Associazione Culturale Castiglione Nostra
Associazione Culturale Castiglione Nostra
Di Castijune s’armane ngandate
Di Castijune s’armane ngandate
Storie Personaggi Soprannomi Mestieri e Professioni
A cura della Banca di Credito Cooperativo di Castiglione M. R. e Pianella
Associazione Culturale Castiglione Nostra
Di Castijune s’armane ngandate Storie Personaggi Soprannomi Mestieri e Professioni
A cura della Banca di Credito Cooperativo di Castiglione M. R. e Pianella
Hanno collaborato Maria Antonietta Ferretti Gabriele Di Battista Giorgio De Fabritiis Francesco Sorgentone Marino Belisario Ringraziamenti Alla Banca di Credito Cooperativo di Castiglione Messer Raimondo e Pianella Alla Amministrazione Comunale di Castiglione Messer Raimondo A tutte le persone che ci hanno concesso le foto A Ernesto Di Nicola A Ernesto Giannetti A Raffaele Castagna A Rocco Oronzo
Progetto grafico e impaginazione Melarido di Adriano Ridolfi, Penne PE Stampa Arti Grafiche Cantagallo, Penne PE
INDICE Prefazione Nota degli autori Castijune - poesia di Ercolino Micoletti Presentazione Toponomastica di Castiglione e contrade
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Capitolo 1 Cenni storici Lo stemma del paese Origini del nome Colle San Giorgio - Santa Maria - Appignano Castiglione paese Secolo XV Secolo XVI Secolo XVII Secolo XVIII Secolo XIX La chiesa parrocchiale di San Donato La croce processionale di Castiglione Messer Raimondo La Festa di San Donato Martire Le chiese e le cappelle Appignano Le chiese di Appignano Il convento di Appignano
19 21 21 21 22 25 26 28 31 32 34 37 38 39 40 45 47 48
Capitolo 2 Personaggi storici Domenicantonio Toro Michele Candelori Gennaro Pensieri Angelo Pompei Soci fondatori della Cassa Rurale ed Artigiana I presidenti della Banca
51 53 55 59 67 71 75 77
Capitolo 3 Li soprannume - I soprannomi Perché il soprannome? Elenco dei soprannomi Dialettando Sentenze Modi di dire Pillole… dialettali
79 81 82 97 103 104 105 105
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Capitolo 4 Mestieri e professioni Il Sarto La sarta Il calzolaio Il muratore Il fabbro Il falegname Il mulino ad acqua La cantina Il commerciante Il macellaio Il commerciante di bestiame Il venditore di porchetta Il fornaio Il fotografo Il venditore di elettrodomestici Il benzinaio Il lattaio L’ambulante Sali e tabacchi Il barbiere La parrucchiera L’orefice Il fattore L’agente del dazio Il medico Il farmacista e il veterinario La levatrice Il dipendente del Comune Il vigile Il fontaniere L’operatore ecologico Il dipendente dell’ufficio postale Il cantoniere Il camionista L’autista Il parroco Il frate Il sagrestano Il maestro La maestra Il bidello Personaggi da ricordare Coro di Castiglione Messer Raimondo Gli Amici dell’Allegria Prof. Gabriele Faccia Foto di un tempo passato… Bibliografia
107 109 111 115 118 121 124 126 128 130 133 136 137 137 138 138 139 139 140 140 141 141 142 142 143 143 144 145 145 146 146 147 147 148 149 150 151 152 153 153 154 156 157 159 163 165 166 167 175
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PREFAZIONE
T
ra i valori fondanti del Credito Cooperativo c’è il modo “differente” di fare banca. Una banca che appartiene al suo territorio e quindi partecipativa alla crescita culturale e sociale della collettività. Questa iniziativa dell’Associazione Castiglione Nostra è stata ben accolta dal Consiglio di Amministrazione che ha inteso contribuire alla stampa del libro perché rappresenta un documento per la conservazione dei costumi e delle tradizioni di un popolo; storie, usanze e personaggi che potrebbero andare perduti per sempre. Il volume, ricco di fotografie e di citazioni, ripropone tanti momenti di vita passata, fatta di avvenimenti e di situazioni spesso dimenticate. Ma quanti sacrifici hanno fatto i nostri padri, professionisti, artigiani e contadini, veri maestri di vita, che nel dopoguerra hanno risollevato le sorti di una nazione ridotta alla miseria? Non dimentichiamo che questi mestieri artigianali e rurali sono stati alla base della nascita del nostro istituto e, non a caso, vengono citate l’idea e l’opera del maestro Angelo Pompei che, riunendo 92 soci, fra artigiani, agricoltori e professionisti, riuscì a costituire la Cassa Rurale ed Artigiana di Castiglione Messer Raimondo. Questo è motivo di orgoglio e manifesta l’apprezzamento degli autori e della comunità intera, che in qualche modo si sentono legati a questa istituzione, che oggi resta un fiore all’occhiello non soltanto per il territorio di Castiglione, ma per tutti quei paesi dove la banca opera. Per concludere questa breve introduzione voglio esprimere il mio plauso e il ringraziamento del Consiglio di Amministrazione agli autori, che hanno contribuito alla realizzazione di questo volume, impegnandosi alla riscoperta di usi e costumi del nostro territorio. Dott. Alfredo Savini Presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca di Credito Cooperativo di Castiglione M. Raimondo e Pianella
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NOTA DEGLI AUTORI
Pasquale Ammazzalorso
Come promesso in una serata dell’agosto 2014, noi componenti l’Associazione “Castiglione Nostra”, dopo un lavoro un po’ laborioso, siamo riusciti a mettere insieme il materiale in nostro possesso e a dare alle stampe un libro, sperando di fare cosa gradita a tutti i Castiglionesi. Un grazie particolare alla Banca di Credito Cooperativo di Castiglione Messer Raimondo e Pianella che ha permesso la pubblicazione di questo volume. Si tratta di un lavoro semplice, senza pretese letterarie, ma che ha uno scopo ben preciso: esso è diretto soprattutto alle giovani generazioni, che non avendo potuto godere di quell’importante periodo del secondo dopoguerra, avranno così la possibilità di conoscere la vita e le attività dei loro antenati, padri e nonni, che hanno onorato Castiglione, facendone un paese ammirato in tutta la Vallata del Fino. Chi invece ha vissuto tale periodo ritroverà, scolpiti nella memoria, persone e luoghi, che susciteranno un certo rimpianto per quel mondo ed anche un po’ di commozione. Quel patrimonio culturale, di solidarietà, di operosità, di attaccamento al proprio paese, che i nostri antenati ci hanno lasciato, non deve essere dimenticato, ma conservato e trasmesso alle future generazioni. Infine, è bene ricordarlo, questo volume semplice è nato dal grande amore che nutriamo per il nostro “bel borgo natìo”.
Mauro Giangrande
Dedico questo mio impegno alla memoria di mio padre Vincenzo e di mia mamma Lelia. “Posso dire soltanto che appartengo a quelli che lontano se ne sono andati, ma sempre ritornano, però il seno della terra più non li trattiene, che già li hanno svezzati di fuori. Partono e continuano eternamente a tornare…” Uno scritto di un musicista contemporaneo di cui molto condivido... l’approssimarsi della vita gioca scherzi imprevedibili, ti pone domande tremende alle quali poi bisognerà dare risposte. I bilanci si fanno a fine corsa ed è il tempo loro, occorre pensare ad un lascito ad un ricordo ad una testimonianza che non disperda nel buio del tempo preziose ed insostituibili figure che hanno camminato prima di noi su questo suolo... a li ringhire, abballe a lu bborije, arrete a lu fosse, oppure su ... allu capijlme, o sotte a li mure. Quello che più mi manca di quegli anni è il sapore di quelle giornate, gli odori, i timbri delle voci che più non ascolto ma che porto dentro come una specie di DNA ed oramai fanno parte di me. Oggi volti giovani hanno sostituito quelli vecchi, ma la saggezza e la singolarità di quelle persone rimarranno per sempre nei nostri ricordi; con questa pubblicazione spero che anche altre generazioni, che non li hanno potuto conoscere, li conoscano e prendano coscienza che ...la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda… e, come la si ricorda… per raccontarla poi agli altri che verranno! (Gabriel Garcia Marquez)
Francesco Ammazzalorso
“Alla ricerca delle nostre radici e alla conservazione di un patrimonio, perché i giovani non dimentichino la terra dei loro padri e trovino in essa i motivi per un futuro migliore”. Vivendo in un mondo che la tecnologia ha reso inumano, credo sia indispensabile voltarsi indietro e tornare ad attingere ad un passato più semplice, ma più bello, ricco di valori, di storie di vita paesana, di battute e di risate spensierate. Perciò ho accolto con entusiasmo l'invito a partecipare alla stesura di questo volume, inserendoci qualcosa della mia tesi di laurea in “dialettologia italiana” sul mio paese. Oggi riuscire a divulgare un libro su Castiglione e dintorni, alla portata di tutti, è sicuramente da considerare un valido contributo Di Castijune s’armane ngandate
Cenni storici
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alla cultura, alla conoscenza della storia e delle tradizioni del nostro paese, soprattutto per coloro che se ne sono allontanati, ma che vi sono rimasti sempre nostalgicamente legati e per i figli dei castiglionesi emigranti, che vogliono conoscerlo e visitarlo.
Francesco Barillaro
Ho aderito con piacere all’invito a collaborare alla realizzazione di questa opera mettendo a disposizione quanto in mio possesso: documenti, fotografie e cartoline d’epoca, frutto della mia passione che coltivo da tanti anni. Sicuramente un valido contributo alla conservazione della tradizione locale. La mia disponibilità rappresenta un doveroso ringraziamento verso la comunità castiglionese che mi ha accolto insieme con la mia famiglia.
Fausto Trequadrini
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.” (Cesare Pavese). Le vicende della vita mi hanno portato lontano da Castiglione appena compiuti i diciotto anni e, pur avendomi dato tanto, mi hanno tolto il piacere di godermi nel profondo il paese ed i compaesani. Sarà anche per questo che sono profondamente attaccato alla mia terra, alle mie origini, che leggo tante volte con commozione la citazione di Pavese, che mi porta a pensare ai luoghi e alle persone, lasciati ma non persi; ad intonare con la chitarra, da solo o insieme ad altri, “paese mio che stai sulla collina...”. Perciò ho partecipato con entusiasmo alla stesura di questo libro, senza remore e senza pensare a quanto fosse difficile concretizzarlo; ed ora che l’avventura è giunta al termine penso di uscirne arricchito per tre motivi: 1) Sono stato insieme agli amici di sempre durante la stesura e alle tante sessioni di revisione; 2) Ho dato il mio piccolo contributo per tramandare nel tempo fatti e persone di Castiglione; 3) Ho imparato molte cose sul nostro paese e trovato tanti nuovi motivi per volergli bene. Non aspettatevi un trattato ampio e compendioso, non si è inteso dare alle stampe la nostra “Divina Commedia” ma semplicemente fare una cosa simpatica e piacevole da avere, sfogliare e leggere. Sono certo che, nel passare di pagina in pagina, vi scapperanno tanti sorrisi e qualche lacrimuccia.
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CASTIJUNE Di Castijune s’armane ngandate sol’ a vide’ duva sta’ pusate a ducente e cchiu’ metre sopra na culline vasciate da lu sole tutti li matine da l’ilbire fitti fitte sta’ ammandate come nu tissute villutate che s’aepre alla strada bbianche di la pritire chi sembre la scrime di na capillire. Ercolino
Poesia in originale di Ercolino scritta di suo pugno.
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PRESENTAZIONE
L
’idea di pubblicare un libro su Castiglione nasce qualche tempo fa da un gruppo di persone, riunite nell’Associazione “Castiglione Nostra”, interessate a ricostruire, almeno in parte, il cammino di una comunità cercando di cogliere alcuni momenti di vita vissuta, ricordando fatti, luoghi e persone di periodi storici diversi, che sono stati rappresentati in una serata paesana pubblica svoltasi nell’agosto 2014 nell’anfiteatro comunale del capoluogo. Il progetto, tutto da pianificare, non aveva certamente l’ambizione di realizzare un’opera di ampio respiro, ma di cogliere alcuni momenti significativi della vita di una comunità, fatta di gente semplice e benpensante, composta da artigiani e agricoltori, ricordando alcune figure caratteristiche ed importanti, che hanno lasciato un segno per il paese e che costituiscono un patrimonio storico e culturale da non disperdere. Un pensiero grato va a quanti, con impegno e dedizione, hanno contribuito alla strutturazione del libro ma anche a tutti quei paesani che, nel loro piccolo, hanno messo a disposizione opere, scritti, lettere, poesie e fotografie, che hanno permesso la ricostruzione di un passato, che tutti abbiamo interesse a ricordare e rendere di pubblico dominio. La speranza è che il libro che presentiamo, attraverso la conoscenza ed il ricordo delle nostre origini, dell’umile e sacrificata vita dei nostri genitori e dei nostri nonni, ci sia di aiuto per conoscerci meglio, riscoprendo quanto di buono c’è nell’ambiente in cui abbiamo vissuto e viviamo, in modo da difenderlo e valorizzarlo in maniera sempre più efficace. Vorremmo evidenziare che non è stato possibile menzionare tutti i protagonisti delle varie attività artigianali e commerciali che operavano nel territorio castiglionese nel secondo dopoguerra. In ogni caso il nostro pensiero ed il nostro ringraziamento va a tutti coloro che, per motivi indipendenti dalla nostra volontà, non sono stati ricordati in questo volume. Non a caso l’Associazione “Castiglione Nostra” sta portando avanti l’attivazione di un sito internet nel quale verranno inseriti alcuni contenuti di questo libro e una moltitudine di foto raccolte dai cittadini, per dare la possibilità a tutti i Castiglionesi che vivono sparsi per il mondo, di ricordarsi e di avere notizie del loro paese di origine.
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“Sul crinale di una collina, come nel dorso estremo di un promontorio, a forma di nave lanciata tra le ondulazioni d’innumerevoli colli sulla vallata del fiume Fino, si adagia Castiglione Messer Raimondo, in Provincia di Teramo. Il paese guarda ad Occidente l’imponente catena del Gran Sasso, mentre ad oriente domina la valle ubertosa del Fino; a Settentrione ed a Meridione è contornata da colli e ripe, fossi e valli, tuttora in fase di assestamento tettonico; sulle ghiaie del Fino si scaricano numerosi calanchi.”
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C
on queste bellissime e semplici parole Padre Donatangelo Lupinetti descrive la posizione geografica di Castiglione. Piccola cittadina, situata a circa 265 metri sul livello del mare, che risulta molto caratteristica per il suo aspetto di Borgo Medioevale, anche se non vi sono ruderi o testimonianze che ne attestino davvero la sua origine feudale, eccetto alcuni nomi di vie del centro storico che conservano tuttora la definizione originale come Castello, Borgo, Fosso, Borgo Superiore, Borgo Inferiore, sotto Le Mura…ecc. L’intero territorio ha un’estensione di 3084 ettari ed una popolazione complessiva di 2364 persone (dato censimento popolazione 2011). Il territorio circostante è eminentemente agricolo, ma non mancano alcune attività industriali e commerciali, molte di queste legate all’agricoltura. I campi vengono coltivati con razionalità e la loro feracità, oltre alla operosità dei contadini, è dovuta anche ai corsi d’ acqua che scorrono nel territorio, infatti oltre al fiume Fino, troviamo il torrente Petronico, il Vallecupa e L’Alzapone; le strade risultano funzionali ma sono spesso accidentate a causa di smottamenti e frane che si verificano con una certa frequenza, come abbiamo tristemente constatato nel primo semestre del 2015. Il territorio comunale è suddiviso in frazioni e contrade: San Giorgio, (dove fu ritrovato, attraverso scavi archeologici, un Tempietto Italico menzionato su una pubblicazione datata 1993 dal Prof. Gabriele Iaculli a cura della allora Cassa Rurale ed Artigiana di Castiglione Messer Raimondo) Borea Santa Maria, Capitolano, Bozzano, Valletraglia, Selvagrande, Cesi, Piane, Collecorvo, Controfino, Selva, Vorghe, Vicenne, Giardino; nelle pagine successive riportiamo la toponomastica di alcune contrade. L’unica frazione è Appignano, con il suo Castello ed il Borgo, ricordato dallo storico Flavio Biondo e riportato negli affreschi delle Logge del Vaticano; conserva ancora oggi il centro storico quasi intatto. Altra contrada importante è Piane, agglomerato in forte espansione grazie alla sua posizione geografica al centro della vallata ed alle sue attività commerciali e industriali. Per quanto riguarda le vie di comunicazione ricordiamo la ex SS 365 (Strada statale) ora Provinciale Teramo-Bisenti-Castiglione che in C.da Cesi si innesta con la Statale 81 Piceno-Aprutina. La Città di Pescara è collegata dalla strada detta della “Bonifica” che nei primi anni 70 non era ancora del tutto asfaltata ed era disagevole percorrerla.
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Padre Donatangelo Lupinetti.
Vista di Castiglione da Santa Maria.
Capitolo 1
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TOPONOMASTICA di Castiglione e Contrade Castijune
Castiglione. m., ant., XVII sec.; fortezza, paese cinto di mura; lat. mediev. castellio, -onis (dimin. di castellum; cfr.: castilione (a. 1199, a Roma), castilgionus (XIII sec., in Abruzzo). (DEI I 799). Circa la denominazione esatta, troviamo documenti con singolari varianti: nel 1273 era ufficialmente chiamato nel Giustiziere Castellionum Domini Raonis e negli elenchi delle “Decime dei secoli XIII - XIV” è scritto Castellione; nel 1563 e nel 1669 si trova scritto Castiglione di Messer Raimondo, mentre tra le due date è detto Castiglione di Raimondo. Nei “Capitoli Castiglionesi” dei sec. XVI - XVIII è detto latinamente Castileonis. (D. Lupinetti - Castiglione M.R. e il suo tesoro, p. 16).
Sanda Marije
C.da Borea S. Maria. da lat. boreas - tramontana, dal gr. boréas, di cui “borea” è la forma dotta; nel Cartulario Teramano (a. 894) boria; panromanzo (DEI I 561). S. Maria di Lucuiano, dall’omonima chiesa riportata anche nelle Rationes: Ecclesia S. Maria de Luquiano (a.1309, Rd 2517); da un *Lecunianum < Lecovius (Schulze, lat. En. l91; TSAM 161).
Cutuline
C.da Catulini. m., ant., XIV sec., -ino; cagnolino, cucciolo; v. dotta, lat. Catulus (-inus agg.) piccolo di ogni animale, cagnolino. (DEI I 819).
Cerase
C.da Cerase. (propriamente li kandù) m., XVI sec., bot; “ciliegio “, v. it. centromeridionale, lat. cerasea. (DEI II 861; REW 1823).
La Taverne
C.da Cesi. (lat. caeduus, che si può tagliare (caedere), detto di bosco o pianta; geomorfo. (DEI II 837). Da lat. taberna, “bottega”,”luogo di vendita di viveri’’, di area it. e romanzaoccidentale, frequento elemento toponomastico anche fuori d’Italia, cfr.: ted. Zabern, irl. Taibern, britt. Tafarn; / - b -/ > /- v - / per spirantizzazione. (DEI V 3733).
Collecimine
C.da Collecimino. da lat. colle (DEI II 1012) + lat. cyminum, dal gr. ky’minon, che sopravvive nell’it. merid. accanto al biz. ky’minon (DEI II 939; REW 2442).
Li Coste
C.da Coste. da lat. costa, “pendio, declivio”, panromanzo. Il significato di costa di monte è molto diffuso nelle lingue romanze e deve essere antico (c. de monte, a. 944). (DEI II 1133; REW 2279). Di Castijune s’armane ngandate
16 Li Fundanelle C.da Fontanelle. da lat. fontana, panromanzo. (DEI III 1683; REW 3426) + suff. -ella (lat. -ellus, ~ G. Rohlfs - GSLID III - par. 1082, p. 402). Fonetica: assimilazione progressiva del nesso / nt / > / nd /. Lu Ciardine La Ndaiate
Li Salitte
C.da Giardino. (anche la firnake). dal fr. jardin (XII-XIII sec.), già· nel lat. mediev. del X sec. gardinium, prob. “recinto”, cfr.: got. garta, “chiusura, recinto”. (DEI III 1805). C.da Intagliata. Da lat. t. taliare, intertaliare, “incidere, separare”. XIV sec., ·con diverse accezioni, (a. 1288), Bologna, “taglio di argine”, geomorfo. (DEI V 3699). Da lat. mediev. intaleare (X sec.), “tagliare, incidere”; cfr.: fr. entallier (XIII sec.). (DEI IV 2055).
C.da Saletti. da long. sala, “unità poderale, casa poderale” (RLDL 34). Forse anche da lat·. salictum, “salceto” da salix, “stradicciola ghiaiosa sul letto del fiume”. (DEI V 3317).
La Salve
C.da Selva. da lat. silva (da Nevio),”foresta” (di dubbia origine); molto diffuso come toponimo. (DEI V 3446; REW 7920).
Li Torre
C.da Controfino (contra Finum). da lat. turris (Plauto), dal gr. tyrrhis, tyrsis(cfr.: Tirreno), passato anche all’osco tiurri = turrim, di area it. e romanza occid. (DEI V 3833; REW 9008).
Traglione
C.da Traglione. da lat. tragula (Varrone), da trahere “trarre “-. Geomorfo. a.1363,1407, a Roma) “treggia” (DEI V 3854).
Li Vallune
C.da Valloni. da lat. vallum (forse estratto da valla n.,pl.,); conservato nel catal. vall, port. vallo; passato al fr. vallon (a.1529), sentito come dimin. per attrazione al suffisso -on. (DEI V 3982).
Li Vicenne
C.da Vicenne. da lat. mediev. vicenda, “terreno coltivato a turno”. (DEI V 4048; REW 9306). Fonetica: assimilazione progressiva / nd / > / nn / di sostrato italico (AD 11)
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17 Li Vorghe
C.da Vorghe. d a l a t. vorago - i n i s, “baratro, abisso”, da vorare. Per la presenza di dirupi scoscesi e profondi strapiombi. Geomorfo. (DEI V 4090).
Abbreviazioni: DEI: BATTISTI C. - ALESSIO G., Dizionario Etimologico Italiano - Firenze 1950 – 57 REW: W. MEYER - LUBKE, Romanisches Etymologisches Worterbuch - Heidelberg, 1935 GSLID: G. ROHLFS, Grammatica Storica della Lingua Italiana e dei suoi Dialetti - EINAUDI 1966 - 69
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Dal Viale dei Tigli sono visibili la Chiesa Madre, la Chiesa di San Giuseppe e sulla sinistra la Chiesa di San Rocco. Foto inizi Novecento.
Capitolo 1
Cenni storici
Capitolo 1
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CENNI STORICI Le notizie relative alla storia del territorio castiglionese sono state riprese in gran parte dal volume, “Liber Capitolorum Universitatis Terrae Castileonis Messer Raimundi” del prof. Candido Greco Ed. 1991.
LO STEMMA DEL PAESE
D
ata l’origine del paese, non potrebbe essere altro che una torre: con le ali o senza? Alcuni sostengono con le ali, simile allo stemma della città di Penne; secondo altri storici, senza le ali, come la vicina Bisenti e in genere le città di origine vestina. Nella Casa Comunale è raffigurato sia con le ali che senza, mentre nella Chiesa Madre ha grosse ali a forte rilievo.
ORIGINI DEL NOME
I
l toponimo del Comune deriva da “Castellonium Domini Raonis”, così chiamato secondo scritti risalenti al 1273. Nelle “Decime dei secoli XIII-XIV” era appellato “Castellione”. Dal 1414 fu proprietà di Raimondo (Raimondazio o Raimondazzo) Caldora, da cui pare derivi l’attuale “Messer Raimondo”. Le prime notizie storiche sul paese risalgono al 1065, relativamente al castello di S. Giorgio, ed al 1168, quando Castiglione ed Appignano erano nominati come feudo di Galgano da Collepietro. Notizie finora documentate non consentono una ricostruzione certa e puntuale della storia di Castiglione Messer Raimondo, soprattutto per quanto riguarda le origini, che probabilmente risalgono al periodo longobardo.
Stemma a soffitto nel Palazzo Comunale.
Stemma nella Sala Consiliare del Municipio.
Lo stemma del paese raffigurato nella Chiesa Madre di San Donato.
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Cenni storici
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Anticamente sul territorio sorsero tre centri fortificati: il Castrum Castellionis, il Castrum Apignani e il Castrum Sancti Georgi. Lo storico Igino Addari riferisce che la storia di Castiglione Messer Raimondo affonda le sue radici in epoca pre-romana. Il toponimo deriva dal latino Medioevale castellio-onis diminutivo di castellum, ossia piccolo castello ed equivale a fortezza, paese cinto di mura. Fin dal periodo italico Castiglione costituì un insediamento importante, edificato al confine tra il territorio Vestino e quello Pretuzio, per il controllo della vallata del fiume Fino.
COLLE SAN GIORGIO SANTA MARIA - APPIGNANO Antefissa a Depotes Theròn.
È
indubbio, però, che la presenza dell’insediamento umano nel territorio è antichissima ed attestata con continuità sino ai nostri
giorni. Sul Colle San Giorgio esistono sia tracce di età preistorica che di età italico-romana (II secolo a.C.); nelle numerose frazioni vi sono resti di altre strutture di età imperiale, di chiese di età medievale con i rispettivi monasteri benedettini. Le origini, si ritiene, risalgano al periodo italico, all’epoca dell’insediamento dei Vestini sul colle San Giorgio. Ma punte di frecce rinvenute sulla medesima località testimoniano anche presenze umane del periodo neolitico. Le notizie più antiche quindi risalgono all’età neolitica, con il ritrovamento di raschiatoi e diverse punte di frecce in selce in località Colle S. Giorgio e presso il fiume Fino. Successivamente, dall’età del bronzo alla seconda età del ferro, sullo stesso colle è attestata una necropoli testimoniata da rinvenimenti fortuiti di tre cuspidi di freccia a peduncolo, un coltellino in selce ed altri materiali in bronzo; punte di lancia, una fibula ad arco semicircolare, una a navicella, un’armilla ed una coppa in bronzo. Altre necropoli dell’età del ferro sono segnalate: nella località Piane Museo Nazionale di Chieti: vecchia ricostruzione del frontone di Colle San Giorgio.
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Capitolo 1
23 1956: la squadra degli operai di Castiglione Messer Raimondo sullo scavo di Colle San Giorgio.
di Castiglione, con inumazione di un bambino (V sec. a.C.), dotata di un numeroso corredo ora conservato nella collezione Leopardi di Penne; nel territorio di Appignano, con sepoltura femminile (VI sec. a.C.) dotata di materiali bronzei andati dispersi nel tempo. Risale ad epoca italica il tempio di S. Giorgio (III e II sec. a.C.), eretto in legno su podio di pietra e rivestito di materiale fittile policromato; sono state rinvenute numerose terrecotte architettoniche che ornavano la struttura lignea di copertura del tempio e frammenti che decoravano il frontone. Delle strutture del tempio è ora impossibile leggere la pianta per la presenza di sovrastrutture murarie sorte sui resti forse di una chiesa romanica citata nel giugno 982 fra i possessi di Montecassino (Chron. Casin. II, 811) oppure di una costruzione medioevale, probabilmente una chiesa con annesso convento. Nelle vicinanze del tempio è stato recuperato e catalogato da Giovanni Leopardi materiale bronzeo: un disco con motivi ornamentali, tre grosse fibule, sei armille, tre monete, tre pendagli, molti anelli, oltre a catene, fibbie, ganci, ecc...; il tutto è oggi esposto in un unico pannello nella Sala Leopardi del Museo Civico-Diocesano di Penne. Non molti anni orsono, nel libro del prof. Gabriele Iaculli “Il tempio italico di Colle San Giorgio”, si ipotizzava, sulla base di frammenti statuari, una diversa ricostruzione del timpano; questo non avrebbe il cavo frontale vuoto con antefisse sull’architrave, ma un complesso di figure con Giove seduto in trono al centro, circondato da divinità minori: Minerva, Giunone, Venere e Dioniso. Per Iaculli il materiale fittile sarebbe da riportare a “botteghe urbane neoattiche” operanti nella seconda metà del II sec. a.C. La parte recuperata dal Leopardi e il materiale relativo alla ricostruzione del frontone si trovano attualmente esposti nel Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo di Chieti. In epoca romana il territorio di Castiglione, compresa Appignano, venne a trovarsi a sud di quel diverticolo della via Caecilia che, provenendo da Berega (Montorio al Vomano) proseguiva verso Atri a Nord-Est e verso Penne a Sud. Quest’ultimo ramo, al di là del Fino, entrava in Castiglione per breve tratto. Reperti archeologici di epoca romana sono stati individuati anche a San Giorgio ed Appignano. Di Castijune s’armane ngandate
Scavi 1956: i resti della chiesa visti da Nord.
Probabile elemento di podio italico rinvenuto a Colle San Giorgio.
Cenni storici
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Lu Turrijone: resti di una torre medioevale, poi demolita, in località Borea Santa Maria.
Avanzi di costruzioni romane in San Giorgio furono segnalati dal prof. Brizio nel suo sopralluogo dell’ottobre 1900 in compagnia del prof. Rosati. Fu scoperto un vasto pavimento a spica, di circa cinque metri per lato, il quale aveva nel mezzo una grande pietra di quasi un metro quadrato. Purtroppo, il Brizio non seppe o non poté indicare l’uso di questa pietra in quanto rimossa dal posto originario prima del suo arrivo. Altre strutture di edifici legati a fattorie romane di età imperiale sono state segnalate ad Appignano e nelle località di S. Salvatore e Borgo S. Maria. Ad Appignano, il cui nome indica il predio Aponianus dal romano Aponius o anche Apinius, furono rinvenuti nel passato resti di un abitato rustico romano e del relativo sepolcreto. Fra tombe sfatte dai contadini fu trovato nel 1900 un frammento di cippo calcareo con la scritta monca “SA\...\...APPI..”. Anche nella località S. Salvatore sono segnalati i resti di un piccolo insediamento rustico romano, che ha restituito ceramica comune decorata a pettine. La località Borea Santa Maria si trova sulla strada che, dal greto del torrente Petronico, affluente del Fino, conduce verso San Giorgio; essa prende il nome dall’antichissima chiesa di Santa Maria dello Spino (in vernacolo de lu Vregnalette), un tempo monastero benedettino maschile possesso di San Giovanni in Venere nel 1176 sotto il nome di Santa Maria in Luquiano, detta anche Locusano nel 1279. Il termine Lucusano ha fatto pensare ad un “Locus Jani” o “Locus Dianae”, cioè ad una località, ad un sito o ad un tempio sacro a Giano o Diana. Questa supposizione potrebbe essere avallata dalla presenza di un ritratto di bue o toro nella piccola acquasantiera all’ingresso della chiesa, ma potrebbe anche darsi che il bue o il toro sia il simbolo dell’Evangelista San Marco. All’interno della chiesa sono presenti un capitello corinzio in marmo bianco e lastre di pietra riutilizzate come altari. Fino a pochi decenni orsono vicino alla chiesa erano visibili i resti di una diruta torre medioevale, “lu Turrijone”, resti poi demoliti per la costruzione di una casa rurale. Della chiesa di Santa Maria de Luquiano abbiamo attestazioni nella Bolla di Alessandro III all’abate di San Giovanni in Venere (1176); da San Giovanni in Venere passò poi alle dipendenze di S. Maria di Montesanto e successivamente al patronato degli Acquaviva. In età medioevale il territorio è occupato dalle chiese di San Giorgio Collina e Santa Maria di Luquiano, affiancate dai rispettivi monasteri benedettini. Mentre di San Giorgio restano i soli ruderi, di Santa Maria è visibile la ristrutturazione dei sec. XIII-XIV. Oggi presenta una facciata semplice con campanile sulla destra e portale con arco a sesto acuto. Al tardo medioevo risale infine la chiesetta di San Donato, nel piano della Fiera, edificata nel XV secolo e ristrutturata nel secolo successivo; ad una sola navata, presentava all’interno una tela settecentesca trafugata, raffigurante la Vergine con San Biagio e San Nicola e, in basso, San Donato. Nella chiesetta c’era anche una statua lignea di San Donato che, nel passato, ai primi di agosto veniva portata in processione alla Chiesa Madre; poi, a fine mese, a conclusione dei festeggiamenti in onore del Santo, veniva ricollocata nella chiesetta al Piano. Di Castijune s’armane ngandate
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25 Particolare del castello tratto dalla Statua lignea di San Donato.
CASTIGLIONE PAESE
S
e l’insediamento umano nel territorio è antichissimo e continuo nei centri di Appignano e San Giorgio/Locusano, non altrettanto può dirsi per il centro urbano della stessa Castiglione, che è di fondazione altomedioevale, riconducibile all’organizzazione militare bizantina con i vari Castelliones diffusi fino in Calabria. Questi arroccamenti militari passarono poi ai Longobardi e quindi ai Franchi che ne tramandarono il toponimo. È facile che la nostra Castiglione abbia avuto una certa importanza militare, data la sua posizione sulla vallata del Fino, in coppia con Monte Secco, col quale costituì per molti secoli un’unica baronia in mano agli Acquaviva. Notizie sicure e documentate si hanno per Castiglione soltanto sotto i Normanni. Con l’avvento di questi e col costituirsi in Loreto (1071) della loro contea sul territorio di quella del conte longobardo di Penne, i Vescovi pennesi, in una posizione di accresciuta potenza, si trovarono in possesso di ben 11 castelli, tra i quali Castiglione, divenuta possesso del Monastero di San Bartolomeo nel 1109 ed ancora tale nel 1123. Nel 1169, Castiglione apparteneva al feudatario del re, Galgano di Collepietro, il quale possedeva anche Apignanum ed aveva 264 abitanti contro i 123 dell’altro borgo. Nel 1176 la prima citazione di Santa Maria in Locuiano, quale monastero benedettino in possesso di S.Giovanni in Venere. Nel 1184 il Papa Lucio III riconosce San Michele de Apignano sotto Di Castijune s’armane ngandate
Cenni storici
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Papa Lucio III.
Stemma della Famiglia Acquaviva.
la giurisdizione del monastero atriano di S. Giovanni in Cascianello, dipendente da San Quirico di Antrodoco. Nel 1195 Enrico VI donò i feudi a Rainaldo d’Acquaviva che aveva sposato Foresta, figlia di Leone; fu quest’ultimo, che con i suoi possessi era giunto “fino a toccare le mura di Atri”, il vero fondatore degli Stati di Acquaviva in Abruzzo. Notizie di Castiglione si hanno anche nel periodo Angioino (sec. XIII). Nel 1273, sotto Carlo I d’Angiò, appare un “Castellonium Domini Raonis” e questo Dominus Rao potrebbe essere quello che più tardi verrà chiamato Messer Raimondo. Nel 1283 il feudo di Arpiniano appartiene a Berardo e Brandisio che, forse, posseggono in parte anche Castiglione. Nel 1289 tutte le chiese di Appignano e cinque chiese di Castiglione risultano essere di proprietà degli Acquaviva. Agli inizi del Trecento riveste una certa importanza il monastero di “Santa Maria de Luquiano in Episcopatu Pennensi ed Adriensi”, che nel 1324 appare due volte nel registro delle decime. Dalle decime papali dello stesso anno apprendiamo che Castiglione aveva le seguenti chiese: S. Maria, S. Pelino, S. Felice, S. Martino, S. Nicola e S. Angelo. Nelle decime del 1328 vengono citati Don Perrone, archipresbitero di “Santa Maria de Castelione”, Don Bartolomeo, rettore della chiesa di “S. Michele de Apiniano” e l’abate Jacobo del monastero di “Santa Maria de Luquiano”. Nel 1361 signori di Appignano, Monte Secco e Bozza sono Raymundanus Candola e sua moglie Aloysia de Ansa. Nel periodo della guerra fra Angioini e Durazzeschi troviamo un signor Raimondazzo di Caldora che ha molte più probabilità del “domini Raonis” ad aver influito sul nome di Castiglione. La guerra appena citata aveva immiserito non poche località del Regno e tra queste le terre di Monte Secco e Castiglione che il Re, il 27 settembre 1399, esentò per 10 anni dal versamento di 10 once di carlini d’argento sulle generali sovvenzioni.
Secolo XV
N
on riusciamo ad indicare a quali feudatari sia appartenuta Castiglione dagli inizi del �400; sappiamo però che nel 1417 appare nelle mani dirette della Corona. Notizie più precise riguardano il Castello di Appignano di cui è signore nel 1401 Giacomo di Adamo e nel 1411 uno dei feudatari è Masio Tile. Il 1417 è anno importante per Castiglione ed Appignano: il 2 ottobre, mediante due distinti atti di compravendita, il Castrum Castellionis ed il Castrum Appiniani entrano a far parte della Città di Penne. Nell’uno e nell’altro documento, la regina Giovanna II dichiara che, avendo bisogno di denaro per provvedere alla paga dei soldati e non volendo parimenti gravare sui suoi fedeli sudditi, aliena il Castrum Castellionis per il prezzo di ducati 1.200 di buon oro, di regolare conio e peso controllato, e il Castrum Appiniani al prezzo di 600 ducati. A comperare è l’Università di Penne, rappresentata dal suo procuratore (sindaco), il nobiluomo Francesco. I castelli di Castiglione e di Appignano vengono venduti con Di Castijune s’armane ngandate
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quanto di loro stretta pertinenza e cioè: i fortilizi, gli uomini, i vassalli e i loro redditi, i censi, le servitù, le case, i vigneti, gli uliveti, i giardini, i pascoli, gli alberi, etc.. Negli atti, inoltre, vi sono anche i confini dei castelli acquistati. I due strumenti, sotto forma di privilegi, sono riportati nel Salconio, che ci informa anche che lo strumento pubblico redatto fu rogato il 4 settembre 1428 dal notaio Nicola Trisi. La signoria di Penne ebbe breve durata. In seguito alle ingiuste vessazioni che gli ufficiali regi compivano nei riguardi delle popolazioni dei castelli acquistati, la Regina riporta nel Demanio Regio (1420) Montesecco, Castiglione, Bozza e Casalieto e nomina come capitano di queste terre Jacopo Caldora. Costui successivamente, nel 1430, vendette a Giosia Acquaviva la “Baronia di Monte Secco”, comprendente Castrum Montis Sicci, Castrum Castiglioni, Castrum Boccie e Castrum Casalieti. La lotta per il possesso del regno fra Angioini e Durazzeschi prima e tra questi e gli Aragonesi poi, rende molto instabile il possesso dei castelli della “Baronia”, in cui è confluita anche “Pignano”, conquistata dal Giosia nel 1439. Nello stesso anno Appignano viene assalita e presa da Michele degli Attendoli per conto di Francesco Sforza. Lo stesso Michele pone poi il suo campo sotto Castiglione ed assedia Monte Secco che, però, non riesce ad espugnare. La presa di Appignano e la resistenza di Monte Secco sono tra i pochi episodi di guerra avvenuti nella vallata del Fino. Nel 1444 Giosia d’Acquaviva, in urto con Alfonso I d’Aragona, si ribella al Re e compie varie incursioni nel teramano; per questo motivo, il Re toglie al ribelle il Castello di Castiglione della Baronia di Monte Secco e lo conferisce con diploma di investitura a Pietro Paolo de Corvis, milite e dottore in legge, in virtù della sua fedeltà alla causa aragonese. Morto il Giosia (agosto 1462), il Re con privilegio del 27 settembre dello stesso anno, da Lucera conferisce con investitura gli stessi castelli a Giulio Antonio d’Acquaviva, figlio di Giosia. Per parecchi anni nominalmente Appignano, Castiglione, Montesecco, Bozza, San Giorgio, etc. … rimasero agli Acquaviva. Quando il 7 febbraio 1481 morì Giulio Antonio, Re Ferrante I concesse a suo figlio Andrea Matteo III tutti gli Stati ereditati per parte paterna e materna, tra cui troviamo Castiglione, Appignano, Montesecco, Bozza, Bisenti, Elice, etc.. Ma Andrea Matteo andò in contrasto col Re e si accostò ai baroni ribelli nella congiura contro il sovrano. Le terre della baronia sono di nuovo in mezzo alla guerra. Il 13 marzo 1486, Ferrante I tolse ad Andrea Matteo il Castrum Castigliunii, Il Castrum Monti Sicci, il Castrum Appignani, il Castrum Bisempti ed il Castrum Castaneae e li donò alla Civita di Penne. Il 15 maggio 1489 Andrea Matteo fu reintegrato in tutti i suoi Stati e così Castiglione tornò a far parte della sua Baronia. Quando Carlo VIII alla fine del 1495 invase il Regno di Napoli, Andrea Matteo III, astioso verso gli Aragonesi, si schierò dalla sua parte. Ma allorché Ferrante II recuperò il Regno, il Duca di Atri, dichiarato ribelle, perse tutti i possedimenti; successivamente gli furono restituiti da Re Federico solo i possedimenti di Calabria e Puglia. Di Castijune s’armane ngandate
Jacopo Caldora.
Alfonso I D’Aragona detto il Magnanimo.
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Una curiosità: secondo il Greco, pare che Andrea Matteo III, amante dell’arte e delle lettere e che aveva sotto il suo patronato ben cinque chiese di Castiglione, agli inizi del �500 sia stato il committente di una croce processionale, cesellata dall’orafo Piero Santi, attualmente esposta nella chiesa di San Donato di Castiglione Messer Raimondo. La croce, restaurata nel ’700, mostra danni e manca di sfere traforate, di globi e di un tamburello.
Secolo XVI
T
Giulio Antonio D’Acquaviva.
orniamo al Regno di Napoli che viene invaso e spartito tra Spagnoli e Francesi. Scoppiata la guerra fra Ferdinando il Cattolico e Luigi XII, il Duca di Atri fu ferito e preso prigioniero dagli Spagnoli; stipulata la pace con il trattato di Blois (ottobre 1505), Matteo riebbe la libertà e il Re Cattolico gli restituì il 20 novembre 1506 Castiglione, Appignano, Cellino, Montesecco e Bisenti, possedimenti confermati (28 luglio 1516) dal nuovo sovrano Carlo V e da sua madre Giovanna. 2 aprile 1517: un ignoto artista dipinge un affresco raffigurante S. Lucia nella chiesetta omonima (la data è ancora visibile sotto l’altare). Andrea Matteo III nel governo dei suoi Stati veniva coadiuvato dal figlio Giovan Francesco Acquaviva, marchese di Bitonto, il quale il 21 aprile 1526 concesse all’Università di Castiglione uno Statuto con il quale regolare le cause civili: i Capitoli Castiglionesi furono redatti dal notaio Nicola Petrei, sulla base di quelli emanati qualche anno prima ad Atri. Nei capitoli viene sancito che il Duca può decidere le cause penali e civili, sia in primo che in secondo grado, comminando anche la pena di morte (jus sanguinis). Ha altresì il potere di concedere la grazia e di ridurre la pena. Altre regole importanti riguardano l’organizzazione, la tutela dei beni e le pene previste per i reati alle persone e alle cose. Nel 1528 il Duca, da tempo in mano agli usurai ed immiserito dal costo delle milizie che aveva, vendette Castiglione a Giancarlo Brancaccio poco prima di perdere tutti i suoi Stati e di morire (29 gennaio 1529). Giancarlo Brancaccio il 20 maggio 1530, come Signore di Castiglione, accetta ed approva lo Statuto e le ordinazioni rilasciate all’Università dal Marchese di Bitonto. Il 26 dicembre dello stesso anno si riunisce nella casa della Comunità di Castiglione il Consiglio Generale, alla presenza del Capitano Baldassarre di Cello di Montesecco, e viene eletto il Reggimento “cinque per cinque” che governerà per quattro mesi, con l’aiuto di due massari esecutori e del Camerlengo. In questo periodo Castiglione conta circa 500 abitanti mentre Appignano 182. Giancarlo Brancaccio non ebbe vita facile nel suo possesso di Castiglione che era uno dei feudi per i quali gli Acquaviva erano indebitati. Nel 1545 Castiglione registra un lieve incremento demografico passando a 583 abitanti. Qualche anno dopo il Brancaccio, lamentandosi per gli abusi commessi da Giovan Antonio Acquaviva, secondogenito di Andrea Matteo Di Castijune s’armane ngandate
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che pretendeva quello che il Brancaccio aveva già pagato, rivendette Castiglione al Duca di Atri. Nel 1561 Castiglione registra 610 abitanti mentre Appignano ne conta 237. A partire dal 1567, per più di un decennio, Castiglione non fu sotto il governo degli Acquaviva: in questo anno per privilegio di Filippo II, Re delle Due Sicilie, Agostino Scorpione fu dichiarato barone di Villamagna e di Castiglione Messer Raimondo.
Stampa del 1590 in cui è visibile la conformazione territoriale della Provincia di Teramo con i paesi allora esistenti. Questa stampa è attribuita al cartografo Abraham Ortelius nato ad Anversa (Belgio) il 14 aprile 1528, e sembra fosse stata commissionata da Papa Bonifacio VII.
Particolare della Stampa del 1590 con i paesi della Valle del Sino (oggi Fino).
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Nel 1575 signore di Castiglione è Gregorio Scorpione che invita il predicatore domenicano Serafino Razzi del convento di Penne a fondare una confraternita nel suo feudo. Il Razzi parte a cavallo il 29 gennaio dopo il Vespro, con una guida percorre cinque miglia e giunge in serata a destinazione. L’indomani, celebrata la Messa, fonda la “Compagnia del Santissimo Nome di Dio” e il giorno dopo predica ancora al Vespro, facendo alquanto rifiorire la devozione per il Santissimo Rosario. Frutto di questa visita è la fondazione di un’altra confraternita due anni dopo, l’8 maggio 1577 nella Chiesa di San Nicola (ora S. Donato). Fabrizio Fabbri, dell’Ordine dei Predicatori, istituisce la confraternita del Rosario con l’obbligo di celebrare la festa del SS. Rosario tutti gli anni la prima domenica di ottobre per ricordare la battaglia di Lepanto (1571). Nel 1580 Castiglione con molta probabilità è di nuovo in mano agli Acquaviva; nel 1586 Appignano fu venduta dal consigliere regio Antonio Lanario a Brunone Benvenuti. Gli ultimi anni del �500 prende corpo il fenomeno del brigantaggio. Uno dei maggiori esponenti era il bandito Marco Sciarra, detto “Il re della campagna”, uomo crudele e generoso, finito al soldo di Venezia che lo utilizzò contro gli Slavi. Molto conosciuto e temuto anche nel territorio di Castiglione. Morì intorno al 1595, scannato nel sonno dal suo amico Battistella. Da notare come in questi anni, forse connesso al fenomeno del brigantaggio, si registri un certo decremento demografico: Castiglione conta 583 abitanti ed Appignano 192. Nel 1597 Castiglione, con Montesecco e Bisenti, ritorna in possesso degli Acquaviva: Giosia, figlio del defunto Alberto, riottiene il feudo pagando al Sovrano un donativo, detto “relevio”, corrispondente alla metà delle “entrate”.
Stampa raffigurante il bandito Marco Sciarra che cattura Torquato Tasso (Wikipedia).
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Secolo XVII
I
l �600 appare privo di episodi significativi per Castiglione ed Appignano. I due centri, come tutti gli altri feudi della baronia, sono continuamente sul bando di vendita degli Acquaviva, cui puntualmente ritornano ad ogni scadenza di fitto pluriennale. Nel 1607 Castiglione è acquistata per 4.000 ducati da tale dott. Giordano. Nel 1617 Appignano è in mano di Cesare de Scorpionibus. Tra il 1622 ed il 1625 Castiglione è venduta da Mons. Giuseppe Acquaviva a Diana di Capua, duchessa di Laurenzano. Mario e Carlo Pansa confermano che nel 1623 “Castiglione di Ramondazzo” ha chiesa parrocchiale con pulpito e battistero intitolata a S. Nicola e retta da un arciprete, oltre alla chiesina di S. Antonio ed un hospitiolo per i poveri, che nel suo territorio ha la “Abbatia di S. Maria ad Loquianum” detta altrimenti “ad Locum Iani”, che S. Giorgio Castello è diruto, che Appignano ha la chiesa parrocchiale di S. Pietro con titolo di Prepositura, con pulpito e battistero, oltre alla chiesa di S. Maria ed al monastero dei Frati Conventuali di San Francesco fuori delle mura. Il 28 luglio 1633 Castiglione, con le terre di Notaresco e Cantalupo, è venduta per il prezzo di 16.024 ducati da Mons. Acquaviva, vescovo di Tebe, alla Duchessa Diana di Capua; la vendita, con assenso regio, fu fatta per sette anni. Allo scadere del settennio la duchessa Diana deve aver avuto la conferma dei feudi acquistati in quanto il 30 marzo 1641 li subaffitta per procura a Francesco Concublet, marchese d’Arena. Nel 1648 la popolazione di Castiglione è aumentata ad 830 abitanti, mentre quella di Appignano è stazionaria a 192 unità. Alla morte del duca Francesco I d’Acquaviva, il figlio Giosia il 20 giugno 1650 chiede l’investitura dei feudi, dei quali precisa le entrate. La richiesta del duca denuncia un errore: le terre di Castiglione e Notaresco non erano appartenenti al padre Francesco bensì alla madre, la duchessa di Concublet, malgrado le terre in questione venissero sempre incluse nello Stato di Atri da quanti erano interessati ad ereditarle. In questo marasma di fitto e subaffitto, è certo che il 16 novembre 1651 la duchessa di Laurenzano, Diana di Capua, vende per procura, con regio assenso, alla duchessa di Atri Anna Maria Concublet le terre di Castiglione, Notaresco e il feudo di Cantalupo. In questo periodo si verifica in Appignano una crisi demografica che influenza di riflesso l’esistenza del suo convento francescano. Il 15 ottobre 1652 papa Innocenzo X ordina con bolla di sopprimere in Italia i piccoli conventi; chiude i battenti per sempre Santa Maria Lauretana di Appignano, tenuta dai Conventuali ed appartenente alla Custodia Atriana. Nel 1656 scoppia a Castiglione una pestilenza, che fa diminuire il numero degli abitanti da 830 a 654, mentre in Appignano, feudo di Giovanni de Scorpionibus, ce ne sono 231. Un ricordo della peste è la grande tela della Madonna dei Sette Dolori con S. Giuseppe, S. Rocco ed altro Santo commissionata dalla Di Castijune s’armane ngandate
Cenni storici
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popolazione come ringraziamento per lo scampato flagello e forse posta originariamente nella chiesa di S. Rocco. Gli ultimi decenni del secolo non mostrano particolare interesse, se non per il fenomeno del banditismo. A tale proposito, vale ricordare un episodio avvenuto ad Appignano. Il caporale Ciccotto di Cortino, fuggito fin dal 1678 dalla guerra di Messina, tornando ad Appignano dove ha una figlia sposata, cade nelle mani del capobanda Titta Colaranieri e viene decapitato il 7 gennaio 1683. La sua testa viene inviata al Preside di Chieti, Antonio Minutello.
Secolo XVIII
N
el settecento in Appignano agli Scorpione subentrano i Castiglione. Sotto Nicolantonio Castiglione, nel 1712, viene rifatto il catasto: dopo il parere favorevole della Regia Camera, il Governatore di “Aprigliano” procede alla “confettione del nuovo e general catasto”. Il 16 febbraio 1713, l’Università della Terra di Appignano, tramite i suoi massari, compare davanti al governatore Nicola Baroni presentando la documentazione necessaria affinché proceda alla compilazione del nuovo catasto. La richiesta è accolta e sottoscritta lo stesso giorno. Il volume, composto da Nicola Baroni, regio apprezzatore nativo di Bisenti, catastiere e governatore della Terra di Appignano, è composto di 70 carte, non tutte vergate nel dritto e nel rovescio, e bianche le ultime (68-69-70). Quanto a Castiglione, sembra che il feudo sia rimasto per molti anni sempre in possesso delle stesse famiglie. Nel 1722 era di Nicola Gaetano d’Aragona, aquilano, duca di Laurenzano, il quale nel settembre dello stesso anno restituisce, con assenso regio, Castiglione, Notaresco e il feudo di Cantalupo al duca di Atri, Domenico Acquaviva. A Domenico succede nel 1745 Ridolfo. Costui aveva sposato Laura Salviati, molto più giovane di lui e, con assenso regio, le fece una donazione di 5.000 ducati annui da doversi percepire a partire dal giorno della sua morte. Pertanto le concede la tenuta dei feudi di Atri, Cellino, Bisenti, Montesecco e Castiglione, con tutte le rendite ed entrate feudali. Il Ridolfo morì nel 1755 ed i suoi Stati passarono alla sorella Isabella. Fu proprio durante il dominio di questa duchessa (1756) che il Sindaco di Castiglione affidò il vecchio libro dei Capitoli al notaio Marucci per la trascrizione. Lo Statuto Castiglionese era ancora in vigore ma troppo in cattivo stato per poterlo consultare. Nel 1757 morì la duchessa Isabella e il ramo Acquaviva in Atri si estinse. Nel 1760 con il sequestro della eredità della Duchessa Isabella Acquaviva D’Aragona Strozzi, il Distretto di Castiglione e Montesecco viene devoluto alla Regia Corte e Gaspare Antonio Perazza, di Città Sant’Angelo, ne viene nominato Governatore. Di Castijune s’armane ngandate
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Non vi furono novità di sorta, le condizioni non mutarono, persistendo tutte le obbligazioni feudali imposte dagli Acquaviva. Rimasero anche i Capitoli Castiglionesi, il cui libro ricopiato fu autenticato dal notaio Marucci di Castiglione nel 1759. Poiché mancavano alcuni fogli nell’originale esibito dal Sindaco Giuseppe Tranquilli, si era proceduto tre anni prima alla integrazione sulla base dello Statuto di Atri concesso da Andrea Matteo III. In questo periodo si parla di una nuova chiesa parrocchiale a Castiglione. All’inizio dei lavori funzionava senz’altro da parrocchia la chiesa di S. Rocco. Dove sorse la nuova chiesa? Secondo alcuni “sul posto dell’antico castello caduto in rovina”; secondo altri i muri perimetrali della nuova costruzione sarebbero stati eretti ex-novo e non poggerebbero su quelli del presunto castello, in quanto non si ha certezza che sia effettivamente esistito. Del resto il Razzi, che nel �500 visitò il paese, non menzionò mai il castello. Comunque, la costruzione della nuova chiesa andrà per le lunghe: vi sono pause, cambi di progetto, riprese di lavori, ritardi nella consegna dei materiali. Per vedere completata l’opera bisogna aspettare il secolo successivo. Secondo il Lupinetti, i lavori furono terminati nel 1867. Verso il 1790 da segnalare un curioso avvenimento: il Re di Napoli Ferdinando IV manda i disegnatori regi Antonio Berotti e Stefano Santucci a Castiglione per ritrarre i costumi del posto, che si distinguono per la loro originalità. Eseguito il disegno ad una coppia di giovani, questo viene subito spedito a Napoli per essere impresso nelle porcellane di Capodimonte e poi essere inciso su rame. Dei costumi esistono diverse copie sia a colori che in bianco e nero. Nel 1797 Castiglione è definita terra regia, su collina “di buona aria atta alla semina ed ai vigneti”; i suoi 2.060 abitanti sono dediti all’agricoltura ed alla pastorizia. Appignano conta 500 abitanti ed è ancora in potere ai Castiglione; nel 1798 ne è baronessa D. Maddalena del casato pennese. Siamo ormai alla fine del XVIII secolo ed incominciano a diffondersi le magiche parole “Liberté, Egalité, Fraternité” che, sulle orme delle truppe napoleoniche, arrivano anche nella nostra penisola e nei nostri territori. Il 26 novembre 1798 Castiglione, come altri centri del teramano, temendo di essere invasa dai francesi, avvisa del pericolo i Presidi di Teramo e Chieti. Le truppe francesi prendono Civitella del Tronto, si dirigono verso Atri e poi Pescara al comando del generale Dufresne, mentre il generale Rusca conquista Penne. L’occupazione francese provocò un vasto movimento di resistenza borbonica che si appoggiò anche a bande di briganti e ladroni di ogni risma. Ma Ferdinando IV, aiutato dal Pontefice e da Nelson, recuperò ben presto il trono. Nel 1799 il Generale francese Contarde, attraversa il territorio di Castiglione con le sue truppe dirette a Teramo. Il 28 aprile i francesi abbandonano improvvisamente Teramo. Il 1° maggio un gruppo di Di Castijune s’armane ngandate
Incisioni di costumi tradizionali castiglionesi.
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soldati, fra cui Antonio Pichinelli della Terra di Castiglione, entra in Teramo e “riconquista la città”. Pare che il Pichinelli avesse la funzione di direttore e consultore di truppa.
Secolo XIX
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el 1803 dal 3 al 18 marzo vennero trovate morte 6 persone, in tutto l’anno 15. Il dodici dicembre si registrò un forte terremoto nella zona. Nel 1804 ancora una volta Castiglione viene affittata per nove anni al magnifico Luigi Sabatini di Atri per 1.500 ducati e 77 tarì annui. È interessante notare come nel Dizionario Topografico di Luigi Ercole, pubblicato nello stesso anno (1804), Castiglione Messer Raimondo venga definita “una delle più ricche università del Regno, posta al fianco di disastrosa collina a sinistra (!) del fiume Fino… L’aria vi è buona e il territorio è assai fertile, specialmente in vino e olio”. È sotto il Ripartimento di Bisenti, come terra regia, con la contrada di S. Giorgio e masserie di 2.075 anime. Appignano è terra baronale del Terzo Ripartimento ed ha 553 anime; il suo comune viene soppresso due anni dopo (1806) e con Bacucco (Arsita) viene aggregato a Bisenti. Col ritorno dei francesi (1806), si riapre la piaga del banditismo, che opera col pretesto dell’amor di patria e che genera una inesorabile repressione. Il 22 aprile 1807 Castiglione viene assalita da una quarantina di banditi che portano via salami, galline ed altre provviste e poi si dirigono verso Bisenti. Il 1° luglio dello stesso anno giunge di nuovo a Castiglione una colonna di banditi che, sotto gli occhi dello Sciabolone, ammazzano tre persone: Enrico Pizzichelli, nativo di Castiglione, Tommaso Frattaroli e Antonio di Giovan di Vito, entrambi di Farindola. Il 15 settembre 1807 presso Penne c’è uno scontro armato fra le truppe regie e i briganti, che si ritirano in fuga a Castiglione. L’anno successivo (1808), il 15 gennaio vengono impiccati Vincenzo Lepre e Nicola D’Innocenzo, entrambi castiglionesi; il 6 febbraio in Appignano sono impiccati Luigi Di Giosia e Gesualdo Di Domenicantonio, entrambi di Appignano. Il 1° aprile Giuseppangelo Ventura, bandito di Castiglione, viene fucilato a Penne. Il 30 aprile muore fucilato sempre a Penne Vincenzo Calandra, pure di Castiglione. Il 4 giugno a Farindola è ucciso dai soldati francesi Filippi Martini Luciano di Castiglione. Ancora nel 1810 vengono commessi furti ed eccessi dalla banda dei fratelli Venanzio e Matteo Sciabolone e da quella del Ciccone. In questi anni, però, si assiste piano piano ad un mutamento importante: le idee che spingono alla resistenza sono mutate e la lotta non è più contro i francesi ed a favore dei Borboni, bensì a sostegno di nuovi ideali di libertà e di repubblica che vengono diffusi dalla Carboneria. Nell’ottocento, prima nel periodo francese e poi sotto la restauraDi Castijune s’armane ngandate
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zione borbonica, Castiglione è uno dei centri dove la Carboneria è più attiva e Domenicantonio Toro è a capo dei cospiratori insieme con altri carbonari di Castiglione: Battistoni Nicola, Luciani Domenico, Persio Pasquale, De Paulis Michele, Luciani Martino, Luciani Serafino, Manna Alberto, Moschetta Nicola, Piccirilli Giovanni, Piccirilli Pietro, Simoni Francesco e Simoni Domenico. Nel 1814, periodo di dominazione francese, il Toro viene catturato e condannato a morte, ma nel 1815, con la restaurazione ed il ritorno dei Borboni al trono, ottiene la grazia. Continuerà a lottare per l’unità d’Italia partecipando ai moti insurrezionali del 1848 e morirà il 12 febbraio 1865, alla bella età di 98 anni, dopo aver visto realizzati i suoi ideali. Nello stesso anno il 17 aprile Florestano Pepe invia nel paese una compagnia di soldati. Nel 1815 il due febbraio, di notte, venne ucciso in casa da ignoti ladroni, Giuseppe Fanini. Il 1817 è definito “l’anno della fame”: in Castiglione muoiono 281 persone, mentre l’anno prima i morti erano stati 115. Ancor prima dal 1813 al 1815 la mortalità annuale si era mantenuta sulla media di 68 unità. Proseguono i lavori per la costruzione della nuova chiesa in mezzo a difficoltà di vario genere, fino alla completa ultimazione (1867). Negli anni ’40 da ricordare un avvenimento di straordinaria importanza per Castiglione: il 18 maggio 1843 viene estratto dalla catacomba di S. Ciriaca a Roma il corpo di S. Donato Martire, che viene consegnato il 22 luglio dal Cardinale Patrizi a Don Antonio De Filippis, arciprete di Castiglione Messer Raimondo, con un preteso certificato di autentica. La chiesa di S. Rocco viene abbandonata nel 1867 quando giunge a completamento la costruzione della nuova chiesa; successivamente, divenuta pericolante, viene abbattuta e la zona cimiteriale circostante viene bonificata. Oggi al posto della chiesa di S. Rocco sorge la Scuola Elementare intitolata al Gran Maestro della Carboneria Domenicantonio Toro; incendiata dalle truppe tedesche in ritirata durante la II guerra mondiale, è stata successivamente riedificata. Dopo la spedizione garibaldina (1860), ci si avvia a grandi passi verso l’unificazione nazionale mediante i plebisciti: il 21 ottobre 1860 viene sancita l’annessione al Piemonte del Regno delle Due Sicilie e, quindi, anche l’Abruzzo entra a far parte del nuovo ordinamento nazionale. La transizione politica avviene in modo alquanto traumatico: gran parte della popolazione era rimasta fedele alla monarchia borbonica, pochi aderirono con entusiasmo alle vicende garibaldine ed accettarono il nuovo governo piemontese. Ancor prima che le truppe piemontesi passassero il Tronto, i reazionari borbonici cominciarono ad operare e molti si illudevano sul prossimo ritorno di Francesco II. Anche nei piccoli centri era rimasto questo attaccamento alla dinastia borbonica. Un episodio emblematico: il 26 dicembre 1860, a Castiglione Messer Raimondo il capitano della Guardia Nazionale Don Clemente De Dominicis procedeva all’arresto del reazionario Filippo D’Innocenzo che, Di Castijune s’armane ngandate
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salito sulla scalinata di Camillo Bardari, con un coltello da porchettaio, teneva a bada le guardie nazionali Vincenzo Di Gennaro, Francescantonio Pantaleone, Saverio Schiazza e Don Giuseppe Giuliani, gridando “Viva Francesco II che ci ha dato la libertà !”. Dopo la conquista dell’Italia Meridionale da parte dei garibaldini e delle truppe piemontesi, si sviluppò nuovamente il fenomeno del brigantaggio che si affermò soprattutto nelle campagne, tra la povera gente e tra i disperati che venivano finanziati da baroni locali e dai filo borbonici. Nella sola provincia di Teramo, fra il 1860 e il 1870 operarono circa 3.000 briganti ed una trentina di bande. Il 2 novembre 1860 il governatore di Teramo, Pasquale De Virgilii, d’intesa con il maggiore generale piemontese Ferdinando Pinelli, proclamava lo stato di assedio in tutti i comuni della provincia con il disarmo della popolazione e l’istituzione dei consigli di guerra per il disbrigo dei processi sommari. Anche Castiglione, con il suo territorio, fu teatro di scorrerie brigantesche e la popolazione ne rimase a lungo intimorita. In questo periodo caratterizzato dalle guerre risorgimentali e dalla recrudescenza del fenomeno del brigantaggio, mentre volge al termine la nobile esistenza del Toro, appare a Castiglione un personaggio che, per il grande amore verso il paese e soprattutto verso le classi più umili e bisognose, merita di essere ricordato: Michele Candelori, medico ed igienista. Allo scoppio della Grande Guerra, molti castiglionesi rispondono alla chiamata della patria, lasciano le loro famiglie, accorrono al fronte e si battono eroicamente contro gli austriaci, a costo di enormi sacrifici ed a volte con la perdita della vita. Non mancano atti di eroismo, numerosi sono i decorati al valore e tra essi va menzionato il colonnello Gennaro Pensieri per il glorioso fatto d’arme dell’agosto 1917 che gli meritò l’appellativo di “eroe di Korite-Selo”. Per onorare la memoria dei fratelli castiglionesi caduti sul campo di battaglia e, in particolare, quella dell’eroe di Korite-Selo, su iniziativa del giovane ed attivo podestà Moschetta, nel 1934 viene eretta nel Parco delle Rimembranze una cappella votiva con la Madonnina del Grappa, che reca la famosa scritta “Posuerunt me custodem”. Non si può, infine, dimenticare che molti castiglionesi hanno partecipato alla conquista dell’Etiopia (1935-36), alla spedizione italiana in Spagna (1936-39) ed all’ultimo conflitto mondiale (1940-45), mostrando sempre alto senso patriottico e recando un contributo non indifferente ai destini dell’Italia.
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LA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN DONATO
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on passa certo inosservata, sembra dominare la valle con la sua maestosità. Progettata sul finire del secolo XVII fu ultimata dopo una lunga serie di traversie, tra la metà del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Svetta sul colle ricostruita forse sulle rovine di un preesistente castello. Precedentemente intitolata a San Nicola da Bari, dall’11 ottobre del 1999, con decreto del Ministro dell’Interno del tempo, Rosa Russo Jervolino, viene dedicata a San Donato Martire, protettore di Castiglione. La Chiesa Madre, sviluppata su due livelli interamente in laterizio, osservata dall’ingresso del paese, appare una costruzione imponente. La facciata, di recente restaurata insieme al tetto, coronata da timpano centrale, è scandita da lesene e cornici, dominata dal timpano semicircolare sorretto da semi colonne che incorniciano e sovrastano il portale. L’interno di assetto decorativo ottocentesco è a croce latina con cupola all’incrocio dei bracci e abside semicircolare. La chiesa, in una Cappella laterale, custodisce le spoglie di San Donato Martire. Il Santo, come citato, venne “donato” al nostro paese nel luglio
Facciata della Chiesa di San Donato Martire.
Interno della Chiesa di San Donato.
Volta della Cappella di San Donato.
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Un particolare della Cappella di San Donato.
1843. San Donato fu un soldato delle milizie imperiali che diede la vita per la fede in Cristo. Grande la devozione dei castiglionesi verso il loro protettore, che viene ricordato e venerato nei giorni 6-7 agosto con una solenne processione per le vie del paese: momento atteso e desiderato da tutti. Si tramanda che chi riceveva un miracolo offrisse al Santo, in segno di riconoscenza, grano e cera corrispondenti al peso corporeo del miracolato. La cappella del Santo fu realizzata nel 1893 dall’ ing. Rosati e dipinta da Sigismondo Martini, entrambi artisti della scuola d’arte di Penne. Molto suggestivo il quadro della volta che raffigura il Martire in ginocchio, che contempla il cielo, mentre un angelo gli mostra una croce, simbolo della fede, nella cornice di monumenti della Roma Imperiale. L’altare della cappella, opera dell’artista Angelo De Vico, realizzato in pietra e stucchi, ha una conformazione lineare; sul ripiano del medesimo viene gelosamente conservata l’urna del Santo. Gli ornati di ferro battuto, che delimitano la cappella sono opera del maestro Raffaele Di Nino di Penne. Degne di nota le due cicogne-portalampade, lavoro del maestro del ferro Elia Schiappa, castiglionese. Sulle pareti della cappella figurano ancora diversi ex voto. Sopra l’ingresso della chiesa è posto un organo a canne datato 1765, ristrutturato negli anni novanta. Nel piano inferiore c’è la Chiesa della Confraternita della Congrega, con la cappella che conserva una tela seicentesca raffigurante l’Addolorata e San Rocco. Inoltre vi si trova una statua lignea dello stesso San Rocco che reca in mano il castello di Castiglione: opera realizzata in stile barocco, forse da un artista locale, proveniente dalla ex chiesa a lui intitolata.
LA CROCE PROCESSIONALE DI CASTIGLIONE Messer Raimondo Croce processionale di Castiglione Messer Raimondo.
L
’interno della chiesa, già restaurato dalla Sovrintendenza di L’Aquila nel 1987 una prima volta e successivamente anni addietro, ospita una bacheca in cristallo, entro la quale è custodita la Croce Processionale attribuita a P. Santi, orafo di Teramo. Nella impostazione strutturale dei bracci terminanti in triboli, ornati lungo il profilo da sferule lisce e traforate e da cilindretti con decorazioni vegetali in lamine di rame dorato, spiccano le figure di San Nicola vescovo e quella di Cristo dalle braccia distese e pendenti dalla croce, con il capo incassato nel robusto ventre. Mostra un’attenzione alla produzione guardiese che permette di proporre una datazione più circoscritta alla prima metà del XVI secolo. Negli anni novanta del secolo scorso, la croce fu trafugata e successivamente recuperata dal reparto operativo del Comando Provinciale dei Carabinieri, in collaborazione con la stazione dei Carabinieri di Bisenti comandati dal Maresciallo Costantino Cirillo, insignito per meriti della cittadinanza onoraria del Comune di Castiglione M. Raimondo.
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LA FESTA DI SAN DONATO MARTIRE Ancora oggi i festeggiamenti in onore del Santo Patrono sono un richiamo per una moltitudine di fedeli, anche se non si assiste più alla calca di un tempo, quando le compagnie di pellegrini arrivavano prima a piedi e poi con le corriere e restavano in paese qualche giorno. Il popolo devoto oggi arriva in auto privata, fa la visita al Santo, partecipa alla Santa Messa e subito riparte non senza aver prima gustato un buon panino con la porchetta. Il momento culminante della festa è la processione per le vie del paese con l’urna del Santo, accompagnata da tantissimi fedeli. La processione è aperta dalla Croce e seguita dalle donne che, una volta, portavano le candele e cantavano inni. Il parroco precede l’urna del Santo portata a spalla da dodici portantini. Dietro l’urna seguono le autorità e tutto il popolo. Un tempo il corpo del Santo veniva esposto ai fedeli nel mese di agosto, la cosiddetta “estensione”, mentre per il resto dell’anno restava chiuso nell’urna nella cappella a Lui dedicata. La processione per le vie del paese avveniva ogni cinque anni.
Cartolina dell’urna di San Donato.
La processione in onore del Santo Patrono, agosto 2015.
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LE CHIESE E LE CAPPELLE
Chiesa di Santa Lucia: interno.
Santa Lucia Nel centro abitato in via Cavour “la vije di Sotte” si trova la piccola e caratteristica chiesa dedicata a Santa Lucia protettrice della vista. Al centro dell’altare, incorniciato fra gli stucchi, è collocato un dipinto della Santa, risalente al XVI secolo (1517). Santa Lucia è ritratta in un originale e fiero atteggiamento, con la mano sinistra al fianco e con la destra che sorregge un nastro da cui pendono due occhi tenuti a mezz’altezza con il braccio piegato. Su una parete si può ammirare un quadro ad olio raffigurante il Martire diacono S. Lorenzo, con Santa Lucia alla sua destra; in alto fra gli Angeli Gesù Bambino, sorretto dalla Madonna, consegna la palma alla Vergine e Martire siracusana. MADONNA DELLE GRAZIE All’entrata meridionale del paese “lu bborije” troviamo la piccola cappella della Madonna delle Grazie, a forma di edicola. Sopra l’altare un quadro ad olio alquanto espressivo: sulla Terra, figurata in un globo, Gesù Bambino pianta una croce; viene retto da un lato dalla Madonna, che reca un giglio nella mano destra. È tradizione paesana portare la Madonna in processione il 2 luglio di ogni anno.
Statua della Madonna delle Grazie.
Sant’Antonio Nel rione Sant’Antonio “vicine a lli ringhire” si incontra una graziosa chiesetta detta di Sant’Antonio consacrata alla “Beata Vergine e
Chiesa della Madonna delle Grazie.
Santa Lucia nell’affresco all’interno della Chiesa.
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Statua di Sant’Antonio. Altare. Stemma della famiglia De Leone.
al Divo Antonio”, già appartenente alla famiglia De Leone e dedicata a Sant’Antonio Abate. Nella tradizione popolare vi si teneva il Triduo alla Madonna di Pompei per la supplica, due volte l’anno, nei mesi di maggio e di ottobre. Il 17 gennaio si festeggia il Santo del quale vi è doppia statua: una lignea immobile sopra l’altare, l’altra sulla destra, vestita in modo processionale. SAN GIUSEPPE All’inizio della strada che conduce in C.da Giardino, “la firnache” c’era la Chiesa di S. Giuseppe, andata distrutta nei primi decenni del ’900. Attualmente sul posto a ricordo sono stati collocati una croce, un altarino e dei pannelli in terracotta su cui sono riportati i Dieci Comandamenti. LA CONFRATERNITA DEL S.S. ROSARIO La chiesa della Confraternita del SS. Rosario, “la cungreghe”, fino al 1970, era divisa in due parti. I fedeli occupavano l’unica navata con l’Altare Maggiore, mentre gli iscritti alla Confraternita avevano il posto riservato nel “coro”. Sullo sfondo l’altare con l’urna del Cristo Morto. Del coro ligneo che occupava l’intera parete destra resta la parte centrale con i posti del Rettore, del Priore e del Primo Assistente. Attualmente è rimasta un’unica navata per le funzioni religiose, mentre la parte del coro è adibita a sala parrocchiale. CHIESA RURALE DI SAN DONATO In contrada Piano S. Donato, adiacente al cimitero, sorge la chiesa “rurale” di San Donato. Interessanti i due altari in stile barocco risalenti al XVII secolo e il tetto, le cui pianelle di terracotta sono dipinte con vari motivi e, su una di esse si legge la data del 1696. Ha una sola navata, con vasto retroaltare per sagrestia e caratteristico sottopassaggio per l’entrata laterale detta del “perdono”. Nel tondino che sovrasta l’altare, si legge questa scritta: “Chi tien Donato il Santo/intercessore presso l’Eccelso/Iddio mal non paventi se delle/grazie divin dispensatore” Davanti alla Chiesa c’era un grande porticato, abbattuto nei primi anni del novecento per permettere il passaggio delle autocorriere. All’interno della Chiesa erano presenti due tele raffiguranti una la Di Castijune s’armane ngandate
Facciata della Chiesa di Sant’Antonio.
Foto originale della Chiesa di San Giuseppe andata distrutta.
Particolare del luogo dove sorgeva la Chiesa di San Giuseppe.
Particolare del coro della Chiesa della Confraternita del S.S. Rosario.
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L’altare della Chiesa della Confraternita del S.S. Rosario.
Chiesa rurale di San Donato.
Tetto della chiesa rurale di San Donato: si notano le pianelle di terracotta dipinte.
Vergine in Gloria e l’altra S. Donato in ginocchio con un angelo che sorreggeva davanti a lui un libro con la mezza luna; tele trafugate da ignoti negli anni settanta. MADONNINA DEL GRAPPA Poco fuori dal paese nel “Parco della Rimembranza” si incontra la Cappella votiva della Madonnina del Grappa, eretta a ricordo dei Caduti della Grande Guerra. Era tradizione piantare per ogni caduto un alberello. Nel parco ancora oggi sono visibili i cippi posti a ricordo delle gesta eroiche del Ten. Col. Gennaro Pensieri. Sulle pareti laterali della Cappella, sono poste due lapidi con i nomi dei caduti in guerra.
Statua della Madonnina del Grappa.
Cappella della Madonnina del Grappa.
SAN GIOVANI BOSCO In contrada Piane si trova una piccola chiesa ad una sola navata dedicata a San Giovanni Bosco. Fu la prima sorta in Italia dopo la Santificazione di Don Bosco. Inaugurata il 26 giugno 1935 alla presenza
Cartolina dell'inaugurazione del monumento ai caduti di guerra.
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Facciata della Chiesa di San Giovanni Bosco.
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Resti della Chiesa di San Salvatore.
di S.E. Monsignor Carlo Pensa Vescovo della Diocesi Penne-Atri. Di recente, a causa del consistente incremento demografico della zona, la chiesa è stata ristrutturata ed ampliata.
Chiesa di Santa Maria: reperto forse proveniente dal Colle San Giorgio.
SAN SALVATORE Chiesa di origine settecentesca, posta sulla collina omonima con una bellissima vista sul paese. Fino a pochi anni addietro era tradizione dei castiglionesi recarvisi il giorno dopo la pasquetta per una scampagnata. Santa Maria dello Spino Nella contrada Borea Santa Maria sorge l’omonima chiesa di Santa Maria dello Spino precedentemente denominata “Santa Maria a Luquiano” o “Luquianum” o “Lucusanum”, sorta probabilmente sui ruderi di un tempio romano. L’antico nome forse deriva da “Lucus Dianae”, ossia bosco dedicato alla divinità romana Diana Efesina, dea della caccia. La chiesa, ristrutturata, si mostra oggi con il suo semplice Chiesa di Santa Maria: particolari dell’acquasantiera.
Chiesa di Santa Maria: un capitello corinzio sostiene la pietra dell’altare.
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Chiesa di Santa Maria: particolare del portale.
portale con arco a sesto acuto. All’interno conserva due larghe pietre lavorate, un’acquasantiera che reca sul fondo un toro in rilievo, e un grande capitello corinzio in marmo bianco (altare) proveniente, probabilmente, dal vicino luogo di culto di Colle San Giorgio risalente al periodo italico. A lato della chiesa c’era una torre, abbattuta negli anni sessanta, che gli abitanti della zona chiamavano “Lu turrijone”. In realtà si trattava di resti di un vecchio convento benedettino, come risulta da documenti attestanti la presenza di un Abate. Una leggenda racconta che il brigante Partenza avesse nascosto dei tesori in questi luoghi. È bene ricordare che sul piazzale antistante il sagrato della chiesa fino a pochi anni fa, ogni lunedì di Pasqua, si svolgeva una festa particolare, dal sapore pagano, ricca di uova sode, carni alla brace, “cavalli e pupe”, vino e gustose sfide paesane.
Facciata della Chiesa di Santa Maria prima del restauro.
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Panorama di Appignano.
APPIGNANO
È
un antico borgo che conserva ancora intatte le sue caratteristiche di abitato incastellato medievale del XV secolo con una torre quadrata, di probabile origine longobarda, inglobata nel Palazzo Pensieri. L’abitato, situato a pochi chilometri di distanza da Castiglione Messer Raimondo, ne costituisce l’unica frazione e ne ha seguito, nel tempo, le vicende storiche. Il nome Appignano è di origine romana e deriva dal latino “apud Janum”, vicino a Giano. La denominazione indica, quindi, che l’antico borgo fu costruito nei pressi di un tempio dedicato al Dio Giano, il più importante tra gli dei nel culto dei popoli Italici e Romani. Negli scavi archeologici eseguiti, a breve distanza dal centro abitato, è stata riportata alla luce una tomba ipogea femminile all’interno della quale sono stati rinvenuti tre ciondoli di bronzo a batocchio, un’armilla in bronzo ed un tubetto di bronzo traforato per collana. Nella stessa località sono stati ritrovati un frammento di cippo calcareo con una scritta monca in lingua latina, alcune lastre di pietra albana ed un lastrone più grande senza iscrizione. Luigi Sorricchio, studioso atriano di fine ottocento e inizio novecento, classifica i resti scoperti come coevi a quelli di Pretara presso Atri e quindi databili al VII-VI sec. A. C. Nel XII secolo Apignanum è citato sul Catalogus Baronum che ne documenta, con Castillionem, l’appartenenza a Galgano di Collepietro. Altre testimonianze sono riscontrabili negli scritti dello storico Flavio Biondo vissuto tra il 1392 e il 1463 che, nella sua opera “Italia illustrata”, cita il Castello di Pignanum tra quelli ubicati sulla destra del fiume Selino. Di Castijune s’armane ngandate
Il castello di Appignano.
Veduta laterale del castello.
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Appignano: Chiesa di San Pietro.
L'interno della Chiesa di San Pietro.
Anche lo storico domenicano F. Leandro Alberti nella sua opera “Descrittione di tutta Italia”, pubblicata nel 1553, cita il castello di Pignano, tra quelli ubicati sulla destra del fiume Sino (Fino). Nella Galleria delle Carte Geografiche, realizzata in Vaticano da Antonio Danti di Perugia negli anni 1580-1583, è rappresentato il Castello di Appignano. Dal 1439 Appignano passa fra i possedimenti degli Acquaviva, i quali lo cedono nel 1529 a Sergio Frezza, cui succederanno il figlio Giovanni Girolamo e il nipote Giovanni Francesco. In quegli anni, fino alla metà del XVII secolo, la popolazione si attesta mediamente sui 40 fuochi. Le vicissitudini finanziarie della famiglia Frezza comportano la cessione del feudo ad Alessandro Benvenuti. La famiglia Benvenuti ne resta proprietaria fino al 1617 quando Appignano viene ceduta a Cesare Scorpioni. Il 12 settembre 1712, Nicolantonio Castiglione, Barone di Appignano richiede l’autorizzazione per la compilazione di un nuovo Catasto, in quanto precedentemente sono intervenute cessioni di beni che hanno modificato radicalmente le proprietà riportate su quello in vigore. La Regia Camera autorizza la richiesta ed il 17 febbraio 1713, il Governatore Nicola Baroni inizia il lavoro coadiuvato dai due apprezzatori e stimatori Francesco Di Falcio e Giovan Domenico di Francesco eletti dal Gran Consiglio dell’Università. Ogni sera, fino al 30 giugno, il pubblico balivo Sebastiano Di Donato, legge i bandi per invitare i proprietari ad iscriversi nel Catasto e dare conto delle loro proprietà da assoggettare a tassazione. Il nuovo Catasto si compone di 70 carte. Vi sono iscritte 68 persone tra i quali il Barone Nicolantonio Castiglione ed il Marchese Francesco Maria De Petris. Il territorio di Appignano risulta diviso in 65 contrade e comprende i Feudi di S. Clemente e Casalorito. Nel catasto del 1713 sono descritte otto fontane, ma ne resta solo una, tutte le altre sono state smantellate a seguito della realizzazione dell’acquedotto pubblico nel 1923. Nel 1926 viene portata l’energia elettrica. Fino alla prima metà del Novecento erano attivi due frantoi, di cui uno a trazione animale. Si contano poi tre mulini di cui uno ad acqua e due elettrici, uno di questi è rimasto in attività fino agli anni settanta.
Stemma della famiglia Pincelli situata all'interno della Chiesa di San Pietro.
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LE CHIESE Di Appignano SAN PIETRO S. Pietro Apostolo è la chiesa parrocchiale di Appignano e risale al XII secolo. La data del 1571, nell’epigrafe posta sul portale della chiesa, non deve trarre in inganno: come hanno evidenziato recenti studi (DAT V, volume 2) sulla base del campanile una muratura in conci ben squadrati, nella quale si apre una monofora con grosse cornici di blocchi di pietra strombati e un architrave strombato a tutto sesto, testimonia un impianto ancora precedente (fine XIII sec.). La chiesa fu restaurata nel 1735 e presenta una facciata rettilinea racchiusa da due lesine angolari. L’interno si presenta oggi in veste settecentesca, a vano unico, con altari lungo le due pareti laterali decorati da stucchi di fattura artigianale. Tra le pale dell’altare si segnala una Madonna del Rosario datata 1769 e firmata da Giuseppe Prepositi, artista atriano, il quale firma anche la pala del secondo altare di destra (1770) e forse quella dell’altare maggiore con la consegna delle chiavi a San Pietro. Opere realizzate grazie al mecenatismo della famiglia Pincelli. MADONNA DEL CARMINE Fuori dalla cerchia muraria è la chiesa della Madonna del Carmine, costruita su una precedente cappella nel 1858 come ex voto, per volontà e con il contributo degli abitanti per aver la Madonna “prontamente liberato” il paese dalla terribile peste del 1855. Dell’edificio più antico sopravvive un’acquasantiera a calice in pietra. Chiese oggi scomparse sono quelle di San Michele, citata nella Bolla di Papa Lucio II° del 10 giugno 1184 e quella di Santa Maria Lauretana facente parte del convento.
La facciata della Chiesa della Madonna del Carmine.
L’altare della Chiesa della Madonna del Carmine.
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Chiesa di San Pietro: particolare del portale laterale.
Chiesa di San Pietro: particolare della scritta 1571 sul portale.
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Resti del convento di Appignano.
IL CONVENTO di Appignano I FRATI MINORI CONVENTUALI DI APPIGNANO (provincia di San Bernardino) RELAZIONE SUL CONVENTO tratta da: P.N. Petrone “Relazione sui conventi d’Abruzzo” redatte nel 1650. Bibl. Tommasiniana, Tagliacozzo 1998 Resti di una statua lignea raffigurante Sant'Antonio in una vecchia foto.
Foto recente della statua lignea.
Il convento di San Francesco dell’ordine dei Frati Minori Conventuali situato nel territorio di Appignano diocesi di Penne e d’Atri, lontano dall’habitato quasi un miglio alla riva del fiume Fino, è fuori di strada. Quando fosse fondato non si trova, ma il P. Pisano ne fa memoria nelle conformità, “e si tiene sia stato preso dal Nostro P.S. Francesco, il che si puote credere si per essere luogo solitario e molto atto alla contemplazione, si perché sta vicino a Città di Penne, ove sappiamo di certo, che il nostro Serafino Padre fondò et habitò quel nostro convento”. Have la chiesa sotto l’invocazione di S. Maria di Loreto d’una sola e piccola nave, col choro, che serve anco per sagrestia, e campanile con una campana. È di struttura comodo, benchè angusto, have chiostro quadrato con logge sotto e sopra, sei camere nell’habitazione superiore, e nell’inferiore tutte l’officine, cioè cucina, cucinotto, cantina, refettorio, fondaco, stalla et cisterna in mezzo al cortile. Occupa di sito canne cento. L’anno 1631 con l’autorità della felice memoria di Urbano Ottavo vi fu prefisso il numero di quattro religiosi tra sacerdoti e serventi e di presente v’habitato di famiglia il P. fra Lelio d’Ottaviani da Montorio, sacerdote guardiano, e fra Bernardino Giuliani da Città Sant’Angelo, laico professo. Di Castijune s’armane ngandate
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Il Monastero di Appignano faceva parte della “Custodia Pennese”, era composto di sei stanze al piano inferiore e sei a quello superiore con un chiostro quadrato ed un doppio loggiato; resti dell’antico complesso sono ancora oggi visibili. Secondo il De Carolis, la fondazione del convento potrebbe risalire, al 1216, epoca del passaggio di San Francesco D’Assisi da Penne a Castiglione della Valle, per sedare la contesa tra i baroni di Castiglione e i Palmieri di Tossicia. A quell’epoca risaliva la cosiddetta “strada reale”, che collegava la vallata del Vomano con quella del Fino, il cui antico tracciato, ai tempi dell’impero augusteo, era una appendice della via Caecilia, a sua volta diramazione della via Salaria. A riprova il Martelli asserisce che il Santo “Entrò nella valle siciliana” in un meriggio di luglio attraverso le colline di Castel Castagna, passando quindi per Bisenti. Nel 1400 la provincia di Penne contava quarantadue conventi. La sola Custodia Pennese, secondo Fra’ Paolino da Venezia, era formata da sei conventi: Penne, Loreto, Catignano, Alanno, Tocco e Manoppello. Nel 1650 ne risultavano nove, essendo stati aggiunti i conventi di Appignano, Castiglione della Pescara e Nocciano. Convento di Penne Convento di Alanno Convento di Appignano Convento di Castiglione P. Convento di Catignano Convento di Loreto Aprutino Convento di Manoppello Convento di Nocciano Convento di Tocco
9 religiosi 5 frati 2 frati 5 frati 4 frati 12 frati 5 frati 3 frati 4 frati
Nel XVII secolo sul suolo abruzzese esistevano 76 conventi, di questi 57 facevano parte della provincia di San Bernardino, (già provincia di Penne) così suddivisi: Custodia Aprutina Custodia Aquilana Custodia Atriana Custodia Marsicana Custodia Pennese Custodia Teatina Totale
Conventi Conventi Conventi Conventi Conventi Conventi Conventi
n.12 n.12 n.5 n.9 n.9 n.10 n.57
frati n. 51 frati n.122 frati n. 32 frati n. 37 frati n. 51 frati n. 60 frati n. 353
Nella XXV sessione del Concilio di Trento, si iniziò a parlare della riforma degli ordini religiosi. Nel marzo del 1649, spinto dal Card. Fagnani, il Pontefice Innocenzo X istituì la “Congregazione sullo stato dei religiosi”. Si vociferò che detta Congrega stesse discutendo le condizioni dei piccoli conventi, e si paventò la minaccia della loro soppressione. In base alle relazioni dei superiori, la congregazione suddivise i conventi Di Castijune s’armane ngandate
Particolari di una stele posta all'ingresso del Convento.
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in tre classi: facevano parte della prima classe le comunità composte da oltre 12 religiosi; erano considerate di seconda classe le comunità che avevano da 6 a 11 religiosi, infine appartenevano alla terza classe quelle comunità che contavano meno di 6 frati. Fu stabilita la chiusura dei conventi dove alloggiavano meno di 12 frati. Il 15 ottobre del 1652 fu pubblicata la bolla “instaurandae regularis disciplinae”, che sancì, in pratica, la chiusura di ben 457 conventi su 907 esistenti in Italia. La notizia della chiusura “dei conventini” creò malcontento non solo tra le comunità religiose, ma anche tra la popolazione dei piccoli centri dove sorgevano queste istituzioni, spesso isolate dai grandi centri abitati ma molto apprezzate dagli umili abitanti. Seguirono vibrate proteste, che spinsero la Santa Sede a rivedere il tutto; infatti, il 10 febbraio del 1654, emanò il decreto “Ut in Parvis”, stabilendo che i conventi con almeno 6 religiosi non andavano soppressi. Con l’entrata in vigore della bolla “instaurandae regularis disciplinae” e del successivo decreto “ut in parvis”, in Abruzzo, chiusero i battenti ben 28 conventi, tra questi quello di Appignano.
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Personaggi storici
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Personaggi Storici
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el corso dei secoli a Castiglione Messer Raimondo sono nati e vissuti diversi personaggi che con le loro opere hanno dato lustro al paese e sono meritevoli di ricordo da parte delle future generazioni. Quasi tutti i personaggi appartenevano ad illustri famiglie, quali De Filippis, De Dominicis, Moschetta, De Leone, Candelori, Luciani, Pensieri… Ricordiamo l’Arciprete Antonio De Filippis, che si interessò per far arrivare a Castiglione M.R. il 22 luglio 1843 le sacre spoglie di San Donato Martire; il Capitano della Guardia Nazionale Clemente De Dominicis; il Medico ed Igienista Saverio Luciani; il Deputato Provinciale Tito Candelori; lo storico e sagace amministratore Saverio De Leone e i Parroci Giuseppe e Pietro Moschetta. Tra gli altri merita un particolare ricordo Mons. Ernesto Barlaam, parroco per cinquantanove anni, che con la sua opera pastorale ha contribuito alla formazione di più generazioni di giovani. Nelle pagine seguenti abbiamo ritenuto opportuno soffermarci sulla vita e sulle opere di quattro concittadini, che, a vario titolo ed in tempi diversi, hanno mostrato attaccamento vero e profondo al paese, sia cercando di migliorarne le condizioni di vita e sia lottando per gli ideali di libertà. I personaggi di cui tratteremo sono: Domenicantonio Toro, Gran Maestro della Carboneria; Michele Candelori, Medico Igienista; Gennaro Pensieri, eroe di guerra; Angelo Pompei, Maestro e Fondatore della Cassa Rurale ed Artigiana.
Di Castijune s’armane ngandate
Figura ideale di Domenicantonio Toro: busto collocato nella facciata della scuola a lui intitolata.
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Domenicantonio Toro
1767-1865 Patriota
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acque a Castiglione nell’anno 1767, nella casa paterna situata a Capo del Borgo, da Francesco e Rosa Romani. La famiglia di agiate condizioni, poté mantenerlo agli studi a Napoli. Ritornato a Castiglione svolse l’attività di agrimensore. Fu amato e stimato dai cittadini per la sua rettitudine; dal matrimonio con Maria Nicola Ruscitti ebbe due bambine: Lucia e Raffaella. Morì il 12 febbraio 1865, quasi centenario, dopo aver visto realizzati i suoi ideali. Nell’Ottocento, prima nel periodo francese e poi sotto la restaurazione borbonica, Castiglione è uno dei centri dove la carboneria è più attiva. Nel 1814 vi è operante una “vendita” carbonara denominata “Auspici della Fortuna”, diretta da Domenicantonio Toro. Essa è collegata con le altre di Penne, Penna S. Andrea, Città S. Angelo, Pescara e Loreto. Il 19 marzo 1814 tutti i carbonari e massoni della zona si radunano segretamente in Castellammare Adriatico per concordare una insurrezione da far scoppiare il 25 marzo a Pescara: gli insorti avrebbero dovuto occupare la fortezza. Alla data appena citata convengono a Pescara tutti i carbonari ma la rivolta fallisce per tradimento o ingenuità di Gennaro Sabatini, carbonaro di Pescara. La rivolta, però, scoppia ugualmente il 27 marzo a Città S. Angelo, poi a Penne, a Castiglione ed a Penna S. Andrea. A proposito della sollevazione di Castiglione narra il Castagna: <<Nello stesso giorno (27), sollevossi anche Castiglione Messer Raimondo, luogo popolato in quel tempo da due mila e due centinaia di anime a un di presso. Era in Castiglione Gran Maestro dei Carbonari l’agrimensore Domenicantonio Toro e con lui i suoi più confidenti nella setta, cioè Domenico Luciani e il chirurgo Serafino Giuliani, fratello costui dell’altro chirurgo Vincenzo... Messosi meglio il giorno chiaro, il Toro e tutti gli altri della Carboneria si condussero primamente nella chiesa di San Rocco, posta a capo della loro terra, ad invocare favoritore della impresa Iddio Ottimo Massimo. Quivi il vicecurato Michele De Paulis, celebrata solennemente la messa, diede principio al canto del “Te Deum”, mentre due dei carbonari presenti ai lati del Toro, che in posto distinto sedeva fra essi, incoronarono il capo del loro Gran Maestro con segno di vittoria... Usciti di chiesa, il popolo diffondevasi per le vie dell’abitato e il Toro, postosi nella cosa pubblica, e col Luciani e col Giuliani, lavorandovi intorno provvedeva alle maggiori e più urgenti faccende della patria... Il giorno seguente, portato colà sulla pubblica piazza una albero da innalzare, simbolo della libertà e della Repubblica, il Toro e gli altri non vollero da per loro, ma ne chiesero al De Cesaris di Penne, il quale consigliò soprassedersi finchè il governo angolano, in cui erano i poteri, non l’avesse ordinato. Erano tali gli accordi. Così i Castiglionesi vi stettero, ed Di Castijune s’armane ngandate
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Targa a ricordo dei carbonari castiglionesi.
Facciata dell’edificio scolastico intitolato a Domenicantonio Toro.
esercitandosi concordi, e secondo potere saldando uomini, tenevano sempre vivo l’ardore della libertà.>>. Da quanto sopra si deduce come il Toro fosse un personaggio eminente della Carboneria, molto rispettato da tutti gli altri aderenti, castiglionesi e non. Il 28 marzo un contingente di circa 200 uomini di Penne, Castiglione e Città S. Angelo viene spedito nella notte verso la fortezza di Pescara ma il tentativo muore sul nascere per motivi occasionali: la legione, che procede di notte in un bosco nelle vicinanze del fiume Saline, al rumore accidentale di uno sparo, credendo di essere assalita dai nemici, si scompone e si dà alla fuga. Nonostante questo insuccesso, il 31 marzo un altro contingente di 300 uomini composto di angolani, pennesi e castiglionesi, muove verso Teramo che, secondo i patti, si sarebbe dovuta sollevare. Ma i carbonari, vedendo la città estranea al conflitto, evitano inutili perdite e si ritirano a Città S. Angelo. Dopo l’ulteriore fallimento, i carbonari insorti, presi da sconforto, depongono le armi ed al generale Amato in Chieti viene chiesta clemenza, cosa che tutti i comuni ottengono. Quando al generale Amato subentra il Montigny, costui invia le sue milizie nei paesi ribelli e stabilisce il proprio quartier generale a Città S. Angelo. Tutti i capi della sommossa, compreso il Toro, sono alla macchia. Ha inizio la repressione. Il 1° giugno vengono arrestati La Noce, Marulli e Castagna. Quanto al Toro, citiamo ancora il Castagna: <<L’agrimensore Toro, vista la mala parata e come non fosse punto da indugiare, si pone in salvo fuori della sua Castiglione, e andava vagabondo in qua e in là nelle circostanti campagne, così senza posa ferma, perché sperava eziandio che i rigori dovessero allentare. La conoscenza dei luoghi, e già molte gliele aggiungeva l’esercizio della sua professione, e le scorciatoie e i viottoli tutti a lui noti, gli concedevano in quel continuo aggirarsi una sicura superiorità nell’evitare i lacciuoli del nemico... Quel suo fil di speranza ad ora ad ora gli veniva meno, finchè, disperato di aiuti, si lasciò calare ai consigli dei più e spontaneamente presentossi in Teramo al Rettore della Provincia... Il nuovo acquisto nel modo come erasi posto, forse non piacque, poichè i regii per le delusioni toccate erano in dispetto e lo sdegno delle inghiottite beffe ribollendo nei loro animi rugumanti intesero rifarsi. Per la qual cosa, a vista pubblica e con atto feroce, smesso ogni altro sentire e senza nessuno interponimento di tempo, legarono il prigionero alla coda di un cavallo, e in questo modo tranandolo nella strada più lunga, e innanzi deviando fino a veduta del suo paese per addoppiargli il dispregio, lo condussero da Teramo a Chieti, dove malconcio come erasi fatto, lo buttarono nel carcere.>>. A Città S. Angelo evita la cattura il medico chirurgo Serafino Luciani che ha la condotta a Castiglione. Qui cadono nella rete Domenico Luciani e Domenico Simoni. A Castiglione si nascondono il sacerdote Michele De Paulis, Pietro Giacomo Piccirilli e il tenente delle guardie repubblicane Nicola Moschetta. Di Castijune s’armane ngandate
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57 Cartolina d’epoca della scuola elementare intitolata a Domenicantonio Toro.
Sfuggono alla cattura lo speziale Camillo Papa e Francesco Simoni, fratello di Domenicantonio. Il 17 luglio a Penne, presso la chiesa di S. Spirito, furono fucilati il canonico Domenico Marulli, il medico Filippo La Noce, entrambi di Città S. Angelo, e il capitano De Michaelis di Penna S. Andrea. Eseguita la condanna, ai cadaveri fu mozzata la testa perché venisse esposta nel paese di origine dei patrioti. Il Toro, benché ancora malconcio, fu portato da Chieti a L’Aquila e gettato nel carcere del Castello, detto del Coccodrillo. Temendo di morire di freddo e di sete, scrisse le sue ultime volontà alla moglie Maria Nicola Ruscitti, che si dava da fare per comperare la grazia. Condannato a morte, la pena gli fu tramutata in ergastolo. Secondo il Castagna, la moglie sborsò per questo 1.100 ducati e 60 grani. Più tardi, col ritorno dei Borboni, in virtù del condono generale concesso, il Toro uscì dal Coccodrillo nel 1815. E il Castagna così conclude: <<Da quel medesimo carcere del Coccodrillo fu cacciato il Toro, agrimensore e speziale insieme, il quale nel commovimento politico dell’ottocentoventi stette novellamente Gran Maestro fra i carbonari del suo paese; e il cuore sempre fisso nei nuovi ordini civili, non ostante che per essi avesse cimentato la vita e distrutto le sostanze sue, applaudì alle rinnovate cose del quarantotto e del sessanta. E pure i nuovi usufruttuarii di quella libertà da loro non fatta, non si ricordarono mai del povero vecchio venerando, che poscia morì il dodici febbraio del milleottocentosessantacinque nella gravissima e bella età di novantotto anni.>>. Come segno di riconoscenza, la popolazione di Castiglione ha voluto intitolare al Gran Maestro della Carboneria l’edificio scolastico sorto nel sito occupato dalla chiesa di S. Rocco, dove Domenicantonio Toro era stato “incoronato con segno di vittoria”.
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Michele Candelori
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Michele Candelori
1853-1916 Medico
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ato nel 1853 a Castiglione Messer Raimondo, apparteneva ad una illustre famiglia che ha dato al paese, oltre a Don Michele (così lo chiamava il popolo), il geometra Ernesto, sindaco per cinque lustri, il dott. Tito, valente avvocato del foro teramano, l’apprezzato notaio Lino, nonché il prof. Candeloro, docente di matematica e fisica presso l’Istituto Tecnico di Pescara. Don Michele compì gli studi secondari nel Seminario di Atri, quando questo istituto era molto conosciuto ed apprezzato; ne era rettore Lino Romani e vi insegnavano uomini del valore dei Cherubini e Mambelli. Di vivido ingegno, memoria prodigiosa e avidità di sapere, ne uscì con un corredo culturale superiore a quello dei giovani della sua età. Studiò medicina nella Regia Università di Napoli e, laureatosi, divenne subito assistente del celebre Arnaldo Cantani, professore di clinica medica e praticò la clinica di Gaetano Paolucci che ebbe a prediligerlo ed al quale dolse che il Candelori fosse tornato in provincia “a perdersi” (come egli diceva) perché non gli sarebbe mancato un posto nell’insegnamento. Fra gli altri colleghi di studio, Michele ebbe Domenico Tinozzi, poi deputato al parlamento per molte legislature. Costui fu un uomo competente, laureato anch’egli in Medicina a Napoli, ma verso di lui il nostro compaesano nutrì una non celata avversione, forse per motivi politici. Don Michele non resistette alla vita universitaria e preferì tornare a Castiglione, dove esercitò la professione con sapienza, dedizione e disinteresse, prestando le sue cure soprattutto ai poveri e ai derelitti. Non fu solo un medico instancabile, buono e onesto, ma anche un insigne igienista.
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Sigillo del Notaio Lino Candelori su atto di vendita del 1898.
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Quando l’acquedotto era ancora un sogno e per attingere l’acqua
Lapide a ricordo di Michele Candelori presso la scuola media.
si andava alla fontana della Ricchiera, a quella della Cava o al pozzo delle Vicenne, il tifo a Castiglione era una malattia sempre ricorrente in ogni stagione calda dell’anno. Don Michele istituì un locale di isolamento, una specie di lazzaretto, attrezzato con tutti gli accorgimenti tecnici del tempo. Un giorno ebbe la visita di un alto personaggio della sanità (le relazioni col mondo culturale erano la sua passione), al quale dette ragione e conto dell’impianto. Al commiato, l’alto personaggio, profondamente ammirato, evitò le consuete congratulazioni verbali, trasse di tasca un biglietto da visita e, con una calorosa stretta di mano, glielo porse con questa magnifica scritta: <<Castiglione Messer Raimondo docet.>>. Ma Don Michele cercava una soluzione definitiva a questo stato di cose, studiò il problema, capì che la causa di tante morti risiedeva nell’acqua cattiva, pensò che nelle nostre montagne c’era acqua buona in abbondanza e maturò l’idea di portare la stessa nella zona vestina e, quindi, nel proprio paese. Diventò alpinista, passò di vetta in vetta, seguì il corso dei fiumi, risalì il Tavo, si fermò al Vitello d’Oro e studiò ed analizzò quella sorgente: l’acqua, ottima in tutte le stagioni, durante le piogge però diventava torbida e inquinata. Rinunciò a quella sorgente ma poco più in alto arrivò al Mortaio d’Angri, ripeté i saggi e finalmente poté dire di aver trovato l’acqua pura che cercava. Don Michele, che fin dal 1891 aveva posto attenzione in quelle acque, negli anni successivi studiò approfonditamente il contenuto di germi e microrganismi, nonché il grado di durezza riferito a Calcio e Magnesio. Trovata la sorgente, bisognava studiare il tracciato della conduttura e trovare un ente disposto a finanziare un’opera al limite del pazzesco. Don Michele non mostra incertezze o cedimenti: acquista libri di ingegneria, studia, diventa dotto in quella materia ed alla fine, lui medico, diventa anche ingegnere e redige il progetto per una conduttura destinata a servire i centri di Penne, Atri, Castellammare Adriatico e, naturalmente, Castiglione. Il tema diventa serio e le autorità cominciano ad interessarsene: ogni paese sogna la possibilità di avere acqua “corrente”. Non mancano gli ostacoli, non piace la soluzione del Mortaio d’Angri, troppo a monte e tale da generare alti costi. Si ritiene che essa sia voluta per favorire Castiglione. Don Michele è irremovibile. IL 23 luglio 1893 viene costituito a Penne un “Consorzio inteso a dare opera ad una conduttura di acque potabili con derivazioni dalle sorgenti del Tavo”; sono presenti rappresentanti di 18 comuni e per Castiglione c’è, ovviamente, Michele Candelori. Qualche tempo dopo iniziano i lavori, si scava una lunga galleria entro la montagna, si costituisce un bacino di raccolta e l’acqua viene avviata verso Atri da una parte e verso Penne e Castellammare Adriatico dall’altra. Di Castijune s’armane ngandate
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61 Foto inizi novecento dell’apiario Candelori realizzato sotto la Chiesa di San Giuseppe.
La Federazione dei Tre Acquedotti delibera l’apposizione di una lapide col medaglione di Michele Candelori ad Angri, l’Acquedotto di Atri delibera, in omaggio a Don Michele di lasciare una fonte, quella del Fosso a Castiglione, fuori della conduttura comunale. Il problema è ormai avviato a soluzione. Ma Don Michele non c’è più: il 1° marzo 1916, minato da tempo da un male lento e insidioso, se ne va fra il cordoglio di tutta una regione. Profonda fu la commozione quando il 31 luglio 1921 l’acqua arrivò, sgorgando limpida, davanti la chiesa della Congrega, in molti piansero, qualcuno, con Don Teofilo De Dominicis, amico d’infanzia di Don Michele, si gettò sotto il cannello come volerlo baciare, come voler abbracciare colui che non c’era più. Don Michele, oltre ad essere medico, igienista e ingegnere, fu anche uomo politico, partecipando attivamente alla vita amministrativa di Castiglione. Ricoprì la carica di consigliere comunale e, per qualche anno, quella di sindaco e come tale intraprese il risanamento igienico del paese, creò il viale dei tigli (l’attuale viale Umberto I), il largo XX Settembre e tante altre opere di pubblica utilità. Fu anche delegato scolastico mandamentale e rifiutò ogni altra carica, proteso solamente a migliorare le condizioni di vita dei castiglionesi e, soprattutto, delle persone più umili e bisognose. Non si presentò mai come deputato, si interessò esclusivamente del suo paese e si adoperò con successo affinché i castiglionesi fossero presenti nei maggiori centri di potere della provincia. Infatti, in quel periodo, il castiglionese Ludovico De Petris era Presidente della Provincia e un altro castiglionese, Tito Candelori, ne era consigliere; Penne, capoluogo del nostro circondario, era amministrato dal sindaco Don Saverio De Leone, mentre al capoluogo di mandamento era sindaco Don Cicco Pensieri: a preparare e volere tutto ciò era stato Michele Candelori. Bisogna infine ricordare come Don Michele coltivasse una bella passione: amava in particolar modo le api e, nei pressi del paese, vicino alla chiesa di S. Giuseppe (oggi non più esistente e sostituita da una piccola area votiva), aveva creato un apiario, vero “eden” per Di Castijune s’armane ngandate
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La Fontana posta a ricordo della grandiosa opera del dott. Michele Candelori, sulla facciata del Municipio.
gli amati insetti: una larga siepe ricca di tante rose dai colori più vivi e tanti gradoni fioriti, su cui troneggiavano centinaia di arnie e con al centro un casotto modello dove era in funzione lo smielatore. “Fortunate senex !”, per dirla con Virgilio. Castiglione non ha mai dimenticato questo illustre figlio. Subito dopo la sua scomparsa il Consiglio Comunale lo ha solennemente commemorato ed ha approvato che la strada di circonvallazione all’ingresso del paese fosse intitolata “Pomerio Michele Candelori” e che nella sala del Consiglio fosse collocato un quadro artistico con l’effige dell’estinto. Nel 50° anniversario della scomparsa (1° marzo 1966), l’Amministrazione Comunale di Castiglione presieduta dal sindaco Pasquale Sorgentone ha commemorato l’illustre cittadino facendo apporre, nell’atrio della nuova scuola media, una lapide in marmo per ricordare ed intitolare la Scuola Media Statale al Dott. Michele Candelori. Si riportano di seguito alcuni articoli sul personaggio, a cura del maestro Francesco Pincelli su “La Voce di Castiglione”, del maestro Ennio De Filippis e di un cronista del “Popolo Abruzzese” del 31 agosto 1921. Francesco Pincelli, maestro elementare, altra figura importante e carismatica, in una prefazione ad un giornalino paesano da lui creato e diretto, così lo ricordò: UNA COMMEMORAZIONE RITARDATA… Sfuggì al nostro giornale una data che invece andava doverosamente ricordata. Il 1° marzo dell’anno passato correvano cinquanta anni dalla scomparsa del Dott. Michele Candelori, il concittadino che fece onore al nostro paese, per la sua opera che rimarrà nei tempi futuri segnacolo di alta civiltà e di amore per il prossimo. Ripariamo oggi, ad un anno dal mezzo secolo già trascorso, perché i giovani sappiano e gli altri non dimentichino che: “L’ACQUA CHE QUI SGORGA, HA LA SUA FONTE IN VALLE D’ANGRI, NELLA PARETE DEL GRAN SASSO D’ITALIA” e che: “IL DOTTOR MICHELE CANDELORI MEMORIA VENERATA DAL POPOLO, FU L’IDEATORE DELLA OPERA GRANDIOSA PER L’ACQUEDOTTO DEL TAVO CHE TANTO BENESSERE APPORTA ALLE GENTI D’ABRUZZO”
FRANCESCO PINCELLI
MICHELE CANDELORI: OGGI (1967) “Ad ogni mio ritorno al natio paese, sulla piazzetta del Castello, dove il frastuono spesse volte è tenuto lontano dalla patina di antichità dei muri scalcinati e dei tetti muschiosi delle nostre case, mi sembra di rivedere, nitida e distinta, la figura maestosa e bella del dottor Michele Candelori che da solo riusciva a dare a tutto il rione una sua nobiltà e ad animarlo in una sua esistenza spettacolare. L’aristocratico professionista era stato dotato da Madre Natura di un ingegno acuto e fertile, anche se ne aveva fatto un uomo silenzioso, piuttosto proclive alla mite cordialità Di Castijune s’armane ngandate
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e alla finezza squisita, doti tradizionalmente insite nella sua famiglia; suggerivano di buttar giù, solo ogni tanto, poche ma nobili parole. E lo faceva con pacata gentilezza, con obbligante cortesia, quasi scusandosi di averle pronunciate lui, uomo dotto e clinico illustre, che “da solo, combattuto prima, non sempre aiutato poi, scoprì e diede infine a tutto il popolo vestino una delle più pure acque d’Italia, quella del Mortaio D’Angri. “Medico valorosissimo e di profonda cultura umanistica e scientifica, studioso sagace dei problemi igienici abruzzesi, meritò per la sua pionieristica scoperta, a ricordo imperituro, la dedica al suo nome di un pomerio del paese e di una fontana monumentale che, purtroppo, per l’incuria di alcuni amministratori non versa più acqua da molti anni! Eppure “Don Michele non si distinse solo come clinico e come igienista, sebbene anche come ingegnere per vocazione: in tale duplice veste trascorse i suoi giorni sempre lavorando per il bene dei suoi concittadini, ai quali sapeva di volta in volta offrire pure il conforto della sua parola saggia e del suo cuore generoso. Infatti egli consacrò tutta la sua attività alla professione e allo studio dei problemi locali, non ultimo quelli della fognatura e del viale dei Tigli, cui incessantemente attese fino all’ultimo giorno della sua vita terrena. La sua immagine austera e forte, il suo volto gentile e sereno, i suoi occhi profondi, la sua prontezza e sicurezza d’intuito e la sua coscienza purissima vivranno perennemente nel ricordo commosso dei Castiglionesi, perché il generoso professionista alla vita non chiese altro che la gioia di fare del bene al prossimo e la soddisfazione dell’onestà e della serietà d’intenti. Apostolo d’amore e di pensiero, oltre che di professione, sentì il bisogno della rinuncia all’affarismo: talchè abbandonata anzi tempo e volontariamente la condotta medica al giovane collega ed amico Antonio De Filippis, problemi di pubblica utilità furono gli unici simboli ai quali dedicò anche le ore più belle della sua esistenza, per dare continuo esempio di rettitudine e di perseveranza: sempre signore e cortese con tutti, rivelava aspetti di così grande personalità che il suo nome non può non rimanere tra quella eletta schiera di professionisti vestini, nei quali la luce della
L’aula consiliare del Comune di Castiglione dedicata a Michele Candelori.
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La fontana di “Arrete a llu Fosse”.
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bontà vivificò la luce dell’intelligenza. Chè anzi, per avere egli dedicato studi, sogni e speranze all’educazione sanitaria e al miglioramento delle condizioni igieniche della gente della Valle del Fino, tutti quelli che lo conobbero ne apprezzarono le rare doti di uomo e di studioso, di medico e di cittadino certamente il più buono e il più bravo di tutti”.
ENNIO DE FILIPPIS
L’ACQUA A CASTIGLIONE - 31 LUGLIO 1921 Da “Il Popolo Abruzzese” del 31 agosto 1921
Fanfulla Bufo: uno degli operai realizzatori dell’opera.
Il sindaco di Castiglione cav. Ernesto Candelori, fratello di Michele Candelori.
Dopo un trentennio di aspettative e di ansie, finalmente il 31 luglio u.s., vedemmo qui zampillare da una pubblica fontanina, situata all’entrata del paese, fresca ed abbondante l’acqua del Mortaio D’Angri. È un sogno lungamente vagheggiato, che alla fine diventa lieta realtà; è una resurrezione, aspettata in aspre vigilie, quelle che alfine annunziano le pure linfe sprizzanti accanto alle bianche nostre case, sotto l’ombra protettrice del nostro maggior Tempio. Esse, nella loro voce sublime, pare rievochino la memoria del nostro più illustre concittadino, del non mai abbastanza compianto dott. Michele Candelori, scomparso troppo prematuramente per poter assistere alla semplice, alla bella ma pur commovente e solenne cerimonia, alla quale prese parte tutto il nostro popolo nonché le nostre autorità, con bandiere. La graziosa festa venne aperta con spari di mortaretti, e dopo la rituale benedizione impartita dal nostro rev.do parroco don E. Barlaam alle acque salubri, fresche ed abbondantissime della nuova fontana, sorse a parlare l’illustre signor dottor Antonio De Filippis. Egli, da vero oratore, come cittadino, inneggiò all’opera santa; come ufficiale sanitario, ricordò i benefici grandissimi che a noi derivano da una buona ed abbondante acqua potabile: come amico e collega del compianto dott. Candelori, lo ricordò con grande passione, come nessun altro avrebbe potuto saper fare, salutandolo vero apostolo del bene e del quale la solenne cerimonia era un’alta, purissima glorificazione del suo sogno più bello, dell’opera sua più poderosa ed imperitura. Riscosse applausi interminabili, quando ricordò, che il dott. Candelori per quest’ora sublime, vide per lunghe notti insonni contrarsi la sua bella fibra leonina ed il viso pensoso impallidire sulle amate carte topografiche, segnanti la via ideale che strappasse alla nuda roccia d’Angri il suo sangue migliore e ne rigenerasse per primo questa sua cittadina da Lui tanto amata ed onorata, e poi buona parte della nostra provincia. Bene egli quindi disse che il nostro pensiero memore ed il sentimento grato doveva rivolgersi alla figura del dott. Candelori, assertore primo, zelatore continuo, mente direttrice e fattiva, vero apostolo delle acque igieniche, e del quale, nella realtà dell’attuazione, rifulge ora più provvida e sublime la idea ispiratrice, e, riordinate nel fine, appariscono auguste le fatiche perseveranti del suo cervello meraviglioso. Dopo aver parlato dell’acqua in rapporto all’igiene, ricordandosi ch’essa dev’essere amata come la virtù, soggiunse: “L’acqua che ora offre qui a noi una visione di forza e di gioia senza limiti, col suo getto lungo e possente, dice ai Castiglionesi una parola che i migliori cittadini debbono ascoltare, debbono raccogliere: un’alta parola che annunzia una sanità Di Castijune s’armane ngandate
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prosperosa, la quale vuole essere base di tutti gli avanzamenti ulteriori, di tutte le maggiori fortune; siate uniti nelle opere gloriose di pace, di amore, di igiene, ed avanzamenti e fortune saranno prossime e grandi.” Chiuse il suo discorso, moltissime volte interrotto da frenetici applausi, consegnando in nome del nostro popolo la fontana lustrale al nostro illustre signor Sindaco ed alla solerte amministrazione comunale, perché la facciano rispettare da tutti, come una divinità sacra, simbolo del risveglio del nostro paese, di progresso verace e durevole! Iddio ed il popolo, conchiuse, ce l’han data, guai a chi volesse togliercela! Parlò poi il nostro Sindaco Ernesto Cav. Candelori, il quale, nel prendere in consegna la nuova fontana, inviò un riconoscente saluto a quanti, professionisti, autorità ed operai, avevano dato le forze del loro ingegno e del loro braccio per l’attuazione di un’opera tanto benefica, Parlarono poi il prof. Silvestri Silvestro e l’operaio Bufo Fanfulla, a nome di anche di tutti i suoi compagni lavoratori, riscuotendo essi pure calorosi e numerosi applausi. Terminati i discorsi e ricomposto il corteo numeroso ed ordinato, i cittadini si recarono nella sala comunale per deporre davanti al ritratto del dott. Michele Candelori, in segno di gratitudine perenne, una corona di fiori freschi, tra gli evviva e gli applausi senza fine di tutti.
Il Palazzo Candelori.
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Gennaro Pensieri
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Gennaro PENSIERI
1885-1933 Tenente Colonnello - Eroe di Guerra
“Nè mai nobile fama si spegne nè il nome di lui, ma anche sotterra vive immortale colui che dà prova del suo valore ed a piè fermo resiste e combatte per la sua terra e i figli.” (Tirteo)
Q
uesti versi del poeta greco Tirteo, incise sulla tomba che raccoglie le spoglie mortali del Ten. Colonnello Gennaro Pensieri, esprimono compiutamente la grandezza e l’eroismo di questo personaggio che ha fatto onore al proprio paese e che i suoi concittadini non potranno mai dimenticare. Nacque l’11 novembre 1885 ad Appignano, dove trascorse l’infanzia e la prima giovinezza; nel 1905 si trasferì con la sua famiglia nel comune di Montefino in quanto il padre aveva acquistato lì un terreno con annessa abitazione. Morì a Penne il 4 novembre 1933, mentre si svolgevano le celebrazioni per commemorare la vittoria nel primo conflitto mondiale. Il suo corpo venne sepolto nella cappella di famiglia presso il cimitero di Montefino. Prese parte alla Grande Guerra, arruolandosi con il grado di Sottotenente di complemento. Nel corso del conflitto ottenne due promozioni per meriti di guerra e si distinse in modo particolare per le azioni contro le linee nemiche a Korite-Selo, tanto da essere decorato più volte al valor militare: due medaglie d’argento, due medaglie di bronzo ed una croce di guerra. È quanto meno doveroso ricordare un momento significativo del conflitto. Settembre 1917: il comandante del Corpo d’Armata saluta la Brigata Piceno, di cui Pensieri è ufficiale, e distribuisce le decorazioni con moti-
I cippi che ricordano il Tenente Colonnello Gennaro Pensieri nel Parco delle Rimembranze.
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vazioni dalle quali, oltre il valore personale, rifulge ancor più l’eroismo di tutto il reggimento. Il primo decorato è il Capitano Gennaro Pensieri già decorato altre volte al valor militare. La motivazione che accompagna la medaglia è la più eloquente dimostrazione dell’intelligenza, del coraggio e dell’eroismo del “nostro” Capitano: <<Sette volte arrestato da una rabbiosa difesa, con indomita fede e con tenace ostinazione, sotto l’infuriare delle artiglierie e mitragliatrici, fra dense nubi di gas, marciava superbamente in testa al suo battaglione e ritornava all’assalto finché, raggiunte le posizioni nemiche le conquistava disperdendone i difensori e catturando oltre mille prigionieri. Più tardi, stretto da ogni parte da un gruppo di nemici che tentava di farlo prigioniero, con stoico sangue freddo in mezzo al gruppo che lo serrava, lasciava esplodere una bomba a mano i cui effetti riuscivano a disimpegnarlo e a sbandare gli avversari. Quota 247 – Selo, 18 agosto 1917.>>. Una poesia in vernacolo del Dott. Antonio Misantone dell’agosto 1955 a celebrazione di Gennaro Pensieri:
Foto di Antonio Misantone insieme con Mons. Ernesto Barlaam.
T’arvidive a nuvembre bianche, bianche ‘nghi na divise piene di midaje, durmenne ‘nda nu spose che s’arfranche, come s’avisse fatte na battaje ! E pinzive: sta feste granne granne è fatte proprie pi li cumbattinte, pi quille ch’à dumate lu tiranne, difinnenne la patrie ‘nghi li dinte ! T’arvidive spavalde e disinvolde ‘n mezze a li bomme, ‘n mezze a li nimice. Sette vodde arristate, sette vodde forte di cchiù, senza sbajà birsaje ! Nn’avaste tanta glorie e sacrifice Pi ssa vite ch’è tutte na midaje !
Di Castijune s’armane ngandate
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Conferimento della Medaglia dâ&#x20AC;&#x2122;argento al valor militare a Gennaro Pensieri.
Di Castijune sâ&#x20AC;&#x2122;armane ngandate
Angelo Pompei
Capitolo 2
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Angelo POMPEI
1899-1974 Maestro Ideatore e fondatore della Cassa Rurale ed Artigiana di Castiglione Messer Raimondo
A
Castiglione, durante gli anni della grande guerra, da un paese dirimpettaio (Montefino) arrivò un giovanissimo maestro: Angelo Pompei. Era nato a Montefino il 10 febbraio 1899 e, appena ventenne fu mandato a Castiglione per insegnare nella locale scuola elementare. In paese è rimasto per tutta la vita, dedicandosi con amore ed abnegazione, all’educazione di più generazioni di giovani, divenendo, in breve tempo, una delle massime autorità morali e culturali del paese. Sposò la castiglionese Anna Cristina Di Donato da cui ebbe quattro figli: Livio, Ugo, Lidia e Ruffina, ai quali instillò l’amore per lo studio, per la sincerità verso il prossimo, per la bontà e per la modestia. Alti valori che i genitori del tempo avevano nel “DNA” e che cercavano di trasmettere ai loro figli. Dopo un’esistenza impegnativa e dinamica, si spense a Castiglione il 5 maggio 1974. Fu un appassionato studioso di Diritto, esercitò per lunghi anni l’attività di Patrocinatore Legale, sapendo sempre dare a tutti coloro che ricorrevano a lui un parere giuridico imparziale e competente. Ha ricoperto, anche se per breve tempo, la carica di Sindaco di Castiglione, negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale. È stato soprattutto per oltre un quarantennio, un maestro intelligente e preparato, educando tante generazioni di castiglionesi. Quando i sussidi didattici erano quasi inesistenti, egli, dopo aver attentamente studiato le esigenze e gli interessi dei suoi scolari, ed in particolare l’ambiente in cui vivevano, preparò dei testi di suo pugno su cui far studiare i ragazzi; questi testi furono conosciuti ed apprezzati anche fuori Castiglione, esposti anche in una mostra regionale a Chieti, nel 1926. Una commissione di esperti gli conferì un diploma con medaglia di bronzo, per la sua opera: riconoscimento che il Maestro conservò gelosamente fino alla sua morte. Quando il maestro Pompei lasciò la scuola, per raggiunti limiti di età, lo fece in punta di piedi, senza rumore, senza chiedere niente a nessuno e senza aver sollecitato nemmeno indirettamente una cerimonia di commiato. Gli bastarono la grande stima e l’affetto dei suoi alunni e di quanti lo avevano soltanto conosciuto. Nella vita di Angelo Pompei vi è un’altra data storica, che nessun castiglionese potrà mai dimenticare. Il 13 maggio 1956, frutto della lungimiranza e della tenacia del “Maestro” e grazie all’appoggio di 92 Soci Fondatori, nacque la Cassa Rurale ed Artigiana di Castiglione Messer Raimondo; opera meritoria sua e di 92 cittadini di Castiglione che iniziarono quell’avventura che nel corso degli anni si realizzò e che oggi con orgoglio possiamo presentare e ammirare per i numeri raggiunti e per la posizione che occupa nel panorama bancario regionale. Il primo Presidente della Cassa Rurale fu Di Castijune s’armane ngandate
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72 Scolaresche del maestro Angelo Pompei risalenti agli anni venti.
un cittadino castiglionese emigrato in America e poi rientrato in paese, Angelo Emidio Ammazzalorso, un artigiano. Il maestro in quel periodo ricoprì la veste di Direttore Generale della banca. Non fu affatto facile quella realizzazione, fu anzi opera da pioniere se si pensa alle condizioni dell’Italia post bellica, alla instabilità delle Istituzioni Pubbliche, alla divisione degli animi, conseguenti alle faziosità politiche, e, soprattutto al fatto che non esistevano precedenti nel teramano ed in Abruzzo se escludiamo le poche Casse Rurali antecedenti al periodo fascista. Il Maestro Angelo Pompei, diventato noto come il Wollemborg abruzzese, era convinto che l’istituzione di una Cassa Rurale fosse l’unico mezzo di redenzione morale, sociale ed economica dei piccoli centri agricoli, che languivano allora nella miseria e che la forzata emigrazione di quei tempi depauperava sempre più prezioso materiale umano. La Cassa Rurale ed Artigiana, di cui il Maestro aveva assimilato Di Castijune s’armane ngandate
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perfettamente lo spirito, la natura, la tecnica, le nobilissime finalità morali e sociali, divenne così l’antesignana della rinascita delle Casse Rurali abruzzesi. I primi anni della nostra banca furono veramente eroici per l’assoluta mancanza di spirito cooperativistico da parte dei soci che, come il maestro ben sapeva, doveva essere recepito ed assimilato piano piano; infatti ci vollero tutto il coraggio e tutta la forza di volontà di Angelo per tenere insieme i 92 Soci fondatori, che nessuno aveva mai educato all’associazionismo ed alla solidarietà, cardini fondamentali di una Cassa Rurale. Quando oramai la Cassa iniziò a conseguire buoni risultati grazie alla intensa e paziente opera del suo fondatore, nel lontano 1966 si abbatté improvvisamente su di essa una bufera. Per interessi privati di esponenti locali della politica, iniziarono lotte interne tra il Pompei e il Consiglio di Amministrazione, che portarono al suo licenziamento da Direttore. Furono anni davvero bui e drammatici per la Cassa Rurale, che vacillò ma comunque resistette. Nel 1970, insediatasi una nuova Amministrazione Comunale, guidata dal Prof. Ennio Di Cristoforo, si cercò di risollevare e di portare al centro della discussione le sorti di quella banca; in accordo fu nominato un nuovo Consiglio di Amministrazione e finalmente gli animi si placarono e si cercò di remare tutti dalla stessa parte in modo da superare gli ostacoli che avevano per troppi anni legato le ambizioni ed i sogni di crescita di questa Istituzione. La Cassa Rurale tornò a crescere come testimoniano i bilanci di quegli anni, e nonostante questo periodo negativo che a posteriori possiamo dire la irrobustì facendo tesoro di
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Foto delle varie sedi della Cassa Rurale ed Artigiana oggi Banca di Credito Cooperativo.
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quelle vicissitudini, ha continuato nel suo percorso di crescita, divenendo attualmente una realtà ammirata ed invidiata da molti. Anche Angelo Pompei dopo quelle vicende che lo avevano fiaccato nel fisico e più ancora nello spirito, tornò nella “sua” Cassa Rurale nell’aprile del 1971 come Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione e nell’anno successivo 1972 fu eletto Presidente del Collegio Sindacale e rimase in carica fino al 1974 anno della morte, confortato e illuminato dalla gioia di veder crescere sempre più in modo pacifico la sua creatura. Il 5 aprile 1986, nel trentennale della fondazione della Cassa Rurale, il Consiglio di Amministrazione e l’allora Direttore Euclide Di Donato, che aveva collaborato col maestro Pompei alla crescita della banca, hanno doverosamente riconosciuto i meriti del “Fondatore” erigendogli nel bellissimo ingresso della nuova sede un busto in bronzo; così egli continuerà a vegliare e vigilare sulla Cassa che lui, insieme ai 92 cittadini, fondò. Ai nostri giorni (2015) l’attuale Banca di Credito Cooperativo (ex Cassa Rurale) ha raggiunto dei traguardi che nessuno poteva immaginare, ha esteso il suo territorio di competenza in tre province (Teramo, Pescara e Chieti) toccando 35 comuni dove la Bcc è presente con 14 sportelli, 2 uffici di rappresentanza ed una Tesoreria. Raggiunge un territorio che comprende l’intera Valle del Fino, le pendici del Gran Sasso, la Costa Adriatica da Pescara a Città Sant’Angelo, Silvi e Pineto, l’area Vestina con Penne, Loreto Aprutino, Pianella e Rosciano. Tante realtà ricche di arte, cultura, natura, antiche tradizioni, eccellenze enogastronomiche ed iniziative imprenditoriali sono sostenute dalla banca, che ne preserva i valori, portando avanti un percorso di crescita non soltanto economica, con la consapevolezza che sono sempre gli uomini, i cittadini, le Istituzioni e le realtà aziendali, insieme ai loro progetti ed alle storie dei luoghi, che migliorano il tessuto sociale.
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I 92 Soci Fondatori che diedero vita alla Cassa Rurale ed Artigiana di Castiglione Messer Raimondo il 13 maggio 1956 SOCI FONDATORI DELLA CASSA RURALE ED ARTIGIANA DI CASTIGLIONE MESSER RAIMONDO Società a responsabilità limitata fondata il 13 maggio 1956 (dall’Atto Costitutivo redatto dall’Avv. Alessandro Di Marco, notaio in Pianella, nel Palazzo Scolastico, aula prima, in Largo XX Settembre, repertorio 4675, raccolta 969) 1 POMPEI ANGELO fu Vincenzo, insegnante elementare 2 CORRADI CANDELORO fu Angelo, proprietario 3 AMMAZZALORSO EMIDIO fu Giuseppe, proprietario 4 RAVICINI GIUSEPPE fu Davide, fabbro 5 SORGENTONE PASQUALE fu Giacomo, proprietario 6 MOSCHETTA MARIO di Saverio, veterinario 7 PALUZZI ERNESTO di Vincenzo, agricoltore 8 DI BATTISTA COSTANTINO di Raffaele, agricoltore 9 AMMAZZALORSO MARIO fu Pasquale, muratore 10 BUFO FANFULLA fu Desiderato, muratore 11 DI DONATO ALESSANDRO fu Elia, proprietario 12 FERRANTE ANGELO fu Ercole, agricoltore 13 SFAMURRI NICOLA fu Luciano, agricoltore 14 PINCELLI RAFFAELE fu Luigi, fabbro 15 DI BATTISTA GIUSEPPE di Antonio, agricoltore 16 SCHIAPPA RAIMONDO fu Serafino, sarto 17 FACCIA NAZZARENO fu Marano, agricoltore 18 RECCHIA ORLANDO di Eugenio, agricoltore 19 GIANSANTE DONATO fu Antonio, agricoltore 20 DI ROCCO DOMENICO di Fioravante, agricoltore
21 FELICIANI RAFFAELE fu Carmine, agricoltore 22 FECONDO DOMENICANTONIO fu Nicola, agricoltore 23 FACCIOLINI GABRIELE di Elia, agricoltore 24 COLICCHIA PASQUALE fu Vincenzo, agricoltore 25 PALMARICCIOTI DOMENICO fu Vincenzo, agricoltore 26 CRETAROLA DURANTE di Andrea, agricoltore 27 BARLAAM DOMENICO fu Antonio, falegname 28 DI DONATO DONATO fu Enrico, commerciante 29 DI DONATO ERNESTO di Donato, impiegato 30 PANTALEONE ITALO di Giuseppe, impiegato 31 PANTALEONE GIUSEPPE fu Achille, commerciante 32 SIMEONE MARIO di Nicola, farmacista 33 DI BIAGIO ETTORE fu Carmine, proprietario 34 FACCIA ANGELO di Giuseppe, agricoltore 35 FUSCHINI FERRUCCIO fu Argentino, commerciante 36 CALANDRA GIUSEPPE di Angelo, agricoltore 37 ROMANO AMERINO fu Alessandro, commerciante 38 DI DONATO TITO fu Antonio, agricoltore 39 GIANGRANDE VINCENZO fu Fiorindo, sarto 40 CAMPANELLI ROCCO fu Giovanni, agricoltore
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41 CIPOLLONE LEONELLO fu Giuseppe, agricoltore 42 DE FLAVIIS ENRICO fu Franco, agricoltore 43 DI BATTISTA PASQUALE fu Giovita, agricoltore 44 SFAMURRI LEO di Donato, insegnante 45 DI FEDERICO ALTORINO di Domenicantonio, agricoltore 46 GUARDIANI SABATINO fu Giuseppe, agricoltore 47 GIANSANTE GABRIELE fu Antonio, agricoltore 48 MARUCCI ANTONIO fu Giuseppe, agricoltore 49 DE SANCTIS DONATO fu Daniele, calzolaio 50 ALTOBELLI FIORINDO fu Donato, agricoltore 51 ALMONTI ANNA SANTA fu Giovita, contadina 52 DI ROCCO FRANCESCO fu Marino, commerciante 53 FAIONE ERCOLE fu Luigi, sarto 54 TREQUADRINI Vincenzo fu Salvatore, fabbro 55 DI DONATO VITALE di Antonio, insegnante 56 TRAILANI GIULIO fu Antonio, agricoltore 57 DI QUINZIO VENANZIO fu Camillo, agricoltore 58 TREQUADRINI RICCARDO, fu Giovanni, fabbro 59 ANDREOLI GIUSEPPE di Carmine, agricoltore 60 DI DONATO MICHELE di Silvino, agricoltore 61 MARUCCI CANDELORO fu Nicola, agricoltore 62 PALUZZI ROBERTO fu Carmine, agricoltore 63 DI BATTISTA DORINO fu Giovanni, agricoltore 64 FACCIOLINI DOMENICO di Donato, agricoltore 65 CIANI VINCENZO di Ettore, calzolaio 66 PLANAMENTE VINCENZO fu Carlo, agricoltore 67 ROMANO ALESSANDRO fu Alessandro, autista
68 MARUCCI ANTONIO di Giuseppe, agricoltore 69 MARGANELLA TONINO di Vincenzo, sarto 70 PICCIRILLI ASCANIO fu Giuseppe, calzolaio 71 RUSCITTI DANTE fu Fioravante, agricoltore 72 RUSCITTI GUERINO fu Fioravante, agricoltore 73 DI DONATO NAZARIO di Donato, autista 74 SFAMURRI UMBERTO di Elvino, agricoltore 75 ROMANO REMIGIO di Angiolino, fabbro 76 MINGIONE LUIGI fu Vittorino, calzolaio 77 MEDORI ALFONSO fu Eugenio, calzolaio 78 SCHIAPPA SAVERIO di Giuseppe, muratore 79 AMMAZZALORSO ANTONIO fu Pasquale, muratore 80 GROTTA CORINNO fu Giovanni, calzolaio 81 BARONE GIULIA fu Giuseppe, proprietaria 82 D’ONOFRIO MARIO fu Vincenzo, muratore 83 FUSCO ORFEO di Umberto, panettiere 84 DEL ROCINO VINCENZO di Costantino, sarto 85 TREQUADRINI GALILEO fu Ernesto, insegnante 86 MARGIOVANNI NICOLA di Giuseppe, fabbro 87 PLANAMENTE GIUSEPPE fu Carlo, agricoltore 88 FERRANTE ANTONIO di Arpino, agricoltore 89 D’EGIDIO SALVATORE di Giuseppe, barbiere 90 DI VITANTONIO GIUSEPPE di Enrico, agricoltore 91 DI DONATO LUIGI fu Raffaele, agricoltore 92 DI GIUSEPPE GUALTIERO di Telemaco, sarto
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I PRESIDENTI DELLA BANCA CHE SI SONO SUCCEDUTI NEL CORSO DEGLI ANNI
1956 - 1962 1963 - 1970 1970 - 1971 1971 - 1981 1981 - 1996 1996 - 2000 2000 -
Ammazzalorso Angelo Emidio
Ammazzalorso Angelo Emidio Pantaleone Italo Fazzini Antonio Simeone Mario Romano Alessandro A. Romano Antonio Savini Alfredo
Pantaleone Italo
Fazzini Antonio
Simeone Mario
Romano Alessandro A.
Romano Antonio
Savini Alfredo Di Castijune sâ&#x20AC;&#x2122;armane ngandate
Borgo Luigi di Savoia in una foto degli anni ottanta.
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Li suprannume I soprannomi
Galileo Trequadrini
1922-1976 Maestro - Lu mastre Galilè
Il maggior ideatore di soprannomi a Castiglione è stato il Maestro Galileo Trequadrini; la sua impagabile ed originale vena scherzosa lo ha portato ad associare a numerosissime persone dei soprannomi davvero originali. Per questo il primo ricordo abbiamo voluto riservarlo a lui.
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Li soprannume
i soprannomi
N
elle comunità paesane molto spesso alle persone e anche ad interi gruppi familiari vengono abitualmente associati dei soprannomi; talora bizzarri e fantasiosi, che vanno a sostituire a tutti gli effetti i nomi ed i cognomi originali. Questa usanza è talmente radicata nei piccoli centri che i soprannomi vengono tramandati di padre in figlio in modo naturale e spontaneo. L’origine dei Soprannomi può essere di varia natura e molto spesso non è facile risalire alla loro corretta etimologia. Spesso il nomignolo deriva dal nome di un capostipite: … Ndunije Catalde, Mingenze Catalde, Pippucce Catalde. A volte il soprannome scaturisce dalla provenienza della famiglia... Ndunije lu Pujese, Emiglie lu Rutese, Dandine lu Castilindese, Raffaele Lu Vacucchese. Talora i soprannomi vengono utilizzati per mettere in evidenza qualche aspetto fisico delle persone, come… Erneste Lu Manette, Marie Pucette, Mimì Lu Cioppe; dobbiamo ancora sottolineare che questi particolari soprannomi non arrivano mai all’insulto o al disprezzo della persona. Spesso il soprannome viene utilizzato per definire in tono ironico e beffardo, senza cattiveria, le caratteristiche strane e bizzarre di un personaggio. Molti sono i soprannomi che richiamano direttamente l’attività lavorativa tradizionalmente svolta dalla persona o dal nucleo familiare:... Ndonije Lu Macillare, Custandine Lu Meccaniche, Erneste Lu Bbarbire o Pippine Lu Mulinare. In alcuni casi i soprannomi prendono spunto da episodi accaduti alla persona o alla famiglia come… Fofomme, Lu Fraijelle, Lu spazzaneve. Risulta un esercizio difficile comprendere l’origine vera e propria e la scansione temporale dei soprannomi; bisogna prenderli così come sono stati tramandati: un’usanza simpatica, a volte ironica, di individuare ed anche di accorciare a volte il nome di un individuo o di un gruppo familiare. Di seguito riportiamo alcuni soprannomi particolari con la certezza della loro origine e con la foto della persona; in ultimo un elenco in ordine alfabetico di soprannomi esistenti nel nostro comune, sperando di non averne dimenticato alcuno. Sottolineiamo che nei soprannomi è assente anche la più piccola volontà di offendere oppure di deridere qualcuno.
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Li soprannume
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Perché il soprannome?
Testimonianza di Ernesto Giannetti
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ella prima metà del novecento, il centro storico di Castiglione M.R. era sovrappopolato e gremito di attività commerciali ed artigianali; fra la Chiesa ed il Palazzo Comunale vi erano ben tre bar (Zijette, Gine Cacatore e Pippine Pantalone), una gelateria da sor Peppe, una cantina da Stefano Romano ed una locanda con mescita molto apprezzata di Angelina La Ggesse. Non essendoci ancora la televisione ma solo pochissime radio, gli agricoltori che rientravano in paese dalle vicine campagne e gli abitanti, assetati di un buon bicchiere di vino, ma soprattutto di notizie, si riunivano in questi locali intorno ad un capopopolo, un notabile o un intellettuale, perché questi avevano la possibilità e la cultura necessaria per poter leggere e argomentare sulle notizie riportate. In quelle occasioni si riusciva a parlare di tutto: fatti accaduti in Luigi Giannetti paese, notizie su qualche cittadino e sport con le cronache radiofoni- Gine Cacatore che delle imprese di Coppi e Bartali. Il nostro paese a quei tempi era molto popolato ma i nomi ripetuti per alcune persone non consentivano una distinzione veloce; i nomi più comuni come Francesco, Pasquale, Antonio, Giuseppe, Donato e via dicendo, nel momento della loro chiamata necessitavano di una ulteriore precisazione, un dettaglio come il cognome del padre o la contrada dove abitavano. Quando poi il soggetto in questione era molto popolare e nel bene o nel male faceva parlare di sé, il “dettaglio” diveniva indispensabile, e fu così che venne in soccorso il “Soprannome”. Dunque il soprannome come “titolo nobiliare” veniva coniato su persone (ripeto nel bene e nel male), in qualche modo chiacchierate… chiedo venia a coloro che non ce l’hanno! Chi aveva il compito di dare il soprannome? Veniva coniato sulla base di un difetto fisico, sulla statura, sulla corporatura oppure su un avvenimento che aveva coinvolto il soggetto e veniva pronunciato dalla “gente” (come diceva una compianta attrice Ernesto Giannetti napoletana) oppure da uno specialista benemerito che porta il nome Erneste La Fumire dell’illustre maestro Galileo Trequadrini. Per non parlare d’altri citerò due esempi che riguardano la mia famiglia: io e mio padre! “Mio padre Gine Cacatore il soprannome se lo guadagnò da piccolo: quando giocava a noci, non essendo bravo a battere per primo, (chi batteva per primo era favorito, perché batteva nel mucchio compatto di noci) diceva “io ci caco”, cioè batto per ultimo, così gli spettavano le noci che non erano state abbattute. Io mi chiamo Ernesto. All’epoca della mia gioventù in paese di “Erneste”, ve n’erano ben sei! Don Erneste Lu Prete, Erneste Lu Cummissarie, Erneste Lu Frajelle, Erneste Lu Bbarbire, Erneste Belisarije ed il sottoscritto che modestamente non passava inosservato. Un pomeriggio, giocando a “bazzica” (biliardo) vinsi una grossa somma. La sera stessa mi sedetti ad un tavolo per giocare a “bestia” (un gioco d’azzardo con le carte) e persi tutto quanto avevo vinto a biliardo. Il maestro Galileo venuto a conoscenza del fatto pronunciò la sentenza: “gli ha fatto fare la FUMIRE” (in riferimento al denaro) e da quel giorno LA FUMIRE fu! Di Castijune s’armane ngandate
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Giuuanne Zurrone Giovanni FACCIOLINI
I
l soprannome gli derivò dal filare la lana. Inventò un aggeggio che girava come una trottola; a quei tempi la trottola si chiamava “lu zurre”; da qui Zurrone…
Fofomme
Mario DI GIUSEPPE
F
ofomme, Fofò, storico personaggio del paese negli anni 60/70, tuttofare (faceje li mmasciate!): scaricava casse di birra, faceva il sagrestano a Don Ernesto, tirava il mantice dell’organo della Chiesa suonato dal maestro Galileo; il tutto per un bicchiere di vino e pochi spiccioli. Il Venerdì Santo usciva per il paese suonando “lu tric e tracche” per annunciare le funzioni religiose. Un giorno fu mandato in farmacia ad acquistare una boccetta di cloroformio; quando giunse al cospetto del farmacista, poiché balbuziente, non riuscì a pronunciare la parola e continuò a ripetere al farmacista di dargli “una boccetta di fo…foo…fo…”. Da qui gli affibbiarono subito il soprannome di FoFò e Fofomme!
Nella foto Fofò e un Tommaso Giancola giovanissimo.
Ernestine Lu Frajelle Ernesto DI DONATO
E
rnesto, giocando al biliardo, effettuò un tiro davvero eccezionale che gli procurò il massimo punteggio abbattendo tutti i birilli. Rivolgendosi ai presenti che assistevano alla partita disse loro: “ohh… so fatte proprie nu sfraggelle!” Nei paraggi si aggirava il maestro Galileo che subito lo battezzò: “Esse lu sfraggelle…” che col tempo si modificò in… Lu Frajelle.
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Li soprannume
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Mimì Culionde Domenico SFAMURRI
I
l soprannome deriva da un antenato che nei mesi autunnali lavorava in un frantoio. Quando sollevava i sacchi contenenti le olive, le mani a contatto con l’olio, diventavano scivolose ed usava pulirsele sul retro dei pantaloni. Alcuni buontemponi del paese vedendolo sempre con i pantaloni unti sul posteriore lo soprannominarono “Culionde”.
Tonine Mbanille Antonio GAMBACORTA
M
banille deriva da un diminutivo di “Cambanille”. Si racconta che il nonno di Antonio, portasse degli orecchini e le persone che lo incontravano in paese gli chiedevano: “Chi tti messe li cambanille?” Il passaggio fu breve da cambanille a mbanille.
Bajone
Salvatore D’EGIDIO
S
alvatore parlava spesso ad alta voce e dava l’impressione come se stesse abbaiando. Da qui… Bajone. C’è anche un’altra versione molto più datata. Durante la Seconda Guerra Mondiale, a Castiglione arrivarono i soldati tedeschi e fra questi un cuoco di nome “Baionne”, che non faceva altro che cucinare e mangiare. Allora suo padre Sor Peppe, lo paragonò al cuoco e chiamò il figlio col nome del soldato-cuoco.
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Funzine Furbicitte Alfonso MEDORI
F
unzine, oltre a fare il calzolaio, nella sua piccola bottega aveva dei macchinari per svolgere l’attività di arrotino. Abitava al Borgo e spesso i castiglionesi ci si recavano per arrotare coltelli, forbici e lame. Mentre le persone si avviavano verso “lu Bborije” chi le incontrava usava chiedere: … “dua vi?... Vaje arrutà ddù furbicitte da Funzine!” E così il caro Funzine si prese il nomignolo di “Furbicitte”.
Ndonije Parapatacchije Antonio DI DOMENICO
I
l soprannome fu affibbiato ad un antenato che inciampò in un piccolo covone di fieno, chiamato “la patacchije”. Da qui il nomignolo di “Parapatacchije”.
Sandrine Chicocce Alessandro ROMANO
S
andrino, in compagnia di amici, era solito esagerare su storie e fatti che raccontava. Chi era presente faceva fatica a crederci e diceva: “quesse è na chicocce!” e da qui …Sandrine chicocce!
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Alfrede La Tonne Alfredo Di Donato
I
l soprannome deriva da una antenata, la quale per conformazione fisica era di statura piccola e piuttosto grassottella; l’impressione era di una persona un po’ rotonda che in dialetto si dice “tonne” così assunse il nomignolo di “la tonne”.
Alcide Rossone Alcide D’ORAZIO
A
lcide, cittadino di Castiglione, durante il ventennio era un esponente del fascio locale. Spesso nominava un gerarca molto vicino al Duce, un tal Rossoni e, quando le persone lo vedevano in lontananza dicevano …”mò… arrive Rossone!”
Pippine Lu Zoccolajanne Giuseppe SFAMURRI
A
quanti gli chiedevano dove andasse, lui spesso rispondeva: “mo vaje a bballe a li coste a’rcoje ddu zocche di janne pi lu purcelle!” Da qui “Lu zoccolajanne”.
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Mincinzine La Macarde Vincenzo TREQUADRINI
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incenzo era un appassionato cacciatore; a quei tempi, in osteria, di fronte a un bicchiere di vino ed in compagnia di amici, i cacciatori facevano a gara a chi esagerava di più. E Vincenzo in uno dei suoi racconti disse di aver sparato ad uno stormo di macarde (volatili) e di averne abbattute una quindicina. Così lo chiamarono “la macarde”.
Alfrede Lu Fiummunande Alfredo DI DONATO
S
u questo soprannome esistono due versioni: la prima deriverebbe dalla conformazione della testa con una carnagione chiara e capelli biondi tendenti al rossiccio, quasi come una testa di un fiammifero. La seconda invece da una particolarità: quando giocava a pallone aveva un tiro fulminante e così assunse il soprannome di “Lu fiummunande”.
Giuseppe Lu Spazzaneve Giuseppe MONTELLO
I
l soprannome gli derivò da una malformazione fisica. Era nato con il piede destro un po’ più lungo e girato verso l’esterno. Possedeva una fiammante lambretta e quando andava in giro il suo piede sporgeva oltre il parafango. Qualche buontempone gli affibbiò il nomignolo di … “lu spazzaneve”.
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Tiriticche
Remigio ROMANO
A
bbiamo due versioni: nella prima si racconta che il padre camminava dondolando in modo accentuato; nell’altra, giocando con i bambini li faceva salire e scendere da uno scalino cantando una filastrocca… “tirite quà….tirite là…tirite ecche” così nac-
que il nomignolo di “tiriticche”.
Lu Cummissarie Ernesto MARGANELLA
E
rnesto, impiegato comunale, deve il soprannome alla carica di Commissario, che ricoprì in paese nel periodo fascista.
Ernestine Lu Manette Ernesto LUPINETTI
E
rnestino abitava “a llu Bborije” ed era un appassionato pescatore: passava le sue giornate a pescare lungo il fiume Fino. Aveva un braccio più corto dell’altro. Era abituato a raccontare agli amici la sua bravura e indicava la lunghezza del pesce pescato usando il braccio offeso. Così lo chiamarono “Lu manette”.
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Ndunije Cucule Antonio D’IGNAZIO
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dunije era un personaggio del Borgo ed era solito sedersi sulle gambe senza toccare terra col sedere; in pratica restava “ncuculite” cioè con le ginocchia piegate.
Cacione
Alfonso PROIETTO
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egli anni passati si svolgevano le fiere, mercati dove i cittadini vendevano e acquistavano di tutto, dal vitello… ai dolci. Un antenato di Alfonso partecipava alle fiere del paese e spesso tirava fuori dalla tasca un dolce caratteristico di Castijune: “Lu cacione”. Così il soprannome passò a tutta la famiglia.
Mimì La Zizzona Mbrattate Domenico SORGENTONE
M
imì era un bel personaggio, non era sposato e viveva con la madre. Aiutava il fratello Pasquale che aveva un frantoio “appite a llà vricciate”. A fine lavoro lo si vedeva sempre unto di olio e nei momenti di irritazione, usava l’espressione “mannaggia la zizzona mbrattate!
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Li soprannume
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Ercoline La Bardascille Ercole MICOLETTI
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l soprannome gli deriva dalla bellezza fisica della mamma. Era una bella ragazza, in dialetto “bardasce”… ed essendo piccola di età, il diminutivo prese il sopravvento… quindi “na Bardascille!”.
La Cavalle Anna PALUZZI
A
nna, detta “La Cavalle”, proveniva da una famiglia che allevava cavalli. Quando si unì in matrimonio con Riccardo, gli portò in dote anche il soprannome di “lu Cavalle”.
Ggine Pulciane Luigi TORRIERI
I
l soprannome era del nonno perché quando andava alle feste da ballo, pare saltasse di qua e di là come una pulce!
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Riccarde L’Uijarale Riccardo TREQUADRINI
I
l papà di Riccardo vendeva porta a porta l’olio di oliva “l’uije”; dall’attività gli derivò il soprannome di “L’uijarale”.
Ruccucce Lu Pitone Rocco e Vincenzo D’ALONZO
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n famiglia si allevavano i tacchini che hanno le zampe molto più grandi di quelle delle galline e in dialetto si chiamano “Li pitune”; il soprannome si confezionò da solo!
Mimì Lu Cioppe Telemaco DI GIUSEPPE
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elemaco, chiamato Mimì, deve il suo soprannome ad una disgrazia capitatagli durante la Prima Guerra Mondiale. Sul Carso, per lo scoppio di una granata, perse una gamba e quindi costretto a portare una protesi di legno. Zoppicava vistosamente e camminava col bastone. Da qui Mimì “lu cioppe o Mimì lu scariche”. “Lu scariche” perché mentre svolgeva funzioni da spazzino, era solito dire “mo vaje a scaricà la munnezze”. Di Castijune s’armane ngandate
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Ndunije Turelle Antonio MICOLETTI
S
i dice che il suo bisnonno ebbe dalla moglie due bambini di belle fattezze e fisicamente robusti; in pratica due “Torelli”. Da qui il soprannome di “Turelle”.
Mimì La Mammine Domenico DI FLAVIANO
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a mamma era la levatrice del paese (la mammine) che ha fatto nascere diverse generazioni di castiglionesi. Fino agli anni sessanta si nasceva in casa con l’aiuto del medico condotto e della “mammine”. A Mimì fu attribuito il soprannome della professione della mamma.
Dantine Mezzuchile Dante BARLAAM
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n passato alle fiere di paese si recavano festanti i bambini insieme ai genitori che usavano fare provviste. Il padre era solito acquistare sempre mezzo chilo di porchetta. Da qui il soprannome alla famiglia di “mezzuchile”.
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Ruscette
Rosa SFAMURRI “Ruscette” era così chiamata da giovanissima, come diminutivo di Rosa. Secondo altre testimonianze pare che questo soprannome le derivasse dal colore degli occhi, uno di colore castano e l’altro di colore rosa. Da qui “Ruscette”.
Ngiuline Lu Stipette Angiolino MANNA
A
ngiolino prese il soprannome di “stipette” per la sua conformazione fisica: era magrolino e basso di statura tanto da assomigliare ad un piccolo contenitore che arredava le case a quei tempi: lu stipette!
Carine L’Africanella Carina D’ONOFRIO
A
veva una carnagione molto scura tanto da assomigliare ad una donna africana.
Di Castijune s’armane ngandate
Li soprannume
94
Pippine Lu Gattone Giuseppe RAVICINI
S
i racconta che il nonno materno, un dongiovanni, quando rientrava a casa a tarda ora, si toglieva le scarpe e camminava silenziosamente come un gatto. Il soprannome “Lu Gattone” fu ereditato poi dalla figlia Carmela e dai nipoti.
La Spaccone
Maria CICCARELLI TRANQUILLI
M
oglie di Ernesto Candelori, il soprannome scaturì dal suo modo di vestire. Era elegante e indossava gioielli e monili di valore. Per questo motivo il popolo la chiamava “La Spaccone”, soprannome che poi è passato alla figlia Giuseppina
Silvine La Marrocche Silvio SCUCCIMARRA
D
on Silvio era un gran personaggio, di famiglia benestante e proprietario di terreni. Anche per questo soprannome abbiamo due diverse versioni: La prima pare derivasse da un suo parente, chiamato “la marrocche”, originario di Collemaggio di Penne, ed esperto allevatore, ospitato nel palazzo di famiglia a Castiglione. La seconda: si racconta che fosse il soprannome della moglie di Don Silvio, che aveva dei capelli con delle sfumature di giallo proprio come il colore dei fili che fuoriescono dall’involucro delle foglie che proteggono la “marrocca” (il mais)..
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 3
95
Magnacasce
Germano DI LORENZO
I
l soprannome derivò dall’attività della mamma, signora Concetta, che produceva formaggi di buona qualità ed era originaria di Arsita. Fiore, il marito, era soprannominato “lu pignatare” perché proveniva da Appignano.
Lu Strungare Ernesto D’Angelo
“Lu strungare” era uno strumento di lavoro; una sega con due manici che veniva tirata da due persone per tagliare grossi tronchi. Il padre di Ernesto proveniva da un paese di montagna del teramano e, nel suo lavoro di legnaiolo, faceva uso di questo attrezzo che diede il soprannome alla famiglia.
Sabbatine Fasciule Sabatino Leone
F
igura caratteristica del paese. Aveva una famiglia numerosissima, si occupava di piccole faccende; era sempre presente “arrete a llu fosse” e, quando arrivava il pullman delle autolinee Tranquilli di Penne, prendeva i sacchi della corrispondenza e li portava all’Ufficio Postale. Era chiamato “Sabatine fasciule” perché gli piaceva mangiare i fagioli.
Di Castijune s’armane ngandate
Li soprannume
96
Pippine Lu Mulinare Giuseppe Fazzini
I
l soprannome gli derivò dalla professione: gestiva un mulino ad acqua in Contrada Intagliata. Originario di Castelli, si sposò a Castiglione e con la famiglia vi rimase per tutta la vita.
Giubbette
Mario DI MARTINO
E
ra il soprannome del padre Ernesto, accanito fumatore di sigarette “Giubec”. Il passaggio a “Giubbette” fu proprio breve.
Ciurille
Ascanio PICCIRILLI
I
l soprannome gli fu attribuito perché da bambino era fisicamente piccolino, in dialetto “picciurille”, da qui il nomignolo “Ciurille”.
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 3
97
ELENCO DEI SOPRANNOMI PIù CONOSCIUTI DEL NOSTRO PAESE E DELLA FRAZIONE APPIGNANO CON L’INDICAZIONE DELLA ZONA DOVE LE FAMIGLIE ABITAVANO
SOPRANNOME
FAMIGLIA
RESIDENZA
ZONA
1
PASQUALE BACCHITTILLE
PICCIRILLI PASQUALE
PAESE
VIA ROMA
2
NDUNIJE BBAFFONE
CARMINELLI ANTONIO
PAESE
LU CASTELLE
3
RAFFAELE BARBECANE
D’AGOSTINO RAFFAELE
CONTRADA
LI FUNTANELLE
4
PIPPINE BARBETTE
ALMONTI GIUSEPPE
CONTRADA
VALLONI
5
CAMILLE BIANCONE
DI PIETRO CAMILLO
PAESE
LA PIAZZE
6
TITINE BIANCUNELLE
DI BATTISTA TITO
PAESE
LU BORIJE
7
GGINE CACATORE
GIANNETTI LUIGI
PAESE
LA PIAZZE
8
FUNZINE CACIONE
PROIETTO ALFONSO
CONTRADA
LU GIARDINE
9
MINGENZE CAJAZZITTE
CIANI VINCENZO
PAESE
LU BORIJE
10
TOTO’ CALANDRELLE
CALANDRA ANTONIO
CONTRADA
GATTOPIO
11
NDUNIJE CAMBRINE
MARSILI ANTONIO
PAESE
LU BORIJE
13
FRANCISCHE CAMILLOTTE
DE SANCTIS FRANCESCO
CONTRADA
INTAGLIATA
14
GUIDE CANZANE
DI BLASIO GUIDO
PAESE
APPIGNANO
15
NELLUCCE CAPONE
BANDINI NELLO
PAESE
APPIGNANO
16
CAPRIJELE CASCEGNE
D’IGNAZIO GABRIELE
CONTRADA
VICENNE
17
MINGENZE CATALDE
D’ORAZIO VINCENZO
PAESE
LA PIAZZE
18
DUNATE CAZZARELLE
DI DONATO DONATO
PAESE
SIPRIJOLE
19
DUNATE CHIAPPAVENDE
DE LUCA DONATO
CONTRADA
LI VORGHE
20
SANDRINE CHICOCCE
ROMANO ALESSANDRO
PAESE
SIPRIJOLE
21
TONINE CHILLUCCE
DI MARTINO ANTONIO
PAESE
LU CAPIJLME
22
PIPPINE CHINÈ
RANALLI GIUSEPPE
PAESE
APPIGNANO
23
LUIGGE CIAFUCONE
D’IGNAZIO LUIGI
CONTRADA
VALLEPUTOLI
24
GGINE CIAPONE
CARDONE LUIGI
CONTRADA
SELVA
25
MIMI’ CIARAPONE
SCARDETTA DOMENICO
PAESE
LU BORIJE
26
CAPRIJELE CINCIARILLE
DI TOMMASO GABRIELE
PAESE
APPIGNANO
27
TATUCCE CIUCIONE
D’EMIDIO DONATO
PAESE
SANDANDONJE
28
TONINE CIURILLE
PICCIRILLI ASCANIO
PAESE
LU CAPIJLME
29
FRANCISCHE COCCIASTURTE
MARINI FRANCESCO
PAESE
LU CAPIJLME
30
CAPRIJELE CUCCIONE
PERILLI GABRIELE
CONTRADA
LI PIANE
31
RENATE CUCONE
GROSSI RENATO
PAESE
APPIGNANO
32
NDUNIJE CUCULE
D’IGNAZIO ANTONIO
PAESE
LU BORIJE
33
CAITANE CULACCHIE
DOMENICONE GAETANO
PAESE
CELLARA
34
MIMI’ CULIONDE
SFAMURRI DOMENICO
PAESE
LU BORIJE
35
MINGENZE CUTURNE
D’AGOSTINO VINCENZO
PAESE
APPIGNANO
36
FERRUCCE DIADATE
RUSCITTI FERRUCCIO
PAESE
VICENNE
Di Castijune s’armane ngandate
Li soprannume
98 37
MIMI’ DI’NGELICHE
MARCHESE DOMENICO
PAESE
LA PIAZZE
38
ERNESTE DUCCIOLE
DI NICOLA ERNESTO
PAESE
APPIGNANO
39
PASQUALE FALICONE
IEZZI PASQUALE
CONTRADA
LI VORGHE
40
SABBATINE FASCIULE
LEONE SABATINO
PAESE
SANDANDONJE
41
TUMASSE FIDELE
BUFO LUIGI
PAESE
SIPRIJOLE
42
FIFI FIDIRICHE
DI GIUSEPPE FANTINO
CONTRADA
CONTROFINO
43
NGIULINE FIRLASCHE
DI DOMENICO ANGELO
CONTRADA
SAN GIORGIO
44
NGIULINE FIRRETTE
RAVICINI ANGELO
CONTRADA
LI PIANE
45
CAPRIJELE FRADDIJAVOLE
ALMONTI GABRIELE
CONTRADA
SANTAMARIA
46
MINGENZE FRANCESCONE
FECONDO VINCENZO
CONTRADA
MARTONE
47
ALFREDE FREDDY
BANDINI ALFREDO
PAESE
APPIGNANO
48
NDUNIJE FRISTICHE
FISTOLI ANTONIO
PAESE
APPIGNANO
49
FUNZINE FURBICITTE
MEDORI ALFONSO
PAESE
LU BORIJE
50
GIACUMINE FURCONE
FABRIZI GIACOMO
CONTRADA
LI PIANE
51
MIMI’ FURTUNELLE
FALASCA DOMENICO
PAESE
SAND’ANDONIJE
52
TONINE GIUBBETTE
DI MARTINO MARIO
PAESE
CAPIJLME
53
RENATE GIURGIONE
MODESTI RENATO
CONTRADA
BOZZANO
54
RENZE GNILISANDRE
IEZZI RENZO
PAESE
APPIGNANO
55
ERCOLINE LA BARDASCILLE
MICOLETTI ERCOLE
PAESE
LA PIAZZE
56
NAZZARIJE LA BUNARELLE
DI GIOVANNI NAZARIO
CONTRADA
CONTROFINO
57
FUNZINE LA CALATE
RAGGIUNTI ALFONSO
CONTRADA
PIANE SANDUNATE
58
RUSINE LA CAMBRILLINE
DELLE MONACHE ROSA
PAESE
LU BORIJE
59
MASSIMINE LA CARRARA
DI BERNARDO MASSIMINA PAESE
SIPRIJOLE
60
RUSINE LA CAZZONE
CARMINELLI ROSA
PAESE
SAND’ANDONIJE
61
GIUUANNE LA CULICCHIJE
CORRADI GIOVANNI
PAESE
SAND’ANDONIJE
62
DUNATUCCE LA CUPANNE
MINGIONE DONATO
PAESE
APPIGNANO
63
SABBETTE LA FATTICCE
DI GIORGIO ELISABETTA
CONTRADA
CELLARA
64
CARINE LA FRICANELLA
GIANCOLA CARINA
PAESE
SANDANDONIE
65
ERNESTE LA FUMIRE
GIANNETTI ERNESTO
PAESE
LA PIAZZE
66
NGIULINE LA GGESSE
D’EGIDIO ANGIOLINA
PAESE
LA VIE DI SOTTE
67
GIUVINE LA GRILLETTE
D’AGOSTINO ANNA
PAESE
LU CASTELLE
68
NGILETTE LA HATTE
DI DONATO ANGELA
PAESE
SIPRIJOLE
69
GIUUANNE LA LUCCHE
MASSIMIANI GIOVANNI
PAESE
APPIGNANO
70
MINGENZE LA MACARDE
TREQUADRINI VINCENZO
PAESE
LA PIAZZE
71
GIOVANNE LA MAMMINE
DI FLAVIANO GIOVANNA
PAESE
LU CAPIJLME
72
SILVINE LA MARROCCHE
SCUCCIMARRA SILVIO
PAESE
LU BORIJE
73
PALMINE LA MARTILUCCE
CORRADI PALMINA
PAESE
LU CASTELLE
74
MÀRIJE LA MUFFETTE
D’ONOFRIO MARIO
PAESE
LA FIRNACHE
75
MARÌJE LA PALLONE
D’EGIDIO MARIA
PAESE
LU CASTELLE
76
MARÌJE LA PAPAIELLE
LEONE MARIA
PAESE
SANDANDONIE
77
ANNAMARIJE LA PICCIANESE
COSTANTINI ANNAMARIA
CONTRADA
FUNTANELLE
78
GILDE LA PILURE
CROCIOLI GILDA
PAESE
SANDANDONIJE
79
NDUNIJETTE LA PLUPLI’
COSTITUITO ANTONIETTA
PAESE
SANDANDONJE
80
NUNZIJATE LA QUARCHIONE
MASSIMI NUNZIATA
PAESE
SAND’ANDONIJE
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 3
99
81
GGINE LA SCIRETTE
DE FLAVIIS LUIGI
CONTRADA
VORGHE
82
ALFREDE LA SCRUFETTE
ROMITI ALFREDO
PAESE
SIPRIJOLE
83
MARIJE LA SPACCONA
CICCARELLI TRANQUILLI MARIA
PAESE
LA PIAZZE
84
LISANDRE LA STRIPPONE
RIDOLFI ALESSANDRO
CONTRADA
SELVAGRANDE
85
GIUVITE LA SURACHETTE
DI MICHELE GIOVITA
CONTRADA
PIANE
86
ALFREDE LA TONNE
DI DONATO MICHELE
CONTRADA
INTAGLIATA
87
LA TOSCA
ANNINA ORSATTI
PAESE
LU CASTELLE
88
BITTINE LA TUMMULONE
ELISABETTA DI MARTINO
CONTRADA
SELVAGRANDE
89
LA VALTERRINE
DI GIUSEPPE GUALTIERO
PAESE
LA PIAZZE
90
MIMI’ LA ZIZZONE MBRATTATE
SORGENTONE DOMENICO PAESE
LA PIAZZE
91
DIEGHE LAMBRASCHE
DI MARTINO DIEGO
PAESE
LU CAPIJLME
92
TATUCCE L’ANGIULELLE
LEONE DONATO
CONTRADA
LI VORGHE
93
TONINE L’AUTOBLINDE
LEONE ANTONIO
PAESE
LU BORIJE
94
FAMIJE LI RUSCIULE
FAMIGLIA GUARDIANI
PAESE
APPIGNANO
95
LURETE LI SUCCE
DEL PAPA LORETO
CONTRADA
VICENNE
96
PIETRE LU MARESCIALLE
GIANFORTE PIETRO
PAESE
LU CAPIJLME
97
GUERINE LU BANCHIRE
DE LUCA GUERINO
CONTRADA
PIANE
98
TONINE LU BANGIFFE
DI MUZIO ANTONIO
PAESE
LA PIAZZE
99
GIUUANNE LU BANNITE
CORRADI GIOVANNI
CONTRADA
PIANE
100 BAJONE LU BARBIRE
D’EGIDIO SALVATORE
PAESE
LU CAPIJLME
101 ERNESTE LU BARBIRE
SFAMURRI ERNESTO
PAESE
LU CAPIJLME
102 CAPRIJELE LU BARINETTE
DI DONATO GABRIELE
CONTRADA
GATTOPIO
103 SOLINE LU BISINDESE
D’ANTONIO SOLINO
CONTRADA
CONTROFINO
104 PACINE LU BUFETTE
BUFO PACINO
CONTRADA
VALLUNE
105 NDONIJE LU BBUMMONE
DI DONATO ANTONIO
PAESE
SIPRIJOLE
106 DUNATE LU BBUTTONE
FERRANTE DONATO
CONTRADA
LI PIANE
107 TANUCCE LU CAPE
DI MICHELE GAETANO
CONTRADA
LI PIANE
108 PASQUALE LU CARRUZZIRE
TINI PASQUALE
PAESE
LU CAPIJLME
109 DANDINE LU CASTILINDESE
DEL ROCINO DANTINO
PAESE
SANDANDONIJE
110 ERNESTE LU CAVALLARE
DI DANTE ERNESTO
PAESE
LU BORIJE
111 MAURIZIJE LU CCIATTÈ
D’ANGELANTONIO MAURIZIO
PAESE
APPIGNANO
112 PEPPE LU CIAMBANE
PLANAMENTE GIUSEPPE
CONTRADA
LI PIANE
113 ENZE LU CIAPASANDE
DOGALI ENZO
PAESE
SIPRIJOLE
114 MIMI’ LU CIOPPE
DI GIUSEPPE TELEMACO
PAESE
SIPRIJOLE
115 UMBERTE LU CORSE
D’EGIDIO UMBERTO
PAESE
LU CAPIJLME
116 EMILIJE LU CUMMISSARIE
MARGANELLA EMILIO
PAESE
LU CASTELLE
117 NDUNIJE LU DRAGHE
PAVONCELLI ANTONIO
PAESE
LA PIAZZE
118 BRUNE LU DUTTORE
DI ROMUALDO BRUNO
PAESE
APPIGNANO
119 CURRADINE LU FATTORE
DE FABRITIIS CORRADO
PAESE
SIPRIJOLE
120 ALFREDE LU FIUMMUNANDE
DI DONATO TEODORO
PAESE
SIPRIJOLE
121 ERNESTINE LU FRAJELLE
DI DONATO ERNESTO
PAESE
SIPRIJOLE
122 PIPPINE LU GATTONE
RAVICINI GIUSEPPE
CONTRADA
SAN GIORGIO
123 TONINE LU GGESSE
D’EGIDIO ANTONIO
PAESE
LU CASTELLE
124 CAPRIJELE LU GIACCHE
DI PAOLO GABRIELE
CONTRADA
CANTU’
Di Castijune s’armane ngandate
Li soprannume
100 125 DANDUCCE LU GIAPPONE
LUCIANI DANTE
PAESE
LI RINGHIRE
126 CAPRIJELE LU GIGANTE
DI BATTISTA GABRIELE
PAESE
LU BORIJE
127 RICUCCE LU GNIRRE
DI MARCO ENRICO
PAESE
SIPRIJOLE
128 TONINE LU IJCIAROLE
PETRINI ANTONIO
PAESE
SIPRIJOLE
129 NDUNIJE LU LONGHE
PERILLI ANTONIO
CONTRADA
GIARDINO
130 MIMI’ LU LUPETTE
MINGIONE DOMENICO
CONTRADA
GIARDINO
131 GUERINE LU MALIGNE
MICOLUCCI GUERINO
CONTRADA
INTAGLIATA
132 ERNESTINE LU MANETTE
LUPINETTI ERNESTO
PAESE
LU BORIJE
133 GUERINE LU MARRONE
DI DONATO GUERINO
CONTRADA
VICENNE
134 CUSTANDINE LU MECCANICHE
D’AGOSTINO COSTANTINO
CONTRADA
FONTANELLE
135 MARCUCCE LU MILANESE
PIAZZOTTA MARCO
PAESE
APPIGNANO
136 CECCHINE LU MULINARE
PINGELLI FRANCESCO
CONTRADA
LA TAVERNE
137 BIAGGE LU MUNNAZZARE
ROMITI BIAGIO
PAESE
SIPRIJOLE
138 GIUUANNE LU MUNTAGNOLE
DI MARTINO GIOVANNI
PAESE
LU BORIJE
139 FIDUCCE LU MUNTANIRE
DI ROCCO FIDO
PAESE
APPIGNANO
140 PASQUALINE LU PATANARE
PANTALEONE PASQUALE
PAESE
LU CAPIJLME
141 MINGENZE LU PIGNANE
RICCI VINCENZO
CONTRADA
PIANE
142 DANDINE LU PILIROSCE
MARUCCI DANTE
CONTRADA
SELVAGRANDE
143 TONINE LU PIRAZZE
DI GIANDOMENICO ANTONIO
PAESE
APPIGNANO
144 MINGENZE LU PITONE
D’ALONZO VINCENZO
PAESE
APPIGNANO
145 EMIGLIE LU PUIJESE
D’ANGELANTONIO EMILIO
PAESE
APPIGNANO
146 MÀRIJE LU PUSTAROLE
D’EMIDIO MARIO
PAESE
SAND’ANDONIE
147 EMIGLIE LU RUTESE
DELLE MONACHE EMILIO
CONTRADA
LI VORGHE
148 MARIUCCE LU SACRISTANE
MINGIONE MARIO
PAESE
LU CASTELLE
149 MUNDINE LU SARTORE
SCHIAPPA RAIMONDO
PAESE
SIPRIJOLE
150 MINGENZE LU SCARPARE
CIANI VINCENZO
PAESE
SANDANDONIJE
151 EMIGLIE LU SGUAZZONE
LUCCI EMILIO
CONTRADA
LI PIANE
152 GIUSEPPE LU SPAZZANEVE
MONTELLO GIUSEPPE
PAESE
APPIGNANO
153 NGIULINE LU STIPETTE
MANNA ANGIOLINO
PAESE
SANDANDONIJE
154 GIUUANNE LU STRIZZE
FUSCO GIOVANNI
PAESE
LU CAPIJLME
155 CARLE LU STRUNGARE
D’ANGELO CARLO
PAESE
APPIGNANO
156 GGINE LU TECCHIE
MICOLETTI LUIGI
PAESE
LA VIE DI SOTTE
157 MARIUCCE LU TORE
GIANNASCOLI MARIO
PAESE
APPIGNANO
158 FRANCISCHE LU TRICHE
BARDARI FRANCESCO
PAESE
LA PIAZZE
159 RAFFAELE LU VACUCCHESE
ROMANO RAFFAELE
PAESE
LA VIE DI SOPRE
160 MINGENZE LU VUZZAROLE
GUARDIANI VINCENZO
PAESE
APPIGNANO
161 TONINE LU VUZZETTE
MARGANELLA TONINO
PAESE
LA PIAZZE
162 PIPPINE LU ZOCCOLAJANNE
SFAMURRI GIUSEPPE
PAESE
LU BORIJE
163 CAMERINE MAGNACASCE
DI LORENZO CAMERINO
CONTRADA
CONTROFINO
164 PAOLINE MANGIALONE
GIANCATERINO PAOLINO
PAESE
APPIGNANO
165 NDONIJE MARCONE
MARCHESE ANTONIO
PAESE
APPIGNANO
166 NICOLE MARIAGEMME
RUSCITTI NICOLA
PAESE
SANDANDONJE
167 PIPPINE MASCIONE
ANDREOLI GIUSEPPE
CONTRADA
CONTROFINO
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 3
101
168 TONINE MBANILLE
GAMBACORTA ANTONIO
PAESE
LU BORIJE
169 UMBERTE MBRIZZICACCHIUVE
GIANCOLA UMBERTO
PAESE
APPIGNANO
170 MIMI’ MBRUIJONE
DURINI DOMENICO
PAESE
LU BORIJE
171 MIMI’ MEZZUCHILE
BARLAAM DOMENICO
PAESE
LA VIA DI SOTTE
172 PIPPINE MINOTTE
MANNA GIUSEPPE
PAESE
SANDANDONIE
173 TULLIJE MIRLITTE
BANDINI TULLIO
PAESE
APPIGNANO
174 GIUUANNE MISAELE
CHICHI GIOVANNI
PAESE
APPIGNANO
175 NDONIJE MISCELLE
PARIS ANTONIO
PAESE
APPIGNANO
176 ARIUDANDE MURITTE
MENSILE ARIODANTE
PAESE
APPIGNANO
177 DUNATE MUSCIANE
RUBINI DONATO
CONTRADA
GATTOPIO
179 MINGENZE MUZZONE
D’EURISCO VINCENZO
PAESE
APPIGNANO
180 SABBATINE NATEULE
CICCONE SABATINO
PAESE
LU BORIJE
181 TONINE NDULUCCE
ROMANO ANTONIO
PAESE
LA PIAZZE
182 MICCHELE PACCALARDE
DI CRISTOFARO MICHELE
CONTRADA
GIARDINO
185 FAMIJE PACCHIANE
FAMIGLIA GROSSI
PAESE
APPIGNANO
186 MINGENZE PAJARICCE
SIERRI VINCENZO
PAESE
APPIGNANO
187 TONINE CUCCIONE
DEL ROCINO ANTONIO
PAESE
SANDANDONIJE
188 GERARDE PANAJULE
ROMANO GERARDO
PAESE
LU BORIJE
189 NGIULINE PARAPATACCHIE
DI DOMENICO ANGELO
PAESE
SIPRIJOLE
190 MINGENZE PASSARETTE
PARIS VINCENZO
PAESE
APPIGNANO
191 GUIDE PATACCHE
DI LORETO GUIDO
CONTRADA
SELVA
192 DUMINICHE PATRICARLE
DI BATTISTA DOMENICO
CONTRADA
SANTA MARIE
193 CAPRIJELE PINZIJANE
DI MUZIO GABRIELE
PAESE
LA PIAZZE
194 TATUCCE PIZZICHILLE
DE SANCTIS DONATO
CONTRADA
LA TAVERNE
195 NDUNIJE PRICOCHE
LUPINETTI ANTONIO
PAESE
LA PIAZZE
196 GIUUANNE PRILATE
CAVICCHIA GIOVANNI
CONTRADA
CONTROFINO
197 TATUCCE PRUVULONE
DI GIANDOMENICO DONATO
PAESE
LU BORIJE
198 MÀRIJE PUCETTE
RANIERI MARIO
PAESE
LA PIAZZE
199 GGINE PULCIANE
TORRIERI LUIGI
PAESE
SANDANDONIJE
200 ROSSONE
D’ORAZIO ALCIDE
PAESE
SANDANDONIJE
201 RUSCETTE
SFAMURRI ROSA
PAESE
SANDANDONIJE
202 GGINE SAPPINGELE
DI DONATO LUIGI
CONTRADA
SANTA MARIE
203 GGINE SARACHE
DI ROCCO LUIGI
PAESE
LU CAPIJLME
204 GUGLIELME SCARICARILLE
DI BLASIO GUGLIELMO
CONTRADA
LI VORGHE
205 SAVERIJE SCIAQQUETTE
SCHIAPPA SAVERIO
PAESE
SANDANDONJE
206 FAMIJE SCIAUDATE
FAMIGLIA RAIMONDI
PAESE
APPIGNANO
207 VITTURINE SCOCCHIE
SCOCCHIA VITTORINO
PAESE
LI RINGHIRE
208 NDUNIJE SFASCIAPORTE
TRANQUILLI ANTONIO
CONTRADA
SANTA MARIE
209 MINGENZE DI SFRIJE
BELISARIO VINCENZO
CONTRADA
LI COSTE
210 DURANDINE STRACCIACAPPE
CRETAROLA DURANTE
CONTRADA
LI VORGHE
211 REME STRUSCITTE
MASSIMI REMO
PAESE
APPIGNANO
212 DAMUCCE TAJARANDINIJE
FUSCHINI ADAMO
PAESE
LU CASTELLE
213 MINGENZE TANAZIJE
FALONE VINCENZO
PAESE
LA PIAZZE
214 MINGENZE TAPPELABUSCE
TARASCHI VINCENZO
CONTRADA
PIANE
215 REMIGGE TIRITICCHE
ROMANO REMIGIO
PAESE
LU BORIJE
Di Castijune s’armane ngandate
Li soprannume
102 216 ARTURE TUBBIJE
AMMAZZALORSO ARTURO PAESE
LU BORIJE
217 RICUCCE TUMMULONE
DI MARTINO ENRICO
CONTRADA
LI PIANE
218 LIUNDINE TURZUTTE
MARTELLACCI LEONDINA
PAESE
LU BORIJE
219 GGINE VARRATE
D’ORAZIO LUIGI
CONTRADA
LU GIARDINE
220 TONINE VISCICUTE
DI MARCANTONIO ANTONIO
CONTRADA
LI VORGHE
221 ROBERTE VLARDINE
PICCIRILLI ROBERTO
PAESE
APPIGNANO
222 CECCHINE ZAPPETTE
LABRICCIOSA FRANCESCO
CONTRADA
INTAGLIATA
223 FRANCISCHE ZUCCUTELLE
LA CANALE FRANCESCO
PAESE
LU CAPIJLME
224 GIUUANNE ZURRONE
FACCIOLINI GIOVANNI
PAESE
LU BORIJE
225 PIPPINE LU MURTALE
DI VITANTONIO GIUSEPPE CONTRADA
SAN GIORGIO
226 NARDUCCE ZUITTE
DI VITANTONIO NARDO
SAN GIORGIO
Di Castijune s’armane ngandate
CONTRADA
Capitolo 3
103
Dialettando
SENTENZE, MODI DI DIRE e PILLOLE DIALETTALI
N
elle pagine seguenti facciamo cenno a quanto avveniva ed avviene ancora oggi nella vita di tutti i giorni: una vita costellata da sentenze, proverbi, modi di dire, rigorosamente dialettali, perché proprio nel dialetto sono insite l’immediatezza e l’efficacia dell’espressione. In ogni momento della giornata era pronta una frase per sottolineare nella maniera appropriata l’evento accaduto. Le sentenze, brevi ma incisive, venivano utilizzate per enunciare una verità, una norma morale oppure un semplice consiglio. I modi di dire parafrastici esprimevano sinteticamente, in forma più ampia, concetti o situazioni. Si è voluto infine ricordare delle caratteristiche parole dialettali, di cui purtroppo le giovani generazioni non comprendono più il significato. Il dialetto è un idioma che caratterizza un popolo ed il suo territorio che si evolve nel tempo; è stato utilizzato dai nostri antenati per tramandarci un ricco patrimonio sociale, umano e culturale permeato dalla saggezza che è propria delle persone anziane. Il dovere e la missione di ognuno di noi è e sarà quello di conservare e continuare a perpetuare nel tempo questo patrimonio.
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sentenze Duve si magne …Ddije mi ci manne Dio vede e provvede…quando la fame mi porta dove c’è da mangiare!
Tutte li scarpe divende scarpune! Tutte le cose e le persone sono destinate ad invecchiare…purtroppo!
Mitte, vicchjie e bardisce…Ddjie l’aiute Dio aiuta tutti, matti, vecchi e bambini.
Fa quelle che lu prete dice e non quelle che lu prete fa! Fai quello che il prete predica, e non seguire ciò che lui fa realmente nella vita.
Moje marite e fije: Cuma DDije ti li dà… ti li pije! Moglie marito e figli, come Dio te li dà, te li devi prendere. Li chiacchiere si li porte lu vende, li maccarune mbiene la panze! Le chiacchiere sono portate via dal vento, i maccheroni invece saziano, per dire che c’è differenza tra le parole ed i fatti reali. Appresse a lu rite ci vè lu piagne! Quando si ride troppo, poco dopo si presenta il pianto, un modo per far riflettere indicando che bisogna avere moderazione anche nei momenti più allegri. Li solde fa ji l’acque annammonte e annabballe! Chi è ricco può fare ciò che vuole. Riunione di vulbe…strippazione di galline! Riunioni di volpi, strage di galline! Quando si riuniscono persone particolarmente furbe, si progetta sempre qualcosa di clamoroso. Chi è prime nin’è senze! Chi arriva per primo non rimane mai senza niente. Lu belle joche dure poche! Il gioco che piace dura sempre troppo poco. Li mmasciate cummanne e fattele! Puoi comandare qualcosa a qualcuno, ma se la vuoi fatta bene devi fartela da solo!
Fa bene e scurditele, fa male e arpinzice. Se fai del bene scordalo, se fai del male pensaci a lungo. Criste dà lu pane a chi nin tè li dinde! Il Signore concede molto a chi non può godere ciò che riceve. Letteralmente Cristo dà il pane a chi non ha i denti. Chi nin tè bbona cocce tè bbone hamme! Chi non ha buona testa ha buone gambe; chi non fa le cose usando la testa spesso deve poi rifarle. La cerque mette la janne! La quercia produce le ghiande, per dire che i figli assomigliano nel carattere e nella fisicità ai loro genitori. Una pianta di pere non potrà mai produrre ciliegie! Nzi po’ tinè la scarpa onde e l’assogne sane! Non si può avere la scarpa lucida (unta) ed il lardo intero! Un tempo si usava il lardo per lucidare le scarpe, e se lo usavi non poteva rimanere intero. Prite e pulle nzi trove mai satulle! Preti e polli non sono mai sazi. Fiore mbette cafone perfette! Chi vuole essere elegante usando accessori in modo sbagliato. Ddu recchie bbune ni fa straccà di lengue! Due orecchie buone stancano diverse malelingue.
Mittite nghi è mije di te e faje li spese! Un invito che spesso i nostri genitori ripetevano: bisogna frequentare le buone persone non quelle poco raccomandabili!
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Capitolo 3
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MODI DI DIRE Arfà bagatte e bagattelle! Si dice quando si vuole manifestare l’intenzione di andare via da un posto; in pratica bisogna rimettere le cose a posto e rifare le valige per andare via. Magnapane a tradimende! Epiteto rivolto come insulto a persona che compie atti spregevoli di vigliaccheria. Letteralmente, mangia pane a tradimento, nel senso che sta con le persone che lo aiutano, mentre non pensa a far niente. Ngi para senne! Non mette giudizio, non ha ancora imparato nulla della vita! Nin mi dice core! Non ho voglia di fare niente. Mo ti passe l’orze! Quando si ha intenzione di dare una lezione a qualcuno. Ti pozze n’oma mbenne! Maledizione rivolta a qualcuno, spesso in forma ironica: letteralmente …che ti possano appendere!
Nz’arbatte nu chiove! C’è poco da fare, non si riesce ad avere alcuna opportunità. …e ndranghete! Si usa dire quando qualcuno insiste nel sostenere la sua versione in un ragionamento; in pratica ripete sempre le stesse cose. Mi li sente pi ll’osse! Avere un presentimento o la sensazione che possa accadere qualcosa. Fa lu file e ttesse! Indica lo svolgersi di una sequenza di attività con ritmo incalzante e vertiginoso. Nghi na carrire! Modo di dire per chi va di fretta quasi correndo. Quanta ggire fa la bbocce! Letteralmente quanti giri compie una boccia; si utilizza quando si vuole indicare incertezza in una particolare situazione; come a voler sfidare e conoscere quanti giri riesce a compiere una boccia in un determinato percorso… una cosa impossibile da calcolare.
Pi la scì e pi la nò! Per un nonnulla… si usa per indicare un comportamento di chi è molto suscettibile.
PILLOLE… DIALETTALI Dammaje = Danno Ji cumbinite proprie nu bbelle dammaje! Ciummunire = Camino Sceje nu fume nire da la ciummunire! Frignittone = Scaltro, furbo Quesse è nu frignittone! Gnittichite = Spaventato, terrorizzato Da quande jia successe chi lu fatte stà n’gnittichite! Ciambane = Zanzara Ma pizzichite na ciambane! Mmuttelle = Imbuto Pije ssa mmuttelle ca tinghe travasà npò di vine bbone!
Sciarpelle = Ciabatte Mittite li sciarpelle ca jeme a ffà lu bagne allu fiume! Piscoje = Pozzanghera Attinte a duva pisse ca là ci sta na bella piscoje! Tirricine = Tuoni Ohh… i sintite li tirricine! Visciole = Bolle sulla pelle Ma pizzichite la striche e m’ha fatte li visciole! Spizzelle = Malleolo Ssu ndundite ma date na botte a llu spizzelle! Mazzemarelle = Folletto Si diceva per mettere paura ai bambini. Spesso
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i ragazzi andavano sul campanile a suonare le campane, e siccome era pericoloso i genitori incutevano timore ai ragazzi dicendo: ngi jete su allu campanile ca cià’ rghesce li mazzemarille!
Ngenne = Bruciore Mi so messe npò di spirite sopra a stà firite e mò ngenne chi nza ‘rsiste!
Minicelle = Morbido, soffice Ssa fette di pane ere proprie minicelle!
Catorce = Cosa o persona logora, vecchia, inservibile La Biciclette di nonne ere proprie nu catorce!
Ciavaje = Balbuziente Ssu bardasce è mbò ciavaje!
Strichite = Scomparso, sparito Mo steje ecche e ssà strichite chi nu mumende!
Hammatte = gomitolo Nannò aiuteme affà stu hammatte di lane!
Fuffele = Vuoto, leggero So truate na noce fuffele! Mandricchje = Bisaccia, tascapane Mammà purteje na mandricchie piene di rrobbe da magnà! Scingicate = Disordinato Auarde a ssu matte scingicate! Papagne = Pugno, schiaffo A nu certe punte mi fice ncazzà e ji mullive nu papagne! Racciappule = Grappolo d’uva Abballe all i terre javame a coje li racciappule d’uve! Ndosse = Livido So pijite na botte su llù vracce e mà fatte nù ndosse!
Mmasciate = Faccenda Mammà vamme affà stà mmasciate ca mò c’arvì ti dinghe lu pane chi la ciucculate! Sparatrappe = Cerotto Mi sò sbuscite lu pete e ci sò messe nu sparatrappe! Mirgione = Persona poco cordiale Chillì è proprie na mirgione! Mbujete! = Fermati Mbujete nu mumente, fammete arcundà stu fattarelle! Scialette = Cosa divertente, da ridere La litichite tra moje e marite è proprie nu scialette!
Scuculite = Restare a tasche vuote Sò jucate a carte e m’anne scuculite!
Vindajole = Convulsioni, battiti accellerati Li fice tande ncazzà cà ji vinne li vindajole!
Sciapite = Insipido Ssi maccarune è proprie sciapite! Si può dire anche per indicare che una persona è poco assennata: Quesse è proprie nu sciapite! Nin capisce ninde!
Lu Spizijale = Il Farmacista
Armuarre = Comò Li pinne stà dentre all’armuarre!
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Capitolo 4
Mestieri E PROFESSIONI
Mestieri: Lu Maccarunare.
Capitolo 4
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Mestieri e professioni
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ei decenni successivi al secondo conflitto mondiale in paese prosperavano un centinaio di attività, fra commercianti, bar, calzolai, sarti, ecc.; il tempo inesorabilmente ne ha cancellate tantissime, ma i ricordi delle botteghe, dei locali, ove si svolgevano queste attività, rimangono ancora forti nella memoria di chi ha trascorso quel periodo. Si sentono ancora oggi, nella mente di chi ha vissuto quei tempi, le voci e le atmosfere che si creavano dentro i bar o nelle botteghe, dove ci si fermava a scambiare due chiacchiere, parlando di politica, di tasse, di prospettive per i figli, di sport, del futuro e… di qualche pettegolezzo! Magici momenti che mai più si rivivranno, ricordi incancellabili per chi ha vissuto quel tempo e ora cerca in tutti i modi di fermarlo. Sentiamo il dovere di mantenere intatta la “cultura del Ricordo”, storie di donne, uomini, storie belle, storie tragiche, storie esilaranti che senza una testimonianza andrebbero sicuramente perdute; ci siamo impegnati a non disperderle e cerchiamo di recuperarle dando loro, con questa parte del libro, una vita nel tempo. Diciamo spesso di voler vivere all’infinito, certo non si può, ma una consapevolezza della propria storia deve radicarsi per sempre negli animi dei veri Castiglionesi, anche quelli nati in paesi diversi per via della emigrazione; nel loro intimo essi sentiranno per sempre il richiamo del paese di origine, dei propri genitori, dei propri nonni e dei loro amici d’infanzia.
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Capitolo 4
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Il Sarto “Lu Sartore”
Tonino Del Rocino, Gabriele Di Battista, Sandrino D’Ignazio, Vincenzo Del Rocino, Ercolino Micoletti -“Sarti in Piazza Castello”.
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n mestiere molto in voga, testimonianza ne è il numero dei sarti e lavoranti che vi si dedicavano. Si trattava di una attività artigianale e venivano prodotti capi di abbigliamento di buona fattura. Era in voga fino al dopoguerra “Lu Staje”, una sorta di compenso o baratto; i sarti con i loro apprendisti detti “lavoranti” si recavano nelle case fuori paese (Contrade e Frazioni) rigorosamente a piedi con tutto l’armamentario (macchine per cucire, ferro da stiro, stoffe, ecc.) e cucivano vestiti a tutte le persone della famiglia. A fine giornata in base al lavoro effettuato e agli abiti ultimati, le famiglie “pagavano il lavoro” con i prodotti della terra: olio, farina, animali da cortile, vino. Uno dei migliori sarti del paese raccontava spesso che i bambini ed i giovincelli delle case di campagna, quando si andava a cucire i vestiti, erano felici e contenti perché arrivava “lu mastre” (così venivano chiamati i sarti) e le mamme cucinavano, ma soprattutto si mangiava! Cosa che a quei tempi non era proprio scontato. Di Castijune s’armane ngandate
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Costantino Del Rocino Dandine Lu Castilendese
Vincenzo Del Rocino
Giuseppe Manna Pippine Minotte
Vincenzo Romano Mingenze Romanelle
Vincenzo Giangrande Mingenze Lu Sartore
Antonio Di Muzio Tonine Pinzijane
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Nicola Perilli
Emidio Torrieri Middijucce Pulciane
Vincenzo Falone Mingenze Tanazije
Giuseppe Di Muzio Pippine Pinzijane
Pierino Scardetta
Vittorio Torrieri
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Enzo Ranalli Chinè
Alberto Mantini
Antonio Del Rocino Tonine Cuccione
Gabriele Di Battista Caprijele lu Gigande
Renato Grossi Lu Cucone
Pasquale Di Battista Pasquale Biancunelle
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La sarta “La Sarte”
Sartoria di Angela Andreoli con le sue assistenti
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Lelia Marganella La sposa è Antonietta Di Quinzio
Germana Marganella
Giuseppina Marganella
Dora Chiavone
Giuseppina Ferretti
Amelia Almonti
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Linda Merlocchi (Camiciaia)
Margherita Ricci Zi Margarite (Camiciaia)
Filomena Barlaam Filine (Camiciaia)
Ines Barlaam Inesse (Tessitrice)
Lucia Barlaam (Lavoro allâ&#x20AC;&#x2122;uncinetto)
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Il calzolaio “Lu Scarpare”
Bottega di Ginucce Nemesije, Don Pasquale, Ginucce e Ciurille.
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nche questo mestiere era largamente praticato. Diverse erano le botteghe sparse per il paese, dove operavano veri e propri maestri con i loro aiutanti. Come i sarti anche i calzolai si recavano nelle varie contrade per riparare le scarpe ai vari componenti del nucleo familiare; il compenso anche per loro veniva dato in natura. Il più conosciuto fra i calzolai era “Ginucce” che ha lavorato fino a tarda età. Faceva ancora le scarpe a mano e su misura, molte anche a persone che venivano da fuori provincia. Il modesto ricavato, considerati la mole di lavoro ed i costi dei materiali, veniva compensato dal gusto di operare con consapevolezza e passione e dal ritrovarsi nella bottega con amici e paesani per gustare un buon bicchiere di vino e scambiarsi “serene” opinioni anche politiche. La foto eloquentemente illustra quel tempo!
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Capitolo 4
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Antonio Barlaam Ndunije di Carlucce
Ettore Ciani Ittirucce
Luigi Mingione Ginucce
Alfonso Medori Furbicitte
Vincenzo Ciani Mingenze Lu Scarpare
Giuseppe Carminelli Pinucce Bbaffone
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Guerino Grotta Guerine Bonasere
Donato De Sanctis Tatucce Pizzichille
Pierino Catulini Zi Pierine
Raimondo Micoletti Mundine
Ascanio Piccirilli Ciurille
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Il Muratore “Lu Muratore”
Manfrede, Zi Ndandò e Saverije.
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estiere spesso tramandato di padre in figlio. I capimastri, gli operai e i manovali erano uomini muscolosi; esperienza, forza fisica, colpo d’occhio, hanno fatto degli ultimi muratori veri e propri maestri, quasi ingegneri. Le nuove tecniche edilizie, l’uso di materiali sempre più ricercati, adatti e pronti all’uso, e soprattutto la meccanizzazione e le normative sulla sicurezza hanno completamente trasformato questo mestiere.
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Remo Ruscitti Rimucce
Manfredo Ruscitti
Mario D’Onofrio La Muffette
Sergio D’Onofrio La Muffette
Mario Ammazzalorso Zi Marije
Pio Altobelli Pijucce Ciarrocche
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Domenico Fabrizi MimĂŹ Furcone
Giovanni Profeta Giuuanne Cascione
Saverio Schiappa Saverije Sciaqquette
Donato Rubini Dunate Musciane
Francesco Labricciosa Cecchine Zappette
Donato Labricciosa Sanzone
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Il fabbro “Lu Firrare”
Mastro Riccardo Trequadrini e Zi Ndandò.
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iverse le botteghe: quella di Ferrucce, di Tiriticche, di Riccarde, di Mingenze e altri. Dentro c’erano gli arnesi del mestiere: “la furnacelle” con una manovella per fare aria sul fuoco, un incudine e i martelli. All’esterno, fissati a muro, degli anelli di ferro o di pietra per tenere legati gli animali al momento della ferratura. Il lavoro di routine che i fabbri svolgevano, fino alla fine degli anni sessanta, era quello di fabbricare arnesi agricoli in ferro, e sistemare e aggiustare quelli già in uso in campagna (zappe, vanghe, falci, martelli, scalpelli, punteruoli) o in cucina (manici della “tijelle”). Con lo sviluppo edilizio il fabbro cominciò anche a produrre gli accessori per le case: ringhiere, finestre, porte di ferro e alluminio.
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Vincenzo Trequadrini Mingenze La Macarde
La puteche di La Macarde
Camillo Di Pietro Bbiancone
Remigio Romano Tiriticche
La puteche di Remigge
Bruno Trequadrini Brune di Riccarde
Nicola Ruscitti Nicola Mariagemme, oltre a fare il fabbro gestiva il lavaggio delle automobili a fianco della bottega di “Compagno Riccardo”. Alberino Di Romualdo Lu Duttore
Raffaele Pincelli Ferrucce
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Il Falegname “Lu Faligname”
Costantino D’Agostino, Renato e Alfredo Fazzini.
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el secondo dopoguerra a Castiglione vi erano diverse botteghe in cui operavano valenti falegnami. Naturalmente i vecchi artigiani sono stati i precursori dell’attività industriale. Con la nascita della Cassa Rurale e il conseguente aiuto economico, sono diventati degli imprenditori e sono sorti nel territorio alcuni mobilifici: F.lli Fazzini, Mucciola e Ferretti e ILL (Industria Lavorazione Legno). Molti operai negli anni 70/80 lavoravano alla produzione di mobili, porte e accessori di legno. È stato un periodo molto significativo per la crescita economica delle famiglie di tutta la vallata.
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Domenico Barlaam Mimì Mezzuchile
Gino D’Orazio Ggine Varrate
Natale Mucciola
Duilio Ricci
Nello Bandini Nillucce
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Il mulino ad acqua
Contenitori per farina all'interno del mulino ad acqua.
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ra un impianto semplice che imbrigliava l’acqua del fiume, sfruttandola per far girare le pale per poi reimmetterla nel corso del fiume. Un marchingegno primitivo ma con un particolare ingranaggio: l’acqua deviata scorreva in un canale detta “la forme”, arrivava alle pale e metteva in movimento la ruota. Il cigolio delle macine, il profumo della farina e la figura di “lu mulinare” tutto imbiancato, erano uno spettacolo. Ricordiamo il mulino ad acqua di Luigi Pincelli sulla sponda sinistra del Fino, e quello di “Pippine lu mulinare” sulla sponda destra.
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Macine del mulino ad acqua di Giuseppe Fazzini.
Luigi Pincelli
Giuseppe Fazzini
Antonio Fazzini
Macchinario per raffinare la farina.
Francesco Luciani Ciccucce
Dante Luciani
Negli anni sessanta “Ciccucce di Don Gerarde” insieme con il fratello “Danducce” detto “lu Giappone”, attivò nel paese un mulino elettrico dove i contadini portavano a macinare il grano raccolto.
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Dantucce Lu Giappone
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La cantina “La Candine”
La Puteche e la Candine di Zijette.
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el secondo dopoguerra e con l’avvento della televisione le cantine ed i bar erano molto frequentati ed erano luoghi di ritrovo di tutti dopo una giornata di duro lavoro. C’erano anche quelli che passavano tutta la giornata al bar perché non lavoravano. Diversi i motivi che spingevano i concittadini a passare qualche ora di relax nei bar o nelle cantine; chi giocava a carte, chi a biliardo, chi osservava, chi preferiva sorseggiare vino e intavolare ragionamenti con gli astanti e infine tanti ragazzini che seguivano curiosi le fasi del gioco desiderosi di apprenderle. Inoltre nei locali si discuteva animatamente di partite di calcio: epocali gli scontri verbali fra Juventini, Interisti, Milanisti e qualche tifoso del Toro!...e di gare ciclistiche: interminabili le discussioni tra i tifosi di Coppi e Bartali, Zilioli e Taccone, Moser e Saronni!
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Iole Di Martino Zì Iole
Umberto D’Egidio e Leonardo Li Curse
Albine di Tiriticche
Albina Romano
Giovanni Massimiani La lucche
Vincenzo Di Battista Biangunelle
Adelchi Pantaleone Adelche
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La Candine di La Ggesse
Donato D’Emidio Ciucione
Elpina Giangrande
Emidio Catulini Middijucce
Ariodante Mensile Ariulande
Grazietta D’Orazio Zijette
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Il commerciante “Lu Commerciande”
La puteche di Zijette a llu Castelle.
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nche l’attività del commerciante era molto sviluppata. Le diverse categorie rifornivano i cittadini delle necessità basilari ma, di qualsiasi cosa si avesse bisogno, si riusciva a soddisfare le esigenze di tutti. Diversi i negozi di generi alimentari (cinque solo nel paese senza contare le frazioni), diversi negozi anche di tessuti e confezioni. Molto in voga in quel periodo il famoso “Libretto” dove si annotava la merce non pagata; quando si vendeva qualcosa o arrivava qualche rimessa dai congiunti emigrati si regolava il conto. Questo contratto o libretto veniva chiamato in dialetto “La cridenze” in pratica una sorta di credito, concessa alle famiglie che non riuscivano a pagare subito in contanti la spesa. Per l’acquisto di vestiario era spesso il capofamiglia che accompagnava le donne in fiera o nei negozi. Le contrattazioni con i commercianti erano scene indimenticabili: si sceglievano le stoffe, si chiedevano i prezzi e poi gli sconti, fino a quando non ci si accordava. Da ricordare le litigate tra “li pannarule” (commercianti che partecipavano alle fiere di paese) per accaparrarsi il posto migliore a “Siprijole”. Di Castijune s’armane ngandate
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Erlinda Romano
Amerino Romano Merine
Teresa Baldassarre
Giuseppe Planamente Lu Ciambane
Nella e Donato Di Donato Cazzarelle
Agata Del Medico Chetine
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Luigi ed Eva Di Donato
Amelia e Francesco Di Rocco Ciccucce Sarache
Vittorino Scocchia Vitturine
Franceschina Giannetti Franceschine
Carlo Guardiani
Iolanda Mucciola Lola
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Il macellaio “Lu Macillare”
Stefano Romano Stefane Panajule
Antonio Di Quinzio Ndonije di Quinzije
Italiano Andreoli
Loreta De Lauretis
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Capitolo 4
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Il commerciante di bestiame “Lu Cummerciande di bistiame”
Giovanni Andreoli Giuuannucce Mascione
Carmine Andreoli Zi Carminucce
Giuseppe Andreoli Pippine Mascione
Il Venditore di porchetta “Lu Purchettare”
Fantino Di Giuseppe Fifì di Fidiriche
Luigi Andreoli Ggine
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Il Fornaio “Lu Furnare”
Giulio Nepa Lu Furnare
Legrina Zizi
Giuseppe Ravicini Lu Furnare
Il fotoGrafo “Lu Fotografe”
Ercolino Micoletti La bbardascille
Ernesto Giannetti La Fumire
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Capitolo 4
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Il VenditorE di elettrodomestici
Camillo Di Pietro Camille Bbiangone
Paolo Giancaterino Pauline Mangialone
Il Benzinaio “Lu Benzinare”
Guido Di Rocco
Ernino D’Agostino
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Nicola e Maria Margiovanni
Mestieri e professioni
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Il Lattaio “Lu Lattare”
Bertino Paluzzi
Seriuccio Paluzzi
L’Ambulante “L’Ambulande”
Banchetto della Tosca
Palmina Corradi La Martilucce
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Francesco De Sanctis Camillotte
Capitolo 4
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Sali e tabacchi “Lu Spacciarole”
Walter Di Giuseppe
Assunta Erasmi Ssundine
IL barbiere “Lu Barbire”
Salvatore D’Egidio Bajone
Ernesto Sfamurri Ernestine
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La parrucchiera “La Parrucchijre”
Naide Sfamurri
Marisa D’Orazio
L’Orefice “L’Orefice”
Antonio D’Egidio Tonine Sor Peppe
Balillina Di Donato Marije Cazzarelle
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Capitolo 4
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Il FattorE “Lu Fattore”
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ra persona incaricata dal proprietario di terreni a vigilare sui lavori della campagna. Esaminava insieme con il padrone, (se non aveva carta bianca), i problemi delle masserie; dava le direttive “a llu socce” e in generale alla manovalanza. Era in pratica il referente di quanto succedeva sui possedimenti del proprietario, sempre attento a verificare e riferire, anche perché più controllava e più riusciva a guadagnare.
Corrado De Fabritiis Lu Fattore
Giuseppe Di Michele
L’Agente del dazio “Lu Dazijre”
Mario De Colli Lu Dazijre Di Castijune s’armane ngandate
Mestieri e professioni
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Il Medico “Lu Metiche”
Francesco Savini
Giuseppe De Filippis
Nicola Luciani
Rocco Salini
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Capitolo 4
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Il Farmacista e Il veterinario “Lu Farmaciste e Lu Vitrinarije”
Mario Simeone Lu Farmaciste
Mario Moschetta Lu Vitrinarije
La levatrice “La Mammine”
Giovanna Di Flaviano La Mammine
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Mestieri e professioni
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Il DipendentE del Comune “Lu Mbijgate”
Italo Pantaleone
Ernesto Di Donato
Emilio Marganella
Il Vigile “La Guardije”
Nemesio Trippetta
Enrico Di Marco
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Capitolo 4
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Il Fontaniere “Lu Fundanire”
Mario Giannascoli Lu Tore
Vincenzo Trequadrini La Macarde
L’OperatorE ecologico “Lu Munnazzare”
Antonio Micoletti Turelle
Francesco La Canale Zuccutelle
Giuseppe Montello Mondelle
Pasquale Torrieri Pulciane
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Mestieri e professioni
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IL dipendentE dell’ufficio postale “Lu Pustarole”
Mario Di Emidio
Elisa Di Francesco
Pippo Maranci
Maria Luisa e Tonino Marganella
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Emiliano Matani
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Il Cantoniere “Lu Candunire”
Gaetano Di Michele Tanucce lu cape
Aurelio Antonelli Lu candunire
Guido Di Michele Lu casine
Mario Ferretti Lu Presidende
Tommaso Bufo Tumasse fidele
Aladino Crescia
Brillantino Leone
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Mestieri e professioni
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Il camionista “Lu Camijuniste”
Antonio Di Martino - Giubbette.
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l Camionista, alcuni anni fa, era un mestiere molto praticato, ma massacrante e gestito con enormi sacrifici. Gli automezzi erano molto costosi e fare investimenti significava mettersi al lavoro di buona lena, giorno e notte a caricare e scaricare merci per le varie destinazioni. Parecchi compaesani si erano dedicati a questa attività con passione. Curavano i loro automezzi nei particolari sempre pronti ed efficienti per affrontare lunghi viaggi. Negli anni sessanta da Castiglione, con periodicità mensile “Giubbette” effettuava viaggi a San Remo e dintorni, dove nel dopoguerra si erano trasferiti molti Castiglionesi per lavoro.
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Capitolo 4
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Riccardo De Sanctis Lu Cavalle
Filippo De Sanctis Pizzichille
Sandrino Romano
Tonino Catulini
Nazario Di Donato
Nazzarije Cazzarelle
Alberino Giannascoli Laurandine
L’Autista “L’Autiste”
Angelo Ravicini Ngiuline Firrette
Eraldo Almonti Narducce Barbette
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Ferruccio Luciani Ferrucce
Mestieri e professioni
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Il parroco “Lu Prete”
Don Ernesto Barlaam
Don Nicola Chioditti
Don Camillo Di Berardino
Don Bruno Valente
Don Rodolfo Soccio
Don Luciano Volpe
Don Icilio Sforza
Don Giorgio Soave
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Capitolo 4
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Il frate “Lu Frate”
Padre Francesco Saverio Sfamurri
Padre Raimondo Pietro Micoletti
Padre Luigi Luigi Pingelli
Padre Francesco Saverio Domenico D’Agostino
Don Palmerino Di Battista
Il sagrestano “Lu Sacrestane”
Mario Di Giuseppe Fofomme
Mario Mingione Mariucce Di Castijune s’armane ngandate
Luciano Mingione Cijane
Mestieri e professioni
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Il maestro “Lu Mastre”
Lu Mastre Catalde (Giuseppe D’Orazio) e una scolaresca - 1928.
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 4
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Angelo Pompei
Costantino Di Donato
Vitale Di Donato
Leo Sfamurri
Duilio Di Battista
Ennio De Filippis
Ugo Dogali
Galileo Trequadrini e lâ&#x20AC;&#x2122;alunno Bruno Bufo
Francesco Pincelli
Luigi Mantini Di Castijune sâ&#x20AC;&#x2122;armane ngandate
Mestieri e professioni
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La maestra “La Mastre”
Maestra Corinna
Maestra Delia
Maestra Dina
Maestra Concetta
Maestra Erminia
Maestra Scuccimarra
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 4
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Maestra Dorina
Maestra Lina
Maestra d'asilo Grazia Masellis
Maestra Teresa
Maestra Patrizia
Il Bidello “Lu Bidelle”
Giuseppe Di Pietro Peppe Biancone
Mario Mingione Mariucce
Di Castijune s’armane ngandate
Maria Torrieri
Capitolo 4
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Personaggi da ricordare
S
e volessimo ricordare il tempo della nostra infanzia, non potremmo non avere ricordi che includono persone che hanno percorso insieme a noi un pezzo di vita. Uomini e donne semplici, particolarmente incastonati in uno spicchio di tempo che sollecitano i nostri pensieri. Ognuno di essi è una storia, una lunga storia che andrebbe raccontata per dare vita e insegnamento a chi oggi ascolta o legge. Le vicissitudini di quel tempo, le speranze, le delusioni, le necessità, messe cronologicamente in fila, restituiscono figure che hanno il loro fascino e suscitano a seconda del racconto apprensione, ilarità, curiosità, voglia di sapere, voglia di conoscere. Difficile per le nuove generazioni avere la rappresentazione del vero significato di parole come sacrificio, fame, miseria, sopravvivenza; difficile non perché non conoscano il significato, ma perché non hanno convissuto con le difficoltà che hanno dovuto affrontare i loro antenati. Le foto delle persone, che abbiamo inserito di seguito, raffigurano uno spaccato della società che ha vissuto tra la guerra ed il dopoguerra. Quello che ci preme evidenziare è che ognuno di questi personaggi ha dietro di sé una storia, una vera storia. Un romanzo infinitamente lungo, affascinante, identitario, che potrebbe illuminare la via alle nuove generazioni, perché crediamo che riflettendo sul passato si possa poi guardare con fiducia al futuro.
Di Castijune s’armane ngandate
Personaggi da ricordare
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Giuseppe D’Egidio Sor Peppe
Alessandro Di Donato Lisandre D’Alije
Giovanni Corradi Giuuanne La Culicchije
Menotti Manna
Lino Barlaam
Angelo Emidio Ammazzalorso Middijucce
Giuseppe Pantaleone Pippine Pantalone
Nunzio Ruscitti Zi Nnunzije lu vitturale
Fiore Petrini Fiore Lu Ijciarole
Mario Ranieri Marije Pucette
Antonio Lupinetti Ndunije Pricoche
Pasquale Iezzi Falicone
Di Castijune s’armane ngandate
Capitolo 4
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Pasquale Fusco Lu Strizze
Antonio Romano Ndulucce
Arturo Ammazzalorso Tubbije
Ennio Di Cristofaro
Pasquale Sorgentone
Santino Bufo Lu Bufette
Pietro Micolucci Pierine Lu Maligne
Giacomo Fabrizi Giacumine Furcone
Antonio Di Martino Chillucce
Tito Di Battista Titine Biancunelle
Vittorio Catulini
Italo Di Muzio Itucce
Di Castijune sâ&#x20AC;&#x2122;armane ngandate
Personaggi da ricordare
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Francesco Marini Francische Cocciasturte
Antonio Marucci Ndonije Marucce
Vincenzo Belisario Mingenze di sfrije
Antonio Faione Ndunije Fajone
Umberto Ciani Mbertucce
Venanzio Di Quinzio Minanzie
Antonio Carminelli Bbaffone
Gelormine e Palmine
Carmela Chiavone Zi Carmela La Caiazze
Ciriaca D’Agostino Ciriche
Carmela D’Onofrio Carmillette la muffette
Alessandrina Londri Sandine
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Capitolo 4
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coro di Castiglione MESSER RAIMONDO
C
on lâ&#x20AC;&#x2122;intraprendente iniziativa di persone volenterose come il maestro Ennio De Filippis, Luciano Mingione, Emiliano Matani ed altri, nel nostro paese furono costituiti in epoche diverse formazioni coristiche. Qui di seguito riportiamo alcune foto, nelle quali sono presenti molti cari amici.
Di Castijune sâ&#x20AC;&#x2122;armane ngandate
Il coro
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Coro degli alunni di Appignano.
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Capitolo 4
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Gli amici dell’allegria
N
egli ultimi decenni del ’900 i cittadini di Castiglione hanno potuto godere delle performance di un gruppo folk che in molte occasioni di festa, con la loro simpatia e la loro bravura, li hanno allietati con canti e rievocando tradizioni popolari. Il gruppo denominato “Gli Amici dell’Allegria” aveva come leader indiscusso “Ercolino Micoletti” che veniva chiamato “il maestro”; altro componente di spicco era “Cijane”, Luciano Mingione valente fisarmonicista autodidatta; poi “Gine, cantante solista e Pasquale Pulciane” (Luigi e Pasquale Torrieri); Emilio Delle Monache e Quintino Di Domenico al tamburello; Gabriele Petrini alla grancassa; Guglielmo Di Blasio e Antonio Catulini ai piatti; ed altri di paesi vicini che spesso si aggregavano al gruppo. Ci piace ricordarli per la loro bravura, per l’impegno assiduo dimostrato, per i momenti di spensieratezza regalati ai concittadini.
Di Castijune s’armane ngandate
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Prof. Gabriele Faccia
(1942-1988)
I
l Professor Faccia è stato un educatore di giovani leve che utilizzò metodi innovativi nell’insegnamento delle discipline letterarie. I giovani allievi lo ricordano con il suo sorriso speciale che denotava tutta la sua bontà. Nel corso della sua breve esistenza si dedicò all’educazione culturale delle giovani generazioni, approfondendo senza sosta le sue conoscenze. Era solito, nei momenti di relax, quando sentiva presente la vena poetica, dedicarsi alla composizione di rime. Alcune di queste davvero belle e toccanti abbiamo voluto proporle, affinché il suo ricordo non venga cancellato dal trascorre del tempo. Sono liriche tratte dalla raccolta “Le cicale” – Firenze febbr. 1966 *Nessuno affoga nel lago della luna. È lontano lontano e sta per tramontare! Nessuno, mai nessuno può affogare. *Nell’ultime notti di maggio quando ardente mi divora desiderio di baci, fra le foglie rinate le pallide ciliegie sognano il sole e arrossano di gioia. *Non è più come allora, ogni giorno rinasco con un respiro più breve, i miei passi fan meno rumore, ho la voce piegata al sussurro.
*Non amo che poche cose oggi, mia vita: il vento che mi penetra gli abiti e mi ride il vento impertinente, la luna lucente rossa delle notti d’autunno, la luna che si cala piano dietro i monti e i tuoi occhi liquidi e le tue labbra morbide e tutte le favole sciocche che mi racconterai di te. *Se almeno sapessi cosa desiderare la vita sarebbe un facile gioco. Mi dimena l’assurdo chi parte non torna. Nella nuca il vuoto di un anno nella gola il sapore di nulla.
Di Castijune s’armane ngandate
*Quando avrò fra le mani lo spasimo estremo dei sensi sentendo la fuga ventosa di vita da tutte le membra terrò la mia faccia nascosta nel cavo tuo collo segreto… Avrai d’improvviso le lagrime sparse sul seno e l’anima mia già certa del mondo che manca, abbracciata, sentendosi vana col cuore in sussulto, più acerba. *Me ne andrò lontano più lontano delle stelle e solo a me racconterò la storia di un viaggio così lungo. Non mi vedrete più dopo l’estate avrete tutti soli con voi la malinconia delle piogge lunghe, la gioia strana della nevicata e l’altra estate e l’altra primavera. Io per me sono l’esule che non conosce il suo destino e sa soltanto di dover fuggire.
Capitolo 4
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Foto di un tempo passato...
La Cantina di Ciucione, con Gino Bartali, Ndonije di Quinzije, La Valterrine, Falcone e Tonine sor Peppe.
“Lu Trappite” di Pasquale Sorgentone con alcuni aiutanti: si riconoscono Dunate Pulciane e Ndunije Turelle.
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Foto di un tempo passato...
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La Meglio gioventĂš degli anni â&#x20AC;&#x2122;60.
Solenne cerimonia delle Ascensioni, venivano portate in processione tutte le statue dei Santi. Foto inizi del 1900.
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Capitolo 4
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I cittadini di Castiglione ricordano i caduti della Grande Guerra con una cerimonia davanti al Municipio. Foto anni â&#x20AC;&#x2122;30.
Foto di gruppo cittadini castiglionesi - 1933.
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Foto di un tempo passato...
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La “Vije di Sopre” oggi via Vittorio Emanuele II. Nel centro storico si svolgevano gran parte delle attività commerciali e artigianali. Le case sulla destra sono state abbattute agli inizi degli anni sessanta.
Parrocchia di San Nicola di Bari oggi intitolata a San Donato Martire.
Il campanile.
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Capitolo 4
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Foto di un tempo passato...
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“La vricciate”, via Mazzini.
“Li ringhire”, rione di Sant’Antonio.
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Capitolo 4
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“Li coste”, foto da contrada Intagliata.
“La ruve di Fajone”, vico Altobelli.
“Lu suppurte”, via Roma.
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Bibliografia
L. De Carolis “Bisenti Storia Leggende” Edigrafital, 1970 L. Franchi Dell’Orto-C. Vultaggio, Dizionario topografico e storico, in Dalla valle del Piomba alla valle del basso Pescara, Documenti dell’Abruzzo teramano, Carsa, Pescara 2001 A. Putauro Murano, Oreficerie sacre, in Dalla valle del Piomba alla valle del basso Pescara, Documenti dell’Abruzzo teramano, Carsa, Pescara 2001 G. Alessio, Toponomastica storica dell’Abruzzo e Molise, Napoli 1963 C. Battisti-G. Alessio, Dizionario etimologico italiano, Firenze 1950, I. C. Greco, Liber Capitolorum Universitatis Terrae Castileonis Messer Raimundi con Cenni storici di Castiglione Messer Raimondo, Cassa Rurale ed Artigiana di Castiglione, Castiglione Messer Raimondo 1991. E. Di Nicola, Piccole storie di piccoli paesi, Bisenti 2003 G. Giannini, Appignano breve storia di un borgo, InStoria, n. 8 – Agosto 2008 (XXXIX) G. Giannini, Capitoli castiglionesi, gli statuti di Castiglione Messer Raimondo, InStoria, n. 29 – Maggio 2010 (LX) G. Iaculli, Il tempio italico di Colle S. Giorgio (Castiglione Messer Raimondo), Cassa rurale ed artigiana di Castiglione, Castiglione Messer Raimondo 1993 F. L. F. Blondus, Roma ristaurata et Italia illustrata, Venezia 1553 D. Lupinetti, Castiglione Messer Raimondo e il suo tesoro. Breve studio monografico sul Paese e sulla devozione a San Donato, Penne 1950 L. Alberti, Descrittione di tutta Italia, Giovan Maria Bonelli, Venezia 1553 I. Addari, Tossicia tra storia e mistero, Comune di Tossicia, S. Gabriele 2010 La Voce di Castiglione Marzo 1967 a cura di Francesco Pincelli L. Franchi Dell’Orto. C. Vultaggio, Dizionario Topografico e Storico, in “Dalla Valle del Piomba alla Valle del basso Pescara” - Documenti dell'Abruzzo Teramano. Carsa ed. Pescara 2001 F. Barillaro. La Valle del Fino - Una Storia per Immagini fra ’800 e ’900 Chieti 2004 Tesori d'Abruzzo anno 2 n°4 Il Fino anno 2005 n°26 Il Fino anno 2006 n°52 “Il Risorgimento d'Abruzzo e Molise” - Roma anno V n°397 - giugno 1923 F. L. F. Blondus, Roma Ristaurata et Italia Illustrata Venezia 1553 E. Boaga “La soppressione Innocenziana” Roma 1971 Odoardi - I frati Minori Conventuali - 1864 P. N. Petrone “Relazione sui conventi d'Abruzzo” redatte nel 1650 Bibl. Tommasiniana, Tagliacozzo 1998 E. Santangelo - Opuscolo in occasione della 18 giornata F.A.I. Comune Castiglione Messer Raimondo. Marzo 2010 Cappelli, Faranda, Storia della Provincia di Teramo dalle origini al 1922, Abruzzo, ed. Tercas, Anno 1979 Lido Panzone “Lu quadernucce di lu Mastre” HATRIA ed. 2003 F. Ammazzalorso, Analisi Fonetica, Morfosintattica e Lessicale delle parlate di Castiglione Messer Raimondo e Roccafinadamo - Chieti - Facoltà di Lettere e Filosofia - Tesi 1979
Di Castijune s’armane ngandate
Finito di stampare nel dicembre 2015 dalle Arti Grafiche Cantagallo, Penne PE
Associazione Culturale Castiglione Nostra
Associazione Culturale Castiglione Nostra
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Storie Personaggi Soprannomi Mestieri e Professioni
A cura della Banca di Credito Cooperativo di Castiglione M. R. e Pianella