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RaccoltaArticoli Giorgio Castriota Santa Maria Bella


Stampato nel mese di Ottobre 2016 Prima Edizione


CULTURA

Sed quis custodiet ipsos custodes? = Chi controlla gli stessi controllori ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 ottobre 2016

E’ un verso di Giovenale (Satire VI) divenuto quasi proverbiale. Nella pubblica amministrazione i controlli sono fondamentali per avere una macchina amministrativa onesta ed efficiente.

Nel complesso mondo della finanza italiana l’attività di controllo è, se non erro, affidata, in primis, alla Consob ed alla Banca d’Italia.

Leggo nella cronaca che, sovente, dirigenti di tali organismi, una volta in quiescenza o anche prima, vengono assunti da importanti istituti di credito o gruppi imprenditoriali. Fermo restando il principio della libertà di occupazione non sarebbe saggio introdurre norme che facciano divieto, prima che sia trascorso un adeguato periodo di tempo (un biennio?), a siffatte assunzioni? Grato per un Suo commento. Gradisca i miei complimenti per i Suoi scritti

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POLITICA INTERNAZ.

I pericoli derivanti dall’attuale carenza del livello qualitativo dei principali statistiti occidentali by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 settembre 2016

Ci pare evidente che il livello qualitativo dei principali statisti occidentali sa, purtroppo, modesto, non si stia elaborando una politica adeguata. Invero di fronte a quel che appare, anche al più sprovveduto osservatore, l’attacco, forse mortale, in atto da parte del mondo islamico alla civiltà europea che si avvale di due armi: gli attentati, spesso suicidi, e lo spingere migliaia di disperati , moltissimi di fede mussulmana, ad emigrare in Europa sì da sconvolgere l’equilibrio etnico e religioso del nostro continente. Senza un intervento efficacemente coordinato tra le potenze occidentali la partita è persa perché il numero ci travolgerà come avvenne all’epoca delle invasioni barbariche. Lo scontro non sarebbe perso se i Governi occidentali riuscissero ad elaborare una strategia sia militare che economico-finanziaria volta ad eliminare le cause del fenomeno. Forse il costo di una tale strategia sarebbe sopportabile ove si consideri la mole di aiuti profusa, annualmente, a vario titolo dalle potenze occidentali verso i paesi africani e medio orientali. Sarebbe utilissimo coinvolgere anche Mosca che’ è anch’essa alle prese con l’integralismo mussulmano. Occorrerebbero, però, a tal fine statisti illuminati che non ci sembra, purtroppo, esserci all’orizzonte. Si dovrebbe ricordare loro questa sentenza latina: “Numquam periclum sine periclo vincetur” (Non si e limina mai un un pericolo senza rischiare un pericolo (-Siro); Sperando che “Jupiter (non) decipit prius quos vult damnare” (= Giove “non” faccia prima uscir di senno quelli che vuol portare alla rovina (anonimo).

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ECONOMIA, LAVORO, POLITICA NAZ.

La ripresa delle attività – Qualche considerazione by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 17 settembre 2016

Il 19 settembre p.v. le attività produttive e politiche dovrebbero riprendere a pieno ritmo. Qual è la situazione? In Italia: l’economia, malgrado le dichiarazioni alternanti del nostro Primo Ministro, è, purtroppo stagnante.

Il problema del Referendum incide negativamente sul quadro politico e d ostacola l’adozione delle riforme costituzionali, peraltro male impostate anche se necessarie.

Il Governo Renzi rischia di cadere qualora l’esito del referendum fosse per lui negativo aprendo una crisi i cui esiti sono difficili da prevedere con gravi conseguenze sull’economia. Sotto il profilo internazionale si assiste ad un’incapacità dei più importanti paesi a risolvere “il problema” ovvero quello dei flussi di disperati dal Centro Africa, dal Nord Africa e dal Medio Oriente e d il revanchismo islamico. Gli Stati Uniti, a causa dell’imminente fine del mandato di Obama, non sembrano in grado di adottare decisioni di rilievo e, visto i precedenti (v. IRAQ), forse non hanno le capacità di afferrare i termini del complicatissimo problema. L’ Europa sembra anch’essa, divisa al suo interno e stanti le prossime tornate elettorali nei paesi più importanti, appare “molto incerta” sul da fare anche perché non ci sono leader di grande statura. Insomma “MALA TEMPORA CURRUNT” !

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POLITICA NAZ.

NIHIL SUB SOLE NOVI (=Niente di nuovo sotto il sole) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 21 luglio 2016

Ci sono alcune situazioni storiche che, anche se con modalità diverse, sostanzialmente si ripresentano. L’Europa nel nel XIV ° secolo vide l’espansione dell’impero ottomano e dell’Islam nei Balcani; nel XVI ° secolo fu minacciata seriamente nel secondo assedio di Vienna del 1529 e in occasione dello scontro navale di Lepanto del 1571. L’unità delle potenze cristiane consentì di resistere e vincere.

Attualmente si assiste ad un’espansione dell’Islam in Europa non tramite eserciti regolari bensì attraverso attentati suicidi

perpetratati da immigrati. Questa strategia è altrettanto se non piu’ pericolosa di quella dei secoli scorsi stante il numero di Mussulmani (vari milioni) che risiedono in Europa e che spesso dissimulano il loro fanatismo. Le forze politiche occidentali solo dopo gli attentati in Francia sono, forse, consce del pericolo ma la zavorra culturale di matrice marxista costituisce ancora un freno all’adozione di provvedimenti adeguati alla gravità dell’attacco. Se non si cercherà di mettere ordine nell’Africa settentrionale e centrale il flusso dei disperati, tra i quali è probabile che s’infiltrino dei Jihadisti, non si esaurirà . Avremmo la guerriglia nelle nostre contrade? Per fortuna il pericolo dell’adesione della Turchia, auspicata fino a qualche tempo fa dalla furbetta Cancelliera tedesca, sembrerebbe allontanarsi. Altrimenti altri milioni di Mussulmani sarebbero arrivati sui nostri lidi. e saremmo stati circondati. In conclusione per cercare di sopravvivere occorre uno sforzo unitario dell’Europa intera non disprezzando l’aiuto di Mosca che ha in patria problemi notevolissimi con la minoranza mussulmana giacché “i nemici dei miei nemici sono miei amici “.

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POLITICA INTERNAZ.

L’Islam attacca ovunque dove può by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 luglio 2016

Se si esaminano gli avvenimenti di questi mesi con occhio acuto appaiono evidenti alcuni elementi: il diffondersi degli attacchi degli integralisti a tutti gli oppositori; ìl fanatismo degli attentatori, “a prescindere” dal livello socioculturale degli stessi;

la cesura esistente tra Sunniti e Sciiti che, peraltro, non fa scemare complessivamente il numero degli attacchi;

la non riduzione del flusso dei profughi dall’Africa e dal Medio-Oriente verso l’Europa; l’assenza di una politica efficiente in materia ad opera dei Governi occidentali (Stati Uniti compresi). Occorre dar atto al Governo Italiano di aver posto chiaramente il problema della necessità di uno sforzo coordinato dell’Occidente ma, fino ad ora, sembra una “vox clamantis in deserto”. Ad accrescere la preoccupazione sull’avvenire c’è la presenza in Europa di milioni d’immigrati di fede islamica. Che succederebbe se il fanatismo si diffondesse tra di loro? Avremmo uno stato di guerriglia urbana in tutti i principali paesi europei? L’islamizzazione dell’ Europa a quel punto inizierebbe ?

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

Il gravissimo problema europeo attuale: il flusso dei profughi by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 giugno 2016

La costruzione europea rischia di crollare a causa delle divisioni tra i Governi per quanto riguarda la politica da adottare o, in alcuni casi, già adottata, in questa materia. Ne abbiamo già scritto su questo foglio alcuni mesi fa intitolando l’articoletto “Finis Europae?”. Era agevole formulare l’interrogativo che ci sembra stia per avere, purtroppo, una risposta affermativa. Complici anche le non lontane elezioni tedesche, il termine vicino del mandato del Presidente degli Stati Uniti, il prossimo referendum britannico circa l’uscita o meno dall’Unione Europea, si continua a tracheggiare.

Va detto a merito del nostro Primo Ministro che il nostro Premier ha posto recentemente in maniera chiara il problema sul tavolo degli altri Governi. Verrà ascoltato o ci si limiterà a formulare dichiarazioni di buona volontà cui non seguiranno iniziative concrete? Certo alcuni Governi avvertono il problema in maniera meno acuta in quanto più lontani, geograficamente, di altri da esso ciò non di meno alla lunga non possono credere di esserne esenti. Se l’Unione Europea dovesse disfarsi le conseguenze socio-economiche negative sarebbero gravissime, infatti, si ripercuoterebbero, in varia misura, su tutti i cittadini europei. Inviare aiuti finanziari e – occorre non nascondersi dietro un dito- intervenire militarmente in loco è l’unica scelta razionale possibile. “Si vera sun exposita”(= Se sono vere le cose esposte ) ci si consenta di concludere con un’altra citazione latina (i Romani erano profondi conoscitori delle vicende umane): “Suspicienda quidem bella sunt ob eam causam, ut sine iniura in pace vivatur” (= Si debbono intraprendere le guerre per la sola ragione di vivere senza disturbi in pace, Cicerone, “De off., I, 12,35). “Concordia res est in rebus maxime adversis utili (= la concordia è specialmente utile nelle avversità-P. Licinio).

SAGGI

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Adonis, Violenza e Islam by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 21 maggio 2016 Recensione del saggio pubblicato dalla “Biblioteca della Fenice”

nel dicembre 2015 -pagg.187 Si tratta di un saggio, a nostro parere, di notevolissimo interesse, sotto forma di una conversazione tra Ali Ahmad Sai id Esber,pseudonimo “Adonis”, uno dei più importanti poeti ed intellettuali del mondo arabo, nato in un villaggio siriano nel 1930, laureato in filosofia a Damasco, che risiede a Parigi, e Houria Abdelouahed, docente all’Università “Paris Diderot”, psicanalista e traduttrice. L’intervistatrice pone una serie di quesiti ad Adonis sul problema della violenza nel mondo islamico alle quali l’intellettuale siriano risponde, fornendo indicazioni storiche e testuali tratte dal Corano nonché citazioni letterarie che brillano, secondo noi, per chiarezza e precisione. Secondo Adonis per comprendere il pensiero islamico in generale occorre tener presente che per i Mussulmani la “rivelazione ” comporta la “perfezione” talchè tutto ciò che viene “prima” e “dopo” di essa deve essere respinto. Ogni cambiamento, che rappresenta una diversificazione dei principi di base del credo, deve essere rifiutato. Ogni deviazione dalla via tracciata dall’Islam deve essere condannata e deve essere punita drasticamente (“Non lasciare nella terra dei Negatori vivo nessuno” v. Corano,vers. 71. 26). In siffatti casi la violenza non viene percepita come tale in quanto la si considera un trionfo dell’Islam e del volere divino. E’ lecito quindi affermare che la violenza è intrinseca all’Islam e non il frutto degli epigoni del Profeta. A’bu Huraya cita un “hadith” (parole attribuite a Maometto) che spiega il versetto 22,19,22 del Corano (=”Ma per quelli che lo rinnegano saranno tagliate vesti di fuoco e versata sarà sul loro capo acqua bollente che corroderà quel che hanno nel ventre e la pelle e saranno frustati colà con fruste di ferro ed ogni qualvolta vorranno, afflitti da agonia, uscire di lì, saranno ricacciati al grido “gustate il tormento del fuoco bruciante”) in questo modo: “Il fuoco viene versato nel cranio. L’attraversa ed arriva fino alla gola. Aprendo la gola scende fino ai piedi. Quindi ricomincia da capo” (v.Tabari, “Tarekh- Cronache”). L’elenco delle citazioni potrebbe continuare ma quanto detto ci pare sufficiente ad indicare i fondamenti storicoteologici della violenza nell’Islam che viene mitigata dalla “misericordia” (la “rahamd”) unicamente se vi é la sottomissione “assoluta” all’Islam ed ai suoi precetti.

POLITICA INTERNAZ.

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L’Unione Europea è in grave pericolo by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 maggio 2016

Dopo la catastrofe del secondo conflitto mondiale statisti illuminati compresero che un’organizzazione europea interstatale avrebbe contribuito efficacemente a scongiurare altre guerre. Furono cosi’ costituite la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, prima, poi la Comunità Economica Europea e l’Euratom. Grazie a tali istituzioni ed alle regole che vennero poste i paesi membri fruirono di un periodo di pace e di progresso lungo e ragguardevole. Nell’ultimo anno ci sono gravissimi segnali di un disfacimento di tale organismo: la Gran Bretagna potrebbe uscire, il principio della libera circolazione delle persone all’interno della C.E.E. è stato subordinato agli interessi degli Stati dell’ Europa Settentrionale, sotto la spinta di Berlino si è promesso ai Turchi di considerare la loro adesione all’Unione Europea. All’origine di tutto ciò: la situazione del Medio Oriente, dell’Africa Centro -Settentrionale ed i conseguenti flussi migratori. Si tratta di situazioni drammatiche ma, ad un esame “pacato animo”, non irrisolvibili. Qualche migliaio di soldati e bravi diplomatici potrebbero risolvere il problema libico. Nell’Africa sub-sahariana con programmi d’aiuto “ben amministrati ” (cioè non consentendo ai politici locali di arricchirsi) la situazione potrebbe migliorare sì da ridurre il flusso di migranti verso l’Europa. Certamente senza accordi internazionali, segnatamente con la Russia e gli Stati Uniti, e senza l’invio di truppe sotto l’egida delle Nazioni Unite non si riuscirebbe nell’intento. Tutto ciò necessiterebbe uno sforzo finanziario ma quale sarebbe il prezzo della fine dell’Unione Europea? Il problema -gravissimo- è che non si scorgono Statisti all’altezza. Ci sembrano tutti interessati unicamente al loro orticello elettorale. E, ahinoi !, “dum Romae consulitur Saguntum expugnatur ” (= mentre a Roma si discute Sagunto viene espugnata ; T.Livio “Hist. 1,21,7).

ECONOMIA

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La sicurezza dei depositi bancari by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 maggio 2016

Un’economia sana si basa su un sistema bancario solido. Se si verificano ammanchi o si registrano prestiti di notevole importo non onorati vien meno la fiducia dei risparmiatori verso l’istituto di credito in cui hanno depositato i propri risparmi. Per evitare il verificarsi di tali inconvenienti è necessaria una vigilanza rigorosa e costante ad opera degli organismi a ciò preposti.

Ovviamente gli amministratori non devono intrattenere pericolose relazioni con i fruitori di prestiti.

Abbiamo l’impressione, da semplici osservatori, che negli ultimi casi di crisi chi di dovere non si sia troppo adoperato nella prevenzione e nel controllo. Ci viene in mente una battuta che, salvo errore , avrebbe pronunziata il grande economista britannico John Maynard Keynes (1883-1946 ) : “Rapinare una banca è un crimine ma fondarne una è un delitto di maggior gravità”. Dopo di che è opportuno tacere perché l’odio dei banchieri può avere la memoria lunga e “Pecunia omnia effici possunt” (=ogni cosa è possibile con il danaro – Cicerone – In Verrem; 2,3,63).

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

L’Europa nella trappola turco-tedesca by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 aprile 2016

Non è necessario essere un acuto conoscitore di problemi internazionali per comprendere che la visita al campo profughi di Gazantiep, in Turchia, della Cancelliera Merkel, del Presidente del Consiglio UE, Tusk e del vice-Presidente della Commissione UE, Timmermann, abbia come scopo quello di continuare a persuadere il Presidente della Repubblica turca del suo interesse a bloccare l’esodo dei profughi medioorientali verso i paesi del Nord-Europa.

In questo modo (così spera probabilmente Frau Angela) gli elettori di quei paesi non faranno mancare i voti alla Cancelliera ed ai suoi alleati sia in patria che

nei paesi vicini.

Non è neppure da escludere che in occasione di detta visita le autorità ottomane richiedano, (ovviamente nel corso dei colloqui confidenziali) altri aiuti finanziari all’Europa e la promessa di accelerare l’adesione della Turchia all’Unione Europea. In tal modo Berlino otterrebbe un duplice risultato: ridurre l’esodo in corso verso i suoi lidi e sviarne il prossimo flusso verso il Mediterraneo. Il disfacimento dell’Unione Europea sarebbe poi cosa quasi inevitabile ma quel che interessa alla bionda signora è restare al potere! Quando si ha un ideale…. D’altra parte la Germania ha distrutto in altri tempi l’Europa per ben due volte e -come dicevano i Romani – “omne trinum perfectum”.

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CULTURA, POLITICA NAZ.

Il contributo del governo all’islamizzazione dell’Europa

tedesco

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 17 aprile 2016

ll Governo tedesco, guidato dalla signora Merkel, sta contribuendo all’islamizzazione dell’Unione Europea.

La gentile Cancelliera, nel tentativo di frenare il flusso di profughi dal Medio Oriente e, nel contempo, onde fugare l’accusa d’insensibilità verso il dramma di quei derelitti, ha pensato bene di promettere al “democratico” Governo di Ankara un aiuto comunitario di 3 miliardi di Euro per aiutare gli esuli ed il sostegno all’adesione della Turchia all’Unione Europea.

Altra finalità è stata, probabilmente, quella di avere mano d’opera istruita per l’industria germanica dato che maggior parte dei profughi proviene, in quell’area, dalla Siria. Subito però il democraticissimo Erdogan ha chiesto ed ottenuto il raddoppio degli aiuti. E’, inoltre, di questi giorni la notizia che la Cancelliera ha dato il suo benestare , malgrado il dissenso di altri membri del suo governo, a che il comico tedesco Ian Boehrmann, accusato dall’esecutivo turco di aver offeso , durante una trasmissione satirica, il capo dello Stato Erdogan, venga processato in Germania (per fortuna non da un tribunale turco) per offesa ad un capo di Stato. Se venisse accertata l’offesa il povero Boehrmann potrebbe venir condannato a trascorrere alcuni mesi nelle patrie galere. Cosa non farebbe, d’altronde, la gentile Cancelliera per accontentare il c.d. Sultano? E così il processo d’islamizzazione dell’Europa farebbe un altro passo anche, se “simbolico”, in avanti. D’altra parte non ci si deve meravigliare: la Cancelliera è una navigatrice senza troppe remore etiche. Il padre, forse, le ha fatto da maestro, dato che da pastore luterano andò dall’allora Germania Occidentale nella Germania Est ad esercitare il suo ministero, ottenendo -“cosa del tutto inusuale all’epoca” – di potere, di tanto in tanto, rientrare nella Germania Occidentale. La giovane Angela ha militato nel partito democristiano che era “tollerato” , come gli altri partiti non comunisti di quello Stato, purchè fossero ligi alle direttive di quel Governo (uno dei più fedeli a Mosca) e ciò per dare la parvenza dell’esistenza di una certa democrazia. Dopo l’unificazione divenne la beniamina di Kohl di cui però agevolò la caduta e ne prese il posto. “Mors tua vita mea”!

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

“Not in my backyard” (= “Non nel mio cortile”) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 16 aprile 2016

Credo che questo dovrebbe essere il motto (che é in uso oltre Atlantico per manifestare la volontà di non venire coinvolti in iniziative non condivise) che hanno, in pratica, adottato vari Governi europei per quanto riguarda i flussi di profughi che giornalmente arrivano dall’Africa settentrionale e dal Medio Oriente in Europa. Le frontiere di vari paesi membri dell’Unione Europea si stanno, infatti, chiudendo.

In un nostro scritto, ospitato da “Cartalibera” il 1 febbraio del crt. anno dal titolo “Il problema dei profughi. Finis Europae?”, manifestammo il timore del disfacimento dell’Unione Europea in seguito a questo enorme problema che non si vuole affrontare “in radice”. Purtroppo non ci sembra che ci sbagliammo . . .ma era facile la previsione! Occorrerebbe intervenire con mezzi adeguati (forze armate, aiuti “ben” organizzati) alle fonti del problema. A tal fine sarebbe necessaria una volontà politica coesa europea con l’aiuto degli Stati Uniti. L’impresa non è, ovviamente, agevole ma continuando in questo inane modo il problema non sarà risolto e gli oneri finanziari non scemeranno. Ci vorrebbero, però, statisti all’altezza e non politicanti interessati solo a quel che accadrà alle prossime elezioni nel loro “backyard”. L’orizzonte è molto scuro perchè abbiamo l’impressione che i nostri reggitori europei siano obnubilati sì da andare verso la rovina (Quos vult perdere Iupiter dementat prius = Giove fa prima uscir di senno coloro che vuol rovinare)!

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POLITICA NAZIONALE

LE STYLE EST L’HOMME MEME by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 aprile 2016

Lo stile è lo stesso uomo. Questo detto, diventato una locuzione piuttosto comune, figura nel discorso pronunziato in occasione della “Réception à l’Académie de France”, nel 1752, dello scienziato Georges Louis Leclerc de Buffon. E’ indubbio che lo stile, in senso lato, di una persona è indicativo, in larga misura, del carattere della stessa. Oltre all’abbigliamento il frasario di una persona fa parte dello stile e ne rivela, in genere ,il carattere. Quando la c.d. classe dirigente e gli artisti non hanno remore nell’usare parole volgari rivelano il deterioramento dei costumi di un popolo. E’ quel che – a nostro avviso – si può riscontrare giornalmente scorrendo la cronaca giornalistica e guardando i programmi televisivi. Un ultimissimo esempio: “seì” le registrazioni giudiziarie delle telefonate della signora Guidi, Ministro per lo Sviluppo Economico, sono veritiere il livello dell’eloquio della gentildonna rivaleggia con quello in uso nei bar meno eleganti del contado. “O tempora o mores”!

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POLITICA INTERNAZ.

L’UNIONE SUICIDIO

EUROPEA

VERSO

IL

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 31 marzo 2016

I disastri causati dall’ultimo conflitto mondiale spinsero nel dopoguerra i principali paesi dell’Europa occidentale alla creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, prima (1951), e nel 1958 all’istituzione della Comunità Economica Europea (la C.E.E). Questa, grazie ai successi ottenuti, si è man mano allargata tanto che ora ne fanno parte ben 28 Stati. Gli indubbi progressi conseguiti si sono tradotti in benessere per le popolazioni degli Stati membri ed in stabilità anche se, in questi ultimi anni, a causa delle differenze economico-sociali presenti tra i paesi aderenti ed al loro numero, che rende macchinoso il processo decisionale, i problemi sono aumentati.

Il fenomeno, drammatico, del flusso dei rifugiati dal Medio Oriente e dall’Africa Settentrionale e dal Sud del Sahara verso i nostri lidi rischia di far crollare l’edificio comunitario. Ne scrivemmo su questo foglio il 28 febbraio 2011 (Si arresteranno i flussi migratori o sarà la “finis Europae?”). I Governi Europei, debolmente spalleggiati da Washington, non riescono, infatti, ad elaborare una politica efficace (che a nostro avviso non può che essere di tipo – purtroppo – militare) che si prefigga l’eliminazione “in radice” delle cause del triste fenomeno. La Cancelliera Merkel, nei mesi scorsi, ha pensato bene di ostacolare l’arrivo di migliaia di profughi dalla Siria e paesi limitrofi sulle coste turche e da là a quelle greche con destinazione prevalente la ricca Germania sollecitando, in occasione di una visita ad Ankara, l’aiuto della Turchia, paese amico di Berlino già dalla fine dell’Ottocento ed alleato nel primo conflitto mondiale e promettendo non solo un aiuto finanziario da parte dell’Unione Europea (3 miliardi di Euro) ma anche l’appoggio per la richiesta del Governo turco, che risale al 14 aprile 1987, di adesione alla Comunità Europea. La Turchia, peraltro, è associata alla C.E. fin dal 12-9-1963 (Trattato di Ankara). Qualche tempo dopo Erdogan ha chiesto un raddoppio del “dono ” cioè ha preteso 6 miliardi di euro per aiutare i rifugiati. I maligni sospettano che l’appoggio di Berlino sia stato ispirato da modesti interessi di bottega della Cancelliera ovvero respingere l’accusa d’insensibilità al dramma dei profughi privilegiando. però, quelli che fuggono dalla Siria e vanno in Turchia perchè i Siriani sarebbero quelli più culturalmente evoluti e, per conseguenza, maggiormente utili alla macchina industriale germanica. Il sostegno promesso per l’adesione turca all’Unione Europea si è subito tradotto in un incontro tenutosi a Bruxelles tra i Ministri dell’UE e quelli turchi il 29 novembre 2015 cui è seguita il 18 marzo 2016 una “Dichiarazione

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Congiunta” (Vedi il testo in allegato) alla quale la stampa non ha però dato molto risalto ma che ci sembra molto impegnativa. In essa, infatti, è stato stabilito un “calendario” approssimativo per trattare i punti più rilevanti sotto il profilo economico-finanziario in sospeso onde completare il processo di adesione (v. punto 8 della Dichiarazione Congiunta). Al punto 5 della “Dichiarazione” si stabilisce l’accelerazione della “liberalizzazione ” dei visti nei confronti degli Stati membri con l’obiettivo di abolire l’obbligo del visto per i cittadini turchi entro giugno 2016 “al più tardi”. Il che significa, in pratica, il libero ingresso di cittadini turchi (ben circa 90 milioni!) nello spazio europeo, primo non improbabile passo per la richiesta della concessione del “diritto di stabilimento ” che è insito nelle normative europee. Ma occorre anche tener presente che i c.d. Turcofoni ovvero i cittadini dei vari Stati dove si parla il turco – circa 90 milioni – (ad es. Azerbajan, Kazakistan, Uzbekistan etc.) e che fanno parte del Consiglio di Cooperazione dei paesi turcofoni creato nel 2009, fruiscono di alcune agevolazioni per ottenere il visto per entrare in Turchia. In un domani Ankara, una volta ottenuta l’adesione, potrebbe chiedere l’estensione ai Turcofoni dei diritti di cui fruirebbero i propri cittadini nell’ambito dell’ Unione Europea. E grazie al numero l’islamizzazione dell’Europa sarebbe inevitabile. Si verificherebbe così quanto avrebbe auspicato il sultano turco Bayazid dopo la vittoria, il 25 settembre 1396, a Nicopoli sull’esercito cristiano guidato da Sigismndo d’Ungheria, composto da cavalieri francesi, dell’Ordine di Rodi, dell’Ordine di Malta e Cavalieri dell’ Ordine Teutonico: “Il mio cavallo mangerà la sua avena sull’altare di San Pietro a Roma”.

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POLITICA NAZ.

Quale sarà il prossimo obiettivo degli attacchi degli integralisti mussulmani? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 marzo 2016

Fin dal 2012 (v. Cartalibera del 24 settembre) segnalammo il pericolo.

Analizzammo poi le origini dottrinarie e storiche del fenomeno (v. ibidem del 4-7- 2015 e del 29-11-2015) e non mancammo in altri scritti d’invitare i Governi Occidentali ad interventi decisi laddove infuriava la guerra generatrice dei flussi di profughi e dell’esodo dei Cristiani dal Medio Oriente.

Ma fummo una delle tante “voces clamantes in deserto”. Ricordando gli attentati più clamorosi perpetrati dagli integralisti nei paesi occidentali (Nuova York, Madrid, Parigi, Bruxelles) emerge chiara una strategia: colpire le capitali dei paesi più importanti. Chi manca nella lista? Roma e Berlino. L’Urbe è il simbolo della Cristianità ,Berlino quello della potenza industriale del nostro continente. A Roma si sta celebrando solennemente l’anno della misericordia. Un attentato nella città eterna avrebbe quindi una risonanza “mondiale”. Ci auguriamo ” vivissimamente” che gli organi di polizia italiani e stranieri collaborino in maniera estremamente efficace per sventare l’eventuale pericolo!

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POLITICA INTERNAZ.

“Ed il massacro continua…” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 15 marzo 2016

Ogni giorno leggiamo di naufragi nel mare prospiciente le coste turche o quelle italiane. I contrabbandieri turchi o libici continuano ad arricchirsi. I Governi balcanici e quello austriaco chiudono le frontiere.

Ankara utilizza i poveri fuggiaschi come arma d’ignobile ricatto onde strappare all’Unione Europea ancora aiuti pecuniari e l’adesione alla Comunità Europea forse promessa a quattrocchi dall’ ineffabile Cancelliere in

occasione della sua visita nella capitale turca. Tempo fa scrivemmo che stava arrivando, a causa dei flussi dei profughi, la “finis Europae”. Fummo facili profeti? Ci auguriamo di sbagliarci ma occorre agire e non trastullarsi in una serie di sterili “vertici” se non si vuole il crollo della costruzione europea ed altre vittime innocenti. Il costo di una spedizione in Libia e di un rafforzamento della tregua in Siria è inferiore -a conti fatti – alla catastrofe che si sta delineando. Speriamo che trovi attuazione l’esortazione ciceroniana:”In duobus malis, cum fugiendum maius sit, levius est eligendum” (=Tra i due mali , quando vi sia modo di scansare il maggiore ,si deve scegliere il minore”,v. “De offic.”,1,35).

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POLITICA INTERNAZ.

Lettera dall’Iraq (3) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 12 marzo 2016

Gentile giorgio, Il viaggio in Iraq della scorsa settimana sembra lontano. Eppure è già il momento, per tutto noi, di fare qualcosa di concreto per tutte le persone che abbiamo incontrato laggiù, persone perseguitate per la loro fede cristiana. http://www.citizengo.org/it/pr/33404-genocidiodi-cristiani-da-parte-dellisis

Il Parlamento Europeo, qualche settimana fa, ha deliberato ufficialmente la denominazione di “genocidio” riguardo alle violenze subite dalle minoranze religiose dal cosiddetto “Stato Islamico”. Si tratta di una tragedia che vede migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati, oltre che di atrocità quotidiane e disprezzo per i più elementari diritti umani. Il patrimonio storico e culturale dei cristiani e delle altre minoranze religiose sta per essere letteralmente cancellato. Città come Mosul, al momento, non ospitano più neppure un cristiano. La comunità internazionale non più far finta di niente di fronte a tutto questo. Bisogna riconoscere la natura genocida di quanto sta accadendo. Infatti, secondo il diritto internazionale, si definiscono genocidio “i crimini commessi con la intenzione di distruggere del tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, di razza o religione” (Statuto di Roma). Il riconoscimento del genocidio non è solo un fatto teorico: obbliga gli Stati ad intervenire per contrastarlo, e li obbliga a difendere le comunità colpite e a giudicare i responsabili in sedi internazionali. Si tratta di un primo necessario passo per l’intervento della comunità internazionale. Firmando questa petizione, chiedi al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di Ginevra di adoperarsi per chiedere il riconoscimento del genocidio dell’ISIS contro i cristiani e le altre minoranze religiose. http://www.citizengo.org/it/pr/33404-genocidio-di-cristiani-da-parte-dellisis Dopo aver firmato, come sempre ti invio a condividere la petizione con i tuoi contatti. Abbiamo promesso ai cristiani perseguitati iracheni che, tornati in Europa, avremmo lavorato con ancora più impegno per difendere i loro diritti. Possiamo farlo ora, con una semplice firma. Grazie di cuore della tua partecipazione. Matteo Cattaneo e tutto il team di CitizenGO

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POLITICA INTERNAZ.

Armiamoci e, forse, partiremo by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 marzo 2016 • 1 Comment

Sembra questa la tacita parola d’ordine dei vari Governi occidentali in relazione alla gravissima situazione del Nord Africa. Tutti paiono ormai sempre più convinti della necessità di un intervento armato ma pochi hanno deciso di farlo in maniera massiccia e coordinando le forze.

Sembrano cioè attendere che gli altri facciano il primo passo. Per ora ci si limita ad inviare dei commando.

Gli Stati Uniti mostrano di essere i meno interessati dato che hanno chiesto al nostro paese di guidare l’eventuale coalizione indicando perfino l’ammontare del nostro contingente come si fa con i paesi vassalli e dichiarando, comunque, che il loro intervento sarebbe stato aereo anzi solo con i “droni”. Gli attacchi aerei sono utili ma non essenziali quando si ha a che fare con formazioni di guerriglieri e, spesso, provocano vittime innocenti fornendo in tal modo, indirettamente, un sostegno all’ISIS. In quadro molto complesso, dove gli interessi delle varie formazioni libiche sono contrastanti (ad es. il controllo degli enormi capitali libici ufficiali frutto delle entrate derivanti dagli idrocarburi che si trovano depositati all’estero) possono giuocare un ruolo determinante – se bene impiegati – i servizi segreti. Questi, però, non dovrebbero agire ciascuno per conto proprio ovvero quelli francesi, quelli britannici, quelli italiani etc. e prefiggendosi esclusivamente obiettivi nazionali. Certo è una partita difficilissima da giuocare ma solo agendo di comune accordo si può sperare di conseguire qualche risultato. Altrimenti c’è il rischio che le varie fazioni libiche continuino a combattersi tra loro finchè non prevarrà la più agguerrita e fanatica cioè l’ISIS ed allora saranno altri guai per l’Europa segnatamente per il nostro paese. Quel che spaventa a questo proposito ci sembra l’assenza di veri statisti a capo dei governi europei e la scarsa concordia tra i reggitori. Vale rammentare a questo riguardo il monito di Tacito “Rebus turbatis malum extremum discordia”(v.Ann.4,50,I = “nelle civili agitazioni l’estremo male è la discordia”).

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

Lettera dall’Iraq (2) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 marzo 2016

Ciao giorgio, TI scrivo dall’aeroporto di Sulaymaniyya. Tra poco sarò di ritorno in Europa dopo questi 5 giorni di permanenza in Iraq. Ancora una volta, voglio condividere con te e con tutti i nostri iscritti le esperienze più significative di questi giorni.

?Venerdì 26 febbraio? ?Arcivescovo Mosa (Mar Mattai)?Il monastero di Mar Mattai (San Matteo) è a 3 km dall’area controllata dallo Stato islamico. Si sentono continuamente colpi di mortaio. Ma i sette monaci ortodossi del monastero non ci pensano proprio ad andarsene: oltre a rappresentare un presidio spirituale e umano, ospitano famiglie di rifugiati e hanno un progetto importante per fornire lavoro ai cristiani della zona, così da non farli andare via. Ancora una volta, la nostra donazione non sembra davvero bastare. L’arcivescovo Mosa ci ringrazia per il sostegno, per l’impegno a difesa dei cristiani perseguitati iracheni, ci dice di sentirsi solo, a volte, con così tante gente da aiutare proprio al confine con il Daesh.? ?Waffaa (Mar Mattai)?Durante la visita al monastero incontriamo Waffaa, una ragazza cristiana di Mosul ora rifugiata ad Erbil. I miei colleghi l’avevano incontrata in un viaggio precedente, e allora chiacchieriamo di cose come l’università, i programmi per la serata, i colleghi che lei conosce rimasti in Europa, cercando di essere leggeri. Ma a un certo punto, non so bene come, lei inizia a parlare di Mosul, di come tutto era diverso, di non so che attentato mentre andava a scuola in pullman (è molto scossa e il suo inglese si fa difficoltoso), ci mostra la foto della cattedrale e ci guarda in silenzio come per scusarsi. Allora il mio collega Pablo, così per consolarla, le dice: “Quando Mosul sarà liberata, faremo una festa. Io posso suonare il piano e Matteo la chitarra. OK?”. E allora succede qualcosa di incredibile: Waffaa si rasserena subito e ci chiede con impazienza: “È una promessa?”. Lo avevamo detto così per dire, ma a questo punto le rispondo “Sì, è una promessa”. Ora so che tornerò in Iraq. Canteremo e faremo festa nella Mosul liberata. Io la chitarra non la so suonare bene, ma bisogna imparare. E bisogna farlo in fretta.

Sabato 27 febbraio Sam (Sitek)?Il campo rifugiati di Sitek, a pochi chilometri da Sulaymaniyya, è un’altra grande impresa di padre Jens (ti ho parlato di lui nella mia email precedente). Decine di famiglie sono ospitate nei container del campo, i bambini sono scolarizzati e alcuni rifugiati hanno trovato lavoro fuori dal campo. Sam lavora nel suo container come parrucchiere. Si offre di tagliarmi i capelli e, nel contempo, mi dice di essere di Mosul, dove aveva un negozio di barbiere, dove aveva clienti cristiani e musulmani. Ha lavorato per un periodo in Turchia e ora, a differenza di Waffaa, non ci pensa proprio a tornare a Mosul. Nel suo futuro vede solo l’Europa.? ?Michel (Sitek)?HazteOir, la nostra organizzazione gemella che opera in Spagna, ha pagato l’operazione chirurgica agli occhi di Michel, che troviamo in buona forma dopo il ritorno al campo: il diabete gli aveva causato problemi alla vista, ma ora tutto sembra sotto controllo. Anche Dunya, una ragazza di 27 anni sposata con Sam e con tre figli, avrebbe bisogno di

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operarsi: ci mostra gli esami insieme a Weezam, il responsabile della clinica del campo. È stato emozionante vedere la gratitudine di Michel (mi ha abbracciato commosso, sa che ci sono degli spagnoli che hanno pagato la sua operazione e credo che per lui Spagna o Italia non faccia differenza). Sarei felicissimo se potessimo aiutare anche Dunya. Davvero.? ? ?Domenica 28 febbraio??Manar (Sulaymaniyya)?Durante tutti gli spostamenti di questi giorni, ci fa da autista Weesam, un rifugiato ospitato a Sulaymaniyya con la sua famiglia. La moglie Manar ci racconta la loro vicenda. Sono originari di Qaraqosh, città a maggioranza cristiana nei pressi di Mosul. A pochi giorni dall’invasione dell’ISIS tutti i cristiani fuggono, ma non suo padre, che non vuole abbandonare la sua casa e la sua città. Il fratello decide di rimanere con lui. I miliziani del Daesh quando occupano la città lasciano andare gli anziani, ma trattengono i pochi giovani rimasti. Il padre ha raggiunto il Kurdistan, mentre del fratello non si hanno più tracce. Manar conclude così “La colpa è di mio padre, se mio fratello è stato rapito.” Come darle torto? Ma, d’altra parte, come dare torto a suo padre, che non ha voluto fuggire e vivere da rifugiato abbandonando tutto???Diana (Sulaymaniyya)?Nel pomeriggio vogliamo regalare un momento di felicità ai bambini del campo, che vivono in condizioni ovviamente difficili anche dal punto di vista affettivo, e così portiamo tutti in un piccolo parco divertimenti della città. Diana avrò 12 anni; a scuola ci va, ma il curdo non lo sta imparando molto; i suoi genitori avevano un ristorante a Mosul, sono scappati e hanno perso tutto; ci dicono che non fuggono in Europa solo perché hanno paura che nel viaggio succeda qualcosa alle bambine (Diana ha due sorelline). Credo che i bambini del campo si ricorderanno per molto di questa giornata, ma d’altra parte domani noi partiamo e si torna alla normalità. Diana se ne accorge quando ci vede preparare le valigie in serata: prima sembra offesa, poi cerca di convincerci ripetendo come una cantilena “No Europe!”. Alla fine ci saluta con un po’ di emozione, ma tutto sommato sembra felice: le abbiamo detto che torneremo e sarà così. Come ti dicevo sopra, abbiamo fatto una promessa: c’è una festa che ci aspetta, con tutti loro, quando Mosul sarà libera.

C’è molto altro da raccontare su quanto abbiamo vissuto. Ma è meglio farlo tra qualche giorno, a mente fredda. Ora non è ancora il momento di ricordare e di riflettere.??Nel frattempo, ti invito a guardare e condividere questo video riassuntivo, che racconta brevemente molti dei momenti più intensi di questo viaggio. Grazie davvero di cuore per quello che fai per far succedere tutto questo. Siamo (ancora per poco) in Iraq solo grazie a (e solo a nome di) i nostri iscritti, che partecipano alle nostre iniziative firmando e diffondendo le nostre petizioni e sostenendo economicamente il nostro lavoro quotidiano a difesa della libertà religiosa e degli altri valori che ci stanno a cuore e i nostri progetti di aiuto umanitario, come quelli riguardanti i rifugiati iracheni.? ?Un abbraccio,? ?Matteo, Alvaro, Luis, Pablo, Eduard, Miriam e Jaime da Sulaymaniyya (Iraq) e il resto del team di CitizenGO*

P.S.2: La spedizione di CitizenGO continuerà nei prossimi giorni con due membri del nostro team. Ti terrò aggiornato sui loro incontri e sulle testimonianze che raccoglieranno nei prossimi giorni.

*(Lettera di Nome Mittenye a Giirgio Castriota)

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

Lettera dall’Iraq by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 marzo 2016

Ciao, TI scrivo dall’Iraq, dove mi trovo con altri 6 addetti di CitizenGO. Voglio condividere con te alcuni appunti presi durante gli incontri con molti cari amici, persone a cui stiamo portando il sostegno economico e la solidarietà di tutti i nostri sottoscrittori.

Ti invito di cuore a leggere queste nostre esperienze e a farle tue, perché esse sono possibili solo grazie alla partecipazione e all’impegno tuo e di tutti i cittadini attivi di CitizenGO da tutto il mondo. Mercoledì 24 febbraio

Padre Jens (Sulaymaniyya) Siamo accolti nel monastero di padre Jens a Sulaymaniyya, nel nord dell’Iraq (regione del Kurdistan iracheno). Padre Jens, membro della comunità monastica di Mar-Musa fondata da Padre Paolo dall’Oglio (ormai da due anni e mezzo nelle mani dell’ISIS) che si dedica al dialogo interreligioso tra cristianesimo ed islam in quest’area. Padre Jens ha fondato il monastero di Sulaymaniyya alcuni anni fa ed aveva il progetto di costruire un centro culturale per studenti, ma l’arrivo dei rifugiati ha cambiato tutto. Ora si occupano dell’accoglienza e delle necessità delle decine di famiglie di cristiani che hanno raggiunto la città. L’integrazione di questi sfollati è difficilissima, a causa della religione (il Kurdistan è a maggioranza musulmana) e della lingua (parlano arabo, e non curdo). Padre Jens, nonostante tutto quello che vive ogni giorno, continua a credere nel dialogo e nella possibilità di una convivenza civile tra le religioni. Questo mi ha davvero impressionato. Monsignor Mirkis (Kirkuk) CI spostiamo a Kirkuk, a 20 chilometri dal territorio controllato dall’ISIS, per incontrare il vescovo monsignor Mirkis. Ci spiega che questa guerra, così giocata dai sui media digitali e su internet, è difficilissima da interpretare, e che il cosiddetto Stato Islamico è ancora forte, più di quanto crediamo. La diocesi ha un progetto ambizioso per aiutare le migliaia di cristiani rifugiati nella zona, ma per ora ha potuto far fronte solo alle molte necessità immediate. Accetta con vera gioia la nostra donazione, da parte di tutti i nostri sostenitori, e ci spiega come utilizzerà i fondi per assistere gli sfollati e per il suo progetto di scolarizzazione. Rispetto all’anno scorso, quando lo abbiamo incontrato al nostro congresso WeAreN a Madrid, monsignor Mirkins è ancora più determinato: ad ascoltare tutte le sue idee e i suoi piani futuri di aiuto, quasi ci scusiamo per non poter donare di più, ma lui ci rincuora: “Non vi preoccupate che non sia sufficiente, Gesù ci insegna che ogni cosa donata è sufficiente.” Ci saluta mostrandoci il suo araldo vescovile e il suo motto: “Non avere paura, mio piccolo gregge”. Fatma (Kirkuk) Una piccola comunità ortodossa siriaca di Kirkuk ci invita alla celebrazione eucaristica e alla cena di inizio della Quaresima. Una famiglia di rifugiati è ospite della casa parrocchiale: la signora Fatma è a letto e ci accoglie con emozione (aveva conosciuto alcuni miei colleghi qualche mese fa). Suo figlio è stato rapito dall’ISIS e non se ne

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hanno notizie da molte settimane. Ci parla gridando, ma con un filo di voce. Il traduttore è in difficoltà, ma non è difficile capire cosa vogliono dirci Fatma e la sua famiglia (la nuore e i tre figli). Pregheremo per loro, quello sì, ma non posso non chiedermi: facciamo abbastanza per queste persone? Yousif (Kirkuk) La diocesi di Kirkuk, proprio per dare un futuro all’Iraq, sovvenzione un programma di alloggio per 400 (”anzi, 395”, si corregge mons. Mirkis) giovani universitari di varie religioni e provenienti per lo più dall’aerea di Mosul, impossibilitati a proseguire gli studi nella loro città a causa della guerra. Visitiamo due alloggi studenteschi, spiegando quello che facciamo per (cercare di) aiutarli e per far conoscere la loro situazione in Occidente. Le studentesse parlano poco, sembrano molto intimidite.. Gli studenti, dopo qualche battuta sul calcio e sulle ragazze, ci confidano qualcosa delle loro (poche, a dir la verità) speranze per il futuro loro e del Paese. Al momento di salutarci, Yuosif, il più allegro del gruppo, con un tono malinconico quasi ci prega “Rimanete qui stanotte, facciamo festa”. Non possiamo proprio, domani andiamo ad Erbil. Giovedì 25 febbraio Padre Douglas (Erbil) Raggiungiamo uno dei campi di container di rifugiati cristiani più grandi della città, gestito da padre Douglas. La sua biografia è davvero incredibile (è stato sequestrato e tenuto prigioniero per un mese dai terroristi islamici a Baghdad e ha subito torture che, dopo la liberazione, l’hanno costretto a letto per quasi un anno) e, probabilmente anche per questo, non potrebbe dirci niente di più lontano da quanto espresso da padre Jens: non vede spiragli di dialogo con l’Islam, dice che i “suoi cristiani” non vorranno tornare a Mosul neanche dopo la caduta dell’ISIS, perché “dopo l’ISIS, saranno perseguitati da qualcun altro”, considera la presenza dei cristiani come l’unico possibile fattore di pace nella lotta tra “i due lupi”, ovvero i sunniti e gli sciiti. “In Europa si parla di genocidio dei cristiani,” aggiunge “ma genocidio è una parola fin troppo educata. Significa un evento che accade una volta e poi basta. Qui il genocidio è sistematico. Nel 1915 i cristiani armeni subirono il massacro da parte di turchi; ci hanno messo 100 anni per riconoscerlo. Io e i miei cristiani non abbiamo a disposizione altri 100 anni”. Alla fine, dice qualcosa di straordinario: “Le istituzioni internazionali devono capire che, quando l’ISIS cadrà, le altre minoranze vorranno vendicarsi, e lo faranno contro qualsiasi musulmano, perché non hanno i concetti di amore e perdono.. Noi cristiani no. Noi non giochiamo al gioco dell’odio. Il problema dei musulmani non è con noi, è tra loro e i loro demoni, perché ci considerano demoni. Ma noi non abbiamo problemi con loro. Noi non lo odiamo, perché così faremmo il loro gioco. Noi li amiamo comunque, li perdoniamo comunque”. Parole fortissime e belle e vere, considerando il suo vissuto. Monsignor Warda (Erbil) Come ci aveva dimostrato in precedenti incontri in Europa, l’arcivescovo caldeo di Erbil è meno diplomatico di monsignor Mirkins. “Non ho mai sentito le autorità musulmane chiedere perdono per quello che fa l’ISIS”, ci risponde, quando gli chiediamo la sua opinione sull’Islam moderato e sullo Stato Islamico. Aspetta con impazienza un intervento militare contro l’ISIS, che possa porre fine a questo orrore e possa permettergli di lavorare alla ricostruzione della sua comunità, soprattutto in termini umani. Ti scriverò tra qualche giorno per renderti partecipe di altri momenti che stiamo vivendo qui. Grazie di cuore, da parte mia e di tutte le persone che mi stanno ringraziando in questi giorni, per rendere possibile tutto questo. Per firmare e diffondere le nostre iniziative a difesa dei cristiani perseguitati e a promozione della libertà religiosa. Per il tuo sostegno economico che ci permette di portare avanti le nostre attività e di inviare aiuto umanitario ai cristiani perseguitati in aree critiche, proprio come stiamo facendo in queste ore in Iraq. Un abbraccio, Matteo, Alvaro, Luis, Pablo, Eduard, Miriam e Jaime da Erbil (Iraq) e il resto del team di CitizenGO*

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CULTURA

“FECISTI PATRIAM MULTIS GENTIBUS UNAM” (=Facesti un’unica patria alle diverse genti) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 marzo 2016

Questo verso (63) é contenuto nel Libro I del componimento in distici elegiaci “De reditu suo” di Claudio Rutilio Namaziano. Questi nacque in Gallia (forse a Tolosa) nel V* secolo d.C. da nobile famiglia romana (suo padre, Lacanio, fu governatore di Tuscia ed Umbria), fu “Praefectus urbis” nel 414 d.C. Nel 415 o nel 417 d.C. fu costretto a rientrare nei suoi possedimenti in Gallia, provincia devastata dall’invasione dei Goti. Il viaggio via mare, dato che le vie consolari erano diventate insicure, descritto nel sopracitato poema (dalle foci del Tevere a Luni) contiene interessantissime informazioni sui luoghi con ricordi eruditi e l’esaltazione della grandezza di Roma, ormai decaduta. Abbiamo citato il verso che figura nel titolo perchè sintetizza mirabilmente quel che nel corso dei secoli Roma era riuscita a compiere. Basterà solo ricordare che San Paolo rivendicò la propria cittadinanza romana. Le invasioni barbariche distrussero la costruzione civilizzatrice compiuta dall’Urbe. Nell’ultimo dopoguerra si è cercato di riunificare i popoli dell’Europa Occidentale ma la costruzione comunitaria si sta rivelando fragile talchè ci sembra, ahinoi, improbabile che si realizzi quel che orgogliosamente rivendicava nel suo verso Rutilio Namaziano.

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POLITICA NAZ.

DAGLI AMICI MI GUARDI IDDIO CHE’ DAI NEMICI CI PENSO IO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 febbraio 2016

Questo antico proverbio si attaglia perfettamente al caso del controllo delle conversazioni telefoniche e dei messaggi del nostro Governo ad opera dei servizi segreti degli Stati Uniti, La cosa non deve meravigliare perchè i Servizi Segreti fanno il loro mestiere “anche” nei confronti dei paesi amici. Se poi essi sanno di non avere a che fare con Governi pronti ad ostacolarli “duramente” agiscono senza remore. E’ il caso del nostro paese. Occorre perciò mettere in atto tutti i mezzi per dissuaderli (ad es. controllo stretto dei diplomatici ed esperti a vario titolo delle varie rappresentanze diplomatiche presenti sul nostro territorio. Solo a Roma ce ne sono tre cioè presso il nostro Governo, la F.A.O., il Vaticano). I segnali debbono essere inequivocabili perché, come recita un proverbio francese, “les bons comptes font les bons amis” (=i conti precisi fanno sì che si rimanga amici). Piu’ complicato e grave ci appare, se appurato, in questo campo il caso dell’utilizzo della conoscenza delle conversazioni governative onde favorire pressioni da parte di Governi c.d. amici (con l’ausilio, forse, di esponenti istituzionali), onde far cadere il governo Berlusconi. Una Commissione d’inchiesta parlamentare s’impone per fugare ogni dubbio in proposito! Insomma stiamo parlando di “Peior serpentibus Afris” cioè di ambienti dove si aggirano “serpenti peggiori di quelli d’Africa” (=Orazio, Satire 2, 8,,95).

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POLITICA INTERNAZ.

IL NOSTRO GOVERNO NON SA FARSI VALERE IN SEDE EUROPEA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 febbraio 2016

I tamburi di guerra renziani sono usati malissimo. Le frasi roboanti pronunziate dal nostro Primo Ministro contro l’Unione Europea risultano, a parere di chi scrive, del tutto inefficaci dato che non abbiamo tutte le carte in regola (ad es. elevato debito pubblico, problema della spesa delle Regioni, modestissimo tasso di sviluppo etc.). Sarebbe, per contro, molto più utile se si facesse presente alla Commissione dell’U.E. che i vessilliferi del rigore amministrativo e finanziario del l’Europa settentrionale fingono di non vedere il gravissimo pericolo insito nel sistema bancario tedesco (v. Deutsche Bank e banche regionali germaniche) che ha i conti in forte negatività.

Le competenti autorità tedesche dovrebbero iniziare la procedura per l’applicazione a tali istituti del meccanismo comunitario del “bail-in”. Il che, però, provocherebbe uno sconquasso finanziario non solo nell’economia germanica, con ripercussioni politico- sociali ragguardevolissime nella Repubblica Federale, ma in tutta la finanza europea. Ma Berlino non agisce.I motivi sono ovvii. Preferisce, probabilmente, accampando pretesti, che siano le finanze pubbliche federali a risanare le banche tedesche come peraltro già fatto in passato. Su questo “punctum dolens” dovrebbe il nostro Renzi far risuonare i suoi tamburi.

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

Il problema dei profughi. Finis Europae? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 febbraio 2016

AJDR91 Passport immigration control at Gatwick airport people stand in line L’esodo di centinaia di migliaia di persone dal Medio Oriente, dall’Africa Settentrionale e dai paesi al sud del Sahara ha messo a nudo le debolezze dell’Unione Europea.

La costruzione di questa organizzazione ha mietuto per un lungo periodo indubbi successi (libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali, aumento dello sviluppo economico dei paesi membri etc.).

Ora, però, i punti di fragilità sono venuti alla luce: ne fanno, infatti, parte troppi paesi aventi strutture economiche, sociali e politiche molto diverse che non sono, per conseguenza, in grado di reagire in maniera concorde ai gravi problemi che li affliggono. E’, invero, difficilissimo fare adottare misure efficaci da ben 28 governi. Sono, pertanto, emerse le differenze fino ad ora attutite dal benessere. A ciò si aggiunge il rischio che il Regno Unito, entrato per necessità e, quindi, di malavoglia, nell’Unione Europea, mantenendo sempre un forte legame con Washington (ha – per dirla non elegantemente – sempre tenuto un piede in Europa ed uno oltre Atlantico), potrebbe uscire dalla C.E.E. Se ciò accadesse potrebbe aversi un effetto “domino “sui paesi dell’Europa Settentrionale molto legati alla Gran Bretagna. Sarebbe la fine dell’Unione Europea. Per evitare ciò non c’è che una strada: cercare di eliminare le cause dell’esodo . Sarà un ‘impresa di notevolissima difficoltà che costerà investimenti ragguardevoli finanziari e in uomini. Tuttavia “Tertium non datur”. Il costo, in caso d’inerzia, sarebbe, infatti, per tutto l’Occidente (non solo per l’Europa) catastrofico: crisi economica, indebolimento della tenuta sociale, aumento della pressione dell’estremismo islamico sui nostri paesi. Occorre che i nostri governanti se ne rendano conto!

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

Gli eccessi renziani by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 gennaio 2016

Il nostro Presidente del Consiglio, dopo un inizio non disdicevole, preso da giovane baldanza e da una forte dose di spregiudicatezza, sta, a nostro giudizio, compiendo molti errori che potrebbe pagare cari. Non è utile ,ad es., attaccare il Presidente della Commissione U.E. Juncker, in maniera così virulenta, non tenendo conto dei vari punti di debolezza italiani ( ad es. debito, inchiesta comunitaria sugli aiuti all’ILVA, il problema delle quattro banche in fallimento). Che vantaggi poi -nel medio periodo – potra’ trarre da l volere” smaccatament” inserire in posti- chiave “solo” persone della sua cerchia” melius” se toscane ( v. ad es. Carrai per l’istituenda agenzia che dovrebbe gestire la protezione delle banche- dati e dei sistemi di comunicazione dello Stato e d il contrasto al terrorismo; la nomina di un deputato – Calenda-quale rappresentante permanente presso l’UE) e non provenienti dagli organici statali? Solo di inimicarsi l’alta burocrazia e -in caso di non successo dei suoi “diadochi” – di farsi attaccare a titolo personale? Ovidio scrisse: “Medio tutissimus ibis” (Andrai sicurissimo per la via di mezzo-v.Met.,2,137).

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

La scarsa volontà di lottare by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 16 gennaio 2016

Crediamo ormai inoppugnabile che una parte del mondo islamico abbia dichiarato guerra all’Occidente (compresi in tale accezione la Confederazione Russa e tutti gli stati considerati alleati dell’Occidente). Il che non ci meraviglia perchè(immodestamente) l’avevamo detto (v. i nostri numerosi scritti ospitati da questo foglio. V., ad es., da ultimo, “Attacco all’Occidente-Che fare?” del 23-112015). Auspicavamo – a malincuore – un intervento multilaterale in Siria. Ora il pericolo, specie per l’Europa meridionale e l’Italia in particolare, si è fatto sempre più vicino stante la situazione creatasi in Libia. I Governi occidentali sembrano però ancora incerti sul da farsi. Non paiono aver compreso che rischiamo di soccombere a causa della nostra pavidità. Se l’Isis s’impadronisse della Libia disporrebbe di risorse energetiche enormi e potrebbe ricattarci senza tener conto che una tale vittoria accrescerebbe il suo proselitismo tra i milioni di mussulmani di cui ben una quarantina vive in Europa . Ci vorrebbero Statisti all’altezza non dei politicanti quali ci appaiono gli attuali in tutto l’Occidente. Se i comandanti di un esercito non hanno chiara l a strategia ed hanno una tiepida volontà di pugnare le guerre sono, in genere, perdute. Ci auguriamo vivamente che non si concretizzi l’ammonimento ormai ben noto ricordato da T. Livio : “Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur” (= Mentre a Roma si discute Sagunto viene espunata).

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CULTURA

PENSIERINI DI FINE ANNO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 31 dicembre 2015

“Logorrea” dal greco “logos” (parola, discorso) e da “rea” (scorrere) s’intende la verbosità irrefrenabile talvolta patologica. “Megalomania” dal greco “megalos” (grande) e “mania” (pazzia) significa la tendenza a presumere esageratamente delle proprie possibilità economiche o intellettuali che si traduce in atteggiamenti e comportamenti di burbanzosa prosopopea. Sono difetti non infrequenti tra gli uomini di potere.

Il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non ne è affatto immune anzi li coltiva sempre più Dovrebbe tuttavia ricordarsi di quel che scrisse Cicerone: “Malim equidem indisertam prudentiam quam stultitiam loquacem” (= Invero preferisco una silenziosa prudenza ad una stoltezza loquace). “Captatio benevolentiae”= cercare di acquisire la benevolenza. E’ tipico degli uomini politici che necessitano del sostegno degli elettori ma i veri statisti adottano misure utili alla collettività non per avere una fuggevole gratitudine. Della seconda categoria ci sembra appartenere il c.d. bonus di 500 euro promesso agli studenti italiani al fine di accrescerne la cultura. Non è dato sapere se tale elargizione sia sottoposta a condizioni. Ad es. reddito famigliare modesto e / o meriti scolastici. Se, per contro, fosse lasciata al “libito” dei beneficiari si potrebbero conseguire effetti negativi ad es. la somma potrebbe essere spesa in divertimenti. Ci sorge il dubbio che la decisione sia stata adottata in vista delle elezioni amministrative che si terranno in vari ed importanti centri nel prossimo anno. A questo sospetto il nostro Matteo Renzi uscirebbe con la ben nota frase degli uomini politici nostrani:” Sono basse insinuazioni cui non vale la pena di rispondere”.

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POLITICA NAZ.

L’ AFFAIRE BANCARIO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 dicembre 2015

Si attribuisce al grande economista J.M.Keynes questa battuta: “Rapinare una banca è un crimine ma fondarne una è un delitto di maggior gravità”. All’origine di due crisi economico-finanziarie a livello mondiale (quella del 1929 e la più recente generata dal fallimento della banca Lehman) c’è il sistema bancario statunitense non controllato adeguatamente.

E’ indubbio che gli istituti di credito siano essenziali per il sistema economico.

Ne costituiscono la linfa vitale e proprio per questo debbono essere sottoposti ad una continua e rigorosa sorveglianza da parte degli organismi pubblici a ciò deputati. In Italia spetta “in primis” alla Banca d’Italia esercitare un tale, importantissimo controllo ma non sempre l’istituto centrale è stato, a nostro parere, all’altezza dell’arduo compito affidatogli. Chi ha buona memoria ricorderà che il Governo fu costretto nel dopoguerra a ricapitalizzare “ope legis” il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Cassa Vittorio Emanuele Orlando a motivo di gestioni scellerate. E a pagare furono i contribuenti. Come venivano amministrati in quel periodo detti istituti era noto al volgo ma l’istituto di via Nazionale evidentemente-non ne era a conoscenza. I recenti fatti riguardanti quattro istituti italiani sembrano dimostrare che la Banca d’Italia ed il Ministero dell’Economia non hanno operato al meglio. L’istituto centrale aveva – è vero – commissariato alcune di queste banca m a sembrerebbe tardivamente e soprattutto non ha lanciato seri avvertimenti – in generale a tutti i risparmiatori- circa l’alto rischio connesso con certe operazioni. Il Governo, essendo a conoscenza della situazione delle quattro banche – che non è un fatto di ieri- non avrebbe dovuto accettare la normativa comunitaria che penalizza in caso di estreme difficoltà i depositanti delle sopraricordate banche. Chi conosce “de visu” come operano a livello comunitario i nostri rappresentanti non si meraviglia peraltro di ciò perchè il coordinamento tra le varie amministrazioni italiche lascia molto a desiderare. “Chi è causa del suo mal pianga se stesso” e anche nel caso “de quo ” a piangere saranno -purtroppo- in larga misura . gli innocenti risparmiatori. Si troverà, tuttavia, qualche disposizione in base alla quale, alla fine, tutti gli organismi competenti hanno fatto a tale proposito del loro meglio. Ci viene in mente a questo punto quanto saggiamente scrisse Tacito : “Corruptissima in repubblica plurimae leges” (= In uno Stato corrottissimo numerose sono le leggi).

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CULTURA, LAVORO

L’INSTABILITA’ NEL MONDO DELLE RELAZIONI INDUSTRIALI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 dicembre 2015

Forse dalla crisi economica l’Italia sta lentamente uscendo ma non ci sembra che l’atmosfera in materia di relazioni industriali sia ottimale. E’, infatti, stato proclamato uno sciopero degli addetti ai trasporti urbani di Roma venerdì 4 dicembre che ha paralizzato l’Urbe proprio prima del c.d. Ponte dell’Immacolata. Non è di buon auspicio per l’imminente Giubileo. Sorge il dubbio che i sindacati vogliano riaffermare il loro potere forse perché stanno avvertendo la flessione degli iscritti. Il movimento sindacale in Italia ha avuto molti meriti ma, probabilmente, i difetti sono stati nel corso degli anni maggiori. In estrema sintesi : i meriti: ha combattuto forme ignobili( e non del tutto scomparse) di sfruttamento dei lavoratori ; ha promosso l’introduzione di norme di tutela contrattuale e previdenziale dei prestatori d’opera e di regole di salvaguardia nei processi produttivi etc.; i demeriti: per molti anni i sindacati di sinistra hanno operato per cercare di far adottare i programmi del P.C.I. volti ad introdurre un sistema produttivo ispirato ai principi marxisti o, per lo meno, per aumentare la presenza dello Stato nell’economia che ha generato sprechi del pubblico danaro incalcolabili. Occorre infine rammentare che sia i sindacati che le organizzazioni degli imprenditori non hanno mai voluto che si seguisse l’esempio della Germania e di altri paesi dell’Europa settentrionale che hanno creato un meccanismo volto a risolvere le controversie prima che sfocino in scioperi cioè la c.d. “Cogestione”. Nel 1976 dopo lunghi negoziati il Governo guidato dal socialdemocratico H. Schmidt ma con l’appoggio della C.D.U. riuscì a far approvare una legge che-in breve- prevedeva la partecipazione dei lavoratori attraverso i loro rappresentanti sindacali alla gestione delle imprese con più di 500 dipendenti. La legge indicava gli argomenti di decisione sui quali i rappresentanti -eletti dai dipendenti-dovevano essere informati e fornire la loro approvazione. Il che doveva avvenire nell’ambito dei Consigli di Sorveglianza dove seggono in numero paritario rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro. Tali Consigli sono presieduti da una personalità il cui voto, in caso d parita’ dei suffragi espressi dai rappresentanti sindacali e di quelli delle imprese, vale doppio.

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Le delibere di questi organi hanno influenzato nel corso degli anni le decisioni dei Consigli di Amministrazione e consentito, evitando scioperi, la firma di accordi collettivi importanti. Con modalità parzialmente (ma non sostanzialmente) diverse il sistema germanico è stato adottato in Svezia, nei Paesi Bassi e nella Repubblica Ceca. In Italia sia i sindacati che le organizzazioni rappresentative delle imprese non si sono mostrate. fino ad ora, interessate ad introdurre un tale meccanismo. I motivi sono, probabilmente, a mio avviso, i seguenti: le imprese italiane sono in genere di taglia non ragguardevole e senza un azionariato diffuso cioè c’è ancora un padrone che non desidera che i sindacati vengano troppo a conoscenza dei suoi programmi; i sindacati non desiderano assumere responsabilità anche se indirette, nella gestione aziendale per poter liberamente criticare e “rivendicare” dato che,in fondo ,l’imprenditore è pur sempre un avversario se non un bieco sfruttatore dei dipendenti. Questo atteggiamento di entrambe le parti ci sembra miope segnatamente ove si consideri l’attuale difficilissima congiuntura e la presenza di paesi a noi concorrenti che fruiscono di un clima di relazioni industriali se non idilliaco almeno accettabile. I sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro italiani dovrebbero ricordare quanto scrisse P. Licinio: “Concordia res est in rebus maxime adversis utilis” (= La concordia è, specialmente nelle avversità, utile).

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

Bat Ye’ Or: “Verso il Califfato Universale” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 novembre 2015

Bat Ye’ Or (in ebraico significa “figlia del Nilo”) è lo pseudonimo di Gisèle Litman, nata al Cairo nel 1933 da una famiglia israelitica, esule in Gran Bretagna, ha poi acquisito la cittadinanza inglese e vive a Londra. E’ un’esperta delle comunità etnico-religiose nei paesi islamici e di Islam.. Ha, tra l’altro, scritto un saggio, pubblicato prima negli Stati Uniti poi in Francia quindi in Italia(sempre da Lindau), che ha riscosso notevole interesse: “Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana,antioccidentale,antisemita” (è stato recensito su questo giornale l’8 dicembre 2006 da Roberto De Mattei), in cui, traendo lo spunto dalle furibonde reazioni in tutti i paesi mussulmani alle caricature pubblicate a fine settembre 2005 sul giornale danese “Jyllen Posten”, denunzia la notevolissima pressione, esercitata in varie forme, con la quale il “jhad”culturale cerca d’imporre all’Europa la visione islamica della storia,della civiltà,della politica. Qualsiasi tesi divergente da tale visione viene,infatti,tacciata di islamofobia ed è giudicato blasfemo perfino l’osare ricordare i “testi sacri” citati dai Fondamentalisti. L’Europa sembra essere acquiescente e non disposta a difendere le libertà fondamentali,i diritti umani ed i tesori scientifici ed umanistici propri della sua civiltà che dovrebbero essere considerati patrimonio comune dell’umanità intera. L’Europa e, in realtà, tutto l’Occidente si stanno in tal modo avviando al suicidio. E’ la tesi, in fondo, avanzata vari anni fa, lucidamente e per prima, da Oriana Fallaci nei suoi libri che, però,venne giudicata, ovviamente, dagli esegeti di sinistra come razzista e,per conseguenza, non “politically correct”. Lo strumento principale ed iniziale per ottenere la resa dell’Europa viene individuato nel saggio “Eurabia” nell’associazione D.E.A. – “Dialogo Euro-arabo” costituita a Parigi nel luglio 1974 con finalità economiche, politiche, culturali per il vantaggio reciproco dei paesi della Comunità Europea e quelli arabi che si affacciano sul Mediterraneo. In seguito e grazie a questa iniziativa furono creati centri culturali arabi in Europa per diffondere la lingua e la cultura araba e favorite politiche per l’immigrazione in Europa dai paesi arabi mediterranei. Segui’ la Conferenza di Barcellona del 1995 che creò il progetto di Partenariato Euro-Mediterraneo ed altre iniziative in tale direzione. Nel volume che forma oggetto di questa recensione Bat Ye’ Or riprende l’argomento analizzando con dovizia d’informazioni quella che ritiene sia la strategia in atto da anni sotto l’abile regia della “Organizzazione della Conferenza Islamica” -O.C.I. – (istituita nel 1969 rappresenta 57 paesi e piu’ di un miliardo di persone) per l’islamizzazione non solo dell’Europa ma del mondo intero. (Di qui il titolo). Perseguire questo obiettivo, secondo l’autrice, è un obbligo coranico (v. Corano XXXIV, vers, 28 e, aggiungeremmo noi, Corano XLVII). Essa osserva anche che per i Mussulmani il forte impegno o lotta -il jihad- nel seguire la via di Allah per diffondere la sua legge che può concretizzarsi anche nello scontro bellico, è un’azione di pietà e di giustizia oltre che un dovere di obbedienza religiosa. Chi ostacola l’islamizzazione di un paese – cioè chi pratica

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altra religione – è il vero responsabile della guerra giacché se non si opponesse alla conquista non ci sarebbero le guerre e gli eccidi che ne derivano. Se ci si conformasse al richiamo della vera fede (“dà wah”), convertendosi o sottomettendosi, la pace regnerebbe sovrana. Da qui anche la convinzione che la “jihad” nel significato di guerra sfugga a qualsiasi forma di biasimo poiché costituisce un dovere ed un atto di sottomissione alla volontà di Allah. I veri colpevoli delle guerre sono quindi i miscredenti perché resistono alla volontà di Allah costringendo i mussulmani a combatterli. Nella concezione islamica la Terra è un bene appartenente ad Allah (un “wakf”) ed è stato promesso alla comunità mussulmana affinché essa vi faccia regnare l’ordine islamico rivelato dal Profeta. Riappropriarsi di questo bene attraverso la “jihad” fa sì che tale guerra sia, pertanto, da considerarsi giusta e legittima. In una tale visione religioso-politica le conquiste sono, per conseguenza, reputate persino un beneficio per le popolazioni vinte dato che dalla sconfitta deriva loro la possibilità di convertirsi. Nei paesi islamici le popolazioni non mussulmane (gli infedeli detti “Kuffar”) “possono” – non è un diritto – fruire della “dhimma” cioè della protezione delle autorità mussulmane. Il che le poneva, ovviamente, in una posizione “de facto”, se non sempre di diritto, di soggezione nei confronti dei Mussulmani. status che l’autrice chiama, con felice neologismo, di “dhimmitudine” e di cui parleremo piu’ avanti. Dato che attualmente le guerre di conquista dei territori non mussulmani non sono praticabili l’O.C.I. avrebbe, secondo la Bat Ye’ Or, escogitato una strategia sottile ed insidiosa che prevede iniziative di vario tipo. Innanzi tutto la pressione politico-economica sui governi occidentali attraverso l’arma delle forniture energetiche e degli scambi commerciali. Con tale ricatto cerca di ottenere altri vantaggi. Favorire, ad es., i flussi migratori verso l’Europa e, conseguentemente, grazie all’elevato tasso d’incremento delle nascite, che è proprio delle famiglie mussulmane, la costituzione di comunità islamiche consistenti sul nostro continente. A questo proposito ci piace citare quel che sembra abbia detto un Iman: “Vi (= Voi Europei) vinceremo grazie alle vostre leggi (N.d.r. permissive) e al ventre delle nostre donne”. Sotto il profilo numerico in Europa, d’altronde, già vivono stabilmente diecine di milioni di Mussulmani. In Italia, secondo le ultime proiezioni, il numero degli immigrati regolari raggiungerebbe nel 2010 i 5 milioni. Nel 2008 gli immigrati regolari di religione mussulmana avrebbero dovuto, in base a nostri calcoli, aggirarsi, come minimo, sulle 765.000 unità corrispondenti al 23 % c.a. della popolazione straniera residente al 1° gennaio 2008. (3.432.651 per i primi 50 paesi). Tale percentuale risulterebbe quasi certamente più elevata ove si conoscesse la provenienza dei 650.000 clandestini che un’indagine condotta dalla Fondazione ISMU l’anno scorso per conto de “Il Sole-24 -Ore “dice fossero sul territorio italiano(v.pag.3 dell’edizione del 20 luglio crt.a. di tale quotidiano). Viene inoltre favorito anche il proselitismo religioso. Nel nostro paese i neofiti mussulmani sarebbero già 50.000 circa. Si fa poi leva sugli intellettuali, le varie associazioni per il dialogo euro-arabo e le O.N.G., utilizzando a tal fine i sempre graditi appelli alla lotta al razzismo e ad ogni forma di discriminazione, onde introdurre il concetto di “multiculturalismo”, nozione questa che – è bene ricordarlo- non viene accettata dalle società islamiche. Queste, infatti, professano, al contrario, la superiorità dei propri valori (v. Corano, III, vers.110). Questo obiettivo è stato in gran parte raggiunto giacché il Parlamento Europeo ed il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea approvarono le proposte della Commissione dell’Unione Europea per il Dialogo Interculturale per l’anno 2008. In forza dell’art.19 della relativa Decisione fu stabilito che la Comunità potrà intervenire

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nei programmi d’informazione e di educazione dei giovani in materia di lotta all’esclusione sociale degli immigrati e di integrazione dei medesimi. Di maggiore rilevanza è stata l’approvazione, il 4 e 5 maggio 2004, da parte dei Ministri degli Affari Esteri dell’Unione Europea, dell’insediamento di un’Assemblea Parlamentare Euro-Mediterranea che tenne la sua prima sessione al Cairo il 12 e 15 marzo 2005. Nella dichiarazione finale di questa prima tornata assembleare venne affermato, tra l’altro, che ciascun paese partecipante aveva il diritto di scegliere e sviluppare “liberamente” il proprio sistema politico, socio-culturale e “giudiziario”. La “sharia” veniva così legittimata. Era quello uno degli obiettivi dell’O.I.C. ovvero il permettere che nelle comunità islamiche all’estero si potesse applicare la legge coranica.. Il che si è puntualmente verificato in Gran Bretagna (“favente” lo stesso Primate della Chiesa d’Inghilterra!). Nel 2007, infatti, è stata ufficialmente riconosciuta nel Regno Unito la “sharia “ come fonte di diritto in materia di divorzio, eredità e-si noti bene- violenze nell’ambito della famiglia. Ora sarebbero operative oltremanica almeno 40 Corti islamiche cui fanno ricorso in materia di controversie civili e commerciali, per ottenere stante la rapidità delle procedure, decisioni arbitrali anche non mussulmani. (v. “Il Corriere della Sera” del 22 luglio crt.a.., pag.16). Numerosi sono anche i risultati conseguiti dall’O.C.I. in altri fori internazionali (Alleanza delle Civiltà, U.N.E.S.C.O., Consiglio d’Europa,. Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, Organizzaz. Mondiale per il Turismo etc.) che sono elencati ed analizzati nel libro “de quo” ma non possiamo passarli in rivista per ragioni di spazio. Da quanto si è cercato di esporre, in maniera necessariamente sommaria, ci sembra emerga un quadro preoccupante : l’Europa in primo luogo ma, forse, anche gli altri paesi dell’Occidente (v. la Russia ), se non reagiranno, correranno fortemente il rischio, sotto la pressione esercitata in vario modo (ricatto energetico e commerciale, attentati, immigrazione, proselitismo), di cadere tra non molti anni in quella che l’autrice, come sopra ricordato, chiama la “dhimmitudine” cioè uno stato di sottomissione. A questo punto qualche cenno s ’impone su questa materia. L’istituzione della “dhimma”, il patto di protezione concluso con le autorità islamiche, trae la sua origine in un versetto del Corano (IX, vers.29) ed ebbe la sua prima, pratica applicazione quando Maometto, sconfitta la tribù ebrea di Khayban, un’oasi situata a settentrione della Mecca, concesse ai vinti di restare in loco a condizione di consegnare annualmente ai Mussulmani la metà dei loro prodotti. Venne progressivamente applicata, anche s e con modalità e rigore di contenuti diversi, ai popoli sconfitti in tutti i territori conquistati. Rimase in vigore nell’impero ottomano fino alla metà del XIX ° secolo quando quel governo fu costretto, su pressione delle potenze europee, ad attenuare progressivamente le condizioni di discriminazione in cui i soggetti fruenti della protezione (i c.d.” dhimm”) versavano. I “dhimmi” erano, infatti, tenuti non solo a pagare un tributo, la “jizya”, ma sentirsi (e mostrare in vari modi di esserlo) sottomessi. Sotto questo secondo aspetto essi erano giuridicamente e socialmente posti in una posizione d’inferiorità notevole nei confronti dei Mussulmani. Non era, infatti, consentito loro di fare proseliti tra i Mussulmani pena la morte,di avere relazioni sessuali con una Mussulmana o sposarne una, le loro testimonianze e giuramenti non valevano nei confronti di Mussulmani, se un Mussulmano uccideva un “dhimmi” non poteva essere condannato a morte ma solo ad una pena pecuniaria, i tribunali dovevano, in materia di matrimoni, divorzi, eredità, giudicare i “dhimmi” in base alla legge coranica, la costruzione di templi non era sempre permessa –dipendeva dal trattato di protezione- ed era proibita ai “dhimmi” pubblicare o vendere letteratura non islamica.

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Anche ora nella prassi ma spesso anche nel diritto questo stato di subordinazione dei non mussulmani persiste nei paesi islamici. Conclusivamente non possiamo non condividere il forte timore dell’autrice che l’Occidente, se non reagirà prontamente, possa cadere nel giro di non molti anni in una sorta di “dhimmitudine”. La lettura di questo libro è, perciò, da raccomandare a chi vuole ancora che l’Occidente conservi i propri diritti di libertà conquistati nel corso di secoli. Lo dovrebbero in particolare leggere i parlamentari e gli uomini di governo che, sotto la pressione, spesso, di interessi commerciali di breve momento, non riescono ad avere una visione di più ampio respiro e perciò ad attuare politiche che tutelino le identità nazionali. Questo invito alla lettura è rivolto, ovviamente, anche ai nostri governanti (specie Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri) che si mostrano così favorevoli al dialogo arabo-mediterraneo e all’adesione della Turchia all’Unione Europea. Ai quali sommessamente ci permettiamo di ricordare due detti latini: “Ante coscientiae consulendum est, quam famae” = Si deve pensare prima alla coscienza che alla fama (Velleio Patercolo, Hist., l..2, c.115); “Timeo Danaos et dona ferentes” = Temo i Danai anche se portan doni (Virgilio, Eneide). Editore: Lindau (Torino) – Maggio 2009 – Pag.214; prezzo: 18 euro

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

“VENIAM NECESSITATI DARI” (=E’ indispensabile piegarsi alla necessita’ – v. Cicerone, “De officiis”, 2, 16, 56). by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 ottobre 2015

Pare evidente che contrastare efficacemente l’integralismo islamico in Medio Oriente ed in Africa Settentrionale sia un’impresa drammaticamente ardua anche perché le forze estremiste possono contare su terroristi anche in Europa.

Gli Stati Uniti, guidati da un presidente a fine mandato non sembrano determinati ad un intervento efficace anche in considerazione del fatto che il teatro operativo è lontano geograficamente e, apparentemente, anche dai loro interessi.

I Governi europei sono, purtroppo, divisi circa la strategia da adottare e fino ad ora non hanno intrapreso nessuna azione concreta tranne, e con molti tentennamenti, lo schierare navi nel Mediterraneo per cercare di salvare i profughi. Chi, per contro, sembra aver compreso il da farsi è stato il Presidente della Federazione Russa, Putin, che, non per niente, esce da quella organizzazione spregiudicata ma realista che era il KGB. Le motivazioni che, presumibilmente, sono all’origine della decisione di Putin d’intervenire militarmente in Siria, paese dove si trova la sorgente del marasma medio-orientale, sono di due ordini: “in primis” il timore che il c.d. Califfato alimenti i movimenti integralisti islamici sul territorio russo, poi mantenere un a presenza della Federazione nel Mediterraneo. A chi scrive sembra che la prima delle due motivazioni sia stata quella prevalente. Stando ai dati reperibili (v. RotStat – Serv. Naz. Stat. Federazione Russa) nel 2012 circa 9, 4 milioni sarebbero i cittadini di fede mussulmana nella Federazione Russa pari al 6,5% della popolazione. Secondo altre stime tali dati sarebbero inferiori a quelli reali che si aggirerebbero, invece, sull’11,2 %. In genere l’Islam è la religione predominante o tradizionale tra alcune etnie caucasiche (segnatamente tra i Ceceni, gli Ingusci ed i Circassi) e tra le popolazioni turche (in particolare i Tartari ed i Baschiri). Le popolazioni mussulmane caucasiche, segnatamente i Ceceni, desiderose di essere indipendenti, hanno sempre rappresentato un problema per il governo moscovita fin dall’epoca zarista. Dopo il collasso dell’Unione Sovietica la Cecenia (1,2 milioni c.a ) ed il Tatarstan non vollero sottoscrivere il Trattato che nel 1991 aveva creato la nuova Federazione degli Stati indipendenti . Lo stesso anno i Ceceni proclamarono la loro indipendenza. Il che provocò le reazioni di Mosca e l’inizio, nel 1994, di un conflitto sanguinoso tra le forze legate al Governo federale, spalleggiate dall’esercito russo, e gli

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indipendentisti. La guerra provocò migliaia di morti tra la popolazione , i soldati ed i guerriglieri e fu caratterizzata anche da attentati in località estranee alla zona delle operazioni. L’area non è ancora del tutto pacificata perchè nelle zone settentrionali del Caucaso sono presenti focolai di guerriglia ed episodi di terrorismo anche in regioni limitrofe alimentati da combattenti per la jihad, molti provenienti anche dall’estero. Tenuto conto di tutto questo sembra miope l’atteggiamento del Governo di Washington e di altri paesi dell’UE che osteggiano l’intervento russo. Dovrebbero, per contro, concludere un accordo con Mosca per combattere insieme l’ISIS. “I nemici dei miei nemici sono i miei naturali alleati”. “Occorre fare di necessità virtù (per così dire)” come fecero gli alleati con l’allora URSS per battere il Nazismo. Poi si vedrà.

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POLITICA NAZ.

L’esodo dei Cristiani dal Medio Oriente. Una sciagura cui l’Occidente è insensibile by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 settembre 2015

In questi giorni si è levato “il grido di dolore” del Primate dell’antichissima Chiesa Cattolica Caldea (circa un milione di credenti disseminati tra Iraq, Siria e Libano), l’iracheno Louis Raphael I Sako,per l’esodo dei suoi fedeli verso l’Europa.

Il presule ha fatto presente che se tale emigrazione non verrà arrestata tra poco la presenza cattolica in quell’area sparirà. Ha perciò esortato caldamente i suoi fedeli a non emigrare.

Analogamente si espresse, nel Natale del 2013, Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia e di tutto il Medio Oriente. Forse non siamo ben informati ma non ci sembra che il Vaticano abbia appoggiato adeguatamente la presa di posizione dei presuli medio-orientali. Figuriamoci i Governi europei o quello statunitense! Con la sparizione dei cattolici in quella regione su quali alleati di sicura fede potrà contare l’Occidente per sconfiggere l’ISIS? Sull’ islamica Turchia il cui obiettivo primario è sbarazzarsi dei Curdi? Ci sembra che ai Governi occidentali, che non vogliono inviare soldati in quelle terre (i bombardamenti aerei si sono rivelati insufficienti se non controproducenti dato che, spesso, vengono uccisi civili innocenti) e rinviano le decisioni, giovi ricordare l’ammonimento di P. Siro: “deliberando saepe perit occasio” (=mentre deliberi spesso perdi l’occasione, Mimiambi,115,p.268).

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POLITICA NAZ.

“VIM VI REPELLERE LICET” (= E’ lecito respingere la violenza con la violenza) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 settembre 2015

E’ un antico principio, già presente nel “Digesto” giustinianeo ed accolto in tutte le legislazioni, in base al quale la violenza è giustificata, purchè diretta a difendere un diritto e sia proporzionale all’offesa. L’Impero Romano d’Occidente fu travolto dalle onde barbariche per varie ragioni (la corruzione, la crisi demografica etc.) ma soprattutto quando non seppe più opporsi validamente sul piano militare.

Gli ultimi a combattere per Roma furono -incredibile auditu- dei barbari romanizzati quale il valoroso Stilicone, un Vandalo, che tentò di opporsi con la forza all’avanzata degli Ostrogoti e a tal fine bandì’ in Italia una leva ma non trovò chi volesse arruolarsi e fu ucciso “in una Chiesa” per ordine del pavido Imperatore Onorio!

Mutatis mutandis ci sembra che in presenza di un attacco al cuore dell’Occidente ad opera dell’ISIS, che si serve del terrore anche per riversare sui nostri lidi migliaia di profughi, disponiamo solo di “Onori” ma non di “Stiliconi”.

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POLITICA INTERNAZ.

“DEUS DECIPIT PRIUS QUEM VULT DAMNARE” (GIOVE FA PRIMA USCIR DI SENNO COLUI CHE POI VUOL PORTARE ALLA ROVINA) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 30 agosto 2015

Questo detto latino ci sembra si attagli perfettamente al’ ignavia che fino ad ora ha caratterizzato i governi Occidentali, segnatamente il nostro, nei confronti della situazione della Libia. A poche ore di navigazione dalle coste siciliane, grazie al caos che regna in Libia, si sta concretizzando uno stato islamico ferocissimo.

Fino ad ora i Governi europei, segnatamente il nostro, non hanno dimostrato con i fatti di essere consapevoli del mortale pericolo che ci sovrasta.

L’ ISIS, infatti, ha un programma molto chiaro: dalle basi libiche e del Medio Oriente si prefigge l’ invasione dell’ Europa per islamizzarla servendosi del numero. Tra i profughi i Mussulmani sono numerosissimi e gia’ vivono in Europa circa 20 milioni di seguaci di Maometto che hanno dimostrato con attentati di non essere facilmente integrabili nelle nostre società. Il loro tasso di natalità è superiore a quello dei non musulmani. Occorre perciò arrestare L’ ISIS ora. A tale fine sembra necessario mettere in campo ” rapidamente ” una coalizione militare forte si’ da colpire le basi del’ ISIS è da cercare di ricostruire in Libia una parvenza di stato. E questo Onu permettendo e anche se non lo acconsente. Da oltre un anno il delegato delle Nazioni Unite, invero, cerca di far concludere un’ intesa di pace ai vari gruppi libici ma non ci è’ ancora riuscito. Se la coalizione vedrà’ la luce non troverà’- ci pare evidente- una strada pianeggiante davanti a se’ stanti: la vastità del territorio libico, la presenza di ben 150 tribù, di tre diverse etnie (gli Arabi, i Berberi di cui fanno parte i nomadi Tuareg, i Tebu’, anch’ essi dediti al nomadismo, d’ origine sub-sahariana), le numerosissime armi del disciolto esercito di Gheddafi in circolazione. Secondo alcuni esperti militari, per avere qualche probabilità di successo la coalizione dovrebbe disporre di almeno 200.000 uomini. In tale contesto i servizi segreti, soprattutto quelli italiani che conoscono meglio il paese, sarebbero chiamati a svolgere un’ importantissima azione. Quel che è certo è che perdurando nel’ atteggiamento dello struzzo si perderebbe.

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

“Epater les bourgeois” (= far colpo sulla gente) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 luglio 2015

I nostri reggitori credono, evidentemente, che gli convenga utilizzare termini di altre lingue (melius se la lingua è l’inglese perchè suona “più tecnico”) per impressionare i giornalisti e gli elettori. Di qui i termini “job act” (in italiano” legge per l’occupazione”) e “spending review” (=revisione della spesa). Il che dimostra una mentalità provinciale di bassissima lega.

Immagino il discorso che fece il Ministro dell’Economia ai propri collaboratori quando proclamò l’intenzione di procedere, stante lo stato disastroso dei nostri conti pubblici, alla “revisione della spesa”, atto fondamentale nella nostra situazione. “Occorre procedere alla revisione della spesa pubblica e far sì che la decisione abbia notevole risonanza sulla stampa ed i canali televisivi”. Al che un collaboratore che conosceva bene l’inglese: “Eccellenza! Mi perdoni! Se chiamassimo l’iniziativa: Spending review?” “Bravo! Mi sembra un’ottima idea per dare rilievo alla cosa”. Poi disse ai collaboratori più fidati :”Non sarà facile ma l’importante è “apparire” sulle pagine dei giornali. Tanto, se ce la faranno a portare a termine l’impresa, sarà compito dei prossimi Governi. Io nel frattempo potrei anche essere al Quirinale”. Parole -se pronunziate- profetiche tranne l’auspicio di insediarsi sul colle Quirinale. Sono passati, infatti, ben tre Governi e tre Commissari sono stati nominati per rivedere la spesa pubblica ma i tagli non si sono visti anzi il debito pubblico si aggira sui 2230 miliardi di euro pari a circa 130 % del nostro P.I.L. “Allegria!” direbbe a questo punto il bravo Mike Bongiorno.

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

LA MANCANZA DI PROTEZIONE DEI CITTADINI ITALIANI ALL’ESTERO DA PARTE DELLO STATO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 luglio 2015

Il ” peso” di uno Stato nei fori internazionali si misura non solo, ovviamente, in base alla forza economica dello stesso ma anche all’atteggiamento che assume ogni qualvolta siano coinvolti gli interessi, maggiori o minori, del paese e i propri cittadini. Sotto questo secondo aspetto l’Italia è carente talora in maniera eclatante.

Due recenti esempi di estrema gravità:

Il caso dei due marò trattenuti per oltre due anni in India senza accuse precise probabilmente per ragioni di politica locale e, forse, sacrificati dai nostri reggitori per interessi di natura commerciale. Solo ora si è fatto ricorso al lodo arbitrale internazionale previsto in siffatti casi;

Quello dell’imprenditore italiano recluso e” torturato” nelle prigioni della Guinea Equatoriale anch’egli per un biennio con il pretesto di aver denunziato per operazioni poco chiare il suo socio d’affari, figlio del presidente. Si noti che il nostro paese ha concesso negli anni’ 80′ la ristrutturazione del debito estero guineano nell’ambito degli accordi multilaterali del c.d. Club di Parigi e, in parte, glielo ha condonato. Non ricordiamo che a Gran Bretagna, Francia, Germania, Spagna siano accaduti episodi analoghi. Successe agli Stati Uniti all’inizio dell’avvento al potere di Khomeini in Iran ma non abbiamo memoria di torture. Il fatto è che quei Governi sanno farsi rispettare anche perchè impartiscono chiare istruzioni ai propri rappresentanti. Il che spesso non avviene da noi. I risultati sono, però, quelli sopra ricordati!

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

DUE VASCELLI I CUI TIMONIERI SI STANNO RIVELANDO, A VARIO TITOLO, DEGLI INCAPACI. IL CASO GRECO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 11 luglio 2015 •

Il vascello governativo greco è stato condotto fino ad ora nel pelago del problema del debito dell’Ellade in maniera estremamente maldestra. Invece di dare l’impressione ai propri interlocutori di voler affrontare con la dovuta serietà il gravissimo problema Tsipras ed il suo ministro dell’Economia si sono comportati come se si trovassero a negoziare in un mercato medio-orientale esibendosi in tenute spavalde valide, forse, per comizi dell’estrema sinistra. Non hanno, oltretutto, tenuto conto della mentalità di tipo luterano della maggior parte dei loro interlocutori e degli elettori dei medesimi. Avrebbero, per contro, dovuto-a nostro avviso- adottare un atteggiamento di comprensione nei confronti dei paesi creditori senza tuttavia mancare di far presente che negli ultimi cinque anni Atene ha tagliato la spesa ed introitato imposte equivalenti al 30% del P.I.L. e, soprattutto, che per ogni euro di finanziamenti il Governo greco riceve meno del 20% dato che il resto va ai banchieri ed obbligazionisti ( in genere europei) senza contare che la richiesta avanzata dal F.M.I. e sodali di un aumento dell’IVA avrebbe colpito le attività commerciali elleniche, segnatamente il turismo, che rappresenta l’asse portante dell’economia del paese. Dall’altra parte del tavolo non sembra vi sia stata la capacità di volare un pò più alti cioé di pensare che la posta in gioco è non solo la moneta unica ma la costruzione europea insidiata da forze critiche sempre più attive (v.il referendum inglese alle porte). Ma la Merkel, Hollande ;Renzi non hanno la stoffa di un Adenauer, di un Kohl o di un. Monnet o di un DeGasperi. Per assurdo sembra che si addica soprattutto alla Cancellier un proverbio medievale che recita : “Clericus applaudit cum pulsum funeris audit ” (= Il prete si rallegra quando ode la campana che annunzia un funerale (perchè pensa ai proventi che gli verranno). Nella fattispecie: alle proprie banche o ai propri investitori che potranno comprare a buon mercato i migliori cespiti greci ?

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

QUALCHE INFORMAZIONE A PROPOSITO DELL’ISLAM by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 luglio 2015 •

Molti in questi giorni sostengono che il vero Islam è una religione di pace. Non è, perciò, del tutto inutile ricordare, per amore della verità, alcune cose a questo proposito. Maometto (N.B. il fondatore di questa fede), dopo la vittoria del 627 d.C. a Medina nella c.d.” Battaglia del fossato” sulla federazione composta da Beduini, appoggiati dagli Ebrei e dai c.d. Ipocriti, fece decapitare tutti i maschi adulti dell’ultimo clan di Ebrei rimasto in città, quello dei Quaryza. Nel 623 d.C. il profeta, d’altra parte, aveva condotto una prima spedizione contro la Mecca. Nel 624 d.C. guidò i suoi adepti al saccheggio di una carovana meccana e sconfisse i Meccani, nella battaglia di Badr. Nel 630 d.C. i Mussulmani prendono il controllo della Mecca, sconfiggono l’esercito di Ta’if ed assumono il controllo dell’Hegiaz settentrionale e di una parte della Giordania meridionale.. Fino alla sua morte, nel 632 d.C., Maometto fu dunque un abile comandante ma certamente non un uomo di pace. Nel Corano (v. la traduzione di Alessandro Bausani nell’edizione Flli Fabbri, Collana B.U.R., 1997) si possono, d’altronde, leggere vari versetti che incitano alla guerra, all’uccisione di chi si oppone alla vera fede, di chi non collabora, di chi non rispetta i patti o abiura. Per carenza di spazio suggerisco al lettore di leggere i relativi testi, molto espliciti, che vengono elencati qui di seguito: Sura della vacca (Corano II) ;vers. 190,191,193; Sura delle donne (Corano IV) ;vers.91; Sura del bottino (Corano VIII ) ;vers. 55,56,57,60.

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

LO SCONTRO DI CIVILTA “IN ATTO” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 luglio 2015 •

“Bellum ita suscipiatur ut nihil aliud nisi pax quaesita videatur” (S’intraprenda la guerra in modo che appaia che non si cerca altro che la pace; Cicerone,Off.,1,21,80); “Si vis pacem para bellum” (Se vuoi la pace prepara la guerra; Vegezio; Epitome rei militaris, 3) Ci è sembrato opportuno citare due frasi latine perchè le riteniamo non solo molto sagge ma di grande attualità. Come previsto già anni fa da illustri studiosi e, modestamente anche da chi scrive, lo scontro tra una parte dell’Islam e l’Occidente è iniziato. Trova le sue motivazioni non solo nell’ideologia ma anche nello stato di disordine politico in cui versano molti paesi del Nord Africa, del Medio Oriente e dell’Africa Sud Sahariana. Il che fa sì che una parte di quelle popolazioni cerchino una migliore prospettiva di vita in Europa. Ne risulta una miscela esplosiva alimentata dai gruppi più integralisti. La strategia degli stessi è abbastanza chiara :indebolire le capacità di reazione dei paesi occidentali mediante attentati e far arrivare in Europa migliaia di profughi che potranno trasformarsi, qualora non vedessero realizzarsi le loro aspirazioni (lavoro,un certo benessere), in fedeli alleati in loco. A rendere più difficile per l’Occidente la resistenza è la mancanza di coesione in materia tra i Governi europei e l’incerta politica di Obama cui si aggiunge la macchinosa macchina delle Nazioni Unite. Ora, però, é giunto il momento delle decisioni e delle decisioni rapide che non potranno che essere, purtroppo, che militari. Occorre cioé intervenire in loco, “possibilmente” sotto l’egida delle Nazioni Unite, onde cercare di ripristinare un minimo di “statualità” in Libia, innanzi tutto, poi in Medio Oriente aiutando, ad es. i Curdi anche facendo pressioni su Ankara affinché non si opponga – de facto – ai quei valorosi combattenti. Poi sarà indispensabile pensare ai paesi sub-sahariani. Certo si tratterebbe di un programma estremamente impegnativo ma probabilmente meno costoso, nel medio periodo, di cercare di sventare attentati nelle nostre terre o di finanziare Governi amici quali la Tunisia, il Marocco et similia. Le due citazioni latine poste all’inizio ci sembrano perciò, come detto, non solo sagge ma di attualità.

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POLITICA NAZ.

LA POLITICA DI DUEMILA ANNI FA, DESCRITTA NELLA “CONGIURA DI CATILINA” DI SALLUSTIO NON È DISSIMILE DA QUELLA ODIERNA IN ITALIA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 24 giugno 2015 •

“Tra i politici.. non trovai senso d’onore ma impudenza, non probità ma corruzione, non rettitudine ma avidità” (v.”La congiura di Catilina”, III, 4). “I re hanno in sospetto le persone di valore più che le nullità e le doti morali li mettono in apprensione” (v.ibidem VII,1,2). Il grande storico romano, Gaio Sallustio Crispo, (Amiterno), 86 a.C.-36 o 35 d.C.,) scrivendo queste frasi, descriveva acutamente la mentalità dei politici dei suoi tempi. Li conosceva, infatti, molto bene avendo ricoperto importanti cariche pubbliche (questore, pretore) e frequentato a lungo gli ambienti politici dell’Urbe. Le osservazioni sopra riportate si attagliano, a nostro avviso, “mutatis mutandae”, alla situazione politica italiana attuale. La mentalità degli uomini politici non è mutata! Esaminando più da vicino la situazione, italiana si assiste alla contrapposizione netta tra forze politiche aventi ideologie diverse: da un lato il P.D., in cui l’anima vetero-comunista si oppone al percorso social-democratico di Renzi e dei suoi; dall’altro i partiti del Centro-Destra, peraltro divisi tra loro, di natura conservatrice la Lega e quelli che potremmo definire “neo–populisti” (S.E.L., Grillini). C’è poi un disagio sociale, dovuto alla crisi economica, che alimenta il malcontento. A ciò si aggiunga la corruzione che alligna in molte istituzioni e nelle amministrazioni locali ed è presente sia nel Settentrione che nel Centro e nel Meridione. Per non citare la malavita organizzata che regna, impedendone lo sviluppo, su intere regioni del nostro Mezzogiorno e si sta radicando in alcune provincie del Centro-Nord. Dal malgoverno e dalla crisi economica deriva la riduzione delle entrate statali che, in mancanza di una politica di revisione della spesa pubblica, fa sì che la pressione fiscale non scemi. Il malcontento dei ceti meno fortunati, dei commercianti, dei piccoli e medi imprenditori sta, perciò, aumentando. La congiura di Catilina ebbe motivazioni analoghe: :il forte disagio dei ceti meno abbienti di fronte alle ingiustizie messe in atto nei loro confronti dalle oligarchie dell’epoca e dall’impoverimento in cui versavano. Non è, perciò, da escludere del tutto che possa sorgere in Italia un moderno Catilina.

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POLITICA NAZ.

SIMILITUDINI TRA LE INVASIONI BARBARICHE DL V°-VI ° SECOLO D.C. E L’ATTUALE FLUSSO DI FUGGIASCHI DALL’AFRICA E DAL MEDIO ORIENTE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 giugno 2015

La storia -si dice a giusto titolo- in genere non si ripete. Alcuni fenomeni, tuttavia, hanno connotazioni simili e le conseguenze degli stessi possono essere anch’esse -mutatis mutandis- analoghe. Le popolazioni germaniche (Goti, Burgundi,Sassoni, Franchi etc), da tempo. insediatesi lungo i confini dell’Impero Romano, anche in virtù di patti speciali conclusi con le autorità dell’Urbe, nei secoli sopra citati, sotto la spinta degli Unni, si spinsero all’interno dell’Impero e, favoriti dalla confusione politica che vi regnava, determinarono il crollo dell’impero romano d’Occidente. Attualmente centinaia di migliaia di persone, spinte dall’anarchia che regna nei territori del Medio Oriente e dell’Africa Settentrionale e dalla miseria che è presente in vaste regioni a Sud del Sahara, cercano con ogni mezzo di raggiungere l’Europa occidentale. Nel contempo nella stessa si registra un tasso di natalità modesto tanto che nel 2012 è stato del 10,4 per 1.000 abitanti, immutato rispetto all’anno precedente (v. Uff. Statistico dell’U.E.). Nello stesso anno l’80% c.a. della crescita della natalità fu dovuta all’immigrazione. Gli immigrati, o fuggiaschi che dir si voglia, sono-nella maggioranza- mussulmani. Nell’UE i residenti di religione islamica sono già molti milioni (circa 40). Tra qualche anno, stante il loro tasso di natalità, rappresenteranno quindi una quota importantissima della popolazione europea che, in considerazione della loro fede, difficilmente s’integrerà. Se i Governi Europei non intraprenderanno un’azione coraggiosa (ovviamente costosa in uomini e mezzi)volta a risolvere “in radice” le cause di tale flusso, nel giro di non molti anni l’Europa sarà islamizzata e così si avvererà la profezia di un Iman che qualche tempo fa ebbe a dire: “Vi vinceremo in forza delle vostre leggi permissive e del ventre delle nostre donne”. I Governi dell’Unione Europea, invece, si stanno trastullando con il problema delle “quote ” ovvero “Sibi quisque ruri metit ” (=”Ciascuno miete il suo Campo”, v. Plauto, Mostell., 3,3,2,112). In conclusione si pratica l’atteggiamento dello struzzo.

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POLITICA INTERNAZ.

CHI PIU’ SPENDE MENO SPENDE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 26 aprile 2015 •

E’ questo un antico proverbio che ammonisce gli avari. Per ottenere buoni risultati è opportuno non lesinare nella spesa perchè la buona qualità si paga e a causa di un eccesso di risparmio si rischia di avere risultati modesti se non negativi. Ci sembra che di fronte all’enorme problema del flusso di profughi dal Nord Africa e dal Medio Oriente i Governi occidentali vogliano disattendere l’esortazione proverbiale sopracitata. Il problema di fondo è la situazione dei paesi da cui provengono quei disperati. Se non si cerca di far seccare la sorgente il flusso continuerà. Occorre rendersene conto! E’ vero che non si tratterebbe di interventi di poco conto giacchè le situazioni dei vari paesi sono molto diverse e complesse. Occorrerebbero ingenti investimenti in uomini e capitali e sarebbe necessario non poco tempo ma riteniamo che “tertium non datur”. In assenza di un’azione in tale direzione vedremmo -come sopra accennato- il deteriorarsi della situazione e l’aumento in Libia dell’influenza dell’ ISIS che da quelle spiagge ci potrebbe attaccare. I Governi europei devono quindi essere ben consapevoli del pericolo ed agire sollecitamente se possibile previo viatico delle N.U. ma anche senza tale sostegno qualora si dovesse attendere troppo. Un coinvolgimento di Washington sarebbe molto utile come un appoggio diplomatico di Mosca. L’Italia deve essere la decisa promotrice dell’azione perché è la più interessata.!

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POLITICA INTERNAZ.

IL FLUSSO IN AUMENTO DI PROFUGHI DALL’AFRICA. CHE FARE? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 aprile 2015 •

Da circa due anni assistiamo ad un flusso quasi ininterrotto di profughi di varie etnie che dalle coste nord-africane cercano, a bordo di barconi spesso fatiscenti o di gommoni, di raggiungere le nostre coste. La nostra marina, debolmente coadiuvata da qualche unità di altri paesi dell’Unione Europea, si sforza di prestare aiuto a quei derelitti. Talora tali sforzi sono coronati da successo. Frequentemente, però, si debbono registrare naufragi con molte vittime. Ai superstiti l’avvenire non si presenta, però, roseo. Le strutture d’accoglienza italiane sono quasi al collasso. I paesi dell’Europa settentrionale non sono generosi nel concedere i visti d’ingresso. Molti dei profughi si danno alla macchia. Sembra anche che migliaia di ragazzi, sbarcati non al seguito di genitori o parenti, si siano dileguati. Non si sa in quali mani siano finiti! Le Cancellerie Europee si trastullano in incontri e scambi di note senza che emerga un piano organico d’interventi. Purtroppo l’unica cosa da fare è, in primo luogo, mettere in piedi una coalizione (50-60.00 uomini ?) che intervenga in Libia per eliminare i gruppi di negrieri che favoriscono il turpe flusso. Successivamente (melius “contemporaneamente”) esercitare ogni pressione anche militare per cercare di eliminare le cause di tale esodo. Su questo punto sorge facile l’obiezione :quali paesi vorranno mettere a disposizione soldati e saranno disposti a sostenere le spese di siffatti interventi ? Sarà senza dubbio “non agevol cosa ” ma quanto costerà, sotto tutti i punti di vista, a tutti, nel medio periodo, l’indugio ? “Deliberando saepe perit occasio” (= Mentre deliberi spesso perdi l’occasione;v. P.Siro, Mimiambi,115).

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POLITICA INTERNAZ.

LA MANIFESTAZIONE DI TUNISI DEL 29 MARZO 2015 by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 aprile 2015 •

L’imponente corteo che ha sfilato a Tunisi con la partecipazione di migliaia di Tunisini, soprattutto giovani, di delegazioni governative ai massimi livelli sia europee che di vari paesi mussulmani, è stato un segno molto importante della volontà di molti cittadini del vicino Stato nord-africano, dei principali paesi europei e di alcuni paesi del Medio Oriente di opporsi all’estremismo islamico. Come scrivemmo il 20 marzo u.s. su questo foglio, per contrastare validamente il pericolosissimo movimento integralista in quelle regioni sarà tuttavia necessario non essere avari di aiuti finanziari perchè il sicuro calo delle entrate turistiche, che contribuiscono per il 50 % al P.I.L. della Tunisia, potrebbe favorire il malcontento popolare e, per conseguenza, l’opera di proselitismo degli integralisti. Occorre anche considerare che la Tunisia confina con la Libia dove lo stato non esiste più e dove si sono insediati forti gruppi integralisti e con l’Algeria dove il fenomeno è presente da molto tempo. Da tutto ciò emerge, a nostro avviso, la necessità per i paesi occidentali di fornire anche un sostegno militare (sì “militare”) a quel Governo che,, probabilmente, con le sue sole forze non ce la farebbe ed anche a quello algerino e a quello libico, se ce ne sarà uno. Non si deve dimenticare che dalle coste libico-tunisine provengono i profughi dalle aree dell’Africa Sud sahariana. I governi occidentali, specie europei, debbono pertanto rendersi conto del pericolo e non lesinare gli aiuti. Ci sembra, infatti, che riecheggi di nuovo dopo oltre due mila anni il grido “Hannibal ad portas” (checché ne dicano i soliti, stupidi buonisti) e che rimanga valido il detto “Si vis pacem para bellum” (=Se vuoi la pace prepara la guerra).

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POLITICA INTERNAZ.

L’ATTENTATO DI TUNISI. QUALI CONSEGUENZE SONO IPOTIZZABILI? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 marzo 2015 •

La Tunisia sembrava rappresentare fino al 18 marzo del corrente anno quasi un’isola semi-felice nel panorama dei paesi arabi caratterizzato da regimi più o meno dittatoriali o dal marasma politico (v. Siria, Iraq Libia). La c.d. “primavera araba” iniziò, infatti, proprio a Tunisi e provocò la fine del regime di Ben Alì. Negli altri paesi dell’Africa del Nord non ebbe però successo (come “modestamente e facilmente “ temavamo e scrivemmo, v. “Cartalibera” del 2610-2011;ibidem del 13- 12-2011). In Tunisia, sia pure con non poche difficoltà, la democrazia sembrava consolidarsi. Il partito d’ispirazione islamica (“Ennahada “= rinascita) aveva, infatti, preferito farsi da parte dopo aver perso le elezioni nell’ ‘ottobre scorso vinte dal partito anti-islamista, “Nidaa Tounes “il cui fondatore, Beji Caid Essebsi, a dicembre è diventato capo dello Stato. La situazione interna non era peraltro del tutto rassicurante giacché permaneva una guerriglia sul monte Chambi al confine algerino e molti sono i Tunisini che sono andati a combattere in Siria ed Iraq, molti dei quali sono rientrati in patria e stanno facendo proseliti facilitati dalla non florida situazione economica tunisina. Il P.I.L. “pro capite “previsto per il 2015 era di 9.722 dollari; il tasso di disoccupazione nel 2014 si aggirava sul 15,2% toccando il 30% tra i giovani ed il 21 % tra le donne e non si prevedeva, secondo il Fondo Monetario Internazionale (v. Relazione del dicembre 2014 relativa alla 5-a revisione dell’Accordo Stand-by di 1,7 miliardi di dollari di durata 24 mesi) un incremento del P.I.L. nel 2015 tale da consentire la creazione di posti di lavoro. Lo stesso F.M.I. segnalava, tra l’altro, le elevate tensioni sociali e i problemi di sicurezza, il disavanzo fiscale e nei conti con l’estero, la ragguardevole fragilità del sistema bancario che renderebbe necessaria una ricapitalizzazione degli istituti a capitale pubblico. Tenuto conto di questi dati è, purtroppo, facile prevedere che l’attentato avrà conseguenze molto negative sul paese. Si assisterà, infatti, ad una drastica –se non drammatica- riduzione del turismo che fino ad ora contribuiva a creare circa il 50% del P.I.L. anche se negli ultimi anni era già scemato a motivo della crisi economica europea Donde un aumento della disoccupazione e, per conseguenza, una diminuzione del livello di vita. Il malcontento delle classi meno abbienti e degli intellettuali disoccupati, per conseguenza, crescerà favorendo, in tale eventualità, il proselitismo da parte degli integralisti islamici.

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Qualora il Governo di Tunisi non adottasse misure adeguate sotto il profilo economico, sociale e dell’ordine pubblico (= contrasto efficace ai gruppi armati) e non ricevesse un sostegno sostanzioso da parte dei paesi occidentali la Tunisia. Potrebbe diventare un’altra Libia ed il nostro paese sarebbe, inevitabilmente, il primo a soffrirne.

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ECONOMIA

IL DAVIDE PUGLIESE CONTRO IL GOLIA DELLA FINANZA INTERNAZIONALE ED I POTERI NAZIONALI CORRELATI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 marzo 2015 •

David, (1010-970 a.C. circa),figlio di Iesse, fu inviato, alla corte del re Saul. Ancora giovinetto affrontò in duello, armato solo di una fionda, il gigantesco Filisteo Golia e lo uccise. Grazie all’eliminazione di Golia il conflitto tra gli Ebrei ed i Filistei si risolse a favore dei primi. La fama assunta da Davide fece, però, ingelosire Saul e Davide fu costretto a lasciare la corte e ad errare per alcuni anni nel deserto. Morto Saul, Davide fu eletto re della tribù di Giuda e dopo sette anni re di Giuda e di Israele. Conquistò Gerusalemme e ne fece la sua capitale. La potenza della finanza internazionale é ben nota e crediamo possa essere paragonata a quella di Golia. Le grandi banche internazionali, melius, in pratica, quelle anglo – statunitensi, la fanno da padrone coadiuvate dalle agenzie di “rating”. Le seconde esprimono valutazioni circa il rischio che un emittente titoli obbligazionari od azioni (imprese, Stati od altri soggetti) non abbia la capacità (il c.d. rischio economico)o la volontà (il c.d. rischio politico allorchè l’emittente sia uno stato od un ente pubblico)di procedere puntualmente ai rimborsi in linea capitale o in conto interessi e di pagare le cedole durante il periodo di validità delle obbligazioni emesse o, nel caso di remunerazione del capitale sottoscritto attraverso le cedole, durante il periodo di esistenza del soggetto emittente (ad es. una società per azioni). Il c.d. “Rating ” ha assunto negli anni un’importanza enorme dato che il giudizio espresso su un soggetto influenza le quotazioni del medesimo nelle borse di tutto il mondo e può far sì che non. gli vengano concessi più prestiti o, se accordati, lo siano a condizioni più onerose. Le società di “rating” perciò hanno una grande responsabilità rivestendo, in un certo senso, un ruolo di giudici e come tutti i giudici non dovrebbero essere sospettabili di parzialità. Come vari processi hanno dimostrato alcune agenzie di “rating ” hanno, però, i un conflitto d’interessi essendo presenti nel loro azionariato in posizioni rilevanti fondi d’investimento. Di tutto ciò scrivemmo abbastanza diffusamente in un articolo pubblicato da “Cartalibera” il 14 luglio 2011.

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Ora il problema del” conflitto d’interessi” é ritornato alla ribalta per quanto attiene al nostro Paese. A Trani, infatti, un coraggioso P.M. Michele Ruggiero, in seguito ad un esposto di alcune associazioni di consumatori ha, a differenza di altre Procure, iniziato un procedimento contro le agenzie di “rating” per il declassamento, da parte di Standard and Poor’s, da A a BBB+ del debito italiano, declassamento che nel 2010-2011 avrebbe costretto il Governo Italiano, guidato da Mario Monti,, a pagare, in base ad una clausola contrattuale, alla banca Morgan Stanley una penale di 2,5 miliardi di Euro. Il sospetto dell’accusa é che vi sia stata una manipolazione del mercato dato che la Morgan Stanley è tra gli azionisti di McGrawHill che controlla tale agenzia di “rating” (v. per maggiori dettagli l’articolo di Sergio Rizzo su “Il Corriere della Sera” del 9 marzo crt.a, pag.1 e 29). L’accusa, visti alcuni precedenti in materia, non sembrerebbe avere basi troppo fragili e meraviglia che il nostro Governo non intenda costituirsi parte civile. Auguriamo al P.M. Ruggiero di non subire la stessa sorte “iniziale “di Davide perché “vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”.

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CULTURA

LA VITICULTURA HA ACCOMPAGNATO E FAVORITO LO SVILUPPO STORICO, CULTURALE, SOCIALE ED ECONOMICO DELLE POPOLAZIONI DEL BACINO DEL MEDITERRANEO, PRIMA, DELL’EUROPA OCCIDENTALE E DELLE AMERICHE SUCCESSIVAMENTE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 marzo 2015 •

Questo aspetto è in genere poco conosciuto ma riveste un’importanza rilevantissima nella storia dei popoli dell’Europa e delle Americhe. Occorrerebbe un volume per cercare di descrivere l’influenza che nel corso dei millenni ha esercitato la viticultura sulla storia del mondo occidentale. Ci limiteremo, pertanto, a brevi accenni che ci auguriamo riescano a fornire al lettore una prima idea della tematica. *** La coltivazione della vite volta alla produzione di vino sarebbe iniziata nel 4.000 a.C se non nel 6.000 a.C. nelle regioni montagnose del Mar Nero e del Mar Caspio. E’ probabile –ma è solo una congettura- che all’inizio qualcheduno abbia casualmente bevuto il succo fermentato dell’uva selvatica. Quel che è certo é che le prime testimonianze sono fornite dalle tavolette, scoperte durante gli scavi di Lagash e Ur in Mesopotamia, che indicano come nella prima metà del 3° millennio i Sumeri coltivavano la vite in un certo numero di piccoli vigneti irrigati, spesso all’interno di complessi templari. Vino veniva anche importato dalle montagne circostanti. Altre testimonianze circa la coltivazione della vite durante il nuovo impero assiro si trovano nelle tavolette del l’ VIII ° secolo a.C. provenienti da Calah. Tra la fine del IV° millennio e l’inizio del III° il vino compare come bevanda usata dai re e dai sacerdoti. Gli Egiziani conservavano il vino in apposite giare di ceramica sigillate e questa circostanza ha fornito una messe straordinaria d’informazioni circa la provenienza di quei vini. La maggior parte sembra venisse dalla parte settentrionale del delta del Nilo mentre altri dall’area di Memphis.

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Verso la metà del III° millennio, però, una forte percentuale del vino consumato in Egitto proveniva dalla Siria e dalla Palestina. In genere la coltivazione della vite in Egitto avveniva, come in Mesopotamia, entro appezzamenti di terreno irrigati circondati da mura. Lo si vede bene nelle pitture tombali. Probabilmente dall’Egitto o, comunque, dall’Asia Minore, la coltivazione della vite arrivò a Creta con il fiorire della cultura minoica (1700 a.C.) . Da Creta la coltivazione della vite fu portata in Grecia. Sembra che nell’VIII ° secolo a. C. (cioè ai tempi di Omero ed Esiodo) fosse diffusa in tutta l’Ellade colonie greche. Dalle colonie greche dl Mediterraneo Occidentale il vino fu esportato in Francia già nel VI° secolo. Grazie ai coloni greci, che fondarono Cuma, Siracusa, Nasso, Messina, Sibari, Crotone, la viticultura arrivò anche in Sicilia e nell’Italia peninsulare. Nel V° secolo scrittori greci come Erodoto denominavano l’Italia Meridionale “ENOTRIA “ ma la derivazione del vocabolo dalla produzione del vino è dubbia. Più probabile il collegamento con il paese abitato dagli Enotri, popolazione stanziata in Lucania. Più a settentrione, in Etruria, l’ odierna Toscana, popolazioni venute probabilmente dal Medio Oriente, gli Etruschi, coltivavano la vite già nell’VIII °secolo a.C. Non si sa se conoscessero tale coltivazione perché era già a loro nota nelle terre d’origine o perché l’avevano appresa dai coloni greci dell’Italia Centro-Meridionale. La fondazione, nella Francia Meridionale, nel 600 a.C., di Massilia(Marsiglia) ad opera dei Focesi introdusse la viticultura in Francia, paese che è diventato nei secoli uno dei principali produttori di vino. Esportazioni di vino greco venivano effettuate in Egitto e nel bacino danubiano già nel V° secolo a.C. Con l’espansione del dominio di Roma la coltivazione della vite si diffuse nelle altre regioni italiane, in Spagna, nelle Gallie prima, e, successivamente anche nell’Europa più settentrionale laddove, ovviamente, le condizioni climatiche e la natura dei terreni lo consentivano. Nel mondo romano la viticultura ebbe una grande importanza e formò oggetto di trattati divenuti famosi anche se il primo testo venne scritto in lingua punica da Magone poi tradotto in greco e latino. Famosi furono i testi di Marco Porcio Catone (234-149 a.C) “De agricultura”, di Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C) “Res rusticae”, di Lucio Giunio Moderato Columella (c.a. 65 a.C.)”De re rustica “, che -soprattutto Columella -forniscono una notevole quantità d’informazioni sulle tecniche e sull’economia del settore in quel periodo. La coltivazione della vite era effettuata, assieme a quella dei cereali, sia dai piccoli proprietari che, successivamente, prevalentemente dai grandi, nelle ville, dove ci si avvaleva del lavoro degli schiavi. Nei d omini di Roma la viticultura fu molto diffusa e così i commerci di vino tra una regione e l’altra. Ad es. le esportazioni di vino italiano in Gallia (per lo meno nei primi due secoli a. C.) venivano pagate con la fornitura di schiavi. ***

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Si sono reperite fonti epigrafiche del 1° e 2° secolo a.C. testimonianti addirittura l’esistenza di una corporazione di mercanti del vino i “vinarii”, e di un “Forum vinarium”. Funzionava nell’Urbe anche un “portus vinarius” e lungo le rive del Tevere c’erano magazzini ad hoc, le “cellae vinariae”. Periodicamente avvenivano aste di vini. Anche in altre parti dell’impero esistevano nel II° secolo gruppi di mercanti di vino (ad es. a Lione). Sotto il profilo simbolico-religioso giova segnalare che nell’area del Mediterraneo orientale e nell’Asia SudOccidentale una delle prime divinità affermatasi fu la “Madre-Terra”: “Gea” in Grecia, in Mesopotamia “LaTun-Dug” a Ladash, “Bono” e “Innini”. Successivamente compaiono varie divinità per così dire “specializzate” come quella assiso- babilonese della vite “Geshtin” e il dio della vite “Pa-Geshtin-Dug” che poi divenne “Nina”, dea dell’acqua, forse perché l’acqua in quelle regioni era importantissima. Divinità specifiche della vite sono rintracciabili in Asia Sud-Occidentale. L’Epopea di Gilgamesh, re di Ur, dei primi secoli del 2° millennio a.C., che partì alla ricerca del segreto della vita eterna, testimonia l’uso del vino nella società sumerica antica e l’associazione simbolica tra vino, vite e sessualità umana. Nell’Antico Testamento si trovano le tracce della diffusione della pratica della viticultura in Egitto durante l’esilio degli Ebrei e nella terra di Canaan che sarebbe poi diventata Israele. La benedizione rituale popolare nel bere il vino e l’uso del vino nei sacrifici sono prove dell’importanza assunta da questa bevanda tra gli Ebrei. Così come l’esortazione-proibizione ad astenersi dal bere vino per chi entrava al servizio di Dio (v., ad es., Aronne) per gli effetti negativi che gli eccessi potevano provocare.

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La religione ed i rituali dionisiaci furono introdotti in Grecia, probabilmente, prima dell’VIII secolo a.C., dalla Lidia e dalla Frigia. Dioniso sarebbe stato figlio di Zeus e di Semele, figlia di Cadmo, re di Tebe. Sarebbe stato allevato dalle Muse. Dioniso, diventato adulto, scoprì come ottenere il vino dall’uva. Il più delle volte è rappresentato assieme ai Satiri, spiriti delle foreste e dei monti, e Pan, il dio pastore dei boschi e dei pascoli, metà uomo e metà capra, ed ai Centauri, mandriani selvaggi metà uomini e metà cavalli, a Priapo, dio dei campi, ed alle Ninfe, divinità giovani e belle delle montagne e delle foreste. Dioniso, dio della vite e del vino, divenne presto anche la forza primaria della natura, la linfa vitale. I suoi fedeli cercavano la comunione con il dio che li trasformava in “Bak-chos”. E questo avveniva mediante il bere vino ed il ballo frenetico (la “Oreibasia”) delle donne – le sole ammesse a questa danza – che imitavano quello delle Menadi. L’acme della danza era lo smembramento di un animale la cui carne veniva poi mangiata dalle stesse alle quali conferiva la propria energia vitale. Da potenza primaria della natura Dioniso passò ad essere associato anche con l’aldilà. Divenne cioé la divinità che venne uccisa, scese nell’oltretomba e poi risorse. Il simbolo cioè della morte e della resurrezione della vite. Una serie di feste rurali celebravano Dioniso in concomitanza con le stagioni ed i lavori di quel settore (potatura, vendemmia, etc.). A Roma era noto prima del II°sec.a.C. come “Bacco” identificabile quale il dio della fertilità dei campi. I rituali dionisiaci furono proibiti dal Senato alla fine del 1° secolo a.C. perché considerati una minaccia per la pubblica sicurezza anche per il timore della costituzione di società segrete. I riti dionisiaci furono tuttavia tollerati ma solo a titolo individuale. Con la caduta dell’impero romano d’Occidente nel V secolo d.C. la viticultura sopravvisse soprattutto grazie al valore simbolico che il vino aveva nella religione cristiana. Il vino, secondo il Vangelo di Matteo, equivaleva, infatti, al sangue sacrificale di Cristo e Cristo nel Vangelo di Giovanni è indicato come la vera vite ed il padre é il vignaiuolo. Durante le invasioni barbariche ed i secoli bui dell’alto Medioevo soprattutto i monaci riuscirono, per questo motivo, a conservare in Europa la viticultura e le sue tecniche. Nell’impero bizantino la viticultura continuò, invece, indisturbata fino alle conquiste arabe del VII° secolo. Nelle regioni dominate dagli Arabi, invece, sulla base di tre versetti del Corano (Sura II, v. 219; Sura V, v. 90-91) il vino venne considerato peccaminoso perché impedisce, assieme al gioco, al fedele di concentrarsi nella preghiera. Di qui la proibizione dei governanti islamici anche se nel Corano (Sura XLVII v. 15) nella visione del Paradiso sono promessi ai fedeli ruscelli in cui scorre il vino. In Ispagna nel 756 d.C. venne istituito l’emirato di Cordoba che, però, non riuscì ad espandersi fino alle regioni nord-occidentali.

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Le tradizioni cristiane rimasero perciò in tali regimi come dimostra la costruzione del santuario di Santiago di Compostela in Galizia e così continuò la coltivazione della vite. D’altronde anche nelle regioni mussulmane di Spagna, in Persia, Medio Oriente e Africa Settentrionale la vite continuò ad essere coltivata soprattutto per produrre uva da tavola ma anche, probabilmente clandestinamente, quella da vino come dimostrano le opere di poeti persiani (v. ad es. Khayyam – 1048-1121 d.C.; Hafiz 1320-91), in cui si celebrano il vino e l’amore, e le miniature ed i manoscritti dell’epoca dell’imperatore Mogul, Akbar. Sembra che la vite dalla Persia fosse arrivata in Cina già nel 128 a.C. ma non ebbe diffusione. Nelle regioni europee non conquistate dagli Arabi la vite continuò, come sopra accennato, ad essere coltivata nel Medioevo con alterne vicende. Lo fu a settentrione soprattutto lungo i fiumi Reno e Mosella, Senna, Yonne e Marna. Il costo del trasporto per via fluviale era, infatti, inferiore a quello su strada. Nel XII° secolo le grandi fiere di Champagne, Troyes, Provins, Bar-sur-Aube, e Lagny divennero il cuore degli scambi commerciali tra i mercanti italiani e quelli fiamminghi. I vini dolci prodotti nel Mediterraneo Orientale giungevano, invero, via mare tramite i mercanti genovesi. Anche dalla Spagna e dalla Francia Occidentale arrivavano vini nelle Fiandre ed in Inghilterra. I vini del Reno assieme a quelli mediterranei venivano commerciati via mare o per via fluviale fino nell’Europa Settentrionale. I vini dolci mediterranei arrivavano nei paesi ancor più settentrionali, quali la Polonia ed i paesi baltici, anche per un’altra via ovvero da Costantinopoli, Cracovia, Danzica, Lubecca. Dalla fine del XIII° secolo mercanti genovesi, prima, veneziani poi, trasportavano prodotti di lusso del Mediterraneo nell’Europa Settentrionale fra cui il vino ed acquistavano lana. In genere il porto cui attraccavano le navi italiane che trasportavano vino era Southampton. Dalla fine del XIV ° secolo al XV° secolo il commercio del vino divenne per le flotte italiane la principale attività nei paesi del Nord Europa. Gli avvenimenti bellici hanno influenzato, ovviamente, il commercio del vino nel Medioevo e non solo. Tale fu ad es. la Guerra dei Cent’anni tra la Francia e l’Inghilterra nel XV° secolo che portò alla paralisi del commercio del vino tra la Guascogna e la Gran Bretagna. Nell’età moderna si assiste ad un mutamento profondo delle strutture sociali e produttive e con le esplorazioni marittime (dal XV secolo) alla scoperta di nuove terre. Si passò inoltre dal feudalesimo ad una struttura sociale più vicina a quella capitalistica. Dalla fine del XV° secolo e durante il XVI° secolo si ebbe inoltre un’espansione oltremare degli interessi europei dovuta anche all’incremento demografico. Con il Trattato di Tordesillas del 1494 Spagna e Portogallo si spartirono le reciproche zone d’influenza talché il Brasile divenne portoghese e tutte le terre a ovest del meridiano che corre 370 leghe ad occidente delle isole di Capoverde, spagnuole. In America Latina la coltivazione della vite iniziò in Messico tra il 1520 ed il 1530.

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Dal Messico la viticultura si diffuse nell’America Latina con le conquiste spagnole dell’Impero degli Incas. Sembra che la vite fosse coltivata già dalla prima metà del XVI° secolo in Cile. Nel 1556 la vite venne introdotta da un Gesuita al di là delle Ande in quella che sarebbe poi diventata l’Argentina. A promuovere la coltivazione della vite nelle Americhe furono la necessità – considerata dai Conquistadores di grande importanza – di disporre del vino necessario alla messa ed il desiderio dei capi dei conquistadores di ricreare oltre atlantico le abitudini patrie. Nell’America Settentrionale, in Virginia, i coloni esperirono, nel XVII ° secolo vari tentativi per coltivare la vite e produrre vino ma fu un insuccesso. Solo nel XIX secolo si riuscì a piantare vigneti sulla costa orientale cioé in California. Furono, per contro, coronati da successo nel XVII secolo gli investimenti viticoli della Compagnia Olandese delle Indie Orientali nella Colonia del Capo in Africa. Le prime viti furono piantate in Australia nel 1788 in base ad un programma volto ad iniziare un’attività agricola idonea a sostentare la prima colonia penale in quel paese. Lentamente la produzione aumentò in quelle terre. Sotto un profilo generale si deve segnalare che nel XIX ° secolo si verificarono ovunque crisi periodiche di sovra produzione di vino e di crollo dei prezzi. La crisi più severa fu quella registrata in Francia nel 1900 dato che quell’anno la produzione segnò un 40% in più rispetto a quella dell’anno precedente. Del pari anche in California sempre nel XIX° secolo si ebbero crisi ricorrenti per gli stessi motivi. Onde evitare tali episodi ricorrenti di sovra produzione, che provocavano nel breve periodo la caduta dei prezzi del vino, si adottarono nel XX° secolo tre rimedi: -

la demarcazione delle regioni vinicole al fine di denominazione di origine e la qualità del vino;

-

l’integrazione settoriale verticale della produzione e del commercio;

- i progressi nella viticultura e nella vinificazione che hanno consentito di produrre vini dalle caratteristiche più costanti. Per rendere operativi gli strumenti sopra elencati furono necessari, oltre che a cospicui investimenti, sforzi notevoli di regolamentazione, prima a livello nazionale (Francia, Germania, Italia) poi internazionale soprattutto grazie alla “Politica Agricola Comune” (P.A.C.) dell’Unione Europea, peraltro soggetta a frequenti modifiche. *** Ci auguriamo che questo scritto sia servito al lettore ad acquisire una qualche idea supplementare circa il complesso fenomeno della viticultura. Aspettandoci, però, molte critiche ci siamo ricordati – per darci forza – del verso di Ovidio: “Dant animos vina” (= I vini danno coraggio” – v. “Metamorfosi” 12, v. 242).

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POLITICA NAZ.

I PIÙ QUALIFICATI SE NE SONO ANDATI O SONO IN PROCINTO DI FARLO? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 18 febbraio 2015 •

Per chi come noi credeva che un partito come Forza Italia, che s’ispirava ai principi del liberismo, avrebbe potuto svolgere un ruolo importante nella società italiana, vede svanire una tale speranza. Il presidente Berlusconi era riuscito, all’inizio, a radunare attorno a sé uomini molto qualificati di estrazione liberale. A poco a poco, però, gli stessi se ne sono andati (v. ad es. il prof. Urbani, il prof. Pera, il prof. Tremonti). Stando alla stampa sarebbe in forte dissenso con la presidenza anche l’on.le prof. Antonio Martino. Miglior sorte non è toccata ad esponenti di matrice democristiana quali l’attuale segretario di NCD Angelino Alfano e lo stesso Raffaele Fitto, ormai in procinto di andarsene insieme ad alcuni suoi sodali. Non siamo addentro alle segrete cose di quel partito ma da semplici spettatori abbiamo motivo di ritenere che la ragione principale di tale esodo sia individuabile, in sostanza, nel rifiuto da parte delle suddette personalità di essere considerate degli “yes men” = signor sì) o di non essere adeguatamente valorizzate o di vedersi anteporre persone di minor statura professionale o politica o semplicemente perché dotate di sembianze molto gradevoli. Sembra che il Gen. De Gaulle abbia detto che “il comando è solitudine” ma siamo certi che intendesse dire che a chi spetta la decisione è, al momento della scelta, solo. I veri leader, tuttavia, si circondano di persone capaci e ne ascoltano i consigli anche se non sempre collimanti con le loro opinioni. Gli uomini politici di minor valore, per contro, scelgono i collaboratori tra chi non può far loro ombra e chi deve tutto a loro. Alla lunga, però, tali scelte producono modesti risultati e portano al declino di una forza politica. Nel saggio del Gesuita Baltasar Graciàn y Morales (cappellano delle armate spagnuole ed insegnate di Sacre Scritture al Collegio di Saragozza ) dal titolo “Oracolo manuale e arte di prudenza”, apparso nel 1647, si legge : 15- La gran fortuna dei potenti è tenersi accanto uomini d’ingegno che possano cavarli da ogni impiccio causato dall’ignoranza e che affrontino per loro la lotta contro le difficoltà. 110- Non aspettare di essere un sole al tramonto. E’ una massima ben nota ai saggi :abbandonare le cose prima che esse ci abbandonino

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-omissisSi cerchi dunque di schivare i tramonti per non morire vittime del dispregio. -omissis“L’uomo accorto provvede in tempo ad allontanare dall’ippodromo il cavallo corridore senza aspettare che, cadendo, susciti le risa di tutti a mezzo della corsa”. Ma come scrisse La Rochefoucauld in una delle sue celebri “MASSIME“ (v.CCCC XX III ): “Peu de gens savent etre vieux” (= Pochi sanno invecchiare).

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CULTURA, POLITICA NAZ.

“EXCUSATIO NON PETITA ACCUSATIO MANIFESTA” (=LE SCUSE NON RICHIESTE SONO UNA ‘ACCUSA MANIFESTA PER CHI LE FORMULA) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 febbraio 2015 •

E’ un detto che ha un fondamento d verità o che tale può apparire. Nel caso dei nostri fanti di marina il Governo Monti, sotto la probabile spinta di interessi commerciali con l’India, ha commesso il grave errore di pagare (non ci risulta che si fosse stato richiesto) un indennizzo alle famiglie dei pescatori indiani morti nell’incidente dando in tal modo l’impressione di accettare la tesi delle autorità indiane della responsabilità dei nostri due militari. Ha peggiorato la situazione non chiedendo “vigorosamente ” a Nuova Delhi un arbitrato internazionale: “Dulcis – si fa per dire – in fundo”, malgrado l’atteggiamento offensivamente dilatorio di quelle autorità, rinviò i due malcapitati in India. L’allora Ministro degli Affari Esteri,Terzi di Sant’Agata, si era opposto alla decisione scontrandosi – sembra – con il Ministro Passera, e “dignitosamente” (lui sì !) rassegnò le dimissioni. I nostri militari sono stati sacrificati sull’altare degli interessi commerciali e della mancanza di dignità del Governo? Al lettore la risposta. Chi scrive non nutre dubbi!

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CULTURA, POLITICA NAZ.

IL MERCATO DEI FIGLI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 12 febbraio 2015 •

Da qualche tempo si sta diffondendo in Europa quel che può essere definito “il mercato dei figli” (N.B. v. per maggiori dettagli il sito “Citizenorg.it dal quale abbiamo attinto le notizie che seguono). In breve si tratterebbe di questo ovvero la “maternità surrogata” tramite un utero preso in affitto che rischia ora di fruire dell’avvallo (in tutti i paesi membri dell’Unione Europea) in forza di una sentenza emessa il 27 gennaio del crt. anno dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (C.E.D.U.). I fatti: nel 2010 una coppia di coniugi italiani (di 56 e 43 anni), non potendo avere figli a causa dell’infertilità della donna, si recò in Russia per fruire della pratica del c.d. utero in affitto, peraltro vietata e punita nel nostro ordinamento. La coppia acquistò il materiale biologico necessario (spermatozoi ed ovuli) e pagò una donna affinché portasse avanti la gravidanza. Nel 2011 la coppia ricevette il neonato. Sembra che per tutta” l’operazione” abbia sborsato 50.000 euro. Gli uffici anagrafici del nostro paese hanno, però, respinto la richiesta dei coniugi in questione volta alla trascrizione dell’atto di nascita del piccolo dato che il medesimo non aveva legami biologici con i richiedenti. Successivamente nei confronti degli stessi è sta aperta una procedura di modifica dello stato civile al termine della quale i giudici italiani, in considerazione dell’interesse del pargolo e del comportamento illegale della coppia, hanno deciso di affidare il bambino ai Servizi Sociali. Dal 2013 il minore vive con una nuova famiglia scelta in base ai rigorosi criteri fissati in materia dalla legge. I sopracitati coniugi hanno, però, fatto ricorso, come già ricordato, alla Corte Europea dei Diritti dell’.Uomo. La Seconda Sezione di tale Corte, il 27 gennaio u.s., ha condannato lo Stato Italiano al pagamento di 30.000 euro alla coppia per danni e rimborso spese motivando la pronunzia con la “non proporzionalità ” della decisione di allontanare il piccolo dalla coppia in quanto i mesi di convivenza avevano creato “di fatto” uno stato familiare degno di tutela nell’interesse del minore. Anche se i giudici hanno, ribadito che ogni Stato è libero di valutare la liceità o meno della pratica dell’utero in affitto ciò non dimeno questa pronunzia rischia di creare un precedente pericoloso che potrebbe instaurare un regime di tolleranza legale della pratica dell’utero in affitto. Non si comprendono, d’altronde le motivazioni del ricorso ai tale pratica quando ci sono migliaia di adottandi nel mondo. Si preferisce pagare per non attendere la fine del lungo ‘iter per ottenere le adozioni? Ci pare molto probabile. Qualcheduno potrebbe ricordare a questo punto una frase di P. Siro (v. Mim,1351) “vitium omne semper habet patrocinum suum” (= ogni vizio ha sempre una scusante) Sperando vivamente, citando Seneca (Epist.39), che. quelli che molti possono considerare “vizi” non si trasformino in” usanze ” (“Quae fuerunt vitia mores sunt).

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POLITICA NAZ.

CHI HA, SOTTO IL PROFILO POLITICO, PERSO IN ITALIA LA TREBISONDA GLI SCORSI GIORNI? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 5 febbraio 2015

“Perdere la Trebisonda” si dice di chi perde il controllo essendo confuso e disorientato. All’origine di questa locuzione sarebbe il fatto che la città di Trebisonda (in turco Trebzon) sul Mar Nero rappresentava nell’antichità il porto più importante in quel bacino ed il punto di riferimento per i naviganti sulla rotta tra Europa e Medio Oriente. La città fu capitale dell’ Impero fondato nel 1204 cioè all’epoca della 4-a Crociata da Alessio Comneno e tale rimase finché non venne conquistata nel 1461 da Maometto II, circostanza del tutto dubbia anche perchè il battello dei pescatori è subito “stranamente” affondato nel porto talchè non sarà agevole appurare da quali armi sono partiti i colpi. Per i mercanti, specie italiani, che rifornivano le regioni interne di quell’area “perdere la rotta verso Trebisonda” o, semplicemente, “perdere la Trebisonda ” significava perdere il danaro investito nella spedizione, donde anche il significato assunto dalla locuzione, di “disgrazia”. Venendo ai giorni nostri. L’abilissima mossa del Primo Ministro Renzi di proporre all’improvviso il Giudice Costituzionale Mattarella quale candidato per la presidenza della repubblica ha fatto perdere la Trebisonda al presidente Berlusconi ed all’on.le Alfano. Per motivazioni diverse (forse non del tutto nobili) entrambi non sono stati capaci di far valere le buone ragioni del Centro Destra per chiedere l’elezione di un candidato della loro area. Da Einaudi, infatti, nessun liberale è più salito sul Colle dove c’era il sacello del dio Quirino (1). Sarebbe stato, per lo meno, dignitoso per i due partiti manifestare il proprio risentimento verso il comportamento del Presidente Renzi non partecipando al voto. La partecipazione agli scrutini minacciando “scheda bianca” era pericolosa come si è rivelato. Bene hanno fatto, per contro, “Fratelli d’Italia” e la “Lega” che hanno scelto la seconda via. Speriamo che la lezione serva al Presidente Berlusconi ed all’on.le Alfano per. comprendere che l’unione fa la forza. —— (1) Secondo alcuni Quirino era una divinità di Cori, località dove si era insediata una tribù sabina poi fusasi con gli abitanti del Palatino dando origine a Roma. Secondo altri era il dio della lancia (“quiris” o “curis”). Era un dio guerriero, per lo meno all’inizio, successivamente più pacifico. In suo onore si tenevano le feste “Quirinali”.

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POLITICA NAZ.

PROVINCIALISMO POLITICO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 gennaio 2015

Il “provincialismo” viene definito nei dizionari (v. ad es. il DevotoOli) quale “gusto o costume caratterizzato da una certa arretratezza e ingenuità”. Dai politici italiani vengono sovente utilizzati termini di altre lingue sia per meglio celare la pochezza dei contenuti che per far colpo sugli uditori e/o gli elettori (= épater les bourgeois). Il Governo Renzi é diventato uno specialista in questo settore. Donde il “Jobs Act” ( invece che “legge in materia di lavoro “),gli “stage ” (che in verità in inglese significano o “scena ” o “tappa, al posto di “periodo di pratica “) e – “incredibile auditu” – “Very bello”. . E’ tipico dei popoli che non possiedono una loro lingua scritta adottare quella della potenza dominante (v. ad es., il francese o l’inglese nelle ex colonie africane della Francia o del Regno Unito). I popoli che hanno, per contro, una cultura degna di questo nome si guardano bene, salvo qualche eccezione, di utilizzare vocaboli stranieri. Se la memoria non ci tradisce in Francia era proibito fino a qualche tempo fa utilizzare termini di altre lingue nei documenti ufficiali Un esempio :”computer ” -vocabolo peraltro d’origine latina- doveva essere chiamato “ordinateur”. Questo provincialismo linguistico politico italiano è -a ben riflettere- lo specchio del fenomeno “strisciante” della dipendenza sempre più accentuata dell’Europa alla c.d. cultura statunitense che tale, peraltro non è, salvo in qualche importante centro universitario d’oltre-atlantico dove numerosi sono, tuttavia,i cervelli europei il cui costo di formazione -sia detto per inciso-abbiamo pagato noi contribuenti. Per concludere: il giovanilismo renziano e dei suoi Diadochi offre, in questo settore esempi di un provincialismo deteriore. Non vorremmo che si adattasse ai sopracitati “politici” il proverbio medievale: “Vasa inania multum strepunt ” (= i vasi vuoti fanno molto rumore ).

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“MEMINISSE IUVABIT” (=GIOVERÀ RICORDARSENE – VIRGILIO, ENEIDE 1,203) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 22 gennaio 2015 •

Riscorrendo, spinto dalla vanità, l’elenco dei miei articoli ho, purtroppo, dovuto constatare che i tristi avvenimenti in Francia e Belgio (per ora) erano abbastanza facili da prevedere e da molto tempo. Basterà a tal fine rileggere i titoli di alcuni miei scritti prestando attenzione alle date di pubblicazione e cioè: “L’illusione di un Islam moderato e le insidie per l’Europa conciliante ” in “L’Opinione delle Libertà ” del 6-10-2006; ”Cristiani in Iraq, popolo dimenticato e perseguitato”- ibidem del 31-1-2009; “Bernard Lewis :le origini della rabbia mussulmana” – ibidem del 30-5-2009; “Verso il Califfato universale” – ibidem del 28-7-2009; “Jihad globale. Scontro di civiltà – E’ già incorso in tutto il mondo” – ibidem del 21-1-2010; “Egitto: l’incognita dei Fratelli Mussulmani” – in “Cartalibera” del 4-2-2011; “Si arresteranno i flussi dei profughi o sarà l’inizio della “finis Europae “? ” – ibidem del 4-2-2011; “La c.d. primavera araba rischia di trasformarsi nel dominio della Shari’ja” – in “Cartalibera” del 2610-2011; “Il caso Calipari ed altri analoghi “- ibidem del 7-3-2012; “Turismo pericoloso” -ibidem del 30-3- 2012. “L’attacco mussulmano all’Occidente: è prevedibile un rallentamento?” -ibidem del 24-9 -2012; “Un ‘equa soluzione del problema palestinese “conditio sine qua non” per assicurare la pace in Medio Oriente e, più in generale, nel mondo” – ibidem del 5-12-2012. Purtroppo non c’è peggior sordo di chi non vuol prestare ascolto!

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CULTURA

MISCELLANEA: BATTUTE INFORMAZIONI SERIE

ED

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 16 gennaio 2015 •

Tenuto conto dei tempi non felici iniziamo cercando di divertire per poi passare ad argomenti seri. I- Battute: Viene da chiedersi: i turisti Cinesi a Roma o Parigi che acquistano souvenir sanno che la maggio parte degli stessi è stata fabbricata in Cina ? Se dite che parlate con Dio siete un credente. Se però dite che vi risponde è utile che vi facciate visitare da uno psichiatra. Un giorno andrò a vivere in Utopia dove tutto funziona bene (secondo molti docenti) Si dice che il danaro non abbia odore ma quando ti manca emani un fetore di sterco. Lavorare -secondo alcuni-non ha mai ucciso. Ma perchè correre il rischio ? La cultura è come un paracadute. Se non l’hai ti sfracelli. Una signora chiede ad una ragazzina all’uscita da una scuola: “Cara, quando avrai terminato gli studi cosa vorresti fare? ” E la signorinetta: “La Lolita, signora ” Cosa vuol dire avere fin da giovani le idee chiare!. “Cara, ricordami, domani, di pagare il canone d’abbruttimento alla TV”. II-Argomenti seri: Leggete nel Corano : la Sura della Vacca (versetti 190,191,192) ; la Sura di Muhammad(vers. 4,22,,35) ; la Sura dei Ranghi serrati (vers.4) e meglio comprenderete quel che è avvenuto in Francia. Se poi, presi da un desiderio di maggior erudizione, andrete a leggere su Internet o su un’encicopedia quel che il Profeta fece agli uomini della tribu’ ebrea dei Banu Quraiza e cosa significhi nella tradizione islamica, segnatamente in quella sciita, la “Al Taqija ” ovvero la simulazione, capirete ancor meglio anche quel che rischiamo.

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CULTURA, POLITICA NAZ.

QUALCHE CONSIDERAZIONE FORSE BANALE APPROSSIMANDOSI IL 2015 by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 gennaio 2015 •

Pensando all’imminente inizio del nuovo anno mi sono sforzato d’individuare qualche pensiero gradevole ma, forse a causa della mia indole proclive al pessimismo, non sono riuscito nell’impresa. Mi consola l’idea di essere in probabilmente in buona compagnia.

questo

I lettori che, dopo questa premessa, continueranno nella lettura non me ne vorranno perché li ho avvertiti in tempo. Iniziando l’elenco dei “pensierini” di fine anno dirò che l’Italia sta attraversando, a mio giudizio, uno dei momenti più difficili della sua storia a causa della crisi economica con il conseguente elevato tasso di disoccupazione specie giovanile, della non riduzione del debito pubblico, degli scandali e della litigiosità tra le forze politiche. Quel che, però, desta, a parere dello scrivente, maggior preoccupazione é il clima di rassegnazione che sembra diffuso. La gente cioè sembra incapace di credere che le cose possano, nel breve periodo, migliorare. Occorre peraltro riconoscere che molti ancora si sforzano di fare il proprio dovere e che il giovane Primo Ministro si sta adoperando per ridare slancio al paese e dobbiamo essere grati agli uni e all’altro. Il Premier, tuttavia, dovrebbe essere più prudente nel promettere e nella scelta dei collaboratori. Il “giovanilismo ” e l’ intrattenere rapporti di consuetudine non comporta automaticamente l’ acquisizione della collaborazione di gente di valore. L’esperienza e la conoscenza della materia debbono andare di pari passo. Gli ostacoli sul suo cammino sono enormi. Sarebbe, quindi, bene”, in primis “, che il Premier li indicasse al volgo onde non creare aspettative. Del pari non dovrebbe enunciare termini per la realizzazione dei suoi progetti che gli stessi potrebbero non venir rispettati. Quanto agli scogli che nella navigazione la nave renziana sta incontrando ci sembra sufficiente ricordare, in primo luogo, la componente vetero -comunista presente nel P.D. e la posizione della C.G.I.L e della sua ala più estremista, la F.I.O.M. Considerando poi i c.d. alleati F.I. e N.C.D. si tratta di sostegni incerti. L’ ex Presidente Berlusconi non riesce, infatti, a comprendere che sarebbe interesse del centro-destra e del paese la riunificazione dei due partiti ma continua a voler essere lui l’unica guida. Il Movimento 5 Stelle, sorto sull’onda del risentimento popolare soprattutto meridionale, sta mostrando tutti i propri limiti ideologici ed organizzativi. La politica è una cosa difficile e più seria di uno spettacolo di cabaret. La “Lega “,sotto l’impulso di Salvini, ed avendo abbandonato gli assurdi slogan secessionistici, sta riprendendo quota. Il suo limite (forse, però, si tratta di una finalità solo tattica) è rappresentato dalla dichiarata volontà di uscire

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dall’ Euro che per il nostro paese sarebbe catastrofico e porterebbe, probabilmente, al disfacimento dell’Unione Europea. Questa, peraltro, non naviga in acque tranquille per due sostanziali ragioni : si è troppo allargata e questo rende il processo decisionale macchinoso; il divario tra le diverse situazioni economiche, a motivo della crisi, si é accentuato. Allargando l’orizzonte: il mondo occidentale si trova a dover affrontare, anche dentro le proprie frontiere, la pressione delle popolazioni africane e del Medio Oriente, pressione che sta assumendo connotazioni d’integralismo religioso. Siamo forse allo scontro di civiltà che autorevoli studiosi avevano, peraltro, preannunziato già vari anni fa e di cui ho scritto anche su questo foglio. Dopo queste dolenti note un augurio :” Spero meliora” (= Spero in cose migliori – Cicerone, “Ad Attic.”14,16,3) anche perché ” Informis hiems reducit Iuppiter, idem summovet ” (Giove le procelle ispide riduce e lo stesso le calma) v. Orazio. “Odi,2,10) . “Utinam ”!(= Cisì voglia il Cielo).

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POLITICA NAZ.

L’IMPRUDENTE BENEVOLENTIAE” PRIMO MINISTRO

“CAPTATIO DEL NOSTRO

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 17 dicembre 2014 •

Probabilmente per acquisire meriti agli occhi del Governo turco e dei nostri esportatori ed investitori in Turchia il Primo Ministro Renzi, in occasione della recente visita di Stato ad Ankara, ha dichiarato che il nostro paese avrebbe sostenuto la domanda di quel Governo di adesione all’Unione Europea, richiesta che da tempo giace sui tavoli delle Cancellerie dei paesi membri. Tale dichiarazione (peraltro preceduta tempo fa -se non andiamo errati- da un’analoga pronunzia del Presidente Napolitano) ci appare del tutto inopportuna. Non ci risulta, infatti, che il Parlamento Italiano abbia votato a favore di un’eventuale adesione della Turchia all’Unione Europea. Anche se ci fosse stata una presa di posizione in tal senso prudenza avrebbe voluto che non ci si impegnasse in maniera così formale. Molti paesi membri dell’Unione Europea sono, infatti, contrari all’adesione “de qua “soprattutto in considerazione delle caratteristiche ideologiche della maggioranza governativa di quel paese improntate ad un islamismo molto spinto, della possibilità che Ankara favorisca vieppiù il già praticato libero ingresso sul proprio territorio e, in caso di adesione all’U.E., i n quello dell’Unione, di cittadini dei paesi turcofoni. Gli avvenimenti di questi giorni in Turchia(arresti a vario titolo degli oppositori) rafforzano, se ce ne fosse stato bisogno, i dubbi, anche presso i nostri partner europei, circa la democraticità del partito di Erdogan e, per conseguenza, fanno risaltare l’errore compiuto dal nostro Primo Ministro. Questi, nella sua giovenil baldanza, non ha tenuto presente il consiglio di Seneca:”Quidquid agis prudenter agas et respice finem “(=Qualsiasi cosa tu faccia fallo con prudenza e pensa alle conseguenze) .

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APPUNTAMENTI, CULTURA

IL (QUASI) SILENZIO E’ D’ORO (PER ALCUNI) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 3 dicembre 2014 •

Questo detto popolare – integrato con alcune parole poste tra parentesi da chi scrive – si attaglia alla perfezione, a nostro avviso, agli scandali di enormi proporzioni che negli ultimi anni hanno contrassegnato l’attività di grandi banche statunitensi, britanniche, di alcuni istituti di credito elvetici, tedeschi e giapponesi e di cui la stampa non specializzata, pur non avendo potuto ignorarli, non ha dato (stranamente) il dovuto risalto. In altri termini l’opinione pubblica, a nostro parere, non è stato “adeguatamente” informata e ciò a vantaggio – ci sembra – del sistema. A sostegno di questa affermazione è necessario, tuttavia, ricapitolare, molto sommariamente perché la materia è complessa, i fatti e le cifre. Di recente la Bank of America è stata multata dalle competenti autorità statunitensi per la “modesta” cifra di 16,65 miliardi di dollari (diconsi “miliardi”) a causa della poca chiarezza delle indicazioni fornite agli investitori ed allo stesso Governo di oltre atlantico circa le vendite per miliardi (si: “miliardi”) di R.M.B.S. (= Residential Mortgage Backed Security) ovvero – in sintesi – titoli che rappresentano rendimenti in contanti che vengono pagati agli investitori e che sono garantiti da pagamenti in contanti da parte di proprietari di immobili che pagano gli interessi e la quota capitale relativi a mutui ottenuti in base alle condizioni concordate con i loro mutuatari. Si tratta di mutui ipotecari. Tali mutui, a loro volta, venivano talora garantiti da prestiti della cui qualità e livello di rischio la Bank of America non aveva fornito, come sopra detto, chiare indicazioni. Nel 2013 la J.P. Morgan, grande banca statunitense, fu obbligata a pagare a titolo di sanzione per i c.d. mutui “sub prime” 13 miliardi di dollari. Analogamente fu sanzionato il Citigroup (per 7 miliardi di dollari). In totale in un biennio le multe furono di 36,65 miliardi di dollari. Altro enorme scandalo è stato quello relativo al “Libor” scoperto nel 2012. Questa sigla indica il “London Inter Bank Offered Rate” ovvero il tasso di riferimento per i prestiti fissato quotidianamente sulla base della media dei tassi che le principali banche della piazza londinese dichiarano essere pronte a praticare.

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Si è scoperto che detti istituti si accordavano tra loro per fare lievitare o abbassare il Libor percependo, in tal modo, enormi guadagni. Secondo un operatore del settore la manipolazione di tale indice andava avanti – niente meno – dal 1991 (v. “Financial Times” del 27.07.2012). Dato che il Libor viene utilizzato anche nel mercato statunitense dei c.d. derivati la manipolazione ha influenzato anche tale comparto che rappresenta ben 350 miliardi c.a. di dollari. Nel giugno del 2012 la Barclays Bank, in relazione a detta manipolazione, è stata multata dalle autorità statunitensi per 360 milioni di dollari. Nel dicembre dello stesso anno l’U.B.S. (= Union des Banques Suisses) venne ancor più duramente condannata per tale comportamento dalle autorità di controllo statunitensi, britanniche ed anche svizzere: per 1,5 miliardi di dollari! In seguito ad analoghe accuse la britannica “Financial Conduct Authority) ha inflitto sanzioni per 1,7 miliardi dollari a: la Royal Bank of Scotland (R.B.S.), la Citibanck, la Hong Kong Shang’hai Bank, la J.P. Morgan. Sotto inchiesta, in seguito a ricorso della statunitense “Federal Deposit Insurance Corporation”, (che assicura i depositi bancari), di fronte al Tribunale di Manhattan, sempre per la manipolazione del Libor, sedici grandi banche nord-americane, europee e giapponesi. Allo scandalo del Libor ha fatto seguito nel dicembre 2013 quello dell’Euribor, l’equivalente del Libor, cioè l’”Interbank Offered Rate”, il tasso di riferimento per la zona Euro fissato giornalmente dagli istituti di credito organizzati nella Federazione Bancaria Europea. E’ un indice di fondamentale importanza per la fissazione del prezzo di mutui, dei prestiti e dei derivati ed altri strumenti finanziari. La Commissione dell’Unione Europea ha comminato qualche tempo fa una sanzione di 1,7 miliardi a vari gruppi bancari: Barclay’s, Deutsche Bank, Crédit Agricole, Société Générale, Hong Kong and Shanghai Banking Corporation, J.P. Morgan, l’UBS per aver partecipato “a cartelli illegali” volti alla manipolazione dell’Euribor. L’UBS e la Barclay’s non hanno però subito alcuna sanzione dato che hanno rivelato l’esistenza dei cartelli e quindi beneficiato dell’immunità. Insomma essendo rei confessi “nulla quaestio”!? Occorre notare che non figurano fino ad ora istituti italiani nelle varie operazioni fraudolente sopra ricordate e di questo non possiamo che rallegrarci. Quel che sembra emergere da tutto ciò è che i controlli “preventivi” sono stati del tutto carenti. Inoltre appare ancora molto difficile mettere a punto, a livello internazionale (che è essenziale), intese che vincolino i regolatori di tutti i paesi a norme comuni (v. tra gli altri: I. Visco, Governatore della Banca d’Italia, nel suo articolo “The Aftermark of the crisis: Regulation, supervision and the role of the Central Banks” pubblicato dal “Centre for Economic Policy Research” in “Policy Insight n. 68). Da cinque anni, infatti, ad es., per quanto riguarda il settore dei derivati il “Financial Stability Forum” (F.S.B.), l’organismo internazionale che raggruppa i regolatori di tutti i principali paesi, non è riuscito ancora a concordare una disciplina comune (v. S. Rossi: “Processo alla finanza”, pag. 43, ed. Laterza – giugno 2013). Altri sforzi verso una disciplina comune vengono esercitati, onde evitare altre crisi, nell’ambito del “Basel Committee on Banking Supervision” (B.C.B.S.) introducendo, ad es., standard internazionali circa la liquidità delle banche e la raccolta fondi.

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In questo ambito l’Unione Bancaria Europea ha fatto di recente un importante passo prevedendo un meccanismo di supervisione (S.S.M.), un solo organismo di “risoluzione” ed un sistema armonizzato di assicurazione sui depositi bancari. E’ di questi giorni la notizia che la Banca Centrale Europea sta preparando il programma d’ispezioni sulle 130 banche (tra le quali 13 italiane) da compiere nel 2015. La strada intrapresa è ancora lunga ed ardua ma è indispensabile percorrerla fino in fondo e quanto più celermente possibile, prevedendo anche severe sanzioni penali per i responsabili ad alto livello (finora usciti indenni) al fine di scongiurare altre crisi che, stante la globalizzazione dei mercati, avrebbero, ancora una volta, drammatiche ripercussioni su tutti i paesi e soprattutto sui ceti meno abbienti della popolazione. ———– Su questo argomento, segnalo il premio di letteratura economica concesso quest’anno dal Club Canova,un importante circolo economico-finanziario di Roma con una succursale a Milano, é stato assegnato a Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, per il suo libro “Processo alla finanza” (ediz. Laterza, 2013). In appresso una sintesi con alcuni commenti. Il 26 nov.u.s. il Club Canova, un circolo economico -finanziario dell’Urbe assai noto, ha assegnato all’autore di questo studio, Salvatore Rossi, direttore generale della Banca d’Italia, il proprio premio annuale di letteratura economico-finanziaria. Il riconoscimento è stato del tutto meritato.In tale saggio, infatti, l’autore procede ad una disamina approfondita di un problema di grande attualità: la finanza, percepita, in seguito alla gravissima crisi mondiale non ancora del tutto superata, come l’unica responsabile del disastro. La tecnica utilizzata é quella del processo ovvero si figura di dare la parola all’accusa e alla difesa, sforzandosi quindi di abbozzare un verdetto. Il testo di sole 110 pagine è di piacevole lettura giacchè illustra la non facile materia in maniera estremamente chiara e sintetica rendendola perciò accessibile al profano. E ciò è, in genere, la dote di chi, dominando u n tema, ne scrive talchè risulta, ancora una volta, veritiero il detto “Parvo pondere multa vehis ” (=Molte cose porti in un piccolo peso). Altro pregio del volume è che la trattazione non ci sembra sia stata influenzata dalla carica ricoperta dall’autore. I vari capi d’accusa (la finanza è destabilizzante, è avulsa dall’economia reale è opaca, i derivati, le agenzie di rating e così via )ed i meccanismi finanziari e le possibili tesi difensive sono illustrati in agili capitoli. Nel capitolo finale( “Riflessioni per un verdetto”) l’autore ricorda, conclusivamente, tra l’altro, che “la finanza è una modalità di organizzazione dell’agire economico che per sua natura produce periodicamente instabilità” donde “il problema di identificare e prevenire le sue disastrose degenerazioni. La soluzione è una sola :la finanza va assoggettata a una istanza superiore pubblica “. Non si può che convenire in toto con questa affermazione ed augurarci che vengano quanto più celermente possibile creati o rafforzati, laddove già esistano, meccanismi pubblici internazionali di regolamentazione del mercato non privi di poteri sanzionatori.

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POLITICA INTERNAZ.

CON LA RUSSIA NON È NELL’INTERESSE DEI PAESI DELL’UNIONE EUROPEA E DEGLI STATI UNITI TIRARE TROPPO LA CORDA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 16 novembre 2014 •

Negli ultimi mesi il Presidente Obama sta conducendo, spalleggiato da alcuni paesi europei, un’offensiva diplomatico economica contro Mosca per il problema dell’Ucraina. Ci sembra che si stia esagerando. Se è vero che Putin (cresciuto nei ranghi del KGB) è un nazionalista e che non giochi a carte scoperte nella tutela della componente russofona dell’Ucraina, ciò non di meno occorre chiedersi quale sia l’interesse dei paesi N.A.T.O. e soprattutto del Presidente Obama a spingere sull’acceleratore. Per il Presidente degli Stati Uniti, clamorosamente battuto nelle recenti elezioni di metà mandato, il fine di una tale politica appare evidente ma miope : rintuzzare gli attacchi dei Repubblicani per la sua incerta politica estera ma questo è di corto respiro. La Russia è, infatti, quasi un continente, dalle enormi risorse, che fa parte, malgrado tutto, del mondo occidentale e che può, per conseguenza, ostacolare, se non altro per un fatto geografico, il non celato espansionismo cinese. Inoltre Mosca sarebbe l’alleato naturale dell’Occidente nellla guerra in atto con l’estremismo di matrice islamica dato che deve fronteggiare sul suo suolo lo stesso fenomeno. Per quanto riguarda infine il nostro paese, stanti gli importantissimi rapporti commerciali intrattenuti con la Russa, non vi è ombra di dubbio che è nostro interesse favorire la distensione.

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CULTURA, GIUSTIZIA

LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI NEL MONDO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 11 novembre 2014 •

In pratica nel quasi silenzio dei Governi Europei, di Washington e della stampa internazionale nonché -”incredibile auditu”- solo con timidi accenni al problema da parte del Pontefice assistiamo, quasi quotidianamente, a frequenti omicidi, a condanne a lunghi anni di detenzione, a rapimenti di Cristiani e Cristiane in Pakistan, in Siria, Iraq, Africa, Corea del Nord e Cina. Secondo analisi di osservatorii attendibili (v. “Il libro nero delle condizioni dei Cristiani nel mondo”, edito da Mondadori ed il” Rapporto annuale dell’aiuto alla Chiesa che soffre” citati da Antonio Socci nel suo articolo del 9 novembre crt.a. apparso su “Libero” – pag. 1-13)il numero dei perseguitati a motivo della fede é enorme. Solo per quanta riguarda gli omicidi si tratterebbe annualmente di 100.000 persone! La quasi indifferenza dei Governi e dell’opinione pubblica mondiale é, a nostro avviso, da ricercare nella secolarizzazione delle nostre società e negli interessi economico-politici che alcuni paesi rappresentano per l’Occidente. La libertà religiosa è stata una conquista pagata con fiumi di sangue e rappresenta uno dei pilastri della democrazia moderna. Se lo si dimentica si pone in forse l’esistenza stessa del sistema democratico. L’unica soluzione che, allo stato, ci sembra necessario adottare per conservarla è, purtroppo, quella suggerita da Quintiliano (v.”Istit. Orat.”,12): “Qui ratione traduci ad meliora non possunt solo metu continentur” (= Chi non si può condurre sulla retta via con la ragione lo si terrà a freno solo con la paura).

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POLITICA INTERNAZ.

UN ORIZZONTE INTERNAZIONALE PREOCCUPANTE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 novembre 2014 •

Se “sine ira et pacato animo” si esamina la congiuntura internazionale vi sono motivi di forte preoccupazione. Il Medio Oriente e la Libia sono in preda alla guerra civile La Somalia è in gran parte controllata da gruppi mussulmani integralisti. A sud del Sahara milizie islamiche attaccano le popolazioni di altre fedi. Da ciò un flusso ininterrotto di profughi verso le coste italiane avente, in gran parte, come meta finale, l’Europa centrale e settentrionale. Nei paesi occidentali non sembra si sia a pieno compreso e il gravissimo pericolo rappresentato, come alcuni, tra cui chi scrive, vanno dicendo da tempo, dall’integralismo islamico che, segnatamente con l’ISIS, mira a portare la guerriglia in Occidente. Gli Stati Uniti, specie dopo la sconfitta elettorale nelle elezioni di “mid -term” subita dall’incerto Obama, non sembrano essere inn grado di prendere la guida della resistenza I paesi dell’Unione Europea paiono divisi e, per ciò stesso, muoversi in un’ottica di estrema miopia anche perché non sembrano esservi sulla scena politica personaggi di rilievo. A complicare le cose vi è poi la non ancora superata del tutto crisi economica europea. Da quanto precede non vorremmo trarre la conclusione, citando Tito Livio (Hist.,8,24) ,secondo cui, “Ferme fugiendo in media fata ruitur” ovvero “In genere precipita nel suo destino chi fugge”

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ECONOMIA

NEI C.D. “STRESS TESTS” SUGLI ISTITUTI DI CREDITO EUROPEI SONO STATI UTILIZZATI PARAMETRI UNIFORMI? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 novembre 2014 •

Il 26 ottobre u.s. sono stati resi noti i c.d. “stress tests” (rectius il “Comprehensive Assessment”) ovvero le valutazioni degli attivi delle banche dell’Unione Europea dette anche “asset quality review ” e le prove di resistenza delle stesse nell’eventualità di situazioni anomale dell’economia reale .Dette prove sono state realizzate nell’ottobre del 2013 dalla Banca Centrale Europea e dall’E.B.A. (l’ Autorità Bancaria Europea) in previsione del passaggio alla Vigilanza Unica sul settore presso la Banca Centrale Europea che avrà luogo nel Novembre dell’anno corrente. Si é trattato di un’analisi difficile e per ciò stesso molto apprezzabile anche perché non era mai stata effettuata in precedenza. Ciò non di meno non si può non rilevare che tale esame era concentrato sugli attivi creditizi che, nel caso degli istituti di credito del nostro paese, erano stati, a fine 2013, particolarmente colpiti da tre anni di una forte recessione, ” e non ” sugli attivi di mercato come i c.d. e famigerati “derivati” di cui alcune banche non italiane sono particolarmente oberate. In altri termini si é guardato con la lente d’ingrandimento il credito alle imprese rispetto alla finanza speculativa anche se, come ha rilevato il prof. Andrea Resti, docente di Economia degli Intermediari Finanziari alla Bocconi, era indubbiamente difficile valutare tecnicamente in maniera omogenea le minusvalenze potenziali dei titoli strutturati come, ad es., i c.d. “collateralized debt obligations” (c.d.o.) ovvero debiti garantiti da altri debiti .Gli esaminatori europei hanno pertanto fatto affidamento,, in questa fattispecie alle stime delle singole banche coinvolte che usano i modelli interni “E’ -ci si perdoni il paragone un po’ plebeo forse, come chiedere all’oste se il suo vino è di buona qualità. Inoltre qualora si fossero applicate le regole contabili così dette di “Basilea 3″ a pieno regime come avverrà nel 2019 gli istituti che non avrebbero superato l’esame non sarebbero stati 25 di cui 9 italiani bensì 36 di cui 5 tedeschi. L’aspetto, a nostro modesto parere, più sconcertante di tale esercizio è però l’esclusione dall’esame delle c.d. “Landesbanken” ovvero le banche del territorio (Casse di Risparmio, Banche Popolari, Cooperative) e questo in seguito a pressante richiesta del Governo tedesco.

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Il motivo è semplice : tali istituti, molto diffusi ed importanti, intrattengono stretti rapporti con la politica regionale nei vari Laender e presentano un’ elevata criticità quanto ai loro affidamenti (v.ad es. quelli ai cantieri navali tedeschi). .Inoltre giova anche ricordare che nel 2008 quando detti istituti erano pieni di titoli collegati ai c.d. mutui “subprime” statunitensi il Governo di Berlino fu costretto a stanziare vari miliardi di Euro per salvarli. In un nostro scritto apparso su “Cartalibera” dell’11 novembre 2011 (“Germania, qualche puntino sulle” i “forse non guasta”) sollevammo, inter alia, questo aspetto negativo del sistema bancari germanico In questo panorama gli istituti italiani, tranne due, CARIGE e, purtroppo, il glorioso Monte dei Paschi di Siena, che non hanno passato l’esame, se la sono cavata. S è tentati di concludere dicendo che da questo prima disamina del sistema bancario europeo emerge, come scriverebbe G. Orwell (v. “La fattoria degli animali”), che “Alcuni sono più eguali degli altri”. Ci auguriamo che in futuro le autorità di Francoforte siano più “super partes ” e che i nostri rappresentanti in quegli emicicli non facciano (come sovente, ahinoi! Accade) finta di non accorgersi!

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CULTURA, ECONOMIA, GIUSTIZIA

“QUIS CUSTODET IPSOS CUSTODES?” (=CHI CONTROLLA I CONTROLLORI?) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 22 ottobre 2014 •

E’ questo un interrogativo, molto noto e sempre attuale, di Giovenale. “Sempre attuale” come cercheremo di dimostrare riferendoci ai carenti controlli che si sono verificati nelle attività bancarie e finanziarie a livello planetario nel passato anche recentissimo. Ci riferiamo “in primis” alla c.d. “Grande Depressione” ovvero alla gravissima crisi finanziario-economica del 1929 che iniziò con il crollo della Borsa di Wall Street a Nuova York il 29 ottobre in seguito all’euforia speculativa correlata alla crescita economica post-bellica americana alimentata dalla notevole liquidità derivante dai rimborsi dei prestiti concessi durante il Primo Conflitto alle potenze alleate. I controlli preventivi anti-speculazione furono allora del tutto carenti. La crisi dagli Stati Uniti si propagò rapidamente in tutti i paesi che avevano stretti rapporti economico-finanziari con la potenza d’oltre-atlantico. Donde l’introduzione in taluni Stati europei di misure protezionistiche e, in altri, la partecipazione diretta degli Stati alla vita economica (v. ad es. il c.d. New Deal negli Stati Uniti; la creazione dell’I.R.I. in Italia; i lavori pubblici in Germania). Le conseguenze politiche della crisi non mancarono. E’, infatti, indubbio che il Nazismo ne trasse enorme vantaggio in Germania dove la crisi aveva colpito duramente. L’ attuale crisi economica, è nata, ancora una volta, negli Stati Uniti nel 2007-2008 come, in sostanza, conseguenza della demenziale politica di prestiti al settore immobiliare non garantiti in misura adeguata (la c.d. bolla immobiliare-crisi dei subprime) con la successiva cessione a terzi da parte degli istituti di credito dei mutui di difficile rimborso-i c.d. titoli tossici- attraverso sofisticate e spesso nebulose operazioni di catalizzazione. La forte svalutazione di siffatti strumenti portò al collasso grandi istituti di credito nord-atlantici (Bear Stern, Lehman Brothers, A.I.G.). Le conseguenze per la collettività furono meno drammatiche solo in virtù d’interventi massicci di ricapitalizzazione governativi. Propagatasi la crisi nel nostro continente interventi analoghi furono indispensabili per alcuni importanti istituti di credito europei arrivando anche a nazionalizzarli. Dalla crisi finanziaria alla crisi economica il passaggio è stato inevitabile e solo adesso, dopo ben sei anni, si intravede qualche timidissimo bagliore di speranza. Da questa estremamente sintetica e senza ombra di dubbio inadeguata rievocazione delle due crisi mondiali emerge tuttavia -a giudizio dello scrivente- la perdurante incapacità delle autorità competenti al dilà e aldiqua dell’Atlantico di creare e far funzionare meccanismi idonei a prevenire siffatte, devastanti crisi. Donde l’interrogativo del titolo. Ci piace, infine, ricordare, a monito dei Governanti, una frase di P.Siro: “Paucorum improbitas est multorum calamitas” (= La disonestà di pochi è una calamità per molti).

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ECONOMIA

OVVIETA’ ECONOMICA INASCOLTATA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 ottobre 2014 •

Il 27 aprile 2012 questo foglio ospitò un mio breve scritto intitolato: “Un incomprensibile ritardo del Governo Monti” in cui stigmatizzavo il ritardo (dopo oltre 4 mesi dall’insediamento di quell’ Esecutivo) per le difficoltà che incontrava il Ministro Giarda, a procedere alla revisione della spesa pubblica revisione che giudicavo essenziale per cercare di ridurre l’enorme disavanzo pubblico. A distanza di due anni detta revisione (detta, per renderla più alla moda, “spending review”), dopo ben due Governi, sembra ancora in alto mare. Nel frattempo il nostro debito si è accresciuto a dismisura. L’economia di un paese è, semplificando, soggetta alle stesse regole che sovraintendono all’economia di una famiglia. Se un nucleo famigliare dispone, ad es., di 2000 euro di entrate mensili e spende mensilmente 4.000 euro, dopo qualche mese sarà costretto ad indebitarsi e se continuerà a spendere somme superiori ai propri introiti non sarà in grado di onorare i propri debiti e, per conseguenza, non troverà più chi gli farà credito e dovrà, se ne dispone ancora, vendere i propri beni, mobili ed immobili. La revisione della spesa pubblica appare perciò ineludibile per il nostro Paese. “Tertium non datur” Non vorremmo che il Primo Ministro Renzi non intervenendo con estrema decisione e sollecitamente in questa materia si trovi nella situazione di Riccardo III, ultimo dei Plantageneti, alla battaglia di Bosworth Field del 1485 contro Enrico Tudor, quando, disarcionato, andava gridando (secondo W. Shakespeare v.Riccardo III, Atto V, scena IV): “Un cavallo, un cavallo per il mio regno”. Nel caso del nostro Fiorentino l’implorazione potrebbe essere: “La revisione della spesa, la revisione della spesa (subito) per il mio Governo”.

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CULTURA

UNO STRAORDINARIO DIFENSORE DEGLI ANIMALI DEL 6° SECOLO A.C by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 ottobre 2014 •

Pitagora, dettaglio della Scuola d’Atene (1511) di Raffaello Sanzio Rileggendo il mirabile poema di Ovidio Nasone (43 a.C.- 17 d.C.) ci si imbatte in un vero e proprio manifesto animalista “ante litteram” che il poeta attribuisce a Pitagora (nato a Samo nella prima metà del 6° sec.a.C,, trasferitosi poi a Crotone dove fondò la sua famosa scuola) della cui dottrina si sarebbe nutrito il secondo re di Roma,Numa Pompilio, che si era recato nella città calabra.

(testo tratto da Libro XV delle “Metamorfosi” di Ovidio pubblicato dalla B.U.R. – Classici Greci e Latini – 15a ediz. - traduzione di Giovanna Faranda Villa)

E’ un testo che colpisce per la sua straordinaria chiarezza ed efficacia sì che lo proponiamo ai nostri lettori nella traduzione italiana (v. “Le Metamorfosi” nell’ed. B.U.R. “Classici latini e greci ” ed.2013, trad. di Giovanna Faranda Villa)e senza alcun commento ché ci sembrerebbe del tutto superfluo. /«Smettetela, uomini, di profanare i vostri corpi con ci- “bi empi! Ci sono le messi, ci sono alberi stracarichi di frutti, ci sono turgidi grappoli d’uva sulle viti! Ci sono erbe dolci e tenere, altre che si possono addolcire e ammorbidire con la cottura. Avete a disposizione il latte e il miele profumato di timo. La terra nella sua generosità vi propone in abbondanza blandi cibi e vi offre banchetti senza stragi e sangue. Sono le bestie a soddisfare la loro fame con la carne, e nemmeno tutte! I cavalli, le pecore, i bovini vivono d’erba. Invece quelle che hanno una natura in domabile e feroce: le tigri d’Armenia, i rabbiosi leoni, i lupi e gli orsi, pretendono cibo sanguinolento. Che enorme delitto è ingurgitare viscere altrui nelle proprie, far in grassare il proprio corpo ingordo a spese di altri corpi, e vivere, noi animali, della morte di altri animali! Ti par possibile che fra tanto ben di dio che produce la terra, ottima tra le madri, a te non piaccia masticare altro coi tuoi denti crudeli che carne ferita, riportando in voga le abitidini dei Ciclopi? E non riuscirai a placare le brame del tuo ventre vorace e male abituato se non uccidendo un altro? Eppure quell’antica età, cui abbiamo dato il nome di “aurea”,9 fu felice perché gli uomini vìvevano dei frutti degli alberi e delie erbe prodotte dalla terra, e le bocche non erano contaminate dal sangue! Allora gli uccelli potevano volare tranquilli nell’aria e le lepri errare nei campi senza paura e I pesci non rischiavano, per la loro ingenuità, di finire a penzolare da un amo. Non c’erano insidie, non c’era timore di frodi, la pace regnava dappertutto. ^ Poi ci fu uno, chiunque egli sia stato, in cui nacque un sentimento perverso di invidia per il cibo di cui si pascono gli dei e si mise a ingoiare avidamente pietanze di carne, aprendo così la via allo scempio. Può darsi che in un primo tempo il ferro si sia macchiato del caldo sangue delle bestie feroci: e di ciò ci si doveva accontentare. Ammetto che decretare la morte di chi cerca la nostra non è peccato. Ma se era lecito uccidere le belve, non altrettanto lo era mangiarle. Invece da lì la strage si estese. Si pensa che la prima vittima sia stato il porco, che meritò di morire perché, scavando col suo grugno, dissotterrava le sementi e frustrava le speranze di raccolto. Toccò poi al capro: si dice che per aver mangiato foglie di vite fu sacrificato sull’altare di Bacco, che di ciò pretendeva vendetta. Fu dunque la loro colpa ad attirare su questi due animali la punizione. Ma voi pecore, gregge pacifico, nato per aiutare l’uomo, che portate nelle vostre poppe colme un latte che è un nettare, che ci offrite la vostra lana per farne morbide vesti e siete più utili vive che morte, che colpa avete mai avuto? E che colpa ha il bue, animale onesto e ingenuo, innocuo e semplice, nato per sopportare la fatica? È un ingrato,

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un indegno del dono delle messi, colui che può macellare la bestia che per lui lavora i campi, subito dopo averle tolto di dosso il peso dell’aratro ricurvo! Colui che può abbassare la scure su quel collo logorato dalla fatica, di cui si è servito tante volte per lavorare il duro terreno dei campi e per ottenere tanti raccolti! E non basta a gente del genere commettere un tale delitto, ma ne ascrivono la responsabilità agli dei, ritenendo che la suprema divinità goda della strage dei laboriosi giovenchi! Una vittima senza macchia, dal bellissimo aspetto (questo le è stato fatale!), ornata d’oro e cinta di bende, viene collocata davanti all’altare, ode preghiere di cui non capisce il senso, vede che le pongono tra le corna quelle messi che sono cresciute grazie alla sua fatica e infine viene colpita e arrossa di sangue il coltello che forse aveva intravisto poco prima, riflesso nell’acqua limpida. Ed ecco che i sacerdoti si affrettano a scrutare dentro le viscere strappate al suo petto ancor caldo e pensano di individuare in esse i disegni degli dei. E di queste osate cibarvi, uomini? Tanto grande è la vostra fame di cibi proibiti? Non fatelo, vi prego, ma ascoltate i miei avvertimenti! E quando vi mettete sotto i denti le membra dei buoi uccisi, rendetevi ben conto che masticate la carne dei vostri contadini! ^Che tremende abitudini contrae e come si prepara a versàire empiamente sangue. Umano mentre taglIa con un coltello Ia gola di un vitellino senza lasciarsi turbare dai muggiti che giungono alle sue orecchie! Colui che può_sgozzare un capretto che emette lamenti simili ai vagiti di un bambino…..^ Quanto manca a gente del genere per compiere un vero e proprio delitto? Se si comincia così, dove si andrà a finire? Lasciate che il bue ari e debba la sua morte alla vecchiaia, che la pecora ci procuri il mezzo di difenderci contro i rigori di Borea, che la capra ci offra le sue poppe da mungere! Eliminate le reti, le trappole, i cappi, tutte le insidie! Non preparate tranelli agii uccelli con bastoni spalmati di vischio, né ai cervi con spauracchi coperti di penne e non nascondete gli ami adunchi sotto esche in-gannatrici! Uccidete le bestie che fanno del male, ma limitatevi a ucciderle! Le vostre bocche none se ne cibino e si nutrano solo di alimenti incruenti!». Così Pitagora.

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

I CURDI, UN POPOLO CORAGGIOSO E SFORTUNATO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 21 settembre 2014 •

In questo periodo i Curdi (In arabo-persiano “Curd”) sono tornati alla ribalta della storia in concomitanza con l’offensiva dell’ISIS -gli integralisti sunniti-in Iraq e Siria, da loro valorosamente ostacolata con le loro milizie, i “Peshmerga”. Chi sono i Curdi? Si tratta di un gruppo etnico che abita nella parte settentrionale e nord-orientale dell’antica Mesopotamia attualmente inclusa nell’Iran, nella Siria, nella Turchia e, in misura minore, in Armenia anche se piccole comunità sono presenti in Libano, Giordania, Azerbaigian, Afganistan, Pakistan, Georgia. Poco si sa della loro storia prima della conquista araba di quelle contrade nel VII ° secolo d.C. Forse discendono dagli abitanti dell’antico regno dei Carduchi ricordati da Senofonte e Strabone. Probabile la mescolanza con elementi Sciiti e Galati di stirpe celtica (talora, infatti, s’incontrano tra loro tipi biondi) . Si stima che siano oltre 30 milioni (10% c.a. della popolazione turca, 7/8% c.a. di quella irachena, 6% c.a. di quella siriana, 4% c.a. degli Iraniani, 3% c.a. in Armenia etc.). Sono divisi in tribù. Sono, in genere, allevatori semi -nomadi ma praticano anche, sussidiariamente, l’agricoltura. Sono di fede mussulmana sunnita di rito sciafeita. Il curdo è una lingua indo-europea della famiglia iranica divisa in tre gruppi dialettali con molti apporti del persiano moderno e dell’arabo. Fin dalla conquista araba del Medio Oriente i Curdi si distinsero per il loro spirito d’indipendenza che si manifestò in frequenti rivolte. La regione dello Shahrizon (nel sud-est del Kurdistan iracheno), tuttavia, si affermò dall’11° al 16° secolo d.C. come regno indipendente. Altre tribù curde, invece, si sottomisero alla dinastia turca dei Selgiuchidi. Nel 12° secolo il Sultano Sangiar istituì la provincia del Kurdistan. Nella seconda metà del 12° secolo con Saladino il Grande, sultano di Egitto e Siria, di etnia curda, questa po polazione dominò quei territori.

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Nel 1514-1536 furono sottomessi dai Turchi ma continuarono a difendere la propria indipendenza alleandosi con i Persiani ed i feudatari cristiani. Insorsero più violentemente contro i Turchi tra il 1832 ed il 1847 per opporsi alle riforme che il governo di Costantinopoli aveva introdotto. Subirono, per conseguenza, la distruzione di molti loro castelli ed i loro esponenti (i c.d. “derebey” = signori delle valli)vennero sostituiti da governatori turchi. Con la rivoluzione dei Giovani Turchi, agli inizi del XX ° secolo, i Curdi dell’impero ottomano ricevettero un nuovo impulso nazionalistico sì che si organizzarono in associazioni, pubblicarono giornali, inviarono rappresentanti al parlamento turco. Alla Conferenza di Pace del 1919 reclamarono l’indipendenza della nazione curda. Con il Trattato di Sèvres del 1920 sembrò che il loro sogno d’indipendenza si avverasse dato che, grazie all’appoggio britannico, venne riconosciuta la loro autonomia con la costituzione dello Stato del Kurdistan Il nazionalismo turco, guidato da Atat”urk, impedì però la realizzazione del progetto e portò alla spartizione dei territori abitati dai Curdi tra la stessa Turchia, l’Iran, l’Iraq. Una minoranza rimase in Siria e negli altri Stati della regione. Nel febbraio del 1925 i Curdi si sollevarono contro il Governo turco che represse duramente la ribellione. Dopo l’indipendenza (1933) dell’Iraq le tribù curde di quella regione ebbero sovente manifestazioni di carattere rivoltoso. Del pari nel 2° dopo-guerra i Curdi persiani, guidati dalla famiglia Barzani (tuttora alla testa di quelle popolazioni),condussero una lunga guerriglia contro Teheran che durò sino al 1974 quando gli Iracheni ritirarono l’appoggio fino ad allora loro prestato. Durante il conflitto iracheno-iraniano (1980-’88) il governo di Baghdad cercò di annullare le conquiste autonomistiche curde attraverso deportazioni di massa, bombardamenti e perfino l’uso di gas (strage di Halabja nel 1988). In Turchia il partito P.K.K. (partito dei lavoratori del Kurdistan) è stato dal 1991 sottoposto a restrizioni via via più pesanti mentre l’esercito turco ha svolto offensive nel settentrione dell’Iraq dove si trovano le basi dei guerriglieri curdi in Turchia. Attualmente la situazione dell’area appare molto fluida e dagli sviluppi non facili da prevedere. Il Kurdistan iracheno è sottoposto ai violenti attacchi dell’ISIS. In Turchia non sembra emergere una riduzione della pressione governativa sull’irrequieta, consistente minoranza curda. Confusa è la situazione in Siria. Le potenze occidentali sembrano prive di un’incisiva strategia di ampio respiro per il Medio Oriente limitandosi a d imbastire un’operazione di contenimento dell’ISIS e di sostegno, a tal fine, dei Curdi. Avrà successo una tale operazione utilizzando la sola arma aerea ? I dubbi sono piu’ che giustificati. Alla fattispecie si attaglia, a nostro sommesso giudizio, il verso di Orazio : “Dum vitat humum,nubes et insania captat ” (= mentre evita la terra, va a vaneggiare nelle nuvole -”Ars Poetica “, 230).

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POLITICA NAZ.

LA DEBOLEZZA DELL’OCCIDENTE ED I FLUSSI DEL MERIDIONE D’EUROPA (Medio Oriente ed Africa) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 3 settembre 2014 •

La storia non si ripete “in toto” ma esistono le similitudini. La debolezza dell’Impero romano, dapprima d’Occidente poi d’Oriente, consentirono ai barbari germani, seguiti poi dagli Slavi, ed agli Arabi, qualche secolo dopo, di invadere le terre dell’impero. L’Occidente riuscì a contenere con enormi e cruenti sforzi, prima in Ispagna e in Italia meridionale, quindi nel 600 nei Balcani, l’espansione musulmana guidata, da ultimo, dai Turchi ottomani. Ora l’Islam è di nuovo all’attacco grazie alla spinta numerica ed alla debolezza dei governi europei e di quello degli Stati Uniti. Il problema palestinese fornisce un forte alibi all’odio islamico verso le nazioni europee e gli Stati Uniti considerati gli alleati d’Israele. A ciò si aggiunge il diffondersi nel Medio Oriente ed al sud del Sahara di movimenti integralisti (v., ad es., BokoHaram) e, nel contempo, il desiderio di molti in quelle aree di venire nelle terre europee considerate un El Dorado. L’Italia, per la sua posizione geografica, è considerata l’anello debole dell’Europa anche perché la miopia dei governi europei la stanno lasciando sola di fronte ai flussi migratori provenienti soprattutto dai paesi a sud del Sahara. Come disse lucidamente, tempo fa, e come abbiamo già ricordato in questo foglio, un Iman: << Vi vinceremo – voi Occidentali - grazie alle vostre leggi permissive ed al ventre delle vostre donne>>. Se questa analisi e questa prognosi sono esatte, quale politica bisognerebbe praticare? Sicuramente non quella del “laissez – faire” che sarebbe improduttiva e non farebbe che accelerare il processo di trasformazione in termini evolutivi, nel lungo periodo, del fondamentalismo nel nostro continente. Già sono una ventina di milioni i mussulmani residenti in Europa! Il nostro governo dovrebbe cogliere l’occasione della presidenza semestrale del Consiglio dei Ministri Europeo per lanciare un appello agli altri Governi per un’azione organica e sollecita di contenimento diretto, con l’aiuto, anche militare, delle Nazioni Unite, a stabilizzare l’Africa settentrionale ed i paesi africani che, salvo eccezioni, non sono privi di materie prime ma sono male amministrati e potrebbero, pertanto fornire sostentamento a quelle popolazioni. Occorre però che i governi prendano coscienza dell’urgenza e gravità del problema. Speriamo che non siano obnubilati dai loro egoismi!

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CULTURA

L’IMPORTANZA DEL CIRCO NELLA STORIA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 giugno 2014 •

Circus Lion Tamer Nell’impero romano il circo e gli spettacoli che ivi si svolgevano erano molto importanti. Gli imperatori, infatti, per accattivarsi il favore del popolo, segnatamente della plebe, elargivano derrate ed organizzavano giochi nei c.d. circhi (da “cerchio “) cioè combattimenti tra gladiatori, tra uomini e bestie feroci, corse di cavalli e di carri. Resta a tale proposito il detto “panem et circenses”. A Costantinopoli la tradizione del circo continuò quasi fino alla fine dell’Impero Romano d’Oriente. A Bisanzio c’era un magnifico circo dove si svolgevano le piu’ importanti cerimonie ufficiali presiedute dall’imperatore, naturalmente, le corse dei cavalli e dei carri. Gli spettatori erano divisi in varie fazioni di tifosi contraddistinte da diversi colori (bianco, verde, rosso, azzurro). Le piu’ importanti divennero, nel tempo, la “verde” e “l’azzurra” corrispondenti anche a diversi stati sociali. Tali fazioni erano molto importanti anche sotto il profilo politico-sociale perchè, sovente, erano all’origine di disordini. Le autorità di Bisanzio, perciò, le “maneggiavano” con molta circospezione. Dopo 1400 anni circa le cose non sono sostanzialmente mutate Il tifo calcistico imperversa. Gli atleti, come i gladiatori e gli aurighi di un tempo, sono strapagati e sono oggetto di forme di quasi adorazione. I politici, consapevoli della loro importanza a fini elettorali, li blandiscono. Insomma anche ai nostri giorni certe “virtù” (si fa per dire!) sono sempre di moda. Non essendo mutata la mentalità rimangono, per conseguenza, sempre veritieri questi versi di Orazio (Sat. I,6,15,17): “Populo, qui stultus honores saepe dat indignis et famae servit ineptus,qui stupet in titulis et imaginibus” = il popolo che, stolto, spesso conferisce onori agli indegni e, inetto, serve la fama e si stupisce di fronte ai titoli ed ai ritratti.

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GIUSTIZIA, POLITICA NAZ.

GIUSTIZIA IN CRISI. CHE FARE? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 22 giugno 2014 •

Uno Stato dove la giustizia non funzioni è destinato, prima o poi,alla decadenza o ad essere dominato da una dittatura. L’amministrazione della giustizia incide, infatti, profondamente su tutti i settori della vita di un paese e costituisce uno dei baluardi della democrazia. E’ sotto gli occhi di tutti che l’amministrazione giudiziaria italiana fa acqua da tutte le parti.Le cause di ciò sono molteplici: - un “corpus” legislativo eccessivo e, sovente, confuso che, per conseguenza, si presta al cavillo ed ai ricorsi ergo ai ritardi abnormi nel corso dell’iter processuale; una propensione del popolo italiano alla litigiosità, che viene alimentata, probabilmente “non disinteressatamente”, dal numero sterminato di avvocati che – giova ricordarlo -, potendo fruire dell’ausilio dei numerosi colleghi che siedono in Parlamento, non ha, verosimilmente, interesse a promuovere la semplificazione normativa; un ordine giudiziario che nel corso dei anni è diventato una casta auto – regolamentatasi e non del tutto insensibile, sovente, alle seduzioni della politica e, talora, purtroppo, del danaro e che non considera la funzione di cui e investito – come dovrebbe essere – un sacerdozio laico.

Il Governo dovrebbe iniziare proprio da quest’ultimo problema l’indispensabile anche se molto ardua opera di risanamento del sistema facendo approvare dal Parlamento “in primis” alcune norme che prevedano: il divieto per i magistrati (come avveniva in passato) di esercitare nelle regioni di origine e questo onde evitare i cosi’ detti ed ovvi “condizionamenti ambientali” ( = amicizie, legami di parentela etc. ); l’ineleggibilità per gli stessi, inclusi quelli appartenenti alle magistrature superiori ( che sono attualmente esonerati da tale divieto ex art. 8 del T.U. delle leggi elettorali, D.P.R 30 – 3 – 1957 N°361 e successive modifiche) nelle circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso entro i 12 mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura e “ non “ solo, come previsto dal già citato articolo 8, nei sei mesi antecedenti la data di accettazione e questo in quanto che l’esercizio delle funzioni giurisdizionali non può essere condizionato dalla prospettiva di una candidatura. Ci sembrerebbe, invece, opportuno non modificare il già menzionato testo legislativo laddove prevede l’ineleggibilità dei magistrati che all’atto della accettazione della candidatura non si trovino in aspettativa nonchè il divieto, per quelli non eletti, di esercitare per un quinquennio le loro funzioni nelle circoscrizioni nel cui ambito si sono svolte le elezioni; ripristinare il sistema di promozione dei magistrati in vigore fino agli anni ‘60 basato sulla valutazione da parte di Commissioni formate da alti magistrati (ovviamente non sempre gli stessi) delle sentenze redatte dai candidati in

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un periodo “eguale per tutti” e scelto di volta in volta e non, come, salvo errore, avviene attualmente, per anzianità esclusione fatta per i vertici; intervenire “sollecitamente” ad opera del Consiglio Superiore della Magistratura in casi di plateali contenziosi tra magistrati di uno stesso ufficio (v., ad es. Procura di Milano) chè i cittadini devono non subire “turbamenti” a ragione di eventuali diatribe tra magistrati. Ci piace terminare con due frasi nella lingua dell’antica Roma. -“Bonus atque fidus judex honestum praetulit utile.” (= Buono e sicuro è il giudice che antepone l’onesta ad ogni utile personale; Orazio,“Odi,”4,9,11); - “Fondamentum perpetuae commendationis et famae est justitia sine qua nihil potest esse laudative” (= Fondamento perpetuo di elogio e di fama è la giustizia senza la quale nulla può esserci di lodevole;Cicerone,”De Officiis, 9, 20,71).

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CULTURA

UBI NON EST PUDOR NEC CURA IURIS, SANCTITAS; PIETAS; FIDES,INSTABILE REGNUM EST by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 giugno 2014 •

=Dove non c’è pudore nè attenzione al diritto, all’onestà, alla fede quel dominio è instabile. (Seneca, “Thiestes, a.2) E’, purtroppo, quel che si evince analizzando la realtà del nostro paese. Negli ultimi trent’anni la morale pubblica, salve lodevoli eccezioni, non ha fatto che peggiorare. Gli innumeri casi di corruzione e di concussione, di scarsa efficienza nella cosa pubblica, la presenza di organizzazioni malavitose anche nelle regioni settentrionali dove una volta non esisteva, il lassismo nella pubblica amministrazione, l’evasione fiscale molto diffusa etc. fanno sì che il nostro paese stia arrancando mentre deve competere con paesi dove siffatti elementi negativi sono meno vistosi e dove l’efficienza produttiva è notevole (v. paesi del l’Europa settentrionale, Stati Uniti, paesi del l’estremo Oriente..) “Il cahier des doléances ” potrebbe allungarsi ma non servirebbe perché si tratta di cose note e “conturbat audientem quod frequenter dicitur” (Aristotile, Top.,5,4) ovvero “annoiano l’ascoltatore le cose troppo ripetute” e chi scrive sta già correndo tale rischio. La domanda che a questo punto sorge spontanea é la seguente: “E allora cosa si propone per rimediare ?”. Ovviamente la risposta è molto difficile perchè i settori d’intervento sono innumeri. Ci pare, però, che occorrerebbe, agendo rapidamente, che il Governo desse quanto prima segnali” inequivocabili e concreti ” di voler cambiare le cose. A titolo di esempio occorrerebbe: laddove necessario, procedere a punizioni esemplari dei funzionari inefficienti o corrotti; approvare leggi speciali per combattere la malavita organizzata, cancro del Mezzogiorno e, ormai, non solo, dato che tali organizzazioni incutono ai cittadini piu’ timore dello Stato donde la difficoltà in certe aree di trovare chi denunzia o é disposto a testimoniare;. rendere molto piu’ snelle le procedure amministrative e quelle giudiziarie; proibire a magistrati e dirigenti delle forze dell’ordine di esrcitare nelle regioni d’origine onde evitare eventuali condizionamenti ambientali;ripristinare il sistema in vigore fino agli anni ’60 secondo il quale le promozioni dei magistrati sin dall’inizio della carriera erano subordinate all’esame delle sentenze o di altri atti redatti in un periodo” eguale” per tutti i candidati e non, come avviene ora,per anzianità salvo le posizioni di vertice. Forse questi primi segnali darebbero coraggio ai tanti cittadini onesti.

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POLITICA INTERNAZ.

L’IMPORTANZA DELLE ELEZIONI DI MAGGIO DEL PARLAMENTO EUROPEO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 maggio 2014 •

Dal 22 al 26 maggio p.v. 400 milioni di cittadini europei possono eleggere i 751 deputati del Parlamento Europeo che siederanno nell’emiciclo di Strasburgo per i prossimi cinque anni. Dopo le elezioni indiane si tratta della piu’ importante, sotto il profilo numerico, consultazione elettorale democratica al mondo. Hanno diritto al voto (obbligatorio in Belgio, Cipro, Grecia, Gran Ducato di Lussemburgo) i cittadini che abbiano compiuto 18 anni eccezion fatta per l’Austria dove è sufficiente avere sedici anni. Dal 1° al 3 luglio p.v. si terrà la sessione costitutiva del Parlamento Europeo e si procederà all’elezione del Presidente, del vice-Presidente e dei Questori. Dal 7 al 10 luglio si avranno le riunioni ufficiali dei vari gruppi politici (attualmente sette che rappresentano oltre 160 partiti politici). Dal 14 al 17 luglio avrà luogo la sessione del Parlamento Europeo nel corso della quale si dovrà procedere all’elezione del Presidente della Commissione, l’organo esecutivo dell’Unione Europea. A settembre si procederà all’ audizione dei Commissari dell’U.E. designati. Probabilmente ad ottobre il Parlamento esprimerà il proprio voto nei confronti dell’insieme dei Commissari. L’importanza del ruolo del Parlamento Europeo nella vita dell’Unione si é accentuata dopo la crisi economicofinanziaria abbattutasi sull’Europa dal 2009 nel corso della quale numerosi sono stati gli atti prodotti dai parlamentari europei per contribuire alla soluzione, a livello europeo, dei problemi. Ora i poteri del parlamento sono aumentati. In base all’art.17,par.7 del c.d. Trattato di Lisbona, infatti, :”Tenendo conto delle elezioni del Parlamento Europeo e dopo aver proceduto alle opportune consultazioni il Consiglio Europeo (n.d.r. dei Ministri),deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento Europeo un candidato alla funzione di Presidente della Commissione. Tale candidato viene eletto dal Parlamento..”. Il ruolo del Presidente della Commissione e della stessa sono importantissimi giacchè la Commissione elabora le proposte legislative che vengono, nella maggioranza dei casi, sottoposte alla procedura legislativa ordinaria che, in sostanza, è una “co-decisione ” tra il Consiglio di Ministri ed il Parlamento Europeo. La maggioranza parlamentare e le varie posizioni nazionali riflesse nel Consiglio dei Ministri determineranno, per conseguenza, il contenuto della decisione finale relativa alla proposta iniziale della Commissione. In conclusione per la prima volta la composizione politica del nuovo Parlamento Europeo svolgerà un ruolo determinante nell’elezione del prossimo Presidente della Commission e cioé del motore propulsivo dell’Unione Europea. Occorre perciò non disertare a maggio le urne !

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POLITICA NAZ.

L’AUMENTO ESPONENZIALE DEL FLUSSO DI RIFUGIATI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 15 aprile 2014

Il 9 aprile u.s. il Ministro dell’Interno, onorevole Alfano, ha segnalato che negli ultimi sei mesi sono stati salvati dalle forze navali e dell’ordine del nostro paese oltre 15.000 rifugiati e che dalla Libia e da altri paesi dell’Africa settentrionale sono pronti a partire verso le nostre coste dalle 300.000 alle 600.000 persone. L’Italia-ha aggiunto il Ministro- spende ogni giorno 300.000 euro -9 milioni di euro al mese- per le operazioni di soccorso. La meta finale di questo, che può ormai essere considerato quasi un vero e proprio esodo, non é, però, nella maggioranza dei casi, il nostro paese bensì altri paesi europei. L’Italia -ha fatto notare l’on.le Alfano- sta facendo egregiamente la propria parte nell’opera di salvataggio ed assistenza ma non può addossarsi tutto il compito. Deve essere coadiuvata molto più efficacemente dal FRONTEX (l’agenzia per la gestione operativa alle frontiere esterne degli stati membri dell’Unione Europea istituita con Reg. CE del Consiglio del 26-10-2004) e da EUROPOL (l’agenzia europea della polizia, operativa dal 1999, con sede all’Aja, dove lavorano circa 800 funzionari, che ha come missione l’assistenza ai 27 Stati membri nonché all’Australia, Canada, Stati Uniti, nel contrastare la criminalità organizzata, il terrorismo, il traffico di droga e di esseri umani, l’ immigrazione clandestina, il riciclaggio di danaro etc.). E questo perché, in questo caso, le frontiere italiane sono diventate la frontiera dell’intera Unione Europea. S ono varie le cause di questo fenomeno ma si può dire che, in sostanza, i profughi fuggono da situazioni di guerra o guerriglia o di estrema miseria nei paesi d’origine . L’instabilità politica di molti paesi dell’Africa Settentrionale e Centrale ne è la principale matrice . A nostro modo di vedere se si analizzano “spassionatamente” le cause prime di questa situazione si deve riconoscere che l’aver concesso in maniera affrettata negli anni ’60, sotto la pressione congiunta degli Stati Uniti e dell’allora URSS, l’indipendenza alle colonie francesi, britanniche, belghe e portoghesi in Africa fu un gravissimo errore che é costato qualche milione di morti e il dispendio in aiuti o interventi militari di un fiume di danaro. Quelle popolazioni non erano allora, purtroppo, ancora in grado di autogovernarsi adeguatamente donde conflitti interni, spreco di enormi risorse nazionali ed internazionali ( prestiti e aiuti ad opera della Banca Mondiale, Banca Africana di Sviluppo, Banca Europea, aiuti bilaterali etc.). Se non si ripristinerà la pace in quelle regioni – e questo fine è raggiungibile solo con l’invio di missioni militari internazionali- tutti gli sforzi saranno vani ed assisteremo a nuove stragi ed al permanere del sottosviluppo . E’ inutile farsi illusioni agendo altrimenti!

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POLITICA INTERNAZ.

REGOLE PER LA RIVOLUZIONE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 aprile 2014 •

Surrender of General Burgoyne Nel febbraio del 1946 il movimento statunitense “Moral Rearmament” pubblicò un testo che sarebbe stato trovato a Duesseldorf nel maggio 1919 contenente le regole per la rivoluzione comunista.

Nel 1946 l’Attorney General della Florida dichiarò che lo stesso testo gli era stato dato da un membro del partito comunista. (v su internet : UNSPY -13-agosto -2009). E’ difficile appurare se si tratta di un testo autentico o di un elaborato

di qualche servizio segreto. Certo gli é che leggendolo si è colpiti dal fatto che molte-se non tutte le regole -melius “i suggerimenti” ivi indicati – sono stati, in parte, messi in atto anche se gli stessi non hanno -per fortuna- ancora sortito tutti gli effetti desiderati. Vediamo ora quali sarebbero siffatte regole. 1- Corrompere la gioventù, allontanarla dalla religione, interessarla al sesso, renderla superficiale; 2- Prendere il controllo dei mezzi di comunicazione; 3- Distogliere la mente della gente dagli affari di governo focalizzando la loro attenzione sullo sport, sui libri riguardanti il sesso, su giochi e trivialità; 4- Dividere le persone in gruppi ostili su questioni controverse di secondaria importanza; 5- Distruggere la fede del popolo nei suoi leader naturali facendoli cadere in disgrazia mediante il pubblico disprezzo ed il ridicolo; 6- Parlare sempre di democrazia ma prendere il potere nel modo più rapido e brutale possibile; 7- Incoraggiare le stravaganze del governo, distruggere il suo credito, generare il timore dell’inflazione, alzare i prezzi e favorire lo scontento popolare; 8- Fomentare gli scioperi nelle industrie vitali, incoraggiare il disordine civile ed un atteggiamento blando delle autorità; 9- Causare il decadimento dei vecchi valori: l’onestà, la sobrietà, l’autocontrollo; 10- Con qualche pretesto richiedere la consegna delle armi lasciando così la popolazione impotente. Per concludere ci sembra che molti di questi punti trovino riscontro nella realtà che non ci pare pertanto “romanzesca”.

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POLITICA NAZ.

L’ AVVENIRE SARA’ SEMPRE PIU’ DOMINATO DAGLI IGNORANTI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 30 marzo 2014 •

Per meglio dominare una popolazione è saggio tenerne basso il livello culturale medio. Credo che ci stiamo riuscendo egregiamente ad imitazione degli Stati Uniti e dell’Inghilterra dove ci sono – è vero – centri universitari d’eccellenza (dove spesso i docenti provengono, peraltro, dall’Europa e la cui formazione non è costata nulla a quei Governi) ma la popolazione è in media ignorante. La cosa importante è che essa sappia quel tanto che serve per lavorare nelle fabbriche o nei negozi ed uffici e che compri quel che i messaggi propagandistici martellanti sollecitano… e più non si domanda. Per tornare all’ Italia: si legge che diminuiscono le iscrizioni ai licei classici mentre crescono quelle agli istituti alberghieri. Gli imprenditori, per contro, lamentano la scarsezza di periti industriali. Estrapolando da un articolo di Marco Giordano, pubblicato da “Libero ” del 29 marzo u.s., trascrivo qualche esilarante esempio di “cultura ” nostrana giovanile. Durante la trasmissione “Il Grande Fratello” di qualche giorno fa uno dei ragazzi, dopo aver confuso “ermo” con “eterno”, ha definito Leopardi un poeta straniero che si voleva suicidare perchè guardava l’infinito e stava su una siepe. In un altro “reality show” una ragazza, cui era stata mostrata la foto di un ritratto di Dante Alighieri, rispose con sicumera che si trattava d i un capo indiano. Un’altra, guardando il ritratto di Leonardo da Vinci, l’identificò come “il Mago Merlino” Alla domanda “chi è pingue?” una terza non ebbe dubbi :”il papà del pinguino “. Altri scrivono “urla beduine ” invece che “belluine ” (=bestiali). Sempre più sovente si legge, anche su quotidiani autorevoli, “da subito ” e “mentre invece”. Gli oratori politici poi hanno dimenticato l’uso del congiuntivo. Solo il tempo presente è impiegato anche perchè in politica “di diman non v’è certezza” ed il dubbio non li sfiora. Da ultimo: sempre più si impiegano termini inglesi perché fa più chic (v. ad es.”spending review”) come se la nostra favella fosse povera e non avesse fornito a quella britannica moltissimi termini anche se talora non lo sappiamo (basterebbe, peraltro, scorrere un dizionario etimologico della lingua di Albione). E ‘ noto, peraltro, che i popoli colonizzati adottano, in genere, la lingua del colonizzatore! Contribuiscono a favorire la cultura, salvo eccezioni,i programmi televisivi dove il “vano” è dispensato senza ritegno e se si è un po’ colti non si é presenti.

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

QUALCHE RIFLESSIONE CIRCA GLI ESITI NON IMPROBABILI DELLA PROSSIMA TORNATA ELETTORALE PER IL PARLAMENTO EUROPEO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 marzo 2014 •

A maggio si terranno le elezioni per il Parlamento Europeo. Vi é il rischio che si registri un non trascurabile astensionismo forse, in parte, mitigato in Italia dalle concomitanti votazioni amministrative. Tale alea può derivare dal fatto che gli elettori non avvertono l’importanza che le decisioni che vengono adottate dal Parlamento Europeo hanno sulle vicende nazionali cioé sulla vita di ciascuno di noi. Il Parlamento di Strasburgo è, invece, diventato nel corso degli anni un co-legislatore in quasi tutti i settori del diritto dell’Unione Europea. Esercita inoltre un diritto di controllo sull’operato della Commissione Europea senza contare che adotta il bilancio dell’Unione Europea (ad es. i vari tipi di aiuto finanziario ). Se si esaminano i dati relativi ai votanti nelle passate tornate elettorali europee i timori di astensionismo non sono ingiustificati. Nel 1979 i votanti in Italia furono pari al 61,69 % degli aventi diritto; la media europea risultò dell’85,65%. Nel 2004 si registrò una non modesta flessione sia nel nostro paese (45,47% ) che nella media europea (71,72%). Tale riduzione venne confermata in occasione delle elezioni del 2009: votanti in Italia 43% ; media europea 65,05 %. Vi è, in conclusione, una diffusa disaffezione degli elettori europei nei confronti delle istituzioni europee che probabilmente si è accentuata con la crisi economica che alcune forze politiche, non solo in Italia, ritengono sia stata favorita d all’introduzione dell’Euro e dai vincoli posti ai disavanzi statali.

Nelle prossime elezioni per il Parlamento di Strasburgo i partiti di Centro-Destra italiani rischiano piu’ dei loro concorrenti di fare le spese di questa scarsa attenzione dell’elettoriato alle tematiche europee sia perchè gli elettori dei partiti di sinistra (partiti-è bene ricordarlo-che all’inizio si opposero fortemente all’Unione Europea) sono, in genere, piu’ disciplinati e vanno quindi a votare.

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A ciò si aggiunga che, purtroppo, le forze di Centro-Destra si presentano divise talchè l’elettore medio non sa bene per chi votare. E questo può avere riflessi negativi sugli esiti non solo delle elezioni per il Parlamento Europeo ma anche su quelli delle elezioni amministrative. I reggitori dei partiti di Centro -.Destra dovrebbero, finchè si è in tempo, ricordarsi di una sentenza di P. Siro che recita: “Ibi semper est victoria ubi concordia” (=Vi è sempre la vittoria laddove c’é concordia). Ma da noi gli uomini politici tendono a costruirsi dei partiti di tipo feudale. Gli ideali e gli interessi del Paese…. sono un dettaglio.

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POLITICA NAZ.

COLPI DI SPILLO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 12 marzo 2014 •

Il traffico a Roma è spesso infernale. Il neo-Sindaco Marino però ha trovato una geniale soluzione : ha incoraggiato gli spostamenti in bicicletta girando per le vie del centro cittadino usando il velocipede e facendosi scortare da Vigili Urbani anch’essi sulle due ruote. L’iniziativa ha riscosso un certo successo talché é aumentato il numero dei ciclisti nell’Urbe. Peccato che in una città edificata -specie al centro-quando il trasporto avveniva con carrozze o autobus e tram. Non esistano, in pratica, piste ciclabili, e nella quale si registra, specie la sera, la quasi totale assenza di pattuglie di Vigili, l’uso eccessivo delle due ruote appare un’assurdità. L’importante, però, é apparire non fare! In questo periodo la R.A.I. ha martellato i radio- ascoltatori con messaggi volti a ricordare la scadenza del pagamento del canone che non è, peraltro, di importo insignificante. Nel contempo é aumentata a dismisura nelle trasmissioni la pubblicità a pagamento. La cosa è comprensibile perché far funzionare la macchina R.A.I. costa e ci sono oltre diecimila dipendenti da mantenere ma delle due l’una : o si svolge un servizio pubblico (peraltro di qualità piuttosto, in media, modesta) o si fa una T.V. commerciale. Nel primo caso il canone é giustificato, nel secondo non lo é. -Caso MaròE’ lecito pensare che il Governo di Nuova Delhi non avrebbe riservato l’insultante trattamento messo in atto nei nostri confronti se si fosse trattato di militari inglesi, statunitensi, tedeschi o francesi. Chi ha pratica di relazioni internazionali non si meraviglia, peraltro, troppo del trattamento usatoci giacché è, purtroppo, noto che le nostre autorità sono, in genere, “molto” remissive nei fori internazionali dove si rispettano i paesi che” si autorispettano”. Ma noi avevamo un Governo diretto da un Professore e c’é un detto maligno che così recita :”Chi sa fa, chi non sa insegna” . La Penisola é geograficamente un ponte tra l’Africa e l’Europa ma viene sempre piu’ utilizzata per consentire l’arrivo di profughi dal Nord e dal Centro-Africa e dal Medio Oriente. Grazie ai telefoni satellitari ed all’ex Ministro dell ‘Integrazione si deve essere sparsa la voce in quei paesi che é probabile l’introduzione nell’ordinamento italiano dello” jus soli” altrimenti non si spiegherebbe il numero elevato, tra i profughi, di donne in istato interessante. Inoltre é da ritenere che molti di essi siano convinti che da noi non sia difficile campare stante lo scarso rispetto delle leggi. Negli intenti, non confessati, di una parte della Sinistra l’introduzione dello “jus soli” servirebbe ad ingrossare il numero dei loro sostenitori. E’ un pio desiderio perché i neo cittadini italiani probabilmente creerebbero un loro partito”. Il termine” fascista” viene sempre piu’ frequentemente adoperato per qualificare chi non la pensa come l’interlocutore. In genere l’insulto (che di questo si tratta) viene rivolto ad avversari politici di centro-destra. Bisognerebbe rispondere “Comunista” ma non si usa perché sembra che non ce ne siano quasi piu’. Il che fa ricordare che dopo l’8 settembre del ’43 non c’erano piu’ fascisti in Italia. D’altronde il Presidente Napolitano, sotto questo profilo, é stato colpito sulla via di Damasco quando era ultrasettantenne. Il bere l’acqua del fiume Lete che fa tutto dimenticare è sempre molto diffuso in tutti i settori ma soprattutto tra i politici.

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POLITICA NAZ.

L’INIQUITA’ DEL CANONE R.A.I. by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 30 gennaio 2014 •

Da oltre due anni si cerca di ridurre l’onere della varie imposte a carico dei contribuenti, sembra la fatica di Sisifo. Questi, secondo la mitologia greca, fu re di Corinto, famosissimo per la su astuzia, che, quando morì, fu condannato, onde espiare i suoi peccati, a spingere in eterno dalla pianura sino alla cima di un colle un enorme masso. Allorquando arrivava alla meta il macigno però rotolava indietro. Sembra questa la sorte dei contribuenti italiani. Tralasciando le imposte sulle abitazioni ci “duole ” ricordare a questo proposito il canone RA I che dovrà essere pagato entro il 31 gennaio. La televisione di Stato imperversa nei suoi programmi per ricordarcelo sottolineando che l’importo del medesimo non è cresciuto anche se non è irrisorio. E’ giusto pagarlo? A chi scrive sembra di no per alcune ragioni. In primis perché la R.A.I. cerca in tutti i modi di acquisire messaggi pubblicitari. Delle due l’una : o è una televisione privata e commerciale ed allora non avrebbe titolo ad incassare il canone oppure è un soggetto pubblico ed avrebbe diritto al canone purché rinunziasse agli introiti da pubblicità. “Tertium non datur”. Inoltre: a cosa servono il canone e gli introiti pubblicitari? A pagare innanzi tutto gli stipendi, non certo miserabili, di oltre 10.000 dipendenti (non crediamo assunti, in genere, tramite pubblico concorso con esami). Poi a confezionare programmi generalmente mediocri (i pochi buoni vengono trasmessi in orari di difficile utilizzo per chi lavora) . E’ pertanto venuta, in pratica, meno la funzione educatrice svolta dalla RAI nei primi anni. Ma probabilmente è questo che si vuole perché un popolo ignorante ha uno spirito critico ridotto e, per conseguenza, lo si comanda meglio. E gli esempi circa altri balzelli potrebbero continuare in attesa della c,d “spending review” (in inglese suona meglio).

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CULTURA

INCREDIBILE AUDITU by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 17 gennaio 2014 •

Occhetto Non è cosa credibile se la si ascolta. L’ex- Segretario del P.C.I., Occhetto, ha di recente dichiarato -se abbiamo ben capito- che solo al momento del congresso tenutosi alla Bolognina nel corso del quale il partito fu ,per così dire, rinnovato, prese conoscenza delle “foibe”. Forse prima non sapeva nè leggere , ché c’erano state innumeri denunzie di quei crimini, né aveva orecchie per prestare ascolto ai racconti dei profughi dall’Istria. Così come l’attuale Presidente Napolitano, in quegli anni autorevole esponente del P.C.I., che scrisse anche articoli a favore dell’invasione dell’Ungheria da parte del Patto di Varsavia. Un’intera classe dirigente dell’allora P.C.I. non vedeva ,non sentiva, non parlava! Come le tre scimmiette! “Ma mi facciano il piacere” direbbe il grande Totò! Dobbiamo allora prestar fede ai loro successori politici che provengono dalla stessa scuola?

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CULTURA, ECONOMIA

IL CALCOLO (IMPOSSIBILE) DEL DARE E DELL’AVERE DELLA GRECIA NEI CONFRONTI DEGLI ALTRI PAESI DELL’EUROZONA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 6 gennaio 2014 •

Tholos Athena Pronaia La Repubblica Ellenica (131.957 kmq.; 10, 2 milioni di abitanti) ha, come è noto, un enorme debito pubblico (=198 % del P.I.L. nel 2012) , sta attraversando una crisi economica terribile ed ha ricevuto dall’Unione Europea e dal F.M.I. ingentissimi aiuti finanziari (240 miliardi di Euro c.a) . In gran parte le responsabilità di tale disastro sono attribuibili alle dissennate politiche governative di Atene degli ultimi anni, complici i vari sindacati. Non avrebbero, per conseguenza, tutti i torti quei politici ed osservatori, specie d’origine nord -europea., cui non dispiacerebbe veder uscire la Grecia dall’Unione Europea, giudicando ingiusto voler accollare ai paesi c.d. virtuosi del Centro-Nord dell’Europa l’onere della disastrata situazione ellenica. Detto questo per quel che concerne il “dare” di Atene, il discorso diventerebbe molto piu’ complicato qualora si volesse tentare di calcolare, sotto un profilo non meramente ragionieristico, il credito che la Grecia potrebbe vantare nei confronti degli altri paesi dell’Unione Europea. Ne risulterebbe, invero, che é Atene ad essere di gran lunga teoricamente il paese creditore. Qualche esempio: i popoli europei non sarebbero in grado di comunicare tra loro se non avessero l’alfabeto che é di origine greca. I n mancanza di tale strumento non avrebbero ovviamente avuto letterature nazionali ; non sarebbero stati in grado di registrare gli avvenimenti e di ricercarne le cause. Non sarebbe cioé nata la storiografia ;

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non sarebbero stati capaci di effettuare calcoli complessi frutto, in gran parte, degli studi dei matematici greci di oltre duemila anni fa così dicasi per l’astronomia ; per non parlare dell’architettura e dell’arte specie la statuaria, e della filosofia ; l’organizzazione degli Stati si sarebbe probabilmente arrestata al consiglio dei capi tribù o ai monarchi se i Greci non avessero inventata la “demo- crazia” (=il potere del popolo) . Un popolo di poche centinaia di migliaia di abitanti che disponeva di un territorio limitato, arido, privo di corsi d’acqua di rilievo, ha fatto questo incommensurabile dono alle altre popolazioni forgiando la civiltà europea e, per conseguenza, in una certa misura, anche quella mondiale. Riprendendo il metodo ragionieristico: se si divide l’ammontare di tutti gli aiuti finanziari concessi dai paesi dell’Eurozona(240 miliardi di Euro c.a.) alla Grecia per il numero approssimativo degli abitanti dei paesi donatori(320 milioni) si ricava un onere “pro capite ” degli stessi di 750 euro c.a. S i tratta di un’inezia se raffrontato con il credito teorico che la Grecia potrebbe vantare. Ovviamente a questo i banchieri di Francoforte, Amsterdam e delle altre piazze finanziarie non sono sensibili. E non lo sono neppure le Cancellerie del settentrione d’Europa che hanno una visione di brevissimo periodo. E’ quindi “giustissimo ” che il popolo ellenico viva nell’indigenza e che ci si scordi della bella frase di Orazio: “Graecia capta ferum victorem cepit, artes intulit agresti Latio ” (la Grecia vinta vinse il feroce vincitore e portò le arti nel Lazio agreste – Epistole II, 1, 156) con cui il grande poeta ammise l’enorme contributo culturale fornito ai Romani dai Greci. Quali lodi dovrebbero alzare al cielo in onore dei Greci gli altri popoli non certo sempre mansueti del centro -nord ?

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CULTURA

MO’ VENE NATALE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 dicembre 2013 •

L'Adorazione dei pastori - Kunsthistorisches Museum, Wien - Wikipedia Creative Commons “Mo’ vene Natale non tenco denaro me fumo na pippa e me vado a cucca’ (=Ora viene Natale non ho denaro ,fumo una pipa e me ne vado a dormire – da una filastrocca natalizia napoletana). Forse una scritta con queste parole dovrebbe figurare sulle finestre di un gran numero di abitazioni del nostro paese. I consumi ,subiranno, invero ,secondo Federconsumatori ,anche per queste festività una notevole flessione. La cosa non può destare meraviglia stante la terribile crisi economica che ha colpito l’Italia. All’origine ci sono numerose cause ancora tutte da rimuovere ma gli sforzi rischiano di naufragare in assenza di una riscossa morale di tutto il Paese. Il Governo sta facendo del suo meglio ma necessita del sostegno di “tutte ” le componenti della società e di ripristinare un livello di moralità accettabile nella gestione della “res publica”. L’opinione pubblica può esercitare un forte stimolo a questo fine. Sono-grazie al Cielo- ancora molti i cittadini onesti ed é su questi che si deve far leva. Occorre , pero’. affrettarsi perché il tempo fa difetto. Per concludere un augurio alle persone per bene usando la lingua perfetta degli antenati :”Dii meliora piis ” (=Ai buoni gli dei concedano le cose migliori. v. Virgilo,”Georgiche “-3,513).sda

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

IL BUON SENSO AL POTERE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 dicembre 2013 •

Roma68 In occasione dei moti studenteschi ed operai del 1968 i giovani gridavano: “La fantasia al potere!”, Non ho mai compreso che cosa significasse esattamente. Fatto gli é che dopo non molto tempo la rivolta fu incruentemente domata dal Governo del Generale de Gaulle ed il buon senso prevalse. Che cosa si deve, però, intendere con questa locuzione?

Si tratta, a nostro modesto parere, della capacità di esprimere un giudizio che coglie l’essenza di un problema e riesce anche ad individuare le soluzioni dello stesso senza eccessi. E’ una grande virtù! E’, però, difficile vederla utilizzata.

Le passioni, i miopi egoismi vi fanno da ostacolo specie nella vita pubblica. La cupidigia è, in sostanza, alla radice di questi errati comportamenti. San Paolo nel,a Lettera a Timote o(1,6,10), d’altronde, scrisse: “Radix omnium malorum est cupiditas” (= la radice di tutti i mali é la cupidigia). Non si considera che una saggia soluzione di un problema collettivo alla fine avvantaggia tutti. Un esempio eclatante é rappresentato dall’ancora non realizzata “Revisione della spesa pubblica” (ma è piu’ elegante dire “Spending Review” come se la lingua italica non avesse vocaboli idonei ad esprimere il concetto!). In due nostri scritti ospitati da questo foglio il 27 aprile ed il 19 giugno 2012 (“Un incomprensibile ritardo del Governo Monti” e “La revisione della spesa pubblica, il contrasto alla criminalità organizzata, la lotta all’evasione fiscale”) segnalavamo l’ovvia, impellente necessità di procedere alla revisione della spesa pubblica e ci lamentavamo del ritardo nell’affrontare detta revisione che é, sì difficilissima,ma la cui soluzione rappresenta la “conditio sine qua non” per la ripresa economica del nostro paese. E’ una questione di “buon senso” ma evidentemente grandi interessi l’ostacolano perchè dopo la nomina nel 2012 del Commissario Straordinario Bondi il Governo ha dovuto chiamare di recente un esperto italiano del F.M.I. Ci si perdoni se concludiamo questo articoletto citando Seneca: “Tempus cum perit magna in magnis rebus jactura est” (= il tempo che se ne va é di gran danno nelle grandi imprese; v. “De ira”, 3, 21. Credo, infatti, che nessuno dubiti che la revisione della spesa pubblica italiana sarebbe una grande impresa.

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CULTURA, POLITICA NAZ.

LA VOLPE PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 novembre 2013

Logo P.C.I. Le grandi abilità del P.C.I. furono varie: riuscire ad arruolare con diverse blandizie molti intellettuali come aveva suggerito Gramsci e così influenzare la c.d intellighentsia; attribuirsi il maggior merito n el movimento partigiano; selezionare bene i propri dirigenti ;far dimenticare il ruolo importantissimo svolto in favore dei paesi dell’Est durante la c.d. guerra fredda (ad es. cercando di opporsi all’adesione dell’Italia alla N.A.T.O.; favorendo le aspirazioni della Jugoslavia nei confronti dei territori di confine italiani); far obliare le uccisioni di altri partigiani di ideologia non di sinistra (v. il caso della brigata Osoppo in Friuli) e di sacerdoti sul finire del 2° conflitto ; mettere nel dimenticatoio il credo marxista, che era alla base della sua politica, pur senza dichiararlo esplicitamente. Insomma sforzarsi di apparire un partito socialdemocratico senza proclamarlo perché la c.d. base non sarebbe d’accordo. Alla prima occasione però, specie nelle zone tradizionalmente comuniste, la natura primiera si manifesta. E così é stato gli scorsi giorni a Rio Saliceto nel modenese quando alcuni genitori degli alunni della scuola primaria “Anna Franck”, che avrebbero dovuto recarsi in visita didattica alla mostra ” Io sono di Gesù ” dedicata a Rolando Rivi, il seminarista emiliano, proclamato beato quest’anno, il quale, appena quattordicenne, venne sequestrato, torturato ed ucciso nell’aprile del ’45 da partigiani comunisti solo, probabilmente, perché, indossando l’abito talare, era il simbolo dell’odiata religione, si sono opposti sostenendo che l’iniziativa “infanga la Resistenza”. E la Preside ha preferito non far effettuare la visita. Non ci risulta che Il P.D. emiliano abbia deprecato la presa di posizione dei suddetti genitori. Evidentemente é preferibile cantare : “scurdammece o’ passato”, compagni. Peraltro, come scrisse Properzio, “Naturae sequitur semina quisque suae” (= ognuno segue il seme della propria natura; Lib. III, elegia IX, v.20).

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POLITICA NAZ.

A SETTANT’ANNI DALLA MORTE, «TERENZIO MAMIANI DELLA ROVERE UOMO POLITICO, PENSATORE E DOCENTE» by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 6 novembre 2013

Terenzio Mamiani «Italia mia io credo che l’estremo dei miei pensieri sarà il tuo; l’estrema delle mie brame il rinnovamento della tua gloria». In questa breve frase il conte Terenzio Mamiani della Rovere sintetizzò, a mio avviso, nel modo più bello e coinciso la sua lunga nobilissima esistenza. Egli fu, come la maggior parte dei suoi contemporanei, insieme patriota, letterato, poeta, filosofo. Insieme dico, perché gli studi fornirono nutrimento e forza al suo grande amore di patria che, a sua volta, fu il principale stimolo al perfezionamento di quelli che validamente potevano collaborare al rinnovamento dalla gloria d’Italia. La famiglia Mamiani, originaria di Parma, ebbe il titolo comitale con signoria su S. Lazzaro in Lizzola il 4 aprile 1584, nella persona di Giulio Costante dal Duca Francesco Maria II della Rovere che riportò la notizia nel suo prezioso «Diario». E grandissima dovette essere la stima nel Mamiani se lo stesso Duca gli concesse, oltre al titolo, il privilegio, raramente rintracciabile in araldica, di inquartare nello scudo la «rovere», suo stemma, e di aggiungere al proprio il cognome principesco. Iniziò gli studi nel civico ginnasio dando precoci segni del suo ingegno: infatti, sedicenne appena lesse una dissertazione «Sulla poesia musicale» alla Accademia pesarese. Fu quindi inviato dal padre a Roma a far da ripetitore nel seminario dell’Apollinare, forse per essere istradato alla carriera ecclesiastica. Quivi frequentò la società colta ed elegante, ma non piacendo ciò al genitore, fu richiamato a Pesare (Sett. 1818) dove rimase vari anni perfezionandosi negli studi alla scuola del Perticari la cui influenza fu determinante sul suo spirito e sul suo stile letterario. Nel 1826 andò a Firenze ove ebbe stretti contatti con quella brigata di scrittori, costituita dal Giordani, Colletta, Capponi, Manzoni, che, riunendosi nel gabinetto del Vieusseux, diede vita alla «Antologia». Ad essa anzi collaborò con qualche scritto filosofico. In quel periodo di tempo frequentò pure il Leopardi che si trovava a Firenze e che gli era parente, come dissi, per via materna. Infiammato dai discorsi che udiva e dall’atmosfera in cui viveva, spessissimo si riducea «fra quello benedette pareti di S. Croce» (come si legge in una lettera indirizzata alla contessa Carolina Eugeni) «dalle quali né una volta mi avvenne di uscire con la mente e con l’animo non ricorretto ed acceso ad opere più degne». Ma questo piacevole soggiorno non durò molto ché alla morte del padre (nov. 1828) dovette far ritorno a Pesaro. Si recò quindi a Torino ove per due anni insegnò lettere italiane all’Accademia. E’ di questo periodo il suo accostamento alla dinastia sabauda che, con Carlo Felice, sia pur timidamente, dava mostra di sentimenti liberali. Questo sovrano poi si proclamava assai amante delle lettere. Dopo un breve soggiorno a Pesaro, nella quale

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occasione la cittadinanza gli offrì una medaglia per onorare il suo talento, già affermatosi nelle rimanenti parti di Italia, partì per preparare i moti del 1831. A questo scopo percorse la Romagna e la Toscana. Scoppiata la rivoluzione fu inviato dal governo provvisorio di Pesaro a Bologna, per recare l’adesione della nostra provincia al Governo Nazionale centrale. Fu quindi eletto deputato e segretario alla Assemblea Nazionale riunitasi a Bologna (26 febb.). Ebbe anche la carica di ministro dell’Interno nel governo delle «Provincie Unite». Dopo la sconfitta dell’esercito degli insorti seguì il governo in Ancona. Capitolata questa piazzaforte si imbarcò assieme ad altri cento patrioti alla volta di Corfù sulla nave «Isotta». Furono però subito catturati da naviglio austriaco e condotti prigionieri a Venezia. Per quattro mesi rimase in carcere sottoposto continuamente a stringenti interrogatori. Durante questo tempo scrisse l’inno «I patriarchi». Consegnato dal governo austriaco a quello pontificio fu trasportato, via mare, a Civitavecchia ove gli fu annunziato che era stato condannato, assieme ad altri trentotto compagni, all’esilio perpetuo. Riparò allora a Marsiglia, prima, quindi a Parigi, che costituiva il luogo di raccolta di quasi tutti gli esuli italiani. E fino al 1847 durò il suo soggiorno parigino, ché non volle sottoscrivere la dichiarazione di pentimento, «conditio sine qua non», per beneficiare dell’amnistia concessa nel 1846 da Pio IX. Copiosa è la sua produzione letteraria, poetica e filosofica di questo periodo. Pubblicò infatti «Précis» (sugli avvenimenti del 1831), quindi, nel 1833, gli «Inni Sacri» ove cercò di temperare la Bibbia con Omero e Callimaco e celebrare la virtù del Cristianesimo come religione civilmente educatrice. Del 1835 le «Nuove Poesie», del ’40 invece gli «Idilli». Il Mamiani però non riuscì a sollevarsi dalla mediocrità come poeta perché sacrificò alla forma ed allo schema l’ispirazione. Di questo suo fallimento egli stesso si accorse e si volle dedicare alla filosofia sperando di conseguire quei successi che le Muse gli avevano negato. Molto pertanto scrisse in questi anni di filosofia. Nella capitale francese ebbe dimestichezza con i più illustri esuli italiani ed i maggiori letterati, filosofi ed uomini politici francesi. Di queste sue relazioni culturali parigine parlerà diffusamente in «Parigi or fa 50 anni» pubblicato nel 1881 sulla «Nuova Antologia». Tracce interessantissime si trovano pure nell’epistolario tenuto con Silvio Pellico, M. Minghetti, Cavour, Q. Sella Gioberti e Mazzini. Per le teorie di quest’ultimo dapprima ebbe viva simpatia ma al suo spirito realistico non potevano a lungo adeguarsi i vani estremismi del patriota genovese. Se ne distaccò, infatti, nel 1839 per unirsi al partito moderato degli esuli, chiarendo le ragioni di questo suo allontanamento nel pamphlet: «Nostro parere intorno alle cose italiane» ove sostenne che si dovevano «abbandonare le temerarie cospirazioni e le utopie». Su queste basi si svolgerà la politica del Cavour che il Mamiani appoggerà sempre entusiasticamente. Nel 1847 re Carlo Alberto gli accordò il permesso di stabilirsi in Piemonte. Allora il Mamiani si portò a Genova dove ebbe accoglienze festosissime. In questa città conobbe ed amò Angela Vaccaro Lombardi, avvenente «tabaccara» che, pur essendo di umili origini lo seppe comprendere perfettamente e gli fu fedele compagna per tutta la vita. Attraverso il card. Ferretti ottenne dal Pontefice il permesso di soggiornare per tre mesi nello stato romano senza obbligo di fare atto di sottomissione. Ma la sua permanenza durò di più, ché, formatosi il ministero costituzionale il 1° maggio 1848, fu nominato ministro dell’Interno nel gabinetto del card. Ciacchi. Dopo la sconfitta subita dalle truppe pontificie nel Veneto ad opera dell’esercito asburgico il Mamiani sostenne in seno al governo di armarsi sempre più per combattere l’Austria e di costituire una «lega italica». Ma il pontefice non lo seguì su questa via e il M. si dimise ritenendo la sua posizione insostenibile (Agosto 1848). recatosi quindi a Torino fondò col Gioberti la «Società della Confederazione Italiana» che propugnava idee federalistiche, ma il movimento non ebbe seguito. Dopo l’assassinio di Pellegrino Rossi, su invito del Papa il Mamiani, che nel frattempo era stato eletto deputato per il collegio di Pinerolo (tanta era la stima dei piemontesi nei suoi riguardi), fece ritorno a Roma per assumere nel ministero Muzzarelli il dicastero degli Esteri (24 novembre 1848). Un difficile compito però l’attendeva perché il pontefice, lo stesso giorno del suo ritorno, impaurito dai continui disordini che il partito democratico fomentava, era fuggito a Gaeta.

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Il Mamiani assunti i poteri, temendo un intervento straniero, come poi si verificò, inviò, il 29 novembre, alle potenze europee una circolare in cui si affermava che l’ordine dello Stato non era turbato e che quindi il governo faceva affidamento sul «principio del non intervento». Spiegava poi che la causa dei moti era la non attuata divisione del potere spirituale da quello temporale che nella sola persona del pontefice potevano concentrarsi. Era un tentativo moderato di salvare il salvabile. Ma il Papa, da Gaeta, sconfessò l’azione del governo e nominò una commissione presieduta dal card. Castracane con l’ordine di sostituire le persone dubbie e trasportare fuori Roma il governo. Visti inutili i tentativi del Mamiani volti a far ritornare il Papa sui suoi passi, il governo fu costretto a dimettersi. Successe un altro ministero Muzzarelli. Ma il popolo chiedeva la costituente ed infine la ottenne. Il collegio di Pesaro Urbino elesse il Mamiani deputato (21 gennaio 1849); ma per poco tempo egli rimase in questa carica, perché, essendo prevalso in seno alla costituente il partito repubblicano, l’11 febbraio si dimise ritirandosi a vita privata. Occupata Roma dai francesi, riprese la via dell’esilio. Prima tappa fu Marsiglia, quindi Genova. Eletto al Parlamento Subalpino alla V legislatura, divenne convinto sostenitore del Cavour che difese validamente in varie occasioni con la sua forbita eloquenza. Nel 1857 gli fu assegnata la cattedra di filosofia della Storia alla Università di Torino. Il 16 gennaio dello stesso anno assunse, dietro invito del Cavour, tornato al potere dopo Villafranca, la carica di ministro dell’Istruzione. Assai proficua fu la sua opera in questo settore, specialmente per l’organizzazione del corpo plenipotenziario alla Corte greca rimanendovi fino all’estate del ’63. Nel ’64 Vittorio Emanuele lo nominò senatore a vita. Un anno dopo fu destinato a Berna come nostro ambasciatore. Breve però fu la sua permanenza in Svizzera. Nel 1866 tornò di nuovo in Italia e questa volta definitivamente. Con la disfatta francese a Sedan era caduto l’ultimo ostacolo alla realizzazione del sogno di tanti patrioti: l’Italia unita con la capitale Roma. Ma i nostri uomini politici (Lanza, Sella, Visconti – Venosta) rimanevano ancora incerti. Si levò allora la voce del Mamiani che tante volte, a torto, era stato accusato di eccessiva moderazione, ad incitare quelli che esitavano quando era sciocco farlo: «la fortuna ci arride. Afferratela per le chiome ed andate a Roma». Una volta liberata la Città eterna gli fu affidato l’insegnamento della filosofia della storia in quella Università (1871). Ebbe pure altri incarichi importanti: fu consigliere di Stato, vice-presidente del Senato, presidente onorario dell’Accademia dei Lincei etc.. In occasione della morte di re Vittorio Emanuele II, in virtù della sua fama di grande oratore, ebbe l’incarico, ambitissimo, di pronunziare l’elogio funebre. Il 21 maggio 1885 morì in Roma dopo una lunga malattia. La stanca mano si abbandonò sulle bozze della sua ultima opera, «Il papato negli ultimi tre secoli», che stava correggendo. Vasto e profondo fu il retaggio della sua opera di pensatore. da: «Il Resto del Carlino» - Cronaca di Pesaro 21/05/1955

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

RES SATIS NOTA: PLUS FAETENT STERCORA MOTA” (= E’ COSA ABBASTANZA NOTA: PIU’ RIMESTI LO STERCO PIU’ DA CATTIVO ODORE ) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 novembre 2013 •

Anna Maria Cancellieri - Quirinale Questo antico proverbio è sempre piu’ d’attualità. Qualche esempio:

Lo scandalo dello spionaggio statunitense nei paesi alleati sta indebolendo la presidenza Obama ed i rapporti con i principali alleati. Non è – a dire il vero- del tutto una novità perchè anni fa si scoprì’ che esisteva un accordo (il c.d. ECHELON) tra i servizi segreti di Washington, del Regno Unito, Australia e Nuova Zelanda e – se ricordiamo bene – del Canada, in base al quale venivano intercettati congiuntamente dai rispettivi organismi le comunicazioni “interessanti” per quegli Stati (ad es. l’atteggiamento che i Governi europei avrebbero adottato in occasione d’importanti trattative internazionali). Ora però

la questione si fa molto piu’ seria. Nel nostro paese gli scandali si susseguono :spese folli dei gruppi politici nei Consigli Regionali, casi, quasi quotidiani, di concussione etc. Da ultimo l’intervento c.d. a fini umanitari del Ministro Cancellieri a favore della figlia di Ligresti. Probabilmente non sono ravvisabili aspetti illegali nella richiesta, da parte del Ministro, ai giudici competenti di porre attenzione allo stato di salute della Ligresti ma é stato un passo fortemente inopportuno sia perché non spettava al titolare del Dicastero di Grazia e Giustizia effettuare un tale intervento bensì ai legali dell’interessata sia e soprattutto perché esistevano legami di grande amicizia tra la Cancellieri ed i Ligresti. Il cittadino comune ed onesto di fronte a tutto ciò é preso da scoramento e non si meraviglia se troppi giovani cercano una collocazione all’estero. Così si perdono a vantaggio di altri paesi le migliori energie che hanno – è bene ricordarlo-ricevuto un’ istruzione a spese di tutti noi. Occorre che tutto il nostro Paese reagisca prima che sia troppo tardi. L’indigenza e la corruzione spingono, infatti, sovente alla ribellione!

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CULTURA, POLITICA NAZ.

SIMILITUDINI STORICO – LETTERARIE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 24 ottobre 2013 •

Statue of Francesco Guicciardini, in Florence, in Galleria degli Uffizi Nella sua “Storia d’Italia” Francesco Guicciardini individua nella cecità dei principi italiani, che si illusero di saper controllare ed utilizzare per piccoli interessi dinastici o territoriali forze di gran lunga piu’ potenti di loro quali l’Impero Asburgico o il regno di Francia, nel periodo che va dal 1492 (morte di Lorenzo de ‘Medici) al 1534 (morte di Clemente VII, ultimo pontefice della casata Medici) ,la causa principale della rovina d’Italia che passò dalla prosperità al tracollo culminato con il terribile sacco di Roma nel 1527 ad opera dei mercenari Lanzichenecchi, spesso fanatici luterani, al servizio dell’Impero. Nell’attuale situazione politica del nostro paese si possono ravvisare, naturalmente “mutatis mutandis “, similitudini con gli accadimenti sopraricordati. Il P.D.L, alle prese con il problema Berlusconi, diviso tra i c.d falchi e colombe, rende la vita del Governo Letta non facile. Nel P.D. la lotta per l’investitura a Segretario, anche se meno appariscente, esiste. C’é un’ala ancora vetero comunista ed una piu’ socialdemocratica e questo condiziona indirettamente la vita del Governo. Il partito di Grillo non sembra all’altezza dell’ingente numero dei i suffragi ricevuti.

Per dirla con Ugo Foscolo “a rifar l’Italia bisogna disfar le sette” (v. “Della servitù d’Italia – Discorso primo”) o con il sommo poeta il nostro paese appare come una nave senza nocchiero in gran tempesta. Speriamo di non diventare terra di conquista e di saccheggio da parte di novelli Lanzichenecchi(in guanti bianchi) come avvenne nel XVI ° secolo ! Già ci sono esempi nel settore produttivo.

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POLITICA NAZ.

IL TERRIBILE PROBLEMA DEGLI SBARCHI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 ottobre 2013 •

In questi giorni stanno scorrendo sui giornali fiumi d’inchiostro per cercare di spiegare le motivazioni piu’ lontane del terribile naufragio vicino a Lampedusa. Mi pare ,tuttavia ,che non si centri il vero problema che é all’origine degli sbarchi ovvero l’instabilità politica delle nazioni da cui provengono i poveri disgraziati che ,rischiando la vita ,illusi, tramite i cellulari, da parenti ed amici e da taluni politici nostrani, credono di trovare in Europa facile accoglienza. In seguito ad un processo frettoloso di decolonizzazione,voluto soprattutto dagli Stati Uniti e dall’ex- URSS, venne concessa l’indipendenza a paesi che non avevano mai conosciuto non solo la democrazia ma neppure un minimo di strutture statali. Donde scontri sanguinosi,nascita di feroci dittature, stragi e miseria. A questo si é aggiunto l’integralismo islamico. Il problema economico ha fatto da corollario anche laddove le materie prime ed il suolo, potenzialmente fecondo, avrebbero consentito a quelle popolazioni un certo sostentamento. Chi conosce un po’i problemi del sottosviluppo del continente africano sa bene che gli organismi multilaterali ed i vari Stati occidentali hanno profuso , inutilmente , in aiuti cifre enormi con esigui risultati dato che non esistono colà governi e strutture amministrative in grado di gestire convenientemente gli aiuti stessi. Occorre perciò inviare sul posto truppe ed amministratori internazionali .” Tertium non datur” ! Altrimenti gli sbarchi continueranno e così gli annegamenti … ed anche l’islamizzazione dell’Europa.

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POLITICA NAZ.

PRO MEMORIA PER IL FUTURO GOVERNO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 settembre 2013 •

Palazzo della banca d'italia (firenze) - Wikipedia Creative Commons “Un gravissimo problema irrisolto: la criminalità organizzata, presente soprattutto nel Meridione d’Italia, che rappresenta uno dei principali ostacoli alla ripresa economica del nostro paese”.

L’Italia soffre, come é noto, di un permanente, anomalo, divario, sotto il profilo economico e sociale, tra le regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno.

Qualche dato, se ce ne fosse bisogno, a sostegno di tale affermazione. Andamento del Prodotto Interno Lordo nel periodo 2001-2012 (Rapporto SVIMEZ sull’Economia del Mezzogiorno): Centro-Nord: -media annua =0,3% cumulata= 3,3% Mezzogiorno: – media annua =- 0,3% cumulata =-3,8% Italia: -media annua = 0,1% cumulata = 1,6% Disoccupazione giovanile (ISTAT): Italia: -2008 = 15,3% 2012 = 25,3% Primi due trimestri 2013= 28,0% Nord: -2008 = 8,15% 2012 = 17,3% Primi due trimestri 2013 = 18,10% Centro: – 2008 = 13,7% 2012 = 24,1% Primi due trimestri 2013 = 26,4% Meridione: -2008 = 25,9% 2012 = 37,3%

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Primi due trimestri 2013 = 41,10% Le ragioni di questa situazione sono molteplici (storiche, conformazione del suolo, assenza di grandi fiumi etc.) ma, a nostro avviso, come, d’altronde, indicato chiaramente dal Ministero dell’Interno (v. in appresso) , è soprattutto la malavita organizzata che frena lo sviluppo del Mezzogiorno scoraggiando le indubbie potenzialità di quelle contrade. Secondo il predetto Ministero (v. “Rapporto sulla criminalità in Italia. Anno 2006. pag 183): “I sodalizi criminali più strutturati, cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e criminalità organizzata pugliese, continuano ad esercitare un’efficace azione di controllo dei territori d’origine ed a rappresentare una grave minaccia allo sviluppo delle relazioni tra le varie componenti sociali e dell’ordine economico. Le organizzazioni criminali, quindi, condizionano segmenti dell’economia imprenditoriale nazionale……. ed é stata acclarata, in particolare, l’ingerenza negli appalti pubblici, nell’utilizzo di fondi strutturali, nell’acquisizione e/o controllo di attività legali “. Dal 2006 la situazione sopradescritta non é certamente migliorata. Risulta perciò “indispensabile “ che il Governo (se ne avremo uno degno di questo nome) mobiliti tutte le energie per cercare di avviare “rapidamente “ a soluzione il problema onde facilitare il flusso d’investimenti-nazionali ed esteri- indispensabile per lo sviluppo di quelle Regioni e, conseguentemente, di tutta l’Italia. Visto che gli enormi investimenti pubblici profusi dal dopoguerra per il Meridione hanno scarsamente inciso é forse venuto il momento di porre decisamente al centro dell’azione dello Stato in quell’area la lotta alla malavita organizzata utilizzando tutti i mezzi di cui dispone: leggi speciali(sì ! leggi speciali perché “salus reipublicae suprema lex esto”) ed aumento della presenza delle forze dell’ordine sul territorio impiegando, se necessario, anche le truppe. A mali estremi estremi rimedi!

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POLITICA INTERNAZ.

ATTACCARE LA SIRIA SAREBBE UTILE ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 settembre 2013 •

Bashar al-Assad - Wikipedia Creative Commons Anche se appare estremamente difficile pronunciarsi in questa materia non disponendo di tutte le informazioni che, verosimilmente, hanno i Governi ciò non di meno questo interrogativo rimane a nostro avviso, ineludibile. E’, infatti, indubbio che questo paese sia dal 15 marzo del 2011 (inizio della rivolta contro il Governo) progressivamente scivolato in una vera e propria guerra civile in cui molte forze non siriane giuocano un ruolo. Come avviene in tutte le guerre civili i massacri avvengono. L’uso delle armi chimiche ha spinto gli Stati Uniti, Regno Unito e Francia a minacciare un intervento ma da molte parti sono stati sollevati dubbi circa gli autori. Anche a chi scrive sembra strano che i Governativi siano all’origine di tali atti criminali :quale vantaggio ne avrebbero, infatti, tratto? Alienarsi la popolazione?

Un attacco- lampo da parte delle forze armate di Stati Uniti e Francia (la Gran Bretagna non é stata autorizzata dal proprio Parlamento) servirebbe alla bisogna ? Ne dubitiamo fortemente. Innanzi tutto non é assolutamente certo che attacchi mirati ai punti militarmente nevralgici delle forze governative di Damasco provochino il crollo del regime che questo, messo alle strette, e sapendo che la resa significherebbe la morte di quasi tutti i suoi sostenitori, si batterebbe strenuamente. Anche nell’eventualità della caduta del Governo di Assad che cosa succederà ? La Siria (22milioni c.a. di abitanti; 185.180 Kmq.) é un mosaico etnico-religioso : I mussulmani sunniti costituiscono la maggioranza della popolazione (il 75% c.a.); il rimanente é rappresentato dagli Sciiti tra i quali anche la setta del tutto particolare, avendo elementi esoterici, degli Alauiti (10 % della popolazione) al potere dal 1970 con la famiglia Assad (prima con Hafiz al Assad poi, dal giugno 2000, con il figlio Bashar) ;i Drusi, una setta chiusa di origine egiziana che non fa proseliti; i Curdi, di origine iranica,(9% circa della popolazione), sunniti; i Cristiani Maroniti (cattolici), i Greco Cattolici o Melchiti, i Greco-Ortodossi, gli Armeni Ortodossi, i Siro- Ortodossi, i Turcomanni etc. Fino allo scoppio della c.d primavera araba (del cui esito democratico dubitammo con un articolo ospitato da questo foglio il 26 ottobre del 2011 dal titolo: “La c.d. primavera araba rischia di trasformarsi nel dominio della shari’a “) sotto la mano ferma degli Assad le varie componenti della società siriana convivevano abbastanza in pace. La Siria é un bel paese, ricco di vestigia storiche e di un paesaggio interessantissimo (si pensi solo a Palmira). Visitammo la Siria una ventina d’anni fa e traemmo l’impressione di un paese tranquillo e non troppo povero (non c’erano ad es. mendicanti). Dal 1990, ad es, il P.I.L “pro capite ” é raddoppiato; nel 2010 é di 5100 dollari. Soprattutto grazie al turismo avrebbe potuto progredire. Un intervento franco-statunitense potrebbe distruggere il paese. La via diplomatica é forse l’unica in grado di salvarlo e le Nazioni Unite potrebbero essere lo strumento del salvataggio. Altrimenti della caduta del regime alauita si avvantaggerebbero le forze integraliste per eliminare l’influenza dei gruppi democratici e probabilmente, la minoranza cristiana. L’Occidente si troverebbe a dover fronteggiare un altro focolaio d’integralismo nell’area mediterranea. Forse Mosca l’ha compreso! Occorre agire presto!

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CULTURA

VANITAS VENITATUM, OMNIA VANITAS (“VANITA’ DELLE VANITA’, TUTTO E’ VANITA’” ECCLESIATE 1, 2; 12, 8) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 17 agosto 2013 •

Vanità di Tiziano E’ ormai questo l’imperativo della nostra società. Siffatto “detto-ammonimento” dovrebbe campeggiare ormai anche nella aule di giustizia italiana sotto (o al posto?) alla frase ” La giustizia è uguale per tutti”. Come spiegare, infatti, altrimenti il comportamento di alcuni giudici, che manifestano il loro orientamento politico ad ogni piè sospinto, dando inizio sovente ad inchieste penali eclatanti che si rivelano successivamente del tutto infondate, se non con il desiderio di “apparire” su tutti gli organi di stampa e d’iniziare una carriera politica? Amministrare la giustizia è compito altissimo e delicatissimo perchè incide sulla vita dei cittadini. Occorrerebbe perciò esercitare questa funzione non solo con probità ma rifuggendo da comportamenti che possano incrinare la fiducia dei cittadini nella terzietà del magistrato. Il magistrato deve non solo essere “super partes” ma anche apparire come tale. Non può, ad esempio, aver rapporti confidenziali con giornalisti e rilasciare, come di recente è accaduto, interviste prima che una sentenza venga pubblicata nella sua interezza cioè con le motivazioni. E altri esempi potrebbero farsi ma sarebbe velleiterio perchè il Paese è ormai privo di una fibra morale e la Giustizia ne è una prova. O più semplicemente “Deus decipit quem vult damnare” ( = “Giove fa uscir di senno colui che vuol portare alla rovina” ed anche i popoli)

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

LA FOLLIA DEI POPOLI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 31 luglio 2013 •

Eugène Delacroix - La liberté guidant le peuple -”La légalité nous tue ” (=La legalità ci uccide) disse alla Camera francese il 23-3-1833 il deputato Viennet in occasione di un dibattito sui fondi segreti. -”Summum jus summa iniuria ” (=Il diritto spinto all’eccesso si traduce in una ingiustizia massima). Qualche esempio in Italia ed all’estero a dimostrazione della giustezza di questi detti e del titolo. a- I nomadi comunitari possono creare a Roma campi abusivi, altri fruiscono di case messe a loro disposizione dal Campidoglio e di altre provvidenze, non lavorare ma non vengono rimpatriati. Il normale cittadino che paga le tasse non ha diritto di protestare per questa situazione perché rischia di essere incriminato per razzismo; b-un impiegato di un ente pubblico (ci si consenta di non indicarlo), scoperto anni fa a percepire danaro per manipolare le pratiche, reo confesso, condannato, dopo alcuni mesi di soggiorno nelle patrie galere, patteggiò e in base alla legge gli fu consentito di tenersi il 50% del cospicuo frutto della sua corruzione che gli inquirenti erano riusciti ad individuare, il 50% fu introitato dall’Erario. Licenziato presentò ricorso contro il provvedimento adducendo che l’ente non aveva, prima del licenziamento, consultato, in base al contratto collettivo di lavoro ,la rappresentanza sindacale. Il giudice accolse il ricorso talché l’ente avrebbe dovuto riassumerlo. Per evitare di reintegrarlo l’ente concluse con l’interessato una transazione in base alla quale egli rinunciava alle sue pretese e, in contraccambio del suo “sacrificio”, riceveva una somma di importo non disdicevole. “Incredibile auditu” ma vero! c-pur essendo acclarato che la nostra gente è molto litigiosa è accettabile che un processo in sede civile possa durare “mediamente “, come minimo, un decennio? Non è possibile arrivare a testi legislativi e procedure piu’ snelli? d-E’ ragionevole consentire che i magistrati possano esercitare nelle Regioni di provenienza con i condizionamenti che questa circostanza può comportare specie in certe aree? e- in Italia, paese non esteso enormemente, sono state create innumeri sedi universitarie secondarie talora a pochissimi chilometri dalla casa madre, strutture che si fatica a sopprimere ma che ovviamente, costano f- Si appalesa arduo sopprimere le Provincie ed accorpare i Comuni minori e “Pantalone ” deve continuare a pagare in barba alla ” Spending review ”

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g- la Sanità non viene riformata e cosi prosperano le attività “intra moenia ” ed “extra moenia ” che in altri paesi dell’Unione Europea non sono così diffuse. Come mai? Forse sarebbe opportuno investigare? h- a motivo della facilità di ottenere mutui negli Stati Uniti, dei fallimenti bancari derivati (per semplificare) l’economia mondiale ha subito una recessione da cui, forse, si sta uscendo solo ora. La lezione non sembra sia servita se si considera che nelle Borse, specie statunitensi, sono consentite tecniche d’investimento basate sul c.d. “High frequency trading”, negoziazione di titoli ad altissima velocità attraverso algoritmi che compiono operazioni in millesimi di secondo e che permettono di conoscere in anticipo (3o millesimi di secondo) il prezzo di un ordine prima che diventi pubblico. Alla base del calcolo non sembra ci sia una disamina accurata dei fondamentali del titolo ma solo della tendenza del mercato, tendenza che può essere manipolata con ordini civetta. Nel 2008 sono stati trattati con queste tecniche ben 21,8 miliardi di dollari! Si tratta di tecniche molto sofisticate e complicate e, ricordando i guai dei “derivati”, quel che non è chiaro nasconde un rischio. Qualche parlamentare statunitense -occorre dirlo-incomincia a contestarle ma, salvo errore, gli organismi pubblici nazionali ed internazionali deputati fino ad ora non se ne sono occupati in maniera incisiva(come fecero, d’altronde, prima della crisi) .

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CULTURA

L’INTOLLERANZA RELIGIONE

VERSO

LA

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 giugno 2013

In un interessante e documentato editoriale del prof. Galli della Loggia apparso su “Il Corriere della Sera” del 2 giugno crt.a. viene segnalata l’offensiva in atto in Europa da parte di gruppi atei nei confronti della religione cristiana. Non è cruenta come quella che si ebbe con la rivoluzione francese e con quella comunista ma non è meno pericolosa perchè costituisce -a ben guardare- un gravissimo attentato alla libertà di pensiero e d’espressione. Il vietare. infatti, ad un ‘infermiera britannica di portare una croce al collo durante l’orario di lavoro o la decisione dell’Ordine dei Medici inglesi di avvertire i propri iscritti ad essere preparati a mettere da parte le loro convinzioni religiose riguardo ad alcune aree controverse o-cosa molto piu’ grave – la sentenza di una Corte scozzese che ha imposto a due ostetriche di prendere parte ad un aborto effettuato da loro colleghe e così via (si veda il sitowww.intolleranceagainstchristians.eu) che altro é ? La scristianizzazione dell’Europa favorisce l’indebolimento della nostra Civiltà, che nessuno potrà negare abbia gran parte delle sue basi nella religione cristiana. Il che, è, anche sotto il profilo meramente politico, pericolosissimo in considerazione della presenza nel nostro continente di masse di immigrati islamici. Un indebolimento del credo cristiano significa, infatti, anche indebolire le basi della nostra civiltà a prescindere dai propri convincimenti religiosi. L’estremismo islamico non può che trarne vantaggio. Ma anche questo altro non é,forse, che un ‘ altra manifestazione di un “cupio dissolvi “desiderio di por fine” dell’Europa nella nostra epoca.

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POLITICA NAZ.

“EX ALIIS SUMERE EXEMPLUM”(Dobbiamo prendere esempio dagli altri) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 24 maggio 2013 •

Questa saggia esortazione del poeta latino Terenzio (v. ADELPHI, 3,3,60) è quasi sempre inascoltata. Ne è una riprova la politica lassista dei Governi di molti paesi occidentali, tra i quali il nostro, in materia d’immigrazione. Il consentire l’immissione sul proprio territorio di soggetti provenienti da aree che, sotto il profilo confessionale e dei costumi, sono senza ombra di dubbio estremamente lontane dalle nostre rasenta il suicidio. Gli attentati del luglio 2005 a Londra (52 morti ed oltre 700 feriti) ,quelli nella Metropolitana di Parigi, alla Stazione di Madrid ed altri tentativi andati, fortunatamente, a vuoto, le bombe di Boston, le sommosse nei quartieri nella capitale svedese abitati da immigrati in genere mussulmani, e la decapitazione del soldato britannico avvenuta il 22 u.s. a Woolwich ne sono la dimostrazione lampante Ora si vorrebbe addirittura introdurre nella nostra disciplina il c.d. jus soli. L’esperienza maturata altrove in materia d’immigrazione evidentemente non é servita ! I propositi d’integrazione sembrano purtroppo velleitari e l’eventuale aumento del numero d’immigrati dall’Africa rappresentano un rischio per la sopravvivenza della nostra civiltà (buona o cattiva che essa sia) perchè il numero alla fine prevale. Ma molti sono, ahinoi, coloro che militano a favore dell’allargamento delle frontiere, alcuni spinti da buone intenzioni, altri da motivazioni meno nobili (alcuni nutrono la speranza che i nuovi cittadini votino per loro; altri perchè contano che le varie associazioni che che si occupano dei c.d. immigrati ed esuli possano continuare a ricevere aiuti pubblici ) . Il Governo dovrebbe tutelare i superiori interessi del paese ma la componente di sinistra fa da freno.

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POLITICA NAZ.

JUS SANGUINIS – JUS SOLI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 maggio 2013 •

Cécile Kyenge - Wikipedia Creative Commons Il progetto del neo Ministro per l’Integrazione volto a far introdurre nel nostro ordinamento il principio dello “Jus soli” ovvero il diritto per chi nasce in Italia di acquisire automaticamente la cittadinanza del nostro paese é molto pericoloso per il mantenimento della pace sociale. Detto principio è, generalmente, in vigore in paesi (ad es. Sud Americani) dove nei secoli scorsi si voleva favorire l’espansione demografica perché si trattava di aree scarsamente popolate segnatamente da soggetti d’origine europea .Per contro il principio dello “jus sanguinis” é, in genere, stato adottato nei paesi sufficientemente o troppo popolati che, per conseguenza, non necessitano di avere nuovi cittadini. E’ questo il caso dell’Italia. Il rischio dell’introduzione di un tale principio nel nostro ordinamento deriva dal fatto che la maggioranza degli immigrati, che potrebbe far acquisire la cittadinanza ai loro figli, è di religione islamica, fede che mal si concilia (é inutile nasconderselo) con le fondamenta del nostro ordinamento. Inoltre dato che per la legge islamica un Mussulmano può avere fino a cinque mogli legittime é da attendersi un numero elevato di pargoli (in Italia ci sono già oltre 2 milioni di mussulmani). Si porrebbe poi la questione dei ricongiungimenti. I neo- cittadini italiani chiederebbero, con tutta probabilità, di far venire in Italia le consorti lasciate nel paese d’origine (fino a cinque secondo il diritto islamico) ed i relativi figli. Sarebbero anche difficile i controlli! C’é soprattutto il pericolo di massicci sbarchi di donne in stato interessante provenienti dal Nord Africa e dall’Africa Sub Sahariana. Probabilmente una marea! E tutto ciò per favorire l’integrazione o le fila dei votanti i partiti di sinistra o dei prevedibili membri dei partiti d’ispirazione islamica che saranno molto probabilmente costituiti come avvenuto in altri paesi E questo non favorisce la pace sociale. Siamo però fiduciosi che vi saranno parlamentari del centro-destra che comprenderanno il pericolo! Altrimenti il Governo, frutto delle sinergie tra il centro-destra ed i centro-sinistra, rischia di fare la stessa fine del matrimonio tra una formichina(maschio) ed una formichina (femmina) che vollero far benedire il loro connubio da un sacerdote e a tal fine si misero l’uno sulla palma della mano destra del prete, l’altra sulla palma della mano sinistra del sacerdote. Terminato il rito il sacerdote, preso dall’entusiasmo, batté le mani gridando: “Viva gli sposi ” ma gli stessi, purtroppo, non erano più di questo mondo!

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POLITICA NAZ.

NON TUTTI I MALI VENGONO PER NUOCERE

TALORA

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 aprile 2013 •

In occasione del Congresso tenutosi a Bad Godesberg nel 1959 il Partito Socialista Tedesco abbandonò formalmente il marxismo adottando il c.d. Godsberger Programm. Si trasformò cioé nel partito socialdemocratico rispettoso della libera iniziativa. Questa svolta ideologica fu altamente proficua per la Germania. Il Partito Socialdemocratico partecipò, infatti, al governo del paese in coalizioni con la Democrazia Cristiana e/o il Partito Liberale; lo scontro sociale fu ridotto al minimo poiché i sindacati parteciparono alla gestione delle imprese. Da ciò uno straordinario cinquantennio di sviluppo economico e sociale. Nel nostro paese, per contro, il principale partito dei lavoratori, il P.C.I., non ripudiò la dottrina comunista e sotto la guida di Togliatti e suoi sodali (tra i quali gioverà ricordare Nilde Jotti, Berlinguer, Giorgio Napolitano etc.) perseguì a lungo una politica filo sovietica. Si oppose, ad es. all’adesione dell’Italia alla N.A.T.O., alle Comunità Europee, negò a lungo l’esistenza della feroce dittatura staliniana e, tramite la C.G.I.L, non favorì l’instaurazione di un clima sociale pacifico. Solo nel periodo delle Brigate Rosse ci fu, per necessità, una collaborazione del PCI con i partiti di centro-destra. Poi il nemico fu ritrovato: l’on.le Berlusconi, fonte di ogni nequizia, ed il suo P.D.L. Questa situazione di contrapposizione ha ritardato l’adozione delle riforme indispensabili alla ripresa del Paese. Ora gli equilibri interni del PD, in seguito alla crisi economica, sembrano mutati (il sindaco di Firenze, che ha contestato il Segretario on.le Bersani, il quale aveva come principale obiettivo l’eliminazione dell’0n.le Berlusconi, sembra avere propositi socialdemocratici) e la designazione da parte del Presidente della Repubblica dell’on.le Enrico Letta a capo dell’Esecutivo potrebbe portare ad una spaccatura. L’ala che chiameremmo vetero-comunista potrebbe, infatti, uscire dal partito ed allearsi con la formazione di Vendola o le altre di estrema sinistra. L’ala che si rifà ai principi cattolici o laici potrebbe seguire l’On.le Enrico Letta che é di formazione democristiana, Si potrebbe realizzare una piccola BadGodsberg. Un governo di coalizione formato dall’ ala per così dire di centro-destra dell’ex- P.D. dal, P.D.L., e dal gruppo dell’onle Monti potrebbe ben operare. Utinam! Il paese ne avrebbe estremo bisogno!

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

CERCASI (URGENTE )

UN

CINCINNATO

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 31 marzo 2013

I grandi popoli nelle fasi di estremo pericolo per la nazione riescono, in genere, a trovare uno o piu’ personaggi idonei a scongiurare il disfacimento del paese. Fu così per i Romani quando nel 458 a.C. nominarono dittatore Lucio Quinzio Cincinnato (da “cincinnus” ricciolo) affinché salvasse l’esercito del console Minucio circondato dagli Equi sul Monte Algido. Secondo la leggenda Cincinnato accolse la nomina con scarso entusiasmo mentre stava arando un suo campo. In sedici giorni sconfisse tuttavia gli Equi e rientrato a Roma riprese il lavoro interrotto. Durante il primo conflitto mondiale dopo la sconfitta di Caporetto con la nomina di V.E. Orlando alla presidenza del Consiglio dei Ministri e la sostituzione del Capo di Stato Maggiore Cadorna con il gen. Diaz il paese reagì positivamente e la non improbabile disfatta fu scongiurata. Gli Inglesi nel secondo conflitto trovarono in Winston Churchill l’uomo adatto a tenere unito il paese. In questo periodo l’Italia rischia una débacle economica qualora non riesca ad esprimere un Governo sufficientemente stabile giacché la speculazione internazionale si scatenerebbe. S’impone quindi un governo d’unità nazionale. L’ostacolo principale a che ciò avvenga sembra essere rappresentato- per dirla francamente- dalla richiesta, ampliamente giustificata del P.D.L. dell’elezione di un capo dello Stato non espressione dei partiti di sinistra che già hanno avuto la Presidenza del Senato e quella della Camera. Il P.d.L. è in grado di avanzare -a nostro parere- candidature autorevoli ed equilibrate.. Ci paiono tali, ad es., quella, eventuale, del prof. Pera, già presidente del Senato, od anche dell’on.le Prof. Martino, figlio del Min. degli Esteri Gaetano, uno dei padre della Comunità Europea, a sua volta autorevole ministro nei Governi guidati da Berlusconi e quella di Gianni Letta, ineguagliato Sotto Segretario alla Presidenza del Consiglio, rispettato da tutti perché ne é nota l’ avversione a cariche e prebende. Basti dire che non ha mai voluto essere candidato alla Camera o al Senato! ( Forse é un Cincinnato dei nostri giorni) . Occorre comunque che tutti i protagonisti politici assumano rapidissimamente le proprie responsabilità: Non c’è piu’ tempo perché “Hannibal ad portas” (= Annibale cioé la rovina economica é vicinissima se non si avrà un Governo che impedisca alla speculazione internazionale di agire senza pietà).

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

DIPLOMAZIA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 marzo 2013 •

In vari articoletti su questo foglio stigmatizzammo, i mesi scorsi, il comportamento del nostro Ministero degli Affari Esteri e del nostro Governo . per quanto riguardava la vicenda Marò temendo un esito della stessa negativo per i nostri militari. Ora siamo quasi alla farsa !Sembra che da parte italiana si siano mandati a negoziare dei dilettanti allo” sbaraglio “. Eppure avevamo frecce nella nostra faretra :l’ubicazione dubbia della nave e dei battelli,, l’incarico internazionale dei nostri marò, i rapporti commerciali Italo-Indiani,la massiccia presenza in Italia di lavoratori migranti indiani, l’appartenenza dell’Italia all’U.E. etc. Di queste frecce non sembra si sia fatto uso. Inoltre si è sfiorato il ridicolo adottando atteggiamenti contraddittorii. Come detto “dilettanti allo sbaraglio” laddove necessitavano : fermezza di comportamento, sapiente uso delle norme contenute nei trattati pertinenti al caso ed utilizzo di “tutti ” gli strumenti acconci (economici, diplomatici etc. ). Quale sostegno, ad es, ci é stato fornito, tranne vacue dichiarazioni, dal c. d. Ministro degli Esteri dell’Unione Europea ? Chi meglio di questo commissario avrebbe potuto intervenire. Conoscendo un poco il “modus cogitandi” dei nostri governi in politica estera, la regola non scritta degli stessi è “Mota quaetare, quaeta non movere” e ad essa si adeguano le nostre feluche e “tant pis per i poveri cittadini italiani coinvolti in qualche contenzioso “. L’importante è mantenere buoni rapporti…. ed il posto in carriera!”. La dignità di un popolo è frutto di molti atteggiamenti anche non eclatanti! Ed i risultati prima o poi emergono!

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LAVORO, POLITICA NAZ.

CASO I.L.V.A. DI TARANTO: QUALCHE DOMANDA DI UN CITTADINO QUALUNQUE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 26 gennaio 2013 •

Cinque o sei anni fa mi recai a Taranto per visitare un’interessantissima mostra di gioielli della Magna Grecia. Durante tale breve soggiorno mi accorsi dell’inquinamento dell’ atmosfera e del suolo presente anche al centro della città. Chiedendo l’origine del fenomeno a cittadini tarantini ebbi la conferma di quel sospettavo (non era ,peraltro, difficile!). La causa erano i fumi delle ciminiere dello stabilimento siderurgico. Solo nell’ultimo anno il problema è tuttavia e stranamente emerso in tutta la sua drammaticità per i risvolti sociali ed economici che presenta. A tale proposito al cittadino qualunque quale io sono sorgono spontanee alcune ingenue domande e cioé: in tutti questi anni cosa hanno fatto i vari organismi locali ,preposti “istituzionalmente” alla tutela della salute e dell’ambiente, per eliminare o ,per lo meno, cercare di far ridurre il fenomeno? E questo vale per i sindacati? E’ infine verosimile che la locale magistratura non abbia mai ricevuto negli anni passati un esposto? Da ultimo : quale significato ha il divieto posto -se ho ben compreso quanto riferisce la stampa -dalla magistratura alla vendita dei prodotti siderurgici che giacciono nei magazzini dello stabilimento e non sembrano essere inquinanti? Forse si vuole aiutare la concorrenza estera? O é solo un episodio di un braccio di ferro tra poteri? A questo punto credo di poter concluder dicendo che, ponendo siffatte domande, trova, forse, applicazione l’amara frase di Plauto (v. Poenulus ,332): “Oleam et operam perdidi” ovvero “Persi l’olio (N.D.R. usato dagli atleti antichi per ungersi prima della gara) e la fatica “o, piu’ prosaicamente, “A lavar la testa all’asino si perde ranno e sapone”.

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POLITICA INTERNAZ.

L’ATTENTATO AL CONSOLE ITALIANO A BENGASI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 gennaio 2013 •

Il tentativo, andato fortunatamente a vuoto, di uccidere il nostro Console a Bengasi non può, a nostro parere, essere sottovalutato. E’, invero, il sintomo dell’instabilità del vicino paese e, probabilmente, del crescente radicamento dell’estremismo islamico dato che l’episodio fa seguito all’uccisione, mesi fa, del Console statunitense nella stessa importante città libica. I rapporti italo-libici sono stati dal dopoguerra in poi, salvo qualche momento di tensione, nel complesso abbastanza soddisfacenti. Le cose sono cambiate quando si é avuta la c.d. primavera araba che, nel caso della Libia, é stata l’occasione per l’intervento armato anglo-francese, prima, e statunitense poi con, obtorto collo, quello di sostegno italiano. I motivi furono meno nobili di quel che si fece credere ovvero sostenere le forze democratiche. Si volle, in realtà, cogliere l’occasione per acquisire titoli di merito agli occhi della futura classe dirigente libica affinché il petrolio non andasse in mani non amiche. Ci sembra si sia trattato di un errore di calcolo per quel che riguarda la classe dirigente libica ” in fieri” dato che il seguito che la stessa sta raccogliendo nel paese non pare oceanico. Sotto un profilo realistico occorre ammettere che, eliminando Gheddafi è stato eliminato chi teneva a freno le varie componenti, soprattutto di natura tribale, del paese. Purtroppo la democrazia necessita di molto tempo! Allargando la visuale lo stesso sembra, mutatis mutandis, valere per gli altri paesi dell’Africa Settentrionale. “Cartalibera ” ospitò alcuni nostri scritti dai titoli che si sono –ci si conceda l’immodestia- rivelati profetici ove si considerino le date (“L’incognita dei Fratelli Mussulmani” del 4-2-2011; “L a c.d. primavera araba é già finita?” del 14-10- 2011; “La primavera araba rischia di trasformarsi nel dominio della shari’a” del 26-10-2012 ;” La primavera araba si sta trasformando in un inverno per la democrazia?” del 13-12-2012) in cui mettevamo in guardia dai facili entusiasmi e paventavamo l’instaurarsi di regimi integralisti o fortemente condizionati da tali forze. Come si é visto in Egitto e, in parte, in Tunisia l’influenza integralista é notevole. Ne sembrano “ancora ” abbastanza indenni Marocco e Algeria anche se nuclei Jihadisti sono presenti ed attivi. Ove si allarghi lo sguardo ad altri paesi africani ed al Medio Oriente la situazione appare preoccupante: la Somalia é, in larga misura, in mano agli “Shebab” (=i giovani), integralisti vicini ad AL Qaeda; in Nigeria le stragi di Cristiani negli Stati mussulmani si succedono; nel Malì, gli scorsi giorni, gli integralisti stavano per impadronirsi del paese se il Governo non avesse chiesto aiuto alla Francia ma la partita é ancora in corso;in Mauritania le milizie mussulmane sono forti; in Medio Oriente: la Siria probabilmente si sfascerà come Stato e si scateneranno così gli odi tra Sunniti, Sciiti, Alauiti di cui faranno probabilmente le principali spese i pochi Cristiani fino ad ora protetti dal regime; incerte sono le prospettive dell’Iraq, diviso tra Sciiti e Sunniti, dove l’antichissima comunità cristiana é oggetto di continui atti di pressione (attentati, rapimenti di donne etc.) onde indurla ad andarsene. A fronte di questa situazione che, ad un esame approfondito, appare in ultima istanza come una guerra, anche se non dichiarata, ai principi di libertà e democrazia propri dell’Occidente quindi allo stesso Occidente, i Governi Europei e quello statunitense appaiono privi di una politica organica di contenimento.

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POLITICA NAZ.

DIBATTITI POLITICI IN TELEVISIONE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 11 gennaio 2013 •

In questi giorni si susseguono, a ragione dell’inizio della campagna elettorale, i dibattiti in televisione. Lo spettacolo é, in genere, deprimente. Allorquando gli interlocutori sono numerosi non vi é una discussione “civile” ovvero un ordinato dialogo tra i partecipanti bensì una sovrapposizione di voci, usualmente, ad alto volume, talché l’ascoltatore non riesce a comprendere cosa viene detto. Il moderatore, infatti, non esercita nessuna azione volta a frenare un tale indecente comportamento. Quando viene intervistato un esponente politico di rilievo le cose vanno un poco meglio ma non troppo. L’intervistatore abile, infatti, pone domande capziose e non lascia terminare all’intervistato il suo dire allorquando non gli fa comodo o devia il discorso. Seleziona, inoltre, verosimilmente, prima della trasmissione, gli spettatori privilegiando nel numero quelli della sua “fazione”. La trasmissione del 10 gennaio u.s. condotta da Santoro (“Intervista all’on. le Berlusconi”) ci é sembrata paradigmatica di tutto ciò. Non ci risulta che questo accada in altri paesi occidentali . Il livello di civiltà e di democrazia si giudica anche da questo oppure no?

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CULTURA, POLITICA NAZ.

QUALCHE RIFLESSIONE AD USO DEI DIRIGENTI DEI PARTITI DI CENTRODESTRA DESUNTE DALL’ARTE DELLA GUERRA DI SUN TSU by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 6 gennaio 2013

“L’ Arte della Guerra” è il piu’ antico trattato in questa materia che si conosca. Fu scritto da Sun Tzu (= Maestro Tzu), appellativo di un certo Sun Wu, nato nello Stato di Qi in Cina ed attivo nei territori sud-orientali dello Stato di Wu verso la fine del VI° secolo a.C. Nel saggio di Sun Tzu confluisce un patrimonio di esperienze storiche, politiche e militari, che alcuni fanno addirittura risalire al 2000-1500 a.C., ed una tradizione culturale che ha nel Taoismo e Cofucianesimo le fonti piu’ agevolmente verificabili. L’intento dell’opera, che esercitò sempre una grande influenza sulle classi dirigenti cinesi, fu quello di fornire un manuale pratico ad uso degli ambienti militari e diplomatici di Corte. Si tratta quindi di un testo che contiene principi molto saggi. Spigolando ci hanno colpito alcuni passaggi che ci permettiamo di ricordare ai dirigenti dei partiti di Centro-Destra sperando che possano essere loro di una qualche utilità nell’imminente tornata elettorale che si presenta non facile. Lo scontro elettorale, infatti, può essere ritenuto una forma, anche se “sui generis “,di guerra di guisa che i suggerimenti di Sun Tzu possono, a nostro avviso, trovarvi applicazione. Tra i cinque fondamentali fattori che, secondo questo trattato, debbono essere tenuti in considerazione nell’adozione delle decisioni belliche figurano: • •

la legge morale; il metodo e la disciplina.

La “legge morale” fa sì che la popolazione sia in pieno accordo con il proprio sovrano e che lo segua senza riguardo della vita e senza temere alcun pericolo. In altri termini se c’é adesione ai principi morali ed agli ideali del Sovrano (= dirigente) da parte del popolo lo stesso non esiterà a seguirlo fino in fondo. Per “metodo e disciplina “si deve intendere l’ordinamento dell’esercito nella sua propria suddivisione, le divisioni di rango tra gli ufficiali – omissis, il controllo delle spese militari. Ed ancora: • •

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vincerà colui il cui esercito é animato dallo stesso spirito in tutti i suoi ranghi; il risultato é,per contro,la rovina quando gli alti ufficiali sono incolleriti ed insubordinati e all’incontro con il nemico danno battaglia di loro iniziativa per una sorta di risentimento e, comunque, prima che il comandante dica se é o meno in grado di combattere (N.d.R. vi é questo rischio nello schieramento di Centro-destra?); si deve formare un singolo comparto unito mentre il nemico deve essere diviso in frazioni. Si avrà così un intero contrapposto a parti separate vale a dire molti contro pochi ( N.d.R. :è quello che rischia il CD? ); non si debbono concludere alleanze con i principi vicini quando non si conoscono le loro strategie (N.d.R. :é chiara quella della Lega? ).

Per concludere : ci auguriamo che i dirigenti del Centro -destra, avendo presenti questi suggerimenti del Maestro Tzu, eliminino i punti deboli del loro schieramento e della politica fino ad ora svolta e che lo facciano sollecitamente perché il tempo é scarso!

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POLITICA INTERNAZ.

«UN’EQUA SOLUZIONE DEL PROBLEMA PALESTINESE “CONDITIO SINE QUA NON” PER ASSICURARE LA PACE NEL MEDIO ORIENTE E, PIU’ IN GENERALE, NEL MONDO» by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 5 dicembre 2012 •

Crediamo sia incontrovertibile che senza un’equa soluzione del problema della Palestina, che dal 1947 insanguina quel territorio, non si eliminerà l’ostacolo principale per la pace non solo nel Medio Oriente ma, più in generale, in tutto il bacino del Mediterraneo e tra le nazioni occidentali (Stati Uniti compresi) e quelle musulmane. Questa piaga offre, infatti, il pretesto a vari paesi islamici per svolgere o tollerare azioni cruente nei confronti d’Israele e di quelli che vengono considerati suoi alleati (Stati Uniti, in primis, e nazioni europee). La soluzione è estremamente difficile perché la condizionano “pesantemente” le rispettive ragioni storiche e convinzioni religiose. Gli Ebrei, originariamente stanziati in Mesopotamia, poi spostatisi – i Cananei – nel 2° millennio a.C. in una buona parte della Palestina quindi in Egitto (dal XVIII al XIII secolo), considerano quel territorio la “terra promessa” da Dio a Mosè quando, scacciati dalla terra dei Faraoni, rientrarono e si scontrarono con i Filistei (le popolazioni c.d. del mare, provenienti, probabilmente, da Creta) abitanti dal XII secolo sulla costa palestinese. Dopo le dominazioni egiziane, babilonesi, persiane dal 63 a.C. la Palestina entrò nell’orbita romana. Nel 70 d.C. in seguito ad una rivolta, l’imperatore Tito massacrò la popolazione di Gerusalemme e distrusse il Tempio. Iniziò così quella forzata emigrazione degli Ebrei che venne chiamata la “diáspora” (dal gr. = dispersione). Alla dominazione romana successe quella bizantina che prese fine nel 638 d.C. quando gli Arabi s’impadronirono del Medio Oriente e la popolazione venne in gran parte islamizzata. Nell’XI-XII secolo d.C .si ebbero i Regni crociati ma nel 1291 ritornò il dominio mussulmano (Egiziani prima, Turchi poi). Gli Ottomani rimasero dal 1517 alla fine del 1° conflitto mondiale. Non è superfluo un accenno agli aspetti religiosi del contrasto israelo-palestinese. Anche per i Mussulmani Gerusalemme è città sacra. E’, infatti, considerata la seconda città sacra dopo la Mecca perché venne visitata dal Profeta il quale, secondo la leggenda, pregò sulla roccia di Moriah prima d’intraprendere il viaggio nei cieli. Tale sprone roccioso si trova sotto la cupola della Moschea di Omar, moschea che sovrasta le fondazioni del tempio ebraico distrutto da Tito. Donde le dispute e gli scontri tra Mussulmani ed Ebrei per semplici violazioni della rigida separazione dei luoghi (e ciò a dispetto dell’etimologia del nome “Gerusalemme” che significa “città o casa della pace”). Tornando alla storia ricorderemo che dalla fine del XIX secolo ai primi del ’900 sorsero, in seguito al c.d. movimento sionista, i primi stanziamenti ebraici in Palestina.

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Durante il primo conflitto mondiale l’Inghilterra s’impegnò con la lettera del 2 novembre 1917 di assenso indirizzata dal proprio Ministro degli Esteri, Lord Balfour, a Lord Rotschild, che aveva avanzato la richiesta del leader sionista il Prof. Chaim Weizmann[1] di favorire, dopo la fine della guerra, la creazione in Palestina di un “focolare ebraico” (Home Foyer). Dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano fu perciò normale che la Società delle Nazioni affidasse al Regno Unito il mandato sulla Palestina. Il progetto di un “focolare ebraico” incontrò l’opposizione degli Arabi (re Feisal) ai quali gli Inglesi avevano promesso la creazione di un grande Stato arabo che comprendesse anche la Palestina. Donde scontri cruenti tra le due etnie nel periodo tra le due guerre. Le persecuzioni naziste provocarono nel primo dopoguerra l’immigrazione in Palestina, ostacolata peraltro dagli Inglesi, di consistenti gruppi di superstiti dei Lager. Nel 1947 l’ONU decise di dividere il territorio palestinese tra Ebrei ed Arabi. Nel 1948 fu costituito lo Stato d’Israele e si ebbe il primo conflitto arabo-israeliano, vinto dal neo-Stato, in seguito al quale la parte della regione originariamente affidata agli Arabi venne inglobata nel Regno Giordano (Cisgiordania) e nello Stato di Israele mentre l’Egitto si assicurò la cd. striscia di Gaza. Un’enorme massa di profughi arabi si riversò allora in Giordania, Libano ed in altri paesi arabi. Successivamente si ebbero altre tre guerre: - nel 1956 quella del Sinai; - nel 1967 quella dei Sei Giorni (conquista israeliana del Golan e della Cisgiordania); - nel 1973 quella del Kippur. Dal 1964 la resistenza armata palestinese si organizzò attorno all’OLP, guidata da Y. Arafat.Si ebbero nel 1972 le stragi all’aeroporto di LOD e a Monaco . Nel 1974 l’OLP venne riconosciuta dalle Nazioni Unite come legittima rappresentante del popolo palestinese. Dopo scontri ed attentati (la c.d. Intifadah), nel 1988 Arafat propose la politica della “pace contro territori” ovvero la rinuncia al terrorismo ed il riconoscimento dello Stato d’Israele e, in contropartita, quello di uno Stato indipendente di Palestina nei territori occupati. Nel 1993-94 furono sottoscritti dal premier Rabin e da Arafat gli accordi di pace che riconoscevano, tra l’altro, l’autonomia della striscia di Gaza e di Gerico. Tali intese furono però boicottate dagli estremisti dei due schieramenti donde una nuova stagione di attentati e, con il nuovo premier Netanyahu, la realizzazione nel 1997 di nuovi insediamenti israeliani nei territori occupati. Nel 1998 la delegazione palestinese all’ONU venne equiparata ad una rappresentanza diplomatica. Nell’ottobre dello stesso anno fu firmato da Arafat e Netanyahu un accordo che non ebbe, tuttavia, seguito. Il presidente Clinton cercò di superare la situazione di stallo creatasi promuovendo nell’estate del 2000 un incontro tra Arafat ed il nuovo premier israeliano E. Barak che non sfociò tuttavia in un accordo definitivo. Con l’elezione, nel 2001 di Sharon, capo del nazionalista Likud, alla guida del governo israeliano i contrasti si acuirono e provocarono scontri violentissimi e centinaia di morti. Nel marzo 2002 l’ONU adottò una risoluzione – storica – per dar vita in Palestina a due Stati.

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Nel 2003 venne elaborato dagli Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite un nuovo piano di pace denominato “road map” che prevedeva impegni reciproci tra i quali la cessazione degli attacchi terroristici da parte palestinese e la liberazione dei prigionieri palestinesi da parte israeliana. Anche questa volta, tuttavia, le intese non vennero rispettate da entrambe le parti stante l’opposizione esercitata dai nuclei estremisti di notevole peso nei due schieramenti. Dopo la morte nel 2004 di Arafat si tennero, nel gennaio 2005, le elezioni per nominare un nuovo presidente che furono vinte con largo margine da Abu Mazen. Nel febbraio dello stesso anno ci fu un incontro a Sharm el Sheik tra Abu Mazen e Sharon durante il quale fu concordata una tregua e la riapertura del processo di pace previsto dalla “road map”. Anche questa volta le fazioni estremiste non hanno consentito di avanzare sul cammino della pace. La recentissima risoluzione approvata dall’Assemblea delle Nazioni Unite che attribuisce alla Palestina lo status di “osservatore” quale Stato non membro costituisce la premessa per l’ingresso a pieno titolo del paese nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Anche se ci possono essere legittimi pareri contrari riteniamo che il nostro Governo abbia agito saggiamente votando a favore sia perché la risoluzione può, probabilmente, favorire il processo di pace riducendo le frustrazioni dei Palestinesi e quindi il potere di Hamas (gli integralisti) sia perché consente al nostro paese di non alienarsi i paesi musulmani. Le aspre reazioni israeliane e soprattutto l’immediata decisione del governo di Gerusalemme di un nuovo insediamento abitativo nei territori occupati fanno, tuttavia, temere una recrudescenza degli attentati ed il rinnovarsi di una situazione di stallo foriera di enormi pericoli (ad es. minacce di Teheran ed attacchi israeliani ai laboratori atomici iraniani). Dato che risulta evidente che né gli Israeliani potranno scacciare dalla Palestina gli Arabi né questi gli Israeliani non vi è altra soluzione per risolvere il problema che esercitare a livello internazionale uno sforzo “eccezionale” per convincere ed obbligare le parti a concludere un accordo “equo” tenendo conto che i Palestinesi non sono all’origine della cd. Shoah. Solo coniugando le forze dei più importanti attori sulla scena internazionale si riuscirà a convincere le due parti a sottoscrivere e a rispettare, anche se “obtorto collo”, un accordo di pace. Dalla pace entrambi i contendenti trarrebbero enorme profitto anche economico. I Palestinesi vedrebbero, invero, scemare la disoccupazione e gli Israeliani potrebbero ridurre le spese militari ed avvantaggiarsi vieppiù della disponibilità di manodopera palestinese. L’area intera riceverebbe così un notevole sviluppo e laddove c’è benessere ci sono minori tensioni e conflitti. Un ruolo importante, se non determinante, per raggiungere tale obiettivo lo potrebbero svolgere gli Stati Uniti. Gli aiuti americani di varia natura sono, infatti, essenziali per Israele. Occorrerebbe però che Washington fosse lungimirante e non subisse l’influenza di gruppi d’interesse nazionali ed internazionali . Il nuovo Presidente americano, non avendo più la preoccupazione delle urne, potrebbe, forse ,riuscire con l’aiuto, naturalmente, delle altre potenze e così, rafforzando Abu Mazen e l’OLP, disinnescherebbe in larga misura la bomba ad orologeria dell’Integralismo islamico segnatamente di quello, molto pericoloso, iraniano. Che Dio illumini le menti dei reggitori!INSCIALLAH !

[1] Professore di Chimica all’Università di Ginevra e Manchester. Naturalizzato cittadino britannico divenne il direttore dei Laboratori dell’Ammiragliato britannico durante la prima guerra mondiale fornendo un notevole contributo agli armamenti inglesi ed inventando un esplosivo, la “cordite” nonché un metodo per l’estrazione del petrolio sintetico.

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

IL DILEMMA MODERATO

DELL’

ELETTORE

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 novembre 2012 •

Gli elettori moderati italiani (ma non solo) sono, in genere, quelle persone che, in sintesi, hanno assimilato i principi liberali, che credono in quelli di un’economia i tipo liberistico, che rifuggono dagli estremismi, che desidererebbero che la meritocrazia fosse la regola e che l’ordine pubblico -base di un ordinato funzionamento della società-venisse assicurato, che la famiglia rimanesse sana, che la scuola fosse di buon livello. In Italia nel secondo dopoguerra i Governi della DC ed alleati hanno soddisfatto, nel complesso, tali aspirazioni ed hanno, per conseguenza, riscosso il sostegno dell’elettorato e promosso la rinascita economica del Paese, deciso l’ingresso nelle Istituzioni Europee etc. e ciò malgrado la presenza di un fortissimo Partito Comunista e di una situazione economica depressa. Questa situazione é mutata dal 1968 in poi per una serie di ragioni (il sistema delle preferenze che ha provocato episodi di corruzione diffusa e l’abbassamento del livello della rappresentanza politica nell’ambito sia dei partiti di centro-destra che di quelli di area socialista (P.S.I.- P.S.D.I.) , lo spreco di risorse ad opera del sistema delle Partecipazioni Statali e di altri organismi pubblici, il prevalere, nella gestione del personale, di regole, dettate dai sindacati, di ingiusto egalitarismo, l’abbassamento del livello dell’insegnamento -chi non ricorda gli esami collettivi pretesi dagli Universitari sessantottini?-, il permanere in vastissime aree del Meridione della malavita organizzata e, per conseguenza, del sottosviluppo che alimentava la corruzione ed il clientelismo, l’influenza sempre piu’ crescente delle c.d toghe rosse nella Magistratura etc.) . La nascita di Forza Italia sembrò poter arrestare la deriva. La crisi economica d’inaudita violenza, gli errori soprattutto di comportamento privato dell’on.le Berlusconi (ingigantiti dall’Opposizione e dalla stampa avversa, nazionale ed internazionale), hanno portato alla nascita del Governo di salute pubblica guidato dal Prof. Monti. Risulta “ictu oculi ” che, salvo miracoli, le forze di sinistra potranno aspirare a vincere le imminenti elezioni anche se dovranno allearsi con il partito di Vendola. All’elettorato moderato questa prospettiva non dovrebbe affatto piacere perché nel PD permane un’ala vetero – comunista ed in quanto che l’alleanza con Vendola comporterebbe, quasi certamente, l’introduzione nel nostro ordinamento della possibilità del matrimonio tra soggetti dello stesso sesso e dell’adozione, da parte delle coppie omosessuali, cioè un altro colpo alla concezione tradizionale della famiglia, perchè la C.G.I.L. , impregnata ancora di principi marxiani, la farebbe da padrona e costituirebbe un freno alla ripresa economica. “Rebus sic stantibus “l’elettore moderato potrebbe essere tentato o dall’astensione o di votare il neo-movimento di Grillo. La prima soluzione, però, favorirebbe, in pratica, Bersani e soci. Il suffragio a Grillo rappresenterebbe un salto nel buio. Una cosa é, infatti, protestare, un’altra elaborare un serio programma di governo selezionare candidati all’altezza. L’imbarazzo del nostro elettore moderato é quindi notevole. Una terza soluzione potrebbe venir offerta a tale categoria di elettori se il P.D.L. riuscisse nel pochissimo tempo residuo a mettere in piedi una squadra ristretta di altissimo livello sia qualitativo che sotto il profilo dell’onestà alla quale affidare il compito di selezionare i candidati alla prossima tornata elettorale sulla base “esclusivamente ” del merito e di elaborare un programma di governo circostanziato cioè che fornisse precise indicazioni normative e dei relativi cost per i vari interventi che ci si propone di attuare se eletti.. Riteniamo che forse ancora ci sarebbero gli uomini all’altezza disposti ad un tale arduo compito ! Pensiamo, ad es., alle personalità che contribuirono a fondare F.I. quali l’on.le prof.Martino, l’on.le avv.Biondi, il prof. Urbani, il sen. prof. Pera, magari coadiuvati dal dott. Gianni Letta, impareggiabile e rispettatissimo exSottosegretario alla Presidenza del Consiglio ed altri. Le c.d. primarie sono -a nostro modesto avviso-solo una perdita di tempo perché per il P.D.L. la situazione é simile a quella in cui si trovava Roma dopo le sconfitte subite al Trasimeno e a Canne e che veniva rievocata con la frase “Hannibal ad portas ” (= Annibale é alle porte) . “E’ una possibilità o siamo oltre il tempo limite?”

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CULTURA, ECONOMIA

POCA BRIGATA VITA BEATA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 novembre 2012 •

Seguendo le vicissitudini attuali dell’Unione Europea viene spontaneo ricordare questo proverbio ed il detto latino “tot capita tot sententiae “ (= tante sono le teste tante le opinioni) . C’era, infatti, da attendersi che lo scoppio di una crisi economica di estrema gravità qual’è quella attuale avrebbe messo a repentaglio la solidità della costruzione europea. Assumere decisioni di rilevantissima importanza ed onerosità per ciascun paese membro risulta estremamente difficile quando il numero dei Governi che sono coinvolti è ragguardevole (ben 27) e gli stessi sono portatori d’interessi e realtà storiche, economiche e sociali “molto diverse” (v. ad es. Bulgaria e Romania) . Qualche dato significativo di queste realtà. Nel 2010 a parità di potere d’acquisto in percentuale del P.I.L. mondiale : R.F.T. 4,2 ; Francia 3,3 ; Regno Unito 2,9 ; Italia 2,6 ; Spagna 1,8 ; Portogallo 0,3 ; Grecia 0,3 ;Irlanda =0,3;Altri Stati Membri 0,9(solo !). Giova anche ricordare che alcuni paesi non fanno parte della zona EURO. In particolare la non adesione all’Euro del Regno Unito rappresenta un’anomalia ed un freno al consolidamento dell’UE. D’altra parte la Gran Bretagna aderì nel 1973, assieme alla Danimarca ed all’Irlanda, alla C.E.E., allora composta dai sei Stati fondatori (Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo) “obtorto collo” e dopo aver promosso nel 1960 un organismo concorrente, l’E.F.T.A. (European Free Trade Association,) cui aderirono Austria, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera, Linchenstein, ma che non ebbe molto successo. L’atteggiamento inglese nei confronti dell’ Unione Europea è, per esprimersi francamente, quello di un socio alquanto particolare : cerca cioè di trarne vantaggio e, laddove può, di evitare gli oneri e privilegia i suoi legami con gli Stati Uniti. Non fu, d’altr’onde, casuale che il Gen. De Gaulle, che conosceva bene Albione, si opponesse all’ingresso del Regno Unito. A questo punto resta solo da augurarsi che i responsabili dei Ventisette Governi riescano a trovare un accordo e a salvare la nave europea da naufragio ed evitino in avvenire adesioni frettolose dei vari “paesi in lista d’attesa” perché la “brigata” è già troppo numerosa e, per conseguenza, di difficilissima, se non impossibile,” gestione.”. Melius sarebbe negoziare accordi di associazione. L’ammonimento latino “Festina lente “ (= Affrettati lentamente) è sempre saggio !

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CULTURA, ECONOMIA

GLI AFRICANI FORSE RIMPIANGONO IL PERIODO COLONIALE ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 novembre 2012 •

Una risposta affermativa sarebbe, a giudizio dei progressisti, “politically not correct”. Qualora, tuttavia, si volessero esaminare spassionatamente i sessant’anni circa trascorsi da quando le potenze coloniali piu’ importanti (Regno Unito, Francia, Belgio, Portogallo) hanno iniziato a cedere il potere ai rappresentanti delle popolazioni africane si dovrebbe ammettere che l’Africa ha visto un susseguirsi di lotte intestine e d inter- religiose, di terribili eccidi, di uno scarso sviluppo economico-sociale, di flussi migratori verso l’Europa. Alla luce di ciò la risposta non potrebbe che essere, per conseguenza, affermativa. Le cause del processo di decolonizzazione vanno ricercate -ovviamente in estrema sintesi-sostanzialmente non tanto nella spinta rivendicativa dei popoli soggetti bensì nelle fortissime pressioni di matrice ideologico-politica esercitate dall’U.R.S.S. e da Washington (soprattutto, da parte statunitense, per controbilanciare la politica sovietica in quel continente) sulle potenze coloniali. Le amministrazioni coloniali non erano state perfette ma molto avevano fatto: strade, città, scuole, ambulatori (grazie soprattutto ai missionari), eliminazione della schiavitù, ordine pubblico assicurato’ etc. Il problema era che “moltissimo” restava ancora da fare stanti l’arretratezza culturale e le divisioni etniche e religiose esistenti all’interno di ciascun paese. Non esistevano, in pratica, classi dirigenti idonee a prendere le redini. Un episodio paradigmatico autobiografico: chi scrive si trovava, in qualità di funzionario comunitario, a Bruxelles nel 1960 quando il Governo belga negoziava con i rappresentanti congolesi le condizioni del trasferimento dei poteri ed ebbe occasione, parlando con un collega connazionale, di manifestare dubbi circa la capacità, in quella fase, dei Congolesi di auto- governarsi aggiungendo: “Non vorrei che fosse come se si desse una pistola carica ad un bambino di 4-5 anni. Potrebbe uccidere qualcheduno!”. Il mio interlocutore mi obiettò: “Bisogna pur cominciare!. “La risposta non mi convinse. Conclusione: sarebbe stato opportuno procedere per gradi sul cammino dell’indipendenza ma non era” politically correct” in base alle utopie di radice marxiana e filantropica. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: sotto sviluppo e fiumi di sangue.

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CULTURA

RIDENTEM DICERE VERUM QUID VETAT ? (COSA PROIBISCE DI DIRE LA VERITA’ SCHERZANDO?) – ORAZIO, SATIRE 1-1,24 by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 16 novembre 2012 •

Alcuni sostengono, a ragione, che le lingue evolvono ma nel caso dell’italiano ci sembra che sia in atto un processo involutivo frutto dell’ignoranza dilagante e del servilismo verso la lingua di Albione tanto più che nella favella di Dante esistono sinonimi e che i termini inglesi hanno quasi sempre étimi latini o greci. Qualche esempio: -”mission” per dire “attività principale”. Nulla a che fare con la “missione” che deriva da “missus” = inviato; -”target”, in italiano “obiettivo “; -”implementare ” dal latino “implere “. Si può usare in italiano: “attuare ” o “dare inizio a “; -” evidence” dal latino “evidens”. In ital. “prova” l’utilizzo del vocabolo inglese serve, forse, ad accentuare le capacità professionali di chi l’impiega ; -”porre l’enfasi ” invece di “porre l’accento su “, “mettere in rilievo”. Dal greco “enphasis” (“en-”= in e la radice del verbo “phainò” = faccio apparire) = dimostrazione e, per estensione “forza, efficacia nel parlare”. In conclusione: piu’ s’infarcisce il discorso o uno scritto con termini inglesi piu’ si pensa di apparire colti o tecnicamente molto preparati. In genere chi lo fa dimostra solo di non conoscere l’italiano. Un’altra espressione in voga è “da subito ” quando si può dire “immediatamente” o “fin da ora”. Solo se si compare in una trasmissione televisiva, anche la piu’ becera, si esiste ; Il calcio è diventato l’oppio dei popoli come lo erano i “circenses ” all’epoca dei Romani antichi;” compagno /a “, vocabolo usato fino a qualche anno fa soprattutto per indicare o interpellare i membri dei partiti di sinistra. Ora è sinonimo di “convivente ” o di “amante ufficiale”. E’ un poco ipocrita ma é di moda e la moda- é noto- “omnia vincit “; “Escort” =accompagnatrice. Perchè non riesumare il vocabolo greco “etairia” (in ital “etera”) nel suo significato originale di “compagna” ? Sarebbe piu’ elegante.. e la sostanza non cambierebbe troppo; “Full immersion” (= immersione completa) é lo specchietto per le allodole utilizzato da molte scuole di lingue per far credere a chi s’inscrive che con un corso intensivo di un mese o due, eventualmente sul posto, si padroneggerà la lingua prescelta. Il problema é che i frequentatori dovrebbero conoscere innanzi tutto bene la lingua italiana, la grammatica e la sintassi della lingua straniera e che in un breve periodo si può unicamente apprendere le frasi necessarie per farsi capire in una birreria… ma forse é quel che desiderano; “In qualche modo “- E’ un’espressione utile per non indicare “in quale modo”; “Il problema é piu’ complesso di quanto Lei dica”. E’ una locuzione utilissima in un dibattito onde trarsi d’impaccio rimanendo nel vago; “La questione morale” é una frase tornata di moda. A suo tempo Beniamino Placido propose di sostituirla con ” La questione penale”. Anche nelle lingue ci sono i corsi e ricorsi storici;

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“E’ solo una macchinazione contro di me”. Il guaio é che i cittadini debbono sovente attendere una pronunzia della Cassazione per capire se vi é stata veramente una macchinazione cioé tempi quasi biblici (tranne per alcuni che, parafrasando Orwell, sono a priori piu’ colpevoli di altri); Contrariamente a quel che si sarebbe portati a credere l’aver intrapreso la carriera del magistrato non comporta sempre un comportamento riservato al fine di apparire e, naturalmente, essere, “al di sopra delle parti “bensì uno strumento per per iniziare, dopo qualche eclatante processo penale, una carriera politica; “Io ho la coscienza pulita e non mi lascio intimidire “.Ascoltando questa frase sorgono spontanei due interrogativi: “Chi la pronunzia ha una coscienza ?” Se la risposta é affermativa la seconda domanda é: “L a coscienza in questione non ha subito nel frattempo un accurato lavaggio con la varechina ?”; “Le primarie ” potrebbero risultare, sotto il profilo dell’interesse della collettività, “Le secondarie”; L’Unione Europea si sta, purtroppo, trasformando nella “Disunione Europea”; Perché il prof. Monti dovrebbe ambire a restare a Palazzo Chigi quando tra un anno potrebbe alloggiare al Quirinale che, tra l’altro, é piu’ suntuoso e piu’ salubre sotto tutti i punti di vista ? Non ci risulta che sia un mentecatto; Esortazione di un padre amorevole: “Figlio mio, tu non vuoi studiare né apprendere un mestiere. Dammi retta! Datti alla politica se vuoi costruirti un avvenire”; “Correggetemi se sbaglio”. Sottinteso: “E’ ovvio che non sbaglio e non osate contraddirmi altrimenti mi arrabbio!”; Domanda frequentissima nell’Urbe (e non solo) : “Chi conosco /sci in quell’ufficio pubblico?”; Si dice, a giusto titolo, che i proverbi esprimono la saggezza dei popoli. C’è un proverbio che recita: “Impara l’arte e mettila da parte !” perché in avvenire può tornarti utile. E’ quel che deve aver pensato un pluri- uxoricida rispondendo alla domanda di un funzionario dell’Istituto di Pena dove era recluso circa i suoi programmi una volta scontata la pena: “Sono incerto se aprire un’agenzia matrimoniale o una di pompe funebri”; La cultura é un bagaglio di cui nessuno può privarti ed é utile per consentirti di superare momenti difficili. Un condannato per concussione si consolava, infatti, dicendo ai compagni di cella: ” In fondo, parafrasando il grande poeta abruzzese, “io ho quel che ho dato alla mia amante che mi fa da prestanome “.

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

GERMANIA, QUALCHE PUNTINO SULLE “I”, FORSE, NON GUASTA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 11 novembre 2012 •

La Cancelliera Merkel ed altri esponenti governativi o della banca centrale germanici, con l’ausilio della stampa più popolare doltr’alpe, hanno abilmente diffuso l’immagine di una nazione che è la prima nell’ambito dell’Unione Europea quanto a rigore nei conti ed a virtuosi comportamenti e che rischia di dover pagare il conto per i paesi del Mediterraneo che hanno sprecato le loro risorse. Quest’immagine risulta, ovviamente, molto utile ai fini degli esiti delle elezioni che si terranno in quel paese alla fine dell’anno prossimo dato che sollecita l’orgoglio ed il nazionalismo, mai sopiti, del Tedesco medio e lo conferma nei suoi pregiudizi nei confronti dei popoli latini. Si tratta però di un’ immagine non completamente vera, come cercheremo di dimostrare, che, per di più, fa parte di una strategia miope giacché rischia di far crollare la costruzione europea con gravissimi danni per tutti, Germania compresa, ma la Cancelliera ha dimostrato di non avere la statura di una statista cioè non pensa alle generazioni future ma solo a vincere la prossima tornata elettorale e, forse nel suo inconscio di protestante del Nord, a punire i popoli peccatori latini e per di più cattolici. Venendo ai fatti. La virtù tedesca in questa materia non è adamantina giacché : secondo l’autorevole quotidiano economico-finanziario “Handelsblatt” (v. mio art. del 4-1-2012 su Cartalibera) il debito pubblico “reale” della R.F.T. sarebbe di 5000 miliardi di Euro cioè molto più elevato rispetto ai 2.000 miliardi indicati nei documenti ufficiali giacché in questi non sono incluse le spese per pensioni, sanità ed aiuti alle persone non autosufficienti. In totale pertanto7.000 miliardi di Euro pari al 185% del P.I.L. cioè superiore a quello italiano (2.000 miliardi ad agosto u. s. ; rapporto debito pubblico/P.I.L. 126) . Stando a “Die Welt”, prestigioso giornale di Amburgo, il rapporto debito pubblico /P.I.L. potrebbe addirittura salire quest’anno al 197 % del P.I.L. dato che nel sopraricordato indice non sembra si sia tenuto conto dell’esposizione della Cassa Depositi e Prestiti tedesca e di altre voci quali, ad es., l’esposizione delle “società veicolo “ che si sono accollate il salvataggio di vari istituti di credito tedeschi ; sempre secondo la stampa tedesca circa il 30% dei loro Comuni non potrà prossimamente onorare i debiti contratti ; nel 2003 la Germania (assieme alla Francia) non rispettò le condizioni previste nel Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione Europea ; nel 2005 l’Unione Europea modificò detto Patto per consentire alla Germania di detrarre dal disavanzo i contributi finanziari destinati alla riunificazione tedesca ; la Banca Europea degli Investimenti ha concesso alla R.F.T. dal 1990 ad oggi prestiti per 111,658 miliardi c.a. di Euro di cui 351 milioni c.a. destinati al risanamento economico –sociale dei Laender orientali. Ricordiamo che la quota italiana nel capitale della B.E.I. è attualmente del 16% c.a. così come quella della Germania, della Francia, del Regno Unito ma prima dell’ampliamento dell’Unione era del 30% come Francia, Germania, Regno Unito. Quindi anche l’Italia ha fornito indirettamente un contributo al miglioramento dell’economia della ex-Germania Orientale;

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per ottenere il “benestare” di Berlino al primo piano di salvataggio (110 miliardi di Euro) il Governo di Atene dovette impegnarsi ad acquistare carri Leopard e due sommergibili di produzione germanica (dal valore di ben 1,3 miliardi di Euro) di cui non aveva alcun bisogno impellente; la strombazzata necessità di controlli europei sul sistema finanziario dei vari paesi europei (ad opera –non è molto chiaro – della B.C.E.) vede Berlino reticente circa il controllo delle banche locali. Non è un caso dato che la politica di quelle tedesche é molto influenzata dagli esponenti politici anch’essi regionali Un interrogativo finale : i sorrisi ironici rivolti durante un Vertice dalla Cancelliera al nostro ex -Primo Ministro mentre stava indicando gli impegni economici che l’Italia avrebbe assunto, le continue esitazioni delle autorità tedesche in ordine agli aiuti alla Grecia, alla Spagna etc. quali aumenti del “differenziale” hanno causato al nostro paese ed agli altri in difficoltà e quali vantaggi hanno fornito al sistema bancario e ai gestori del debito tedeschi? Forse non sono stati dei comportamenti dovuti all’abbastanza nota mancanza di diplomazia dei Tedeschi!

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI, UNA SOCIETA’ PER AZIONI A CONTROLLO PUBBLICO CHE MERITA DI ESSERE MEGLIO CONOSCIUTA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 6 novembre 2012 •

La Cassa Depositi e Prestiti fu costituita a Torino nel 1850 con la funzione di ricevere depositi quale luogo di “fede pubblica”. Nel 1863 con l’Unità d’Italia inizia ad incorporare le analoghe Casse esistenti nei vari stati italiani e sposta la sua sede a Roma. Nel 1898 si trasforma da istituto bancario in una Direzione Generale del Ministero del Tesoro. Nel 1983 diventa autonoma e nel 1993 acquisisce una propria personalità giuridica. In forza del D.L. 30-9-2003 n.269 viene trasformata in società per azioni anche se il controllo rimane pubblico. Il capitale sociale (3.5 miliardi di Euro interamente versati) è, infatti, detenuto per il 70% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Il residuo 30% è posseduto da numerose Fondazioni bancarie. L’obiettivo di questa trasformazione è stato quello di dare alla Cassa Depositi e Prestiti una maggiore autonomia avvicinandola alla struttura dei fondi. La C.D.P. gestisce una quota consistente del risparmio nazionale. Il risparmio postale (buoni fruttiferi e libretti) rappresenta, infatti, la sua principale fonte di raccolta. La Cassa, conformemente alla sua missione istituzionale, impiega le sue risorse nel sostegno dello sviluppo del nostro paese. L’attività della C.D.P. si articola in due rami: la “gestione separata” che tratta il finanziamento degli investimenti dello Stato e degli enti pubblici (Regioni ed altri enti) utilizzando principalmente il risparmio postale ; la “gestione ordinaria” che si occupa del finanziamento delle infrastrutture destinate alla fornitura di servizi pubblici. A tal fine raccoglie fondi mediante l’assunzione di finanziamenti e l’emissione di obbligazioni. E’ inoltre il principale azionista di società di rilevanza nazionale ed internazionale nonché di società non quotate e di gestione del risparmio. Possiede anche quote di fondi di azionariato privato. Detiene, ad es., tra le società quotate, il 25,76 % dell’ENI s.p.a., il 29,9 % di Terna s.p.a., il 30% della S.N.A.M. s.p.a., il 90 % del Fondo Strategico Italiano s.p.a. Tra le non quotate: il 100 % d i C.D.P. Reti s.r.l. che possiede il 30% del capitale votante di SNAM. S.p.a., il 100% di C.D.P. Gas il quale, a sua volta, detiene l’89,9 % di Trans Austria Gasleitung Gmbh-TAG, il 15,99% del Fondo Italiano per le Infrastrutture, il 21,6 % dell’Istituto per il Credito Sportivo.

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Possiede inoltre importanti fondi d’investimento: Fondo Italiano Investimento, F 21- Fondo Italiano per le Infrastrutture, Fondo PP Italia, Fondo Investimento per Abitare. La C.D.P. è l’emittente dei prodotti del risparmio postale collocati da Poste Italiane attraverso gli oltre 14.000 sportelli della stessa. Come sopra accennato, la C.D.P. é il principale finanziatore degli investimenti pubblici.. Concede, infatti, mutui di scopo allo Stato, alle Regioni, agli altri enti locali, agli enti pubblici non territoriali e ad organismi di diritto pubblico. Inoltre, sempre a sostegno dell’economia nazionale, opera attraverso strumenti di debito, partecipazioni azionarie a favore delle Piccole e Medie Imprese, il credito alle esportazione e la correlata garanzia assicurativa e degli investimenti diretti all’estero (fattori essenziali per la nostra economia e questo anche tramite la S.A.C.E. e la S.I.M.E.S.T.), finanziamenti agevolati. In particolare la Cassa: sostiene i progetti e le opere d’interesse pubblico e le aziende per investimenti destinati alla fornitura di servizi pubblici (le c.d. infrastrutture) ; opera nell’edilizia privata sociale al fine d’incrementare l’offerta di alloggi sociali per locazione a canone calmierato e la vendita a prezzi convenzionati ; sostiene gli enti pubblici per la valorizzazione del loro patrimonio immobiliare ; finanzia gli interventi volti alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra; -in campo internazionale è membro fondatore, assieme alla francese Caisse de Dépots, alla tedesca KFW ed alla Banca Europea per gli Investimenti, del ”Long –Term Investors Club”, creato nel 2009 ed aperto agli investitori di tutto il mondo nell’intento di affermare l’importanza degli investimenti a lungo termine per favorire la stabilità finanziaria e la crescita dell’economia internazionale. Qualche dato: a fine 2011 il patrimonio netto della Cassa si è attestato a 18,3 miliardi circa di Euro registrando un incremento di 1,5 miliardi rispetto al 2010 (16,8 miliardi) ; al 31 dicembre 2011 l’attivo patrimoniale del Gruppo C.D.P. ha raggiunto gli oltre 287 miliardi di Euro in crescita del 10% c.a. rispetto alla fine del 2010; alla stessa data la raccolta complessiva si è attestata ad oltre 259 miliardi cioè in crescita del 10% rispetto al dato di fine 2010. sempre a fine 2011 gli utili di esercizio sono stati di 2,345 miliardi di Euro di cui 2,167 miliardi di pertinenza della Capogruppo e 177 milioni di pertinenza di terzi. Si tratta di risultati degni di nota specie se si considera l’andamento della congiuntura economica. registrato nell’anno decorso. In conclusione la Cassa Depositi e Prestiti può essere considerata uno strumento fondamentale per lo sviluppo del nostro paese. Di ciò ha parlato, naturalmente con maggior dovizia di dati e d’ informazioni, il 30 ottobre u.s. il prof. Giovanni Gorno Tempini, amministratore delegato della Cassa, ad una numerosissima platea di uomini del mondo della finanza e dell’economia riunita a Roma dal Club Canova. (°)

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A prescindere dai dati incoraggianti che sono emersi dalla brillante relazione del pro, Tempini quel che ha colpito lo scrivente sono stati la chiarezza dei programmi, il fatto che l’enorme mole di compiti, molto complessi, quali quelli che svolge la Cassa, siano assolti solo da 500 unità (l’omologa francese Caisse de Dépots ha un organico di varie migliaia di dipendenti con un volume di interventi piu’ o meno eguale)e, soprattutto, la sincerità dell’oratore. Ho tratto l’impressione che il prof. Tempini (uomo di notevole esperienza pratica-Non per niente è un Bresciano concreto e scevro di retorica !) sia convinto di esser stato chiamato ad adempiere quasi ad una missione. Il suo esempio –ne sono certo- stimolerà sempre più i suoi collaboratori. Di questo il nostro paese ha bisogno. Non di proclami ! Se vi é un rischio nelle future attività della C.D.P. ci sembra sia quello che si proceda ad acquisizioni di cespiti locali che sarebbe opportuno, invece, privatizzare. (°) Si tratta di un sodalizio prestigioso, presieduto da Stefano Balsamo, nato a Roma (ma ora c’è anche una sede milanese) oltre 30 anni fa che riunisce periodicamente esponenti dell’economia e della finanza e, talora, ministri per ascoltare relazioni cui segue un breve dibattito. Il Club fa anche attività di beneficienza.

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POLITICA NAZ.

UN CAPITOLO SI E’ CHIUSO. COME SCRIVERE IL PROSSIMO ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 ottobre 2012 •

IL passo indietro dell’on.le Berlusconi é stata una saggia decisione. Una sua leadership nel campo dei moderati sarebbe stata, infatti, con molta probabilità, per varie ragioni, pregiudizievole per le sorti delle forze di centro-destra nella prossima tornata elettorale. Non siamo, tuttavia, molto convinti dell’opportunità delle primarie. Quale sarà il meccanismo di voto ? Solo gli iscritti al P.D.L. potranno votare ? Se così fosse vi é il rischio che le varie e rissose correnti del partito non scelgano il migliore ma chi sa promettere di piu’. Qualora, invece, il voto fosse consentito a tutti i cittadini le manipolazioni dello stesso sarebbero possibili. Inoltre costruire un meccanismo valido e renderlo operativo non è cosa di poco momento e” Hannibal ” é alle porte. Meglio, quindi, sarebbe nominare un Presidente del partito di grande autorevolezza che, aiutato da un Direttorio altrettanto autorevole, prepari la rifondazione del partito e, soprattutto, il programma elettorale e la lista dei candidati. Comunque in vista delle non lontane elezioni il P.D.L., a nostro avviso, dovrebbe, facendo appello alle migliori menti: - elaborare un programma in cui venissero ribaditi i fondamentali principi liberali, liberisti e morali dell’eventuale azione di Governo fornendo, laddove é possibile, precise indicazioni e costi; -assumere “solennemente ” l’impegno a candidare solo persone che si siano distinte nelle professioni e nei mestieri e che possano presentare un passato di assoluta onestà. E’ questa la questione piu’ importante e difficile da risolvere ma se la soluzione trovata sarà valida l’elettorato risponderà positivamente. La gente, infatti, ne ha abbastanza dei professionisti della politica che spesso sono diventati tali perchè non avevano un’ altra professione o perché ritenevano che occuparsi della “res publica” fosse la strada piu’ rapida per arricchirsi. La scelta delle candidature é un compito “da far tremare le vene e i polsi ” ma solo non usando riguardi per le varie consorterie partitiche si potrà sperare in un successo elettorale che sarebbe nell’interesse del Paese.

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ECONOMIA

LA PRATICA by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 21 ottobre 2012 •

Il cugino Giovanni, che risiedeva in Umbria, aveva pregato Franco, che viveva a Roma, di cercare di risolvergli una pratica che da tempo giaceva presso un Ministero. Franco non volle sottrarsi alla richiesta del congiunto anche se prevedeva che si sarebbe trattato di una seccatura (andare dal proprio domicilio all’altra parte dell’Urbe, perdere, come minimo, una mattinata di lavoro, lunghe attese etc.) e s’informò circa gli orari di ricevimento. Apprese così che il martedì ed il venerdì gli uffici erano aperti al pubblico anche dalle 16h alle 18h. Per evitare di perdere ore di lavoro decise di recarsi in detti uffici il venerdì verso le 17h Arrivato a quell’enorme edificio ottocentesco che ospitava la Divisione competente per la pratica, chiesto il prescritto “passi “,salì le maestose scale e si inoltrò in un lunghissimo corridoio dagli alti soffitti sul quale si aprivano le porte in legno scuro che davano nei numerosissimi uffici. I corridoi erano vuoti e non si avvertivano quei rumori propri dell’attività burocratica ma Franco pensò che, essendo Venerdì e quasi prossima l’ora di chiusura, la cosa potesse essere normale. Ad un tratto venne meno la luce forse a causa di un violento temporale. Franco, non sapendo dove fosse ubicato esattamente l’ufficio cui avrebbe dovuto rivolgersi, bussò alla prima porta ma nessuno gli rispose. Provò ad entrare. La porta si aprì ma subito dopo l’ingresso di Franco nel buio ufficio si rinchiuse. Franco chiese se c’era qualcheduno ma nessuno rispose. Decise di uscire da quella stanza per rivolgersi ad altri, eventuali impiegati ma l’uscio non si apriva a sufficienza per lasciarlo uscire e subito si richiudeva. Franco provò varie volte anche strattonando violentemente la maniglia ma ogni volta si riprodusse lo stesso fenomeno. La porta si apriva lasciando un varco di pochi centimetri e subito si richiudeva. Trattandosi di una porta dell’800 di legno massiccio era impossibile allargare lo spazio tra un’anta e l’altra. Nel frattempo la luce non tornava. Franco cominciò a preoccuparsi perchè pensava che, forse, rischiava di dover trascorrere la notte al Ministero dato che, malgrado le sue urla, nessuno si faceva vivo. Accese un fiammifero per vedere se ci fosse una qualche altra via d’uscita sul retro. Alla fioca luce del fiammifero scorse che dietro la vecchia scrivania ministeriale di noce scuro su cui poggiavano pile di fascicoli si trovava seduto su una poltrona, anch’essa vetusta di legno marron dallo schienale di pelle logora, un uomo leggermente ricurvo sul tavolo. Indossava un abito scuro di foggia ottocentesca, con il colletto inamidato, portava mezze maniche di stoffa nera, occhiali a “pince- nez”,folti favoriti gli incorniciavano il viso. Lo guardava con un sorriso ironico. Nel frattempo c’era una luce soffusa nell’ufficio benché l’energia elettrica non fosse stata ripristinata. Franco fu, naturalmente, molto impressionato dalla scena. Il “signore” però lo tranquillizzò dicendogli: “Si sono un fantasma ma non ti farò del male anzi ti spiegherò alcune cose che ti potrebbero essere utili se non altro per comprendere certi meccanismi e sarai latore di un messaggio. Consentimi di presentarmi. Fui in vita il cav, Eufemio Rossi ed occupai tra i primi, dopo l ‘Unità, questa poltrona. Allora c’era solo il telegrafo per comunicare all’esterno mentre tra un ufficio e l’altro si inviavano messaggi tramite i c.d camminatori (categoria che credo sia rimasta negli organici fino ad ora). La lentezza qui deve essere sovrana ! Io vengo qui sovente per vedere se i miei successori seguono le regole da noi elaborate a suo tempo. Poi è divertente. Si ascoltano tanti pettegolezzi, le ultime barzellette, io talora suggerisco le risposte alle parole incrociate e -quando da Lassu’ mi si autorizza – do i numeri al Lotto soprattutto ai discendenti di miei colleghi che lavorano qui. Frequentando queste stanze ricevo anche grandi soddisfazioni. Posso, infatti, constatare che le regole da noi elaborate all’inizio e che sono, peraltro -mutatis mutandis – seguite ovunque ci siano strutture burocratiche, vengono rispettate e talora sono state anche migliorate. Si tratta di regole molto semplici e cioé: “Non fare oggi quel che puoi fare domani o dopodomani. Se non lo fai affatto é meglio così non ti assumi nessuna responsabilità. Le leggi s’interpretano per gli amici specie se si tratta di uomini politici potenti, per gli avversari, segnatamente dei suddetti politici potenti, si devono rigorosamente applicare. La vaghezza delle leggi, dei decreti e circolari é lo strumento principe per l’uso della “discrezionalità “. Questa

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costituisce la base del potere dei burocrati. Come, infatti, potrebbero essi adeguatamente dispensare favori (magari ricevendo in contraccambio un pò di pecunia) e servire i politici se non disponessero di tale potere ? Sapendo della tua venuta qui ho voluto, per il tuo tramite, lanciare a nome della “Casta” dei burocrati cui da vivo ho appartenuto, un avvertimento ai Ministri :”Non esagerate con le riforme per ridurre il nostro potere! La burocrazia serve e molto anche a Voi!”. L’uscio che non si apriva troppo e si é aperto solo quando io l’ho voluto aveva fini simbolico-didascalici. La burocrazia è forte ovunque specie dove c’é poca democrazia ! In Italia ha anche potenti alleati: i vari giudici amministrativi ;i consiglieri dei Ministri con i loro bizantinismi. Ora vai e trasmetti il messaggio “Urbi et Orbi !”. A questo punto Franco ebbe un sobbalzo. Si svegliò e si rese conto che aveva avuto un incubo. Probabilmente la causa era stata il piatto di “coda alla vaccinara” (specialità romana alquanto pesante) che aveva mangiato prima di coricarsi.

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POLITICA INTERNAZ.

CASO DEI MARO’ DETENUTI IN INDIA. IL NOSTRO MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI SI DICHIARA ALLIBITO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 ottobre 2012 •

Alla notizia che la Corte Suprema dell’India aveva ancora procrastinato la pronunzia circa la competenza giurisdizionale dei tribunali indiani in merito al caso dei nostri due Marò detenuti da quasi un anno nelle prigioni indiani il nostro Ministro si é detto “allibito “. Chi ha seguito la triste vicenda non ha certamente provato la stessa reazione dell’Onle Ministro bensì ha avuto un moto di rabbia verso il nostro titolare della Farnesina ed il Governo. “Cartalibera ” ospitò, invero, due nostri articoli (“Rispettati se vuoi essere rispettato ” del 20 maggio 2012 e “Nubi fosche si stanno addensando sui nostri Marò detenuti in India ” del 20 luglio 2012) in cui criticavamo l’atteggiamento inane adottato dal nostro Governo, segnatamente del Dicastero deli Affari Esteri, nella faccenda (forma estremamente “morbida “; elargizione di una somma a titolo di solidarietà per i famigliari dei pescatori morti che suonava come un’ excusatio non petita accusatio manifesta; mancata ricerca di un forte sostegno internzionale, segnatamente da parte dei paesi dell’Unione Europea, nei confronti dell’India dato che i nostri marinai stavano svolgendo un’ azione di contrasto alla pirateria; mancato esercizio, vigoroso, di pressioni sotto altri profili quali i rapporti economici bilaterali ; richiamo del nostro Ambasciatore a Nuova Delhi per consultazioni etc.) . Ricordavamo anche lo schiaffo ricevuto dal Governo brasiliano con il rifiuto dell’estradizione del pluri-omicida Cesare Battisti ed altri precedenti umilianti per il nostro Paese che -evidentemente- é considerato nei fori internazionali un ottimo “incassatore “. Concludavamo i due articoli formulando forti timori per la sorte dei due Marò ed auspicavamo, onde evitare il peggio, un’azione piu’ vigorosa delle nostre Autorità e la mobilitazione dell’opinione pubblica. Purtroppo nutriamo il timore che eravamo nel giusto !Occorre, a questo punto, una fortissima mobilitazione popolare !

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CULTURA, ECONOMIA

DEL VELLEITARISMO SCOLASTICO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 ottobre 2012 •

Velleitarismo = dal latino medioevale “Velleitas-tis”, atteggiamento ispirato ad ambizioni vaghe ed irrisolte per impotenza della volontà o perché superiori alle possibilità di realizzazione. Tale ci sembra il progetto del Ministro della Pubblica Istruzione, Profumo, di distribuire nelle scuole apparecchi informatici. La cosa ci rammenta un episodio che si raccontava quando ero ragazzo quale esempio di velleitarismo :un Tizio compra una frusta costosa dal manico d’avorio con anello d’oro da utilizzare per una pariglia di cavalli poi si accorge di non possedere il danaro per comprare cavalli e carrozza. I nostri studenti non conoscono bene l’italiano e la matematica, sono debolissimi in cultura generale etc. Occorrerebbe riedificare il sistema ritornando all’antico: buoni licei classici e scientifici, validi istituti tecnici e scuole professionali con obbligo di tirocinio in aziende. Facoltà universitarie in numero ridotto ed in grado di consentire effettivamente sbocchi occupazionali. Diecine di corsi servono, infatti, solo a fabbricare disoccupati ed a pagare gli stipenti dei docenti e del personale amministrativo. Eliminare le innumeri sedi universitarie distaccate. Abbiamo imitato il peggio del sistema scolastico nord-americano perché tutto quel che si faceva oltre-atlantico era ottimo. L’ondata di egalitarismo del ’68 ha fatto poi il resto (esami collettivi = “todos caballeros”) . Il livello si é così abbassato moltissimo. A nostra modesta consolazione ricorderemo che il fenomeno non ci trova del tutto isolati. Un esempio eclatante varrà a sostegno di questa affermazione: abbiamo letto sui quotidiani che l’attuale Primo Ministro britannico Cameron,l aureatosi ad Oxford, non ha saputo tradurre “Magna Charta “. Il suo predecessore dal 1953 al 1957,anch’egli Coservatore, Harold Mc Millan, leggeva in lingua originale i classici greci e certamente non operò male perché fu quello un periodo di prosperità economica per il Regno Unito. Evidentemente lo studio dei classici greci e latini serve

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

NAVEM PERFORARE IN QUA IPSE NAVIGET by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 settembre 2012 •

(= “Fa un buco nella nave sulla quale egli stesso naviga “, frase attribuita a Cicerone, citata da Quintiliano). E’ questa la palese idiozia in cui con atti di malgoverno ,corruzione e sprechi nella gestione della cosa pubblica ci siamo distinti in questi anni. La crisi economica e sociale gravissima, di origine soprattutto esogena, in cui si dibatte il nostro Paese sta indicando un non improbabile affondamento del naviglio Italia. L’indignazione, diffusa nell’opinione pubblica in questi giorni di fronte ai casi di impudente spreco delle risorse pubbliche ad opera di alcuni eletti (tali solo in senso tecnico e non ,ovviamente, nell’accezione originaria di “scelto liberamente perché giudicato il migliore”), può essere l’inizio di un sentimento collettivo di resipiscenza che potrebbe essere il primo passo per quella ricostruzione morale del Paese che costituisce la base indispensabile per tentare di risollevare la nostra patria. Occorrono , innanzi tutto, alla guida della “res publica”, specie a livello locale, uomini nuovi ed onesti, gente cioé che abbia dimostrato nella vita di essere professionalmente valida e proba. I politici professionisti (perché non hanno altro mestiere ) dovrebbero scomparire. dalle liste degli eligendi. Ben vengano i giovani ma si tenga presente che questo ” status ” non é sinonimo di validità professionale e di onestà. (Abbiamo ,invero, conosciuto giovani politicanti astuti e spregiudicatiissimi !). Sarebbe la “Finis Italiae” .

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POLITICA INTERNAZ.

L’ATTACCO MUSSULMANO ALL’OCCIDENTE: E’ PREVEDIBILE UN RALLENTAMENTO ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 24 settembre 2012 •

Fin dal 2006 con vari articoli su “L’Opinione delle Libertà” e “Cartalibera” (v. l’elenco in allegato) segnalammo il pericolo rappresentato per l’Occidente dall’Islam e dal suo ’integralismo e le illusioni della c.d primavera araba nonché la notevole pericolosità rappresentata dall’aumento dei flussi immigratori dai paesi mussulmani e africani. A quest’ultimo proposito ricordammo una frase di un Ulema: ”Noi vi vinceremo attraverso le vostre leggi permissive ed il ventre delle nostre donne”. I tragici avvenimenti degli ultimi giorni ci stanno, purtroppo, dando ragione. Il mondo islamico ha trovato un altro pretesto per dar sfogo alle sue frustrazioni ed al suo risentimenti- per non dire “odio”- verso l’Occidente che é abitato da “non credenti nella vera fede “ e per ciò stesso da popolazioni da convertire con le buone o le cattive. Le altre precedenti motivazioni, tutt’ora perduranti, sono individuabili soprattutto ne: l’appoggio ad Israele concesso senza tener conto delle ragioni dei Palestinesi; il sostegno ai vari dittatori dell’area; l’invidia per il benessere occidentale; l’impossibilità però di accettare, per la concezione della vita e dei fondamenti propri dell’Islam, i principi – base della democrazia occidentale. Se questa analisi è fondata non sembra prevedibile un rallentamento dell’attacco (“con tutti i mezzi”) all’ Occidente. Allora che fare? A nostro sommesso parere occorre che le Cancellerie dei paesi occidentali, Russia compresa dato che ha anch’essa gravi problemi con le proprie minoranze mussulmane, elaborino un piano di difesa basato sulla dichiarata volontà di una comune politica di contenimento anche – se necessario – con l’uso della forza, di riduzione dei flussi immigratori, temperata, tuttavia, dall’avvio a soluzione del problema palestinese, dalla concessione di aiuti in maniera coordinata da parta dei Governi e degli organismi internazionali (e non, come accade ora, concessi male e spesso in base unicamente agli interessi nazionali), onde ridurre il livello di povertà, dato che l’indigenza alimenta, ovviamente, le forze integraliste, ed accrescere in quelle aree il livello culturale della popolazione favorendo così la loro graduale adesione ai principi democratici. Si tratta di un programma paragonabile, in un certo senso a quello che consentì di vincere lo scontro che si ebbe con le potenze comuniste, la cui attuazione, anche questa volta, necessiterà immensi sforzi ed un’ applicazione di lunghi anni. E’ bene non farsi illusioni ed aver bene presente che solo la concordia può offrire possibilità di vittoria così come testimoniano le vittorie di Lepanto e, segnatamente, quella di Vienna del 1683 che consentirono di arrestare definitivamente l’espansionismo ottomano. Allora. però, c’erano uomini di Stato e general i (il re di Spagna Filippo II, don Giovanni d’Austria, Agostino Barbarigo; l’Imperatore Asburgico, il re di Polonia, Sobieski, il principe Carlo di Lorena, comandante delle truppe imperiali etc.) che, consapevoli del mortale pericolo, riuscirono a superare le umane rivalità e gli interessi nazionali. Ci fu, soprattutto, un grande pontefice, Innocenzo XI Odescalchi, che profuse energie diplomatiche e danaro per convincere la Francia, in guerra con Vienna, a non attaccare alle spalle l’Impero e Sobieski a prestare un aiuto militare che fu determinante per sconfiggere i Turchi assedianti Vienna. Se la capitale austriaca fosse caduta gli Ottomani avrebbero, come era nei loro piani, invaso anche l’Italia. Speriamo che le menti dei nostri governanti abbiano chiaro l’attuale, gravissimo rischio e adottino le impellenti contromisure. Politiche di tipo solo “buonistico” sarebbero del tutto inutili!

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

IL “VOLKSGEIST” ED I PROBLEMI DEGLI INTERVENTI PER IL SALVATAGGIO DELLE ECONOMIE DI ALCUNI PAESI EUROPEI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 12 settembre 2012 •

Nella tormentata vicenda che si trascina da oltre un anno e che riguarda gli interventi degli Stati membri dell’Eurozona e della Banca Centrale Europea a sostegno della Grecia, della Spagna, dell’Italia, del Portogallo e dell’Irlanda in cui si è assistito alla contrapposizione, non ancora del tutto superata, tra gli Esecutivi tedesco, olandese e finlandese ed i governi dei paesi in crisi ha giuocato, a nostro avviso, un ruolo che non è stato messo in luce ovvero quello psicologico e storico che, per brevità, chiameremmo il «Volksgeist» e che influenza più o meno consciamente l’atteggiamento di quei governanti, banchieri centrali, opinioni pubbliche soprattutto tedesche. Il termine, che in tedesco indica lo spirito, il genio peculiare di ciascuna nazione, è un concetto, già presente in Montesquieu, utilizzato in età romantica da Hegel e soprattutto dagli esponenti della Scuola Storica del Diritto (von Savigny, G.F. Puchta ed altri), per individuare, in contrapposizione ai Giusnaturalisti che ritenevano che la legge naturale fosse la fonte del diritto, nel genio di ciascuna nazione il fondamento dell’unico, autentico diritto ovvero quello positivo storico proprio dei singoli popoli. Chi ha dimistichezza con i popoli germanici sa che – per semplificare – nella “visione della vita” (Weltanschauung) dei medesimi non esiste il colore “grigio” ma solo il “nero” ed il “bianco”. In altri termini la “flessibilità” nei comportamenti, nei giudizi e nella ricerca delle soluzioni ai problemi, siano essi politici, sociali od economici, è uno strumento scarsamente utilizzato e ciò li porta, talora, ad adottare rimedi estremi che possono anche tradursi, come si è visto nell’epoca nazista, in comportamenti collettivi assimilabili ad un “cupio dissolvi”. Hanno contribuito a forgiare questa mentalità la dottrina protestante che, tra l’altro, non prevede la confessione e l’eventuale assoluzione liberatoria. In questa chiave di lettura si comprende perché furono Adenauer e Kohl, entrambi cattolici ed originari di Laender meridionale di frontiera, i principali fautori in Germania della costruzione europea. La Cancelliera Merkel è, per contro, una protestante, figlia di un pastore della Germania del Nord allevata nella D.D.R. ed è quindi rigida e nel contempo sensibile, non avendo la statura di uno statista, agli umori del suo elettorato, tradizionalmente sparagnino, ed al timore di perdere, perciò, le prossime elezioni. A ciò si aggiunga la ritrosia della “Bundesbank” a perdere, in parte, i suoi poteri a favore della B.C.E. segnatamente in materia di controllo delle Casse di Risparmio e delle banche regionali in cui l’influenza politica è forte. Secondo la mentalità del rigore, che abbiamo, forse semplificando, cercato d’illustrare, chi è stato scialacquatore non ha titolo per pretendere un aiuto. Non sarebbe giusto anche se tali paesi compiono sforzi notevoli per rimediare e se le condizioni obiettive degli stessi (scarse materie prime e mezzi di comunicazione a buon mercato – v. fiumi – distanze dal centro economico d’Europa etc.) rendono più arduo ripristinare una situazione economica virtuosa. Devono pagare il fio per le loro colpe!

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Nella “communis opinio” delle popolazioni nordiche inoltre i popoli meridionali sono anche simpatici ma scarsamente affidabili. Conclusioni: è opportuno che paghino per le loro colpe anche se, non aiutati, possono fallire e se questo possa tradursi in un danno irreparabile per la costruzione europea e, per conseguenza, anche per i c.d. paesi virtuosi. A questo punto qualche lettore potrà obiettare che la nostra analisi è eccessivamente semplicistica ma ci sia consentito ricordare che le masse, se non guidate da menti illuminate (e non ne vediamo troppe nel panorama politico europeo attuale), non elaborano pensieri troppo sofisticati ed i politicanti in ciò le assecondano avendo una visione di breve momento (in genere le elezioni). Cicerone d’altronde scrisse: «Sic est vulgus: ex veritate pauca, ex opinione multa destimat» (= Così è fatto il volgo: poco giudica in base alla verità, molto basandosi sull’opinione; v. “Pro Roscio Com.”, 10, 120).

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

UN DUBBIO DI FERRAGOSTO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 agosto 2012 •

Sarà forse la calura di questa torrida estate ma non riusciamo a scacciare dalla mente un dubbio che da tempo ci assilla. Abbiamo cioè la sensazione di vivere in un paese in cui il c.d. buon senso latiti. A nostro avviso il “buon senso “ è virtù fondamentale per un agire equilibrato e fruttuoso nelle complicate vicende umane. Qualche esempio a sostegno di tale nostro dubbio. La prof.ssa Fornero, Ministro del Lavoro, emula della Cancelliera Merkel, ha, ancora una volta, espresso pubblicamente ed inopportunamente il proprio pensiero. Onde confortare gli Italiani e favorire gli speculatori nazionali e soprattutto internazionali e contribuire così all’aumento del differenziale tra i titoli del debito pubblico decennali tedeschi ed i nostri BTP ha, infatti, dichiarato che il prossimo autunno sarà molto duro per il nostro paese (non lo sapevamo !) e – dulcis in fundo – che in Italia è iniziato un processo di de-industrializzazione. In altri termini il deserto produttivo è alle porte. A questo punto ci sorge spontaneo il ricordo delle vignette che venivano pubblicati tanti anni fa da una rivista satirica nelle quali veniva raffigurato il c.d. “vedovo inconsolabile” che diceva: “Fammi prima vedere …. (=un avvenimento politico o sociale positivo ma di molto improbabile realizzazione ) e poi fammi riposare accanto a quell’anima benedetta”. Parafrasando: “fammi incontrare un personaggio politico con incarichi di rilievo che resista all’assalto dei giornalisti ed alla lusinga di “apparire “e metta in pratica il detto “il silenzio è d’oro” e poi fammi riposare etc.”. Prima, però, che una tale condizione venga soddisfatta non sarà sufficiente la lunghezza della vita di Matusalemme ! Un altro esempio: il nostro Governo, non fidandosi, evidentemente, dei tecnici ministeriali o di centri od istituti economici italiani, ha affidato l’incarico di consulente per la vendita di Fintecnica alla Cassa Depositi e Prestiti a Goldman Sachs. Si tratta dello stesso istituto che fu coinvolto nella crisi dei mutui statunitensi che è all’origine della crisi economica mondiale iniziata nel 2008. In questi giorni, stando alla stampa, Il Ministero della Giustizia d’oltre-atlantico, avrebbe, tuttavia, dichiarato che questa banca non avrebbe responsabilità nella vicenda. Forse è un punto di vista! Quel che certo è che la Goldman Sachs ha drasticamente ridotto in questo periodo la propria esposizione in titoli italiani portandola dai 2,51 miliardi che aveva in portafoglio al 31 marzo 2011 ai 191 milioni attuali. Segno questo di fiducia nelle prospettive economiche del nostro paese! Inoltre i legami tra le banche d’affari ed il mondo della speculazione internazionale (e, forse, alcuni Governi) non sono limpidi. Chi ci dice che non sia in atto una manovra per svilire tutte le poste della nostra economia? E’ quindi stato prudente affidare l’incarico sopra ricordato a detto istituto tanto piu’ che, se non andiamo errati, il prof. Monti è stato per un certo periodo collaboratore di Goldman Sachs? Un ultimo esempio: qualche giorno fa un settimanale ha pubblicato una fotografia che mostra il P.M. aggiunto dott. Ingroia, noto per alcune esternazioni e relative polemiche, ed il vice – Direttore de “Il Fatto quotidiano”, Travaglio, giornalista d’assalto, seduti l’uno accanto all’altro come vecchi amici su (sembra ) sedie a sdraio forse in spiaggia. Se la foto è veritiera e non si tratta di un fotomontaggio o di una circostanza del tutto casuale un minimo di buon senso avrebbe dovuto spingere il sullodato magistrato ad evitare la cosa. Chi esercita l’altissima e delicatissima funzione dell’amministrare la giustizia “deve”, ovviamente, “essere al di sopra delle parti” ma anche “apparire” tale. Concludendo: se, come crediamo, siffatti episodi non sono affatto rari e se ne sono autori persone che, a vario titolo, hanno un peso non trascurabile nella società allora l’atroce dubbio manifestato all’inizio di questa noterella di mezza estate non è la conseguenza di un colpo di sole. La cosa è molto preoccupante perché casi isolati rientrano nella regola dell’ERRARE HUMANUM EST ma se il fenomeno è diffuso, come riteniamo, allora ci si trova di fronte ad un PERSEVERARE DIABOLICUM che è di grande nocumento al nostro paese.

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POLITICA INTERNAZ.

Qualche considerazione circa la strage di Aurora in Colorado by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 3 agosto 2012 •

L’eccidio perpetrato da un giovane studente -James Holmes- in una sala cinematografica della città di Aurora ci spinge a formulare qualche considerazione che alcuni giudicheranno forse premature o superficiali ma tant’é. Dato che non si é trattato di un episodio isolato ché altri si sono verificati negli Stati Uniti ad opera di studenti occorre chiedersi quali ne sono le cause profonde anche perché la cosa potrebbe ripetersi in società che presentano sempre piu’ caratteristiche non troppo differenti da quelle degli Stati Univi (v. la strage in Norvegia fatta anche là da uno studente). Ci sia consentito di avanzare qualche ipotesi. Negli Stati Uniti, in forza del 2° emendamento della Costituzione, è agevole l’acquisto di armi di tutti i tipi talchè ne possono entrare in possesso anche persone che hanno turbe mentali. Il 2° emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America recita, infatti: “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia ben regolamentata, non sarà violato il diritto del popolo di portare armi”. La diffusione di programmi televisivi e pellicole con soggetti che esaltano la violenza e dipingono i protagonisti come dei super uomini influenzano senza dubbio le menti dei giovani specie se non fanno da contrappeso una cultura e principi morali adeguati. Inoltre la società, sempre piu’ secolarizzata e che sembra premiare solo chi raggiunge il successo soprattutto economico ( “il valore di un individuo é misurato dalla misura dei tuoi introiti” ), esercita una fortissima pressione psicologica sui giovani. Questi possono sentirsi dei falliti se non raggiungono il suddetto traguardo e, per conseguenza, possono attribuire la causa delle loro frustrazioni e sconfitte alla società intera che li circonda e reagire perciò violentemente senza operare distinzioni. Prove di questo malessere sociale sono ravvisabili, a nostro parere, nella circostanza che -stando sempre alla stampa-gli incassi dei cinema statunitensi dove si proietta lo stesso film (“Il cavaliere oscuro. Il ritorno “), al quale assistevano al momento della strage le giovani vittime, non sono affatto scemati dopo l’eccidio e, soprattutto, nell’incremento notevole delle vendite di armi da fuoco registratosi dopo il fatto non solo ad Aurora ma anche in numerose località degli Stati Uniti. Un ultimo fatto, correlato a questa triste vicenda, ci sembra particolarmente preoccupante : alla prima udienza nel corso della quale sono state formulate le accuse a Holmes il pubblico ministero avrebbe dichiarato che quasi sicuramente chiederà ai giurati l’applicazione della pena di morte (ancora in vigore in Colorado) dopo aver ascoltato il parere dei parenti delle vittime. Questo magistrato già al primo giorno del processo non pare nutrire il minimo dubbio che il giovane al momento dell’eccidio fosse in grado d’intendere e di volere e, per ciò stesso, é irrimediabilmente passibile di morte. Se non cambia parere durante lo svolgimento del processo, egli proporrà, in sostanza, alla Giuria di applicare la legge del taglione (“talis poena qualis noxa “= tale la pena quale il danno) . Anche se questa regola, contrariamente a quanto comunemente si crede, diffusa tra molti popoli nell’antichità ma già sostituita nel 2° secolo a. C. a Roma da un pena pecuniaria, rappresentò un progresso rispetto alle consuetudini ancor piu’ antiche che consentivano a chi aveva subito un danno, magari di lieve entità, di pretendere una riparazione sproporzionata(ades. per un omicio ci si sentiva autorizzati ad uccidere dieci membri della famiglia del responsabile o della sua tribu’),ciò non di meno rimane una norma di tipo barbarico. Con il progredire della civiltà, segnatamente dall’Illuminismo in poi, la giustizia penale é, infatti, fortunatamente cambiata in meglio nei paesi occidentali .Ad es., grazie agli Italiani Cesare Beccaria e Pietro Verri, la tortura é stata vietata. La pena non è piu’ concepita come mero strumento di deterrenza sociale ma deve anche mirare alla riabilitazione del detenuto in vista di un suo proficuo reinserimento nella società. Inoltre sono stati presi in considerazione ai fini del giudizio molti aspetti :l’ambiente famigliare e sociale dove l’accusato e’ cresciuto e, soprattutto, le sue capacità d’intendere e di volere. Sembra che nel Colorado di questi progressi non siano troppo al corrente. Ci si é fermati alla legge del taglione! “Ha ucciso deve perciò morire…. anche se forse è un pazzo “. Ci piace concludere con un verso di T. Tasso :”Ahi cieca umana mente come i giudizi tuoi son vani e torti! “.

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

Auri Sacra Fames by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 luglio 2012 •

“L’esecranda fame dell’oro ” (Virgilio, Eneide, 3,56) . E’ ormai accertato che, assieme ai debiti pubblici, una, se non la principale, delle cause della tremenda crisi depressiva che sta colpendo l’Occidente è da ricercarsi nella folle politica del credito facile praticata dal sistema bancario statunitense, prima, da alcuni paesi europei (v. Spagna) , poi, alimentata, ovviamente, dalla cupidigia degli operatori finanziari. Un esempio eclatante di tale dissennata avidità è stata anche la manipolazione ormai acclarata del Libor ad opera di vari istituti di credito di primissimo piano. E’ altrettanto palese -crediamo- che vi é stata una latitanza degli organi preposti alla vigilanza bancaria, statunitensi e di alcuni paesi europei. Anche alcuni banchieri hanno ammesso che il “modus operandi” del sistema creditizio occidentale non é piu’ accettabile. Si vedano, ad es., le recentissime dichiarazioni di Sanford Weill, fondatore del Citygroup di cui fu alla guida dal 1998 al 2003. Una radicale riforma del sistema perciò, s’impone. A nostro sommesso parere dovrà avere come principali obiettivi: una separazione netta tra le attività di credito ordinario e quelle d’investimento ed una vigilanza bancaria rigorosa. Si dovrebbe cioé ripristinare, in primis, migliorandola, la disciplina introdotta dopo la “Grande Depressione ” del 1929 negli Stati Uniti con il ” Glass Steagall Act ” e in Italia con la legge bancaria del 1936. Queste due leggi furono soppresse, la prima nel 1999, la seconda nel 1993, su pressione dell’establishment finanziario -accademico anglo-sassone dato che tutto quel che si dice e si fa laddove si parla inglese é ottimo ! Ed ottima era naturalmente l’idea della grande banca universale. L’abbiamo visto ! Occorre poi elaborare un sistema di rigorosi controlli che per funzionare deve essere centralizzato al massimo e non solo a livello europeo. E qui sorgono difficoltà grandissime perchè gli interessi e le normative tutorie degli stessi (si pensi, ad es., all’enorme autonomia di cui gode la City) sono di non facile superamento. Se non si vogliono avere altre crisi non ci sono, però, altre soluzioni. Speriamo che i Governi ne siano coscienti e, soprattutto, impartiscano chiare direttive ai loro esperti e fissino precise scadenze. I tempi lunghi sono perniciosi ! Per concludere in maniera lieve e ricordando il motto latino della Commedia “Castigat ridendo mores ” (=Corregge i costumi ridendo “) ci sia perdonato se a questo punto raccontiamo un aneddoto ascoltato anni fa da un altissimo dirigente del Ministero del Tesoro francese che non amava gli avvocati d’affari statunitensi e se l’applichiamo agli uomini del mondo finanziario in generale. La storiella é la seguente: ” Un signore entra un giorno in un cimitero di New York. Percorrendo un vialetto tra le tombe gli cade l’occhio sulla scritta incisa su una lapide che diceva: “Qui riposa J. Smith, esimio banchiere ed uomo dabbene “.Perplesso esclama: “Che strano hanno seppellito due persone diverse nella stessa tomba !”. “L’esecranda fame dell’oro ” (Virgilio, Eneide, 3,56) . E’ ormai accertato che, assieme ai debiti pubblici, una, se non la principale, delle cause della tremenda crisi depressiva che sta colpendo l’Occidente è da ricercarsi nella folle politica del credito facile praticata dal sistema bancario statunitense, prima, da alcuni paesi europei (v. Spagna) , poi, alimentata, ovviamente, dalla cupidigia degli operatori finanziari. Un esempio eclatante di tale dissennata avidità è stata anche la manipolazione ormai acclarata del Libor ad opera di vari istituti di credito di primissimo piano. E’ altrettanto palese -crediamo- che vi é stata una latitanza degli organi preposti alla vigilanza bancaria, statunitensi e di alcuni paesi europei. Anche alcuni banchieri hanno ammesso che il “modus operandi” del sistema creditizio occidentale non é piu’ accettabile. Si vedano, ad es., le recentissime dichiarazioni di Sanford Weill, fondatore del Citygroup di cui fu alla guida dal 1998 al 2003.

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Una radicale riforma del sistema perciò, s’impone. A nostro sommesso parere dovrà avere come principali obiettivi: una separazione netta tra le attività di credito ordinario e quelle d’investimento ed una vigilanza bancaria rigorosa. Si dovrebbe cioé ripristinare, in primis, migliorandola, la disciplina introdotta dopo la “Grande Depressione ” del 1929 negli Stati Uniti con il ” Glass Steagall Act ” e in Italia con la legge bancaria del 1936. Queste due leggi furono soppresse, la prima nel 1999, la seconda nel 1993, su pressione dell’establishment finanziario -accademico anglo-sassone dato che tutto quel che si dice e si fa laddove si parla inglese é ottimo ! Ed ottima era naturalmente l’idea della grande banca universale. L’abbiamo visto ! Occorre poi elaborare un sistema di rigorosi controlli che per funzionare deve essere centralizzato al massimo e non solo a livello europeo. E qui sorgono difficoltà grandissime perchè gli interessi e le normative tutorie degli stessi (si pensi, ad es., all’enorme autonomia di cui gode la City) sono di non facile superamento. Se non si vogliono avere altre crisi non ci sono, però, altre soluzioni. Speriamo che i Governi ne siano coscienti e, soprattutto, impartiscano chiare direttive ai loro esperti e fissino precise scadenze. I tempi lunghi sono perniciosi ! Per concludere in maniera lieve e ricordando il motto latino della Commedia “Castigat ridendo mores ” (=Corregge i costumi ridendo “) ci sia perdonato se a questo punto raccontiamo un aneddoto ascoltato anni fa da un altissimo dirigente del Ministero del Tesoro francese che non amava gli avvocati d’affari statunitensi e se l’applichiamo agli uomini del mondo finanziario in generale. La storiella é la seguente: ” Un signore entra un giorno in un cimitero di New York. Percorrendo un vialetto tra le tombe gli cade l’occhio sulla scritta incisa su una lapide che diceva: “Qui riposa J. Smith, esimio banchiere ed uomo dabbene “.Perplesso esclama: “Che strano hanno seppellito due persone diverse nella stessa tomba !”.

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

Gli Italiani vincono la medaglia d’oro alle Olimpiadi nella specialità “autodenigrazione” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 22 luglio 2012 •

Se nei Giochi Olimpici fosse prevista una tale disciplina sicuramente noi conquisteremmo sempre il massimo alloro. Siamo, infatti, in genere, imbattibili nel parlare o scrivere male di noi stessi spesso esagerando i fatti. Chi ha esperienza, specie internazionale, non può che condividere questa nostra dolorosa affermazione. Risultato di un tale assurdo comportamento é che all’estero viene ormai dato per acquisito lo stereotipo dell’Italiano come un popolo poco affidabile e che non dice il vero. Un esempio per tutti a sostegno di ciò. “Il Corriere della Sera” del 21 luglio crt.a. ha pubblicato nella rubrica “Lettere al Corriere ” una lettera del prof. Claudio Eccher -vice Presidente del Consiglio Provinciale di Trento, di professione chirurgo, eletto nella Lista civica “Per Divina presidente”, crediamo di matrice Lega Nord, sul problema dei due Marò sotto processo in India in cui , tra l’altro, si afferma :”Non ci sono dubbi sul fatto in sè: per le due morti (n.d.r. dei pescatori indiani) c’é una chiara responsabilità dei due marò ” e “non trasformiamoli in eroi. La qual cosa suonerebbe come un’offesa alla giustizia indiana che forse anche per questo motivo cercherà di rinviare il loro trasferimento in Italia” e “auspico che vengano accolti con sentimenti unicamente di umanità e vengano sottoposti a giusto processo. Ricordiamoci che sono due persone che hanno sulla coscienza due morti ancorché causati da un tragico errore “. In un caso estremamente complicato il vice presidente di un’importante organismo qual’é la Provincia Autonoma di Trento scrive al piu’ autorevole quotidiano italiano per sostenere, in pratica, la fondatezza delle tesi accusatorie delle autorità indiane. Il prof. Eccher evidentemente ha seguito approfonditamente le varie fasi del processo e, forte della sua esperienza dei tavoli operatori, é stato in grado di formulare una fondatissima perizia quasi necroscopica del procedimento. La conclusione della stessa é :”colpevoli”! L’ufficio stampa dell’Ambasciata indiana a Roma segnalerà subito il contenuto della lettera a Nuova Delhi ed il commento dell’Amb. Romano, apparso in calce alla missiva, in cui egli fa presente la “non chiarezza” dell’avvenimento ma plaude alla” prudenza” adottata nella fattispecie dal nostro Governo. Cosa penseranno leggendo tutto ciò le autorità indiane? Probabilmente: “Abbiamo agito bene visto che in Italia in sostanza molti sono dalla nostra parte!”.

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POLITICA INTERNAZ.

Nubi fosche si stanno addensando sui nostri Marò detenuti in India by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 luglio 2012 •

Come era da temere (ne scrissi il 20 maggio u,s. su Cartalibera) il processo ai nostri Marò detenuti in India sta prendendo una brutta piega. Rinvii da parte della Corte indiana, la scialuppa sulla quale erano imbarcati i pescatori indiani e che aveva sul fasciame i fori dei colpi non viene riparata e, stranamente, lasciata calare a picco ed altri comportamenti non certo amichevoli ad opera delle autorità di polizia e giudiziarie di quel paese. Secondo una consolidata prassi ” buonista” dei Governi italiani e del nostro Ministero Affari Esteri il metodo utilizzato in questi casi é quello di” incassare” sperando che così agendo si ottengano esiti positivi. Risultati “brillanti” ottenuti nel passato grazie a questo “modus operandi” sono stati i seguenti: in Francia si sono rifugiati ed hanno vissuto indisturbati e riveriti dall’intellighenzia di sinistra diecine di terroristi rossi italiani protetti dalla c.d. dottrina Mitterand; piloti statunitensi effettuando manovre spericolate ( e non era la prima volta ) tranciarono in Trentino i cavi di una funivia sul monte Cermis provocando vari morti; piu’ di recente il governo brasiliano si é rifiutato di estradare il pluri-omicida Cesare Battisti scappato in quel paese (nel quale-si noti-milioni di cittadini sono di origine italiana )dall’accogliente residenza parigina; il nostro agente Calipari fu ucciso in Iraq da un soldato statunitense ( si disse per errore ma la cosa è molto dubbia perché il tragitto verso l’aeroporto di Bagdad era stato segnalato al comando americano e l’automobile viaggiava ad andatura ridotta) e subito il luogo dell’omicidio venne ripulito accuratamente dagli “amici ” americani così come il veicolo che trasportava Calipari e la Sbrena. Ci furono delle scuse nel caso del Cermis ed indennizzi ma i piloti americani non furono condannati oltreatlantico. Nel caso Calipari, salvo errore, solo scuse. In pratica Francia, Brasile, Stati Uniti ci hanno trattato come un paese di terza categoria. In India basiamo sostanzialmente la difesa dei due Marò sul problema della giurisdizione e “puerilmente ” concediamo, quale gesto di solidarietà, ma -giova notarlo- tramite il Ministero della Difesa, un risarcimento alla famiglia del pescatore ucciso. E questo suona contemporaneamente come una “excusatio non petita accusatio manifesta” ed una “captatio benevolentiae”. Risultato generale di tale machiavellica politica nei fori internazionali : si può trattare malissimo l’Italia tanto non reagisce. Per cercare di salvare i nostri Marò non c’é quindi che da mobilitare rapidamente e massicciamente l’opinione pubblica e le forze parlamentari del nostro paese perché facciano pressione sul Governo affinchè metta e subito in opera tutti gli strumenti disponibili(ad es. richiamare il nostro ambasciatore per consultazioni, sospendere la concessione di visti di ingresso e permessi di lavoro a cittadini indiani; vietare temporaneamente alle società italiane a partecipazione statale di concludere contratti che consentano ad operatori indiani di esportare beni o servizi nel nostro paese etc. ) onde indurre le autorità indiane a venire a miti consigli e in tal modo salvare da un’ingiusta condanna i nostri militari. A questo punto inopinatamente mi viene alla mente una scritta scolpita sulla facciata del palazzo Del Bufalo in Largo del Nazareno in Roma: “Cum feris ferus” (= Con le belve occorre essere una belva). Ma, come direbbero gli avvocati, “Absit iniuria verbis” (= sia assente da queste parole l’ingiuria).

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

La Cancelliera Merkel con teutonica tenacia continua a colpire by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 18 luglio 2012 •

E’ noto che la diplomazia non é una delle virtu’ peculiari del popolo tedesco il quale ha una visione del mondo solo in due colori :il bianco ed il nero. Il grigio non é preso in considerazione. La Cancelliera Merkel in questo difetto nazionale non é seconda a nessuno dei suoi connazionali. Invero con ripetuti, inopportuni interventi pubblici ha manifestato i suoi dubbi circa le possibilità che i paesi del meridione d’Europa possano attuare politiche di risanamento economico e con “non riservate ” esternazioni ha piu’ volte ribadito i suoi “nein” ad aiuti comunitari non assortiti dal soddisfacimento di dure condizioni da parte dei paesi beneficiari(v. da ultimo l’intervista televisiva del 16 crt.m.). L’ineffabile signora di Berlino non si rende conto che così facendo favorisce la speculazione internazionale e peggiora la situazione delle economie in affanno e, per conseguenza, aumenta il volume degli eventuali aiuti comunitari ? I nostri maggiori avevano due saggi proverbi :”Qui nescit dissimulare nescit regnare (= Chi non sa dissimulare non sa regnare) e ” il silenzio é d’oro “. Ma forse il latino non veniva insegnato nella D.D.R. dove é cresciuta Angela Merkel. Forse la signora aumenterà il suo consenso nella prossima tornata elettorale ma é dubbio che la Germania potrà trarre vantaggio da un’Europa in dissesto. Questa seconda eventualità non é affatto da escludere stante la crisi che colpisce, anche se in varia misura, tutto il globo. Da tempo dubitavamo delle qualità di statista della sullodata ora ne siamo certi. Nel XX° secolo l’Europa é stata distrutta ad opera della Germania due volte. Grazie a ” veri ” uomini di Stato (Monnet, Schumann, Adenauer,De Gasperi Martino, Spaak, Kohl etc.) si é risollevata ed ha fruito di un lunghissimo periodo di pace e prosperità. Ora i rischi di un disfacimento della costruzione europea per il prevalere dell’incapacità dei governanti e degli egoismi nazionali sono elevati. Forse si sta inverando il detto :”Deus dementat prius quem vult damnare ” (= Giove fa prima uscir di senno colui che vuol portare alla rovina).

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ECONOMIA

De Gaulle non aveva tutti i torti by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 16 luglio 2012 •

Il gen. de Gaulle era indubbiamente un uomo di genio anche se, come tutti, commise qualche errore. Gli Europeisti giudicarono severamente il suo duplice rifiuto all’adesione negli anni ’60 del Regno Unito alla Comunità Europea. Sembrò, infatti, un’ennesima dimostrazione del nazionalismo gallico. Col senno di poi non ce la sentiamo di criticarlo. Il generale aveva appreso a conoscere bene gli Inglesi durante il suo forzato soggiorno a Londra nel secondo conflitto e ne diffidava. Non era però un nazionalista ottuso tanto che non si oppose alla riconciliazione con il secolare nemico :la Germania. La Gran Bretagna ha sempre avuto, in sostanza, una politica avversa al rafforzamento dei paesi dell’Europa continentale. All’inizio del processo di unificazione europeo non aderì alla C.E.E., anzi promosse nel 1960 l’European Free Trade Association (E.F.T.A.), un ’associazione di libero scambio e di collaborazione economica cui aderirono l’Austria, la Danimarca, ovviamente il Regno Unito, la Svezia, la Norvegia, la Svizzera, l’Islanda, la Finlandia, il Liechtenstein, il Portogallo. L’associazione, anche perchè carente di una continuità geografica, non ebbe successo. Con lo spirito pragmatico che distingue i figli di Albione il Governo di Sua Maestà bussò alle porte di Bruxelles ed aderì ma alle “sue ” condizioni tra le quali quella di non far parte dell’unione monetaria, La City e la sterlina nonché il rapporto privilegiato con Wall Street furono così salvaguardati. Per dirla in parole povere : un piede dentro laddove era vantaggioso ed uno fuori quando non c’era vantaggio. La crisi che ci affligge è sorta oltre atlantico e si é diffusa nel nostro continente anche grazie agli istituti di credito londinesi. Se non si ha ben chiaro questo non si riuscirà a porre un limite con acconci strumenti normativi internazionali allo strapotere delle banche internazionali (= quelle statunitensi e britanniche) cioé alla loro “auri horrida fames (= esecranda fame dell’oro) . Come scrisse S. Paolo (ad Timoth.,I,6,10) “radix omnium malorum est cupiditas” (= la radice di tutti i mali é la cupidigia) . Se non si porrà rimedio a ciò altre crisi ci aspettano… ammesso che si riesca ad uscire da quella presente.

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ECONOMIA

Un episodio di realtà romanzesca ed il differenziale (o spread) per gli anglofili by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 11 luglio 2012 •

In un settimanale degli anni ’40-’50 (non ricordiamo se si trattasse della “Domenica del Corriere” o della “Settimana Enigmistica” o di un altro) figurava una rubrica intitolata “La realtà romanzesca” in cui si narravano episodi veramente accaduti che avevano però dell’incredibile. Il “Corriere della Sera” del 9 luglio u.s. (pag.13) e “Libero” del 10 luglio u.s. (pag.9) riportano un fatto della cronaca siciliana che potrebbe agevolmente rientrare nel tipo di episodi contenuti nella rubrica sopra ricordata o, “melius “, formare oggetto di un’istituenda rubrica giornalistica “la realtà farsesca”. Si tratta di questo: il Governatore della Regione Siciliana, l’on.le Raffaele Lombardo, pur avendo annunciato che avrebbe rassegnato le dimissioni alla fine del corrente mese, ha ritenuto utile procedere a circa un centinaio di nomine in aziende, società partecipate, consorzi, uffici etc. che dipendono dalla Regione tra le quali quella del presidente del Collegio dei Revisori di “Sicilia e-servizi”, la società partecipata che si occupa di informatizzazione. Dato che secondo il cronista del quotidiano milanese questa società ha formato oggetto, due anni fa, di un’inchiesta su appalti milionari e di assunzioni di favore la carica appare quindi di una certa importanza. La scelta del Governatore é caduta sulla persona di un commercialista sessantenne di Sciacca, Eugenio Trafficante. L’assemblea dei soci della partecipata ha diligentemente ratificato la nomina. Al momento di notificare all’interessato l’avvenuta nomina ci si é accorti che il Trafficante (“in nomine omen” = nel nome il destino ?) era “trattenuto ” a “Regina Coeli “, carcere di Roma, in quanto agli arresti per aver violato il divieto di avvicinare una signora che lo aveva denunziato per comportamenti persecutori. Naturalmente nessuno può essere considerato colpevole finché la sentenza di condanna non passa in giudicato certo gli é, tuttavia, che l’episodio appare ” divertente “. Colui che é stato scelto per presiedere l’organo preposto al controllo della correttezza dei conti di una società pubblica non appare trovarsi in una situazione diremmo “serena”. Qual’ é il collegamento tra questo fatterello ed il differenziale fra i titoli del debito pubblico del nostro paese (i Btp decennali) e le analoghe obbligazioni tedesche ? L’andamento sui mercati finanziari di detto indice non é, a nostro parere, solo il frutto di analisi delle principali voci dell’economia di un paese (debito pubblico, disavanzo, andamento dei flussi esportativi etc.) ma “anche ” dell’opinione che gli operatori nei mercati finanziari si sono fatti circa le capacità dell’amministrazione pubblica di una gestione corretta. Gli innumeri episodi di “mala gestio” cui siamo, purtroppo, costretti ad assistere in Italia non sfuggono, ovviamente, agli analisti stranieri e vengono sovente anche ingigantiti ad arte a fini speculativi con l’ausilio di molti giornali nostrani presso i quali la fazione prevale sull’amor di patria. (Gli Inglesi hanno, invece, un detto: “Right or wrong my country ” = sia che sbagli sia che abbia ragione “é” il mio paese). Si formano così, talora, anche dei veri e propri pregiudizi sulla base del virgiliano “Ab uno disce omnes” (= conosciuto uno (Greco) li conosci tutti.-”Eneide”, libro II).

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

Amicus Plato sed Magis Amica Veritas by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 luglio 2012 •

“Platone è mio amico ma mi è piu’ amica la verità”. Parafrasando questa frase di Socrate riportata dallo stesso Platone nel dialogo del “Fedone ” (Cap. XL, par.91 ) direi che, pur non essendo amico della Cancelliera Merkel e degli esponenti della Lega, ciò non di meno non sono disposto ad affermare che tutto quel che i sullodati hanno detto o vanno ancora sostenendo sia da rigettare in toto. Perchè gli atteggiamenti della signora teutonica non sono, a mio parere, in larga parte condivisibili? Le ragioni sono numerose : la Cancelliera non ha avuto una visione strategica dei problemi europei ed ha messo a repentaglio con le sue “esternazioni” in momenti critici cioé quando la speculazione finanziaria stava accentuando la pressione sull’euro ed i paesi dell’Europa meridionale la tenuta stessa della moneta unica ;si è scordata degli aiuti che la Germania ha ricevuto, se non altro sotto il profilo politico, dagli altri paesi europei dal dopoguerra alla riunificazione, che l’euro ha favorito, tenendo artificialmente bassi i prezzi dei prodotti industriali tedeschi, la competitività delle merci germaniche assorbite in notevole misura dagli altri paesi dell’area U.E., che il rigore nei conti pubblici vantato non è adamantino (ad es. l’esposizione ragguardevolissima rappresentata dalle garanzie concesse della Cassa Depositi e Prestiti tedesca alle banche regionali non figura nel passivo federale) etc. Per quanto attiene alla Lega trovo del tutto immotivato l’auspicio, proclamato ad ogni pié sospinto a colpi di gran cassa con battute adatte forse all’auditorio in canottiera di qualche osteria della Brianza, della secessione della Padania. Innanzi tutto la forza parlamentare della Lega non consentirebbe di realizzare un tale disegno secessionistico dato che gli altri partiti e la popolazione anche settentrionale non sarebbero d’accordo. Inoltre i vincoli d’ordine storico, culturale, sociale (numerosissimi sono i cittadini delle regioni settentrionali d’origine meridionale ),economico (il Sud è il mercato piu’ naturale dell’industria e dei servizi della c.d. Padania) tra le due aree non sono di facile rescissione. Tutto ciò detto, l’amore per l’obiettività o l’amicizia che nutro per la “veritas ” mi spingono a ripetere che non tutte le critiche e le riserve della Cancelliera e della Lega verso il “modus operandi” del nostro paese sono prive di fondamento. (Come scrisse Giovenale (Satire III,v.41 ) :”Quid Romae faciam? Mentiri nescio ” (= Cosa farò a Roma? Non so mentire ) ed io vivo a Roma dove, secondo la vulgata leghista, come due mila anni fa, chi non mente o ruba non ha vita facile. Forse sono un alieno! ). Perché dette critiche hanno una certa base? Leggendo i dati riportati dalla stampa emergono, infatti, gli sperperi attuati in alcune importanti regioni del nostro Mezzogiorno che hanno una sola causa :il malgoverno e la corruzione. L’arretratezza economica di dette aree non é, invero, del tutto accettabile. Cinquanta anni fa, ad es., la situazione economico-sociale delle Marche, dell’Umbria, del Polesine, del Friuli non era florida. A centinaia di migliaia emigravano a settentrione e spesso all’estero. A poco a poco, però, il quadro è completamente mutato. Ora in queste zone ci sono industrie di piccole e medie dimensioni, un’attività turistica non trascurabile, una buona agricoltura. Insomma c’è un notevole benessere. Come é stato possibile? Sintetizzando : amministrazioni locali nel complesso di livello “decente “, grande spirito d’intraprendenza e laboriosità dei cittadini, assenza di criminalità organizzata.

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Quali esempi analoghi possono riscontrarsi sotto questo profilo nel nostro Mezzogiorno? Duole dirlo nessuno di rilievo. Ad es. secondo la Corte dei Conti il totale dei dipendenti della Regione Siciliana assommava nel 2011 a 20.288 con una spesa di 1 miliardo e 56 milioni di euro (+56 milioni rispetto al 2010). Sempre in Sicilia la spesa per la sanità é stata nel 2010 di 8,902 miliardi ; nel 2011 di 9,421 miliardi (+ 519 milioni ).Non risulta che questa montagna di danaro abbia fatto sì che il livello della sanità nella Trinacria sia ottimale. Quantunque l’estensione delle zone montagnose e boschive della Sicilia sia relativamente modesta i forestali sono ben 30.000. La Lombardia, sul cui territorio insiste una buona parte delle Alpi, ha 3.000 forestali cioè un decimo delle analoghe schiere siciliane. Il Comune di Palermo ha quasi il doppio dei dipendenti di quello di Milano con la differenza che il capoluogo lombardo ha il doppio di abitanti di quello siciliano. Non credo che la situazione della Calabria e della Campania differisca troppo sotto questo profilo da quella sopradescritta. Se si volge poi lo sguardo ad altri settori dell’Amministrazione pubblica (centrale e regionale ) il panorama non migliora. Un esempio per tutti: secondo il rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica redatto dalla Corte dei Conti il debito accumulato dalle società controllate o partecipate in forma maggioritaria dallo Stato, dalle Regioni o dagli enti locali è di 34 miliardi di euro ovvero in media di 7 milioni per ciascuno di detti organismi. Sommando questo indebitamento all’esposizione ufficiale delle amministrazioni locali si giunge a 100 miliardi di euro circa. Risultato di questa “sana ” attività amministrativa : il rapporto debito-P.I.L. ( prodotto interno lordo) del nostro paese é 123,5 %, quello della Rep. Federale Tedesca 82,2 %. Concludendo : come dare del tutto torto alla Cancelliera ed alla Lega? Per quali motivi il contribuente tedesco e quello della c.d. Padania dovrebbero gioire nel vedere aumentare il proprio onere fiscale pensando, nel contempo, (il primo ) che i suoi sacrifici servono a pagare gli sperperi degli Italiani, (il secondo ) quelli dei “sudisti “?

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

Similitudini storiche by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 luglio 2012 •

E’ acclarato che gli avvenimenti storici sono irripetibili . Cionondimeno ci si consenta di evocarne due : la rotta di Caporetto e la vittoria di Vittorio Veneto nel corso del Primo Conflitto Mondiale. Ci sembra, infatti, che nel disastroso sfondamento delle linee italiane avvenuto a Caporetto alla fine dell’ottobre del 1917 e nella catastrofica ritirata della nostra 2a Armata che ne seguì, nell’eroica, successiva resistenza sulla linea del Piave che interruppe l’avanzata delle truppe tedesche ed austro-ungariche, nella sostituzione del Primo Ministro Paolo Boselli con V.E. Orlando e del Gen. Cadorna, Capo di Stato Maggiore, con il Gen. A. Diaz (N.B. su designazione del Capo dello Stato, il Re Vittorio Emanuele III ),nell’aiuto, peraltro, non determinante prestatoci dagli alleati francesi, britannici e statunitensi, nel rifiuto, voluto dal monarca, agli alleati di una ritirata di maggior profondità, nella strenua resistenza sul Piave all’offensiva nemica del 15-23 giugno 1918,nella controffensiva italiana dell’ottobre 1918 che portò alla vittoria di Vittorio Veneto ed alla conclusione della guerra il 4-novembre dello stesso anno, siano ravvisabili alcuni elementi che, “mutatis mutandis”, presentano, forse, tratti di affinità con i recentissimi avvenimenti del nostro paese. (E’, ovviamente, escluso dall’elenco delle similitudini l’esito delle vicende attuali perché la conoscenza del futuro é interdetta in genere agli umani). A novembre 2011 il tasso dei B.T.B. decennali superò, infatti, largamente il 7%, il differenziale con il titolo di Stato tedesco toccò i 575 punti-base e soprattutto risultò capovolta la curva dei rendimenti con i titoli a breve termine che vennero scambiati ad un tasso appena superiore a quelli, già, molto elevati, degli stessi BTP decennali. Da ciò risultava evidente che la speculazione si apprestava ad attaccare l’Italia come aveva fatto con la Grecia. La catastrofe economica era vicina (“Hannibal ad portas “!). Contemporaneamente i partiti italiani d’opposizione combattevano senza esclusione di colpi il Governo non curandosi del baratro. Il 12 novembre 2011 il Primo Ministro Berlusconi ed il suo Governo, pur non essendo stati sfiduciati, consci del pericolo di una débacle economica in assenza di un sostegno parlamentare e delle forze economiche e sindacali indispensabile per l’adozione di dolorosi ed urgenti provvedimenti volti all’incremento delle entrate erariali e sottoposti ad una logorante pressione psicologica-mediatica e, probabilmente alla c.d. suasion del Capo dello Stato, rassegnarono le dimissioni. Venne così chiamato dal Presidente Napolitano il Prof Monti, a formare un Esecutivo tecnico. Si sarebbe tentati dal dire :”novello V.E. Orlando e Gen. Diaz contemporaneamente sempre su indicazione del Capo dello Stato come nel 1917!”. Il sen. Monti, ottenuta la fiducia, forte di una maggioranza trasversale, ha cercato” in primis” di realizzare un fronte di resistenza contro la speculazione. Pur con alti e bassi lo spread non ha raggiunto valori catastrofici. Ad es. l’11 giugno u.s. si é attestato sui 473 con un rendimento del decennale italiano al 6,03 %. Si potrebbe sostenere che ci siamo attestati sulla linea del Piave grazie ai sacrifici dei contribuenti italiani come 95 anni fa fecero gli Italiani ma allora non avvenne solo sotto il profilo finanziario. Gli Italiani, infatti, diedero allora un enorme tributo di sangue per salvare la patria. Basti pensare che fu chiamata alle armi la classe del 1899 cioé quella dei diciottenni che s’immolarono sul Piave ed in altri settori del fronte. Continuando con le similitudini :gli incontri trilaterali degli scorsi giorni e soprattutto quelli conclusisi a Bruxelles tra il 28 ed il 29 giugno u.s. (Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea, Commissione dell’U.E., B.C.E.) sembrano aver fornito al nostro paese, alla Spagna, alla Grecia ed all’Irlanda gli strumenti, anche sotto il profilo psicologico, per rafforzare le difese contro le offensive degli speculatori e di iniziare così un cammino di crescita economica analogamente a quel che avvenne alla Conferenza di Peschiera. Ora come nel 1918 occorre por mano,

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accelerando i tempi, alla controffensiva. Attualmente essa ha come avversario la decadenza economica che si può tradurre nella sconfitta del nostro paese. E’ necessario tagliare intelligentemente la spesa pubblica, accentuare il contrasto all’evasione ed all’elusione fiscale, fornire stimoli per la crescita e combattere senza dar tregua la corruzione e la malavita organizzata. Ora, come quasi un secolo fa, appare necessaria una riscossa morale del popolo italiano. Il Sen. prof. Monti dovrebbe, percio’, a nostro parere, formulare un fermo e chiaro appello in tal senso alle forze politiche, economiche e sindacali ed all’opinione pubblica. Il pericolo non é ancora svanito ed occorre adottare sollecitamente provvedimenti adeguati. Tutti devono contribuire. “Viribus unitis” ce la possiamo forse fare!

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POLITICA INTERNAZ.

Una nuova guida per l’elettorato moderato? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 26 giugno 2012 •

Dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale l’elettorato moderato ha, con alti e bassi, espresso fino ad ora la classe politica governativa del nostro paese che ha guidato la non facile ricostruzione, l’adesione alla N.A.T.O. alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, prima, alla Comunità Economica Europea ed all’ Euratom, poi, e lo sviluppo economico. Si deve al voto dei moderati se il rischio, fortissimo nel 1948, dell’avvento di un regime di tipo comunista fu eliminato anche se le illusioni marxiste tuttora condizionano frange dell’elettorato di sinistra. Dopo la breve parentesi del Governo Prodi nel 1994 Silvio Berlusconi ebbe il merito di creare un movimento politico d’ispirazione liberale che fece da catalizzatore delle membra sparse dei partiti di centro destra. L’alleanza con la Lega che ebbe il pregio, malgrado le smargiassate del suo leader, di cercare di avviare il processo per responsabilizzare la spesa fuori controllo delle Regioni, e con Alleanza Nazionale sembrò aver ricostituito il blocco di centro-destra (il famoso Pentapartito ) che aveva governato, come si è accennato, non male per quasi un cinquantennio il nostro paese. La rottura con Fini, la gravissima crisi economica d’origine transatlantica e, soprattutto, gli errori di comportamento hanno costretto l’on.le Berlusconi a passare la mano al Governo c.d. Tecnico del Prof. Monti. Salvo imprevisti tra pochi mesi si terranno le elezioni. Dai sondaggi (anche se non devono essere presi per oro colato ) sembra emergere un forte calo dei consensi per il P.D.L. e la Lega. Anche a chi non é un politologo ma un semplice osservatore appare molto probabile che, salvo imprevisti, alla prossima tornata elettorale, adiuvanti il perdurare della crisi economica e delle astensioni, l’elettorato moderato vedrà un notevole calo nel numero dei propri rappresentanti in Parlamento. E questo potrebbe essere pericoloso per il Paese giacché un’eventuale vittoria del P.D. e dei suoi alleati potrebbe tradursi in un Esecutivo condizionato dalle componenti piu’ estreme della Sinistra, dall’ondivaga I.D.V. e dall’incognita dei c.d. Grillini il cui programma é ignoto e, per conseguenza, in un’azione di governo incerta che non sarebbe in grado di adottare “rapidamente ” i provvedimenti indispensabili per superare la crisi: riduzione della spesa pubblica, a livello nazionale e regionale, liberalizzazioni, stimoli per la crescita etc. Se questo quadro é verosimile sembra allora necessario, onde evitare il declino della rappresentanza politica degli elettori moderati, “un colpo d’ali ” da realizzare quanto prima. Il P.D.L., che è ancora il perno delle forze moderate, dovrebbe cioé essere rinnovato profondamente. La gente comune é, invero, stanca di vedere in politica prevalentemente mestieranti della stessa (per mancanza di un’ altra professione ) o amici (-che)dei potenti di turno con un modesto se non nullo retroterra culturale e professionale. Si faccia pure largo ai giovani ma non sempre la giovane età é sinonimo di validità. Non é casuale che nell’antica Roma il potere era appannaggio del Senato (da “senex “=vecchio ) composto dagli anziani delle principali famiglie aristocratiche. Occorrerebbe cioè pur sempre accertarsi di quali qualità gli stessi dispongano! Per poter realizzare, però, nel poco tempo disponibile prima del voto una tale arditissima palingenesi sarebbe necessaria una personalità che riscuotesse il rispetto “incondizionato ” degli aderenti e degli avversari. Chi potrebbe addossarsi un tale compito?

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Come sopra accennato dovrebbe essere una personalità di notevole caratura e, in un certo senso, al disopra delle consorterie di partito. Non ce ne sono -salvo errore- molte in circolazione. Azzardiamo quattro nomi scusandoci per non averne citati altri senza dubbio altrettanto meritevoli: l’on. Prof. A. Martino; il Sen. Marcello Pera, il prof. Marzano, attuale Presidente del C.N.E.L,il dott. Gianni Letta. Forse di questi, tutti altamente qualificati, il piu’ adatto alla bisogna potrebbe essere il dott. Letta per i seguenti motivi: é stato a lungo Sotto Segretario alla Presidenza del Consiglio e conosce come pochi la macchina dello Stato ed i problemi del Paese nonché gli esponenti politici di tutti gli schieramenti ed é da tutti rispettato, non é un ambizioso come ha dimostrato non volendo mai essere presentato quale candidato. Lo si potrebbe definire un vero servitore dello Stato. Da semplice osservatore abbiamo l’impressione che grazie alla sua opera, non appariscente, molti errori dell’ultimo Esecutivo sono stati evitati. Finche ha potuto é stato probabilmente un valido parafulmine e di questi tempi procellosi sono preziosi ! Utinam che accettasse ! Attendere gli esiti di eventuali primarie nel P.D.L. sarebbe un errore . Necessiterebbe, infatti molto tempo organizzarle e regolamentarle adeguatamente come ha egregiamente illustrato con il suo articolo su “carta libera” del 16 giugno u.s. Mauro della Porta Raffo.

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POLITICA INTERNAZ.

Rosario Solima 15/06/2012 – Coraggio, yes, you can! Yes, you must! by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 giugno 2012 •

A pag.20 de “Il Corriere della Sera ” del 17 giugno u.s. un mio carissimo amico, il dr. Rosario Solima, già direttore della Politica Regionale Europea, ha fatto pubblicare “a sue spese” su un’intera pagina un appello accorato alla Cancelliera Merkel che è quasi un testamento spirituale di un sincero europeista. Si è trattato di un vero testamento perché il dott. Solima era gravemente malato. Oggi ho, infatti, appreso che pochi giorni fa egli è morto a Bruxelles dove risiedeva. Ringrazio sentitamente la Redazione di “Cartalibera” per aver accolto la mia richiesta di commemorare il dott.Solima pubblicando il suo appello. ———————– Dal Corriere della sera del 17 giugno 2012 PER UN EUROPEISTA COMUNITARIO idealista, vecchio, malato, ma non domato, che ha avuto il privilegio di lavorare nel stretto contatto con il gabinetto del mitico René Meyer, Presidente della Alta Autorità della CECA, la prima delle Comunità Europee, e di partecipare nell’atmosfera entusiasta del tempo, all’avvio di questa Comunità, che ha avuto la fortuna di essere il primo direttore della Politica Regionale Europea, e che, in tale qualità, ha potuto dirigere i lavori tecnico giuridici di progettazione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR), che ha poi preparato l’avvio di tale Fondo e lo ha guidato per oltre venti anni, IL MOMENTO MAGICO DELLA COSTRUZIONE EUROPEA E GIUNTO. E’ il momento che attendevano moltissimi Europei da decenni. A questo fine hanno puntato i previgenti Padri Fondatori dell’Euro. Essi, nel creare l’Euro, ben sapevano che tale moneta non avrebbe retto nel tempo senza un Trattato in materia di Fisco e di Bilancio che imponesse agli Stati partecipanti una SERIA DISCIPLINA FISCALE DI BILANCIO. Sapevano che prima o poi l’Euro sarebbe caduto in crisi e che questa crisi avrebbe messo a rischio la costruzione comunitaria. Sapevano anche che la crisi avrebbe forzato gli Uomini Politici degli Stati partecipanti all’UEM a prendere delle decisioni difficili ma essenziali per ultimare la costruzione Europea. La costruzione comunitaria è andata crescendo in questi ultimi sessant’anni man mano che delle grosse crisi la scuotevano e ne minacciavano l’esistenza. Ogni volta la crisi sfociava in un nuovo passo avanti della costruzione Europea. Questo, ripeto é il momento magico per giungere alla ratifica rapida del Trattato per il Fisco e il Bilancio (Trattato Fiscal- Compact) ormai quasi in porto e alla firma del Trattato Politico finale di Unione Politica Europea. Questo e ormai possibile. Questo deve accadere. Pochi anni fa il fallimento di una Banca di medie dimensioni al livello mondiale, la Lehman Brothers, ha innescato una crisi finanziaria al livello mondiale che ancora dura. Questa ha dimostrato che anche grandi paesi come gli USA non sfuggono ormai ai grandi eventi finanziari mondiali. Pertanto sia gli Usa sia il Regno Unito, che da Euroscettico é meritoriamente diventato Euro pragmatico, sanno che una crisi dell’Euro avrebbe anche su di essi un impatto devastante. Sopratutto 500 milioni di Europei sanno che se la crisi in corso per l’Euro, crisi che già li colpisce duramente, sfociasse nella scomparsa di questa moneta si

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scatenerebbe al livello mondiale uno tsunami finanziario ben peggiore di quello suscitato dal fallimento della Lehman Brothers. Tsunami di cui essi sarebbero le prime vittime. L’Europa non fatta adesso significherebbe la DISFATTADI 500 MILIONI DI EUROPEI. Inaccettabile! Non può essere! Non sarà! Tutto é riunito per giungere alla decisione finale. Per alcuni anni: da un lato i piccoli paesi Europei del Sud dell’Europa ma anche la Spagna, l’Italia e in un certo senso la Francia, hanno guardato con preoccupazione e timore, quasi paralizzati , alla grande ed incombente Germania nel pieno del suo successo economico, mentre tutt’intorno imperversava la crisi. Dall’altro lato una Germania – a sua volta – semi paralizzata dalla parte più conservatrice della sua Bundesbank, dalla Sindrome Eurobond, e dalla sindrome delle elezioni Tedesche. UNA PARALISI GENERALE E intorno impazzava la crisi dell’Euro nella quale guazzavano gli HedgeFunds. Ora, Germania e altri Stati membri dell’Unione appaiono tutti intenti a negoziare febbrilmente il Fiscal Compact e il nuovo Trattato Politico. La calma é ora tornata dopo la tempesta. La cancelliera Merkel si sta sottraendo al condizionamento della parte conservatrice della Bundesbank, dalla sindrome da EuroBond e dalla sindrome delle Elezioni Tedesche. Essa appare ormai disposta a seguire l’esempio di Schroeder. Quest’ultimo, ha realizzato – con l’aiuto dei Sindacati Tedeschi forti ma pragmaticamente flessibili – le importanti riforme di cui la Germania e sopratutto il suo mercato del lavoro aveva bisogno. Shroeder, con queste riforme ha perso il suo Cancellierato ma egli ha meritato un posto importante nella storia tedesca quale padre di quello che sarà chiamato il miracolo economico tedesco del secondo millennio. Alla cancelliera Merkel, se riuscirà a concludere positivamente i negoziati in corso con gli Stati UEM: potrà e dovrà riuscire. Spetterà un posto d’importanza storica senza precedenti nella nascente Europa. Sarà quello di avere creato in collaborazione con i principali Politici Europei: L’Europa di 500milioni di Europei. Un blocco che potrà confrontarsi da eguale con le altre grandi entità socio-economiche del mondo e far così valere i suoi diritti e sopratutto i suoi valori. In questo momento, la Germania è, per altro, desiderosa di far valere ancora una volta il suo peso economico nella comunità per imporre i suoi grandi principi. Questo e perfettamente giusto. Essa però é paralizzata dal timore di non riuscirci e dal timore di dover cedere agli altri membri della UEM – in nome della abituale generosità e solidarietà tedesca – una parte della ricchezza creata e accumulata in questi dodici anni di Euro. La Cancelliera Merkel può e deve convincere su questo punto gli Stati membri dell’UEM spiegando loro che le esigenze della Germania corrispondono anche al loro interesse. E che quindi un numero importante di essi deve impegnarsi subito a ratificare, in tempi brevissimi, il Trattato Fiscal Compact e firmare subito grandi principi del “Trattato Politico Europa”. In compenso la Germania sarà più flessibile per gli Eurobond con questi Stati che avranno firmato questi impegni. La Cancelliera Merkel dovrà fare a sua volta un discorso molto importante alla sua Germania. Spiegando: Che la prosperità della Germania nei dodici anni Euro é dovuta in maniera significativa al “meccanismo Euro”. Questo meccanismo li a artificialmente privilegiati. Esso cioè ha mantenuto artificialmente bassi i prezzi industriali tedeschi e quindi artificialmente alta la competitività dei suoi prodotti permettendo all’industria tedesca di inondare con i suoi prodotti gli altri paesi della comunità e quelli del mondo. Che, invece, il meccanismo Euro ha all’inverso fortemente penalizzato i paesi del Sud dell’Europa. Tali paesi bloccati dall’Euro non hanno più potuto recuperare competitività con delle svalutazioni come avevano fatto per gli anni ante Euro. Che, quindi, una parte di questa ricchezza Tedesca spetta al meno moralmente ai paesi deboli del sud dell’Europa.

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A questo punto bisognerà ricordare alla Germania che i grandi importi finanziari che essa aveva accettato di versare alle comunità Europee in questi sessant’anni di loro sviluppo, importi versati in nome di una solidarietà e generosità dei Tedeschi verso l’Europa sono anche dovuti a una solidarietà e generosità interessata. Basti in proposito ricordare quanto la Germania avesse bisogno nei confronti della minaccia Sovietica del sostegno Europeo e Americano. Ricordino pure che il filo conduttore della politica Europea della Germania ha avuto sempre come giusto obiettivo la riunione delle due Germanie. Obiettivo meritatamente raggiunto e brillantemente realizzato. Un altro punto, molto delicato che andrà evocato dalla Cancelliera ai suoi compatrioti, sarà quello Greco. Con la migliore delle intenzioni e senza rendersene conto, la Germania sta imponendo alla Grecia – il più debole dei paesi Europei di questo momento – la cura cosiddetta di Mao : punirne uno per educarne 100. Un vero abuso di potere. Nessuno osa dirlo ma moltissimi lo pensano ma non osano dirlo, la Germania e troppo imponente economicamente e questo non é giusto. Per cancellare l’immagine negative di questa situazione basterebbe poco. Basterebbe un cenno – insignificante per la Germania e per 500 milioni di Europei – ma essenziale politicamente psicologicamente ed economicamente per 10 miloni di Greci. Basterebbe dir loro: ”ratificate in tempi rapidi il Fiscal Compact, firmate il Trattato Politico di Unione Europea, confermate l’impegno di rispettare quanto convenuto con la Comunità e il FMI in materia di freno alla spesa e in cambio potrete diluire su tre anni in più la realizzazione di tale impegno, ed ottenere una certa quantità di Eurobond”. Un gesto politico del genere sarebbe di enorme portata politica non solo per i Greci ma anche per gli altri paesi deboli della Comunità. Ultimo punto “politico” essenziale per il Trattato Politico Europeo sarà di avere una clausola che vieti quanto successo a suo tempo e cioè un grosso caso di “Democrazia Invertita” quando poche centinaia di migliaia di Europei hanno distrutto un Trattato accettato da 500 milioni di compatrioti e ritardato il progresso della Comunità. Nessuno Stato membro, nell’Unione, dovrà essere in grado di distruggere un Trattato accettato dagli altri Stati. Ogni Stato dovrà scegliere se accettare il nuovo Trattato o meno. Se decidesse di non accettarlo, avrebbe una sola possibilità: lasciare l’Unione. Cancelliera Merkel, giungo alla fine. E’ veramente il caso di dire “dulcis in fundo”. Per gli Euro-bond, la sua Germania li affidi al bravissimo Draghi con la sua BCE. Essi stabilizzeranno l’Euro, le Banche Europee e l’insieme dell’economia della UEM. Diminuirà così la necessità di altre forme di salvataggio di Stati, di Banche e di quant’altro. A questo punto, Cancelliera Merkel, la sua Germania, qualora decidesse di essere molto aperta per gli Euro-bond, potrebbe esigere ed ottenere in cambio dagli altri Stati Membri dell’UEM, nel loro stesso interesse, due cose importantissime. L’impegno di introdurre in tempi brevissimi con una data limite in Europa la Tobin Tax e l’impegno ad una politica severissima nei confronti di tutti coloro che operano nell’UEM a partire da ogni tipo di paradiso fiscale. Tutto ciò andrebbe inserito in maniera appropriata nel Trattato ”Fiscal Compact”. Ma anche il Trattato Politico Finale dovrebbe portare traccia di questi impegni. Se Ella riesce in questo, la Germania avrà dato un contributo senza precedenti per ottenere finalmente dalla FINANZA che opera nel mondo, UNA PARTECIPAZIONE, SIA PURE MODESTA, ai costi che questa stessa finanza causa ai grandi blocchi socio-economici mondiali. La Germania avrà mostrato che grazie a lei un blocco di 500 milioni di europei è in grado di condizionare e di resistere ai condizionamenti della finanza mondiale che nessuno fin’ora è riuscito a fronteggiare. CANCELLIERA MERKEL: “Yes, You Can !” “yes, you Must !”

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POLITICA INTERNAZ., POLITICA NAZ.

La revisione della spesa pubblica, il contrasto alla criminalità organizzata, la lotta all’evasione fiscale by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 giugno 2012 •

Sono questi, a nostro sommesso parere, i preminenti problemi, tra i moltissimi altri che il Governo ha di fronte, in questa terribile congiuntura. “Preminenti” in quanto si tratta di questioni dalla cui soluzione, ad un esame approfondito, dipende, in ultima analisi, anche quella della crisi che attanaglia il nostro paese. I- In un nostro scritto apparso su “Cartalibera” del 27 aprile u.s. (“Un incomprensibile ritardo del Governo Monti”) ci lamentammo che ad oltre quattro mesi dall’insediamento l’esecutivo lo stesso non avesse provveduto ad affrontare il problema della revisione della spesa pubblica che ritenevamo dovesse per contro, figurare ai primi posti dell’agenda governativa. Solo il 30 aprile u.s. si é intervenuti nominando Enrico Bondi commissario straordinario per gestire una tale “impresa”. Si tratta, infatti, di un’impresa da “far tremare le vene e i polsi” giacché i vari organismi interessati si oppongono in tutti i modi ai tagli necessari. Usando una locuzione anglosassone la risposta di tali soggetti é, in pratica: “Not in my backyard” (=non nel cortile di casa mia) . Se, però, si presta ascolto a tutte le querimonie l’indispensabile riduzione della spesa pubblica non avrà luogo nella misura necessaria. Basti considerare, ad es., che il Governo della Trinacria (v. pag. 5 di “Libero “ del 16 crt.m.) ha in questi giorni varato una legge in base alla quale si provvede all’assunzione senza concorso di ben 20.000 impiegati con un contratto a tempo indeterminato onde stabilizzare i precari. A Palazzo dei Normanni già (forse) lavorano 20.000 persone mentre la scarsamente popolata Lombardia ha 3129 dipendenti. Per i propri dipendenti la sullodata Regione Siciliana spende annualmente per retribuzioni ed oneri sociali 1,7 miliardi di euro. Il resto d’Italia (comprese le Regioni Autonome) 6,6 miliardi di euro. Queste cifre non necessitano -crediamo- di commento. Senza un risparmio sostanzioso nella spesa pubblica il nostro paese continuerà ad indebitarsi ! Occore intervenire senza indugio ! II- La criminalità organizzata ancora spadroneggia in vaste regioni del nostro Meridione e si sta installando in quelle ricche del Settentrione. E’ una vergogna ! E’ pur vero che qualche successo nel contrastarla é stato registrato negli ultimi anni soprattutto per merito del Ministro Maroni ma il cammino é ancora lungo ed impervio. Dove é presente questa piovra non c’é sviluppo economico e sociale. Si innesca poi un meccanismo perverso: il sottosviluppo alimenta il fenomeno malavitoso che, a sua volta,impedisce la nascita di attività produttive lecite. Il sottosviluppo in tal modo si perpetua anche perchè gli onesti emigrano. Il tributo che l’intera collettività nazionale paga per questo stato di cose risulta perciò elevatissimo anche in considerazione del costo correlato all’impiego in loco di ingenti forze dell’ordine,alla corruzione ed all’inefficienza delle strutture pubbliche locali. Probabilmente la normativa attuale non é sufficiente a combattere il fenomeno. Sarebbero, pertanto,forse, necessarie leggi speciali. Le si elaborino se del caso ! III – La lotta all’evasione ed all’elusione fiscale sta dando buoni risultati ma il fenomeno ha ancora dimensioni rilevantissime sottraendo in tal modo entrate all’Erario con la conseguente incidenza sui conti pubblici. Uno strumento molto efficace per combattere il fenomeno sarebbe quello adottato da molti paesi con risultati molto positivi ovvero porre in essere, per via normativa, le condizioni per un contrasto d’interessi tra il soggetto che paga per un servizio o per una merce e chi glielo presta o gliela vende nel senso che il primo può, in una certa misura,

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dedurre ai fini fiscali un’ aliquota della spesa sostenuta. Per poter ottenere la deduzione gli occorre la ricevuta fiscale e, per conseguenza, la pretende. Certo all’inizio questo meccanismo produrrebbe un minor introito fiscale a causa delle necessarie deduzioni consentite ma nel medio periodo i risultati sarebbero molto positivi come l’esperienza di altri paesi ha dimostrato. Occorre iniziare ! In conclusione: la soluzione di questi tre problemi é di vitale importanza per il risanamento del Paese. Occorrerebbe che il Presidente del Consiglio lo dicesse senza giri di parole all’opinione pubblica ed al Parlamento indicando le soluzioni piu’ acconce e minacciando le dimissioni se non ascoltato. Siamo certi che buona parte dell’ opinione pubblica approverebbe le soluzioni proposte purché ragionevoli e con scadenze, nei limiti del possibile, ravvicinate. Notevoli dubbi nutriamo però circa i parlamentari. A questi il prof. Monti potrebbe, tuttavia, far presente che si tratta della “salus republica” che deve essere la “suprema lex” e ricordar loro quanto scrisse Seneca in “De ira” (3,23): “Tempus cum perit in magnis rebus iactura est” (= quando il tempo se ne va é gran danno nelle imprese grandi). Salvare la nostra patria non é impresa grande che non può essere rinviata ? Temiamo, tuttavia, che pochi dei rappresentanti del popolo conoscano il latino e sappiano chi fosse Seneca.

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POLITICA NAZ.

NEQUE PUDENDA NEQUE POENITENDA DICI DEBERE (Non si devono dire cose di cui vergognarsi né pentirsi –

A.Gellio) “Noct.Atticae” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 9 giugno 2012 •

AVVERTENZA – Per un errore di trascrizione in questo articolo, non figurava il paragrafo II. Ci scusiamo con i lettori e lo ripubblichiamo integralmente —————– Questo ammonimento di Aulo Gellio (scrittore ed erudito latino del 2° secolo d.C.), valido per tutti, dovrebbe essere tenuto presente soprattutto dagli uomini politici le cui affermazioni possono avere conseguenze piu’ o meno importanti sotto vari profili. Il che, però, non avviene di frequente per vari motivi: desiderio di compiacere l’auditorio o per fini elettorali. Due recenti episodi suffragano questa tesi. I -Ci riferiamo in primo luogo alla dichiarazione del Presidente Napolitano in occasione della sua recente visita di Stato a Tunisi secondo cui egli vedeva “segnali incoraggianti” di un’evoluzione democratica della Tunisia. Un primo segnale” incoraggiante” é stata la decapitazione negli scorsi giorni di un giovane tunisino convertitosi al Cristianesimo. Inoltre il Ministero per gli Affari Religiosi tunisino ha intrapreso un’inchiesta penale contro Jalel Brick, noto blogger, che viene accusato di blasfemia. Lo stesso, che vive in Francia, mentre era seduto in un caffé dei Campi Elisi a Parigi, é stato colpito da una pugnalata sferratagli da giovani che avevano barbe inequivocabilmente salafite. In nome della “sharia “ Rachid Gannouchi, Presidente di Ennahada, il partito islamico il cui Segretario, Hamad Jebal,é il Primo Ministro, si é detto contrario all’abolizione della pena di morte. Ronde di uomini barbuti vanno in giro in città tunisine a minacciare baristi e donne senza velo. L’attore Rajab Magri, accusato di essere un miscredente, é finito in ospedale in seguito alle percosse ricevute. Immaginiamo, però, che tutto questo lascerà imperturbabile il prof. Riccardi, Ministro per l’Integrazione, che s’illude di poter” integrare” gli immigrati mussulmani e, forse, di farli addirittura, prima o poi, diventare membri della Comunità di S. Egidio. II – Il Presidente degli Stati Uniti,Obama, ha avuto l’impudenza di criticare di recente pubblicamente i Governi dell’Unione Europea per le loro poco incisive iniziative per risolvere la crisi economica esortandoli quasi a seguire l’esempio del suo esecutivo. “Incredibile auditu “! Forse ha dimenticato che l’attuale terribile crisi é nata nel suo paese come -giova ricordarlo- quella del 1929 che contribuì fortemente al sorgere del Nazismo. Ma questo grande statista aspira alla rielezione ed in campagna elettorale tutto-come si suol dire- fa brodo.

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POLITICA NAZ.

Sessanta anni per ricordare by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 giugno 2012 •

E’ stato questo il lasso di tempo necessario al Presidente Napolitano per ricordarsi dell’eccidio di Porzus. Solo ieri, infatti, il capo dello Stato in occasione della sua visita ufficiale in Friuli “si é degnato” di commemorare l’uccisione in una malga, ad opera di partigiani comunisti italiani, di numerosi altri partigiani sempre italiani (tra i quali anche il fratello di Pasolini, intellettuale di sinistra!)che si opponevano alle mire di annessione di quella regione alla Jugoslavia titina. I fatti e le responsabilità erano stati acclarati in maniera precisa da oltre un cinquantennio ma il P.C.I. non volle mai ammetterlo pubblicamente e Giorgio Napolitano, da zelante dirigente comunista, si adeguò. Così come difese con scritti sul quotidiano del partito l’invasione, da parte delle truppe del Patto di Varsavia, dell’Ungheria. Silenzio fino a qualche anno fa anche sui gulag e sulle varie dittature comuniste ed i loro terribili misfatti. In tutti questi anni il nostro Presidente ha, evidentemente, bevuto sempre l’acqua del Lete, il fiume infernale dalle cui acque, secondo la mitologia greca, dovevano bere per dimenticare (“lethe “in greco significa “oblio”) le anime destinate a nuovi corpi. Solo negli ultimi tempi pare si sia immerso nell’acqua dell’Eunoé (dal gr.”eu “= bene e”noo’s “= memoria ) che fa dimenticare il male e rende degni di salire alle stelle (“la sua virtu’ ravviva”, v. “Divina Commedia”, Purgatorio , Canto XXXIII, v.129). Si dirà “Meglio tardi che mai”. A chi ha memoria le sue prediche suonano, però, un poco stonate.

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POLITICA NAZ.

Ou’ sont-elles les neiges d’antan by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 maggio 2012 •

Avvertenza – Si ristampa questa articolo, pubblicato il 27 u.s., in quanto per un errore tecnico non vi figuravano le ultime due righe . La Redazione. ——– “Dove sono le nevi di una volta ?”si legge nella “Ballade des dames de jadis “ del famoso poeta medioevale francese Franc,ois Villon. Parafrasando questo verso si potrebbe dire: “Ou’ sont-ils les Secrétaires d’Etat d’antan ?” (= dove sono i Segretari di Stato di una volta ?”) pensando agli avvenimenti dei recenti anni verificatesi nella Curia Vaticana. Nel 2009, infatti, la Segreteria di Stato difese a spada tratta l’allora Direttore de “L’Avvenire”, Boffo, che era stato condannato in primo grado per aver perseguitato telefonicamente una signora e che, per chiudere definitivamente la faccenda, aveva dato alla medesima una somma. Sempre nel 2009 il Segretario di Stato nominò l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, uno sperimentato diplomatico, Segretario Generale del Governatorato della Città del Vaticano e ciò allo scopo di far ordine nella gestione di tale organismo dove il disavanzo era notevole. Questi lavorò alacremente ma-evidentemente- la sua “operosità” diede fastidio a qualcheduno talchè per “ricompensarlo” si utilizzò l’antichissimo strumento del “promoveatur ut amoveatur” cioé lo si designò nell’ottobre 2011 al prestigioso incarico di Nunzio Apostolico presso il Governo statunitense. Il che provocò le risentite reazioni dell’interessato che scrisse al Sommo Pontefice denunciando la manovra ed i notevoli sprechi rilevati. Ciò non bastando per riorganizzare l’Istituto Opere di Religione – lo I.O.R.- la banca che ha sede in Vaticano e d è stata oggetto di alcuni scandali essendosi prestata ad operazioni oscure, e per renderne trasparente la gestione, nel settembre del 2009, sempre il card. Bertone, Segretario di Stato, nominò Presidente dell’Istituto il prof. Ettore Gotti Tedeschi, stimatissimo banchiere, docente universitario e cattolico di forte fede. Il 21 maggio corrente l’esimio cattedratico é stato platealmente esautorato dall’incarico da una commissione cardinalizia con l’accusa di gravi -anche se non indicate all’opinione pubblica-inadempienze. Si dice che all’origine di questo inusuale defenestramento ci sia stata la volontà di Gotti Tedeschi di rendere “effettivamente” trasparente e consona con la normativa internazionale la gestione dello I.O.R. ed anche la sua opposizione al salvataggio del S. Raffaele mediante una rischiosa partecipazione nel capitale e l’assunzione di parte dell’enorme debito dell’istituto sanitario lombardo. Non cristallino è stato anche l’atteggiamento tenuto in questi anni dal Vaticano nella misteriosa vicenda della scomparsa della Orlandi e della del tutto inusuale sepoltura del malavitoso De Pedis nella chiesa di S. Apollinare in Roma. E’ infine di questi ultimi giorni l’arresto dell’aiutante di camera (il maggiordomo ) del Sommo Pontefice , Paolo Gabriele, con l’accusa di essere il c.d. corvo( o uno dei ) cioè colui che ha avrebbe divulgato all’esterno documenti riservatissimi.

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Secondo alcuni osservatori alla base di questa fuga di notizie vi sarebbe l’opposizione di molti-prelati e non- che lavorano in Vaticano al Segretario di Stato giudicato non all’altezza del suo altissimo e difficile ufficio. La cosa non é affatto da escludere. Quel che sembra certo é che i precedenti Segretari di Stato provenienti tutti, se la memoria non ci tradisce, dalla Curia e per ciò stesso esperti della complessa macchina della burocrazia vaticana e del governo della Chiesa e personalità prudentissime, non hanno mai avuto questi clamorosi incidenti . L’attuale Segretario di Stato non proviene dalla Curia. E’ un teologo, non uso quindi a guidare uomini. Come spesso accade ai professori, essi vivono nel mondo di Utopia dove tutto funziona secondo le regole. Quando devono cimentarsi con i problemi pratici dove la cattiveria e la meschinità umana giuocano un ruolo notevole si rivelano inadatti e possono combinare guai.

POLITICA NAZ.

QUAM MUTATUS AB ILLO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 22 maggio 2012 •

Così Enea proferisce (= quanto cambiato da quell’Ettore) quando gli appare il fantasma di Ettore con il corpo pieno di ferite essendo stato ucciso da Achille. Si potrebbe utilizzare questo famoso verso di Virgilio (Eneide, II, 274) allorquando si legge di magistrati che frequentano giovani molto vezzose coinvolte in processi o di altri corrotti od ancora di P.M. che partecipano a comizi etc. raffrontando il comportamento di vita usuale dei magistrati di qualche decennio fa. In genere essi non frequentavano persone che in qualche modo avessero a che fare con le aule di giustizia o fossero impegnate in politica, raramente apparivano in locali pubblici alla moda. Insomma erano consci dell’alto ministero che erano stati chiamati ad esercitare e per questo riscuotevano il rispetto della popolazione. C’era anche allora qualcheduno che tralignava ma si trattava di casi molto rari. Ad aiutare il percorso retto erano il divieto di esercitare nella regione di origine ed il sistema di promozione molto selettivo (anche dopo quello di ingresso ) dato che per i posti vacanti(ad es. Consigliere di Corte d’Appello) venivano periodicamente banditi concorsi che prevedevano l’esame, da parte di una Commissione formata da magistrati dii vertice, delle sentenze redatte dai candidati in un periodo uguale per tutti (ad es. il 1° semestre dell’anno x) e degli eventuali titoli (ad es. pubblicazioni). Ora tutti arrivano al grado di consigliere di Corte di Cassazione, esercitano spesso nella regione di origine e , grazie a vari escamotages, vi sono parenti che praticano l’avvocatura nella stessa zona. Ergo se non si cambia e rapidamente, On. le Ministro di Grazia e Giustizia,, le cose non potranno migliorare ed il paese continuerà a regredire. Una Giustizia malata impedisce, infatti, che il corpo sociale si sviluppi.

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POLITICA INTERNAZ.

RISPETTATI RISPETTATO

SE

VUOI

ESSERE

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 maggio 2012 •

E’ un’esortazione valida, in generale, nei rapporti sociali ancor piu’ in quelli internazionali. A questa regola di buon senso il nostro Governo non ha ottemperato nel caso dei due Marò in pratica “detenuti” da tre mesi in attesa di giudizio nel Kerala con l’accusa di aver ucciso dei pescatori indiani scambiati per pirati. L’episodio è avvenuto in acque internazionali (29 miglia dalla costa) in circostanze molto poco chiare. In base alle convenzioni internazionali (in particolare in base al principio dell’immunità delle forze militari in transito ed in servizio anti-pirateria) i due soldati dovrebbero essere giudicati dalla Magistratura del nostro paese. Le autorità indiane con un sotterfugio sono riuscite, invece, a farli sbarcare in un porto del Kerala, hanno tenuto sotto sequestro fino a qualche giorno fa la nave – l’Enrica Lexie- sulla quale essi erano imbarcati ed ora la magistratura indiana si accinge a giudicarli. L’accusa é molto grave: omicidio, tentato omicidio, danni, associazione a delinquere.. Se del caso la pena sarebbe altrettanto grave: probabilmente l’ergastolo. Il nostro Governo in questa vicenda, nella quale la politica interna indiana ha svolto e sta svolgendo un ruolo notevole, si é mosso male. Si potrebbe dire “comme d’habitude” visti i precedenti dei terroristi ospitati dalla Francia e mai estradati ed il caso Cesare Battisti che si sollazza sulle spiagge brasiliane. Ha, infatti, tergiversato cercando una soluzione “morbida”, inviando a tal fine varie volte in loco il Sotto Segretario De Mistura pur ribadendo il principio della non competenza della magistratura indiana. Ha – cosa ancor piu’ grave – elargito, tramite il nostro Ministro della Difesa, una somma alle famiglie dei pescatori giustificando il gesto come un atto di generosità e di solidarietà verso persone indigenti colpite da un così grave lutto. Se del caso il nostro Governo non doveva assolutamente apparire (tramite i nostri Servizi Segreti la somma poteva essere data da una qualche associazione caritatevole italiana) perchè, parafrasando l’antica massima “excusatio non petita accusatio manifesta” (= le scuse non richieste sono un’accusa palese), “donatio non petita accusatio manifesta” (= donazione non richiesta… ..). E’ stato un gesto maldestro che ha probabilmente rafforzato l’opinione delle autorità indiane che avevano a che fare con un Governo che avrebbe, alla fine, fatto “buon viso a cattivo giuoco”. Quel che, per contro, il nostro Governo avrebbe, a nostro parere, dovuto fare sarebbe stato: -cercare subito di ottenere il “fermo” e “solenne” sostegno di tutti i paesi coinvolti nell’operazioni anti-pirateria; -pretendere che la base dell’istruttoria fosse la documentazione satellitare internazionale che può in maniera inoppugnabile indicare la posizione della nostra nave e, probabilmente, anche quella dei pescherecci; -far comprendere a Nuova Delhi che non doveva attendersi in maniera assoluta da parte nostra un atteggiamento arrendevole e che tutte le relazioni bilaterali e, perché no? Anche quelle tra l’India e l’U.E. di cui l’Italia è uno dei maggiori membri, potevano essere gravemente compromesse; -non attendere tre mesi per richiamare il nostro ambasciatore per consultazioni, richiamo che nella prassi diplomatica internazionale significa una profonda preoccupazione per non dire irritazione nei confronti del Governo presso il quale è accreditato il diplomatico.

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Siamo quasi certi che questa sarebbe stata piu’ o meno la linea d’azione dei Governi di paesi che hanno dignità come, ad es. la Francia, il Regno Unito, Gli Stati Uniti etc. ma dubitiamo fortemente, per altro, che, conoscendo le loro probabili reazioni, Nuova Delhi avrebbe avuto verso detti paesi lo stesso atteggiamento riservato al nostro. Conclusione : “Chi é causa del suo mal pianga se stesso”! Il guaio é che nella fattispecie rischiano di piangere ed amaramente i nostri “dignitosi “ marò e le loro famiglie cui probabilmente verrà concessa a cose fatte un qualche indennizzo di consolazione. Chi scrive spera, ovviamente, di sbagliare ma nutre comunque un sentimento di vergogna per una tale mancanza di – come si dice volgarmente – spina dorsale!

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POLITICA NAZ.

«L’ASPETTO FORSE CHIMERICO DELL’ATTUALE ATTEGGIAMENTO DEL GOVERNO ITALIANO VERSO I PAESI DELL’AFRICA SETTENTRIONALE» by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 maggio 2012 •

I – “Chimera”, dal greco “Chimaira” = capra, mostro favoloso dalla testa di leone, dal corpo di capra e dalla coda di serpe. Era immagine dei fenomeni vulcanici frequenti nella Licia. Si immaginava perciò che gettasse In senso figurato «immaginazione strana e senza fondamento».

fiamme

dalla

bocca.

E’ quel che appare, tra gli altri atteggiamenti dei nostri governanti, la visita negli scorsi giorni del Presidente della Repubblica alla Moschea di Roma (accompagnato dall’instancabile Ministro per l’Integrazione, prof. Riccardi) al fine dichiarato di aprire vieppiù ai paesi islamici della sponda settentrionale del Mediterraneo prestando, in tal modo, fiducia alla c.d. primavera araba. A nostro sommerso parere è una fiducia alquanto mal riposta o meglio probabilmente un semplice “wishfull thinking” cioè un pensiero che si basa unicamente sul desiderio che si realizzi quel che si auspica. Da questa illusione (i cui fondamenti cercheremo di dimostrare più avanti) può derivare una politica estera del nostro Paese che può avere conseguenze pericolose giacché può, adiuvante il già citato Ministro Riccardi, portare ad aperture dei flussi migratori dai paesi del Maghreb e, ovviamente, ad un incremento della popolazione di fede mussulmana in Italia difficilmente integrabile, come si è visto in Francia, Gran Bretagna, Olanda etc., al rischio, correlato, della nascita di nuclei integralisti e dell’aumento del numero dei convertiti portati, come tutti i neofiti, all’estremismo ed anche al terrorismo (v. l’arresto a Pesaro di un convertito che, forse, stava preparando un attentato). II – Esaminiamo ora, molto succintamente, come si presenta la situazione, ad oltre un anno dall’inizio, nel gennaio del 2011 in Tunisia, della c.d. primavera araba, nei vari paesi del Nord Africa. MAROCCO Dopo la morte nel 1999 di Re Hassan II il successore, il figlio, Mohammed VI, ha intrapreso una politica più moderata e modernizzatrice rispetto a quella paterna. Nel 2004 venne riformata, ad es., la «Mudawwana», la normativa in materia di diritto di famiglia che offre una maggior tutela alle donne. Inoltre il 1° luglio 2011 un referendum ha approvato la riforma costituzionale globale che ridefinisce i poteri del sovrano e garantisca maggiori poteri al Parlamento. Il 25 novembre u.s. le elezioni (scarsa affluenza) segnano la sconfitta del Partito dell’Indipendenza ad opera del Partito Giustizia e Sviluppo (P.J.D.), di orientamento islamico moderato, che si aggiudica 107 seggi sui 395 disponibili. Seguono: il Partito dell’Indipendenza (in calo), il nuovo partito neo-monarchico dell’Autenticità e della Tradizione (buona affermazione), il Raggruppamento NAZ degli Indipendenti (in calo).

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Abdelilah Benkurane, esponente del P.J.D., viene incaricato di formare il nuovo governo. Il Sovrano è capo religioso del paese (“difensore della fede”), capo politico e militare. Essendo di dinastia alauita vanta un’origine sceriffiana ovvero una discendenza diretta dal Profeta ed anche per questo gode di una notevole autorevolezza tra la popolazione. Il Marocco è il 4° paese africano islamico per popolazione (34 milioni) dopo l’Egitto, il Sudan, l’Algeria. Circa 3 milioni di Marocchini vivono all’estero (in Italia circa 431.528 al 1° gennaio 2010). Dal 2003 si è registrata una discreta crescita economica grazie ad uno sviluppo industriale diversificato (chimica, petrolchimica, automobilistica) ed alle risorse minerarie del paese (è al 1° posto per l’estrazione dei fosfati rocciosi). Nel paese sono presenti anche giacimenti di piombo e argento (al 10° posto al mondo per la produzione), carbone (al 15° posto) nonché di oro, zinco, rame, manganese, cobalto, etc. Buone anche la produzione agricola, l’allevamento e la pesca. Tasso di crescita reale del P.I.L. marocchino: a. 2009 (4,9%); 2010 (3,7%); 2011 (4,6%). Debito pubblico: 61,1% del P.I.L. (2010); 65% del P.I.L. (2011). Fonte: C.I.A. World Fact Book. I problemi principali del paese sono: il sottosviluppo delle regioni meridionali, l’alto tasso di disoccupazione (9,8% quello stimato nel 2010; oltre il 30% quello giovanile); la povertà (P.I.L. “pro-capite” 2011 stimato: 5.100 dollari); circa il 15% della popolazione è sotto la soglia di povertà. Il 18 gennaio di quest’anno quattro giovani universitari si sono dati ad es. fuoco a Rabat. Inoltre giova ricordare che la presenza di Al Qaeda nel paese si è manifestata con sanguinosi attentati: nel 2003 a Casablanca, nel 2008 a Marrakech. Ancora irrisolto il problema del Sahara Occidentale che aspira all’indipendenza e che spinge il governo a sostenere ingentissime spese militari. Conclusivamente si può ritenere che la situazione di questo paese, anche se migliore di quella in altri paesi dell’area, non è del tutto tranquilla. ALGERIA Il «Fronte di Liberazione Nazionale» (F.L.N.) è il partito unico che dall’indipendenza guida il paese. Il Presidente Benteflika è al potere dal 1999. Malgrado la disponibilità nel paese di importanti fonti d’energia la popolazione incontra gravissime difficoltà (l’80% c.a. è analfabeta; la disoccupazione si aggira sul 10%; alto il tasso d’incremento demografico, il salario mensile medio è di 150 euro) mentre la classe al potere, formata da militari, ha la vita facile. La situazione dell’ordine pubblico è perciò non tranquilla quantunque il regime sia fino ad ora riuscito ad evitare manifestazioni di massa in grado di capovolgere lo “status quo”. La Cabilia berbera (4 milioni sugli oltre 36 milioni dell’intera Algeria), per tradizione più radicale ed indipendentista, è la più fiera oppositrice del regime militare (rivolte del 1980, 600 morti; del 2001 126 morti). A rendere il quadro preoccupante è anche il fatto che soprattutto nelle aree meridionali del paese sia presente l’A.G.M.I. (Al Qaeda nel Maghreb Islamico), fenomeno assolutamente da non sottovalutare. Nell’aprile del 2007, ad es., delle autobombe furono fatte esplodere ad Algeri causando 33 morti e 150 feriti; nell’agosto del 2011 morirono 18 persone in seguito ad un attacco suicida alla scuola militare di Cherchell.

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Senza dimenticare la turista italiana rapita nell’Algeria meridionale e liberata solo dopo un anno. Nel 2014 si dovrebbero tenere le elezioni i cui esiti sono del tutto imprevedibili. Quel che è certo è che nel paese vi è una consolidata presenza nella vita politica ma soprattutto in quella sociale di un Islam radicale. TUNISIA E’ il paese del Maghreb forse più vicino per mentalità e costumi all’Europa. Registra una popolazione relativamente ridotta in numero (10.432.500 nel 2011 di cui circa 1 milione risiede all’estero; in Italia oltre 150 mila). Nel gennaio 2010 inizia a Tunisi la sollevazione popolare contro il regime dell’ex-generale Ben Alì, Presidente della Repubblica, dopo un colpo di stato, dal 2 aprile 1989 che lo obbliga all’esilio. Comincia la c.d. primavera araba. Nell’ottobre 2011 elezioni dell’Assemblea Costituente incaricata di redigere la nuova Costituzione che vedono la vittoria con il 37% dei suffragi (89 seggi su 217) del partito “Ennahada” (= rinascita), movimento di tendenza islamica. Il 13 dicembre 2011 l’Assemblea elegge Moncef Marzouki (del Congresso per la Repubblica – C.P.R.) nuovo Capo dello Stato. Il 24 dicembre u.s. il Governo di coalizione (Ennahada, i due partiti laici, cioè il Congresso per la Repubblica C.P.R. che aveva ottenuto l’8,7% dei voti e conquistato 29 seggi e Ettakatol, 21 seggi) guidato da Hamadi Jebali ottiene la fiducia dell’Assemblea Costituente. L’Assemblea dovrà riscrivere la Carta Costituzionale e questo sarà, a nostro parere, il banco di prova delle intenzioni democratiche del nuovo corso. Invero se verrà inserita, come da alcuni gruppi si chiede, nella Costituzione la previsione che la “Sharia” (il “corpus” giuridico islamico, derivato dal Corano e dai detti del Profeta e perciò immodificabile, che statuisce in materia civile e penale e soprattutto per quanto riguarda i rapporti familiari) sia la norma base dell’ordinamento tunisino cui dovranno essere assoggettate tutte le leggi emanande e, soprattutto, tutti i cittadini anche non mussulmani, la tutela delle libertà individuali sarà compromessa. Qualche cenno alla situazione economico-sociale. Il tasso di disoccupazione è pari al 18% circa della popolazione attiva. I disoccupati sono perciò circa 800.000. La disoccupazione giovanile è di oltre il 40%. Anche in questo paese la mancanza di posti di lavoro rappresenta il principale problema, problema di difficilissima soluzione in considerazione delle scarse risorse finanziarie interne e della crisi economica che affligge l’Europa, principale partner della Tunisia, che riduce gli apporti finanziari del Continente. Si calcola che per ridurre la disoccupazione al 10% sarebbe necessario che l’economia tunisina crescesse del 6% annuo per parecchi anni[1]. Aiuti finanziari ad opera degli organismi internazionali e/o da Stati amici sembrano perciò indispensabili. Una promessa in tal senso è giunta nel corso di una recentissima visita a Tunisi dalla Direttrice del F.M.I..

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D’altra parte i dati economici non sono confortanti. La Tunisia dispone di scarse materie prime e basa la propria economia sulle esportazioni di beni (47% del P.I.L. nel 2010); le rimesse degli emigrati (5% del P.I.L. nel 2010); il turismo (7% del P.I.L. nello stesso anno); l’agricoltura (10,6%). Il debito estero nel 2010 è stato pari al 52,3% del P.I.L.. Anche qui i rischi di un’involuzione verso una politica integralista, anche se minori che altrove, non sono da ritenere del tutto inesistenti. Dipenderà dalla situazione dell’occupazione soprattutto giovanile. La mancanza di lavoro può, infatti, esasperare gli animi e renderli sensibili alle sirene dei gruppi integralisti. LIBIA Dalla rivolta tunisina scaturì nel febbraio 2011 quella della Cirenaica, quindi la guerra civile e l’intervento militare di alcuni paesi occidentali e nell’ottobre 2011 la cruenta fine della dittatura di Gheddafi. Non sembra però che il paese sia stato pacificato. Il Consiglio Nazionale di Transizione costituitosi a Bengasi il 27 febbraio 2011 e riconosciuto dall’ONU come legittimo governo di transizione, intende scrivere una nuova Costituzione ed organizzare le elezioni ma non è ancora riuscito a ristabilire l’ordine. Rimangono, infatti, attivi Gruppi armati di diversa origine più che altro di natura tribale sui quali il C.N.T. non riesce ad imporre la propria autorità e questo dà vita a scontri armati (ad es. nei giorni scorsi tra le tribù dei Tibu e l’esercito libico nel Sud-est del paese). Altro esempio di una situazione instabile è il fatto che il 6 marzo u.s. a Bengasi, la capitale della Cirenaica, la regione più ricca in petrolio della Libia, è stato costituito, nonostante le proteste del C.N.T., il “Consiglio Provvisorio della Cirenaica” (alla cui testa è stato posto Ahmed Al Senussi, pronipote dell’ultimo sovrano, re Idriss) che chiede più autonomia per tale regione. La secessione della Cirenaica non sembra probabile. Più prevedibile la sua collocazione in un assetto federale del paese. Una partita a parte sembra stiano giocandola i gruppi d’ispirazione islamica e le tribù che erano rimaste fedeli a Gheddafi. Nel frattempo frequenti e pesanti le violazioni dei diritti umani denunziate da varie organizzazioni umanitarie. Il paese è di notevole importanza strategica ed economica per l’Occidente e per l’Italia. E’ il meno popolato del Magreb (6.567.110 abit. circa – stima 2012) ma è il più ricco sotto il profilo delle materie prime energetiche. Il gas ed il petrolio contribuiscono al 65% del P.I.L. libico, al 95% delle esportazioni, all’80% delle entrate governative. L’Italia è il 1° esportatore ed il 1° importatore di greggio (39% circa). Grazie a tali risorse il livello di vita libico fino ad ora era abbastanza buono se raffrontato con quello dei paesi limitrofi (P.I.L. pro-capite stima 2010 = 14.100 dollari). Come si evolverà la situazione dipenderà dall’esito delle elezioni che dovrebbero tenersi nel giugno di quest’anno. Il futuro è, però, denso d’incognite.

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Per il nostro paese un elemento di speranza è stato il ripristino di buoni rapporti tra l’ENI e le autorità libiche. E’ però probabile, come ha dichiarato Laurens Jolles, delegato per il Sud Europa dell’Agenzia delle N.U. per i Rifugiati U.N.H.C.R., che si avranno, sulle nostre coste, nuovi arrivi di rifugiati dai paesi sud-sahariani essendo venuto meno il controllo delle forze libiche. Sotto la linea del Sahel (la fascia che va dal Senegal al Mar Rosso separando il Sahara dall’Africa Nera) c’è, infatti, una polveriera che minaccia di stabilizzare mezzo continente e d’islamizzarlo completamente. Qualche cinico a questo punto potrebbe probabilmente osservare: «Forse Gheddafi era il minore dei mali!». EGITTO E’ lo Stato più popolato del Maghreb (85.688.164 ca. stima 2012). L’età media è di 24,3 anni. L’età del 62,8% della popolazione va dai 14 ai 64 anni. Il tasso di fertilità è di 2,94 nati/donna (64° posto nella classifica mondiale). Il tasso di crescita della popolazione è dell’1,922% ca. (59° posto nella classifica mondiale). Il 43,4% ca. della popolazione risiede nei centri urbani. Il 90% ca. degli Egiziani è di rito sunnita, i copti sono circa il 9% ca. della popolazione, l’1% ca. di altre fedi cristiane. In tutto il mondo sunnita è molto influente l’antichissima Università teologica di Al-Azhar del Cairo (970 d.C.). L’economia egiziana, molto centralizzata durante il governo del Presidente Nasser, si è aperta notevolmente nel periodo del Presidente Sadat ed ancor più durante la presidenza di Mubarak onde attirare gli investimenti dall’estero. Le principali attività economiche del paese sono: il turismo, l’industria manifatturiera, le costruzioni, l’agricoltura. Il tasso di crescita del P.I.L. è stimato essere stato del 4,7% nel 2009; del 5,1% nel 2010; dell’1,2% ca. nel 2011. Il P.I.L. “pro-capite” nel 2010 e nel 2011 viene stimato pari a 6.500 dollari (135° posto nella classifica mondiale). Il P.I.L. è così distribuito per settore (stima 2001): agricoltura (14,4%); industria (39,5%); servizi (45,8%). Il 51% (stime 2001) degli occupati lavora nel settore dei servizi, il 32% in agricoltura; il 17% in quello industriale. La percentuale di disoccupati è stata del 9% nel 2010, del 12,2% nel 2011 (stime). La popolazione al di sotto della soglia di povertà nel 2005 (stime) era il 20% ca. Si ritiene che il disavanzo di bilancio sia stato nel 2011 pari al 10,6% del P.I.L. e che il debito pubblico sia cresciuto del 4,3% passando cioè dall’85,7% del P.I.L. del 2010 all’81,4% del P.I.L. dell’ultimo anno. Si stima che il tasso d’inflazione (prezzi al consumo) del 2011 sia stato dell’13,3%. Il debito estero a fine 2011 (stime) ha registrato un incremento di 1,49 miliardi di dollari essendo passato dai 35,37 miliardi del 2010 ai 37,28 miliardi del dicembre scorso. La rivolta nel 2010 contro il Presidente tunisino spinse la popolazione del Cairo il 25 gennaio 2011 a protestare a Piazza Tahir contro il regime di Mubarak. Le manifestazioni continuarono il 28 gennaio ed il 2 febbraio con scontri cruenti tra polizia ed esercito.

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L’11 febbraio, dopo 18 giorni di occupazione da parte dei manifestanti della Piazza Tahir, Mubarak rassegnò le dimissioni. I poteri presidenziali vennero assunti dal Maresciallo Tantawi. Il 19 marzo un referendum approvò una riforma costituzionale (77,2% dei suffragi a favore). Il 28 novembre nella prima dei tre turni in cui si articolano le elezioni in Egitto, hanno trionfato nella Camera Bassa i partiti islamici: (72% ca.): “Libertà e Giustizia” (ovvero i Fratelli Mussulmani), che era stata molto attiva nel corso delle manifestazioni, ha ottenuto 235 seggi e, a sorpresa, “Al Nour” salafita ancora più integralista del primo, ha conquistato 120 setti. Il partito liberale Al Wafd ha ottenuto il 7%. Il restante 22% delle preferenze è andato ad una decina di altri partiti tra i quali il “Blocco Egiziano” di orientamento liberale. Il 23 gennaio 2012 si è insediato il primo parlamento dopo l’epoca di Mubarak. Il 25 gennaio c.a. ha avuto luogo a Piazza Tahir una manifestazione per chiedere un passo indietro da parte del Consiglio Superiore delle Forze Armate. Non sono state ancora fissate le date per le elezioni della Camera Alta (corrispondente al nostro Senato). Per contro il 23-24 maggio p.v. si terrà la consultazione elettorale per l’elezione del Capo dello Stato. Anche per l’Egitto formulare previsioni è impossibile. L’incognita è anche qui l’evolversi della situazione economica e l’atteggiamento dei “Fratelli Musulmani” e dei Salafiti che potrebbero sfruttare il malcontento popolare per introdurre leggi di ispirazione integralista che metterebbero a repentaglio i già precari rapporti con la minoranza copta oggetto di forti discriminazioni e che sotto Mubarak era abbastanza protetta. III – Da questo quadro, che ci si è sforzati di delineare in maniera sommaria, crediamo si possa evincere che: a) nel complesso la situazione politica dei vari paesi del Maghreb è – per usare una eufemismo – piuttosto fluida; b) la presenza di un Islam integralista, anche se con gradazioni diverse di radicamento a seconda dei paesi, è una costante in tutta l’area; c) la situazione dell’economia del Maghreb registra, anche a causa della crisi economico-finanziaria mondiale, segnatamente di quella dell’U.E., principale partner commerciale dei paesi nord-africani, uno stallo se non un andamento negativo; d) la crisi economica non favorisce la soluzione del cronico problema della disoccupazione che li affligge; e) i movimenti integralisti non possono, verosimilmente, che trarre vigore da tutto ciò; f) c’è perciò da attendersi un aumento dei flussi migratori, irregolari e non, dall’area in questione, verso l’Europa ed il nostro paese in particolare. Tutto ciò considerato ci sembrano, perciò del tutto giustificato i timori manifestati da chi scrive nella premessa. Dato, tuttavia, che la geografia fa sì che l’Italia abbia interesse ad avere come dirimpettai paesi non esacerbati da una crisi economico-sociale occorre, a nostro avviso, praticare una politica nei confronti dei medesimi che si prefigga di: a) favorirne lo sviluppo economico-sociale; - ma -

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b) ridurre al minimo i flussi migratori onde evitare l’insediamento di altre migliaia di immigrati islamici sul nostro territorio che renderebbe del tutto aleatoria l’integrazione e provocherebbe reazioni sociali di rigetto da parte della popolazione italiana. Giova ricordare che in Italia, come sopra accennato, gli immigrati di fede musulmana sono oltre un milione. In Europa arrivano a venti milioni! Giorgio Castriota Santa Maria Bella[2]

[1] Nel 2009 e nel 2010 è stata del 3,1%. Si stima che nel 2011 non si sia registrata alcuna crescita (Fonte: C.I.A. World Fact Book). [2] Su questa tematica l’autore ha scritto in passato vari articoli. Ad es.: - “L’illusione di un Islam moderato e le insidie per l’Europa comunitaria” (in “L’opinione delle libertà” del 6.10.2010); - “L’incognita dei Fratelli Musulmani” (in “Carta libera” del 4.2.2011); - “Si arresteranno i flussi di profughi o sarà la finis Europae?” (ibidem del 28.02.2011); - “Come si evolverà la situazione politica nel Nord Africa?” (ibidem del 28.03.2011); - “La c.d. primavera araba rischia di trasformarsi nel dominio della Sharia” (ibidem del 26.10.2011); - “La c.d. primavera araba si sta trasformando in un inverno per la democrazia?” (ibidem del 13.12.2011).

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POLITICA NAZ.

UN INCOMPRENSIBILE DEL GOVERNO MONTI

RITARDO

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 aprile 2012 •

A chi ha buon senso(dote fondamentale nei comportamenti umani soprattutto in quello dei governanti!) sarebbe apparso necessario che ai primi posti dell’agenda del Governo Monti avesse figurato la revisione della spesa pubblica . Ad oltre quattro mesi dall’entrata in funzione di questo Esecutivo apprendiamo dal ministro Giarda, incaricato di procedere a tale compito- il quale é essenziale forse piu’ che il raschiare il fondo del barile dei tributi-, che il suo lavoro incontra enormi difficoltà. Non dispone, infatti, di personale, gli apparati ministeriali ed i vari Ministri fanno ostruzionismo (on forniscono cioé i dati necessari e si oppongono agli eventuali tagli). Nel frattempo la stampa segnala quasi ogni giorno casi di sperperi ad opera della pubblica amministrazio, centrale o locale . Il carico fiscale, unito alla stretta creditizia, contribuisce al perdurare del ciclo recessivo del paese. I cittadini, che si attendono di veder aumentare gli oneri fiscali, non spendono. La macchina produttiva é perciò in una fase di stallo . Le imprese, infatti, oberate dal carico fiscale, le quali, se lavorano con le pubbliche amministrazioni, vengono pagate, per sovramercato, dopo mesi se non anni, e che non ricevono l’indispensabile ossigeno finanziario da parte del sistema creditizio, o languono o chiudono. Il cerchio infernale così é chiuso ! Una sollecita revisione della spesa pubblica consentirebbe, per contro, quasi sicuramente, di ripianare, almeno in larga misura, il disavanzo pubblico che é il vero male del nostro paese, faciliterebbe il calo dello spread e ,per conseguenza, alleggerirebbe l’onere del debito pubblico e il livello dei tassi bancari scemerebbe, le imprese ne trarrebbero grande giovamento perché risulterebbero per esse piu’ agevoli gli investimenti che sono indispensabili per competere. Da tutto ciò quasi sicuramente l’avvio della ripresa. Forse un buon “padre di famiglia” senza prestigiosi titoli accademici avrebbe operato in tal guisa. I maligni a questo propsito ricorderebbero una vecchia battuta cattiva: “Chi sa fa, chi non sa insegna”! ——– -Nota della Redazione N.B. L’articolo è datato 27aprile u.s. quindi prima della decisione adottata il 30 aprile dal Governo di accelerare il processo di revisione della spesa pubblica e di nominare commissario straordinario per tale procedimento Enrico Bondi.

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ECONOMIA

«IL CAPITALISMO TOSSICO – CRISI DELLA COMPETIZIONE E MODELLI ALTERNATIVI» by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 18 aprile 2012 •

Marco Bertorello – Danilo Corradi:

«IL CAPITALISMO DELLACOMPETIZIONE ALTERNATIVI»

TOSSICO E

– CRISI MODELLI

Postfazione di Riccardo Bellofiore Edizione: Alegre – Giugno 2011 – Euro 16,00; pagg. 187[1] Il Saggio si articola in: una “Premessa”; in tre parti e si conclude con la postfazione del Prof. Bellofiore. E’ un tentativo di analisi più approfondita delle ragioni strutturali della crisi e di formulazione di nuove soluzioni onde evitarne il ripetersi. I – Nella “Premessa” si ricordano le origini della crisi economica e finanziaria manifestatasi con il fallimento della “Lehman Brothers” e, secondo gli autori, il fallimento dei tentativi per superarla definitivamente anche se ammettono che non si è verificata la deflagrazione temuta. Gli squilibri economico-sociali a tre anni dall’inizio della crisi pur tuttavia permangono nella loro interezza tanto che sono tornati alla ribalta gli eccessi della finanza, ed il pericolo dei titoli a rischio e che, malgrado gli ingenti interventi pubblici sul fronte finanziario, il 18 aprile dell’anno scorso il debito pubblico statunitense è stato declassato da stabile a negativo (e così recentemente quello francese ed italiano) e permane il pericolo dell’insolvenza della Grecia e di un effetto domino. «Complessivamente si ha la percezione (scrivono gli autori) di un modesto equilibrio faticoso da raggiungere ed ancora più difficile da mantenere». Il difetto delle analisi economiche, ad avviso di Bertorello e Corradi, risiede nel fatto che esse assomigliano ad un coro propagandistico mirante ad infondere la tanta agognata fiducia piuttosto che ad una disamina dei limiti complessivi e strutturali che permangono ben oltre la timida ripresa di un momento e che risiederebbero nel fatto che il Capitalismo è “tossico” ben oltre i titoli ed inadeguato a risolvere i problemi che ha creato (dall’ambiente alle diseguaglianze). Al Capitalismo soprattutto va addebitato l’avvio di un meccanismo infernale basato sulla competizione totale di cui non si vede la fine. Da queste considerazioni nasce una lettura, che viene esplicitata nei tre capitoli del volume, volta ad analizzare soprattutto le cause di fondo della crisi e di ipotizzare – come si è accennato – strumenti originali incentrati su un “nuovo umanesimo”.

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II – Nella “Parte Prima” (“Uno sguardo da lontano” pag. 15-59) viene ricordato il titolo di un libro dell’antropologo Claude Lévi Strauss (“Le regard éloigné”), che doveva rispecchiare l’essenza dell’approccio etnologico basato su una simbiosi tra teoria e pratica e la preoccupazione di completezza nel proporre la materia dopo una vita di ricerca, per affermare che l’approccio dell’analisi della complessa dinamica economica non può, contrariamente a quanto si è spesso fatto, essere basato prevalentemente su una concezione dell’economia come una scienza assoluta che si fonda sull’uso di complicate funzioni matematiche capaci di costruire prodotti finanziari basati su un’articolata diversificazione di investimenti che si presumeva potesse restare sempre in equilibrio. Non si è cioè compreso che l’ingegneria finanziaria non era in grado di superare contraddizioni di natura prettamente umana ovvero non calcolabili mediante statistiche e econometria. I modelli macroeconomia si sono perciò rivelati abbastanza inefficienti perché avevano la presunzione di escludere incertezza ed imprevedibilità dalle vicende umane talché non si è previsto che agli eccessi avrebbe fatto seguito la crisi. Inoltre sul mondo dell’economia il dato immediato serve a condizionare il presente piuttosto che a comprenderlo nell’ambito di un interpretazione di un lungo processo d’ordine strutturale. In conclusione è indispensabile un approccio inter-disciplinare (antropologia, psicologia di massa, sociologia, demografia, sviluppo tecnico). In questa parte vengono elencate le molteplici cause della crisi (i regolamenti bancari, le politiche della Federal Reserve, le società di rating, le speculazioni, la bolla immobiliare, i prodotti derivati etc.) ma si punta l’indice su quella che viene considerata dagli autori l’errore di fondo ovvero la convinzione che il modello capitalistico rimanga pur sempre valido e che attraverso l’econometria con il suo apparato sofisticato di funzioni il mercato trovi costantemente, prima o poi, il suo equilibrio purché sia ritrovato il moralismo perduto (E. Gotti Tedeschi su “Il Sole-24 Ore del 13.02.2010). A giudizio degli autori di questo saggio la crisi è, invece, di natura strutturale non nel senso, però, di una crisi definitiva del capitalismo per auto-esaurimento bensì del tramonto di un modello di accumulazione, di un sistema di regolamentazione e di una gerarchia geopolitica non più estendibili. La recessione sarebbe il risultato di una precedente fase di espansione caratterizzata da un salto tecnologico capace di imprimere una forte crescita del saggio di profitto spinto da una notevole impennata della produttività e dall’apertura di nuovi settori di accumulazione. L’inversione del ciclo espansivo in recessione si verificherebbe quando la crescita degli investimenti supera la possibilità di assorbimento del sistema a partire dal limite imposto dai consumi della popolazione. L’espansione a quel punto rallenta. Ogni nuovo investimento riscontrerà saggi di profitto più modesti, gli investimenti diminuiranno, il settore di beni capitali dismetterà attività creando disoccupazione, scemerà ancor più la domanda. Si passerà così dalla crescita ad una brusca frenata, prima, quindi alla crisi vera e propria. La crisi, secondo questa scuola di pensiero, non sarebbe un’anomalia dell’accumulazione capitalistica ma sarebbe connaturata con gli stessi meccanismi di fondo della produzione. Essa cioè si verifica dove il mercato non è riuscito ad allocare le risorse nel modo corretto e questo non per un errore ma per il suo intrinseco modello di crescita. Nell’ultima crisi è apparso, dagli anni ’80, un fenomeno centrale e peculiare per la sua durata: l’incremento straordinario del ruolo del credito non solo nella sua funzione di allocazione del capitale ma anche in quella di sostegno ai consumi ed agli investimenti privati e pubblici a debito.

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Mentre si alzava il saggio di profitto, riducendo la massa salariale, si tenevano cioè abbastanza alti i consumi attraverso l’indebitamento nelle sue varie forme. In altri termini la finanza è stata lo strumento con cui è stato possibile sostenere un tale modello e contemporaneamente produrre quello che gli autori chiamano “capitale fittizio” il quale ha contribuito in maniera determinante a tenere alti i profitti, a gonfiare i patrimoni ed in tal modo ad incrementare i consumi. L’economia a debito (debito pubblico e privato) è ancora operante e conferma la fragilità del contesto macroeconomico attuale. III – Nella “Parte Seconda” (“Dove va il capitalismo della crisi?”) vengono affrontate le teorie e l’azione a supporto del capitalismo della crisi ovvero di quel sistema che, secondo gli autori, in definitiva l’ha prodotta ed a cui non si intende rinunciare in quanto non si concepisce nulla al di fuori di esso. I provvedimenti adottati dai Governi hanno operato «in supplenza» del mercato perché questo non era stato capace di auto-regolamentarsi ed in quanto che l’ormai famoso “troppo grandi per fallire” è diventato un assioma. E’ stato così sovvertito il peculiare cliché liberista che assegnava al mercato e solo ad esso il metro per la sopravvivenza di un’azienda. Il quadro e le possibilità di uscire dalla crisi risultano complicate soprattutto dalla circostanza che non sembrano esservi paesi guida all’orizzonte capaci di prefigurare una fuoriuscita comune dalla crisi. L’Occidente ristagna ed i paesi emergenti, quantunque mantengano tassi di crescita importanti di per sé, non possono rappresentare un modello non foss’altro per i modesti standard di partenza. La soluzione potrebbe essere trovata nell’insieme dell’economia cioè nella globalizzazione. Questa, però, coma ha ricordato l’economista Deaglio[1], “è stata ben più di una semplice apertura commerciale tra paesi, di una crescente inter-dipendenza tra sistemi economici nazionali, di una crescente libertà d’azione per le multinazionali. Ha costituito, in realtà, un sistema a se stante con regole ed organi propri in grado di sovrapporsi ai sistemi economici nazionali e regionali (come l’Unione Europea) ed alle entità politiche che li rappresentano. Ha cercato di stemperare l’identità dei paesi e gruppi di paesi partecipanti in un unico meccanismo di mercato governato da norme e comportamenti in vario modo ispirati a quelli in uso negli Stati Uniti. Ciò avrebbe generato, secondo Deaglio, un forte rallentamento, se non addirittura un’inversione di tendenza, in quanto si starebbero affermando «processi di de-globalizzazione» a fronte delle contraddizioni frutto dell’impossibilità di realizzare una crescita generalizzata e lineare su scala mondiale. L’adozione dei principi del libero mercato ha assunto, per conseguenza, connotazioni diverse a secondo dei paesi. In Cina e Giappone, ad esempio, dove è presente una simbiosi tra Stato e privati, si può notare come la presenza dello Stato vada ben oltre quella che ha caratterizzato fino a qualche anno fa paesi, come quelli europei, che si potevano definire capitalistici più o meno puri. I paesi occidentali, tuttavia, hanno recentemente attenuato i lineamenti della globalizzazione di tipo capitalistico come avevamo conosciuto attraverso interventi di natura pubblica. Si assiste, per conseguenza, ad una certa omogeneizzazione delle diverse realtà economiche e ad uno slittamento del baricentro globale dall’Oceano Atlantico a quello Indiano. Con molta probabilità si affermerà un modello policentrico che determinerà la fine di quello iniziato con la rivoluzione industriale cioè a guida anglo-sassone.

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Gli intrecci economici tra le varie aree diventeranno sempre più importanti e ciò dovrebbe scongiurare il rischio di guerre commerciali e mantenere un certo equilibrio tra le varie entità economiche anche se non sono da escludere scontri attraverso forme di protezionismo utilizzando, ad esempio, i dazi onde compensare il mancato apprezzamento del renminbi cinese [N.d.r. Nei giorni scorsi, però, Pechino, ha annunciato che il margine di oscillazione della valuta cinese rispetto al dollaro aumenterà dallo 0,5% all’1%] e riequilibrare salari ed esportazione su scala internazionale come ha prospettato Paul Krugman (v. Il Sole-24 Ore del 16 ottobre 2010) o sfruttando le regole del W.T.O. a fini discriminatori od anche concedendo forme di sostegno pubblico ai produttori nazionali. Queste forme di guerra “a bassa intensità” rappresentano interventi non risolutivi per la ripresa economica perché, stando ai nostri autori, nel capitalismo contemporaneo vi è l’incapacità di risolvere le proprie contraddizioni. IV – Nella “Terza Parte” dello studio (“Cambiare, ovvero farla finita con il capitalismo”) si individua nel venir meno dei principi fondamentali della libera concorrenza secondo cui «le nuove combinazioni portano all’eliminazione delle vecchie appunto attraverso la concorrenza»[2]che spiega «il processo di ascesa e caduta economica e sociale di individui e famiglie proprio dentro questa forma di organizzazione»[3]. Il capitalismo, secondo J. Schumpeter, si caratterizza e riesce ad essere superiore ai sistemi che l’hanno preceduto in virtù di un’incessante capacità di sviluppo endogena in cui i meccanismi della concorrenza creano combinazioni tra innovazioni produttive, tecniche ed organizzative. Sempre secondo l’economista moravo il principio guida dello sviluppo è l’affermarsi ciclico di quella che definiva «distruzione creatrice» che consente periodicamente di sconquassare il meccanismo di accumulazione attraverso nuova offerta che soppianta quella vecchia e dà nuovo smalto all’intero sistema. Questo meccanismo – a detta degli autori – non viene più perseguito (anche se nel passato non è stato facile metterlo in atto a causa dei vari escamotages utilizzati come i cartelli, gli oligopoli, i monopoli etc.). Il capitalismo contemporaneo ha, infatti, prodotto imprese grandi al punto di non potersi permettere di vederle fallire pena l’entrata in crisi dell’intero sistema. E’ stata, per conseguenza, accettato il principio «too big to fail» cioè il divieto di far fallire le imprese troppo grandi. In quest’ottica il sistema produttivo attuale lega le remunerazioni espressamente alla vendita dei prodotti e la crescita della produttività viene perseguita attraverso la riduzione dei costi in particolare quelli del lavoro e non più, come nel passato, attraverso l’organizzazione produttiva, le innovazioni tecniche di processo e/o di prodotto. Donde la c.d. flessibilità contrattuale. In tal modo il rischio d’impresa si riduce per il capitale scaricandosi sul lavoro. Quest’ultimo, mentre perde progressivamente posizioni nei confronti dei profitti, viene coinvolto negli andamenti del mercato. Con il processo di globalizzazione e di de-localizzazione vi è la ricerca costante di un costo minore di cui fa le spese il lavoro che – secondo gli autori – è messo all’asta su scala internazionale. Inoltre con la crisi vi è la tendenza ad un’accentuata concentrazione finanziaria ed industriale (si è calcolato che per il solo 2010 sia aumentata del 10%). Contemporaneamente si verifica un’espansione di tutti gli strumenti atti ad attirare gli investimenti: finanziamenti pubblici in molteplici forme, sconti fiscali, incentivi, isole extra-territoriali. In conclusione la dimensione del capitale e la logica della globalizzazione hanno scaricato gran parte dei rischi e dei costi d’impresa sui lavoratori e una rilevante quota della sfida concorrenziale sugli Stati. Si è avuta una specie di protezionismo internazionale delle grandi banche e dei grandi gruppi industriali nel senso che più tali soggetti sono nelle posizioni più elevate lungo la scala dimensionale e meno concorrenza è rintracciabile.

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L’applicazione delle ricette Keynesiane (investimenti pubblici per aumentare la domanda aggregata ed attivare in tal modo il moltiplicatore e l’acceleratore capaci di far crescere profitti ed occupazione eventualmente nel quadro di un nuovo accordo tra produttori) presenta, però, dei limiti ed è soggetta a condizioni. La crescita della domanda attraverso il disavanzo pubblico è limitata, invero, dalle condizioni del paese (v. i casi Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna ed anche – seppure in misura minore – Italia). Risulta infatti difficile nel tempo rifinanziare un debito considerato sempre meno solvibile e per ciò stesso sempre più oneroso con il conseguente aggravamento del bilancio pubblico. Vi è poi il rischio che, affidandosi al debito pubblico, i Governi si mettono – come ha ricordato Jacques Attali[4] – gradualmente nelle mani dei mercati. Per ovviarvi non ci sono che due soluzioni: non ripagare il debito sovrano o realizzare la crescita economica che consente il risanamento e grazie al conseguente aumento delle entrate fiscali consente il rimborso del debito. La prima soluzione è per vari motivi scarsamente praticabile. Non semplice da attuarsi anche la seconda. Secondo gli autori il problema della crisi del capitalismo attuale è, però, di natura strutturale nel senso che si tratta di una crisi della struttura e della regolamentazione economica del precedente ciclo di accumulazione a cui si somma una crisi sociale ed ambientale che segna nuovi limiti alla stessa concezione capitalistica dello sviluppo e della crescita. Il sistema capitalistico necessita di profondi correttivi ma allo stato non appaiono sistemi alternativi. La questione ambientale, che è frutto degli errori e degli eccessi dell’odierno sistema produttivo basato nel profitto con una visione di breve termine che comporta una competitività esagerata, necessita di misure urgenti prima che sia troppo tardi per l’intero pianeta stante anche la limitazione delle sue risorse. E tali interventi non possono essere lasciati alle forze del libero mercato bensì ai Governi ed alle istituzioni internazionali i quali, però, fino ad ora si sono dimostrati alquanto inefficienti (v. i modesti risultati ottenuti a Kyoto ed in altre assise internazionali). Per cercare di risolvere questi enormi problemi, che il sistema non sembra in grado per la sua stessa natura a portare a soluzione, occorre, a giudizio degli autori, “rifiutare la competitività per rovesciarla”. Per raggiungere tale obiettivo è necessario che si instauri una saldatura tra i lavoratori dei paesi a capitalismo avanzato e quelli dei paesi emergenti su tematiche d’interesse comune formulando cioè clausole sociali internazionali di settore e generali. Ad esempio il livello dei salari dovrebbe essere correlato al P.I.L. “pro capite” di ciascun paese dove una multinazionale investe ed anche condizionare gli investimenti in paesi emergenti al mantenimento dei livelli occupazionali e salariali degli stabilimenti esistenti pena la requisizione degli stessi da parte dei lavoratori sulla base del modello argentino. Bisognerebbe inoltre superare la logica secondo cui la crescita rappresenta l’unica determinante per uscire dalla crisi trovando una sintonia tra tutela del lavoro e sostenibilità ecologica. Il che richiede una riconversione del sistema energetico mondiale che, se realizzato (cosa non facile), presenterebbe il vantaggio, pur necessitando di enormi investimenti, di generare una crescita del P.I.L.. Sarebbe inoltre opportuno che i bisogni sociali assumessero un ruolo più centrale. Se i problemi sono globali non è possibile prescindere da questa dimensione per la loro reale soluzione.

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La soluzione del problema della ipercompetitività del capitalismo non potrà che essere economica, sociale e politica nello stesso tempo. Gli autori sono convinti che la trasformazione o sarà lo sviluppo di una critica e di una rottura al dominio capitalista, coniugato con nuove forme radicalmente democratiche di gestione della società e dell’economia, oppure non avrà luogo. Nella “Postfazione” il prof. Riccardo Bellofiore ripercorre con sapienza le varie fasi dell’odierna crisi e le misure adottate sulla base delle due essenziali concezioni di politica economica che si sono susseguite in questi anni: il primo neo-liberismo quello cioè dei primi anni ’80 ed il secondo dalla seconda metà degli anni ’80 che si può denominare neo-liberismo monetarista essendo incentrato sulla politica monetaria della Banca Centrale che è diventata il prestatore di prima istanza che fa affluire endogenamente moneta ed accompagna la crescita della liquidità. Si è così sicuri che i prezzi delle merci non aumenteranno (v. la politica statunitense dei disavanzi gemelli cioè della spesa pubblica all’interno ed all’esterno, commerciale e di parte corrente) in forza di spinte salariali praticamente inesistenti e si cerca di recuperare l’aumento dei prezzi delle materie prime attraverso una deflazione salariale. Un meccanismo ritenuto “virtuoso” visto che indirettamente crea domanda e traina la produzione di lavoratori sempre più sfruttati. Ci sono in questo meccanismo spinte “shumpeteriane” ma non sono sufficienti. Occorre, affinché il circuito monetario si chiuda dal lato della domanda, che ora aumentino, oltre agli investimenti, altre componenti della domanda autonoma. La domanda pubblica è però compressa a causa dei disavanzi statali e le esportazioni nette non esistono a livello mondiale. Visto che i consumi provenienti dal reddito non potevano essere la soluzione, il nuovo meccanismo si è allora incentrato sui consumi “autonomi” cioè indipendenti dal reddito stimolati dall’esplosione di quella ricchezza fittizia il cui aumento sempre più rapido era legato a filo doppio alla nuova politica monetaria. Nel circuito del capitalismo è entrata la “finanza” attraverso, principalmente, l’indebitamento delle famiglie. Per uscire da questa situazione il prof. Bellofiore avanza, per ridurre la disoccupazione, tra le altre, l’idea di un diverso intervento dello Stato con una politica della spesa pubblica che abbia il coraggio di distinguere tra “cattivi” disavanzi (cioè quelli automatici e che sono il frutto dell’incapacità di gestire le economie orientandole verso un autentico pieno impiego) ed i “buoni”. Se ad esempio si investe nelle infrastrutture, nella ricerca, nell’educazione, nella sanità, nella protezione dell’ambiente i costi relativi devono essere visti come una “risorsa”. Deve essere, insomma, ben definito cosa s’intenda per «investimento pubblico». E’ necessario inoltre arrivare ad una più vincolante regolamentazione della finanza. *** Questo tentativo di recensione ha una lunghezza forse inusuale ma ciò è dovuto, oltre che alla non improbabile inadeguatezza al compito dell’estensore, alla ricchezza delle problematiche esposte nel saggio corredate da numerose e pertinenti citazioni teoriche e dati che rendono ardua la sintesi. Ci sembra di poter concludere dicendo, (parafrasando una frase di W. Churchill circa il sistema democratico): «Il sistema capitalistico è pessimo ma non ne conosco di migliori».

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Ciò non significa, nella maniera più assoluta, che non s’impongano profonde modifiche del medesimo, segnatamente in materia di regolamentazione della finanza, e che i problemi sollevati dagli autori e le soluzioni ipotizzate non debbano essere presi in seria considerazione.

[1] – Marco Bertorello lavora nel porto di Genova ed è dirigente della FILT-CGIL nel capoluogo ligure. Ha scritto alcuni saggi (“Il movimento di Solidarnosc”; “Dalle origini al governo del paese”; “Un nuovo movimento operaio”; “Dal fordismo all’accumulazione flessibile”). Collabora con la rivista “ERRE”. - Danilo Corradi è dottorando in Storia Economica all’Università di Roma “La Sapienza”. E’ insegnante precario di Storia e Filosofia nei Licei. E’ autore di vari articoli sulla crisi e sulle riforme dell’istruzione (ed. ERRE). Ha curato, sempre per la rivista “ERRE”, il volume collettaneo: “Studiare con lentezza” (2006). Riccardo Bellofiore, insegna Economia Monetaria e Storia del pensiero economico presso l’Università di Bergamo. Autore di vari studi tra i quali i recenti: “Da Marx a Max?”; “Un bilancio dei marxisti italiani del Novecento” (ed. Manifesto libri, 2007).

[1] “Postglobal” ed. Laterza, 2004, pag. 59. [2] J. Schumpeter: “Teoria dello sviluppo economico” pag. 68, ed. Eras, Milano 2002. [3] J. Schumpeter: “Teoria dello sviluppo economico” pag. 68, ed. Eras, Milano 2002. [4] «Come finirà? l’ultima chance del debito pubblico», Fazi Editore, 2010.

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CULTURA

SICUREZZA (rapine nelle abitazioni isolate, omicidi, violenze, furti con destrezza, accattonaggio) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 aprile 2012 •

In Italia il livello di delittuosità, in ascesa fino al 1991, ha registrato negli anni successivi un andamento altalenante nel tempo ma con livelli sostanzialmente stabili (Fonte: I.S.T.A.T.). Nel 2010 si sono avuti 2.621.019 delitti (pari a 4.335,5 per 100.000 abitanti ) con un modestissimo decremento (1,5 %). Nello stesso anno la ripartizione tra le principali Regioni italiane dei delitti con presunti autori noti denunciati dalle Forze di Polizia alla Magistratura é stata la seguente: Piemonte: 230.330 Valle d’Aosta: 4.782 Lombardia: 511.326 Trentino-Alto Adige: 30.685 Veneto: 181.775 Friuli –Venezia Giulia: 38.413 Liguria: 31.003 Emilia-Romagna: 226.034 Toscana: 175.459 Marche: 54.113 Umbria: 34.568 Lazio: 231.022 Abbruzzo e Molise: 54.856 Campania: 207.403 Puglia: 155.104 Calabria: 67.188 Sicilia: 191.040 Sardegna: 55.157. In totale: al Nord: 1.315.014 delitti;

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al Centro: 555.168 “ “; nel Mezzogiorno: 750.837 “ “. Sempre nel 2010 i delitti denunciati dalle Forze dell’Ordine per le seguenti tipologie di reato sono stati: a) omicidi volontari consumati: 332 (=0,3 di cui: omicidi a scopo di furto o rapina: 35 (= 0,1 per 100.000 abitanti )

per

100.000

abitanti)

b) furti: 1.325.013 (= 2190,7 per 100.000 abitanti) di cui: f urti con strappo: 14.242 (=23,5 per furti in abitazioni: 163.163 (= 273,7 per furti con destrezza: 115.577 (= 131,1 per 100.000 abitanti ).

100.000 100.000

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Giova ricordare che l’accattonaggio anche se non è da considerare un delitto non è disgiunto, specie nelle grandi città e se si verifica in luoghi affollati,dal furto con destrezza in cui sono maestri, in genere, gli Zingari. Dalla lettura di questi pochi dati – ma crediamo siano esaustivi- ci sembra trovi conferma quella che è la sensazione del cittadino medio ovvero di vivere, specie nelle metropoli e nelle località isolate, in uno stato quotidiano d’insicurezza. Quali sono le cause di ciò? Sono, naturalmente, molteplici ma essenzialmente pensiamo possano essere individuate nella crisi economica che spinge a delinquere, negli esempi diffusi di corruzione e concussione che possono giustificare psicologicamente, in un certo senso, tali comportamenti illegali, nella presenza sempre piu’ massiccia sul nostro territorio d’immigrati. Sotto quest’ultimo profilo vi è stata da parte delle nostre Autorità una mancanza di lungimiranza. Non si sono cioè adottate misure preventive di selezione degli ingressi e, se necessario, di efficaci strumenti di espulsione. Come ha ricordato, ad es., su “Libero “ del 29 marzo u.s. Maria Giovanna Maglie, l’Italia è piena di Rumeni “per bene” ma sembra dimostrato che i criminali scelgono il nostro paese perché qui è facile sfuggire a carceri, regole, processi. Inoltre le soluzioni individuate per rendere piu’ difficili gli ingressi (già, peraltro, resi piu’ agevoli dalle decisioni troppe generose adottate dal Ministro Bonino del Governo Prodi del 2006) ovvero il diritto di rinnovare il regime transitorio sull’accesso di cittadini romeni e bulgari al mercato del lavoro italiano, che avrebbe consentito fino alla fine del 2013 di avvalersi di deroghe atte a tutelare maggiormente nel nostro paese l’ordine pubblico, non è stato utilizzato il 29 dicembre u.s. dall’attuale Governo. Grazie a questa insipienza c’è,probabilmente, da attendersi un incremento di rapine e di accattoni. Un’ultima osservazione: gli assalti alle ville isolate, accompagnati da atti di selvaggia brutalità se non da omicidi, hanno anche risvolti economici da non sottovalutare. Possono cioè causare una flessione del valore delle abitazioni isolate e degli eventuali,relativi canoni d’affitto nonché un decremento dell’attività edilizia dedicata a questa tipologia di costruzioni e questo proprio in un periodo in cui il comparto dell’edilizia è in notevole crisi. Sembra naturale concludere con: “ Chi è causa del suo mal pianga se stesso “ ! Non pensate, però, che i responsabili delle sopraricordate insipienze cioè i politici piangano perché i “caudillos “ hanno le scorte giorno e notte e “ de minimis (= i cittadini comuni ) non curant” !

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CULTURA

QUALCHE ANTICA MASSIMA FORSE ANCORA D’ATTUALITA’ by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 6 aprile 2012 •

1 – Chi é veramente nobile non é prepotente né odioso e il saggio non é uomo rigido….. ma anzitutto cortese ed affabile ad essere avvicinato ed accostato da tutti… Si offre poi come consigliere benevolo ,difensore senza compenso… (Plutarco , “Consigli ai politici”); 2 – Non bisogna “essere amici fino all’altare per non dover spergiurare “ , disse una volta Pericle,ma fin dove lo consentono leggi ,giustizia ed utilità pubblica ,cosa che trascurata conduce a grande e pubblico danno (ibidem). (n.d.r . Il timore di rischiare di essere costretti a spergiurare non sfiora però molti uomini politici); 3 – Giustamente… ottenne fama Livio Druso (n.d.r . tribuno della plebe nel 91 a.C. che condusse vita esemplare) poiché , dato che la sua casa aveva molte parti esposte alla vista dei vicini ed un artigiano lo assicurava che per soli cinque talenti le avrebbe mutate ed orientate in maniera diversa, disse: “Ne avrai dieci se renderai la mia casa tutta trasparente affinché tutti i cittadini possano vedere in che modo vivo io “(ibidem). (n.d.r. E’ questa anche la pratica della nostra classe politica). 4-V ideo meliora proboque ,deteriora sequor (=Vedo le cose miglior e le approvo ma seguo le peggiori – Ovidio – “Metamorfosi”, 7,20 ). (n.d.r.: difetto anche ai nostri giorni diffusissimo ). 5-Les fous depuis Adam sont en majorité (= I folli da Adamo in poi sono la maggioranza, prov. francese). Ed anche “Stultorum infinitus est numerus” (il numero degli stolti é infinito , traduz. nella “Vulgata “di un passo dell’Ecclesiaste) erano gli anziani Sembra che il Gen .De Gaulle, ad un manifestante che aveva gridato “Abbasso la stupidità !”, abbia risposto: “Mi sembra un programma piuttosto ambizioso”! 6- Mendacem memorem esse oportere (= il mentitore é opportuno che abbia memoria, Quintiliano, 4,2.9 ). (n.d.r. E ciò al fine di non contraddirsi platealmente. In genere gli uomini politici e gli affaristi hanno buona memoria… ma si tratta di una circostanza del tutto casuale). 7- Chi parla non é mai stato in mezzo alle trombe (Plutarco ,”Regum et imperatorum apophtegmata “,192-b ) fu la risposta dello Spartano Eudamida ad un filosofo che affermava che solo un saggio poteva essere un buon comandante . (n.d.r. Quelli che vivono nel mondo della Teoria sono persone eccellenti ma le terre della Prassi richiedono esperienza! Non é un caso che i Senatori romani (da senex = vecchio) erano uomini anziani, sperimentati e ragguardevoli.).

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POLITICA INTERNAZ.

TOLOSA: UN EPISODIO SCONTRO DI CIVILTA’

DELLO

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 26 marzo 2012 •

Nel 1993 il famoso politologo statunitense Samuel Philips Huntington (1927- 2008 ), consigliere dell’amministrazione americana nel periodo della presidenza di Jimmy Carter, docente universitario, direttore degli Studi Strategici ed Internazionali all’Università di Harvard, fondatore della rivista “Foreign Policy “, autore di una ventina di saggi, scrisse un articolo su “Foreign Policy” intitolato: “The clash of civilizations” (Lo scontro di civiltà) cui seguì ne 1996 un volume “The clash of civilizations and the remaking of the world order” (Lo scontro di civiltà e la nuova costruzione dell’ordine mondiale) che ebbero notevole risonanza . In sintesi la tesi di Huntington era la seguente: dopo la c.d. guerra fredda si verificheranno frequenti conflitti non piu’, come accadeva nel XX° secolo, lungo linee di divisone politico-ideologiche ed economiche bensì culturali. La suddivisione del mondo in Stati è riduttiva. Occorre, per contro, considerare il mondo suddiviso a seconda delle civiltà: Occidentale, Islamica, latino-americana, Indu’, Africana, cinese, ortodossa, buddista, giapponese. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro. Nel 2009 il prof. Bernard Lewis, (professore emerito dell’Università di Princeton, orientalista, storico, commentatore politico, considerato uno dei piu’ autorevo li esperti di storia dell’Islam e del Medio Oriente) pubblicò un saggio: “Le origini della rabbia musulmana” (edito da Mondadori che recensimmo su “L’Opinione” del 30-52009) in cui vengono spiegate le ragioni di tale sentimento che ha le sue radi ci nella ideologia e nella storia anche recente dell’Islam. Nei paragrafi che seguono ci sforzeremo di condensarne il pensiero. Lo Stato è lo Stato di Dio, la legge è quella dettata da Dio al Profeta (la shari’a ) che si legge nel Corano e che, per ciò stesso,è immodificabile. Essendo la sola vera fede quella mussulmana essa deve essere protetta da insulti offese . Chi non fa parte della comunità islamica è un miscredente . In teoria i non credenti sono considerati nemici di Dio .Esiste, per conseguenza, per i fedeli dell’ unica vera fede l’obbligo di convertirli con le buone od anche con la guerra .( Non è un caso che” Europa”in arabo si possa dire anche “Dar el Harb”, la casa della guerra ). Nelle terre abitate dai Mussulmani (“Dar el Islam”) è inconcepibile che si applichi una legge diversa dalla “shari’a” e che i miscredenti dominino i veri credenti come nel Kashmir, nel Sinkiang, nel Kossovo, in Palestina. Chi abiura dall’Islam, che è non solo comunità religiosa ma anche “Koiné” politica, è considerato un traditore passibile di morte (i casi non sono, perciò, infrequenti ). Per tutte queste ragioni una larga parte del mondo mussulmano prova un sentimento di rabbia verso il mondo occidentale e soprattutto verso gli Stati Uniti, nazione leader dell’Occidente, che proteggono Israele, sono intervenuti in Iraq ed in Afganistan. A tutto ciò si aggiunga il senso di frustrazione nei confronti del ricco Occidente. L’integrazione degli immigrati islamici nelle società occidental i risulta per tutti questi motivi estremamente difficile se non impossibile come dimostrano i numerosi casi di attentatori nati in Europa, che avevano studiato nelle scuole

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occidentali e che non si trovavano in una situazione di emarginazione sociale e di indigenza (v da ultimo anche. il caso di Tolosa). Se le cose stanno così che fare? A nostro parere occorre: 1- prendere coscienza che dobbiamo, purtroppo, far fronte allo scontro lucidamente prefigurato dal prof.Huntigton ; 2- non abbassare, perciò, assolutamente la guardia e d anzi rafforzare gli strumenti di prevenzione e d il coordinamento tra le polizie occidentali; 3- non credere che le politiche d’integrazione siano un toccasana (a tale proposito i programmi del Ministro Riccardi ci sembrano velleitari e ci ricordano il detto: “La via dell’Inferno è lastricata di buone intenzioni”); 4- ridurre ai casi di effettivo stato di pericolo i permessi di immigrazione peri chi pro viene da paesi mussulmani. Se si è realisti: “a casi estremi, estremi rimedi “o” salus reipublicae suprema lex esto” (la salvezza dello Stato sia la legge suprema).Un numero sempre piu’ crescente di comunità mussulmane riduce, infatti, ovviamente, le possibilità di controlli e le attività di prevenzione.

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CULTURA

“AFORISMI e BATTUTE VARIE” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 marzo 2012 •

Tutto deve cambiare con il nuovo Governo… perché nulla muti in materia di Giustizia. Ad es. i magistrati debbono poter continuare ad esercitare nelle Regioni di provenienza e poter essere candidati alle elezioni amministrative o politiche nazionali nei distretti di Corte d’Appello dove fino a poco tempo prima hanno esercitato. Possono altresì,grazie a vari escamotages, avere congiunti stretti che esercitano la professione forense nello stessa località. Anche chi fa il pretore a Roccacannuccia continuerà ad ottenere per anzianità la qualifica e lo stipendio di un Consigliere di Corte di Cassazione. Immutata resta altresì la regola non scritta in vigore ab immemorabile nella pubblica amministrazione: “Non fare oggi quel che puoi fare domani… e se non lo fai affatto é meglio così non ti assumi alcuna responsabilità”. “Figlio mio, tu non hai molta voglia di studiare e di lavorare. Dammi retta! Datti alla politica o alla carriera sindacale”. Una signora incontra all’uscita di una Scuola Media una ragazzina figlia di conoscenti. La saluta e le chiede: “Giovanna,tra poco terminerai la 3a media hai deciso cosa farai l’anno prossimo?” “ Sono incerta tra fare la Lolita o la Velina”. Gioventu’ con le idee sane! Chi sostiene che per i giovani non c’é spazio in Italia si riferisce agli “sfigati” . Quelli bravi possono,infatti, diventare titolari di cattedra a 29 anni e vice-ministri a 39 anni e “honni soit qui mal y pense”. L’integrazione é cosa fattibile… come dimostrano il caso di Tolosa ed altri. D’altra parte se non fosse possibile a cosa sarebbe servito avere istituito un ministero ad hoc? .Qualcheduno ritiene che sarebbe stato meglio rafforzare gli organici delle Forze dell’Ordine ma si tratta di menti ottuse che non apprezzano la possibilità di avere una moschea in ogni villaggio e l’introduzione della sharia anche in Italia.

POLITICA NAZ. TURISMO PERICOLOSO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 marzo 2012 •

Gli episodi di connazionali rapiti sono diventati abbastanza frequenti. Salvo eccezioni si tratta di persone che, per un insano spirito di avventura, a ciò spinti anche da agenzie turistiche guidate da fanatici dei “viaggi fuori dall’ordinario”, si recano in aree pericolose. Zone ,peraltro segnalate molto chiaramente e con dovizia di dettagli nel sito,costantemente aggiornato, del nostro Ministero Affari Esteri “Viaggiare sicuri”. Non vi sono quindi scusanti al comportamento di costoro! Comportamento che obbliga i nostri Servizi Segreti e le nostre autorità diplomatiche a negoziati defatiganti ed al pagamento (anche se non viene rivelato) di cospicui riscatti. A ciò si aggiunge il grave rischio che i negoziatori siano, a loro volta,rapiti od anche perdano la vita (v. il caso Callipari). Che fare allora? A nostro avviso occorrerebbe nei casi sopraricordati:

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1) studiare la possibilità di prevedere nei passaporti una clausola secondo cui il documento non è valido per l’espatrio verso certi paesi; e /o 2) pretendere per legge, come avviene in altri paesi ,che chi obbliga lo Stato a sobbarcars i le spese per riscatti, per l’ invio di funzionari in loco per ottenere il rilascio dei sequestrati ,per il rimpatrio dei medesimi sia tenuto al rimborso delle somme all’Erario; 3) dare la massima pubblicità a tali disposizioni.

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POLITICA INTERNAZ.

IL CASO CALIPARI ANALOGHI

ED

ALTRI

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 marzo 2012 •

Sul fastigio del c.d. Palazzo della Civiltà Italiana, detto anche Palazzo della Civiltà e del Lavoro o il Colosseo Quadrato, che si erge nel quartiere romano dell’E.U.R. (Esposizione Universale di Roma ), progettato, ispirandosi all’arte metafisica, dagli architetti Guerrini, La Padula, Romano, figura questa scritta: “un popolo di poeti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori “. A nostro avviso essa è incompleta giacché vi dovrebbero essere aggiunte le parole: “di grandi incassatori “. Il 4 marzo del 2005, ad es., venne ucciso sulla strada per l’aeroporto di Bagdad da un soldato americano il funzionario dei nostri servizi segreti Nicola Calipari che stava portando in salvo la giornalista de “Il Manifesto” Giuliana Sgrena appena rilasciata dai sequestratori (n.d.r.. recatasi avventatamente in un quartiere della capitale irachena estremamente rischioso). In un libro di prossima pubblicazione (“L’omicidio di Nicola Calipari”, Rubettino editore, pag.310 )il dott. Erminio Amelio, sostituto Procuratore della Repubblica di Roma, ricostruisce, sulla base degli atti processuali, la vicenda mettendo in luce gli atti delle autorità statunitensi volti ad ostacolare ogni forma di accertamento (rifiuto di fornire i nomi dei soldati di pattuglia al posto di blocco rivelati successivamente solo da un abile pirata informatico, il luogo della sparatoria fu ripulito, la consegna dell’auto di Calipari avvenne ben due mesi dopo in condizioni diverse da quelle in cui l’avevano ridotta i proiettili etc. ). Dell’omicidio fu incolpato il soldato Lozano (che non venne mai estradato ) ma da molti fu avanzata l’ipotesi che ci fossero responsabilità ai livelli più elevati della catena di comando statunitense e che si volle dare una lezione alle nostre autorità che avevano trattato con i rapitori anche perché Calipari aveva preliminarmente informato il Comando statunitense del suo percorso ed aveva quasi arrestato il veicolo una volta arrivato al posto di blocco. L’Avvocatura dello Stato, parte civile per conto della Presidenza del Consiglio, rinunciò in Cassazione a sostenere la giurisdizione italiana rimettendosi alla decisione della Corte che (si sarebbe tentati di dire “ovviamente”) statuì l’impossibilità di giudicare Lozano. La stessa Avvocatura aveva sostenuto nei precedenti gradi di giudizio che il nostro paese aveva il diritto ed il dovere di giudicare il soldato americano per il reato di omicidio aggravato. Della scarsa volontà del nostro Governo di tutelare gli interessi italiani una prima avvisaglia si era registrata nel primo anniversario della morte di Calipari nelle parole del Ministro della Difesa, l’on. Le Antonio Martino ( filo americano ad oltranza), che, in pratica, avallavano la tesi delle autorità statunitense: una sciagura involontaria e casuale. Cercò di rimediare l’ottimo Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, dichiarando che: ” la teoria del fato è cosa passata, fa parte della tragedia greca superata dal Cristianesimo ; ora bisogna agire per conoscere la verità ed è quello che facciamo per rendere giustizia e verità alla sua famiglia e al nostro Paese “. Evidentemente, come si scriveva nei bollettini dell’ultimo conflitto, “ le nostre valorose truppe si sono ritirate su posizioni prestabilite dopo aver inflitto pesanti perdite al nemico “.il nemico del dott. Letta, nel caso di specie, era, probabilmente, annidato nel Governo. In conclusione, come ha scritto il P.M. Amelio,: “dottor Calipari, ingiustizia è fatta !”.

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L’unica a trarre vantaggio, anche se involontariamente, da questo delitto è stata la giornalista Sgrena che venne eletta al Parlamento. Casi simili a quello del dott. Callipari sono stati: le morti della teleferica del Cermis causate dalle folli evoluzioni di aerei statunitensi (i piloti, sottratti alla Giustizia italiana in base ad una clausola di un trattato, se la cavarono con poche sanzioni disciplinari e, se ben ricordiamo, con l’espulsione per alcuni dai ranghi attivi dell’Aviazione) e la vicenda del terrorista Cesare Battisti (da noi trattata su “Cartalibera” del 20-6- 2011 ), oltraggio inaccettabile fattoci dalle autorità di Brasilia. Tutti questi episodi, che hanno portato grave disdoro al nostro Paese, sono solo il frutto del destino cinico e baro? O il risultato di un reiterato comportamento pavido dei nostri Governi ? Noi, basandoci su un’esperienza personale internazionale trentennale, riteniamo la seconda ipotesi quella più veritiera anche perché di episodi simili non ci risulta siano state vittime altri Paesi importanti. Si è diffusa –crediamo- la fama nei fori internazionali che subiamo gli oltraggi senza reagire adeguatamente. “Fama volat” (= la fama vola ; Virgilio, Eneide, 3,121 )ed anche “Haud semper errat fama; aliquando et elegit” (= Non sempre la fama sbaglia; qualche volta sa anche sceglier giusto; Tacito; Agricola, 9). In conclusione: “Qui tacet consentire videtur” (= Chi tace sembra acconsentire )! Non vorremmo che per i due marò detenuti in India si avesse lo stesso infausto esito registrato per i casi sopra ricordati !

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ECONOMIA

Un elemento di speranza nel panorama economico italiano: le esportazioni hanno tenuto by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 2 marzo 2012 •

Per un paese come il nostro, sostanzialmente carente di materie prime e di fonti di energia sufficienti,un flusso di esportazioni consistente è essenziale per consentirgli di pagare le necessarie importazioni. Raggiungere un tale obiettivo risulta particolarmente arduo allorquando, come attualmente, ci si trova di fronte ad una crisi economicofinanziaria a livello mondiale non ancora superata (ad es. il Prodotto Interno Lordo nell’area O.C.S.E. è cresciuto solo dello 0,6 % nel 3°trimestre del 2011) e, per conseguenza,ad un’ accresciuta concorrenza tra i principali paesi esportatori segnatamente da parte di quelli c.d. emergenti (Cina,India,Brasile etc.). Le esportazioni contribuiscono in maniera rilevante alla formazione del P.I.L. italiano (in media il 30% c.a.). Nel 2009 (ultimi dati disponibili) erano circa 180.000 le nostre imprese esportatrici con ben 4.729.453 addetti. Nel 2011 l’incremento delle esportazioni italiane è stato dell’11.4% (+14,9 % verso i paesi extra Unione Europea;+8,9% verso l’area Unione Europea) . Nell’anno i volumi esportati sono aumentati del 4% mentre si sono ridotti dell’1,8% quelli importati. Il disavanzo commerciale è stato pari a 24,3 miliardi di Euro. Si è registrato quindi un miglioramento rispetto al 2010 quando il disavanzo fu di 30 miliardi. Il saldo non energetico (+ 37,1 miliardi) è risultato in forte aumento rispetto al 2010 (+22 miliardi). Peggiora, per contro, quello energetico a causa dell’aumento delle quotazioni: -61,4 miliardi mentre era di 52 miliardi nel 2010. Le importazioni di energia hanno cioè inciso nel 2011 per il 18,4 % c.a. delle importazioni totali (valore delle quote calcolato sul totale dei flussi di scambio con il resto del mondo nel 2010). In particolare è da segnalare che nell’ultimo trimestre del 2011 le nostre esportazioni sono cresciute dell’1,4% rispetto al trimestre precedente con un incremento maggiore sui mercati dell’Unione Europea (+1,8 %). Nel dicembre u.s. si è registrata una crescita tendenziale delle nostre esportazioni del 5,7% quasi interamente riconducibile alle vendite sui mercati extra U.E. (+11,4 %). A seconda dei raggruppamenti principali per tipologia dei beni si rileva che per quanto concerne: A) le esportazioni, le percentuali sul totale sono state (dic. 2011): -beni di consumo: 29,5 (di cui durevoli 6,3 ;non durevoli 23,2) -beni strumentali: 32,4 -prodotti intermedi: 33,5 -energia: 4,6 B) le importazioni, le percentuali sul totale sono state (dic. 2011) :

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-beni di consumo: 25,3 (di cui durevoli 3,5; non durevoli 21,8) -beni strumentali: 22,4 -prodotti intermedi: 33,9 -energia : 18,4. I settori piu’ dinamici delle nostre esportazioni (variazioni tendenziali –dic.2011/dic.2010) sono stati: gli articoli farmaceutici, chimico-medicinali, botanici (16,6); metalli di base e prodotti in metallo esclusi macchinari ed impianti (16,4) ;autoveicoli (14,1) ; macchine ed apparecchi n.c.a.;articoli in pelle (esclusi abbigliamento) e simili (13,5). In flessione,invece, i prodotti tessili (-1,9) , i mezzi di trasporto esclusi autoveicoli (-1,9) , i prodotti dell’agricoltura, silvicultura e pesca (-4) , apparecchi elettrici (-5,8) , coke e prodotti petroliferi raffinati (-14,6) . Da questa sommaria analisi emergono elementi positivi circa le capacità delle nostre imprese di resistere agli “tsunami” e quindi di speranza per l’avvenire. A nostro parere il sistema esportativo italiano presenta, tuttavia, un primo, grave elemento di debolezza (ve ne sono altri ma lo spazio è tiranno): la c oncentrazione nelle regioni del Centro -Nord della provenienza delle esportazioni. Pur se mancano i dati del 2011 crediamo che anche nell’anno trascorso questo fenomeno si sia riprodotto. Nel 2010 su un totale di esportazioni italiane pari a 337.810 milioni di euro quelle del Centro-Nord ammontavano a 294.135 milioni di Euro,quelle dal Mezzogiorno sono state pari a 38.769 milioni, da regioni diverse non specificate 4.906 milioni. Nel Meridione esistono sicuramente potenzialità imprenditoriali e manodopera intelligente ma non riescono ad emergere come è avvenuto in altre Regioni del nostro paese. Si pensi, ad es., allo straordinario sviluppo, grazie soprattutto alle piccole e medie imprese, avutosi dagli anni ’60 nel Friuli o nelle Marche un t empo zone depresse e di emigranti. Perché nel Mezzogiorno non si ripete il fenomeno friulano o marchigiano ? Le ragioni sono molteplici (storiche, geografiche, infrastrutturali etc.) ma gli ostacoli potrebbero essere superati in tempi piu’ o meno lunghi “se “si riuscisse in primo luogo a debellare la malavita organizzata che tutto inquina impedendo alle migliori energie di manifestarsi e, per conseguenza, di contribuire in maniera determinante allo sviluppo economico-sociale di quei territori e d anche dell’intero nostro pase. Si tratta, però, di accentuare la guerra alla malavita organizzata (che è la” vera “guerra per la salvezza del nostro Paese) senza concederle tregua e ricorrendo anche a leggi speciali perché, altrimenti, i cittadini continueranno a temere piu’ i padrini dei Questori. Un paese dove intere e popolate regioni sono dominate dalla malavita non può progredire e “Non progredi est regredi” (= non progredire è regredire). (*) Fonti: I.S.T.A.T. –Statistiche Flash -dic. 2011 ; I.S.T.A.T.-Ministero Sviluppo Econ.: “L’Italia nell’economia internazionale” Rapporto 2010-2011.

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CULTURA

PANEM ET CIRCENSES (= PANE E SPETTACOLI NEL CIRCO) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 febbraio 2012 •

Per tener buona la turbolenta plebe romana ed accattivarsene i favori gli Imperatori non lesinavano alla stessa donazioni d i derrate alimentari e l’organizzazione di spettacoli nel circo(corse di cavalli, gladiatori, etc.). I giuochi erano idolatrati dai Romani di tutti i ceti che ne discutevano appassionatamente divisi in fazioni. Gli spettacoli teatrali vennero rapidamente superati da quelli circensi che raccoglievano il favore di tutte le categorie sociali. Non ci voleva, infatti, un bagaglio culturale raffinato per seguirli. I ludi gladiatori, particolarmente feroci, erano, però, talmente amati in tutte le parti dell’Impero che,malgrado l’avvento del Cristianesimo e le proibizioni degli imperatori Costantino (nel 327 d.C.), Giuliano (nel 357 d.C.), Onorio (nel 397 d.C.), solo dopo il gesto del monaco Callimaco che nel 403 d.C. entrò, vestito di bianco, nell’arena del Colosseo in mezzo alle belve ed ai gladiatori invocandone la cessazione (e per questo venne linciato dagli spettatori!) questo divertimento prese fine. Nel nostro paese -mutatis mutandis- si hanno due tipi di “circenses”: le partite di calcio, in primis, poi il Festival di San Remo. I campionati di calcio, dietro i quali c’è un giro di danaro enorme, attirano le folle in misura incredibile. I tifosi delle varie squadre sono capaci di azzuffarsi ferocemente per gli esiti delle partite. I calciatori sono idolatrati e pagati a peso d’oro. Personalmente riteniamo immorale ricompensare con milioni di Euro un calciatore. Quanto dovrebbe ricevere un ricercatore che fa una scoperta scientifica di rilievo? Il Festival di San Remo – per fortuna c’è una sola volta all’anno – spinge milioni di telespettatori a rimanere per ore seduti davanti ai televisori per ascoltare canzoni spesso cacofoniche, le “immortali” dichiarazioni del Celentano di turno, le innumeri interviste ai vari cantanti piene di “acute” considerazioni. Anche in questo spettacolo è da supporre che il giro degli interessi pecuniari non sia da negligere. A differenza, però, del calcio i costi dello spettacolo in questione sono in larga misura pagati, tramite il canone R.A.I., dagli abbonati. La stessa R.A.I. che, malgrado l’apporto cospicuo al proprio bilancio fornito da tale tributo, da vari anni neglige gli spettacoli teatrali di livello culturale elevato venendo così meno alla funzione educatrice di una radio-televisione pubblica che, per contro, fino a d una trentina di anni fa circa veniva svolta. Esaminando piu’ approfonditamente il fenomeno dei vari “circenses” contemporanei ci viene il sospetto che ci sia a monte un disegno che tacitamente accomuna la classe politica sia di destra che di sinistra: distrarre il popolo dall’occuparsi dei problemi seri del paese. Forse ha perseguito, indirettamente, fini analoghi l’aver consentito che si formasse una scuola secondaria sempre piu’ di basso livello e che si creassero facoltà inutili: una popolazione ignorante possiede, infatti, scarso senso critico ergo la si può indirizzare dove meglio si vuole. Non vogliamo, infine, omettere un accenno al “panem” contemporaneo.

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Che altro è, invero, la creazione di migliaia di posti di lavoro del tutto inutili in molte Regioni se non dare pane alle plebi elettrici e così tacitarle? C’è in ciò, a nostro avviso, anche una stringente affinità con le “sportulae” riempite di viveri od anche con le piccole somme di danaro che l’aristocratico romano elargiva ai propri “clientes”. Forse solo il fiscalismo regionale potrà tentare di por fine a questo. “Ed ora – come recita una una bella canzone napoletana – gentile e bella udienza, datemi licenza” perché non vorremmo fare la fine del monaco Callimaco per aver osato criticare il Festival di San Remo ed il calcio ed anche perché temiamo, allargando il discorso, che, come dice un antico proverbio, “Res satis nota: plus faetent stercora mota” ( =E’ cosa sufficientemente nota: piu’ rimescoli lo sterco piu’ emette cattivo odore).

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

CRISI ECONOMICO-FINANZIARIA EUROPEA – STATISTI E POLITICANTI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 19 febbraio 2012 •

Se la memoria non ci tradisce Alcide D e Gasperi affermò, all’incirca, che: ” Gli statisti pensano alle generazioni future, i politicanti alle elezioni”. Osservando i recenti comportamenti dei maggiori leader europei per quanto riguarda il drammatico problema del debito greco, di quello portoghese e di quello, anche se meno rilevante, del debito italiano e spagnuolo, ci sembra che l’acuta affermazione di De Gasperi trovi puntuale ed amara conferma. Non vi è dubbio che la crisi in atto tragga origine sia dall’insana politica del “laisser faire “alla finanza angloamericana praticata gli scorsi anni dai governanti di Washington e di Londra, in primis, ma anche da altri governiquantunque in misura minore- che dall’altrettanto insano indebitamento pubblico di Atene, Lisbona, Roma e Madrid. “Cio’ non di meno” è altrettanto indubbio che i tentennamenti dei governi tedesco e francese, le ripetute, inopportune dichiarazioni dubitative da parte della Cancelliera Merkel e di autorevoli rappresentanti del suo governo negli organismi internazionali in ordine all’effettiva capacità e volontà di Roma ed Atene di rispettare gli impegni per una politica di rigore unitamente alla notevole lentezza dimostrata dai i vari organismi europei ed internazionali (che sono pur sempre espressione dei Governi! )nell’adozione di misure di salvataggio non hanno fatto che peggiorare la situazione alimentando gli attacchi della speculazione. Anche se la storia non è, purtroppo,“magistra vitae “ ci sembra doveroso ricordare il ben diverso e lungimirante atteggiamento degli uomini di Governo statunitensi, britannici e canadesi, prima, europei dopo,di fronte alla situazione catastrofica in cui versavano nell’immediato dopoguerra le economie europee. Già n el luglio del 1944 con la Conferenza internazionale di Bretton Woods i governi degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Canada gettarono le basi del nuovo sistema economico internazionale istituendo la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo e, soprattutto, il Fondo Monetario Internazionale. Nel giugno del 1945, quando il secondo conflitto mondiale era terminato in Europa ed appariva ormai segnato il destino dell’Impero del Sol Levante Henry Morgenthau j.r., Segretario al Tesoro statunitense, dichiarò di fronte al Senato americano: ”I problemi finanziari e monetari internazionali sono stati una fonte di conflitto per un’intera generazione. Dobbiamo fare in modo che dopo questa guerra essi non diventino le basi di nuovi conflitti “. Fu una dichiarazione d’intenti, coerente con le decisioni prese a Bretton Woods, che si tradusse in maniera incisiva nel 1947 nella c.d. “dottrina Truman “, dal nome dell’allora Presidente degli Stati Uniti, e che consistette in una strategia economica globale d’intervento che prenderà poi il nome di “Piano Marshall”. George Marshall fu il Segretario di Stato(poi premio Nobel per la pace)che in un discorso –il 5 giugno 1947all’Università di Harvard lanciò un appello ai governi dell’Europa affinché formulassero un programma di ricostruzione coordinata promettendo l’aiuto amichevole americano. Il Piano Marshall, assieme agli altri piani di aiuto ad esso collegati, risulterà determinante per la ripresa economica dell’Europa. Il piano (European Recovery Program-E.R.P.) iniziò a funzionare verso la metà del 1948.

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Gli Stati Uniti sostennero lo sforzo maggiore -il 70%(pari a circa l’1 % del P.I.L. statunitense di quegli anni).Contribuirono il Canada( per l’11,8%), paesi dell’America Latina(7,7 % ) ed altre nazioni. Gli obiettivi del piano erano molteplicii: contrastare l’espansionismo sovietico, che poteva fruire in quegli anni della presenza nell’Europa Occidentale di forti partiti comunisti, consolidando, attraverso la rinascita economica, l’economia di mercato, la democrazia e la stabilità politica del continente; evitare che l’economia statunitense cadesse in recessione per mancanza di sbocchi europe alle proprie esportazioni e che, per conseguenza, si avesse in America un’elevata disoccupazione simile a quella del 1929,sostituire la Gran Brettagna come potenza guida del mondo libero. Fino al dicembre del 1959 il vecchio continente poté, beneficiare di oltre 72 miliardi di dollari. Si trattò di una somma notevolissima ove si consideri il potere d’acquisto dell’epoca nei vari paesi europei e che nel 1959 1 dollaro veniva cambiato a 625 lit. Dal 3 aprile 1948 al 30 giugno 1952 la Rep. Federale Tedesca ricevette complessivamente, tra prestiti (216,9 milioni di $ ) ed aiuti (1173,7 milioni di $ ), 1.390,6 milioni di dollari. Il Regno Unito ebbe 3.189,8 milioni di dollari; la Francia 2.713,6 milioni; l’Italia 1.508 milioni; l’Olanda 1. O83 milioni; Belgio e Lussemburgo 559 milioni; Danimarca 273 milioni. Grazie a questo programma di aiuti il prodotto interno lordo dell’Europa occidentale(P.I.L. a.1938 =100 ) crebbe del 9,53% nel 1948; dell’8,19 % nel 1949; dell’8,86 %nel 1950 e, malgrado la crisi derivante dal conflitto coreano, del 5.94 % nel 1951. Il P.I.L. era di 119,6 miliardi di dollari nel 1947; nel 1951 fu di 158,5 miliardi. Il grande sviluppo economico avutosi a partire dagli anni sessanta in Europa non sarebbe stato quasi certamente possibile senza il Piano Marshall. Altrettanto lungimiranti furono nel 1950 gli esponenti politici frances i Jean Monnet e Robert Schuman (allora Ministro degli Affari Esteri ) che proposero ai Governi d i Francia, Germania, Italia, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi (dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 ) la messa in comune della produzione di carbone ed acciaio, materie fondamentali per l’industria. La proposta venne subito accolta dai leader europei, tra i quali il Cancelliere Adenauer ed Alcide De Gasperi, tanto ch e il 19 aprile 1951 con il Trattato di Parigi fu creata la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio(la C.E.C.A. ) che divenne operativa, con sede a Lussemburgo, il 23 luglio 1952. La C.E.C.A. rappresenta la prima, importantissima tappa del non facile processo d’integrazione europea. Processo che ebbe una grave battuta d’arresto dopo la bocciatura nel 1954 da parte del parlamento francese dell’accordo per la Comunità Europea di Difesa(C.E.D.). Si deve al liberale on. Martino, Ministro degli Affari Esteri, che organizzò dal 1° al 3 giugno del 1955 a Messina una conferenza, se il progetto europeista fu rilanciato. Appena 21 mesi dopo (25 marzo1957 ) venne firmato il c.d. Trattato di Roma perché sottoscritto nell’Urbe che diede vita alla Comunità Economica Europea e all’Euratom (energia atomica ) che entrò in funzione il 1° gennaio 1958. Ne facevano parte gli stessi Stati che avevano sottoscritto il Trattato di Parigi. Le conseguenze positive, sotto il profilo dello sviluppo economico e sociale dell’Europa ed anche della pace, derivanti dalle iniziative coraggiose e dalle sagge decisioni di quegli uomini di Governo sono sotto gli occhi di tutti. Non si è, invero, mai registrato nella storia dell’Europa un sessantennio sostanzialmente di progresso e di pace come quello decorso. Ora tutto ciò rischia di essere messo a repentaglio per miopi calcoli di bilancio ma soprattutto per le preoccupazioni elettorali di due leader (si fa per dire! ), Merkel e Sarkozy. Questi “ illuminati “ governanti non hanno evidentemente presente, ad es. che: sul P.I.L. tedesco la componente esportazioni rappresenta circa il 50%,, e che il 40% c.a.delle esportazioni germaniche è diretto verso gli altri paesi dell’Unione Europea e che,secondo gli ultimi dati,nel 2011 le esportazioni tedesche verso la zona E.U. s ono aumentate dell’8,6%;

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nel periodo 2000-1° trimestre 2010 degli insoluti vantati dalle banche tedesche nei confronti di istituti di credito stranieri (4,7 miliardi di dollari ) il 50% c.a. risultava di istituti dell’area E.U.R. (v.pag.29, Tab. 8 dello “Staff Report for the 2010 Art. IV Consultation – Fondo Monet. Intern. ); nel 2011 le esportazioni francesi sono state assorbite per il 38% dai principali paesi europei (16.5 % dalla Germania,l’8,2 % dall’Italia; il 7% dalla Spagna, 6,6 % dal Regno Unito ); un’eventuale insolvenza della Grecia, del Portogallo, dell’Italia o della Spagna avrebbe gravissime conseguenze sull’economie di Germania e Francia da cui non si salverebbero, probabilmente, né la costruzione europee, ovviamente, l’Euro …né la loro rielezione. A questo punto viene naturale e sconsolatamente da dire, parafrasando un verso di Francois Villon (1431 -1480? ) che recita “Ou’ sont –elles les neiges d’antan? “ (=”Dove sono le nevi di una volta?”-v. “Ballade des dames du temp s jadis “), “ Ou’ sont ils les hommes d’Etat d’antan? “ (= “Dove sono gli statisti di una volta? ” ). Ora abbiamo a che fare solo con “politicanti“!

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GIUSTIZIA, POLITICA NAZ.

LE ACQUE DEL LETE E DELL EUNOE’ E GLI UOMINI POLITICI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 febbraio 2012 • 1 Comment

Secondo la mitologia greca il Lete era, nell’oltretomba, il fiume o la fonte della dimenticanza (in greco “léthe”=oblio) dalle cui acque dovevano bere le anime destinate a nuovi corpi. Nella “Divina Commedia” il Lete è un ruscello posto nel Paradiso Terrestre (v. Purgatorio, Canto XXVIII,v.136). Nelle sue acque Matelda (figura probabilmente simbolica e non collegabile con la contessa Matilde di Canossa) immerge Dante per fargli dimenticare il male e renderlo degno di salire alle stelle (v. purgatorio,Canto XXXI,v.100101 ). Quindi gli fa bere l’acqua dell’Eunoé (dal greco “eu” =bene e “noo’s”= memoria; collocato anch’esso nel Paradiso Terrestre- v. Purgatorio,Canto XXVIII,v, 131) onde avvenga che “la tramortita sua virtu’ ravviva” (v. Purgatorio, Canto XXXIII,v.129). I politici, sotto tutte le latitudini, si immergono,a seconda della loro convenienza, nelle acque del Lete e raramente bevono quelle dell’Eunoé. I nostri non sono diversi. Per non rimanere nell’astratto ci si consenta di formulare qualche esempio. Nei giorni scorsi sono stati ricordati solennemente dalle piu’ alte cariche dello Stato (in primis il Presidente della Repubblica) le vittime delle foibe. Sacrosanta commemorazione anche se, a nostro parere, alquanto tardiva. Pe oltre sessanta anni,infatti, il P.C.I. ed i suoi epigoni hanno sorvolato su questo tristissimo argomento. I motivi sono di facile individuazione: gli autori furono i cari compagni jugoslavi. Del pari poca attenzione se non risentimento fu riservato in tutti questi anni ai 250.000 Dalmati ed Istriani che presero nel 1946 la strada dell’esilio pur di rimanere Italiani e non vivere nel paradiso comunista. I ferrovieri comunisti, ad es., non fecero fermare alla stazione di Bologna i convogli che li trasportavano al Meridione non consentendo perciò di dar loro qualche modesto mezzo di conforto. Sempre per ricordare. In questi giorni il Presidente Napolitano ha annunziato che tra breve si recherà a Porzûs, in Friuli, per commemorare l’eccidio, avvenuto nel 1945, dei partigiani(monarchici, liberali, cattolici)della Brigata “Osoppo” ad opera di partigiani comunisti italiani. La loro colpa: l’opporsi alle mire annessionistiche titine sul Friuli. Non c i risulta che per questo eccidio i maggiorenti de l P.C.I. e poi del P..D. abbiano, fino ad ora, levato alti lai al Cielo. Giova ricordare a proposito di questa strage che una delle vittime fu Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo Pasolini. Questi fu un intellettuale dell’area di sinistra dove militavano (e militano tuttora) influentissimi critici. Questa circostanza forse gli impedì di lanciare strali contro i “compagni” ? Sempre a proposito di Porzûs non nuocerà rammentare che il comandante dei partigiani comunisti autori del massacro, Mario Toffanin detto “Giaco”, condannato all’ergastolo in contumacia perché fuggito in Cecoslovacchia ed in Jugoslavia, che “mai” si pentì, fu graziato dall’allora Presidente della Repubblica Pertini forse in ricordo della comune militanza partigiana nell’area di sinistra.

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Quanto all’attuale Capo dello Stato,da tutti oggetto di lodi sperticate e quasi di una santificazione in vita, dovrebbe,forse, bere l’acqua dell’Eunoé e fare,assieme a molti maggiorenti dell’ex P.C.I. e P.D.I., pubblica ammenda per il sostegno dato all’U.R.S.S. ed ai paesi della stessa satelliti,alla Cina di Mao etc, pur essendo pienamene a conoscenza dell’esistenza dei “gulag” e degli altri crimini ivi perpetrati. In particolare il Presidente Napolitano, dirigente di primo piano del P.C.I., dovrebbe, forse, dichiararsi pentito segnatamente per gli articoli scritti su “L’Unità” di approvazione dell’invasione dell’Ungheria da parte delle truppe sovietiche e dell’espulsione, nel 1974, dall’U.R.S.S. dello scrittore dissidente Alexandr Solgenytszin, poi premio Nobel. Ma allora Giorgio, militante della c.d. “corrente migliorista” del partito, era intento evidentemente e nella ricerca di “miglioramenti” e non poteva pertanto occuparsi a fondo di tali modesti avvenimenti. Ben diverso fu l’atteggiamento in occasione dei fatti d’Ungheria degli on.li Giolitti, Cucchi e Magnani ché essi diedero subito le dimissioni dal P.C.I. Cucchi e Magnani (emiliani come l’on. Bersani!) furono, in particolare,oggetto da parte del partito di un vero e proprio ostracismo. L’ elenco degli esempi potrebbe continuare anche se, probabilmente, sarebbero meno eclatanti, qualora si esaminasse il comportamento di esponenti di altri i partiti. Evidentemente è più facile per i sullodati uomini politici immergersi nelle acque del Lete che percorrere il sentiero che conduce alle rive dell’Enoé bevendo le cui acque potrebbe verificarsi per essi che “la tramortita sua virtu’ ravviva “ (Purgatorio,Canto XXXIII, v.127-129). Ci auguriamo in via conclusiva che il lettore almeno concluderà con noi: “Forsan et haec olim meminisse iuvabit” (=Forse di queste cose passate gioverà ricordarsi; Virgilio, Eneide, I, 203).

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CULTURA, POLITICA INTERNAZ.

“SUMMUM IUS SUMMA INIURIA” (= Il diritto spinto all’eccesso diventa somma ingiustizia) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 5 febbraio 2012 •

In questa regola giuridica è racchiusa una grande verità. Ne è l’ennesima riprova la recentissima sentenza della Corte di Giustizia internazionale dell’Aja che ha stabilito la non responsabilità risarcitoria della Repubblica Federale Tedesca per i crimini commessi da cittadini tedeschi nei confronti di Italiani nel corso dell’ultimo conflitto anche se si trattò di crimini di guerra o contro l’umanità e, per conseguenza, l’illeicità di sentenze di Corti italiane, o di processi futuri che venissero iniziati, aventi come oggetto la richiesta del risarcimento allo Stato tedesco per i danni subiti dalle vittime ancora in vita o dagli eredi delle medesime. In Italia le vittime civili delle truppe naziste (tra le quali vecchi,donne, bambini e sacerdoti) furono ben 15.000. La Corte dell’Aja non ha accolto la tesi della nostra Corte di Cassazione che aveva sostenuto l’equiparazione della violenza sui civili ai crimini contro l’umanità e, per conseguenza, la responsabilità degli organi statali che li avevano compiuti (principio questo, ormai acquisito nel diritto internazionale dopo i processi di Norimberga e di Tokyo). Da parte germanica si è certamente ricordato il controverso comma 4 dell’art. 77 del Trattato di Pace del 1947 con cui il nostro paese rinunciò a chiedere i danni per l’occupazione nazista (eccezion fatta per il diritto a domandare la restituzione de i b eni trafugati) ed i due accordi bilaterali del 1961 con cui i due paesi avevano chiuso il contenzioso riguardante i danni subiti dagli internati in Germania con un risarcimento di 40 milioni di marchi da parte di Bonn e l’impegno italiano a non far proseguire (od iniziare) le cause contro lo stato tedesco. La parte germanica aveva,peraltro, fatto presente che tale indennizzo doveva essere considerato come un “atto di buona volontà “e” non come il riconoscimento di un diritto”. La materia è ingarbugliata ma ci sembra utile ricordare che le responsabilità sono comunque personali ma che occorre che i condannati siano,dopo la condanna,messi a disposizione della giustizia per espiare la pena. La collaborazione delle autorità tedesche con quelle italiane è stata in questa materia veramente efficientissima! Sembra,infatti, che ben 16 ufficiali tedeschi (gente,visto il tempo trascorso, evidentemente dalla pelle dura !,) condannati all’ergastolo per stragi compiute in Italia, vivano liberi nella Repubblica Federale Tedesca magari,come è uso degli anziani in quel paese,coltivando fiori nel giardino di casa od ascoltando musica classica. Note conclusive: il diritto è uno strumento molto,molto flessibile; la coscienza di certi popoli lo è altrettanto se non di piu’; - i Tedeschi, in genere,hanno fatto proprio da molti anni il motivetto di quella bella canzone napoletana che dice” Scurdammoce o’ passato”. D’altronde da un recente sondaggio solo il 5% dei giovani germanici sa cosa sia stato l’Olocausto …ma la maggioranza,probabilmente, ha letto l’articolo di “Der Spiegel” sul naufragio della “Concordia” ed il giudizio “laudatorio” sugli Italiani ivi contenuto e da tale lettura avrà sicuramente rafforzato la convinzione (che era,d’altronde,quella dei loro nonni) di appartenere al popolo superiore di hitleriana memoria.

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

QUALCHE MONTI

NEO

NEL

GOVERNO

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 30 gennaio 2012 •

Premesso che governare un paese come l’Italia è sempre cosa ardua(sembra che Mussolini –c he non era uno stupido-abbia detto: “Non è difficile governare il popolo italiano – E’ impossibile“) e che lo sia maggiormente in questa drammatica congiuntura appare ovvio. In un nostro articoletto pubblicato da “Cartalibera“ il 20 novembre 2011 dal titolo “Governo Monti: i suoi membri sono tutti donne ed uomini d’onore ….ma…“ manifestavamo qualche perplessità circa la possibilità che i vari ministri, esponenti del sistema universitario, dell’avvocatura, dell’establishment bancario etc., avessero la forza d’imporre alle categorie di provenienza le dure misure che la situazione rende necessarie dato che, stando alle dichiarazioni del prof. Monti, terminato il mandato ministeriale, i membri del suo Governo non si sarebbero candidati a cariche politiche e sarebbero rientrati nei ranghi d’origine. Non avevamo, però, preso in considerazione che membri dell’Esecutivo potessero offrire materia di critiche non infondate. Ci riferiamo ai casi del Sottosegretario Melanconico, di cui scrivemmo su questo foglio il 14 u.s.,a quello del responsabile per l’Editoria, Patroni Griffi,alle dichiarazioni inopportune del Sottosegretario al Ministero del Lavoro, l’enfant prodige prof. Martone, di cui da alcuni (v.” Libero” del 28 u.s. ) vengono messi fortemente in dubbio i meriti accademici. Ci sembra tutto ciò molto pericoloso per l’immagine del Governo (anche nei fori internazionali) perché l’opinione pubblica potrebbe trarre la convinzione che la c.d. casta dei politici è stata sostituita da quella dei professori e dei potentissimi “grand commis del’ E’tat”, segnatamente dai vari magistrati amministrativi, talché, come scrivemmo nel già menzionato nostro articoletto sul caso Melanconico, troverebbe conferma il principio da noi formulato parafrasando Tacito: ”In corruptissima republica plures jurisperitissimi” (= In uno Stato corrottissimo sono numerosi gli esperti di diritto).

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

TEMPI MELANCONICI by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 gennaio 2012 •

“Malinconia” o “Melanconia ” (dal greco “malos” = brutto) significa ”cattivo umore, tristezza”. Leggendo la notizia delle dimissioni del Sottosegretario Prof. Melanconico (che ha,detto per inciso, anche un secondo cognome eguale a quello -il primo- dello scrivente anche se tra noi non vi sono rapporti di parentela neppure lontani) si é presi da sentimenti, appunto, di “melanconia o tristezza “. Verrebbe spontaneo ricordare che nel caso di specie ancora una volta trova applicazione il detto latino “In nomine omen ” (=nel nome il destino). A prescindere dall’etimologia e della fatalità nei nomi, da questo episodio si evince che la mala pianta della scorrettezza (per non dire altro e di peggio ) nei comportamenti della nostra classe politica e burocratica ha radici profondissime e diffuse nella nostra società. Nel caso Melanconico colpisce anche che egli sia stato -salvo errore- anche consigliere di Stato cioé membro del massimo organo consultivo dell’ordinamento italiano chiamato a dare pareri al Governo ed al capo dello Stato sulle problematiche giuridiche e soprattutto sull’applicazione delle leggi nonché sulle stipulazione di negozi contrattuali. E’ inoltre il principale organo di giustizia amministrativa. Anche qui viene naturale ricordare due detti latini: “Quis custodet ipsos custodes? ” (=Chi sorveglia i medesimi sorveglianti ?) e – parafrasando Tacito (Ann.), “Corruptissima in republica, plurimi iurisperitissimi (invece di ”plurimae leges” ) ovvero ” in uno Stato corrottissimo sono numerosi i giureconsulti ” (nel testo tacitiano: “numerose le leggi”). Se così stanno le cose, a meno di una sollecita riscossa morale nell’intero paese, l’avvenire si presenta ancora molto oscuro anche “Monti regnante “. (Ma, ovviamente,si dirà che la colpa é di Berlusconi il quale é all’origine di ogni nequizia italiana ). Ci auguriamo vivamente di sbagliarci e che gli Dei siano propizii all’Italia !

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ECONOMIA, POLITICA INTERNAZ.

“MEDICE CURA TE IPSUM” (MEDICO, CURA TE STESSO) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 gennaio 2012 •

In un articolo del 27 settembre 2011 su “Carta Libera” intitolato “Dagli amici mi guardi Iddio ché dai nemici ci penso io” criticavamo l’atteggiamento delle autorità tedesche, con in testa la Cancelliera Merkel, che con i loro inopportuni e ripetuti interventi avevano messo in dubbio le possibilità di tenuta dell’economia italiana con le immaginabili ripercussioni negative sui nostri mercati finanziari e, “per li rami”, sull’intera economia dell’Unione Europea e della stessa Germania. In una lettera al “Corriere della Sera” del 20 dicembre u.s. il lettore Fausto Fanti ha riassunto il contenuto di un recente articolo dell’autorevole quotidiano finanziario germanico “Handelsblatt” intitolato “La Verità” in cui veniva smentito il presunto virtuosismo dei Tedeschi in materia fiscale dato che il “debito reale”, se si includono cioè le spese per pensioni e sanità e l’aiuto alle persone non autosufficienti, è di 5000 miliardi di euro più elevato rispetto ai 2000 miliardi indicato dagli organi ufficiali. In totale, quindi, 7000 miliardi di euro. Il debito pubblico germanico si attesterebbe, perciò, nel 2012 al 185% del PIL. In questo conteggio non sembra, peraltro, essersi tenuto conto dell’esposizione,ragguardevolissima, della Cassa Depositi e Prestiti tedesca e di altre voci( ad es. l’esposizione delle società veicolo che si sono accollate il salvataggio di varie banche tedesche). Questi dati sono stati confermati da “Die Welt”, autorevole giornale di Amburgo. Il rapporto debito pubblico tedesco/PIL salirebbe perciò addirittura al 197%. Il debito pubblico italiano nel 2010 era stimato pari al 119% del PIL (fonte: CIA – World Factbook, aggiornato a gennaio 2011). Quest’anno il rapporto per il nostro paese sarà sicuramente più elevato ma non dovrebbe raggiungere il 185% del PIL.Nessun istituto di credito italiano ha dovuto fino ad ora essere salvato dalla mano pubblica. In conclusione: il titolo di questo scritto non ci sembra inappropriato!

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POLITICA INTERNAZ.

“LA C.D. PRIMAVERA ARABA SI STA TRASFORMANDO IN UN INVERNO PER LA DEMOCRAZIA?” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 dicembre 2011 •

“Carta Libera” ospitò il 14 ottobre u.s. un nostro articoletto dal titolo “La primavera araba è già finita?” in cui manifestavamo forti dubbi circa le probabilità dell’avvento di regimi effettivamente democratici in Egitto, Libia, Tunisia (il Marocco non aveva ancora deciso di procedere ad elezioni). A distanza di quasi due mesi la situazione delineatasi in quell’area sembra,purtroppo, confermare i nostri timori. Le elezioni svoltesi in Tunisia e Marocco,infatti, hanno visto l’affermazione,anche se con percentuali diverse, di partiti d’ispirazione islamica. In Marocco i risultati elettorali potrebbero avere un’incidenza meno negativa sul processo di democratizzazione del paese grazie all’influenza moderata del Sovrano che gode di un notevole prestigio tra la popolazione. La tornata elettorale iniziata gli scorsi giorni in Egitto, che prenderà fine solo a marzo 2012 (cui seguirà,salvo imprevisti, nel giugno p.v. l’elezione del Presidente della Repubblica) sembra,come era peraltro non difficile prevedere,confermare la preferenza dell’elettorato per il partito “Libertà e Giustizia” dei Fratelli Mussulmani (ben radicati, segnatamente nei quartieri poveri delle grandi città, grazie anche alle loro organizzazioni caritatevoli) e – cosa ancor piu’ preoccupante – per quello dei piu’ integralisti Salafiti “Al Nour”. In Libia non hanno avuto luogo elezioni ma anche in questo paese la presenza di gruppi islamici ben organizzati non è trascurabile. La situazione sembra poi essere complicata dalle già emerse rivalità tra le tribu’ della Tripolitania, quelle della Cirenaica e quelle berbere del meridione libico. Un “leitmotiv” che sembra accomunare,però, tutti questi paesi è il richiamo alla “Shari-a “,la legge islamica.Da quel che è dato capire ad essa dovrebbero conformarsi tutti i cittadini anche i non islamici. Il che sarebbe molto pericoloso. Di qui i timori di nuove persecuzioni manifestati in Egitto dai Copti (=10 % della popolazione) che da anni sono vittime di attentati e vessazioni. Considerando che le entrate da turismo hanno rappresentato fino agli scorsi anni una voce molto importante della bilancia dei pagamenti egiziana (25% c.a. delle entrate in valuta estera), di quella della Tunisia (20%c.a.) e del Marocco (20%c.a.), risulta evidente che il protrarsi di situazioni d’instabilità sotto il profilo dell’ordine pubblico e, comunque, della libertà religiosa ridurrebbe in misura ancor maggiore di quella registrata quest’anno i flussi turistici e,forse,gli investimenti diretti dall’estero.Già quest’anno in Egitto si é registrata una flessione dell’entrate da turismo per circa 1 miliardo di dollari (- 1 milione di turisti). Ne conseguirebbe in tali paesi un aggravarsi della crisi economica in atto e,naturalmente, del tasso di disoccupazione che è già molto elevato con le conseguenze sotto il profilo sociale ed anche politico immaginabili. La miseria (In Egitto il P.I.L. “pro capite” del 2010 è stato di 6200 dollari;in Tunisia di 9200 dollari; in Marocco di 4900 dollari) facilita ovunque il compito degli estremisti. Le rivoluzioni non avvengono,in genere, se la popolazione è satolla! Dobbiamo quindi attenderci un Africa Settentrionale ancor piu’ povera (eccezion fatta,forse, per la Libia che ha una popolazione scarsa ed immense riserve di petrolio e gas), quindi piu’ irrequieta e, probabilmente, piu’ estremista e, quasi sicuramente, poco democratica? Cassandra,figlia di Priamo e di Ecuba, amata da Apollo, ottenne dal dio il dono della profezia ma essendoglisi rifiutata fu condannata a non essere mai creduta. Continuò, infatti, a predire la caduta di Troia ma non fu ascoltata dai suoi concittadini e fu anzi oggetto d el loro scherno. Caduta Ilio fu violentata da Aiace di Oileo quindi assegnata come preda di guerra ad Agamennone cui predisse,inascoltata, l’uccisione al rientro in patria. Omicidio che avvenne per mano di Egisto e della moglie fedifraga Clitennestra la quale uccise anche la povera Cassandra. Speriamo che non ci sia riservato lo stesso destino! Saremmo anzi ben lieti di sbagliarci nel formulare queste previsioni pessimistiche!

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

EVASIONE FISCALE: CONSIDERAZIONE

QUALCHE

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 13 dicembre 2011 •

Unitamente alla diffusa corruzione nei vari settori della pubblica amministrazione ed al controllo del territorio da parte della malavita organizzata che,malgrado gli encomiabili successi conseguiti dalla Magistratura e dalle Forze dell’Ordine, è ancora presente in misura massiccia in intere Regioni del Meridione con preoccupanti infiltrazioni in quelle settentrionali, con i danni che ne conseguono (mancato sviluppo, evasione fiscale, corruzione), l’evasione fiscale rappresenta, senza ombra di dubbio, uno dei principali ostacoli che si frappongono al raggiungimento dell’equilibrio dei conti pubblici del nostro paese. Secondo le stime del Gruppo di Lavoro del Ministero dell’Economia e delle Finanze (v. l’audizione del Presidente della Corte dei Conti Luigi Gianpaolino del 16- nov. u.s.da parte della Commissione Finanze del Senato)l’evasione fiscale sarebbe,infatti, non inferiore al 18% del P.I.L. (dato riguardante il 2008). Prendendo questa indicazione per buona, anche se si tratta pur sempre solo di una stima, e supponendo che la suddetta percentuale non si sia ridotta nel triennio decorso (cosa che riteniamo improbabile ), nel solo 2010 l’evasione si aggirerebbe sui 120 miliardi di euro se non sui 200 miliardi di euro (P.I.L. -2010 =1550 miliardi di euro in cui,però,viene incluso il sommerso stimato). L’Italia si collocherebbe quindi al 2° posto dopo la Grecia nella classifica internazionale del fenomeno. Un tale importo corrisponde,nella prima ipotesi (120 miliardi di euro di evasione annua), a quattro volte quello previsto come necessario – si noti- nel triennio 2012-2014 per la manovra finanziaria cioè 30 miliardi di euro; ben sei volte e mezzo nella seconda ipotesi (evasione annua pari a 200 miliardi di euro). Il Governo Monti è consapevole di questo ma sa bene che la lotta all’evasione, stante la complessità dei problemi da risolvere, è un’operazione che richiede tempi lunghi. Gli strumenti per il contrasto possono essere –in sintesi – catalogabili in due grandi categorie:quelli che operano “ex ante” e quelli che vengono utilizzati “ex post” I primi consentono all’Amministrazione Fiscale di conoscere da “parti terze” le attività dei contribuenti o i loro guadagni (è questo il vero significato della c.d. tracciabilità ) ed agiscono soprattutto da “deterrente”. I secondi hanno anch’ess i una funzione di “deterrenza” ma con tempi piu’ dilatati dato che si tratta delle verifiche e dei controlli che il Fisco effettua sulle dichiarazioni dei redditi e che possono tradursi anche in sanzioni. Il sistema fino ad ora adottato in Italia è stato,in sostanza, quello degli interventi “ex post” che ha dato in materia di lotta all’evasione i risultati disastrosi sopra ricordati. Il Governo Berlusconi aveva iniziato a dotare il Fisco di strumenti piu’ efficaci per conseguire ex ante l’obiettivo “deterrenza”(l’Anagrafe Tributaria prima,gli studi di settore e da ultimo, con il D.L. n°138 /2011, le comunicazioni all’amministrazione fiscale di tutte le movimentazioni che hanno interessato conti correnti e depositi). Nel programma che il Governo Monti si accinge a presentare per l’approvazione al Parlamento figura un pacchetto di varie misure volte a contrastare l’evasione: comunicazione periodica da parte degli operatori finanziari all’Anagrafe Tributaria delle movimentazioni e degli importi che hanno interessato i conti corrente e quelli di deposito; maggiore articolazione degli studi di settore;verifica della congruità delle dichiarazioni con gli studi di settore;sanzione penale (in base all’art.78 del D.P.R.445 /2000) per chi esibisce o trasmette documenti in tutto o in parte falsi oppure fornisce dati non rispondenti al vero; comunicazione all’Agenzia delle Entrate ed alla Guardia di Finanza da parte dell’I.N.P.S.delle posizioni di chi beneficia di prestazioni socio-assistenziali;riduzione a 1.000 euro del limite per l’utilizzo del danaro contante per i pagamenti; gli assegni di importo pari o superiore ai 1000 euro dovranno recare la clausola di non trasferibilità etc. Per quanto riguarda,in particolare,il limite previsto ai pagamenti in contanti esso sembra di facile elusione (v. l’articolo dell’ex – Ministro prof.Vincenzo Visco su “La Voc” del 6 dicembre u.s.). E’, d’altronde, presente solo nelle legislazioni di due Stai europei e per importi molto superiori a quelli previsti nel programma del Governo

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Monti. Comunque sono misure che necessitano di un aumento del numero degli addetti ai controlli (attualmente solo 12/13.000) e di un notevole potenziamento dei programmi informatici ai fini dei necessari incroci anche se la maggior parte delle informazioni già esistono nei vari archivi. Uno strumento che favorirebbe,a nostro avviso,in maniera piu’ efficace sia la “deterrenza “ che i controlli non ci sembra,tuttavia,né previsto né allo studio: la creazione, come avviene nei paesi piu’ virtuosi fiscalmente, del c.d. conflitto d’interesse tra chi acquista un servizio o una merce e chi lo fornisce o la vende. Per crearlo è,però, necessario che il contribuente possa dedurre in una misura per lui interessante siffatte spese altrimenti preferirà correre il rischio di incorrere in un’ipotetica sanzione ma risparmiare l’I.V.A. Certamente non è agevole predisporre un tale meccanismo ma basterebbe ispirarsi ai sistemi che l’ hanno da molto tempo introdotto. Pensiamo che i motivi di questa evidente carenza italiana siano soprattutto di natura politica: non scontentare molte categorie produttive che … danno i voti. Forse un Governo c.d. tecnico come quello del Sen. Monti potrebbe,Europa adjuvante, tentare ! “Audaces fortuna juvat”! Se del caso riceverebbe sicuramente l’appoggio di tutti i contribuenti onesti.

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POLITICA NAZ.

Il problema della concessione automatica della cittadinanza allo straniero che nasce in Italia by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 novembre 2011 •

I – Il compagno Presidente Napolitano giorni fa ha chiesto con veemenza che, in base al principio dello “jus soli”, venga prevista la concessione della cittadinanza italiana ai figli di immigrati nati nel nostro paese. Naturalmente il prof. R iccardi, fondatore della Comunità di S.Egidio, neo Ministro per l’Integrazione, ha plaudito alla richiesta presidenziale. Per valutare la validità o meno della proposta del Capo dello Stato (che ad alcuni è suonata quasi come un “diktat”) occorre “in primis” verificare come stanno le cose sotto il profilo giuridico in questa materia. II-In sintesi : in forza degli artt. 5 e 9 della legge 5-2-1992 n°91 e successive modifiche ed integrazioni possono acquisire la cittadinanza italiana : a) Il cittadino straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea diretta di 2° grado siano stati cittadini italiani per nascita che risieda legalmente nel territorio della Repubblica da almeno tre anni (si sono avvalsi di questa norma molti cittadini argentini dopo la crisi economica di quel paese); b) Il cittadino straniero nato in Italia e che vi risieda legalmente da almeno tre anni; c) Il cittadino straniero nato in Italia che abbia legalmente risieduto nel nostro territorio senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età purché entro un anno dal raggiungi mento di tale età dichiari di voler acquisire la cittadinanza italiana; d) Il cittadino straniero o apolide coniugato con cittadino/a italiano /a che risieda legalmente in Italia da almeno due anni dalla celebrazione del matrimonio. Qualora i coniugi risiedano all’estero la domanda può essere presentata dopo tre anni dalla data del matrimonio. Detti termini (=due anni e tre anni) sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi. Al momento dell’adozione del decreto di concessione della cittadinanza non deve essere intervenuto scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e non esservi la separazione personale dei coniugi. E questo per cercare di impedire i c.d. matrimoni di comodo per l’acquisizione della cittadinanza; e)lo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risieda legalmente nel territorio italiano da almeno 5 anni successivamente all’adozione; f)lo straniero che abbia prestato servizio anche all’estero per almeno 5 anni alle dipendenze dello Stato italiano; g) l’apolide e il rifugiato politico che risieda legalmente da almeno 5 anni nel territorio italiano (art.9, c1, lett.e combinato disposto art.16 c.2); h) il cittadino di uno Stato dell’Unione Europea purchè risieda da almeno 4 anni nel territorio italiano; i) lo straniero che risieda legalmente da almeno 10 anni nel territorio italiano. Vi sono poi altre disposizioni speciali (art. 1 della legge 379/2000 e la legge 124/2006) che si applicano a coloro che siano nati e già residenti nei territori dell’ex Impero Austro. Ungarico ed ai loro discendenti ed ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia ed ai loro discendenti. Le domande volte ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana debbono essere presentate alle autorità consolari italiane se il richiedente risiede all’estero, all’Ufficiale di Stato Civile del Comune qualora il richiedente risieda in Italia. Una Commissione Interministeriale istituita presso il Ministero dell’Interno deve esprimere per ciascuna domanda un parere in ordine alla sussistenza dei requisiti pretesi dalla legge. La concessione della cittadinanza avviene tramite decreto del Capo dello Stato, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno.

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Il decreto non ha effetto se entro 6 mesi dalla notifica dell’atto all’interessato questi non presta giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato. III- In base a questa normativa dunque si evince che il cittadino straniero nato in Italia e qui residente legalmente da almeno 3 anni o ininterrottamente fino al raggiungimento della maggiore età ha diritto ad ottenere la cittadinanza italiana. Ci sembrano disposizioni non certo jugulatorie anzi generose! Non si comprende perciò il “j’accuse” del nostro Presidente. Ci sembra, per dirla con Shakespeare, che si sia trattato di “molto rumore per nulla”. Per contro la proposta di prevedere la concessione della cittadinanza in base al principio dello “jus soli “ ovvero per il solo fatto di esser nati in Italia ci sembra pericolosa. Ad es. se le norme applicative non prevedessero che i genitori debbano avere, per lo meno, la residenza legale in Italia tutti i figli dei clandestini (secondo la Caritas i clandestini sarebbero attualmente circa 500.000) nati nel nostro paese avrebbero titolo per acquisire la cittadinanza italiana. Inoltre il numero dei clandestini e dei rifugiati a vario titolo (ad es. ampliando la definizione di “rifugiato politico” a “rifugiato per motivi umanitari” quali le carestie) registrerebbe quasi sicuramente un incremento di tipo esponenziale tenuto anche conto della crisi economica e politica che affligge i paes i nord-africani e a Sud del Sahara. Occorre anche considerare in una tale evenienza il pericolo rappresentato dal fatto che i clandestini sarebbero prevalentemente di religione mussulmana. L’integrazione dei mussulmani nei paesi occidentali risulta, infatti, molto difficile se non impossibile come dimostrano i frequent i omicidi, ad opera dei propri congiunti, di donne mussulmane che desideravano integrarsi in qualche modo. In Italia i Mussulmani sono già oltre un milione e le famiglie mussulmane registrano un numero di figli elevato. Vogliamo con una legge sulla cittadinanza ancor piu’ permissiva dell’attuale favorire la creazione in Italia di uno stato a prevalenza mussulmana ? Come hanno previsto Oriana Fallaci ed altri valenti studiosi tra i quali Bat Ye’Or (autrice di “Eurabia” e di “Verso il Califfato Universale”) sarebbe un altro passo verso la “finis europae”. IV- Ci rendiamo a questo punto, però, conto che abbiamo infranto la regola non scritta che è di moda di questi tempi secondo cui di quel che fa o dice il Presidente Napolitano si puo’ “nihil scribere nisi bene” (=non scrivere se non bene). A noi però non piacciono le mode e continuiamo a credere nel detto “Amicus Socrates sed magis amica veritas” (= “Socrate mi è amico ma lo è di piu’ la verità” o quella che pensiamo sia la verità).

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POLITICA NAZ.

“GOVERNO MONTI: I SUOI MEMBRI SONO TUTTI DONNE ED UOMINI D’ONORE… MA…” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 novembre 2011 •

Fermo restando che il governo guidato dal Sen. Prof. Monti è, stante la situazione in cui versa il paese, la soluzione piu’ valida, e ciò malgrado la procedura non troppo ortodossa sotto il profilo costituzionale seguita, al fine di rasserenare l’esasperato clima politico e cercare di risolvere senza troppi indugi gli immani problemi italiani (come, d’altra parte, auspicammo negli articoli apparsi su “Cartalibera” il 10 ottobre ed il 4 novembre u.s.), esaminando la sua composizione qualche perplessità sorge, tuttavia, spontanea. Scorrendo i “curricula”, peraltro di indubbio pregio sia sotto il profilo tecnico che sotto quello privato (ovvero il non coinvolgimento in scandali o scandaletti), vien facile, infatti, notare che le persone che ne fanno parte provengono, in larghissima parte, dal mondo accademico,da quello dell’alta finanza, e della burocrazia. Questa circostanza potrebbe, ”prima facie”, rappresentare un aspetto positivo del nuovo Esecutivo giacchè non si possono proporre o adottare provvedimenti validi qualora non si conosce a fondo la materia. Vi sono , tuttavia,come in tutte le cose umane, i c.d. “rovesci della medaglia”. Ad esempio, come nel caso di Corrado Passera (Ministro dello Sviluppo, dei Trasporti e delle Infrastrutture) l’esser stato fino a qualche giorno fa amministratore delegato di Banca Intesa San Paolo, rappresentante della stessa nel patto di sindacato di RCS-Media Group e nel Comitato Esecutivo dell’Associazione Bancaria Italiana etc., gli consentirà, se necessario, di proporre o di adottare provvedimenti che confliggono con gli interessi del mondo da cui proviene e nel quale, verosimilmente, esauritasi la vita del Governo Monti, rientrerà? Del pari il neo Ministro dell’Istruzione, prof. Francesco Profumo, Presidente del C.N.R., Rettore del Politecnico di Torino, sarà in grado di portare a compimento la riforma dell’Università iniziata coraggiosamente dall’on.le Gelmi, scontrandosi, se fosse indispensabile, con le resistenze di molti suoi ex colleghi che – sia detto per il dovuto rispetto della verità – non sono del tutto immuni dalla responsabilità dell’assurda organizzazione dell’insegnamento accademico in Italia (una miriade di Università e di sedi secondarie, di corsi sovente utili solo a consentire ai docenti di potersi fregiare del titolo di professore e di percepire uno stipendio sicuro ed al relativo personale amministrativo di avere il famoso “posto fisso”, la creazione di una marea di laureati destinati, stante la frequente vacuità delle discipline loro insegnate, alla disoccupazione)? Ed ancora: la prof.ssa Paola Severino,Pro Rettore dell’Università LUISS (Ateneo della Confindustria), avvocato attivissimo del Foro Romano,potrà efficacemente cercare di migliorare le farraginose procedure giudiziarie italiane senza scontrarsi con le resistenze dei suoi ex colleghi e la corporazione dei Magistrati? Il pensiero che tra non molto ritornerà probabilmente alla professione forense potrà frenare -magari inconsciamente- la sua “vis “ riformatrice? Gli stessi maliziosi (alcuni li definirebbero “abietti”) interrogativi potrebbero formularsi nei confronti del titolare del Ministero della Difesa, l’Amm. Di Paola, e di quello del Ministero degli Affari Esteri, l’Amb. Terzi di Sant’Agata. Non desideriamo, però, che qualcuno ritenga giusto applicare a questo scriba il detto “Lingua maliloquax mentis indicium malae” (= La lingua maldicente è indizio di una mente malvagia, P. Siro “Mimiamb.”). Certo è che il rischio che ci siano Ciceroni che parlino o agiscano “pro domo sua” non è da escludere. Auguriamo, però, sinceramente al Sen Monti ( ed anche a noi Italiani ) di riuscire a lasciar “dir le genti” e a stare “come torre ferma che non crolla giammai in cima per soffiar di venti” (Purgatorio,Canto V, versi !3,14,15 ), i venti impetuosissimi rappresentati dai forti interessi delle varie consorterie italiane.

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POLITICA NAZ.

QUI SI PARRA’ LA TUA NOBILITATE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 12 novembre 2011

Il Governo Berlusconi domani chiude il suo ciclo. Le colpe di ciò sono – duole dirlo – attribuibili in larga misura ai comportamenti, non troppo consoni alle funzioni ricoperte, del Premier e dal non aver egli compreso che, insistendo nel rimanere alla guida dell’Esecutivo , si precludeva la possibilità di predisporre in tempo utile la propria successione promuovendo la costituzione di un Governo che chiamammo di “decantazione” evitando in tal modo la crisi in un momento di estrema difficoltà economica. Ma di questo scrivemmo nell’articolo del 4 ottobre u.s . ospitato da questo foglio (”Squallore e scoraggiamento “). E’ quindi inutile ritornare sull’argomento dato che “cosa fatta capo ha”. Quali sono le prospettive politiche attuali ? La costituzione di un Governo di unità nazionale (melius-diremmo- di “salvezza nazionale”) non sembra agevol cosa. I due partiti maggiori non sono, infatti, al loro interno , concordi nel volerlo varare. La Lega e l’Italia dei Valori hanno già dichiarato che non entreranno a farne parte. Il sostegno parlamentare – che è quello che alla fine conta - è perciò incerto. L’opinione pubblica internazionale, le Cancellerie e – cosa che piu’ conta – i mercati finanziari sono in attesa. Se l’Italia riuscirà a convincerli che sarà varato un nuovo Governo all’altezza ovvero in grado di adottare le dolorose scelte indispensabili a superare la crisi, che è soprattutto una crisi di credibilità,le cose potranno mutare e rapidamente in meglio ( i fondamentali economici, a parte il debito, non sono,infatti, cattivi) altrimenti assisteremo ad un processo involutivo dagli esiti forse catastrofici . Nei prossimi giorni si giuoca dunque questa drammatica partita. Le formule parlamentari (Governo tecnico,Governo politico ma con una forte presenza di tecnici ) si possono trovare purché ci sia la volontà e si abbia come stella polare il detto latino con cui intitolammo l’ultimo nostro scritto apparso su questo giornale il 4 nov.u.s. (“Salus reipublicae suprema lex esto”=La salvezza ed il benessere dello Stato sia la legge suprema ). La stessa stella che guidò i nostri padri dopo il disastro di Caporetto e che portò l’Italia alla vittoria nel primo conflitto mondiale. Ed allora il nostro paese aveva avuto oltre 500.000 morti ed era una nazione povera! Occorre ora cercare di mettere al bando la faziosità e di remare tutti nella stessa direzione sforzandosi anche(e qu esto vale soprattutto per molti politicanti e giornalisti) di non parlare in termini disfattistici del nostro paese,cosa che ,ripresa dalla stampa estera,concorre molto piu’ di quanto si pensi ad alimentare i giudizi di scarsa affidabilità del’Italia. Insomma nei prossimi giorni, o popolo italiano, “Qui si parrà la tua nobilitate” (Divina Commedia,Inferno, Canto II,verso 9). Che gli Dei ci siano propizi !

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SALUS REIPUBLICAE SUPREMA LEX ESTO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 novembre 2011 •

In questi giorni convulsi in cui gli attacchi della speculazione finanziaria verso il nostro paese si fanno sempre più pericolosi tanto più che le possibile difese ad opera dell’Unione Europe e degli altri organismi internazionali vengono approntate con una lentezza ragguardevole appare evidente l’impellente necessità di fornire all’opinione pubblica, nazionale ed internazionale,agli altri Governi ed agli operatori finanziari internazionali un segnale non equivoco della volontà dell’Esecutivo di adottare rapidamente misure volte a stimolare la crescita economica e ridurre il fardello del debito pubblico. Perché un tale indispensabile segnale possa essere inviato e venir percepito come credibile occorre,innanzi tutto, che ad emetterlo sia un Esecutivo che sia considerato stabile e coeso. Allo stato dell’arte appare evidente che l’attuale maggioranza, soprattutto a causa delle critiche(giuste o esagerate che esse siano poco importa) rivolte al proprio Premier sta perdendo i colpi. D’altro canto l’opposizione sembra molto divisa sulle cose da fare tranne che mandar via l’on.le Berlusconi. “Rebus sic stantibus”, scartata l’ipotesi di elezioni anticipate che,in realtà, pochi vogliono e che sarebbero deleterie per il Paese, le soluzioni possibili sembrano solo due: un Governo di unità o solidarietà nazionale od un Esecutivo, espressione dell’attuale maggioranza ma con un nuovo Primo Ministro, che guidi il paese fino alla naturale scadenza della legislatura.. La prima soluzione non pare praticabile sia per le divisioni esistenti sul programma da realizzare tra le varie componenti dell’opposizione sia per il rifiuto dell’attuale maggioranza che rivendica la vittoria nell’ultima tornata elettorale. In un nostro articolo apparso su questo foglio il 10 ottobre u.s. (“Squallore e scoraggiamento”), analizzando la deplorevole situazione politica in cui versava il Paese, auspicavamo l’adozione della seconda soluzione e cioè la nascita di un Esecutivo,espressione della maggioranza, che chiamammo di “decantazione” perché guidato da un nuovo Primo Ministro, che rasserenasse il clima politico e procedesse rapidamente ad adottare le misure necessarie al rilancio dell’economia. Scrivemmo anche che condizione ineludibile perché ciò avesse qualche probabilità di concretizzarsi era che l’eventuale candidato fosse una personalità autorevole accettabile anche dall’opposizione ed osammo indicare due nomi che ritenavamo avere tali requisiti: Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Sen. Schifani, Presidente del Senato. In tale occasione manifestammo –per quel che poteva valere-la nostra preferenza per Gianni Letta perché è un abile mediatore,un profondo conoscitore della macchina statale, è rispettato anche dall’opposizione e,soprattutto, perché non é sospettabile, anche per l’età, di voler rimanere a lungo alla barra dell’esecutivo e, per ciò stesso, risulta idoneo a frenare gli appetiti dei vari Diadochi. Dalla lettura di alcuni quotidiani sembra ora farsi strada questa soluzione. Il problema da risolvere preliminarmente sarebbe,ovviamente, in questa eventualità, quello ottenere le dimissioni del Cavaliere. Questi,però, caparbiamente,si rifiuta di ritirarsi dall’agone. Le motivazioni di un tale atteggiamento non sono ,vista la situazione, molto comprensibili.Spera forse, rimanendo Primo Ministro, di poter essere eletto Capo dello Stato alla scadenza del mandato di Napolitano? O di meglio tutelare i propri interessi giudiziari e patrimoniali? E’ evidente come entrambe queste eventuali speranze siano prive di fondamento. Forse le ragioni del suo atteggiamento vanno ricercate nel campo della psicologia. Probabilmente è un fatto caratteriale.E’ un lottatore che non accetta di dichiararsi sconfitto, di darla cioè vinta ai suoi avversari. E d anche :si addice pure a lui il detto di Tacito “Cupido dominandi adfectibus flagrantior est” =(La brama del dominio è più ardente degli altri affetti;Ann.,15,53,20)che,più volgarmente,nella Trinacria suona “Comandare è meglio che far l’amore”. (Data l’età questa sembra ,forse,l’interpretazione più plausibile). Uno statista che ama il proprio paese, però, dovrebbe ricordarsi del detto romano con cui abbiamo intitolato questo scritto: “Salus reipublicae suprema lex esto” ( = l’integrità ed il benessere dello Stato siano la suprema legge). Ed anche rammentarsi che “Hannibal ad portas!” (=Annibale è alle porte!) ovvero che il pericolo è gravissimo e che incombe. Il tempo fa veramente difetto!

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LA C.D. PRIMAVERA ARABA RISCHIA DI TRASFORMARSI NEL DOMINIO DELLA SHARI’A? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 26 ottobre 2011 •

Dai moti rivoluzionari avutisi in Tunisia ed in Egitto, prima, ed in Libia poi, sembrano emergere, come molti temevano, nuove realtà statuali che hanno, su pressione di partiti islamici anche se gli stessi si dichiarano moderati, la shari’a come fonte primaria del diritto. Il che presenta incognite da non sottovalutare. Per cercare d’individuarle occorre, innanzi tutto, comprendere, anche se la cosa non è facile, di che si parla. Con il termine “shari’a” (= propriamente “strada battuta verso l’acqua”) s’intende la legge sacra dell’islamismo che, come l’acqua, è essenziale per la vita, qual’è dedotta dal Corano, testo dettato da Dio a Maometto, l’ultimo dei Profeti,testo che, essendo di origine divina, è immutabile ; dalla “Sunna”, l’insieme degli “hadith” cioè i detti,i fatti ed anche i silenzi, del Profeta; dallIgma’ ovvero il consenso della comunità mussulmana (opinione formulata in modo comprensibile da un numero sufficientemente grande di persone “competenti”);dal “Qiyas” o deduzione analogica da quanto prescritto dal Corano e dalla “Sunna”. Sono questi i “quattro fondamenti” del diritto islamico. Si tratta, in conclusione,di un “corpus” normativo di origine religiosa che come tale dovrebbe essere rispettato dalla comunità dei credenti islamici (la “Umma “ ). Esso incide su tutti gli aspetti della vita ovvero quella religiosa, quella sociale, le attività amministrative ed anche la politica. Risulta arduo in questa sede, stanti la molteplicità delle fonti e la sovente poca chiarezza dei testi, riassumerne le regole. Occorre anche ricordare che nel corso dei secoli accanto alle norme c.d. canoniche sorse nei vari territori un diritto consuetudinario e e furono emanate norme c.d. di pubblico interesse oltre che decreti governativi validi per le diverse realtà territoriali. In base alla “Shari’a” le azioni umane sono catalogabili in cinque modi diversi: -atti obbligati cioè doveri; -atti meritori (consigliati, raccomandati); -atti consentiti (permessi, leciti); -atti riprovevoli (che offendono la sensibilità morale ma che non sono punibili); -atti vietati,illeciti (“haram”). Dato che la normativa islamica ha un carattere religioso non c’è distinzione tra peccato e reato talché un atto illecito è peccato e, per conseguenza, reato e d è, pertanto, punito dalla legge.

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I principi religiosi che costituiscono le basi della “shari’a” fanno sì che la religione viene proiettata con forza nella vita pubblica e qui risiede, a nostro avviso, la differenza fondamentale con i principi ispiratori dei sistemi legislativi occidentali dove in via teorica (perfino nei domini papali ) si opera una separazione tra lo “jus civile”, che disciplina le attività dei laici, e lo “jus canonicum” che regolamenta le questioni religiose. La “commixtio” tra le due sfere, che sembra propria della “Shari’a”, potrebbe agevolmente tradursi, segnatamente se prendessero il potere o esercitassero sui Governi una forte influenza partiti islamici integralisti come ad es. i “Salafiti” (da “Salaf” = ritorno alle origini ), all’applicazione di norme non compatibili con i principi democratici (libertà religiosa, eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, esercizio degli altri diritti fondamentali dell’uomo etc.). Per fare qualche esempio pratico :sarebbe consentito ad un non Mussulmano che risiedesse in uno di questi Stati sposare una Mussulmana ed educare l’eventuale prole nella propria religione? Cosa potrebbe succedere ad un Mussulmano che abiuri? Oltre alla già praticata esclusione dalla comunità mussulmana rischierebbe un processo di tipo “Tafkir” attraverso il quale viene denunciato e, se del caso,individuato un “Khafir” cioè un miscredente con la non improbabile conseguenza di una condanna a morte? Sarà consentita la lapidazione degli adulteri anche se la colpa sia stata accertata con un regolare processo? Verranno inflitte le pene corporali previste dalla “Shari’a” per altri i delitti (ad es. l’amputazione della mano ai ladri; la fustigazione)? E si potrebbe continuare con i quesiti. In conclusione: le incognite sono molte e preoccupanti ed il timore di un’involuzione, adiuvanti la crisi economica e la poca stabilità di quei Governi, verso regimi caratterizzati da influssi teocratici non ci sembra del tutto infondato.

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LA C.D. PRIMAVERA ARABA E’ GIA’ FINITA? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 ottobre 2011 •

In questo articolo pubblicato da questo foglio il 4 febbraio u.s. esprimevamo forti dubbi, per quanto riguarda l’Egitto, che si sarebbe ivi affermata la democrazia a causa della forte presenza nel paese delle forze integraliste rappresentate dall’antica associazione dei Fratelli Mussulmani. I tristi avvenimenti de Il Cairo degli scorsi giorni ci sembrano, purtroppo, dare ragione anche se, probabilmente, oltre che ai “Fratelli Mussulmani “ le colpe dell’accaduto sono riconducibili ai gruppi Salafiti (mussulmani ancor piu’ integralisti ) ed ai militari che preferiscono distrarre l’opinione pubblica dalle loro colpe durante il regime di Mubarak favorendo i gruppi mussulmani ed attizzando l’odio verso la minoranza copta (circa 10 milioni ) da secoli oggetto di discriminazioni in Egitto. Da questi gravi disordini non possono che derivare guai: un’ ancora piu’ accentuata flessione del turismo, fonte importantissima di valuta per la debole economia egiziana,donde un aumento del tasso già elevato di disoccupazione e, per conseguenza, del malcontento, di tumulti e di un’accelerazione dell’esodo dei Copti che costituiscono una componente molto attiva della società egiziana . Conseguenze ultime di tutto ciò: le elezioni, previste il 28 novembre al Cairo e ad Alessandria, a dicembre nell’Alto Nilo e nel gennaio del 2012 negli altri Governatorati, sarebbero a rischio .Forse è questo quel che vogliono i militari per mantenere il loro potere. Ma questo potrebbe rafforzare la posizione degli integralisti che potrebbero opporvisi e, alla fine, prendere il potere e magari seguire l’esempio dell’Iran. Anche in Tunisia il potere è nelle mani di ex- collaboratori di Ben Alì che non hanno nessun interesse a libere elezioni. Che succederà in Libia? Quel che è certo che Gheddafi, anche gravemente diminuito nel suo potere, non è finito e potrebbe minare l’unità nazionale e che i capi dei ribelli sono stati in larga misura suoi collaboratori quindi non certo campioni di democrazia.. “Rebus sic stantibus “ci sono le basi per l’avvento della democrazia in quel paese in un arco di tempo ragionevole? Il pessimismo sembra giustificato. D’altronde in paesi che non hanno mai conosciuto la democrazia anche perché nella storia dell’Islam i Califfi, successori di Maometto, erano capi militari, responsabili amministrativi e legiferatori (che, tra l’altro, come avviene d’altronde ancora attualmente, dovevano ispirarsi in questo campo alla “Sharia”, il complesso di norme contenute nel Corano e per ciò stesso, essendo stato tale testo sacro dettato da Allah, non è suscettibile di modifiche) non eletti, l’affermarsi della democrazia, che significa libere elezioni, un Parlamento, separazione dei poteri, non è connaturata con la loro concezione della società. E’ perciò molto verosimile anche se deprecabile che l’offensiva islamica trovi altri baluardi in queste nazioni. E questo per i paesi europei, specie quelli come il nostro che si affacciano sul Mediterraneo sarebbe veramente una iattura ! Occorrerebbe perciò che l’Occidente esercitasse –e sollecitamente- tutta la propria influenza su quei leader per evitarla.

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SQUALLORE E SCORAGGIAMENTO by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 ottobre 2011 •

Osservando l’attuale panorama politico del nostro paese si è presi da due sentimenti che, entrambi, inducono alla tristezza: lo squallore e lo scoramento. Lo squallore: sia guardando a destra che a sinistra si assiste ad un baillamme di dichiarazioni, di accuse spesso condite con il turpiloquio; gli attori di questa farsa o tragedia sembrano insensibili alla gravissima situazione in cui versa il paese. E’ una rissa continua che appare del tutto sterile . Il bene del paese,da tutti proclamato,appare, infatti, essere solo un artificio declamatorio. La causa di questo, ad un esame attento, è ricercabile nel limitato valore, salvo eccezioni, della classe politica nell’uno e nell’altro schieramento che appare non all’altezza dei gravi problemi che incombono. (Occorre, peraltro, riconoscere che anche all’estero non si scorgono personalità paragonabili ad Adenauer, Kohl, De Gaulle; Spaak). Da qui il senso di scoramento che prende chi ha a cuore il bene del paese ma non riesce ad intravedere una via d’uscita. Usualmente i cittadini, scontenti dei loro reggitori, in un regime democratico dispongono dell’arma del voto. In Italia elezioni anticipate sarebbero attualmente una iattura perché la necessaria campagna elettorale paralizzerebbe quasi sicuramente l’azione del Governo, scatenerebbe la speculazione al ribasso e rallenterebbe l’adozione delle urgenti misure per la ripresa. E poi, anche se si avverte qualche scricchiolio nella maggioranza, per quali motivi il Governo,democraticamente eletto, dovrebbe rassegnare le dimissioni? E, se del caso ,per essere sostituito da chi? Da un Governo di unità nazionale? Non pare una soluzione fattibile anche perché l’opposizione non offre garanzie di solidità avendo un solo mastice: scacciare l’on.le Berlusconi, causa di tutti i mali del paese come se la sua partenza risolvesse d’un colpo tutti i problemi italiani talora creati dalla stessa Sinistra e spesso secolari. Quanto a programmi l’opposizione è divisa: non c’è accordo sul nome del futuro leader, sulla legge elettorale, sui temi etici, sulla politica estera e sulla politica di rilancio dell’economia. Non si tratta di dettagli! Ed allora che fare? E’ indubbio che sia necessaria una fase che definiremmo di decantazione (=chiarificazione di un liquido ottenuta mediante la separazione delle particelle in sospensione – sedimentazione) cioè di parziale rasserenamento del cielo politico. E’ peraltro evidente che la figura di Berlusconi con i suoi problemi giudiziari e di comportamento (anche se spesso ingigantiti e sfruttati all’inverosimile dalla stampa avversa e dall’opposizione) costituisca l’ostacolo a di un tale rasserenamento del clima politico. L’unica soluzione che da umile osservatore sembrerebbe possibile sarebbe quella che il Cavaliere designi il suo successore dopo essersi assicurato che i suoi parlamentari lo voteranno e dia le dimissioni. Se la maggioranza necessaria fosse assicurata il Capo dello Stato non potrebbe negare l’incarico a condizione ,naturalmente ,che il candidato propostogli fosse adeguato alla bisogna. Quali dovrebbero essere i suoi requisiti? A nostro parere : una carriera politica non sfiorata da scandali o scandaletti ,un’esperienza parlamentare e di governo adeguata alle enormi difficoltà da affrontare,autorevolezza e seguito nell’ambito dei partiti di maggioranza ,rispetto da parte di quelli dell’opposizione. Mi si potrebbe obiettare a questo proposito innanzi tutto che l’on.le Berlusconi non è disposto a “fare un passo indietro” e , in subordine,che non ci sono personalità che abbiano i requisiti sopraindicati. Alla prima obiezione si potrebbe rispondere: per ora il Cavaliere non demorde ma potrà resistere se la sua base parlamentare l’abbandonasse (ci sono già molti segnali in tal senso)? O non sarebbe per lui piu’ conveniente scegliersi il successore, uscire elegantemente di scena, eventualmente rimanendo presidente del partito, e sottrarsi così all’assedio dei magistrati e della stampa? Se tale ipotesi si

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concretizzasse una vittoria della coalizione di Centro destra alle prossime elezioni non sarebbe da escludere a condizione, ovviamente, che il Governo di “decantazione “ riuscisse a migliorare la situazione economica italiana. Alla seconda obiezione è indubbiamente non agevole rispondere ma esaminando bene il panorama parlamentare e politico delle forze di maggioranza ci sembra che potrebbero essere gli uomini giusti: il Sen. Schifani ,Presidente del Senato ed il Sottosegretario Gianni Letta. Forse l’eventuale candidatura di Gianni Letta sarebbe quella piu’ opportuna perché è l’Eminenza Grigia del premier e suo amico fidato , conosce perfettamente la macchina governativa, è molto prudente e diplomatico, é rispettato anche dall’opposizione e “soprattutto”,stante l’età, non fa ombra ai tanti Diadochi che aspirano in un prossimo futuro a diventare Primi Ministri. L’unica carica cui Letta potrebbe aspirare è, invero, quella di Capo dello Stato ma la scadenza non è vicinissima. E forse al Cavaliere non dispiacerebbe troppo passare lo scettro per la “decantazione” al suo amico Gianni Letta (uno probabilmente dei pochi, veri ,di cui dispone), certo, così facendo, di agire per il bene del Paese. Ma, come scrisse Seneca (Thyest. ,Atto 3,sc.2,v.129-130 ): “Nemo tam divos habuit faventes crastinum ut possit sibi polliceri” (= Nessuno ebbe gli Dei così favorevoli da poter promettersi sicuro il domani)… figuriamoci nella politica nostrana!

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«QUALCHE SOMMESSO SUGGERIMENTO IN MATERIA DI RIFORME DELLA GIUSTIZIA ITALIANA» by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 ottobre 2011 •

I-“Legum servi sumus ut liberi esse possimus”(Cicerone “De Leg.”) = Siamo tutti servi delle leggi per poter essere liberi – ovvero per vivere in un sistema democratico). “Summum jus summa (saepe) injuria” (= L’eccesso di diritto si traduce (spesso), in un eccesso di non diritto – Cicerone, De off. 1,10). “Bonus judex damnat improbanda non odit” (= Il giudice onesto condanna le cose riprovevoli non odia – Seneca, De ira 1,16,7). —– In queste tre frasi si condensano, a nostro avviso, i pilastri di un’efficiente amministrazione della giustizia. Occorre, infatti, che le leggi siano idonee al buon funzionamento di una collettività sotto il profilo economico, sociale e dell’ordine pubblico in un determinato periodo storico ed al libero esercizio dei diritti degli individui. Condizioni perché questi obiettivi vengano raggiunti sono: -

la formulazione chiara delle leggi;

-

l’esercizio dell’attività giurisdizionale in tempi ragionevolmente rapidi;

magistrati tecnicamente preparati e soprattutto che siano ed appaiano al corpo sociale come equanimi ovvero non mossi da spirito di parte. II-Crediamo sia palese a tutti che queste tre condizioni non vengono soddisfatte in Italia. La produzione legislativa è ancora numericamente abnorme e le norme sono sovente formulate in maniera poco chiara se non contraddittoria le une con le altre (con grande soddisfazione delle migliaia di avvocati che solo nell’area romana sono più numerosi di quelli che operano nell’intera Francia). Da qui anche il mancato soddisfacimento della seconda condizione (tempi ragionevolmente rapidi dell’attività giurisdizionale). Basti considerare che una vertenza in sede civile dura ,mediamente, nella migliore delle ipotesi, dal giudizio di 1° grado a quello della Corte di Cassazione un decennio. Quanto alla preparazione tecnica ed all’imparzialità dei giudici e, soprattutto, dei Pubblici Ministeri non poche riserve sono state formulate e – crediamo – non senza ragione. Da quanto sommariamente indicato risulta evidente che il sistema non funziona.

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I danni di questo incidono sul corretto svolgimento delle attività nella nostra società anche sotto il profilo economico. Si calcola, infatti, che per le lentezze della giustizia(circa 5,5 milioni sono ancora le cause inevase) gli operatori economici e finanziari italiani subiscano annualmente perdite enormi (secondo la Banca d’Italia pari all’1% del PIL) senza contare che, per gli stessi motivi, quelli esteri sono riluttanti ad investire nel nostro paese.Di fronte a questo stato di cose quali suggerimenti osiamo formulare al legislatore ed al responsabile del Ministero della Giustizia? III- In primo luogo occorrerebbe seguire l’esempio dell’Imperatore Giustiniano (482-565 d.C.) il quale, accortosi della foresta di leggi in materia civile venutasi a creare nel corso dei secoli nei suoi vasti domini e del loro disordine, nel 528 d.C. decise di riordinarle incaricando un gruppo di giureconsulti guidato da Triboniano. Nel 533 d.C. cioè dopo appena sei anni il lavoro di sistemazione dell’enorme produzione normativa romana venne mirabilmente portato a termine e fu promulgato il “Corpus juris civilis”, detto anche “Pandette” o “Digesto”, formato da 50 libri. I principi contenuti in questo “corpus” costituiscono la base di tutti i sistemi giuridici detti appunto di diritto romano. In pratica quelli adottati dalla maggioranza dei paesi se si eccettuano quelli dove vige la “Common Law” che si basa sui precedenti come, peraltro, avveniva nella prima fase del diritto romano, e che ha nelle formule spesso attinto al diritto civile romano. Il lavoro di riordino e di potatura della legislazione in vigore è un’impresa ardua ma anche, grazie agli strumenti informatici, non impossibile “purché” lo si voglia. Tale volontà sembra esserci presso il Governo ed il Parlamento ma occorre accelerare i tempi. Con l’art. 14, comma 19 della legge 28 – novembre 2005 n. 246 venne,infatti, istituita la “Commissione Parlamentare per la semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005”, a seguito della novella introdotta dall’art. 4, comma 1 della legge 18 giugno 2009 n. 69, ha assunto dal 4 luglio 2009 la denominazione di “Commissione parlamentare per la semplificazione”. Tale Commissione è composta da 20 senatori e 20 deputati nominati rispettivamente dal Presidente del Senato e da quello della Camera nel rispetto della proporzione esistente tra i gruppi parlamentari. Ad essa sono stati attribuiti vari poteri di cui i principali sono: esprimere pareri sugli schemi di decreti legislativi delegati che individuano le disposizioni legislative statali anteriori al 1970 delle quali si ritiene indispensabile la permanenza in vigore, sugli schemi di decreti legislativi delegati di semplificazione, riordino o riassetto di cinque materie individuate dalla stessa legge, su quelli di abrogazione espressa di disposizioni legislative statali oggetto di abrogazione tacita o implicita o che abbiano esaurito la loro funzione anche se successive al 1° gennaio 1970 nonché sugli schemi di decreto integrativi o correttivi; verificare periodicamente lo stato di attuazione del procedimento per l’abrogazione generalizzata delle norme previste dalla citata legge riferendone ogni sei mesi alle Camere. E’ una funzione importante ma ci sembra di seconda battuta. Piu’ incisivo e propulsivo é il ruolo del Governo ed in particolare quello del Ministero per la Semplificazione (attualmente guidato dall’on.le Calderoli ) e del Ministero della Giustizia (retto fino a poco tempo fa dall’on.le Alfano ed ora dall’on.le Nitto Palma ). Non poco questi Ministeri hanno fatto per riordinare la “selva “ normativa italiana.

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In breve ricordiamo che in virtu’ della c.d. legge taglia leggi (legge n°246/2005) e del decreto-legge 25-6-2008 n.200 convertito nella legge n°9/2009 si è proceduto alla ricognizione dei vari provvedimenti (leggi,Regi Decreti,decreti-legge ,decreti del Presidente della Repubblica etc.) emanati prima del 1970 ed ancora in vigore (circa 50.000)ed all’eliminazione di quelli superati riducendone in tal modo il numero a 10.000 circa. Secondo il Ministro Calderoni questo sfoltimento comporterebbe un risparmio complessivo dei costi per la Pubblica Amministrazione ed i privati di ben 23 miliardi di Euro. Il lavoro ,però, è ancora non ultimato perché vi sono gli atti legislativi delle Regioni e le norme applicative delle Direttive comunitarie. Oltre a questa meritoria opera di sfoltimento il Governo ha adottato in questo campo altri provvedimenti di rilievo. Con il decreto legislativo 6-9-2011 n°159 è stato ,infatti,adottato il c.d. Codice anti mafia (il codice delle leggi per combattere la mafia , le misure di prevenzione e la documentazione anti mafia ). Con il decreto legislativo 1° settembre 2011 n° 150 sono state introdotte le disposizioni complementari al Codice di Procedura Civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti di cognizione che entreranno in vigore il 6 ottobre del corrente anno. Sempre ai fini della riduzione del contenzioso in sede civile è stata resa obbligatoria la mediazione. Ci sembra ,perciò, che attualmente il Governo non stia con le mani in mano in questa materia. Molto però resta da fare ed occorrerebbe farlo presto. A tal fine si potrebbe,forse, pensare ,similmente a quel che fece Giustiniano, di delegare ad un ristretto gruppo di giuristi e parlamentari il compito di tale essenziale riordino e prevedere che i risultati dell’attività dello stesso vengano approvati solo successivamente dalla citata Commissione fissando a tal fine un termine. III-La seconda condizione per rendere efficace l’esercizio dell’attività giurisdizionale (un corpo di magistrati tecnicamente preparati e che siano ed appaiano “veramente “al di sopra delle parti) potrebbe essere soddisfatta ripristinando alcune regole che erano in vigore fino agli anni ’60, introducendone poche altre e soprattutto vegliando a che siano rigorosamente rispettate. Si tratterebbe di reintrodurre in materia di avanzamenti in carriera dei magistrati la regola che dopo l’esame di concorso e quello di uditorato (o periodo di prova) ogni promozione ad un grado superiore (ad es. consigliere di Corte d’Appello o di Corte di Cassazione) avvenga in seguito ad un concorso su base nazionale e non, come è attualmente previsto, in base all’anzianità. Materia di scrutinio in tali concorsi dovrebbero essere le sentenze redatte dai candidati in un arco di tempo tirato a sorte eguale per tutti (ad es. 1° semestre del 2010) ed eventuali altri titoli esibiti dai candidati (ad es. sentenze giudicate particolarmente valide, pubblicazioni etc.). Le Commissioni giudicanti dovrebbero essere composte da Magistrati di vertice e da professori universitari di diritto, tutti tirati a sorte. Gli stessi non dovrebbero poter tornare a far parte di una Commissione di Concorso prima che sia trascorso un triennio e in totale non più di due volte. Così facendo non sarebbe assicurato, come avviene ora, l’“excursus” automatico di carriera ed il percepimento dei relativi emolumenti. Con tale meccanismo l’equanimità nei giudizi di promozione dovrebbe essere conseguita. I Magistrati sarebbero perciò stimolati a dare sempre il meglio di sé.

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Inoltre dovrebbe essere loro vietato di esercitare le funzioni nelle regioni d’origine per scongiurare possibili condizionamenti ambientali e ,per evitare “attrazioni”, di presentarsi quali candidati ad elezioni locali o nazionali nelle stesse regioni dove hanno esercitato negli ultimi anni (tre anni?) e questo anche qualora il magistrato, prima di candidarsi, rassegni le dimissioni dalla Magistratura . Dovrebbe essere anche proibito, dopo aver terminato il mandato elettorale, di tornare ad esercitare le funzioni giudicanti od inquisitorie nella regione dove si è stati eletti. Naturalmente queste proposte sono suscettibili di miglioramenti ma quel ci sembra importante è che venga creato un meccanismo che ostacoli, nei limiti del possibile, l’instaurarsi (o il sospetto che possano instaurarsi)di collegamenti illeciti tra magistrati e forze politiche ed economiche ostativi all’indispensabile posizione “super partes” che è propria della funzione del magistrato. Questi non solo deve “essere” ma anche ,come si è accennato, “deve apparire” agli occhi della popolazione non sospettabile di faziosità, difetto questo che, in genere, è quasi connaturato con la militanza politica. “Last but not least” si dovrebbe procedere, come da più parti si suggerisce, ad una razionalizzazione della rete di Tribunali e di Corti d’Appello onde por fine alle attuali inefficienze e sprechi di risorse. Come ha ricordato a questo proposito di recente il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura (v. “Il Corriere della Sera” del 18.08.2011) in Sicilia ci sono, ad es., ben quattro Corti d’Appello, in Piemonte diciassette Tribunali in otto provincie e gli esempi potrebbero continuare. Il Governo e gli avvocati si sono, per contro, “appassionati” al problema della separazione delle carriere (tra giudici e Pubblici Ministeri).Sembra che se non lo si risolve la giustizia non possa funzionare. Riteniamo, invece, che per un magistrato l’esperienza nelle une e nelle altre funzioni possa costituire solo un arricchimento professionale mentre svolgere il ruolo di P.M., per tutta la carriera, possa portare ad acquisire una “forma mentis” distorta. Vi è cioè il rischio che, come ammonivano i Romani, la funzione porti in un certo senso ad assumere atteggiamenti persecutori deprecabili (“Bonus judex damnat improbanda non odit”) o mirino, con indagini eclatanti, a crearsi le basi per carriere politiche. Sarebbe perciò utile mantenere l’unicità delle carriere ma prevedere che le funzioni inquisitorie siano esercitate per periodi limitati dopo di che il magistrato dovrebbe essere reintegrato nel ruolo giudicante. —– Ci sembra ovvio rilevare ,conclusivamente, che l’efficienza della Giustizia costituisce uno dei pilastri per il rilancio del sistema Italia in tutti i campi perché , come dicono i Francesi ,“tout se tient”. Occorre perciò agire bene ed in fretta signori del Governo e del Parlamento !

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POLITICA INTERNAZ.

Dagli amici mi guardi Iddio chè dai nemici ci penso io by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 settembre 2011 •

I proverbi non smentiscono mai la loro saggezza. E’ questo il caso ove si consideri il comportamento delle autorità tedesche nell’attuale, tremenda crisi finanziaria. Sono stati, infatti, irresponsabili le ripetute dichiarazioni della Cancelliera Merkel e di alti esponenti tedeschi del Governo di Bonn e negli organismi europei (ad es. il Commissario per l’Energia della Commissione Europea, Ottinger, tra l’altro in una materia non di sua competenza) circa le possibilità di tenuta dell’economia italiana o le dimissioni poco prima della chiusura delle Borse europee e poco prima dell’apertura di quelle nord-americane, di Juergen Stark, membro della Banca Centrale Europea, in segno di evidente dissenso circa gli interventi di sostegno da parte dell’istituto centrale europeo al nostro paese (ma anche a Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda). Ora se è vero che il Governo italiano ha adottato una linea politica piuttosto incerta nell’elaborazione della manovra di salvataggio della nostra economia è altrettanto vero che è del tutto incomprensibile l’atteggiamento assunto “in pubblico” dalla Germania che alterna critiche al nostro Governo mentre é in corso d’elaborazione la manovra di risanamento a dichiarazioni di approvazione della medesima. Se le critiche sono legittime da parte di un membro dell’Unione Europea, tanto piu’ che il medesimo dovrà partecipare in misura notevole alle spese dell’operazione di sostegno, ciò non toglie che un Governo “responsabile cioè non succube degli umori del proprio elettorato (cui dovrebbe spiegare chiaramente le motivazioni della necessità del sostegno) dovrebbe aver presente che la speculazione internazionale trae da siffatti comportamenti giustificazione ai propri attacchi all’Euro ed alle borse europee. Inoltre – e questa è la cosa più importante – un’ insolvenza dell’Italia, sesta potenza economica ed, importante partner commerciale e politico della Repubblica Federale Tedesca, si tradurrebbe quasi sicuramente nella fine dell’Euro donde anche quella dell’Unione Europea. In tale deprecabilissima eventualità quali vantaggi trarrebbe la Germania? Il dramma di questa terribile congiuntura è che non si vedono veri “statisti” al timone degli Esecutivi europei ed a Washington!.

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ECONOMIA, POLITICA NAZ.

Come accadde sul Titanic ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 25 luglio 2011 •

I passeggeri di quel transatlantico ,consapevoli dell’imminente naufragio e dell’inevitabilità dell’evento , continuarono a ballare fino alla fine. Ci sembra che gli Italiani o ,sicuramente , la loro classe dirigente si comportino allo stesso modo . La speculazione internazionale attacca la nostra economia ,gli scandali si succedono sia tra le fila del centro-destra che tra quelle dei partiti di sinistra , è stata approvata una manovra che sembra far sostenere i sacrifici necessari solo alla popolazione ma non ai c.d. rappresentanti del popolo a livello sia nazionale che locale( e in questo si è raggiunta ,complice la notte, l’unanimità di tutte le forze politiche) . E questo è un fatto molto grave perché è una manifestazione di egoismo e d’insensibilità che accresce la sfiducia dei cittadini (ed anche dei mercati ) nei confronti della nostra classe dirigente.E’ anche ,in ultima analisi ,il segno dell’incapacità di pensare al bene del Paese e ,come scrivemmo di recente (v.”Ce la faranno i nostri eroi …? ” in “Cartalibera “ del 28 giugno u.s. ), la prova dell’avvenuto radicamento nella nostra società di una forma diffusa di disonestà che ci può condurre in tempi brevi alla decadenza. Occorre perciò un sollecito colpo d’ali . E’ cioè impellente non equivoco di riscossa soprattutto morale .

dare agli

Italiani ed ai mercati

un segno

Dato che i tempi stringono poiché gli speculatori sono sempre alle poste si dovrebbe innanzi tutto procedere immediatamente alla sostituzione del titolare del Ministero della Giustizia ed alla nomina di quello degli Affari Europei scegliendo persone ,anche non parlamentari ,d’indiscusse qualità . In secondo luogo – cosa piu’ importante- il Primo Ministro dovrebbe rassegnare le dimissioni dopo essersi ,però,assicurato che il timone vada in mani giuste. Il suo sacrificio sull’altare del principio che ”Salus reipublicae suprema lex esto “ (= la salvezza dello Stato sia la prima legge ) ,di cui facemmo cenno nel nostro scritto del 9 giugno u.s. (“ Mala tempora currunt –Che fare ?” in “Cartalibera “ ), verrebbe , infatti, apprezzato all’interno ed all’estero ,gli arrecherebbe probabilmente anche vantaggi per quanto attiene alle sue faccende giudiziarie e contribuirebbe sicuramente a rasserenare il clima politico e ,per ciò stesso , a calmare gli attacchi speculativi verso il nostro Paese e ,per conseguenza, a favorire la ripresa economica (nonché a rasserenarlo personalmente con vantaggi per la salute ). Sarebbe un gesto meritevole di stima che farebbe dimenticare i suoi non pochi errori e di cui il popolo italiano gli sarebbe grato. Il problema principale affinché una tale ipotesi possa concretizzarsi è ,però , la scelta del successore.Questi dovrebbe essere ,infatti, persona molto autorevole e disposta ad accollarsi un compito da “far tremar le vene e i polsi “. Non ce ne sono molti in circolazione ! E’ da sperare tuttavia che ci sia ancora qualcuno che “vincet amor patriae , laudumque immensa cupido “(=vinca l’amor di patria e la brama delle lodi ). Soprattutto l’amor patriae !

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ECONOMIA

«PER QUALI MOTIVI LE AGENZIE DI “RATING” DISPONGONO DI UN ENORME POTERE?» by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 luglio 2011 •

Il c.d. rating è, in sostanza, la valutazione del rischio che un emittente di titoli obbligazionari ed azionari (imprese, Stato od altro soggetto) non abbia la capacità (il c.d. rischio economico) o la volontà (il c.d. rischio politico allorché l’emittente sia uno Stato od un ente pubblico) di effettuare puntualmente i rimborsi in linea capitale o in conto interessi e di pagare le cedole durante il periodo di validità delle obbligazioni emesse o, nel caso di remunerazione del capitale sottoscritto attraverso le cedole, durante il periodo di esistenza del soggetto (ad es. società per azioni). Si distingue anche tra “rating” dell’emittente e “rating” di un’emissione. Si tratta dunque di un giudizio basato sull’analisi approfondita della situazione economico-finanziaria dell’emittente o debitore e del settore di appartenenza. Ad esprimere tali giudizi sono le c.d. agenzie di rating, di cui parleremo più diffusamente in appresso, le quali hanno elaborato sistemi di classifica delle diverse categorie di rischio del credito. Si va, ad es., da “AAA” che è il livello più alto (cioè quasi assenza di rischio) fino a “CC” per Standard and Poor’s e ,per Moody’s ,da “Aaa” fino a “C”, indicativo questo del rischio d’insolvenza, e a “D” che indica il valore minimo di un emittente in condizione di fallimento (= default). Negli ultimi anni le classifiche si sono arricchite del “Credit watch”(= sorveglianza del credito) e del “Credit outlook” (= previsioni sul credito) indicanti le prospettive di evoluzione nel tempo del giudizio. Nel caso del “Credit outlook” l’arco di tempo preso in considerazione va da 6 mesi a 2 anni. Esso può essere “positivo”, “stabile” o “negativo”. Il “Credit watch” è un segnale forte di possibili mutamenti del giudizio. I “rating” da “AAA” fino a “BBB -” compreso costituiscono la categoria degli “Investment grade” ovvero di titoli che non presentano rischi. Quelli da “BB +” a “SD” rappresentano, per contro, la categoria dei c.d. “Speculative grade” dove il rischio è cioè presente. Questa distinzione assume un’importanza fondamentale per gli investitori istituzionali giacché la maggior parte di essi è sottoposto a precisi limiti operativi circa il livello di rischio degli strumenti finanziari in portafoglio. In alcuni casi è addirittura previsto il divieto di trattare titoli che non siano “Investment grade”. E’ perciò evidente l’interesse per gli emittenti ad ottenere un giudizio “Investment grade” o il passaggio dal “Speculative grade” all’“Investment grade” giacché tale miglioramento in classifica comporta per l’emittente un aumento del numero dei potenziali investitori nei suoi titoli mentre si riduce drasticamente nel caso contrario. Inoltre a seconda del “rating” varia il livello dei tassi d’interesse e delle altre condizioni che l’emittente deve offrire ai potenziali investitori.

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Per attirare gli investitori dovrà cioè offrire condizioni più favorevoli (e quindi più onerose per l’emittente) quando è classificato “Speculative grade”. Avverrà il contrario nell’ipotesi di una classifica “Investment grade”. Anche il giudizio sull’economia di un paese è, come si è visto in questi giorni, di enorme importanza giacché influenza le stime del credito di tutti gli operatori finanziari dello stesso dato che le agenzie indicano con la dizione “Sovereing ceiling” il limite massimo che tali soggetti possono raggiungere per ottenere fondi internazionali onde rimborsare i loro prestatori. E questo perché lo Stato ha la priorità sulle riserve valutarie ed è tenuto in teoria a controllare le capacità di tutto tali soggetti ad ottenere fondi internazionali. Per questi motivi gli operatori privati e gli Stati possono avere un grande interesse alle valutazioni delle agenzie. Nel caso dei privati ciò li induce, per conseguenza, a pagare cospicue parcelle alle agenzie per ottenere le loro valutazioni. Anche le banche d’affari, che hanno ricevuto il mandato da enti locali di organizzare e collocare sul mercato le emissioni di obbligazioni degli stessi, pagano per ottenere i “rating” tanto, alla fine, sono gli emittenti cui va il costo della parcella. Gli Stati, invece, non pagano i giudizi delle agenzie. Da tutto ciò deriva che il giro d’affari delle agenzie è enorme. Nel 2009, ad es., è stato di circa 9 miliardi di dollari. Altrettanto enormi sono stati gli utili. Ad es. Moody’s dal 2005 al 2009 ha realizzato profitti per complessivi 2,8 miliardi di dollari circa e Standard e Poor’s per 1 miliardo circa di dollari. Il che significa un utile operativo corrispondente al 38% circa dell’ammontare dei loro ricavi complessivi per i servizi di analisi e di assegnazione dei rating! Quanti e quali sono le società che si dedicano all’attività di “rating”? Circa una quarantina. Le principali sono le già ricordate Moody’s Investors Services, Standard and Poor’s e Fitch I.B.C.A.. Le prime due sono statunitensi mentre la terza, nata negli Stati Uniti, è diventata di proprietà francese qualche anno fa. Ve ne sono poi in Cile, Cina (ben tre), Corea, Germania, India, Pakistan, Svezia. Standard and Poor’s è la più antica essendo nata 150 anni fa. Dispone di uffici in 23 paesi ed opera in trenta paesi. Nel 2009 ha pubblicato o ripubblicati oltre 870.000 giudizi e valutati debiti per 32 trilioni di dollari. E’ una divisione del gruppo “Mc Graw-Hill Companies Inc.”, sorto agli inizi del XX secolo, quotato alla borsa di New York, che opera nel settore dell’editoria e dei mezzi di comunicazione. “Moody’s Investors Service” è controllata dalla “Mood’s Corporation”. Entrate del 2010: 2 miliardi $; occupati: 4.500; presente in 26 paesi. Esamina più di 110 paesi, 12.000 società emittenti e 25.000 emittenti pubblici, 106.000 obbligazioni di finanza strutturata. Sempre a tale gruppo appartiene “Moody’s Analytics” che fornisce a dirigenti del comparto economico-finanziario assistenza e programmi informatici e di ricerca economica in materia di valutazione del rischio finanziario . Il “Fitch Group” è la holding delle organizzazioni di servizi di valutazione del rischio – “Fitch Ratings”, “Fitch solutions” ed “Algorithmics” – ed è controllata da “Fimalac S.A.” quotata alla borsa di Parigi.

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“Fitch Ratings” venne fondata col nome di “Fitch Publishing Company” il 24.12.1913 ed iniziò a pubblicare statistiche finanziarie. Nel 1997 si fuse con la I.B.C.A. Ltd. (con sede a Londra) ed entrò a far parte del Gruppo Fimalac S.A. che aveva acquisito nel 1992 la I.B.C.A. Ltd. Seguirono altre acquisizioni di imprese del settore e nel 2004 “Algorithmic’s”,un’importante impresa del ramo. Attualmente in “Fitch Ratings” lavorano 2.997 esperti distribuiti in 51 uffici in vari paesi. Nel 2009/2010 ha registrato entrate per 608,9 milioni di euro (Fonte: Fitch). Dal 2010 Fimalac S.A. ,attraverso la “Gilbert Coulier Productions” (di cui detiene il 40% del capitale), occupa in Francia una posizione di punta nel settore della produzione di avvenimenti musicali e sportivi ed, anche, se meno rilevante, in campo audio-visivo (Next Radio TV, Vega). Cerchiamo ora di approfondire un aspetto importantissimo: la proprietà di dette agenzie. Iniziamo dalla minore della “Triade” (da non confondere con il termine che indica la mafia cinese): la Fitch. I suoi principali azionisti sono: il gruppo francese FIMALAC, di cui si è già detto, che detiene il 60% del capitale sociale e che opera nel settore dell’editoria ma anche in quello immobiliare e fa capo al fondatore Marc Ladreit de La Charrière ed il grande gruppo statunitense dell’editoria Hearst Corporation. La Hearst ,fondata nel 1887, ha oltre 17.000 dipendenti, è attiva nel campo dell’editoria (15 quotidiani, oltre 20 riviste), nella produzione radiofonica (2 stazioni) e televisiva (29 stazioni che detengono circa il 18% c.a. del mercato statunitense) ma anche in campo immobiliare. In “Standard and Poor’s” il principale azionista è, come si è accennato, il gruppo Mc Graw-Hill, quotato alla borsa new yorkese, attivo nel settore dell’editoria, che ha tra i suoi azionisti (fonte: Bloomberg) i fondi d’investimento “Capital World Investors” (12,3%), “State Street” (4,3%), “Vanguard” (4,2%), “Oppenheimer funds” (3,8%) oltre che il suo Presidente ed Amministratore Delegato Harold Mc Graw III (3,9%). Nell’azionariato di Moody’s, quotata a Wall Street, figura (fonte: Bloomberg) la Berkshire Hathaway (12,5%) del famoso finanziere Warren Buffet, i fondi Capital World Investors (12,4%), T. Rowe Price Assoc. (5,6%), Capital Research Global Investors (3,7%), Value act holdings (3,6%), Vanguard Gr. (3,4%), State Street (3,4%). Sulla scorta di questi dati che sicuramente non sono completi (ma l’intento di questo scritto non è la redazione di un saggio tecnico) ci sembra che si possano formulare alcune note conclusive. “Prima facie” si sarebbe indotti a pensare che l’attività di rating sia un solo, ovviamente, lecita ma che svolga anche un ruolo meritorio nel mondo dell’economia e della finanza. L’analisi – se ben fatta ed onesta – di realtà che hanno un’importanza fondamentale nel mondo dell’economia e della finanza sia a livello micro che macro può, infatti, rappresentare uno strumento salutare di controllo dato che grazie ad esso ai risparmiatori viene ridotto il rischio che operatori poco onesti celino loro informazioni fondamentali per giudicare l’effettivo stato di salute delle imprese o, nel caso di Stati, dell’economia e della finanza del paese che emette titoli pubblici. C’è però, come avviene in quasi tutte le vicende umane, un rovescio della medaglia che è diventato sempre più negativo ed estremamente pericoloso non solo per i singoli risparmiatori ma, stante la globalizzazione, per l’economia di interi paesi e talora per la stabilità dell’economia mondiale. Affinché una tale delicatissima e difficilissima attività di analisi e di giudizio sono, invero, necessarie, in base al buon senso: a) notevoli capacità tecniche in molti settori; b) un’altra altrettanto ragguardevole esperienza della materia;

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e soprattutto c) l’assenza di un conflitto d’interessi nell’analista. Il giudice deve, infatti, essere innanzi tutto imparziale. Per essere tale non deve avere il benché minimo interesse nell’oggetto della sua indagine e giudizio. Si dice, infatti, “ab immemorabile”: «Nemo iudex in causa propria» (= nessuno può essere giudice della propria causa). Le agenzie di “rating” soddisfano queste tre condizioni? Qualche perplessità a proposito delle prime due condizioni (capacità tecniche ed esperienza) sono più che lecite ove si pensi alle clamorose ,per così dire, “sviste” delle agenzie nell’esprimere i loro giudizi sui titoli collegati ai mutui nord-americani andati in default, sui conti in rosso di ENRON (energia) e World Com. (telec.) per non parlare della valutazione ancora positiva rilasciata pochi giorni prima del fallimento circa Lehman Brothers ,bancarotta che è stata una delle principali cause della crisi economico-finanziaria mondiale. Rimanendo in Italia c’erano state pagelle positive per Parmalat e Cirio prima del loro stato di insolvenza di cui hanno fatto le spese migliaia di risparmiatori alcuni addirittura depauperati dei risparmi di tutta una vita. Le perplessità (per usare un eufemismo) circa l’imparzialità delle agenzie (la terza condizione) aumentano a dismisura allorché nell’azionariato delle stesse figurano soggetti che operano nel settore finanziario in una situazione cioè di potenziale concorrenza con l’entità esaminata. E’ questo il caso, come si è visto, di Moody’s e Standard and Poor’s nelle cui società di controllo sono presenti in posizioni rilevanti fondi d’investimento. Il conflitto d’interessi è in queste fattispecie piuttosto palese ed è, a nostro parere, il punto centrale delle distorsioni del sistema. Fino ad ora non sembra che le varie autorità preposte alla vigilanza sui mercati ed i legislatori siano stati in grado di porre un freno efficace a tutto ciò anche se negli Stati Uniti sono stati adottati il “Dodd-Frank Wall Street Reform Act” ed il “Consumer Protection Act” e, come vedremo, due Regolamenti nell’ambito dell’Unione Europea volti a disciplinare e rendere più trasparenti le attività di tali agenzie ed il loro immenso potere. Secondo molti osservatori le colpe maggiori di questo stato sono attribuibili alle autorità nord-americano che, in primo luogo, stabilirono che alcune istituzioni di rilevanza sociale quali, ad es., i fondi pensione non potevano acquistare obbligazioni prive del marchio delle tre agenzie aprendo in tal modo alle stesse un mercato enorme anche perché gli altri paesi seguirono l’esempio statunitense. Nel contempo non ci fu, però, un controllo efficiente da parte della S.E.C. (Stock Exchange Commission) e dei similari organismi degli altri paesi. Come si è accennato, le valutazioni sul rischio paese non vengono retribuite e questo consente alle agenzie di esprimere con maggior libertà i loro giudizi in quanto non nutrono il timore di ledere gli interessi di importanti clienti e quindi di perderli. In questi casi l’obiettività dei giudizi apparirebbe quindi maggiore. Alcuni osservatori sospettano, tuttavia, che essendo statunitensi le principali agenzie e stante la presenza nel loro capitale di vari fondi nord-americani esse non siano in realtà insensibili agli interessi degli operatori in dollari i quali trarrebbero grande vantaggio da giudizi severi (talora troppo severi!) su alcune economie specie del Vecchio Continente e dal conseguente indebolimento dell’Euro, considerata la precarietà in cui versa la valuta americana. Attribuendo una classifica molto negativa ad alcuni Stati, infatti, si provoca un deflusso dei capitali investiti da quell’area verso un’altra giudicata un poco meno rischiosa.

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E’ indubbio che in questa eventualità il debito pubblico statunitense non potrebbe che trarne beneficio. Da tutto ciò è emersa la necessità di migliorare e rendere già efficace l’azione di vigilanza anche sulle agenzie di rating che operano, in pratica, in un regime oligo -polistico. A livello europeo è stato perciò emanato il Regolamento U.E. n. 1060/2009 (in Italia è stato attuato con il Decreto Legislativo 176/2010) che ha fissato una serie di condizioni per l’operatività delle agenzie (registrazione, garanzie sull’indipendenza degli analisti, sull’affidabilità, la pubblicità delle metodologie usate etc.) cui è seguito il Regolamento U.E. n. 1095/2010 che ha istituito l’Autorità Europea di Vigilanza degli Strumenti finanziari e dei mercati – A.E.S.F.E.M.. Ad essa è stata demandata la competenza generale, in conformità con il già citato Regolamento U.E. n. 1060/2009, in ordine alla registrazione delle agenzie ed alla vigilanza permanente sulle stesse. L’11 maggio di quest’anno un altro Regolamento dell’Unione Europea – il n. 513/2011 – che, modificando il Regolamento n. 1060/2009, ha rafforzato i poteri dell’A.E.S.F.E.M. (ad es. l’elaborazione di norme tecniche riguardanti le informazioni che le agenzie di rating del credito devono fornire ai fini della domanda di registrazione e quelle che le stesse devono dare ai fini della domanda di certificazione e della valutazione della loro importanza sistemica per la stabilità finanziaria; possibilità per l’A.E.S.F.E.M. di svolgere indagini ed ispezioni in loco e d’imporre sanzioni amministrative pecuniarie alle agenzie di rating qualora risulti che abbiano violato, intenzionalmente o per negligenza le disposizioni del Regolamento n. 1060/2009). Probabilmente, anche se con notevole ritardo, la strada imboccata sembra quella appropriata. Sarebbe soprattutto estremamente utile ed urgente istituire, come da molti ed autorevoli parti è stato auspicato (v. ad es. la Cancelleria Merkel ed il suo ministro delle Finanze Schäuble), un’Agenzia di Rating Europea a condizione tuttavia che la stessa sia autonoma dai Governi europei. Nell’immediato costituiscono già un primo passo nella direzione giusta le restrizioni poste gli scorsi giorni dalla C.O.N.S.O.B. (e che avranno efficacia fino al 9 settembre p.v.) alle vendite allo scoperto, strumento utilizzato massicciamente dagli speculatori ribassisti anche perché è poco trasparente . Viene ,infatti, fatto obbligo di comunicare alla CONSOB le posizioni “nette corte” delle società quotate quando superino determinate soglie quantitative. Non vorremmo, però, per quanto riguarda interventi di maggior portata, che «Dum Romae consulitur (= mentre a Roma, ovvero nell’ambito degli organismi europei e dei Governi) consulitur (= si dibatte il problema) Saguntum (= le economie di alcuni paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e l’Italia) expugnatur (vengono espugnate cioè distrutte)». Adiuvanti a tale scopo egregiamente le Agenzie di rating ! Per concludere se non ci si libererà del complesso di sudditanza psicologica verso Wall Street e la City e non si adotteranno provvedimenti urgenti di notevole peso i guai saranno una costante dei prossimi tempi perché «Pecuniae omnia parent» (= tutto obbedisce al danaro, Giovenale, Sab. 3, 183).

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POLITICA NAZ.

Ce la faranno i nostri eroi … ? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 giugno 2011 •

Era questo il titolo di un divertente film di qualche anno fa. Parafrasandolo: ce la faranno gli Italiani a superare l’attuale grave crisi? Si tratta, infatti, di una crisi non solo economica e politica ma e soprattutto morale ed anche sistemica. Ci troviamo, invero, in quello che sembra un vicolo cieco. La maggioranza di Governo incontra difficoltà notevoli ad attuare il proprio programma non solo in seguito dell’uscita dei Finiani e dei vari errori di comportamento del capo dell’Esecutivo ma anche a causa della sfavorevole congiuntura economica internazionale e delle difficoltà della ripresa. Occorrerebbero a tal fine stimoli notevoli ma i vincoli di bilancio riducono le risorse necessarie. Contribuiscono a limitare l’azione del Ministro dell’Economia i freni frapposti dalle varie corporazioni imprenditoriali e dai sindacati della Pubblica Amministrazione spalleggiati, talora surrettiziamente, dai partiti e la difficoltà di recuperare in breve tempo risorse riducendo l’enorme evasione ed elusione fiscale. I frutti del federalismo fiscale, infatti, non arriveranno nell’immediato. I tempi relativamente dilatati di questa riforma e delle azioni di contrasto ai reati fiscali giocano perciò a sfavore del Governo. Sotto il profilo dell’ordine pubblico – cui gli elettori sono, in genere, piuttosto sensibili – il Governo può vantare indubbi successi nella lotta alla criminalità organizzata ma la guerra è lungi dall’essere vinta ed intere Regioni non riescono per questo a prosperare. A ciò si aggiunga la microcriminalità che, anche a causa dello spaccio della droga e dell’aumento del numero di immigrati spesso clandestini, imperversa non solo nelle metropoli ma anche nei piccoli agglomerati dove una volta era quasi sconosciuta. “Se Atene (=il Governo) piange Sparta (=l’opposizione) non ha – a ben guardare –, malgrado le apparenze di che far ridere gli Italiani“. E’ divisa al suo interno tra vetero-marxisti, teo-com e giustizialisti o populisti talché difficilmente sarà in grado di elaborare e soprattutto di realizzare, qualora vincesse le elezioni, un programma di governo moderno di tipo – per semplificare – social-democratico. Come, ad es., procederebbe per conseguire i sostanziosi ed indispensabili tagli alla spesa pubblica? La campagna promossa dall’opposizione per il “sì“ al referendum sull’acqua è un esempio che fa temere il peggio. La privatizzazione della distribuzione dell’acqua (non la proprietà delle fonti idriche!) , assegnabile comunque in seguito a pubblica gara, mirava a reperire sul mercato i soldi necessari a risanare le reti di distribuzione che, specie nel Meridione, sono dei veri colabrodo, e che sono gestite fino ad ora dalle Aziende Municipalizzate le quali non dispongono però dei capitali indispensabili. Chi li fornirà? Il solito Pantalone o gli amministratori delle Municipalizzate si trasformeranno incredibilmente in sagacissimi creatori di risorse finanziarie? Ed ancora quale politica immigratoria praticherà eventualmente un nuovo Esecutivo di sinistra? Quella delle frontiere aperte a tutti sì da creare tra breve un‘Ital-arabia “in cui i “natives” (come negli Stati Uniti chiamano i ”pellerossa“) cioè gli Italiani diventerebbero una minoranza da confinare magari in riserve? E quale politica per la famiglia elaborerà se Nichi Vendola sarà membro del Governo? Libertà di adozione alle coppie omosessuali et similia? E in politica estera: rimarremo nella NATO e nell’Unione Europea? Già i vetero-comunisti hanno chiesto di uscire dall’Unione Europea. E si potrebbe continuare con gli interrogativi. Per quanto attiene alla politica ed all’economia il panorama ci sembra pertanto molto fosco! Ma quel che ai nostri occhi sembra la cosa più preoccupante è la crisi morale che appare aver colpito il nostro paese. Anche se, indubbiamente, molte sono fortunatamente ancora le persone oneste e lavoratrici quel che sembra pervadere la società italiana anche ai livelli più elevati ed anche – il che è gravissimo - non infrequentemente tra i rappresentanti degli organismi deputati alla tutela del retto funzionamento della società, è l’assuefazione al compromesso ed alla corruzione. In una parola: l’accettare come inevitabile la “disonestà” . E questo mina alla base qualsiasi organismo societario. Se non vi sarà una riscossa morale non ci attende che la decadenza… e non sarà troppo lenta perché i tempi ora sono rapidissimi. Speriamo vivamente che nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia “l’Italia si desti“!

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Come per cagione di femine si rovina uno stato by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 giugno 2011 •

Nel Capitolo 26 del Libro III dei “Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio”, così intitolato, Niccolò Machiavelli, cita come esempio l’aspra contesa sorta in Ardea tra nobili e plebei circa il marito da dare ad una giovane plebea orfana, volendo gli uni farla accasare con un nobile, gli altri, con un plebeo, che sfociò in un conflitto intestino dal quale seguì la caduta della città in mani romane. La plebe, infatti, sopraffatta dalla nobiltà, uscì da Ardea e chiese aiuto ai Volsci i quali accorsero e si accamparono fuori delle mura. I nobili, a loro volta, avevano chiesto l’aiuto dei Romani. Questi, giunti dopo i Volsci, prima li batterono, poi entrati nella città eliminarono i capi delle fazioni impadronendosi della città. Il grande Fiorentino conclude ammonendo: “I Principi assoluti ed i governatori delle repubbliche non hanno a tenere poco conto di questa parte ma debbono considerare i disordini che per tale accidente possono nascere e rimediarvi in tempo che il rimedio non sia con danno e vituperio dello stato loro e della loro repubblica come intervenne agli Ardeati i quali per aver lasciato crescere quella gara intra i loro cittadini si condussero a dividersi infra loro e volendo riunirsi ebbero a mandar per soccorsi esterni: il che è uno grande principio di una propinqua servitù”. Forse l’ammonimento del Machiavelli è sempre di attualità anche nel nostro beneamato Paese ma, per restare in argomento muliebre, diciamo subito: “honi soit qui mal y pense” (= sia maledetto chi pensa male), come sembra abbia proferito, onde fugare ogni sospetto tra i cortigiani, re Edoardo III d’Inghilterra nel 1347 dopo aver raccolto la giarrettiera caduta durante un ricevimento ad una dama (di qui il motto dell’omonimo Ordine cavalleresco forse istituito proprio dopo tale episodio).

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L’affaire Cesare Battisti by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 giugno 2011 •

I rapporti anche con i paesi c.d. amici sono sempre alquanto delicati perché occorre tener conto di molteplici, rilevanti fattori: gli interessi economici talora ingenti, il correlato bilancio dei flussi turistici, le problematiche di natura strategica (ad es. l’appartenenza ad alleanze militari o ad organizzazioni economiche multilaterali importanti), la presenza nell’uno o nell’altro paese di nuclei d’immigrati consistenti etc. La salvaguardia di tutti questi interessi è, perciò, non agevole e talora molto difficile da perseguire. Un interesse dovrebbe, però, essere in primis tutelato: la dignità nazionale. E questo anche a costo di ricevere, nell’immediato, qualche nocumento per quanto attiene ad altre utilità. Salvaguardare la dignità nazionale si rivela, peraltro, premiante nel medio-lungo periodo perché si acquisisce il rispetto delle altre nazioni e ciò riduce il rischio di essere oggetto di atti di prevaricazione da parte di altri Stati. Ci si consenta un piccolo ma significativo esempio a sostegno di questa tesi. Negli anni ’60 (ci sembra durante il Governo Fanfani) il nostro Ministro per gli Affari Esteri ordinò ai diplomatici e funzionari dei ministeri italiani di non partecipare alle numerosissime riunioni che quotidianamente si tenevano a vario titolo nelle sedi della Commissione delle Comunità Europee o della Segreteria del Consiglio dei Ministri delle stesse finché non fosse stata assicurata la traduzione simultanea dall’italiano verso le altre lingue ufficiali e viceversa (allora il francese, il tedesco e l’olandese). Vi era, infatti, il tentativo, con la scusa di difficoltà nel reperire interpreti dall’italiano, di imporre nelle riunioni il francese ed il tedesco come lingue di lavoro. Il che non solo avrebbe costituito una “diminutio capitis” per il nostro paese ma anche una non trascurabile difficoltà pratica. I nostri rappresentanti avrebbero, infatti, dovuto esprimersi in un’altra lingua su argomenti di rilevante importanza ed ascoltare gli interventi altrui nelle lingue originali senza l’ausilio della traduzione con il conseguente rischio di pericolosi fraintendimenti. Da parte dell’Italia si praticò cioè per qualche tempo quella che fu chiamata la “politica della sedia vuota”. Alla fine gli interpreti furono trovati! Il caso Battisti è, a nostro avviso, la lampante dimostrazione che non vi è stata da parte del nostro Governo un’azione ben congegnata volta, innanzi tutto, a salvaguardare la dignità nazionale e contemporaneamente il diritto tout court. Il nostro paese ha subito dal Brasile, paese considerato “molto” amico, un oltraggio gravissimo di cui non sarebbero stati oggetto – ne siamo quasi certi – altri importanti paesi, ad es. Francia, Regno Unito, Spagna, in genere molto attenti nei fori internazionali alla tutela della propria dignità e pronti a reagire anche duramente e nei vari scacchieri utili (organizzazioni internazionali, rapporti bilaterali etc.) ogni qualvolta avvertano un “vulnus” in atto o potenziale della stessa. L’Italia, per contro, è stata, salvo rare eccezioni, sempre riluttante ad adottare comportamenti analoghi. Siamo, perciò, convinti che alla base dello “schiaffo” fortissimo inflittoci vi sia stato il convincimento delle autorità brasiliane e della maggioranza dei giudici della Corte Suprema carioca che dopo qualche protesta, anche se veemente, da parte nostra alla fine l’Italia, “pro bono Pacis” avrebbe fatto buon viso a cattivo giuoco. D’altronde forse che i Governi italiani succedutisi negli ultimi venti anni hanno protestato “seriamente” ed adottato le opportune iniziative nelle varie sedi (cioè non in quelle meramente giurisdizionali) per cercare di ottenere l’estradizione dei numerosi terroristi ed assassini italiani delle diverse formazioni rivoluzionarie di sinistra (non c’è stato solo Cesare Battisti!) rifugiatisi in tale periodo in Francia grazie alla c.d. dottrina Mitterand che vietava l’estradizione dal suolo francese dei rifugiati per motivi politici (dottrina quasi certamente inventata dall’allora Presidente francese per fare cosa grata ai suoi sostenitori di sinistra, segnatamente agli intellettuali “a caviale e Champagne”, e, contemporaneamente, per far dimenticare la sua attiva partecipazione come funzionario del Governo Petain al rastrellamento degli Ebrei francesi) ?

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Ed ancora: perché l’attuale Governo si è deciso a richiamare il nostro ambasciatore a Brasilia e a convocare quello brasiliano a Roma (provvedimento indicativo, secondo la prassi diplomatica internazionale, di profonda preoccupazione od irritazione) solo dopo la pronunzia della Corte Suprema Brasiliana e non qualche mese fa quando c’erano già forti avvisaglie di un verdetto a noi avverso? (Per inciso e modestamente l’estensore di quest’articoletto l’aveva chiesto per iscritto al Ministro Frattini il 30 dicembre u.s. cioè quando iniziarono a diffondersi le indiscrezioni circa la volontà del Presidente Lula di opporsi alla concessione dell’estradizione). Ora abbiamo raccolto i frutti di questo comportamento pusillanime. “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”. “Ahi serva Italia”!

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“Mala tempora currunt”. Che fare? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 9 giugno 2011 •

L’avvenire politico è molto oscuro. Cosa si può fare ? E’ di tutta evidenza che dopo i deludenti risultati, per il Centro-destra, dell’ultima tornata amministrativa il Governo sarà sempre più posto sotto assedio dall’opposizione che cercherà di dargli la spallata finale.L’opposizione,peraltro, divisa com’è anche ideologicamente (l’unico collante che l’unisce, infatti, è l’odio per il Premier e la speranza di rimpadronirsi del potere), non offre un’alternativa affidabile. Ad un esame, “pacato animo “, dell’opera del Governo è lecito dire che non ha, nel complesso,troppo male operato ove si tenga conto dei molti fattori avversi in cui si è trovato ad agire. Basterà, invero, ricordare che sono stati tenuti in ordine i conti pubblici, salvaguardata la stabilità del sistema bancario (il che non è avvenuto in molti altri paesi) e questo in una fase congiunturale tremenda; è stata contrastata positivamente la malavita organizzata; è stato avviato il federalismo regionale e la riforma universitaria; la ripresa economica è stata favorita. Inoltre non si è registrato un aumento della disoccupazione (secondo Eurostat ad aprile 2011 il tasso di disoccupazione italiano -8,1% – si collocava al 6° posto nell’Unione Europea dopo Spagna- 20,7 % – Irlanda -14,7 % – Grecia –14,1 %- Portogallo -12,6%- Francia -9,4% – ed era di 1,3 punti inferiore alla media dell’UE che è del 9,4 %. I dati italiani vanno anche attentamente esaminati ché ci sono ben 200.000 posti di lavoro per i quali non si trovano candidati. Certo occorrerebbe fare molto di più segnatamente per quanto concerne un più rapido rilancio dell’economia. Gli errori del Governo si sono avuti soprattutto nella campagna elettorale e – dispiace dirlo – sono ascrivibili soprattutto alle scelte del Premier. Inoltre ha molto nuociuto il comportamento del medesimo nell’ultimo biennio frutto, forse, della sua esasperazione per le innumeri inchieste a suo carico, del suo carattere e, probabilmente, di una certa solitudine. A questo punto cosa si dovrebbe fare per evitare un biennio di guerriglia con l’opposizione che, adiuvante una certa magistratura, metterebbe a repentaglio un’efficace azione del Governo e la stessa tenuta della coalizione di centrodestra ? In assenza di una soluzione il paese soffrirebbe troppo e, considerati gli enormi problemi che deve affrontare (economici,immigratori etc.), non se lo potrebbe permettere. Non vediamo altra possibilità di quella che, per amor di patria, l’on.le Berlusconi, cui va riconosciuto il merito dopo “Tangentopoli“ di aver ricostruito il centro-destra, lasci ad altri la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Toglierebbe in tal modo ai suoi avversari la principale (se non l’unica) arma di lotta e rasserenerebbe l’atmosfera politica. Le uniche personalità idonee, a nostro modesto parere, a prendere la successione ed a guidare Governo e Centrodestra fino al termine naturale della legislatura sono il dott. Gianni Letta e l’on-le Tremonti. Entrambi, infatti, hanno dato ottime prove nel governo della cosa pubblica e godono del rispetto anche degli avversari. Forse in questa fase il piu’ idoneo sarebbe, probabilmente, il dott. Letta dato che non desterebbe tra i diadochi preoccupazioni per una futura guida della Coalizione e che sembra aver percorso le cinque strade per la saggezza ovvero quella del tacere, dell’ascoltare, del rammentare, dello studiare e del fare. Ma gli uomini – segnatamente i politici – per vari motivi, spesso abietti, mettono in pratica il passo di Ovidio (Metamorfosi ,7,20 s. ): ” Video meliora proboque deteriora sequor “ (= Vedo ciò che è meglio e lo riconosco degno di lode ma mi lascio guidare dalle cose peggiori). Taluni, poi, hanno un cervello così piccolo che quando due pensieri s’incontrano devono fare manovra.

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Cosa probabilmente desidererebbe un “quisque e populo” (=un cittadino qualunque ), che facessero i Governanti by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 maggio 2011 •

L’elenco dei “desiderata” sarebbe piuttosto lungo, ma siccome “l’ottimo è –come si suol dire –il nemico del bene “ci sforzeremo di condensare in questo scritto quel che ci sembrano essere suoi più probabili desideri.. 1- Il governo ed i candidati del centro – destra al prossimo ballottaggio dovrebbero riassumere in uno stringato documento quel che hanno fatto d’importante e quel che intendono realizzare nel prossimo avvenire indicando, là dove possibile, delle scadenze. Il tutto dovrebbe essere redatto in maniera chiara con dovizia di cifre e non nascondendo gli eventuali fallimenti ma indicandone “onestamente“ le cause (gli elettori sono, infatti, abbastanza avveduti da comprendere chi bara). Forse c’è ancora tempo per farlo! ; 2- Attenuare da parte del Presidente del Consiglio i toni dei suoi attacchi – peraltro non del tutto ingiustificati-alla Magistratura. E’ controproducente ; 3- Procedere ad una revisione della classe dirigente del P.D.L. che non sembra essere, nel complesso, di grande spessore. I quadri ed i candidati dovrebbero essere scelti non in base alle amicizie o al numero dei tesserati che controllano ma in forza di ”indubbie“ qualità professionali e morali ; 3- Intensificare la lotta alla criminalità organizzata che strangola il Meridione e si è diffusa anche nel Settentrione introducendo, ove fosse necessario, anche una legislazione speciale. I cittadini l’accetterebbero “se“ fossero convinti della bontà delle finalità ; 4- Accentuare la lotta all’evasione ed all’elusione fiscali creando, ad es., l’interesse del contribuente a pretendere il rilascio di fatture in quanto i relativi importi sono poi deducibili così come avviene in molti altri paesi; 5- Concentrare su pochi selezionati centri di ricerca le risorse pubbliche. Non possiamo più permetterci gli aiuti a pioggia ed occorre ben retribuire i ricercatori ché altrimenti espatriano. Così subiamo una duplice beffa: i contribuenti italiani hanno in gran parte sostenute le spese della loro formazione ed i frutti (spesso anche brevetti di valore) li raccolgono i paesi nostri concorrenti; 6- Accelerare la riforma del sistema universitario dove il danaro pubblico viene sprecato nel mantenere numerosissime sedi secondarie (ora le comunicazioni nell’ambito regionale sono agevoli mentre mancano i pensionati universitari a basso costo per i meno doviziosi) e corsi inutili; 7- Rendere più meritocratico l’insegnamento secondario (spesso le promozioni sono considerate quasi un diritto ) , migliorare le scuole professionali e concedere incentivi ad artigiani ed imprese che consentano ai neo-diplomati d ‘effettuare periodi di apprendistatoUn assurdo circolo vizioso : per assumere i datori di lavoro pretendono che il candidato abbia esperienza lavorativa ma non consentono ai giovani di fare pratica perché un apprendista fa perdere tempo e costa. E nel frattempo mestieri anche redditizi stanno scomparendo per carenza di giovani leve. L’elenco potrebbe continuare ma crediamo che i cinque lettori che hanno resistito fino a questo punto esclameranno: “questa è una vox clamantis in deserto. Ergo de hoc satis (= di questo ne abbiamo abbastanza )”. Chiediamo perciò venia e ci congediamo .

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Repetita (non semper) juvant by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 maggio 2011 •

Il detto latino “repetita juvant” (=Ripetere le cose giova) non è sempre valido. In certi casi, infatti, può conseguire un effetto negativo. Ci sembra tale il caso dei ripetuti attacchi del nostro Presidente del Consiglio ai Pubblici Ministeri di Milano. Che l’on.le Berlusconi abbia motivo di sospettare detti magistrati di faziosità appare abbastanza giustificato. Da quando è entrato in politica (non prima), infatti, egli è stato oggetto di oltre una decina d’indagini la maggior parte delle quali non si sono trasformate in condanne. Le ultime, poi, sono state iniziate con sospetto tempismo prima cioè di un’importante tornata elettorale e sono state accompagnate da trascrizioni di intercettazioni di cui la stampa ha avuto immediatamente copia. Inoltre le c.d. esternazioni a convegni formulate in passato da parte di alcuni magistrati coinvolti in dette indagini, tutte fortemente critiche nei confronti del Presidente del Consiglio, depongono per un “fumus persecutionis” verso il medesimo. Detto questo ci sembrano, però, controproducenti i sopraricordati attacchi, sferrati veementemente ad ogni pié sospinto, dall’on.le Berlusconi. In primo luogo perché possono apparire come la manifestazione di uno che sa di essere colpevole e per questo attacca a testa bassa gli avversari. Poi perché prestano il fianco alla critica che il Presidente del Consiglio, attaccando la Magistratura, lede uno dei pilastri della democrazia e mostra di voler essere “legibus solutus” (= non sottoposto alla legge). Siamo convinti che l’on.le Berlusconi non si ritenga tale ma sia esasperato e voglia semplicemente essere giudicato da magistrati equanimi.Purtroppo, però, “Vestis virum facit” (= la veste fa l’uomo ) nel senso che certi comportamenti verbali possono travisare la sostanza delle cose. Sarebbe perciò preferibile che certe critiche il Presidente le facesse formulare “solo” dai suoi legali o da deputati del suo partito o dai suoi alleati.

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Arcana imperii by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 3 maggio 2011 •

La frase completa di Tacito è “Arcana imperii et dominationis “ovvero” i segreti del governo e del reggimento dispotico” (dal lat. arca = cassa chiusa). I comportamenti e le decisioni dei governanti non sono, sovente, di facile comprensione da parte dei cittadini comuni, appaiono spesso anche misteriosi perché gli stessi non dispongono di tutte le informazioni di cui fruiscono i reggitori, notizie, specie per quanto riguarda la politica estera, che talora provengono da fonti riservatissime che, per ciò stesso, non possono, nell’interesse dello Stato, essere rivelate. Ciò detto ci sono, però, decisioni che non appaiono essere il frutto di informazioni di tale natura bensì di errore o superficialità. Tale ci sembra – e ci duole scriverlo – la decisione del Presidente del Consiglio, on.le Berlusconi, di far partecipare i nostri aerei alle azioni belliche contro le forze armate del Governo di Gheddafi. Tale decisione può essere opinabile sotto il profilo dell’opportunità dopo un periodo – chiamiamolo - di “riflessione” (si forniscono le basi e si fanno operazioni di pattugliamento ma non azioni militari vere e proprie) e dell’utilità per il nostro paese ma non lo è, a nostro parere, per quanto riguarda i tempi e la forma adottati dal nostro Primo Ministro. Che si trattasse di una decisione che poteva suscitare discussioni e contrasti non solo con l’opposizione ma anche con il principale alleato del Governo – la “Lega” – era cosa ovvia. Non si comprende perciò il motivo di adottare improvvisamente siffatta importante decisione senza aver prima ottenuto il “placet” di quel partito. Forse c’è un arcano che noi poveri cittadini comuni non riusciamo a penetrare… ma ci sorge il dubbio che si sia trattato “sic et simpliciter” di un errore. Specie in questo periodo il nostro Primo Ministro dovrebbe evitare tali errori e per far ciò avere sempre a mente la frase di Tito Livio (Hist. ,25,28 ): “In rebus asperis et tenuis fortissima quaeque consilia tutissima sunt” (= “Nelle cose difficili ed in quelle lievi i consigli rigorosi danno una grande sicurezza a chi li ascolta”). Senza dubbio l’on.le Berlusconi dispone di sagaci ed onesti consiglieri (ad es. il dott. Gianni Letta) ma abbiamo l’impressione che non presti sempre loro ascolto e che il suo carattere, portato all’impulsività ed alla battuta, talora prevalga. La carica che ricopre però non lo consente. “Cuius commoda et ejus incommoda” (=“Chi fruisce di vantaggi deve sopportare anche gli inconvenienti connessi”).

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Le non improbabili mosse di Gheddafi by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 aprile 2011 •

Crediamo che il Rais libico di tutto possa essere accusato tranne che di essere uno sprovveduto, uno privo di astuzia, di determinazione e di crudeltà. Date quindi per assodate queste sue qualità e terribili difetti cerchiamo di formulare qualche ipotesi su quelle che verosimilmente potrebbero essere le sue future mosse partendo da alcuni dati di fatto sufficientemente sicuri. Gheddafi dispone ancora di truppe in numero non trascurabile, ben addestrate ed ancora abbastanza equipaggiate anche se non dispongono più delle difese aeree e di buona parte dei carri armati. Si tratta di uomini che, qualora il dittatore si arrendesse, verrebbero, con molta probabilità, specie nel caso dei mercenari, massacrati. E’ perciò da ritenere che si batteranno strenuamente. D’altronde le diserzioni non sono state fino ad ora massicce. Al dittatore è stata distrutta – è vero – la forza aerea, ma con stratagemmi vari (ad es. mimetizzando i veicoli sì da farli confondere con quelli dei ribelli, nascondendoli tra le case dei quartieri conquistati in modo da impedire agli aerei N.A.T.O. di colpirli per paura di commettere stragi tra la popolazione) sta riducendo efficacemente questa sua debolezza. Secondo alcune stime il dittatore disporrebbe ancora del 60-70 % del proprio apparato militare e di fondi in loco per pagare il soldo ai propri soldati e per il sostentamento della popolazione. I suoi avversari fruiscono dell’appoggio aereo dei paesi N.A.T.O ma,come si è detto, questo può non essere sufficiente al conseguimento della vittoria. Sono, infatti, combattenti non addestrati e guidati da comandanti improvvisati. Allo stato la loro sembra essere una lotta a carattere difensivo che sta assumendo i toni della disperazione. La situazione potrebbe rovesciarsi a loro favore se – come si chiede insistentemente da Bengasi – i paesi dell’Alleanza Atlantica inviassero in Libia proprie truppe ma, salvo imprevisti, nessuno vuol impegnarsi in un intervento del genere. Infine Gheddafi dispone di un’arma molto pericolosa contro il nostro paese, in primo luogo, ma anche contro l’Europa: consentire se non incoraggiare l’esodo dalla Libia di migliaia di disperati (profughi dalla Somalia e dall’Eritrea, lavoratori immigrati in Libia non ancora scappati in Tunisia o Egitto, indigenti dei paesi sub-sahariani ) e di delinquenti comuni tra i quali potrebbero infiltrarsi degli attentatori integralisti. E che non si tratti di una nostra mera ipotesi lo dimostra l’allarme lanciato in questi giorni dall’Agenzia per le Informazioni e la Sicurezza Interna (A.I.S.I.) secondo cui il Rais avrebbe liberato oltre 15.000 persone, fino ad ora trattenute nei campi di detenzione, che potrebbero riversarsi sulle nostre coste partendo dal porto di Zuwarah, a circa 120 km. da Tripoli, ancora controllato dai governativi. Per il Rais l’imperativo è dunque resistere perché così facendo ha la probabilità di convincere i suoi avversari e le potenze occidentali che la soluzione negoziale sia l’unica praticabile anche se ciò si dovesse tradurre in una separazione – “de facto” se non “de jure” – tra Tripolitania e Cirenaica. Giocano a favore di una tale soluzione il fatto che, se non andiamo errati, i giacimenti di gas e petrolio del paese non sono ubicati solo in Tripolitania ma anche in Cirenaica. Se ci fossero giacimenti solo in Tripolitania una soluzione di questo tipo sarebbe probabilmente osteggiata non solo,ovviamente, dai ribelli ma anche dalle potenze occidentali e dall’O.N.U. Questa è quella che, ragionando, potrebbe essere l’evoluzione della situazione ma in politica estera, soprattutto quando sono coinvolti paesi arabi, è meglio tener a mente che “di diman non v’è certezza”.

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SAGGI

Recensione del libro di Marco Vitale: “Passaggio al futuro-Oltre la crisi ed attraverso la crisi” by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 aprile 2011 •

MARCO VITALE: «PASSAGGIO AL FUTURO– Oltre la crisi attraverso la crisi” – pagg. 247 Ed. Egea – Aprile 2010 – Euro 22,00 I – Marco Vitale, è economista d’impresa e docente universitario (Università di Pavia, Università Bocconi, Libera Università “Carlo Cattaneo” di cui è stato uno dei fondatori). Svolge anche un’intensa attività professionale. Ha fondato una propria società di consulenza. Ha diretto banche ed associazioni industriali e finanziarie. Ha ricoperto importanti incarichi nel settore pubblico. E’ autore di vari libri e collabora con diversi quotidiani. II – L’argomento – la crisi e le prospettive del dopo crisi – non è nuovo ed è stato affrontato in questi ultimi tempi innumerevoli volte da economisti e politologhi. Verrebbe spontaneo dire a questo proposito dai “sapienti del giorno dopo” cioè dagli stessi, talora illustri, economisti e studiosi, che, salvo rarissime eccezioni, prima della crisi assecondavano le lobby di Wall Street e della City, lodavano l’assurda libertà del mercato finanziario dicendo, in sostanza, come in quella divertente ed ironica canzone francese: «Tout va très bien, Madame la Marquise, tout va très bien!». E la Marquise si trovava in una situazione di fallimento! Il merito di questo saggio è quello di aver saputo esporre in modo chiaro, acuto, originale e talora divertente, unendo a tal fine le competenze del teorico e dell’esperto di aziende e banche qual è Marco Vitale, le origini della crisi ed i mali della nostra società e d’ indicare la possibile evoluzione in senso positivo che da tale drammatico evento può scaturire. Premessa del saggio è la considerazione che la crisi, purché ne si analizzino correttamente le cause, può rappresentare, come hanno sostenuto Benedetto XVI° ed il prof. Robert Thairmann, famoso studioso di Buddismo e docente alla Columbia University, una grande opportunità al fine di apportare le necessarie e profonde (cioè non di modesta portata ché le cose tornerebbero come prima) correzioni del sistema. A tal fine l’autore, richiamandosi a Galbraith, ritiene che la scienza economica non sia sufficiente. Occorre fare ricorso a forme di pensiero più profonde come la filosofia, la storia, l’antropologia. Quanto alle cause della crisi l’autore opera una distinzione tra quelle c.d. “tecniche” e quelle che chiama “sistemiche”. Secondo Vitale le cause «tecniche» individuate sono abnormemente più numerose di quelle «sistemiche» (il rapporto è di circa di 10 ad 1) e questa è una circostanza piuttosto anomala che fa riflettere.

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C’è stato, come avviene anche in altri casi, in realtà, un impulso, favorito dalla natura e rafforzato dalle abitudini peculiare, in generale, agli attori dei vari disastri, nella fattispecie gli operatori finanziari (e, a nostro parere, anche le autorità di governo e di controllo sulle banche e le borse) che li trascina in avanti fino al baratro. Nessuno cioè vuole ascoltare gli avvertimenti che sono dati (nel nostro caso, in verità, sono stati rarissimi) i quali, peraltro, nessuno chiede. Il sistema economico-finanziario è stato cioè anche in questa crisi del tutto sordo. Anche i ricercatori e la stampa, quantunque non costretti dato che operano in un sistema democratico, seguono gli idoli del pensiero alla moda. Si tratta di una forma di conformismo alla «communis opinio». Le spiegazioni tecniche della crisi (soprattutto l’abuso dei c.d. derivati) illuminano solo le ultime ragioni dell’evento. L’indagine dovrebbe, per contro, ricercare, secondo Vitale, le vere ragioni che stanno alla radice del fenomeno. Seguendo tale linea di pensiero l’autore abbraccia la tesi di Stefano Zamagni, docente dell’Università di Bologna, (v. “Sistemi intelligenti” n. 7, agosto 2009, Ediz. del Mulino) secondo cui: «La crisi finanziaria ,iniziata nell’estate 2007 negli USA e poi diffusasi per contagio nel resto del mondo, ha natura sistemica. Essa è il punto di arrivo, inevitabile, di un processo che da oltre trent’anni ha modificato alla radice il modo di essere e di funzionare della finanza minando così le basi stesse di quell’ordine sociale liberale che è cifra inequivocabile del modello di civiltà occidentale». Alla base c’è quella scuola di pensiero secondo cui, in conclusione, «i mercati anche quelli finanziari sono assetti istituzionali in grado di autoregolarsi e ciò nel duplice senso di assetti capaci di darsi da sé le regole del proprio funzionamento e di farle rispettare». In realtà vi è stata una carenza di regolamentazione o, melius, è stata concessa la possibilità di spostare una quota sempre più rilevante delle transazioni finanziarie verso mercati in nessun modo vigilati. A ciò si è aggiunto il tradimento professionale delle società di «rating» che, ad es., alla vigilia del fallimento avevano attribuito alla Lehman Brothers la triplice “A”. Lo stesso comportamento negativo ebbero le società di revisione contabile. Da non negligere ,inoltre , l’importanza che hanno avuto le dichiarazioni ottimistiche sul futuro dei mercati finanziari rilasciate prima della crisi niente meno che da Alan Greenspan, l’ex-Governatore della F.E.D., e da S. Bernake, attuale Presidente della F.E.D. e che all’epoca era il Presidente del Consiglio dei Consulenti Economici del Presidente G.W. Bush. La crisi era peraltro prevedibile checché ne dicano quelli che l’autore chiama i «conservatori minimalisti». Secondo questi: - la crisi è stata sostanzialmente dovuta ad errori di valutazione tecnica; - essa era totalmente imprevedibile (come ha dichiarato, tra gli altri, Alan Greenspan). Il che non è vero. Nel 2003, ad es., il prof. Sylos Labini espresse la sua forte preoccupazione sulle prospettive dell’economia americana (v. «Moneta e Credito» n. 233, sett. 2003); - non c’è perciò nulla da cambiare né nell’organizzazione economico-sociale né nel pensiero economico. Occorre solo aspettare che la crisi passi magari con l’aiuto di qualche stimolo fiscale. Non cambiare il sistema consente a molti di continuare le proprie remuneratissime attività! C’è stata, invero, come ha sostenuto il prof. Guido Tabellini (v. «Il Sole 24 Ore» del luglio 2009), una grave responsabilità dei grandi manager e, aggiungeremmo noi, dei vari responsabili governativi.

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Il partito dei conservatori-minimalisti, portavoce di grandi interessi, sta avendo il soppravvento. Ci sono poi i c.d. «Talebani del mercato» che continuano a ripetere che tutto ritornerà a posto perché il mercato si autoregola, perché il mercato è tutto ed ha sempre ragione. Nel 2008 la catastrofe del sistema finanziario internazionale è stata, invece, evitata non per le capacità regolamentatrici del mercato bensì perché i governi hanno pompato nell’incendio trilioni di dollari a debito dei contribuenti presenti e futuri sacrificando qualsiasi logica di mercato al principio del “Too big to fail”. In questo vengono spalleggiati da sindacalisti, uomini politici, presidenti di Confindustria, sacerdoti etc. che accusano i Governi di non fare mai abbastanza anche se non si sa bene cosa. Ci sono, infine, i “nichilisti” che sostengono che non c’è niente o poco da fare perché è stato e sarà sempre così. «Questo è il capitalismo bellezza!». Da un esame delle caratteristiche fondamentali emerge in primo luogo la presenza dello stesso meccanismo che nel 1944 fu lapidariamente illustrato dal poeta Ezra Pound ,che di economia s’intendeva,e fatta propria dal dirigente della Banca d’Italia P. Ciocca[1]: «L’insidia bancaria ha sempre seguito la stessa strada: un’abbondanza qualsiasi viene adoperata per creare un ottimismo. L’ottimismo viene esagerato di solito con l’aiuto della propaganda. Le vendite aumentano. I prezzi delle terre o delle azioni salgono oltre la possibilità della rendita materiale. Le banche, che hanno favorito prestiti esagerati per manovrare il rialzo, restringono, richiamano i loro prestiti, il panico sopravviene». Ogni crisi, però, ha caratteristiche proprie. L’attuale crisi è «endogena». Non ci sono cioè cause esterne scatenanti (ad es. guerre, inflazione selvaggia etc.) ma solo un cattivo funzionamento della dirigenza dei grandi gruppi bancari e della finanza in generale. Noi aggiungeremmo: dei meccanismi pubblici di controllo. E’ stata una crisi “globale” di proporzioni gigantesche dovuta soprattutto all’effetto moltiplicatore dei meccanismi finanziari utilizzati. Le perdite da insolvenze di sub-prime sono state esaltate e moltiplicate molte volte passando da un intermediario all’altro, da un investitore all’altro con le correlate commissioni d’intermediazione. Si pensi a tale proposito che tra il 2006 ed il 2007 gli stipendi dei primi 10 banchieri statunitensi sono stati di 2 miliardi (miliardi!!!) di dollari. Tali personaggi, primi responsabili del disastro che ha rischiato di distruggere il sistema bancario internazionale se non fossero intervenuti gli Stati, non sono stati però chiamati al “redde rationem”. Alcuni anzi sono diventati, come Geithner, Ministro del Tesoro o consiglieri economico-finanziari del Governo del Presidente Obama. Per cercare di rimediare a questo disastro è stato necessario il soccorso pubblico euro-statunitense facendo ricorso, in larga misura,come sopra accennato al debito pubblico, soccorso che al febbraio del 2009 è stato pari a 500 miliardi di euro (v. Ufficio Studi di Mediobanca) ! Stanti le dimensioni enormi della crisi e la sua globalità ci sono i presupposti per ritenere che lo strapotere di Wall Street e, in misura minore, della City ,sia finito. La collettività internazionale, infatti, dovrebbe ora contare di più e ci sarebbero le premesse per elaborare meccanismi idonei a prevenire le bolle speculative. Che cosa, infatti, è cambiato? E’ in primo luogo caduta la c.d. “economia di carta” ovvero quei valori e consumi non frutto del lavoro, dell’impresa, del risparmio, degli investimenti bensì pompati nel sistema dai manipolatori del credito con la compiacenza dei politici, delle banche centrali, dei regolatori e dei “guru” dell’economia. Si trattava di valori apparenti basati sul debito privi cioè di un attivo sottostante valido come ad es. i derivati.

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E’ anche venuta meno l’ideologia che la sosteneva e che, partendo dagli Stati Uniti, ha dominato negli ultimi vent’anni nel mondo. In sintesi, essa predicava che la deregolamentazione selvaggia dei mercati era portatrice di produttività e benessere per tutti, che per combattere l’inefficienza della mano pubblica la privatizzazione di tutto era il toccasana, che al centro del sistema doveva essere il “capital gain”, che la solidarietà sociale era, in fondo, un fattore negativo, che gli Stati Uniti, in considerazione della potenza del paese in tutti i settori ,non avevano bisogno di nessuno e sarebbero andati avanti unilateralmente per la loro strada. Questi pilastri ideologici “all’apparir del vero” sono caduti e si è forse compreso che la crisi è stato il risultato della “degenerazione” del mercato. Con la crisi sono, inoltre, cambiati il livello e la struttura del debito non sostenibile. L’indebitamento esagerato, segnatamente quello delle famiglie americane, stimolato da condizioni sempre più favorevoli concessi dalle banche e dal sistema parabancario, ha fatto sì che i valori siano stati portati oltre le possibilità della rendita materiale donde la crisi bancaria e la conseguente necessità d’interventi governativi massicci nei capitali degli istituti di credito dato che il sistema bancario internazionale non sarebbe stato disposto a farlo. Il debito in eccesso non sostenibile è, in sostanza, passato dai soggetti che lo avevano assunto (banche, assicurazioni, famiglie) allo Stato cioè a livello di debito pubblico. Questo però ha provocato un innalzamento ragguardevolissimo del debito pubblico di molti paesi con i rischi potenziali conseguenti di natura inflazionistica. Altro importante cambiamento generato dalla crisi è stato quello della geo-economia mondiale. Il potere finanziario si è spostato dall’America, che ha costruito sul debito il processo di accumulazione, a chi l’ha fatto sul capitale vero soprattutto la Cina che è attualmente la maggiore detentrice di riserve valutarie al mondo senza contare i paesi arabi produttori di petrolio,il Brasile,il Giappone. E’ terminata l’epoca iniziata il 15 agosto 1971 con la decisione di Nixon di sganciare il dollaro dalla disciplina della convertibilità in oro istituendo, nei fatti, la moneta americana come unica moneta di riserva internazionale. E questo ha consentito agli Stati Uniti d’indebitarsi senza limiti. La fiducia nel dollaro,però, non è più, in fondo, incrollabile. E’ iniziato un nuovo, difficile ciclo mondiale. In tale contesto la crisi può rappresentare un’opportunità per ricostruire un’economia ed un mondo più civile e più solido. Premessa per individuare gli strumenti idonei a realizzare l’auspicata palingenesi del sistema economico-finanziario mondiale è, secondo l’autore, un’analisi delle cause profonde della crisi rivolgendo l’attenzione, in primo luogo, a quelle che egli chiama le tre malattie degenerative del sistema capitalistico, poi alla concezione ed al ruolo, trascurato dalla maggioranza degli economisti ,dell’impresa che è il motore sia dello sviluppo che della crisi. La degenerazione del sistema capitalistico (che di per se stesso non è negativo ma è strumento di sviluppo) si verifica quando l’obiettivo centrale non è più quello di servire l’uomo ed aiutarlo a vivere una vita degna ma diventa la produzione fine a se stessa allorquando cioè si passa, come aveva ricordato W.Sombart già nel 1913 ,dal principio “omnium rerum mensura homo» (= l’uomo è la misura di tutte le cose) a quello di «fiat productio et pereat homo» (=si faccia la produzione anche se l’uomo perisce) e, in un secondo momento, il «capital gain». La struttura dei mercati finanziari é diventata sempre più speculativa e rischiosa. A ciò hanno fortemente contribuito, come già ricordato, banchieri, avvocati d’affari, agenzie di rating, società di revisione. Altra degenerazione del sistema capitalistico all’origine della crisi è il «gigantismo bancario» (da non confondere con un certo livello di concentrazione degli istituti di credito reso necessario dalla globalizzazione) che porta a situazioni di oligopolio e quindi è nemico del mercato e, in un certo senso, anche della democrazia perché ogni potere che non venga tenuto nei suoi limiti da contrappesi si fa, presto a tardi, abuso, come scrisse il liberale W. Roepke (v. «La crisi del collettivismo» in «La Nuova Italia», 1951). La concentrazione ha portato alla resa dei

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governi di fronte ai dirigenti disonesti e/o incapaci, come i casi della Citicorp e dell’AIG insegnano, perché «it is too big to fail». La terza e più vistosa degenerazione è quella dei presidenti-consiglieri delegati (i CEO) del settore bancario finanziario, in primis, ma anche in altri comparti che sono diventati una casta quasi onnipotente e super remunerata soprattutto attraverso lo strumento dei «super bonus» e delle «stock options». E’ stato calcolato, ad esempio, che nel periodo 1999-2002 un gruppo di alti dirigenti americani di 1035 aziende, limitando l’indagine “solo” a quelle che capitalizzavano in borsa oltre 400 milioni di dollari, abbia intascato niente meno che 66 miliardi di dollari! All’origine dello strapotere degli alti dirigenti, che manipolano a loro profitto i Consigli di Amministrazione,vi è: la diffusione delle «public companies» (le società ad azionariato diffuso) dove la funzione bilanciante e di controllo della proprietà si è quasi dissolta; la debolezza di altri poteri di bilanciamento come, ad esempio, i sindacati o la stampa economica e quella ,di cui si è già fatta menzione, degli organismi di supervisione tipo S.E.C. nonché il clima politico dominante che vedeva nel mercato, regolamentato quanto meno possibile, la mano auto-salvifica. I Governi dei paesi industrializzati, ostacolati in ciò dalle lobby bancarie e degli alti dirigenti, stanno faticosamente e lentamente cercando di mettere a punto meccanismi volti a correggere le degenerazioni sopra sommariamente indicate. L’autore suggerisce alcuni principi e punti fondamentali da perseguire: - limitare il gigantismo bancario; - ripristinare parametri e comportamenti bancari sani (vietando cioè le attività intrinsecamente troppo rischiose ,assicurando la trasparenza dei conti, proibendo il mercato dei «credit default swaps» perché la commercializzazione del rischio d’insolvenza rende tutti, nonostante, come si è visto, le operazioni di «hedging», troppo interconnessi in caso di fallimento); - ritornare alla separazione tra banche commerciali e banche d’investimento; - trasformare le società di rating in organismi pubblici facenti capo ad enti internazionali (ad esempio il F.M.I.); - imporre agli analisti uno status autonomo ed indipendente dalle banche (ad es. collegandoli alle Fondazioni inserite nelle grandi Università economiche); rivedere il funzionamento delle società di revisione; - rivedere la normativa riguardante i Consigli d’Amministrazione e gli Amministratori Delegati onde evitare gli abusi e le posizioni dominanti (ad es. assicurando la presenza nei Consigli di Amministrazione di rappresentanti del personale e di «veri» Consiglieri indipendenti etc.). Secondo Marco Vitale molti dei grandi problemi messi a nudo dalla crisi derivano anche da un’impropria concezione dell’impresa e della sua posizione e funzione nella società nonché da una non corretta concezione da parte dei dirigenti delle loro funzioni e responsabilità. Dalla metà degli anni ’80 è invalso il principio sovrano, divulgato dalle banche d’investimento, dagli studi di consulenza e da pubblicità, secondo cui occorreva «massimizzare il valore dell’impresa per gli azionisti». Sulla base di questo principio sono state giustificate molte delle più sciagurate operazioni societarie: fusioni insensate, acquisizioni non giustificate, spezzatini che se arricchivano gli azionisti del momento minavano però alla base le prospettive di sviluppo dell’impresa; ristrutturazioni selvagge che si sono tradotte in dolorosi e non sempre giustificati sacrifici di altre componenti aziendali. Al centro deve, invece, esserci l’impresa ” non “ la proprietà. La proprietà è solo una componente dell’impresa. Una grande impresa può essere considerata, in un certo senso, una “proprietà collettiva”.

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Le buone imprese si basano su un equilibrato sistema di relazioni di fiducia tra la dirigenza, i dipendenti, i clienti, i fornitori. Un buon manager dovrebbe sforzarsi di perseguire un tale obiettivo nel tempo e far comprendere agli azionisti che il perseguimento della «massimizzazione di valore» solo per gli azionisti si traduce, alla lunga , in un danno anche per loro. L’impresa è, infatti, un’equazione complessa. Oltre alla proprietà ci sono il lavoro, la conoscenza accumulata, il territorio, l’ambiente. Realizzando valore aggiunto per l’impresa, lo stesso viene distribuito tra tutti i soggetti interni ed esterni ad essa secondo le proporzioni prestabilite. Occorre, in ultima analisi, avere una concezione anche (e«soprattutto» diremmo noi) moralmente valida della gestione dell’impresa e della sua ultima finalità e cioè che l’impresa è lo strumento strategico ed operativo collettivo di sviluppo della comunità in cui essa opera e dell’ambiente. Alla radice del problema c’è però la struttura stessa della «società per azioni». La sua struttura legale, infatti, incoraggia i dirigenti a massimizzare il prezzo delle azioni «a breve termine». Il che limita la libertà degli stessi ad agire responsabilmente e moralmente e siffatto comportamento non serve al miglior interesse di nessuno ma talora,come si è già accennato, impone alla collettività elevati costi umani ed ambientali e, a lungo termine, rischia di compromettere il futuro della società e, per conseguenza, da ultimo l’interesse stesso degli azionisti e per “li rami” l’economia mondiale a causa della competizione aggressiva che pone in essere e dell’eccesso di finanziarizzazione delle attività produttiva. L’impresa, ove la si consideri come strumento produttivo di sviluppo, diventa un organismo che supera il conflitto capitale-lavoro in quanto potrà trovare nuove forme di composizione nel quadro di un riconosciuto interesse comune. Ci si consenta a questo proposito una divagazione storica. Tale obiettivo fu, in fondo, quello che ispirò i patti di Palazzo Chigi (1923), di Palazzo Vidoni (1925) e la legge del 5.2.1931 che portarono nel 1938 all’istituzione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni dove i rappresentanti dei sindacati fascisti e delle imprese dovevano collaborare per emanare norme (ordinanze corporative) aventi come oggetto, tra l’altro, la disciplina della produzione e dei rapporti di lavoro. O almeno questo «erat in votis» anche se, ovviamente, il Regime era dittatoriale e nell’organismo erano presenti anche rappresentanti del Partito Fascista. La Camera dei Fasci e delle Corporazioni funzionò fino al 1943. Grazie alla recente crisi sembra farsi strada, anche se molto lentamente, l’idea che il principio della massimizzazione del valore per gli azionisti non sia l’unico compito della dirigenza delle imprese ma sia necessaria una visione più articolata e civile della stessa impresa. Visione etica questa che era già ben presente – ricorda l’autore nell’interessantissimo Capitolo 7 – in pensatori e “mercanti – scrittori” italiani fioriti nei Comuni (Albertano da Brescia, il toscano Coluccio Salutati, il ragusano Benedetto Cotruglio) in quei tre secoli (dal 1200 al 1550) in cui si ebbe quello straordinario sviluppo economico, sociale, artistico – il Rinascimento – che tanto incise sulla storia dell’Europa e del mondo occidentale. Da detti pensatori fu rifiutato, in sostanza, il concetto medioevale dell’illeicità del profitto a condizione, però, che esso sia frutto di una «corretta attività» e questa sia diretta alla «conservazione dell’umana generazione» (v. Cotruglio) cioè utile alla società. Inoltre in questi pensatori non c’è distacco dalla religione. Erano, infatti, molto religiosi e ritenevano che il mercante dovesse essere anche un buon cittadino. Analoghi concetti si ritroveranno successivamente nei paesi del Nord ed in Franklin. La prima grande rottura si ebbe nell’ultima parte del ‘700 e nella prima parte dell’800 allorquando questi valori vennero sconvolti dalla rivoluzione industriale che, a poco a poco, fece prevalere il principio che Sombart sintetizzò nella frase «Fiat productio et pereat homo»(=si faccia la produzione anche se l’uomo può morire ). L’obiettivo della

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produzione sovrasta cioè l’uomo, anche se rischia di danneggiarlo e questi non è più visto come «omnium rerum mensura est homo». Nascono così verso la 2a metà dell’800 assieme ai grandi conglomerati i c.d. «robber barons» (quali i Rockfeller) che non sono in realtà imprenditori ma solo uomini d’affari e la cui etica è fare danaro anche se questo può creare un impoverimento generale. A livello locale nel primo decennio del ‘900, prima, ed a livello federale, poi, negli anni ’30, in seguito alla grave crisi del 1929, Theodor Roosevelt introdusse quelle istituzioni che hanno cercato di proteggere dai rischi derivanti dalle grandi concentrazioni e dalle manipolazioni dei fatti economici il mercato stesso. Furono cioè posti degli argini, dei principi-guida per regolare gli equilibri tra la società e questo potente capitalismo finanziario. Negli ultimi 30 anni si è imposta, però, una nuova classe, meno appariscente dei «robber barons» ma non meno potente, che guida le grandi corporation diventate sempre più spersonalizzate, sempre più anonime ma sempre più importanti. Il loro principio-guida, la loro divinità, il loro giudice supremo è il «R.O.E.» (Return en Equity) quello che si potrebbe condensare nella frase: «Fiat capital gain et pereat omnia» (=si realizzi il capital gain anche se dovesse perire tutto) . Occorre, invece, visti i guai generati da una tale concezione del mercato e della finanza, rientrare nel capitalismo di mercato ed imprenditoriale fuoriuscendo da quello totale. In altri termini è necessario ricostruire un mondo dove l’economia decentrata si muova attraverso i meccanismi di mercato e dell’impresa, meccanismi che non devono essere manipolati, e ritorni con forza a prevalere il paradigma etico-politico «omnium rerum mensura est homo» ovvero il fine ultimo deve essere il vantaggio collettivo e non il «capital gain». La strada, tuttavia, per raggiungere questo obiettivo, che è quello di assicurare il buon funzionamento del mercato e tutelare i risparmiatori è piuttosto impervia perché interessi giganteschi sono in gioco e le forze economiche e politiche che li sostengono sono altrettanto imponenti. Si pensi solo a quel pilastro del non cambiamento rappresentato, in fondo, dal principio , frutto della constatazione di alcune realtà bancarie, che si può sintetizzare conla frase «Too big to fail». La crisi sembra finita nel senso che non si è verificato il crollo del sistema finanziario mondiale che si paventava nell’autunno del 2008. Ci potranno essere e ci sono tuttora( v. i casi Grecia, Dubai, Portogallo) scosse di assestamento anche significative soprattutto nel settore bancario dove la leva rimane alta e dove le perdite da assorbire sono ingentissime (stimate dalla B.C.E. in 283 miliardi di euro). Secondo uno studio della Commerzbank alla fine del 2009 il costo globale della crisi sarebbe stato pari a circa 10.500 miliardi di dollari (7.300 miliardi di euro). La ripresa, però, sarà molto lenta per una serie di ragioni o di condizionamenti di varia natura da rimuovere. In sintesi si tratta di: a) disegnare nuovi equilibri per il governo dell’economia mondiale. In particolare occorre che gli Stati Uniti passino rapidamente da una politica più o meno di tipo imperiale ed unilaterale nei rapporti economico-finanziari ad una visione e ad una politica multipolare. I primi positivi segni del cambiamento in tale settore ci sono: riunioni dei G20; rafforzamento del ruolo del Fondo Monetario Internazionale; b) disegnare un nuovo ordinamento finanziario e bancario. E’ questa un’impresa da «far tremar le vene e i polsi» come dimostrano le esitazioni normative in atto. Non si vede, infatti, emergere fino ad oggi dalla crisi un ordinamento finanziario e bancario più solido, più controllato, più finalizzato al servizio della collettività e dello sviluppo.

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In questo campo le maggiori delusioni derivano dagli Stati Uniti e dal Governo Obama che non sembrano essere in grado di procedere speditamente ad un’ organica riforma del sistema finanziario e bancario idonea a ridurre i rischi di nuove bolle speculative; c) avviare nuovi temi di sviluppo. Fino ad ora i governi occidentali hanno, in genere, fatto ricorso a stimoli fiscali diretti, per buona parte, a convincere i consumatori a comprare prodotti antichi dei quali non hanno bisogno. Sarebbe necessario, per contro, un forte incremento della spesa per l’istruzione e la formazione cioè in ambiti a non immediato ritorno ma ad alto ritorno sociale ed investire in modo intenso e rapido sull’ampliamento ed il rinnovamento tecnologico delle infrastrutture; d) un riesame critico del pensiero economico. E’, ormai evidente che, salvo rare eccezioni, i maggiori centri del pensiero economico hanno favorito, agevolato, razionalizzato i comportamenti, le politiche e le strategie di fondo che hanno scatenato la crisi. Come ha scritto il 2.9.2009 il premio Nobel Paul Krugman sul «New York Times» gli economisti sono andati fuori strada perché hanno confuso la bellezza matematica con la verità economica. Ad onor del vero tale critica era stata anticipata, in sostanza, in una lettera-documento del 30.9.1988 (!) da sette illustri economisti italiani (G. Fuà, Siro Lombardini, R. Sylos Labini, Sergio Ricossa, G. Beccattini, O. Castellino, O. D’Alamo). Di fronte all’evidenza della crisi e del fallimento dei «pensatori» economici una revisione, sia pure alquanto lenta, da parte degli economisti circa le finalità dell’impresa sembra esserci. Nel gennaio 2010, infatti, Klaus Martin Schwab, economista tedesco fondatore del «World Economic Forum», scrisse: «Il fine dell’impresa non è solo quello di creare valore per gli azionisti». C’è da augurarsi – e lo fa l’autore nelle ultime pagine – che dalla crisi nasca una maggiore consapevolezza della necessità di operare in maniera più solidale avendo cioè a mente che è l’uomo il fine dell’attività economica. *** III – La lettura di questo saggio risulta particolarmente gratificante. Come si è accennato all’inizio, Marco Vitale è riuscito, infatti, a trattare in maniera chiarissima e documentatissima problemi molto complessi spiegando in modo convincente quali siano state le cause più profonde della crisi, indicando ,senza timori reverenziali, quali siano state le responsabilità anche personali e fornendo utili suggerimenti per l’avvenire. Se non temessimo di essere accusati di essere inclini alla retorica vorremmo concludere, parafrasando l’epitaffio del Machiavelli, con: «Tanto libro nullum par elogium» (= ad un così grande libro non è rintracciabile un elogio che sia alla pari). GIORGIO CASTRIOTA SANTA MARIA BELLA

[1] v. “1929-2009: due crisi commensurabili?” rivista on line www.apertacontrada.it 6.2.2009.

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POLITICA INTERNAZ.

Come si evolverà la situazione politica nel Nord Africa? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 aprile 2011 •

Rispondere a questa domanda sarebbe allo stato delle cose solo una manifestazione d’imprudenza, per usare un eufemismo, dato che tutti i Servizi Segreti e i più autorevoli analisti di politica estera non furono in grado di prevedere le rivolte che ci sono state in Egitto, Tunisia, Siria e Libia (in questi due ultimi paesi sono ancora in corso ), nel Bahrein, nello Yemen. Attualmente sembra che gli analisti si dividano in due correnti di pensiero: una improntata all’ottimismo che ritiene cioè che dette rivolte siano state ispirate da movimenti veramente democratici che, per conseguenza, daranno vita a sistemi statali democratici, l’altra – che appare meno forte – la quale teme che nel medio periodo le forze integraliste prendano il sopravvento. L’esperienza storica in questa materia dimostra, peraltro, che chi ha innescato il processo rivoluzionario ed aveva ideali democratici è stato poi sostituito dagli estremisti che hanno instaurato feroci dittature (v. rivoluzioni francese e russa ). Noi siamo propensi a condividere le tesi dei “prudenti” come scrivemmo, per quanto riguarda l’Egitto, il 4 febbraio u.s. (“Egitto: l’incognita dei “Fratelli Mussulmani” in “Cartalibera”). (In tale articolo paventavamo anche il rischio dell’arrivo sulle nostre coste di migliaia di “boat people”. Il che si è verificato anche se i flussi sono stati molto più massicci e provenienti soprattutto dalla Tunisia). Premesso che fare previsioni è sempre molto azzardato specie quando si tratta di paesi dove non esistono tradizioni democratiche ed ove le masse sono facilmente suggestionabili ed alle prese, quasi sempre, con impellenti problemi di sopravvivenza giornaliera, ci sembra utile indicare le ragioni che militano a favore della prudenza. Attingiamo a due articoli apparsi su “Libero” il 22 marzo ed il 4 aprile u.s. Il primo porta la firma dell’on/le Souad Sbai, parlamentare del PDL d’origine marocchina, mussulmana e docente universitaria (di queste cose dovrebbe quindi intendersi). E’ una denunzia senza mezzi termini della vittoria conseguita in Egitto dai Fratelli Mussulmani grazie al referendum che ha approvato le modifiche della Costituzione secondo cui chi ha una doppia nazionalità non può presentare la candidatura alla carica di capo dello Stato (e tale sarebbe il caso dei moderati Moussa e Baradei) e le minoranze (i Copti in primis) e le donne sono in pratica estromesse dalla vita politica del paese. Secondo questa parlamentare i “Fratelli Mussulmani” si appresterebbero a diventare i veri padroni dell’Egitto e dal Nilo ad espandersi, come hanno da tempo programmato, in tutto il Nord Africa con la colpevole inerzia dei paesi occidentali. Nel secondo articolo, di Andrea Morigi, vengono indicate altre prove di questa tendenza egemonica della “Fratellanza Mussulmana” in Egitto. Una prima prova è il sia pur cauto riavvicinamento dell’Egitto all’Iran (i colloqui intrapresi per ristabilire i rapporti diplomatici rotti nel 1979 dopo la pace tra il Cairo e Tel Aviv ed il permesso di transito ad alcune navi militari persiane nel canale di Suez) che potrebbe avere come fine ultimo una condivisione del potere nel mondo islamico che è, come noto, diviso tra Sciiti, sui quali dominerebbe Teheran, e Sunniti che sarebbero l’appannaggio della Fratellanza Mussulmana attraverso l’Università di Al Azhar, il centro teologico cairota dei Sunniti.

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A ciò si aggiungano le spinte all’islamizzazione in corso nel paese. Ad es. sul quotidiano “Al –Masri al –Youm del 3 u.s. l’esponente della Al-Gama’a al-Islamyya, Issam Durbala, ha invocato l’istituzione, come in Arabia Saudita, della “hisbah”, la polizia della virtù che può arrestare chi commette atti immorali. Il leader salafita di Alessandria Abd al –Azim ha di recente dichiarato, in relazione agli attacchi subiti dai Copti: “Se i Cristiani vogliono sicurezza devono sottomettersi alle regole divine ed essere fiduciosi che la sharia li proteggerà”. D’altronde già nell’attuale carta costituzionale egiziana figura il Secondo Emendamento in cui è stabilito che la sharia è la fonte principale del diritto egiziano. Sarà sufficiente che il nuovo Parlamento non modifichi detto Emendamento e tutti gli Egiziani, anche se non di fede islamica, verranno giudicati in base alle norme della “sharia”. Come si comporteranno i ribelli libici se si arriverà ad una fine dello scontro? Prevarranno gli integralisti? E’ bene ricordare a questo proposito che la Cirenaica è la terra dove nacque e prosperò la confraternita dei Senussi secondo cui la vita pubblica e quella privata dovevano svolgersi rigorosamente secondo i precetti dell’islamismo e gli esempi dati dal Profeta. E quale influenza avranno gli integralisti sui futuri assetti istituzionali della Tunisia? Si riuscirà infine ad arrestare l’ondata immigratoria che non viene solo dai paesi del Maghreb ma, attraverso di essi, giunge dai paesi a ridosso di quelli dell’Africa Settentrionale anch’essi ormai di fede prevalentemente islamica? Ci sembra, per concludere, che la prudenza sia doverosa specie quando si tratta di paesi come questi in esame e che valga, soprattutto nella fattispecie, quel che scrisse Lorenzo il Magnifico: “di diman non v’è certezza”.

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POLITICA NAZ.

150° Anniversario dell’Unità d’Italia – L’Italia si è desta? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 marzo 2011 •

Questo evento ha fatto scorrere fiumi d’inchiostro e dato luogo ad innumeri cerimonie e manifestazioni. Lungi da noi quindi il voler affrontare l’argomento in maniera approfondita. Ci sia però consentito formulare qualche considerazione anche per controbattere ai molti critici (soprattutto i c.d. Meridionalisti) delle modalità del processo unitario. L’unità d’Italia è stato un avvenimento che ha del miracoloso. Sarà sufficiente, infatti, aver presente che: - l’Italia pre-unitaria era divisa in ben sette Stati (Regno di Sardegna, vice-Reame del Lombardo-Veneto, Gran Ducato di Toscana, Ducato di Parma, Ducato di Modena, Stato Pontificio, Regno delle Due Sicilie), con case regnanti in gran parte d’origine straniera e legate al potente Impero Asburgico (Toscana, Parma, Modena, Due Sicilie) che forniva loro protezione militare e tutela internazionale; che lo Stato della Chiesa separava, in pratica, il Settentrione dal Meridione e che per la sua natura fruiva dell’appoggio degli Stati cattolici più importanti d’Europa (Impero Austro-Ungarico, Francia, Spagna); - le differenze, aventi origini plurisecolari, sotto il profilo storico, culturale, sociale tra le varie regioni erano molto marcate e lo erano, mediamente, molto di più rispetto ad altri paesi europei; - che le comunicazioni tra il Settentrione ed il Meridione erano rese difficili dalla morfologia del territorio e dall’assenza di grandi corsi d’acqua navigabili atti a collegare le regioni settentrionali con quelle meridionali come, invece, accade in Germania, Francia, Austria; - che, in pratica, solo le élites parlavano l’italiano mentre il popolo conosceva bene unicamente il proprio dialetto o addirittura la propria lingua (ad es. l’albanese nelle comunità schipetare del centro-sud o il grecanico nelle Puglie). Anche lo sviluppo economico e sociale avutosi nel nostro paese in questo arco di tempo non particolarmente lungo (150 anni corrispondono solo a 6 generazioni c.a.) ha del miracoloso ove si considerino le carenze esistenti in gran parte non generate dall’uomo (poche pianure irrigue, mancanza di corsi d’acqua importanti navigabili eccezion fatta per il Po, risorse minerarie scarsissime e la cui estrazione risulta costosa). Da paese con una struttura economica prevalentemente agricola (e si trattava di un’agricoltura non ricca tranne in alcune aree) l’Italia, malgrado le enormi distruzioni subite nell’ultimo conflitto e la perdita dell’Istria e della Dalmazia, è riuscita a diventare la 5a o 6a potenza economica del mondo. Chi l’avrebbe mai creduto nel 1946? Questo straordinario slancio espansivo sembra, però, essersi esaurito negli ultimi anni e pare che ci si trovi in una situazione di stasi che potrebbe trasformarsi in una involuzione. In fenomeni di tale complessità è difficile individuare le cause perché sono molteplici. Ci sia tuttavia consentito indicarne solo alcune che, naturalmente, non saranno condivise da molti. Una prima causa della situazione di stallo sopra accennata va individuata negli avvenimenti del 1968. La contestazione giovanile francese estesasi in altri paesi europei ma poi esauritasi negli stessi ha avuto in Italia conseguenze negative e durature. Le varie forze di sinistra ed il sindacato ad esse legato ed i vari intellettuali

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c.d. organici a tali movimenti hanno colto l’occasione al volo per cercare di sostituire lo Stato di natura liberale e liberista con uno più o meno simile a quello marxista. Da quelle radici sono poi nate le Brigate Rosse che hanno tentato di scardinare con il terrore lo Stato “borghese”. Il danno fatto dal ’68 al Paese è stato però più profondo. Si è smantellato con la contestazione quel poco o molto di efficienza che esisteva nella Pubblica Amministrazione centrale e quel “parecchio” di validità che c’era nel sistema scolastico ed universitario (ricordiamo gli esami con voto collettivo all’Università, le continue assemblee, i professori che tenevano concioni politiche etc?). Minando questi due pilastri della società si è procurato un “vulnus” gravissimo all’ordinato svolgimento della vita economico-sociale del Paese ed alla formazione dei giovani le cui conseguenze ancora stiamo pagando. Il partito allora egemone – la D.C. – non è riuscita a contrastare questo andazzo che era, se non apertamente, nei fatti non ostacolato dal P.C.I. Le crisi derivanti dalla scoperta della Loggia P/2 (i cui membri erano infiltrati in tutti i settori) e quella di Tangentopoli hanno liquidato il sistema dei partiti dell’epoca tranne il P.C.I. che miracolosamente o grazie al silenzio dei depositari dei segreti è uscito indenne dalla bufera. Dopo la tempesta, però, non è emersa una classe politica particolarmente valida ma, salvo eccezioni, si tratta di personaggi di secondo piano della vecchia nomenclatura. La Lega fa eccezione, ma il suo approccio prevalentemente localistico sembra impedirle, per ora, di giocare un ruolo preminente rappresentativo di tutti gli interessi nazionali. Il susseguirsi negli ultimi tempi di episodi di corruzione e concussione sta a dimostrare che Tangentopoli non è finita e non lo è perché ormai è venuta meno, salvo eccezioni, tra la popolazione l’adesione ai principi di onestà che, malgrado tutto, erano diffusi fino agli anni ’60 tra le classi dirigenti e la gente e che hanno contribuito grandemente alla costruzione dello Stato Unitario, prima, ed alla ricostruzione ed allo sviluppo nel dopoguerra, poi. Venendo ai giorni nostri. L’Italia è stata duramente colpita come quasi tutti i paesi occidentali dalla crisi economica mondiale ma il suo sistema bancario è salvo. Dalla recessione sta uscendo ma molto lentamente (aumento del P.I.L previsto 1-1,5 %). E questo è molto preoccupante perché potrebbe significare l’inizio di una fase involutiva. La concorrenza internazionale è, infatti, sempre più spietata ed i tempi di reazione debbono essere rapidissimi. Paesi come il nostro non possono sperare di competere con concorrenti come Cina ed India dove l’incidenza del costo della mano d’opera è irrisoria se la si paragona con quella europea a meno che non si offrano prodotti aventi un elevato contenuto innovativo. Per fare questo non basta l’inventiva dei nostri imprenditori, tra l’altro di dimensioni in genere medio– basse, occorre avere un sistema–paese solido cioè una buona amministrazione pubblica, centri di ricerca validi, scuole ed università efficienti, sindacati che collaborino, un livello contenuto di corruzione e di malavita organizzata. E questo non c’è nel “bel paese dove il sì suona”. I principali nostri concorrenti europei dispongono, per contro, di un tale sistema. Dopo le lodevoli celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità occorre che “l’Italia si desti”. E’ necessario cioè che vi sia una presa di coscienza collettiva dei pericoli che incombono sul nostro paese e della necessità impellente di adottare comportamenti virtuosi con il contributo di tutti (partiti di Governo e d’opposizione, sindacati, imprenditori, sistema bancario etc. ). Per semplificare, dato che l’elenco dei mali nazionali sarebbe lunghissimo, saremmo spinti a suggerire: - il varo di un programma, anche basato su leggi speciali, volto a combattere ancor più efficacemente la malavita organizzata che strangola l’economia d’intere regioni ;

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- accelerare la realizzazione del federalismo regionale, forse unico rimedio allo sperpero di danaro pubblico praticato da certe Regioni, Provincie e Comuni ; - l’adozione di strumenti più validi per la lotta all’evasione ed all’elusione fiscale (il cittadino deve trarre un vantaggio fiscale dalla richiesta delle ricevute per le spese sostenute) ; - una sollecita soppressione di tutti i centri di spesa pubblica non giustificati; - accelerare l’attuazione della riforma universitaria promossa dal Ministro Gelmini che dovrebbe ripristinare un sistema pedagogico “serio” ; - concentrare le risorse pubbliche e private per far funzionare pochi centri di ricerca ma ad alto livello (gli investimenti a pioggia hanno dimostrato di essere inefficaci ); - stringere i freni per ostacolare l’immigrazione clandestina che rischia di trasformare in pejus il volto del nostro Paese cioè d’islamizzarlo. Il tempo stringe e non vorremmo che “Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur” (“mentre a Roma si discute Sagunto, (città della Spagna alleata di Roma) viene espugnata (dai Cartaginesi)” v.T.Livio Hist.I,21,7 e che i nostri reggitori ed uomini dell’opposizione non abbiano presente il monito di Dante: “Vassene il tempo e l’uom non se n’avvede” (Purg.4,9).

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POLITICA INTERNAZ.

La Banca del Mediterraneo by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 20 marzo 2011 •

In questi giorni si discute della costituzione di un istituto di credito multilaterale per cercare di sviluppare l’economia dei paesi del Nord Africa onde ridurre il flusso di emigranti. Conoscendo tali problematiche vorrei ricordare ai nostri governanti che: 1 – il problema non è limitato ai paesi dell’Africa Settentrionale, ma riguarda anche quelli a Sud del Sahara le cui economie sono in grandi difficoltà soprattutto per la corruzione che vi regna ; 2 – esiste già da moltissimi anni un’istituzione finanziaria multilaterale ad hoc lautamente sovvenzionata dai paesi occidentali, la Banca Africana di Sviluppo, con sede a Tunisi ; 3 – la Banca Europea degli Investimenti dell’Unione Europea dispone di fondi anche per erogare prestiti allo sviluppo destinati a tali paesi; 4 – tutti i paesi ad economia avanzata, sempre da molti anni, concedono aiuti a fondo perduto od hanno annullato il debito dei paesi africani più poveri e più indebitati. Un fiume di danaro è stato cioè speso attraverso tutti questi canali. I risultati sono stati modestissimi, a mio parere, per due ragioni fondamentali : - non vi sono controlli efficienti sui risultati dei progetti finanziati; - la corruzione e la disorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche locali rendono vani gli sforzi delle istituzioni multilaterali o dei paesi donatori. Creare una nuova istituzione finanziaria – la Banca del Mediterraneo – servirebbe a ben poco o, meglio, servirebbe a spendere soldi per elargire lauti stipendi al personale che vi lavorerebbe e per le altre spese amministrative senza contare che, verosimilmente, tale organismo non diventerebbe operativo prima di molti mesi. Occorrerebbe, invece, far funzionare bene le istituzioni esistenti e, soprattutto, non lasciare alle autorità locali la gestione finale degli investimenti finanziati. Ma, come dice quella vecchia canzone adottata dai soldati britannici nel 1° Conflitto Mondiale,”It is a long way to Tipperery”. Il cammino é lungo ed asperrimo. Nell’immediato l’unica soluzione, anche se dura, sembra quella di bloccare sulle coste nord-africane gli esodi dando amplia pubblicità in quei paesi al fatto che “veramente” chi arriverà sulle nostre coste (eccezion fatta naturalmente, per i soggetti effettivamente perseguitati per motivi politici, razziali o religiosi) sarà rimpatriato. Il che non è stato ancora fatto dal nostro Governo e non se ne comprendono i motivi. Se non si adotterà questa linea di condotta purtroppo molto dura arriveranno in Italia centinaia di migliaia di “boat people”.

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POLITICA INTERNAZ.

Vogliamo restare quello che siamo by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 7 marzo 2011 •

E’, grosso modo, questo l’orgoglioso motto del Lussemburgo nel dialetto germanico che è la lingua parlata assieme al francese in quella nazione. Questo piccolo Stato (appena 2586 km.q., 451000 abitanti c.a.), che gode di un altissimo livello di vita ed è sede della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, della Banca Europea degli Investimenti, dei servizi del Parlamento Europeo, è riuscito, pur essendo circondato da paesi importanti (Francia, Germania, Belgio) ed avendo circa il 30% della popolazione formato da immigrati, a mantenere la propria peculiarità nazionale. Agli inizi dell’ultimo conflitto mondiale, occupato dai Tedeschi ed annesso al Reich, il Gran Ducato osò opporsi proclamando uno sciopero generale, atto che pagò con la deportazione nei lager di circa il 10% della popolazione. Di fronte al dilagare del peggiore americanismo nei costumi e nell’istruzione (ormai la conoscenza del latino e del greco, che é alla base della cultura europea ed anche di una buona conoscenza non solo delle lingue neo-latine ma anche di quelle germaniche e dell’inglese dato che tante sono anche in queste ultime le parole d’origine latina e greca, è diventata merce rarissima), all’incremento esponenziale sul territorio europeo del numero di immigrati extra europei portatori di una cultura completamente estranea alla nostra e per ciò stesso poco inclini all’integrazione, desidereremmo che il motto lussemburghese diventasse quello dell’intera Unione Europea. Per cercare di arginare la deriva culturale e politica cui – se si è attenti – stiamo assistendo occorrerebbe che la classe intellettuale europea si sollevasse sì da spingere l’opinione pubblica, prima, ed i governi, subito dopo, a ritrovare la via per evitare la decadenza della cultura europea e/o l’appiattimento della stessa sul modello statunitense. Ci rendiamo conto che si tratta di un proposito difficilissimo da realizzare. Vi si oppongono, infatti, l’influenza della cultura anglo-sassone di cui sono ormai impregnati non solo, ovviamente, gli Inglesi, ma anche, stanti le affinità linguistiche, gli Olandesi, gli Scandinavi ed i Tedeschi, ed un sistema educativo che è sempre più indirizzato, come negli Stati Uniti, alla formazione con non troppa spesa di specialisti nelle diverse tecniche onde far funzionare la macchina produttiva. Naturalmente esistono grandi centri di ricerca perché sono indispensabili, ma sono “isole felici”. Questo sistema educativo, reso ad arte sempre più settoriale, offre ai grandi gruppi economici ed anche agli uomini della politica, quasi sempre collegati ai primi, un duplice vantaggio: creare una forza lavoro efficiente e, nel contempo, mantenere la popolazione ad un livello culturale piuttosto basso. Di enorme importanza è, a nostro avviso, questo secondo elemento. Una popolazione non troppo istruita, infatti, non sviluppa, in genere, lo spirito critico. Accoglie, perciò, più facilmente i suggerimenti, ovviamente interessati, agli acquisti che le vengono propinati dai mezzi di comunicazione di massa (“Se lo dicono loro ..dev’essere giusto o comunque è di moda. Inoltre io non posso fare qualche cosa di diverso da quello che fanno tutti! Sarei guardato male dagli amici”). Infine una popolazione poco colta segue in maniera più acritica anche le campagne elettorali ben congegnate dai costosi esperti e gli uomini politici oggetto delle stesse. E non è un caso che negli Stati Uniti gli intellettuali che scendono in politica trovino generalmente scarsa udienza. Sono avvertiti come troppo diversi dalla popolazione media. Per questo, ad es., Adlai Stevenson, persona colta e fine diplomatico, fu battuto per ben due volte (1952 e 1956) da Eisenhower quando si presentò per il Partito Democratico alle elezioni per la carica di Presidente degli Stati Uniti e George W. Bush jr., malgrado la sua ben nota scarsa cultura, fu eletto due volte (e di quest’ultimo tutti noi stiamo ancora pagando i gravi errori in economia ed in politica estera frutto, con molta probabilità, della sua mancanza di cultura che, verosimilmente, lo ha portato a sottovalutare l’integralismo islamico ed i rischi di un mercato della finanza senza troppi controlli pubblici). L’Europa dovrebbe svegliarsi e provvedere alla bisogna prima che sia troppo tardi cioè prima di diventare una copia degli Stati Uniti (forse anche peggiore dell’originale) o, ancora peggio, l’Eurabia di Fallaciana memoria.

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Paesi che non hanno piĂš a cuore la propria cultura e che non si preoccupano di educare adeguatamente le proprie classi dirigenti, ovvero ricreando un sistema didattico in cui le materie c.d. classiche non siano appannaggio di pochi specialisti, sono destinati, come detto, a regredire in tutti i campi. Il foro di elezione per iniziare la riscossa ideale sopra auspicata sarebbe quello delle Istituzioni Europee tra cui, in primis, il Parlamento Europeo, ma si troveranno parlamentari sensibili a questo problema?

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POLITICA INTERNAZ.

Si arresteranno i flussi di profughi o sarà l’inizio della Finis Europae? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 febbraio 2011 •

Il nostro breve articolo, ospitato da questo foglio il 4 u.s. , dal titolo “L’Egitto: l’incognita dei “Fratelli Mussulmani” , terminava con una domanda: “Rischieremo di vedere una marea di “boat people” avvicinarsi alle nostre coste?”. Non pensavamo, però, che tale interrogativo, che manifestava il nostro timore, trovasse così rapidamente una risposta affermativa e che i profughi venissero (per ora!) soprattutto dai paesi del Maghreb. Ci consola il fatto che quando scrivemmo altri, e molto più autorevoli di noi, non avessero espresso neppure tale timore. Ora alla luce dei recentissimi avvenimenti nell’Africa Settentrionale e sulle nostre coste desidereremmo allargare l’analisi di questo argomento alla possibile evoluzione del fenomeno nel medio-lungo periodo anche se già sappiamo che ci potranno subito accusare di un ingiustificato allarmismo. Tuttavia, come sembra abbia detto il Sen. Andreotti, “pensar male è forse un peccato ma ci s’indovina quasi sempre”. Qualche dato ed alcune considerazioni ci sembrano indispensabili a sostegno della tesi conclusiva: A – i paesi dell’Africa Settentrionale hanno una popolazione di circa 246-247 milioni (i dati non sono, invero, certi al 100% !); B – i paesi dell’Africa Sub–Sahariana a ridosso di quelli sopra citati ovvero Ciad, Mauritania, Mali, Niger, Sudan hanno complessivamente una popolazione di 83-84 milioni all’incirca ; C – sommando le cifre di A con B si arriva ad un totale di 329-331 milioni di individui in larga percentuale giovani; D – il loro reddito “pro capite” è mediamente molto basso. Elevato il tasso di disoccupazione e quello d’indigenza ; E – i Governi di detti paesi non brillano – per usare un eufemismo – per efficienza e probità; F – la religione prevalente è quella islamica dove la presenza degli integralisti non è marginale ; G – in considerazione di tutti questi fattori portare a termine con successo ed entro tempi ridotti programmi di sviluppo socio-economico idonei a far uscire quei paesi dallo stato di sottosviluppo in cui versano è del tutto improbabile ; H – sembra pertanto ragionevole attendersi un incremento notevolissimo dei flussi emigratori dall’Africa verso il nostro continente ; I – l’Europa, lo stiamo vedendo in questi giorni, divisa com’è dai miopi interessi nazionali non sembra animata da un forte spirito di coesione ; L – gli Stati Uniti, impantanati in Iraq ed Afghanistan, non sembrano in grado di fornire all’Europa un aiuto concreto in questa vicenda. Conclusivamente è da temere che tra breve sulle nostre coste e/o su quelle degli altri paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo si riverserà una vera marea umana in cerca, in primis, di un migliore livello di vita poi, forse,

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come già fatto nel passato, per tentare di convertire alla vera fede i “giaurri” (termine spregiativo turco per designare i Cristiani). A ciò qualcheduno obietterà che l’Unione Europea ha una popolazione di ben 495 milioni ed ha un tale livello di sviluppo e quindi di risorse che non dovrebbe avere timore. Crediamo che questa valutazione pecchi, e molto, di ottimismo. In Europa vivono, infatti, già 20 milioni di Mussulmani che hanno un tasso di fertilità elevato e che sono poco integrati. Farebbero fronte comune con i nuovi immigrati il cui tasso di fertilità non sarebbe certo inferiore a quello dei loro correligionari. In Europa, per contro, il tasso di fertilità per donna è di 1,5 ed il numero degli anziani è in notevolissimo aumento. Inoltre, come sopra accennato, i paesi europei non presentano la coesione necessaria a far fronte a quella che si presenta – piaccia o non piaccia – come un avvenimento epocale che alcuni potrebbero anche chiamare scontro di Civiltà. D’altronde i barbari che, favoriti dall’indebolimento del potere centrale, fecero cadere il potente Impero Romano d’Occidente non cominciarono con l’entrare a piccoli gruppi entro le frontiere imperiali e a stabilirvisi per poi avanzare inarrestabili? E l’Impero Bizantino non perse nel volgere di pochi anni il Medio Oriente, l’Egitto ed il Maghreb, che erano diventati in gran parte cristiani, ad opera di poche migliaia di combattivi guerrieri arabi animati dalla fede in Allah? Il numero e le ricchezze o i mezzi non fanno sempre vincere le battaglie perché talora “audaces Fortuna juvat”. Se non si provvederà sollecitamente con l’impegno, non solo verbale, dell’Unione Europea a bloccare le frontiere (fatti salvi, naturalmente gli interventi a favore dei “veri” perseguitati politici o di vecchi, donne e bambini in stato di pericolo e l’erogazione di aiuti allo sviluppo) avremo una valanga umana che non potrà essere arrestata se non con l’impiego, deprecabile, della forza. Speriamo sinceramente che non si debba constatare che “Dum Romae consulitur Saguntum expugnatur” (= Mentre a Roma si delibera Sagunto viene espugnata ) … ed anche che chi ha scritto queste note non faccia la fine di Cassandra che, come è noto, avendo avuto da Apollo il dono della profezia, ma, essendoglisi rifiutata, fu condannata dal dio a non essere mai creduta!

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GIUSTIZIA

La moglie di Giulio Cesare by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 febbraio 2011 •

Narra Plutarco nella “Vita di Giulio Cesare” (Cap. X ) che Publio Clodio, innamorato di Pompea, moglie di Cesare, non riuscendo ad incontrarla, s’introdusse nella di lei dimora travestito da suonatrice mentre si celebravano le feste in onore della Dea Bona alle quali era proibito agli uomini di presenziare. Scoperto fu cacciato in malo modo. Cesare si affrettò a ripudiare la moglie. Convocato in tribunale per testimoniare contro P.Clodio accusato per questo episodio e per altre malefatte Cesare disse che non era in grado di confermare i fatti . Chiestogli il motivo di un tale contraddittorio comportamento si giustificò dicendo che aveva voluto allontanare il benché minimo sospetto di un comportamento per lui disonorevole. Questo episodio viene sintetizzato comunemente nel detto: “Deve essere come la moglie di Cesare, cioè al di sopra di ogni sospetto”. Crediamo che il cittadino comune, consciamente od inconsciamente, ritenga che il comportamento dei magistrati, cioè di chi è chiamato ad adottare decisioni che incidono talora notevolmente sull’esistenza dei singoli, delle famiglie e delle imprese, non debba essere, nei limiti del possibile, sfiorato da sospetti. Insomma che esso sia come quello che Cesare desiderava per la moglie. Se questa situazione non si verifica viene meno la fiducia nella giustizia e questo rischia di far crollare uno dei pilastri su cui si basa una società. Esercitare l’altissima funzione del magistrato significa avere un compito delicatissimo che obbliga non solo, ovviamente, al dovere dell’imparzialità, ma anche a quello di assumere un comportamento nell’agire di tutti i giorni che risulti coerente con il dovere primario della non parzialità. Chi abbraccia la carriera del magistrato non intraprende una carriera qualunque che consente, cioè, una volta uscito dalle aule di giustizia, di fare quel che più aggrada. Per esperienza diretta possiamo dire che fino agli anni ’60 il comportamento dei magistrati non forniva, in genere, materia alle critiche. Per non rimanere nel vago: fino agli anni ’60, se non andiamo errati, invero, era fatto divieto ai magistrati, agli ufficiali dei Carabinieri, ai funzionari di P.S. (e forse a quelli della Guardia di Finanza) di operare nelle Regioni di origine onde evitare condizionamenti di tipo ambientale. Da allora questa regola non esiste più, talché ci sono molti magistrati che esercitano addirittura nelle città di nascita così che possono trovarsi di fronte avvocati che sono stati loro compagni di studi se non amici d’infanzia. E’ vero che “omnia munda mundis”, ma è pur sempre una situazione che può dar adito a malevolenze. Sembra, inoltre, che con vari escamotage venga sovente disattesa, specie nelle grandi città, la regola secondo cui nello stesso distretto di Corte d’Appello non è consentito (la ragione è ovvia) che esercitino la professione forense parenti di magistrati in servizio in quello stesso distretto. E’ permesso ai magistrati di candidarsi, senza previamente dimettersi, a cariche pubbliche nel distretto in cui hanno esercitato fino alla vigilia le loro funzioni e, una volta esaurito il mandato, di rientrare nei ranghi ed, eventualmente, tornare a sedere sulla stessa poltrona. Da ultimo nell’Associazione Nazionale Magistrati, organismo associativo di rappresentanza della categoria, vi sono “correnti” che danno la non infondata impressione, leggendo gli interventi svolti dai loro rappresentanti nei vari convegni, che si tratti di sodalizi strettamente collegati ai vari partiti politici. Se si è parte in causa in un giudizio in cui siano presenti magistrati che militano in tali correnti e se, per caso, non si ha lo stesso colore politico del giudice o del P.M., la situazione è, se non altro psicologicamente, di non poco imbarazzo per tutti. A talune di queste “storture” si potrebbe porre rimedio con provvedimenti di legge, ad altre solo con la pressione esercitata dalla pubblica opinione. Non sembra però che il Parlamento sia sensibile a queste esigenze e l’opinione pubblica appare troppo distratta da problemi di breve momento offerti dalla cronaca giudiziaria che talora assumono contenuti carnascialeschi come, d’altronde, induce il periodo. Vien quindi da concludere amaramente con i versi in vernacolo che figurano nella canzone “La pratica legal” scritta nel 1831 da Angelo Brofferio mentre si trovava nelle carceri correzionali: “Guai a col ch’s’ancaprissia de voler giusta la giustissia!” (= Guai a colui che ha il capriccio di voler giusta la giustizia).

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POLITICA NAZ.

Pacato animo by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 8 febbraio 2011 •

Come direbbero i giuristi, esaminiamo le attuali vicende politiche italiane con mente fredda (=”pacato animo”). E’ in atto un’offensiva giudiziaria e politica nei confronti dell’on.le Berlusconi per il caso Ruby e le serate di Arcore. Appare abbastanza chiaro, da una parte, che le indagini della magistratura milanese siano piuttosto sproporzionate per il dispiego di mezzi impiegati rispetto alle ipotesi di reato (ammesso che se ne appuri la fondatezza) e che l’occasione sia stata colta al volo dall’opposizione che, divisa com’è, vede nella caduta dell’odiato leader del P.D.L. il proprio se non l’unico elemento di coesione, dall’altra che taluni comportamenti di Berlusconi siano stati per lo meno imprudenti, frutto, probabilmente, del suo carattere estroverso e di una certa solitudine. Dai sondaggi, però, sembra emergere, allo stato, che il suo consenso elettorale non abbia subito un tracollo. L’attività del Governo in una situazione molto difficile sotto il profilo parlamentare (defezione dei Finiani) e della congiuntura economica (la crisi non è del tutto superata ) non è stata, malgrado tutto, troppo carente: riforma universitaria, inizio del processo di federalismo, il sistema bancario non ha visto la necessità di salvataggi a spese dell’Erario tipo quelli avutisi in Gran Bretagna ed Irlanda etc. Un ricorso anticipato alle urne non sarebbe opportuno dato che la speculazione finanziaria internazionale si scatenerebbe proprio in un momento estremamente delicato per il nostro sistema produttivo che da segni di una timida ripresa e che si avrebbe uno stallo dell’attività di Governo. D’altra parte non si scorgono tra i partiti dell’opposizione, dove le divergenze ideologico-programmatiche sono notevoli, personalità aventi un seguito di consensi tale da poter guidare con la tranquillità necessaria un nuovo esecutivo. Nell’interesse del Paese la legislatura dovrebbe, per conseguenza, se possibile, continuare fino alla sua normale scadenza. Il governo nel frattempo dovrebbe intensificare l’emanazione di provvedimenti volti al rilancio dell’economia ed alla riduzione della spesa pubblica. Sarebbe, forse, anche utile che P.D.L. e Lega cominciassero a studiare il problema della successione a Berlusconi. Questo, a nostro sommesso avviso, sarebbe, come detto, l’interesse del paese ma, come dicevano i Romani, “Senatores boni viri, Senatus mala bestia” (= i Senatori sono brave persone, il Senato -n.d.r. come istituzione- è una brutta bestia).

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POLITICA INTERNAZ.

Egitto: l’incognita Mussulmani”

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“Fratelli

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 4 febbraio 2011 •

L’esito della sollevazione contro il regime di Mubarak è ancora del tutto incerta anche perché sta assumendo i connotati di una guerra civile, ma è probabile che il vecchio presidente prima o poi sarà costretto a lasciare il potere essendogli venuto meno il sostegno dell’esercito e degli Stati Uniti. Il problema è: come sarà l’Egitto dopo Mubarak? Assisteremo ad un processo, sia pur graduale, di effettiva democratizzazione in un paese che non ha mai conosciuto la democrazia nella sua storia? Oppure in un primo momento si instaurerà un regime “abbastanza” democratico, dominato, però, da partiti islamici, cui seguirà, anche per le probabili crescenti difficoltà economiche derivanti dal calo degli investimenti esteri diretti e del turismo, l’affermarsi degli estremisti islamici (i Fratelli Mussulmani e – non è da escludere – esponenti di Al Qaeda) ? E’ questo il timore di molti osservatori e studiosi del mondo arabo (v. ad es. la recente intervista a “L’Express” di Tewfik Aclimandos, storico presso la cattedra di “Storia contemporanea del mondo arabo” al Collège de France, e l’articolo di Bernard –Henri Lévy pubblicato da “Il Corriere della Sera” il 2 febbraio u.s.), ma soprattutto della Chiesa Copto-Ortodossa Egiziana, che teme il ripetersi di attentati e che i suoi fedeli (circa il 10% della popolazione) subiscano la sorte dei Cristiani iracheni e che in Mubarak trovava una certa protezione. Anche le autorità israeliane sono molto preoccupate per l’eventuale avvento di un regime integralista. Entrambi questi soggetti conoscono molto bene la situazione egiziana. Il loro giudizio non deve perciò essere sottovalutato! Se si ripercorre succintamente la storia dei “Fratelli Mussulmani” (per non parlare di “Al Qaeda”!) non si può che riconoscere che detti timori sono ben motivati. L’associazione dei “Fratelli Mussulmani” fu fondata in Egitto, ad Ismailia, nel 1926 da un insegnante , Al Hasan al Banna, con l’intento di opporsi al processo di secolarizzazione d’impronta occidentale delle nazioni islamiche favorendo a tal fine un’osservanza maggiore dei precetti del Corano segnatamente quelli della solidarietà e dell’altruismo specie nei confronti delle classi meno abbienti della società. L’associazione giuocò un ruolo preminente nel movimento nazionalista egiziano e trovò adepti anche in altri paesi arabi. Il Presidente Nasser sciolse l’associazione che si opponeva al suo programma di modernizzazione del mondo arabo di natura laica e socialisteggiante e ne perseguitò duramente i suoi adepti.Gli Stati Uniti, per contro, sostennero il movimento ritenuto un utile strumento di opposizione a Nasser che era alleato dell’URSS. Dopo la morte di Nasser nel 1970 il successore Anwar Sadat praticò una cauta politica di apertura nei confronti dei movimenti d’ispirazione islamica, ma ciò non valse a mitigare l’ala oltranzista del movimento guidata da Sayyd Qutb, tanto che nel 1981 lo stesso Sadat, reo di aver concluso la pace con Israele, fu ucciso in un attentato dalla stessa organizzata. A partire dal 1984 il nuovo Rais, Hosni Mubarak, consentì ai “Fratelli Mussulmani” di partecipare alla vita pubblica sia pure attraverso alleanze con i partiti laici. In tutti questi anni l’espansione del movimento nella società egiziana non ha avuto soste, specie tra le classi povere (una larga percentuale della popolazione), cui i “Fratelli Mussulmani” forniscono una valida assistenza, ma anche tra quelle borghesi. Nel Parlamento egiziano, malgrado elezioni non proprio trasparenti, una sessantina di deputati è espressione dell’associazione.

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Il futuro dell’Egitto è di grande importanza non solo per tutti paesi che si affacciano sul Mediterraneo, ma anche, in generale, per il mondo intero. Si pensi, ad es., all’ascendente che esercita sui Sunniti l’Università di Al –Azhar, considerata il loro più importante centro teologico, al ruolo che l’Egitto può svolgere per la soluzione del problema della Palestina, al prezzo del petrolio che verrebbe influenzato molto negativamente qualora non fosse consentito il transito attraverso il Canale di Suez alle navi di paesi considerati non amici e così via. Occorre infine aver presente che l’Egitto ha una popolazione di circa 82,9 milioni (stime O.N.U. del 1-7-2009), che nel 2025 potrebbe raggiungere i 95,2-107 milioni (fonte: Fondo per la Popolazione delle Nazioni Unite). Se la situazione economica del paese dovesse peggiorare la disoccupazione crescerebbe (ora secondo il rapporto del marzo del 2010 dei funzionari del F.M.I. -Art.IV – Consultation – Staff Report é del 10% della forza lavoro) ed, ovviamente, anche il tasso di povertà (18,5% della popolazione nel 2005 secondo il citato rapporto F.M.I.), tenuto conto che il P.I.L. “pro capite” che nel 2007-2008, secondo il sopra ricordato rapporto del F.M.I., si aggirava sui 2062 dollari. Il mantenere un tasso di sviluppo economico accettabile, cioè che generi aumenti del P.I.L.di livello non inferiore a quello registrato nel biennio 2007- 2008, ovvero pre crisi economica, cioè del 7,2% appare essenziale per il mantenimento della pace sociale anche in considerazione dell’aumento registrato nella media dei prezzi al consumo ( +9.5 nel 2009 secondo il sopramenzionato rapporto). Rischieremmo di vedere una marea di “boat people” avvicinarsi alle coste europee? In conclusione il momento è estremamente difficile. Voglia il Cielo che la situazione si normalizzi!

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SAGGI

Astorre II Baglioni. Guerriero e Letterato by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 1 febbraio 2011 •

- Alessandra Oddi Baglioni – “Astorre II Baglioni. Guerriero e Letterato”. (pagg. 283- ed. Volumnia – 2.009 -euro 18 ) &&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&& Scrivere un romanzo storico non è cosa agevole. Esiste, infatti, il forte rischio di eccedere con la fantasia manipolando la verità storica a fini narrativi. Non è il caso di questo romanzo di Alessandra Oddi Baglioni, giurista, storica, rappresentante dell’associazionismo femminile, imprenditrice agricola, che ha anche lavorato all’Unione Europea ed è la discendente (cosa inusuale dopo oltre sette secoli ) delle famiglie Oddi e Baglioni ed anche questo è alquanto insolito perché queste due casate furono ferocemente antagoniste nel Rinascimento per la signoria di Perugia. Il romanzo, corredato da concise ma esaurienti note storiche esplicative, ripercorre la vita di Astorre II Baglioni (1526-1571 ), condottiero, architetto militare e letterato. I Baglioni erano un’antica famiglia feudale di Perugia che, appoggiandosi alla fazione detta dei “beccherini” (=popolo minuto ), in opposizione ai c.d. “grandi” ovvero le maggiori famiglie della città, gli Oddi, già citati, ed i Vincioli, e primeggiando nell’arte bellica esercitarono con Pandolfo, per la prima volta, nel 1384, il predominio sulla capitale umbra, supremazia che fu interrotta per un breve arco di tempo in seguito alla strage degli stessi Baglioni nel 1393 per poi riprendere e rafforzarsi nel 1398 fino a trasformarsi in una vera e propria signoria sulla città ed altre terre della regione. Tale signoria, funestata dalle aspre discordie in seno alla stessa famiglia che sfociarono nella congiura del 1500 da cui riuscì a scampare solo GianPaolo Baglioni, ebbe fine nel 1540 allorché papa Paolo III assicurò allo Stato Pontificio il dominio della regione. Come accennammo all’inizio vari membri della famiglia si distinsero nell’arte bellica. Ci riferiamo al già ricordato Pandolfo, a GianPaolo (1470-1520), ad Orazio (1493-1528), a Malatesta (1491 -1531 ),figlio di Gian Paolo, ma soprattutto ad Astorre II . Questi era figlio di Gentile Baglioni che, in seguito all’omicidio dei fratelli – Astorre I e Giampaolo –, chiese al Papa la dispensa dalla carriera ecclesiastica che aveva abbracciato per poter sposare Giulia Vitelli e così non fare estinguere il proprio casato. Da tale unione nacquero Astorre II ed Adriano. Gentile venne fatto uccidere dal nipote Orazio, figlio di Gian Paolo. L’autrice adotta per la narrazione un artificio letterario. Fa, infatti, raccontare gli eventi più significativi della vita di Astorre ed i suoi intimi pensieri ad una metà del medaglione che riproduce lo stemma della famiglia e che il condottiero porta sul petto legato al collo da una catenella d’oro, l’altra metà pende dal collo del fratello Adriano quale simbolo di unione fraterna. Il romanzo ripercorre, come sopra accennato, le tappe più significative della non lunga vita di Astorre Oddi Baglioni dall’infanzia e dalla prima giovinezza trascorse a Roma alla sua tragica morte a soli 47 anni.

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Nella Capitale Astorre ricevette, grazie alla madre ed all’atmosfera della corte dei Farnese, un’ottima educazione specie nelle materie letterarie di cui fu sempre un cultore appassionato. Ricevette anche una valida istruzione militare, Alessandro Vitelli, signore di Città di Castello, stimato condottiero di ventura (comandò una delle “Bande nere” di Giovanni de’ Medici, fu al servizio del Pontefice e degli Asburgo) . Al seguito dello zio, Astorre, assieme al fratello Adriano, partecipò giovanissimo (aveva appena 14 anni), sotto gli stendardi imperiali, all’assedio di Pest (1540) tenuta dai Turchi battendosi con valore. A Roma Astorre aveva conosciuto,ventenne, quella che sarebbe diventata la sua amata consorte, Ginevra Salviati, nipote di Caterina de’ Medici, regina di Francia. Per coronare il suo sogno d’amore Astorre dovrà, però, lottare perché, in considerazione del fatto che il rango dei Salviati non era, all’epoca, raffrontabile con quello di Baglioni giudicati solo dei nobili di provincia e, per di più, non troppo doviziosi, il pontefice Paolo III era contrario al connubio e costrinse Astorre nel 1546 a lasciare l’Urbe ed a trasferirsi per un anno a Parma presso suo figlio Pier Luigi Farnese. Quella del Farnese era, peraltro, una corte molto raffinata dove si tenevano cenacoli letterari cui presenziava anche il Bembo ed ai quali Astorre prese parte attiva. Partecipò, ancora in compagnia del fratello, militando nella cavalleria di Carlo di Savoia, alla guerra mossa da Carlo V contro la lega protestante smalcaldica ed alla battaglia di Ingolstadt (1647) battendosi con onore. Il Papa, considerati i suoi valorosi trascorsi d’arme, lo fece allora rientrare a Roma e lo nominò Governatore della città (1547-1550) e Senatore. Grazie a tale seconda nomina diventò, in pratica, membro della nobiltà romana. Le sue finanze, ciò non di meno, non erano ancora all’altezza della famiglia di quella che desiderava sposare. Decise allora di acquisire maggior fama e di catturare un vascello saraceno che gli avrebbe procacciato lauti guadagni. Con questo duplice obiettivo si unì nei primi mesi del 1550 alla flotta pontificia comandata da Carlo Sforza che, assieme alle galee genovesi, a quelle dei Cavalieri dell’Ordine di Malta e della Spagna, si dirigeva verso la Tunisia, donde partivano le terribili incursioni del pirata turco Dragut sulle coste mediterranee. Durante il viaggio verso l’Africa settentrionale il vascello che lo portava fece naufragio a Ventotene. Astorre si salvò per miracolo e fu curato da Sirin, un’affascinante principessa persiana, ivi tenuta in ostaggio, e con la quale ebbe un inizio di storia d’amore, storia che venne però impedita dall’arrivo di altri naufragi. Astorre incontrerà successivamente sul campo di battaglia il fratello di Sirin e gli risparmierà la vita. Ripreso il mare partecipò, sempre con valore, all’assedio, coronato da successo, di Al Mahdia, una delle piazzaforti del pirata, che era difesa dal nipote di Dragut, Hisar Rais. In tale occasione salvò la vita a Giordano Orsini. Rientrato a Roma nel giugno del 1550 con la fama di intrepido soldato e – cosa che non guastava – con il ricavato della parte di sua spettanza del bottino fatto in terra d’Africa dall’armata cristiana Astorre ricevette il permesso dal pontefice e, naturalmente, dai Salviati di sposare Ginevra. Il matrimonio fu celebrato con sfarzo nel gennaio del 1551. Passato nel 1559 al servizio della potente Repubblica Veneta fu nominato Governatore di Verona dove si trasferì con la famiglia ( nel frattempo gli era nato un figlio: Guido ). Il lungo soggiorno (1559-1569 ) in Veneto al servizio della Serenissima fu, nel complesso, sereno per Astorre e la sua famiglia ed anche proficuo per la sua formazione militare. Collaborando, infatti, con Sforza Pallavicino, divenne un provetto ingegnere militare e contribuì alla progettazione delle fortificazioni del Friuli, prima, di Bergamo e Verona, poi, avviando la tecnica delle fortificazioni avanzate. Stante la sua ormai assodata perizia in questa materia fu inviato dal Governo Veneto a Corfù come Governatore per fortificare la città. L’impero ottomano era in quel periodo sempre più impegnato nella sua spinta espansiva verso l’Europa e Venezia, che prosperava grazie ai commerci con l’Oriente che transitavano per le terre ottomane, si trovava in una difficilissima posizione. Se avesse, infatti, rotto le già difficili relazioni diplomatiche con la Sublime Porta questa avrebbe probabilmente interrotto i flussi commerciali verso la Serenissima che rappresentavano per la Repubblica la linfa vitale. Subire, però, era disdicevole per l’onore di Venezia ed anche controproducente perché Costantinopoli voleva impadronirsi delle basi territoriali lungo le rotte nell’Adriatico e soprattutto nell’Egeo che consentivano alle navi venete di trovare porti sicuri durante i viaggi verso e da il Medio Oriente e costituivano delle basi commerciali di grande importanza. Questo dilemma lacerava gli animi dei governanti veneti e frenava l’adozione delle loro decisioni più estreme.

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Nella primavera del 1569, però, si sapeva che i Turchi stavano preparando l’invasione della colonia veneta di Cipro, molto ambita non solo per la sua posizione strategica, ma anche perché vi si produceva un vino molto apprezzato specie dal Sultano, il debole Selim II. Il governo della Serenissima decise quindi di resistere e giudicò utile inviare sull’isola come comandante delle truppe un gentiluomo che fosse al contempo uno sperimentato uomo d’armi ed anche un ingegnere militare. Astorre Baglioni era l’uomo adatto. Nel maggio del 1569 il Perugino arriva a Cipro e si prodiga nel rafforzarne le difese. I Turchi sbarcano e riescono ad impadronirsi di Nicosia e ne uccidono il comandante, l’Ammiraglio Dandolo. Famagosta, sotto il comando del Procuratore Marco Antonio Bragadin ma soprattutto di Astorre Baglioni (che aveva, tra l’altro, fatto scavare utilissimi camminamenti a serpentina che consentivano ai guastatori veneti di avvicinarsi ai lavori d’attacco ottomani e di neutralizzarli), resiste eroicamente per ben 125 giorni. A nulla valse l’arrivo di alcune navi veneziane che portarono soccorso agli assediati di fronte alle forze preponderanti dell’esercito turco comandato da Lala Mustafà Pascià. Questi era un Serbo-Bosniaco, nato nello stesso villaggio – Sokolovice – da cui proveniva il Gran Vizir Mehemet Sokolovic, abile generale ma estremamente crudele. Come spesso accade tra chi non è della stessa etnia dei supremi reggitori, Lala Mustafà era, in fatto di crudeltà, più “realista del Re” ! Ridotti in pochi, senza derrate, con scarsissime munizioni e le fortificazioni praticamente distrutte fu giocoforza, agli inizii di Agosto del 1571, per i comandanti veneziani accettare la proposta di capitolazione avanzata da Lala Mustafà. L’accordo di massima prevedeva che ai Veneziani sarebbe stato concesso di rimpatriare ed alla popolazione greca superstite di rientrare nei propri villaggi e di continuare a praticare la religione cristiana. Quando Marco Antonio Bragadin ed Astorre Baglioni andarono nel campo turco su invito del comandante ottomano per mettere a punto i termini dell’accordo di capitolazione e quindi firmarlo, Lala Mustafà, per vendicarsi della morte dei suoi due figli avvenuta durante l’assedio, fece subito trucidare il nobile perugino e a Bragadin mozzare le orecchie ed il naso. Il Procuratore veneziano venne poi fatto sfilare tra le truppe quindi scuoiato vivo. La caduta di Cipro e l’orribile fine dei due comandanti di Famagosta ebbe grande risonanza in Europa e spinse le potenze cristiane ad accelerare i preparativi per tentare di arrestare sul mare l’offensiva ottomana. Venezia non poté aiutare efficacemente gli assediati di Famagosta perché in quel periodo doveva concentrare le proprie risorse all’allestimento della flotta in previsione dell’imminente scontro. I difensori di Cipro furono, in un certo senso, sacrificati per il fine superiore: una vittoria di maggiore importanza. Anche il tentativo, messo in atto, sormontando grandi difficoltà, da Ginevra, di far giungere a Cipro una galea con uomini e vettovaglie fallì perchè la nave arrivò troppo tardi. Il 10 ottobre 1571, cioè due mesi dopo la capitolazione di Famagosta, la flotta della “Lega Santa”, guidata da don Giovanni d’Austria, batté a Lepanto quella ottomana. Ci sembra utile ricordare che la vittoria di Lepanto non pose, però, fine alla politica espansionistica ottomana che dopo poco riprese soprattutto nei Balcani. La vera battuta di arresto si ebbe solo quando nel 1683 l’esercito turco che assediava Vienna fu disfatto dalle truppe del Re di Polonia, Giovanni Sobieski, e da quelle imperiali guidate dal Duca Carlo V di Lorena. A questa vittoria seguirono altre ad opera degli eserciti imperiali soprattutto quando furono guidati da quel grande stratega che fu il principe Eugenio di Savoia e che portarono alla pace di Karlowitz (1699) a quella di Passorowitz (1718), di Belgrado (1739), di Svicov (1791) Solo due secoli dopo Lepanto i Turchi furono quindi definitamente arrestati!

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Lo scontro tra l’Islam e l’Occidente, durante il quale s’inserisce l’episodio di Famagosta e l’eroismo di Astorre, dura, a ben riflettere, con, naturalmente, via via diversi attori, da 1300 anni. Con modalità differenti ma non meno sanguinose è, infatti, in atto anche ai nostri giorni. Ci piace da ultimo segnalare al lettore: - la fede e la magnanimità del nobile perugino quali emergono dal racconto della sua vita ; - il capitolo finale in cui vengono riportate le amorevolissime e sagge raccomandazioni di Astorre alla moglie per l’educazione del figlio e l’affettuoso, dignitoso congedo dalla consorte contenuti nell’ultima lettera del condottiero pervenuta assieme al medaglione, fortunosamente ,a Ginevra. Tra i consigli all’erede – tutti, peraltro, degni di nota – ci ha colpito quello che, secoli dopo, venne espresso, in sostanza, anche da De Gaulle e che così recita: “Questo è fondamentale nella vita ed è ciò che divide un comandante dalla milizia: tutti sono utili al comune destino ma il primo deve saper comprendere le capacità degli altri ed organizzarle secondo un disegno solo a lui conosciuto. Deve altresì avere la facoltà di convincere gli altri a eseguire quanto ordinato… Dover decidere da soli è la terribile esperienza a cui è condannato il comandante… Questo è il fardello che spetta ai condottieri” ; - alcune curiosità contenute nel libro. Ad es. si incontrano personaggi che portano cognomi di famiglie della nobiltà italiana che si ritrovano anche nei periodi successivi della storia italiana e non. E’ il caso dei Savorgnan da cui discenderannno i fratelli Giacomo e Pietro Savorgnan de’ Brazzà, esploratori nel XIX° secolo del Congo. Il secondo fondò anche la città che venne chiamata dal suo cognome “Brazzaville”. Inoltre di particolare interesse ci sembra la figura del medico e letterato patavino Bernardino Tomitano (15171576 ), amico del Baglioni e successivamente suo biografo, che durante l’assedio curava i feriti con una polvere cicatrizzante basandosi sull’utilizzo delle ragnatele presso gli antichi. Probabilmente aveva scoperto un anti-biotico. A questo proposito ci sia consentito citare un racconto famigliare secondo cui fino a prima dell’ultimo conflitto mondiale i contadini romagnoli per curare le ferite alle dita avvolgevano, talora, la parte lesa con tele di ragno od anche con un impacco di terra umida dove probabilmente si trovavano alcune specie di “penicillum”. A questo punto crediamo che non ci siano scuse per non leggere questo libro! GIORGIO CASTRIOTA SANTA MARIA BELLA

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POLITICA NAZ.

I grandi navigatori (o i riciclati) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 gennaio 2011 •

Nel corso della storia innumeri sono stati i personaggi che hanno avuto il grande talento, fiutato il nuovo vento, di rifarsi una verginità e, come si suol dire, di “riciclarsi” con successo. Ricorderemo, per esempio, i vari esponenti della classe dirigente bonapartista che, caduto Napoleone I, riuscirono ad avere importanti incarichi e perfino titoli nobiliari con la Restaurazione. Per restare in Francia Francois Mitterand, militante, prima dell’ultimo conflitto mondiale, in una formazione di estrema destra, fu funzionario nel governo di Petain ma verso la fine della guerra sembra abbia collaborato con il “maquis”, i partigiani francesi. Fatto gli è che nel dopoguerra non fu epurato. Militò quindi nel partito radicale, poi in quello socialista, fu ministro e nel 1981 venne eletto Presidente della Repubblica. Per continuare a mantenere buoni rapporti con tutta la “gauche” (soprattutto con il P.C.F. ma anche con le altre formazioni di sinistra europee ) elaborò e fece applicare la c.d. “dottrina Mitterand” in base alla quale, in pratica, i terroristi, purché di sinistra, rifugiati in Francia sono considerati dei perseguitati per le loro idee e, per conseguenza, non estradabili. Una ventina di Italiani hanno beneficiato e tuttora beneficiano di questa c.d. “dottrina”. Emblematico il caso del pluriomicida e pluricondannato Cesare Battisti. Nel nostro paese nell’immediato dopoguerra molti intellettuali, ex–fascisti, (alcuni avevano anche vinto i Littoriali della Cultura), colpiti come S.Paolo sulla via di Damasco, si iscrissero subito al P.C.I. che, quando gli faceva comodo, aveva adottato l’esortazione contenuta in quella bella canzone napoletana ( il titolo dovrebbe essere “Munastero e’ Santa Chiara”): “scurdammece o’ passato” ! Tale esortazione è stata fatta propria da un cittadino partenopeo, Giorgio Napolitano, uno degli esponenti di spicco del Partito Comunista Italiano e della c.d. corrente migliorista, che si è trasformato nel corso degli anni, peraltro senza rinnegare formalmente il proprio credo passato, in un patriarca della democrazia europea. Si è così inchinato davanti alle foibe, opera degli allora cari compagni jugoslavi, e gli scorsi giorni ha partecipato, compunto, a Roma all’inaugurazione di un monumento ad Alexander Dubcek, lo statista cecoslovacco protagonista della “Primavera di Praga”, il tentativo cioè di trasformare il regime comunista di tipo sovietico in un sistema simile ad uno socialdemocratico, tentativo fallito per l’intervento nel 1969 delle truppe sovietiche e del Patto di Varsavia nel corso del quale Dubcek fu arrestato e portato a Mosca, poi espulso dal partito comunista cecoslovacco. Chi ha buona memoria ricorda però che il compagno Napolitano scrisse allora che l’invasione della Cecoslovacchia aveva impedito l’insediamento in quel paese di un regime controrivoluzionario cioè di tipo, in sostanza, fascista. Merito quindi ai compagni sovietici per aver salvato la Cecoslovacchia da tale pericolo! Sempre Giorgio Napolitano e sempre sull’Unità vergò un articolo di approvazione per l’espulsione dalla Russia nel 1974 del premio Nobel Alexandr Solgenitsyn, che aveva trascorso ben otto anni ai lavori forzati e tre al confino. Evidentemente se li era meritati in quanto dissidente! Era quindi giusto espellerlo! Conclusione: onore ai navigatori tanto i popoli dimenticano facilmente e, comunque, “nihil sub sole novi”.

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SAGGI

CAROLINA DI BRUNSWICK, REGINA D’INGHILTERRA. UNA SOVRANA INQUIETA E SFORTUNATA NELLE MARCHE by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 gennaio 2011 •

I – La storia nelle regioni italiane riserva sempre delle notevoli sorprese e sovente s’intreccia con la c.d. “grande storia”. E’ il caso che ci accingiamo a rievocare. II – La principessa Carolina Amalia Elisabetta di Brunswick – Wolfenbüttel nacque il 17 maggio 1768 nel piccolo ducato di Brunswick, uno stato vassallo della Prussia nella Germania settentrionale. La nonna, la duchessa Carlotta, era la sorella di Federico il Grande di Prussia. Il padre, Carlo Guglielmo Ferdinando, principe ereditario, era considerato dai contemporanei e dallo stesso zio, Federico il Grande, un eroe, degno dei suoi antenati guerrieri. Nel 1757, infatti, durante la guerra dei Sette Anni, aveva riconquistato, spada alla mano, un’importante batteria ad Hastenbeck ed aveva servito con onore nello Stato Maggiore dello zio paterno, il duca Ferdinando di Brunswick – Oels Comandante delle truppe inglesi sul continente e vincitore nel 1759 della battaglia di Münden. Successivamente sarà comandante dell’esercito austro-prussiano contro le armate rivoluzionarie francesi e verrà battuto a Valmy nel 1792. Morirà in seguito alle ferite riportate nelle battaglie di Jena ed Auerstadt. La moglie di Carlo Guglielmo, la principessa ereditaria, Augusta, era la sorella maggiore di Giorgio III, re d’Inghilterra e principe elettore di Hannover, la quale malgrado il sangue tedesco era ostile verso tutto ciò che si trovava ad oriente del Reno. Era inoltre molto austera e devota nonché riluttante a partecipare alla vita di Corte anche perché il marito la tradiva con una dama di eccezionale bellezza, Luise von Hartelfeld, cui seguirono altre amanti. Da una di queste, l’Italiana Maria Antonietta Branconi, il duca ebbe anche un figlio, Carlo Antonio, conte di Forstenburg, che avrebbe anch’egli abbracciato la carriera militare diventando, con grande soddisfazione del padre, un ufficiale di valore. Di questa situazione di tensione tra i coniugi Carolina – come disse più tardi – ebbe a soffrire molto. Dalla coppia nacquero ben sette figli, tre femmine e quattro maschi. La principessa, poi duchessa, Augusta nutriva il desiderio che le figlie convolassero a nozze con principi di alto lignaggio meglio se fossero stati degli Inglesi. Ed in questo riscosse un primo successo perché la sua figlia maggiore, Augusta, sposò nel 1780 Federico principe ereditario del Würtenberg. Il matrimonio non fu però felice forse per le tendenze omosessuali del marito. La principessa morì in maniera misteriosa in un castello russo ospite della Zarina Caterina. Il marito in quel periodo era governatore della Finlandia.

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Per la secondogenita Carolina le speranze della Duchessa Augusta non erano meno ambiziose. Per prepararla a nozze di alto lignaggio e per porre un freno al carattere esuberante della figlia i duchi impartirono a Carolina un’educazione rigidissima. Basti pensare che alla giovane non era consentito avvicinarsi alla finestra, circolare nel palazzo se non accompagnata da una dama di compagnia, che le era quasi sempre vietato di pranzare con la famiglia se c’erano ospiti, di partecipare ai balli di Corte, che era redarguita se durante le passeggiate nella campagna circostante il castello ducale rivolgeva amabilmente la parola ai sudditi che incontrava. Doveva studiare sotto la guida di vari precettori ed esercitarsi al clavicembalo. Grazie alle lezioni impartitele dall’età di quindici anni dalla contessa von Münster, una poetessa di talento ed una buona letterata, Carolina migliorò molto la sua cultura specie quella letteraria. Leggeva, infatti, con foga in francese e tedesco spaziando dai classici a Shakespeare, dalla poesia al romanzo, dalle biografie alla storia. Fu, però, sempre carente in ortografia ma i suoi scritti erano estremamente vivaci. Trascorreva in compagnia del suo maestro di clavicembalo ben sedici ore alla settimana sì da divenire una provetta musicista e da dare piccoli concerti dopo cena, però “ai soli genitori”. La rigida atmosfera in cui viveva Carolina non era neppure addolcita da manifestazioni d’affetto da parte della madre con la quale i rapporti non saranno mai idilliaci. In conclusione l’educazione impartitale fu particolarmente dura e quasi sicuramente influì negativamente sul suo carattere accentuandone l’innata tendenza all’indipendenza, all’impulsività, a parlare molto e ad essere facilmente suggestionabile. Era però coraggiosa come i suoi avi e ne diede varie volte dimostrazione. Il suo aspetto fisico non era sgradevole anche se non si poteva definirla una bellezza (v. Figura n. 1: Ritratto della Principessa Carolina di Brunswick). Lord Malmesbury, che l’accompagnò dalla Germania a Londra, scrisse nel suo diario che aveva begli occhi, capelli biondi, mani delicate e dentatura discreta ma un busto piuttosto tarchiato. Dello stesso parere fu l’Abate Baron, un rifugiato dalla Rivoluzione francese che soggiornò un anno a Brunswick. Un difetto della principessa era la scarsa attenzione che riservava all’igiene personale. I programmi matrimoniali della Duchessa Augusta per la figlia non procedevano nel frattempo con successo. Erano, infatti, sfumati i matrimoni prima con il secondogenito del Margravio di Baden e con un principe d’AssiaDarmastadt, poi. Carolina sembrava avviarsi ad una vita da zitella relegata nel castello avito. Una prospettiva esaltante per una ragazza piena di vita qual’era Carolina! III – Nel 1794, tuttavia, re Giorgio III d’Inghilterra, fratello, come si è detto, della Duchessa Augusta, decise di far sposare lo scapestrato ed indebitatissimo suo primogenito Giorgio, principe di Galles, il futuro Giorgio IV (17621830), con la nipote Carolina che era quindi cugina di 1° grado del futuro sposo. Il principe di Galles, allora trentaduenne (Figura n. 2: Ritratto del principe di Galles), era allora un giovane intelligente, molto amante dell’arte, elegante, di bell’aspetto anche se con tendenza alla pinguedine, che, come la cugina, aveva ricevuto un’educazione molto rigida sì che appena poté si era dato alla bella vita sperperando una fortuna in cavalli ed soprattutto per arredare ed abbellire la sua residenza – Carlton House – (aveva speso ben 600.000 sterline a tal fine). Aveva anche sposato segretamente nel 1784 una bella vedova di religione cattolica, Maria Fitzherbert (v. Fig. 3).

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Per convincerla, dato che la donna, molto religiosa, era contraria alle nozze, si era anche inferto un colpo di pugnale simulando poi di essere in fin di vita riuscendo in tal modo a farle infilare un anello al dito e a far stilare, seduta stante, un certificato di matrimonio. A tale matrimonio concluso in maniera fraudolente era seguita un anno dopo una cerimonia, sempre non pubblica, celebrata da un pastore anglicano. In base alla normativa allora vigente (il Bill of Rights del 1689, l’Act of Settlements del 1701 ed il Royal Marriage Act del 1772) era proibito ad un membro della famiglia reale convolare a nozze senza il consenso del sovrano e, in pratica, soprattutto con una “papista”. Il mancato assenso del Re alle nozze comportava la decadenza per il membro della famiglia reale che si fosse trovato in una tale situazione da ogni diritto di successione al trono. Il connubio tra il principe di Galles e Maria Fitherbert era dunque giuridicamente illegittimo (La Chiesa cattolica però lo riconobbe tempo dopo come canonicamente valido). I due sposi abitarono in magioni separate ma si frequentavano quotidianamente senza nascondersi. Si può affermare che la Fitzherbert fu per il principe il vero amore della sua vita. Nel frattempo i debiti del principe Giorgio erano aumentati a tal punto che era stato costretto a chiudere temporaneamente Carlton House ed a trasferirsi nella meno dispendiosa Brighton assieme alla Fitzherbert mantenendo peraltro separati i domicili. I rapporti tra i due, però, cominciavano a guastarsi sia a motivo dell’incertezza giuridica del loro rapporto e delle relative maldicenze che a causa delle ristrettezze finanziarie del principe. A complicare la situazione contribuì la “liaison” che il principe Giorgio iniziò con Lady Frances, figlia del Vescovo Twysden, sposata con George Villiers, marchese Jersey, una donna affascinante ed ambiziosa, molto bella ma più anziana del principe di dieci anni, madre di ben nove figli e già nonna (v. Fig. 4). Nel giugno del 1794 ci fu una rottura con Maria Fitzherbert che uscì di scena per un poco molto dignitosamente ritirandosi in una villa, Marble Hill. Il principe però le rimase sempre molto affezionato. Nel giro di un mese Lady Jersey divenne la compagna ufficiale del principe. Il marito fu ricompensato per la sua condiscendenza. L’anno dopo fu, infatti, nominato “Master of the horse” del principe. Una carica importante perché significava essere responsabile della sicurezza personale del sovrano o di un membro della famiglia reale. A causa del suo licenzioso comportamento i rapporti tra il sovrano ed il principe di Galles erano molto freddi conditi da rimproveri continui che il padre rivolgeva al figlio. Ad attenuare questi burrascosi rapporti c’era l’affetto della regina madre che stravedeva per questo figlio. Abilmente Lady Jersey riuscì a sfruttare questa debolezza materna e ad entrare nelle grazie della regina. Uscita di scena la Fitzherbert – (ma il principe le rimase sempre affezionato) Lady Jersey pensò di consolidare la propria posizione suggerendo – sembra – al principe di sposare la cugina e di proporlo al sovrano. La scelta era stata probabilmente dettata dal fatto che Lady Jersey era a conoscenza che la giovane Carolina non poteva rivaleggiare con lei quanto ad avvenenza e fascino. Il che avrebbe mantenuto in vita l’amore del principe per lei e le avrebbe consentito di continuare ad influenzare il futuro sovrano. Il principe di Galles seguì il consiglio interessato dell’amante perché il matrimonio con la cugina, che sarebbe stato ben accetto dal padre, gli avrebbe permesso di ricevere dallo Stato una rendita superiore (oltre 100.000 sterline) a

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quella di un principe reale non sposato e forse di veder saldati, sempre dallo Stato, i propri enormi debiti così come gli aveva promesso il giovane Primo Ministro Pitt. Ostile al matrimonio si manifestò, per contro, la regina che non aveva in simpatia la cognata anche se dichiarò, peraltro, “con le lacrime agli occhi”, che non avrebbe, però, mai mancato di rispetto alla futura sposa. A fine novembre si presentò alla Corte dei Brunswick Lord Malbesbury con le credenziali reali e la richiesta della mano di Carolina. Un ritratto del principe Giorgio fu recapitato dal Maggiore Hislop il 3 dicembre. Lo stesso giorno il duca e la duchessa acconsentirono alle nozze. La duchessa Augusta in privato si espresse, tuttavia, in maniera molto negativa nei confronti della cognata, la Regina Carlotta. La “simpatia” tra le due cognate evidentemente era notevole! Il 29 dicembre Carolina, scortata da Lord Malbesbury, lasciò definitivamente il castello di Brumswick. Il matrimonio rappresentava per lei un traguardo insperato: sarebbe quasi sicuramente diventata sovrana di un importante paese e, nel contempo, si sarebbe liberata dalla schiavitù del vivere nella piccola Corte di Brunswick. In verità – come rivelò più tardi – il suo sogno sarebbe stato quello di impalmare un giovane e bell’ufficiale conosciuto a Corte (si trattava, forse, di un ufficiale irlandese) ma la differenza di “status” costituiva un ostacolo insormontabile. Dal padre e da Lord Malbesbury venne messa in guardia: la sua vita a Londra non sarebbe stata tutta rosa e fiori. Avrebbe dovuto essere tollerante nei confronti del suo sposo e perdonargli il suo debole per l’altro sesso. Il suo comportamento non avrebbe dovuto dar adito a maldicenze. In breve: riservatezza, rispetto dell’etichetta di Corte, tolleranza verso le debolezze del futuro coniuge e proibizione assoluta di avere amanti ché la cosa sarebbe stata considerata un delitto punibile con la morte. Il viaggio alla volta della Gran Bretagna fu lungo a causa della guerra in corso tra la Francia e la coalizione antirivoluzionaria che rendeva le comunicazioni con l’Inghilterra pericolose. Fu giuocoforza che la comitiva sostasse ad Hannover, di cui il re d’Inghilterra era Principe Elettore, per ben due mesi. Il 28 marzo 1794 la nave inglese incaricata di trasportare la futura principessa di Galles ed il suo seguito lasciò Cuxhaven e giunse alle coste britanniche solo una settimana dopo a causa del maltempo. Era il 3 aprile 1795, Venerdì Santo. Il gruppo venne trasferito sul panfilo reale “Augusta”. Lo sbarco avvenne a Greenwich il giorno di Pasqua. “Con molto tatto” Lady Jersey era stata designata ad accompagnare la futura principessa di Galles da Greenwich a Londra fino agli appartamenti di St. James Palace, residenza del futuro cognato, Principe Ernesto, dove avrebbe alloggiato fino al giorno del matrimonio. La scelta di Lady Jersey come damigella d’onore era un brutto segno!

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Il 5 aprile 1794 ebbe luogo l’incontro tra i due nubendi che si rivelò un vero disastro. Stando a Lord Malmesbury, che fu l’unico testimone, il principe, abbracciata la fidanzata, chiese subito al Lord di dargli un bicchiere di brandy perché non si sentiva bene. Lord Malmesbury gli offrì, invece, un bicchier d’acqua. Il principe, ormai di cattivo umore forse anche perché non aveva gradito l’aspetto della principessa, imprecò dicendo: “No! Andrò direttamente dalla Regina” e lasciò la stanza. Carolina rimase ovviamente di stucco e disse al Lord in francese: “Mio Dio! Il principe è sempre così? Lo trovo grasso e per niente bello come nel suo ritratto”. Come sopra accennato invero il principe già tendeva alla pinguedine. Dopo questa sgarbata accoglienza Carolina scordò tutti i suoi buoni propositi e ricambiò, imprudentemente, la scortesia durante la cena che seguì facendo volgari allusioni a Lady Jersey che era presente al banchetto. Da cui ed in seguito ad altri episodi analoghi i rapporti tra i due presero, subito, una brutta piega. Ciò nondimeno la sera dell’8 aprile 1795 ebbe luogo nella Cappella di St. James Palace la cerimonia nuziale (v. Fig. 5). Il principe era così lieto che per farsi coraggio aveva bevuto abbondantemente prima del rito tanto che due nobili avevano dovuto sorreggerlo materialmente nel breve tragitto fino all’altare. L’ebbrezza del principe non cessò nelle ore successive e la prima notte di nozze il principe la trascorse accasciato su una poltrona davanti al caminetto della stanza matrimoniale della residenza di Carlton House. Secondo le confidenze fatte anni dopo dalla principessa a Lord Minto i rapporti tra i coniugi cessarono completamente due o tre settimane dopo le nozze. Malgrado ciò Carolina rimase quasi subito incinta. Appena tre giorni dopo il matrimonio il principe ordinò la carrozza con l’intenzione di recarsi dalla Sig.ra Fitzherbert di cui sembrava essere ancora innamorato pur essendo sempre succube di Lady Jersey. La giovane sposa vedeva raramente il marito spesso assente per cavalcate o cacce. A migliorare i rapporti tra i coniugi non contribuì certamente l’atteggiamento freddo per non dire ostile della regina madre e delle cognate verso la principessa. Più benevolo si mostrò il suocero, re Giorgio III, probabilmente per riguardo alla sorella, la madre di Carolina. L’atteggiamento del principe di Galles continuò ad essere ostile nei riguardi di Carolina. Probabilmente era contrariato dal fatto che il Primo Ministro Pitt aveva ottenuto per lui dal Parlamento un appannaggio ridotto rispetto alle sue aspettative ed una parte doveva essere accantonata annualmente per rimborsare i suoi debiti. D’altra parte c’era una guerra in corso e l’opinione pubblica non era favorevole al Principe. Ad accrescere l’ostilità del principe verso la consorte contribuivano le insinuazioni di Lady Jersey, sempre presente, e lettere anonime circa un presunto flirt della principessa con il comandante del panfilo reale, il capitano Pol. Rientrata a Carlton House da Brighton dove aveva trascorso l’estate, con il principe il 7 gennaio 1796 Carolina diede alla luce alla presenza, come era l’uso, di una moltitudine di dignitari quali testimoni quella che sarebbe rimasta l’unica figlia della coppia cui verrà dato il nome delle due nonne, Carlotta ed Augusta. Nelle settimane precedenti il parto il principe che, evidentemente, non era troppo preoccupato per il prossimo evento, si era fatto poco vedere a palazzo preferendo abitare a “The Grange” una residenza di caccia nell’Hampshire cioè a Sud di Londra. Dopo la nascita della bambina la relazione con Lady Jersey fu maggiormente esibita dal principe anche per il sostegno ricevuto dalla regina madre. Nel frattempo alla neo-mamma fu proibito di incontrare più di una volta al giorno la neonata, affidata a nutrici.

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La povera Carolina era umiliata in tutti i modi. Esasperata chiese al sovrano d’intervenire ed ottenne, per lo meno, che Lady Jersey rassegnasse le dimissioni da sua dama di compagnia. Una riconciliazione non fu però possibile soprattutto a causa dell’ostinazione del principe di Galles a frequentare Lady Jersey malgrado la crescente impopolarità che il suo comportamento stava riscuotendo presso l’opinione pubblica informata dai giornali della crisi coniugale in atto. I continui dissapori tra i coniugi dovuti soprattutto ai divieti di cui la principessa era frequentemente oggetto (ad es. doveva essere preventivamente autorizzata dal principe a ricevere una persona, a scegliere una dama di compagnia e la governante della figlioletta ché la stessa doveva essere molto rigida etc.) accelerarono la crisi finché si giunse nel dicembre 1798 ad una separazione “ufficiosa”. Quella “ufficiale”, che il principe avrebbe voluto, era stata impedita da Giorgio III per motivi di opportunità di natura religiosa, giuridica e politica. Finalmente i coniugi avrebbero continuato a dimorare a Carlton House ma la principessa risiederà, in pratica, a Montague House fuori Londra. La piccola Augusta Carlotta, invece, doveva vivere con l’anziana istitutrice Lady Elgin e la balia a Shrewsbury House anche se la madre le faceva visita settimanalmente. Non era una vita lieta per madre e figlia! Finalmente, però, Carolina poté godere di una certa libertà ed organizzare ricevimenti nella sua casa. D’indole generosa faceva molta beneficenza e per questo era sempre più popolare. Nel 1802 accolse in casa i coniugi Austin in miseria (il marito aveva perso il posto al cantiere navale) ed il loro bambino di tre mesi, William, che da allora fu, in pratica, adottato dalla principessa e questo provocò successivamente l’accusa che il piccolo fosse, in realtà, figlio della principessa. In questo periodo il principe di Galles riuscì a riavvicinarsi alla Fitzherbert anche se la stessa volle che si considerassero “come un fratello ed una sorella” – ma continuò il dissidio con il padre che disapprovava la sua condotta. Lo scarso appannaggio della principessa fu, grazie al re, che nutriva affetto nei suoi riguardi, aumentato. Sotto il profilo privato la ancor giovane principessa dava, però, adito a maldicenze. Le si attribuirono, infatti, relazioni, con il giovane ministro George Canning, poi con Sir Sidney Smith, il vincitore di Napoleone I in Medio Oriente, quindi con un capitano di marina, Thomas Manby. Lady Douglas, già amica della principessa, arrivò ad accusarla di adulterio e di essere la vera madre di William Austin. Le accuse furono, naturalmente, colte al volo dal Principe di Galles che convinse il re a nominare il 29 maggio 1806 una Commissione Segreta d’Inchiesta (denominata “l’indagine delicata”) composta da quattro ministri. Il 14 luglio 1806 i Commissari conclusero però la loro relazione asserendo che: «non c’è alcun motivo per credere che il bambino… sia figlio di sua Altezza Reale». Avanzarono, tuttavia, qualche dubbio in ordine alla condotta della principessa ed ai suoi rapporti con il Capitano Mamby. Malgrado i tentativi del principe di Galles di far dichiarare la moglie adultera e di ottenere così l’agognato divorzio l’inchiesta fu chiusa anche perché Carolina ed i suoi legali minacciarono di controaccusare il principe di adulterio.

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A Carolina il Re concesse quindi di andare ad abitare nella primavera del 1808 nel Palazzo di Kensington – così da non dover vivere sotto lo stesso tetto a Carlton House con il marito – e di tenere con sé il piccolo Austin – che però non avrebbe dovuto frequentare la principessa Carlotta. Nel frattempo in seguito alla morte del padre ed all’occupazione del Ducato di Brunswick da parte di Napoleone la madre e gli altri famigliari di Carolina si rifugiarono a Londra. A causa della malattia nervosa di Re Giorgio III nel 1811 il principe di Galles era diventato reggente. Le cose quindi non si volgevano troppo a favore della principessa che, per di più, malgrado l’appannaggio annuo di 17.000 sterline (anche se le veniva pagato spesso con ritardo) era indebitata per 51.000 sterline. Carolina era, invero, molto poco oculata in materia di spese. Il Reggente per evitare uno scandalo fu costretto a ripianare i debiti della moglie e ad aumentarne l’appannaggio a 22.000 sterline. Di ripicca in ripicca, di restrizioni in restrizioni in ordine ai rapporti tra madre e figlia, di amore in amore (sembra che Carolina abbia avuto come amante anche il suo insegnante di canto, il bel musicista italiano Pietro Savio) si arrivò al 1814 quando, l’8 aprile, Napoleone abdicò e finalmente la pace regnò in Europa. Nello stesso anno la principessa Carlotta, appena quattordicenne, venne promessa in sposa al principe ereditario di Olanda, Guglielmo di Orange. Il matrimonio però non ebbe luogo per il deciso rifiuto della principessina. Carolina fu però esclusa dai festeggiamenti e da quelli per la sopravvenuta pace. Fu la goccia che fece traboccare il vaso e che spinse la principessa ad accettare un notevole aumento del proprio appannaggio (35.000 sterline l’anno) e a decidere di lasciare il suolo inglese. Il che avvenne l’8 agosto 1814 a bordo della fregata “Jason”. IV – Iniziò così il lungo peregrinare della principessa e del suo piccolo seguito, di cui faceva parte anche il bambino Austin, da una località all’altra dell’Europa, del Nord Africa, del Medio Oriente: la nativa Brunswick, Como, Milano, Firenze, Roma, Messina, Catania, Palermo, Malta, Tunisi, Atene, Costantinopoli, la Palestina, Alessandria d’Egitto. A Milano, ritornata sotto il dominio austriaco, ebbe luogo l’incontro con quello che ben presto divenne il suo amante fisso: Bartolomeo Pergami . Era questi un trentenne (l’anno di nascita non è certo: 1783 o 1784) sottoufficiale dell’esercito napoleonico prima poi di quello austriaco, nativo di Crema. Contrariamente a quanto asserito dai detrattori proveniva da una famiglia nobile decaduta perché la madre era una nobile,aveva studiato qualche anno in Seminario, non era quindi privo di cultura e la sorella era andata sposa al Conte Oldi di Crema. Aveva servito con onore sotto il generale Domenico Pinto nella campagna di Russia ed era stato accompagnatore della di lui moglie, la Contessa Calderaio. Era stato però espulso dall’esercito per avere – sembra – ucciso in duello un superiore che l’aveva offeso. Era sposato ma separato ed aveva una o due figlie. La principessa si era rivolta al Gen. Pinto, che aveva conosciuto, perché le indicasse un corriere italiano che, conoscendo la lingua ed i luoghi, potesse servirla nel corso del suo imminente viaggio in Toscana. Il compito di un “corriere” era, all’epoca, quello di precedere con un piccolo drappello a cavallo il corteo di carrozze che trasportava personaggi importanti.

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Pergami era un uomo di notevole bellezza (v. Figura n. 6: Ritratto di Bartolomeo Pergami), capelli ed occhi neri, alto oltre 1,80 m., imponente, intelligente, di carattere molto deciso anche se un po’ guascone. Appena conosciutolo la principessa decise di assumerlo. In breve Pergami riscosse la fiducia di Carolina. Dopo Firenze e Roma, dove fu accolta con molta cordialità dal Papa Pio VII e dal suo primo ministro, il Card. Consalvi, e dalla nobiltà dell’Urbe che organizzò ricevimenti e balli in suo onore, la principessa volle nel dicembre 1814 recarsi a Napoli dove regnava ancora Gioacchino Murat. Fu da questi e dalla nobiltà napoletana accolta calorosamente. Partecipò indefessamente ai ricevimenti ed ai balli che si tenevano in quella capitale. Nel marzo del 1815 in seguito all’evasione dall’isola d’Elba di Napoleone I fu costretta dal Governo inglese, preoccupato che potesse cadere prigioniera dei Francesi, a recarsi a Roma. A metà marzo del 1815 si imbarcò a Civitavecchia su una fregata (la “Clorinde”) inviata dal Governo britannico per portarla a Genova. Dopo Genova fu la volta di Milano quindi di Cernobbio dove si stabilì a “Villa Garovo” che aveva acquistato nel luglio del 1815 dalla Contessa Calderaia Pinto e che ribattezzò “Villa d’Este” ( v.Fig n°7 ). Il nome non sembra sia stato scelto per paragonare la villa a quella, ben più famosa di Tivoli, bensì per ricordare le origini italiane dei Brunswick. Il fondatore del Casato, Enrico il Leone, era, infatti, il pronipote di Guelfo IV, duca di Baviera, figlio adottivo di Guelfo III dato che questi, rimasto senza eredi, aveva adottato il nipote cioè il figlio della sorella Cunegonda e di Azzo d’Este. Il 18 giugno dello stesso anno ebbe fine a Waterloo l’epopea napoleonica. Due giorni prima un altro lutto aveva colpito Carolina: il fratello, il Duca di Brunswick, era morto sul campo nel corso della battaglia dei “Quatre Bras” alla periferia di Bruxelles. Della piccola Corte della principessa facevano ormai parte il fratello del Pergami, Luigi, con funzioni di maggiordomo, il cugino Bernardo in qualità di contabile, e sua sorella, la Contessa Oldi, che era stata nominata dama di compagnia e piu’ tardi anche la madre.A questi si era aggiunta la figlioletta del Pergami, Vittorina, alla quale la principessa prese subito ad affezionarsi. Il 14 novembre 1815 la principessa ed il suo seguito s’imbarcarono su una nave militare inglese. Il “Leviathan” con destinazione la Sicilia. Dopo aver soggiornato a Messina e visitato Palermo la principessa si recò ad Augusta dove acquistò un feudo, la “Franchina” ed il relativo titolo baronale di cui fece dono al Pergami che così, in ossequio alle regole dell’etichetta inglese, poté essere nominato dalla principessa suo ciambellano. Il 1° aprile 1816 Carolina ed il suo seguito partirono su un tre alberi italiano, ribattezzato “Royal Charlotte”, per Tunisi. Anche nella capitale tunisina fu bene accolta da quel sovrano ma dovette precipitosamente partire il 23 aprile perché una flotta inglese bombardò la città per por fine alle scorrerie dei pirati e liberare gli schiavi britannici. Fu quindi la volta di Malta e di Atene quindi Costantinopoli. Nella capitale ottomana il gruppo non poté soggiornare a lungo perché vi era scoppiata la peste. Dopo la Turchia la principessa visitò il 2 luglio S. Giovanni d’Acri, quindi ,a cavallo ,tutta la Palestina. A Gerusalemme ebbe la bizzarra idea di fondare un ordine: quello di “S. Carolina di Gerusalemme” e di cui, ovviamente, fu subito insignito del titolo di Gran Maestro il Pergami.

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Rientrò a Cernobbio nel settembre del 1816. La sua piccola corte si era arricchita di un Turco, di un negro e di un nano. Nel frattempo era arrivata la notizia che la figlia si era sposata il 2 maggio con il bel principe Leopoldo di Sassonia Coburgo (v. Figure n. 8, 9, : Ritratto del principe Leopoldo di Sassonia – Coburgo). Era, questa volta, un matrimonio d’amore cui però la principessa non era stata invitata ma Carolina non diede alla cosa molta importanza. Era, infatti, occupata a far abbellire ed ampliare Villa d’Este. Agli inizi del 1817 ci fu la fine dei lavori con grandi festeggiamenti. La villa fu ribattezzata “La barona” con riferimento al titolo di recente acquisito dal Pergami. Inoltre la principessa era preoccupata per la propria situazione finanziaria che era stata resa più difficile dalle spese sostenute per la villa. Donde nei mesi successivi i suoi viaggi in Germania per cercare di recuperare le somme prestate al suo defunto fratello e per vendere alcune antichità al principe di Baviera. Passò anche per Vienna ma non fu ricevuta dall’Imperatore perché era in lutto. Sempre più pressata dai creditori Carolina nel giugno del 1817 venne a Roma. Prese alloggio a Frascati, a “Villa Ruffinella”, vicino alla dimora del suo banchiere romano, Giovanni Torlonia. Questi aveva, infatti, manifestato interesse ad acquistare la villa di Cernobbio. La trattativa andò rapidamente in porto e nel luglio fu firmato il contratto di vendita della villa al prezzo di 150.000 luigi. V – Ad agosto del 1817 la principessa ed il suo seguito lasciarono Frascati per andare a Senigallia dove si teneva una fiera molto rinomata. Durante il viaggio di ritorno verso Cernobbio Carolina s’invaghì della costa pesarese (v. Figura n. 10: Panorama della costa pesarese). Decise quindi con uno dei suoi colpi di testa di fermarsi a Pesaro dove fu accolta con grande cordialità dal Marchese Antaldo Antaldi, Gonfaloniere della città. Prese in affitto dai Marchesi Mosca la bella “Villa Caprile” sul colle S. Bartolo sovrastante la città (v. Figure n. 11 e 12: Villa Caprile). Si trattava di uno dei vari “Casini di delizia” costruiti sulle colline dai nobili pesaresi nel XVII secolo. La villa, eretta a partire dal 1640 (l’architetto non è noto), è posta su più livelli terrazzati ed è circondato da un giardino con giochi d’acqua, da un parco e da un teatro all’aperto. Ospitò personaggi illustri come Casanova, Stendhal, il Duca Ferdinando IV di Parma. Vicino si erge l’imponente Castello dell’Imperiale, magnifica residenza rinascimentale voluta da Francesco Maria della Rovere e progettata da Girolamo Genga che fu frequentata da Bernando e Torquato Tasso, Baldassar Castiglione, Pietro Bembo. I vantaggi per la principessa di risiedere nella cittadina marchigiana erano vari: le spese erano ridotte, la sorveglianza da parte della polizia pontificia era più agevole che in Lombardia perché la città era piccola e, fu conseguenza, le eventuali spie del Reggente erano facilmente individuabili. Inoltre le stesse non avrebbero fruito, come, invece, la Principessa aveva potuto constatare a Milano, del sostegno delle autorità locali. Il governo pontificio aveva dato, infatti, istruzioni alle autorità locali di usare alla principessa ogni cortesia possibile. Il clima era clemente tanto che era possibile prendere bagni fino a settembre inoltrato e fare belle gite in barca.

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Inoltre nelle vicinanze della villa risiedevano varie famiglie nobili tra le quali spiccava quella dei letterati Giulio Perticari e della moglie Costanza Monti figlia del famoso poeta e traduttore dell’Iliade Vincenzo Monti. L’accoglienza da parte dei notabili pesaresi fu molto cordiale specie nelle persone del Gonfaloniere il Marchese Antaldo Antaldi ma anche da parte del popolino. La vita scorreva serena: cene, balli, serate di giochi di carte, musica, gite in barca (a quest’ultimo proposito ricorderemo che la principessa acquistò un vascello che in onore del patrono della città chiamò “San Terenzio”) tanto che stava pensando di restarvi per sempre. Con tale intento acquistò, nell’estate del 1817, dai Marchesi Leonori la vicina “Villa Gherardesca” che fece modificare su progetto dell’architetto Andrea Antaldi, fratello di Antaldo, e che denominò “Villa Vittoria” in onore della figlia del Pergami e di cui le fece poi dono. Dal 4 marzo del 1818 Villa Vittoria divenne la residenza della principessa a Pesaro (v. Figura n. 13: Villa Vittoria). La tranquillità della vita principesca nella cittadina marchigiana fu interrotta dall’improvvisa notizia del decesso per un’emorragia post-parto dell’appena ventunenne principessa Carlotta avvenuta il 6 novembre 1817. La morte della figlia provocò in Carolina un non breve periodo di depressione. A ciò si aggiunse il diradarsi delle visite di molti notabili pesaresi, quelli di più austeri costumi, tra i quali anche i Perticari, scandalizzati dalle stravaganze della principessa e dal suo evidente vivere “more uxorio” con il Pergami. A far scemare le simpatie della popolazione e dei maggiorenti pesaresi verso la principessa fu anche un episodio che ebbe come protagonista Gioacchino Rossini. Nella primavera e nell’estate del 1818 era stato inaugurato a Pesaro il nuovo teatro voluto dal Perticari con ripetute presentazioni del melodramma “La Gazza ladra” diretto dallo stesso Rossini. La principessa vi assistette e volle invitare nella sua residenza Rossini. Questi declinò l’invito, forse in suggerimento del Perticari di cui era buon amico, accampando come scusa – piuttosto risibile per un ventiseienne – un dolore alla schiena che gli avrebbe impedito di fare gli inchini di prammatica una volta giunto al cospetto della principessa. L’offesa non fu dimenticata e quando la sera del 23 maggio 1819 Rossini, di ritorno da Roma, si presentò al Teatro per assistere alla rappresentazione della “Clotilde” del musicista napoletano Carlo Coccia offerta dalla principessa, il Pergami, con alcuni suoi amici armati organizzò una tale gazzarra contro il “Cigno di Pesaro” da obbligarlo a nascondersi nel palco dei Conti Belluzzi, patrizi samarinesi. Ironia della sorte: anni dopo la figlia del Pergami, Vittoria, andrà sposa al Conte Gaetano Belluzzi! Nel frattempo il principe reggente non aveva smesso di cercare di ottenere il divorzio per adulterio dall’odiata consorte la cui posizione nei suoi confronti si era indebolita: vi era stata la morte della figlia che avrebbe dovuto succedere al trono e, per conseguenza, Carolina non poteva più pretendere il titolo di regina madre, la situazione disastrosa delle finanze della principessa, il palese stato di concubinaggio in cui la stessa viveva. Con tale intento Giorgio non aveva cessato di raccogliere prove utilizzando tutti i mezzi (spie, corruzione dei domestici etc.). Ottenne anche dal Gabinetto che una Commissione, composta da due legali e da un attacché militare, si recasse nel 1818 in Italia per acquisire testimonianze circa il comportamento della moglie. Nei primi mesi del 1819 James Brougham, fratello dell’abile avvocato della principessa, arrivò a “Villa Vittoria”, incaricato da un comitato londinese di creditori, onde scoprire l’esatto ammontare delle attività e passività della principessa ed elaborare un piano per risanarne le finanze. Carolina espresse al Brougham la disponibilità a concedere il divorzio purché le venisse data “illico ac immediate” una somma tale da “ottenere abbastanza pace” e poter vivere.

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Rientrato a Londra James Brougham sottopose la proposta al fratello, l’avvocato Henry, che a sua volta, si consultò con Lord Laurderdale, amico del Reggente, che ipotizzarono, onde evitare una causa di divorzio, che il vincolo fosse sciolto mediante un atto del Parlamento per poi giungere alla conclusione che sarebbe stato «totalmente inammissibile far passare una legge [simile] in assenza di una dimostrazione di colpevolezza o di una confessione della parte in causa». Ma la principessa rifiutò di pronunciare una tale confessione rimanendo dell’idea che fosse preferibile un accordo consensuale. Le trattative tra il Governo ed il Reggente, da una parte, e la principessa, dall’altra, tramite l’avvocato Henry Brougham continuarono nella 2° metà del 1819 e nel 1820 ma senza esito. Il 17 agosto 1819 la principessa lasciò improvvisamente Villa Vittoria. Si recò prima a Parma dove rimase fino a settembre quindi a Lione in attesa di notizie dal suo avvocato e di decidere sul da fare, cioè se rientrare o meno in Inghilterra. Nel gennaio del 1820 si recò a Livorno con l’intenzione di rientrare a Pesaro .Nella città toscana le giunse una missiva del suo legale che la invitava a rientrare immediatamente a Londra. V – Cosa era successo? Il 29 gennaio 1820 re Giorgio III era spirato, il Reggente gli aveva succeduto al trono e Carolina era, per conseguenza, diventata regina d’Inghilterra (v. Figura n. 12: Ritratto di re Giorgio IV). Il suo nuovo “status” spinse Carolina a lasciare Roma, dove era andata per un breve periodo, l’8 aprile 1820 per recarsi in Inghilterra onde reclamare i propri diritti di sovrana. Passò per Pesaro dove la popolazione l’accolse con ovazioni. Evidentemente l’episodio del teatro era stato dimenticato! Nel frattempo il Governo britannico le aveva proposto un accordo amichevole, le cui condizioni non erano però molto chiare, avvertendola, tuttavia, che se fosse rientrata in patria sarebbe stata promossa un’azione legale nei suoi confronti. Incurante della minaccia e dei suggerimenti pervenutile dal suo avvocato di rinviare la partenza per conoscere meglio le ultime proposte del Governo volle rientrare in Inghilterra anche perché giudicò inaccettabili i chiarimenti sull’accordo transattivo che le erano stati successivamente forniti. Dopo essersi separata a Calais dal Pergami che non rivedrà più il 5 giugno 1820 la principessa, che ormai si considerava la Regina Carolina del Regno Unito, sbarcò a Dover e fu subito accolta da una folla festante che parteggiava per lei in odio al nuovo monarca ed al suo Governo che non erano in grado di alleviare la crisi economica che aveva colpito la popolazione inglese. Le scene di tripudio popolare per il rientro della principessa si ripeterono quando ella fece il suo ingresso a Londra dove in un primo tempo dovette accettare l’ospitalità,a South Andley Street, di un Assessore comunale ,Wood per poi risiedere a Branderbourg House.Il processo si aprì il 6 giugno 1820 davanti alla Camera dei Comuni ed il 17 agosto 1820 davanti alla Camera dei Lord. Durò fino al 10 novembre dello stesso anno. Faccio grazia al lettore della narrazione delle vicende del dibattito che durò fino al novembre. Basterà dire che : vi fu una lunga sfilata di testimoni tra i quali, assieme a molti italiani, il marchese e gonfaloniere di Pesaro Antaldo Antaldi che spese una fortuna per risiedere a Londra con il fratello per tutta la durata del processo sì da rovinarsi economicamente tanto da dover vendere la sua ricca quadreria ad un mercante inglese (ora i dipinti sono all’Ashmolean Museum di Oxford);

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- che abilissima fu l’arringa difensiva dell’Avv. Brougha; che il processo non si concluse con un verdetto di condanna al divorzio per adulterio. Fu, infatti, rinviato di sei mesi. Il che significava, secondo le consuetudini parlamentari inglesi, che la cosa finiva là. A questo esito contribuirono la c.d. “ragion di Stato” che sconsigliava una legge di condanna e nonché la popolarità della principessa acquisita negli anni precedenti per la sua generosità verso gli indigenti mentre il principe di Galles ed il Governo erano osteggiati per la loro insensibilità nei confronti della popolazione che in quel periodo veniva sfruttata terribilmente dalla nascente industria e per aver adottato dure leggi volte ad impedire le agitazioni operaie. Durante il lungo processo l’opinione pubblica e le forze politiche erano state profondamente divise:per la principessa parteggiavano i Whigs ,per Giorgio i Torys. La popolazione,invece,-e non solo quella di Londra aveva ,in genere, manifestato il proprio sostegno alla principessa inviando numerose delegazioni ufficiali a rendere omaggio a quella che considerava come la propria legittima sovrana. Il Parlamento ,in conclusione ,convenne sull’opportunità “pro bono pacis “ nazionale di mettere la cosa a tacere.Decise , però, che il nome della principessa fosse escluso dalle preghiere contenute nel “Book of Prayer”, il testo liturgico ufficiale della chiesa anglicana. Non le fu, inoltre, concesso di partecipare alla cerimonia di incoronazione del Re che avrebbe avuto luogo il 21 luglio 1821. Le fu, però, aumentato l’appannaggio. La vicenda, in conclusione, non si era conclusa troppo male per la principessa. Ciò non di meno,ostinatamente, Carolina ,il giorno dell’incoronazione (v. Fig. n°14 ), cercò di entrare nell’Abbazia di Westminster ma le sentinelle per ordine del Sovrano glielo impedirono . Prostrata per lo smacco subito, fu la tensione e forse per un cancro il 4 e 5 agosto 1821 la principessa cadde malata e spirò il 7 agosto 1821 all’età di 54 anni. Lasciò erede universale il giovane Austin ,che, però, non visse a lungo (morì,infatti, demente nel 1834) ed alcuni lasciti. Dispose che le sue spoglie riposassero nella terra che l’aveva vista nascere, Brunswick, e che sulla sua tomba fosse posta la scritta: “Carolina, l’oltraggiata regina d’Inghilterra” che doveva figurava sulla sua bara. Tale scritta ,per ordine del comandante la scorta al corteo funebre ,fu però levata. Ciò non di meno sulla cancellata della cappella dove a Brunswick riposano ,come aveva chiesto, le spoglie della Principessa si legge: “Hic finis invidiae,persecutionis et querelae”. Anche da morta non ebbe tuttavia subito pace. I suoi sostenitori sospettarono,infatti, che fosse stata avvelenata e quando il corteo funebre attraversò Londra per portarsi ad Harwick dove il feretro sarebbe stato imbarcato sulla “Glasgow” per la Germania e non fece, per ordine del Governo timoroso di sommosse, un percorso che passasse per le strade principali della capitale inglese, si verificarono tumulti gravi . Si ebbero,infatti, a causa delle cariche della cavalleria ben quattro morti e numerosi feriti tra i manifestanti che gridavano “Through the City “(=Attraverso la City = cioè il centro di Londra ). Le reazioni di Giorgio IV alla notizia del decesso della consorte non sono note ma si racconta che quando, mesi prima, gli era stata data la notizia della morte del suo peggior nemico senza specificare che si trattava di Napoleone I egli avrebbe esclamato, equivocando: “Oh! finalmente è morta, buon Dio!”. Giorgio sopravvisse alla moglie solo nove anni. La sua ingordigia e l’amore per l’alcool avevano accorciato la sua esistenza.

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Dopo la separazione da Carolina ebbe varie amanti tra le quali Isabella Seymour-Conway, marchesa di Hertford e negli ultimi dieci anni Elisabetta marchesa di Conygham ( Fig. n°!5 ). Quest’ultima visse fino al 1861. Aveva ben 91 anni. Maria Fitzherbert fu anch’essa longeva perché visse fino al 1837 (81 anni ) con molta dignità giacché, tra l’altro, rifiutò un titolo di duchessa che il successore Giorgio IV, Guglielmo IV, le aveva offerto per ricompensarla dei dolori patiti a causa del suo defunto fratello. Il Pergami, che era rientrato a Pesaro, godette in tale località fino l 1841 il benessere acquisito La principessa era ,infatti,anche riuscita a fargli avere dal Papa in enfiteusi vasti terreni lungo la costa ravennate. Aveva 64 anni circa. VI – Che giudizio formulare circa l’esistenza e la figura della principessa e Regina Carolina? Il minimo che si possa dire, a nostro avviso, è che non fu né malvagia, né sciocca e che fu vittima dell’educazione ricevuta e della ragion di Stato o – per dirla con il Foscolo (“Dei Sepolcri”: versi 156, 157) – fu uno dei tanti esempi di “che lagrime grondi e di che sangue” lo scettro cioè il potere. E vorremmo, infine, esprimere sentimenti di umana pietà per questa donna.

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CULTURA

Recensione: “Maonomics”, di Loretta Napoleoni by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 23 dicembre 2010 •

Loretta Napoleoni: “Maonomics” (pag.333, ed. Rizzoli, aprile 2010, euro 19,50 ) E’ un’analisi molto accurata e ricca di dati delle origini del prodigioso sviluppo dell’economia cinese che sono rintracciabili nella politica di liberalizzazioni avviata con tenacia, malgrado le forti resistenze della componente più conservatrice ed ortodossa del P.C.C., alla fine degli anni ’70 da Deng Xiao Ping. A giudizio dell’autrice, però, il fattore determinante del successo, che nel volume é analizzato in tutti i suoi aspetti, é stato l’aver attuato, anche se ancora non in maniera perfetta, i veri principi della teoria marxista. Marx, secondo la Napoleoni, non era contrario al profitto ma desiderava che la classe operaia se ne mposessasse e ne godesse in proporzione al proprio contributo in funzione cioé del “plus valore” per arrivare a realizzare una società senza classi. Lenin e Stalin avrebbero travisato il pensiero di Marx eliminando il profitto e così dando vita ad un regime di economia pianificata e ad una feroce dittatura. I Cinesi, per contro, sarebbero riusciti a creare una forma di dittatura del proletariato che garentisce a tutti “pari opportunità” di crescita. Questo sistema – a detta dell’autrice – si sta evolvendo positivamente anche sotto il profilo dei diritti umani mentre l’Occidente sembra muoversi ipocritamente nella direzione opposta (v. le prigioni di Guantanamo, gli scandali finanziari di Wall Street e Mardoff). Ad avviso di chi scrive però le riforme di Deng Xiao Ping hanno solo permesso di creare un modello economico-sociale improntato al più severo pragmatismo e, a ben riflettere, quell’insieme di principi etici, profondamente sentiti dal popolo cinese da oltre 2.000 anni, contenuti nella dottrina di Confucio (551 c.a. a.C.-479 a. C.) secondo cui i problemi umani debbono essere impostati in termini di rapporti specifici piuttosto che in termini astratti (ad es. governante/governato; padre/figlio; fratello maggiore/fratello minore ). Dall’attenzione a questi rapporti deriva il principio che il comportamento umano deve essere guidato in primo luogo dallo “shu” (la reciprocità -solidarietà) ovvero non fare agli altri quel che non si vuole che sia fatto a noi stessi. Per questo pensatore il vertice dei valori umani è rappresentato dalla rettitudine e dalla bontà (“jen”). Sono raccomandati, inoltre, l’esercizio e lo sviluppo di virtù come la giustizia, la cultura, la fedeltà al superiore ed alla parola data, i riti. Ai doveri dell’individuo verso se stesso e lo Stato si aggiungono quelli verso la famiglia tra i quali, al primo posto, la pietà filiale la quale sussiste sia in vita che in morte donde il culto degli antenati. Il governo dello Stato é, per conseguenza consentito solo a chi abbia saputo amministrare bene la propria famiglia e per fare ciò occorre, prima, essere riusciti a perfezionare se stessi. Giova inoltre ricordare che la Cina venne politicamente unificata e dotata di un’amministrazione centrale, i cui funzionari – i c.d. mandarini – venivano selezionati attraverso un severissimo concorso nazionale – sotto le dinastie Quin (221 -206 a .C.) e Han (206 a .C.-220 d.C.) cioé oltre duemila anni fa. La storia non passa senza lasciare tracce sul D.N.A. dei popoli! “Last but not least” il popolo cinese, come é noto e dimostrato dalla diaspora, é per natura particolarmente laborioso e portato per le attività commerciali. Una volta aboliti da Deng Xiao Ping i vincoli posti dal sistema pianificato instaurato da Mao tali doti, corroborate dai principi confuciani, hanno potuto esprimersi al meglio. Secondo la Napoleoni, per contro, le ragioni principali dell’eccezionale sviluppo dell’economia cinese risiedono nell’aver creato, interpretando correttamente il pensiero marxiano, un modello nuovo, moderno improntato al più severo pragmatismo. Il capitalismo cinese dei nostri giorni usa cioé tutto quel che funziona (dall’impresa privata al controllo dei capitali) ed é quindi – a suo parere – più flessibile ed attuale di quello occidentale. Il modello cinese sa adattare l’economia ai cambiamenti epocali e repentini quali il processo di globalizzazione. Tale flessibilità aiuta la Cina a diventare la superpotenza del c.d. villaggio globale e a ridefinire i parametri della modernità.

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Nel volume si cerca, come sopra accennato, di ripercorrere le varie tappe di questa straordinaria e rapida ascesa ma anche di descrivere, in parallelo, quello che l’autrice chiama “l’altrettanto prodigioso tracollo che aspetta il nostro sistema se ci ostiniamo a celebrare un modello economico e politico ormai usurato”. La cura, però, esisterebbe, secondo la Napoleoni, e potrebbe funzionare, per la depressione sia economica che psicologica che affligge l’Occidente. E’ una medicina cinese. Tutto sta a volerla adattare adattare alla fisiologia delle nostre democrazie. Questa parte dello studio della Napoleoni é, secondo l’estensore di queste note, la meno covincente. In primo luogo l’autrice formula un lungo atto d’accusa verso l’Occidente segnatamente gli Stati Uniti (politica estera, corruzione, finanza etc) e, parallelamente, una difesa della Cina esaltandone i progressi anche in campi dove la realtà si presenta ben diversa (ad es. diritti umani, tutela degli imputati, delle minoranze, corruzione etc.). Non si comprende, infine, molto bene quale sia esattamente la “medicina”: un sistema dove il capitalismo conviva con una società senza classi e i cui reggitori sarebbero espressione di un solo partito eletto dai membri delle varie componenti della società? Forse questo sistema può andare bene (e fino a quando?) per un paese di 1,3 miliardi di abitanti che attraversa una fase di assestamento dopo secoli in cui gran parte della popolazione aveva un problema primario drammatico – sfamarsi – e per la quale la democrazia era un “accessorio” per ricchi. Come dicevano i Romani: “primum edere deinde philosophare” (= Occorre prima nutrirsi poi si può filosofare) !

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ISTRUZIONE

Università, una riforma necessaria by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 5 dicembre 2010 •

“In omni arte vel studio vel quavis scientia ut ipsa virtute optimum quidque rarissimum”. “In ogni arte o studio o qualsiasi scienza come nella stessa virtù la perfezione è rarissima” (Cicerone, “De finibus”, 2, 25, 81). E’ anche detto proverbiale: “l’ottimo è il nemico del bene”. Con queste due citazioni intendiamo stigmatizzare le critiche di chiara matrice strumentale rivolte al progetto di riforma dell’Università elaborato dal Ministro Gelmini. E’ assodato che il nostro sistema universitario presenta difetti non più accettabili: innumeri i corsi di laurea per lo più inutili (tranne per i docenti ed il personale amministrativo), ingiustificato altresì in un paese dove le distanze non sono enormi il numero delle sedi principali e secondarie, scarsa se non nulla la trasparenza nelle procedure di concorso per le cattedre, carenza di pensionati universitari donde un’assurda speculazione da parte dei proprietari di alloggi nelle sedi universitarie. Da tutto ciò lo sperpero di danaro pubblico e l’esodo dei migliori giovani studiosi verso Atenei esteri, studiosi per la cui formazione – è utile ricordarlo – lo Stato ha pagato (se si prendono in considerazione le spese sostenute per gli insegnanti, il personale amministrativo, le sedi etc. dalla scuola primaria alla laurea) non meno di 150.000 euro “pro capite”. Orbene le proposte dell’On/le Gelmini vanno, nel complesso, nella direzione giusta come hanno scritto esperti del settore quali F. Giavazzi e Salvati che non sono da considerare filo-governativi ma sono intellettualmente onesti. Certamente molti punti dovrebbero essere migliorati, ma l’importante è approvare, apportando le opportune modifiche, in tempi brevi la riforma. Anche il problema del finanziamento è stato, malgrado le ben note difficoltà di bilancio, risolto anche se non in maniera perfetta: 7,2 miliardi di euro per il 2010, 6,9 miliardi per il 2011. Nulla, peraltro, vieta di risparmiare laddove si può e certamente si potrebbe! La Camera ha approvato il progetto, ma temiamo che al Senato ci saranno enormi difficoltà perché la Conferenza dei Capi Gruppo ha già deciso di fissare la data della discussione a dopo il 14 dicembre quando si discuterà la mozione di sfiducia al Governo. Se ci sarà una crisi la riforma sarà quasi sicuramente accantonata. E così ci scorderemo di sperare in tempi ragionevoli in un sistema universitario migliore. Ancora ed amaramente vien da dire che il motto del nostro paese è: “Cupio dissolvi” (“Desidero distruggermi”) !

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POLITICA INTERNAZ.

Afganistan: come finirà? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 24 novembre 2010 •

All’osservatore non disattento appare evidente come l’Afganistan rappresenti, assieme all’Iraq, al Pakistan e, in misura minore, al Libano, uno degli scacchieri dove l’Occidente si trova a dover fronteggiare l’espansionismo integralista islamico. In Iraq la pacificazione non è del tutto avvenuta e la minoranza cristiana è sotto assedio e rischia di scomparire. Difficile è anche la situazione del Libano dove Sciiti, Sunniti e Cristiani (in calo) convivono con enormi difficoltà grazie alla presenza di truppe dell’O.N.U. In Pakistan l’influenza degli integralisti è sempre forte (ne fa, tra gli altri, le spese la minoranza cristiana) ed il Governo non vuole o non è in grado di far venir meno il sostegno e la base logistica che vengono forniti nelle aree c.d. tribali ai Talebani e ad Al Qaeda. In questi tre paesi la partita è dunque dagli esiti ancora molto incerti. E’, per contro, probabile, purtroppo, che la guerra afgana, iniziata nel 2001 dopo gli attentati alle Torri Gemelle in seguito al rifiuto all’O.N.U. del Governo Talebano di consegnare Bin Laden cui seguì la distruzione delle statue di Buddha nella valle del Bamyan, sia perduta. Il paese (superficie: 652.225 Kmq. cioè il doppio di quella dell’Italia; abitanti: 25 milioni c.a. ), molto importante per la sua posizione strategica, è prevalentemente montagnoso e si presta, perciò, alle azioni di guerriglia,guerriglia che può contare, come detto, sul sostegno di tribù delle regioni di frontiera pakistane. Il compito dei guerriglieri viene agevolato anche dall’ arretratezza culturale ed economica della popolazione e dalla diffusa corruzione delle autorità locali. Per vincere la coalizione occidentale dovrebbe esercitare uno sforzo bellico notevole e soprattutto di non breve momento. Attualmente la coalizione internazionale (International Security Assistannce Force-I.S.A.F.) presente in Afganistan dispone di circa 150.000 uomini (essendo i dati riservati si tratta di stime elaborate da “Il Sole-24Ore” su informazioni I.S.A.F. ed “Enduring Freedom”) di cui 90.000 circa statunitensi, 9.500 c.a. britannici, 4.388 c.a. tedeschi, 4.213 c.a. italiani etc. Secondo gli esperti sarebbe necessario un numero superiore di militari della coalizione dato che l’esercito afgano (100.000 uomini c.a.) non da ancora molto affidamento sotto il profilo dell’efficienza e dello spirito combattivo. La crisi economica, non ancora superata, grava, però, sulle finanze pubbliche dei principali paesi dell’I.S.A.F. rendendo difficile il prolungamento ed un aumento in volume dell’attuale sforzo finanziario per il sostegno delle truppe in Afganistan. Il principale membro dell’I.S.A.F. , gli Stati Uniti, ad es., registra un debito pubblico in essere a novembre crt.a. di 13,803 miliardi di dollari pari a circa il 95% del P.I.L. Si prevede che nel 2011 risulterà pari al 100% del P.I.L. ( Nella zona E.U.R. è complessivamente inferiore ma pur sempre pari all’84% del P.I.L.) Su ogni cittadino statunitense grava quindi, in teoria, un debito di ben 44.595 dollari. Per il 2010 si prevede che il disavanzo pubblico nord-americano si aggiri sui 1,7 miliardi di dollari. Oltre ai gravissimi problemi di bilancio un ostacolo alla continuazione dell’intervento militare può essere rappresentato dal rischio che il c.d. fronte interno americano (opinione pubblica e forze politiche ) esercitino forti pressioni sul Presidente Obama affinché ritiri le truppe entro il 2013.

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Militano a favore di un’acquiescenza di Obama a tali eventuali richieste la circostanza che nel 2014 avranno luogo le elezioni presidenziali ed Obama quasi certamente sarà in lizza per un secondo mandato. Sarà quindi propenso, stanti i risultati molto deludenti per lui delle elezioni di mezzo-termine, di recuperare consensi. Gli esiti del Vertice N.A.T.O. di Lisbona appena concluso hanno, d’altronde, offerto le prime avvisaglie di un molto probabile e sollecito disimpegno occidentale dall’Afganistan. E’ stato, infatti, deciso che dal 2011 al 2014 si opererà una graduale riduzione delle truppe anche se l’appoggio occidentale all’Afganistan dopo tale data non verrà meno. “Se le condizioni lo consentiranno” i contingenti residui in loco si trasformeranno da unità combattenti in “ istruttori” dell’esercito afgano. E’ una formulazione ambigua che lascia spazio a ripensamenti. Il premier del Regno Unito, Cameron è stato, però, esplicito a tale proposito: dal 2015 non vi saranno piu’ truppe “combattenti” inglesi sul suolo afgano. Per i Talebani ed i seguaci di Al Qaeda le decisione di Lisbona suonano quasi come un annunzio di vittoria e lo hanno già detto. Ora che conoscono la data dell’exit sarà loro sufficiente resistere solo tre anni e la partita si volgerà a loro favore. Hanno resistito ben nove anni all’occupazione dei Sovietici e li hanno, alla fine, scacciati! L’eventuale perdita dell’Afganistan alla democrazia avrebbe, a nostro parere, conseguenze di una gravità eccezionale sugli equilibri dell’area (in primis sul Pakistan, ma anche sull’Iraq) ed anche sull’Europa. La vittoria degli integralisti convincerebbe poi le masse mussulmane, ivi comprese quelle in Africa a Sud del Sahara, della forza degli integralisti segnatamente di Al Quaeda. E questo non potrà che condizionare i Governi di quei paesi e frenarne l’azione per uno sviluppo democratico. Non ci si deve infine scordare che in Europa vivono circa 20 milioni di mussulmani i quali se si perdesse la guerra in Afganistan potrebbero essere resi piu’ sensibili all’influenza dell’integralismo con tutti i rischi che ciò comporterebbe ( ad es.freno all’integrazione, richieste d’introdurre la sharia e –non da escludere- attentati). I Romani dicevano saggiamente: “Si vis pacem para bellum” (= se vuoi la pace prepara la guerra ) nel senso che per trattare con un avversario onde perseguire un obiettivo di pace occorre che il tuo interlocutore sappia che tu sei pronto anche a muovergli guerra. Se, invece, comprende che tu non hai questa ferma volontà resisterà e, se potrà logorati, alla fine ti vincerà! Ci auguriamo, sinceramente, di essere stati troppo pessimisti… ma il dubbio di essere, ahinoi, nel vero è molto forte!

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POLITICA INTERNAZ.

Afganistan: come finirà? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 24 novembre 2010 •

All’osservatore non disattento appare evidente come l’Afganistan rappresenti, assieme all’Iraq, al Pakistan e, in misura minore, al Libano, uno degli scacchieri dove l’Occidente si trova a dover fronteggiare l’espansionismo integralista islamico. In Iraq la pacificazione non è del tutto avvenuta e la minoranza cristiana è sotto assedio e rischia di scomparire. Difficile è anche la situazione del Libano dove Sciiti, Sunniti e Cristiani (in calo) convivono con enormi difficoltà grazie alla presenza di truppe dell’O.N.U. In Pakistan l’influenza degli integralisti è sempre forte (ne fa, tra gli altri, le spese la minoranza cristiana) ed il Governo non vuole o non è in grado di far venir meno il sostegno e la base logistica che vengono forniti nelle aree c.d. tribali ai Talebani e ad Al Qaeda. In questi tre paesi la partita è dunque dagli esiti ancora molto incerti. E’, per contro, probabile, purtroppo, che la guerra afgana, iniziata nel 2001 dopo gli attentati alle Torri Gemelle in seguito al rifiuto all’O.N.U. del Governo Talebano di consegnare Bin Laden cui seguì la distruzione delle statue di Buddha nella valle del Bamyan, sia perduta. Il paese (superficie: 652.225 Kmq. cioè il doppio di quella dell’Italia; abitanti: 25 milioni c.a. ), molto importante per la sua posizione strategica, è prevalentemente montagnoso e si presta, perciò, alle azioni di guerriglia,guerriglia che può contare, come detto, sul sostegno di tribù delle regioni di frontiera pakistane. Il compito dei guerriglieri viene agevolato anche dall’ arretratezza culturale ed economica della popolazione e dalla diffusa corruzione delle autorità locali. Per vincere la coalizione occidentale dovrebbe esercitare uno sforzo bellico notevole e soprattutto di non breve momento. Attualmente la coalizione internazionale (International Security Assistannce Force-I.S.A.F.) presente in Afganistan dispone di circa 150.000 uomini (essendo i dati riservati si tratta di stime elaborate da “Il Sole-24Ore” su informazioni I.S.A.F. ed “Enduring Freedom”) di cui 90.000 circa statunitensi, 9.500 c.a. britannici, 4.388 c.a. tedeschi, 4.213 c.a. italiani etc. Secondo gli esperti sarebbe necessario un numero superiore di militari della coalizione dato che l’esercito afgano (100.000 uomini c.a.) non da ancora molto affidamento sotto il profilo dell’efficienza e dello spirito combattivo. La crisi economica, non ancora superata, grava, però, sulle finanze pubbliche dei principali paesi dell’I.S.A.F. rendendo difficile il prolungamento ed un aumento in volume dell’attuale sforzo finanziario per il sostegno delle truppe in Afganistan. Il principale membro dell’I.S.A.F. , gli Stati Uniti, ad es., registra un debito pubblico in essere a novembre crt.a. di 13,803 miliardi di dollari pari a circa il 95% del P.I.L. Si prevede che nel 2011 risulterà pari al 100% del P.I.L. ( Nella zona E.U.R. è complessivamente inferiore ma pur sempre pari all’84% del P.I.L.) Su ogni cittadino statunitense grava quindi, in teoria, un debito di ben 44.595 dollari. Per il 2010 si prevede che il disavanzo pubblico nord-americano si aggiri sui 1,7 miliardi di dollari.

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Oltre ai gravissimi problemi di bilancio un ostacolo alla continuazione dell’intervento militare può essere rappresentato dal rischio che il c.d. fronte interno americano (opinione pubblica e forze politiche ) esercitino forti pressioni sul Presidente Obama affinché ritiri le truppe entro il 2013. Militano a favore di un’acquiescenza di Obama a tali eventuali richieste la circostanza che nel 2014 avranno luogo le elezioni presidenziali ed Obama quasi certamente sarà in lizza per un secondo mandato. Sarà quindi propenso, stanti i risultati molto deludenti per lui delle elezioni di mezzo-termine, di recuperare consensi. Gli esiti del Vertice N.A.T.O. di Lisbona appena concluso hanno, d’altronde, offerto le prime avvisaglie di un molto probabile e sollecito disimpegno occidentale dall’Afganistan. E’ stato, infatti, deciso che dal 2011 al 2014 si opererà una graduale riduzione delle truppe anche se l’appoggio occidentale all’Afganistan dopo tale data non verrà meno. “Se le condizioni lo consentiranno” i contingenti residui in loco si trasformeranno da unità combattenti in “ istruttori” dell’esercito afgano. E’ una formulazione ambigua che lascia spazio a ripensamenti. Il premier del Regno Unito, Cameron è stato, però, esplicito a tale proposito: dal 2015 non vi saranno piu’ truppe “combattenti” inglesi sul suolo afgano. Per i Talebani ed i seguaci di Al Qaeda le decisione di Lisbona suonano quasi come un annunzio di vittoria e lo hanno già detto. Ora che conoscono la data dell’exit sarà loro sufficiente resistere solo tre anni e la partita si volgerà a loro favore. Hanno resistito ben nove anni all’occupazione dei Sovietici e li hanno, alla fine, scacciati! L’eventuale perdita dell’Afganistan alla democrazia avrebbe, a nostro parere, conseguenze di una gravità eccezionale sugli equilibri dell’area (in primis sul Pakistan, ma anche sull’Iraq) ed anche sull’Europa. La vittoria degli integralisti convincerebbe poi le masse mussulmane, ivi comprese quelle in Africa a Sud del Sahara, della forza degli integralisti segnatamente di Al Quaeda. E questo non potrà che condizionare i Governi di quei paesi e frenarne l’azione per uno sviluppo democratico. Non ci si deve infine scordare che in Europa vivono circa 20 milioni di mussulmani i quali se si perdesse la guerra in Afganistan potrebbero essere resi piu’ sensibili all’influenza dell’integralismo con tutti i rischi che ciò comporterebbe ( ad es.freno all’integrazione, richieste d’introdurre la sharia e –non da escludere- attentati). I Romani dicevano saggiamente: “Si vis pacem para bellum” (= se vuoi la pace prepara la guerra ) nel senso che per trattare con un avversario onde perseguire un obiettivo di pace occorre che il tuo interlocutore sappia che tu sei pronto anche a muovergli guerra. Se, invece, comprende che tu non hai questa ferma volontà resisterà e, se potrà logorati, alla fine ti vincerà! Ci auguriamo, sinceramente, di essere stati troppo pessimisti… ma il dubbio di essere, ahinoi, nel vero è molto forte!

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ECONOMIA

La finanza ombra od opaca (“shadow banking”) by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 10 novembre 2010 •

Con questi due termini vengono indicate quelle attività finanziarie, sviluppatesi enormemente in tutto il mondo a partire dalla metà degli anni ’80, che possono essere considerate, in un certo senso, “parallele” a quelle poste in essere dagli istituti di credito tradizionali. Gli operatori che operano in questo campo gestiscono le scadenze, il credito ed il reimpiego della liquidità senza aver accesso, diversamente dagli istituti di credito, in caso di bisogno, alle disponibilità delle banche centrali od alle garanzie pubbliche riguardanti il settore del credito. Attori in questa “zona grigia” del mondo della finanza, all’inizio soprattutto in quello anglo-americano ma ora il fenomeno é diffuso a livello mondiale in seguito al processo della globalizzazione, sono le società finanziarie, i soggetti che trattano la carta commerciale garantita, i c.d. “veicoli” cioè le società finanziarie costituite espressamente per effettuare investimenti in titoli c.d. ”strutturati”, i fondi comuni d’investimento di tipo speculativo – i c.d. “hedge funds”[1] – ed anche i fondi comuni d’investimento che trattano non solo azioni ed obbligazioni ma anche quote di “hedge funds” [2], quelli che emettono obbligazioni correlate ad un debito garantito da un portafoglio di titoli a rischio, che concludono contratti di riacquisto (i c.d. repo) ed altri meccanismi sofisticatissimi d’ingegneria finanziaria. Tutti questi operatori sono collegati tra loro attraverso una lunga catena verticale che agisce come intermediaria del credito utilizzando, come si è accennato, un’ampia gamma di strumenti per la raccolta fondi spesso cartolarizzati. Nell’ultimo decennio il sistema dello “shadow banking” è così riuscito a creare fonti di credito poco costose convertendo, in sostanza, attività a lungo termine rischiose ed opache in quasi-moneta ed in passività a breve termine quasi esenti da rischi per gli operatori che non sempre, però, valutano adeguatamente le garanzie (c.d. collaterals) offerte. Con questi strumenti la “finanza parallela” ha fatto concorrenza al sistema bancario tradizionale nel settore non solo del credito alle famiglie, ma anche in quello più ampio del credito destinato alle transazioni commerciali od agli investimenti. Prima della crisi, ad es., lo “shadow banking” ha contribuito in maniera significativa alla genesi della débacle del mercato immobiliare statunitense [3]. L’importanza del fenomeno, nota da tempo agli addetti ai lavori, è stata segnalata all’opinione pubblica italiana dal Ministro Tremonti in occasione del Vertice dei Ministri delle Finanze dei G/20[4] tenutosi il 22- 23 ottobre u.s. a Gyeongju in Corea del Sud. Si tratta, come ha ricordato il Ministro, citando le statistiche della Banca dei Regolamenti Internazionali, di ben 25 mila miliardi di dollari, importo che si avvicina ai 30 mila miliardi di dollari riguardanti le relazioni transfrontaliere del sistema bancario. In considerazione della rilevanza del fenomeno e della conseguente necessità di una disciplina stringente a livello internazionale i ministri delle Finanze dei G/20 hanno deciso, in occasione di detto Vertice, tra l’altro, allo scopo di creare un sistema finanziario globale più solido, d’inserire, “con carattere prioritario”, nell’agenda dei lavori

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del Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei G/20 che si terrà a Seul l’11 ed il 12 novembre p.v. , una “riflessione sulla shadow banking; market integrity”[5]. Del pari il “Financial Stability Board” [6], presieduto dal nostro Governatore, Mario Draghi, ha deciso di chiedere ai partecipanti dell’imminente Vertice G/20 di Seul di essere autorizzato ad inserire tra i propri compiti per l’anno 2011 quello di allargare il proprio ambito di controllo al sistema dello “shadow banking”. All’origine di queste iniziative c’è – in estrema sintesi – il fondato timore che attraverso i nuovi strumenti finanziari utilizzati nel sistema parallelo, che ingigantiscono l’effetto leva e presentano un elevato grado di rischio (di cui, talora, come sopra accennato, gli stessi soggetti che li creano ed utilizzano non si rendono a pieno conto. Figuriamoci i poveri fruitori finali!) il rischio del credito venga trasferito ad operatori non soggetti ai controlli degli organismi pubblici competenti [7]. Inoltre si paventa che la scarsa regolamentazione del settore possa indurre le banche, che vedono da qualche tempo ridursi i propri margini, a spostare le loro attività verso tale area attraverso i già richiamati “veicoli” creati ad hoc od altri “canali” (che non figurano nei loro bilanci) senza curarsi troppo della qualità delle garanzie sottostanti. E questo potrebbe influire molto negativamente sull’analisi del rischio finanziario aggregato ed inficiare la stabilità dell’intero sistema finanziario internazionale donde il rischio di una nuova crisi sistemica!

[1]- Proprio in questi giorni è stato raggiunto un accordo tra il Consiglio dei Ministri dell’U.E. ed il Parlamento Europeo su una nuova regolamentazione di tali fondi. [2]- v. sulle varie fattispecie le osservazioni formulate da P. Tucker,vice-Governatore responsabile della stabilità finanziaria alla Banca d’Inghilterra, al seminario “Bernie Gerald Cantor Partners “ tenutosi a Londra il 21-12010. [3] -v.The Federal Riserve Bank of New York –Staff Report n°458 –luglio 2010 . [4] -Il foro, creato ne 1999 dopo la crisi finanziaria asiatica allo scopo di rafforzare la stabilità del sistema economico mondiale ed evitare il ripetersi di altre crisi (obiettivo non raggiunto !) ,riunisce i Ministri delle Finanze ed i Governatori delle Banche Centrali dei paesi industrializzati e di quelli delle aree economiche emergenti –in tot.19- nonché i rappresentanti dell’Unione Europea. [5] – v.comunicato finale del Vertice. [6] Il gruppo sopranazionale (erede del “Financial Stability Forum “ costituito nel 1999 nel quadro dei G/7) che riunisce i Ministri delle Finanze ,i banchieri centrali ,i rappresentanti degli organismi finanziari multilaterali e quelli degli istituti bancari dei G/20 e che ha come mandato quello di promuovere la stabilità finanziaria ,migliorare il funzionamento dei mercati finanziari e ridurre ,attraverso lo scambio d’informazioni e la cooperazione internazionale, il c.d. rischio sistemico. [7] Come è stato segnalato nel Rapporto annuale 80 della Banca dei Reg. Intern. e.,tra gli altri, negli interventi del Direttore Generale della Banca d’Italia .F. Saccomanni, in occasione del seminario del “Peterson Institute for International Economics” tenutosi a Washington l’11-12-2008 ed alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione il 19-1-2009 ( “Nuove regole e mercati finanziari” ) e di Daniel K Tarullo,membro del Consiglio dei Governatori del Federal Riserve System ,al “Brookings Panel on Economic Activity “Washington -17 -9-2010.

ECONOMIA Le origini della crisi finanziaria by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 22 ottobre 2010 •

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E’ ormai assodato che la terribile crisi finanziaria, prima, economica poi, che ancora incide sulla carne di centinaia di milioni di persone, è sorta a Wall Street in seguito alle insipienti politiche di Bush junior ed alle carenze dei vari organi di controllo del sistema creditizio e della Borsa americani e si è poi diffusa nel mondo con il contributo dei “cugini“ della City e degli organismi di controllo del Regno Unito. Inoltre è utile ricordare un grave precedente in cui la responsabilità è attribuibile, senza ombra di dubbio, ad uomini di primo piano della finanza americana e ad illustri economisti statunitensi. Nel 1994 J.Meriwether, già alto dirigente della Salomon Brothers, fondò il “Long Term Capital Management” (L.T.C.M), un fondo speculativo nel cui Consiglio sedettero, oltre che dirigenti provenienti anch’essi dalla Salomon Brothers, accademici di primo piano quali : E.Rosenfeld (Harvard Business School ),W.Krasken (Harvard Business School),Robert C.Merton (Università di Harvard),Myron Scholes (Università di Stanford ),W.David Mullins junior (docente all’Università di Harvard , già membro del Consiglio della Federal Reserve e sottosegretario al Tesoro con competenza per la finanza nazionale durante la presidenza di Bush junior). Nel 1997 i professori Merton e Scholes vennero insigniti del premio Nobel per l’economia per aver ideato il metodo per determinare il valore dei derivati ,strumento evidentemente di non comune efficacia come ha dimostrato la recente gravissima crisi. Orbene l’attività del fondo L.T.C.M, che compiva, per lo più operazioni di arbitraggio, si basava sui modelli matematici creati dai precitati prof. Merton e Scholes. Il L.T.C.M. gestì un capitale di 4 miliardi di dollari, ma, attraverso l’utilizzo di leve finanziarie, arrivò ad avere un’esposizione di ben 1.200 miliardi di dollari. Dopo gli iniziali successi il grande utilizzo della leva finanziaria e la crisi della Russia provocarono nel 1998 (cioè appena 4 anni dopo la costituzione) il collasso del fondo. Per evitare il peggio dovette, more solito, intervenire la F.E.D. Altri fondi utilizzarono in quel periodo la stessa metodologia con gli stessi esiti negativi anche se di minore ampiezza. “Last but not least”, come ha segnalato S.Righi in un articolo sul “Corriere dell’Economia“ dell’11 ottobre u.s, illustri docenti come Geert Rouwenhorst e Robert Schiller (entrambi dell’Università di Yale ed in odore di premio Nobel), Jeremy Siegel (Wharton School), Andrew Lo (Massachusset Institute of Technology) ed altri, forti delle loro conoscenze teoriche e, verosimilmente, della loro rete di relazioni, hanno creato (o fornito i modelli matematici) i c.d.”E.T.F.” (Exchange – traded Fund), fondi che replicano in maniera non attiva ovvero più o meno fedelmente un indice sottostante (il c.d. bench mark). Si va dall’indice Standard and Poor’s a quello della Borsa di Milano. Quando uno dei componenti il Bench mark viene sostituito anche la corrispondente attività finanziaria all’interno del fondo viene rimpiazzata. Se l’indice guadagna anche il fondo guadagna. Se perde anche il fondo perde. Lusinghieri – si fa per dire – sono stati i risultati ottenuti da detti fondi: l’E.T.F., basato sul sistema elaborato dal prof. Siege, che ha come riferimento l’indice Standard and Poor’s, ha, nell’ultimo triennio, accusato perdite di oltre l’8% ; un po’ meglio sono andati – per così dire – nello stesso arco di tempo il fondo S.P.D.R. che ha perso il 6,7 % ed il “i-Shares Russell“ le cui perdite sono state solo del 6,3 %.

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POLITICA NAZ. Quae nos dementia cepit? by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 28 settembre 2010 •

Ricordando questo verso di Virgilio (Egloche II,v.69 ) – che, per l’esattezza, recita “Quae te dementia cepit?” (quale follia ti ha preso? ) – viene spontaneo il chiedersi: “Quale vento di follia ci ha preso?”. Non vi è, infatti, altra spiegazione se non la demenza allo stato di confusione politica e sociale in cui sembra versare il nostro paese. Stiamo alzando appena il capo da una crisi economica gravissima e, se vogliamo mantenere un ritmo di sviluppo accettabile, dobbiamo cercare di battere una concorrenza internazionale sempre più agguerrita. Abbiamo intere regioni dove, malgrado i lodevoli e fruttuosi sforzi del Ministro degli Interni, delle forze dell’ordine e della Magistratura, la malavita non è stata ancora debellata ed impedisce un sano sviluppo economico in circa la metà del territorio nazionale. La corruzione, anche spicciola, sembra venir ormai considerata un fenomeno naturale ed inevitabile come la grandine. Anche uno dei pilastri della democrazia, l’ordine giudiziario, non offre sempre di sé un’immagine irreprensibile dato che spesso dà l’impressione di faziosità e, comunque, di comportamenti disinvolti che rischiano di far venir meno nei cittadini la fiducia nella giustizia. E’ indispensabile inoltre, se si vuole che l’Italia continui a collocarsi nei primi posti dei paesi industrializzati, intraprendere un vasto programma di recupero dell’insegnamento e della ricerca che sono stati rovinati dalla “mala gestio” quarantennale, frutto principalmente del mai abbastanza vituperabile ’68. Altro male non estirpato, anche se in questi ultimi anni si sono registrati notevoli successi, è l’enorme evasione fiscale che grava pesantemente sui conti pubblici. Un altro grave problema, cui l’opinione pubblica, forse, non presta sufficiente attenzione, è quello dell’immigrazione dai paesi islamici che rischia di creare focolai d’integralismo con le inevitabili, conseguenti tensioni sociali, le ripercussioni sul mantenimento dell’ordine pubblico e la probabilità della nascita di movimenti politici di tipo xenofobo non facilmente controllabili. Le avvisaglie, d’altronde, si sono avute in altri paesi europei dove hanno riscosso successo elettorale partiti nazionalisti (v.Olanda, Svezia). Non esiste un’opposizione che sia in grado di fornire un contributo critico ma costruttivo all’azione del Governo. Il mastice ideologico che la tiene in vita è, infatti, l’odio per l’on/le Berlusconi che all’origine di tutte le nequizie del Paese. Ci sembra un po’ poco! L’elenco dei gravissimi problemi che il nostro paese deve affrontare potrebbe continuare! In questa temperie ci si aspetterebbe che nella maggioranza parlamentare i suoi membri, pur in uno scambio di opinioni che è sempre fecondo, consci della responsabilità che è stata loro affidata dagli elettori, serrassero le fila per cercare di ben governare. Per contro un pugno di deputati e senatori, per assecondare le impazienze e le suscettibilità del “Capo”, mette a repentaglio la stabilità del Governo innescando una crisi che con molta probabilità sfocerà, prima o poi, nella fine della legislatura. Se questa non è pura follia come la si vuole chiamare? Il giudizio espresso dal Guicciardini cinque secoli fa è dunque sempre valido: “Gli Italiani pensano al loro particulare”. Ora, però, si deve “fare sistema” come avviene, ad es., in Germania altrimenti il nostro paese è destinato ad entrare in una spirale forse inarrestabile di decadenza. Gli intellettuali, i gruppi economici ed i mezzi di comunicazione più moralmente impegnati dovrebbero unire le proprie forze per instillare nell’opinione pubblica la necessità di una riscossa che è soprattutto una presa di coscienza del pericolo ed una rivolta morale e quotidiana contro il malcostume in tutte le sue innumeri sfaccettature. Ma forse questa è solo una pia illusione !

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CULTURA

Colpi di spillo – Il linguaggio degli intercettati by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 27 luglio 2010 •

Il cittadino onesto (si spera che ancora ve ne siano e siano numerosi… malgrado tutto!) legge con sgomento i testi delle intercettazioni dei colloqui telefonici tra alti magistrati e faccendieri pubblicati in questi ultimi giorni dai quotidiani. A prescindere dal fondamento o meno dei sospetti di violazione delle norme penali che gli inquirenti avanzano, la lettura di tali conversazioni rivela frequentazioni da parte di tutori della legge, che siedono o sono stati seduti fino a poco tempo fa sulle poltrone più alte, che non può non venire considerata come inaccettabile tanto più che la “coprolalia” (= impulso anormale all’uso di espressioni oscene; dai vocaboli greci “kopros”=sterco e “lalia”=modo di parlare), spesso in un becero vernacolo, sembra farla da padrona in tali conversari. Da ciò emerge un quadro squallido di coloro (ci auguriamo che siano pochi) cui è affidato l’altissimo compito dell’amministrazione della giustizia dato che, come recita un proverbio greco ripreso da Socrate, “tale il carattere tale il discorso”. Occorre anche ricordare che “corrumpunt bonos mores colloquia mala” (=le conversazioni cattive corrompono i buoni costumi; S.Paolo, Lettera ai Corinzi, I, Cap. 15, v.33). Forse questi episodi non sono altro che il sintomo che tra la Suburra ed il Palazzo non c’è più molta diversità. Il che fa temere per l’avvenire del nostro paese.

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ECONOMIA

L’architettura del mondo Governance economica e multipolare.

nuovo. sistema

by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 26 luglio 2010 •

1. Il 15 luglio u.s. l’A.R.E.L. (Agenzia Ricerche e Legislazione) e l’I.A.I. (Istituto Affari Internazionali) hanno presentato a Roma una raccolta di saggi su “L’architettura del mondo nuovo – Governance economica e sistema multipolare”, edita da “Il Mulino” (pagg. 271, euro 22), che è stata curata da Paolo Guerrieri (professore ordinario di economia internazionale, vice-presidente dell’I.A.I. e direttore scientifico e direttore del Laboratorio di economia politica dello stesso I.A.I. nonché consulente di molte istituzioni internazionali) e da Domenico Lombardi (presidente dell’Oxford Institute for Economic Polity e Senior Fellow presso la Brookings Institution nonché consigliere scientifico del G-20 Research Group presso l’Università di Toronto). La ricerca ha ricevuto il sostegno della Fondazione del Monte dei Paschi di Siena. La prefazione è stata redatta dall’On.le Enrico Letta. 2. Alle origini della crisi non vi è solo – come indica l’On.le Letta – l’avidità dei banchieri o la miopia degli economisti – anche se vi sono indubbiamente state – ma anche le omissioni di chi aveva la responsabilità a livello politico della regolamentazione dell’economia mondiale e dei mercati finanziari internazionali. A ciò si è aggiunto – diremmo noi – le improvvise decisioni delle autorità statunitensi che hanno favorito la concessione in misura abnorme di mutui edilizi principale causa della crisi. Ora che l’economia mondiale inizia a mostrare qualche segnale di ripresa vi è la tentazione di considerare che la Grande Depressione sia definitivamente terminata donde anche il pericolo di un ritorno al «business as usual». Occorre avere, per contro, ben presente che la velocità e l’intensità della crisi hanno amplificato a dismisura le fluttuazioni tipiche del ciclo economico e che il ripetersi di un tale fenomeno non è affatto da escludere e che lo stesso risulterebbe, ove avvenisse, insostenibile stante la globalizzazione, ormai irreversibile, dell’economia e della finanza. Per evitare che ciò accada occorre che la «politica» intervenga mettendo in atto un ampio programma di riforme del sistema economico-internazionale, impresa questa molto difficile ma indispensabile. Il «Rapporto de La Rosière» ed il «White Paper» statunitense, pubblicati i mesi scorsi, hanno fornito analisi articolate di ciò che durante la crisi non ha funzionato e, per conseguenza, hanno costituito degli utili punti di partenza per le proposte normative in seguito avanzate. Dall’analisi all’elaborazione di una strategia globale di ampio respiro il passo rischia, però, di essere lento. E lo dimostra il mancato accordo nell’ambito dell’ECOFIN del dicembre u.s. che ha, per ora, chiuso la porta alla creazione di un’autorità unica dotata dei necessari poteri di decisione e d’intervento senza la quale l’integrazione, sempre più avanzata, dei mercati finanziari potrà comportare forti rischi sistemici. Allo stato cioè non si intravede ancora una soluzione convincente al problema della frammentazione dei poteri di vigilanza e di controllo dei mercati e, per conseguenza, al problema della possibilità che gli operatori finanziari, di cui è nota l’auri horrida fames, continuino, in assenza di vincoli regolamentari virtuosi, nelle loro attività come nella fase precedente la crisi. Malgrado il successo, durante la crisi, degli interventi operati dal Fondo Monetario Internazionale volti a fornire un canale d’emergenza ai paesi con problemi di liquidità sovente di concerto con altre istituzioni internazionali tra cui

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la Commissione Europea e, successivamente, dei vertici dei G-20. I recenti incontri a Washington del F.M.I. e del G-20 dei Ministri delle Finanze insieme all’ultimo Vertice G-8 del 25-26 giugno u.s. in Canada hanno invero, messo in luce le perduranti divergenze su un ampio ventaglio di tematiche: dall’aumento dei diritti di voto delle economie emergenti in seno al F.M.I. al progetto di creare un meccanismo di finanziamento per futuri salvataggi degli istituti di credito, alla proposta britannica per un’imposta globale sulle transazioni finanziarie. D’altra parte occorre tener presente che lo scenario economico-finanziario mondiale si è, come sopra detto, profondamente modificato. Nell’ultimo decennio, infatti, si è andato consolidando un assetto multipolare dell’economia planetaria attraverso la moltiplicazione dei centri di potere e degli attori in essa presenti. Fattori strutturali di medio-lungo periodo, soprattutto legati alle trasformazioni tecnologiche e produttive in atto, hanno fatto sì che alcuni paesi ed aree abbiano assunto un ruolo decisivo: l’Asia del Pacifico con Cina ed India in primis. E questo ha, ovviamente, comportato un mutamento nei rapporti di forza che ha interessato le relazioni tra le aree maggiori – Stati Uniti, Europa e paesi asiatici del Pacifico – rendendo sempre meno rilevante quella che fino ad ora è stata la struttura di regole e strumenti di governo dell’economia e della finanza internazionali (F.M.I., Banca Mondiale, G.A.I.T., W.T.O.). Si è pertanto determinato un vero e proprio vuoto di «governance» a livello globale. I nuovi meccanismi che hanno cercato in questi anni di colmarlo, frutto delle scelte di politica economica soprattutto americane ed asiatiche, si sono rivelate nel complesso fragili ed incapaci a fronteggiare i grandi problemi quali, innanzitutto, gli squilibri macroeconomici e finanziari e nei pagamenti internazionali che trovavano la loro causa nella nuova configurazione dell’economia internazionale. In questa nuova realtà, conseguente alla gravissima crisi degli ultimi due anni, appare una nuova configurazione dell’economia mondiale in un sistema multipolare cui fanno riscontro le risposte inadeguate che sono state fornite alla domanda di governo globale del nuovo assetto. La sfida maggiore da fronteggiare appare perciò essere ora quella del modo di assicurare stabilità all’economia multipolare e garantirle una nuova fase di crescita economica. Il che pone una serie d’interrogativi sulla struttura di “governance” che si affermerà nel nuovo sistema multipolare. Le nuove grandi potenze economiche, India e Cina, utilizzeranno il loro potere in maniera pacifica ovvero cooperando o conflittuale nei confronti soprattutto degli altri leader cioè Stati Uniti ed Europa? Inoltre la nuova “governance” riuscirà ad assicurare stabilità all’economia del pianeta ed a garantirne la crescita? Una soluzione complessiva di tipo cooperativo sembra necessaria ma, nel contempo, molto difficile con il rischio che la concorrenza tra i vecchi ed i nuovi protagonisti dell’economia s’intensifichi e degeneri fino ad assumere forme di aperta conflittualità. Da ciò potrebbe discendere una forte rallentamento se non un vero e proprio ristagno, a medio termine, della crescita globale con conseguenze gravi ed imprevedibili per la stabilità politica internazionale. Nella consapevolezza che in questa prospettiva il problema principale risiedesse attualmente nel modo di assicurare stabilità al governo della nuova realtà economica globale è nata la ricerca degli studiosi dell’A.R.E.L. e dell’Istituto Affari Internazionali, di cui qui parliamo, che ha come finalità principale quella di analizzare limiti e potenzialità dell’attuale sistema di “governance” nel nuovo quadro multipolare delineando scenari di riforma sia delle regole che delle principali istituzioni multilaterali. Nei diversi capitoli in cui si articola la ricerca viene perciò analizzata in primo luogo la fase in corso mettendone in luce alcune evoluzioni positive ma anche tendenze di fondo non del tutto rassicuranti. Tra gli eventi positivi si indica la decisione, già ricordata, adottata nel Vertice G-20 di Pittsburg del settembre 2009 (il terzo della serie dopo quelli di Washington e Londra) di affidare, in pratica, a tale foro la gestione dell’economia mondiale. Tale decisione assume grande rilevanza in quanto sancisce il nuovo ruolo delle economie emergenti riconoscendo loro una partnership pressoché paritaria rispetto ai paesi già sviluppati e riflette la presa d’atto della sfida da fronteggiare ovvero assicurare all’economia globale una capacità di governo altrettanto globale. D’altro canto la ricerca segnala come l’evoluzione in corso dell’architettura della «governance» si riveli, come sopra accennato, tuttora instabile e

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come il sistema esistente di regole appaia, in molti casi, del tutto inadeguato a fronteggiare i nuovi grandi problemi dell’economia globale. Tra questi vengono indicati il rischio del perdurare di ancora forti squilibri nei pagamenti internazionali e quello della possibile inversione di tendenza del processo di liberalizzazione commerciale che potrebbe arrivare ad una ripresa del protezionismo con conseguenti effetti negativi sulla fase di crescita economica mondiale che sembra essere iniziata. Si sta altresì rivelando difficile introdurre nuove regole e misure di controllo non solo a livello nazionale ma ancor più a livello internazionale onde evitare il ripetersi di nuove crisi finanziarie. Da ultimo si appalesano grandi ostacoli nel rispondere alle sfide epocali in tema di energia ed ambiente. Si pensi, ad esempio, alla politica spregiudicata che svolge la Cina in Africa e, in genere, nei paesi in via di sviluppo per approvvigionarsi di materie prime con scarso rispetto dell’ambiente. 3. Tutte queste problematiche vengono trattate con accuratezza di analisi e dovizia di dati nei nove capitoli della ricerca: - Capitolo 1: L’avvento del G-20: verso una nuova Bretton Woods? (a cura di F. Saccomanni); - Capitolo 2: La governance multilaterale e gli squilibri dell’economia globale (di cui è autore P. Guerrieri); - Capitolo 3: Strategie di cooperazione nel sistema monetario internazionale (a cura di P. Surbacchi); - Capitolo 4: La riforma della regolamentazione finanziaria: le cose fatte e da fare (ne è autore E. Hebleiner); - Capitolo 5: La crisi economica e la nuova architettura finanziaria (di A. Elson); - Capitolo 6: Globalizzazione, sistema monetario e riforma del Fondo Monetario Internazionale (per la penna di D. Lombardi); - Capitolo 7: Il Fondo Monetario Internazionale e la sfida delle regole (di E.M. Truman); - Capitolo 8: Le istituzioni multilaterali e le crisi finanziarie (di B. Bossone); - Capitolo 9: I paesi in via di sviluppo e le riforme del sistema monetario internazionale (di B. Momani). 4. E’ di tutta evidenza l’impossibilità di analizzare in questa sede tutti questi scritti la cui lettura ci sentiamo di raccomandare agli studiosi ed a chi (specie i politici) voglia meglio comprendere le sfide epocali di fronte alle quali ci troviamo e dalla cui soluzione dipende il futuro dell’umanità. Ci limiteremo perciò a formulare qualche considerazione della cui inadeguatezza, in relazione all’importanza della materia, siamo perfettamente consapevoli e di cui, fin da ora, chiediamo perciò venia al lettore. L’esito delle future riunioni del G-20 (la prossima si terrà a Seul nel novembre p.v.) fornirà, forse, qualche chiarimento circa l’evoluzione della situazione sul piano globale. Il quadro appare, infatti, ancora molto incerto e non potrebbe essere altrimenti stanti gli interessi, rilevantissimi e spesso contrastanti, in gioco. A livello europeo, ad esempio, mentre, da un lato, è diventata operativa dal 1° luglio u.s. l’European Financial Stability Facility (E.F.S.F.), il fondo, dotato di 440 miliardi di Euro, che potrà essere chiamato ad intervenire nell’eventualità in cui un paese dell’Eurozona dovesse trovare difficoltà a finanziare il proprio debito così come è avvenuto alla Grecia, dall’altro, stenta a vedere la luce un sistema efficace di vigilanza europea. Se ne ipotizza anzi uno fatto di sistemi di vigilanza nazionali «che vanno (come ha scritto D. Masciandaro su “Il Sole-24” Ore del 18 luglio u.s.) a costituire una sovrastruttura europea con poteri deboli e vaghi e spezzettata tra controlli bancari, mobiliari ed assicurativi».

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Anche negli Stati Uniti, che peraltro sono all’origine della crisi, il sistema di vigilanza, recentemente riformato con la legge Dodd-Franck, non sembra esser stato intaccato nella sua frammentazione malgrado la pessima prova data sul campo con evidente anche se dissimulata soddisfazione dell’industria finanziaria. Si è, per contro, previsto un «Financial Crisis Fund» a spese dei contribuenti. Sempre in materia di vigilanza non si intravedono sostanziali progressi neanche a livello europeo. Il Parlamento di Strasburgo cerca di far approvare le proposte avanzate da de Larosière ma la cosa preoccupa il Consiglio Europeo dove potrebbero sorgere ostacoli, derivanti dagli egoismi e dalle suscettibilità delle varie istituzioni nazionali, molto forti. Qualche progresso sembra, invece, registrarsi in materia di definizione dei nuovi e più severi requisiti di capitale e liquidità delle banche (il c.d. Basilea 3). Stando, infatti, alle ultime dichiarazioni del Presidente del Comitato di Basilea la riforma dovrebbe essere pronta per il vertice del G-20 di novembre p.v.. Il Comitato di Basilea ha anche concordato sulla necessità di dotare le banche di un “cuscinetto” di capitale sufficiente a proteggerlo contro perdite potenziali future (riserve patrimoniali anti-cicliche). Salvo errore non sembra però che nei vari fori si discuta una regolamentazione “preventiva” delle transazioni finanziarie nel senso di una “disciplina generale” delle operazioni da considerare lecite e di quelle che presentano, invece, un alto grado di pericolosità per il sistema finanziario internazionale e, per conseguenza, da vietare. In conclusione appare ancora prevalere nei governi e nelle varie istituzioni una visione legata agli interessi nazionali o settoriali di breve periodo. Spesso, cioè, «rixatur de lana caprina» (= si discute di lana caprina cioè di cose di poco conto) con il rischio, non adottando misure tempestive e preveggenti a livello globale, di «navem perforare in qua ipse naviget» (=Fare buchi nella nave su cui si naviga). Come ha ricordato nella sua prefazione l’On.le Letta è, per contro, necessario che i decisori politici non perdano l’occasione d’intervenire nel processo di riforma del sistema. Onde fotografare la situazione ci piace concludere con un verso di una canzone composta nel 1911 da Jack Judge la quale, adottata nell’agosto del 1914 da soldati inglesi in partenza per il fronte francese, divenne molto popolare e che dice: «It’s a long way to Tipperary, it’s a long way to you» ovvero ”è lungo il cammino per Tipperary – località dell’Irlanda ; è lungo il cammino per tornare da te”. Anche nella materia “de qua agitur” siamo in presenza ad un conflitto (d’interessi) e la via per una governance (Tipperary) e la stabilità ed il benessere che ne deriva (= You) sembra ancora molto lunga ed impervia.

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POLITICA NAZ.

Insegnamento e ricerca, malavita organizzata, spesa pubblica, evasione ed elusione fiscale: le più pericolose palle al piede del sistema Italia by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 14 luglio 2010 •

Il nostro paese avrebbe in teoria, grazie all’inventiva ed alla laboriosità dei suoi abitanti, le capacità per assicurarsi anche in futuro un tasso di sviluppo economico e sociale raffrontabile con quello dei nostri principali partners europei e di altre importanti nazioni concorrenti, ma è come un Maratoneta che sia costretto a competere avendo alle caviglie catene con pesanti palle di ferro. E deve affrontare nuovi concorrenti dai tassi di sviluppo elevati, che cioè corrono molto più velocemente e bene(v. Cina ed India )! “Hannibal ad portas” dicevano i Romani per indicare un gravissimo ed imminente pericolo. Noi ci troviamo in una situazione simile. Non possiamo più tergiversare nel porre rimedio ai nostri mali. L’allargamento dei mercati, la riduzione delle distanze e dei tempi fanno sì che le decisioni debbano essere sempre più rapide. Il che vale, ovviamente e vieppiù, anche per quanto attiene all’adozione di misure politico-legislative volte a porre rimedio a situazioni negative, specie se sistemiche, di un paese. Esaminiamo ora quali sono, a giudizio dell’estensore di queste note, i principali mali che affliggono l’Italia. Ve ne sono naturalmente molti altri (l’inefficienza del sistema giudiziario, la litigiosità politica etc.) ma non è, ovviamente, possibile trattarli tutti nello spazio di un breve articolo. Si tratta delle carenze del sistema scolastico e correlate ad esse quelle della ricerca, del flagello della malavita organizzata, dell’eccessiva spesa pubblica, dell’evasione, dell’elusione e delle frodi fiscali. “Aliud ex alio malum” – Dall’uno di questi mali spesso ne deriva l’altro perché in un organismo, fisico, sociale o statuale, tutto è, in un certo senso, interconnesso. Senza un sistema di formazione scolastica efficiente, che sia cioè in grado di fornire, con la necessaria tempestività, all’apparato amministrativo e produttivo di un paese le forze di lavoro indispensabili al suo funzionamento ed aventi un livello di preparazione raffrontabile con quello dei principali paesi concorrenti, risulta, in termini comparativi, ridotta la produttività complessiva del paese stesso e, per conseguenza, le sue capacità competitive. Un sistema scolastico ed universitario inefficiente ha ripercussioni negative anche nel campo della ricerca. Ricercatori poco preparati non saranno in grado di effettuare ricerche utili. Se poi li si paga male e si forniscono loro scarsi mezzi l’insuccesso è quasi garantito. E questo ha conseguenze sfavorevoli anche sull’apparato produttivo. Alle industrie non vengono, infatti, forniti strumenti (uomini preparati, brevetti) idonei a competere nell’agone, sempre più difficile, del mercato ormai globale. L’Italia, priva d’importanti materie prime, è, peraltro, costretta ad essere un paese trasformatore competitivo pena l’emarginazione e la decadenza. A sostegno di quanto sopra detto in materia di formazione scolastico-universitaria ci duole ricordare che negli ultimi decenni (in conseguenza, secondo noi, del famigerato ‘68) si è registrata una decadenza del livello medio degli istituti tecnici e dei licei. I primi, infatti, sovente non offrono, ad es., una formazione correlata alle mutate necessità della produzione, in generale, o delle diverse realtà territoriali. Anche i secondi – che sono deputati a preparare la classe dirigente – non sono stati indenni da questo processo involutivo.

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Da una recente indagine svolta dagli esperti dell’INVALSI (v. “Il Corriere della Sera” del 30-6-2010, pag.27) solo il 20% dei liceali sarebbe stato nella redazione di un tema in grado di ricevere all’esame di maturità un voto di sufficienza e le “eccellenze” sarebbero solo il 4% ! Il Ministro Gelmini ha finalmente impartito direttive per rendere più severi gli studi e gli esami. E qualche frutto sembra apparire ma ai guasti di decenni non si può porre rimedio in breve tempo. Le cose non vanno, come è noto, neppure bene nel comparto universitario. Il Ministro della P.I. ha, ad es., di recente denunziato il fallimento delle c.d. “lauree brevi” (corso di studi, complice la mentalità esterofila dei c.d. consiglieri dei vari titolari del Ministero, malamente ripreso da altri sistemi) dato che quelli che conseguono siffatti titoli incontrano poi molte difficoltà nel reperire un lavoro. Alti lai si possono levare esaminando la situazione del corpo docente universitario. La selezione del medesimo sembra essere sempre più improntata non a criteri meritocratici bensì ad un nepotismo che sfiora talora l’impudenza. A ciò si aggiunga l’esiguità delle retribuzioni del corpo accademico e le storture dello stesso meccanismo retributivo che é basato sull’anzianità. Ad es. un professore ordinario di 1° fascia che si trova, per età, nel periodo più produttivo percepisce solo 2.600 euro al mese. I ricercatori universitari (25.800) percepiscono uno stipendio medio iniziale di 1.200 euro al mese. Solo dopo 8 anni potranno raggiungere i 2.000 euro mensili! Risulta evidente che chi può svolge “a latere” un’attività professionale con conseguente detrimento per la ricerca e la didattica. Quelli poi che nutrono maggiori ambizioni accademiche o di ricerca – in genere si tratta dei migliori ? cercano di trovare una più promettente e meglio remunerata sistemazione in Atenei o centri di ricerca esteri. E questo si traduce in un depauperamento del patrimonio culturale e scientifico nazionale a vantaggio di paesi a noi concorrenti (ad es. in materia di brevetti) nonché in uno spreco delle risorse pubbliche dato che si calcola che le spese per la formazione di un laureato (dalla scuola primaria alla laurea) ammontino a non meno di 100.000 euro. Lo sciupio di fondi pubblici tocca in questo campo vertici inimmaginabili. Sono state, invero, istituite, illudendo i discenti, facoltà del tutto inutili (tranne, naturalmente, per i docenti ed il personale amministrativo) e numerose sedi universitarie, principali e secondarie. E questo quasi sempre con la connivenza o il plauso dei docenti e delle autorità locali forti, queste ultime, dell’interessato appoggio di albergatori, affittacamere, ristoratori e commercianti indigeni. Per fare un solo esempio a questo proposito sarà sufficiente citare il caso delle Marche, regione non estesa, di 1,5 milioni d’abitanti c.a., dove, anche se le distanze tra una località e l’altra sono modeste, ci sono ben cinque Università (Ancona, Macerata, Camerino, Urbino, Fabriano) e varie sedi distaccate (la sola Macerata, ad es., ne annovera sei, cinque quella di Ancona e via dicendo). L’altra palla al piede — la più difficile da eliminare — è rappresentata dalla malavita organizzata, che — unico caso tra i paesi comunitari — controlla, malgrado gli indubbi successi conseguiti negli ultimi anni dalle forze dell’ordine sotto la guida del Ministro Tremonti e dalla Magistratura, buona parte di vaste e popolose Regioni (Campania, Calabria, Sicilia e, parzialmente, la Puglia meridionale). Il che, oltre a gravare pesantemente sulla finanza pubblica a causa delle spese necessarie alla sicurezza (nel 2001, ad es., sono stati spesi a tale scopo ben 15 miliardi di euro), inquina il mondo politico e l’amministrazione pubblica (si pensi solo ai comparti dell’edilizia e degli appalti pubblici), impedisce il libero esercizio della concorrenza, scoraggia drasticamente il sorgere di nuove e sane iniziative imprenditoriali segnatamente ad opera di piccoli e medi operatori che in altre regioni rappresentano la forza del tessuto produttivo. In altri termini un’importantissima parte della popolazione italiana non riesce a fornire un contributo alla creazione della ricchezza nazionale che sia proporzionato alla sua consistenza numerica ed all’ampiezza del territorio in cui abita. Il cancro della malavita organizzata è indubbiamente la causa principale del perdurare del divario economico e sociale esistente tra Meridione e Settentrione.

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L’annoso problema della spesa pubblica è emerso in maniera eclatante in coincidenza con la crisi economicofinanziaria mondiale. Il debito pubblico, che ad aprile di quest’anno era di 1813 miliardi di euro pari al 117,5% del P.I.L. contro i 1.749 miliardi di euro pari al 114,7 % del P.I.L. del 2009, ”deve” essere ridotto. Per conseguire un tale risultato occorre assolutamente tagliare la spesa pubblica, specie quella in larga misura improduttiva delle Amministrazioni Regionali e in particolare di quelle meridionali. Il federalismo fiscale potrebbe essere lo strumento giusto. Comunque non ci sono alternative o si riduce la spesa pubblica o ne pagheremo pesantemente il fio (sanzioni comunitarie, aumento del costo dell’emissioni di titoli di Stato etc.). ”Tertium non datur”! “Last but not least” l’evasione fiscale (=operazioni di vendita senza emissione di fatture o scontrini fiscali con conseguente mancata dichiarazione al Fisco), l’elusione fiscale (=falsificazione della vera natura dell’operazione allo scopo di beneficiare di minori imposte), la frode fiscale (=sofisticati meccanismi quali, ad es., la produzione di fatture false, al fine di creare un’apparente regolarità amministrativa e rendere, in tal modo, più difficile l’accertamento da parte degli organi tributari). Gli effetti perniciosi di questi fenomeni: il contribuente disonesto non paga al Fisco il dovuto; il contribuente onesto si sente gabbato ed è tentato di imitare il disonesto; il gettito fiscale viene ridotto e risultano così diminuite le risorse pubbliche che possono essere destinate ad investimenti produttivi; vi è il rischio di un innalzamento della pressione fiscale con possibili ricadute sulla coesione sociale e sulle capacità competitive dei nostri esportatori; viene ridotto il livello della concorrenza se non ne viene impedito del tutto l’esercizio. Il fenomeno ha un’ampiezza notevolissima. Secondo studi dell’ISTAT e dell’Agenzia delle Entrate l’evasione corrisponderebbe, infatti, al 18% c.a. del P.I.L. Per tentare di risolvere questo arduo problema un primo passo, che si inquadra nella prospettiva del decentramento, è stato fatto dal Governo in carica attribuendo nel 2008 agli Uffici Tributari dei Comuni il diritto di accedere ai dati fiscali ed economici dei contribuenti residenti e, nel 2009, di segnalare all’Agenzia delle Entrate i casi giudicati sospetti. In questi ultimi anni è stata anche intensificata dalla Guardia di Finanza con apprezzabili risultati l’opera di prevenzione e quella di recupero di somme dovute al Fisco. Crediamo, però, che per cercare di ridurre il fenomeno a dimensioni fisiologiche occorra soprattutto creare nel contribuente l’interesse concreto a pretendere il rilascio delle ricevute e degli scontrini fiscali, aumentando il numero delle spese dallo stesso deducibili ai fini della dichiarazione dei redditi, così come già accade in altri paesi dove il fenomeno evasivo ha dimensioni molto più contenute che in Italia. Questi sono i problemi che il Governo dovrebbe iscrivere nella propria agenda e non demordere prima di averli avviati o tentato seriamente di avviarli a soluzione. Il disegno di legge sulle intercettazioni può essere migliorato, ma non può essere uno degli argomenti che più impegnano Governo e forze politiche. Il Paese non comprende tutto questo. Pensa che “Majora premunt”, come quelle che ci siamo sforzati di ricordare. Ci piace concludere con due detti latini che indirizziamo umilmente ai supremi reggitori: -“Senatu deliberante Saguntum perit” (= Mentre il Senato discute -“Salus rei publicae suprema lex esto” (= La salvezza dello Stato sia la legge suprema).

Sagunto

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POLITICA NAZ.

Intervista all’onorevole Souad Sbai by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 29 giugno 2010 •

Souad Sbai, che ha gentilmente voluto rispondere alle nostre domande, è nata a Stettat, in Marocco, il 5 febbraio 1961. E’ cittadina italiana dal 1981. Si è laureata in lettere e filosofia presso l’Università “La Sapienza” di Roma con una tesi in diritto islamico. Nell’anno accademico 2004-2005 ha conseguito un dottorato di ricerca in diritto comparato presso la Seconda Università di Napoli, Facoltà degli Studi Politici e per l’alta Formazione Europea e Mediterranea “Jean Monnet”. Sempre presso la Seconda Università di Napoli ha tenuto corsi per il Master “Immigrazione ed integrazione” nell’anno accademico 2005-2006 nonché seminari presso l’Università Roma Tre e la Seconda Università di Napoli. E’ pubblicista (collabora con “L’Avvenire” ed il mensile in lingua araba “Al Maghrebiya”). Ha fornito un contributo a RAI-Tre per il programma sull’immigrazione. Dal 1997 presiede l’Associazione delle Donne Marocchine in Italia. Dal 2005 è membro della Federazione per l’Islam Moderato e Pluralista istituita presso il Ministero dell’Interno. Nel 2007 è entrata a far parte della Commissione “Salute ed Immigrazione” del Ministero della Salute. Nel 2008 (XVI Legislatura) è stata eletta al Parlamento italiano nella XXI Circoscrizione (Puglie) nella lista del P.D.L.. E’ segretaria della Iª Commissione (Affari Costituzionali, Presidenza del Consiglio, Interni) e componente della Iª Commissione e della Vª Commissione (Bilancio, Tesoro e Programmazione). On. Sbai la Sua attività di docente, giornalista e di parlamentare volta a contrastare l’Islam estremista ed a difendere le donne mussulmane da soprusi di cui sono vittime non solo nei paesi mussulmani ma anche in quelli europei dove sono immigrate suscita una particolare ammirazione. Lei, infatti, mette a repentaglio quotidianamente la propria incolumità come dimostra il tentativo di avvelenamento di cui probabilmente è stata oggetto mesi fa. Ma su questo preoccupante episodio non Le chiederemo lumi perché – se non andiamo errati – è in corso un’indagine della magistratura italiana. Gradiremmo, invece, porLe altre domande. Quando e per quali motivi è venuta in Italia? Sono arrivata in Italia ventinove anni fa per motivi di studio. Perché ha deciso di chiedere la cittadinanza italiana? Perché avevo un progetto di vita in Italia, perché questo Paese, con la sua ricchezza e la sua apertura verso il prossimo, è diventata la mia seconda patria. Quali sono state, successivamente, le ragioni che l’hanno spinta ad entrare in politica e perché nelle fila del PDL? La mia storia personale e il mio percorso “professionale” ha un’anima profondamente sociale. Ho fondato ACMID Donna Onlus, Associazione delle Donne Marocchine in Italia nel 1997. Per più di dieci anni ho lavorato per i diritti delle donne immigrate, per la loro integrazione, contro i soprusi di uomini violenti e arroganti. Uomini che giustificavano la loro presunta supremazia sulla base di un presunto primato imposto in nome di tradizioni, di usanze o addirittura di una fede. La politica è venuta successivamente. Sono entrata nel Pdl in punta di piedi. Una certa sinistra si è sempre solo occupata di proclami politici degli immigrati, sulla loro integrazione e sulle problematiche legate alla questione delle donne musulmane. Ma i veri problemi non li ha mai affrontati, limitandosi piuttosto alla demagogia e alla propagazione di un atteggiamento nichilistico che ha fatto grossi danni al nostro Paese e alle donne. Ha incontrato molte difficoltà in quanto cittadina italiana di origine straniera a farsi eleggere e poi ad operare nell’agone parlamentare?

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Assolutamente no. In Italia determinati personaggi cercano di fare da sponda all’idea che il nostro Paese sia un Paese razzista, xenofobo. Da straniera naturalizzata affermo il contrario. D’altronde mi chiedo quale altro Paese oltre l’Italia abbia eletto in Parlamento un’immigrata di prima generazione. In Europa gli immigrati di fede islamica vengono da molti visti sempre più come un serio pericolo. E lo dimostra il crescente successo elettorale del partito olandese per la libertà il PVV. Si teme cioè che a causa del loro numero (circa una ventina di milioni) possano costituire l’humus ideale per i gruppi integralisti e che, concedendo loro la cittadinanza, essi possano creare partiti d’ispirazione islamica (in via di realizzazione d’altronde in Spagna, chiedere l’introduzione della sharia (cosa, peraltro già fatta, in larga misura, nel Regno Unito) etc. In conclusione si paventa un mutamento profondo del volto della civiltà europea. A chi ha studiato la dottrina dell’Islam sembra poi impossibile, d’altra parte, che i Musulmani possano accettare il principiobase della nostra democrazia ovvero la separazione tra Stato e Chiesa cioè fra “Jus canonicum” e “Jus civilis”. Non è d’altronde casuale che in nessun paese prevalentemente islamico esista un regime “veramente” democratico. Qual è il Suo pensiero in proposito? Credo che la risposta che Lei attende sia già insita nella domanda. Anche in Italia a Milano sarebbero pronte liste civiche di ispirazione islamica e credo che questo non giovi a nessuno, ma contribuisca ad alimentare tensioni. Non vi sono dubbi sul fatto che nella maggioranza dei Paesi islamici vi sia un grave problema di equilibri tra statualità e autorità religiosa, così come ha anche ricordato il Presidente della Camera, Gianfranco Fini. E’ del tutto immotivato il timore di uno scontro di civiltà predetto dal prof. Samuel Huntigton nel suo famoso studio del 1996, scontro che, peraltro, si è avuto, con brevi tregue, da circa 1300 anni (Arabi contro Bizantini, Arabi contro regni europei, Turchi contro Venezia, l’impero asburgico, la Russia zarista)? Le teorie del Prof. Huntington potevano essere condivisibili nel 1996. Le condizioni poi sono mutate. Con l’11 settembre è iniziata una nuova era, tutto è cambiato. Ci sono stati anche gli attentati di Londra e Madrid, poi quello di Casablanca cui è seguita l’ondata di attentati in gran parte del mondo. E poi anche la guerra in Iraq. Il terrorismo ha fatto comprendere che non doveva essere lasciato spazio a pericolosi giochi politici che fanno leva sulle identità culturali.

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SAGGI

Matteo Ricci – Un gesuita alla Corte di Pechino by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 17 giugno 2010 •

I. E’ nostro convincimento che l’Italia abbia una peculiarità che la rende un “unicum” nel panorama delle nazioni: la grande ricchezza culturale e di personalità geniali presente nelle sue regioni. Ove si consideri, da una parte, che il nostro territorio è, in larga misura, montagnoso o collinare con un solo grande fiume (il che, ovviamente, ostacola i collegamenti), che per ragioni storiche, l’unità nazionale è stata raggiunta solo 140 anni fa, e che, d’altra parte, sono scarsissime le materie prime presenti, che le coltivazioni agricole non danno – tranne che in aree, peraltro, non troppo estese – rendimenti notevoli, è miracoloso l’apporto fornito, in tutti i campi, dall’Italia alla civiltà europea e, per conseguenza, al mondo. Sotto questo profilo giova anche osservare come sovente tale eccezionale contributo sia stato dato, e lo sia tuttora, da regioni relativamente poco estese e scarsamente popolate. Basti pensare alla Toscana, culla del Rinascimento, che ha visto nascere sul proprio suolo un numero incredibile, e riteniamo non eguagliato, di geni universali o la grande Repubblica Veneta che ha edificato su poche isolette una delle più belle città del mondo e dominato per secoli nel Mediterraneo orientale fronteggiando la potenza ottomana. Anche una regione poco conosciuta – le Marche – anch’essa di non estesa superficie (9.694 km/q), prevalentemente montagnosa o collinare (rispettivamente 31% e 68,8%) quindi non beneficiata dalla natura sotto il profilo economico, scarsamente popolata (attualmente i residenti sono 1.470.581), ha dato al mondo un numero ragguardevole di grandi personaggi. Si pensi a Federico da Montefeltro che fece di Urbino (sperduta località dell’Appennino) uno dei centri del “Rinascimento”, a Raffaello Sanzio ed al Bramante, sommi artisti, al genio giuridico del XIII° secolo, Bartolo da Sassoferrato, soprannominato “Lucerna juris”, al grande Sisto V che in soli cinque anni di regno rimise ordine nello Stato Pontificio e nelle sue finanze, riorganizzò la Curia e lasciò una traccia imperitura nell’urbanistica di Roma (la realizzazione di rettifili quali, ad esempio, la Via Sistina, la ricollocazione degli obelischi tra i quali quello neroniano in Piazza S. Pietro. Quest’ultima opera fu, sotto il profilo tecnico, un’impresa, per l’epoca, difficilissima), a Papa Leone XII, dal breve e travagliato pontificato, a Pio IX, discusso pontefice per quanto riguarda l’aspetto politico, cui si deve, tuttavia, la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione, la definizione di quello dell’infallibilità del Papa e l’impostazione, in chiave moderna, del problema del “ritorno” dei Cristiani ortodossi nella Chiesa cattolica. Ed ancora i compositori Giovan Battista Pergolesi, Gaspare Spontini, Gioacchino Rossini, Terenzio Mamiani della Rovere, insigne uomo politico e letterato del Risorgimento, (questi ultimi due pesaresi), Maria Montessori, inventrice dell’omonimo e rivoluzionario metodo pedagogico per l’infanzia che è ora adottato in moltissimi paesi. Nell’ambito di questa regione, già ricca di uomini insigni, si distingue per il numero di personaggi famosi la provincia di Macerata (2.774 km/q; 224.000 abit. circa). Ci riferiamo a S. Nicolò da Tolentino, asceta e taumaturgo, ad Annibal Caro (il traduttore in italiano dell’Eneide), all’Ingegnere militare Pierpaolo Floriani che rafforzò Vienna, realizzò varie fortificazioni in Germania, Boemia, Ungheria e, inviato nel 1634 a Malta da Urbano VIII per consigliare il Gran Maestro dell’Ordine sulle Opere di difesa dell’Isola, progettò una linea di fortificazioni a La Valletta nei cui limiti sorse nel sec. XVIII° un quartiere che, in suo onore, prese il nome di “Floriana”; ad Alberico Gentili, professore di diritto civile ad Oxford, quindi Cancelliere di quell’Ateneo, uno dei massimi studiosi di diritto internazionale; a Giacomo Leopardi, al grande tenore Beniamino Gigli, al pittore, protagonista della “Scuola Romana”, Scipione, ad Enrico Mattei, fondatore dell’E.N.I. Ed è a Macerata che nacque il 6 ottobre del 1552 Matteo

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Ricci, straordinaria figura di missionario, di linguista e scienziato, non troppo nota al grande pubblico, di cui ci accingiamo a parlare. II. Matteo Ricci, vide la luce il 6 ottobre 1552,come detto, a Macerata, città che allora contava una diecina di migliaia di abitanti ed era un centro importante dello Stato Pontificio dato che vi risiedeva anche l’amministratore apostolico dell’intera Marca. Il padre, Giovanni Battista, di professione faceva lo speziale cioè il farmacista. Apparteneva, però, ad un’antica famiglia ma di un ramo un po’ decaduto. Era, tuttavia, uno dei maggiorenti della città dato che era stato membro delle magistrature civiche. Nel 1596 avrebbe anche fatto parte del Consiglio di Credenza, quel che oggi chiameremmo il Consiglio Comunale. Alcuni suoi parenti poi avevano svolto o, all’epoca, ancora svolgevano, funzioni pubbliche. Altri risiedevano a Roma dove occupavano cariche nell’ambito della corte pontificia. La madre, Giovanna Angiolelli, apparteneva anch’essa ad una famiglia di notabili maceratesi. Matteo era il primogenito di una numerosa prole: ben undici figli. Iniziò gli studi in casa avendo come precettore il sacerdote senese Nicolò Bencivegni. Quando questi entrò nella Compagnia del Gesù Matteo continuò il proprio “cursus” scolastico nel Collegio dei Gesuiti che, per volere dello stesso S. Ignazio, era stato aperto a Macerata nel 1561 e dove insegnavano ottimi docenti. L’Istituto era perciò frequentato dai rampolli delle principali famiglie maceratesi. Uno dei più proficui frutti della Controriforma fu, infatti, la costituzione della Compagnia del Gesù la quale si distinse subito per la cultura, l’insegnamento e lo zelo missionario. Matteo Ricci, studiando in tale istituto le c.d. Umanità e Retorica, corrispondenti alle nostre lettere classiche, primeggiò tra gli allievi per le sue capacità intellettuali cui unì una precoce vocazione religiosa. I progetti del padre Giovanni Battista per il figlio erano, però, diversi da quelli del sacerdozio. Voleva probabilmente avviarlo alla carriera amministrativa nello Stato Pontificio o a quella legale dove già operavano altri membri della famiglia. Quando Matteo terminò gli studi secondari, infatti, lo inviò a Roma perché seguisse gli studi di giurisprudenza nello locale Università. Fu così che nell’autunno nel 1568 l’allora sedicenne Matteo raggiunse la capitale. Da quel momento non rivide più la città natale. L’Urbe era allora immersa nell’atmosfera della Controriforma, contava 100.000 abitanti. Era diventata uno dei maggiori centri artistici del mondo. La basilica di S. Pietro, ad es., era in corso di edificazione. Da due anni era asceso al soglio pontificio Pio V, Antonio Maria Glisleri, che verrà poi proclamato santo, e che fu inflessibile persecutore delle eresie arrivando, nel 1570, a scomunicare la regina Elisabetta d’Inghilterra. Ebbe, tuttavia, anche il grandissimo merito di promuovere la Santa Alleanza tra la Spagna, la Repubblica Veneta ed altri minori principati cattolici italiani, ivi compreso lo Stato Pontificio, che consentirà la vittoria navale di Lepanto sui Turchi impedendo in tal modo che gli Ottomani controllassero completamente il bacino del Mediterraneo. Nel XV° secolo le due maggiori potenze marittime cattoliche, che si affacciavano sull’Atlantico, Spagna e Portogallo, avevano aperto le rotte verso il Nuovo Mondo e l’Oriente lungo le quali nel secolo successivo si intensificarono i viaggi dei missionari (Francescani, Agostiniani, Gesuiti) nell’intento di convertire gli infedeli. In quest’atmosfera di fervore culturale, artistico e religioso si trovò immerso il giovanissimo maceratese mentre seguiva le lezioni di diritto canonico e civile e, secondo l’uso, alcune ore di teologia nel locale Ateneo.

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Ben presto fu anche associato alla Congregazione dell’Annunziata fondata alcuni anni prima e di cui facevano parte gli studenti del Collegio Romano dei Gesuiti per favorire le opere di pietà: assistere gli infermi, i poveri, i carcerati ed i condannati al patibolo. Fu anche grazie alla frequentazione di tale sodalizio che Matteo maturò in quegli anni la propria vocazione religiosa. Il 15 agosto 1571, a 19 anni, Matteo Ricci fece il grande passo: presentò domanda alla Compagnia del Gesù per essere ammesso al noviziato i cui locali si trovavano allora accanto alla chiesa di S. Andrea al Quirinale. Fu esaminato da Alessandro Valignano, un sacerdote abruzzese che sarà suo superiore negli anni di missione e con cui s’intenderà perfettamente. Il padre, appresa la notizia, partì subito alla volta di Roma per fargli cambiare idea ma, giunto a Tolentino, cadde malato con una febbre violentissima e non poté proseguire. Interpretò il fatto come un segnale divino di non opporsi cioè alla decisione del figlio talché, ristabilitosi, gli scrisse che accettava la sua scelta. I novizi della Compagnia del Gesù erano sottoposti ad una rigorosa disciplina onde mortificarne l’amor proprio, l’orgoglio e la vanità ed arrivare in tal modo alla perfetta obbedienza sì da servire al meglio la Chiesa che in quegli anni doveva affrontare l’eresia luterana e la minaccia turca. Il loro tempo era perciò scandito dalle pratiche di carità, dai lavori più umili, dalle preghiere e dagli esercizi spirituali, dallo studio del catechismo. Il 25 maggio del 1572 Matteo assieme al sacerdote francese Pierre Duchesne ed al giovane marchese Fabrizio Pallavicini pronunziò i voti nell’antica chiesetta di Santa Maria della Strada. Avrebbe compiuto 20 anni di lì a quattro mesi! Il 17 settembre dello stesso anno Matteo fu trasferito nella sede del Collegio Romano per riprendere gli studi. Ai primi di ottobre fu inviato a Firenze per seguire uno corso superiore di “umanità” cioè di lettere classiche tenuto da Martino de’ Fornari. Lo studio del latino e del greco comportava, secondo la tecnica didascalica dei Gesuiti, l’esercizio spinto dall’arte della memoria quale strumento per l’apprendimento e la pratica delle scienze e la cura della vita interiore. Si chiedeva, ad esempio, di apprendere a memoria tutte le lezioni e lunghi brani di autori. Matteo Ricci raggiunse un livello straordinario nell’arte della memoria. Elaborò un proprio metodo che gli consentì, dopo aver letto una sola volta pagine intere di testi latini o greci, di ripeterle senza errori subito dopo. Elaborò anche un trattatello – una “summa” – sul suo metodo. Dal 1574 al 1577 seguì al Collegio Romano anche i corsi di filosofia e quelli di fisica e matematica. Questi ultimi erano tenuti dal celebre astronomo e matematico tedesco Cristoforo Clavio (al secolo: Christoph Klau; 1537-1612). In quegli anni la matematica e l’astronomia, grazie a Galileo ed a Keplero, stavano acquisendo una sempre maggiore considerazione tra i teologi – in primis presso quelli della Compagnia del Gesù – quale strumento per una miglior comprensione delle leggi che governano l’universo. Nello stesso periodo in cui Ricci seguiva le lezioni del Clavio una Commissione, nominata da Papa Gregorio XIII, di cui faceva parte lo stesso Cristoforo Clavio, stava studiando la correzione del Calendario giuliano, che porterà, nel 1582, alla promulgazione di quello gregoriano. Non è da escludere che Matteo Ricci abbia approfondito con il Clavio alcuni problemi di calcolo correlati ai lavori della Commissione. Al Collegio Romano si studiavano anche la geografia e la cartografia che, dopo le scoperte dei territori d’oltremare, avevano registrato notevoli progressi sotto il profilo tecnico.

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E il Ricci seguì anche queste discipline impratichendosi delle tecniche per disegnare le mappe e costruire globi della volta celeste e della terra. Partecipò anche allo studio ed alla costruzione di strumenti per l’osservazione astronomica come l’astrolabio ed il sestante e per la misurazione del tempo cioè orologi solari e meccanici. Tutte queste conoscenze teorico-pratiche si riveleranno preziose per il successo nella sua missione in Estremo Oriente di cui parleremo. Nell’estate del 1576 Matteo Ricci, che aveva stretto amicizia con padre Martino da Silva, procuratore della provincia dell’India, venuto nell’Urbe per la terza Congregazione triennale dei procuratori delle provincie della Compagnia del Gesù, maturò probabilmente la decisione di dedicarsi alla conversione dei non cristiani. Fatto gli è che nella primavera del 1577, forse anche per l’appoggio di padre Martino da Silva, Matteo Ricci fu destinato dal Superiore Generale, padre Everando Mercuriano, alle missioni dell’India portoghese. Qualche giorno dopo Papa Gregorio XIII ricevette padre Mercuriano, il rettore del Collegio Romano, Ludovico Maselli, padre da Silva, fratel Matteo Ricci e fratel Francesco Pasio per salutarli e benedirli prima della loro partenza verso la terra di missione. Matteo non aveva ancora compiuto 25 anni. Il 18 maggio 1577 Matteo Ricci, assieme al condiscepolo bolognese Francesco Pasio e ad altri Gesuiti destinati alle missioni in Oriente, lasciò la Capitale per recarsi a Lisbona da dove partivano le navi dirette in quei territori. Il Portogallo, in forza del Trattato di Tordesillas nel 1494, esercitava, infatti, la sovranità sulle terre brasiliane e l’Asia ad eccezione delle Filippine mentre quelle dell’America Latina, esclusion fatta, come detto, del Brasile, erano di competenza della Corona di Spagna. Prima di partire Matteo non si recò a Macerata per salutare i famigliari. Forse voleva farli trovare di fronte al fatto compiuto non rischiando di essere indotto ad un ripensamento. La sua era una scelta radicale di vita con una vena di aspirazione al martirio, sentimento comune in quel periodo a molti giovani Gesuiti. Matteo non rivedrà più i suoi cari e di essi riceverà scarse notizie. D’altra parte chi partiva per l’Oriente in quegli anni era conscio che ben difficilmente sarebbe tornato e ricevuto frequenti notizie. Si pensi, ad esempio, che solo una nave su quattro giungeva a destinazione senza contare i pericoli di ogni genere che si incontravano in loco. I messaggi, “quando arrivavano”, impiegavano non meno di sei mesi-un anno. Tenuto conto di ciò la corrispondenza dei Gesuiti dall’Oriente veniva, ad un certo momento, spedita, per sicurezza, in duplice copia: una lettera era consegnata ad una nave che faceva rotta verso l’America Latina e da là verso i porti europei; l’altra ad un Vascello che si dirigeva verso l’Europa circumnavigando l’Africa! A fine giugno il gruppo di missionari giunse a Lisbona dove dovette sostare fino alla primavera successiva dato che i bastimenti diretti in India partivano solo in quella stagione al fine di sfruttare i venti favorevoli ed i monsoni sull’Oceano Indiano. Fratel Ricci approfittò del lungo soggiorno portoghese, che trascorse a Coimbra, già allora famosa sede universitaria, in un Collegio della Compagnia, per apprendere il Portoghese, la cui conoscenza era indispensabile per operare nelle colonie lusitane, ed anche per frequentare i corsi di teologia. La sera del 23 marzo 1578 Fratel Matteo s’imbarcò, assieme a padre Edoardo de Sande, a Michele Ruggieri (religioso di origine pugliese di cui parleremo ancora), a Baldassare Siqueira e Domenico Fernandez, su una caracca (vascello armato a tre alberi, alto di bordo), il “San Luigi”.

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Gli altri Gesuiti, una diecina, tra i quali padre da Silva, Francesco Pasio ed il futuro beato e Superiore dell’Ordine Rodolfo Acquaviva, salirono, invece, a bordo delle altre due caracche che facevano parte della flottiglia. Matteo Ricci non rimetterà più piede neppure in Europa. La navigazione procedette con notevoli difficoltà. Lo spazio a bordo era, infatti, limitatissimo ed una violenta tempesta spinse la nave verso le coste brasiliane. Un altro fortunale poi fece quasi affondare il naviglio presso il Capo di Buona Speranza, capo che, non a caso, Bartolomeo Diaz, che per primo lo doppiò nel 1488, chiamò “Cabo Tormentoso”! Il 13 settembre del 1578 cioè dopo quasi sei mesi di navigazione – il che all’epoca rientrava nella normalità – la caracca, infine, approdò a GOA. Nella colonia portoghese Francesco Saverio aveva edificato un maestoso Collegio, il San Paolo, dove venivano istruiti nelle lettere ma anche nelle scienze e nel diritto centinaia di giovani di varie nazionalità: Indiani, Giapponesi, Cinesi. Nell’attigua chiesa si trova anche la tomba del Santo. Ad ottobre Matteo Ricci iniziò il primo anno di studi regolari di teologia. Ricevette, nel contempo, anche l’incarico d’insegnare nella prima classe di “umanità”, soprattutto grammatica e lingua latina. Nella primavera del 1579 fu colpito da una gravissima malattia che per poco non lo portò alla morte. Si trattò, forse, di malaria. Nel 1580 per agevolarne la guarigione i superiori lo trasferirono nell’allora più salubre avamposto portoghese di COCHIN sulla costa indiana a sud di GOA. A Cochin Matteo Ricci rimarrà quasi un anno tenendo corsi di “umanità” nella locale scuola gesuitica. In tale località sarà anche ordinato sacerdote e il 26 luglio del 1580 celebrerà la prima messa. Alla fine del 1580 verrà richiamato a GOA per frequentare il 2° ed il 3° anno di teologia. Nel frattempo padre Alessandro Valignano era stato nominato coordinatore delle missioni in Oriente. Il giovane superiore abruzzese – aveva appena 34 anni – dal notevole carisma, dopo alcuni viaggi in India ed un soggiorno di un anno a Macao, si era convinto che i missionari, per avere successo nella loro opera di proselitismo, avrebbero dovuto apprendere la lingua dei paesi di missione, studiarne i costumi ed adattarvisi a meno che gli stessi non fossero in contrasto con la morale cristiana. Si era anche persuaso che valesse la pena di tentare di evangelizzare la Cina paese “nobile e grande” governato “con pace e prudentia”. Questo convincimento contrastava, peraltro, con quello della quasi totalità dei confratelli che riteneva impossibile convertire i Cinesi anche in considerazione della politica di chiusura verso gli stranieri praticata da quel governo. Per dar concretezza al suo progetto Valignano, prima di partire alla volta del Giappone, impartì a padre Ruggieri che, dopo un viaggio in India, era stato inviato, nel luglio del 1579, a MACAO, la raccomandazione d’apprendere il cinese. La prospera colonia lusitana di MACAO (dal portoghese “AMACAO”, parola derivante dai termini cinesi “AMA”, una divinità locale, a “GAU”, porto), posta sull’estuario del fiume delle Perle e confinante con la ricca regione del GUANDONG e vicina a CANTON, rappresentava per i Portoghesi il porto principale dove praticare il lucroso commercio con la Cina.

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Questo consisteva, in larga misura, nelle importazioni della pregiata seta cinese che veniva pagata in argento metallo che veniva acquistato dai mercanti portoghesi a buon prezzo in Giappone. Il prezzo dell’argento era in Cina più elevato che in Giappone. I Cinesi utilizzavano questo metallo per coniare monete e fabbricare oggetti ornamentali. I Portoghesi vendevano la seta in Europa ed anche in Giappone con lauti guadagni. La città di MACAO aveva uno “status” ambiguo. Era, infatti, formalmente, un territorio dell’Impero Cinese ma, 25 anni prima dell’arrivo di Matteo Ricci, era stato permesso ai Portoghesi di risiedervi per ringraziarli per il decisivo aiuto da loro fornito al Celeste Impero nella vittoriosa campagna condotta dalle forze imperiali contro i pirati cinogiapponesi che in quel periodo infestavano le coste del GUANDONG. Le autorità cinesi e la popolazione di MACAO nutrivano, però, una forte ostilità nei confronti dei Portoghesi sia per la durezza di alcuni loro comportamenti sia perché avevano il timore che avessero mire espansionistiche. Il comune interesse commerciale faceva tuttavia sì che l’ambigua situazione continuasse. Secondo le istruzioni del Valignano padre Ruggieri si era subito dato allo studio del cinese ma i progressi erano stati molto modesti anche per la mancanza d’insegnanti indigeni all’altezza. A ciò si aggiungeva l’ostilità dei confratelli in loco che mal tolleravano che egli fosse stato dispensato dal Superiore da svolgere altri incarichi onde dedicarsi allo studio di quella lingua anche perché erano convinti dell’inutilità dello sforzo. I Cinesi non avrebbero, infatti, secondo tali confratelli, mai consentito ai missionari di penetrare nel Celeste Impero. Padre Ruggieri, persuaso, invece, della possibilità, prima o poi, di entrare in Cina, ritenne utile chiedere – e lo fece ripetutamente – a Valignano d’inviare a MACAO il suo compagno di viaggio, Matteo Ricci, di cui, evidentemente, aveva apprezzato l’acuta intelligenza, la grande memoria ed il fervore missionario, affinché lo coadiuvasse. Il Superiore alla fine acconsentì. Nell’aprile del 1582 Matteo, che condivideva le idee del Valignano, come si evince da una sua lettera al nuovo Superiore Generale, padre Rodolfo Acquaviva, ricevuto l’ordine, s’imbarcò con entusiasmo per MACAO dove giunse tre mesi dopo, il 7 agosto del 1582. Durante il viaggio cadde ancora una volta tanto gravemente malato che temé di morire. Giunto, però, a destinazione si ristabilì. Installatosi nella residenza di San Martino, Matteo Ricci si dedicò, in conformità con le istruzioni del Valignano che erano state avallate anche dal Superiore Generale Acquaviva, allo studio del mandarino, la lingua colta dell’impero di difficilissimo apprendimento, e delle usanze e costumi cinesi. Grazie alla sua naturale, eccezionale memoria ed alle memo-tecniche apprese – a da lui perfezionate – al Collegio Romano, il Marchigiano in un anno fece notevoli progressi nella conoscenza del mandarino, della ricca letteratura cinese e dei costumi di quella grande nazione. Alla fine del ‘500 la Cina contava, infatti, circa 200 milioni di abitanti. Dal 1368 regnava la dinastia MING (un appellativo che significa “luce) che aveva avuto il merito di eliminare la dominazione mongola. Dal 1573 governava il giovane ZHU-JIJUN detto WAN-LI. L’imperatore, chiamato anche “Il figlio del Cielo”, era un sovrano assoluto che governava l’immenso paese attraverso una struttura burocratica di funzionari – i “GUAN” – reclutati mediante pubblici concorsi molto selettivi.

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La Cina, salvo l’eccezione di MACAO e dei necessari, peraltro non troppo frequenti, contatti commerciali con altri paesi, era del tutto chiusa agli stranieri considerati dei barbari ignoranti e bellicosi. Entrare nel Celeste Impero era perciò difficilissimo. Quasi impossibile il risiedervi. Fino ad allora avevano provato inutilmente ad entrare in Cina almeno venticinque Gesuiti, ventidue Francescani, due Agostiniani ed un Domenicano. Nel 1580, cioè due anni prima dell’arrivo di Matteo a Macao, però, padre Ruggieri era riuscito a recarsi a GUANGZHOU al seguito di mercanti portoghesi che erano stati autorizzati dal governatore della provincia a partecipare ad una delle due importanti fiere che annualmente colà si tenevano. Nel 1582 il missionario esperì un secondo tentativo per entrare nel Celeste Impero che ebbe un successo insperato. Grazie anche ai donativi (un paio di occhiali ed un orologio meccanico, oggetti allora sconosciuti in Cina, ed alcune pezze di velluto) offerti al Governatore del GUAN DONG, CHEN RUI, che risiedeva a ZHAOQING, a nord ovest di CANTON, ottenne, infatti, un lasciapassare che lo autorizzava a risiedere, assieme ad un confratello, in Cina. A fine dicembre dello stesso anno Ruggieri e Pasio raggiunsero ZHAOQING. Poco tempo dopo riuscirono ad ottenere dalle autorità il permesso di farsi raggiungere da un confratello, Matteo Ricci. Di lì a poco, però, il governatore che aveva autorizzato l’ingresso dei Gesuiti venne destituito. La permanenza dei religiosi a ZHAOQING divenne, perciò, ben presto impossibile. Nel luglio del 1583 i missionari furono, perciò, costretti a rientrare a MACAO. La speranza di entrare in Cina sembrò svanire completamente. Padre Pasio fu pertanto destinato dai superiori alla missione in Giappone. Nell’agosto dello stesso anno, però, cioè poco tempo dopo il loro ritorno, i padri ricevettero con loro somma meraviglia una lettera del prefetto della regione in cui si trovava ZHAOQING, WANG PAN, con la quale lì si invitava a ritornare in quella città ed a risiedervi stabilmente. I motivi di questo colpo di scena non furono mai chiariti del tutto. Forse il desiderio del prefetto WANG-PAN di avere dagli stranieri anche lui un orologio meccanico come quello che era stato donato al governatore CHEN-RUI e che era considerato in Cina una meraviglia? O la notizia che i due religiosi erano esperti di matematica e di calcoli astronomici, scienze queste apprezzate dai Cinesi? O, come dirà successivamente padre Ruggieri, un intervento della Divina Provvidenza? Fatto gli è che il 10 settembre del 1583 i due Gesuiti, padre Ruggieri e padre Ricci, scortati da soldati cinesi inviati dal Prefetto e con, al seguito, alcuni servitori ed un convertito cinese quale interprete, arrivarono a ZHAOQING dove furono accolti con molta benevolenza dallo stesso WANG-PAN. Questi, che aveva molto gradito i presenti portatigli, soprattutto l’orologio meccanico ed un prisma veneziano di vetro capace di scomporre la luce, anch’esso una novità per la Cina, e che era stato aggiunto ai donativi, autorizzò i padri a costruire una casa ed anche una chiesetta. Questi edifici rappresenteranno, dopo MACAO, il primo insediamento cattolico nel Celeste Impero. Le costruzioni, tuttavia, non potettero essere completate che nel 1585 per sopraggiunte difficoltà d’ordine finanziario che, per fortuna, i religiosi riusciranno a superare anche se padre Ruggieri fu costretto a recarsi, tra la fine di dicembre ed i primi di gennaio del 1584, a MACAO per ottenere le somme necessarie.

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Per rendersi bene accetti dai Cinesi i due missionari, che avevano dichiarato al Prefetto di essere dei religiosi non aventi altre finalità che quella di adorare il loro dio vivendo in pace secondo le leggi del governo cinese di cui apprezzavano la saggezza e la volontà di pace, decisero di abbigliarsi come i religiosi buddisti cioè con una veste grigia e modesta dalle ampie maniche e di radersi capelli e barba. Per meglio inserirsi nella società locale decisero anche di traslitterale i loro nomi. Dato che i cognomi cinesi constano di una sola sillaba e che la “r” non viene pronunziata “Ricci” divenne “Li” e “Matteo” “Madou”, Ruggieri “Lou Mingjian”. Da allora così furono chiamati nel Celeste Impero. Più tardi a Matteo Ricci fu anche dato il nome di “Xitai” ovvero il “Maestro dell’Occidente”, segno questo del rispetto che si era conquistato nel paese. Il religioso marchigiano ben presto capì quale fosse la mentalità cinese come si evince da passaggi di sue lettere ai superiori: “In questo principio (N.d.r.: della permanenza a ZHAOQING) è necessario andar molto soavemente con questa gente e non muoversi con fervori indiscreti perché è molto facile a perdere questa comodità la quale non so quando si potrebbe aver un’altra volta. Dico questo perché questa gente è inimica de’ forestieri e tiene paura particolarmente de’ Cristiani vedendosene da queste parti circondato de’ Portughesi e Castellani (N.d.r.: forse i Castigliani cioè gli Spagnuoli) tenendola per gente bellicosa”. In un’altra epistola formula anche acute osservazioni sulla popolazione ed il paese quali: “La Cina è differentissima dalle altre terre e genti percioché è gente savia, data alle letture e puoco alla guerra, è di grande ingegno e sta adesso più che mai dubbia delle sue religioni o superstizioni…”; “In tanta ampiezza di questo regno…… avviene che in niunaltro luogo del mondo si trovi tanta varietà di cose quante nascono sotto quel cielo; “La terra è tutta divisa per fiumi navigabili maggiori che il Po talché di qui a Pechino, che è la Corte del re, che sono tre mesi di cammino, tutto si può andare per barca e con barche molto grandi nella bellezza delle quali ben gli possiamo cedere noi di Europa e tutte le altre nazioni”. All’accoglienza amichevole del prefetto WANG-PEN ben presto non corrispose, però, quella della popolazione. Ricci, infatti, venne accusato di aver voluto vendere come schiavo a MACAO un ragazzo che, in realtà, si era introdotto nella casa dei padri per rubare e, sorpreso, era stato prima immobilizzato da un servitore ma poi liberato; Ruggieri di aver cercato di usare violenza alla moglie di un giovane convertito; entrambi, poi, dal Consiglio degli Anziani di Canton di essere agenti dei Portoghesi e di volere creare un centro eversivo. Per fortuna, grazie, sia alle oneste testimonianze di alcuni cinesi che al fermo ed abile comportamento dei padri, le autorità giudicarono non fondate le accuse. Malgrado le assoluzioni l’atmosfera non era affatto ospitale: insulti venivano loro rivolti mentre transitavano nelle strade, scritte ingiuriose erano poste sui muri della città, sassi venivano talora lanciati contro la casa e la piccola chiesa. La situazione migliorò tuttavia un poco quando WANG PEN fece affiggere sulla porta dell’alloggio dei Gesuiti un editto che diffidava chiunque dal molestarli. Inoltre i padri erano riusciti ad allacciare buone relazioni con i Mandarini della città. Questi, incuriositi per la costruzione di tipo europeo dell’alloggio gesuitico e per gli oggetti esotici ivi contenuti (mappamondi, sfere celesti, orologi solari fabbricati dal Ricci, alcuni dei quali erano stati loro donati), avevano, infatti, preso l’abitudine, come, d’altronde, facevano con le residenze di altri bonzi, di recarvisi per conversare ed anche per banchettare.

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A ciò si aggiunga che Matteo Ricci cominciava ad esprimersi abbastanza bene in mandarino e questo fece accrescere nei suoi confronti il rispetto da parte dei maggiorenti della città. La situazione però rimaneva sempre precaria e poteva peggiorare da un momento all’altro a seconda degli umori e degli interessi delle autorità locali. Nel luglio del 1589, infatti, il nuovo governatore di ZHAOQING, Liu Jezhai, decise di requisire la residenza dei missionari con l’intenzione di trasformarla, come era uso tra i governatori, in un tempio dove avrebbe collocato la propria statua e di espellerli. Ricci era rimasto nel frattempo per circa otto mesi senza il confratello Ruggieri richiamato a MACAO dal Valignano per prepararsi ad andare in Europa dal re di Spagna, Filippo II, che era diventato anche sovrano del Portogallo, e dal Pontefice onde convincerli ad inviare un’ambasceria all’Imperatore cinese rappresentando a tal fine le notevoli difficoltà che incontravano con quelle autorità i missionari e, nel contempo, le potenzialità offerte tuttavia all’evangelizzazione da quel grande impero. Padre Ruggieri s’imbarcò alla volta dell’Europa nel Novembre del 1588. Sbarcò a Lisbona il 13 settembre del 1589. Giunto a Madrid fu ricevuto più volte nei primi mesi del 1590 dal Sovrano Spagnolo che si dichiarò disposto ad inviare suoi plenipotenziari a Pechino. L’ambasceria non ebbe, però, mai luogo perché Ruggieri non riuscì a dar concretezza al progetto in quanto morirono in un biennio ben quattro papi (Sisto V ed Urbano VII nel 1590; Gregorio XIV ed Innocenzo IX nel 1591) e, la Spagna aveva, nel frattempo, gravi problemi interni ed internazionali da risolvere. Le autorità gesuite alla fine furono costrette a rinunziare al progetto. Padre Ruggieri non tornò più in Cina.Si trasferì a Salerno dove morì un quindicennio dopo. Padre Ricci, su consiglio di Valignano dal quale si era subito recato a MACAO, chiese al Governatore di potersi trasferire in un’altra località ricevendone un diniego. Rifiutò, coraggiosamente, la somma, in pratica irrisoria, che il governatore gli offriva per la casa e la chiesuola. Il rifiuto adirò il governatore anche perché avrebbe potuto essere successivamente accusato di fronte ai temutissimi censori (gli ispettori del governo centrale) di essersi impossessato delle costruzioni per tornaconto personale e l’eventuale imputazione sarebbe stata di particolare gravità. Il 15 agosto 1589 padre Ricci ed il giovane confratello Antonio De Almeida, che lo aveva da qualche tempo raggiunto, s’imbarcarono, salutati dai circa 80 neofiti e da alcuni amici cinesi per CANTON da dove sarebbero dovuti rientrare a MACAO. Giunti a Canton ebbero, però, la grande sorpresa di essere avvicinati da funzionari provinciali inviati dal Governatore con l’ordine di riportarli immediatamente a ZHAOQING. Il Governatore, temendo di non poter dimostrare di aver pagato la casa dei Gesuiti perché Ricci si era anche rifiutato di firmare un documento attestante l’avvenuta offerta di danaro, ci aveva ripensato. Consentì, infatti, come era stato già richiesto dal Ricci, ai missionari di trasferirsi in un’altra località nella sua giurisdizione ottenendo in contropartita l’accettazione da parte di padre Matteo della somma offerta per la residenza. Il difficile negoziato fu così concluso. Matteo vi aveva dimostrato la fermezza del proprio carattere, la propria abilità e l’ormai acquisita conoscenza della mentalità cinese.

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Anche se i due missionari non avevano fatto molti proseliti perché i Cinesi non facevano grande differenza tra le varie confessioni quantunque le stesse, per motivi politici, venissero attentamente controllate dal governo attraverso un alto funzionario , il Ministro dei Riti ,avevano tuttavia posto le basi per l’evangelizzazione. Avevano, infatti, fatto tradurre da un letterato cinese nella lingua mandarina i Dieci Comandamenti, il Padre Nostro, l’Ave Maria ,il Credo ed un Catechismo redatto da padre Ruggieri. Affinché questi testi potessero avere la massima diffusione e facilitassero la predicazione furono stampati. Il Catechismo, redatto in forma di dialogo, fu xilografato, come era uso in Cina ,e riprodotto nel novembre del 1584 e rappresenta la prima opera pubblicata dagli Europei in Cina. Furono fatte più di mille copie. Importantissima poi, ai fini della penetrazione dei Gesuiti in Cina, fu l’opera scientifica di Matteo Ricci (di cui si parlerà più diffusamente più avanti) che prese inizio proprio a Zhaoquing. Questi, vista una carta geografica cinese, si accorse che rappresentava la terra come piatta e quadrata, ignorava l’Europa ed il Nuovo Mondo e poneva al centro di tutto la Cina che aveva per di più dimensioni di gran lunga maggiori di quelle dell’India, della Corea e del Giappone. Ritenne perciò opportuno, anche perché richiesto da Wang Pen, far conoscere ai Cinesi le terre da cui veniva e gli altri continenti. Disegnò a tal fine una carta dell’Europa, dell’Africa, dell’Asia e delle Americhe, dei monti, dei mari e dei fiumi rispettosa delle reali dimensioni e corredata con informazioni in cinese. Il mappamondo fu inciso su blocchi di legno e xilografato nel 1584 e fu la prima carta geografica di tipo occidentale in versione cinese. Wang Pen ricevette la prima copia che apprezzò molto. Apprezzamenti furono espressi anche da altri funzionari e letterati locali. Il che fece naturalmente accrescere la considerazione delle menti locali più acute ,e per questo piu’ ben disposte, verso i missionari venuti dall’Occidente. Padre Ricci e De Almeida scelsero la città di SHAOZHOU tra le due località proposte loro dal Governatore (l’altra era il monastero buddista di NANHUA) come sede. Si trattava di una ricca cittadina, più popolosa di ZHAOQING, posta a settentrione, ai confini del Guandong con lo Jiangxhi alla confluenza di due fiumi navigabili e non lontana dall’importante porto fluviale di NANXIANG da cui transitavano le merci provenienti dall’Europa e dall’India dirette verso l’interno. La zona però era paludosa e malarica talché i due confratelli si ammalarono gravemente. Ristabilitisi fecero edificare su un terreno concesso dallo stesso Governatore una casa (in stile cinese, però, onde evitare invidie o tentazioni di requisizione) ed un’ampia cappella. Da MACAO giunsero più tardi due giovani novizi cinesi. La vita della comunità di religiosi, dedita alla preghiera, alle opere di bene e ad intrecciare relazioni con gli abitanti, iniziò. Ricci e De Almeida furono raggiunti anche da un altro sacerdote ,l’Italiano, Francesco De Petris. Ben presto la residenza fu frequentata da funzionari (i “Guan”) ed intellettuali (gli “Shidafri”) attirati dalla fama di cartografo e di fabbricante di oggetti straordinari acquisita dal Ricci a Zhaoquing. Nel 1590 uno “Shidafu” dal nome di Qu Rukui, più noto con l’appellativo di Qu Taisu( figlio di un mandarino morto in giovane età ma molto conosciuto perché era stato “Ministro dei Riti”, una delle più importanti cariche imperiali) che aveva già incontrato i Gesuiti a Zhaoquing ,venne a trovare Padre Ricci spinto dal desiderio di apprendere da lui i segreti dell’alchimia di cui era un grande appassionato e di cui credeva che il missionario, come si vociferava a Zhaoquing, fosse espertissimo.

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Gli chiese perciò di diventare suo “maestro”. Si trattava di una richiesta che denotava da parte di un Cinese una grande considerazione tanto più che proveniva da una persona di elevato rango sociale. Matteo Ricci accettò precisando però che non gli avrebbe insegnato le tecniche di trasformazione degli elementi bensì una disciplina che lo avrebbe aiutato a coltivare la propria mente: la matematica. In quell’epoca in Cina la matematica era meno coltivata che in Europa anche se così non era stato in passato soprattutto nel XIII° secolo e si usava ancora il pallottoliere per i calcoli. Qu Taisu accettò e ben presto si appassionò alla materia. Lo colpì soprattutto il metodo ipotetico-deduttivo d’origine euclidea utilizzato in Occidente che differiva molto da quello cinese che era più orientato a risolvere casi specifici ragionando di preferenza più per analogia che per passaggi logici successivi. Qu Taisu rimase a Shaozhou per tutto il 1590 ed i primi mesi del 1591 studiando indefessamente ed apprendendo, sotto la guida del Ricci, anche a costruire orologi solari. Con Ricci collaborò alla traduzione in Cinese del primo libro degli “Elementi di Geometria” di Euclide dalla versione latina del Clavio. Le cose sembravano andare anche questa volta in maniera incoraggiante ma nel gennaio del 1591, durante una cerimonia in chiesa, alcuni giovani, approfittando della confusione, scagliarono sassi contro l’edificio e picchiarono i domestici. I colpevoli, rapidamente individuati, erano rampolli di famiglie di notabili. Ricci rinunziò a presentare denunzia. Una notte del luglio dell’anno successivo,però, la residenza fu assalita da una ventina di uomini armati che ferirono De Pretis e Ricci i quali furono costretti a barricarsi nelle loro stanze. Ricci scavalcò allora una finestra per recarsi a chiedere aiuto e si slogò gravemente una caviglia che non guarì più tanto che il Marchigiano rimase da allora sempre molto claudicante. Si appurò che gli aggressioni erano gli stessi del gennaio dell’anno prima ma Padre Ricci non volle, anche questa volta, denunziarli. Nel novembre del 1593 Francesco De Pretis, che stava diventando un valido collaboratore di padre Ricci, fu colpito da un grave attacco di malaria e in pochi giorni spirò. Matteo si ritrovò di nuovo solo e lo sconforto dovette prenderlo, anche perché De Pretis era un Italiano con cui poteva perciò parlare nella lingua materna ,come si può evincere da alcuni passaggi delle sue lettere in cui, dando notizia del decesso al Superiore Generale Acquaviva, scrive di aver perduto “l’amatissimo confratello” “l’unico compagno e refugio in questo deserto” o supplica gli amici di scrivergli perché ricevere posta era per lui “una grande consolatione”. Inoltre il proselitismo risultava molto lento (solo una ventina di convertiti). Per fortuna a metà del 1594 lo raggiunse un altro Italiano ,Lorenzo Cattaneo, originario di Sarzana. Questi portò anche l’autorizzazione di Valignano ai missionari di indossare, nelle occasioni ufficiali, come gli stessi avevano sollecitato, una veste di seta simile a quella degli “shidafu” e di presentarsi con il titolo di “daoren” (predicatori letterati). Questo permesso giungeva particolarmente opportuno perché, come scrive Matteo Ricci, “(la setta) dei bonzi……… è la più bassa per essere di gente povera senza studio di lettere. Per questo ………… molti fanno scorno di noi e i letterati non ci vogliono dare luoghi che conviene……… perché nessun gentiluomo tratta con un bonzo familiarmente”.

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La decisione di assumere l’aspetto di letterati, che comportava l’indossare una veste a larghe maniche di seta rossa bordata di azzurro ed il farsi crescere barba e capelli, risultò particolarmente opportuna perché Ricci riceveva continuamente visite di personalità del Guandong attratte dalla fama, acquisita dal sacerdote marchigiano, di uomo saggio, fabbricante di strumenti scientifici e di matematico. Anche il Ministro dei Riti di Nanchino, Wan Zhongming, cioè un altissimo dignitario, dimessosi per motivi di salute, volle, mentre rientrava nella sua città natale sull’isola di HANAN, incontrarlo e conversare con lui per un giorno intero. L’abito ed il titolo di letterati erano, in una società come quella cinese molto formale e che, come si è detto, poneva al primo posto nella scala gerarchica i letterati, uno strumento importantissimo per l’opera di evangelizzazione. Nel frattempo padre Ricci non cessava di studiare il cinese classico ed i testi canonici che i mandarini dovevano conoscere alla perfezione per superare i difficili esami imperiali. Matteo capì, infatti, che senza la conoscenza di quei testi – i c.d. “Quattro libri” che raccoglievano la dottrina di Confucio, sistema di regole per tenere un buon comportamento morale e sociale e di suggerimenti per il buon governo, e che costituiva la base dell’ordinamento sociale cinese – non avrebbe potuto discutere da pari a pari con gli intellettuali cinesi. Aveva anche deciso di tradurre i testi in latino per far conoscere ai confratelli d’Europa il pensiero del maggior filosofo del Celeste Impero, facendosi aiutare da un dotto cinese. Il lavoro fu portato a termine nel 1594. Il manoscritto purtroppo è andato perso ma servì da testo di riferimento per l’opera “Confucius Sinarum Philosuphus”, la prima illustrazione della vita e delle opere del filosofo cinese apparsa in Occidente ,che venne pubblicata a Parigi nel 1687 da un gruppo di Gesuiti coordinato da Philippe Couplet. La scelta di Shaozhou come sede, però, si rivelò non molto proficua: il clima era molto insalubre e la malaria vi era endemica, una parte della popolazione era ostile ed in quattro anni solo 40 erano stati i battezzati. Anche questa volta in accordo con Valignano Ricci decise allora di cercare un’altra sede e, se fosse stato possibile, di arrivare a Pechino (“Beijing” = la capitale del Nord), sede del potere imperiale, in quanto, come scrisse, “intesi sempre che non si può fare nulla di buono in questo regno fino a tanto che non facciamo stanza in Pechino”. L’occasione sembrò presentarsi quando nel maggio del 1595 passò per Shaozhou un alto funzionario, Shi Xing, diretto a Pechino dove avrebbe dovuto assumere la carica di vice-ministro della Guerra e guidare l’armata cinese contro i Giapponesi che avevano invaso la Corea, Stato vassallo dell’Impero. Questi era accompagnato dal figlio maggiore, di 21 anni ,che era profondamente depresso per non aver superato il primo livello degli esami d’ammissione alla carriera di funzionario. Shi-Xing, venuto a conoscenza della fama di uomo saggio e di scienziato acquisita da Matteo Ricci, gli chiese di curarlo precisando però che non poteva trattenersi a lungo. Ricci colse l’occasione al volo e gli propose di accompagnarlo dato che il viaggio, per via fluviale, sarebbe durato almeno due mesi il che gli avrebbe consentito di prestare le proprie cure al giovane e visitare anche la provincia di Jiangxi che lo interessava. Padre Ricci sperava però di riuscire ad accompagnare il Mandarino fino a Pechino. Shi Qing accettò ed il governatore concesse a Ricci il lasciapassare limitandolo tuttavia alla provincia di Jiangxi. Il 18 maggio 1595 la flottiglia di giunche (quella molto grande e lussuosa del funzionario e quelle del seguito tra le quali una noleggiata da padre Ricci che si era fatto accompagnare da due giovani catechisti cinesi giunti da Macao e da due servitori) partì in direzione di Nanxiong. Durante il percorso nel tratto del fiume tra GANZHOU e WA ‘NAN detto, non a caso, delle “Diciotto insidie”, la barca in cui si trovavano le tre mogli, le concubine ed i figli del Mandarino ,fece naufragio ma per fortuna i passeggeri, rifugiatisi a poppa, furono posti in salvo da padre Ricci sopraggiunto con la propria imbarcazione. L’indomani una tempesta capovolse la navicella del missionario che, non

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sapendo nuotare, si salvò per un vero miracolo aggrappandosi ad una fune. Non fu così per uno dei due catechisti cinesi malgrado sapesse nuotare ché morì annegato. Il 31 maggio 1595 la flottiglia, attraverso il Fiume Azzurro (quarto corso d’acqua del mondo per lunghezza), arrivò a Nanchino (“NANJING” = capitale del Sud), città molto popolosa, ricca di monumenti e palazzi, circondata da tre cerchia di mura (ancora, in parte, conservate) che era stata dal 1356 al 1403 prima di Pechino la capitale dell’impero. Da Nanchino il Mandarino proseguì alla volta di Pechino rifiutandosi,però, di portare al suo seguito il missionario. Padre Ricci cercò allora di rimanere a Nanchino ma, malgrado gli incontri avuti a tal fine con alcuni maggiorenti, i suoi tentativi andarono a vuoto. L’atmosfera era molto ostile tanto che, poco dopo, fu espulso dalla città. Decise allora di ripiegare su NACHANG, come d’altra parte, previdentemente, gli aveva suggerito il Mandarino Shi-Xing e, in precedenza, il discepolo Qu Taisu. Dopo l’insuccesso di Nanchino di nuovo fu preso dallo scoraggiamento. Una notte tuttavia – come scrisse – durante il viaggio sognò Cristo che gli veniva incontro e lo rassicurava del buon esito dei suoi progetti e, subito dopo, si vide mentre camminava in una città imperiale bellissima. Durante una sosta nel viaggio verso NACHANG Ricci aveva incontrato un notabile di quella città che gli aveva promesso che lo avrebbe aiutato a trovare un alloggio nella sua città presso suoi conoscenti. Fu di parola perché, giunto a Nachang alla fine di giugno del 1595, il missionario trovò alcuni servitori del dignitario che lo condussero in portantina nella casa che lo avrebbe ospitato. La città ordinata, ricca ed elegante, era soprattutto abitata da funzionari e letterati ed era famosa per l’efficienza delle sue scuole statali che preparavano agli esami imperiali. Grazie alle lettere di presentazione pervenute, come premesso, da Shi Xing alle più influenti personalità della città (in particolare al medico Wang Jilou che aveva in cura anche il figlio del Governatore della provincia) l’accoglienza fu, questa volta, favorevole al Marchigiano. In occasione di un banchetto che tale medico aveva organizzato in suo onore invitando i notabili, Ricci ebbe la possibilità di fare anche la conoscenza di due altezze imperiali: Kang Yi, principe di Jian’an, e Duo Geng, principe di Le’an, che, come prescriveva una legge adottata nel 1403 al fine di evitare lotte intestine, erano obbligati, in quanto discendenti dei figli non primogeniti degli imperatori, a risiedere molto lontano da Pechino. I due principi mostrarono molta benevolenza verso il Ricci e così il Governatore Lu Wan’gai che gli concesse il permesso di risiedere in città. Avuta l’autorizzazione Ricci acquistò una casa in prossimità della residenza del Governatore cui fece omaggio di due orologi solari in pietra. Un orologio in pietra ed un globo terrestre furono donati anche al principe di Jian’an. Ben presto Ricci cominciò a frequentare gli intellettuali della città e fu – onore straordinario – ammesso, tramite il presidente Zhang Doujin al sodalizio, molto elitario, dei letterati della città: l’Accademia della Grotta del Cervo Bianco. Il soggiorno a Nachang si rivelò particolarmente fecondo anche sotto il profilo scientifico-letterario. Padre Ricci, infatti, per soddisfare la curiosità del mondo occidentale da parte dei suoi amici cinesi elaborò un atlante illustrato con la rappresentazione dei cinque continenti e del cosmo secondo Tolomeo con la terra al centro ed i nove cieli intorno: la “Descrizione di tutto il mondo universale”. Il tutto era, probabilmente, stato corredato dalla traduzione in cinese dei testi.

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Scrisse, inoltre, in cinese (e fu la prima volta che apparve un testo in lingua cinese scritto da un Occidentale) un “Trattato sull’amicizia” sentimento questo considerato molto importante nella società confuciana, in cui veniva condensato, sotto forma di massime (settantasei), il pensiero europeo a tale proposito: da Aristotele ad Orazio, Cicerone, Seneca, S. Agostino, Erasmo da Rotterdam. La scelta delle massime aveva come criterio conduttore la dimostrazione delle affinità tra i principi morali delle culture cinese ed europea. L’operetta fu dedicata al principe di Jian’an e fu da lui molto apprezzata così come da Zhang Doujin e dagli altri letterati. La stessa fu successivamente stampata a Ganzhou ed a Nanchino con prefazione di Qu Taisu quindi, portata a 100 massime, a Pechino nel 1601. Alla fine del 18° secolo verrà inserita nella selezione della Letteratura universale cinese. Altro testo redatto in cinese da Matteo Ricci durante il suo soggiorno a Nanchang fu il “Trattato della memoria locale”, con dedica al Governatore, compendio delle tecniche mnemoniche che avevano formato oggetto dell’operetta scritta anni prima quando frequentava il Collegio Romano. Anche questa operetta riscosse notevole successo tra i letterati e la classe dirigente locale anche perché Matteo aveva dato pubblica dimostrazione di possedere capacità mnemoniche eccezionali. Era, infatti, riuscito a ripetere immediatamente e perfettamente diecine di difficili vocaboli scritti in cinese che erano stati scelti poco minuti prima da alcuni letterati. E’ dello stesso periodo (fine del 1599) “Le venticinque sentenze”, l’adattamento in cinese dell’Encheiridion (“Manuale”) del filosofo di scuola stoica Epitteto (50-138 d.C.) in cui figurano le sue massime più importanti riguardanti la pratica delle virtù che avevano, perciò, molto in comune con la dottrina confuciana. La fama di “sapiente” di Matteo Ricci venne poi rafforzato dalla perizia che dimostrò in materia astronomica. Riuscì, infatti, a predire in modo più preciso degli astronomi cinesi, che – si noti – erano tutt’altro che scientificamente arretrati in tale disciplina, l’eclisse di sole del 22 settembre 1596. L’ottima conoscenza dei calcoli astronomici dimostrata dal missionario marchigiano gli consentirà, come vedremo, di raggiungere qualche anno dopo l’agognato obiettivo: andare a Pechino. I tempi sembravano, nel frattempo, maturi per consolidare la presenza missionaria a NANCHANG. Ricci ottenne perciò dai superiori di MACAO che lo raggiungessero, senza che le autorità cinesi frapponessero ostacoli, altri religiosi: il Portoghese J^oao Soerio, il cinese Huang Ming – sha (alias: Francisco Martines), due giovani cinesi in probazione per essere ammessi nella Compagnia e cinque servitori. Nell’agosto del 1597 Valignano lo nominò superiore della missione e gli ordinò di fare ogni sforzo per arrivare a Pechino dove sperava di ottenere la protezione imperiale alle iniziative dei Gesuiti. A Shaozhou, infatti, la situazione dei missionari era ancora piuttosto precaria essendo cresciuta l’ostilità della popolazione nei loro confronti al punto tale che erano stati costretti a demolire la cappella. Il Superiore fece anche pervenire a Ricci doni da presentare, se del caso, all’Imperatore. Per riuscire nell’impresa, che era di particolare difficoltà, erano necessarie autorevolissime presentazioni e Ricci, in un primo momento, aveva pensato di sollecitare il sostegno delle due altezze reali di NANCHANG ma ben presto gli fu fatto presente che sarebbe stato un grave errore perché quei principi erano, anche se risiedevano lontano, pur sempre dei possibili congiurati contro il sovrano.

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Padre Ricci si ricordò allora del Ministro dei Riti di Nanchino, Wan Zhong Ming, conosciuto a SHAIZHOU mentre stava rientrando nella natia HANAN, e di cui aveva appreso che doveva ritornare a NANCHINO perché gli era stato conferito un secondo mandato e che nel suo viaggio sarebbe sicuramente transitato per SHAOZHOU. Ritenendo che il Mandarino non doveva mancare di entrature a Pechino, chiese ai confratelli di SHAOZHOU, qualora egli fosse passato colà, di fargli sapere che LI MADOU avrebbe voluto solleticare il suo aiuto. Indovinò perché di lì a poco Wang Zhong Ming passò per SHAOZHOU e, informato dell’intenzione di Matteo Ricci, partì espressamente per Nanchang per discutere della cosa con lui. Al termine del colloquio con il missionario giudicò possibile esperire un tentativo per far ottenere al missionario un’udienza dal Figlio del Cielo. Gli propose anzi di venire con lui a NANCHINO da dove sarebbe stato più facile cercare entrature per soddisfare il desiderio dell’amico LI-MADOU. Il 25 giugno 1598 Padre Ricci, accompagnato da Padre Cattaneo e da due convertiti cinesi, Manuel Pereira e Sebastiâo Fernandes, e da alcuni servitori, s’imbarcò con il Ministro dei Riti lasciando Joâo Soerio e Joâo da Rocha nella missione di Nanchang. La sosta a Nanchino, cui giunsero due settimane dopo, per cercare le entrature necessarie per Pechino si rivelò infruttuosa. La guerra cino-giapponese in Corea era ripresa e in città regnava il timore di un’invasione e ciò faceva sì che l’atmosfera di sospetto verso gli stranieri si fosse di nuovo accresciuta. Nessun funzionario osò perciò assumersi la responsabilità di trasmettere alla Corte la richiesta di udienza che era necessario far pervenire preliminarmente. Wang Zhong’ Ming allora decise, coraggiosamente, di prendere a bordo della sua imbarcazione Matteo Ricci e di portarlo con sé a Pechino dove doveva comunque recarsi per partecipare al mese di celebrazioni per il compleanno dell’Imperatore Wan Li che avrebbe compiuto 35 anni a settembre. Aveva anche appreso che sarebbe stato forse nominato Ministro dei Riti di Pechino. Attraverso lo Yangze, prima, quindi il “Grande Canale”, la colossale arteria fluviale artificiale (2500 km. di lunghezza), iniziata tra il VI ed VII secolo d.C., che collegava il meridione con il settentrione della Cina, il 7 settembre 1598 Matteo Ricci ed i suoi compagni giunsero nell’agognata Pechino. Anche questa volta, però, furono delusi. Perdurava, infatti, la guerra con il Giappone e Wang, non ricevendo la nomina a Ministro dei Riti della capitale, non aveva la possibilità di procurar loro le famose “entrature” di cui abbisognavano. Inoltre Wang, terminato il mese di festeggiamenti e tardando sempre la nomina, fu costretto a lasciare la capitale. Qualche tempo dopo, visti inutili i tentativi di ottenere l’appoggio per l’udienza da parte dei vari funzionari imperiali contattati nel frattempo che, per di più, si dimostravano sempre più ostili, fu giuocoforza rientrare. Il viaggio di ritorno iniziò il 5 novembre 1598 ma, ben presto, a causa dell’irrigidirsi della temperatura che faceva ghiacciare le acque dei canali, fu necessario che Cattaneo e gli altri si fermassero in attesa del disgelo a Linging, al confine tra lo SHANDONG e l’HEBEI. Ricci volle, invece, proseguire a cavallo verso la città natale dell’amico Qu Taisu, posta a sud est di Nanchino poco distante dall’odierna Shangai. Il viaggio, in pieno inverno cinese, fu molto faticoso e Matteo cadde malato. Riuscì tuttavia, anche se a stento, a raggiungere l’amico che si era temporaneamente trasferito nella vicina DAYANG. Curato amorevolmente da Qu Taisu dopo un mese di ristabilì e decise di andare a Nanchino per ottenere da quelle autorità il permesso di risiedere a Shauzhou.

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Arrivato, per la terza volta, nella capitale del sud nel febbraio del 1599 ,si accorse che l’atteggiamento ostile verso gli stranieri che erano prima sospettati di essere delle spie era mutato perché la guerra con il Giappone si era conclusa nel settembre precedente con il ritiro dei soldati nipponici dalla Corea. A Nanchino trovò anche il Ministro dei Riti Wang Zhong Ming ,rientrato anch’egli dalla capitale e sempre in attesa della nomina a Ministro dei Riti di Pechino ,che lo ricevette con grande cordialità invitandolo, addirittura, a risiedere nel suo palazzo (ma Ricci declinò l’invito) e lo introdusse nei circoli esclusivi della città. In poco tempo le sue indubbie capacità e saggezza furono molto apprezzate ed il ministro, convintosi che Matteo Ricci avrebbe dato lustro alla città, tentò di persuaderlo a stabilirvisi. Matteo, convintosi dell’opportunità di accettare la proposta che gli sembrò essere anche un segno della Provvidenza, decise di restare a Nanchino e di aprirvi una residenza. Acquistò perciò una casa piuttosto ampia e ad un prezzo molto ridotto perché il proprietario credeva che fosse infestata da spiriti maligni i quali, però, dopo l’aspersione di acqua benedetta nei locali fatta dal Ricci e dagli altri Gesuiti (Cattaneo, Fernandes, Pereira) nel frattempo arrivati, non si manifestarono più. Il che accrebbe la stima degli abitanti verso i letterati venuti dall’Occidente. A Nanchino i missionari iniziarono naturalmente l’opera di evangelizzazione che ebbe un certo successo tra gli strati più umili della popolazione ma non tra quelli elevati. Questi, infatti, praticavano spesso un sincretismo religioso cioè un compendio di confucianesimo, buddismo e daoismo. Come lucidamente scrisse Ricci ai Superiori, in Cina occorre molta più pazienza che altrove e lui ed i suoi confratelli stavano solo dissodando il campo, altri più tardi“verranno con la gratia del Signore che scriveranno le conversioni e fervori de’ Christiani”. Durante la permanenza a Nanchino Ricci, malgrado i continui inviti che riceveva dagli alti funzionari e letterati e le lezioni di matematica che impartiva ad alcuni amanti cinesi della materia, non trascurò di diffondere con gli scritti la cultura e le scienze occidentali considerando questo un importante strumento per l’evangelizzazione. Scrisse perciò in mandarino il “Trattato dei Quattro Elementi” per illustrare le teorie cosmologiche europee (rotondità della terra, sistema tolemaico, etc.). Su sollecitazione del mandarino Wu Zuohai, alto funzionario del Ministero degli Uffici Civili di Nanchino ,ridisegnò, integrandolo con maggiori informazioni, il “Mappamondo” che aveva edito nel 1584. Tempo dopo l’opera verrà trasferita da Guo Qingluo, Vicerè della provincia di Guizhou e grande letterato, in un atlante di varie pagine con, in allegato, la trascrizione dei nomi dei luoghi figuranti nella carta ed ampie spiegazioni geografiche ed astronomiche. Anche questa edizione accrebbe il prestigio di Li Madou. Nella primavera del 1600 Ricci, essendo ben avviata l’attività della residenza di Nanchino, giudicò giunto il momento per tentare, ancora una volta, come gli era stato ordinato, di raggiungere Pechino. Ricevuto il permesso di viaggio dal Censore del Tribunale dei Riti, Zhu Shilin, e lettere credenziali per amici pechinesi da Wang Zhou Ming, s’imbarcò il 18 maggio del 1600 portando con sé i sontuosi doni per l’Imperatore pervenutegli da Canton l’anno prima tra i quali il prezioso orologio meccanico monumentale con suoneria ,un orologio meccanico da tavolo ed un nuovo strumento musicale :un clavicordo ,un antesignano del clavicembalo. . Al suo seguito il giovane Diego Pantoja, i due fratelli cinesi, Zhong Migren e Manuel Pereira, ed alcuni domestici. A Nanchino fu lasciato l’ormai esperto Cattaneo.

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Giunti ai primi di luglio per via fluviale a Linqing, dove due anni prima aveva dovuto svernare Cattaneo, padre Ricci si trovò di fronte ad un enorme, inaspettata difficoltà. Nel periodo MING era andato crescendo il numero ed il potere degli eunuchi (i “Taijian”) al servizio dell’Imperatore. Alla fine di tale dinastia erano circa 100.000. Provenivano da famiglie molto povere che per sfamarli e sperando anche di trarne un qualche vantaggio li facevano evirare offrendoli poi all’amministrazione imperiale. All’inizio gli eunuchi erano stati utilizzati esclusivamente per il servizio delle mogli e delle concubine dell’Imperatore poi, stante la loro abilità ed astuzia specie negli intrighi di palazzo, il loro impiego si era diversificato. A poco a poco erano riusciti a diventare una sorta di amministrazione parallela dell’Imperatore non soggetta neppure al controllo dei temutissimi censori. Nel 1426 era stata anche costituita una scuola di palazzo per educare gli eunuchi. Ai migliori di essi veniva concesso di proseguire gli studi fino a raggiungere un livello di erudizione comparabile a quello dei maggiori letterati. Oltre che a Corte, dove ne vivevano circa 20.000, i “taijian” erano impiegati nelle amministrazioni provinciali, nell’esercito, nella polizia segreta, nelle esattorie e dogane e nelle missioni all’estero. Avevano così occupato, a poco a poco, i posti chiave dell’Impero ed erano in grado di condizionare la vita politicoamministrativa dell’intero paese. Importantissimo sotto questo profilo era l’incarico che erano riusciti ad ottenere della gestione della trasmissione a Corte dei memoriali che pervenivano a migliaia ogni giorno da funzionari e privati cittadini. Questa funzione, infatti, dava loro un enorme potere di controllo e di ricatto anche nei confronti dei più importanti funzionari. Nulla, in pratica, si muoveva, specie con imperatori deboli come era quello che regnava all’epoca di Matteo Ricci, WANLI, se gli eunuchi facevano opposizione. Durante la navigazione lungo il Gran Canale fu necessario ,ai primi di luglio, fare sosta a Linqing dove si trovava un ufficio per la riscossione dei tributi che era diretto da un potentissimo ed avidissimo eunuco, MA TANG. Questi, informato dal capo della flottiglia, anch’egli un eunuco, che trasportava Matteo e compagni, che gli stranieri portavano preziosi doni all’Imperatore volle trarre vantaggio dalla situazione. Ispezionò perciò i regali e trattenne il memoriale che Matteo, in ossequio al protocollo, aveva predisposto per ottenere l’autorizzazione imperiale ad entrare nella Città Proibita, promettendo di inoltrarlo lui stesso a Pechino. Nel contempo obbligò i missionari con i loro bagagli e donativi a restare sotto sorveglianza a Linqing mentre la flottiglia di giunche fu autorizzata a proseguire alla volta di Pechino. Dopo un mese li portò con sé a Tianjin dove doveva consegnare i tributi riscossi. In agosto inviò alla Corte un memoriale con cui notificava che aveva trattenuto i forestieri ed i loro doni senza specificare quali fossero questi presenti e che attendeva istruzioni. L’intento dell’eunuco nell’omettere indicazioni precise sui doni era, probabilmente, quello di non ricevere nessuna risposta dalla Cancelleria imperiale perché l’informazione non era stata giudicata degna d’interesse o di ricevere un divieto ad autorizzare gli stranieri a proseguire il viaggio. Nell’una e nell’altra eventualità l’eunuco avrebbe avuto carta bianca per ricattare i suoi ospiti forzati ed impadronirsi dei loro ricchi doni. Dopo un mese giunse però da Pechino una risposta interlocutoria: fornisse l’eunuco l’elenco dei doni per l’imperatore.

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Ma Tang inviò allora un secondo memoriale con la lista dei doni e, in attesa della risposta, fece rinchiudere gli stranieri in una fortezza militare dove gli fece oggetto di continue angherie. La situazione dei missionari nella gelida fortezza (si era, infatti, in pieno inverno) stava diventando drammatica. Erano trascorsi ben sei mesi dall’invio del secondo memoriale a Pechino e sembrava concretizzarsi per i missionari il pericolo di un’espulsione dalla Cina se non qualche cosa di peggio. Inaspettatamente nel gennaio del 1601 giunse la risposta da Pechino. L’imperatore, volendo vedere “l’orologio che suonava da solo”, aveva non solo siglato l’autorizzazione all’ingresso dei missionari a Pechino ma ordinava che di loro si occupasse il Ministro dei Riti, che fossero senza indugio condotti nella capitale a spese dell’erario secondo le procedure che prevedevano in questi casi l’equiparazione ad ambasciatori di regni stranieri. Il 20 gennaio 1601 Ricci ed i suoi compagni, dopo ben otto mesi da quando avevano lasciato Nanchino, poterono finalmente partire per la capitale accompagnati da un funzionario imperiale ed aiutati da una trentina di facchini. Arrivarono a Pechino il 24 gennaio 1601. L’ingresso nella città fu solenne. I missionari, vestiti da letterati confuciani, furono scortati da guardie imperiali. La fama di Li Madou, il sapiente occidentale che portava doni straordinari all’Imperatore, lo aveva preceduto. L’avvenimento non fu, evidentemente, ritenuto secondario se venne registrato dagli storici ufficiali cinesi dell’epoca. La speranza coltivata da padre Ricci in tanti anni si era realizzata come, peraltro, gli era stato predetto anni prima in sogno dal Salvatore durante il triste viaggio da Nanchino a Nachang. Il 27 gennaio 1601 Li Madou fece pervenire agli uffici imperiali un altro memoriale all’attenzione dell’Imperatore WAN LI nel quale si presentava come un religioso senza né moglie né figli e, per conseguenza, non chiedeva favori ma solo di poter mettere a disposizione dell’Imperatore di un regno così civile le sue conoscenze di astronomia, geografia e matematica e di offrire alcuni oggetti prodotti nel suo paese. Gli orologi ,una volta consegnati a Corte, suscitarono un grande interesse nell’Imperatore tanto che, appena si fermarono perché non si era provveduto a caricarli, mandò alcuni eunuchi ad apprendere dagli occidentali la tecnica di ricaricarli. A tal fine Ricci dettò loro in cinese le relative istruzioni. Del pari WAN LI fu incuriosito dal clavicordo ed ordinò ad altri eunuchi, esperti di musica, di prendere lezioni dai Gesuiti per suonare quello strumento così diverso da quelli cinesi. Su richiesta degli stessi musicisti di Corte Matteo Ricci compose “otto canzoni per clavicembalo occidentale”. Si trattò di composizioni di argomento morale che il Maceratese trovò nei suoi libri e trasformò in canzoni in lingua mandarina. Nella prima composizione (“Il mio augurio a chi sta in alto”) si invitava l’Imperatore ad invocare il Signore del Cielo, a fare del bene ed a giudicare in maniera equanime. Le sonate furono apprezzate nei circoli intellettuali. Attraverso gli eunuchi che frequentavano i missionari l’Imperatore s’informava anche dei costumi e delle città dell’Occidente. Malgrado la buona accoglienza ricevuta a Corte il permesso per l’udienza con l’Imperatore non giungeva. Il responsabile dell’Ufficio del Ricevimento al Ministero dei Riti, offeso per non aver incontrato i Gesuiti ed ispezionato i loro doni prima che fossero consegnati nella Città Proibita come prevedeva il protocollo, aveva fatto portare i missionari nel c.d. Palazzo dei Forestieri” dove gli ambasciatori o i mercanti stranieri che per fare affari si

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spacciavano per ambasciatori erano costretti ad alloggiare in ambienti piuttosto squallidi prima dell’udienza imperiale. Dopo pochi giorni di forzata permanenza in quell’edificio, però, giunse la notizia tanto attesa: i Gesuiti erano stati ammessi all’udienza con l’imperatore. Era la fine di febbraio o l’inizio di marzo del 1601. L’udienza consisteva in una fastosa cerimonia di omaggio al Figlio del Cielo che si svolgeva nel cortile prospiciente al Palazzo della Suprema Armonia all’interno del quale si trovava la sala del Trono. A tale cerimonia, però, durante il regno di Wan Li, l’Imperatore, che non amava le cerimonie, non era presente. L’omaggio al Sovrano attraverso la genuflessione e la pronunzia della rituale formula di augurio – “Diecimila anni” (= lunga vita) – quindi avveniva, in realtà, di fronte ad un trono vuoto. Malgrado l’avvenuta udienza il permesso di soggiorno nella capitale non arrivava ed i missionari erano costretti a rimanere nel freddo “Palazzo dei Forestieri”. La burocrazia cinese opponeva ancora altri ostacoli. Finalmente grazie all’intervento di un membro del Ministero del Personale, a Padre Ricci ed ai suoi compagni fu concesso di uscire dal palazzo e di prendere in affitto una casa e ricevere, a spese dello Stato ,viveri e legna. Anche se, formalmente, nessun permesso di residenza era stato rilasciato ,“de facto” l’autorizzazione era stata accordata dall’Imperatore dato che non aveva preso in considerazione i memoriali contrari giuntigli dai funzionari .I riottosi mandarini si erano perciò dovuti, alla fine, adeguare. Era il mese di maggio del 1601. Il sogno di Ricci ,coltivato per tanti anni con la tenacia propria – direi – dei Marchigiani sorretta da una grande fede religiosa ,si era veramente realizzato. Matteo non si allontanerà più da Pechino! La notizia del tacito permesso di residenza ottenuto fece sì che innumerevoli furono le visite rese da dignitari alla casa dei missionari per felicitarsi. La consacrazione sociale definitiva si ebbe quando il Gran Segretario, Shen Jaomen, andò a trovare Li Madou a casa ricevendo in regalo una preziosa meridiana ed organizzò successivamente un banchetto in suo onore. Il suo esempio – organizzare banchetti in suo onore – fu presto seguito da moltissimi dignitari. Gli inviti erano così numerosi – due-tre al giorno – che i missionari erano talora costretti a rifiutarli per mancanza di tempo. L’inserimento nella società pechinese che contava era avvenuto! Tra i visitatori della casa dei Gesuiti vi fu un giovane funzionario, Li Zhizao, assistente del Ministro dei Lavori Pubblici, appassionato di geografia e matematica, che ben presto divenne assiduo di Li Madou convincendolo a preparare una nuova edizione del mappamondo (la terza) che vedrà la luce e sarà xilografata in sei pannelli di carta cinese tra agosto e settembre del 1602. La nuova edizione venne arricchita con più dettagliate nozioni geografiche, astronomiche, naturalistiche e storiche e con l’inserimento di ben 1.000 toponimi (nella precedente erano solo 30). La mappa ebbe un grande successo e ne furono fatte numerosissime copie anche fuori dalla Cina. Delle cinque copie complete arrivate ai nostri giorni una è conservata alla Biblioteca Vaticana. Una delle sei copie manoscritte si trova, invece, nel Museo di Nanchino. Con l’aiuto di Li Zhizao Ricci tradusse in cinese il “Trattato sulle costellazioni” che aveva scritto in versi nei primi mesi del suo soggiorno a Pechino. Lo stesso Li Zhizao poi volle tradurre, coadiuvato da Matteo Ricci, il compendio di aritmetica del 1583 del Clavio.

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L’attività scientifico-letteraria non distolse,tuttavia, Matteo ed i suoi confratelli da quella di evangelizzazione che era la vera ragione della loro presenza nella capitale. L’opera di proselitismo fu relativamente più agevole tra le classi più povere per le quali il Cattolicesimo era una forma di devozione a personaggi taumaturgici (Madonna e Santi) molto meno tra quelle elevate che non accettavano l’idea di dogmi e verità assolute. Per i cinesi, infatti, “ci sono mille vie e diecimila modi per giungere alla verità”. Altro ostacolo di notevole peso per i suoi risvolti affettivi e pratici era costituito dal fatto che nelle classi elevate, a differenza di quelle povere che non se lo potevano permettere, era diffusa la poligamia ed i Missionari esigevano ,come condizione per ricevere il battesimo ,il ripudio. Come scrisse Ricci si trattava di una “catena difficile da spezzare”. Ciò nondimeno vi furono tra tale classe alcuni adepti di notevole importanza: il cognato dell’imperatore, i figli del medico di Corte, un ex-governatore ed un pittore specializzato in immagini sacre del Budda. La conversione più rilevante anche se più tormentata fu quella del nobile Li Yingshi, famoso esperto di geomanzia e di astrologia e cultore di matematica, che convinse Ricci (e collaborò con lui) a preparare una nuova versione del Mappamondo in otto pannelli che fu xilografata nel gennaio del 1603. Non differiva molto, tranne per le dimensioni più grandi, da quella precedente. Assieme a Li Yingshi si convertirono tutti i suoi familiari e servitori. Nel primo biennio di residenza a Pechino i battezzati erano una settantina. Per facilitare l’evangelizzazione Padre Ricci giudicò necessario dare diffusione al “Catechismo”, scritto vent’anni prima da Ruggeri e da lui rielaborato, che era stato, nel frattempo, perfezionato con l’inserimento di nuove argomentazioni volte a confutare le tesi buddiste e con riferimenti al Confucianesimo onde rendere più adeguata la dottrina cristiana al sostegno dei valori dei letterati cinesi. Tra l’ottobre ed il dicembre del 1603 fu così stampata la “Vera dottrina del Signore del Cielo” (in cinese: “Tianzhu Shiyi”), un trattato in otto capitoli sotto forma di dialogo tra un letterato occidentale ed uno cinese in cui il primo esponeva la dottrina cristiana ed il secondo sollevava dubbi e poneva quesiti. In esso Ricci si sforzava di dimostrare che il credo cristiano era del tutto compatibile con il Confucianesimo originario, prima cioè delle contaminazioni con il daoismo ed il buddismo. L’opera, di cui Matteo Ricci era molto orgoglioso, ebbe una discreta diffusione tra i letterati anche se fu, naturalmente, oggetto di critiche da parte dei buddisti. Nel 1605 Valignano ne fece xilografare un’edizione destinata al Giappone. Un’altra vide la luce nel 1607. Il libro sarà stampato varie volte nell’Ottocento e Novecento e tradotto in mancese, coreano, vietnamita oltre che in francese ed inglese. Nel gennaio del 1603 Padre Ricci ricevette la visita di un letterato, originario di Shangai, Xu Guangqi, incontrato fugacemente tre anni prima, che aveva avuto successivamente la possibilità a Nanchino di scorrere i manoscritti del “Catechismo” e della “Dottrina cristiana” in possesso di João de Rocha. Poco dopo il letterato chiese di diventare cattolico e fu battezzato a Nanchino con il nome di “Paolo” poi detto “il Dottor Paolo”. Si trattava di un uomo di notevole cultura che, rimasto a Pechino, frequentò la missione. Intraprese quindi con grande successo la carriera nell’amministrazione imperiale riuscendo a diventare anni dopo Gran Segretario nonchè Ministro e precettore dell’erede al trono. Paolo sarà il più eminente cattolico cinese e grande sostenitore dei Gesuiti tanto da venir definito anni dopo dallo stesso Ricci la “maggior colonna della cristianità in Cina”.

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Ad aumentare qualitativamente la schiera dei Cattolici, peraltro non numerosa a causa della mentalità cinese, (solo 150 in tre anni a Pechino, 1.000 circa in ventidue anni in tutta la Cina), fu la già ricordata conversione dell’exgeomante Li Yingshi (Li Paolo), il letterato che tanto aveva aiutato Matteo nell’elaborazione della quarta edizione del Mappamondo. Nell’agosto del 1605 furono date alle stampe nella capitale cinese “Le venticinque sentenze”, scritte nel 1599 a Nanchino, che ebbero la prefazione dei suoi amici: Xu Guangqi (il Dottor Paolo) ed il letterato Feng Yingjing. Nello stesso mese i Gesuiti acquistarono una residenza, anche questa volta ad un prezzo eccezionalmente basso perché ritenuta anch’essa infestata dagli spiriti maligni, posta nei pressi della Città Imperiale. L’acquisto della residenza segnò l’inizio della stabilità per i missionari che ricevevano anche un sussidio mensile dall’amministrazione imperiale, manifestazione questa inequivocabile del favore del Figlio del Cielo. Su sollecitazione di Xu Guangqi (il Dottor Paolo), amante della matematica e che si era convinto del livello avanzato cui era giunta quella scienza in Occidente e della sua utilità pratica per l’Impero, Padre Ricci iniziò nell’estate del 1606 la traduzione in cinese dei 15 libri degli “Elementi di Geometria di Euclide” nell’edizione latina del Clavio il cui primo libro aveva già tradotto assieme all’amico Qu Taisu anni prima. L’impresa era di una difficoltà gigantesca. Si trattava talora di coniare molte nuove espressioni in mandarino( che poi saranno acquisite nella terminologia matematica cinese). All’inizio del 1607 i primi sei libri erano stati tradotti. Furono pubblicati nel maggio dello stesso anno. I troppi impegni di Padre Ricci impedirono però che l’opera di traduzione proseguisse. All’inizio del 1608 diede alle stampe un altro breve trattato che aveva scritto nei due anni precedenti: “I dieci paradossi” o “I dieci capitoli di un uomo strano (n.d.r. = straordinario)”, titolo ispiratogli da una frase attribuita a Confucio che dice: “L’uomo straordinario è straordinario per gli altri uomini ma è compatibile con il Cielo”. Fine di questo lavoro era il cercare di dimostrare come verità morali considerate naturali dai Cristiani erano considerate, invece, contrarie alle opinioni correnti dei Cinesi cioè “paradossali” e di convincere i lettori cinesi a liberarsi da alcune loro credenze e ad accettare il credo cristiano. L’operetta ebbe un successo notevole talché ne furono presto predisposte due edizioni, a Nanchino e Nanchang. Alla fine del 1608 Matteo, allo sopo di lasciare traccia alle future generazioni del lavoro svolto in Cina, iniziò a scrivere la storia della missione in quel paese che intitolò: “Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina”. I cinque libri in cui l’opera è divisa contengono, oltre che la cronaca dettagliata della missione, anche una descrizione del paese sia sotto il profilo geografico che degli usi, dei costumi e dell’organizzazione amministrativa che costituisce una base informativa essenziale per gli studi sulla Cina. Nel 1606 morì Padre Valignano, il superiore con cui Matteo aveva sempre condiviso i principi della politica da praticare in materia di rapporti con i Cinesi e di evangelizzazione di quel paese. Non molti anni dopo anche Matteo Ricci giunse al termine della sua eccezionale vita terrena. Le malattie ed i patimenti di ogni genere sofferti, uniti all’enorme molte di lavoro svolta, durante i 28 anni di permanenza sul suolo cinese avevano, infatti, logorato la sua pur forte fibra. Dopo una breve malattia spirò serenamente l’11 maggio del 1610. Non aveva ancora compiuto 58 anni. Fu chiesto all’Imperatore di autorizzare la sepoltura di Li Madou in terra cinese. Il che non era previsto per gli stranieri, salvo che per gli ambasciatori.

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In appena un mese – tempo straordinariamente ridotto per le usanze burocratiche cinesi – il permesso fu accordato e fu anche deciso che il suo corpo sarebbe stato inumato in un terreno concesso dallo stesso sovrano. Era un onore grandissimo. I Gesuiti scelsero un terreno su cui si ergeva un tempio buddista ubicato in località Zhala, vicino cioè alla porta occidentale della città interna. Il 1° novembre ebbero luogo i funerali. Per ordine del Governatore fu consegnata ai missionari una tavola di legno con l’iscrizione: “A colui che è venuto attratto dalla giustizia ed all’autore di tanti libri. A Li Madou del Grande Occidente” destinata alla costruenda tomba. Il mausoleo di Matteo Ricci a Pechino eretto nel 1611 venne profanato assieme al cimitero dei Gesuiti durante la rivolta dei Boxers del 1900 e le ossa dei missionari furono disperse. La lapide posta sul mausoleo portava un’iscrizione in latino e cinese con i nomi dei Gesuiti ivi sepolto tra i quali al primo posto quello di“P. Mattheus Ricci Italicus Maceratensis”.Fu spezzata ma fu successivamente restaurata. Le Guardie Rosse distrussero di nuovo il mausoleo nel 1966. Ristabilito l’ordine in Cina, il Governo ha provveduto al restauro della lapide e del mausoleo. Il monumento ed il piccolo cimitero si trovano attualmente – ironia della Storia – all’interno dei cortili del Collegio Amministrativo già Scuola del Partito Comunista. Li Madou è tuttora molto onorato dalle autorità cinesi. Il seme che lui pose diede frutti notevoli in terra cinese. In primis in campo astronomico dato che la Campagnia, seguendo i suggerimenti e le intuizioni del Ricci, inviò a Pechino esperti matematici ed astronomi e moderne apparecchiature che consentirono ai missionari di segnalare gli errori di calcolo degli astronomi cinesi e di essere poi incaricati, nel settembre del 1629, dall’Imperatore CHONG ZHEN di collaborare con il nuovo Ufficio Astronomico alla riforma del calendario cinese secondo i metodi occidentali. Nel 1644 il Gesuita Schall von Bell fu nominato Direttore dell’Ufficio delle Osservazioni Astronomiche di Pechino e fino al 1774 tale carica venne ricoperta da Gesuiti. Nel campo dell’evangelizzazione i metodi introdotti dal Valignano e da M. Ricci, malgrado i risultati ottenenti dai loro successori (ben sedici missioni aperte e qualche migliaia di neofiti) non furono apprezzati dalle guardie romane e da altri ordini missionari perché i riti dei Cinesi in onore dei defunti e degli antenati e quelli confuciani che venivano dai Gesuiti tollerati se praticati da Cristiani cinesi perché considerati, i primi, come forme consuetudinarie di ricordo ed ossequio ed i secondi come espressioni di una filosofia e non forme d’idolatria vennero, invece, aspramente criticati perché ritenute manifestazioni di permissivismo verso l’idolatria. I c.d. riti cinesi furono infine condannati con la bolla “Ex illa die” del 1715. Nel 1742 venne fatto anche obbligo ai missionari in Cina di trattare come idolatri coloro che avessero aderito ai riti cinesi. La figura di Matteo Ricci, forse anche perché aveva appartenuto all’ordine dei Gesuiti, che era stato soppresso nel 1773, e perché il confratello Nicolas Trigault pubblicò a proprio nome nel 1622 il resoconto ricciano della missione in Cina, a poco a poco cadde nell’oblio fino agli inizi del ‘900 quando il Gesuita Padre Tacchi Venturi, storico della Chiesa, non riscoprì i suoi manoscritti. I meriti del missionario marchigiano furono poi riconosciuti da Pio XII e, soprattutto, da Giovanni Paolo II.

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Avvicinandosi il 400° anniversario della morte (il 2010) è previsto un nutrito calendario di convegni e manifestazioni in suo onore a Macerata e un solo. A Roma, ad esempio, è stata inaugurata giorni fa nel c.d. Braccio di Carlo Magno un’importante mostra di dipinti, statue, strumenti astronomici che illustrano la vita del Gesuita marchigiano. Le autorità cinesi partecipano a tali eventi riconoscendo il ruolo importante ricoperto dal Ricci per l’avanzamento nel loro paese dello studio della geometria e per aver fatto conoscere ai Cinesi la filosofia greca ed agli Europei la Cina. Marco Polo e Matteo Ricci sono, d’altronde, gli Italiani più noti in Cina. Non ci resta, per concludere, che ripetere la frase che si legge sulla tomba del Macchiavelli: “Tanto nomini nullum par elogium” (= non c’è elogio che sia adeguato ad un sì gran nome) e citare un altro detto: “In nomine omen” (= nel nome il destino) ricordando che in ebraico “MATTEO” significa “uomo di Dio” e Ricci lo fu in maniera esemplare.

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SAGGI

La microfinanza by Giorgio Castriota Santa Maria Bella • 11 giugno 2010 •

La casa editrice “Il Mulino” ha pubblicato un pregevole saggio di due giovani economisti – Antonio Andreoni (dottorando presso l’Università di Cambridge) e Vittorio Pelligra (ricercatore nell’Università di Cagliari) con un’acuta prefazione di Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all’Università di Bologna: «Microfinanza» (pag. 307, Euro 26, giugno 2009). La microfinanza è un fenomeno che si è ormai imposto all’attenzione non solo del mondo della finanza e degli studiosi ma anche, in generale, di tutti coloro che si occupano di politiche dello sviluppo. Si è, infatti, diffuso il convincimento che le tecniche di microfinanza nella loro più recente versione costituiscano uno dei più efficienti strumenti di lotta alla povertà e, nel contempo, di rigenerazione del c.d. «capitale sociale» di un territorio. I precedenti, sotto certi aspetti, possono essere ricercati nei Monti di Pietà, nati per combattere l’usura su iniziativa di S. Bernardino da Siena nel 1462 a Perugia, nei fondi rotativi e nelle banche di credito cooperativo sorte in Germania nella seconda metà dell’800. Attualmente il microcredito nelle sue svariate forme rappresenta, rispetto ai finanziamenti provenienti dagli istituti di credito ordinario, una rivoluzione culturale più che economica ed antropologica ancor prima che politica. Si tratta soprattutto di strumenti finanziari sussidiari al processo di sviluppo sociale ed economico, i cui presupposti sono radicalmente differenti, come sopra accennato, da quelli tradizionali degli intermediari finanziari, e che sono in grado di favorire, attraverso un processo di coinvolgimento bi-direzionale che parte dal basso, lo sviluppo umano e non solo quello materiale. Il principio-base adottato dal principale inventore del metodo – l’economista del Bangladesh Muhammad Yunus, che ha ricevuto nel 2006 il premio Nobel per la pace per la sua iniziativa- fu, infatti, quello di considerare i potenziali debitori, appartenenti alle classi più indigenti dei paesi più poveri, quale il suo, ai quali l’accesso al credito ordinario è in pratica interdetto (esso è, infatti, limitato mediamente al 20% della popolazione, 90% nei paesi industrializzati) e che, per conseguenza, in caso di bisogno, cadono nella rete degli usurai, non come dei clienti o beneficiari con cui mettersi in rapporto attraverso lo strumento del mercato ma come «persone». Persone che possiedono capacità o potenzialità di lavoro e con le quali occorre entrare in una relazione primariamente «fiduciaria» nel senso che dando fiducia si suscita nel contempo nell’interlocutore un sentimento di affidabilità. Per sostenere e promuovere lo sviluppo economico e quello umano è necessario – anche se ciò può apparire strano – «chiedere». Solo nella «reciprocità», infatti, si può promuovere lo sviluppo sotto il profilo umano degli individui non avvilendone la dignità. La sfida culturale del microcredito si giuoca, quindi, sulla capacità di guardare al povero come ad un potenziale partner e non come ad un paria, ad un disgraziato da aiutare, o, nel peggiore dei casi, un opportunista, pronto a prendere il danaro e a dileguarsi. Yunus si convinse cioè che i poveri non dovessero ricevere la carità giacché essa ha, nella maggioranza dei casi, effetti perversi in quanto che toglie agli uomini la dignità in cambio di pochi spiccioli.

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Occorre, per contro, suscitare in loro l’amor proprio, la dignità e la responsabilità. E questo farà sì che i poveri facciano fronte ai propri impegni liberamente assunti nei confronti dei creditori. Diventino cioè dei soggetti «solvibili». Si tratta dunque di un rovesciamento di approccio. Invero “credito” etimologicamente significa «fiducia». Nel sistema bancario che ,chiameremmo “tradizionale” ,la regola di comportamento è improntata, invece, alla diffidenza. Su questi principi nacque il microcredito basato nell’originale metodo Yunus che iniziò a trovare applicazione nel Bangladesh dal 1976, prima attraverso l’istituto governativo Janata Bank, poi ,dal 2 ottobre 1983 ,con la Grameen Bank. I prestiti, sempre di modesto importo, vengono concessi ai singoli individui senza che siano richieste garanzie collaterali e la stipula di un contratto formale. Il postulante deve, però, far prima parte di un gruppo di cinque persone (e questa è, secondo noi, la grande novità del metodo) e solo allora il primo richiedente otterrà il prestito. Quando questi inizierà a rimborsare il finanziamento anche il secondo otterrà un prestito e così via con il terzo, il quarto ed il quinto richiedente. Inoltre ciascun membro è legato all’altro da una forma di responsabilità in solido (ad es. una fideiussione). In tal modo il gruppo funziona sia come “filtro” che come strumento di “garanzia”. Ogni membro, infatti, ha interesse a far entrare nel gruppo solo individui che considera capaci ed affidabili cioè in grado di far fruttare i soldi ricevuti e di restituirli con un tasso elevato di probabilità. Inoltre la responsabilità in solido riduce, in via teorica, rispetto ad un prestito individuale, la probabilità che si verifichi un’insolvenza di tipo strategico. Il vincolo fiduciario che così si crea tra i membri del gruppo che, in genere, appartengono allo stesso ambito sociale (ad es. vicini, parenti), è stato ad arte rafforzato imponendo che la restituzione del prestito debba avvenire durante incontri pubblici. Il che rende palese il comportamento di tutti i membri del gruppo e consente, se del caso, di discutere dell’andamento dei progetti finanziari con i rappresentanti della banca e con altri clienti. E ciò permette anche la diffusione di pratiche virtuose e, ove necessario, di constatare l’insorgere di problemi prima che gli stessi diventino insormontabili. Come accennato, i prestiti sono di modesta entità – raramente superiori ai 100 dollari – e ciò in relazione sia alle attività economiche dei richiedenti (artigiani o piccoli commercianti di paesi in via di sviluppo) che alle loro concrete possibilità di rimborso. La restituzione deve avvenire nell’arco di un anno e le rate sono settimanali e di importo costante. Anche questa condizione, assieme al sopra ricordato obbligo che il rimborso avvenga pubblicamente, mira a sviluppare il senso di responsabilità e di dignità dei soggetti debitori. Un altro elemento che ha contraddistinto l’esperienza della Grameen Bank è stata la scelta di accordare prestiti, nella stragrande maggioranza dei casi, alle donne. Dopo una prima fase, nel corso della quale i prestiti venivano concessi indistintamente a uomini e donne, ci si rese conto che la probabilità di rimborso in paesi in via di sviluppo era molto elevata nei casi in cui la debitrice fosse stata una donna. Le cause di questo fenomeno sono varie. Innanzitutto le donne sono tendenzialmente meno portate al rischio degli uomini.

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Inoltre nei paesi in via di sviluppo in cui prevale un’economia di tipo agricolo, le donne hanno, in genere, poche se non pochissime opportunità di crescita economica e di realizzazione personale. Il costo legato al fallimento di un progetto di microcredito è, per conseguenza, per loro decisamente superiore a quella che ha un uomo. Si è poi constatato che gli uomini, non di rado, spendevano il denaro ricevuto in prestito per finalità slegate da quelle del progetto finanziato. Oggi il 97% degli oltre 7 milioni circa di clienti della Grameen Bank sono donne. Il tasso d’interesse previsto tiene sì conto di quello vigente nel mercato ma questo rappresenta solo un parametro di riferimento giacché la sostenibilità del progetto è l’obiettivo principale di questo tipo di attività creditizia. Un’ultima importante condizione da soddisfare per ottenere la concessione di prestiti è rappresentata dall’obbligo imposto ai richiedenti di rispettare le c.d. «16 decisioni» ovvero una serie di impegni non imposti dall’alto bensì elaborati dal basso attraverso il confronto con i creditori con il fine di garantire un uso del danaro produttivo e corretto anche sotto il profilo morale e dell’interesse della collettività. In altri termini si mira a sviluppare il c.d. capitale umano e sociale. Tra queste decisioni, infatti, figura normalmente l’impegno a: migliorare le condizioni dell’alloggio della famiglia del richiedente; a pianificare le nascite; a curare, rispettando le basilari regole igieniche, la propria salute e quella dei figli; a rinunciare a celebrare matrimoni tra bambini; ad investire nell’educazione della prole; a coltivare e consumare verdure; a partecipare alle attività comuni ed a praticare forme di aiuto reciproco anche tra differenti villaggi. Il metodo Yunus ha subito avuto successo: dal 1976 al 2009 sono stati, infatti, erogati prestiti per un totale di 8.741,86 milioni di dollari (nel 1976 i prestiti concessi ammontavano solo a 0,001 milioni di dollari). Dai 4 gruppi iniziali del 1977 con 70 soci si è passati nel 2009 a 1.253.160 gruppi ed a 7.970.616 soci. Da rilevare è il fatto che l’attività della Grameen Bank, dalla sua costituzione, ha anche, salvo che in tre esercizi, prodotto utili perfino nel 2007 e nel 2008 (rispettivamente: 1,56 milioni di dollari e 18,99 milioni di dollari) e ciò è degno di particolar nota in considerazione del fatto che la percentuale dei crediti onorati si aggira sul 97-98%, percentuale che è superiore a quella media registrata nel sistema creditizio tradizionale. Il numero delle istituzioni che praticano il microcredito è cresciuto enormemente. A quella pionieristica di Yunus nel Bangladesh ed alla quasi coeva “Accion” (American for Community Cooperation in Other Countries) in Brasile seguirono le prime casse di risparmio di credito cooperativo in Africa, quindi la “South Shore Bank” di Chicago ed altre in Europa tutte con un comune denominatore: l’accesso al credito per i più poveri. Secondo il più recente rapporto del “Microcredit Summit Campaign” (Daley Harris, 2007) le oltre 3.000 istituzioni di microfinanza censite nel 2006 contavano circa 133 milioni di clienti attivi (ovvero con un credito in essere) di cui 92 milioni appartenevano alle fasce più indigenti. Negli ultimi nove anni il tasso di crescita registrato dal settore è incredibile: superiore al 1.000%. In testa figura la Grameen Bank con, come detto, gli oltre 7 milioni di clienti circa, seguono, sempre in Asia, l’A.S.A. con 5 milioni circa ed il B.R.A.C. (Bangladesh Rural Advanced Committee) con 4,5 milioni e molte altre con dimensioni però molto più ridotte (meno di 2.500 clienti). Più della metà delle istituzioni censite è naturalmente concentrata in Asia (con 90 milioni di clienti circa) dato che in tale area vive il 63,5% delle persone che non raggiungono la soglia di 1 dollaro di reddito al giorno.

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In totale nell’area Asia Pacifico nel 2006 il numero dei clienti di tutte le istituzioni di microfinanza ivi operanti era di ben 112,71 milioni. Seguivano l’Africa Sub-Sahariana con circa 8,4 milioni di clienti, l’America Latina ed i Carabi con 6,75 milioni circa, il Nord Africa ed il Medio Oriente con circa 1,7 milioni, l’Europa Orientale e l’Asia Centrale con 3,37 milioni circa. Il Nord America e l’Europa Occidentale sono gli ultimi in tale classifica con soli 54.466 clienti circa. Le potenzialità di espansione del sistema di microfinanza nei paesi in via di sviluppo sembrano notevolissime ove si consideri che si calcola che, escludendo la Cina, circa 945 milioni di persone (dati 1999; Fonte: WB. Global Prospects 2.003) vivono con meno di 1 dollaro al giorno e che, ovviamente, il tasso di copertura del credito è ancora molto ridotto. Nei paesi industrializzati, invece, fatta eccezione per quelli dell’Europa Orientale, le possibilità di sviluppo sembrano minori in quanto, in primo luogo, in tale area la percentuale dei più indigenti, bacino di utenza di elezione della microfinanza, è molto ridotta e che circa l’80% della popolazione ha accesso al servizio di conto corrente. Inoltre gli altri potenziali soggetti interessati, quali gli artigiani ed i piccoli imprenditori, si trovano, rispetto ai loro colleghi dei paesi in via di sviluppo, ad affrontare maggiori ostacoli nell’avvio di un’attività d’impresa dato che si tratta di iniziative più complesse che necessitano, pertanto, di prestiti di maggior importo nonché di piani di ammortamento più lunghi. La recente crisi economica ha però generato anche nel mondo occidentale nuovi poveri che potrebbero essere interessati alla microfinanza. Per quanto riguarda l’Italia il tasso di esclusione dal credito è, secondo la Banca Mondiale, del 25% circa di guisa che attualmente solo 8.000 persone circa fruiscono di detto strumento. Come già accennato la crisi economica potrebbe, però, a nostro giudizio, ampliare il bacino di utenza della microfinanza in considerazione del numero notevole dei lavoratori precari e dei disoccupati e del fatto che, secondo una recente indagine della Confartigianato di Mestre ben 2,6 milioni di famiglie italiane si troverebbero in notevoli difficoltà economiche. Lo strumento della microfinanza incontra, però, nel nostro paese diversi ostacoli come segnala la R.I.T.M.I. – “Rete Italiana di Microfinanza” – di recente costituita, che raggruppa le numerosissime organizzazioni del settore, in genere ONLUS, che si dedicano soprattutto all’educazione finanziaria e forniscono l’assistenza tecnica per l’accesso al credito ma operano per ora, in larga misura, prevalentemente nei paesi in via di sviluppo. Sotto il profilo politico c’è, innanzitutto, scarso interesse alla microfinanza anche perché esiste ancora molta confusione sul vero significato del termine dato che si può intendere con esso interventi rivolti al sociale con uno scopo redistributivo oppure azioni volte alla promozione di nuove attività imprenditoriali quale strumento di politica attiva del lavoro ( cioè costituzione di imprese per la creazione di posti di lavoro). . Le organizzazioni di microfinanza poi incontrano spesso difficoltà nel reperimento di fonti economiche per il proprio sostentamento a causa delle loro limitate dimensioni. E’ soprattutto molto difficile per esse , che hanno necessità di essere flessibili, lavorare con le banche commerciali che hanno rigidità non solo sotto il profilo psicologico ma anche a causa della regolamentazione del settore. Il contesto regolamentare italiano, (anche se è giusto che le banche debbano rispettare le direttive alquanto vincolanti degli accordi internazionali di Basilea 2) non ha favorito fino ad ora lo sviluppo delle organizzazioni che operano in questo campo. A differenza di altri paesi europei (ad es. la Francia) non esiste, infatti, una specifica regolamentazione talché le nostre organizzazioni devono trovare un modo di esistere ed operare all’interno delle norme vigenti. Il che rende particolarmente complicato per esse raggiungere l’obiettivo della sostenibilità.

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Ci pare, tuttavia, ci sembra che si possano intravedere alcuni spiragli di luce .E’,infatti, operativo , anche se da appena un anno, il Comitato Nazionale Permanente per il Microcredito ,istituito con la legge 11-3-2006 n°81 ,onde promuovere la microfinanza in Italia .Inoltre nella Comunicazione agli istituti di credito in materia di contrasto all’usura emanata dalla Banca d’Italia nel maggio 2009. tra l’altro, si dice che: «In caso di situazioni di particolare disagio di tipo economico o personale potranno essere fornite indicazioni circa la possibilità di ricorrere alle Associazioni o alle Fondazioni impegnate nella prevenzione dell’usura ovvero segnalare eventuali iniziative di microcredito conosciute e operanti nella zona. Infatti, grazie alla concessione di piccoli prestiti ed al finanziamento di microattività produttive si fornisce un contributo di assoluto rilievo alla riduzione di richieste di prestiti illegali, si tratta di un settore nel quale è opportuno che si sviluppi l’iniziativa congiunta del sistema bancario e delle Associazioni». E’ comunque ormai quasi assodato che le esperienze di microfinanza attuate con successo nei paesi del Terzo Mondo non sono facilmente ripetibili nel contesto dei paesi industrializzati che presentano necessità molto diverse. E non è perciò casuale che fino ad ora le organizzazioni di microfinanza italiane siano state più attive nel settore degli aiuti al Terzo Mondo. Lo spazio ci impedisce di esaminare le altre diverse problematiche del fenomeno a livello mondiale che vengono affrontate con dovizia di informazioni ed acutezza di analisi in questo saggio. Ci piace concludere questa recensione con alcune notazioni contenute nel capitolo finale dell’opera e con qualche nostra considerazione. La microfinanza ha, sin dalle sue origini, costruito la propria identità come opposizione al sistema finanziario formale o, meglio, come superamento dei suoi limiti e delle sue contraddizioni e, soprattutto, ha dato credito alle persone economicamente e socialmente più svantaggiate. La microfinanza ha saputo “credere nei poveri” ed ha cercato di liberarli dalla piaga dell’usura che è una forma di schiavitù che soffoca lo sviluppo dell’economia e della società. Come ha detto il Premio Nobel Daniel Mc. Fadden il modello finanziario tradizionale è «conveniente, di successo …… eppure quando gli economisti sono posti di fronte all’evidenza comportamentale avversa a questo modello (N.d.r. = la microfinanza ) tergiversano, mormorano scuse e poi continuano a fare quello che stavano facendo». In sede comunitaria,tuttavia, ci si è resi conto dell’utilità di questo strumento specie nell’attuale avversa congiuntura talché la Commissione dell’Unione Europea ha presentato nel giugno 2009 un programma d’interventi per promuovere la microfinanza (“Joint Action to support Microfinance –J.A.S.M.I.N.E.) che prevede,tra l’altro, un primo stanziamento di 100 milioni di Euro grazie al quale si ritiene che si potrebbe facilitare la concessione di microfinanziamenti per 500 milioni di Euro . Il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea dovrebbe esaminarlo in una delle prossime sue sessioni consacrate alla politica sociale. Sotto un profilo generale la verità è che nel mondo finanziario tradizionale manca un approccio che ponga al centro la “persona”. I principi che fino ad ora sembrano, invece, ispirare l’agire nel mondo della finanza tradizionale sono: «auri sacra fames” (= l’esecrabile fame del danaro; Virgilio, Eneide, 3, 56); “Lucrum sine damno alterius fieri non potest” (= non si può guadagnare senza danneggiare il prossimo; Publilio Siro, L. 6); “Qui multum habet plus cupit” (= chi ha molto più desidera; Seneca, Epist. 129, 6)». Tale “modus cogitandi et operandi” non ha, come ha dimostrato la recente, tremenda crisi mondiale,incontrato ostacoli nelle autorità di controllo del sistema e ciò più a livello internazionale (segnatamente negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ma anche in altri paesi) che in Italia. C’è poi una carenza sistemica anche nella normativa specie in materia di controlli.

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Sarebbe inoltre forse auspicabile tornare alla separazione tra banche commerciali e banche d’affari secondo il modello dello statunitense Glass Steagal Act o Banking Act del 1933. Auguriamoci che la politica fino ad ora praticata che, per usare un eufemismo, definiremmo «latitante», muti rapidamente ed in maniera incisiva sia sul piano normativo che di quello della prassi nei controlli. La forza delle lobby del settore appare, però, ancora molto forte e lo dimostrano le grandi difficoltà che sta incontrando il Presidente Obama, non solo in sede parlamentare ma anche all’interno del suo stesso governo (ad es. da parte del Segretario al Tesoro Geithner, del Capo degli economisti della Casa Bianca, Summers) ed anche dal Presidente della F.E.D. Bernanke, per modificare il sistema:ad es. introducendo meccanismi volti ad impedire la creazione di banche “troppo grandi” perché le autorità possano lasciarle fallire. E’ da augurarsi che nel 2010 i governi riescano a scrivere, con l’ausilio del “Financial Stability Forum” presieduto dal nostro Governatore, Mario Draghi, nuove regole ispirate al principio-base del microcredito: l’attenzione alla “persona” …… e non agli interessi delle banche. Giorgio Castriota Santa Maria Bella

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