorziale, per la realizzazione delle opere di derivazione della falda idrica di campo San Giorgio.6
Una nuova elettropompa a San Nicolò di Manzano Al fine di migliorare la dotazione idrica, il 28 luglio 1994 era posta in opera una elettropompa per acquisire ulteriori 20 l/secondo a San Nicolò di Manzano.7 La nuova stazione di quella località svolgeva in forma completamente automatizzata tutte le operazioni di prelievo, invaso e trattamento del 60% delle acque necessarie al Consorzio per i rifornimenti idrici del territorio. Era realizzata con la fondamentale prerogativa del massimo risparmio e significativo è il dato riferito ai consumi di energia elettrica: nel triennio 1980/82 faceva registrare un consumo di 3.756.000 kWh annui, mentre nel 1994 si raggiungeva una diminuzione quantitativa del 20%.8
Il terzo pozzo di San Nicolò All’inizio dell’estate 1999 era messa in funzione, provvisoriamente, una pompa ausiliaria da 40 l/secondo nel terzo pozzo di San Nicolò, per garantire un maggior approvvigionamento idrico nell’arco della stagione estiva. A settembre era prevista l’installazione di una nuova pompa della portata di 215 l/secondo. Nel secondo semestre 1999 iniziava il programma attuativo di telecontrollo dei manufatti principali di sollevamento e accumulo, consistente nel collegamento in continuo delle unità remote (stazioni di sollevamento e rilancio, serbatoi e nodi idraulici principali della rete acquedottistica) con la sede consorziale. Ciò avrebbe consentito, in tempo reale
e in continuo, di conoscere lo stato di funzionamento dell’unità remota e di intervenire in caso di malfunzionamento con la massima rapidità, in modo da evitare il più possibile disagi all’utenza. La fase di attuazione del sistema di telecontrollo era completata nel 2001 e da allora gli impianti acquedottistici possono essere seguiti direttamente dalla sede di Cividale, compresa la misurazione dell’acqua fuoriuscita dal serbatoio del Monte dei Bovi.
Attenzione al risparmio Perseguendo la riduzione dei costi per l’energia, nel 2000 il Consorzio aderiva al costituendo Consorzio Friuli Energia, promosso dall’Associazione Industriali della Provincia di Udine, ai sensi del decreto Bersani sulla liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica, al fine di poterla acquistare a costi inferiori a quelli praticati dal gestore unico. Riguardava solo le utenze con potenza impegnata superiore a 1000 kW, quale il pozzo a San Nicolò di Manzano,9 che dal 1º luglio 2000 usufruiva di prezzi più bassi per l’energia elettrica utilizzata. Un ulteriore passo è rappresentato dalla realizzazione di impianti fotovoltaici, allestendone uno nell’area di captazione di San Giorgio; risulta di prossima attivazione quello del pozzo di San Nicolò.
NUOVE TECNICHE DI RICERCA DELLE FUGHE Nel 1997 si rilevava che, in base agli interventi di riparazione effettuati nel corso degli ultimi anni, le perdite per il 40% riguardavano il degrado naturale del materiale e per il 60% erano danneggiamenti provocati da incauti scavi nelle aree di rispetto delle tubazioni idriche. Sussistevano problematiche di ricerca e riparazione delle perdite e sulle conseguenti implicazioni di responsabilità civile e penale. La ricerca basata su tecniche di auscultazione a mezzo di geofoni, a causa dell’aumento del traffico stradale risultava sempre più difficoltosa. L’applicazione dei filtri alle apparecchiature per circoscrivere le frequenze dei rumori dovuti a perdite idriche falsava la provenienza degli stessi, determinando tempi sempre maggiori per una precisa localizzazione, che in taluni casi poteva essere effettuata solo con ‘assaggi’. In generale le perdite erano più numerose in terreni argillosi che in quelli sabbiosi, perché notoriamente i primi ‘lavorano’ più dei terreni sabbiosi con il variare periodico della capacità idrica, ovvero della quantità d’acqua di cui sono imbevuti. Nei terreni ghiaiosi o detritici compare un altro problema: la difficoltà delle
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perdite ad affiorare, ne deriva che esse durano più a lungo, con conseguente aumento del danno.10 Nel corso del 1997 venivano eseguiti 188 interventi per le riparazioni di perdite occulte o causate da terzi, prioritariamente diretti sulle tratte più obsolete e più critiche della rete. Questa azione, condotta pressoché quotidianamente da almeno due tecnici del Consorzio, consentiva di contenere le perdite di acqua al di sotto del livello del 25%. Solo durante il 1998 era possibile l’installazione dei misuratori di portata, in quanto essa era subordinata all’approvazione del progetto da parte del Genio Civile, avvenuta nei primi mesi di quell’anno. Nel corso del 1998 erano eseguiti 155 interventi per la riparazione di perdite, che salivano a 234 l’anno seguente. Nel 2001 era introdotta l’innovazione del sezionamento della rete idrica mediante l’installazione di contatori volumetrici, che consentivano di verificare con più elevata precisione i tratti di rete maggiormente deteriorati. Questo nuovo programma permetteva di individuare le zone maggiormente soggette a perdite, collocando i nuovi contatori volumetrici di linea in corrispondenza dei confini comunali e successivamente correlando i consumi fatturati e quelli rilevati in ingresso per ogni Comune. Nel 2010 vi era l’elaborazione, con la collaborazione dell’Università di Trieste e di Udine, di un nuovo metodo di ricerca delle perdite idriche, che sin dalle prime sperimentazioni dimostrava la sua validità. L’anno seguente si confermava l’esito assolutamente positivo dell’innovativa metodologia utilizzata nella ricerca delle perdite d’acqua.11
IL RADDOPPIO DEL SERBATOIO SUL MONTE DEI BOVI Una delle carenze più gravi del sistema di alimentazione era individuato nella scarsa capacità del serbatoio di ‘testa’, ubicato in località Monte dei Bovi, con un volume utile di 1.100 m cubi pari a circa 1/9 del fabbisogno idrico giornaliero dell’utenza servita. Le acque edotte dalla condotta originale di 420 mm di diametro andavano in parte perse durante numerose ore della notte, perché sfioranti dal ‘troppo pieno’ del serbatoio, che per le sue dimensioni non era in grado di immagazzinarle. Era progettato il suo ampliamento, per raddoppiarne la capacità, con una nuova vasca sotterranea in cemento armato a pianta rettangolare, disposta parallelamente al vecchio serbatoio. La nuova condotta da 600 mm avrebbe alimentato per prima questa vasca, una volta riempita entrava in funzione il relativo ‘troppo pieno’, scaricando l’acqua nella vecchia vasca e riempiendo anch’essa. Le richieste di portata nel corso della giornata sarebbero state soddisfatte prima dallo svuotamento
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della vasca nuova e, quando il suo livello avrebbe raggiunto un determinato valore, con l’apertura di apposite valvole anche l’altra avrebbe dato il suo apporto, fino all’esaurimento di tutti i volumi immagazzinati. Ciò era previsto nel progetto generale per il potenziamento dell’acquedotto consorziale elaborato l’anno 1978 dall’ing. Cola, poi aggiornato dagli ingegneri Gianni Cecco e Giulio Gentilli di Udine nel 1999-2000.12 Le nuove caratteristiche del manufatto, indispensabile per il buon funzionamento dell’acquedotto teso a soddisfare le crescenti esigenze degli utenti, vedevano un dimensionamento di 2100 mc, che sommati alla capienza dell’esistente portavano a un volume idrico accumulabile di 3200 mc, corrispondenti a 1/3 del fabbisogno giornaliero. Il progetto definitivo – redatto dall’ing. Gianpaolo Guaran e approvato nel maggio 1999 – prevedeva due stralci, realizzando prima la strada di accesso al vecchio serbatoio, sistemando una dissestata pista forestale, già esistente.13 Dai risultati dell’indagine geologica derivava l’indicazione di praticare lo scavo immediatamente a nord del serbatoio storico. I lavori di costruzione del nuovo invaso prendevano avvio nel 2002, attuando una soluzione tecnica proposta dall’Impresa aggiudicataria dell’opera, che prevedeva al posto degli scavi di progetto la realizzazione di una ‘berlinese’ a pareti verticali, con riduzione dei volumi di scavo allo stretto necessario; la ‘berlinese’ consiste in un insieme di micropali allineati e sostenuti da una linea di tiranti suborizzontali, ancorati all’ammasso roccioso. La quantità di materiale scavato ammonta a 11.000 mc circa, le pareti erano approfondite non meno di 10 metri, con punte che raggiungevano i 18 metri. Il nuovo serbatoio è posizionato a tergo di quello esistente, con una superficie interna in pianta di 642,50 mq e una forma irregolare a T, per sfruttare al meglio la morfologia del terreno. Realizzato in conglomerato cementizio armato, con l’applicazione nelle pareti interne di un film impermeabile di materiali conformi all’uso alimentare, è stato collegato alla precedente costruzione attraverso due varchi aperti sulle cabine di manovra in ingresso e in uscita. Lo schema di funzionamento idraulico prevede, nella zona di ingresso, la possibilità di alimentare contemporaneamente entrambi i serbatoi, come pure di sezionare con apposite valvole di intercettazione l’alimentazione solo in uno di essi. I dati rilevati dal misuratore di portata e dai piezometri sono trasmessi al sistema di telecontrollo aziendale. A lavori ultimati, il serbatoio si presenta completamente interrato. La nuova cabina di servizio è stata realizzata tenendo conto delle linee architettoniche e dei decori delle cabine di manovra già esistenti. Dopo l’entrata in funzione del nuovo serbatoio, nel maggio 2004, quello ‘storico’ è stato oggetto di accurata manutenzione,14 recuperando così la sua piena funzionalità.15
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LE ALTERNATIVE SLOVENE Per fronteggiare e garantirsi contro possibili situazioni negative, conseguenti a ipotetiche complicazioni ambientali da inquinamento oppure a fatti naturali non prevedibili, nei primi anni Novanta si cercava di individuare idonei approvvigionamenti idrici alternativi. Tra essi rientravano la captazione della sorgente Arpit, le connessioni con le adduttrici del CAFC, lo sfruttamento di nuovi pozzi di Campo San Giorgio e anche il possibile attingimento in Slovenia, nei pressi di Staro Selo. Quest’ultima possibilità rivestiva una notevole valenza ecologica, in quanto non avrebbe richiesto dispendio di energia per il sollevamento. Si svolgevano degli incontri informali, per verificare la consistenza dei potenziali corpi idrici da utilizzare e la fattibilità di un progetto che ne prevedesse la captazione e l’adduzione oltre confine, a beneficio
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delle reti del Consorzio Poiana.16 Quando nel 1994 giungeva notizia dell’intenzione del Comune di Tolmino di costruire uno sbarramento sul Natisone alto 25 metri, presso Krad (Creda), tale inaspettata novità suscitava la contrarietà del Consorzio, in quanto la portata fluente del fiume, in qualche modo turbata, avrebbe potuto pregiudicare la continuità idrica della fonte Poiana.17 Nel 2001 era stata finanziata dagli Sloveni la prima fase di indagine idrologica sull’area del monte Stol. Dopo un lungo periodo di stasi, nel 2009 questa prospettiva di utilizzo riacquistava vigore e il progetto di captazione in territorio sloveno era inserito tra quelli prioritari per i finanziamenti Interreg III A Italia-Slovenia. Sono state individuate varie possibilità d’uso potenzialmente realizzabili, che non hanno sinora trovato concreta attuazione.
CAPITOLO XVIII
Nell’aprile 1987 il Prefetto di Udine aveva invitato gli Enti preposti alla prevenzione e potabilità dell’acqua a effettuare la verifica di soluzioni atte a garantire e tutelare la salute pubblica. Seduta dell’11 settembre 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2891. Era scelto il sistema di perforazione a percussione perché permetteva il rilievo fedele delle formazioni geologiche attraversate e dava la possibilità di misurare esattamente i livelli piezometrici di ogni falda interessata. Inoltre, siccome si trattava di terreni alluvionali molto permeabili e fessurati, risultava preferibile in luogo di quello a rotazione, che avrebbe provocato cospicue perdite di fanghi. Seduta del 26 gennaio 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988, n. 2911. Seduta del 29 febbraio 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988, n. 2928. La spesa preventivata era di 90 milioni di lire, invece se ne spendevano 60 in più, per la maggiore quantità di lavoro eseguito e per il ritrovamento di conglomerato in misura del 100% e materiale sciolto in misura trascurabile, anziché nei rapporti del 50% come si era ipotizzato. Seduta del 21 settembre 1989, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991. Seduta del 26 ottobre 1992, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 7. Nel 1999 si effettuava l’installazione di un sistema di filtraggio a carboni attivi per la stazione di sollevamento di San Giorgio, a prevenzione di eventuali inquinamenti, come pure in quella di San Nicolò di Manzano, Seduta del 24 marzo 1999, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1999. Per la realizzazione dell’impianto di filtraggio ai carboni attivi era concesso un apposito contributo dalla Protezione Civile. Seduta del 29 luglio 1994, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 1. “Relazione del Consiglio di amministrazione 1995”, riportato nella seduta del 28 giugno 1996, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consor-
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ziale 1996. Il risparmio energetico è evidente considerando i seguenti consumi, anno 1992: 3.361.000 kwh, anno 1993: 3.223.000 kwh, anno 1994: 3.136.000 kwh, anno 1995: 2.935.720 kwh. Seduta 15 gennaio 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. I. Seduta 14 marzo 1997, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998, punto 1. Sedute del 27 maggio 2010 e del 19 maggio 2011, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea azionisti, n. 27 e n. 30. Su questo metodo si veda il contributo dell’ing. Nicolini, nel tomo II di quest’opera. L’incarico di revisione del progetto generale dell’acquedotto era conferito allo studio De Cecco-Gentilli nella seduta del 1 dicembre 1997, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998, punto 6. I fondi regionali finalizzati all’ampliamento del serbatoio erano concessi, per l’ammontare di due miliardi di lire, ai sensi della legge 63/77 dalla Segreteria Generale Straordinaria del Terremoto. Seduta del 13 maggio 1999, ACAP, Registro deliberazioni Consiglio di amministrazione 1999 vol. 2, n. 788. Nella precedente seduta del 12 febbraio 1999 era approvata la relazione preliminare del progetto. Nell’ottobre 1971 erano stati condotti dei lavori di riparazione alla cabina di manovra del serbatoio del Monte dei Bovi, le cui solette di copertura per vetustà presentavano delle fessurazioni, seduta del 25 ottobre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 19701972, n. 1522. Si riporta che il collegamento della rete idrica al nuovo serbatoio è stato effettuato, per la precisione, il giorno 19 maggio 2004. I lavori interessanti il serbatoio sono stati descritti in uno specifico articolo: L’ampliamento 2004, pp. 15-17. Il Consorzio chiedeva alla Prefettura di Udine l’autorizzazione a trattare un eventuale progetto di captazione, con accordo internazionale con la Slovenia, il 29 dicembre 1993; tale autorizzazione era rilasciata il 24 febbraio 1994. Seduta del 29 luglio 1994, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 9.
XIX CAPITOLO DICIANNOVESIMO
L’EVOLUZIONE DEL CONSORZIO POIANA
LA SITUAZIONE DEL CONSORZIO POIANA ALLA METÀ DEGLI ANNI NOVANTA Nel 1980 i Comuni aderenti al Consorzio, esclusi Moimacco e San Giovanni al Natisone, lamentavano gravi carenze. Una quindicina d’anni dopo, invece, non si registravano disservizi di carattere endemico, salvo alcune appendici sottese da inadeguate tubazioni, la cui manutenzione straordinaria era a carico dei Comuni consorziati. Considerando i maggiori quantitativi idrici forniti all’utenza e i mancati apporti dei sollevamenti minori di Trivignano, Pradamano, Ziracco e della sorgente Montina, dismessi, si riteneva attendibile nel tempo un recupero di produttività superiore al 30%, un dato difficilmente incrementabile se non a seguito di un massiccio e completo rinnovo delle restanti condotte distributive obsolete e degradate. Non si erano mai verificati problemi di inquinamenti chimici e la disinfezione era attuata unicamente a scopo precauzionale. I sistemi di rifornimento idrico a gravità erano in funzionamento continuo, mentre quelli meccanici si attivavano elettronicamente in funzione della richiesta idrica, senza sprechi. Il sollevamento principale di San Nicolò era diversificato sia per l’emungimento della falda sia per il rilancio dell’acqua ai serbatoi di accumulo in quota e il suo completamento funzionale necessitava ancora di modeste opere residuali. La dipendenza idrica della adduttrice pedemontana del CAFC era allora limitata alle derivazioni di Ziracco e Azzida, mentre l’integrazione al serbatoio di Monte dei Bovi, con l’entrata in servizio dei prelievi dalla falda di campo San Giorgio, era già stata sospesa. Per l’autosufficienza idrica dal CAFC si doveva porre mano alla costruzione della condotta Cividale-Remanzacco, già prevista dal progetto generale approvato, che avrebbe consentito di rifornire con acque proprie l’intero Comune di Remanzacco. Era previsto l’ampliamento del serbatoio Monte dei Bovi, per il quale era già stato redatto ed approvato il progetto.1
Era necessario rielaborare il progetto generale dell’acquedotto con l’obiettivo di ottimizzare la distribuzione, incrementando l’approvvigionamento da sorgenti naturali e diminuendo conseguentemente il sollevamento da falda che richiedeva costi elevatissimi e non dava piene garanzie circa la potabilità dell’acqua, come testimoniava il problema dell’atrazina.2 L’acqua fornita dal Consorzio Poiana, in un secolo è stata utilizzata da un numero progressivo di utenti, dal centinaio del 1919 ai quasi 23.000 del 2012.
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L’EVOLUZIONE DEL CONSORZIO POIANA
IL TRAGHETTAMENTO La legge 142 dell’8 giugno 1990 ha previsto la rivisitazione delle preesistenti forme collaborative tra i Comuni, in particolare di quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici. Iniziava così la fase di traghettamento dal vecchio al nuovo Consorzio, trasformato ai sensi della legge ora citata, disponente la revisione dei Consorzi istituiti tra gli Enti locali, per la loro soppressione o trasformazione nelle forme previste dalla legge stessa. Nel redigere la bozza di statuto, da sottoporre all’approvazione dell’Assemblea, i motivi informatori del documento erano quelli di confermare l’assoggettabilità del nuovo Ordinamento Consorziale alla vigente legislazione regolante l’esistente Azienda Speciale;3 un elemento da valutare positivamente era l’invarianza del quadro tariffario.4 Il processo di trasformazione del Consorzio ai sensi della L. 142/90 è giunto a conclusione nel primo semestre 1998.
idrografici contigui, nonché della localizzazione delle risorse e dei loro vincoli di destinazione. In questo contesto, l’Amministrazione Consorziale sosteneva fermamente la propria posizione di autonomia, ritenendo di avere le premesse necessarie per ottenere dalla Regione il titolo di gestore nell’ambito ottimale, tenuto conto della capacità del Consorzio di rispettare i parametri imposti dalla legge. Il processo di riforma voluto dalla citata legge 5 gennaio 1994 n. 36, che imponeva inderogabilmente il riordino della gestione del ciclo completo dell’acqua in ambiti territoriali ottimali, portava a una fase critica e delicata. Si avviavano complesse manovre da parte dei maggiori Enti acquedottistici della Regione, per assicurarsi ulteriori territori da gestire. Si riteneva di far valere anche il fatto che la legge prevedeva il rispetto dell’unità di bacino idrografico e quindi l’intero Consorzio era destinato a confluire, ai sensi dell’art. 8 della legge 36/94, nel bacino idrografico dell’Isonzo e non già, come da taluni ipotizzato, in quello del Tagliamento.
LA LEGGE GALLI
Verso il servizio integrato
La legge ‘Galli’ del 5 gennaio 1994 n. 36, riguardante Disposizioni in materia di risorse idriche, detta nuove indicazioni in materia di risorse idriche e di gestione del servizio idrico integrato, comprendente i servizi di captazione, adduzione e distribuzione dell’acqua potabile, di fognatura e depurazione delle acque reflue organizzato secondo ambiti ottimali delimitati nel rispetto di criteri di unità del bacino idrografico, finalizzata al superamento della frammentazione, al conseguimento di adeguate dimensioni gestionali e comunque al rispetto dei tre criteri di economicità, efficienza ed efficacia. La delimitazione degli ambiti territoriali era affidata alle Regioni, che dovevano anche determinare i modi e le forme di gestione ai sensi dell’art. 25 della legge 142/90. Il quadro normativo di riferimento era quello previsto dalla legge 183/89 sulla difesa del suolo ove, ai sensi dell’art. 4 comma 2, si demandava al Presidente del Consiglio dei Ministri la determinazione con propri decreti delle metodologie generali per la programmazione della razionale utilizzazione delle risorse idriche e le linee della programmazione degli usi plurimi delle risorse idriche, dei criteri per la gestione del servizio integrato, dei livelli minimi dei servizi che devono essere garantiti in ciascun Ambito Territoriale Ottimale (ATO). L’ATO viene definito come un’area territoriale delimitata sulla base delle caratteristiche che prevedono il rispetto dell’unità di bacino idrografico o del sub-bacino o dei bacini
Il Consorzio stava consolidando la propria gestione e il proprio bilancio, nella convinzione che con l’autorevole sostegno dei Comuni avrebbe mantenuto la propria preziosa autonomia, fondata sul principio di funzionalità e di economicità. All’art. 10, la citata legge Galli prevede la tutela delle gestioni esistenti e il Consorzio riteneva di possedere tutti gli strumenti istituzionali e operativi per mantenere la propria identità. Sarebbe stato possibile continuare nel servizio idrico, ma ristrutturandosi per assumere la gestione dell’intero ciclo dell’acqua come voluto dalla Legge 36/94, ovvero gestendo anche le fognature e gli impianti di depurazione dei Comuni consorziati. Per il consolidamento in Regione del proprio ruolo e il mantenimento del diritto di esistere e di operare ci si doveva dunque allargare alla gestione delle acque reflue, obiettivo da attuare per gradi, in un periodo non inferiore a 5 anni. Entro il 1996 i Comuni dovevano fornire ogni indicazione sui sistemi fognari esistenti, predisponendo uno studio per integrare e ottimizzare i servizi stessi nonché per la definizione del piano finanziario attuativo. Era opportuno e urgente avviare contatti con altri Enti gestori limitrofi e territorialmente compatibili al fine di realizzare un ambito territoriale ottimale, all’interno del quale organizzare il servizio idrico integrato; eventuali inerzie avrebbero potuto comportare il pericolo di soggiacere a decisioni superiori.5 Nel dicembre 1996 era riunita l’Assemblea straordinaria, in quanto per porre il Consorzio nelle condizioni di poter gestire anche il servizio fognario e di depurazio-
L’EVOLUZIONE DEL CONSORZIO POIANA
ne, autonomamente e senza entrare in competizione con gli altri Enti, si rendeva necessario modificare lo Statuto. Approvate le modifiche statutarie, nella stessa seduta si approvava lo schema di convenzione per l’assunzione del servizio di depurazione e di fognatura del Consorzio SIFO, riguardante gli ambiti civili di Moimacco e l’intera zona industriale del Consorzio Orientale, a partire dal gennaio 1997.6 Era il primo passo per la salvaguardia dell’autonomia consortile, come appena detto risultando di assoluta preminenza l’assunzione, da parte del Consorzio, della gestione dei servizi di fognatura e di depurazione. Erano approvate dai Consigli comunali le modifiche statutarie promosse dal Consiglio di Amministrazione e volte ad acquisire gradualmente i servizi di allontanamento e depurazione delle acque reflue. Si trattava di un’operazione lunga e complessa, in quanto si dovevano coniugare gli interessi dei singoli Comuni, legati al valore degli investimenti effettuati, alla funzionalità e all’efficienza degli impianti con i princìpi della consorzialità, quest’ultima intesa non come puro e semplice riparto di spesa, ma come ritorno di vantaggio economico/ambientale per una gestione comune del nuovo servizio per tutto il comprensorio territoriale. Un significativo passo, volto al mantenimento dell’autonomia.
La duttilità del Consorzio Poiana Per i contrasti tra l’Autorità di bacino e la Regione l’iter applicativo della legge Galli subiva una battuta di arresto, sembrava però emergere l’impegno a mantenere le istituzioni che funzionavano bene. Il Consorzio risentiva inevitabilmente del clima di incertezza determinato dalle conseguenze applicative della legge 5 gennaio 1994 n. 36, ma proseguiva nei lavori di attuazione e di completamento delle iniziative pregresse e degli interventi necessari e indilazionabili. Riteneva di avere le carte in regola per proseguire, in autonomia, il cammino iniziato nel 1912: le acque sono di ottima qualità, è in regola con le concessioni, dispone di impianti di sollevamento completamente rinnovati, affidabili sotto l’aspetto funzionale e della sicurezza. Ha una rete idrica adeguata e mantenuta fondamentalmente efficiente, nonostante la conservazione in servizio di alcune condotte realizzate all’epoca di costituzione del Consorzio. Le proprie strutture amministrative e operative, pur di dimensioni contenute (1 dipendente per 3000 abitanti residenti) sono in grado di assicurare una regolare gestione e manutenzione dell’intero servizio. Dispone di un moderno sistema informatico amministrativo/contabile in grado di gestire correttamente anche sotto l’aspetto fiscale tutti i fatti aziendali.
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Si continuava la ricerca sistematica delle fughe, operazione dimostratasi vincente sul ‘controllo passivo’, ovvero l’intervento solo nel caso di perdita manifesta. Tale logica gestionale consentiva di considerare ogni tronco di distributrice con la propria storia, intervenendo tempestivamente sulle fughe e pianificando, per quanto possibile, gli interventi di manutenzione. Nel “Piano programma 1997-1998” era approvata l’estensione alla gestione delle fognature e degli impianti di depurazione dei Comuni consorziati. Fino al momento dell’assunzione del servizio idrico integrato interessante l’intero territorio consorziale non si poteva che gestire tale servizio in base a convenzione con gli Enti interessati. Nel 1997, sulla base delle indicazioni fornite dai Comuni sui sistemi fognari utilizzati si doveva effettuare uno studio di integrazione e di ottimizzazione dei servizi stessi, nonché la definizione del piano finanziario.7 L’attuazione della legge Galli, se ben condotta, poteva essere uno stimolo all’innovazione per raggiungere concrete e soddisfacenti soluzioni gestionali. Il Consorzio, con versatilità e duttilità, mostrava di sapersi adattare alle nuove situazioni che si succedevano negli anni.
L’INFORMATIZZAZIONE DELLA RETE L’informatizzazione della rete acquedottistica inizialmente era definita per il solo sistema idropotabile, per essere successivamente estesa anche alle reti fognarie dei Comuni consorziati. L’avvio si aveva nel 1998, limitato a una porzione del territorio consorziale ritenuta significativa per gli insediamenti civili e produttivi presenti.8 Il sistema informatico, di telecomando e di telecontrollo degli impianti e la revisione del progetto generale della rete idrica avrebbe consentito di porre le basi alla nuova programmazione degli interventi di ampliamento, potenziamento e rinnovo del Consorzio. Dopo una lunga e accurata campagna di rilevazioni sul territorio, a metà del 1999 tutta la rete era digitalizzata.
IL SERVIZIO FOGNATURA E DEPURAZIONE L’acquisizione del servizio di depurazione procedeva con il convenzionamento, nel 1999, dei Comuni di Pradamano e di San Pietro al Natisone.9 Nel triennio seguente si prevedeva l’erogazione del servizio in gran parte dei Comuni consorziati; la sua corretta gestione prevedeva il censimento e l’informatizzazione delle reti fognarie, la verifica delle reti esistenti e, ove necessario, la predisposizione di un nuovo progetto generale delle fognature. Contestualmente
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all’acquisizione del servizio di fognatura era previsto il subentro del Consorzio nella gestione della depurazione, per la quale sarebbero state valutate soluzioni tecniche alternative, in un’ottica sovracomunale consona alla struttura consortile. L’attività del nuovo servizio di depurazione e fognatura durante il 1999 si svolgeva su tre fronti: gestione degli impianti e delle reti già acquisite (depuratore e rete fognaria ex Consorzio SIFO, impianti biologici e primari e la rete fognaria in Comune di S. Pietro al Natisone), creazione di un ufficio preposto alla gestione del servizio sotto il profilo tecnico e amministrativo, trattative con i Comuni consorziati per addivenire alla stipula delle convenzioni. Gli accordi preliminari con i Comuni di Cividale, Pradamano, Moimacco e Premariacco giungevano a conclusione nei primi mesi del 2000. In tale anno il Consorzio disdettava le convenzioni in essere per la gestione dei depuratori, iniziando la gestione diretta dove i contratti lo permettevano; restavano ancora legate a ditte private Pradamano (sino al 31 dicembre 2001) e Remanzacco (fino al 30 giugno 2003). Era già affidato il progetto generale delle fognature per Cividale capoluogo e si stava predisponendo quello per Corno di Rosazzo, direttamente dal servizio tecnico aziendale.10 La gestione della rete fognaria esistente consisteva principalmente in un’azione coordinata di monitoraggio, manutenzione ordinaria e straordinaria, verifica dell’efficienza delle linee e dei sollevamenti, controllo della staticità e della tenuta idraulica anche tramite video ispezioni, pulizia delle caditoie e dei pozzetti di ispezione. A livello regionale la legge 5 gennaio 1994 n. 36 tardava a essere applicata, intanto il Consorzio Poiana continuava ad assottigliare il divario tecnologico e gestionale esistente con le altre realtà acquedottistiche provinciali. Si perseguiva fermamente l’obiettivo di diventare gestore del ciclo idrico integrato, avendo già assunto in proprio il servizio di fognatura e depurazione in sette dei dodici Comuni consorziati.11 Nel triennio seguente si prevedeva l’erogazione del servizio sulla totalità del territorio, in quel tempo mancavano Pavia di Udine, S. Giovanni al Natisone, Manzano e Buttrio; Trivignano Udinese aveva affidato tale servizio all’AMGA di Udine fino al 2008. Tra le azioni già avviate con gli altri gestori vi era la costituzione di una società per il controllo della qualità delle acque potabili e reflue.12 Nel 2001 il servizio aveva una sostanziale evoluzione, passando dalla gestione esterna dei depuratori alla gestione in proprio sia delle reti fognarie che dei depuratori. In seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo 152/99 con successive modificazioni e integrazioni le reti fognarie e, prioritariamente, tutti i depuratori gestiti abbisognavano di un adeguamento
delle varie fasi depurative e della costruzione ex novo della fase di denitrificazione, nell’insieme necessitanti di notevoli investimenti.13 Nel 2002 si assumeva la gestione della depurazione anche di Manzano e di S. Giovanni al Natisone, nel 2003 di Buttrio e di Pavia di Udine; nel 2007 erano completati i contratti di servizio per tutti i Comuni soci, tranne per Trivignano Udinese, in seguito anch’esso acquisito.
L’APPRODO AL NUOVO SECOLO Quando il calendario segnava l’anno 2000, il Consorzio attraversava un momento delicato, trovandosi da un lato l’evoluzione della legge regionale di recepimento della ‘Galli’ e dall’altro, a livello nazionale, la liberalizzazione del mercato dell’acqua e la trasformazione delle aziende speciali o consorziali in società di capitali (Legge 142/90). L’obiettivo era quello di conservare la propria storica funzione di gestore del servizio idropotabile estendendolo al ciclo integrato dell’acqua, attuando la strategia della valorizzazione dell’esperienza, delle risorse umane e delle tecnologie a disposizione del Consorzio, l’aumento della potenzialità dell’ente attraverso un’oculata politica di espansione dei servizi erogati nel ciclo integrato delle acque, l’adozione di forme sinergiche con altri enti gestori del servizio, come ad esempio per la reperibilità e il telecontrollo degli impianti, gli acquisti, il controllo sulla qualità delle acque potabili e reflue in ingresso e uscita dai depuratori, nella convinzione che utilizzando tutte le sinergie possibili si potesse mirare a una economica ed efficiente gestione, sia per qualità che per quantità.14 Il nuovo modello operativo doveva indirizzarsi all’aumento della qualità degli standard di servizio, pur sottolineando che il livello di soddisfazione dell’utente era ritenuto già buono. Nel 1999 notevoli investimenti erano finalizzati alla semplificazione dei rapporti con gli utenti: il nuovo regolamento per la concessione e la distribuzione di acqua potabile, la redazione della carta dei servizi, la stipula di una polizza assicurativa a copertura delle perdite idriche occulte. Riguardo il primo punto, era ridefinito il nuovo regolamento per le utenze – il precedente risaliva al 1958 – nel quale si eliminava la possibilità di abbuoni sulle perdite, motivo di continue discussioni con gli utenti, ma era prevista la possibilità di stipulare un’assicurazione contro le perdite.15 Nel gennaio 2000 era approvato il nuovo regolamento per l’erogazione dell’acqua potabile agli utenti.16 Stante l’orizzonte legislativo che si prefigurava, proseguiva l’attività preliminare alla trasformazione della azienda consortile in società di capitali.17
L’EVOLUZIONE DEL CONSORZIO POIANA
Ricordiamo che una prima modifica si era avuta con il decreto dell’Assessore Regionale agli Enti Locali del 30 aprile 1990 n. 19 Enti Locali, che trasformava l’originario Consorzio Acquedotto Poiana del 1912 ai sensi dell’art. 60 e art. 25 della legge 8 giugno 1990 n. 142.18
LA POIANA DIVENTA SPA L’evoluzione del Consorzio Acquedotto Poiana (ai sensi dell’art. 35 comma 8 della legge 388/2001, Finanziaria 2002) ha visto nell’anno 2002 la sua trasformazione in società di capitali.19
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Il Consorzio Poiana SpA fa parte dell’Autorità d’Ambito ATO (Ambito Territoriale Ottimale) Centrale Friuli, costituita il 18 ottobre 2006. L’ATO è un consorzio di funzioni formato dagli attuali 136 Comuni della provincia di Udine e dall’Amministrazione Provinciale stessa, per organizzare il Servizio Idrico Integrato (SII) secondo criteri di efficacia, efficienza ed economicità, come definito prima dalla legge 36/94, relativa alla creazione di bacini di servizio sovracomunali di grandi dimensioni, e in seguito dal decreto legislativo 152/1999, attuato dalla legge regionale 23 giugno 2005, n. 13.
CAPITOLO XIX
Indicazioni contenute nel “Piano Programma 1996-98” punto 2 e 3, deliberato dal Consiglio di Amministrazione secondo gli indirizzi Assembleari, riportato di seguito al verbale della seduta 9 febbraio 1996, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1996. Seduta 28 giugno 1996, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1996. Per gli interventi diretti a perseguire la riduzione dei costi per l’approvvigionamento e l’energia ci si avvaleva anche del contributo concesso dalla Provincia di Udine nel 1997. Seduta del 24 giugno 1992, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 2. Il 31 dicembre 1994 era stata regolarmente stipulata la convenzione per la trasformazione in base alla legge 142/90. Seduta del 24 gennaio 1995, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995, n. 5. “Piano Programma 1996-98”, deliberato dal Consiglio di Amministrazione secondo gli indirizzi Assembleari, riportato di seguito al verbale della seduta 9 febbraio 1996, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1996. Seduta 10 dicembre 1996, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1996, punto 6. Erano approvate le modifiche statutarie dell’art. 1, 42 bis, 42 ter, 42 quater; art, 3, commi 2 e 3, venivano abrogati gli art. 3 bis, 3 ter, 3 quater. Approvata la convenzione allegata allo Statuto. Seduta 14 marzo 1997, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998, punto 1. Seduta 7 agosto 1998, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1997-1998, punto 6. Seduta 24 marzo 1999, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1999, punto 1. Era dall’1 luglio 1999 che il Consorzio gestiva il servizio di fognatura e depurazione per S. Pietro al Natisone.
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Seduta 18 gennaio 2001, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2001. Alle già esistenti gestioni di S. Pietro al Natisone e al depuratore della zona industriale di Cividale e Moimacco, si aggiungevano Cividale, Moimacco e Pradamano (gennaio 2000), Premariacco (marzo 2000), Remanzacco (luglio 2000), Corno di Rosazzo (luglio 2000) . Il Consorzio aderiva alla costituenda società “Friulab srl” per le analisi delle acque assieme ad altri gestori di servizi idrici ed alla Camera di Commercio di Udine, con una quota che al 31 dicembre 2001 era del 12%. Seduta del 27 giugno 2002, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2002 (17-33) . Seduta 28 febbraio 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. I, punto 9. Seduta del 24 marzo 1999, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1999, punto 1. Seduta 15 gennaio 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. I, punti 3, 4 e 5. Seduta 22 giugno 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. II, punto 16. Seduta 27 novembre 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. II, punto 29. Si ricorda che il Consorzio Acquedotto Poiana, costituito con decreto prefettizio 28 febbraio 1912 n. 4549 Div. III aveva subìto una prima modificazione con decreto della Giunta Provinciale Amministrativa 28 novembre 1935 n. 48720/Div. La trasformazione in società per azioni ex artt. 115 Decreto Legislativo 267/2000 si è avuta con atto del 21 dicembre 2002, del notaio Paolo Alberto Amodio con studio in Udine.
XX CAPITOLO VENTESIMO
SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
A ognuno dei Comuni consorziati si dedica una specifica attenzione, ricostruendo la tempistica e le particolari vicende che hanno caratterizzato la posa della conduttura originaria, seguendone – per quanto è stato reso possibile dalla documentazione d’archivio disponibile, integralmente inedita – l’evoluzione dello sviluppo, delle fasi manutentive e migliorative nel corso dei cento anni di attività acquedottistica.
BUTTRIO Nell’agosto 1914 si ponevano in opera 2000 m di tubazione del diametro da 225 mm fra Premariacco e Orsaria, si superava questo paese con altri 500 m di tubi e si scavava 600 m di trincea. Il mese seguente erano sistemati 2400 m di tubi da Orsaria a Buttrio. In settembre si ponevano in opera a valle di Buttrio 500 m di conduttura da 200 mm ed erano quasi ultimati 300 m di trincea, che nel settembre seguente accoglievano i tubi, del medesimo diametro. La conduttura proseguiva per il bivio Pradamano-Lovaria, mille metri erano poi inoltrati, in ottobre, verso Lovaria e altrettanti, del diametro di 100 mm, fra quest’ultima e Lumignacco. Nell’ottobre si provavano i tubi da 225 mm posizionati in precedenza fra Orsaria e Buttrio e una tratta di 550 m fra Buttrio e il ponte sul Torre. A dicembre l’acquedotto entrava nell’abitato di Camino e si posavano 700 m verso Vicinale, cui nel gennaio 1915 se ne aggiungevano altri 126. Sempre a gennaio era l’interno di Buttrio a essere dotato di 700 m di tubi, anche in direzione di Buttrio in Monte.1 Nel 1925 il Comune dichiarava di essere contrario alla riparazione della fontana in Vicinale, presso la strada dei Ronchi e alla contestuale soppressione di quella presso la chiesa, stanteché il maggior bisogno di acqua si manifestava proprio in quella parte del paese.2 Nel 1926 la giunta municipale deliberava di dare sollecitamente incarico al Consorzio per la colloca-
zione della conduttura sulla strada di raccordo tra via della Stazione e via Sottomonte, raccomandando che venissero assunti braccianti disoccupati del luogo.3 Su richiesta del Comune di Buttrio era compilato il progetto di ampliamento della rete in via Sottomonte, con una spesa prevista di 59.000 lire; il Ministero per l’Agricoltura e le Foreste con decreto 14 agosto 1934 lo approvava, riducendo il preventivo a 55.000 lire e accordando un contributo di 41.250 lire. Il 3 novembre seguente il Comune incaricava il Consorzio dell’esecuzione dell’opera.4 I lavori si svolgevano nell’inverno del 1935, con attente economie si poteva aggiungere altre condutture oltre a quelle progettate, portando l’acqua in tutte le dieci case coloniche poste nelle adiacenze della strada. Si spendeva di meno e si faceva di più: invece delle preventivate 55.000 lire se ne sborsavano 52.681,40, sviluppando le condutture per 2.802,85 metri mentre il progetto ne prevedeva solo 2.405.5
Intestazione del Municipio di Buttrio, in uso nell’anno 1921
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SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
Condutture a Vicinale di Buttrio, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
I pericoli vaganti Nel 1927 alcuni tratti di condutture in acciaio Mannesmann davano luogo a rilevanti perdite d’acqua, attraverso fori causati da corrosioni del metallo; a Buttrio e a Oleis ciò avveniva nei tubi del diametro di 40 e 60 mm, posti in terreni argillosi e acquitrinosi. Un campione danneggiato era inviato allo stabilimento fornitore, che mandava sul posto un proprio ispettore. La ditta costruttrice attribuiva la causa all’affrettata posa e alle lesioni sul rivestimento, eseguito con catrame di bassa qualità, in quanto lo stato di guerra aveva impedito l’importazione di quello migliore. Tale involucro si mo-
Condutture a Buttrio, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
strava inadatto per terreni argillosi e umidi, fornendo una protezione insufficiente al sottostante metallo; in tali condizioni era meglio sostituire i tubi Mannesmann con quelli di ghisa, più resistenti.6 Alla fine del febbraio 1946 un altro grave caso di corrosione, scoperto a ovest di Buttrio, metteva in serio allarme l’Amministrazione. Una copiosa perdita d’acqua si manifestava sulla conduttura principale da 200 mm che porta l’acqua oltre il Torre e che da Buttrio a Pradamano ha un percorso parallelo alla ferrovia, poco discosta da questa. Dopo aver messo in luce il tubo per effettuare la riparazione, si scopriva che oltre al foro responsabile della fuga d’acqua, questo presentava altre 13 corrosioni a A sinistra: cabina dell’acquedotto situata a Vicinale di Buttrio, nel suo aspetto attuale (novembre 2012). In basso: tratta R condutture a Buttrio a Buttrio in Monte, R1 da Buttrio a Maniago, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
cratere, tutte molto ravvicinate. Il preoccupante inconveniente era segnalato alla società “Dalmine”, fornitrice dei tubi, che si era occupata di corrosioni simili, riscontrate nell’acquedotto di Tricesimo l’anno 1932. Anche stavolta la ditta inviava prontamente sul posto un ingegnere e tecnici specializzati che compivano minuziose indagini lungo la ferrovia da S. Giovanni a Pradamano, prelevando anche campioni di terreno per sottoporli ad analisi; si controllavano anche le condutture di Oleis e Sopravilla, dove si manifestavano analoghi deterioramenti. Dalle risultanze del sopralluogo, la Dalmine attribuiva la corrosione dei tubi nella zona di Buttrio alle correnti vaganti, che dopo essere entrate nelle condutture uscivano in terreni umidi per ritornare alle rotaie della ferrovia Udine-Cormòns, dando luogo al processo elettrolitico ossidante, in grado di corrodere e forare il rivestimento e il metallo. In Oleis e Sopravilla, invece, le corrosioni erano da attribuirsi all’aggressività del terreno argilloso, compatto, umido e sensibilmente acido.7
La collina del Sanatorio La zona collinare dell’ex Sanatorio era servita da una derivazione con origine sulla strada provinciale Buttrio-Cividale, costruita dal Comune negli anni 1936-1940 con tubi in acciaio ed eternit nei diametri di 80, 65 e 50 mm. Possiamo ricordare che la conduttura portante l’acqua alla Villa Belvedere era stata posata durante la prima guerra mondiale dall’Amministrazione militare, con tubi senza zincatura e collocati superficialmente. Al termine del conflitto i tubi si sarebbero dovuti smontare e ritirare dal Consorzio, al quale erano passati in proprietà in base alla convenzione con la stessa autorità militare, invece si manteneva ugualmente tale fornitura, beneficiando come unico utente di allora il signor Zuttioni, disposto a sostenere le relative spese di manutenzione. In seguito la proprietà passava alla Società che gestiva il Sanatorio e nel 1928 era chiesto
Condutture a Camino e Caminetto (tratta Q da Buttrio a Manzinello), progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
che, per l’avvenuta divisione della proprietà, si facessero due diverse utenze. Il Consorzio dichiarava di aderire alla richiesta solo se la Società o il Comune si fossero assunti la spesa della revisione di tutta la conduttura, da approfondire maggiormente e l’eventuale sostituzione dei tubi inadatti.8 In seguito al terremoto del 1976 le condizioni della derivazione all’ex Sanatorio peggioravano e, risultando antieconomica la sua manutenzione, due anni dopo il Consorzio ne progettava la ricostruzione, adeguandola alle nuove necessità; con la spesa di 50 milioni di lire, si sarebbero posati 2.211 metri di tubi nuovi.
A Camino e Caminetto Dal 1916 le frazioni di Camino e Caminetto erano alimentate con una derivazione dall’adduttrice principale sita all’incrocio con via Pavia del capoluogo, in tubi di acciaio del diametro di 200 mm, con i consueti giunti a bicchiere per riempimento a piombo. A Caminetto, come altrove, la popolazione gustava la grande comodità dell’ottima e benefica acqua del Poiana, inizialmente vedendola sgorgare da fontane improvvisate e a getto continuo, mancando i rubinetti. In seguito funzionavano quelle stabili, piazzate ai posti designati, con basi di cemento, involucri di ghisa, dotate di valvole a molla e rubinetti automatici. Tutti felici, dunque? Non pare proprio. Con una pungente vena polemica, era pubblicato un articolo che descriveva la situazione creatasi dopo pochi mesi di funzionamento. Si imputava ai progettisti delle fontane una scarsa preveggenza, avendo ritenuto inutile predisporre uno scolo per incanalare nel sottosuolo l’acqua superflua, che in teoria non doveva esistere, dato che il congegno di erogazione
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SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
Planimetria del progetto di ripristino dei tronchi di condotte distributrici nelle frazioni di Caminetto e Camino, in Comune di Buttrio, 7 novembre 1978.
applicato rendeva impossibile disperderla nella fase di attingimento. All’atto pratico, però, tale previsione era errata, perché le valvole si erano guastate o erano state maldestramente e colpevolmente levate, cosicché tutte le fontane funzionavano a getto continuo. In causa di ciò l’acqua soverchia si sperde per un largo giro nelle piazzette circostanti e lateralmente alle strade, ove forma delle pozzanghere con disappunto dei passanti.9 Nel 1925 si deliberava di demolire l’anello del pozzo in Camino, otturandone la canna a livello della strada e, contemporaneamente, trasportare la fontana pubblica sullo stesso sito.10 Durante la revisione della rete di Camino e Caminetto, nel 1976 erano individuate e riparate 4 perdite e tolta un’ostruzione alla conduttura; la pressione di esercizio
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI BUTTRIO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Buttrio Vicinale
..........
3 (soppresse in via Pavia 11/1/1958, via Sottomonte 30/10/1967)
.....................
1 (soppressa 14/12/1967)
Camino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa 27/8/1956) Caminetto
....................
1 (soppressa 18/2/1960)
saliva da 3 a 4-5 atmosfere, normalizzando la situazione.11 Le scosse del terremoto però avevano compromesso le condutture, che ormai più che di ulteriori interventi manutentivi avevano bisogno di essere sostituite. A tal fine il Consorzio allestiva il progetto 7 novembre 1978, che prevedeva il cambio di 1.700 metri di tubi, in due tratte, la prima dall’origine alla S.S. 56, in grado di servire anche tutte le case di nuova costruzione. Tre anni dopo era approvato il progetto di ripristino dei tronchi di condotta distributrice a Camino e Caminetto, lavoro eseguito nella sua interezza nel primo semestre 1982, a esclusione di circa 100 m in località sottopassaggio ferroviario di Buttrio.12 Il completamento del ripristino della distributrice Camino-Caminetto avveniva nel 1985, quando si sostituiva anche la condotta dal campanile di Buttrio a Castel Morpurgo.
Derivazioni, ampliamenti, rinnovamenti in Comune di Buttrio In base a memorie orali, la fontana pubblica di Vicinale era collocata dietro l’abside della chiesa di San Michele, sia a Camino che a Caminetto essa era ubicata nella rispettiva piazzetta del paese, le ultime tre fontanelle di Buttrio si trovavano: una in piazzetta del Tiglio, la seconda sulla piazzetta tra il ponte del Rivolo e il vecchio municipio, la terza in via Pavia, in prossimità del ponticello scavalcante la roggia Cividina.13 Sin dal 1950 era predisposto il progetto per rifornire i Casali Cicotti/Cecotti, costretti ad attingere l’acqua nella frazione di Camino, distante circa 800 m, con comprensibile disagio. La conduttura, lunga 778 m, era
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In questa cartolina di Buttrio spedita nel 1924 si vede, all’estrema destra dell’immagine, la posizione di una delle fontane pubbliche alimentate dal Poiana, nella piazzetta tra il ponte del Rivolo e l’edificio del vecchio municipio (collezione Geremia Nonini). In alto a destra: condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Buttrio, particolare dalla corografia realizzata dallo studio cartografico Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro interno in millimetri (sulle condotte secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno sul livello del mare, quelli azzurri le quote piezometriche, riferite alla misura della pressione in un dato punto di una corrente fluida. In basso a sinistra: tramite questo telegramma spedito il 14 marzo 1920, il sindaco di Buttrio chiedeva le motivazioni della mancanza d’acqua nel suo Comune. Era celermente informato dello scoppio di un tubo, sulla conduttura principale alle 5 di mattina, a causa di una lesione già esistente. La conseguente riparazione durò l’intera notte e la delicata manovra di messa in carico della conduttura principale della rete si dovette prolungare per oltre 20 ore. In basso a destra: Telegramma con cui il 9 maggio 1921 il prosindaco di Buttrio avvisa il Consorzio di uno spandimento, segnalato a Pavia.
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realizzata nove anni dopo ed entrava in funzione nel dicembre 1959. L’espansione residenziale richiedeva un adeguato incremento della rete, ad esempio nel 1958 a Camino si prolungava dal centro della frazione alla S.S. 56, per una nuova zona di costruzione e, in contemporanea, a Buttrio si faceva una derivazione lungo una trasversale di via Camino; nel 1962 era la volta di una nuova strada trasversale di via Gorizia. Nel giugno 1962 si determinava una situazione di carenza di rifornimento nelle utenze di Poggiobello, non allacciate al sollevamento di Abbazia di Rosazzo.14 Il progetto di ampliamento della rete consorziale lungo la Strada Statale 56 dalla progressiva km 9.745 al km 11.510, per il rifornimento idrico delle nuove aree fabbricabili trovava attuazione alla fine del 1963; dopo 57 giorni di lavoro l’iniziativa era ultimata il 20 febbraio 1964. Ancora nel 1964, si potenziava via Pavia a Buttrio.15 Nella seduta del 25 gennaio 1969 la Commissione
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A Buttrio una fontana pubblica era collocata in piazzetta del Tiglio, accanto alla roggia e ai lavadôrs (lavatoi), nella collocazione ben visibile in questo disegno di Geremia Nonini, che vi ha ricostruito una situazione ormai completamente scomparsa. A sinistra: a Caminetto la fontana pubblica era collocata vicino al vecchio pozzo, come testimonia questa foto degli anni Quaranta (gentile concessione Geremia Nonini).
amministratrice apprendeva che il Comune di Buttrio aveva programmato l’ampliamento della rete a favore del campo Sportivo del capoluogo e dell’area di costruzione limitrofa, con il preventivo di 940.000 lire, scavi e ritombamenti esclusi. Nel 1969 era deciso di realizzare tre ampliamenti di rete lungo via Ellero, via Lungoroggia e via Dorment,16 che trovavano attuazione entro la primavera 1970. Grazie all’accurata ricerca e conseguente riparazione delle fughe, si addiveniva al recupero quasi totale della pressione statica alla stazione di Vicinale di Buttrio. Il 9 luglio 1985 era dismessa la vecchia condotta alimentatrice della frazione di Lumignacco, con origine da Lovaria. Nel 1988 era realizzata la condotta Buttrio-Lovaria.17 Nel settembre 1989 si approvava il progetto esecutivo e funzionale relativo ai lavori di completamento dell’acquedotto di Buttrio,
A sinistra: avviso di interruzione dell’acquedotto per la ricostruzione delle tre arcate del ponte sul Torre a Buttrio, 10 giugno 1922. Il sindaco di Buttrio comunica che le fontane pubbliche del suo Comune sono gelate da tre giorni e quindi è impedita l’erogazione dell’acqua, 19 novembre 1924.
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Il primo cittadino di Buttrio chiede la riattivazione della fontana pubblica di Vicinale, guastata per vandalismo, 8 settembre 1926. In alto a destra: corografia dell’ampliamento della rete consorziale lungo la SS 56, dal Km 9.745 al. Km 11.510, per il rifornimento idrico di nuove aree fabbricabili in Comune di Buttrio, 20 gennaio 1962. Planimetria del progetto di derivazione (con le tubazioni indicate in rosso) nel Comune di Buttrio, da Vicinale all’ex Sanatorio, 25 ottobre 1978.
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per l’importo di 100 milioni, basato sull’elaborato dell’ing. Cola, risalente al 20 giugno 1983.18 In seguito alle consistenti modifiche dei filoni attivi del Torre in località Lovaria, negli anni Novanta si rendevano necessari interventi di consolidamento geostatico della scarpata in sponda destra a difesa dell’adduttrice Buttrio-Lovaria, nel tratto di attraversamento del corso d’acqua.19
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Il serbatoio sul Colle Clama
Il centro cittadino
Nel 1990-1991 era costruito il serbatoio di distribuzione sul Colle Clama, del diametro di 26 e altezza di 5 metri, con invaso idrico utile di 2.000 mcubi. L’opera in conglomerato cementizio, completamente interrata sul colle, è a pianta circolare, con setto interno anulare concentrico per una più equilibrata distribuzione dei carichi e per assicurare il necessario movimento all’acqua, a tal riguardo i punti di immissione e di prelievo risultano situati in posizioni opposte, sia nel piano orizzontale che verticale.20 Tale manufatto è stato collegato alle due adduttrici, provenienti una da Cividale (serbatoio di Monte dei Bovi) e l’altra da Manzano (serbatoio Tre Pini), secondo quanto previsto dal progetto generale della grande distribuzione nel comprensorio territoriale del Poiana. Dall’abitato di Visinale è derivata la nuova adduttrice da 300 mm per alimentare il serbatoio e da esso parte la nuova distributrice, del diametro da 400 mm, fino ad inserirsi sulla condotta proveniente dall’esistente serbatoio Tre Pini, proseguendo in direzione di Buttrio. Il serbatoio sul Colle Clama consente una buona funzionalità della rete, assicurando la modulazione della portata in arrivo e in partenza, secondo le disponibilità di monte e le richieste di valle, determinate dall’andamento variabile dei consumi.21 Nel 1998 si è completato il collegamento dei serbatoi Monte Clama-Tre Pini, per ottimizzarne il funzionamento.
Nel maggio 1915 la conduttura da 350 mm attraversava il centro di Cividale, da porta S. Giovanni a porta S. Pietro, prolungandosi poi verso Grupignano, anche con tubi da 300 mm.22 Le tubazioni di ghisa per la rete di distribuzione all’interno di Cividale erano già disponibili, ma non fu possibile collocarle in opera a causa delle operazioni belliche, che esigevano strade libere, senza ingombri di cantieri che avrebbero ostacolato i movimenti dell’esercito. Dovendo necessariamente attendere la fine della guerra per l’esecuzione di tali opere, l’Impresa costruttrice Parpinelli era liquidata e da essa si acquistava tutto il materiale che aveva già portato sul posto, consistente in 2.486 metri di tubi di ghisa di vari diametri. Il Comune aveva fatto pervenire al Consorzio un progetto per le sue condutture interne, sul quale l’Ufficio Tecnico del Poiana riteneva di proporre delle migliorie, soprattutto perché le tubazioni a grande diametro erano previste nel perimetro cittadino, mentre era meglio portarle al centro e lungo le strade principali interne, per l’eventuale necessità di domare degli incendi e per avere minori squilibri di pressione, a scapito degli utenti, durante l’innaffiamento stradale. Erano ridotti di numero anche i previsti 85 attacchi per bocche innaffiatrici e anti-incendio, ritenuti eccessivi e portati a 60. La rete proposta dal Comune si allacciava formando un tutt’unico comunicante, ma tale sistema avrebbe causato dei rigurgiti all’innesto dei tubi di carico differente, con l’immobilizzazione dell’acqua nelle tratte che alle due estremità si fossero allacciate a tubature di carico pressoché uguale. Secondo il Consorzio, invece, la distribuzione ad arteria centrale o spinapesce era più adatta alla disposizione planimetrica della città: la conduttura principale, in tubi di ghisa da 350 mm attraversava al centro l’abitato e all’atto della sua posa, nel 1915, erano stati già inseriti 9 pezzi ‘a T’ per altrettante diramazioni di distribuzione, che costituivano le condutture di prim’ordine, da queste dipartivano quelle di secondo e terz’ordine, formando una rete avente lo sviluppo di
CIVIDALE DEL FRIULI Il progetto generale del 1911 per l’acquedotto consorziale assegnava al Comune di Cividale una competenza di 25 l/secondo, così ripartiti: a) frazioni sulla sinistra del Natisone, Gagliano, Rualis, Fornalis e Purgessimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . litri 6 b) frazione di Rubignacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . litri 1 c) frazione di Sanguarzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . litri 0,5 d) frazione di Grupignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . litri 0,5 e) capoluogo (città) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . litri 17 Nel febbraio 1914 si ponevano in opera circa 900 metri di condotta da 420 mm tra Sanguarzo e il serbatoio sul monte dei Bovi e si aprivano fra il serbatoio e Cividale le trincee per la posa dei tubi, in parte già pervenuti in città.
Intestazione del Comune di Cividale del Friuli, 1921.
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Tratto di collegamento della conduttura principale al serbatoio sul monte dei Bovi, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
4.403 metri, con tubi del diametro di 150, 100, 80, 60 e 40 mm; all’estremità di ogni diramazione si preventivava una saracinesca di scarico dentro a un pozzetto e, a ogni diramazione, una saracinesca per interruzione.23 Delle diramazioni progettate, nel 1915 ne era eseguita soltanto una, quella verso la stazione, restavano quindi da eseguire le altre otto. Diversamente da quanto ritenuto, pur essendo la prima città raggiunta dalle condutture, Cividale non godeva di un buon approvvigionamento, almeno a giudicare da una comunicazione inviata il 1º di ottobre 1917 dal suo sindaco al presidente del Consorzio: Attraversamenti del rio Emiliano e di altri archi a Cividale, disegnati nel Libretto delle misure, giugno 1914.
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da parecchio tempo in Città si lamenta una deficienza d’acqua a dir vero rilevante, in modo che la popolazione civile deve industriarsi nelle ore notturne per provvedersi quella poca quantità d’acqua che è indispensabile per gli usi famigliari. Coloro poi che hanno di già introdotto la conduttura d’acqua nelle loro case, devono adattarsi ad attendere le ore notturne per avere una limitata quantità ed il più delle volte succede che non ne possono avere affatto, onde si trovano costretti ricorrere anch’essi alle fontane pubbliche.24 Va ricordato che in quei frangenti di guerra non era ancora stata allacciata la tubazione al serbatoio del Monte dei Bovi e la priorità era sempre data alle esigenze militari. Con la ripresa dei lavori nel dopoguerra, il municipio di Cividale il 2 marzo 1920 approvava il progetto della distribuzione interna della città, secondo le proposte dell’ufficio tecnico consorziale, che ravvisava una spesa di 200.000 lire, cifra che per il rapido aumento dei prezzi nell’assemblea di settembre dello stesso anno era elevata a 250.000.25 Nel marzo 1920 attraverso la stampa locale era rimarcata la necessità di procedere con il completamento, consigliando di posare subito la conduttura dato che la Cooperativa Edile ha di già iniziato i lavori per la pavimentazione stradale e ciò avrebbe anche consentito un risparmio, oltre che evitare di vedere un altro giorno nuovamente sconvolgere le nostre strade.26 Nel Consiglio comunale del 17 maggio 1920 era presentata un’interrogazione per conoscere il motivo della lunga interruzione dell’acquedotto, che il sindaco attribuiva al male collocamento dei tubi, ed all’essere parte di questi guasti. Assicura però che da parte del Consorzio si cerca in ogni forma di riparare e al più presto possibile.27 Il 22 maggio si scriveva: Fra qualche giorno, forse oggi stesso Cividale ed altri undici comuni del mandamento e contermini di esso, vale a dire circa cinquantamila abitanti, potranno dissetarsi dell’acqua limpidissima e fresca del Poiana, perché i lavori di assestamento relativi stanno per essere definitivamente compiuti. Par di sognare!28 Con l’occupazione della città a seguito della rotta di Caporetto, buona parte dei tubi e delle saracinesche era andato disperso; tenuto conto che dopo aver eseguito la nuova distribuzione l’acquedotto di Purgessimo sarebbe rimasto in gran parte inutilmente interrato, il Consorzio proponeva di conservare quella tubatura solo fino alla facciata del Duomo e anche una sua diramazione in borgo Brossana, levando gli altri tubi per riutilizzarli; si calcolava di poterne ricavare 530 metri, di vari diametri, spendendo per la loro estrazione dal suolo 2 lire al metro lineare.29 Finalmente nell’estate 1920 si poneva mano ai lavori, utilizzando il materiale disponibile: si iniziava con un tratto di 115 metri di ghisa da 80 mm in via Monastero Maggiore e si scavava in borgo S. Domenico per la posa della conduttura che da piazza S. Giovanni scendeva fino alla villa Moro.30
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In alto: attraversamento della conduttura principale nella città di Cividale, tratta E dal serbatoio a Cerneglons, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
In basso: condutture a Rubignacco di Cividale, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Nei primi tempi di utilizzo dell’acquedotto, erano pochi gli utenti a essere dotati di contatori.
Nel capoluogo l’anno 1921 risultano attivate tre fontane pubbliche alimentate dal Poiana, così collocate: 1 piazza Diacono, 2 piazza de Puppi, 3 piazzale della Stazione. A queste si aggiungevano le seguenti otto, già preesistenti perché collegate all’acquedotto di Purgessimo del 1903: 4 via Monastero Maggiore, 5 borgo Brossana, 6 borgo S. Pietro, 7 Largo Boiani, 8 piazza S. Francesco, 9 borgo S. Domenico, 10 via della Stazione, 11 piazzale delle Scuole.31 Nel 1922 i metri di tubazione che mancavano per completare la rete di distribuzione interna erano 4.403.32
L’acquedotto nelle frazioni di Cividale I paesi circondanti la città ducale erano interessati all’estensione della rete idrica dall’estate 1914 al maggio 1915, con una sequenza di lavori che si sintetizza qui di seguito e che evidenzia il ritmo serrato delle operazioni di posa, tenuto conto che tutti i lavori di scavo erano eseguiti manualmente. Nel luglio 1914 si mettevano in opera 400 m di tubi del diametro maggiore, quelli da 420 mm, a monte di Sanguarzo. Nello stesso mese si provava e si ritombava il tratto di 400 m della tubazione di 350 mm da porta San Pietro al crocevia del Gallo, ponendo in opera anche 250 m da 300 mm a valle di Grupignano, dirigendosi verso Premariacco. Nel novembre 1914 con 270 metri di tubature si giungeva dal nodo per Purgessimo fino all’inizio di tale località. Si posavano 1.400 m fra il Cristo e Madriolo, 2.000 m tra Madriolo e Purgessimo e 375 m fra il nodo per Purgessimo e Rualis; ancora, 1.100 m fra Rualis e Gagliano, nel cui interno si inserivano 1.000 m di tubi a dicembre. Nello stesso mese si aveva il prolungamento del tratto fra Ipplis e Spessa.
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A gennaio 1915 ci si inoltrava nell’interno di Purgessimo, nel marzo seguente erano 900 i metri posati fra Gagliano e Darnazzacco e altri 1.980 fra il Cristo e i Casali Barbiani, 1.370 m all’interno di Grupignano 1.195 m all’interno di Gagliano, 550 m interni a Rualis, cui ne seguivano ancora 253 in aprile e 2.530 m in località Spessa. Nell’aprile-maggio 1915 il reticolo di tubi si accresceva ulteriormente con 1.350 m fra Cividale e Rubignacco, 444 m all’interno di Sanguarzo, 1.957 m fra Fornalis e Casali Barbiani, 632 m di diramazioni per il ‘Tiro al Bersaglio’, 1.030 m per la Caserma Alpini, 1.794 m per Guspergo, 380 m per borgo S. Lazzaro. All’inizio dell’estate 1915 mancavano solo 400 m di tubi del diametro di 40 mm tra Rubignacco e le Fornaci e, come prima esposto, quasi tutte le diramazioni interne di Cividale.33 L’anno 1921 nelle frazioni cividalesi si riusciva ad attivare 27 fontane pubbliche; sommandovi le 11 del capoluogo, in totale nel Comune se ne trovavano 38, ovvero il numero stabilito nel progetto del 1911. Tale numero era aumentato per ordine del Municipio, che ne faceva installare ancora 1 a Sanguarzo, 1 in località Soravit (ex forni militari), 1 al mulino di Zuccola e 1 nella piazza Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Cividale del Friuli, particolare dalla corografia realizzata dallo studio cartografico Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro interno in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno sul livello del mare, quelli azzurri le quote piezometriche.
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del mercato bovino (attuale piazza della Resistenza).34 Riguardo a quest’ultima, va ricordato che anteguerra sul mercato bovino si trovava un capace abbeveratoio e un lavatoio, entrambi demoliti durante l’invasione dell’ottobre 1917.35 Nel Foro boario conveniva per il mercato settimanale un gran numero di persone, oltre ai quadrupedi, per cui era assolutamente necessario disporre di almeno uno zampillo d’acqua. Anche le altre fontane aggiuntive avevano la loro precisa motivazione di esistere, quella in Soravit era stata aperta durante la guerra nei pressi della casa Pittioni, dove si trovavano i forni militari e di essa continuavano a servirsi una ventina di famiglie, prive di altre fonti d’acqua potabile. In Zuccola, all’unica fontana presso il mulino Scarbolo attingevano nove famiglie, con circa 60 persone; siccome normalmente erogava acqua solo per un’ora su 24, le famiglie che non potevano mandare qualcuno a riempire i secchi fino in borgo S. Domenico, bevevano quella della roggia che scorreva tra le case, con danni gravissimi all’igiene, verificandosi diversi casi di infezione intestinale, attribuiti appunto all’acqua, sì limpida ma non potabile. La posizione delle fontane poteva accendere dibattute controversie tra i fruitori del servizio. Talvolta le richieste di spostamento si mostravano fondate, ad esempio nel 1921 era presentata un’istanza per collocare diversamente la fontana in località ponte S. Quirino e il Municipio trovava giusto il reclamo, essendo stata collocata in un punto eccentrico rispetto all’abitato, anzi addirittura nel territorio del confinante Comune di S. Pietro al Natisone; si spostava, per maggiore comodità di tutti, nelle adiacenze della locale chiesetta.36 Lo stesso anno, per evitare che a Gagliano gli scoli dell’acqua si riversassero nel cortile del parroco, la fontana esistente sul piazzale della chiesa doveva essere spostata davanti alla casa Marinig o nei suoi pressi. Un altro spostamento si aveva in borgo S. Domenico, per allontanare la fontana dalla strada pubblica ed evitare che l’acqua sbattuta dal forte vento allagasse la via dove, quando gelava, rappresentava un subdolo pericolo per i passanti. Nel 1922 si provvedeva al trasporto della fontana pubblica nella piazzetta della chiesa di Rubignacco, dove esisteva la vasca in cemento di una vecchia fontana dell’acquedotto dei Mandolini, in modo da usufruire di tale manufatto e dell’annessa conduttura per il rubinetto; la colonna in ghisa che non serviva era utilizzata per l’impianto della fontana ai Casali Barbiani (Fornalis), dimostrando in tal modo l’accorto uso delle risorse, che caratterizzava costantemente l’operato del Consorzio. Nel 1923 era la volta dell’estensione della conduttura ai casali Corgnolet e alle baracche di Rubignacco, ai casali Gradaria (Gagliano), in Carraria verso la salita per Castelmonte e all’interno della frazione di Sanguarzo.37 Nel 1924 gli utenti complessivi dell’acquedotto Poiana erano 2200, dei quali 615 quelli di Cividale.38
Gli abitanti della località S. Quirino il 19 ottobre 1921 presentano alla Giunta municipale di Cividale un’istanza per spostare la loro fontana pubblica, in posizione troppo scomoda da raggiungere. Dopo un sopralluogo, il Consorzio Poiana ritiene che tale reclamo sia giusto, dato che la fontana era collocata in una località eccentrica all’abitato, addirittura nel territorio comunale di S. Pietro al Natisone. I richiedenti saranno accontentati, trasferendola vicino alla chiesetta locale, spendendo 413 lire.
I bagni pubblici Il 22 gennaio 1940 era deliberata la costruzione di un piccolo stabilimento per bagni pubblici nel centro cittadino, preventivando una spesa di 175.000 lire.39 In città da tempo si deplorava la mancanza di tale servizio, sopravvenuta la guerra l’idea era necessariamente abbandonata e i pochi fondi accantonati per esso, con la successiva svalutazione si riducevano a importi irrisori. L’Amministrazione comunale di Cividale, dopo aver invano cercato una valida soluzione a tale manifesta carenza, nel 1952 chiedeva al Consorzio Poiana di attuare il servizio deliberato. L’anno seguente era redatto il progetto dall’ing. Vicentini, per una costruzione da
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collocare nel sottosuolo di Piazzetta Terme Romane, di proprietà del Comune. Non sappiamo quanto tale coincidenza sia stata voluta, fatto sta che il servizio era ubicato proprio dove, duemila anni prima, i Romani avevano realizzato l’impianto termale per tutti i cittadini di Forum Iulii. Una volta ultimata la costruzione, nel 1954, il Consorzio assumeva anche l’esercizio dei bagni pubblici, in gestione provvisoria per conto del Comune. L’esperimento doveva durare solo un anno, invece l’attività continuava, sempre con la gestione del Poiana. Pur con modifiche intervenute in vari tempi, il servizio è tuttora attivo.
Anni Sessanta Nel 1963 a Rubignacco vi erano ancora delle famiglie che si servivano della fontana pubblica in piazzetta della Croce e la Giunta comunale nella seduta del 6 maggio di quell’anno deliberava di contribuire con il 50% della spesa preventivata, pari a 260.835 lire, per le derivazioni idriche a beneficio delle loro abitazioni. Sempre a Rubignacco, la derivazione per i Casali Zamparutti era completata nel febbraio 1971. Nel 1964 si aveva il prolungamento da Casali al Cristo a casa Gottardis di Fornalis, seguiva poi il potenziamento per Fornalis, con la posa in parallelo di una conduttura del diametro di 80 mm in sostituzione dell’esistente di 40 mm.
Località Fortino (1968) Questa zona, sita sui rilievi a nord di Cividale, aveva carattere eminentemente agricolo e vi sorgevano cinque case coloniche, per servire le quali negli anni Cinquanta era stato costruito un impianto di sollevamento, non essendo possibile il rifornimento a gravità per l’elevatezza della quota. L’attivazione di un albergo e la costruzione di numerose case di abitazione a carattere civile, in seguito rendevano l’originario impianto
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insufficiente, soprattutto nei mesi estivi, tanto da richiedere più volte l’intervento di autobotti. Su incarico del Comune il Consorzio, stimando che nella zona si sarebbe potuto costruire al massimo una quarantina di case, calcolava in 20.000 litri le necessità giornaliere di acqua e prevedeva un serbatoio di accumulo di 20 mc, triplicando la capienza di quello di distribuzione, portandolo a 30 mc e posando una condotta di 1.564 metri complessivi, di vari diametri.40 I lavori erano intrapresi nella primavera del 1968 ed erano ultimati il 5 novembre seguente.41
Anni Settanta Nel programma di massima per la sistemazione della conduttura principale e delle reti di distribuzione carenti, stante la difficoltà di reperimento dei fondi necessari alla nutrita serie di imponenti opere previste, nel 1974 si dava la priorità al potenziamento della rete da Cividale a Gagliano.42 Per il forte sviluppo edilizio, con conseguenti maggiori assorbimenti d’acqua, nei primi anni Settanta una delle zone che presentavano maggiore deficienza del servizio era quella che si estendeva sulla riva sinistra del fiume Natisone, comprendente le frazioni di Rualis, Gagliano e Fornalis. Il Consorzio predisponeva un progetto di massima per la costruzione di un’adduttrice da borgo S. Giovanni del capoluogo a Gagliano, indicante una spesa di 120 milioni, presentando il 22 ottobre 1971 domanda all’Assessorato Lavori Pubblici della Regione di ammissione ai benefici della Legge Regionale 16 agosto 1971, n. 36. Una seconda domanda, dopo un aggiornamento del progetto e un raddoppio del preventivo era inoltrata il 15 maggio 1973, al medesimo Assessorato, per l’ammissione ai benefìci della Legge Regionale 22 agosto 1973 n. 23.43
Serbatoio di distribuzione, di raccolta e locale per l’elettropompa in località detta “Al Fortino” di Cividale, anni Sessanta.
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FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI CIVIDALE DEL FRIULI, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Borgo S. Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 20/8/1962) Piazza S. Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 1/10/1959) Borgo di Ponte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 14/4/1955) Foro Boario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 26/5/1959) Borgo Brossana. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 19/6/1961) Piazza P. Diacono . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Piazza XX settembre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa 2/1/1962) Casali S. Lazzaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa 8/3/1965) Casali S. Chiara . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa 5/5/1958) Rualis Borgo Viola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 26/5/1959) Rualis Borgo Tomba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 13/5/1964) Rualis Piazza Chiesa . . . . 1 (soppressa 9/6/59, riaperta 13/6/59) Rualis S. Pantaleone/Viale Trieste . . . . 1 (soppressa 30/10/1968) Rualis Borgo CorfĂš/Capitello . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 20/8/1962) Gagliano Borgo Doria. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 27/7/1960) Rualis Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 28/2/1961) Darnazzacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 21/3/1950) Spessa Casali Spessa/Rubini . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 25/3/1958)
Planimetria del progetto di riatto della rete idrica cittadina di Cividale, zona di via Candotti e via Cornelio Gallo, 30 ottobre 1978.
Spessa Casali Marioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Fornalis Casali Romanutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 1 (soppressa 1/9/1966)
Fornalis Casali Barbiani
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Fornalis Casali Sandrini
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1 (soppressa 10/6/1966)
Fornalis Casali Iurettig
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1 (soppressa16/5/1962)
Casali al Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa 1/3/1958) Carraria Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Carraria Casali Druga
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1 (soppressa 6/5/1961)
Madriolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 6/5/1954) Purgessimo . . . . . . . . . . . . . . . . 2 (soppresse 15/6/1959 e 8/7/1968) Ponte S. Quirino
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1 (soppressa 9/12/1967)
Sopravilla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 30/5/1959) Sanguarzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 (soppresse 1/6/1959, 28/9/1962) Sanguarzo Casali Pelosa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Guspergo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa 8/3/1963) Guspergo Casali Boscutti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Zuccola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 13/3/1959) Rubignacco Piazza Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .3 Rubignacco Baracche. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Rubignacco Casali Scarbolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 Gruppignano Chiesa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 13/3/1959)
A peggiorare la situazione interveniva il terremoto del 1976, che provocava ulteriori deficienze particolarmente nel settore di Rualis, Gagliano e Carraria.44 Il potenziamento della rete Rualis-Gagliano era approvato con delibera della Giunta del Comune di Cividale del 20 giugno 1976, affidando in concessione al Consorzio l’esecuzione delle opere e forniture dei materiali.45 Nel luglio 1977 il primo lotto di tali lavori era ultimato per la parte idraulica, mancando solo la ricostruzione della pavimentazione in porfido. Lavori nei pressi del ponte del Diavolo, 1977.
SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
Planimetria del progetto di riatto della rete idrica cittadina di Cividale, area di via Monte Nero, via Peribola e via Rossini, 30 ottobre 1978.
Planimetria del progetto di riatto della rete idrica cittadina di Cividale, area comprendente stretta S. Valentino, piazzetta de Portis e stretta Monte di PietĂ , 30 ottobre 1978.
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SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
L’acquedotto di Purgessimo Nel 1959 l’Amministrazione militare, che aveva costruito una caserma a Purgessimo, chiedeva di conoscere la spesa per rimettere in piena efficienza l’ormai vetusto acquedotto comunale di quella località, realizzato nel 1903 a beneficio di Cividale46 e che aveva ormai aveva perso i requisiti della potabilità, intorbidendosi a ogni pioggia. Per riutilizzarlo nuovamente, occorreva sottoporlo a due processi: la ‘depurazione’ mediante decantazioni e filtri (chiarificazione) delle sostanze tenute in sospensione e la successiva ‘sterilizzazione’, per ridurre in quantità ammissibili i microrganismi patogeni presenti. Un impianto di chiarificazione sarebbe stato costosissimo e difficile da far funzionare in quel contesto, mentre era possibile limitare la potabilizzazione al solo processo di clorazione, con la caduta della soluzione di ipoclorito di sodio nel serbatoio, da adattare con opportune opere interne per la distribuzione uniforme dello sterilizzante. Era altresì opportuno che il serbatoio fosse provvisto di adeguati scarichi per un frequente allontanamento del deposito di limo, presente a causa dell’intorbidimento del liquido. Con altre opere per eliminare dalle prese e dal serbatoio fughe di acqua e per captare completamente tutte le
Tratta D, dal nodo per Purgessimo a Purgessimo, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
polle si riteneva di poter ben disciplinare l’acquedotto, bastevole a soddisfare i bisogni della popolazione. Siccome però sulle utenze non si poteva effettuare nessun controllo dei consumi, era opportuno che queste fossero provviste di contatori.47 I lavori, con i quali si attuava una parte di quanto progettato – la sistemazione delle prese e del serbatoio – si svolgevano dal 15 giugno al 15 luglio 1964. Mentre era in corso la sistemazione, il Comune di Cividale affidava la gestione tecnico contabile di entrambi gli acquedotti comunali – quello di Purgessimo e quello rurale di via Castelmonte – al Consorzio Poiana, essendo questo dotato dell’attrezzatura e della specifica idoneità per svolgere tale servizio, stipulando una specifica convenzione.48 Su progetto dell’ing. Giovanni Mantovani del 25 novembre 1969, elaborato per migliorare la distribuzione idrica a Purgessimo utilizzando la rete del Poiana, si costruiva una condotta adduttrice d’acciaio del diametro di 100 mm derivata in località Ponte San Quirino dalla condotta maestra consorziale da 420 mm, di ghisa grigia, con giunti a bicchiere piombati su ristagno di canapa. Al Ponte San Quirino la quota piezometrica di esercizio nel 1969 oscillava intorno a 192,40 m, presidiata dall’interruttore del Tiglio, posto a quota 201. L’adduttrice derivata per Purgessimo si sviluppava per
SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
circa 1.800 metri fino alla saracinesca in località Ancona, alla quota 190,50 metri. Sabato 19 dicembre 1970 era messa in funzione questa nuova derivazione dall’acquedotto Poiana.49 Con il vecchio impianto si faceva fronte ai bisogni locali per usi agricoli e industriali, con una portata disponibile di 5 l/secondo per ognuna delle due sorgenti, denominate Carniello e Zucco. L’acqua non era dichiarata batteriologicamente potabile, né veniva trattata prima di essere immessa in rete, date le caratteristiche del servizio idrico cui si destinava; potenzialmente, con l’aggiunta di un apparecchio cloratore autodosatore la portata poteva essere destinata anche al fabbisogno idropotabile della zona, peraltro già servita dal Poiana. Dal 1975 i proprietari delle case situate all’ingresso della frazione di Purgessimo chiedevano ripetutamente lo spostamento della saracinesca di intercettazione situata presso ‘l’Ancona’ verso Madriolo-Cividale, ma non era possibile aderire a tale richiesta, in quanto ciò avrebbe aumentato la sottrazione dell’acqua nell’adduttrice principale Tiglioserbatoio Monte dei Bovi, aumentandone la velocità. L’alimentazione di Purgessimo aveva già portato un abbassamento del livello dell’acqua all’interruttore del Tiglio oscillante da 0,50 a 0,70 metri nelle punte; incrementando ancora l’assorbimento, poteva esserci una rottura nella condotta principale da 420 mm, tarata per le pressioni di esercizio fissate dal progetto originario.50 Per ovviare a tale deficienza, il Consorzio aveva già predisposto un progetto di massima per la posa di un’adduttrice da borgo San Giovanni di Cividale a Gagliano, migliorando tutta la rete di distribuzione situata sulla riva sinistra del Natisone, compresa Purgessimo. Gli eventi sismici del 1976 danneggiavano le due opere di presa e le sorgenti non erano più reperibili nelle loro posizioni primitive, in quanto i sommovimenti tellurici sconvolgevano l’assetto idrogeologico delle falde del monte. Solo nei periodi di morbida era disponibile una certa portata, ma sempre con le punte massime molto ridotte, influenzate dalle precipitazioni atmosferiche e di gran lunga inferiori ai 10 l/ secondo originari. In condizioni di normalità si riduceva a valori insignificanti, per annullarsi durante le magre, quando le sorgenti rimanevano all’asciutto. Le visite e i sondaggi eseguiti – anche con l’appoggio delle testimonianze locali, sempre utili in situazioni del genere – consigliavano di estendere le opere di captazione penetrando il più possibile nel fianco del monte fino a intercettare le sorgenti sulle nuove direttrici, in quanto erano ancora attive, ma con orientamenti mutati. Con l’elaborato del 3 novembre 1978 si prevedeva una galleria filtrante per ciascuna opera di presa, con le pareti finestrate verso le direzioni di
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Potenziamento dell’acquedotto di Purgessimo, sezione della cabina di presa della sorgente ‘Carniello’ (1967). La conduttura di Purgessimo a servizio di Cividale è stata realizzata nel 1903, quando non era stato ancora definitivamente deciso di realizzare l’acquedotto consorziale del Poiana.
afflusso delle sorgenti, orientate verso i nuovi strati filtranti. Le camere di manovra, le condotte e il serbatoio di compenso erano ritenuti già funzionali nel loro assetto. Il progetto di riatto era adottato con delibera assembleare dell’8 novembre 1978 e approvato dalla Regione il 7 maggio 1979. Dopo l’atto di consegna dei lavori, effettuato il 23 febbraio 1982, si effettuavano sondaggi e riscontri più attenti e circostanziati nelle zone interessate dalle due opere di presa, allargando le aree di intervento. Dopo lo scortecciamento della crosta superficiale e numerose prove penetrometriche in profondità, i risultati ottenuti consigliavano di abbandonare gli interventi previsti sulla presa alta ‘Carniello’, che nei periodi di magra si riduceva a valori irrilevanti, concentrandoli tutti sulla bassa ‘Zucco’, di portata consistente; anche le testimonianze dei residenti confermavano i periodi di forti cadute di portata della presa alta e l’apporto continuo dell’altra. In base a ciò era allestita una perizia di variante per destinare i fondi, originariamente previsti per entrambe le opere, solo a quella inferiore, allungandone la canna filtrante fino a 15 metri, anziché ai soli 10 previsti, per consentire una più efficace opera di cattura delle vene sorgive; era inoltre da costruirsi un muro in calcestruzzo completamente interrato, a valle dell’opera di presa per regolare il battente della cameretta di raccolta ed evitare, al tempo stesso, fughe d’acqua a valle e all’esterno della galleria filtrante.51 Per la necessità di provvedere all’allestimento della perizia di variante, i lavori erano sospesi il 24 maggio 1982 e ripresi il 21 novembre 1983; la loro ultimazione avveniva il 17 gennaio 1984.
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A seguito dell’insorta necessità di abbandono del sistema di approvvigionamento idrico della caserma di Purgessimo, basato su un pozzo artesiano risultato inquinato, si imponeva il potenziamento della fornitura idrica dalla rete comunale, richiesto nell’autunno 1983 dalla 12ª Direzione Genio Militare di Udine; tale lavoro era eseguito nell’ottobre 1985.52 Sulla condotta dell’acquedotto locale erano allacciate, oltre a utenze private dislocate lungo il suo tracciato, varie diramazioni per usi comunali: campo sportivo di Purgessimo, ex Preventorio di Carraria, Ospedale Civile, monumento in piazza della Resistenza,53 nuova Casa di Riposo, impianto idrico di innaffiamento PEEP di Rualis, idrante presso il campanile del duomo di Cividale. Il rifacimento della vecchia rete interna di Purgessimo si attuava nel corso di un lotto di lavori svolti dal 1989 al 1991. In seguito alla richiesta del Comune di Cividale di quantificare i costi per la riattivazione dell’acquedotto di Purgessimo, un’ispezione all’opera di presa e alla condotta era eseguita il 27 luglio 1995; in partenza era calcolata una portata di 6 l/secondo, detraendo i consumi delle utenze risultava una dispersione per fughe di oltre 4 l/secondo, pari al 70% della portata. Risultava evidente la necessità di eseguire una manutenzione straordinaria e di pulizia degli impianti.54 Dopo l’approvazione del Comune, i lavori iniziavano l’11 dicembre 1997.55
del progetto esecutivo, relativo al tratto Rubignaccocrocevia di Torreano.57 Successivi eventi inducevano a riconsiderare tale destinazione, utilizzando il finanziamento di 150 milioni anche per l’esecuzione di un tratto di conduttura interessante il nuovo ponte cittadino. Ai lavori di sostituzione della condotta in Rubignacco – da 60 mm, sulla quale erano in atto 5 fughe, con una condotta da 100 mm – si riusciva a dare corso nel 1986. Le case sparse ubicate nei casali Costa, Fornalis e Barbianis erano riforniti mediante sollevamenti privati, con una condotta anch’essa privata che riforniva l’utenza cumulativa di più famiglie. Il nuovo regime idrico consentiva l’eliminazione di tale sollevamento.58 Per la costruzione delle reti adduttrici di Cividale del Friuli e di Pavia di Udine, su incarico del Consorzio il prof. Raffaele Cola approntava il progetto datato 30 luglio 1987, che preventivava la spesa di un miliardo di lire ed era finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti.59 I lavori – riguardanti il citato rifacimento della vecchia rete interna nella frazione di Purgessimo e la chiusura dell’anello Gagliano-Barbianis-Bivio Romanutti – erano consegnati con verbale 11 dicembre 1989. Il 1º marzo 1991 era redatta una perizia suppletiva e di variante, che comportava la maggiore spesa di 100 milioni di lire, coperta dal Consorzio con mezzi propri; per Cividale si prevedeva maggiori impegni di spesa per la presenza di consistenti banchi rocciosi, in misura decisamente superiore a quella prevista dal progetto. L’ultimazione dei lavori avveniva il 31 ottobre 1991.60
Anni Ottanta a Cividale
CORNO DI ROSAZZO
Il sessantennale esercizio e le scosse telluriche del 1976 determinavano per la conduttura interna cividalese un forte stato di degrado, a cui si intendeva porre rimedio con la predisposizione del progetto di riatto datato 30 ottobre 1978. Un ulteriore progetto di larga massima per la razionalizzazione della rete idrica di distribuzione del capoluogo e delle frazioni del Comune di Cividale era approntato il 19 settembre 1979, con un preventivo di 1.642.500.000 lire. Si interveniva sulle tratte che presentavano il maggior numero di perdite (stretta Monte di Pietà, piazza de Portis, via San Valentino, via Candotti, via Cornelio Gallo, via Peribola, via Monte Nero, via 4 novembre, via San Moro), con lavori consegnati il 17 dicembre 1979 e, con alcune sospensioni, protratti fino al 13 giugno 1980.56 Si evidenziava lo stato di assoluto degrado della conduttura consorziale Cividale-Rubignacco, dello sviluppo di circa 2.000 metri, costellata da piccole fughe dovute all’instabilità del terreno, argilloso e acquitrinoso, ove era posata; nel solo 1983 si era intervenuti con ben sette riparazioni. Avendo la Regione concesso 150 milioni per gli interventi più urgenti, si procedeva con la redazione
La posa delle condutture nel territorio di Corno di Rosazzo avveniva appena poco prima che risuonassero i primi colpi di fucile, annuncianti l’avvio delle ostilità della prima guerra mondiale. Come noto, il confine con l’Austria era vicinissimo a questo Comune. Nel marzo 1915 si compiva il percorso di avvicinamento dei tubi, posandone 940 metri fra Spessa e Corno di Rosazzo. Dopo averli provati e ritombati, nello stesso mese il cammino dei tubi continuava con 250 m fra Corno e Gramogliano, altri 300 m in aprile e poi 514 m all’interno di Visinale. Si ritornava poi sul cantiere iniziale, completando il collegamento tramite 3.742 m fra Spessa e Corno di Rosazzo. Si poteva dunque diffondere il liquido a beneficio dell’intero territorio comunale, posando 500 m all’interno di Corno, 622 m da 50 mm e 695 da 40 mm fra il nodo del Gallo e S. Andrat, 600 m fra Corno e Villa Torriani, 83 m all’interno di Visinale. Per il completamento mancava solo la diramazione di Godia, della lunghezza di 375 m e del diametro di 40 mm.61 Dopo la riemersione dalla bufera del conflitto, nell’agosto 1919 a Visinale si effettuavano ricerche per
Intestazione del Municipio di Corno di Rosazzo, 1921.
Condutture per Dolegnano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Tratte di tubi per Corno e vari borghi, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
verificare lo stato della conduttura, nel tratto in cui gli Austriaci vi avevano sovrapposto quella conducente l’acqua a Brazzano. In contemporanea, si sistemava la rete nei pressi di Corno. In seguito alla soppressione della Dogana di Visinale, si rendeva pressoché inutile la presenza della locale fontana pubblica, meglio utilizzabile in un altro punto, più centrale e comodo; la giunta consorziale dava il via libera per questa operazione e il Comune indicava come luogo ottimale la piazza della chiesa del capoluogo; lo spostamento avveniva il 15 ottobre 1919.62 Il 19 ottobre 1919 si sopprimevano quattro fontanelle militari in soprannumero, poste in località Quattroventi.63 L’eccezionale siccità del 1921 alla fine di dicembre provocava il blocco completo dell’erogazione in alcune fontane, mentre altre ne emettevano in minima quantità. Al sindaco che chiedeva ragione di tale situazione, il Consorzio spiegava che la portata delle sorgenti era ridotta a circa 1/3 della normale, tanto che si forniva acqua solo alle fontane collocate altimetricamente entro la quota, ormai assai ridotta, dei carichi dell’acquedotto.64 Una nuova richiesta del sindaco era inoltrata il 15 dicembre 1924, per conoscere il motivo della chiusura Tratte per Visinale di Sopra e di Sotto, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI CORNO DI ROSAZZO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON INDICATE ALCUNE DATE DI SOPPRESSIONE Corno di Rosazzo . .2 (soppresse 25/7/1957 e 3/7/1959) Corno di R. Piazza Chiesa . . . . . . . 1 (soppressa 8/7/1959) Casali al Gallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 22/5/1958) Visinale del Judrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 S. Andrat del Judrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Noax . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 Gramogliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
della fontana pubblica in località Gallo; apprendeva che ciò era avvenuto in seguito alla dolosa manomissione nel rubinetto di erogazione e successivamente non era stata riaperta per disposizione verbale del Commissario Prefettizio. Nel 1925 si decideva di sopprimere la fontana della scuola di Visinale, trasportandola al Ponte Nuovo, ma visto che ciò avrebbe comportato una forte spesa, il Comune preferiva ricollocarla sulla piattaforma del pozzo di Visinale, a ridosso della vera e facendo in modo che l’acqua di rifiuto si riversasse nel pozzo stesso. Prevedendo però che per l’incuria degli utilizzatori il delicato congegno di chiusura in breve si sarebbe rotto, facendo fluire l’acqua in continuo fino a riempire il pozzo stesso, chiedeva di applicare alla colonna un sistema diverso da quello usuale a scatto, proponendo quello a leva, che si era visto in funzione a Padova. Si dava corso ai lavori dopo l’approvazione del preventivo, di 439,20 lire.65 Dopo la soppressione della Dogana di Visinale, si spostava la fontana pubblica che vi era situata in una posizione più centrale e comoda, ovvero nella piazza della chiesa (archivio fotografico comunale Corno di Rosazzo).
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La guardia comunale di Corno di Rosazzo compie il suo dovere, informando il Consorzio che le erogazioni pubbliche a Gramogliano e ai casali Godia non sono funzionanti e, pertanto, occorre porvi urgentemente rimedio, 24 maggio 1920.
la produttiva. Quindi ordinava anzitutto di inibire rigorosamente l’invalso abuso di cessione gratuita dell’acqua da parte di utenti a forfait in favore di altri che non vollero mai accettare l’onere del canone di concessione già contenuto in assai modesta misura e persistono a fruire dell’acquedotto in forma scorretta e vietata profittando della facile accondiscendenza degli abbonati. Era indispensabile ridurre il numero delle fontane pubbliche e disciplinare, mediante l’applicazione di contatori, la fornitura d’acqua agli utenti, elevando inflessibili contravvenzioni a chi la cedeva abusivamente.66 Dopo un apposito sopralluogo, secondo il Consorzio in quel tempo si potevano chiudere tre fontane: quella ai casali Cumini che serviva sei famiglie operaie disposte a consorziarsi per avere nel loro cortile un’unica fontana a pagamento, la seconda alle scuole di Visinale, ove si poteva introdurre un piccolo getto nell’edificio e la terza in Noax usata da otto famiglie, tutte di condizioni tali da potersi fare utenti singolarmente.67
Corno addio
Bentornato Corno
Nelle varianti apportate allo statuto consorziale l’anno 1929, scompariva tra i soci il Comune di Corno di Rosazzo, in quanto era stato fuso con quello di San Giovanni al Natisone. Dopo l’avvenuta unificazione, avendo verificato che la gestione dell’acquedotto nell’ambito comunale di Corno di Rosazzo da parecchi anni si chiudeva senza utili o con lievi deficienze, il Commissario Prefettizio di San Giovanni al Natisone riteneva urgente adottare provvedimenti atti a render-
Il Comune di Corno di Rosazzo tornava nuovamente autonomo dal 1º gennaio 1947 e dal 1º marzo seguente, dopo 19 anni di assenza, era reintrodotto fra i componenti del Consorzio Poiana.68 Nel dicembre 1949 era prolungata la conduttura in S. Andrat, sulla via Centa e si introduceva l’acqua all’interno della canonica.69 Nel 1962 si ampliava la rete a beneficio dei Casali Cumini, nell’aprile 1968 era completata l’estensione a
Attingimento alla fontana del Poiana a Gramogliano, anni Quaranta. L’operazione, necessariamente svolta con notevole frequenza, era agevolata dall’impiego della coppia di recipienti in rame, appesi al ‘bicollo’, il curvo arconcello con ganci alle estremità (archivio fotografico comunale Corno di Rosazzo).
Nel computo delle esigenze idriche giornaliere si teneva conto anche del numero dei bovini presenti nelle località servite dalla rete acquedottistica, calcolando 50 litri d’acqua per ognuno. In questa foto, una pariglia di bovini di pezzata rossa si abbevera alla fontana di Gramogliano, circa 1945-1947 (archivio fotografico comunale Corno di Rosazzo).
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favore delle nuove case popolari di Corno, con spesa a carico del Comune,70 mentre quelle di Gramogliano erano allacciate nel 1972, anno in cui si effettuava il collegamento a un ulteriore insediamento popolare del capoluogo, nonché al suo campo sportivo.71 Che la situazione idrica a Noax fosse particolarmente critica era evidenziato dal fatto che, per protestare contro il perdurare della deficienza, i cittadini di quella località nel 1968 rifiutavano di ricevere i certificati elettorali. La situazione si sbloccava, i lavori per l’acquedotto rurale di quella località, progettato nel 1967, erano avviati nel 1969 e il 29 gennaio 1970 era messo in funzione il relativo impianto di sollevamento.72 Nel luglio 1971 si effettuava la prima prova di tenuta del serbatoio di compenso costruito a nord di Corno, a Noax. In quel tempo, Corno era rifornito da una conduttura di adduzione che partiva dal serbatoio ‘Tre Pini’ e correva lungo la strada provinciale Manzano-Corno fino a Dolegnano, da lì percorrendo la strada comunale Dolegnano-Casali Cumini una conduttura da 200 mm raggiungeva il serbatoio, appena citato, di Noax. Il 5 febbraio 1976 il Comune di Corno dava incarico al Consorzio di elaborare un progetto esecutivo di potenziamento della rete distribuzione nel proprio territorio. Nel 1977 tale Comune predisponeva tre lottizzazioni: nell’area ovest ex Catemario, quella del centro civico e quella dell’area est ex Catemario. Per il loro rifornimento era necessario costruire una conduttura di adduzione, in più tratte per complessivi 4.792 metri, atta a soddisfare un fabbisogno giornaliero di 816.000 litri giornalieri.73
Casali Gallo I Casali Gallo, situati a est della frazione di S. Andrat del Judrio erano serviti da una conduttura del diametro di 40 mm, che partendo dalla piazza di S. Andrat e lungo la strada provinciale terminava al centro dei Casali, punto terminale della rete; da lì una condut-
Tratta dal nodo per Soleschiano al Gallo, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
La fontana pubblica di Sant’Andrat coagula attorno a sè un nucleo di giovani ragazze, fine anni Cinquanta (archivio fotografico comunale Corno di Rosazzo).
tura portava l’acqua alle case sparse in quote tra i 90 e i 100 metri s.l.m., nelle colline a nord dei Casali stessi. L’aumento delle utenze e i maggiori consumi riscontrati alla metà degli anni Settanta rendevano la situazione talmente deficitaria che in certe ore della
Planimetria del progetto di massima per il potenziamento della rete idrica dei “Casali Gallo� in Comune di Corno di Rosazzo, mediante la costruzione di una conduttura adduttrice, 25 febbraio 1977.
giornata si aveva la totale mancanza di erogazione. Per ridare ai Casali e alla zona circostante un servizio sufficiente ai bisogni, il Consorzio individuava come soluzione idonea il proseguimento della conduttura che il Comune aveva realizzato nel 1969, dalla S.S. 356 alla chiesa di S. Andrat, per servire nuove aree. Il fabbisogno giornaliero per i Casali Gallo, di 29.250 litri, si calcolava su 90 abitanti residenti e 40 capi di bestiame. Facendo il collegamento all’esistente rete proveniente da Quattroventi, si otteneva un miglioramento nella piezometria, con benefici estesi fino alle case sparse sulle colline.74
Dagli anni Ottanta Dopo aver ultimato la prima fase del programma di potenziamento mediante l’immissione di 150 litri al secondo e la costruzione della rete a grande diametro con relativo serbatoio di compenso a Noax, il Consorzio passava alla seconda fase del programma, ovvero al miglioramento della distribuzione. Le aree del Comune che presentavano maggiori deficienze nel servizio erano le frazioni di Quattroventi (301 abitanti) e di Visinale del Judrio (329 abitanti), ancora rifornite Planimetria per il potenziamento della rete di distribuzione nelle frazioni di Quattroventi e Visinale del Judrio in Comune di Corno di Rosazzo, mediante la costruzione di una condotta di apporto, 10 febbraio 1978.
Panoramica del territorio di Corno di Rosazzo, ripreso dall’Abbazia di Rosazzo.
dalla conduttura del diametro di 60 mm costruita nel 1915, anno di posa dell’acquedotto avente origine in località ‘Armistizio’. Era progettata una adduttrice da 150 mm per la prima tratta di 940 metri e da 80 mm per la seconda, estesa per 930 metri. Tale progetto, datato 10 febbraio 1978 e con preventivo di 61.200.000 lire, era approvato dal Comune di Corno il 15 febbraio seguente, affidando al Consorzio Poiana l’esecuzione delle opere.75 Il potenziamento delle frazioni di Visinale del Judrio e Quattroventi avveniva mediante la costruzione di una conduttura di apporto, con origine da via Plebiscito per via dei Pini, via 25 Aprile e lungo via Aquileia fino all’incrocio di questa con via I Maggio; affidati con contratto dell’11 aprile 1979, tali lavori erano ultimati il 3 aprile 1980.76 Il 31 luglio seguente era concluso l’ampliamento della rete a beneficio dei Casali Pozzo. Con delibera del 17 ottobre 1979 il Comune di Corno dava incarico al Consorzio di eseguire i lavori per il rifornimento idrico dei Casali Bosco Romagno.77 Ancora nel 1979 si interveniva a Ronchi di Gramogliano per aumentare la quantità di acqua da sollevare, mediante la messa in funzione di ambedue le pompe installate, operazione resa possibile dopo la variazione del contratto per la fornitura dell’energia elettrica.78 Dopo dieci anni di funzionamento, la stazione di sollevamento di Ronchi di Gramogliano presentava usure non rimediabili con la ordinaria manutenzione, sia delle pompe che agli impianti elettrici di automazione e sicurezza. Nel 1980 la struttura, assieme a quella dell’Abbazia di Rosazzo che svolgeva la medesima funzione, era oggetto di adeguati interventi.79
Con la revisione straordinaria della rete idrica e la conseguente riparazione delle fughe individuate si riusciva a normalizzare la distribuzione idrica. Il Comune di Corno di Rosazzo, come quello di Pradamano, per la sua altitudine e ubicazione periferica rispetto ai centri di rifornimento idrico del Consorzio risentiva in misura maggiore di altri i disagi e le interruzioni dell’erogazione per i saltuari blocchi dell’impianto di sollevamento a San Nicolò, dovuti a sbalzi di tensione del rifornimento di energia elettrica o a inconvenienti di natura tecnica alle apparecchiature elettriche e idrauliche, impossibili da prevedere. Si perseguiva non la completa eliminazione dei disservizi tecnici, presentandosi questi improvvisi e inaspettati, ma la riduzione del forte disagio che colpiva il Comune al loro verificarsi. L’intervento consisteva nell’inserimento nelle adduttrici giungenti a Corno da Manzano (una da 200 mm e una da 70 mm) di due valvole di ritegno nella zona di Dolegnano Est, in modo da riservare per il Comune di Corno tutta l’acqua accumulata nel serbatoio di Noax della capienza di 2.000 hl. Così facendo si sarebbe avuto un’autonomia, con il serbatoio di Noax completamente invasato, di circa 3 ore, in quanto il consumo orario di Corno era intorno ai 600 hl/ora.80 L’accorgimento dava i suoi frutti: nelle interruzioni al servizio avvenute nel novembre 1984 nella zona servita dal sollevamento di San Nicolò, grazie all’intersezione della valvola di ritegno sulla condotta a Dolegnano, Corno non avvertiva il disservizio. Nel maggio 1984 era conferito al geom. Mario Tubetto l’incarico della progettazione esecutiva per l’ampliamento del serbatoio di Noax, per il quale si acquistavano 700 mq di terreno.81 Il 20 marzo 1987 Corno incaricava il Consorzio di predisporre il progetto per la sostituzione della condotta S. Andrat-Casali Gallo e il potenziamento idrico
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a favore del Polisportivo, la relativa progettazione era affidata all’ing. Raffaele Cola.82 Il nuovo serbatoio di compenso di Noax era attivo dal 13 luglio 1987, con soddisfacenti risultati. Nell’abitato di Visinale del Judrio si rendeva necessario sostituire circa un chilometro della vecchia tubazione in acciaio, ormai gravemente danneggiata dalle correnti vaganti nel sottosuolo, impiegando tubi in ghisa sferoidale. Questi sono in grado di offrire maggiori garanzie contro l’aggressività dei terreni, inoltre essendo rivestiti internamente con malta di cemento, hanno una scabrezza sensibilmente ridotta, a tutto vantaggio di un più efficiente servizio. Tale rete veniva chiusa a maglia, per assicurare l’ottimo funzionamento delle bocche antincendio e per evitare, nel contempo, l’accumulo di depositi alle estremità dei rami morti.83 Il finanziamento dell’opera era assicurato dalla legge 24 aprile 1989 n. 114, con mutuo della Cassa Depositi e Prestiti. La sostituzione e il potenziamento avveniva lungo le vie Penne Nere, San Martino, della Dogana e I Maggio, per uno sviluppo di circa 1.300 metri; i lavori erano consegnati il 15 luglio 1992 e terminavano il 29 gennaio 1993.84 Il 29 settembre 1992 la Commissione amministratrice accoglieva la richiesta del Comune di Corno per il risanamento igienico della località di Gramogliano. Nel 2000 si ripristinava l’impianto di sollevamento di Rosazzo, per fornire in caso di carenza idrica acqua al serbatoio sul colle di S. Caterina, che aveva trovato realizzazione nel 1995 su progetto del 21 agosto 1989. L’anno 2001 era collegata la condotta del vecchio serbatoio dell’Abbazia a quello nuovo di S. Caterina, con un impianto di telecontrollo.85 Corografia del progetto per la rete idrica di distribuzione per tre lottizzazioni: area ovest ex Catemario, area centro Civico e area est ex Catemario, in Comune di Corno di Rosazzo, 22 febbraio 1977.
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Intestazione del Municipio di Ipplis, 1924.
IPPLIS All’epoca di costituzione del Consorzio Acquedotto Poiana, Ipplis formava un Comune a sè stante, con le frazioni di Leproso, Azzano e Braidis. Le condutture giungevano per la prima volta a Ipplis nel febbraio 1915, un ulteriore prolungamento di 213 metri all’interno del paese si aveva nei mesi di aprile e maggio successivi.86 Nel 1924 la conduttura era diramata fino ai casali Solzarêt, alle scuole, all’abitazione del segretario comunale e ai locali del Municipio; vista l’esiguità delle risorse del piccolo Comune, questo chiedeva al Consorzio di poter pagare la spesa di tali lavori, preventivata in 3.900 lire, in quattro anni anziché in tre. Pur essendo di dimensioni molto contenute, nel Comune per le fontane pubbliche non mancavano grane, immancabili in ogni angolo del territorio consorziato. Ad esempio, nel 1920 gli abitanti della frazioncina di Braidis chiedevano con insistenza la riapertura della loro fontanella, dichiarando di ignorare i motivi dell’avvenuta asportazione. Il Consorzio chiariva che quell’operazione si sarebbe dovuta effettuare fin dal 1919, ma si era sospeso il provvedimento in seguito alle vive insistenze dei locali, che avevano promesso di introdurre subito l’acqua nelle proprie abitazioni. Visto che, invece, i frazionisti non si erano mai decisi a fare le pratiche per attuare la promessa fatta, si dava corso all’annunciata chiusura.87 Nel 1924 la Giunta consorziale, con l’approvazione del Comune, deliberava di ridurre le fontane pubbliche, mantenendone una nel capoluogo – al centro del paese, precisamente all’imbocco della strada per il cimitero –, una in Leproso e una ad Azzano.
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L’utente di Ipplis Fioravante P. nel marzo 1926 riceveva una bolletta che gli provocava non poco sconcerto per l’importo addebitatogli, ben 61,60 lire nel secondo bimestre dell’anno. Non si capacitava del perché, in quanto il suo consumo era stato sempre normale. Poi si ricordava che, tempo prima, al mattino aveva inaspettatamente trovato la sua fontana in funzione, evidentemente durante la notte era stata aperta da ignoti, permettendo così che l’acqua scorresse inutilmente senza sosta e chissà per quante volte era stato vittima di quel dispetto. Le indagini, promosse dal municipio di Ipplis, confermarono il fatto, non si sa se originato da trame di vendetta o per stupida burla; era agevole procurare al signor Fioravante un disturbo di quel genere, in quanto la sua fontana, pur privata, era collocata in una corte di proprietà promiscua, dove a tutte le ore transitava liberamente gente, per recarsi alle proprie abitazioni site nei colli soprastanti.88 Nel 1927 il Podestà di Ipplis chiedeva al direttore del Consorzio di compiacersi disporre che in tutte le fontane pubbliche site in Ipplis (Capoluogo e frazioni di Azzano e Leproso) vengano applicati rubinetti che consentano un getto minimo d’acqua. Perché chiedeva questo singolare provvedimento? Ecco la risposta: per evitare uno spreco d’acqua da parte, specialmente, di famiglie che per le loro condizioni economiche potrebbero provvedere a far introdurre nella propria abitazione la condotta dell’acqua stessa e così indurle a provvedere a detta introduzione.89 Un’accorta strategia, dunque, per aumentare il numero degli utenti, i cui pagamenti rimanevano, in parte, a beneficio dei rispettivi Comuni.
Il Comune di Ipplis conferma l’approvazione di quanto deliberato dalla Giunta consorziale sulla situazione della fontane pubbliche, 15 aprile 1924.
Tratta per Ipplis, che seguiva la strada comunale detta Fosso, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Il Comune di Ipplis, in quanto incorporato dal 15 giugno 1928 in quello di Premariacco, dal 1929 scompariva dallo statuto consorziale.90 Le successive vicende acquedottistiche di questa località sono pertanto riportate nei paragrafi dedicati al Comune di Premariacco.
Prolungamento delle condutture a Ipplis, indicate con la colorazione rossa, che andavano ad aggiungersi a quelle già esistenti, segnate in blu, su una mappa dell’anno 1925.
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MANZANO Nella seduta assembleare del 26 settembre 1914 Giacinto Cecconelli, quale rappresentante di Manzano esponeva il desiderio di ridurre, almeno in parte, la forte disoccupazione locale, facendo iniziare al più presto la posa delle condutture nel suo Comune. Chiedeva inoltre lumi sulla fondatezza delle voci ipotizzanti lo slittamento dell’ultimazione della rete a causa della ritardata costruzione del nuovo ponte di Premariacco.
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Intestazioni del Municipio di Manzano, a sinistra del 1921, a destra del 1926.
Gli era assicurato che entro breve sarebbe stato assecondato e che i lavori non avrebbero sofferto alcun posticipo, in quanto nel progetto era previsto il passaggio della tubulatura sul ponte esistente.91 La parola era mantenuta, nell’ottobre 1914 si posavano le tubature da Manzano a Baschin di Sopra, nel mese seguente si inoltravano a Baschin di Sotto, spingendosi poi verso San Lorenzo.
Tratte dell’acquedotto fino alla località Case di Manzano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Un attraversamento delle tubazioni a Case di Manzano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Nel novembre 1914 erano 3.550 i metri di tubi stesi fra Buttrio e Manzinello. I rigori invernali non fermavano le opere, nel gennaio 1915 la rete cresceva di 2.380 m fra Baschin di Sotto e il molino Roggia e in primavera il ritmo di posa aumentava ancora. Infatti nel marzo 1915 il territorio comunale era solcato in lungo e in largo dalle trincee delle tubature: 630 m fra Soleschiano e Manzinello, 752 m dal bivio per Manzano a Manzano, 1.204 m nell’interno di Manzano. In aprile-maggio 1915: 3.090 m di tubi da 175 mm fra Oleis e Manzano, 406 m all’interno di Manzano, 500 m fra palazzo Romano e Villa Puppi in Manzano, 163 m Tratta dal nodo di Oleis a Palazzo de Marchi e tratta per l’Abbazia di Rosazzo, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
della diramazione da Manzano per Case di Sotto e 652 m per Case di Sopra, 200 m di diramazione per Fornaci, 134 m per via Ronchi, 585 m fra Camino e Manzinello. Mancavano ancora: a Oleis verso Palazzo Marchi e l’Abbazia di Rosazzo 650 m di tubazione da 60 mm e 3.450 m del diametro di 40 mm.92 Nel dopoguerra, il 27 agosto 1919 iniziavano gli scavi a Cascina Rinaldi e al campo di aviazione di Oleis/Azzano. Nello stesso anno la fornace di laterizi del signor Antonio Rizzani e fratelli riprendeva l’attività, impiegando un centinaio di addetti. Durante l’invasione nemica i pozzi dai quali mediante pompe si estraeva l’acqua per l’alimentazione e il funzionamento regolare dei due motori a gas povero e dei macchinari produttivi, erano guastati in modo da non dare più il rendimento sufficiente ad assicurare la continuità nel lavoro. Essendo l’acqua necessaria per l’opificio, tanto per gli operai come per il funzionamento dei motori, l’8 luglio 1919 si chiedeva l’autorizzazione alla derivazione di una conduttura dal crocevia della strada sottomonte Manzano-Buttrio alla fornace, distante circa 400 metri, a spese della stessa ditta Rizzani, in caso contrario si sarebbe dovuto licenziare immediatamente oltre 80 operai, inevitabilmente destinati a infoltire le già lunghe file dei disoccupati.93 Non sappiamo per quali contrattempi, solo il 2 ottobre seguente era effettuato il sopralluogo per individuare la migliore soluzione per rifornire le Fornaci.94 La pubblica fontana presso il pozzo di Manzinello dava un getto insufficiente e intermittente, tanto che i
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Tratta che giunge a Manzinello, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
reparti militari accantonati avevano dovuto aprire un altro getto sulla piazza della chiesa, sprizzante acqua abbondante e continua. Quest’ultimo al termine della guerra era soppresso, ma nel 1919 la gente ne invocava la riapertura, suggerendo piuttosto la chiusura di altri due getti, meno utili e funzionali.95 Il Consorzio aveva riattivato la fontana di Rosazzo, ma a causa della tremenda siccità del 1921 la popolazione non poteva usarla per mancanza di pressione; si
Il sindaco di Manzano Dorigo il 16 gennaio 1922 comunicava la mancanza d’acqua nelle frazioni del suo Comune, protratta ormai da otto giorni. In quei tempi il telegramma era il mezzo più veloce per trasmettere le notizie urgenti. La sede del Consorzio disponeva di telefono dal 1928, mentre il municipio di Manzano lo aveva solo dal 1933 e quello di San Giovanni al Natisone dal 1941.
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chiedeva che, provvisoriamente, venisse collocata una fontana in un punto altimetrico più basso, in modo che l’acqua vi potesse più facilmente affluire. Nel 1924 la Giunta municipale deliberava su due punti di erogazione: faceva trasportare la pubblica fontana esistente presso l’osteria Stacco del capoluogo fino in prossimità del ponte sul Natisone, provvedimento necessario per evitare dannose infiltrazioni alla casa Tomadoni, posta sulla roggia; la seconda riguardava l’apertura in località Molini Stel di una fontana per gli abitanti dei numerosi casolari posti in quei dintorni. Nello stesso anno, anche gli abitanti dei casali Molini di San Lorenzo godevano della comodità dell’acquedotto, i tubi si posavano attraverso il canale della roggia, approfittando dell’unica asciutta annuale, della durata di otto giorni, attuata per procedere alla pulizia e sistemazione dell’alveo; due anni dopo i consorti Birri prolungavano, a proprie spese, la conduttura, dal punto ove si arrestava oltre la roggia fino alle loro abitazioni.96
L’aumentata assegnazione a Manzano Iniziata la concessione d’acqua ai privati, nel dopoguerra per l’imprevisto sviluppo edilizio e industriale il consumo a Manzano aumentava oltre la potenzialità delle condutture di adduzione. Dal 1926 l’amministrazione comunale chiedeva ripetutamente, facendosi tramite delle istanze dei cittadini, provvedimenti con carattere d’urgenza per ottenere una maggiore dotazione d’acqua; la Giunta consorziale nella seduta del 21 agosto 1926 non poteva che riconoscere la necessità di migliorare la deficiente assegnazione manzanese. Le carenze di precipitazioni estive acutizzano i problemi idrici e sollecitano l’istinto polemico degli utenti, come testimonia la serie di articoli su quotidiani pubblicati nel luglio 1927, nei quali si deprecava la mancanza d’acqua nelle diramazioni più lontane di
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Manzano, il cui carico andava via via attenuandosi, riducendolo praticamente a zero nei luoghi più elevati. In teoria, la tubazione del capoluogo era sufficiente per i suoi abitanti, ma con il crescere delle utenze aumentavano anche gli inconvenienti. L’anonimo articolista auspicava l’attuazione del progetto allora all’esame del Genio Civile, che comprendeva anche tre serbatoi periferici.97 Si trattava di un elaborato dell’ing. Cudugnello, che prevedeva un invaso nei pressi di Manzano, allo scopo di aumentare la pressione nella rete locale. Nell’estate 1928 Manzano lamentava nuovamente una forte deficienza d’acqua, in quanto la conduttura di adduzione era stata calcolata per una portata di soli 2,5 l/secondo, mentre i 137 utenti del capoluogo e le due fontane pubbliche ne emungevano una quantità di gran lunga superiore, facendo deprimere il carico, particolarmente sul Viale della Stazione e nella località sul retro della chiesa; gli abbonati dichiaravano che, perdurando tale situazione, non avrebbero pagato il canone. Per migliorare la situazione, era necessaria la costruzione di un serbatoio di accumulo oppure la sostituzione della conduttura di 60 mm con una da 90: si deliberava quest’ultima soluzione, abbinata all’assegnazione di ulteriori 2,5 litri al secondo. La tratta da 60 mm di diametro da sostituire con i tubi da 90 mm andava dal nodo per Baschin alla Piazza centrale, inoltre da quest’ultima alla Ferrovia, in sostituzione di quella insufficiente da 40 mm si sarebbe posata quella da 60 mm, tolta dalla precedente tratta.98 Era necessario stabilire chi dovesse sostenere la relativa spesa e, dato che i problemi erano sorti unicamente a causa dell’insufficiente assegnazione richiesta dal Comune di Manzano, era quest’ultimo che doveva sobbarcarsi i costi. Infatti all’atto dell’assegnazione delle competenze, per ragioni di economia sia nella spesa di costruzione come nella compartecipazione delle spese generali, Manzano per il capoluogo domandava solo 2,5 l/secondo per i suoi 1.950 abitanti, con una competenza per ognuno di 123 litri, in confronto ai 227 di tutti gli altri Comuni. Progetto per variante all’impianto interno di Manzano, che richiedeva l’aumento della dotazione d’ acqua da 2,5 a 5 litri al secondo, anno 1929.
Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Manzano, particolare dalla corografia realizzata dallo studio cartografico Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro interno in millimetri (sulle condotte secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno e quelli azzurri le quote piezometriche, sul livello del mare.
Avendo accertato che la sorgente Poiana aveva una portata complessiva di 102,50 litri – mentre nella progettazione se ne erano calcolati solo 100 – si poteva concedere un aumento a Manzano di 2,5 litri, che con gli otto litri già di sua competenza faceva 10,5 litri in totale. Ciò comportava una modifica della sua quota da versare al Consorzio a titolo di partecipazione nelle spese per l’impianto generale, dopo una serie di complessi calcoli determinata in 44.690 lire, nonché un aumento della compartecipazione delle spese d’esercizio dall’8,96 all’11,04%.99 L’esecuzione degli scavi per la posa delle nuove condutture, secondo il progetto del 7 giugno 1929, era affidata con contratto di cottimo fiduciario stipulato il 21 gennaio 1930, l’assuntore si impegnava a eseguire i lavori per il prezzo di 4,20 lire al metro lineare, com-
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prensivo di: scavi a una profondità non inferiore a 1,35 m e una larghezza al fondo tale da consentire la posa dei nuovi tubi mantenendo temporaneamente il servizio sull’esistente, ritombamenti a strati di 30 cm costipati con mazzapicchi previa eventuale imbibizione di acqua, formazione di nicchie per la piombatura dei giunti, segnalazioni diurne e notturne con bandierine rosse e segnali luminosi lungo tutta la tratta, costruzione di ponticelli per accesso alle abitazioni. Le opere si dovevano ultimare al massimo in 35 giorni, impiegando quotidianamente un numero di operai non inferiore a 12.100 Dalla liquidazione finale dei lavori, su una spesa preventivata di 44.000 lire risultava una economia di 4.000 lire, avendo ottenuto riduzioni sui prezzi delle tuberie. Tale vantaggio era messo a disposizione del Comune, che con esso collocava 5 bocche da incendio lungo la nuova conduttura, con la provvista di 100 metri di tubi di canapa, e due ampliamenti di rete a favore di sei utenti.101
Ostruzioni, spandimenti, ampliamenti Nel dicembre 1931 era deliberata una diramazione a favore di alcune case site in località palazzo De Marchi, presso Oleis; la spesa di 3.173 lire era anticipata dal Consorzio, che l’avrebbe poi recuperata trattenendola sui proventi per la fornitura d’acqua ai privati.102 La conduttura in Oleis continuava a dare spandimenti, per le corrosioni che da anni andavano manifestandosi lungo il suo tracciato. Visto che le cause erano attribuibili all’azione chimica del terreno che aggrediva prima il rivestimento e poi la parte metallica del tubo, si faceva eseguire dal laboratorio di Chimica agraria di Udine le analisi del suolo, per stabilire le precise origini del grave inconveniente e individuare nuovi e più adatti materali da impiegare nel cambio della conduttura.103
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI MANZANO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Manzano . . . . . . 2 (soppresse 1/7/1949 e 15/12/1953) Soleschiano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 5/7/1961) S. Lorenzo di Soleschiano . . . . 1 (soppressa 1/8/1961) Case di Manzano . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 4/7/1949) Manzinello . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 2/6/1961) Oleis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 18/4/1961) Abbazia di Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa ?) Villa de Marchi . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 4/9/1961)
Avviso di sospensione del servizio acquedottistico nel Comune di Manzano, per poter eseguire il cambio della conduttura da 420 mm, 5 febbraio 1930.
Sul tratto da Manzano a Soleschiano, nel 1932 erano tolte tre ostruzioni che causavano una sensibile deficienza d’acqua a Manzinello e a Camino.104 Con deliberazione consigliare 17 agosto 1951, il Comune faceva prolungare la tubatura in via Sottomonte a favore delle case Cencig e Specogna, con scavi degli interessati, che si accollavano anche un parte della spesa.105 Nel 1953 si costruivano due ampliamenti di rete, per complessivi 390 metri, con la spesa di 400.000 lire a carico del Comune di Manzano,106 due anni dopo si completava la derivazione per le Case Minime. La proposta, avanzata dal Consorzio nel dicembre 1952, di spostare la fontana pubblica esistente sulla piazza centrale di Manzano nelle adiacenze della strada statale, non accoglieva il favore del Comune. Era contrario perché in quella località tutte le case avevano già una propria utenza e dunque non serviva, così come sarebbero stati ben pochi i viaggiatori sulla statale che ne avrebbero usufruito. Inoltre, mancando la fognatura si doveva costruire una capace fossa pendente per accogliere le acque di scolo, con pericolo di gelo d’inverno e antigieniche pozze stagnanti d’estate. Tenuto conto, poi, che lo spostamento sarebbe costato 30.000 lire e che con una fontana in meno il Municipio avrebbe risparmiato
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circa 18.000 lire annue, la soluzione migliore era di eliminare la fontana in piazza, senza ricollocarla altrove.107 Ancora in tema di fontanelle, a Oleis nel giugno 1954 dopo vari tentennamenti alla fine si decideva il luogo prescelto per accogliere la fontana pubblica da spostare. Sarebbe stata collocata nell’angolo della piazzetta a nord-ovest, sopra un ponticello, in luogo fuori mano che non disturba alcuno. Gli scavi erano eseguiti gratuitamente dalla popolazione e il manufatto era dotato di un rubinetto intermittente, anziché a getto continuo.108 Nel 1956 il Sindaco lamentava la deficienza di pressione nella rete del capoluogo, attribuendone la causa al costante aumento delle utenze. In seguito a un ulteriore sviluppo edilizio e industriale, i consumi d’acqua superavano la potenzialità delle condutture, creando nuovi squilibri nella distribuzione, com’era successo un trentennio prima. Era deliberato di sostituire due tratte della conduttura principale con una spesa di 3.800 lire, a carico del Consorzio. Dopo l’esecuzione di quanto programmato, la situazione migliorava.109 La conduttura principale del capoluogo di Manzano era sostituita nel 1957,110 nello stesso anno si ampliava la rete in via del Cristo e via Divisione Julia.111 Nel 1961 erano ultimati lavori a favore di Casali Paschi di Manzinello e a Case,112 nel 1963 a beneficio della località “Terron” e nel 1967 si ampliava la rete in via Diaz.113
Stampato con l’indicazione dettagliata dei materiali idraulici impiegati il 10 maggio 1920 nella realizzazione di una fontana ai Molini Stel, dove il Comune di Manzano aveva deliberato di collocarla a uso degli abitanti di numerosi casolari. Ne avrebbero tratto giovamento una trentina di persone e 10 quadrupedi. Il conto finale ammontava a 174,40 lire.
Tabella delle competenze d’acqua e delle aliquote per compartecipazione nelle spese d’impianto per tutti i Comuni consorziati, riportati nello Statuto e Regolamento approvato nel 1930. Riporta i dati dopo la maggiore assegnazione richiesta dal Comune di Manzano, rispetto al progetto originario del 1911.
Dagli anni Settanta Nel 1970 si praticavano i lavori necessari sulla condotta Manzano-Corno, nel gennaio dell’anno successivo si perveniva con l’adduttrice all’altezza di San Giovanni al Natisone,114 nel febbraio era completato l’attraversamento di Manzano e del ponte sul Natisone. Il serbatoio di Noax era in fase di ultimazione e la conduttura Manzano-Corno-Noax era ormai stata eseguita per circa il 90%. Era previsto che il rifornimento idrico di Manzano e San Giovanni al Natisone sarebbe avvenuto mediante il serbatoio “Tre Pini”, anziché per pompaggio diretto;115 nel giugno seguente la derivazione andava in funzione, migliorando il servizio. Nel 1974 era predisposto un progetto per il potenziamento della distribuzione nelle frazioni di Manzinello, San Nicolò e Soleschiano e per la prevista zona industriale di Manzano.116 Il tronco di condotta della rete del capoluogo di Manzano – interessante via della Roggia e Marussigh – e il collegamento con la frazione di San Nicolò, formata da vecchi tubi del diametro interno di 90 mm e giunzioni a piombo battuto, negli anni Ottanta non era più nelle condizioni di assolvere il suo compito con la dovuta regolarità, per le consistenti perdite riscontrate lungo tutto il percorso. Tale conduttura era stata usata anche come
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Al ripristino della condotta Manzano-San Nicolò di Manzano si dava attuazione nel 1985, in corso d’opera si ravvisava la necessità di apportare alcune modifiche alle opere previste nel progetto principale, per migliorarne l’assetto costruttivo e funzionale. I lavori erano ultimati il 29 marzo 1985; per la precisione, la dismissione della vecchia conduttura avveniva alle ore 20 di venerdì 28 giugno 1985. Si registrava un incremento della pressione generale misurata a Case di Manzano di 0,6 atm rispetto ai giorni precedenti e di 1,4 atm rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Come aspetto negativo, si acuiva ulteriormente la mancanza delle casse d’aria. Nella revisione del tronco di condotta da San Nicolò a Molini Birri era impiegata la squadra perdite dell’acquedotto dal 17 ottobre al 14 novembre 1988, che riparava 23 fughe.118 Nel 1993 si intraprendeva la costruzione del tronco dell’adduttrice Cividale-Manzano.119 È tuttora viva la memoria delle fontane pubbliche a Manzano, che nel 1984 risultavano così posizionate: una all’inizio dell’attuale via Divisione Julia, un’altra presso il ponte sul Natisone, una all’incrocio fra via Cividale e via della Rosta e una presso il monumento di Case.120 Attualmente non esistono più.
MOIMACCO Questo ottimistico titolo, su un quotidiano locale pubblicato nel 1968, prospetta un buon futuro acquedottistico per il Manzanese.
adduttrice precaria dell’acqua emunta dal pozzo di San Nicolò fino all’ultimazione del serbatoio di accumulo “Tre Pini”, quindi sollecitata oltre la sua originaria destinazione. Non era economicamente conveniente ripassare tutti i giunti e, dato che in alcuni tratti era stato modificato il tracciato plano-altimetrico della strada, anche la quota d’interramento della condotta sarebbe stata eccessiva e ancor più costoso l’intervento su di essa. Era poi necessario verificare la condotta per un efficiente servizio degli idranti antincendio, per cui considerato che la tubazione andava sostituita, era bene prevedere un leggero ritocco della sezione per adeguarla alle nuove esigenze, tenuto conto che per il normale servizio di distribuzione era calcolata una dotazione giornaliera pro-capite di 300 litri, soddisfabile con ogni garanzia attraverso l’adduttrice alimentata dalle sorgenti del Poiana e dall’integrazione locale mediante il pozzo di San Nicolò. La sostituzione riguardava complessivamente 1.256 m di tubazione in acciaio del diametro di 125 mm fino alla Ferrovia e 1.240 m di 100 mm dalla Ferrovia a San Nicolò.117
Dopo aver attraversato la città di Cividale uscendo attraverso porta San Pietro, la conduttura dell’acquedotto Poiana nel luglio 1914 giungeva al crocevia “Al Gallo” e da lì prendeva la direzione di Bottenicco, allungandosi di 1.900 metri, cui nel mese successivo se ne collocavano altri 3.100 fra Bottenicco e il passaggio a livello della linea ferroviaria Udine-Cividale, poco a valle di Moimacco. Ricordiamo che la posa in opera comprendeva lo scavo della trincea, la collocazione sul Intestazione del Municipio di Moimacco, 1924.
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fondo dei tubi lunghi 4 m ognuno, la loro giunzione a piombo, la prova di tenuta a pressione e il ritombamento, ovvero la ricopertura e costipazione finale del terreno.121 Tenendo conto che tutto era eseguito manualmente, si può affermare che in quel periodo i lavori procedevano celermente.
Condutture a Bottenicco, che lungo la Strada comunale detta dei Claricini portavano l’acqua nel capoluogo di Moimacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Tratte lungo le vie di Moimacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Moimacco, particolare dalla corografia realizzata dallo studio cartografico Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro interno in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno e quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare.
Il Comune chiedeva l’approvvigionamento idrico anche per i casali Chiasalp, in quanto il signor Giorgio Pontoni di Premariacco si impegnava a corrispondere 2000 lire, quale concorso nella spesa di derivazione, somma fissata a suo tempo dal Consiglio comunale di Moimacco con deliberazione del 16 febbraio 1913. Ciò a condizione che gli fosse permesso di fornire d’acqua, a tutte sue spese, anche due case di sua proprietà in Prabonissimo, distanti circa 650 metri da Chiasalp e appartenenti al Comune di Torreano. Lo stesso Pontoni aveva presentato al Consorzio un’ulteriore domanda per la concessione d’acqua ai casali Pasc di Premariacco, da derivarsi dalla vicina frazione di Orzano, appartenente al limitrofo Comune di Remanzacco. La conduttura per Chiasalp, in seguito a domanda del Comune di Moimacco, era già stata compresa nel progetto delle varianti ed aggiunte, datato 6 luglio 1913 dell’ing. Granzotto, da compiersi a spese del Consorzio; per tale motivo, le duemila lire sarebbero spettate a quest’ultimo, invece che al Comune, dal quale per una questione formale si doveva quindi ricevere una esplicita rinuncia. In attesa di chiarire a fondo la questione, se ne sospendeva la trattazione.122 L’argomento era ripreso due mesi dopo, apprendendo che il Comune di Moimacco aveva deliberato di devolvere a favore del Consorzio solo 500 delle 2000 lire offerte dal Pontoni. Seguiva una lunga discussione con il conte Nicolò de Claricini, presente alla seduta in qualità di rappresentante di Moimacco. Alla fine la questione era chiarita, accordandosi sulla devoluzione dell’intera somma al Consorzio, come tassa di concessione per il prolungamento della conduttura Chiasalp-Prabonissimo, comportante per l’ente consorziale la spesa di 5700 lire.123 Nell’ottobre 1914 si posavano 850 metri di tubi da 40 mm all’interno di Moimacco e si iniziava il collegamento verso Chiasalp, di 1500 metri. I lavori poi si fermavano, in quanto il sindaco chiedeva all’Impresa Parpinelli di sospendere possibilmente la esecuzione dei lavori delle diramazioni interne di Moimacco per Chiasalp fino dopo ultimata la raccolta del granoturco e la semina del frumento, perché colle strade anguste esistenti verrebbe ostruito il passaggio ed impedita la circolazione con carri ed animali in questa stagione di maggior importanza agricola.124 Nel 1916 il municipio moimacchese chiedeva di provvedere alla fornitura d’acqua potabile per la chiesetta campestre di San Donato, in quel frangente bellico usata come locale d’isolamento per malattie
Quando perduravano gli episodi di vandalismo a danno delle fontane pubbliche, che richiedevano tempo e denaro per le conseguenti riparazioni, talvolta il Consorzio interveniva drasticamente bloccando l’erogazione. Con questa nota del 19 novembre 1922, il municipio di Moimacco chiede di ripristinare la fontana di piazza della chiesa, applicando nuovamente il rubinetto, ritenendo ingiusto far patire un disagio agli abitanti, per un guasto a loro non imputabile.
Trovandosi privi del rubinetto della fontana pubblica, in quanto asportato dagli operai del Consorzio Poiana, i Moimacchesi, dopo due settimane reclamavano che il servizio fosse ripristinato, 31 gennaio 1924.
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infettive, suggerendo di eseguire una speciale derivazione dalla linea che passava sulla strada provinciale, a breve distanza dal fabbricato. Non sappiamo se tale istanza venne accolta.125 La Giunta municipale il 25 aprile 1915 fissava in quattro il numero delle fontane pubbliche da collocare a Bottenicco e tale deliberazione era accettata dal Consorzio. In seguito, il Comune faceva leva su ciò per difendere strenuamente l’integrità di tale concessione, chiedendo la sospensione del lavoro, intrapreso nel 1919, mirante a eliminare una fontana in quella frazione. Nell’agosto 1919 si chiedeva lo spostamento verso la campagna della fontanella pubblica in Chiasalp, perché ostacolava il libero transito dei carri lungo la strada comunale.126 Nell’intento di favorire l’attivazione di nuove utenze, tenendo conto delle condizioni igieniche ed economiche della popolazione, il Comune di Moimacco deliberava di non approvare l’aumento della tariffa per la somministrazione d’acqua ai privati determinata dall’assemblea consorziale nella tornata del 12 luglio 1924.127 Il risarcimento per i danni della prima guerra mondiale, piuttosto tardivo in verità, nel 1930 era impiegato a Moimacco per l’ampliamento della rete comunale nella frazione di Bottenicco, con la diramazione lungo via S. Giusto e via Boiani, spendendo in totale 2.306,70 lire.128 Nel luglio 1950 si provvedeva all’applicazione di dieci bocche antincendio in Moimacco.129
Acqua ai casali Il progetto di derivazione per i Casali Cotterli, isolati rispetto al capoluogo, era in allestimento nel gennaio 1941 ma, data la situazione contingente, le speranze di poter ricevere un contributo statale per la sua realizzazione si potevano ritenere, se non proprio inesistenti, alquanto ridotte. Sarebbe inoltre mancato il consueto aiuto degli utenti per lo scavo e il ritombamento, perché non vi erano uomini disponibili a compiere quel lavoro, essendo chiamati alle armi. Il Comune, nonostante la buona volontà, non riusciva ad affrontare con le sue sole forze la relativa spesa, preventivata in
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI MOIMACCO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Capoluogo . . . . . .2 (soppresse 13/10/1960 e 1/1/1966) Bottenicco. . . . 1 (soppressa, dal 1/3/1968 a contatore)
Gli aumenti delle tariffe dell’acquedotto erano deliberati dall’Assemblea consorziale, ma potevano essere recepiti o meno dai singoli Comuni. Tenendo conto delle condizioni economiche dei propri abitanti gli amministratori di Moimacco nel novembre 1924 non modificavano le tariffe in uso, anche con l’intento di incrementare nuove utenze, favorite dalla tenuità delle somme da pagare per i servizi acquedottistici. Questa cartolina di Moimacco mostra, in primo piano sulla destra, la fontana pubblica nei pressi della chiesa parrocchiale (collezione Michele Pizzolongo).
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21.000 lire, perché anche ipotizzando che gli interessati avessero eseguito gratuitamente metà dei 944 metri di scavi previsti, le annualità per l’estinzione del debito, diluito in 8 anni al tasso del 5%, sarebbero state di 2.900 lire, a fronte di un utile annuo ritraibile dalle quattro nuove utenze di sole 380 lire. Ovviamente non se ne faceva niente. Otto anni dopo era allestito un nuovo progetto, riguardante anche i casali Chiarandis, distante 908 metri da fontane pubbliche, anch’esso poi riposto nel cassetto delle opere in attesa, da dove era estratto e aggiornato nel 1955. Prevedeva che la derivazione in Casali Chiarandis ove dimoravano 20 persone avrebbe avuto origine in via Roma, presso il Municipio, seguendo per 770 metri la strada comunale fino al cimitero, così avrebbe servito anch’esso e le altre case nei pressi. I Casali Cotterli, con quattro case e 60 abitanti, si sarebbero raggiunti con altri 980 metri di tubi, di 40 e 25 mm di diametro, partendo dall’inizio della strada per Ziracco e attraversando il torrente Chiarò sotto l’alveo a valle del ponte, per avere la necessaria protezione contro il gelo. Il preventivo era di 2.700.000 lire, ben diverso dalle 21.000 lire di 14 anni prima; i relativi lavori si svolgevano dal 14 al 20 maggio 1957.130
Dagli anni Sessanta Nel consiglio comunale del 4 aprile 1961 era deliberato l’accoglimento delle molteplici domande per l’approvvigionamento idrico di nuove case di abitazione sorte in località Crociate, che palesava essere suscettibile di ulteriore sviluppo edilizio.
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Prima dei lavori di asfaltatura delle strade, nel 1962 si provvedeva alla sistemazione della rete di Moimacco e Bottenicco131 e nel 1965 all’ampliamento in via della Chiesa a Moimacco.132 Per venire incontro allo sviluppo residenziale lungo la strada del Malina, in Borgo S. Giovanni, il Comune di Moimacco decideva di far costruire dal Consorzio una conduttura di unione tra i due terminali già esistenti, con la quale far fronte alla richiesta di acqua delle costruende case. Il progetto, elaborato dal Consorzio il 23 gennaio 1967, prevedeva il collegamento delle due testate in modo da formare un anello che consentisse una pratica distribuzione dell’acqua, anche con varianti di portata a tutte le abitazioni previste, con uno sviluppo complessivo delle condutture di 275 metri, del diametro di 40 mm.133 Nel 1972 si constatava che a Moimacco era necessario ampliare ulteriormente la rete in Via della Chiesa e sostituire lungo Via Muris l’esistente conduttura, in stato di forte degrado; si concedeva al Comune la rateizzazione della spesa in tre annualità.134 Nel 1980 si procedeva alla ricostruzione della conduttura di 1800 metri per Casali Chiasalp135 e al riatto delle reti interne del capoluogo, lungo via Malina e via Ancona.136 L’impegnativa e costosa opera di ricostruzione delle condotte di maggiori diametro ricadeva a beneficio anche del Comune di Moimacco,137 nell’aprile 1985 si operava su quella snodantesi dalla S.S. 54 alla Stazione ferroviaria, fino a Via Roma. Planimetria del Comune di Moimacco, con indicata (in rosso) la ricostruzione delle condutture lungo via Malina e via Ancona nel progetto del 21 novembre 1978.
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Intestazione del Municipio di Pavia di Udine, 1922.
PAVIA DI UDINE Sin dai primi abbozzi dell’idea di un acquedotto in forma consorziale, il conte Carlo Caiselli sostenne sempre l’opportunità e la necessità che il suo Comune, di cui era primo cittadino, aderisse senza indugio all’iniziativa.138 Era l’ottobre 1914 quando la posa di 2350 metri di conduttura fra Lovaria e Pavia d’Udine dava inizio all’attesa marcia di avvicinamento dell’acquedotto per
raggiungere quest’ultimo Comune; nel novembre erano posti in opera, posati e ritombati mille metri di tubi da 150 mm da Pavia a Selvuzzis. Questo è il successivo sviluppo dei lavori, nel dicembre 1914: 1500 m da Selvuzzis a Percoto (su questa tratta se ne aggiungevano altri 285 nel gennaio successivo) e 2150 m fra Lumignacco e Risano. Nel gennaio 1915: 2273 m fra Percoto e il bivio per Melarolo, 575 m fra il bivio per Chiasottis e la stazione di Risano, inoltre altri 585 m verso Cortello. A febbraio 1915: 1500 m fra Selvuzzis e Lauzacco, 1630 m fra Risano e Lauzacco, a marzo 1915 280 m nell’interno di Lumignacco, 1895 m fra Risano e Chiasottis, 530 m nell’interno di Lauzacco. Aprile-maggio 1915: 2000 m fra Percoto e Persereano, 1061 m fra Persereano e Popereacco, 69 m dalla stazione di Risano a Risano, 1204 m fra il nodo per Melarolo e Melarolo. Dopo aver portato l’acqua fino al limitare di ogni località, ci si inoltrava con la tubatura di minore diametro, in genere di 40 mm, nelle rispettive vie interne: 600 m all’interno di Pavia, 316 m all’interno di Persereano, 82 m all’interno di Lauzacco, 529 m all’interno di Risano, 365 m in Lumignacco. Per il completamento, mancavano solo 300 m all’interno di Pavia e 525 m di allacciamento alla tubazione da 125 mm in Percoto.139 Tratta I dal nodo di Premariacco a Clauiano, condutture a Pavia di Udine, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Tratta V per Popereacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Condutture previste a Persereano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Tratta T, condutture per Risano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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A Risano si trovano ancora, uno accanto all’altro, i due più diffusi sistemi di approvvigionamento dell’acqua: pozzo e fontana pubblica del Poiana.
La documentazione d’archivio ci fa conoscere numerosi, piccoli episodi che costellavano il servizio idrico nel periodo della prima guerra mondiale, quando era difficile coniugare le esigenze, talvolta contrastanti, dell’esercito e della popolazione. Ad esempio Francesco Pasquotti, l’idraulico di fiducia del Consorzio, nel gennaio 1917 collocava a Lauzacco una fontanella, ordinata nel settembre 1916 da un Reparto di Cavalleria, che dovendo inaspettatamente ripartire aveva poi sospeso l’ordinazione, poco dopo però ripresentata da reparti di altre armi, andati colà a riposo.
Tratta T, condutture per Cortello, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911. Tratta U da Selvuzzis a Lauzacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Un difficile dopoguerra Il Prefetto di Udine, Errante, il 29 agosto 1917 ordinava la chiusura di tutti i roielli, per motivi igienici. Mancando tale fonte di prelievo, il sindaco di Pavia di Udine Luigi Frangipane si attivava per ottenere ulteriori punti di erogazione nel suo Comune, per sopperire ai bisogni della popolazione e degli animali. Le pratiche del primo cittadino presso il Comando della 2ª Divisione di cavalleria che vi era acquartierata consentivano di ottenere due fontane a Pavia, ma ne occorreva assolutamente una terza e altre ancora per le frazioni. L’ing. de Toni in risposta sottolineava che, tenendo conto delle condizioni dell’acquedotto, purtroppo non potevano essere accordate nuove derivazioni.141 Conclusa la guerra, rimanevano a disposizione della gente anche le fontanelle in precedenza riservate solo alle truppe. Il rappresentante del Comune di Pavia di Udine nell’assemblea consorziale del 7 giugno 1919 raccomandava di lasciare alcune delle fontanelle pubbliche che, pur non essendo state preventivate nel progetto originario, si erano rivelate assai utili alla popolazione, almeno finché l’acquedotto non fosse stato in condizioni di poter concedere maggiori utenze private. I capifamiglia di Borgo di Sotto di Lauzacco chiedono una fontanella del Poiana sulla piazza della chiesa, 26 settembre 1916.
Modelli di rubinetti d’arresto e altri accessori idraulici, in un catalogo della ditta Schinzel di Milano.
In basso: tratta I per Selvuzzis, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Nel dicembre 1916 si compiva un giro d’ispezione all’intero acquedotto, con l’intervento del colonnello Caroncini e l’ing. Lorenzi, a Lauzacco, raccogliendo energiche rimostranze dai residenti, per la vistosa insufficienza della sola fontanella disponibile, per cui si conveniva che dovesse collocarsene una seconda a scopo militare, specialmente per l’abbeveraggio dei quadrupedi. Per soddisfare tale richiesta il Consorzio spendeva 149,90 lire, ridotte poi a 120, ma di questa somma si reclamava il pagamento ancora nel 1918, all’Ufficio Fortificazioni di Udine, in quel tempo sfollato a Firenze.140 Il conte Caiselli, che faceva parte dell’amministrazione sin dagli esordi della deputazione consorziale, cessava di vivere durante il periodo della dominazione austriaca. Nell’assemblea del 7 giugno 1919 si deliberava la sostituzione del defunto conte Caiselli con il geom. Tito Brida. Il dottor Umberto Sandrini, quale ufficiale sanitario comunale nel maggio 1920 informava il sindaco che a Popereacco vi era un numero impressionante di ammalati di una forma febbrile piuttosto grave, avente i caratteri di un’infezione gastro-intestinale, probabilmente di natura tifoide o paratifica, da attribuire
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Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Pavia di Udine, particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro interno in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare.
all’acqua del pozzo locale, certamente inquinata per le filtrazioni di acque impure derivanti dai vicini letamai e cortili. Tale uso si era reso necessario perché il servizio acquedottistico era stato sospeso, per procedere alla sistemazione di tutta la conduttura principale, dalla sorgente al nuovo serbatoio del Tiglio e poi fino al Monte dei Bovi. Il medico aveva consigliato a quelle famiglie di far bollire il liquido del pozzo per gli usi domestici e di provvedersi di altra acqua sana, ad esempio dall’acquedotto di Udine che giungeva fino ai casali Paparotti, ma era urgente sollecitare la direzione del Poiana perché al più presto ripristinasse il servizio.142 La rete di distribuzione non era stata completata nel corso della guerra per espresso divieto dell’Autorità militare, che temeva impedimenti alla scorrevolezza della viabilità. La situazione di carenza era palese, il sindaco il 13 luglio 1921 comunicava ufficialmente che nel Comune di Pavia abbiamo una deficienza di acqua impressionante. Lumignacco è completamente senz’acqua per 11 ore su 12 del giorno, nelle altre frazioni la pressione è irrisoria. Il Consorzio adottava, come provvedimenti immediati, la collocazione di rubinetti intermittenti su tutte le fontane pubbliche del Comune di Trivignano, Richiesta di abitanti di Lumignacco di prolungare la conduttura dell’acquedotto Poiana, 2 marzo 1925.
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In alto: il sindaco di Pavia di Udine il 23 settembre 1925 chiedeva l’intervento per uno spandimento rilevato a Lauzacco, presso il Comando dei RR. Carabinieri. In alto a sinistra: si segnala un forte spandimento d’acqua a Persereano, 4 dicembre 1924. Le perdite nel periodo invernale erano considerate più disagevoli in quanto il liquido, ghiacciando sulla strada, poteva costituire motivo di pericolo per i passanti.
in modo da ottenere un sensibile risparmio d’acqua e quindi un aumento di carico nel territorio carente; non appena in possesso del materiale, lo stesso provvedimento sarebbe stato adottato a Pavia di Udine.143 Nel 1922 mancavano da posare ancora 750 metri di tubazioni, lavoro che veniva concluso entro la metà dell’anno seguente, prolungando con tuberie di acciaio Mannesmann le condutture sulla via Percoto da Casa Mattaloni a casa Volpetti e alla roggia, più quelle sulla strada verso Lauzacco e da Lauzacco sulla via Udine. Quale aiuto per la disoccupazione locale, gli scavi erano affidati a persone assunte temporaneamente dai Comuni. Oltre a questi lavori di competenza del Consorzio, negli anni a seguire si facevano altre diramazioni commissionate dal municipio: 1923 sulla via Udine in Elenco delle famiglie alle quali era accordata l’utenza speciale di 3 hl/giorno a Pavia di Udine, aprile 1929.
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escogitare ciascuno per il proprio Comune tutti i mezzi per creare nuove utenze. Quale sindaco di Pavia di Udine, dovendo dare il buon esempio, escogitava una nuova tassa comunale, il Contributo di Miglioria, che dal 1925 sarebbe gravato sui proprietari di fabbricati urbani e rustici esistenti nel territorio del Comune traenti un vantaggio dalla presenza dell’acquedotto, in pratica su quasi tutti gli immobili. Però, astutamente, il balzello non sarebbe stata applicato ai fabbricati ove era già stata introdotta una derivazione d’acqua privata, e ciò ovviamente costituiva una forte spinta al desiderato incremento delle utenze.145 Tito Brida rimaneva alla presidenza del Poiana fino al 1930, quando si dimetteva da Podestà di Pavia di Udine.146
Tariffe ridotte e tubazioni ampliate
Modelli di giunzioni, curve e altri accessori, anni Cinquanta.
Lauzacco, 1924 piazza del Mercato in Percoto, 1926 via Percoto oltre casa Volpetti in Pavia, ancora nel 1926 per le famiglie Grassi e Molinari e via Pavia in Percoto, 1927 via Sammardenchia in Risano, 1930 sulla via Lauzacco dalla casa Levan in Pavia; in totale 1282 metri di conduttura, la cui spesa complessiva di 17.486,75 lire era sostenuta dal Comune di Pavia di Udine.144
Tito Brida Un contributo notevole all’attività gestionale del Consorzio Poiana era apportato da Tito Brida, che dal 1919 come membro faceva parte della Commissione amministratrice e, dal 1923, ne assumeva la presidenza. In tale ruolo, nella seduta di giunta del 23 febbraio 1924 rinnovava ai suoi membri la preghiera di
Nel 1925 le utenze a Pavia di Udine erano 425. In questo Comune si trovava il nucleo più consistente – ben 135 – delle 600 famiglie numerose che nel 1939 chiedevano al Consorzio di poter ottenere agevolazioni sui prezzi di concessione dell’acqua: presentando un certificato anagrafico attestante un numero di figli non inferiore a sette, era accordata una riduzione del 10% sulle tariffe in vigore.147 Nel 1949 si realizzava un prolungamento in Lauzacco, lungo 525 metri, con la spesa di 402.000 lire, altri ampliamenti vi si realizzavano nel 1960.148 Nel 1962 era posata la tubazione per il rifornimento della nuova caserma in via Lauzacco.
Le carenze nelle frazioni Nella seduta del consiglio comunale del 14 maggio 1955 era discussa un’interpellanza del consigliere Covassi, sull’insufficienza idrica nelle frazioni di Lumignacco, Risano e Lauzacco, nelle quali per diverse ore al giorno non arrivava l’acqua. Dal direttore del Consorzio Poiana si riceveva piena assicurazione che avrebbe provveduto in merito.149 Le parole erano tranquillizzanti, ma gli inconvenienti stentavano a scomparire dalle località che ne soffrivano. L’anno 1965 per migliorare il rifornimento idrico della frazione di Lumignacco si otteneva dal Consorzio Acquedotto Friuli Centrale l’autorizzazione all’esecuzione di un allacciamento provvisorio nella vicina frazione di Cargnacco.150
Comunicazione inviata per posta dal Municipio di Pavia di Udine al Direttore del Consorzio Acquedotto Poiana, 1921.
Fattura emessa dal Consorzio il 22 giugno 1921 per i lavori di introduzione delle condutture dell’acquedotto nel palazzo municipale a Lauzacco. L’opera aveva comportato 30 ore di lavoro di un idraulico, del costo unitario di 3,50 lire e altrettante di manovale, pagato 2,50 lire all’ora. La spesa complessiva era di 1.163,80 lire.
Nel 1967, oltre a ampliare la rete per Casali Boga, si dava incarico all’ing. Dino Tonini dell’Università di Padova di studiare, unitamente all’ing. Mantovani e al direttore del Consorzio, il problema del rifornimento idrico della frazione di Lumignacco;151 il primo sopralluogo era effettuato il 27 novembre di quell’anno. Su domanda del Consorzio Poiana, nella primavera del 1968 era concessa una derivazione della portata di 2 l/secondo dal costruendo impianto di sollevamento di Lauzacco dell’acquedotto Friuli Centrale152 e con tale allacciamento migliorava sensibilmente il servizio a Lauzacco-Risano e a Lumignacco. Su richiesta del Comune, si predisponeva poi un secondo allacciamento al sollevamento di Lauzacco, messo in funzione il 10 luglio 1969.153 Quale inusuale regalo natalizio, il Comune di Pavia di Udine dal 26 dicembre 1924 imponeva ai suoi concittadini una nuova tassa: il contributo di miglioria relativo all’acquedotto Poiana. Il balzello avrebbe colpito tutti i proprietari di fabbricati, tranne quelli che già avevano fatto una derivazione d’acqua all’interno della propria abitazione o vi avrebbero provveduto entro la fine del febbraio seguente. Era decisamente una sagace strategia per incrementare il numero delle utenze, obiettivo cui gli amministratori pubblici tendevano in quanto una parte dei ricavi rimaneva nelle casse comunali.
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Nel 1971 era ampliata la rete in via Aquileia a Lauzacco, cui seguiva via Palmanova154 e, nella primavera del 1976, via Selvuzzis a Pavia, con spese a carico di privati. La frazione che a metà degli anni Settanta presentava maggiore carenza nel servizio era Chiasottis, in quanto la conduttura adduttrice era del diametro di soli 40 mm, del tutto insufficiente alle necessità di portata conseguenti al suo sviluppo edilizio. Sin dall’agosto 1978 era predisposto un programma di ristrutturazione e ricostruzione della rete di tutto il Comune, compresa la maggiorazione dell’adduttrice con una spesa di massima di 40 milioni di lire, ma non si era trovata la possibilità di finanziare i lavori. Con nota 23 gennaio 1979 il Comune, data la forte precarietà del servizio nella frazione, chiedeva al Consorzio l’intervento immediato per sanare la situazione, ma non potendo questi concedere la rateizzazione della spesa, si suggeriva al Sindaco di ripetere la domanda di contributo all’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione, in base alla legge regionale 63/1977;155 intanto si procedeva ugualmente all’aggiudicazione dei lavori di scavo e di posa in opera per il potenziamento della rete di Chiasottis,156 che iniziavano nell’agosto 1979 ed erano ultimati il 19 gennaio 1980. I lavori per la costruzione della rete idrica entro il PEEP di Pavia di Udine, erano ultimati il 5 marzo 1980.157 Per sopperire alle eccezionali richieste idriche del mese di luglio 1988, a Lumignacco era attivato un collegamento dalle condotte del Consorzio ZIU di Udine.158
Il riatto della rete comunale A cura del direttore del Consorzio ing. Paolo Cleani, nel 1981 era predisposto il progetto di massima per il riatto della rete idrica dell’intero Comune, preventivando un importo totale di 3 miliardi di lire. Il Comune di Pavia di Udine, con 8 frazioni, era alimentato da due condotte provenienti da Pradamano e da Manzano, del diametro rispettivamente di 200 e 125 mm; la rete di distribuzione risalente al 1915 si presentava in notevole stato di usura e degrado. Il progetto era redatto tenendo conto del Piano Regolatore Generale, per le piccole frazioni considerando una dotazione minima di 3 l/s quale antincendio159 ed elaborato sull’ipotesi di una popolazione presunta nel 2015 di 8.367 unità. Prevedeva il rifacimento quasi totale della conduttura di distribuzione, con un fabbisogno idrico per tale anno di 111,5 l/s. Per il primo lotto c’era a disposizione una promessa di finanziamento di 250 milioni di lire, la priorità era data alla costruzione della tratta LovariaLumignacco, del diametro di 200 mm per uno sviluppo di 3500 metri.160 Per la costruzione delle reti adduttrici di Pavia di Udine e di Cividale, su incarico del Consorzio il prof. Raffaele Cola approntava il progetto datato 30 luglio 1987, che preventivava la spesa di un miliardo di lire ed era finanziato dalla Cassa Depositi e Prestiti.161 I lavori erano consegnati con verbale 11 dicembre 1989. Il 1º marzo 1991 era redatta una perizia suppletiva e di variante, che comportava la maggiore spesa di 100 milioni di lire, coperta dal Consorzio con mezzi propri. Prevedeva lo spostamento del tracciato dell’adduttrice nodo Lovaria-Pavia dalla campagna – dov’era originariamente previsto – alla strada, con la possibilità di rifare gli allacciamenti delle utenze in condizioni precarie. Di conseguenza si doveva sostituire la tubazione, prevista in vetroresina, con quella in ghisa sferoidale; a Pavia occorreva cambiare 750 metri da 300 mm e 2000 metri da 250 mm, con l’attraversamento della S.S. Udine-Gorizia mediante perforazione orizzontale con apparecchi spingitubo o trivella per l’infissione diretta del controtubo in acciaio di grosso spessore, quale protezione alla condotta. L’ultimazione dei lavori avveniva il 31 ottobre 1991.162 La ricostruzione completa dell’adduttrice ButtrioLovaria-Pavia-Percoto era conclusa nell’autunno 1992.163
Richiesta di spostamento della fontana pubblica di Chiasottis, per evitare i ristagni d’acqua che originava, malagevoli sia d’estate che d’inverno, 1º aprile 1925.
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di Pavia di Udine e la frazione di Percoto, facendo così affluire alla parte sud della rete consorziale le acque provenienti dalle fonti prelevate a nord, meno esposte a rischi di inquinamento. Il prof. ing. Cola di Padova in data 1 marzo 1991 allestiva il progetto per i lavori di costruzione degli impianti di prelievo ed adduttrici per il tronco dal capoluogo Pavia di Udine alla frazione di Percoto. Il tronco di condotta si agganciava al terminale del tratto Lovaria-Pavia verso nord, allora di recente costruzione e, a sud, all’esistente rete di distribuzione nell’abitato di Percoto, cosicché poteva essere reso subito funzionale, impiegando tubatura di ghisa sferoidale con diametro interno di 250 mm, dotata di giunzioni di tipo Rapido, per uno sviluppo complessivo di 3600 metri. Il progetto prevedeva pure il rifacimento delle derivazioni per un centinaio di utenze, allacciandole alla nuova tubazione; le vecchie prese, costruite in epoca remota, risultavano in precaria condizione ed era quindi opportuno sostituirle con tubazioni di acciaio zincato rivestite esternamente in pvc, che offriva maggiore garanzia di durata.167 La consegna dei lavori avveniva il 3 febbraio 1992, erano ultimati il 13 agosto seguente.168 Il risanamento degli impianti relativi a CortelloPercoto-Persereano avveniva nel 1996. Nel 1999 si dava attuazione al potenziamento della tratta Percoto-Trivignano,169 conclusa l’anno seguente. Tratta I per Percoto, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
PRADAMANO Nella località di Percoto Grazie al potenziamento della conduttura, dal costruendo serbatoio “Tre Pini” in Ronchi di Manzano nel 1967 si prevedeva che sarebbero stati convogliati 10 l/secondo al nodo di Percoto.164 A motivo delle difficoltà sorte per il riconoscimento della usuale servitù d’acquedotto e data l’urgenza di allacciare Percoto alla rete esistente, si divideva la progettata conduttura in due tratte, la 1ª era Manzinello-Percoto e la 2ª Fornace Rizzani-Manzinello. Col completamento della 1ª tratta, avvenuto ai primi d’agosto del 1967, si poteva dare a Percoto una quantità d’acqua che, pur limitata (circa 3 l/secondo, ovvero un quarto della portata definitiva che si sarebbe avuta con il collegamento definitivo della conduttura al serbatoio, programmato con il terzo lotto) era sufficiente a migliorare leggermente la situazione sulla destra del Torre.165 Nel 1961 erano eseguiti i lavori per l’ampliamento della rete in Via Crimea.166 In relazione al rischio d’inquinamento da atrazina, cui risultava esposto il pozzo di Trivignano Udinese utilizzato a integrazione della portata dell’acquedotto Poiana, si dava precedenza assoluta alla costruzione del tronco di adduttrice dell’acquedotto consorziale tra gli abitati
Dopo aver superato Buttrio, nel settembre 1914 i tubi da 200 mm erano fatti giungere al bivio per Pradamano-Lovaria e il mese successivo la conduttura era finalmente posata nell’abitato di Pradamano.170 In base al progetto originario dell’ing. Granzotto redatto nel 1911, dipartendosi dalla condotta principale Intestazione del Municipio di Pradamano, 1926.
Tratta S dal nodo per Pradamano a Cerneglons vecchio, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
nei pressi del sottopassaggio della ferrovia UdineGorizia, i tubi seguono la strada comunale raggiungendo il capoluogo con un diametro da 90 mm per una lunghezza di 1625 metri e si estendono ancora, con il diametro ridotto a 50 mm, per altri 1755 metri fino a Cerneglons Vecchio, allora ancora appartenente al Comune di Remanzacco. Condutture per Lovaria, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Per inciso, si ricorda che l’anno 1590 nella sua antica ubicazione Cerneglons Vecchio fu investito da una furiosa piena del Torre gonfio da continue piogge, che distrusse un gran numero di case. Il borgo venne ricostruito, ma per sicurezza fu spostato in un sito più a monte. I pochi abitanti rimasti nelle abitazioni superstiti di Cerneglons Vecchio, rimaste al di qua del corso d’acqua, nel 1952 chiesero di passare sotto l’amministrazione comunale di Pradamano, posta a un solo chilometro, mentre Remanzacco ne era distante sei e per raggiungerla non esisteva ancora il ponte sul torrente Torre, ma solo un precario guado; la loro domanda era infine accettata nel 1960.171 Tornando alle vicende del nostro acquedotto, nella seduta del 23 novembre 1920 la Giunta autorizzava Dante Venturini di Pradamano a eseguire gli impianti interni commissionati dagli utenti, con l’obbligo di seguire attentamente le indicazioni e le prescrizioni della Direzione del Consorzio, che ne avrebbe eseguito il collaudo.
Troppe fontane La collocazione delle fontane pubbliche avveniva nel maggio 1915, a Pradamano: una sul piazzale del Leone, in mezzo a due alberi, una attigua al pozzo di fronte al municipio e un’ulteriore nella piazzetta Ancona, vicino all’osteria Filigoi. A Lovaria: una nel piazzale della Chiesa e l’altra sul bivio con la strada per Pavia.172 Oltre a queste 5 fontane pubbliche, se ne aggiungeva un’altra provvisoria in via Pascutti, richiesta nel 1920 a beneficio del capoluogo. L’anno 1923 si riteneva conveniente ridurre il loro numero, in quanto esuberante ai bisogni della popolazione e per evitare
Telegramma del sindaco di Pradamano datato 13 ottobre 1921, per comunicare al Consorzio l’assoluta mancanza di acqua nel suo Comune.
un inutile spreco d’acqua potabile, ricavando così una maggiore disponibilità per le utenze private. L’anno precedente il Comune aveva dovuto far fronte alla quota di compartecipazione nelle spese consorziali nella gravosa misura di 8.663 lire, pertanto necessitava di un maggior incasso dalla fornitura agli abbonati. Il consiglio comunale deliberava che dovessero rimanere solo tre fontane: due in Pradamano (sul piazzale del Torre verso Buttrio e in via Torricelle, all’inizio di via Prascolò) e una in Lovaria, al centro di via Pradamano; le altre erano tutte soppresse.173 Nel 1923 la compartecipazione alle spese saliva a 11.008 lire, gli incassi per canoni raggiungevano solo 7.532,75 lire, per cui era necessario indurre almeno gli abbienti a introdurre nelle loro abitazioni l’acqua del Poiana. Si faceva leva nuovamente sulle fontane pubbliche, deliberando di sopprimere, a partire dalla fine di febbraio 1925, le due di Pradamano con l’ubicazione ora descritta, riaprendo solo quella presso il municipio e, provvisoriamente, una in via Pascutti. Tutte dovevano avere il getto continuo, alla minima pressione e doveva essere intensificata la sorveglianza, sollevando contravvenzioni a carico degli utenti che avrebbero permesso a estranei di fruire della loro acqua.174
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI PRADAMANO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Capoluogo . . 3 (soppressa ex fontana Flebus 30/10/1958) Lovaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 12/11/1962)
Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Pradamano, particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro interno in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare. Attestato del sindaco di Pradamano sulla composizione di una famiglia residente nel suo Comune, che aveva chiesto la tariffa agevolata prevista per le famiglie senza quadrupedi da dissetare, 3 giugno 1925. In quei tempi la diffusione dei contatori era ancora limitata e il pagamento delle tariffe avveniva prevalentemente a forfait. Chi non allevava bestiame, sicuramente consumava meno acqua e quindi aveva diritto a pagare una quota inferiore.
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Rinforzi e prolungamenti Le scuole locali erano dotate dell’acqua corrente nell’anno 1924, spendendo 200,50 lire. Il Comune di Pradamano nel 1932 lamentava una forte deficienza sulla strada verso Cerneglons Vecchio, ove d’estate l’acqua mancava totalmente per diverse ore al giorno. Dalle numerose prove effettuate si riscontrava che, dato il rilevante numero di utenze aperte nel capoluogo e la non uniforme distribuzione delle erogazioni, la conduttura di adduzione era insufficiente ad alimentare anche le borgate. Al capoluogo era stata assegnata una competenza d’acqua di 3,75 l/ secondo, a Cerneglons Vecchio solo 0,25 l/secondo e anche su questa tratta si erano sviluppate molte nuove abitazioni. Tra utenze private e fontane pubbliche, l’emungimento superava la capacità assegnata e quindi il carico si deprimeva fino a ridursi a zero, causando l’inconveniente lamentato. Il Comune pertanto faceva redigere dall’Ufficio Tecnico consorziale il progetto per una conduttura sussidiaria – con una capacità di 2 l/secondo e lunga 1440 metri – che, dipartendosi da quella principale, alimentasse direttamente sia la contrada sulla quale si lamentava la deficienza che la borgata di Cerneglons Vecchio. Dopo la realizzazione dell’acquedotto, alla periferia del capoluogo erano sorti diversi caseggiati, i cui proprietari chiedevano di introdurre l’acqua nelle proprie abitazioni. Si decideva pertanto di prolungare l’esistente rete lungo via Muraglie, via Udine e via Pascutti, con diramazione per le case Olivo, per un totale di 1000 metri; la spesa prevista era di 72.000 lire.175 Il Comune di Pradamano, dato che pure quello di Remanzacco era interessato nel progetto per la borgata di Cerneglons Vecchio, chiedeva di ripartire con esso la spesa. Il Consorzio invece non riteneva di coinvolgerlo, in quanto la deficienza d’acqua derivava dall’eccessivo consumo da parte della sola Pradamano; per risolvere la questione, una parte del costo era assunta dal Consorzio stesso.176 Il 5 dicembre 1934 iniziava la costruzione delle diramazioni per gli ampliamenti della rete di Pradamano; tali lavori si concludevano il 31 gennaio 1935, con uno sviluppo complessivo di 3.309,35 metri in luogo dei progettati 2.440. Visto che si erano realizzate delle economie nel corso dei lavori, si otteneva dal genio Civile di eseguire altre quattro piccole derivazioni a favore di altrettante borgate: 275,30 m nella borgata operaia parallela a via Pascutti, 95 m nella borgata del Campo Sportivo, 157,5 m nella borgata Mauro e Mian in via Cerneglons e 236,10 m verso case Comelli pure in via Cerneglons; inoltre, il prolungamento per via Pascutti aveva un maggior sviluppo di 109,70 m, per poter giungere ai Casali posti all’estremità. Per scavi, rinterri, lavori murari e manovalanza era impiegata manodopera
Il sindaco di Pradamano chiede al Consorzio di rimettere in funzione una fontana pubblica nel capoluogo, 11 giugno 1926.
locale, mentre la posa delle condutture, prove idrauliche e allacciamenti erano di competenza degli operai specializzati del Consorzio.177 Nonostante le aggiunte diramazioni la spesa finale, preventivata in 72.000 lire, era inferiore, ammontando a 70.300 lire; con questi ampliamenti si raccoglievano in breve 34 nuove utenze.178 Costruita la conduttura come da progetto, si constatava subito l’esito favorevole del provvedimento, riscontrando che nella rete esistente e in quella aggiunta la pressione era uniforme – circa 3 atmosfere – e che in nessun momento del giorno si lamentavano deficienze.179 Nel 1950 la rete del capoluogo era ampliata di 334 metri in via Stazione.180 Per il servizio antincendio, nel Comune di Pradamano si faceva fronte a eventuali emergenze con le scarse risorse idriche di un roiello, attraversante il capoluogo e la frazione di Lovaria, la cui modesta portata era ulteriormente depressa in quanto usato per le irrigazioni estive, mentre d’inverno spesso gelava. Esaminata la situazione locale, di concerto con la direzione consorziale, nel 1951 era deliberato di applicare 5 idranti antincendio a Pradamano e 2 a Lovaria, del costo di 514.000 lire.181 Nell’anno 1959 si eseguiva la sistemazione della rete interna, in concomitanza con i lavori di costruzione della fognatura da parte del Comune. In previsione dell’asfaltatura delle strade principali del Capoluogo, nel 1960 si revisionava la rete e si assestavano tutte le utenze, potenziando via Stazione con una conduttura di maggior diametro.182
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A Pradamano, nel 1922 gli impianti di acqua potabile erano realizzati dalla ditta Dante Venturini, di cui si riporta l’intestazione.
Nel 1964 era accolta la richiesta per l’ampliamento della rete idrica lungo la S.S. Udine-Gorizia, nella tratta da Lovaria al confine con il Comune di Udine, secondo il progetto del 5 settembre 1963, con una spesa preventivata di 6 milioni.183 L’anno successivo, a Pradamano si ampliava la rete in via Udine, fino al Cimitero.184 Nell’aprile 1967 si deliberava la sostituzione della conduttura di via Torricella, dove l’adduttrice presentava per 460 metri nella tratta in parallelo alla ferrovia Udine-Gorizia uno stato di degrado tale che non risultava possibile la sua manutenzione, perché antieconomica. Le cause erano dovute principalmente alle correnti vaganti provenienti dalla vicina strada ferrata, che investivano la conduttura provocando corrosioni e conseguenti perdite.185
I miglioramenti degli anni Settanta Nell’estate 1970 erano ultimata la costruzione della rete adduttrice periferica del capoluogo di Pradamano, la sua messa in funzione portava un miglioramento di 0,5 atmosfere nella zona a nord del capoluogo.186 Nell’autunno 1971 iniziavano i lavori di sistemazione e ampliamento della rete del capoluogo,187 secondo le priorità stabilite dalla Commissione amministratrice
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si doveva realizzare per prima l’adduttrice da Cerneglons alle fornaci di Pradamano, con attraversamento del Torre. Nel 1975 si dava inizio a una revisione generale della distribuzione di Pradamano, ma i consumi in questo settore, con l’allacciamento a Risano, risultavano aumentati a tal punto da rendere necessario un incremento di prestazioni della pompa per migliorare la portata della stazione di sollevamento.188 Pur essendo stata integrata la rete consorziale con l’immissione dell’acqua prelevata dalla falda sotterranea di San Nicolò di Manzano, per soddisfare i crescenti bisogni della zona si dava inizio allo studio per un impianto sussidiario di alimentazione della rete di Pradamano con l’acqua prelevata dal pozzo ‘David’ ubicato in via Roma del capoluogo. L’8 luglio 1978 era eseguito il prelievo per l’esame chimico-batteriologico dell’acqua. Avuto il certificato di potabilità a fine luglio, si predisponeva il preventivo dell’opera, pari a 14 milioni e si dava corso immediato ai lavori.189 Dato che il Comune non rilasciava il permesso di costruzione del manufatto fuori terra, secondo il progetto predisposto, si doveva allestire un secondo elaborato che prevedeva l’interramento del manufatto di contenimento delle apparecchiature. La messa in funzione della stazione – la portata continua del pozzo era di circa 6 l/secondo – avveniva il 31 marzo 1979, con sensibile miglioramento in tutto il Comune. Già l’anno successivo, però, ci si trovava nuovamente in situazione di carenza, per cui si sostituiva la pompa di sollevamento della portata massima di 500 l/minuto con una avente una portata di 800 l/minuto.190 Progetto di una conduttura sussidiaria per migliorare l’alimentazione idrica di Pradamano e Cerneglons Vecchio e di tre prolungamenti della rete alla periferia di Pradamano, 7 maggio 1932.
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La ristrutturazione degli anni Ottanta Mentre si cercava di tamponare le crescenti esigenze, nel 1979 era dato incarico al geom. Mario Tubetto di predisporre il progetto di ristrutturazione dell’intera rete idrica di Pradamano, soggetta a un intenso e continuo sviluppo edilizio per insediamenti industriali, artigianali e residenziali.191 Migliorava la disponibilità idrica con l’impianto sussidiario locale, ma la rete di distribuzione palesava in maniera evidente la sua inadeguatezza alle crescenti esigenze del capoluogo. Il progetto prevedeva il potenziamento della rete esistente per renderla atta al convogliamento della nuova portata di punta disponibile. Non vi era la convenienza economica di recuperare le vecchie tubazioni, nè si poteva pensare di farle funzionare in parallelo con le nuove. Per quanto possibile, la rete era sviluppata a maglie chiuse che, oltre a evitare il ristagno d’acqua nelle code terminali, manteneva la portata equilibrata in qualsiasi punto della zona, con carichi piezometrici livellati su quote favorevoli; si teneva per base una dotazione idrica giornaliera di 250 litri per abitante, prevedendo 2800 presenze.192 La ristrutturazione iniziava il 20 febbraio 1983, con la ricostruzione integrale delle condotte nelle seguenti vie del capoluogo: via Garibaldi, via Partigiani, via Carducci, via Matteotti fino all’incrocio con via Percoto, via Roma, via Dante, via I Maggio; i lavori erano sospesi il 1º giugno seguente per elaborare una perizia di variante, necessaria in quanto l’ipotesi progettuale si basava sulla convinzione di dover ricollegare derivazioni multiple, serventi più di una utenza, mentre durante gli scavi si riscontrava che esse erano soprattutto singole, in numero di circa 250 e ciò si ripercuoteva su altre voci di spesa, che comunque rimaneva circoscritta all’importo globale originario.193 Le opere riprendevano il 16 gennaio 1984 ed erano completate, per il 1º lotto, il 15 febbraio 1984.194 Il 2º lotto, riguardante la ricostruzione di altre 17 vie di Pradamano, era ultimato il 7 gennaio 1985. Terminati i lavori di ripristino della rete di distribuzione di Pradamano, nel 1985 si effettuava il ripristino dell’adduttrice dal nodo di Lovaria al capoluogo. Il 14 febbraio 1992 era deliberato lo smantellamento del pozzo di Pradamano, assieme a quelli di Ziracco e Trivignano. Alcuni lavori a beneficio delle opere di distribuzione del Comune di Pradamano si praticavano nel 2000,195 un ulteriore potenziamento lungo la S.S. 56 si aveva l’anno seguente e, ancora, nel 2007.
Progetto dei lavori di ristrutturazione della rete per la distribuzione idrica del capoluogo del Comune di Pradamano, 22 novembre 1980.
Intestazione del Municipio di Premariacco, 1921.
PREMARIACCO La benedizione dei nipoti per l’acquedotto Montina Assieme a Cividale, Premariacco era l’unico dei Comuni consorziati a disporre di un proprio acquedotto, antecedentemente alla grandiosa impresa del Poiana. Si tratta del modesto manufatto alimentato dalla sorgente detta Montina, sgorgante a quota 146 metri s.l.m. nell’omonima frazione, in Comune di Torreano. Alla sua realizzazione si era giunti in quanto Premariacco riteneva di avere il primato delle peggiori condizioni nel Distretto cividalese per l’approvvigionamento idrico, disponendo del solo Natisone, tanto per usi domestici che per abbeverare il bestiame. Al fiume si accedeva da malagevoli rampe, spesso era non solo torbido, ma limaccioso e la malattie contagiose si diffondevano con frequenza. La speranza di migliorare la situazione prendeva corpo con l’individuazione della sorgente Montina, distante circa otto chilometri, fluente in quantità esuberante al bisogno dei Premariacchesi. A suo tempo, anche questa fonte era stata presa in considerazione per alimentare un nuovo acquedotto cividalese, ma il geologo Tellini nel 1895 si accorgeva trattarsi di una risorgente non difficilmente inquinabile. Nonostante ciò, Premariacco ne aveva assoluto bisogno e richiedeva un progetto all’ing. Matteo del Fiorentino di Cividale, che preventivava un costo di 85.000 lire, spesa forte per il Comune ma che, pensato alla ragione per la quale detta spesa è voluta, il sacrificio è nullo o quasi, ed i nipoti benediranno ai nonni che seppero, con loro aggravio, preparare il bene che essi godranno sempre, avendone tutti i benefici senza conoscerne ne sopportarne i pesi.196 La sorgente in magra dava al massimo 7 l/secondo, Premariacco ne chiedeva 4, obbligandosi a lasciare quella restante a uso degli
abitanti della zona e al pagamento, per la concessione, della somma di 10 lire annue. La sua concreta realizzazione inizia con un atto del 1905, emesso dal prefetto di Udine per autorizzare i tecnici ad accedere ai terreni prossimi alla fonte, allo scopo di predisporre il relativo progetto. Questo passo si era reso necessario in quanto i rispettivi proprietari si erano rifiutati di concedere a chiunque l’accesso nella zona e a nulla erano valsi i tentativi di una via conciliativa. Nel 1908 i lavori di costruzione erano assunti dall’impresa udinese Quinto D’Aronco di Girolamo.197 Il regolamento per la distribuzione dell’acqua ai privati era approvato con delibera consigliare del 24 maggio 1908, a quel tempo era sindaco Bernardino Goia.
Ringiovanire il Montina Nel 1953 si elaborava un progetto per la rimessa in efficienza dell’acquedotto comunale del Montina, che sentiva il peso degli oltre quarant’anni di funzionamento. In quel tempo il manufatto di presa era sito in zona depressa adiacente a un terreno coltivato, con un accesso difficoltoso alla vasca di raccolta, insufficienti presìdi per il contenimento dell’acqua che sfuggiva e si disperdeva nel vicino canale, irrazionale ubicazione de-
Per la realizzazione del proprio acquedotto comunale, alimentato dalla sorgente di Montina, nel 1904 il municipio di Premariacco riceveva un’offerta di tubi metallici dall’officina meccanica Piana di Badia Polesine (Rovigo), di cui si riporta l’elaborata carta intestata.
gli scarichi e dello sfioratore. La conduttura di adduzione in tubi di ghisa del diametro di 120 mm, si prolungava per 4.115 metri dalla presa al serbatoio interrato di Grupignano, della capacità di 100 mc, mancante di una razionale cabina di accesso. La rete di distribuzione da 150 mm andava dal serbatoio al borgo San Mauro, a quota 118 m e poi sino in piazza Marconi di Premariacco, a quota 112 m; vi erano nove successive diramazioni secondarie, di cui tre in ghisa dello sviluppo di 1400 m e le altre, di diametro minore, in tubi di ferro saldati a vite e manicotto. Sulla rete di distribuzione erano applicati pure 6 idranti antincendio, 2 zampilli ornamentali e altrettante fontane pubbliche. Le condutture di ghisa erano in buono stato di conservazione, pur con incrostazioni interne di sedimenti calcarei che riducevano le sezioni utili dei tubi; invece quelle in ferro, essendo senza strato protettivo esterno, erano ormai inservibili a causa delle numerose corrosioni, che davano luogo a copiose fughe d’acqua. Già anni prima si erano fatti revisionare gli impianti privati,
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nimento, la sostituzione di 300 metri di tubi in ghisa e di 2.735 metri di condutture minori in ferro ormai degradate, che erano la causa principale dell’insufficienza e infine la sistemazione del serbatoio di Grupignano; il Comune richiedeva anche una nuova derivazione, di 170 metri, in via Natisone. Per tutte le opere, il preventivo era di 5 milioni di lire,198 tre dei quali erano concessi come contributo dallo Stato, per affrontare i lavori più urgenti.199 Dal progetto generale si estraeva un primo stralcio, riguardante il cambio di 1.815 metri delle condutture minori in ferro, che avevano ormai svolto nove lustri di onorato servizio, la revisione di quelle principali in ghisa, la riparazione delle due fontane pubbliche e dei tre zampilli, il rinnovo o sistemazione delle opere private e comunali sulla conduttura principale; questi inderogabili lavori erano appaltati con contratto del 15 settembre 1954, consegnati il 10 dicembre seguente e ultimati l’11 maggio 1955. Lo stesso anno era concesso un ulteriore ausilio statale ed era così possibile procedere con le altre opere necessarie per conseguire l’auspicato miglioramento funzionale, iniziandole il 14 ottobre 1957 e terminandole il 20 novembre 1958. Con le economie realizzate, si potevano eseguire maggiori lavori alla presa – per captare falde fuggenti – e al serbatoio di Grupignano, per una sistemazione più razionale delle cabine.200 Atto di concessione del sindaco di Cividale a quello di Premariacco, per effettuare la posa delle tubature d’acqua potabile per il ‘Montina’, 12 settembre 1910.
rilevando e riparando numerose forature, ma da questo provvedimento non sortiva alcun miglioramento e la rete peggiorava progressivamente, tanto che ogni anno si doveva ricorrere all’acquedotto Poiana per somministrare l’acqua mancante alla popolazione, pagandone il consumo al Consorzio. Per la rimessa in efficienza dell’acquedotto si proponeva una sistemazione razionale della presa, con opere utili a evitare deviazioni d’acqua, quali la costruzione a valle di un diaframma d’argilla di conteProgetto generale per la rimessa in efficienza dell’acquedotto comunale di Premariacco, 15 maggio 1953.
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La nuova vita del Montina Nonostante i lavori attuati, nel capoluogo e a San Mauro dalla fine degli anni Cinquanta si manifestavano carenze del servizio, dovute all’aumento degli utenti, a nuove perdite nelle tubature delle reti secondarie e, soprattutto, alla mancanza di apparecchi di controllo dei consumi. Il sindaco di Premariacco, geom. Basso, nel 1961 offriva al Consorzio l’allacciamento alla rete consorziale dell’acquedotto comunale del Montina, avente una erogazione di 6 l/secondo, previa sistemazione da parte del Consorzio,201 ma la proposta non aveva seguito. Si era rilevato che gli utenti, non controllati, usavano l’acqua anche per l’irrigazione, la lasciavano fluire e non curavano la riparazione delle fughe, creando in tal modo consumi di gran lunghi superiori alla potenzialità dell’acquedotto, con conseguente disservizio per tutti. Gli unici rimedi possibili erano l’applicazione dei contatori a tutte le 200 utenze ancora sprovviste e la revisione generale delle reti stradali,202 attività che dal primo semestre 1962 si cominciava a mettere in pratica. La dotazione dei contatori comportava una spesa di 2.600.000 lire e per particolari circostanze locali, fra cui il ripetersi di pessime annate agricole che mettevano in difficoltà i piccoli agricoltori, non era possibile addossare la spesa agli utenti in un’unica soluzione; l’amministrazione comunale provvedeva alla spesa mediante contrattazione di apposito mutuo, ridistribuendo poi l’onere sugli abbonati attraverso le tariffe, calibrate attentamente per tutta la durata dell’ammortamento.203 A seguito di un apposito sopralluogo, il Medico provinciale nell’aprile 1965 segnalava che l’acqua non presentava i requisiti batteriologici di potabilità, per cui la sua utilizzazione era consentita solo previo l’impianto di idoneo apparecchio potabilizzatore o cloratore.204 Inoltre, nel 1966 era progettato e approvato dal consiglio comunale un impianto di filtrazione dell’acqua con due filtri rapidi di acciaio, per eliminare, o quan-
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI PREMARIACCO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Orsaria . . . . . . . . . 5 (soppresse 1/10/1959, 19/10/1959, 24/9/1965, 14/7/1967) Firmano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 (1 soppressa 24/9/1965) Ipplis. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .2 (1 chiusa dal Comune) Leproso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 17/11/1966) Azzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 26/4/1967) Paderno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
tomeno ridurre il grave inconveniente della torbidità che, oltre ad essere antigienica, danneggiava anche gli apparecchi di misura.205 Nella vasca di presa, dopo le piogge affluivano torbide che subivano solo una modesta decantazione, partendo verso Premariacco sempre in stato di torbidezza. Per la limitata disponibilità di carico che non avrebbe fatto funzionare i filtri, l’impianto previsto non poteva essere applicato alla sorgente ma solo al serbatoio di Grupignano, dove si era già collocato l’apparecchio di potabilizzazione. In quel tempo, di tale acquedotto beneficiavano 275 famiglie del capoluogo e della frazione di san Mauro, con 1.650 abitanti complessivi; di esse, 235 erano famiglie rurali, con stalla annessa o dislocata, ove si trovavano 1.310 bovini, 205 suini e 30 equini.206 Nel 1978 l’ing. Dino Mantovani di Udine effettuava uno studio sulla sistemazione della rete interna del Montina. Egli riteneva che il dimensionamento delle condotte e le relative opere dimostrassero la larghezza di vedute del progettista Matteo del Fiorentino, tenuto conto che si era nel 1905: per la tipologia ambientale della zona servita da tale acquedotto, egli aveva previsto nella fase di sviluppo del paese non la formazione di agglomerati compatti, ma la costituzione di abitati senza soluzione di continuità ai margini delle strade; era dunque plausibile in quel tempo ritenere che le richieste di nuove utenze fossero proporzionali allo sviluppo della rete viaria con margini abitati. Come noto, con il trascorerre dei decenni l’evoluzione urbanistica dei centri friulani si muoverà lungo direttrici diverse da quelle ipotizzabili a inizio secolo. Nel nuovo studio dell’ing. Mantovani, posteriore di settant’anni alla progettazione iniziale, era anche necessario considerare che la portata di calcolo delle condotte distributrici non doveva essere inferiore alla minima portata necessaria al funzionamento degli idranti antincendio. Nell’elaborato era prevista la ricalibratura della rete Montina mediante l’allacciamento alla rete del Poiana, o con altri mezzi, e la costruzione dei tronchi di condotta dove più grave era il disagio degli utenti, ovvero lungo via Stretta, via Cristallo, via Gerardo e via Goia.207 Nell’Assemblea consorziale del 28 aprile 1980 era deliberato di acquistare tutto il patrimonio definito “Acquedotto di Montina” di proprietà del Comune di Premariacco, assumendone la gestione e mantenendo i fini per cui a suo tempo venne realizzato, verso l’indennizzo di 5 milioni di lire per i maggiori oneri derivanti.208 In seguito maturava l’idea di destinare le acque dell’acquedotto Montina per il rifornimento idrico della zona di ampliamento artigianale del Consorzio SIFO di Cividale; nel 1985 si affidava all’ing. Raffaele Cola la progettazione dei lavori di costruzione di un serbatoio di accumulo in Montina, escludendo quello
in Grupignano e facendo partire da questa località, per motivi di prevalenza, la condotta distributrice.209 Il 26 giugno 1989 l’ing. Cola approntava il relativo progetto, che prevedeva la ristrutturazione del manufatto ubicato al di sopra del serbatoio di Grupignano, rendendolo atto a ricevere le nuove apparecchiature previste al fine di imprimere all’acqua la necessaria pressione di esercizio.210
La Poiana plana a Premariacco Il Comune di Premariacco entrava sin dall’origine nel Consorzio Acquedotto Poiana, ma per la sola frazione di Orsaria, con una competenza di 3 l/secondo. Ricordiamo che allora Ipplis costituiva un Comune autonomo, anch’esso consorziatosi nel 1912. Nel luglio 1914, dopo aver oltrepassato la città di Cividale, la posa delle condutture si dirigeva verso Premariacco. A valle di Grupignano si ponevano in opera, si provavano e si ritombavano i tubi da 300 mm di diametro, altri 800 metri verso Premariacco erano solo posati. Questi era provati e ricoperti nell’ottobre seguente e nello stesso mese si posavano 20 m di tubi da 225 mm lungo il paese Orsaria e altri 2000 m fra Premariacco e Oleis. Nel novembre 1914 era la volta di 1000 m per Leproso, dove se ne posizionavano altri 1460 nel gennaio 1915. Si tornava a Orsaria nel marzo 1915, dove alle poche decine di metri esistenti se ne aggiungevano altri 1070, con una coda finale di 136 metri al suo interno, in aprile-maggio.211 Il 27 agosto 1919 erano chiuse sulla conduttura principale 3 fontanelle militari, altrettante si eliminavano il 3 settembre sulla strada tra Orzano e Premariacco.212 A proposito della tubazione principale che attraversava il Natisone sulle strutture del Ponte Romano, il Condutture ad Azzano di Premariacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Tratta F, attraversamento delle tubazioni del fiume Natisone sul ponte ‘Romano’ di Premariacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
sindaco segnalava alla presidenza consorziale il grave pericolo costituito dal rivestimento della conduttura per gioco, attraversato dai monelli che per un facile accidente potrebbero precipitare nel fiume. Ritengo urgente evitare disgrazie con la costruzione di un qualche riparo che impedisca l’accesso al rivestimento stesso.213 Durante alcuni lavori sull’acquedotto comunale del Montina, nel 1920 si concedevano a Premariacco 4 fontanelle pubbliche nel capoluogo, gratuitamente per un mese; trascorso tale periodo, per i consumi dall’11 settembre al 31 dicembre si addebitava la somma di 525 lire. A gennaio però i lavori non erano ancora iniziati e le fontanelle erano continuamente manomesse. Pur invitata, Premariacco non dava un termine per il mantenimento della concessione e, per evitare altri inutili consumi d’acqua, la Giunta deliberava di togliere la concessione dal 15 febbraio 1921, sopprimendo le fontanelle.214 Il consiglio comunale nell’ottobre 1926 deliberava lo spostamento della fontana pubblica a Paderno,
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ubicata al centro dell’abitato, fino all’estremità del paese in vicinanza della chiesa, dove abitavano cinque famiglie povere che continuavano a usufruire dell’acqua pubblica, poiché tutte le altre, possidenti e benestanti, erano già utenti privati. Constatando che la sua acqua, proveniente da Montina, non era di sicura garanzia per l’igiene pubblica, nel 1926 Premariacco domandava le condizioni cui avrebbe dovuto sottostare per entrare nel Consorzio anche col capoluogo e borgo San Mauro, con una quantità di 3 l/secondo per servire i suoi 1390 abitanti. Il problema in cui si trovava non era di quantità, in quanto i 4 l/secondo da Montina continuavano a essere più che sufficienti a soddisfare i bisogni per umani e bestiame, preoccupava invece la qualità dell’acqua, che intorbidendosi dopo ogni pioggia rivelava essere in comunicazione diretta con il piano di campagna e quindi facilmente inquinabile; nemmeno l’installazione di filtri poteva rappresentare un efficace rimedio, perché questi avevano un’azione sui sedimenti fisici, ma non erano in grado di bloccare i patogeni. Si deliberava di darne comunicazione al Prefetto della Provincia e anche al Genio Civile, che già stava verificando un’analoga richiesta avanzata da Cormòns e Brazzano.215 Il Comune di Ipplis, in quanto incorporato dal 15 giugno 1928 in quello di Premariacco, dal 1929 scompariva dallo statuto consorziale, aggiornato in quell’anno.216 Abbiamo già riportato come Ipplis nel 1927 chiedesse la chiusura delle fontane pubbliche per stimolare la formazione di nuovi utenti. Due anni dopo, il
Podestà di Premariacco inoltrava al Consorzio una richiesta di tenore diametralmente opposto: Stante la mancanza d’acqua sui colli d’Ipplis e sulla Rocca Bernarda molte famiglie di dette località si vedono costrette ad attingere all’unica fontana pubblica della Frazione di Ipplis la quale, per avere un getto molto limitato, non soddisfa le esigenze della popolazione. Pregasi pertanto a voler disporre perché la fontana possa dare una quantità d’acqua proporzionata al numero degli utenti che presentemente di essa si servono.217
La sete di Firmano e Pasc Quando, per diverse cause, l’acquedotto comunale del Montina non poteva più alimentare Firmano, nell’aprile 1929 il Podestà avanzava istanza al Poiana perché con la sua rete dissetasse anche questa frazione.218 Il mese seguente l’assemblea aderiva alla domanda di fornire acqua a Firmano,219 ma ciò non aveva poi concreta attuazione pratica. Nel 1932 Premariacco chiedeva nuovamente al Consorzio di estendere l’acquedotto a favore della borgata di Firmano e dei Casali Pasc, con 300 abitanti. Fissando per questi la stessa competenza giornaliera di quelli di Orsaria (190 litri), l’assegnazione d’acqua da aggiungersi a Premariacco era di 0,65 litri/ secondo, dei quali 0,06 per il Pasc e 0,59 per Firmano. La nuova assegnazione sarebbe stata prelevata dalla maggiore Tratta K per Leproso, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Il servizio antincendio
Ponte alla sezione 128, in località Azzano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
portata dell’acquedotto, senza intaccare le competenze degli altri Comuni. L’Assemblea nel luglio 1932 deliberava tale assegnazione, chiedendo il versamento al Consorzio di 12.000 lire, a titolo di compartecipazione alle spese di impianto. Il progetto, datato 6 luglio 1932, rispondeva ai desideri di Premariacco comprendendo due distinte derivazioni capaci di alimentare abbondantemente cinque fontane pubbliche, ciascuna delle quali della portata di 0,25 l/secondo. La relativa spesa era di 88.000 lire e il Consorzio, sostituendosi al Comune di Premariacco, presentava domanda allo Stato per ottenere il contributo governativo del 75% previsto dall’art. 3 della legge 24 dicembre 1928 n. 3134.220 L’11 settembre 1933 l’acquedotto rurale per la località Pasc era ultimato.
I tubi in prigione Una ulteriore e singolare utenza era attivata a Premariacco nella seconda guerra mondiale per servire il campo di prigionia, denominato ‘PG 57 Grupignano’‚ allestito in località San Mauro. L’ufficio Lavori del Genio Militare avendo rilevato che al Campo Concentramento Prigionieri non arrivava acqua sufficiente, nel 1943 incaricava il Consorzio di provvedere al miglioramento del rifornimento idrico. Si progettava una nuova derivazione in fibronit del diametro di 100 mm, per la lunghezza di 1100 metri, con una spesa complessiva di 125.000 lire; i lavori erano portati a termine in 60 giorni.221 Nel 1946 il Comune di Premariacco aveva in concessione ordinaria tre fontane, una nel capoluogo, una in S. Mauro e una all’ex Campo Prigionieri, per le quali doveva pagare il consumo secondo la tariffa per privati, perché considerato fuori Consorzio; chiedeva l’applicazione di una tariffa speciale di favore, non essendo in grado di sostenere la gravosa spesa e l’Assemblea Consorziale deliberava che, sebbene le fontane fossero in territorio extra consorziale, le tariffe da applicarsi fossero quelle per i consumi in abbonamento per uso domestico.222
Dopo diversi sopralluoghi, con il concorso anche di alcuni assessori comunali, era convenuto che per poter approntare un discreto servizio antincendio era necessario installare otto idranti, metà a Orsaria e gli altri a Ipplis. In fase operativa, si riteneva di soprassedere su quello previsto in borgo Solzared a Ipplis, in quanto avendo la conduttura di alimentazione un piccolo diametro, si prevedeva di scarsa efficacia, inoltre la sua applicazione avrebbe creato un precedente e probabilmente anche le altre borgate periferiche ne avrebbero preteso uno. Nel luglio 1949 era completata l’installazione delle 7 bocche da incendio, con la seguente dislocazione: Ipplis 1 al centro della Piazza della Vittoria (chiesa) 2 al centro della frazione presso casa Cernetig 3 al bivio per Solzared, al termine sud dell’aiuola dell’Ancona Orsaria 4 al centro della piazzetta di Borgo di Sopra 5 al bivio via Mercatovecchio-via Chiesa, termine marciapiede casa d’angolo 6 al bivio via Cerneglons-via Stretta, al centro della piazzetta 7 al bivio via Buttrio-via dei Colli, presso fontana, lato sud Si sconsigliava di provvedersi di tubo di canapa e lancia, in quanto in poco tempo sarebbero diventati inservibili, richiedendo la canapa un’assidua cura per la conservazione, che non poteva essere garantita dal Comune. Era meglio lasciare l’utilizzo di tale delicato materiale ai pompieri, di Cividale o di Udine, che giungevano a disimpegnare il servizio a Premariacco in caso d’incendio.223
Dagli anni Cinquanta Una nuova derivazione in Ipplis per la zona collinare era progettata il 16 agosto 1946, ma l’attuazione si doveva sospendere per il mancato arrivo di una parte dei tubi. Il lavoro trovava ultimazione nel primo semestre 1952, con 1060 metri di condutture, compreso il serbatoio della capacità di 90 ettolitri. Nell’ambito del progetto da 200 milioni – finanziato con la legge 22 luglio 1966 n. 614 – era stata predisposta una derivazione che da Premariacco terminava a Selvis, ma nell’esecuzione dei lavori, assunti con contratto 18 agosto 1970, a causa dell’aumento dei prezzi questa si limitava a soli 455 dei 6.991 metri previsti. Nel periodo estivo del 1971 le notevoli deficienze obbligavano il Consorzio al rifornimento della popolazione mediante autobotti. L’Ufficio Tecnico
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quasi al centro del paese, approfittando del fatto che la ditta Dalmine aveva inviato 190 metri di conduttura in più.225 Nel giugno 1973 erano completati i lavori di potenziamento dell’acquedotto comunale di borgo S. Mauro di Premariacco.226
Il Poiana prevale
Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Premariacco e a Ipplis, che ai tempi della costituzione del Consorzio e fino al 1928 formava un Comune a sé stante. Premariacco si consorziava sin dall’origine, ma per la sola frazione di Orsaria, in quanto dal 1908 disponeva di una propria condotta comunale, alimentata dalla sorgente Montina. Particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare.
del Consorzio approntava il progetto del 12 settembre 1971, con il quale prolungare per 3200 metri la conduttura lungo la strada provinciale PremariaccoSelvis, fino all’esistente rete di distribuzione interna della frazione. Si deliberava di dare corso immediatamente ai lavori, in modo da sistemare al più presto il servizio anche nella frazione di Orsaria.224 Con l’andare degli anni, la situazione di deficienza dovuta al progressivo aumento dei consumi si faceva sentire particolarmente nella frazione di Orzano, ove nei mesi estivi si aveva una totale mancanza di erogazioni, supplite stentatamente con autobotti. Nel progetto originario del 1911, per Orzano era stata prevista una conduttura derivata dalla S.S. 54 del diametro di 70 mm, che con il trascorrere degli anni si dimostrava insufficiente. Siccome l’Ufficio Tecnico consorziale era venuto nella determinazione di realizzare una derivazione diretta da Premariacco al bivio per Cerneglons-ponte Torre, con 3 l/secondo, collegandosi a essa si sarebbe certamente migliorata la distribuzione di Orzano. Ultimati i lavori previsti dalle perizie suppletive del progetto dei 200 milioni, nel 1972 era possibile mettere in funzione la nuova conduttura con un sensibile miglioramento nella distribuzione di Orzano, aumentando la pressione fino a 3 atmosfere; l’allacciamento era eseguito all’altezza della trattoria Brich,
Nel luglio 1973 il capoluogo presentava la proposta di fusione del proprio acquedotto “Montina” con il Poiana e la richiesta di aggregazione al Consorzio della rimanente parte del territorio di Premariacco. Prevedendo dei consumi delle ore di punta di almeno 10,2 l/secondo, secondo la relazione dell’ing. Giovanni Mantovani del 18 ottobre 1973 si avrebbe avuto una sottrazione dell’ordine di 1/10 della portata totale. Prospettandosi la variazione delle competenze originarie di progetto e dato che questo assorbimento poteva provocare un sensibile squilibrio nella rete consorziale, a meno che non si fosse impostato subito il problema di aumentare la disponibilità di liquido, si rendeva necessario un apposito studio sull’argomento.227 Nel 1974 la Commissione Amministratrice esprimeva un parere non contrario e suggeriva in forma prudenziale un allacciamento al serbatoio di Grupignano, con inserimento di un contatore tarato per la portata massima di 4 l/secondo. A seguito delle scosse sismiche del 1976 l’acquedotto del Montina era interrotto e il Consorzio predisponeva un allacciamento provvisorio, in modo da alimentare ugualmente la rete. L’assorbimento di Premariacco peggiorava sensibilmente la situazione del Poiana con un abbassamento, nelle ore di punta, di 1 atmosfera e conseguente perturbazione della distribuzione nelle località periferiche e altimetricamente più elevate. Non appena riattivato il Montina, l’allacciamento provvisorio era tolto.228 L’Assemblea Consorziale nel 1977 decideva di non allacciare al Poiana il capoluogo di Premariacco, gli erano concesse solo 16 utenze – in via Ponte Romano e in via Orsaria – in quanto più vicine alla rete consorziale che a quella del Montina.229 Nel 1978 la situazione di approvvigionamento idrico nel Comune di Premariacco, con 3296 abitanti censiti nel 1971, vedeva l’apporto di 4 l/secondo dal Montina e 9,8 l/secondo dal Poiana; il piano regolatore generale degli acquedotti, redatto in base alla legge 4 febbraio 1963 n. 129, considerando il censimento 1961 prevedeva per l’anno 2015 una popolazione a Premariacco di 3800 abitanti, tra residenti e fluttuanti, con conseguente fabbisogno prevedibile di 13 l/secondo, previsione che era confermata dal Piano Regolatore Generale del 1973.230
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Nel giugno 1979 si autorizzava il Consorzio Artigianale di Leproso e Paderno a costruire la rete di distribuzione entro la propria area e si concedeva l’utenza per il rifornimento idrico del municipio e della scuola media di Premariacco, in quanto la carenza di pressione dell’acquedotto del Montina non permetteva il funzionamento dei servizi al primo piano degli edifici. Nel 1978 l’ing. Dino Mantovani di Udine aveva elaborato un progetto per il ripristino della rete interna del capoluogo, che a quel tempo era alimentato dal Montina, prevedendone anche l’eventuale collegamento alla rete consorziale.231 I lavori erano consegnati con verbale del 12 marzo 1980 e, rallentati dalle procedure di trapasso tra due diverse imprese, avevano ultimazione il 30 aprile 1981. Nell’ottobre 1981 il sindaco di Premariacco invitava il Consorzio a collegare la conduttura idrica servente San Mauro al Poiana, per ovviare al disservizio ricorrente in tale zona, dovuto alla minima differenza di altitudine fra il serbatoio di accumulo di Grupignano e tale borgo; la richiesta era accolta232 e i lavori eseguiti l’anno successivo. A seguito della costruzione della variante alla S.S. 356 all’esterno del paese di Grupignano, su richiesta dell’ANAS, che ne assumeva le relative spese, nel 1983 era richiesto lo spostamento di 500 metri della adduttrice consorziale da 300 mm e di altrettanti metri dell’adduttrice del Montina, che da quel punto si dirigeva verso il Comune di Premariacco.233 Nel 1984 Premariacco insisteva per ottenere l’abbandono della sorgente del Montina e per l’allacciamento totale al Poiana, ma si riteneva che solo con lo sfruttamento della sorgente Arpit si fosse in grado di poter esaudire appieno tale richiesta.234 Nel 1985 si procedeva comunque con l’allacciamento di Borgo Chiesa, con l’asilo e le scuole, l’anno seguente vi era il trasferimento sulla condotta del Poiana degli utenti di via Gallo e via Rialto, le scuole medie e il municipio, nel 1988 era la volta di via Canarin. Nel 1989 era deliberato che il Comune di Premariacco – l’accorpamento con il Montina era già avvenuto di fatto dal 1980 – entrasse ufficialmente nel Consorzio volontario allo scopo di provvedere alla costruzione, manutenzione ed esercizio delle opere di provvista e distribuzione di acqua potabile, in continuazione del progetto tecnico amministrativo del 23 novembre 1911 per la costruzione di un acquedotto di derivazione e di distribuzione nei rispettivi territori dell’acqua della sorgente Poiana. Entro due mesi si doveva provvedere alle opportune modifiche dell’articolo 12 dello Statuto e degli articoli 51 e 52 del Regolamento.235
Tratta E dal serbatoio a Cerneglons, condutture per Selvis, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Intestazione del Municipio di Remanzacco, 1921.
REMANZACCO La conduttura principale dell’acquedotto giungeva nei pressi di Remanzacco nell’agosto 1914, arrivando da Moimacco con un tratto del diametro di 150 mm, provato e ritombato nel mese successivo, quando se ne posavano altri 700 metri. Nella relazione dell’ing. Granzotto, relativa al settembre 1914, era annotato: Della conduttura da 90 mm fra Remanzacco e Ziracco furono posti in opera e provati e ritombati m 1300 di tubazione, in ottobre se ne aggiungevano altri 3150. All’interno di Ziracco si collocavano 350 m di tubi del diametro minore da 50 mm. Fra Remanzacco e Selvis erano posati 690 m di tubi da 80 mm, nelle vie interne di quest’ultima frazione si entrava nel gennaio 1915.
Tratta E dal serbatoio a Cerneglons, condutture a Remanzacco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Per raggiungere Orzano si posavano 2150 m di tubi da 70 mm, derivati dalla strada provinciale UdineCividale. A novembre si sistemavano 2515 m di tubazione da 60 mm fra Selvis e Cerneglons, nel cui interno ci si prolungava nel mese di dicembre. Nello stesso mese i tubi si inserivano negli abitati di Remanzacco, di Ziracco e di Orzano.236 In agosto 1919 si chiudevano due fontanelle in soprannumero a Orzano e altre prese usate dai militari.237 Tratta G per Orzano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Oltre a quelle fissate nel progetto originale dell’ing. Granzotto, il Comune di Remanzacco riteneva necessaria la presenza nel suo territorio di ulteriori fontane pubbliche e ne deliberava l’ubicazione ottimale. Con la rotta di Caporetto dell’ottobre 1917, però andava persa tutta la relativa documentazione e nel 1920 l’argomento era affrontato nuovamente in consiglio comunale. Nella seduta del 25 aprile 1920, dopo aver attentamente valutato la situazione esistente, gli amministratori guidati dal primo cittadino prof. Cesare Richard deliberavano di aggiungere alle fontane già attive le cinque seguenti: 1 in Cerneglons Vecchio, 2 a Ziracco (nella frazione e l’altra nei casali in località Gugliola), 1 a Orzano e 1 a Remanzacco, verso la stazione ferroviaria;238 quest’ultima era soppressa solo alcuni anni dopo, perché poco distante da un altro punto di erogazione.239
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La giunta consorziale nella seduta del 2 settembre 1920 prendeva in esame la domanda di Remanzacco per la collocazione delle cinque ulteriori fontanelle e faceva presente che le nuove erogazioni a uso pubblico diminuivano notevolmente la concessione di utenze private, spettanti al Comune in base alla competenza d’acqua fissata; ricordiamo che ogni fontanella sottraeva la possibilità di fare 30 nuovi allacciamenti, in quanto a quel tempo vigeva l’equivalenza 1 fontana pubblica = 30 utenze private. Pertanto, nell’interesse dell’amministrazione comunale, consigliava vivamente di limitare le fontanelle allo stretto indispensabile. Dall’esame della documentazione archivistica, si rileva che i lavori per l’apertura della nuova fontana pubblica a Ziracco fra il palazzo del conte della Torre e l’officina del fabbro Bernardis si svolgevano il 5 e 6 settembre 1921, due giorni dopo si installava quella a Remanzacco, in via della Stazione presso l’abitazione di Celeste Domini.
Minacce anonime Che la scarsità d’acqua nel Comune avesse raggiunto dei livelli in grado di esasperare fortemente la popolazione era palesato dall’invio di una lettera anonima ai membri della giunta municipale, nella quale, sia pure con una grammatica incerta e una sintassi zoppicante, era molto chiaramente espresso il vivo desiderio di avere finalmente a disposizione una sufficiente quota idrica. Probabilmente a far superare il
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livello di sopportazione della gente era stato il fatto che, mentre il sindaco aveva chiesto al Consorzio di aumentare il getto di quattro fontane, al contrario esso era vistosamente diminuito in un paio di esse.240 Nell’ottobre 1921 il Comune faceva pervenire al Consorzio un prospetto con le località incluse nei propri confini, ancora non servite dalla rete acquedottistica. Nell’insieme si trattava di posare 5.445 metri di tubatura, lavoro per il quale si chiedeva un preventivo di spesa, specificando che i proprietari delle case raggiunte avrebbero collaborato all’esecuzione degli scavi necessari e sarebbero diventati nuovi utenti.241
No ai lavatoi Gli amministratori di Remanzacco facevano applicare ad alcune fontane pubbliche anche delle vasche in cemento armato ad uso abbeveratoi e lavatoi. Sicuramente saranno stati guidati dal lodevole intento di fornire un comodo servizio ai propri concittadini, ma adottavano un provvedimento contrario alla buona utilizzazione dell’acquedotto, vanificando le disposizioni emanate dal Consorzio per evitare sprechi e avere una buona manutenzione dei congegni di erogazione. Infatti i lavatoi richiedevano un deflusso costante dell’acqua e quindi rendevano inutili i sistemi di chiusura già applicati, in breve destinati a essere manomessi e deteriorati. Il regolamento consorziale non contemplava, nè accennava in alcun modo a manufatti di tal sorta applicati alle fontane, che erano costruite solo per l’attingimento dell’acqua. In tutti gli acquedotti era severamente proibito, per ovvie ragioni igieniche, il lavaggio di indumenti o altro sotto alle fontane destinate all’attingimento per usi domestici e, inoltre, sconsigliavano di mettere a disposizione tali ausili, al fine di indurre le famiglie a introdurre l’acqua nelle proprie abitazioni. Alla luce di queste considerazioni, il Consorzio nel dicembre 1921 invitava l’amministrazione comunale a rimuovere le vasche fatte applicare, rimettendo i manufatti nel loro stato originario, facendo anche presente che ogni eventuale modifica relativa alle strutture dell’acquedotto era di competenza della sola Giunta consorziale.242
Testo della lettera anonima fatta pervenire il 5 giugno 1921 agli amministratori di Remanzacco che, sia pur con sgrammaticature e incertezze, palesa chiaramente lo stato di insofferenza della popolazione dopo la deliberazione di far richiudere laqua. Ora immediatamente fare quelo di rimettela immediattamente perche laqua e pagata chi 40 chi 60 e 10 e più all’ano sul predial. La ‘prediale’ era una tassa che gravava sui beni immobili. La lamentela si riferisce al fatto che mentre il sindaco di Remanzacco aveva chiesto di aumentare il getto di quattro fontane, la Giunta consorziale aveva deliberato la riduzione di metà di esse, provocando una vivace contrarietà popolare.
Condutture a Cerneglons, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Una nuova tirata di orecchi perveniva al Municipio dopo che gli incaricati del Consorzio avevano constatato che i rubinetti delle fontane pubbliche erano tenuti costantemente aperti, procurando un enorme spreco d’acqua, che non poteva essere consentito perché danneggiava gli utenti dell’intero territorio. Si invitava gli amministratori a svolgere un’accurata sorveglianza e se l’abuso fosse perdurato, si sarebbero tolti i rubinetti, rimettendo un getto di limitata portata, com’era in precedenza.243 A sinistra: particolare della chiave per chiusini, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
A destra: tratta H da Remanzacco a Ziracco, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Nell’aprile 1925 il Comune chiedeva di provvedere alla chiusura della fontana pubblica in Cerneglons, sita sulla piazza della chiesa, e alla riapertura di un’altra fontana posta a sud della frazione stessa, in quanto più comoda per la popolazione, specialmente per quella dei vicini casali sprovvisti di diramazione. Il mese successivo, avendo rapidamente raggiunto lo scopo di far aumentare il numero degli utenti sulla piazza di Cerneglons, si invitava il Consorzio a riaprire sollecitamente la fontana chiusa in precedenza.244 Nel 1936 era deliberata la chiusura della fontanella di Selvis, perché la quasi totalità di quegli abitanti aveva già introdotto l’acqua in casa.
Addio roielli L’arrivo dell’acquedotto Poiana influiva inevitabilmente sulla rete acquea che, nel tempo, era stata intessuta nel territorio comunale. Ormai i roielli, così utili e che tante energie avevano richiesto per il loro tracciamento, manutenzione e conservazione, servivano a ben poco e decadevano di importanza, come i pozzi. Tornavano però prepotentemente al centro dell’attenzione quando per un’azione partigiana, condotta nel 1943 a S. Pietro al Natisone, si interrompeva l’afflusso dell’acqua dalla tubatura consorziale. Si confidava allora nella presunta vitalità del paio di pozzi ancora fisicamente
Attraversamento del torrente Malina, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911. In basso a sinistra: condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Remanzacco, particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare. Richiesta di frazionisti di Ziracco, disponibili a compiere i lavori di scavo e a farsi utenti dell’acquedotto, per ottenere una derivazione utilizzabile da otto famiglie, 25 agosto 1930.
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rimasti al loro posto, pur murati da un ventennio, ma al loro scoperchiamento mostravano di essere giunti al termine della loro lenta agonia, presentandosi ormai definitivamente asciutti. La speranza era allora dirottata sul vecchio roiello, anch’esso da parecchio tempo relegato nel dimenticatoio e l’operazione di rianimazione, prestata appassionatamente dalla popolazione sul moribondo canale, aveva successo. L’acqua che vi rifluiva attraverso un nuovo percorso offriva nuovamente sollievo alle esigenze domestiche e per gli usi non potabili. Un ritorno temporaneo sul palcoscenico e sotto la sollecitazione di cogenti necessità, questo dei roielli, che dopo alcuni anni lasciavano definitivamente la scena, soffocati dalle tubature in cemento che li celavano alla vista e li sottraevano, progressivamente, anche alla memoria.245
Sviluppi e potenziamenti Nel novembre 1950 era realizzato il prolungamento della conduttura fino alle ultime case di Casali Magnis, al centro della nuova borgata verso Ziracco; con le economie realizzate in corso d’opera, si riusciva a posare 429 metri di tubi – 49 oltre il preventivato –, riuscendo così ad avere in totale dieci nuove utenze private, oltre che risparmiare le spese per la fontana pubblica, che poteva essere smantellata.246
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI REMANZACCO, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Capoluogo. . . 2 (soppresse 13/4/1960 e ? (prob. 1962)* Orzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 11/12/1962) Ziracco. . . . . . . .2 (soppresse 11/12/1962 e 28/3/1963) Selvis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 9/2/1957) Cerneglons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 13/4/1960) Casali Cainero . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 10/12/1962) Casali Malina . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 19/11/1949) *(MARCHESE 1999, p. 65 riporta che la Giunta comunale il 16 febbraio 1958 deliberava la graduale soppressione delle otto fontane ancora attive. L’ultima di Remanzacco a sparire era quella di via Picco, sul finire del 1962 e questa notizia potrebbe integrare il dato mancante in ACAP)
Nel primo semestre del 1959 si svolgevano i lavori di potenziamento della rete, mediante la costruzione di una derivazione in parallelo della tratta di conduttura lungo la S.S. 54 dal bivio per via Matteotti alla Casa Cantoniera, con spesa a carico del Comune.247 A seguito dei lavori di asfaltatura di tutte le frazioni, nel 1960 il Consorzio interveniva per sistemare la rete e le utenze delle frazioni di Ziracco, Orzano e del capoluogo.248 Nel 1961 erano ultimati i lavori di ampliamento dalla casa cantoniera alla strada per Salt di Povoletto, l’anno seguente le opere erano a favore dei Casali Magret e Molino di Sopra, nel 1962 l’ampliamento nell’ex braida Chiarandini e lungo la strada per Salt. Per Selvis, Casali Battiferro e Cerneglons il progetto originario del 1911 prevedeva una derivazione del diametro di 80 mm, a partire da Remanzacco, ma il progressivo incremento dei consumi rendeva alla metà degli anni Sessanta la situazione idrica di queste località estremamente precaria. Tenendo conto che nella zona a sud-ovest del capoluogo di Remanzacco stava sorgendo un insieme di complessi industriali, che si riteneva avrebbero assunto una non trascurabile mole, nel 1967 la direzione consorziale era dell’opinione che l’adduttrice da Remanzacco sarebbe divenuta inadeguata alle necessità di un servizio di distribuzione idoneo. Si considerava, inoltre, che a conclusione del potenziamento allora in corso con la terebrazione del pozzo di San Nicolò di Manzano si avrebbe avuto un minor assorbimento d’acqua in quanto i Comuni di Buttrio, Pradamano, Pavia di Udine e Trivignano, costituenti la parte sud-ovest del Consorzio, avrebbero Elenco delle località del Comune di Remanzacco che nel 1921 non erano ancora servite dall’acquedotto Poiana. Per completare la rete serviva ancora la posa di 5.445 metri di tubazioni.
Saracinesche applicate sulle condutture acquedottistiche negli anni Settanta.
avuto l’integrazione grazie al potenziamento stesso. Era quindi il caso di realizzare una derivazione diretta da Premariacco al bivio per Cerneglons-ponte Torre, in modo da portare in quel punto, al centro della plaga industriale la quantità d’acqua di 3 l/secondo, necessaria a rispondere adeguatamente alle necessità del momento. Tale conduttura sarebbe decorsa lungo la strada provinciale detta ‘di Prepotto’, sviluppandosi per 6.700 metri, del diametro di 125 mm per i primi 3.800 m e di 100 mm per i rimanenti. Collegando a questa tubatura l’esistente rete di Selvis, Casali Battiferro e l’inizio della strada di Cerneglons, si sarebbe migliorata la loro situazione. Il 19 aprile 1968 la rete di distribuzione comunale era collegata al pozzo privato della SOCOM, in via Salt e al contatore posto nel punto di collegamento si rilevava una immissione di 1,5 l/se-
Corografia del progetto per il potenziamento della distribuzione idrica delle frazioni di Orzano, Selvis e Cerneglons sud del Comune di Remanzacco, mediante la costruzione di una conduttura adduttrice (in rosso) diretta da Premariacco, 8 novembre 1967.
condo, della quale ne beneficiava la parte ovest di Remanzacco e la frazione di Cerneglons, già deficitaria. Particolarmente acuta era la carenza degli ultimi di aprile 1968 nella frazione di Ziracco, che con la siccità eccezionale verificatasi in quel tempo rimaneva priva d’acqua per diverse ore al giorno.249 A questa situazione si poneva rimedio con lo scavo di un nuovo pozzo, i cui lavori erano ultimati nell’agosto dello stesso anno, approfondendolo 108 metri. Nel 1970 era eseguito l’ampliamento in Via Premariacco di Orzano, in via Salt del capoluogo e quelli in favore dei cimiteri di Remanzacco e Cerneglons. La stazione di sollevamento di Ziracco, che copriva per la quasi totalità il fabbisogno idrico dell’abitato, essendo collegata alla conduttura di Remanzacco ovest procurava un miglioramento idrico anche in detta zona; l’elettropompa Rotos installata nel 1969, dopo un ventennio era fuori uso per obsolescenza e si rendeva necessario sostituirla.250
Dagli anni Ottanta La richiesta di allacciamento al nodo di Ronchis di Faedis della condotta del Friuli Centrale, idonea a migliorare l’apporto idrico in tutto il Comune di Remanzacco era accolta nel 1985, ciò consentiva di non avvalersi del pozzo di Ziracco.251 Il progetto esecutivo per la costruzione della tratta di adduttrice Ziracco-Remanzacco, a completamento del progetto di derivazione a favore di tali località
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dell’adduttrice pedemontana dell’Acquedotto Friuli Centrale era elaborato dal prof. Raffaele Cola il 30 maggio 1988; tale opera era prevista nel progetto generale 20 giugno 1983, con variante 20 ottobre 1985. Lo sviluppo è di 4.029 metri, con tubazioni di ghisa sferoidale, senza particolari difficoltà costruttive eccettuato l’attraversamento del Malina in subalveo, a 2,50 metri sotto il livello della ghiaia e a non più di 10 metri a monte delle pile del ponte, al fine di non disperdere l’effetto stabilizzatore della briglia di valle del ponte stesso.
Intestazione del Municipio di S. Giovanni Manzano, poi ‘al Natisone’, 1920.
Il pozzo di Ziracco
SAN GIOVANNI AL NATISONE
Nel gennaio 1987 la prolungata siccità provocava nel pozzo di Ziracco – scavato nel 1968 – un notevolissimo abbassamento della falda, che raggiungeva gli 11 metri il 12 gennaio, quando il livello sopra la pompa era di 13 metri, rispetto ai 24 della situazione di normalità. Il 14 febbraio 1992 era deliberato lo smantellamento del pozzo sussidiario di Ziracco, assieme a quelli di Pradamano e Trivignano. Nella ricerca di nuove fonti alternative, tese all’ottenimento della completa autonomia idrica, cinque anni dopo si optava per la sua riattivazione e i relativi lavori iniziavano nella primavera del 1999; si contava su questo potenziamento per risolvere i problemi di carenza idrica nel periodo estivo. I lavori avevano buon esito all’inizio dell’estate 1999, mostrando di poter esplicare i previsti benefici; era intrapreso il campionamento per verificare la qualità dell’acqua, e la quantificazione della portata educibile; i primi risultati erano incoraggianti.252 Si redigeva un primo progetto per riattivarlo con una portata di 20 l/secondo, prevista per la sola fornitura del capoluogo di Remanzacco, ma considerando che le potenzialità della falda potevano garantire una captazione d’acqua potabile ben più copiosa si riteneva di utilizzare tale pozzo come fonte di riserva e compenso dei maggiori consumi e delle eventuali carenze idriche estive. Era così deliberato di ridimensionarlo per una portata di 100 l/secondo, in maniera da sopperire in proprio alle esigenze straordinarie estive.253 Nel febbraio 2006, dopo aver ottenuto la relativa autorizzazione, era intrapresa la trivellazione del secondo pozzo, adiacente al primo, cui nel successivo mese di giugno seguivano i lavori edilizi. Il pozzo di Ziracco è entrato in piena funzione nel 2008, impiegando una pompa di 30 l/secondo nella prima canna e di 75 l/secondo nella seconda.254
La conduttura fra Manzano e San Giovanni di Manzano era posata nell’ottobre 1914, per 1500 metri e altrettanti si collocavano da San Giovanni a Case Brandis. Nel novembre si posavano 1070 metri di tubi da 50 mm, dal bivio per Bolzano verso questo paese. A dicembre iniziava il prolungamento verso Dolegnano, a gennaio 1915 quello per Villanova e anche 1310 m fra il nodo per Villanova e Meduzza, nel febbraio 800 m da Villa Torriani verso case Brandis e nel marzo 210 m nell’interno di Medeuzza.
Articolo pubblicato il 22 settembre 1906, riportante la cronaca del Consiglio comunale di S. Giovanni di Manzano, intenzionato a consorziarsi per realizzare l’acquedotto Poiana.
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Cartolina di San Giovanni al Natisone, spedita il 4 maggio 1916, che ritrae suoi abitanti davanti al muro di cinta della villa de Brandis. Sulla sinistra si vede una donna con le secchie per l’attingimento dell’acqua alla vicina fontana pubblica dell’acquedotto (collezione Felice Peressin).
Tratta F per S. Giovanni di Manzano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Tratta per Dolegnano di Sopra e di Sotto, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
I lavori proseguivano con i seguenti tratti, in aprile-maggio 1915: 638 m fra Dolegnano e Dolegnano di Sotto e altri 471 m a Dolegnano di Sopra, 177 m all’interno di Dolegnano, 1406 m fra Villanova e la Caserma di Finanza, 2187 m dal nodo di Villanova per Villanova e infine 850 m all’interno di Villanova, del diametro da 40 mm. Alla conclusione della posa, tutto il territorio comunale – cui spettavano 12 l/secondo – era rifornito con una conduttura del diametro di 100 mm che dalla
Tratta per Medeuzza, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911. In basso a destra: in questa foto, scattata da militari nel 1916, è ritratta una donna della famiglia Mattiazzi che si reca a prendere acqua alla fontana pubblica di Bolzano, percorrendo la strada nei pressi del Natisone (collezione Felice Peressin). Conduttura verso la località di Bolzano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
strada provinciale del Collio giungeva fino al bivio Medeuzza-Villanova, da dove due condotte dei diametri di 70 mm portavano l’acqua alle frazioni di Medeuzza e Villanova del Judrio e una terza, di 50 mm, riforniva Bolzano.255
Nel dopoguerra Nel giugno 1919 inizia il lavoro di scavo per il recupero dei tubi adoperati durante la guerra e poi rimasti inutilizzati. Il 17 luglio nei pressi della stazione si impiegano 22 operai, altri 10 a Villanova del Judrio, dove il lavoro termina il 28 luglio.
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Posizione della prima fontana pubblica dell’acquedotto Poiana, collocata nella frazione di Bolzano nel novembre 1914 (San Giovanni al Natisone). Foto dell’ottobre 2012.
Il 3 settembre si dispone la chiusura di due fontane a Bolzano, nei suoi pressi si scopre una perdita, che viene riparata. Il 6 settembre si elimina una fuga a Manzinello e altre tre presso la stazione di San Giovanni, l’11 settembre sono chiuse altre 5 prese a Bolzano. A Medeuzza esistono cinque fontane a getto continuo, il 13 settembre si dispone la soppressione di due di esse e l’applicazione di rubinetti alle altre. Il 25 settembre si fanno assaggi a Medeuzza per la ricerca dell’ostruzione sulla conduttura principale da San Giovanni a Medeuzza.256 La notizia della deliberata chiusura di una parte delle fontane pubbliche nel territorio consorziale destava forte apprensione tra gli abitanti di questo Comune,
che chiedevano di far riattivare subito quelle già soppresse, per avere il tempo di realizzare le derivazioni per le utenze private. Il sindaco consigliava al Consorzio di fissare un tempo massimo per eseguire tali lavori, trascorso il quale si potevano chiudere con maggior tranquillità le fontane; il Consorzio rispondeva che si trattava delle fontanelle in soprannumero, collocate durante la guerra dall’amministrazione militare, che ne pagava il relativo canone, su cui la popolazione dunque non poteva avanzare alcuna pretesa e che si sarebbero dovute togliere sin dal 1919.257 La Giunta rispondeva positivamente alla richiesta, avanzata nel 1920, di una fontana necessaria a un gruppo di 12 famiglie alloggiate in baracche presso la stazione di S. Giovanni, determinandone il canone in 21 lire mensili.258 Nel 1921 passava a miglior vita il sorvegliante comunale Antonio Don, gli succedeva Aldo Don.259
Il completamento della rete Assieme alla città di Cividale e a Pavia di Udine, anche San Giovanni al Natisone si trovava in una situazione di incompiutezza della rete, a causa dei fatti di guerra; nel 1922 i metri di tubazione che mancavano per completare la sua rete di distribuzione interna erano 820,260 con la spesa preventivata di 19.245 lire. Dopo aver ottenuto un mutuo suppletivo dallo Stato, si poteva dare corso all’atteso completamento. Nel 1924 si posavano le seguenti cinque diramazioni, a spese del Consorzio: traversa a nord del municipio, via Villanova fino a casa Marano, via della Caserma di Finanza fino alla ex caserma di Finanza, strada verso Manzano fino al secondo colono del conte de Brandis, via S. Giusto fino al colono Ioan Agostino. Ulteriori diramazioni erano compiute, a spese del Comune, negli anni seguenti: 85 m in S. Giovanni oltre la Caserma ex Guardia di Finanza, 60 m in Dolegnano di Sotto (anno 1923); 118 m per il colono Miani Romano e per il Borgo Santo in Medeuzza (1924); 180 m per la segheria Aschieri in San Giovanni al Nat. (1925); 207 m per gli utenti Forti, Michieli e C. in San Giovanni al Nat., 249 m per gli utenti Montevecchi, Sfiligoi e Lugano, 45 m per Grattoni
Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di S. Giovanni ‘di Manzano’ (ora ‘al Natisone’), particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare.
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Cartolina di S. Giovanni ‘di Manzano’, spedita nel 1924. Sulla sinistra si vede la piazzola con la fontana in ghisa dell’acquedotto Poiana, con accanto una persona (collezione Fabrizia Bosco).
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI SAN GIOVANNI AL NATISONE, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE S. Giovanni al Natisone . . . . . 1 (soppressa 21/10/1959) Medeuzza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 1/1/1968) Bolzano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 11/6/1960) Villanova
......................
1 (soppressa 23/3/1961)
Dolegnano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 (soppressa 18/6/1960)
Segnalazione del 28 marzo 1920 al Consorzio di una rottura provocata dai militari al rubinetto della fontana pubblica in piazza, a San Giovanni al Natisone, nel 1920 chiamato ‘S. Giovanni Manzano’.
Giuseppe e m 129 per Pizzutti in Medeuzza, 30 m a Bolzano (1926); 189 m per l’utente Cardinale in Gramogliano (1931). In totale per queste 11 diramazioni il Comune spendeva 15.199 lire.261 Ricordiamo che il sig. Luigi Comini, sindaco di S. Giovanni al Natisone, nel 1923 lasciava tale carica ed era sostituito nella giunta consorziale dal conte Raimondo de Puppi. Nel luglio 1926 il consiglio comunale deliberava di sopprimere la pubblica fontana sita presso l’esercizio di osteria di Mattioni Augusto, nel capoluogo. L’anno 1939 nel territorio comunale si installavano 16 bocche di presa antincendio. Nel 1950 la rete si ampliava di 133 metri, due anni dopo si stendevano i tubi sulla nuova Strada delle Scuole, per 418 metri. Nel 1958, con una derivazione da Dolegnano di Sotto, si dava attuazione al progetto elaborato l’anno precedente di potenziamento del rifornimento idrico a Cascina Rinaldi; nel 1962 si dotava nuove aree lottizzate in via delle Colonne e sulla strada San Giovanni-Villanova.
Il potenziamento degli anni Settanta Dalla fine degli anni Sessanta la rete di distribuzione del Comune di San Giovanni al Natisone presentava gravi deficienze, sia per la vetustà dell’impianto che per l’insufficienza delle sezioni delle tubature, calcolate per fornire la competenza del progetto originario, pari a 12 l/secondo per tutto il territorio comunale. Il censimento del 1971 dava come residenti 4.078 abitanti (capoluogo 2.089, Medeuzza 715, Villanova Ancilla Romanutti si reca ad attingere acqua alla fontana pubblica di Bolzano con due secchi smaltati, che hanno sostituito i recipienti di rame, conferiti obbligatoriamente alla Patria, fine anni Quaranta (gentile concessione di Felice Peressin).
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714 e Bolzano 560, qui non si considera Dolegnano in quanto trovandosi sulla strada provinciale del Collio era già stata servita dalla nuova conduttura). Il fabbisogno giornaliero – per la popolazione residente e quella fluttuante, il bestiame, i maggiori consumi stagionali, gli usi domestici e industriali – era calcolato di 1.074.440 litri, soddisfatto con una portata di 25 l/ secondo. L’Ufficio Tecnico consorziale era incaricato di studiare il problema e programmare una soluzione atta a fornire un servizio idoneo alle necessità della popolazione. Nell’ambito della fase di sistemazione della distribuzione in tutto il comprensorio consorziale, per adeguare la rete alle esigenze fino al Duemila – previste da esperti dell’università di Padova in uno studio del 1969 –, si realizzava anche una adduttrice principale della portata di 39 l/secondo, da Case di Manzano e Corno di Rosazzo lungo la strada provinciale ‘del Collio’ per il rifornimento idrico dei Comuni di Corno di Rosazzo e San Giovanni al Natisone. Ultimati i lavori di costruzione della grande adduttrice dal serbatoio “Tre Pini” a Corno di Rosazzo, lungo la strada pedemontana Case di Manzano-Dolegnano e tenuto conto che tale adduttrice era stata calcolata anche per le necessità del Comune di S. Giovanni al Nat., si predisponeva il progetto di massima datato 15 ottobre
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1971, che prevedeva due sottoderivazioni da collegare alle reti di distribuzione delle frazioni di Medeuzza-Villanova e Bolzano, con una spesa presunta di 120 milioni. Risultava indispensabile ricorrere alle agevolazioni previste dalla legge regionale 16 agosto 1971 n. 36, che rifinanziava la legge 22 agosto 1966 n. 23, contemplante contributi una tantum fino al 50% della spesa riconosciuta ammissibile, con il limite massimo di 50 milioni di lire. In attesa del finanziamento delle opere previste dal progetto di massima del Consorzio, per tamponare la carenza nella frazione di Medeuzza era necessario operare con un intervento provvisorio. Si spurgava un pozzo privato, in quanto dalla prima analisi chimicabatteriologica l’acqua non presentava i requisiti di potabilità, ma anche la seconda prova, nonostante l’attento spurgo dava risultato negativo, come da referto dell’Istituto di Igiene e Profilassi provinciale del 12 agosto 1971. Escludendo la potabilizzazione dell’acqua, in quanto era difficile garantire un servizio che offrisse l’assoluta sicurezza di funzionamento dell’impianto, la Direzione riteneva necessario l’approfondimento del Lo sviluppo delle condotte adduttrici previste per la rete distributiva del Comune di S. Giovanni al Natisone, 1º lotto, progetto del 15 aprile 1972.
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pozzo mediante la posa in opera di tubi di metallo del diametro di 100 mm. Era assegnato un finanziamento di 20 milioni per la costruzione del pozzo di emergenza e del relativo impianto per la provvisoria immissione, direttamente in rete, di 8-10 l/secondo. Si trattava però di una soluzione onerosa per la gestione annua (1 milione di lire circa) e che andava in una direzione opposta alla prevista centralizzazione degli impianti di captazione dell’acqua, ottenibile potenziando il solo impianto di San Nicolò. Pertanto si deliberava di impiegare i 20 milioni per la realizzazione dell’adduttrice principale di San Giovanni al Natisone, dalla strada provinciale di via Sottomonte a Medeuzza, come da progetto di massima del 15 ottobre 1971.262 In esso era prevista la costruzione di una adduttrice in tubi di acciaio senza saldatura, bitumato internamente ed esternamente e protetto all’esterno da doppia fasciatura in vetroflex e bitume, del diametro di 200 mm e della lunghezza di 2.290 metri che dalla strada provinciale del Collio giungeva al bivio di MedeuzzaVillanova del Judrio. Da qui due derivazioni, la prima del diametro di 125 mm e sviluppo di 3.080 metri lungo la strada provinciale S. Giovanni-Medeuzza portava 5 litri/secondo a quest’ultima frazione, la seconda di 100 mm e lunga 2.260 metri portava lungo la strada San Giovanni-Villanova 4 l/secondo a Villanova. Una terza derivazione di 80 mm e sviluppata per 702 metri portava 3 l/secondo a Bolzano.263 Ottenuto un primo contributo regionale, era possibile procedere con il lotto iniziale del potenziamento della rete di San Giovanni, ultimato il 6 settembre 1973; continuando con il relativo allacciamento, si avevano subito miglioramenti del rifornimento idrico di Villanova e Medeuzza.264 Con l’ultimazione del secondo lotto, il 20 giugno 1974 si metteva in funzione l’impianto, rilevando un sensibile aumento delle pressioni dalle precedenti 2,8 a 7,5 atmosfere.265 Nel gennaio 1975 era ultimato il potenziamento della distribuzione nella frazione di Bolzano.266 Il 14 giugno 1979, completati i lavori previsti dal progetto di potenziamento della rete di distribuzione per il Comune di San Giovanni, era possibile effettuare il collegamento della conduttura all’esistente rete anche per la frazione di Villanova; si rilevava un buon incremento del regime di pressione sia a Villanova che a Cascina Rinaldi.267 Una decina d’anni dopo il Comune di San Giovanni intendeva procedere al risanamento dell’impianto idrico di apporto e distribuzione nella frazione di Villanova, la relativa progettazione era affidata al prof. Raffaele Cola.268 Nel 1995 si operava per i lavori di ampliamento e risanamento degli impianti relativi alle tratte Dolegnano-Cascina Rinaldi e Dolegnano-Quattroventi, nel 2003 era approvato il progetto definitivo per l’ampliamento e potenziamento in località “Cascina Rinaldi”.269
Tratto delle condutture del Poiana attraversanti S. Pietro al Natisone, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
SAN PIETRO AL NATISONE Un po’ di storia Di un remoto acquedotto a uso di San Pietro abbiamo notizia dal 1876, quando era costruito su progetto dell’ing. Bartolini, derivando l’acqua dalla sorgente detta Uodizza spicciante 0,8 l/secondo a 270 metri s.l.m. La conduttura di tubi in cemento, costata 1200 lire, era lunga 1500 metri e portava l’acqua all’unica fontana del capoluogo. Per la caduta di una frana, la portata della sorgente diminuiva a meno di 0,15 l/secondo, cosicché ogni abitante ne aveva a disposizione solo 21 litri al giorno. Inoltre la portata non era costante, riducendosi di un terzo nella massima magra, nè era esente da intorbidamenti.270 Giocoforza, occorreva trovare delle alternative all’obsoleta e malconcia conduttura. Il progetto dell’acquedotto attingente alla sorgente Naclanz, lungo la strada nazionale del Pulfero presso la località detta delle Mine di Zidnecelo era presentato al Comune di San Pietro al Natisone il 23 maggio 1908 dall’ing. Lorenzo de Toni. Il lavoro, destinato al capoluogo e alle frazioni basse del Comune (Tiglio, Ponteacco, Biarzo, Sorzento, Biacis, Azzida, Vernasso e Ponte San Quirino), era assunto con contratto 17 novembre e 7 dicembre 1908 dall’impresa Quinto D’Aronco di Udine, Tratta nei pressi del ponte di San Quirino, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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per la somma di 147.478,13 lire. Durante l’invasione del 1917 andavano persi tutti i documenti originali del progetto conservati nel Comune di San Pietro; a mezzo della Prefettura si poteva recuperare dal Ministero una parte della documentazione, quali il capitolato, la liquidazione e alcuni elaborati. Con la liquidazione del 25 settembre 1911 i lavori eseguiti erano valutati 150.045 lire, somma che per le riserve presentate dall’Impresa lievitava fino a 165.191 lire. Il Comune però non accettava questo aumento e rimetteva la vertenza al collaudatore, ing. Tristano Valentinis. La sua estesa totale era di 13.234 metri, le tubulature dopo la presa alla sorgente percorrevano 300 metri circa sulla sponda sinistra del Natisone, poi passavano lungo la strada detta del Pulfero, lungo il margine destro secondo il corso dell’acqua fino al Ponte di San Quirino; la principale diramazione era quella per Azzida.271 Nel 1920 la frazione di Azzida usufruiva ancora dell’acqua del Poiana, immessavi fin dal 1915 per ordine dell’autorità militare. In seguito alle vive insistenze della Regia Sottoprefettura di Cividale e del Comune di San Pietro al Natisone, che stava sistemando il suo acquedotto Naclanz, la Direzione rimetteva l’acqua per Azzida in via provvisoria, fissando la concessione gratuita per un mese, che poi si prolungava fino ai primi del settembre 1920, a pagamento.272 Nello stesso 1920, San Pietro al Natisone presentava un’ulteriore domanda per ottenere acqua potabile nelle frazioni di Azzida, Vernasso, Ponteacco, Tiglio e San Pietro. Considerata l’urgenza della concessione e il danno igienico che sarebbe derivato alla popolazione qualora fosse stata privata d’acqua, si accordava l’uso dell’acquedotto Poiana per la durata di 12 giorni.273
Il ponte di Vernasso Nel 1925 il Comune di San Pietro al Natisone affidava la ricostruzione del ponte di Vernasso all’Impresa Tonini e nel nuovo manufatto si collocava la conduttura principale dell’acquedotto, chiudendo il tubo nel riempimento sopra l’arco del ponte stesso. La passerella che prima lo reggeva veniva tolta e trasportata in magazzino a Cividale. In seguito l’assemblea, con deliberazione del 20 novembre 1926, decideva di vendere questo ponte parabolico in ferro, del peso di 9.930 kg, al miglior offerente mediante inserzione sui giornali. Sezioni del ponte sul Natisone a Vernasso, lungo il quale la conduttura principale da 420 mm attraversava il fiume, come compare nel progetto denominato “Modifica tracciato S. Pietro” dell’ing. Ugo Granzotto di Sacile, 2 luglio 1914.
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Nel 1926 il Superiore Ufficio Governativo accoglieva la domanda del Comune di San Pietro al Natisone per lo spostamento del Ponte di Vernasso. Al Consorzio era chiesto di disporre affinché fosse resa libera la travata dalla tubazione dell’acquedotto per il giorno prefissato per l’esecuzione del lavoro, alle ore 6 del mattino.274 Come già riportato, nella seconda guerra mondiale questo manufatto era fatto saltare, nel corso di un’azione partigiana.
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Avviso di sospensione del servizio idrico dovuta alla ricostruzione del ponte di Vernasso, 25 maggio 1926.
presa risultava abbandonata), Brizza (Comune di Savogna, servente anche Altovizza). Un altro insieme di acquedotti e di approvvigionamenti serviva S. Pietro al Nat., Azzida, Vernasso, Ponte San Quirino, Oculis, Biarzo, Tiglio, Clenia, Correda. Il principio tecnico su cui si intendeva basare il consorziamento in trattativa era il mantenimento di tutte le sorgenti del primo gruppo – compresa quella del Tologu, già in concessione ministeriale e prevista dal Piano Regolatore Generale degli Acquedotti – e di abbandonare le altre, in quanto le località del secondo comparto potevano essere convenientemente rifornite, con opportuni collegamenti, dal Poiana. L’allacciamento alla condotta pedemontana del Consorzio per il Friuli Centrale poteva rimanere disponibile quale fonte integrativa e alternativa, rispettivamente in casi eccezionali e di emergenza.277 Nell’assemblea consorziale del 2 marzo 1989 si deliberava, in linea di massima, di aderire alle richieste di aggregazione al Consorzio Poiana da parte di San Pietro al Natisone.278 Preso atto delle delibere favorevoli dei Comuni, il consorziamento del Comune di S. Pietro al Natisone avveniva, sulla base della relazione tecnico-economica del 29 agosto 1988, a decorrere dal 1º gennaio 1990.279 In tal modo i Comuni consorziati tornavano ad essere 12, come il numero originario, sceso a 11 da quando Ipplis era stato incorporata con Premariacco.
TRIVIGNANO Il consorziamento di San Pietro Dal 1981 si forniva al Comune di S. Pietro al Natisone 5 l/secondo di acqua proveniente dalla fonte di Poiana, supplendo così al fatto di aver divelto l’adduttrice comunale per l’esecuzione delle opere di posa della nuova adduttrice consorziale. Si assicurava l’assistenza nella ricerca delle fughe e si procedeva con la graduale acquisizione tecnica della rete. Nel 1985 il Consorzio era in grado di rendere a S. Pietro la propria acqua della fonte del Tologu, facendola defluire attraverso la nuova adduttrice che era stata posata.275 Nel 1986 S. Pietro al Natisone richiedeva ufficialmente il consorziamento per la gestione e la manutenzione del proprio acquedotto comunale.276 Il 18 agosto 1988 si compiva un sopralluogo agli impianti del Comune, rilevando che un gruppo di dieci acquedotti era rifornito da proprie sorgenti in quota, in grado di soddisfare, salvo casi eccezionali, le esigenze idriche degli abitati per i quali erano stati costruiti: Costa, Vernassino, Puoie (con sollevamento meccanico tra sorgente e serbatoio), Sottovernassino, Cocevaro, Mezzana, Sorzento, Ponteacco, Cedron (al momento della visita la
Nella seduta assembleare del 28 novembre 1914 Giovanni Morandini, rappresentante di Trivignano, dichiarava che il suo Comune restò male impressionato dal vedere che, appena iniziati gli scavi, subito dopo furono sospesi. Altro motivo sarebbe stata l’urgenza di procurare lavoro alla classe operaia disoccupata. Gli veniva chiarito
Intestazione del Municipio di Trivignano Udinese, 1922.
Condutture a Trivignano Udinese, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
che la sospensione era dovuta all’errore di un assistente dell’impresa, che li aveva fatti iniziare, contravvenendo alle disposizioni impartite. In quel tempo, proprio per venire incontro ai bisogni della disoccupazione, le sedi del lavoro per l’acquedotto erano già anche troppo frazionate, in ogni caso si sarebbe fatto il possibile per appagare anche i desideri di Trivignano.280 Tratta I dal nodo di Premariacco a Clauiano, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Finalmente anche questo Comune vedeva avanzare l’attesa opera, nel febbraio 1915 erano posti in opera 1250 metri di tubi fra Trivignano e Clauiano, la loro prova di tenuta era svolta, compreso il ritombamento, il mese successivo, assieme alla posa di altri 950 metri. Era poi la volta di 1500 m fra Trivignano e Case Rubini, ad aprile-maggio 1915 le trincee accoglievano 996 m di condutture fra Percoto e Trivignano, 179 m all’interno di Clauiano, 300 m fra Melarolo e Merlana e 405 m all’interno di Trivignano, queste ultime del diametro da 40 mm. Mancava ancora la posa di 800 m di tubi da 50 mm, tra Melarolo e Merlana.281
Le acacie del parroco
Tratta P per Villanova, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Tratta dal nodo per Pradamano a Cerneglons Vecchio, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
Come nelle altre località, nel dopoguerra si cercava di individuare e togliere tutte le reti impiantate a uso dei militari, che non erano più utilizzate. Procurarsi il materiale idraulico non era facile e il reimpiego era una prassi comune. Sappiamo che il 27 settembre 1919 inizia lo scavo per il recupero della conduttura alla Dogana di Trivignano.282 Le notizie rilevabili dalla documentazione archivistica riguardano vari, eterogenei aspetti dell’approvvigionamento idrico. Il 9 ottobre 1919 iniziava il lavoro a Risano, al Campo di Aviazione, completato venti giorni dopo.283 Nel 1920 era concessa una nuova fontana pubblica nella frazione di Casali Mantica (ex Rubini).284 Il sorvegliante comunale Gio Batta De Sabbata nel 1921 rinunciava all’incarico, assunto da Gioacchino Scrivante.285 Lo scarico della fontana pubblica posta in Trivignano, nella località detta del Cristo, si riversava in un fondo coltivato di acacie, di cui godeva il beneficio la veneranda Chiesa parrocchiale, danneggiando le piantagioni poiché l’acqua vi ristagnava; nel 1921 si pregava il Consorzio di togliere l’inconveniente.286 Possiamo conoscere una ‘simpatica’ strategia di marketing, attuata nel luglio 1925 dal sindaco Giulio di Strassoldo, con il dichiarato scopo di costringere tutti coloro che ne hanno la possibilità a farsi utenti dell’acquedotto. Proprio così, costringere, altroché attrarre con suadenti inviti, magari resi più melliflui con doni e promozioni, come siamo abituati a vedere oggigiorno. Il sistema usato a quel tempo, invece, consisteva nella diffusione di un perentoria circolare, tramite la quale la popolazione era avvisata dell’imminente riduzione
delle fontane pubbliche: Saranno tolte una fontana a Claujano ed una a Trivignano e saranno soppresse totalmente quelle delle frazioni di Merlana e Melarolo. Immaginiamo con quanto piacere gli abitanti di queste frazioni abbiano accolto tale lapidaria notizia. Se si ponevano il quesito del perché, ecco la spiegazione: Tale decisione è stata presa in considerazione che la manutenzione di tutte le dette fontane è troppo gravosa e ciò costringe ad aumentare le tasse, mentre che queste tasse potrebbero venire ridotte se, tutti coloro che possono, facessero introdurre nelle proprie abitazioni e, eventualmente, nelle abitazioni dei loro coloni, una derivazione dell’acquedotto. Non mancava un’altra minaccia, ben esplicitata: in caso non venisse raggiunto lo scopo con le sole soppressioni suddette, saranno soppresse pure totalmente le fontane pubbliche di Trivignano e Claujano.287 Quanto avrà funzionato il brutale ultimatum? Non lo sappiamo in dettaglio, va considerato comunque che le fontane pubbliche nelle frazioni non scomparivano totalmente, trovandole attive generalmente fino agli anni Sessanta.
Si estende il conforto dell’acquedotto A Clauiano l’acquedotto era giunto nel 1915, fino alla via S. Marco e alla strada per Palmanova, ma in seguito si costruivano altre nuove case, oltre le ultime abitazioni servite originariamente dalla rete. Nel 1948 il Comune, accogliendo le ripetute richieste degli interessati, decideva di prolungare le condutture per una tratta di 470 m in via S. Marco, fino alla casa Marcuzzi, e di 285 m per la casa Turchetti in via Palmanova, per servire complessivamente sei famiglie,
Tratta T da Lovaria a Chiasottis, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
distanti oltre un chilometro dalle fontane pubbliche. I tubi erano posti in opera nel marzo 1949.288 Gli ampliamenti della rete, progressivamente attuati dal Comune, all’inizio degli anni Cinquanta non erano ancora riusciti a dotare d’acqua il Casale Fornaciate e quello della Vecchia Dogana, entrambi situati lungo la ex strada provinciale detta Triestina, il primo sulla sponda destra del Torre circa 450 m lontano dalla via, abitato da due famiglie di operai, il secondo con sette famiglie, anch’esse operaie, posto 650 metri dopo il Casale Mantica, che già godeva del conforto dell’acquedotto. Tutti dovevano servirsi di un roiello abbastanza distante, oppure recarsi al capoluogo, ancor più lontano. Tratta Z da Melarolo a Merlana, progetto dell’ing. Ugo Granzotto del 23 novembre 1911.
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Condutture dell’acquedotto Poiana nel Comune di Trivignano Udinese, particolare dalla corografia realizzata dallo studio Giardi di Firenze nel 1917. Le condutture sono tracciate in rosso con l’indicazione del diametro in millimetri (sulle secondarie non è segnato il diametro, essendo tutte di 40 mm). I numeri neri indicano l’altezza del terreno, quelli azzurri le quote piezometriche sul livello del mare.
Avviso emanato dal municipio di Trivignano Udinese: per esigenze di bilancio sarebbero state ridotte le fontane pubbliche a Trivignano e Clauiano, restando invariate quelle di Merlana e Melarolo e non sarebbero più state rimesse in funzione quelle già rese inattive, 24 luglio 1922.
Nel 1954 erano progettati due ampliamenti, sviluppati per 450 e 655 metri, per raggiungere i rispettivi Casali,289 che trovavano attuazione l’anno seguente. Nel 1958 il Consorzio raccomandava ai Comuni consorziati di esercitare la massima sorveglianza affinché venisse disciplinato il consumo d’acqua nei rispettivi territori, evitando deleteri sprechi. Il sindaco di Trivignano assicurava alla direzione consorziale di aver disposto l’opportuna vigilanza sulle fontane pubbliche per la loro chiusura dopo l’uso, ma coglieva l’occasione per far presente che il consumo dell’acqua in questo Comune si disciplina purtroppo da se, in quanto l’acqua potabile manca completamente nei piani superiori per diverse ore al giorno (dalle 5 alle 9 e dalle 17 alle 21) ed esce come un filo dai rubinetti a piano terra. L’inconveniente si manifesta durante tutto l’anno ed è naturalmente più accentuato nei periodi di magra e durante la stagione calda. La prospettiva di poter immettere nella condotta principale una sorgente, sia pure minore, che sopperisse almeno in parte alla forte insufficienza d’acqua, prospettata dal Sindaco, non era ritenuta attuabile dalla direzione consorziale.290 Nel 1965 si procedeva con la revisione della rete di Trivignano e Clauiano.291 Nelle priorità stabilite dalla Commissione amministratrice nel 1968, per Trivignano figura l’intervento sull’adduttrice dal capoluogo a Clauiano e per Melarolo-Merlana, del costo preventivato di 80 milioni. Dopo la seconda guerra mondiale la zona del capoluogo che aveva il maggiore incremento edilizio era via Aquileia, che trovandosi ancora con la conduttura in tubi di acciaio del diametro di 40 mm posata nel 1919, sufficiente allora ma che poi era causa di forti carenze, particolarmente estive. Con l’avvenuto potenziamento dell’acquedotto la quantità d’acqua disponibile era stata incrementata, per cui il Consorzio riteneva di ovviare al disagio degli utenti sostituendo la conduttura esistente con una del diametro di 80 mm. Progettato nel 1972, il lavoro era consegnato l’8 agosto 1973 e ultimato il 31 settembre seguente.292 Con questo potenziamento della rete di via Aquileia, si normalizzava il servizio della zona.293
FONTANE PUBBLICHE ATTIVE NEL COMUNE DI TRIVIGNANO UDINESE, ANTERIORMENTE AL 1950, CON DATE DI SOPPRESSIONE Trivignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 (soppressa 24/8/1962) Clauiano . . . . . . . . . . . . 2 (soppresse 11/9/58 e 1/1/1963) Melarolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa) Merlana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .1 (soppressa)
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Avviso emanato dal sindaco di Trivignano Udinese annunciante la riduzione della fontane pubbliche, allo scopo di favorire l’aumento degli allacciamenti privati, 10 luglio 1925.
Sussidiamo Trivignano Nel 1977 per un impianto sussidiario era predisposto l’esame igienico-sanitario dell’acqua del pozzo della piazza principale di Trivignano, onde impiegarla per il potenziamento della distribuzione. Il 24 giugno, scoperto il pozzo, si montava un impianto di pompaggio per l’esame chimico-batteriologico dell’acqua, due giorni dopo l’Istituto d’Igiene e Profilassi effettuava i prelevamenti, in breve era espresso un parere ufficioso di potabilità.294 L’impianto sussidiario di Trivignano Udinese era messo in funzione nell’ottobre successivo.295 La conduttura esistente a Clauiano, per la vetustà e le dimensioni insufficienti, negli anni Ottanta non riusciva ad assicurare un adeguato servizio idrico e nep-
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pure la dotazione minima necessaria per un efficiente servizio degli idranti antincendio, necessitanti di una pressione di almeno 3 atmosfere. In base ai dati disponibili in Comune, si calcolava che la conduttura in progetto – 650 metri del diametro di 80 e di 65 mm – dovesse soddisfare le esigenze idriche di una popolazione di circa 150 presenze, compresi i capi di bestiame grosso. Il corpo idrico era assicurato dalla disponibilità esistente presso il serbatoio “Tre Pini” in Ronchi di Manzano e dal sollevamento locale, della potenzialità di 7 l/secondo. L’amministrazione comunale con l’intento di procedere alla definitiva sistemazione di tutte le infrastrutture e della sede viaria su via S. Marco – interessata da lavori per la costruenda fognatura –, giungeva alla determinazione di accelerare tale intervento di sostituzione per evitare in tempi successivi una nuova manomissione della strada.296 Il 13 aprile 1988 Trivignano richiedeva la redazione del progetto esecutivo dei lavori di completamento del potenziamento idrico, in favore delle zone di urbanizzazione delle frazioni di Merlana e Melarolo; l’elaborato era affidato all’ing. Cola.297 Per la mancanza dei requisiti di qualità previsti dal DPR 236/88 delle acque provenienti dal pozzo integrativo di Trivignano era avviata la procedura per ottenere la deroga dei tassi ammissibili per presenza di diserbanti, specificatamente atrazina. La Regione il 15 dicembre 1989 concedeva la deroga, approvando contestualmente un piano di intervento specifico e urgente, come stralcio di lavori già previsti nel progetto generale dell’ing. Cola del 20 giugno 1983.298 Il 14 febbraio 1992 era deliberato lo smantellamento del pozzo di Trivignano, accomunandolo alla sorte di quelli locali di Ziracco e di Pradamano. La derivazione per Casali Fornaciate, prima citata nella sua realizzazione del 1955, quarant’anni dopo entrava in una situazione di carenza, attribuibile sia alle maggiori esigenze idriche della popolazione che alle nuove concessioni, che non potevano essere negate per la natura comunale della condotta stradale. Per una soluzione radicale, nel 1995 il Consorzio progettava il potenziamento della condotta dalla confluenza di via Borgo di Sotto con la Strada Provinciale di Percoto e lungo detta via fino ai Casali Mantica, per uno sviluppo di 1200 m con tubazione in ghisa sferoidale del diametro di 60 mm e altri 400 metri da 40 mm. Nel 1996 Trivignano chiedeva di dare priorità al potenziamento della condotta Percoto-Trivignano, in quanto il Comune privato dell’apporto integrativo del pozzo locale presentava un rifornimento idrico precario;299 la posa di questa condotta iniziava nella primavera 1999, veniva sospesa nel 2000 per problematiche tecniche ed era ultimata nel 2001.
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CAPITOLO XX
Rapporti mensili sullo stato dei lavori, XII, XIII, XIV, XVII, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Comunicazione del 2 maggio 1925, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Buttrio. Comunicazione del 1° ottobre 1926, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Buttrio. Seduta del 29 dicembre 1934, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, p. 129. Seduta del 21 settembre 1936, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937, punto 1 a. Seduta del 24 dicembre 1927, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Seduta del 9 novembre 1946, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1. Comunicazione del Presidente Tito Brida al Podestà di Buttrio del 16 dicembre 1928, ACAP, cart. 1923-1930 Comuni consorziati, Cividale, Buttrio (...). Il ritaglio con l’articolo di giornale citato non riporta nè data nè testata del quotidiano, che dovrebbe risalire al 1916, in ACAP, cart. Anteatti costruzione. Comunicazione del 16 febbraio 1925, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Buttrio. Seduta del 12 febbraio 1976, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1785. Seduta del 10 giugno 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2441. Informazioni di Geremia Nonini, che ringrazio vivamente per la collaborazione. Seduta del 20 giugno 1964, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 1 c. Seduta del 20 giugno 1964, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea 19591965. Per evitare ogni fraintendimento, nella seduta assembleare del 22
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gennaio 1968 si chiariva che con il termine potenziamento era intesa la sostituzione di rete esistente con altra assicurante una maggiore erogazione d’acqua, mentre ampliamento si riferisce all’allungamento di rete esistente. Seduta del 17 ottobre 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1367. Seduta del 2 agosto 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988, vol. I, n. 2697. Seduta del 21 settembre 1989, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1989-1991. Indicazione inserita nel “Piano Programma 1996-98”, deliberato dal Consiglio di Amministrazione secondo gli indirizzi Assembleari, allegato al verbale della seduta del 9 febbraio 1996 dell’Assemblea consorziale, e anche nel seguente “Piano programma 1998-2000” . Il progetto del serbatoio è stato allestito il 7 marzo 1990 dall’ing. Raffaele Cola di Padova, approvato dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio Poiana con delibera n. 3200 dell’8 marzo 1990, per l’importo di 1.421.350.000 lire. La consegna dei lavori è avvenuta il 23 agosto 1990, l’ultimazione l’8 marzo 1991, con una spesa finale di 1.103.007.412 lire, dati desunti dal verbale di collaudo redatto il 16 gennaio 1992, ACAP, cart. Serbatoio Colle Clama. Documento del 7 marzo 1990, Potenziamento rete Consorzio Acquedotto Poiana (Pradamano). Interconnessione, ing. Raffaele Cola, ACAP, cart. Pradamano. Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, VI, VII, VIII, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Relazione per distribuzione interna della città di Cividale, 2 marzo 1920, ACAP, cart. Acquedotti rurali Cividale 1932 [2]; altra copia in Relazione al Progetto per la distribuzione dell’acqua nell’interno della Città di Cividale, geom. Giuseppe Rossi e ing. Lorenzo de Toni, 7 luglio 1925, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto. Comunicazione dell’1 ottobre 1917, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Cividale.
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Seduta del 25 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. La Patria del Friuli, 1 marzo 1920. La Patria del Friuli, 18 maggio 1920. La Patria del Friuli, sabato 22 maggio 1920. In Relazione 1920, p. 40 si rileva una lieve differenza nei tempi, in quanto vi si legge: L’acquedotto funzionava regolarmente dal 14 maggio 1920. Relazione alla rete di distribuzione interna della città di Cividale, 2 marzo 1920, ACAP, cart. Acquedotti rurali. Cividale [2] . Seduta del 2 settembre 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. Comunicazione del presidente Pollis al Municipio di Cividale del 9 novembre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Cividale. Seduta del 29 luglio 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19101923. Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, IX, X, XV, XVIII, XIX, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Comunicazione del presidente Pollis al Municipio di Cividale del 9 novembre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Cividale. Sulla costruzione della vasca nel foro boario: MATTALONI 2010, p 130. Richiesta del 19 ottobre 1921 e risposta del Municipio di Cividale del 17 dicembre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Cividale. La Patria del Friuli, venerdì 23 marzo 1923. ACAP, Deliberazioni assemblea consorziale dal 1924 al 1929, seduta del 23 dicembre 1924. Seduta del 22 gennaio 1940, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947. Progetto per il rifornimento idrico mediante sollevamento meccanico della zona detta “del Fortino” in Comune di Cividale del Friuli, 22 gennaio 1966, ACAP, Cart. 1° Potenziamento acquedotto zona del Fortino Cividale, 2° Derivazione idrica a favore di case rurali sparse in località Polonetto (Prepotto), 3° Costruzione acquedotto della frazione di Tamorig in Comune di Torreano [Rurali 8]. Nel 1968 l’Assessorato regionale ai Lavori pubblici stanziava un contributo del 50% su una presunta spesa di 8.650.000 lire, relativa ai lavori nella zona del Fortino, come da progetto del Consorzio del 22 gennaio 1966; il restante 50% della spesa sarebbe stato sostenuto dai privati interessati all’esecuzione del lavoro. Seduta del 14 dicembre 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1235. La liquidazione finale dei lavori era inferiore al preventivo, risultando di 7.371.328 lire. Seduta del 4 marzo 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1651. Seduta del 20 novembre 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1712. Seduta del 1 ottobre 1976, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1838. Seduta del 12 gennaio 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1860. Notizie dettagliate sull’acquedotto di Purgessimo in MATTALONI 2010, pp. 85-93. Comunicazione del Presidente del Consorzio al sindaco di Cividale del 15 ottobre 1962, in risposta alla richiesta avanzata dal Genio Militare il 12 ottobre 1959, ACAP, cart. Cividale, acquedotto Purgessimo. 1° intervento 1964, 2° intervento 1982. In base a comunicazioni effettuate nella seduta assembleare del 4 luglio 1959, già in quel tempo per incarico del Comune di Cividale si stava eseguendo la revisione generale dell’acquedotto di Purgessimo: “per ora si è fatta la pulizia degli edifici di presa e del serbatoio”, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 1959-1965. La convenzione era sottoposta all’approvazione del sindaco di Cividale del Friuli avv. Guglielmo Pelizzo il 13 aprile 1964, ACAP, cart. Cividale del Friuli [7] (da “Antincendio FABER 1994” a “Potenziamento condotta a Grupignano 1997”), fasc. Acquedotto comunale di Purgessimo (1997). La notizia era pubblicata sul quotidiano Messaggero Veneto del 27 dicembre 1970. La consegna dei lavori dell’adduttrice di Purgessimo era avvenuta il 27 ottobre 1970.
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Promemoria del direttore consorziale, 4 maggio e 18 giugno 1976. In quest’ultimo era specificato che Il serbatoio del Tiglio ha un battente d’acqua di soli 2,30 mt eppertanto si ritiene che anche sotto i minimi di cui sopra possa provocare un’entrata nella condotta adduttrice di aria con conseguenti colpi d’ariete che ne provocherebbero la rottura con conseguente interruzione del servizio. Visto che le richieste continuavano insistenti, si chiedeva un parere tecnico all’ing. Giovanni Mantovani, che nel 1969 aveva progettato la derivazione per Purgessimo, il quale con una sua relazione del 7 ottobre 1976 esprimeva parere negativo al chiesto spostamento, che poteva mettere in crisi la distribuzione nella stessa Purgessimo e provocare guasti per colpi d’ariete e depressioni nella fragile condotta, ACAP, cart. Cividale del Friuli [3] (da “Estensione rete Piazza Resistenza 1972” a “Piano PEEP Rualis 1977”), fasc. Spostamento saracinesca in località “Ancona” Purgessimo (1976). Perizia di variante, Riatto dell’opera di presa dell’acquedotto di Purgessimo (Cividale del Friuli), LL. RR. 62/67 e 63/67, geometra Mario Tubetto, 2 settembre 1982, ACAP, cart. Cividale, acquedotto Purgessimo. 1° intervento 1964, 2° intervento 1982. La perizia di variante era approvata nella seduta del 10 settembre 1982, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2475 e, dalla Regione, con decreto LL. PP. del 31 ottobre 1983. ACAP, cart. Cividale del Friuli [5] da “Allacciamento case popolari 1982” a “Estensione rete via Picoiut 1986” . Nel 1975 il Comitato per il Monumento alla Resistenza di Cividale, per tramite del suo presidente Gino Lizzero, richiedeva al Consorzio l’allacciamento idrico dall’acquedotto di Purgessimo al giardino costruito intorno al monumento. In deroga alle norme d’uso in atto, il lavoro era eseguito a carico del Consorzio, come approvato nella seduta del 12 marzo 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1736. Relazione e preventivo del direttore PierLuigi Paluzzano, 22 agosto 1985, ACAP, cart. Cividale del Friuli [7] (da “Antincendio FABER 1994” a “Potenziamento condotta a Grupignano 1997”, fasc. Acquedotto comunale di Purgessimo (1997). Nella seduta del 28 agosto 1995 il Consiglio di amministrazione del Poiana deliberava di assumere provvisoriamente a carico del Consorzio le spese di ricognizione dell’acquedotto di Purgessimo, fino al momento della regolare assunzione dell’onere da parte del richiedente Comune di Cividale. Dopo il recupero dell’esistente viabilità ai manufatti idrici, di difficile accessibilità per l’abbondante presenza di vegetazione spontanea in sua corrispondenza, si procedeva alla pulizia delle vasche di accumulo e la manutenzione del primo tratto di condotta. Dopo aver localizzato la condotta distributrice, si riparavano diverse e consistenti falle e sostituivano delle saracinesche di linea malfunzionanti. Verificando la pressione nell’idrante finale posto sotto al campanile del duomo di Cividale si riscontrava una pressione di 2 atmosfere, a conferma della perfetta tenuta dell’intera rete manutentata, Relazione di fine lavori di manutenzione straordinaria e riparazione dell’acquedotto comunale di Purgessimo, ing. Alessandro Patriarca, maggio 1988, ACAP, cart. Cividale del Friuli [7] (da “Antincendio FABER 1994” a “Potenziamento condotta a Grupignano 1997”). Relazione di accompagnamento al conto finale dei lavori di riatto della rete idrica cittadina in Comune di Cividale del Friuli, 27 agosto 1980, ACAP, cart. Tratte di rete cittadina. Impr. Nardone 1979. Seduta del 9 dicembre 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2564. Seduta del 29 giugno 1989, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1989 vol. I, n. 3069. Con fonogramma del 22 luglio 1987 dell’Assessorato regionale dei LL. PP. era comunicato l’inserimento del Consorzio nell’apposito programma al fine di fruire dell’accesso al mutuo presso la Cassa DD. PP., in base al Decreto legge 256/87 art. 10 commi 4 e 5. Il Consorzio deliberava di approvare il progetto esecutivo dei lavori di realizzazione di opere acquedottistiche – costruzione reti ed adduttrici per Pavia di Udine e Cividale del Friuli redatto in data 30 luglio 1987 dal prof. Raffaele Cola –, seduta del 30 luglio 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2879.
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SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
Relazione di accompagnamento allo stato finale dei lavori. Costruzione reti ed adduttrici per Pavia di Udine e Cividale del Friuli, 9 dicembre 1991, ACAP, cart. Pavia di Udine. Cividale del Friuli (Lovaria-Gagliano Romanutti, Purgessimo). Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, XIX, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. Comunicazioni del 6, 14 e 30 agosto 1919, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Corno. Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. Richiesta di chiarimenti inoltrata da Corno di Rosazzo il 28 dicembre 1921, risposta del 30 dicembre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Corno. Documenti del 27 agosto, 2 settembre e 6 ottobre 1926, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Corno. Comunicazione del Commissario Prefettizio di San Giovanni alla presidenza consorziale, 25 maggio 1929, ACAP, cart. 1923-1930 Comuni Consorziati Cividale, Buttrio, (...). Comunicazione del Presidente Tito Brida al Commissario Prefettizio di San Giovanni al Natisone, 10 luglio 1929, ACAP, cart. 1923-1930 Comuni Consorziati Cividale, Buttrio, (...). Il presidente del Consorzio in occasione del reingresso, in data 5 marzo 1947 inviava una lettera di cordiale benvenuto al Commissario Prefettizio del Comune di Corno di Rosazzo, che allora era il dr. Pietro Missio, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. Il preventivo fornito dal Consorzio il 12 dicembre 1949 ammontava a 58.000 lire, spesa che sarebbe stata per metà coperta dal signor Moreale che voleva diventare utente con la sua fabbrica. Il 27 dicembre 1949 si rimetteva al Comune la liquidazione finale per i lavori eseguiti di 56.000 lire, con una economia rispetto al preventivato, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. Seduta del 30 aprile 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969. Seduta del 25 maggio 1973, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1973-76, n. 1617. Seduta del 20 febbraio 1970, ACAP, Verbali delibere Commissione Amministratrice dal 15 gennaio 1970 al 27 dicembre 1972, p. 9, n. 1393. Progetto per la costruzione della rete idrica di distribuzione per la lottizzazione, 22 febbraio 1977, ACAP, materiale sciolto. La spesa prevista era di 126.500.000 lire. Progetto di massima per il potenziamento della rete idrica dei Casali “Al Gallo” in Comune di Corno di Rosazzo mediante la costruzione di una condotta adduttrice, 25 febbraio 1977, ACAP, materiale sciolto. La spesa prevista era di 20.740.000 lire. Seduta del 16 febbraio 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2036. Seduta del 25 marzo 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2331. Cart. Potenziamento Quattroventi Visinale 1979 Nuzzolo. Seduta del 7 maggio 1980, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2200. Seduta del 4 giugno 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2068. Sedute del 14 gennaio e 1 febbraio 1980, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980. Seduta del 23 gennaio 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2584. Seduta del 15 febbraio 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2676. Il progetto era completato il 10 giugno 1984. Seduta del 16 aprile 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2840, punto 4. Relazione sui Lavori di completamento dell’acquedotto comunale, 6 marzo 1990, ACAP, cart. Visinale. Lavori di completamento dell’acquedotto comunale. Relazione di accompagnamento al conto finale dei lavori e certificato di regolare esecuzione, 20 ottobre 1993, ACAP, cart. Visinale. Lavori di completamento dell’acquedotto comunale.
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Seduta del 18 gennaio 2001, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2001. 86 Rapporti mensili sullo stato dei lavori del’ing. Ugo Granzotto, XI, XIV, XVI, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 87 Documento del 16 ottobre 1620, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Ipplis. 88 Comunicazione del 28 marzo 1926, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Ipplis. 89 Comunicazione del Podestà di Ipplis, 27 giugno 1927, ACAP, cart. 19231930 Comuni Consorziati Cividale, Buttrio, (...). 90 Seduta del 18 maggio 1929, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. 91 Seduta del 26 settembre 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. 92 Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, XIV, XV, XVI, VII, XIX, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 93 Comunicazione dell’8 luglio 1919, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Manzano. Il 20 agosto 1919 non era giunta alcuna risposta dal Consorzio e il Comune di Manzano la sollecitava, in quanto il lavoro era necessario perché l’opificio potesse funzionare appieno. 94 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 95 Comunicazione del 21 giugno 1919, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Manzano. 96 Documenti in ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Manzano. 97 La Patria del Friuli del 14 e del 22 luglio 1927. 98 Seduta del 23 ottobre 1928, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. Il giorno stesso si inviava comunicazione al Comune di Manzano di quanto deciso, in accoglimento alle sue prolungate istanze. 99 Relazione della Direzione del Consorzio su “Aumento della competenza d’acqua al Comune di Manzano”, 5 maggio 1929, ACAP, cart. 19231930 Comuni consorziati Cividale, Buttrio (...) L’autorizzazione ad aumentare la competenza d’acqua doveva essere concessa da ogni singolo Comune, quello di Cividale del Friuli lo faceva con deliberazione podestarile del 10 luglio 1929. La spesa complessiva per la sostituzione delle tubazioni di diametro maggiore era calcolata in 44.000 lire, come riportato nella “Relazione al Progetto di varianti all’impianto interno di Manzano per una maggiore assegnazione di litri 2 ½ d’acqua”, 17 giugno 1929, ACAP, cart. Planimetrie. Progetti Acquedotto 1-33, fasc. “Progetto di variante all’impianto interno di Manzano. 2 Disegni” . 100 Contratto di cottimo fiduciario stipulato a Manzano il 21 gennaio 1930 con l’assuntore Elia Passoni fu Antonio, ACAP, cart. Planimetrie. Progetti Acquedotto 1-33, fasc. “Progetto di variante all’impianto interno di Manzano. 2 Disegni” . 101 Seduta del 26 aprile 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291932, pp. 28-29. 102 Seduta del 9 dicembre 1931, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1937. 103 Seduta del 19 settembre 1930, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1929-1932, p. 38. 104 Seduta del 30 luglio 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, punto 1e. 105 Documento del 29 agosto 1951, ACAP, cart. Comuni Consorziati 19461955. 106 Seduta del 12 settembre 1953, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958. 107 Documenti del 15 gennaio e 24 novembre 1953, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. 108 Documenti del 14 maggio e 8 giugno 1954, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. Il costo dello spostamento era di 38.000 lire. 109 Sedute del 9 febbraio e 1 luglio 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958. 110 La liquidazione finale dei lavori di 3.110.000 lire, con un risparmio di 700.000 lire sul preventivato, era approvata nella seduta del 28 dicembre 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958. 111 Seduta del 9 febbraio 1957, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1948-1958, punto 1.
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Seduta del 29 agosto 1961, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea 1959-1965. 113 Seduta del 7 ottobre 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1211. 114 Seduta del 15 gennaio 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1461. 115 Seduta del 27 febbraio 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1481. 116 Seduta del 18 dicembre 1974, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1715. Il Comune di Manzano doveva occuparsi del finanziamento dell’opera, del costo complessivo di 175.350.000 lire. 117 Relazione al Progetto di ripristino di un tronco di conduttura da Manzano a San Nicolò, geom. Mario Tubetto di Pasian di Prato, 19 marzo 1982, ACAP, cart. 1985 (125) Manzano S. Nicolò Nardone. I lavori, del costo preventivato di 120 milioni, erano assistiti dalla legge 29 febbraio 1976 n. 68 rifinanziata con la legge 3 giugno 1981 n. 30, come comunicato con lettera dell’Assessorato regionale ai Lavori Pubblici del 30 dicembre 1981. Il progetto era approvato dall’Assemblea consorziale nella seduta del 31 marzo 1982, il contributo regionale era concesso il 2 marzo 1984. 118 Seduta del 18 novembre 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. II, n. 3002, punto 7. 119 Il 7 dicembre 1993 la Commissione amministratrice approvava il 1° stato di avanzamento lavori, come riportato nella seduta assembleare del 7 marzo 1994, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995. 120 PERUZZI 1984, pp. 310-311. 121 Rapporti mensili sullo stato dei lavori, XI, XII, XIV, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 122 ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923, seduta del 28 luglio 1914. 123 Seduta del 28 novembre 1914, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. 124 Comunicazione del sindaco di Moimacco all’Impresa Parpinelli del 6 ottobre 1914, ACAP, cart. Varie 1920, Costruzione, Arbitrato. 125 Domanda del Comune di Moimacco del 24 marzo 1916, ACAP, cart. Antefatti costruzione, fasc. Fontanelle pubbliche. 126 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 127 Comunicazione del 21 giugno 1919, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Moimacco. 128 Documento del 30 giugno 1930, ACAP, Cart. 1923-1930 Comuni Consorziati Cividale, Buttrio, Manzano, Moimacco, Pavia di Udine, Pradamano, Premariacco, S. Giovanni al Nat., Trivignano Udinese, fasc. Moimacco. 129 Seduta del 27 luglio 1950, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19481958. 130 Il primo progetto per le derivazioni nei Casali Chiarandis e Cotterli era in allestimento nel gennaio 1941, il secondo era elaborato il 28 febbraio 1949 e il terzo il 29 novembre 1955; il collaudo dei lavori si svolgeva l’11 dicembre 1957 ad opera dell’ing. Baldin di Verona, a tale scopo incaricato dal Magistrato alle Acque di Venezia, ACAP, cart. Moimacco 1949-1995 e cart. Moimacco da “Linea Casali Chiarandis-Cotterli 1949-1957” a “Linea Via Cesarutta 95”, fasc. Casali Chiarandis-Cotterli. 131 Seduta del 15 dicembre 1962, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965. 132 Il preventivo di spesa di 560.000 lire, redatto dal Consorzio il 20 febbraio 1964, era approvato nella seduta del consiglio comunale di Moimacco del 27 febbraio 1965. 133 Progetto di massima per l’ampliamento rete consorziale di borgo S. Giovanni del capoluogo del Comune di Moimacco, 23 gennaio 1967, ACAP, cart. Moimacco 1949-1995 e cart. Moimacco da “Linea Casali Chiarandis-Cotterli 1949-1957” a “Linea Via Cesarutta 95” . 134 Seduta del 27 dicembre 1972, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1592. 135 Tale opera era approvata dal Comune di Moimacco il 22 dicembre 1978; Seduta del 20 ottobre 1978, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980.
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Il progetto per la sostituzione di queste condutture è del 21 novembre 1978, contemplante la posa di tubi in acciaio senza saldatura, con giunto cilindrico per saldature elettriche, della lunghezza di 450 metri e del diametro di 65 mm in via Malina e 210 metri da 50 mm. 137 Nell’autunno del 1984 erano a disposizione le tubazioni da impiegare per Moimacco, Seduta del 26 ottobre 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2639. 138 Assieme a Caiselli, furono i conti Agricola e Francesco Deciani a garantire il mutuo cinquantennale contratto dal Comune di Pavia di Udine per pagare la propria quota delle spese del Consorzio Acquedotto Poiana, STEFANUTTI 1985, p. 42. 139 Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, XIV, XVI, XVIII, XIX, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 140 Richiesta del 14 giugno 1918 dell’ing. Lorenzo de Toni, ACAP, cart. Recupero materiali e vendite. Pratica Pasquotti. Cassa Naz. Ass., Ferrovie dello Stato, Società Veneta. Zona di protezione delle sorgenti, cart. Pratica Pasquotti. 141 Corrispondenza tra il sindaco di Pavia di Udine e la direzione dell’acquedotto Poiana, 4 e 9 settembre 1917, ACAP, cart. Antefatti costruzione, fasc. Fontanelle pubbliche. 142 Corrispondenza del 3 e 12 maggio 1920, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pavia di Udine. 143 Comunicazioni del 13 luglio 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pavia di Udine. 144 Liquidazione finale dei lavori e delle provviste per costruzione di condutture nei Comuni di Cividale, S. Giovanni al Natisone e Pavia di Udine (...), 20 agosto 1935, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. 145 L’avviso della futura applicazione del Contributo di Miglioria nel Comune di Pavia di Udine era diffuso, con apposito stampato, il 26 dicembre 1924, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pavia di Udine. 146 Seduta del 21 giugno 1930, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1929-1937, p. 21. 147 Seduta del 30 agosto 1939, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1938-1947, punto 3. 148 Lo sviluppo delle linee acquedottistiche avuto nel Comune di Pavia di Udine a partire dagli anni Cinquanta è fugacemente citato in ZUCCOLO 2004, p. 246. 149 Comunicazione del Comune di Pavia di Udine al Consorzio, 20 maggio 1955, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. 150 Seduta del 31 agosto 1965, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967 151 Seduta del 7 ottobre 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1211. 152 Seduta del 30 aprile 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969. 153 Seduta del 19 luglio 1969, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969. 154 Seduta del 20 dicembre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972. 155 Seduta del 26 marzo 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980. 156 Seduta del 4 giugno 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2073. 157 Seduta del 25 marzo 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2329. 158 Seduta del 2 agosto 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. 2, n. 2974. 159 Dalla relazione generale al progetto 26 maggio 1981, ACAP, cart. 1981 Ing. Cleani Progetto Generale Pavia. 160 Seduta del 25 marzo 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2329. La richiesta dell’esecuzione un progetto generale per la rete idrica era stata avanzata dal Comune di Pavia di Udine al Consorzio il 6 marzo 1981. 161 Con fonogramma del 22 luglio 1987 dell’Assessorato regionale dei LL. PP. era comunicato l’inserimento del Consorzio nell’apposito programma al fine di fruire dell’accesso al mutuo presso la Cassa DD. PP., in base al Decreto legge 256/87 art. 10 commi 4 e 5. Il Consorzio deliberava di
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approvare il progetto esecutivo dei lavori di realizzazione di opere acquedottistiche-costruzione reti ed adduttrici per Pavia di Udine e Cividale del Friuli redatto in data 30 luglio 1987 dal prof. Raffaele Cola, seduta del 30 luglio 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2879. 162 Relazione di accompagnamento allo stato finale dei lavori. Costruzione reti ed adduttrici per Pavia di Udine e Cividale del Friuli, 9 dicembre 1991, ACAP, cart. Pavia di Udine. Cividale del Friuli (Lovaria, Gagliano Romanutti, Purgessimo). 163 Seduta del 26 ottobre 1992, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1992-1995. 164 Seduta del 15 aprile 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1173. La spesa presunta per la conduttura Manzinello-Percoto era di 30.500.000 di lire, compreso l’attraversamento in sub alveo del torrente Torre, del costo di 6 milioni di lire. 165 Sedute del 26 agosto e 14 dicembre 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1199 e 1222. 166 Seduta del 29 agosto 1961, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1959-1965. La spesa di 508.131 lire era a carico dei privati. 167 Relazione dell’ing. Cola del 1° marzo 1991, ACAP, cart. Pavia-Percoto 1991. 168 Verbale delle visite, Relazione, Certificato di collaudo dei lavori di impianti di prelievo ed adduttrice idrica Pavia di Udine-Percoto, copia senza data (ma 1994), ACAP, cart. Pavia-Percoto 1991. 169 Seduta del 17 luglio 1999, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 1999. Al momento dell’Assemblea era comunicato che mancava solo la realizzazione del tratto di condotta in corrispondenza del depuratore di Percoto e gli allacciamenti delle utenze esistenti. 170 Rapporti mensili sullo stato dei lavori, XIII, XVI, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 171 CESCHIA 1982, pp. 106-108. In NADALINI 2012, p. 15 vi è un riassunto di tali vicende, riportando l’esondazione al 1620 anziché al 1590. 172 CESCHIA 1982, p. 94. 173 Estratto del processo verbale del consiglio comunale del Comune di Pradamano, 18 agosto 1923, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pradamano. 174 Estratto del processo verbale del consiglio comunale del Comune di Pradamano, 30 gennaio 1925, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Pradamano. 175 Relazione al Progetto per la costruzione di una conduttura sussidiaria per una migliore alimentazione idrica di Pradamano e Cerneglons Vecchio e per tre ampliamenti di reti, 7 maggio 1932, ACAP, Cart. 1 Pradamano derivazione periferica e potenziamento alimentazione a Cerneglons Vecchio (...) [Rurali 9] Il progetto era approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici con decreto 17 ottobre 1933 n. 7753 Div. 7, con lo stesso decreto il Comune fu autorizzato a contrarre un mutuo ordinario di 72.000 lire, estinguibile in 35 anni con la Cassa DD. PP., accordato con provvedimento 9 giugno 1934. 176 Seduta del 30 luglio 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, punto 7. 177 L’1 dicembre 1934 il Direttore del Poiana chiedeva all’Ufficio di collocamento per gli operai dell’Industria di Udine l’invio al lavoro per il 4 dicembre 1934 di 20 braccianti appartenenti al Comune di Pradamano, ACAP, Cart. 1 Pradamano derivazione periferica e potenziamento alimentazione a Cerneglons Vecchio (...) [Rurali 9]. 178 Seduta del 27 luglio 1935, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, punto 1 b. 179 Le prove di pressione sulle nuove condutture erano eseguite nel mese di gennaio 1935, alla presenza dell’ing. principale del Genio Civile di Udine cav. Simonetti e davano tutte esito positivo. Il verbale delle prove è del 21 gennaio 1935, ACAP, Cart. 1 Pradamano derivazione periferica e potenziamento alimentazione a Cerneglons Vecchio (...) [Rurali 9]. 180 Seduta del 13 aprile 1950, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19481958, punto 1. Si spendevano 155.725 lire. 181 Estratto della seduta tenuta dalla giunta municipale del Comune di Pradamano nel giorno 28 marzo 1951, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. 182 Seduta del 22 settembre 1960, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 1 a.
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Sedute del 4 gennaio 1964, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, punto 1. La spesa prevista era di 6 milioni di lire. 184 Sedute del 18 febbraio 1965, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1093. 185 Seduta del 15 aprile 1967, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1183. 186 Seduta del 17 luglio 1970, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1436. 187 Seduta del 20 dicembre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972. 188 Seduta del 28 maggio 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1743. 189 Seduta del 20 ottobre 1978, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2014. 190 Seduta del 19 novembre 1980, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2271. La sostituzione della pompa avveniva nel febbraio 1981. 191 Seduta del 24 agosto 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2087. Con delibera assembleare del 23 giugno 1983 era approvato il progetto, in seguito veniva redatta la perizia di variante del 10 giugno 1984, con una spesa complessiva prevista di 200 milioni. 192 Relazione al Progetto dei lavori di ristrutturazione della rete per la distribuzione idrica del capoluogo del Comune di Pradamano, 22 novembre 1980; Relazione al Progetto esecutivo (...), 2° stralcio del 10 maggio 1982, ACAP, cart. 1983-1985 Pradamano Impresa Nardone 1°, 2° stralcio. Ristrutturazione idrica capoluogo. Il progetto generale di ristrutturazione della rete idrica di Pradamano era redatto il 10 aprile 1981, dell’importo complessivo di 540 milioni di lire, approvato dal Comitato Tecnico Regionale con voto del 28 maggio 1981 n° 37/3/81. 193 Perizia di variante dei lavori di ristrutturazione della rete per la distribuzione idrica del capoluogo del Comune di Pradamano, 1° lotto £ 150.000.000, 15 settembre 1983, ACAP, cart. 1983-1985 Pradamano Impresa Nardone 1°, 2° stralcio. Ristrutturazione idrica capoluogo. 194 L’opera godeva di contributo regionale, giusta decreto LL. PP. 2086 del 20 ottobre 1981. La visita di collaudo era svolta il giorno 15 febbraio 1985. 195 Seduta del 18 gennaio 2001, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 2001. 196 Relazione della Giunta municipale di Premariacco del 24 giugno 1905, ACAP, cart. Montina atti iniziali. 197 L’assunzione dell’opera era concordata il 19 marzo 1908. D’Aronco il 29 aprile seguente suggeriva al direttore dei lavori, per ottenere una perfetta impermeabilità del serbatoio e della camera di presa, di usare cementi Portland, anziché calce Palazzolo. 198 Progetto per la rimessa in efficienza dell’acquedotto comunale a firma Giuseppe Rossi, 15 maggio 1953, ACAP, cart. Sistemazione acquedotto di Montina. 1°-2° stralcio 1954-56. 199 Il Ministero dei LL. PP. con nota n. 14450 del 31 dicembre 1952 informava di aver ammesso al contributo statale del 3% in base alla legge 3 agosto 1949 n. 589 la spesa di 3 milioni di lire richiesta nel 1950 dal Comune di Premariacco per i lavori di miglioramento dell’acquedotto comunale. La spesa sarebbe stata finanziata con mutuo da contrarre con la Cassa Depositi e Prestiti. 200 Relazione di accompagnamento al conto finale esecuzione 2° stralcio per la ultimazione delle opere previste dal progetto generale, 20 novembre 1958, ACAP, cart. Sistemazione acquedotto di Montina. 1°-2° stralcio 1954-56. 201 Seduta dell’11 febbraio 1961, ACAP, Registro deliberazioni assemblea consorziale 1959-1965. 202 Pro memoria inviato dal direttore dell’acquedotto Giuseppe Rossi al sindaco di Premariacco, 19 agosto 1961, CAP, cart. Montina. Atti iniziali. 203 Il finanziamento necessario era concesso dagli Istituti di Previdenza, in base alla delibera n. 19 del 2 aprile 1963, approvata dalla Giunta Provinciale Amministrativa il 16 maggio 1963.
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La giunta municipale di Premariacco nella seduta del 30 giugno 1965 deliberava di approvare il preventivo e il progetto del 2 giugno 1965 predisposto dal Consorzio Poiana, dell’importo di 298.000 lire, per l’installazione di un apparecchio di potabilizzazione dell’acqua proviente dall’acquedotto Montina. 205 Il progetto redatto il 10 settembre 1966 dal geom. Giuseppe Rossi era approvato dal Consiglio comunale di Premariacco, che per coprire la spesa preventivata di 2.750.000 lire inoltrava domanda di contributo all’Assessorato regionale per l’Agricoltura, Economia Montana e Foreste, ai sensi della L. R. 31 agosto 1965 n. 18. 206 Certificazione rilasciata dal sindaco di Premariacco l’8 aprile 1967, ai fini della richiesta di contributi regionali, ACAP, cart. Acquedotto Montina. Riatto. 207 “Relazione sulla Sistemazione rete interna dell’acquedotto del Montina”, dell’ing. Dino Mantovani, 30 ottobre 1978, ACAP, cart. Rete ex Montina, Premariacco. Lo stesso professionista aveva già svolto uno studio di massima su tale acquedotto, presentandone una relazione datata 18 ottobre 1973. 208 Seduta del 28 aprile 1980, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea 1980-1981, n. 4. Tale atto è riportato anche nella seduta del 19 novembre 1980, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2268. La manutenzione dell’acquedotto comunale “Montina” servente Premariacco era stata svolta per un trentennio dal sig. Alfio Garbo. Un cloratore elettrico per l’acquedotto Montina era acquistato nel 1988. 209 Seduta del 29 luglio 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2694. 210 Seduta del 29 giugno 1989, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991. Progetto per la ricostruzione delle infrastrutture di rifornimento idrico della zona industriale di espansione del Comune di Cividale del Friuli (Udine), ing. Raffaele Cola, 26 giugno 1989, ACAP, cart. Acquedotto Montina. Riatto. 211 Rapporti mensili sullo stato dei lavori del’ing. Ugo Granzotto, XI, XIV, XVI, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 212 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 213 Comunicazione del sindaco di Premariacco del 26 aprile 1922, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Premariacco. 214 Seduta del 25 gennaio 1921, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. 215 Comunicazione del Consorzio Poiana al Prefetto della Provincia del Friuli del 10 luglio 1926, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Premariacco. 216 Seduta del 18 maggio 1929, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. 217 Comunicazione del Podestà di Premariacco, 2 ottobre 1929, ACAP, cart. 1923-1930 Comuni Consorziati Cividale, Buttrio, (...). 218 Richiesta del Podestà di Premariacco al presidente del Consorzio, 8 aprile 1929, ACAP, cart. 1923-1930 Comuni consorziati. Cividale, Buttrio (...). 219 Seduta del 18 maggio 1929, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1924-1929. 220 Seduta del 30 luglio 1932, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19291937, punto 4. 221 Seduta del 27 febbraio 1943, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 1. 222 Seduta del 9 novembre 1946, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1938-1947, punto 3. 223 Documenti dell’8 gennaio e 22 luglio 1949, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. 224 Seduta del 24 settembre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, n. 1517. 225 Seduta del 25 agosto 1972, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972. 226 Seduta del 6 aprile 1973, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1610. Il certificato di ultimazione dei lavori di costruzione della derivazione idrica a favore di borgo S. Mauro era rilasciato il 30 giugno 1973, la relativa spesa era di 7.743.845 lire. 227 Sedute del 16 novembre 1973, 17 maggio (n. 1679) e 27 giugno 1974 (n. 1686), ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1973-76.
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Seduta dell’1 ottobre 1976, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978. 229 Seduta dell’11 febbraio 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1878. 230 Dati esposti nella Relazione sulla sistemazione rete interna dell’acquedotto del Montina dell’ing. Dino Mantovani, 30 ottobre 1978, ACAP, cart. Rete ex Montina, Premariacco. 231 Relazione sulla Sistemazione rete interna dell’acquedotto del Montina dell’ing. Dino Mantovani, 30 ottobre 1978, ACAP, cart. Rete ex Montina, Premariacco. Il progetto era approvato dalla Regione con decreto LL. PP. del 7 maggio 1979. L’importo complessivo era di 40 milioni di lire, per il quale si inoltrava domande di contributo in base alle leggi regionali n. 336 del 1976, n. 62 del 1976 e n. 63 del 1977. 232 Seduta del 3 dicembre 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981. 233 Seduta del 1 marzo 1983, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1982-1983, n. 2516. 234 Seduta del 14 dicembre 1984, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1984, n. 2659 punto e. 235 Seduta del 21 settembre 1989, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991. 236 Rapporti mensili sullo stato dei lavori, XIII, XIV, XV, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 237 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 238 Estratto del processo verbale del consiglio comunale del Comune di Remanzacco, 25 aprile 1920, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Remanzacco. 239 Dati sull’ubicazione delle fontane pubbliche nel Comune di Remanzacco (ad esempio, il capoluogo era fornito di quattro fontane pubbliche, così dislocate: via Ziracco, all’altezza della piazzetta del Broilo Perosa; via S. Stefano, piazza della Chiesa e via Treppo, dietro al vecchio Municipio) sono riportati anche nell’accurata ricerca di MARCHESE 1999, pp. 59-61. 240 La lettera anonima, datata Remanzaco li 5.6.21, era fatta pervenire il giorno dopo al direttore del Consorzio, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Remanzacco. 241 Comunicazione del 12 ottobre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Remanzacco. 242 Comunicazione del Presidente del Consorzio al municipio di Remanzacco dell’11 dicembre 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Remanzacco. 243 Comunicazione del Presidente del Consorzio al municipio di Remanzacco del 21 giugno 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Remanzacco. 244 Comunicazioni del 22 aprile e 28 maggio 1925, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Remanzacco. 245 Una meritoria operazione di recupero dei dati che li riguardano è dovuto alle ricerche, poi confluite nella pubblicazione di MARCHESE 1999, dalle pp. 62-63 è tratta la sintesi qui riportata e a cui si rimanda per ulteriori approfondimenti. 246 Documento del 29 novembre 1950, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. La liquidazione finale era di 226.000 lire. 247 Sedute del 1 giugno e 4 luglio 1959, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965. 248 Seduta del 22 settembre 1960, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1959-1965, punto 1 g. 249 Seduta del 30 aprile 1968, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1967-1969, n. 1252. 250 Seduta del 16 luglio 1981, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1980-1981, n. 2374. 251 Seduta del 29 luglio 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2691. 252 Seduta del 28 febbraio 2000, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 2000, vol. I, p. 28. 253 Seduta del 12 settembre 2003, ACAP, Registro Verbali del Consiglio di Amministrazione dal 2003. La riattivazione e il potenziamento del pozzo di Ziracco erano riconfermati nella seduta del 22 ottobre 2003. 254 L’opera sarebbe stata compiutamente funzionale con la costruzione dell’adduttrice Remanzacco-Pradamano e ciò avrebbe risolto pressoché
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SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI
completamente le problematiche di approvvigionamento idrico di Pradamano, seduta del 22 ottobre 2009, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea azionisti, n. 23. 255 Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, XIV, XV, XVIII, XIX, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 256 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 257 Comunicazione del sindaco al Consorzio del 23 aprile 1920, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. S. Giovanni Manzano. 258 Seduta del 18 giugno 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. 259 Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. 260 Seduta del 29 luglio 1922, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 19101923. 261 Liquidazione finale dei lavori e delle provviste per costruzione di condutture nei Comuni di Cividale, S. Giovanni al Natisone e Pavia di Udine (...), 20 agosto 1935, ACAP, cart. Opere di completamento Acquedotto, fasc. Opere di completamento dell’acquedotto. Liquidazioni. 262 Seduta del 25 ottobre 1971, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1970-1972, nn. 1523, 1524. 263 “Relazione al Progetto di massima per la costruzione di condotte adduttrici nella consorziale del Comune di S. Giovanni al Natisone”, 15 ottobre 1971, ACAP, cart. S. Giovanni. Generale distribuzione. 1, 2, 3 Prog. Esecutivo, fasc. Progetto di massima per la costruzione di condotte adduttrici principali nella rete consorziale del Comune di S. Giovanni al Nat. Era preventivata una spesa di 120 milioni di lire, il 20 ottobre 1971 era inoltrata alla Regione la domanda di ammissione alle agevolazioni previste dalla legge regionale 16 agosto 1971 n° 36. Con nota 17 marzo 1972 l’assessorato regionale ai LL. PP. concedeva il contributo costante del 7% sulla spesa ritenuta ammissibile di 20 milioni di lire. Il progetto esecutivo era elaborato l’11 aprile 1972. 264 Seduta del 16 novembre 1973, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1973-76. Il primo lotto comprendeva la costruzione della tratta dell’adduttrice principale, del diametro di 200 mm, dalla strada provinciale del Collio all’attraversamento della ferrovia Udine-Trieste, quest’ultimo non compreso, con uno sviluppo di 1210 metri. 265 Seduta del 27 giugno 1974, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 197376, n. 1682. Il 2° lotto, del costo di 65 milioni di lire sul quale era concesso un contributo statale ai sensi del DPR 11 marzo 1968 n° 1090 art. 20, consisteva nel completamento dell’adduttrice principale di 200 mm dalla progressiva 1210 (termine 1° lotto) fino al termine della tratta (progressiva 2290), con l’attraversamento della ferrovia Udine-Trieste e della S.S. 56 Udine- Gorizia. Inoltre si posava l’adduttrice per Medeuzza da 125 mm. 266 Seduta del 10 febbraio 1975, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1973-1976, n. 1723. 267 Seduta del 21 giugno 1979, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1978-1980, n. 2076. Il progetto per questo 3° stralcio era redatto il 1° ottobre 1977. L’adduttrice da 100 mm si sviluppava per 2260 metri, sulla spesa di 70 milioni di lire era concesso un contributo dall’Assessorato ai LL. PP. in base alla legge regionale 29 dicembre 1976 n. 68. 268 Seduta dell’11 settembre 1987, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1987, n. 2885. 269 Seduta del 22 ottobre 2003, ACAP, Registro deliberazioni Consiglio di Amministrazione dal 2003. 270 TELLINI 1898, p. 185. 271 Dichiarazione dell’ing. Lorenzo de Toni fu Antonio, resa a Udine il 13 gennaio 1923 davanti al notaio Venanzio Pirona, iscritto presso il Collegio di Udine, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 272 Seduta del 2 marzo 1920, ACAP, Registro deliberazioni Giunta consorziale 1920-1921. 273 Seduta del 18 giugno 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. 274 Comunicazione del 26 giugno 1926, ACAP, cart. Recupero materiali e vendite. Pratica Pasquotti. Cassa Naz. Ass., Ferrovie dello Stato, Società Veneta. Zona di protezione delle sorgenti, fasc. 35 Ferrovie dello Stato e Società Veneta.
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Seduta del 4 novembre 1985, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1985, n. 2721. 276 Seduta del 29 aprile 1986, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1986, n. 2776. La richiesta di consorziamento era presentata una prima volta il 18 marzo e successivamente il 4 agosto 1986. 277 Relazione illustrativa di carattere generale per il consorziamento del civico acquedotto del Comune di San Pietro al Natisone, 29 agosto 1988, Seduta del 27 settembre 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. 2, n. 2994, Allegato. 278 Seduta del 2 marzo 1989, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991. 279 Seduta del 21 settembre 1989, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991, n. 23. Entro due mesi si doveva provvedere alle opportune modifiche dell’art. 12 dello Statuto e artt. 51-52 del Regolamento. 280 ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923, seduta del 28 novembre 1914. 281 Rapporti mensili sullo stato dei lavori dell’ing. Ugo Granzotto, XIV, XV, XVIII, XIX, XX, ACAP, cart. Varie, Costruzione, Arbitrato. 282 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 283 Dati ricavati dal ‘Giornale dei lavori’ marzo-dicembre 1919, ACAP, cart. Inaugurazione acquedotto. 284 Seduta del 18 giugno 1920, ACAP, Registro deliberazioni giunta consorziale 1920-1921. 285 Seduta del 29 ottobre 1921, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1910-1923. 286 Richiesta del 30 marzo 1921, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Trivignano. 287 Avviso del sindaco di Trivignano, 10 luglio 1925, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1, fasc. Trivignano. 288 Progetto per due derivazioni d’acqua dalla rete del Poiana nella frazione di Clauiano, 24 agosto 1948, ACAP, cart. Comuni Consorziati 1946-1955. 289 Progetto per ampliamento rete dell’acquedotto in Comune di Trivignano Udinese per Casale Fornaciata e Vecchia Dogana, 27 febbraio 1954, ACAP, cart. Trivignano da “Nuove utenze 1954” a “Lottizz. Zona Industriale 1996”. Il costo era preventivato in 1.600.000 lire. 290 Comunicazione del Sindaco di Trivignano Oreste Antonutti del 10 giugno 1958, ACAP, cart. Impianto interno convitto P. Diacono. Corrispondenza varia con i Comuni (...), fasc. Trivignano. 291 Seduta del 12 giugno 1965, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1964-1967, n. 1055. 292 Progetto per il potenziamento della conduttura idrica di distribuzione di via Aquileia del Capoluogo, 14 giugno 1972, ACAP, Cart. Trivignano da “Nuove utenze 1954” a “Lottizz. Zona Industriale 1996”, fasc. Progetto potenziamento in via Aquileia. Il costo era preventivato in 8.160.000 lire, la liquidazione finale del 31 gennaio 1974 era di 3.799.552 lire. 293 Seduta del 16 novembre 1973, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1973-76. 294 Seduta del 7 luglio 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, nn. 1916 e 1924. 295 La spesa era di 9.977.456 lire, seduta del 24 novembre 1977, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1976-1978, n. 1947. Nel 1978 si provvedeva all’acquisto di una pompa di riserva per la stazione di sollevamento, che ne aveva in dotazione una sola. 296 Progetto esecutivo lavori di ripristino conduttura idrica lungo via S. Marco nella frazione di Clauiano, 10 maggio 1984, ACAP, cart. Trivignano da “Nuove utenze 1954” a “Lottizz. Zona Industriale 1996”, fasc. Cambio condotta Via S.Marco, Clauiano 1982. 297 Seduta del 9 maggio 1988, ACAP, Registro deliberazioni Commissione amministratrice 1988 vol. I, n. 2946. 298 Seduta del 28 giugno 1990, ACAP, Registro deliberazioni Assemblea consorziale 1989-1991, comunicazione delle delibere Commissione amministratrice n. 3143. 299 Seduta del 9 febbraio 1996, ACAP, Registro deliberazioni assemblea 1996, n. 2.
ABBREVIAZIONI ARCHIVISTICHE - BIBLIOGRAFIA
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ABBREVIAZIONI ARCHIVISTICHE ACAP ASMunCiv
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INDICE
IL CONSORZIO PRENDE FORMA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42 SI PROCEDE SENZA INDUGIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
PRESENTAZIONE DEL PRESIDENTE DELL’ACQUEDOTTO POIANA. . 5
III LA PRESA DELLA SORGENTE
I IL PERENNE DESIDERIO D’ACQUA
LA REALIZZAZIONE DELLA PRESA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 IL COSTO DELL’OPERA DI PRESA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
UNO SCHIZZO INTRODUTTIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 I PAESI INNAQUOSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8 Buttrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Corno di Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Ipplis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 Pavia d’Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11 Premariacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12 Trivignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 LA SETE DI CIVIDALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 I PRIMI STUDI OTTOCENTESCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 14 UNO SGUARDO TUTT’INTORNO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 ALLA RICERCA DI NUOVE FONTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15 LA SOLERTE COMMISSIONE AL LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 LA SORGENTE DEI SOGNI SI MATERIALIZZA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 IL FUGACE DUBBIO SU LOSAZ. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 IL RIPENSAMENTO DI MUSONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 A cosa deve le sue eccellenti proprietà la sorgente Pojana? Domande e risposte del 1898 e 1908 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 Perché il nome Pojana?. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
MA SARÀ VERAMENTE BUONA QUEST’ACQUA? BUONISSIMA! . 20 L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI POTABILITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 COMUNI DIVERSI, STESSA SETE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Buttrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Corno di Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Ipplis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 Moimacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 Pavia d’Udine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Pradamano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24 Premariacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Remanzacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 San Giovanni di Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 Trivignano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
II IL LUNGO CAMMINO VERSO IL CONSORZIO L’IDEA EMBRIONALE DEL CONSORZIO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27 LE PRIME, COCENTI DELUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 LA TRIBOLATA PROGETTAZIONE INIZIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 SOLO PER DUE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29 LA PROTESTA VA CRESCENDO. POJANA ADDIO? . . . . . . . . . . . . . . 29 POJANA RITORNA A GALLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30 ACQUA ITALIANA O AUSTRIACA? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 DUE VANNO E DUE VENGONO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33 NEIN, ASSOLUTAMENTE INAMMISSIBILE!. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 NACLANZ ALLA RIBALTA, MA PER POCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 GLI ESTIMATORI DELLA NACLANZ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36 LA DEFINITIVA RESURREZIONE DEL PROGETTO POIANA . . . . . 40 LA MEMORABILE DECISIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41 PRIMA TI ASSAGGIO... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
Entrate e uscite dal 16 marzo 1898 al 30 settembre 1912 per l’acquedotto Poiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
IL TERMOMETRO NELLA SORGENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
IV L’ISTITUZIONE DEL CONSORZIO POIANA QUEL SOTTILE, INSIDIOSO CONFINE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63 DI CHI È LA SORGENTE? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64 L’ACQUISTO DELLA MERAVIGLIOSA FONTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65 IL PREFETTO INCORAGGIA E APPROVA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66 IL PARERE DEI CAMICI BIANCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 LA MAGNIFICA DOZZINA SI CONSORZIA UFFICIALMENTE . . . . . 67 STATUTO E REGOLAMENTO CONSORZIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 COME RIEMPIRE I FORZIERI? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69
V IL PROGETTO GRANZOTTO L’INCARICO PROGETTUALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73 Le opere di raccolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74 La condotta maestra alimentatrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76 Il serbatoio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 La conduttura principale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80 IL GENIO LODA, CON DUE OSSERVAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 84 L’AGGIUDICAZIONE DEI LAVORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 CIVIDALE SI VUOLE ALLARGARE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
VI LA REALIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO VAI COL PICCONE, OVVERO IL VIA AI LAVORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 I LAVORI IN CRONACA DIRETTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89 La situazione della posa delle condutture al 24 settembre 1914 . . 97 LA PASSERELLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .100 PALA E MINE. GLI SCAVI A COTTIMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 LE FRUSTATE STIMOLATRICI ALL’IMPRESA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 CONTIAMO LE BRACCIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 OGNUNO HA LE SUE COLPE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 103 GLI ATTRAVERSAMENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .104 MEGLIO GIRARE A DESTRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .104 LA VIRATA DI CORNO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .105 LA QUALITÀ DEI METALLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107 SOLO PERSONE PROBE E CAPACI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .109
VII IL CONSORZIO DURANTE IL PRIMO CONFLITTO MONDIALE SCOPPIA LA GUERRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 LA SETE IN GRIGIOVERDE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111 LA DELUDENTE PRIMA VOLTA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112 IL CAMBIO ALLA DIREZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 DE TONI INDAGA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 114 LA DIFFICOLTOSA MESSA IN CARICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 CHE ROTTURA DI TUBI! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 115 GIURI TU? LO GIURO! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 116
DEO GRATIAS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 IL PARERE DI FORLANINI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 117 L’INCHIESTA DE TONI GIUNGE AL CAPOLINEA . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 UN FATTO NUOVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119 SPERPERI FUORI CONTROLLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120 TI SOPPRIMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 GHISA O ACCIAIO? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 IL CAMBIO DI CIVIDALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122 IL PRIMO PERSONALE DELL’ACQUEDOTTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 VIA AI PRIVATI, MA LIMITATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 125 SCEGLIAMO IL PASQUOTTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 126 LA COROGRAFIA GIARDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 LA DISFATTA DI CAPORETTO CORRE SUI TUBI. LA PROFUGANZA . 129 RIDARE L’ACQUA PROVVIDENZIALE AL NOSTRO POPOLO . . . .130 IL RITORNO A CIVIDALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132 SI RECUPERA, QUEL CHE SI PUÒ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 133 I DANNI DI GUERRA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134 I LENTI RISARCIMENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 134
VIII L’AVANZARE DELL’OPERA NEL DOPOGUERRA LA RIPRESA NELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA . . . . . . . . . . . . . . . . 137 I LAVORI DI RIPRISTINO NEL 1919 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 138 LE SFURIATE DELLA NATURA NEL 1920. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 L’AMBULANZA DELL’ACQUEDOTTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 L’INTERRUTTORE IN LOCALITÀ TIGLIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 140 Il progetto perso e ridisegnato. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 Brillamenti, carrettieri e trapanatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143 Le caratteristiche dell’interruttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .144 I COLLAUDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .146 PARTE LA PARTITA (DOPPIA). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 IL COSTO DELL’OPERA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 148 LA LIQUIDAZIONE CONTROVERSA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 150 LA MIRABILE INAUGURAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 152 IL COMMIATO DEL PRIMO PRESIDENTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .156
IX L’ATTIVITÀ GESTIONALE E DI COMPLETAMENTO REGOLAMENTIAMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 I primi statuti e regolamenti amministrativi . . . . . . . . . . . . 159 Il regolamento per le utenze private . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 Il regolamento del personale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .160 Il regolamento amministrativo del 1930 . . . . . . . . . . . . . . . . 161 LE FONTANELLE PUBBLICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 FINALMENTE L’ACQUA IN CASA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 I RISCOSSORI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 VANDALI IN AZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163 ATTENTI ALLA STRADA FERRATA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 LE ROTTURE CONTINUANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 165 LA ZONA DI PROTEZIONE DELLE SORGENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166 La bonifica dell’area. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 LA FRAGILE SITUAZIONE FINANZIARIA NEGLI ANNI VENTI . . 168 LE OPERE DI COMPLETAMENTO IN TRE COMUNI . . . . . . . . . . . . . 169 DA BERE AI TRENI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 171 IL CONTEGGIO DELL’ACQUA? S’HA DA FARE! . . . . . . . . . . . . . . . . . . 172 Il variegato mondo dei contatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173 Asciutto o bagnato? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
Celluloide, nichel ed ebanite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 177 I misuratori del Poiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .180 Il nolo contatori. Cinque, tre, due... venti . . . . . . . . . . . . . . . . .182 Il rinnovo dei contatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .182 ARGENTO AL CONSORZIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 ADDIO PASSERELLA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .184 LE FONTANE PEREGRINE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .184
X IRTI OSTACOLI E DIFFICILI SCELTE UN TEMIBILE PROGETTO, OSTINATAMENTE AVVERSATO . . . . .189 I timori del Consorzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .190 Le sirene della S.E.F.I . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .190 No alla commissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 192 Lo scontro frontale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 La batosta del Poiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .194 Si tenta il ricorso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .194 Il lieto fine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .195 NUOVE IPOTESI SULLE ORIGINI DELLA SORGENTE POIANA . . .196 I pareri degli ingegneri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .196 L’autorevole voce di Gortani. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 LE DOMANDE DI BRAZZANO E CORMÒNS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .198
XI LA SEDE CONSORZIALE La sede itinerante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 Comprare il vecchio o costruire il nuovo? . . . . . . . . . . . . . . 205 La mano daronchiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .207 Le tappe dell’edificazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .207 Il costo della sede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 210 La successiva manutenzione dell’edificio consorziale. . 210 PRONTO, CHI PARLA? LA POIANA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 211
XII TRA GELO E FISCHI DI PALLOTTOLE GELO SIBERIANO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213 SICCITÀ DESERTICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 PIOGGE TORRENZIALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 I TIMONIERI AI VERTICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 219 LA SECONDA GUERRA MONDIALE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 220 I sabotaggi alle condutture nel 1943 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 220 Altri danni di guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 221 DA BERE AI MILITARI... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222 ... E AI PRIGIONIERI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 222 QUEL TORMENTATO CONFINE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .223
XIII IL FUNZIONAMENTO DEL CONSORZIO IN SANATORIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .227 LA TASSA DI RISCOSSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .227 NOTIZIE ASSORTITE DEGLI ANNI TRENTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .227 GLI USI DELL’ACQUA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 228 IL CONSORZIO SI MUNICIPALIZZA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 229 IL NUOVO STATUTO E IL REGOLAMENTO DEGLI ANNI TRENTA . .230 PAGHE ORARIE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .230 LA RETE SI ESTENDE ANCORA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 LE UTENZE CRESCONO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231 I numeri del Consorzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 232 ALTOLÀ ALLE FUGHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233
Ci facciamo una canna? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 Le olive (dei geofoni) fanno male . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 233 Revisioni diurne e notturne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 La grande sfida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .236 Sempre sotto pressione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .236 DISCIPLINARE IL SERVIZIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 239 LA MANODOPERA NON ARRETRA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .240 INDENNITÀ PER LE DUE RUOTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 241 PRANZARE CON 1300 LIRE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .242 L’ORARIO DI LAVORO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .242 TRA STABILI E AVVENTIZI, CRESCE L’ORGANICO . . . . . . . . . . . . . . 243 Mercedi operaie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 245 LA COMMISSIONE AMMINISTRATRICE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .246 LA DIREZIONE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .246 L’UFFICIO TECNICO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 247 LE TARIFFE IMPENNANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .248 I diritti di concessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .248 Sconti per le super famiglie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .248 La maratona degli incessanti aumenti . . . . . . . . . . . . . . . . . .248 LE MACCHINE DEL CONTABILE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .250 Arrivano i bit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .253 ATTENTI ALLE MULTE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .254
XIV GLI ACQUEDOTTI RURALI GLI ACQUEDOTTI RURALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257 BUTTRIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .258 Strada Buttrio-Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .258 Villa Tellini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .259 Case Zambruno, Buttrio in Monte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260 CIVIDALE DEL FRIULI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260 Derivazioni del 1932-36 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 260 Derivazioni 1939-1946 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 263 Derivazioni 1956-1958 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .266 Derivazioni 1959-1961 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .266 Derivazioni sulla strada per Castelmonte 1957-1963 . . . 267 Derivazioni sulla strada per Castelmonte 1964-1999 . . 267 Derivazioni dell’anno 1966 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .269 Acquedotto e sollevamento per Ronchi di Spessa . . . . .269 CORNO DI ROSAZZO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271 Gramogliano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 271 Acquedotto e sollevamento per Noax . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272 Bosco Romagno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 MANZANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 Villa de Marchi a Oleis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 273 Rosazzo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 274 Il secondo sollevamento di Abbazia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 276 Il progetto congiunto per i Ronchi di Case e di Rosazzo . . . 277 Ronchi di Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279 Ronchi di Rosazzo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 280 Naglos . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .285 MOIMACCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .285 PAVIA DI UDINE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286 PRADAMANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .287 I Casali di tre Comuni, in località Lippe-Lonzano . . . . . . .287 PREMARIACCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289
Firmano e Casali Pasc . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 289 Rocca Bernarda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .290 Il prolungato oblio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291 Il risveglio progettuale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291 Ricostruzioni e riparazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .293 Il nuovo impianto di Rocca Bernarda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .293 Località Cambiago. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .293 Case rurali sparse a Premariacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .294 Ronchi di Ipplis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .295 REMANZACCO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 SAN GIOVANNI AL NATISONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 Ronchi di Dolegnano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 296 TRIVIGNANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298 COMUNE DI PREPOTTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298 COMUNE DI FAEDIS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299 COMUNE DI TORREANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 La lunga attesa in Prabonissimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 I disagi di Tamorig . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300 I COMUNI DELLE VALLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 300
XV LE FONTANE E LE TARIFFE ADDIO FONTANE PUBBLICHE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 307 Il revival delle fontane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 310 LA NUOVA RIPARTIZIONE DI SPESE ED ENTRATE . . . . . . . . . . . . . 310 Tabella delle competenze e delle aliquote per compartecipazione nelle spese d’impianto (1930) . . . . . . . . . . . 311
LE TARIFFE DAGLI ANNI SESSANTA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 312 Resoconti economici 1912-1963 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 313
XVI IL POTENZIAMENTO DELL’ACQUEDOTTO POIANA LE ESIGENZE CRESCENTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315 PER VINCERE L’OSCURO SOTTOSUOLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 315 Vai col rabdomante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 316 Il tentativo vincente a San Nicolò di Manzano . . . . . . . . . . 318 Le opere accessorie al pozzo di San Nicolò. Primo e secondo lotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319 Gli ulteriori miglioramenti sulla destra del Torre. Terzo e quarto lotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .320 Il pozzo di Ziracco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323 Il secondo pozzo di San Nicolò. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323 Ancora più efficienza nella centrale di San Nicolò . . . . . . 323
XVII L’ADEGUAMENTO DELLA RETE DI DISTRIBUZIONE IL CALCOLATORE ELETTRONICO PER GUARDARE AL DUEMILA. .329 PROGETTO ‘200 MILIONI’. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .329 TRA LEGGI E DECRETI. LA POTABILIZZAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . 330 IL SISMA DEL 1976 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 331 CONSORZIO ACQUEDOTTO FRIULI CENTRALE . . . . . . . . . . . . . . . . 331 IL RADDOPPIO DELL’ADDUTTRICE PRINCIPALE . . . . . . . . . . . . . . .332 Il progetto dell’ing. Cola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .333 Primo lotto dei lavori dell’adduttrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .334 Secondo lotto dei lavori dell’adduttrice . . . . . . . . . . . . . . . . . .334 Terzo lotto dei lavori dell’adduttrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .335 Quarto lotto dei lavori dell’adduttrice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .335
IL RIATTO DELLE OPERE DI PRESA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .335 IL LOGO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .335 GLI AMMINISTRATORI DAL 1980 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .336 L’EVOLUZIONE DEI FABBISOGNI IDRICI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .336 Un’istantanea del 1984. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 337 UN NUOVO STATUTO DI TRAVAGLIATA GESTAZIONE . . . . . . . . . . . 337 LA SORGENTE ARPIT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .338 Nuove ricerche sull’Arpit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .338 Gli studi e il progetto dell’Arpit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .339 L’opposizione al progetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 340 La concessione e le opere di captazione . . . . . . . . . . . . . . . 340 Addio Arpit . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341 LA SORGENTE TOLOGU . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 341
XVIII A LARGHI PASSI VERSO IL XXI SECOLO I NUOVI POZZI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .343 I pozzi di San Giorgio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .343 Una nuova elettropompa a San Nicolò di Manzano . . . 344 Il terzo pozzo di San Nicolò. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 344 Attenzione al risparmio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 344 NUOVE TECNICHE DI RICERCA DELLE FUGHE . . . . . . . . . . . . . . . 344 IL RADDOPPIO DEL SERBATOIO SUL MONTE DEI BOVI . . . . . . .345 LE ALTERNATIVE SLOVENE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 346
XIX L’EVOLUZIONE DEL CONSORZIO POIANA LA SITUAZIONE DEL CONSORZIO POIANA ALLA METÀ DEGLI ANNI NOVANTA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .347 IL TRAGHETTAMENTO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 348 LA LEGGE GALLI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 348 Verso il servizio integrato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 348 La duttilità del Consorzio Poiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .349 L’INFORMATIZZAZIONE DELLA RETE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .349 IL SERVIZIO FOGNATURA E DEPURAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . .349 L’APPRODO AL NUOVO SECOLO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .350 LA POIANA DIVENTA S.P.A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 351
XX SOMMINISTRARE LINFE COPIOSE E PURISSIME AI DODICI COMUNI BUTTRIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .353 I pericoli vaganti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .354 La collina del Sanatorio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .355 A Camino e Caminetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .355 Derivazioni, ampliamenti, rinnovamenti in Comune di Buttrio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 356 Il serbatoio sul Colle Clama . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360 CIVIDALE DEL FRIULI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360 Il centro cittadino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 360 L’acquedotto nelle frazioni di Cividale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .363 I bagni pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .364 Anni Sessanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .365 Località Fortino (1968) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .365 Anni Settanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .365 L’acquedotto di Purgessimo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 368 Anni Ottanta a Cividale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370 CORNO DI ROSAZZO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 370
Corno addio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373 Bentornato Corno. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 373 Casali Gallo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 374 Dagli anni Ottanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 375 IPPLIS . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 377 MANZANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 379 L’aumentata assegnazione a Manzano . . . . . . . . . . . . . . . . . .381 Ostruzioni, spandimenti, ampliamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . .383 Dagli anni Settanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 384 MOIMACCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .385 Acqua ai casali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 388 Dagli anni Sessanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 389 PAVIA DI UDINE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 390 Un difficile dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .393 Tito Brida . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396 Tariffe ridotte e tubazioni ampliate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396 Le carenze nelle frazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 396 Il riatto della rete comunale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 398 Nella località di Percoto. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 399 PRADAMANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 399 Troppe fontane. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 400 Rinforzi e prolungamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 402 I miglioramenti degli anni Settanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 403 La ristrutturazione degli anni Ottanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . 405 PREMARIACCO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 405 La benedizione dei nipoti per l’acquedotto Montina . . 405 Ringiovanire il Montina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 406 La nuova vita del Montina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 408 La Poiana plana a Premariacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 409 La sete di Firmano e Pasc . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 410 I tubi in prigione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411 Il servizio antincendio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411 Dagli anni Cinquanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 411 Il Poiana prevale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 412 REMANZACCO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 413 Minacce anonime . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 415 No ai lavatoi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 415 Addio roielli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 417 Sviluppi e potenziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 418 Dagli anni Ottanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 419 Il pozzo di Ziracco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 420 SAN GIOVANNI AL NATISONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 420 Nel dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 422 Il completamento della rete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .423 Il potenziamento degli anni Settanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .424 SAN PIETRO AL NATISONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 426 Un po’ di storia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 426 Il ponte di Vernasso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .427 Il consorziamento di San Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428 TRIVIGNANO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 428 Le acacie del parroco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 430 Si estende il conforto dell’acquedotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 431 Sussidiamo Trivignano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .433 BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .441
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