Sviluppare le Regioni dell'Africa e dell'Europa - 2010 - Urbanizzazione

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Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa 4ª edizione - Urbanizzazione: Sfide e Opportunità


La presente Ricerca è stata realizzata da The European House-Ambrosetti per la Fondazione Banco di Sicilia. La Ricerca si è avvalsa di un Comitato Guida composto da: Caleb Fundanga (Governatore della Banca Centrale dello Zambia) Nunzio Guglielmino (Vice Governatore Delegato, Council of Europe Development Bank) Josep Piqué i Camps (Presidente di Mixta Africa; già Ministro degli Esteri spagnolo) Giovanni Puglisi (Presidente Fondazione Banco di Sicilia) Andrea Riccardi (Fondatore Comunità di Sant’Egidio) Vincenzo Schioppa (Ambasciatore d’Italia nella Grande Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista; già Ministro Plenipotenziario, Ministero degli Affari Esteri) Bernard Spitz (Fondatore e Amministratore Delegato di BSConseil; membro del Consiglio di Stato francese) Gruppo di lavoro The European House-Ambrosetti: Paolo Borzatta (Senior Partner) Marina Mira d’Ercole (Capo progetto) Lorenzo Tavazzi (Coordinatore del progetto) Elena Antiga Mattia Beda Francesca Migliavacca Si ringraziano per gli spunti, i contributi e la collaborazione: Gianpaolo Bruno (Direttore Ufficio ICE di Johannesburg), Sheila Butungi (Veterinary Officer, National Animal Genetic Resources Centre & Data Bank in Uganda), Giuseppe Ceccarini (Direzione Relazioni Istituzionali e Comunicazione, ENI), Matimba H. Changala (Zambia Development Agency), Ellah Chembe (Deputy Executive Director, Zambia National Farmers’ Union), Prisca M. Chikwashi (Chief Executive Officer, Zambia Association of Chambers of Commerce and Industry), Alessandra Ciulla (Lavori all’Estero ed Affari Internazionali, Associazione Nazionale Costruttori Edili – ANCE), Carmelo A. Cocuzza (Head of Regional Representation East and Central Africa, European Investment Bank e Direttore di FinAfrica), Andrea Colantonio (Research Officer, LSE Cities London School of Economics and Political Science), Daniele Cristallini (Segreteria Tecnica Vice Ministro per il Commercio Internazionale, Ministero dello Sviluppo Economico), Charles Dadié Dago (Ufficio Esteri, Associazione Italiana Allevatori – AIA), Roberta Dall’Olio (Responsabile Area Politiche dell’Unione Europea e Cooperazione Internazionale, Ervet), Pierluigi De Angelis (Chief Financial Officer, Parmalat), Marco Felici (Amministratore Unico, AtePi), Francesco Fiermonte (Responsabile Progetto Internazionalizzazione, OICE), Mario Giro (Responsabile Relazioni Internazionali, Comunità di S.Egidio), Lucien Godin (Fondateur, Groupe Huit), Giovanni Grasso (Direttore Generale, OICE), Gastone Guerrini (Amministratore Unico, Guerrini Costruzioni Generali), Shuller Habeenzu (Chief Executive Officer, Zambia Business Forum), Dick M. Kamugasha (Director Technology Development Centre (TDC), Uganda Industrial Research Institute), Dominic Kangongo (Economista, Ministry of Commerce, Trade & Industry dello Zambia), Maggie Kigozi (Executive Director, Uganda Investment Authority), Charles G. Kwesiga (Executive Director, Uganda Industrial Research Institute), Paolo Lucci Chiarissi (Senior Programme Officer Field Programme Development Service (TCAP), Technical Cooperation Department, FAO), Stefano Manservisi (Direttore Generale degli Affari Interni, Commissione Europea), Andrea Marsanich (Direttore Relazioni Istituzionali e Comunicazione, ENI), Federico Masier (Chief Operating Officer, Netdish), Marco Mattia (Lavori all’Estero ed Affari Internazionali, Associazione Nazionale Costruttori Edili – ANCE), Roseta Mwape (Chief Executive Officer, Zambia Association of Manufacturers), Jessica Mwiinga Chombo (Manager-Investment Promotion, Zambia Development Agency), Silim Nahdy (Executive Director, National Agricultural Advisory Services in Uganda), Braccio Oddi Baglioni (Presidente, OICE), Joseph Oryokot (Technical Services Manager, National Agricultural Advisory Services in Uganda), Leonardo Palombi (Professore Ordinario di Epidemiologia all’Università di Tor Vergata e Direttore Scientifico del programma DREAM, Comunità di S.Egidio), Marcela Pinedo (National Expert Investment and Technology Promotion Office, United Nations Industrial Development Organization – UNIDO), Carlo Ratti (Direttore, SENSEable City Laboratory, Massachusetts Institute of Technology), Pablo Recalde (WFP Representative/Country Director, The United Nations World Food Programme in Zambia), Franca Roiatti (Giornalista e autrice di “Il nuovo colonialismo”), Pier Giorgio Romiti (Amministratore Delegato, Lotti & Associati), Paolo Sormani (Direttore Generale, Variopinto), Hannington Sengendo (Associate Professor, Department of Geography, Makerere University), Jose Soler (First Counsellor - Head of Co-operation, European Union in Uganda), Jean-Fabien Steck (Maître de Conference, Science Po), Emanuela Stefani (Direttore, Conferenza dei Rettori delle Università Italiane – CRUI), Piet Theron (Managing Director, Parmalat Zambia), Denis Tredese (Netdish). Si ringraziano per la cortese disponibilità, il supporto e l’interesse dimostrato: Hassan Abouyoub (Ambasciatore, Ambasciata del Regno del Marocco in Italia), Georgina Bridget Adzo Djameh (Ministro Plenipotenziario, Ambasciata della Repubblica del Ghana in Italia), Carlos Alberto Amaral (Consigliere, Ambasciata della Repubblica dell’Angola in Italia), Pietro Ballero (Ambasciatore, Ambasciata d’Italia a Kampala), Amal Belcaid (Incaricato d’Affari e Ministro Plenipotenziario, Ambasciata del Regno del Marocco in Italia), Guido Bilancini (Primo Segretario, Ambasciata d’Italia a Lusaka), Lorenzo Cumbo (Consigliere, Ambasciata della Repubblica del Mozambico in Italia), Joao B. Da Costa (Ministro Consigliere, Ambasciata della Repubblica dell’Angola in Italia), Messaoud Kerroum (Segretario Diplomatico, Ambasciata della Repubblica di Algeria in Italia), Robert Kobia (Secondo Consigliere, Ambasciata della Repubblica del Kenya in Italia), Margaret Kyogire (Ministro Consigliere e Vice Capo Missione, Ambasciata della Repubblica dell’Uganda in Italia), Senate Barbara Masupha (Consigliere, Ambasciata del Regno del Lesotho in Italia), Alessandra Molina (Primo Consigliere – Capo Ufficio Economico, Ambasciata d’Italia a Berlino), Giuseppe Morabito (Direttore Generale per l’Africa subsahariana, Ministero degli Affari Esteri), Thenejiwe Ethel Mtinso (Ambasciatore, Ambasciata della Repubblica del Sud Africa in Italia), Lucy Mungoma (già Ambasciatore, Ambasciata della Repubblica dello Zambia in Italia), Paul Munyao Kaliih (Consigliere, Ambasciata della Repubblica del Kenya in Italia), Hope Mwesigye (Ministro, Ministry of Agriculture, Animal Industry & Fisheries dell’Uganda), Stefano Pontecorvo (Vice Direttore Generale per l’Africa subsahariana, Ministero degli Affari Esteri), Mohamed Ashraf G.E. Rashed (Ambasciatore, Ambasciata della Repubblica Araba dell’Egitto in Italia), Abdessattar Rebey (Consigliere, Ambasciata della Repubblica di Tunisia in Italia), Alaa Roushdy (Consigliere, Ambasciata della Repubblica Araba dell’Egitto in Italia) Deo K. Rwabita (Ambasciatore, Ambasciata della Repubblica dell’Uganda in Italia), Lucio Alberto Savoia (Segretario Generale, Commissione Unesco), Pietro Sebastiani (Rappresentante Permanente per l’Organizzazione delle Nazioni Unite (FAO-IFAD), Ministero degli Affari Esteri), Maurizio Serra (Rappresentante Permanente per l’Italia presso l’Unesco), Trevor Sichombo (Primo Segretario, Ambasciata della Repubblica dello Zambia in Italia), Helene Tchuente Kom (Secondo Segretario, Ambasciata della Repubblica del Camerun in Italia), Diegane Sambe Thioune (Ministro Consigliere, Ambasciata della Repubblica del Senegal in Italia), Adolfo Urso (Viceministro allo Sviluppo Economico, Ministero dello Sviluppo Economico), Michele Valensise (Ambasciatore, Ambasciata d’Italia a Berlino), Abebe Kelemu Workneh (Incaricato d’Affari, Ambasciata della Repubblica Federale Democratica di Etiopia in Italia). © Fondazione Banco di Sicilia e The European House-Ambrosetti - 2010


Indice

Indice Prefazione

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Il progetto in 10 punti

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Executive Summary 1. L’Africa in movimento: una panoramica 2. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa” 3. Il tema di focalizzazione 2010: lo sviluppo urbano in Africa 4. L’Africa e il “Sud del mondo” 5. L’osservatorio sui rapporti Europa-Africa 6. Lo sviluppo economico dell’Africa 7. “Capire” l’Africa: la Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM)

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1. Introduzione: il risveglio dell’Africa 2. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa” 3. Le fasi del progetto ad oggi e i risultati 4. Considerazioni di sintesi

49 52 55 66

Capitolo 1 - Il progetto di “Sviluppare le regioni dell’Africa”: obiettivi, fasi, risultati

Capitolo 2 - Lo sviluppo urbano in Africa: stato dell’arte, tendenze ed opportunità 1. Introduzione 2. L’urbanizzazione: schemi di crescita e scenari di sviluppo 3. La transizione urbana in Africa: una visione di sintesi 4. Considerazioni di sintesi e opportunità dello sviluppo urbano in Africa

71 75 79 111

Capitolo 3 - L’osservatorio sull’Africa: situazione congiunturale, prospettive future e andamento dei sigoli paesi 1. Introduzione: l’Africa dopo la crisi 2. La situazione economica dell’Africa 3. L’Africa come soggetto politico: rappresentanza e unificazione 4. L’Africa e lo sforzo per raggiungere i “Millenium Development Goals” (MDG) 5. “Ambrosetti Development of Africa Map - ADAM”: strumento interpretativo dello sviluppo degli Stati africani 6. Le trappole allo sviluppo dell’Africa 7. Considerazioni di sintesi

123 125 133 141 151 178 187

Capitolo 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo 1. Introduzione: il risveglio africano 2. L’asse Sud-Sud 3. Considerazioni di sintesi

193 197 213

Capitolo 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa 1. L’Europa ripensa la sua strategia per l’Africa 2. Commercio, il difficile cammino delle partnership 3. L’azione dei principali Paesi europei in Africa 4. Le relazioni Stati Uniti-Africa: cenni 5. Considerazioni di sintesi

219 230 234 246 249

Databook

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Bibliografia

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Prefazione

Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa Prefazione del prof. Giovanni Puglisi Presidente Fondazione Banco di Sicilia

Autorevole, concreto e ricco di contenuti innovativi. Sono questi i connotati con cui desidero tratteggiare il profilo del nostro Forum di Taormina che, giunto alla sua quarta edizione, fa della Sicilia la piattaforma ideale da dove alimentare, una volta all’anno, il dibattito globale sui grandi temi connessi alla crescita socio-culturale ed economica dell’Africa. L’autorevolezza non è un dono innato, da sempre si conquista sul campo dimostrando a cielo aperto serietà e credibilità. Molto seri sono stati, fin da subito, i propositi iniziali quando circa un lustro fa la Fondazione Banco di Sicilia, supportata da The European House-Ambrosetti, cominciò a gettare le basi di un progetto pluriennale finalizzato a stimolare relazioni di business fra Europa e Africa. Sembra semplice, a dirla oggi, ma nel 2006 non lo era affatto: in pochi, allora, avrebbero infatti scommesso sulle potenzialità del grande “Continente nero”. Altrettanto serio è stato poi il prosieguo del cammino. Anno dopo anno il Forum è cresciuto e lievitato: è costantemente aumentato il numero dei partecipanti (la presenza straniera è passata dal 15 al 22% nell’arco di tre edizioni), si è affinata la qualità degli interventi, si è impennata, di conseguenza, l’attenzione dedicatagli dai media. Ma la credibilità dei progetti, così come quella delle intenzioni, si misura e si valuta anche sulla base di quel che accade dopo. E di cose, per quanto ci riguarda, ne sono accadute. Eccoci, dunque, nella sfera della concretezza. Ebbene credo sia giusto ricordare che proprio grazie al Forum, o meglio ai Fora, di Taormina stanno nascendo in Africa importanti progetti imprenditoriali che, in diversi ambiti, vedono coinvolti player internazionali. Li elenco velocemente, è un dovere di cronaca. - Progetto di telemedicina e formazione a distanza L’iniziativa nasce per potenziare le attività di telemedicina del progetto DREAM della Comunità di Sant’Egidio, che da anni combatte l’AIDS e la malnutrizione in Africa, e ampliare i programmi formativi a distanza per personale tecnico, medico e infermieristico locale. Grazie a un bando dell’Agenzia Spaziale Europea, saranno presto allestiti i primi tre centri in Malawi, Mozambico e Repubblica Democratica del Congo.

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Prefazione

- Creazione dell’Agenzia Sènghor per i talenti africani L’obiettivo, che passa attraverso la creazione di un centro per la promozione dell’offerta universitaria europea, è quello di formare in Europa la futura classe dirigente africana. Grazie al coinvolgimento della Fondazione Banco di Sicilia, della Fondazione Giorgio Cini Onlus, della Fondazione CRUI, della Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco/ Italia e dell’Associazione per la Commissione Nazionale Unesco - Italia (a cui si somma The United World College of Adriatic), si è infatti costituita la Fondazione Senghor che, a breve, stabilirà i passi necessari per avviare l’operatività già nel corso del 2011. - Distretto Agro-industriale Lo scopo è la realizzazione di un distretto agro-industriale integrato di produzione e prima trasformazione industriale per il mercato locale e per l’esportazione. Il Distretto dovrà essere autonomo dal punto di vista energetico, collegato da una rete di infrastrutture locali e dovrà essere attrezzato per garantire in loco la trasformazione industriale dei prodotti. Ci sono buoni segnali all’orizzonte: in Uganda il progetto è stato inserito nel Development Strategy and Investment Plan del Ministero dell’Agricoltura e nel Piano di sviluppo nazionale 2011-2014. Quest’anno è stato deciso di dare un nuovo titolo al nostro evento. La ritengo una scelta opportuna: Sviluppare le Regioni dell’Africa e dell’Europa, ben sintetizza intenti e risultati e, al contempo, riesce ad esprimere in maniera diretta il nostro desiderio di vedere finalmente realizzarsi un rapporto fra pari tra i due Continenti. L’Africa, sia chiaro, per il suo progredire ha più bisogno di intese che di aiuti. È anche per questo che abbiamo affidato al Forum l’obiettivo di evidenziare la necessità che l’Europa cambi le modalità di approccio nel relazionarsi con il Continente africano. Cina, India, Paesi arabi, Giappone stanno dimostrando da anni un notevole interesse verso i Paesi africani, investendovi fortemente e imbastendovi relazioni politiche ed economiche a tutto campo. A fronte di ciò l’Europa sta invece riducendo l’ammontare dei propri stanziamenti in Africa dopo essere stata per circa 50 anni, il suo primo partner commerciale. Vi è un altro aspetto, dicevo nell’incipit, che caratterizza a detta di tutti, il Forum di Taormina, è la sua straordinaria capacità di affrontare temi socio-culturali e di proporre soluzioni modello, propedeutiche e preliminari al progredire economico. Ogni ottobre, a Taormina, imprenditori, economisti e manager si confrontano sui futuri e sui destini dell’Africa dialogando, in equilibrio come vasi comunicanti, con scienziati, politici e studiosi provenienti da ogni dove. Il Forum è sicuramente una leva di business, ma è anche – e forse soprattutto – una straordinaria fucina di contenuti, di idee, di stimoli dove, in piena sintonia con lo spirito unescano, ‘si fa e si stimola al fare’. Colgo a questo punto l’occasione per ricordare che la signora Lalla Aïcha Ben Barka, che per l’Unesco ricopre l’importantissimo ruolo di Vice Direttore Generale del Dipartimento per l’Africa, ha voluto quest’anno onorarci con la sua presenza e, ritagliandosi uno spazio nella sua agenda, ha deciso di intervenire in una delle sessioni della due-giorni di Taormina. Un nuovo grande tema dà stimoli a questa quarta edizione del nostro Forum, è quello dell’urbanizzazione in Africa e dei fenomeni ad essa connessa. Ancora oggi, pare impossibile, gran parte della popolazione africana vive in villaggi o in

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Prefazione

piccoli centri; tuttavia l’urbanesimo è in fase di vorticoso sviluppo, basti pensare che gran parte delle maggiori città africane hanno raddoppiato la loro popolazione nel giro di poco più di un decennio. Siamo di fronte a una medaglia a due facce: se da un lato è assodato che oggi le città, soprattutto nei Paesi del Sud del Mondo, rappresentano il motore della crescita economica e sociale, dall’altro appare purtroppo evidente che gli schemi di sviluppo urbano adottati in Africa sono stati troppo spesso veri e propri moltiplicatori di fattori negativi. Il risultato è che, ad oggi, ben il 43% della popolazione urbana africana vive sotto la soglia della povertà. Disadattamento culturale, degrado dei rapporti sociali, non rispetto dell’ambiente e delle fondamentali norme igienico-sanitarie, compromesse dalle eccessive concentrazioni umane: queste, oltre alla piaga dell’AIDS, le principali sventure del tessuto urbano africano. Sulla scia di queste considerazioni – e sulla base di un puntuale e approfondito studio condotto da The European House-Ambrosetti – la Fondazione Banco di Sicilia presenta quest’anno a Taormina un concept di quartiere abitativo integrato, multifunzionale e autosufficiente che possa rappresentare un progetto pilota, più volte replicabile. L’obiettivo è quello di porre le basi per realizzare in Africa un’area urbana sperimentale che, dimensionata per circa 10.000 persone, sia in grado di garantire a tutti una buona qualità della vita. Nell’Italia rinascimentale, la riscoperta dei testi classici stimolò la riflessione sulla possibile realizzazione di uno Stato perfetto, retto da sapienti e impostato su canoni architettonici giudicati consoni a garantire un’armoniosa coabitazione dei cittadini. Nacque così il concetto di “città ideale”. Ci fu chi addirittura la progettò, chiamandola Sforzinda, e chi, invece provò a dipingerla dopo essersela immaginata ad occhi chiusi. A Urbino, alla Galleria Nazionale delle Marche, è esposta una tempera su tavola che rappresenta proprio la Città ideale; è un’opera splendida di attribuzione incerta, anche se c’è chi vi rintraccia la mano e i pennelli di Piero della Francesca. No, quello presentato al Forum non è certo il sogno utopistico di Sforzinda, è il progetto di un quartiere concreto e realizzabile, pensato per favorire la riqualificazione di aree cittadine degradate, per promuovere la sostenibilità nell’edilizia, per sostenere la crescita urbana in Africa favorendo la diffusione del know-how specialistico italiano/europeo e mettendo a disposizione dei partner africani soluzioni tecnologiche all’avanguardia. La sfida dunque, continua. Ogni anno è sempre più complesso disegnare un progetto che scostandosi dal sogno, dia alla realtà il gusto del possibile e all’utopia il fascino dell’impossibile. Anche questa volta il nostro progetto vuole disegnare qualcosa di possibile, avvicinando la realtà ed esorcizzando l’utopia. L’esito non è mai scontato: dipende dalla forza delle idee e dalla convinta consapevolezza dei protagonisti: le prime sono forti e chiare, la seconda è senza condizioni. Ad maiora, dunque, anzi ad meliora!

Prof. Giovanni Puglisi Presidente Fondazione Banco di Sicilia

Taormina, San Domenico, ottobre 2010

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La Ricerca in 10 punti

Il progetto in 10 punti

1. L’Africa cresce a ritmi tra i più rapidi a livello mondiale. Nonostante il rallentamento registrato nel 2009, l’economia africana ha ripreso a crescere a ritmi superiori al 5%, pari ai tassi sperimentati nel periodo 2000-2008. Il Pil nel suo complesso ha raggiunto valori paragonabili a quelli di Russia e Brasile e la crescita della ricchezza pro-capite è stata stabilmente superiore a quella media mondiale.

2. Il peso dell’Africa nel commercio internazionale è in aumento: l’interscambio con il resto del mondo è quintuplicato nell’ultimo decennio, mentre l’enorme disponibilità di materie prime, terreni agricoli, risorse naturali, manodopera ne stanno facendo meta privilegiata degli investimenti internazionali, quadruplicati dal 2002.

3. Tra i protagonisti più attivi nelle relazioni economiche e politiche con l’Africa vi sono le principali economie emergenti – Cina, India e Brasile in particolare – che vedono nell’Africa un fornitore strategico di materie prime indispensabili per alimentare la loro crescita, un promettente mercato d’esportazione e un importante attore da coinvolgere sulle questioni globali che riguardano lo sviluppo o le rappresentanze in consessi internazionali.

4. La presenza sempre più incalzante di nuovi attori e il rafforzamento delle relazioni e delle alleanze con altri paesi del “sud del mondo” hanno spinto l’Europa a ripensare i suoi rapporti con l’Africa. Ancora nel 2005, negli impegni presi a Gleneagles, l’enfasi era posta più sulla necessità di aumentare gli aiuti (pur importanti), che sull’urgenza di considerare la crescita economica come il mezzo per l’Africa di uscire dalla povertà. Con la Africa-EU strategic partnership varata a Lisbona nel 2007, si è avviato un nuovo corso dei rapporti Europa-Africa basati su una strategia di partenariato e su un piano d’azione focalizzato sul Continente (anziché sull’insieme dei paesi ACP). La strategia contiene altri elementi di novità: l’accento sul multilateralismo, il rafforzamento delle relazioni tra Unione Europea e Unione Africana, il sostegno dell’integrazione regionale dell’Africa, la necessità di inquadrare i rapporti tra Europa e Unione Africana in una cornice di lungo termine. Al vertice di novembre 2010 in Libia si trarranno i primi bilanci.

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La Ricerca in 10 punti

5. L’Europa è il principale partner commerciale, il principale investitore e il principale erogatore di aiuti allo sviluppo dell’Africa. Ciononostante il ruolo strategico dell’Europa come soggetto unitario è poco percepito come rilevante dai Paesi africani. La dinamicità e la determinazione con cui gli altri Paesi stanno affrontando le relazioni con l’Africa richiedono all’Unione Europea un cambio di marcia più spinto, la semplificazione e la maggior incisività degli interventi, la definizione di priorità strategiche, il varo di grandi iniziative concrete e coordinate per recuperare centralità economica e culturale verso il Continente.

6. Il ruolo delle economie emergenti, affamate di risorse e di materie prime e la domanda estera, sono stati determinanti nell’attivare il processo di sviluppo economico dell’Africa. Altrettanto decisivi nel favorirne e consolidarne gli effetti sono stati anche numerosi fattori endogeni: il rafforzamento delle istituzioni democratiche, le riforme strutturali messe in campo a livello nazionale e sovranazionale, la progressiva integrazione su scala regionale, l’emergere e l’affermarsi di una classe media sono alla base dei cambiamenti strutturali che sono avvenuti e che stanno avvenendo in molte realtà africane. Settori come il manifatturiero, i trasporti, l’agroalimentare iniziano a comporre, diversificandolo, il portafoglio delle attività economiche di molti Stati.

7. Non tutti i Paesi africani “corrono” alla stessa velocità e con le stesse modalità. L’Africa è un Continente composto da 53 Stati ognuno con proprie caratteristiche e prerogative. La Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM), che abbiamo sviluppato negli anni, è uno schema concettuale per “leggere” le specificità dello sviluppo economico dei singoli Paesi. ADAM racchiude in un unico strumento di sintesi tutte le informazioni chiave per valutare la “robustezza” dei percorsi di crescita delle singole realtà africane. È pertanto uno strumento di riferimento per operatori economici, investitori, rappresentanti delle istituzioni che vogliono stabilire scambi e relazioni di mutuo beneficio con l’Africa.

8. L’Africa presenta ancora molte sfide comuni. Tra le principali vi è quella dell’urbanizzazione. Dopo anni di limitata considerazione politica, la questione urbana, nella molteplicità delle accezioni che la caratterizzano, è entrata con irruenza al centro dell’agenda politica di numerosi Stati africani, che cominciano oggi a riconoscerne il potenziale contributo allo sviluppo dell’economia nazionale. Fulcro di attività economiche, nonché luogo d’elezione per transazioni e scambi interculturali, le città rappresentano oggi un ambito strategico ricco di opportunità, anche economiche, e terreno fertile di innovative sperimentazioni.

9. In questo contesto, i capitali, la progettualità e l’iniziativa europea potranno avere un ruolo chiave nel determinare il futuro delle megalopoli e delle nuove forme di agglomerazione (es. corridoi urbani e città regioni) che si stanno già da ora sviluppando in Africa. Ne è un esempio l’elevato livello di investimenti europei previsti di qui al 2030 per il finanziamento di infrastrutture urbane. È ancora da definire il modo in cui questi nuclei urbani reagiranno all’urbanizzazione crescente, si organizzeranno istituzionalmente, riusciranno a mantenere la coesione e a qualificarsi come moltiplicatori dello sviluppo economico del Paese guadagnandosi un ruolo internazionale di rilievo.

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La Ricerca in 10 punti

10. All’interno della nuova corrente progettuale di “riformulazione urbana” che annovera già numerosi cantieri come quelli in Luanda o in Lagos per fare qualche esempio, si inserisce la nostra proposta d’iniziativa in questa quarta edizione del Progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”. Tra i suoi obiettivi vi è quello di progettare un concept di quartiere abitativo sperimentale, integrato (edilizia, utility, infrastrutture, servizi, ecc.), multifunzionale (abitazioni, uffici, terziario, servizi, ecc.), autosufficiente (es. dal punto di vista energetico) e che possa rappresentare un progetto pilota replicabile per lo sviluppo di altri moduli abitativi nei Paesi africani interessati.

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Executive summary


INDICE

1. L’Africa in movimento: una panoramica

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2. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’africa e dell’europa

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3. Il tema di focalizzazione 2010: lo sviluppo urbano in Africa

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4. L’Africa e il “Sud del mondo”

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5. L’osservatorio sui rapporti Europa-Africa

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6. Lo sviluppo economico dell’Africa

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7. “Capire” l’Africa: la Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM)

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EXECUTIVE SUMMARY

1. L’Africa in movimento: una panoramica

1. L’Africa è in movimento. Dalla fine degli anni ’90, dopo due decenni di contrazione economica, il continente ha intrapreso una fase di accelerazione economica con il Pil che è cresciuto in media di oltre il 5% all’anno1. Questo l’ha portata ad essere oggi la terza regione al mondo per velocità di crescita.

Fig. 1 Trend del tasso di crescita del Pil (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati FMI)

2. L’Africa è sempre più al centro degli interessi mondiali. L’enorme disponibilità di materie prime/ minerali/metalli2, di terreni agricoli3, di risorse naturali, di manoFig. 2 Investimenti Diretti in Africa, Miliardi di Dollari dopera, ne stanno facendo (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UNCTAD) una meta privilegiata degli investimenti internazionali, quadruplicati dal 2002.

3. L’Africa sta cambiando strutturalmente. Segnali di questo processo si leggono nel rafforzamento delle istituzioni democratiche in molti Paesi dell’area, nelle riforme eco-

1. In particolare i Paesi esportatori di petrolio, hanno sperimentato tassi di sviluppo a due cifre. 2. Oltre 60 tipologie. Per alcune l’Africa è il primo fornitore mon-

diale: oro, platino, diamanti, uranio, manganese, cromo, nichel, bauxite, cobalto, petrolio, gas naturale. 3. È noto il fenomeno del “land grabbing”.

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EXECUTIVE SUMMARY

nomiche e sociali messe in campo a livello nazionale e sovranazionale, nella progressiva integrazione su scala regionale (anche se ancora in fieri), nel consolidamento di una classe media con un potere di spesa comparabile a quello di altre aree in via di sviluppo. Fig. 3 L’Africa oggi e domani: principali numeri del cambiamento del continente; (*) 16,6% della popolazione mondiale; (**) Reddito >10.000 $/anno (PPP al 2005) (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Nazioni Unite, UNCTAD)

Ieri (2000) Popolazione (milioni)

Oggi (2010)

Domani (2020)

8,16

955

1.270*

18

30

45

Spesa consumatori africani (Mld Euro)

270

420

820

Pil (Mld Euro)

490

790

1.400

Tasso crescita Pil (Medio annuo su decennio)

2,6

4,9

6,0

16

76

400

-

20

50

Classe media** (milioni di famiglie)

Investimenti Diretti Esteri (Mld Euro) Aziende Africane con fatturato maggiore di 2 Mld di Euro

4. Negli ultimi anni l’Africa ha recuperato centralità nell’agenda politica globale. Questo è dimostrato dai recenti orientamenti internazionali e dalle strategie di intervento di lungo termine, con rapporti di collaborazione a più livelli, messe in campo dei principali attori geopolitici, non ultima l’Europa con la nuova strategia per l’Africa varata nel 2007 a Lisbona4.

5. L’Africa è sempre più un attore attivo nel suo processo di sviluppo. Il dinamismo delle organizzazioni regionali e sovra-nazionali africane - anche grazie al rafforzamento delle relazioni Sud-Sud5 e delle connessioni e interconnessioni infrastrutturali6 - va nella direzione di proporre un nuovo modello di sviluppo per il Continente, al di fuori delle logiche tradizionali che hanno caratterizzato i rapporti Africa - resto del mondo negli ultimi decenni, anche per quanto riguarda le politiche degli aiuti “a pioggia” (oltre 700 miliardi di Euro dagli anni ’507).

6. L’Africa, seppur in un quadro di non sempre facile lettura e ancora con molte incognite e incertezze, è dunque una grande opportunità.

4. L’obiettivo è superare il tradizionale rapporto “donatore-ricevente” (l’Europa è il primo donatore dell’Africa) e sviluppare con l’Africa rapporti di partenariato. Al prossimo Summit UE-Africa di Sirte (novembre 2010) verrà verificato lo stato di avanzamento del processo. 5. Rapporti politici, economici e culturali, tra i Paesi del “sud” del mondo (cfr. Capitolo 4).

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6. Si ricordano ad esempio i grandi corridoi trans-nazionali in fase di realizzazione. 7. La cooperazione internazionale (foreign aid) è uno strumento ad alto costo: per ogni Euro speso per aiutare l’Africa, si stima che meno del 20% venga effettivamente utilizzato per progetti di sviluppo (il resto serve per pagare i costi delle organizzazioni multilaterali e di cooperazione).


EXECUTIVE SUMMARY

7. Di questo ne sono consapevoli in grandi player internazionali Cina, India, Stati Uniti, Giappone - che da anni dimostrano un notevole interesse verso questa parte del mondo, con forti investimenti e relazioni strategiche a tutto campo.

Fig. 4 Aiuti all’Africa e tasso di crescita del Pil pro-capite africano (Fonte: Banca mondiale)

8. L’Europa - il continente più prossimo culturalmente e geograficamente all’Africa - è ancora troppo poco presente (e percepito) come attore di primo piano e referente - politico ed economico - unico.

9. L’Italia, nonostante i tradizionali rapporti con l’Africa (in particolare con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo8), ha rilanciato il proprio interesse verso l’area9 in ritardo e con una strategia - in particolare per l’Africa subsahariana - ancora non incisiva.

8. L’Italia è il primo partner commerciale dell’area e dipende da questi Paesi per alcuni approvvigionamenti strategici, come quelli energetici. 9. Si ricorda il Piano Africa (2008) del Ministero dello Sviluppo Economico, il cui obiettivo è “stimolare l’interesse degli operatori

italiani verso il continente africano proponendo opportunità sia di commercio che di investimento, in particolare nei Paesi con maggiori attrattive e riconoscimento sui mercati e nei quali è ridotta l’influenza di altre nazioni”.

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EXECUTIVE SUMMARY

2. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

10. In questo scenario si inserisce il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”. Nel 2006, con l’obiettivo di contribuire al rafforzamento delle relazioni strategiche tra Europa/Italia e Africa e di stimolare il dibattito e l’interesse di istituzioni e operatori sul tema, la Fondazione Banco di Sicilia10 ha incaricato The European House-Ambrosetti11 di avviare un importante lavoro pluriennale finalizzato a: - Dare vita in Sicilia ad un Forum permanente12 per la leadership politico-imprenditoriale europea e africana. - Esplorare, attraverso un approfondito lavoro di ricerca e analisi, le possibili relazioni c ulturali, sociali e commerciali tra Europa e Africa e individuare aree e strumenti per rafforzarle. Fig. 5 Tempi e attività principali del progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

10. La Fondazione Banco di Sicilia è una delle più importanti fondazioni bancarie italiane. 11. The European House-Ambrosetti è una primaria società di consulenza europea. 12. Il Forum si tiene a Taormina (Sicilia) ogni anno nella prima settimana di ottobre. 13. La sfida dello sviluppo è anche una sfida economico-industriale.

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Per questo motivo uno degli obiettivi chiave del progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa” è favorire il rafforzamento di relazioni durevoli tra Africa e Europa (e Italia), attraverso l’individuazione di campi di interesse reciproco nei quali progettare interventi differenziati targati Europa/Italia che coinvolgano con mutuo beneficio imprese e istituzioni pubbliche e private dei due continenti producendo risultati concreti su alcuni temi/settori selezionati.


EXECUTIVE SUMMARY

- Favorire l’attivazione di iniziative concrete, in settori chiave dello sviluppo di anno in anno selezionati, che coinvolgano profittevolmente at tori privati (in primis) e pubblici, africani ed europei13.

Fig. 6 “Portanti” del progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

11. Oggi il progetto è arrivato al suo 4° anno. Gli obiettivi di questa edizione sono: - Analizzare il tema dello sviluppo urbano in Africa - in tutti i suoi aspetti rilevanti, tra cui: - la pianificazione urbana, l’edilizia e le politiche abitative; - le utilities (energia, acque e fognature, infrastrutture i trasporti urbani e lo smaltimen to dei rifiuti); - le telecomunicazioni; - l’attrazione di investimenti esteri a favore dello sviluppo urbano. A questo tema è dedicato il Capitolo 2 del rapporto. - Aggiornare la mappa strategica-ADAM (Ambrosetti Development of Africa Map) della situazione dei Paesi africani e l’approfondimento di alcuni casi Paese significativi. I dettagli sono presentati nel Capitolo 3. - Lanciare un osservatorio sui rapporti e sulle relazioni strategiche Europa-Africa (in cui tra l’altro, vengono monitorati e valutati i flussi di aiuti, investimenti e il rispetto delle promesse) e Africa-resto del mondo (in particolare con l’asse Sud-Sud). Si vedano i capitoli 4 e 5. - Proseguire l’implementazione operativa delle iniziative già lanciate: progetto DREAM T&EAM (tema telemedicina e infrastrutture), progetto Agenzia Senghor (tema formazione), progetto Parco agroindustriale integrato (tema agroindustria)14. - Lanciare una nuova iniziativa legata al tema dello sviluppo urbano: si tratta di un progetto pilota di Area urbana sperimentale per un nuova modalità di intervento urbanistico in Africa e per l’attrazione/attivazione di investimenti nel settore dell’edilizia e delle utilities15 .

12. Nel complesso il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa” - attraverso le sue iniziative e i suoi momenti di discussione tra le leadership europee ed africane (soprattutto il Forum) - vuole essere un contributo fattivo e positivo per il rafforzamento dei legami, culturali e di business, tra Europa-Africa in maniera profittevole e sostenibile per entrambe.

14. Si veda per i dettagli dei progetti il Capitolo 1. 15. I risultati dello stato di avanzamento delle iniziative e il

modello concettuale del progetto sullo sviluppo urbano sono presentati al Forum di Taormina 2010 (7 e 8 ottobre 2010).

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EXECUTIVE SUMMARY

3. Il tema di focalizzazione 2010: lo sviluppo urbano in Africa

13. Il 21° secolo è il secolo delle città e dell’urbanizzazione. Secondo le Nazioni Unite16 ad oggi quasi 3 miliardi di persone vivono negli agglomerati urbani; nel 2015 saranno oltre 4 miliardi, con un incremento di oltre 500 mila unità ogni giorno.

14. Le città sono il motore dello sviluppo economico globale e determinano la competitività dei territori. Nei sistemi urbani oggi si produce oltre 50% del Pil mondiale (al 2030 tale quota salirà ad oltre il 75%) e si consuma oltre l’80% delle risorse globali.

15. Questi processi - e le sfide economiche, sociali e strategiche connesse alla gestione di sistemi urbani sempre più grandi e complessi - riguardano tutto il mondo. Saranno però i Paesi in via di sviluppo e del terzo mondo quelli in cui tali sfide raggiungeranno le punte di criticità più elevate. In queste aree, nel 2050, la popolazione urbana raddoppierà passando dal 39% al 67%17 del totale, con un tasso di crescita dieci volte superiore a quello delle città del Nord.

16. L’Africa è (e sarà) una delle aree in cui le tensioni generate da questi processi saranno più forti. In Africa l’urbanizzazione è più veloce che in ogni altra parte del mondo; al 2030 si prevede18 che: - Gli africani che vivranno nelle città saranno oltre 750 milioni (più della p o p o la zio n e u r b a na dell’intero emisfero occidentale), il 45% in più rispetto ai valori attuali19. - La rapida crescita della popolazione urbana sarà assorbita per i 2/3 dalle

Fig. 7 Popolazione urbana in milioni (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

16. State of the World Population. 17. Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008. 18. Fonte: stime UN-Habitat, Banca Mondiale.

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19. Se tali tassi di crescita saranno confermati, al 2050 ci saranno più persone nelle città africane che nelle città e nelle aree rurali (insieme) dell’emisfero occidentale.


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città di piccole dimensioni dove ad oggi se ne concentra già più del 50%. - Le megalopoli con più di 10 milioni di abitanti passeranno dalle attuali 1 (Il Cairo) a 3 (Il Cairo, Kinshasa e L ag o s); a u m e nte r a n n o anche le città con più di 1 milione di abitanti che passeranno da 52 a 75.

Fig. 8 Popolazione urbana in Africa; milioni (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT)

17. In Africa si focalizzeranno le strategie e gli interventi progettuali di sviluppo e ridisegno urbano più significativi. L’ordine di grandezza dell’urbanizzazione in atto e la rapidità con cui si sta compiendo hanno infatti contribuito a creare disequilibri e disfunzioni nelle città africane che progressivamente hanno perso il pieno controllo sul proprio spazio e sulla 9 di evoluzione interne: - In numerosi Paesi africani la maggior parte delle persone, delle attività e delle risorse si sono concentrati in un’unica città che si è sviluppata così in modo sproporzionato rispetto alle altre (“urban primacy”). - Nonostante le città africane siano responsabili del 55% del Pil continentale, il 43% della popolazione urbana vive ancora sotto la soglia di povertà. Secondo il recente rapporto UN-Habitat le città africane sono quelle che hanno la più alta percentuale al mondo di persone che vive negli slum (71,9%) e i più alti livelli di sperequazione del reddito (si veda figura sotto). Fig. 9 Coefficiente di GINI in alcune città africane; minimo=0, massimo=1 (Fonte: Nazioni Unite)

18. Dopo anni di scarsa considerazione politica e di errate scelte, la questione urbana ha oggi vv acquisito

centralità e considerazione nell’agenda di numerosi governi africani che hanno

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EXECUTIVE SUMMARY

cominciato a realizzare l’importanza del potenziale di sviluppo degli agglomerati urbani e ad affrontare quelle che sono considerate le 6 sfide dello sviluppo urbano in Africa.

19. 1) Le sfide spaziali: - Pianificazione urbanistica integrata capace di limitare la progressiva frammentazione, separazione e specializzazione delle funzioni e degli usi delle città ed attenuare le crescenti differenze tra le aree più benestanti e quelle più povere. - Risposta alla crisi degli alloggi dovuta a limitate capacità finanziarie e progettuali delle autorità locali e all’intervento di operatori privati limitato all’edilizia destinata a fasce di popolazione medio-alte.

20. 2) Le sfide infrastrutturali: - Estensione dell’accesso all’acqua e ai servizi igienici di base. - Decongestione delle reti di trasporto, ampliamento e miglioramento del parco mezzi pubblico, controllo dell’impiego delle automobili private e promozione di canali alternativi al trasporto su strada. - Definizione di nuovi strumenti di finanziamento in grado di incentivare il coinvolgimento degli attori privati per colmare il deficit infrastrutturale della maggior parte delle città africane.

21. 3) Le sfide ambientali: - Ricerca di modelli di sviluppo urbano più efficienti di quelli adottati dai Paesi sviluppati data la limitata disponibilità di risorse. - Risoluzione degli oneri ambientali (inquinamento atmosferico, gestione rifiuti) connaturati alla diffusione crescente di stili di vita urbani. - Prevenzione e gestione dei rischi ambientali conseguenza del cambiamento climatico ed in particolar modo dell’innalzamento del livello del mare (11,5% della popolazione urbana africana insediata in aree costiere ad alto rischio di inondazione).

22. 4) Le sfide economiche: - Potenziamento dei servizi (responsabili di più della metà del Pil africano) come principale leva di sviluppo dell’economia urbana. - Legittimazione del settore informale (61% dei posti di lavoro in area urbana e 40% del Pil non agricolo) e regolamentazione del suo funzionamento.

23. 5) Le sfide sociali: - Riduzione della povertà urbana. - Adozione di politiche di integrazione e coesione sociale miranti a limitare la frammentazione delle aree urbane e ad agevolare gli interscambi tra i diversi gruppi sociali. - Prevenzione della violenza e della criminalità urbana. - Contenimento e riduzione dei livelli di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi tra la popolazione urbana per favorire la crescita economica del territorio e creare le precondizioni per uno sviluppo sostenibile.

24. 6) Le sfide istituzionali: - Potenziamento delle capacità finanziarie (autonomia fiscale e ricorso al mercato del credito) delle Autorità locali che nel più globale processo di decentramento di competenze

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EXECUTIVE SUMMARY

dal livello centrale non dispongono ancora di risorse adeguate per erogare i servizi e realizzare gli investimenti necessari per lo sviluppo sostenibile delle aree urbane. - Riduzione delle debolezze strutturali delle Amministrazioni locali che non dispongono di competenze tecniche e strumenti adeguati per gestire la complessità delle aree urbane. - Allargamento dei processi decisionali pubblici attraverso il coinvolgimento dei diversi portatori di interesse. - Sviluppo di un approccio sistemico alla pianificazione strategica capace di integrare la dimensione territoriale con quella sociale ed economica.

25. A fronte di tali sfide, nel nuovo contesto africano, si aprono opportunità di investimento e sviluppo. Questo principalmente per 5 ragioni.

26. 1) La ricchezza del Continente avverrà soprattutto nei centri urbani. Oggi l’economia urbana in Africa genera circa il 55% del Pil totale; al 2030 si prevede che tale quota salirà al 75%. Questo dovuto anche alla: - Maggiore crescita della produttività nelle aree cittadine rispetto a quelle rurali; ricerche empiriche su alcuni Paesi africani hanno evidenziato che l’aumento della produttività è spiegato per misure consistenti (tra il 20 e il 50% a seconda dello specifico contesto) dal passaggio dell’occupazione dalle aree rurali a quelle urbane. - Maggiore creazione di posti di lavoro nelle città che nelle aree rurali. Si prevede che nel 2040 la forza lavoro africana sarà di 1,1 miliardi di persone, più di quella cinese e indiana20. In ipotesi di adeguate politiche di sviluppo, circa i 2/3 dei nuovi posti di lavoro verrebbero creati nei contesti urbani.

27. 2) Nelle aree urbane si concentrerà la maggioranza della classe media (oltre che i “ricchi”) - la cosiddetta “urban consumer class” - in grado di acquistare abitazioni, servizi, beni primari e strumentali, ecc. Questa sarà il vero perno dello sviluppo. Ad oggi si stima che nelle città dell’Africa viva il 40% di questa fascia di popolazione21; nel prossimo futuro (2030), pur con le cautele del caso in questo tipo di proiezioni, tali valori potrebbero salire al 60-65%. Sempre al 2030, recenti valutazioni, hanno previsto che le 18 più grandi città africane avranno un potere di spesa combinato di oltre 1.300 miliardi di Euro.

28. 3) La crescente urbanizzazione richiederà case. Considerando l’incremento della popolazione urbana in Africa di 300 milioni di persone al 2030 e assumendo una dimensione media di nucleo familiare di 5 persone (ipotesi conservativa), nei prossimi 20 anni dovranno essere realizzate 60 milioni di nuove abitazioni (3 milioni ogni anno; 8.200 ogni giorno). Ipotizzando un valore medio unitario di realizzazione di 30.000 Dollari22, il mercato potenziale cumulato in 20 anni potrebbe arrivare a 1,8 trilioni di Dollari, pari a 90 miliardi di Dollari l’anno (senza contare le costruzioni per sostituire le vecchie abitazioni).

20. Negli ultimi 20 anni in Africa la crescita del Pil pro-capite è stata determinata per il 75% dalla crescita della forza lavoro (Fonte: MGI) 21. Nel 1980 la percentuale di classe media che viveva nelle città

era circa il 28%. 22. Il costo di costruzione unitario medio di 28.500 unità abitative in Nigeria agli inizi degli anni ’90 è stato di 27.000 $; Fonte: “The need for urban housing in Sub-Saharan Africa”, African Affairs, 1994.

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EXECUTIVE SUMMARY

29. 4) Parimenti rilevanti

Fig. 10 % popolazione urbana africana con accesso ai servizi, 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati IBRD)

saranno gli investimenti necessari in infrastrutture. È noto che, salvo specifiche eccezioni, il gap infrastrutturale è uno dei nodi cruciali per le città africane. I governi africani e gli investitori privati vi stanno inves tendo mas sicciamente, oltre 70 miliardi di Dollari l’anno. In par ticolare l’investimento del settore privato sta aumentando significativamente (i volumi sono triplicati arrivando a circa 20 miliardi di Dollari all’anno tra il 2006 e il 2008) grazie ai massicci piani nazionali di investimento; alla canalizzazione di fondi internazionali su questi progetti; agli interessanti tassi di ritorno sull’investimento23 e alle prospettive future; alla progressiva apertura e le riforme strutturali finalizzate ad attirare il settore privato (investimenti e gestione)24. Il deficit infrastrutturale da colmare è però ancora ampio25: nei prossimi 10 anni, solo per mantenere il livello di reddito pro-capite e le condizioni di vita attuali nelle città africane, saranno necessari investimenti infrastrutturali in senso lato compresi tra i 20 e i 30 miliardi di Dollari l’anno26.

30. 5) Si stanno allentando i vincoli economico-finanziari. La mancanza di fondi sufficienti per i vari investimenti, a partire da quelli abitativi e infrastrutturali, è stata uno dei grandi problemi con cui si sono confrontate le strategie di sviluppo urbano in Africa. Alcuni studi hanno stimato che negli anni ’90 in media i Governi africani avessero risorse per finanziare meno di un quarto dei nuovi progetti urbani. Anche su questi temi la situazione è sostanzialmente cambiata: - L’economia dell’Africa cresce e cresce la solidità e disponibilità delle finanze pubbliche: la spesa pubblica nei Paesi dell’Africa subsahariana è passata dai 66 miliardi di Dollari27 degli anni ’90 agli attuali 140 miliardi con un aumento non solo nei valori assoluti, ma anche di incidenza % sul Pil nazionale (22% negli anni ’90; 29% oggi); trend simili si sono avuti anche nei Paesi del Nord Africa (anni ’90 spesa pubblica pari a 79 miliardi di Dollari; oggi, 142 miliardi)28.

23. Ad esempio le tariffe per i servizi in Africa sono più elevate rispetto a quelle medie delle aree in via di sviluppo: tariffe energetiche ($ per KWh) Africa: 0,02-0,46; PVS: 0,05-0,10; tariffe acqua ($ per m3) Africa: 0,86-6,56; PVS: 0,03-0,6; tariffe telefonia mobile ($ per mese a parità di volume) Africa: 2,6-21; PVS: 9,9; tariffe internet ($/mese) Africa: 6,7-148; PVS: 11. Fonte: IBRD. 24. Ad esempio nel settore dell’acqua nei sistemi cittadini, circa l’80% dei Paesi africani hanno messo in campo riforme strutturali per creare le condizioni per attrarre l’investimento privato. A

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completezza d’analisi è da segnalare che il processo è ancora in corso e che gli spazi di miglioramento sono ancora consistenti. 25. Complessivamente si stima che per rispondere pienamente ai bisogni dell’Africa siano necessari investimenti per oltre 93 miliardi di Dollari all’anno. V. Foster, C. Briceno, “Africa’s infrastructures – a time for transformation”, IBRD, 2010. 26. Fonte: stime Fondo Monetario Internazionale, Nazioni Unite, MCGI. 27. Riferimento ai Dollari internazionali 2000. 28. Fonte: ReSAKSS, working paper N° 28, Aprile 2009.


EXECUTIVE SUMMARY

- Cresce la quota (% sul totale del budget pubblico) di investimenti dedicati all’housing e alle infrastrutture (strade, energia, ICT, ecc.). Ad esempio per i trasporti e le comunicazioni i Paesi dell’Africa subsahariana spendevano negli anni ’90 il 4,5% del proprio budget statale; oggi tale quota è salita a oltre il 6% in media. Comprendendo anche i settori dell’energia e acqua tali percentuali salgono fino al 12%. - La classe media si rafforza, in quantità e potere di spesa. Già oggi i nuclei familiari africani con un potere di spesa superiore ai 10.000 Dollari l’anno29 sono circa 30 milioni30 (erano meno di 20 agli inizi degli anni 2000). Se i trend di crescita venissero confermati al 2020 si potranno avere oltre 45 milioni di famiglie che rappresenteranno un nucleo importante di consumatori - principalmente localizzati nelle città - in grado di pagare affitti, comprare case e servizi, ecc. - Cresce l’investimento privato, come più sopra detto. Fig. 11 Lo sviluppo urbano africano: sfide, vincoli ed opportunità

29. Valori a parità di potere d’acquisto 2005.

30. Fonte: MGI.

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EXECUTIVE SUMMARY

4. L’Africa e il “Sud del mondo”

31. L’Africa è sempre più al centro degli interessi internazionali. Questo ne sta rafforzando il ruolo geopolitico, all’interno di un più ampio processo di riequilibrio dei rapporti politici ed economici tra Africa e resto del mondo, improntati ad un maggiore protagonismo dei soggetti africani e allo sviluppo di partnership e collaborazioni strategiche a tutto campo.

32. L’Africa è di fronte all’occasione di trasformare il suo destino grazie soprattutto all’impulso che deriva dalle potenze economiche emergenti, Cina e India in testa, ma anche Brasile, Turchia, Corea.

33. Le accresciute relazioni

Fig. 12 Composizione percentuale dell’interscambio commerciale mondiale dell’Africa, 1990-2008 (Fonte: Fondo Monetario Internazionale, MGI)

commerciali tra paesi del Sud del mondo - solo vent’anni fa ammontava appena al 7,8% del commercio globale, ma nel 2008 era pari al 19%31 hanno stimolato la crescita economica dell’Africa prima della crisi finanziaria e sono anche una delle principali ragioni per cui il continente sta uscendo più velocemente di altre regioni dalla recessione.

34. L’intensificarsi delle relazioni Sud-Sud ha intaccato la supremazia dei paesi sviluppati nei rapporti economici, ma anche politici con l’Africa. A metà degli anni ottanta l’interscambio con l’Unione Europea costituiva il 55% del commercio africano, nel 2008 era inferiore al 40%.

Fig. 13 Interscambio commerciale con l’Africa; Miliardi Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UNCTAD, Banca Mondiale)

35. Gli IDE dei paesi in via di sviluppo in Africa tra il 1995 e il

31. Fonte: OCSE, “Perpectives on Global Development”, 2010.

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EXECUTIVE SUMMARY

1999 erano il 17,7% del totale, la quota è salita al 20,8% tra il 2000 e il 200832. Per quanto dominati dalla ricerca di materie prime, gli investimenti sono sempre più diretti a creare mercati per le aziende indiane, cinesi o brasiliane, anche attraverso progetti greenfield, fusioni e acquisizioni.

36. Quello che era nato a metà degli anni Cinquanta come un rapporto di cooperazione tra i paesi in via di sviluppo, desiderosi di collaborare per diminuire la dipendenza dalle potenze industriali, si è trasformato in un asse economico capace di cambiare il futuro dell’Africa.

37. A partire dal 2000 i paesi africani hanno cominciato a stringere una serie di alleanze con altri stati del Sud del mondo sulla base di interessi prevalentemente economici, tuttavia anche la collaborazione politica, in particolare nei consessi internazionali, ha un suo peso in questa nuova geometria diplomatica.

38. I paesi del Sud del mondo stanno diventando donatori sempre più importanti per l’Africa: al 2006 l’Official development assistance (ODA) di Cina, India, Corea, Brasile, Turchia e paesi arabi verso l’Africa era pari a 2,8 miliardi di Dollari, il 6% del flusso di aiuti totali alla regione33. Vi sono alcune caratteristiche che contraddistinguono e accomunano questi aiuti: - Il flusso di aiuti è spesso interconnesso con la promozione del commercio e degli investimenti. - I paesi del Sud tendono a focalizzare i loro interventi nel settore delle infrastrutture, a differenza dei donatori DAC34 che si concentrano maggiormente sul settore sociale. - I paesi in via di sviluppo concedono aiuti anche a stati fragili, o in conflitto, trascurati dai donatori tradizionali. Fig. 14 Interscambio commerciale con l’Africa; Miliardi di Dollari (Fonte: - La cooperazione tecnica è TEH-Ambrosetti su dati WTO, Chatham House) un elemento importante degli aiuti. - I paesi in via di sviluppo, a differenza dei donatori tradizionali, non impongono condizioni quali l’adozione di riforme economiche o politiche.

39. Alcuni Paesi del Sud del mondo hanno un ruolo già oggi assolutamente primario in Africa. Tra questi la Cina, che è oggi (stime 2010) il

32. Fonte: UNCTAD, 2010. 33. L’ODA comprende soltanto gli aiuti ufficiali sotto forma di prestiti agevolati o contributi che abbiano come scopo principale la promozione dello sviluppo economico e sociale del ricevente. Gli OF, Official flows, rappresentano invece il totale degli esborsi ufficiali di uno stato e racchiudono anche quelle forme di cooperazione che non hanno le caratteristiche per rientrare direttamente

negli aiuti allo sviluppo. 34. Development Assistance Committee. Nato nel 1961, riunisce i maggiori donatori bilaterali, con l’obiettivo di rendere più efficaci gli aiuti allo sviluppo. Raggruppa 22 Paesi: Australia, Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera.

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secondo partner commerciale del continente35. Stanti gli attuali trend di crescita in 5 anni diventerà il primo.

40. Anche nel pieno della crisi la Cina ha continuato ad annunciare nuovi progetti in Africa. L’importazione di merci a basso costo ha avuto effetti a volte drammatici sulle economie di alcuni paesi africani che non hanno retto la competizione dei prodotti cinesi. Tuttavia la Cina sta risalendo la catena del valore ed espandendo la produzione e l’esportazione di beni capitali, con un potenziale duplice effetto sull’economia dei paesi a medio e basso reddito: il primo è di abbassare i prezzi dei beni usati per la produzione, il secondo di aprire spazi per l’industria dei beni di consumo, anche in Africa.

41. La Cina è riuscita a farsi strada in Africa utilizzando tutti gli strumenti del “soft power”, ovvero ricorrendo alla forza della persuasione, piuttosto che alle pressioni di carattere politico o economico che caratterizzano l’”hard power”. La Cina ha preferito “corteggiare” i paesi africani (in primis quelli ricchi di materie prime, ma non solo) con frequenti visite di Stato ad alto livello e forum, ma anche con l’assistenza in vari campi: dalla salute, alla formazione, all’agricoltura. Soprattutto, la Cina si è fatta promotrice di un modello di sviluppo alternativo, che è stato denominato il Consenso di Pechino, in contrapposizione al Consenso di Washington36: ovvero una formula di sviluppo che ha portato al miglioramento della condizione di vita di milioni di persone, contro le regole del rigore imposte dalle grandi istituzioni finanziarie.

42. Accanto alla Cina altri grandi attori del Sud del mondo stanno affermando i propri interessi in Africa: - India. Il livello dell’interscambio tra India e Africa è ancora lontano da quello tra Cina e Africa, ma sta accelerando. Nel 2000 era pari ad appena 7,3 miliardi di Dollari, nel 2008 ha raggiunto i 18,6 miliardi di Dollari, ma il governo indiano si aspetta che superi i 70 miliardi entro il 2020. Oggi l’interscambio tra India e Africa è pari al 6,9% del totale del commercio indiano e l’India è fra i cinque primi fornitori di merci dall’estero per un terzo degli stati africani37. L’elenco dei principali partner commerciali africani dell’India tradisce il fatto che anche New Delhi è attratta dalle materie prime del continente: petrolio, ma anche minerali e carbone. La penetrazione del mercato africano da parte dell’India è avvenuta finora in modo diverso dalla Cina: mentre Pechino ha avviato una strategia più coerente e aggressiva basata sull’operato delle grandi aziende statali, l’avanzata indiana è stata condotta in primo luogo da singole imprese private. Tra il 2003 e il 2009 le multinazionali indiane hanno investito in 130 progetti in Africa contro gli 86 delle aziende

35. Fonte: UNCTAD, 2010. 36. Il Consenso di Washington è una lista di dieci riforme politiche ed economiche improntate al neoliberismo e al rigore finanziario, elaborata nel 1989 da John Williamson, economista dell’Institute for International Economics, come risposta alla crisi del debito che affliggeva l’America latina. Riguardano le priorità della spesa pubblica, la riforma del sistema fiscale la liberalizzazione del commercio, la gestione del tasso di cambio e di interesse, le privatizzazioni. Questo manifesto fu chiamato il Washington consensus perché l’amministrazione USA e le istituzioni finanziarie internazionali hanno sede nella

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capitale statunitense e diventò presto il piano d’azione suggerito, imposto o adottato in molti paesi in via di sviluppo. Fonte: Cfr. John Williamson, “ What Wa­shington means by policy reform”, Washington, Peterson Institute for International Economics, 1990; Joshua Cooper Ramo, “ The Beijing consensus”, The Foreign Policy Centre, 2004. 37. Fonte: UNCTAD, 2010; India-Africa Conclave to help prepare roadmap for next Forum Summit Confederation of Indian Industry, 2010; Simon Freemantle, Jeremy Stevens, Africa: BRIC and Africa, Standard Bank, 2009.


EXECUTIVE SUMMARY

cinesi38. Oggi molti dei grandi gruppi indiani sono attivi in tutta l’Africa con investimenti che hanno raggiunto i 5 miliardi di Dollari. Vari sono i settori, oltre al petrolio, l’industria mineraria, le infrastrutture, le telecomunicazioni, la distribuzione di farmaci, l’agricoltura. Le aziende dell’agrobusiness indiano sono molte attive nell’acquisire terreni e avviare produzioni che vanno dai fiori recisi al té, dagli ortaggi, ai latticini39. - Brasile. Con l’arrivo di Inacio Lula da Silva alla presidenza nel 2003, il Brasile ha assunto un profilo internazionale molto più dinamico. E per quanto le relazioni con l’Africa non siano paragonabili a quelle che il continente ha stretto con India e Cina, il paese sudamericano sta crescendo rapidamente d’importanza tra i partner dell’Africa. Il presidente Lula durante i suoi mandati ha visitato nove volte il continente (più di qualsiasi altro capo di stato non africano) facendo tappa in una ventina di paesi. Dal 1990 al 2008 l’interscambio tra il Brasile e l’Africa è passato da 700 milioni di Dollari a 31,1 miliardi. Un balzo legato soprattutto alle esportazioni di petrolio e risorse minerarie da un pugno di paesi che costiutiscono i maggiori partner commerciali del Brasile: Nigeria (32%), Angola (16%), Algeria (12%), Sud Africa (10%). I mercati emergenti stanno diventando una destinazione sempre più importante per le esportazioni agricole brasiliane. Ma ciò che preme di più alle grosse aziende statali, leader nella produzione di etanolo, ai coltivatori di canna da zucchero e ai costruttori di macchinari agricoli è di far crescere la domanda globale di biocarburanti. Il Brasile vuole approfittare della crescita economica e dell’industrializzazione dell’Africa per incentivare produzione e consumo di etanolo. - Paesi arabi. Per paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait o Qatar, il forte rialzo del prezzo del cibo si è trasformato in una questione di sicurezza nazionale. L’Arabia Saudita e gli altri paesi della regione hanno scarse riserve idriche e terra inadatta alla coltivazione. Per questo importano il 60% del loro fabbisogno alimentare. Pur disponendo di ingenti risorse finanziarie la prospettiva di dover affrontare costi elevati, ma soprattutto il protezionismo dei paesi produttori di materie prime agricole, ha spinto i governi ad acquisire terra all’estero sui quali produrre il cibo da riesportare in patria. Accelerando e amplificando un processo che in alcuni paesi d’Africa era già cominciato con le coltivazioni di prodotti per l’orticoltura per le esportazioni e le biomasse per i biocarburanti. Tra il 2004 e il 2009 in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar, almeno 2.492.684 ettari di terra sono finiti nel portafoglio di aziende e fondi sovrani.

38. Fonte: OCSE 2010. 39. Tata group ha investito circa 1,6 miliardi di Dollari in 12 paesi africani, dalle telecomunicazioni, ai prodotti chimici, dall’industria alimentare a quella automobilistica fino alle miniere. Archelor Mittal è entrato prepotentemente nel business minerario sudafricano, Bharti Airtel ha acquisito il portafoglio africano della Zain Group per 10,7 miliardi di Dollari, il più grande affare

nelle telecomunicazioni siglato da un’azienda indiana. Altri accordi e acquisizioni sono avvenute in campo farmaceutico ed energetico. Cfr Francesca Marino, In Sudafrica l’India gioca per vincere, Limes; Indrajit Basu India Inc woos Africa, Asia Times online; Sanusha Naidu India stepping up the ante in Africa Relations, Panbazuka news; Shani Duttagupta e Sutanuka Ghosal, The Economic Times, 2010.

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5. L’osservatorio sui rapporti Europa-Africa

43. L’Unione Europea (UE) è il maggior partner commerciale dell’Africa e il più grande donatore (anche se sta riducendo l’impegno). Fig. 15 Aiuti, investimenti e interscambio commerciale con l’Africa; miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati WTO, OECD, FDI Intelligence)

44. Il suo peso si sta però riducendo a favore delle potenze emergenti, mentre permane la complessità di altri fattori chiave delle relazioni tra Europa e Africa, quali l’immigrazione e la sicurezza.

45. Da qui la necessità di ripensare l’intero quadro dei rapporti con il continente africano. Un primo passo è stato fatto nel 2005 dopo il summit G8 di Gle-

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Fig. 16 Aiuti: promesse vs. erogato; Miliardi Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati ONE e Commissione Europea)


EXECUTIVE SUMMARY

neagles 40, con il varo della Strategia UE per l’Africa. Ma è stato con il vertice tra UE e paesi africani svoltosi a Lisbona l’8-9 dicembre 2007 che l’Europa ha voluto imprimere una svolta.

Fig. 17 Interscambio commerciale con l’Africa (miliardi di Dollari) e tassi di crescita dei vari attori internazionali (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati WTO)

46. L’architrave di questa nuova struttura è l’Africa-Eu Strategic Partnership41, ispirata ad alcuni principi che sanciscono l’unità dell’Africa, l’interdipendenza tra Africa ed Europa, la responsabilità condivisa, il rispetto per i diritti umani, i principi democratici, lo stato di diritto e il diritto allo sviluppo.

47. Gli obiettivi della nuova strategia si riassumono in quattro macroaree: - Pace e sicurezza; - Governance democratica e diritti umani; - Commercio e integrazione regionale; - Questioni chiave per lo sviluppo. Fig. 18 Strategia europea verso l’Africa: principali tappe

40. Al vertice G8 di Gleneagles i capi di stato si impegnarono ad aumentare gli aiuti all’Africa di 25 miliardi di Dollari all’anno in più entro il 2010, raddoppiandoli rispetto al 2004. 41. L’Africa-Eu Strategic Partnership segue la Eu Strategy for

Africa elaborata nel 2005 proprio per dare maggior coerenza al quadro di aiuti Europei all’Africa e creare una cornice nel quale sviluppare le relazioni tra Europa e Africa nel lungo termine.

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EXECUTIVE SUMMARY

48. Queste aree includono temi “trasversali” quali: - il rafforzamento dei legami istituzionali e la risposta a sfide comuni quali la pace e la sicurezza, le migrazioni, la tutela dell’ambiente; - la promozione della governance democratica, delle libertà fondamentali, dello sviluppo sostenibile, del raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals, MDG); - la promozione di un efficace multilateralismo e la riforma delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali.

49. L’accento sui diritti umani e governance sottolinea la differenza di approccio, rispetto alla Cina, che l’UE intende riaffermare nelle sue relazioni con l’Africa. Mentre le dichiarazioni sul multilateralismo e sull’importanza del rafforzamento di un dialogo tra continenti, che abbiano al centro UE e Unione Africana (UA), dimostrano l’intenzione dell’Europa di riconoscere l’accresciuta importanza politica dell’Africa.

50. La Joint Africa-Eu Partnership è nata con l’intento di dare una maggiore coerenza e una migliore coordinazione alla strategia dell’UE verso l’Africa, tuttavia molti degli strumenti di cooperazione economica e politica precedenti continuano a sopravvivere, aprendo interrogativi sulla reale portata della “rivoluzione” annunciata a Lisbona. A questo si aggiunge il recente varo della diplomazia Europea con l’attribuzione di nuove competenze sulla politica estera dell’Unione all’Alto rappresentante per le relazioni esterne, il cui impatto sulla formulazione e la gestione delle politiche africane non è ancora chiaro.

51. Questo porta a risultati con luci ed ombre (si veda figura 19). 52. Di fatto esistono alcuni elementi di criticità strutturali; tra i principali: - Mancanza di collegamento diretto tra Cooperazione allo sviluppo e azione dell’Alto Commissario (politica estera e azioni) - Negoziazione a livello di blocchi regionali non decollata (o in embrione, ma con blocchi regionali non coerenti) - Mancanza di armonizzazione degli strumenti finanziari pre e post Lisbona (suddivisione “ACPAsia-Caraibi-Pacifico” anziché “Africa” e politica di vicinato Euromed42) - Alta frammentazione degli interventi con non chiara individuazione delle priorità di azione.

53. Dal punto di vista commerciale, l’Europa punta molto sugli EPA (Economic Partnership Agreement), gli accordi di liberalizzazione reciproca dei mercati che devono sostituire i regimi tariffari agevolati come imposto dalla WTO. Li considera un’occasione per fare del commercio un volano per l’economia africana, obiettivo che le protezioni offerte dalle con-

42. Nel classificare gli aiuti allo sviluppo e gli accordi di importazioni ed esportazioni a Bruxelles si ragiona ancora in termini di paesi Africa Caraibi Pacifico (ACP): un gruppo di 79 paesi composto dai 48 stati dell’Africa subsahariana; 16 caraibici e 15 nazioni del Pacifico. Tutti firmatari dell’accordo di Cotonou, che prevede cooperazione allo sviluppo, economica e politica. Le relazioni con i paesi del Nord Africa vengono invece regolate dalla partner-

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ship tra Europa e Mediterraneo, Euromed. Una suddivisione che appare in contraddizione con l’importanza assegnata ai rapporti tra i due continenti nella Joint Africa-EU Partnership, nonché alla visione dell’Africa come un’entità unitaria e agli sforzi per avviare una collaborazione sempre più stretta con l’UA, visione per altro riaffermata nella seconda revisione dell’accordo di Cotonou conclusa a marzo 2010.


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Fig. 19 Avanzamento della strategia europea per l’Africa; valutazioni qualitative (Fonte: TEH-Ambrosetti su assessment provvisorio Commissione Europea)

Area di focalizzazione strategia Ue per l’africa

Risultati

Pace e Sicurezza Governance democratica e diritti umani Commercio e integrazione regionale Temi chiave per lo sviluppo

- Millennium Development Goals (MDG) - Energia (Sviluppo sostenibile) - Clima (Tutela dell’ambiente) - Migrazione, Occupazione, Educazione - Scienza e tecnologia, ICT, Spazio - Cooperazione istituzionale LEGENDA: ALTO • BASSO •

venzioni di Lomé non hanno centrato. Ed è pronta ad accompagnare il percorso verso la firma degli EPA con pacchetti di aiuti aid for trade. Il percorso si sta rivelando piuttosto accidentato, ma soprattutto mette in luce ancora una volta la difficoltà di pensare all’Africa come a una realtà unitaria non solo su scala continentale, ma anche regionale. Vista la lunghezza dei negoziati per arrivare alla sigla degli accordi regionali, l’UE ha scelto di firmare molti accordi a interim con singoli stati, rischiando di incrinare le architetture commerciali intra africane che la stessa Europa ha contribuito a costruire.

54. La nuova percezione dell’Africa ha in qualche modo “contagiato” anche alcuni degli stati membri dell’Unione Europea. - La Germania afferma con chiarezza nelle sue linee guida che il nuovo corso africano impone una nuova politica. E nei fatti si impegna attivamente dal punto di vista della cooperazione (nel 2008 era al quinto posto assoluto tra i donatori della Development Assistance Commitee (DAC) per l’Africa), ma soprattutto con una sempre maggior presenza delle sue aziende nel Continente (ad oggi 686, con circa 164.000 occupati). La Germania nel 2008 ha esportato in Africa beni per un valore di 28,6 miliardi di Dollari incrementando di quasi il 20% questo valore rispetto il 2007. Sempre nel 2008 la Ger-

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EXECUTIVE SUMMARY

mania ha deciso di rafforzare anche le relazioni culturali con il continente africano lanciando il programma “Aktion Afrika”, finanziato con circa 40 milioni di Euro. Tra il 2000 e il 2008 gli Investimenti Diretti Esteri (IDE) tedeschi in Africa sono aumentati del 38% attestandosi a 6,3 miliardi di Euro. - La Francia, per tradizione il paese Europeo con maggior influenza culturale ed economica sul continente, ha affermato all’ultimo vertice sulla Françafrique (2010) di voler cambiare passo sotto il profilo politico, prestando maggiore attenzione alle istanze dei partner africani e soprattutto economico, annunciando anche la costituzione del Fondo per l’agricoltura africana di 120 milioni di Dollari (a regime 300 milioni di Dollari), destinato a sostenere lo sviluppo di progetti agricoli e la distribuzione di derrate. Questo accento sulla dimensione economica delle relazioni franco-africane era stato sottolineato già nel 2008, quando in un discorso al parlamento sudafricano il Presidente francese Nicolas Sarkozy aveva annunciato le tre nuove componenti dell’impegno francese verso il continente: la creazione di un fondo d’investimento di 250 milioni di Euro per acquisire partecipazioni ad altri fondi misti o tematici in modo da sviluppare le imprese africane; la costituzione di un fondo di garanzia con dotazione di 250 milioni di Euro per facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese africane al credito; il raddoppio dell’attività dell’Agenzia francese per lo sviluppo a favore del settore privato: 2 miliardi di Euro in 5 anni. Oggi la Francia è il terzo partner commerciale del continente africano, il secondo esportatore (superata dalla Cina) e il quarto importatore (dietro USA, Cina e Italia)43. Nel 2008 in Africa sono stati esportati beni francesi per un totale di 36,9 miliardi di Dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente di quasi il 18%, a fronte di importazioni dall’Africa che tra il 2007 e il 2008 sono aumentate del 36%, per una valore di 38,4 miliardi di Dollari. - La Gran Bretagna è di gran lunga il paese che più si è speso sul piano della cooperazione allo sviluppo, facendo diventare l’Africa una questione morale. Lo testimoniano iniziative come la Commissione sull’Africa voluta dell’ex premier Tony Blair, la campagna Make Poverty History, gli impegni sottoscritti al summit G8 di Gleneagles nel 2005, durante la presidenza britannica. Questa posizione ha avuto come concreto riflesso un aumento considerevole degli aiuti che oggi raggiungono lo 0,43% del Reddito Nazionale Lordo (RNL) contro una media dei paesi DAC dello 0,3%. Il cambio di governo ha segnato l’avvio di una profonda revisione del sistema degli aiuti, che saranno nelle intenzioni dei conservatori, improntati a obiettivi e priorità definiti e soprattutto a maggior efficienza e trasparenza. Rimane ancora da capire se e come verranno riviste e rafforzate le relazioni commerciali. La Gran Bretagna ha incrementato l’interscambio con l’Africa del 16% tra il 2007 e il 2008 arrivando a scambiare circa 36,6 miliardi di Dollari. Il 38% degli interscambi sono stati con il Sud Africa, da cui la Gran Bretagna importa per valore pari a 9,3 miliardi di Dollari ed esporta 4,7 miliardi di Dollari. - La Spagna si sta ritagliando un ruolo sempre più importante nelle relazioni con il continente, puntando soprattutto a migliorare i rapporti con i “naturali vicini”, a disinnescare

43. Tuttavia se negli anni Sessanta gli scambi con l’Africa assommavano al 40% del commercio estero francese, oggi quella

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percentuale è scesa intorno al 5%.


EXECUTIVE SUMMARY

potenziali crisi, ma anche Fig. 20 Aiuti allo sviluppo (ODA) EU15 all’Africa; Milioni di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati OECD, Commissione Europea, World Bank) a promuovere la Spagna come interlocutore politico e partner commerciale. La Spagna è il sesto partner commerciale africano (davanti alla Gr an Bret agna). Nel 20 09 le espor tazioni spagnole verso l’Africa sono state pari a 9,3 miliardi di Euro (5,9% del totale), le importazioni dall’Africa hanno raggiunto i 16,7 miliardi (8% del totale). Lo strumento attraverso il quale la Spagna elabora la sua politica verso il continente è il “Piano Africa”44, che fissa obiettivi e priorità d’intervento e nasce dalla volontà di esprimere un approccio regionale e più coordinato all’Africa: in linea con le scelte europee la Spagna intende puntare sulla cooperazione con l’Unione Africana e le comunità regionali con una speciale attenzione all’ECOWAS. In collaborazione con la Banca Africana per lo sviluppo e la cooperazione danese la Spagna ha anche finanziato il Fondo africano di garanzia (che ha un capitale di circa 500 milioni di Dollari su un periodo di 5 anni) per accrescere l’accesso al credito delle piccole e medie imprese del continente. Una parte importante degli sforzi spagnoli è diretta infine a regolare i flussi migratori e combattere l’immigrazione illegale45. - L’Italia si è finalmente dotata di alcuni strumenti come il “Piano Africa” che testimoniano una presa di coscienza dell’importanza che il continente può rivestire per la nostra economia. Tuttavia i riflessi concreti di questo nuovo corso sono ancora limitati. L’Italia oggi è il terzo partner commerciale del continente (il primo in Europa) con un interscambio però fortemente sbilanciato a favore del Nord Africa a causa delle importazioni di petrolio e gas naturale. Per questo motivo la Libia è il più importante partner commerciale46, seguita dall’Algeria. A sud del Sahara il principale partner è il Sud Africa, ma altri paesi stanno crescendo, come il Camerun che nei primi quattro mesi del 2010 ha fatto registrare un balzo del 34% nell’interscambio con l’Italia47. Nel luglio 2010, al secondo Forum “Italy & Africa Partners in Business”, organizzato dal ministero dello Sviluppo Economico e SIMEST il vice ministro Urso ha ribadito che l’obiettivo è “raddoppiare in tre anni il valore delle esportazioni e degli investimenti in Africa subsahariana, arrivando rispettivamente a 9 miliardi di Euro e 150 milioni di Euro”. Anche nel campo della cooperazione allo sviluppo è stato varato per la prima volta un documento che traccia le linee guida

44. Il primo ha coperto il periodo 2006-2008, il secondo riguarda il quadriennio 2009-2012. 45. Madrid ha firmato accordi quadro sull’immigrazione con Capo Verde, Gambia, Guinea Conakry, Mali e Niger, oltre a un Memorandum con il Senegal e un accordo sulla regolazione dei flussi

con la Mauritania 46. Dalla Libia proviene quasi il 50% delle importazioni italiane dall’Africa. 47. Dati ICE; Il vice ministro Urso ha guidato una missione commerciale con 50 aziende in Camerun a luglio 2010.

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EXECUTIVE SUMMARY

per il triennio 2009-2011. Fig. 21 Commercio con l’Africa 2008 dei principali Paesi europei; miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati WTO, Unione Europea) Tenuto conto dell’impegno italiano nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, vengono individuati i settori prioritari per l’intervento bilaterale: agricoltura e sicurezza alimentare; ambiente, ter ritorio e ges tione delle risorse naturali, con particolare riferimento all’acqua; salute; istruzione; governance e società civile anche relativamente al sostegno all’e-government e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) come strumento di lotta alla povertà, sostegno alle micro, piccole e medie imprese. Per migliorare la gestione e la trasparenza degli aiuti, nel 2009 il ministero degli Affari Esteri ha formulato un piano nazionale per l’efficacia degli aiuti e ha costituito un gruppo di esperti che lavorano su 12 gruppi tematici.

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EXECUTIVE SUMMARY

6. Lo sviluppo economico dell’Africa

55. La crisi dell’economia mondiale ha rallentato, ma non fermato la crescita dell’Africa. L’economia del Continente, pur in contrazione rispetto ai valori 2008 (5,4%) ha registrato un progresso del 2,9% nel 200948, superiore alla media mondiale.

56. La crisi in Africa ha avuto impatti inizialmente nei Paesi con i mercati finanziari più integrati nell’economia mondiale (ad esempio il Sud Africa), per poi espandersi, in seguito al crollo del commercio internazionale, nei Paesi esportatori di petrolio (come l’Angola) e in quelli esportatori di commodity (come Botswana e Zambia). Il crollo delle esportazioni di materie prime è stato maggiore della contrazione Fig. 22 Crescita del Pil (%) delle importazioni portando a (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Fondo Monetario Internazionale) un peggioramento della bilancia commerciale e delle partite correnti. 57. Gli investimenti diretti esteri in Africa nel 2008 sono aumentati del +27% rispetto al 2007 per un totale di 72 milioni di Dollari, mentre nel 2009, con la caduta dei mercati, i valori si sono contratti del 36% attestandosi a 59 miliardi di Dollari.

58. Le economie africane nel complesso hanno mostrato una sostanziale robustezza e solidità alla crisi e, grazie all’azione coordinata delle banche centrali africane, il tasso di crescita atteso per il 2010 è di nuovo in salita di 4,5% e nel 2011 di 5,2%, anche grazie alla ripresa del commercio mondiale 49 e ai prezzi delle commodity in aumento.

59. Dopo la caduta del 2,5% del 2009, le esportazioni africane sono previste in crescita del 3,2% nel 2010 e del 5% nel 2011. La ripresa contribuirà a ridurre anche i deficit fiscali: dal 4,4% del Pil nel 2009, il deficit medio dei Paesi africani è previsto abbassarsi a circa il 3,3% nel 2010 e al 1,9% nel 201150. Entro il 2011, 2 Paesi africani su 5 dovrebbero registrare deficit inferiori al 3% o addirittura registrare dei surplus. Anche la bilancia commerciale di

48. Fonte: OCSE, African Economic Outlook , 2009 49. Anche gli investimenti privati, le rimesse e il consumo privato sono previsti recuperare però con più fatica del commercio.

50. Alcuni Paesi produttori di petrolio (Libia, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale) dovrebbero addirittura segnare un surplus fiscale.

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EXECUTIVE SUMMARY

Fig. 23 Crescita attesa del Pil 2010-2011 per area geografica (Fonte: Fondo Monetario Internazionale)

gran parte degli Stati africani è prevista in miglioramento e nuovamente positiva in ragione della ripresa della domanda e dei prezzi delle commodity51.

60. Prescindendo dalla crisi, uno dei

Fig. 24 Evoluzione della classe media emergente africana in milioni di persone 2008 (Fonte:TEH-Ambrosetti)

principali elementi strutturali del decennio di crescita continua dell’Africa è l’emergere di una nuova fascia socioeconomica di “classe media” - composta da professionisti, medici, insegnati e impiegati del settore pubblico localizzati principalmente nelle aree urbane - che si può stimare in circa 100 milioni52 di persone, circa il 12% dell’intera popolazione africana. La crescita della classe media e dei suoi consumi, sia di beni che di servizi, è la chiave di volta dello sviluppo africano in quanto sostiene la domanda interna di beni di consumo e di servizi e contribuisce a dare spinta allo sviluppo dell’industria manifatturiera africana, incentivando la crescita del terziario e dell’edilizia (si veda quanto più sopra detto).

51. I Paesi esportatori di petrolio segneranno i surplus commerciali maggiori. Alcuni Stati (Seychelles, Sao Tomè e Principe e Liberia) continueranno a segnare bilance commerciali molto negative.

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52. “The middle classes moving on up”, The Africa Repor t 2010. Non sono compresi coloro appar tenenti alla classe media “globale”.


EXECUTIVE SUMMARY

61. Importanti progressi si sono registrati nel raggiungimento dei Millenium Development Goals, obiettivi “globali”53 che tutti i Paesi si sono dati per migliorare le condizioni di vita della popolazione. Fig. 25 Numero di Millenium Development Goals raggiunti per Paese al 2007 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati United Nation Statistic Division)

0 su 7 Angola Rep. Centro Africana Ciad Repubblica Dem. Congo Guinea Bissau Nigeria Somalia Sudan

1 su 7 Camerun Costa d'Avorio Guinea Equatoriale Niger Swaziland

2 su 7 Seychelles Tanzania Zambia Zimbabwe

3 su 7 Botswana Burkina Faso Burundi Capo Verde Comore Congo (Brazz.) Eritrea Ghana Lesotho Madagascar Mali Sao Tome & Prencipe Mozambico Mauritania Senegal Sierra Leone Sud Africa Togo

4 su 7

5 su 7

Algeria Benin Gibuiti Egitto Marocco Gabon Uganda Gambia Guinea Kenya Liberia Malawi Mauritius Namibia Ruanda

6 su 7 Etiopia Libia Tunisia

62. L’Africa sta tentando di ribaltare l’approccio tradizionale allo sviluppo attraverso la creazione delle condizioni per la crescita economica interna, invece di guardare in primo luogo ai rapporti e agli scambi con il resto del mondo per facilitare lo sviluppo (come è stato fatto nel passato). In questa logica il G8 ha dato all’Africa molto spazio negli ultimi 8 summit, aiutando a cancellare parte del debito africano e ad aumentare il budget destinato agli aiuti. Questa stessa attenzione al tema Africa non è stata invece recepita nell’agenda del G20. L’Africa infatti manca di rappresentanza in molti fora internazionali: il Sudafrica, spesso presente, non è assimilabile a portavoce di tutto il Continente. In assenza di una leadership riconosciuta, l’organo africano di maggiore autorevolezza è l’Unione Africana: la recente elezione del presidente del Malawi - Bingu wa Mutharika - alla sua guida ne ha aumentato notevolmente la credibilità e la rappresentatività54.

63. Accanto al processo di integrazione continentale, gli Stati africani, unendosi in organizzazioni denominate Regional Economic Communities (RECs) hanno dato vita a processi di integrazione economica sub-regionale.

53. 1) Sradicare l’estrema povertà e la fame; 2) Raggiungere la piena scolarizzazione primaria; 3) Promuovere l’uguaglianza dei sessi e rafforzare il ruolo della donna; 4) Ridurre la mortalità infantile; 5) Migliorare la salute delle madri; 6) Combattere l’HIV/ AIDS, la malaria e altre malattie; 7) Assicurare la sostenibilità

ambientale. A questi si aggiunge un obiettivo di aiuto minimo che si sono impegnati a perseguire i Paesi sviluppati. 54. Il precedente presidente dell’Unione Africana, Gheddafi, non costituiva un partner e un rappresentante credibile dell’Africa intera all’interno del G20.

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EXECUTIVE SUMMARY

Questo è il contesto in cui si sta sviluppando la logica dei corridoi trans-nazionali come modalità di intervento per lo sviluppo: si mettono a fattor comune le risorse per la costruzione di grandi opere infrastrutturali che consentono di aumentare la mobilità, le connessioni e gli scambi tra gli Stati, di migliorare le comunicazioni e l’approvvigionamento energetico, contribuendo così ad accrescere la competitività e lo sviluppo della regione interessata dagli interventi55.

55. L’importanza dei corridoi è stata riconosciuta anche nell’ambito del 12° vertice dei capi di stato dell’Unione Africana, tenutosi ad Addis Abeba nel febbraio 2009 in cui è stata espressa la convinzione che l’integrazione continentale non passa solo attraverso

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le scelte e le aperture politiche, ma che sia necessario implementare la rete di comunicazioni a livello continentale, attraverso interventi diretti sulla rete della mobilità e dei trasporti e delle telecomunicazioni.


EXECUTIVE SUMMARY

7. “Capire” l’Africa: la Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM)

64. La Ambrosetti Development African Map-ADAM è uno strumento che abbiamo elaborato per leggere e interpretare lo sviluppo dei Paesi africani.

65. La caratteristica di ADAM è l’approccio multi-dimensionale impiegato per fotografare e comprendere le linee portanti dello sviluppo dei Paesi africani, rendendone possibile il monitoraggio nel tempo e, in parte, la predittività.

66. Per un completo schema interpretativo sono state considerate le variabili di natura economica56, ma anche altri fattori di sostenibilità della crescita e dello sviluppo: la dotazione di risorse naturali e minerarie e di infrastrutture e la rischiosità di un Paese sotto il profilo complessivo della governance, intesa sia come stabilità politica sia come efficienza dell’apparato amministrativo e normativo.

67. ADAM non si limita a visualizzare e monitorare la dinamica delle posizioni relative dei Paesi nel corso degli anni; essa è anche uno strumento a valenza predittiva, che permette di proiettare i tracciati evolutivi dei diversi Paesi nel medio termine, indicando così sia gli attuali sia i potenziali e più attrattivi player di domani.

68. ADAM è rivolta a quegli operatori pubblici e privati che hanno bisogno di strumenti analitici di facile lettura per guidare e sostanziare le loro decisioni di investimento, per identificare futuri partner economici e commerciali o per definire priorità nello stabilire più stretti rapporti bilaterali.

69. Per costruire ADAM sono state correlate variabili di: - natura economica57 che sono andate a confluire nell’indicatore di performance economica (asse Y della matrice); - dotazione “patrimoniale” - risorse naturali e minerarie, infrastrutture per la mobilità, infrastrutture socio-sanitarie58 - confluite nell’indicatore di dotazione di patrimoni (asse X della matrice). - dimensione politico-amministrativa 59, evidenziata con colori diversi (verde per le situazioni positive; giallo per situazioni con problemi e rossa in caso di situazione politico amministrativa critica).

56. è nostra convinzione infatti che le misurazioni legate al Pil non bastino a descrivere la crescita della ricchezza di un Paese africano. 57. 3 indici: tassi di crescita del Pil e del Pil pro capite, oltre che il livello di Pil pro capite raggiunto. 58. 16 indici: produzione di metalli e combustibili, produzione di diamanti, produzione di legname, presenza di terra arabile, lunghezza di strade e ferrovie, concentrazione di aeroporti, tasso di

elettrificazione, numero di medici, infermiere e volontari, tasso di iscrizione alla scuola primaria, tasso di completamento della scuola primaria, utenti internet ogni 1.000 abitanti, utenti di telefonia mobile ogni 1.000 abitanti, numero di linee telefoniche ogni 1.000 abitanti, personal computer ogni 1.000 abitanti. 59. 6 indici: political stability and absence of violence, government effectiveness, regulatory quality, rule of law, corruption, voice and accountability.

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EXECUTIVE SUMMARY

70. In ADAM si distinguono due

Fig. 26 Struttura della matrice ADAM – Ambrosetti Development Africa Map

aree rilevanti: - L’area di vulnerabilità, delimitata dall’asse delle ordinate e dalla perpendicolare passante per il valore limite del primo quartile dell’asse dei patrimoni, in cui si collocano i Paesi endemicamente poveri (terzo quadrante) c arat teriz zati da carenza di risorse, crescita scarsa e impossibilità di intervenire, oppure che hanno sperimentato la crescita in assenza di patrimoni solidi (quarto quadrante). - L’area di salvaguardia, delimitata dalla mediana dell’asse delle ordinate e la perpendicolare passante per il valore limite del terzo quartile dell’asse dei patrimoni, è quella dove idealmente un Paese, oltre registrare un indice di sviluppo economico superiore alla mediana, ha anche raggiunto un livello di solidità infrastrutturale tale che, salvo oscillazioni congiunturali, può considerare la sua situazione economica migliorabile.

71. Di seguito sono riportati i risultati di 4 anni di ADAM: il 2001, l’anno di riferimento rispetto al quale sono relativizzati tutti gli altri dati, il 2004, il 2007 e il 2008 che è l’anno al quale si riferiscono i dati più recenti disponibili.

72. Osservando le tavole della mappa dei 4 anni di riferimento si nota il cammino di sviluppo dei Paesi africani: - Nel 2001 c’è una netta concentrazione attorno alla mediana di tutti gli Stati fatti salvi i Paesi del Maghreb, isole, Sud Africa e Botswana. - Nel 2004 si assiste a un primo cambiamento nelle posizioni relative: alcuni Paesi emergono dal gruppo intorno alla mediana per traghettarsi in direzione del 3° quartile. - Questa tendenza si conso Fig. 27 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2001 lida poi nel 2007 soprattutto (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti) per quei Paesi che si sono dimostrati good performer dal punto di vista politico amministrativo. - Nel 2008 si assiste ad un’ulteriore conferma dei paesi che sono entrati nel terzo quartile alzando ulteriormente il valore delle due mediane, segno di crescita costante per tutto il continente.

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EXECUTIVE SUMMARY

73. Osservando le posizioni dei Paesi nei 4 quadranti si possono individuare dei gruppi di Paesi con caratteristiche simili per quanto riguarda la performance economica e la dotazione di patrimoni: - Paesi “virtuosi in sviluppo” (I quadrante), con performance economiche e dotazione di patr imoni super ior i alla mediana. Fanno parte di questo gruppo 16 Paesi: Seychelles, Sudafrica, Mauritius, Botswana, Tunisia, Capo Verde, Egit to, Marocco, Gabon, Namibia, Algeria, Lesotho, Ghana, Tanzania, Gambia e Kenya. I Paesi di questo gruppo sono accomunati da una situazione politica sostanzialmente positiva. - Paesi “problematici” (II quadrante), con patrimoni superiori alla mediana, ma performance economiche inferiori. Questi sono Paesi che, pur avendo grandi ricchezze, non riescono a trasformarle in crescita spesso a causa di una situazione di governance fragili (Swaziland, Comore, Camerun e Repubblica del Congo). Altri sono Paesi molto poveri di materie prime che stanno puntando sulla creazione di patrimoni creati dall’uomo (infrastrutture per la mobilità e sociosanitarie), ma che non sono ancora riuscite a far leva su queste per stimolare lo sviluppo economi c o ( B e ni n, G a m b ia e Senegal).

Fig. 28 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2004 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

Fig. 29 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2007 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

Fig. 30 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2008 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

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EXECUTIVE SUMMARY

- Paesi “intrappolati” (III quadrante), con patrimoni e performance economiche inferiori alla mediana. Nel gruppo sono presenti sia Stati endemicamente poveri (Repubblica Centrafricana, Niger, Burundi, Mali, Repubblica, Eritrea, Guinea, Togo, Gibuti, Guinea Bissau e Liberia) oppure che dispongono di risorse - petrolio, oro o diamanti - i cui proventi non vengono rilasciati sul territorio. É il caso di Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Zimbabwe. Nessuno dei Paesi in questo quadrante ha una situazione politico amministrativa positiva e spesso sono vittime di governi autoritari. - Paesi “corridori con i piedi d’argilla”, (nel IV quadrante) con patrimoni inferiori alla mediana ma performance economiche superiori. La maggior parte dei Paesi presenti in questo quadrante hanno conosciuto un periodo di grande crescita grazie alla scoperta di una risorsa naturale (petrolio o gas), ma ancora non hanno trasformato questa ricchezza in investimenti infrastrutturali e sociali che permettano una crescita armoniosa del Paese. Essi sono Guinea Equatoriale, Etiopia, Sierra Leone e Sudan (e Angola, anche se in un altro quadrante). Nello stesso quadrante ci sono Paesi che, pur poveri di risorse sono riusciti ad accrescere le loro performance grazie al miglioramento della governance e all’attrazione di capitali: ad esempio il Mozambico. - Paesi “in transizione” che si trovano attorno all’incrocio delle mediane (Zambia, Uganda, Tanzania, Gambia, Ruanda, Mozambico) e che dal 2001 stanno percorrendo un cammino di miglioramento progressivo verso il primo quadrante. Tutti questi Paesi sono accomunati da una situazione politico-amministrativa positiva o comunque in miglioramento. Fig. 31 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2008 con evidenza dei quadranti (Fonte: TEH-Ambrosetti)

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EXECUTIVE SUMMARY

74. L’intero impianto interpretativo della mappa si basa sull’ipotesi che le 4 trappole, considerate finora gravi ipoteche allo sviluppo dell’Africa, possano oggi essere rimosse grazie a una nuova cultura di governo, a una maggiore consapevolezza nell’applicare strumenti di politica economica da parte dell’apparato politico amministrativo, alle nuove tecnologie e anche a un diverso approccio delle organizzazioni internazionali a favore del continente africano.

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CAPITOLO 1 Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”: obiettivi, fasi, risultati.


INDICE

1. Introduzione: il risveglio dell’Africa

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2. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

52

2.1. Obiettivi

52

2.2. Tempi, struttura e attori

52

2.3. Attività

54

3. Le fasi del progetto ad oggi e i risultati

55

3.1. Fase 1 (edizione 2006/2007): 7 proposte per l’Africa

55

3.2. Fase 2 (edizione 2007/2008): focus telemedicina, educazione, turismo

58

3.3. Fase 3 (edizione 2008/2009): focus agroindustria

63

3.4. Fase 4 (edizione 2009/2010): focus sviluppo urbano

64

4. Considerazioni di sintesi

66


CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

1. Introduzione: il risveglio dell’Africa

1. L’Africa è in movimento. Dalla fine degli anni ’90, dopo due decenni di contrazione economica, il continente ha intrapreso una fase di accelerazione economica con il Pil che è cresciuto in media di oltre il 5% all’anno1. Questo l’ha portata ad essere oggi la terza regione al mondo per velocità di crescita. Confrontando l’andamento dell’economia africana con quello mondiale, è evidente come l’Africa ha registrato negli ultimi anni risultati cos tantemente migliori.

2. L’Africa sta cambiando struttural-

Fig. 1 Pil pro capite in Africa, Dollari 1990 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati A. Maddison)

Fig. 2 Trend del tasso di crescita del Pil (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati FMI)

mente. Segnali di questo processo si leggono nel r af for z amento delle is tituzioni democratiche in molti Paesi dell’area, nelle rifor me economiche e sociali messe in campo a livello nazionale e sovranazionale, nella progressiva integrazione su scala regionale (anche se ancora in fieri), nel consolidamento di una classe media con un potere di spesa comparabile a quello di altre aree in via di sviluppo.

1. In particolare i Paesi esportatori di petrolio, hanno sperimentato tassi di sviluppo a due cifre.

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Fig. 3 L’Africa oggi e domani: principali numeri del cambiamento del continente; (*) 16,6% della popolazione mondiale; (**) Reddito > 10.000 $/anno (PPP al 2005) (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Nazioni Unite, UNCTAD)

Ieri (2000) Popolazione (milioni)

Oggi (2010)

Domani (2020)

8,16

955

1.270*

18

30

45

Spesa consumatori africani (Mld Euro)

270

420

820

Pil (Mld Euro)

490

790

1.400

Tasso crescita Pil (Medio annuo su decennio)

2,6

4,9

6,0

16

76

400

-

20

50

Classe media** (milioni di famiglie)

Investimenti Diretti Esteri (Mld Euro) Aziende Africane con fatturato maggiore di 2 Mld di Euro

3. L’Africa è sempre più al centro degli interessi mondiali. L’enorme disponibilità di materie prime/minerali/metalli2, di terreni agricoli3, di risorse naturali, di manodopera, ne stanno facendo una meta privilegiata degli investimenti internazionali, quadruplicati dal 2002.

4. Negli ultimi anni l’Africa ha recuperato centralità nell’agenda politica globale. Questo è dimostrato dai recenti orientamenti internazionali e dalle strategie di inter vento di lungo termine, con rapporti di collaborazione a più livelli, messe in campo dei principali attori geopolitici, non ultima l’Europa con la nuova strategia per l’Africa varata nel 2007 a Lisbona4.

Fig. 4 Investimenti Diretti in Africa, Miliardi di USD (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UNCTAD)

2. Oltre 60 tipologie. Per alcune l’Africa è il primo fornitore mondiale: oro, platino, diamanti, uranio, manganese, cromo, nichel, bauxite, cobalto, petrolio, gas naturale. 3. È noto il fenomeno del “land grabbing”. 4. L’obiettivo è superare il tradizionale rapporto “donatore-rice-

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vente” (l’Europa è il primo donatore dell’Africa) e sviluppare con l’Africa rapporti di partenariato. Al prossimo summit UE-Africa di Sirte (novembre 2010) verrà verificato lo stato di avanzamento del processo.


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Fig. 5 Le tappe principali della strategia dell’Europa per l’Africa

5. L’Africa è sempre più un attore attivo nel suo processo di sviluppo. Il dinamismo delle organizzazioni regionali e sovra-nazionali africane - anche grazie al rafforzamento delle relazioni Sud-Sud5 e delle connessioni e interconnessioni infrastrutturali6 - va nella direzione di proporre un nuovo modello di sviluppo per il continente, al di fuori delle logiche tradizionali che hanno caratterizzato i rapporti Africa - Resto del mondo negli ultimi decenni.

6. L’Africa, seppur in un quadro di non sempre facile lettura e ancora con molte incognite e incertezze, è una grande opportunità. Di questo ne sono consapevoli in grandi player internazionali - Cina, India, Stati Uniti, Giappone - che da anni dimostrano un notevole interesse verso questa parte del mondo, con forti investimenti e relazioni strategiche a tutto campo.

7. L’Europa - il continente più prossimo culturalmente e geograficamente all’Africa - è ancora troppo poco presente (e percepito) come attore di primo piano e referente - politico ed economico - unico.

8. L’Italia, nonostante i tradizionali rapporti con l’Africa (in particolare con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo7), ha rilanciato il proprio interesse verso l’area8 in ritardo e con una strategia - in particolare per l’Africa subsahariana - ancora non incisiva.

5. Si intendono i rapporti politici, economici e culturali, tra i Paesi del “sud” del mondo (cfr. Capitolo 4). 6. Si ricordano ad esempio i grandi corridoi trans-nazionali in fase di realizzazione. 7. L’Italia è il primo partner commerciale dell’area e dipende da questi Paesi per alcuni approvvigionamenti strategici, come quelli energetici.

8. Si ricorda il Piano Africa (2008) del Ministero dello Sviluppo Economico, il cui obiettivo è “stimolare l’interesse degli operatori italiani verso il continente africano proponendo opportunità sia di commercio che di investimento, in particolare nei Paesi con maggiori attrattive e riconoscimento sui mercati e nei quali è ridotta l’influenza di altre nazioni”.

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2. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

2.1. Obiettivi 9. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa” è nato nel 2006, con l’obiettivo di contribuire al rafforzamento delle relazioni strategiche tra Europa/Italia e Africa e di stimolare il dibattito e l’interesse di istituzioni e operatori sul tema.

10. La Fondazione Banco di Sicilia9 ha incaricato The European House-Ambrosetti10, di avviare un lavoro di ampio respiro finalizzato a: - Dare vita in Sicilia ad un Forum permanente11 di incontro della leadership politico-imprenditoriale europea e africana. - Esplorare le relazioni culturali, sociali e commerciali tra Europa e Africa e individuare aree e strumenti per rafforzarle. - Favorire l’attivazione di iniziative concrete, in settori chiave dello sviluppo di anno in anno selezionati, che coinvolgano profittevolmente attori privati (in primis) e pubblici, africani ed europei12.

2.2. Tempi, struttura e attori 11. Il lavoro, per gli obiettivi e la complessità dei temi, ha natura pluriennale e prevede una serie di fasi successive legate tra loro da una logica di continuità come rappresentato nella figura 6.

12. Il progetto poggia su tre “gambe” tra loro sinergiche e interdipendenti: - La ricerca, che ogni anno approfondisce un tema di riferimento per lo sviluppo dell’Africa e di interesse strategico per l’Europa.

9. La Fondazione Banco di Sicilia è una importante fondazione bancaria italiana il cui scopo prioritario è favorire la crescita sociale, culturale ed economica della Sicilia. La Fondazione si impegna per valorizzare il patrimonio dell’Isola, sostenere i beni culturali, supportare l’educazione, incentivare la ricerca scientifica, stimolare lo sviluppo sostenibile e promuovere azioni di solidarietà. La Fondazione è anche impegnata nella promozione dello sviluppo economico e sociale dell’area mediterranea; tre le iniziative in questo campo spicca, ogni anno, il progetto e il Forum internazionale “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”. 10. The European House-Ambrosetti è una primaria società di consulenza europea, fondata nel 1965. Oggi conta sette uffici in Italia e quattordici uffici esteri ed altre partnership nel mondo. È attiva nella consulenza per l’Alta Direzione, nei ser vizi di aggiornamento continuo per il top managament aziendale e

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nell’organizzazione di eventi e Forum esclusivi. 11. Il Forum si tiene a Taormina (Sicilia) ogni anno nella prima settimana di ottobre. 12. La sfida dello sviluppo è anche una sfida economico-industriale: senza l’attivazione di iniziative in grado da fare da volano per il tessuto produttivo africano, creando condizioni strutturali per lo sviluppo, difficilmente possono essere intrapresi percorsi di crescita sostenibile di lungo periodo. Per questo motivo uno degli obiettivi chiave del progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa” è favorire il rafforzamento di relazioni durevoli tra Africa e Europa (e Italia), attraverso l’individuazione di campi di interesse reciproco nei quali progettare interventi differenziati targati Europa/Italia che coinvolgano con mutuo beneficio imprese e istituzioni pubbliche e private dei due continenti producendo risultati concreti su alcuni temi/settori selezionati.


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Fig. 6 Tempi e attività principali del progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

- Le iniziative, cioè idee per il lancio di progetti concreti in settori selezionati di mutuo interesse per l’Europa e l’Africa. - Il Forum, che è il momento di discussione-azione in tema di relazioni economiche, politiche e culturali tra Europa e Africa.

13. Il progetto coinvolge una molteplicità di attori, istituzionali e privati europei/italiani e africani per: - attivare processi partecipati e condivisi; - prendere decisioni stratetiche e implementarle; - garantire il successo delle iniziative che di anno in anno vengono progettate e lanciate. Fig. 7 Attori coinvolti nel progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

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2.3. Attività 14. Il progetto prevede una serie di attività “tagliate su misura” in funzione del livello di intervento e degli interlocutori: - Missioni in Africa per approfondire la comprensione del contesto di riferimento, le esigenze e le opportunità concrete13. - Incontri periodici con: - il Comitato Guida del progetto (3 incontri all’anno), composto da personalità di alto profilo per raccogliere contributi e suggerimenti qualificati per l’impostazione del lavoro; - gli Ambasciatori africani accreditati a Roma (2 incontri all’anno), per informarli sugli sviluppi del progetto, favorire le relazioni con i Paesi di riferimento e ricevere sugge rimenti e manifestazioni di interesse per le specifiche iniziative. - Incontri con le istituzioni europee e nazionali per un costante allineamento e coinvolgimento nelle attività. - Workshop in Paesi europei selezionati14 per illustrare il progetto e raccogliere indicazioni e partecipazione nelle iniziative connesse. - Incontri one-to-one con i soggetti - europei/italiani e africani - target delle iniziative progettuali in fase di lancio o di avvio operativo. - Interviste ad opinion leader ed esperti internazionali per approfondire ad un livello altamente qualificato alcuni aspetti o temi rilevanti.

13. Dall’inizio del progetto sono state effettuate missioni in Mozambico, Malawi, Sud Africa, Etiopia, Zambia, Uganda,

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Angola. 14. Ad oggi Germania, Spagna, Francia, Portogallo.


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3. Le fasi del progetto ad oggi e i risultati

15. Il progetto, lanciato nel 2006, è oggi alla sua quarta fase15. Di seguito sono: - illustrati sinteticamente gli obiettivi principali, le proposte emerse e le iniziative lanciate nelle prime tre edizioni; - illustrati gli elementi caratterizzanti della fase 4 (quella attuale) in termini di obiettivi di ricerca su temi prioritari, progress report delle iniziative lanciate gli scorsi anni e nuove idee progettuali.

3.1. Fase 1 (edizione 2006/2007): 7 proposte per l’Africa

Fig. 8 Le 7 proposte per l’azione per l’Africa

16. La prima fase del progetto ha avuto

i seguenti obiettivi: - “Capire l’Africa”, per produrre un quadro di interpretazione della realtà del continente africano, dei bisogni e delle opportunità di sviluppo. - “Capire l’Europa”, per individuare le competenze e gli interessi che l’Europa può mettere in campo in Africa. - Progettare azioni in alcuni settori prioritari da proporre alle istituzioni e alle imprese dell’Europa/Italia e dell’Africa per rafforzare le relazioni strategiche a mutuo vantaggio di tutti gli attori interessati.

Fig.9 Logiche delle proposte e delle iniziative

17. Dal lavoro sono emerse 7 proposte di azione per l’Africa, in altrettanti settori prioritari. La volontà è stata disegnare interventi non assistenziali, con il coinvolgimento di istituzioni pubbliche e private e imprese, in grado di produrre benefici per l’Africa, generando allo stesso tempo delle opportunità per l’Europa. Per ciascuna proposta sono state delineate le modalità di attuazione, un dimensionamento di massima dei numeri in gioco e i benefici attesi. Di seguito una sintetica illustrazione16. 15. Tutti i rapporti di ricerca sono liberamente scaricabili al sito www.ambrosetti.eu

16. Si veda il rappor to 2007 per una presentazione di dettaglio.

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18. Proposta 1: “More and more health” (Sempre più salute) Tema: Investimenti per la sostenibilità allo sviluppo dell’Africa (declinazione sulla sanità). Proposta: “Realizzare in Sicilia un centro di raccordo delle competenze mediche disponibili in Europa per la fornitura di servizi di telemedicina (teleconsulto, teleassistenza e teleformazione) e l’avvio di progetti di assistenza (progettazione, realizzazione e implementazione delle infrastrutture) in Africa”. Razionale: I problemi sanitari, in particolare la pandemia dell’HIV/AIDS, che affliggono il continente africano sono uno dei più seri vincoli allo sviluppo sostenibile. La modalità operativa della proposta vede come elemento centrale il rafforzamento delle infrastrutture dei centri DREAM (Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition) della Comunità di Sant’Egidio in Africa. Questa proposta, con opportuni adattamenti e tarature, ha trovato una progettazione più puntuale nella successiva fase 2 del progetto ed è oggi in fase di avvio operativo.

19. Proposta 2: “Human capital with European competencies” (Capitale umano con competenze europee) Tema: Formazione e capitale umano. Proposta: “Costruire un’Agenzia europea che attragga/selezioni gli studenti africani in varie aree disciplinari, progetti/implementi un programma di destinazione degli studenti africani nelle Università europee e negli stage aziendali, favorisca il ritorno qualificato degli studenti africani nei Paesi di origine”. Razionale: Il capitale umano è uno degli elementi chiave per lo sviluppo di un territorio. L’Africa ha numerosi problemi (infrastrutture per la formazione, scarsità di personale qualificato, brain drain17, ecc.) che ne minacciano le prospettive di crescita. L’idea progettuale ha l’obiettivo di contribuire a colmare il gap formativo della classe media emergente africana, rafforzandone al contempo i rapporti con l’Europa, ai fini delle future relazioni politiche e di business. Anche questa iniziativa è in fase di avvio operativo.

20. Proposta 3: “Italian banks” (Banche italiane) Tema: Sistema finanziario e del credito. Proposta: “Favorire la presenza del sistema bancario italiano (e europeo) in tutte le zone di interesse delle aziende italiane operanti in Africa. Ovvero: convincere le principali banche italiane a sviluppare la propria presenza strategica nel continente africano”. Razionale: Uno dei fattori propedeutici allo sviluppo è un efficiente sistema bancario-finanziario, inserito nei grandi circuiti internazionali, che possa supportare gli imprenditori e le aziende nel loro sviluppo. L’Africa, salvo alcuni casi (come il Sud Africa o i Paesi del Magreb) è fortemente carente18. In anni recenti molti Paesi africani hanno però messo in campo significativi processi di apertura e ammodernamento del settore. Questi processi, sostenuti dalla crescita di molte economie locali, stanno aprendo grandi spazi di opportunità. Il sistema bancario europeo (salvo alcune eccezioni) può rafforzare proficuamente la sua presenza, anche per favorire le aziende europee ad entrare nei mercati africani di interesse.

17. Si stima che ogni anno oltre 70mila risorse qualificate lascino l’Africa per trasferirsi stabilmente altrove. 18. Secondo recenti stime (si vedano ad esempio i dossier della

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rivista Jeune Afrique) le prime duecento banche africane, considerate come un unico gruppo bancario, si posizionerebbero al 23° posto della classifica mondiale delle banche.


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21. Proposta 4: “European (Italian) and African cities together” (Città siciliane ed africane insieme) Tema: Cooperazione decentrata. Proposta: “Promuovere la stipula di intese su specifici temi tra le principali città (o aree urbane) europee e alcune significative città (o aree urbane) africane”. Razionale: La proposta va nella direzione di incentivare l’avvio di forme di cooperazione decentrata allo sviluppo tra città europee e africane in specifici progetti. L’esperienza di diverse iniziative già avviate nel tempo con buoni risultati, supporta infatti la convinzione che questa modalità di cooperazione19 sia in grado di generare effetti positivi significativi in ambiti selezionati.

22. Proposta 5: “Piloting into legal waters” (Navigare nel contesto legale) Tema: Sistema legale. Proposta20: “Costituire (idealmente in Sicilia21) una grande law firm con uffici in molti Paesi africani che svolga attività di consulenza legale per le imprese europee, italiane e siciliane che vogliono operare in Africa”. Razionale: L’organismo giuridico-legale è un ingranaggio chiave dello sviluppo (come il sistema del credito). Per un potenziale investitore la presenza di efficienti meccanismi di protezione degli investimenti e della proprietà legale, di applicazione e rispetto dei contratti, ecc. è essenziale. Tanto più un sistema giuridico-legale è allineato alle più moderne tendenze internazionali, tanto più ne beneficerà l’attività economica (oltre che la convivenza sociale in generale). La proposta in oggetto mira a costruire, adattando e migliorando modelli già in essere22, una società (law firm) europea/italiana con una forte presenza in Africa, che si occupi degli aspetti riconducibili al diritto degli affari23 al fine di agevolare le aziende europee/italiane nelle loro attività in Africa.

23. Proposta 6: “More and more energy” (Sempre più energia) Tema: Energia. Proposta: “Realizzare un think tank di matrice europea che supporti i Paesi africani nello sviluppo e nella realizzazione di iniziative localizzate per una efficiente generazione di energia su base rinnovabile e la distribuzione a livello locale”. Razionale: L’energia è uno dei settori su cui si gioca la sfida della crescita globale24. L’Africa, nonostante un enorme potenziale energetico (riserve di petrolio e gas naturale in primis, ma anche rinnovabili ad oggi poco sfruttate25), sconta un ampio deficit energetico, con situazioni

19. Tra i principali punti di forza si ricordano: l’attenzione alle effettive esigenze di sviluppo delle comunità locali; la valorizzazione delle competenze specifiche dei territori coinvolti; la maggiore controllabilità dei progetti stessi (implementazione su territori di estensione ridotta e maggiore interesse per i risultati); il coinvolgimento di una molteplicità di attori e della società civile. 20. La proposta origina dai risultati di numerosi contatti e colloqui intercorsi con referenti e Istituzioni siciliane, italiane ed africane. 21 La “candidatura” della Sicilia poggia sull’antica e radicata tradizione nel campo del diritto e degli studi giuridici e sulle competenze di eccellenza insidiate. 22. Un possibile r ifer imento potrebbe essere il modello Backer&McKenzie, primaria law firm statunitense che a partire dagli anni ‘50 ha supportato l’entrata in Europa di numerose aziende statunitensi. Oggi, Backer&McKenzie è presente in 38 Paesi e ha una rete di 70 uffici, di cui 23 in Europa.

23. Il diritto degli affari si può in larga massima riferire al diritto societario internazionale, al diritto commerciale internazionale, al diritto tributario internazionale, a quello doganale ed infine al diritto privato internazionale comparato. 24. Secondo la International Energy Agency, nei prossimi 30 anni, la domanda di energia mondiale quintuplicherà. 25. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE), la Rift Valley che in Africa si estende dall’Egitto fino al Mozambico ha una potenziale di energia geotermica di oltre 6 GW, di cui sono prodotti effettivamente solo 121 MW dagli impianti del Kenya. Similmente, le radiazioni solari sono in grado di produrre sul territorio africano tra 5 e 7 kWh/m2 al giorno, una condizione simile a quella di altri paesi grandi produttori di elettricità da fotovoltaico, ma in tutta l’Africa è installato solo l’1,3% della capacità produttiva di energia da radiazioni solari al mondo.

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particolarmente gravi soprattutto nelle aree rurali. In questo quadro, nell’idea progettuale proposta, il think tank - composto da esperti e primari ricercatori europei sui temi energetici - anche in collegamento con le principali aziende europee ed italiane, si dovrebbe occupare dell’organizzazione e dell’avvio di progetti energetici per la produzione, la commercializzazione e la distribuzione, su base locale (in Africa) ed eventualmente internazionale, dell’energia prodotta.

24. Proposta 7: “Cursing violence” (Bandire la violenza) Tema: Diritti umani. Proposta: “Costituire un Osservatorio che si occupi di monitorare - mettendone in luce le dimensioni quantitative e i danni socio-economici - i fenomeni che generano e diffondono la violenza in Africa26”. Razionale: L’argomento è attuale in Africa. La proposta in oggetto mira a istituire un Osservatorio per monitorare i fenomeni della violenza e di agire in duplice modalità: ex-post, quantificando i danni economici e sociali legati ai conflitti; ex-ante, informando le organizzazioni internazionali e una pluralità di attori sugli scenari relativi a possibili scoppi di violenza. Idealmente l’Osservatorio potrebbe essere legato ad un’organizzazione internazionale e guidato da un Comitato Scientifico di alto livello, per raggiungere lo stesso prestigio, autorevolezza e credibilità di istituzioni come Amnesty International o Transparency International. L’obiettivo è proporsi come un soggetto super partes, con autorità riconosciuta e in grado di indurre una moral suasion nei Governi dei Paesi africani più a rischio ai fini della diffusione dello Stato di diritto.

3.2. Fase 2 (edizione 2007/2008): focus telemedicina, educazione, turismo 25. Dopo la prima fase di comprensione generale dell’Africa, la seconda fase del progetto si è orientata ad una maggiore focalizzazione e operatività. Nello specifico gli obiettivi sono stati: - Approfondire, a livello di business plan, le iniziative lanciate l’anno precedente sulla telemedicina e l’educazione. - Lanciare una nuova iniziativa in Africa nel settore del turismo culturale27. - Sviluppare uno strumento di lettura e interpretazione dei percorsi di sviluppo dei Paesi africani a supporto di chi ha un interesse potenziale verso il continente e vuole “orientarsi”: la Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM). Si richiamano sinteticamente di seguito: - i lineamenti delle iniziative sulla telemedicina e l’educazione oggi allo start up operativo; - le principali caratteristiche della Ambrosetti Development of Africa Map; - L’iniziativa DREAM’s T&EAM (Telemedicina e formazione a distanza).

26. Guerre e conflitti e relativo utilizzo di armi, convenzionali e non; rapporto tra Stato ed individuo; crimine e corruzione; manipolazione dell’opinione pubblica, ecc. 27. Il progetto consiste nel dare vita ad un’Agenzia europea, che in una logica di creazione di valore, svolga quattro attività: a) Individuare in Africa, in stretta collaborazione con i Paesi africani interessati dai quali l’Agenzia dovrà ottenere il

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mandato ad operare, le aree di potenziale interesse turistico con specifica focalizzazione su quelle culturali; b) Progettare iniziative integrate di sviluppo a carattere turistico (piani complessivi di crescita e competitività territoriale in chiave turistica); c) Ricercare investitori e vendere i progetti; d) Supportare e assistere l’implementazione operativa dei progetti (se richiesto).


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26. La missione dell’iniziativa DREAM’s T&EAM è potenziare le attività legate alla telemedicina e alla formazione a distanza all’interno del programma DREAM28 della Comunità di S. Egidio.

27. Gli obiettivi sono: - Dotare delle infrastrutture29 necessarie alle attività di telemedicina e formazione a distanza 20 centri DREAM in Africa in 5 anni30. - Creare un polo tecnologico e tecnico-informatico di eccellenza31 sulla telemedicina per la cura all’AIDS attraverso il centro DREAM di Messina32, collegato alle Università per i corsi di laurea specialistici medico-informatici. - Sviluppare e avviare programmi formativi strutturati per personale medico, paramedico e tecnico-informatico in Africa33. Fig. 10 Schema di funzionamento delle attività dell’iniziativa DREAM’s T&EAM

28. DREAM è un modello di eccellenza per lotta AIDS riconosciuto a livello mondiale per l’efficacia d’approccio, l’adozione di elevati standard qualitativi, l’uso delle tecnologie messe a disposizione, i risultati ottenuti. Alcuni numeri del programma (2009): 1.000.000 di persone che hanno in vario modo usufruito dei benefici del programma DREAM; 65.000 persone sieropositive assistite nei centri DREAM (di questi 15.000 sono minori di 15 anni); 37.000 pazienti seguiti in terapia anti-retrovirale (di cui 3.500 minori di 15 anni); 64.000 persone che hanno effettuato il test HIV nei centri DREAM; 350.000 visite mediche effettuate nei centri DREAM dal 2002; 98% bambini nati senza HIV da madre sieropositiva grazie alla terapia anti-retrovirale in un approccio globale; 95% di aderenza (il dato più alto dell’Africa Subsahariana, vicino o migliore a quello rilevato nei paesi europei e negli Stati Uniti); 150.000 cariche virali processate nei laboratori di biologia molecolare DREAM dal 2002; 400.000 esami di CD4 processati nei laboratori di biologia molecolare dal 2002; 31 centri DREAM già attivi o in fase di attivazione in Africa; 18 laboratori di biologia molecolare già attivi o in fase di attivazione; 3.300 professionisti africani formati (medici, infermieri, biologi, tecnici di laboratorio, coordinatori di centro, operatori domiciliari). 29. Attrezzature per videoconferenza; collegamenti internet; comunicazioni satellitari e locali; pannelli fotovoltaici per indipendenza energetica dei centri e dei laboratori. 30. Grazie a queste infrastrutture sarà possibile svolgere attività

di diagnosi e cura dei pazienti a distanza e corsi di formazione, con benefici per tutto il territorio grazie allo sfruttamento estensivo delle infrastrutture create. 31. Nel polo si svolgeranno attività di: ricerca operativa avanzata (anche in collegamento con altri centri d’eccellenza mondiali); sviluppo software per la gestione dei dati in tempo reale e programmi di intelligenza artificiale specialistici per la cura dell’Aids; raccolta epidemiologica dei dati e smistamento delle informazioni (inclusa la manutenzione e l’aggiornamento dei database). 32. A Messina già opera il nucleo della Comunità di S. Egidio che sviluppa i software necessari alle attività di telemedicina e raccoglie, elabora e smista le informazioni. 33 Sono previsti inizialmente corsi strutturati standard e moduli ristretti di specializzazione (al fine di approfondire specifici argomenti teorici o pratici), rivolti a: tecnici-informatici per gestire i database e i programmi informatici; medici che intendono svolgere la professione sanitaria; tecnici di laboratorio che si occupano specificamente dei laboratori di biologia molecolare. È previsto un periodo di tirocinio in loco presso i centri o i laboratori di biologia di DREAM ed un meccanismo di assunzione di almeno il 20% dei partecipanti. Nel lungo periodo, si prevede di organizzare corsi universitari più specialistici, a distanza e in parte residenziali, con riconoscimento accademico dei titoli rilasciati, in convenzione con Università e altri enti scientifici.

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CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

28. La lotta all’emergenza sanitaria dell’AIDS è un tema di sostenibilità anche per la crescita economica, in cui la cura della malattia ha enorme importanza; la sola prevenzione (approccio tradizionale) è insufficiente. Ad oggi, quasi il 70% dei malati di AIDS nel mondo (33 milioni di persone secondo l’Agenzia UNAIDS) vive nell’Africa subsahariana, dove rappresenta la 1° causa di morte. Le categorie particolarmente Fig. 11 Pazienti in cura in Africa (Paesi DREAM): valori attuali 34 e contributo iniziativa DREAM’s T&EAM colpite sono i bambini e gli adulti di età compresa tra 15 e 49 anni35. Questo porta al rischio concreto di vedere compromesse seriamente le classi di persone in età lavorativa e le nuove generazioni e quindi, in ultima analisi, la stessa capacità di sviluppo dei Paesi interessati. Nella figura sotto è riportato il contributo dell’iniziativa DREAM’s T&EAM alla lotta all’AIDS.

L’iniziativa Agenzia Senghor per i talenti africani (Educazione) 29. La missione dell’Agenzia Senghor36 è essere il centro di promozione della formazione universitaria europea in Africa per formare in Europa la futura classe dirigente africana e per supportarne la formazione accademica, specialistica e aziendale, rafforzando così i legami culturali e relazionali tra Europa ed Africa.

30. A tal fine le attività dell’Agenzia sono: - Marketing e promozione delle università europee in Africa. - Divulgazione informazioni a potenziali studenti africani. - Orientamento a distanza. - Assistenza burocratica e amministrativa. - Selezione studenti per le università. - Offerta di stage aziendali. - Reclutamento per aziende africane e europee per posizioni in Africa (riduzione del brain drain).

31. I “clienti” dell’Agenzia sono Università e centri di formazione specialistica europei, che pagano per beneficiare dei servizi svolti dall’Agenzia, mentre gli utilizzatori dell’Agenzia sono: - Studenti in possesso di un diploma di scuola superiore che intendano iscriversi ad un corso di laurea.

34. Dei 370.000 nuovi contagi nel mondo registrati nel 2007 sugli individui di età inferiore ai 15 anni il 90% vive in Africa sub-sahariana (nel mondo sono passati da 1,6 milioni del 2001 a 2 milioni nel 2007). 35. In alcuni Stati, oltre il 25% della popolazione attiva è siero-

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positiva. 36. Leopold Senghor, poeta-Presidente senegalese, oltre cinquant’anni fa ha coniato l’espressione “Eurafrica”, alludendo ad una visione di lungo periodo che suggerisce quanto siano intrecciati i destini dei due continenti.


CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

- Laureati di I o II livello che intendano proseguire gli studi (master/dottorato). - Studenti universitari che, nell’ambito del proprio corso di studi, trascorrano un periodo di stage presso un’università o un’azienda europea. - Docenti di università africane che intendono ottimizzare la loro preparazione in Europa.

32. Si prevede che in un orizzonte temporale di 7 anni, l’Agenzia riuscirà ad attrarre circa 15.000 studenti africani, cioè il 15% degli studenti africani che attualmente si recano in Europa per proseguire gli studi.

33. Gli studenti africani che si formano all’estero sono quasi 200.000, di cui 102.019 studiano in Europa (il 53% del totale). In Europa, i flussi sono diretti principalmente verso quattro Paesi (Francia, 43%; UK, 25%; Portogallo e Germania con 10% dei flussi p er cias c uno). L’It alia è a ncor a p o co at t r at tiva, accogliendo presso le proprie Univer sità meno di 5.000 studenti37. La mobilità degli studenti africani si sta progressivamente orientando verso il mondo asiatico, in particolare verso la Cina, incoraggiati dalla politica di relazioni sempre più stret te. Ad oggi la Cina attrae più di 15.000 studenti africani all’anno. La strategia annunciata durante l’ultimo s u m m it s i n o - a f r i c a n o a Pechino, prevede un sostanziale incremento di questi numeri. Altri Paesi asiatici stanno avviando collaborazioni culturali e di formazione con l’Africa, come ad esempio India, Malaysia e Tailandia.

Fig. 12 Studenti africani per area di destinazione: valori attuali e tendenziali e contributo Agenzia Senghor

Fig. 13 Studenti africani all’estero per area di destinazione, 2008 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UNESCO)

37. I Paesi di provenienza degli studenti africani in Italia sono prevalentemente Camerun (30%), Marocco (21%), Tunisia (12%),

Egitto (5%), Repubblica del Congo (4%) e Repubblica Democratica del Congo (3%).

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CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

La Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM) 34. L’Africa è un continente composto da 53 Stati, ognuno con proprie caratteristiche e peculiarità. La realtà è dunque fortemente composita e la lettura di sintesi dei percorsi di sviluppo di ciascun Paese è piuttosto complessa.

35. In particolare l’elemento di criticità principale è capire quando (e se) un Paese è instradato su un percorso di crescita strutturale e sostenibile.

36. Molteplici sono stati (e sono) i casi di realtà territoriali che dopo anni di crescita esplosiva sono implosi in poco tempo, vanificando totalmente i progressi fatti. Viceversa sono altrettanti gli esempi di Paesi che si sono avviati su basi solide di crescita, ma sono però “sotto traccia” rispetto all’attenzione internazionale (a partire da quella degli investitori).

37. La Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM) è uno strumento operativo messo a punto per: - Rappresentare al massimo livello di sintesi e chiarezza la situazione attuale degli Stati africani con una lettura complessiva di tutte le componenti sociali, economiche e politiche rilevanti. - Fornire informazioni circa la “robustezza” dei percorsi di sviluppo delle singole realtà africane. - Dare delle indicazioni prospettiche rispetto alle evoluzioni prevedibili nel medio termine (5 anni).

Fig. 14 Ambrosetti Development of Africa Map (ADAM): una visione di sintesi

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CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

38. ADAM è aggiornata di anno in anno e rappresenta un patrimonio di conoscenza a disposizione di chi ha un interesse per l’Africa (investitori, policy maker, istituzioni, ecc.)

39. I dettagli e i risultati di ADAM sono presentati nel Capitolo 3. Nella figura sotto è riportata la rappresentazione complessiva della mappa.

3.3. Fase 3 (edizione 2008/2009): focus agroindustria 40. In coerenza con le logiche del progetto e con il lavoro impostato, la fase 3 ha avuto i seguenti obiettivi: - Studiare il settore agroindustriale in Africa, identificare le sue opportunità di sviluppo e le aree di intervento dell’Europa (e delle sue imprese). - Lanciare in questo campo una nuova iniziativa in partnership con uno o più Paesi africani: l’idea è realizzare un progetto pilota di distretto agroalimentare/ittico integrato di produzione e prima trasformazione industriale per il mercato locale (in primis) e per l’esportazione (si vedano più sotto i dettagli). - Aggiornare la Ambrosetti Development of Africa Map, sviluppando ulteriormente lo strumento al fine di rafforzarne la sua capacità interpretativa e predittiva. - Approfondire alcuni temi strategici per l’Africa di particolare interesse attuale: gli impatti della crisi internazionale e i corridoi transnazionali38.

L’iniziativa “Distretto agroindustriale integrato” 41. Il progetto è disegnato per coin-

Fig. 15 Layout concettuale del Distretto

volgere - in logica economica - attori europei ed africani e ha alcune caratteristiche distintive39 che lo connotano come un modello innovativo e replicabile.

42. Il concetto alla base dell’iniziativa è selezionare una area sufficientemente vasta nella quale creare le condizioni per la massimizzazione delle produzioni agricole, zootecniche e ittiche da incanalare in un tessuto industriale creato ad hoc per la trasformazione, la conservazione e l’avvio al mercato del prodotto alimentare.

38. Sono i grandi progetti infrastrutturali per rafforzare i commerci su base regionale. 39. Tra le principali: logica modulare e scalabile; focalizzazione su produzioni agricole, ittiche e zootecniche e sulla trasformazione industriale in loco; stato dell’arte delle tecnologie, anche dal punto

di vista energetico (generazione all’interno del parco da fonti rinnovabili); attività di formazione e trasferimento know how; ricerca e sviluppo all’interno del parco su prodotti/produzioni locali; collocazione strategica vicino a un corridoio transnazionale, per accedere ai mercati interregionali e favorire l’esportazione.

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CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

43. Nella sua accezione

Fig. 16 Schema di funzionamento del distretto agroindustriale

più ampia il progetto prevede la realizzazione dell’infrastruttura di base40 (risorse idriche, comunicazioni, utilities) nella regione interessata dall’iniziativa, nonché la preparazione necessaria alla messa a regime di attività agricole e di allevamento ad alta produttività (sistemi di irrigazione, infrastrutture agricole).

44. Nel perimetro che viene così creato trovano posto i servizi di base che danno qualità al progetto; tra questi: - una scuola agraria; - un centro sperimentale agricolo; - un centro per l’affitto e la manutenzione dei mezzi meccanici; - le industrie di trasformazione; - i servizi necessari per la produzione e l’esportazione dei prodotti.

45. Il progetto prevede un particolare modello di funzionamento pubblico-privato e di gestione del Distretto, necessari per assicurare il successo dell’iniziativa nel tempo (si veda figura 17 per la schematizzazione).

46. Questo è un elemento rilevante perché proprio la governance di questi processi ha costituito la parte debole di precedenti esperienze simili.

47. Al momento della stampa del presente rapporto è in fase di avvio lo studio di fattibilità del Distretto per la sua localizzazione in Uganda (primo Paese pilota).

3.4. Fase 4 (edizione 2009/2010): focus sviluppo urbano La quarta fase (quella attuale) del progetto prevede: - L’approfondimento di un tema di focalizzazione - lo sviluppo urbano in Africa - affrontato a 360° nei suoi aspetti rilevanti, tra cui: - la pianificazione urbana, l’edilizia e le politiche abitative; - le utilities (energia, acque e fognature, infrastrutture i trasporti urbani e lo smaltimento dei rifiuti); - le telecomunicazioni; - l’attrazione di investimenti esteri a favore dello sviluppo urbano.

40. Il costo di questa infrastruttura è a carico dello Stato che ospita il progetto.

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CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

A questo tema è dedicato il Capitolo 2 del rapporto. - L’aggiornamento della mappa strategica-ADAM (Ambrosetti’s Development of Africa Map) della situazione dei Paesi africani e l’approfondimento di alcuni casi Paese significativi. I dettagli sono presentati nel Capitolo 3. - Il lancio di un osservatorio sui rapporti e sulle relazioni strategiche Europa-Africa (in cui tra l’altro, vengono monitorati e valutati i flussi di aiuti, investimenti e il rispetto delle promesse) e Africa-resto del mondo (in particolare con l’asse Sud-Sud). Si vedano i Capitoli 4 e 5. - Il proseguimento dell’implementazione operativa delle iniziative già lanciate: progetto DREAM T&EAM, progetto Agenzia Senghor, progetto Parco agroindustriale integrato. - Il lancio di una nuova iniziativa legata al tema dello sviluppo urbano: si tratta di un progetto pilota di Area urbana sperimentale per un nuova modalità di intervento urbanistico in Africa e per l’attrazione/attivazione di investimenti nel settore dell’edilizia e delle utilities.

48. I risultati dello stato di avanzamento delle iniziative e il modello concettuale del progetto sullo sviluppo urbano saranno presentati al Forum di Taormina 2010 (7 e 8 ottobre 2010).

Fig. 17 Modello di funzionamento e gestione del distretto agroindustriale

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CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

4. Considerazioni di sintesi

49. L’Africa ha un grande potenziale per sé e per l’Europa. Le cifre della crescita del continente restituiscono infatti una prospettiva di particolare interesse per il prossimo futuro: - Il tasso di crescita del Pil, che nei primi anni ’90 era in media inferiore all’1% annuo, a partire dai primi anni del nuovo millennio si è collocato stabilmente intorno al 5/6%. Non solo. Prima della recente crisi mondiale, le stime del Fondo Monetario Internazionale davano un’aspettativa di crescita di oltre il 6,5% per i prossimi anni. Anche dopo la crisi le previsioni pur ridotte, sono ancora su valori positivi e nettamente superiori a quelli di altre macro-aree geografiche. - Dal 2000 al 2009 il flusso di investimenti stranieri e di prestiti verso l’Africa è passato da 16 a 58 miliardi di Dollari, con un “picco” di 72 miliardi nel 2008. - Sul fronte della lotta alla povertà, piaga endemica del continente, l’Africa ha compiuto importanti passi avanti: secondo recenti proiezioni, se gli attuali trend venissero confermati, la quota di popolazione oggi al di sotto della soglia di povertà (1 dollaro al giorno di reddito), dovrebbe vedere un netto decremento in ragione dello sforzo profuso da tutti i governi per raggiungere l’obiettivo del 38% nel 2015 (al 2007 la percentuale di poveri sul totale è stata del 51%)

50. Delle opportunità offerte da questo continente vi è ormai una consapevolezza diffusa, come testimoniano le grandi attività messe in campo dai principali player internazionali che sempre più guardano ai Paesi africani come partner strategici e dalla centralità che l’Africa ha nel dibattito internazionale.

51. Un segno altrettanto importante della nuova consapevolezza verso il continente africano è il riconoscimento che l’approccio finora seguito per “aiutare” l’Africa non ha prodotto i risultati sperati. I soli aiuti - oltre 700 miliardi di Euro a partire dagli anni ’60 - non sono stati sufficienti a superare la “trappola della povertà”41. La cooperazione internazionale (Foreign Aid), si è rivelata uno strumento ad alto costo: per ogni Euro speso per aiutare l’Africa, solo una parte contenuta - si stima meno del 20% - viene effettivamente utilizzata per progetti di sviluppo (il resto serve per pagare i costi delle organizzazioni multilaterali e di cooperazione). Nel complesso dunque gli aiuti all’Africa - naturalmente necessari (anche se potrebbero essere meglio canalizzati) - da soli non sono sufficienti e possono produrre distorsioni.

52. Anche in questo senso devono essere lette le nuove strategie, multilaterali e non, di intervento in Africa, che sempre più vedono un netto cambiamento di orientamento rispetto

41. È la situazione in cui il saggio di capitale pro-capite diminuisce da una generazione all’altra a causa di una crescita della popolazione maggiore del tasso di accumulazione netta del capitale stesso. Di fatto la condizione della trappola della povertà è una

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condizione di sottosviluppo dalla quale il Paese/l’area geografica non è in grado di uscirne autonomamente innescando un processo di crescita autoalimentata.


CAPITOLO 1 - Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”

alle logiche (utilizzate in passato) del solo aiuto o del solo sfruttamento del “patrimonio Africa”, verso modalità di approccio fondate sulla ricerca di vantaggi reciproci dei diversi attori - africani e non - in campo.

53. Il progetto “Sviluppare le regioni dell’Africa e dell’Europa”, nasce da queste premesse, con l’obiettivo - attraverso le sue iniziative e i suoi momenti di discussione tra i leader europei e africani - di contribuire a rafforzare i legami, culturali, politici ed economici, tra EuropaAfrica in maniera profittevole per entrambe.

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CAPITOLO 2 Lo sviluppo urbano in Africa: stato dell’arte, tendenze ed opportunità .


INDICE 1. introduzione

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2. L’urbanizzazione: schemi di crescita e scenari di sviluppo

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3. La transizione urbana in Africa: una visione di sintesi

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Principali dati di contesto

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Le sfide dello sviluppo urbano in Africa

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4. Considerazioni di sintesi e opportunitĂ dello sviluppo urbano in Africa

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

1. Introduzione 1. Le città sono sempre più il motore dello sviluppo economico e sociale globale. Oggi negli agglomerati urbani: - vive oltre il 50% della popolazione mondiale; nel 2030 sarà oltre il 60%; - viene prodotto oltre il 60% del Pil; - viene consumato quasi il 90% delle risorse prodotte. Le città determinano la competitività dei sistemi territoriali - regioni, stati, aree sovranazionali - che nel mondo globalizzato si confrontano e competono per assicurarsi le risorse scarse, umane e finanziare, necessarie allo sviluppo. Il rapido processo di urbanizzazione in atto è alla base di quelle che saranno le sfide strategiche con cui il mondo istituzionale e imprenditoriale sarà chiamato a confrontarsi nei prossimi anni: dalle infrastrutture ai servizi, dai nuovi consumatori ai nuovi approvvigionamenti di impresa, dalla formazione continua, agli stili di governance, ecc.

2. Protagonisti indiscussi di questo trend sono i Paesi emergenti in cui, al 2030, è previsto un raddoppio della popolazione urbana che passerà da 39% a 50%1. Questo apre uno scenario con sfide ed opportunità che saranno particolarmente rilevanti nelle aree del Sud del mondo, Africa in primis.

3. In questo continente si focalizzeranno infatti le strategie e gli interventi progettuali di sviluppo e ridisegno urbano più significative. Le città africane hanno infatti registrato dal 2005 al 2010 il più alto tasso di crescita (3,3%2), ma gli schemi di sviluppo sono stati (in generale) non sostenibili e moltiplicatori di esternalità negative; la pianificazione urbana è stata poi incapace di integrare coerentemente e proficuamente la dimensione territoriale con quella economica e sociale. Questa situazione è oggi cambiata: dopo anni di scarsa considerazione politica e di errate scelte, la questione urbana ha acquisito centralità e considerazione nell’agenda di numerosi Governi africani. La sfida è aperta: è infatti ancora da definire il modo in cui gli agglomerati urbani africani dovranno essere progettati per fare fronte alle pressioni demografiche, alle sfide di governance e di bilanciamento tra esigenze di sviluppo economico e di inclusione sociale e sostenibilità.

1. Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008.

2. Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Con questi obiettivi dovranno essere pianificati coerentemente - tenendo conto delle specificità locali - gli interventi infrastrutturali, le funzioni e i servizi urbani. Tutto ciò apre opportunità rilevanti di investimento e business in molteplici settori. I capitali e l’iniziativa europea possono avere un ruolo chiave contribuendo a determinare il futuro delle megalopoli e delle nuove forme di agglomerazione (es. Corridoi urbani e Città Regioni) che si stanno già da ora sviluppando in Africa.

4. Con queste premesse l’obiettivo del capitolo è illustrare gli aspetti chiave della transizione urbana in atto, delineando le sfide strategiche ad essa connesse nei Paesi africani, segnalando i vincoli strutturali di cui tener conto e prefigurando le possibili opportunità, anche per le aziende europee, in questo campo.

5. Le sfide spaziali - Pianificazione urbanistica integrata capace di limitare la progressiva frammentazione, separazione e specializzazione delle funzioni e degli usi delle città ed attenuare le crescenti differenze tra le aree più benestanti e quelle più povere. - Regolamentazione dell’espansione crescente della superficie urbanizzata consistente in insediamenti informali ed illegali privi di condizioni di vita adeguate (slum). - Risposta alla crisi degli alloggi dovuta a limitate capacità finanziarie e progettuali delle autorità locali e all’intervento di operatori privati limitato all’edilizia destinata a fasce di popolazione medio-alte.

6. Le sfide infrastrutturali - Estensione dell’accesso all’acqua e ai servizi igienici di base alla totalità della popolazione urbana. - Decongestione delle reti di trasporto, ampliamento e miglioramento del parco mezzi pubblico, controllo dell’impiego delle automobili private e promozione di canali alternativi al trasporto su strada. - Definizione di un sistema di raccolta rifiuti pubblico e privato per far fronte alle esigenze della popolazione crescente ed individuazione di forme sostenibili di smaltimento alternative alle discariche. - Definizione di nuovi strumenti di finanziamento in grado di incentivare il coinvolgimento degli attori privati e colmare il deficit infrastrutturale della maggior parte dei Paesi africani favorendo così lo sviluppo economico e sociale delle proprie città.

7. Le sfide ambientali - Ricerca di modelli di sviluppo urbano più efficienti di quelli adottati dai Paesi sviluppati data la limitata disponibilità di risorse. - Risoluzione degli oneri ambientali (Brown Agenda) connaturati alla diffusione crescente di stili di vita urbani tra cui l’inquinamento atmosferico, esterno e domestico, e la gestione dei rifiuti solidi ritenute tra i principali pericoli per la salute in molte città africane. - Prevenzione e gestione dei rischi ambientali conseguenza del cambiamento climatico ed in particolar modo dell’innalzamento del livello del mare (11,5% della popolazione urbana africana è insediata in aree costiere ad alto rischio di inondazione). - Diffusione dei principi della sostenibilità ambientale nella pianificazione e nella progettazione di interventi urbani.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

8. Le sfide economiche - Sviluppo delle attività economiche urbane per soddisfare la consistente domanda di lavoro espressa dalla popolazione residente nelle aree urbane che ad oggi non trova ancora occupazione. - Potenziamento dei servizi (responsabili di più della metà del Pil africano) come principale leva di sviluppo dell’economia urbana. - Legittimazione del settore informale e regolamentazione del suo funzionamento in considerazione del peso significativo (61% dei posti di lavoro in area urbana e 40% del Pil non agricolo) che riveste nello scenario economico africano.

9. Le sfide sociali - Riduzione della povertà urbana che oggi in Africa registra i livelli più elevati del mondo (43% della popolazione urbana che vive sotto la soglia di povertà3) e che nei prossimi anni è destinata a crescere. - Adozione di politiche di integrazione sociale miranti a limitare la frammentazione delle aree urbane e ad agevolare gli interscambi tra gruppi sociali con caratteristiche simili. - Prevenzione della violenza e della criminalità urbana. - Contenimento e riduzione dei livelli di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi tra la popolazione urbana per favorire la crescita economica del territorio e creare le precondizioni per uno sviluppo sostenibile.

10. Le sfide istituzionali - Potenziamento delle capacità finanziarie (autonomia fiscale e ricorso al mercato del credito) delle Autorità locali che nel più globale processo di decentramento di competenze dal livello centrale non dispongono ancora di risorse adeguate per erogare i servizi e realizzare gli investimenti necessari per lo sviluppo sostenibile delle aree urbane. - Riduzione delle debolezze strutturali delle Amministrazioni locali che non dispongono di competenze tecniche e strumenti adeguati per gestire la complessità delle aree urbane. - Allargamento dei processi decisionali pubblici attraverso il coinvolgimento dei diversi portatori di interesse. - Creazione di forme di governo di area vasta per promuovere lo sviluppo urbano in una scala territoriale all’altezza dell’entità dell’urbanizzazione in corso. - Sviluppo di un approccio sistemico alla pianificazione strategica capace di integrare la dimensione territoriale con quella sociale ed economica. - Creazione di una gerarchia di città per limitare la concentrazione sproporzionata di risorse o la duplicazione di funzioni e per promuovere uno sviluppo più razionale e sostenibile del Paese.

11. Affrontare le sfide poste dalla crescente urbanizzazione in Africa significa però tenere in considerazione un insieme di vincoli strutturali che complicano l’implementazione di progetti di sviluppo urbano sul territorio: - Una limitata disponibilità di risorse finanziarie a livello locale dovuta ad un processo di decentramento parziale che mantiene ancora un significativo coinvolgimento del livello

3. Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

centrale e ai progressivi tagli di fondi dei programmi di aggiustamento strutturale che hanno focalizzato le decisioni di investimento pubblico sulla risoluzione delle criticità più impellenti. - Limitata disponibilità di personale specializzato nella gestione urbana all’interno delle Amministrazioni locali come risultato non solo della scarsa considerazione che hanno ricevuto nel tempo le aree urbane ma anche degli aggiustamenti strutturali degli anni ’80 che hanno comportato significativi tagli al personale pubblico per risollevare la situazione di crisi degli Stati in difficoltà. - Assenza di attori responsabili della gestione metropolitana dotati di visione e competenze trasversali e responsabili del governo di area vasta. - L’assenza di memoria nella società africana, la rarità di archivi che conservino informazioni su di un arco temporale di lungo periodo e la conseguente difficoltà nel reperire dati puntuali a supporto della definizione di politiche pubbliche adeguate.

12. In questo contesto si inserisce la proposta da noi avanzata e messa a punto nel corso di questo lavoro di sviluppo di un’area urbana sperimentale integrata e multifunzionale che rappresenta un innovativo modello per affrontare e risolvere le criticità poste dalla crescente urbanizzazione africana. L’iniziativa si caratterizza per l’approccio sistemico e affronta a diverso titolo ciascuna delle sfide precedentemente illustrate: - Le sfide spaziali: promozione della densità urbana attraverso la concettualizzazione di un modello ad elevata concentrazione abitativa che si sviluppa in verticale limitando l’espansione incontrollata della superficie urbanizzata. - Le sfide infrastrutturali: coinvolgimento del settore privato locale e italiano/europeo negli investimenti infrastrutturali necessari a sostenere la crescita urbana, favorendo la diffusione del know how specialistico italiano/europeo e mettendo a disposizione dei partner africani soluzioni tecnologiche all’avanguardia. - Le sfide economiche: integrazione dello sviluppo delle attività informali nel tessuto economico formale ed incremento dell’attrattività di business creando terreno fertile per investimenti nel settore. - Le sfide ambientali: realizzazione di un’area urbana autosufficiente dal punto di vista energetico e sostenibile nel tempo (consumi di energia, emissioni, ecc.) nel rispetto di materiali e tecniche costruttive locali. - Le sfide sociali: progettazione funzionale all’inclusione sociale attraverso la realizzazione di abitazioni per la classe media emergente accanto a quelle per le fasce di popolazione più disagiate e la creazione di spazi pubblici destinati alla socialità e all’aggregazione. - Le sfide istituzionali: ideazione di un’agenzia di sviluppo dalle competenze multidisciplinari incaricata di definire le linee guida di sviluppo del progetto urbano, di coordinare gli attori pubblici e privati coinvolti e di monitorare l’evoluzione del progetto nel rispetto di determinati parametri definiti ex ante.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

2. L’urbanizzazione: schemi di crescita e scenari di sviluppo 13. Il mondo in cui viviamo

Fig. 1 Trend dell’urbanizzazione (1950-2050) (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

è una realtà dominata dalla dimensione dell’urbano. Nel 2008 l’umanità ha raggiunto un traguardo epocale: per la prima volta nella storia la metà della popolazione mondiale, 3,3 miliardi di persone, vive in aree urbane. In alcune regioni del mondo, come in Europa, nel Nord America o in America latina, la transizione urbana 4 ha avuto luogo decenni fa, già negli anni ‘50 e ’60, ed oggi oltre il 70% della popolazione vive in città. In altre come l’Asia e l’Africa, il processo è ancora agli inizi, trattandosi di territori ancora prevalentemente rurali con rispettivamente il 40% ed il 38,7% della popolazione che vive in aree urbane. Globalmente il livello di urbanizzazione continuerà ad aumentare nei prossimi 40 anni fino a toccare la soglia del 70% nel 20505. Le città di piccole, medie e grandi dimensioni del Sud così come del Nord, tra il 1990 ed il 2000, sono cresciute complessivamente dell’1,8%. Ciò significa che la popolazione urbana mondiale incrementerà fino a raggiungere i 5 miliardi nel 2030 e raddoppiare toccando i 6,4 miliardi nel 2050. Le proporzioni del fenomeno sono dunque degne di considerazione: ogni giorno 193.107 nuovi cittadini si aggiungono alla popolazione urbana mondiale, il che si traduce in un po’ più di 2 persone al secondo.

14. Questi dati aggregati se da un lato hanno il vantaggio di dare evidenza di un fenomeno che a livello globale sta assumendo importanza e sta acquisendo proporzioni sempre più significative, dall’altro nascondono le specificità territoriali dell’incremento esponenziale della popolazione urbana.

4. Il processo di transizione che gradualmente modifica l’identità di un territorio favorendone il passaggio da una dimensione rurale prevalente ad una urbana, facendo registrare un progressivo e

costante incremento della percentuale di popolazione residente in aree urbane. 5. Fonte: UN Population Division, 2007.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Fig. 2 Trend della popolazione urbana (1950-2050) (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

Fig. 3 Popolazione urbana nei Paesi in via di sviluppo 2007 e 2050 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

Non tutte le regioni, infatti, sono ugualmente interessate da questa rapida crescita e dalle previsioni si evince come saranno i paesi emergenti ad assorbire per la maggior par te l’aumento della popolazione urbana dei prossimi anni6. In questi ultimi, l’aumento compless i vo d e lla p o p o la z io n e urbana sarà dell’ordine di 5 milioni di abitanti al mese rispetto ai 500.000 dei Paesi sviluppati. La crescita delle città dei Paesi emergenti sarà cioè 10 volte superiore a quella delle città del Nord. Nella stessa direzione vanno anche le differenze ravvisabili nell’analisi dei tassi di crescita che influenzano la transizione urbana in atto: negli anni ’90 le città dei Paesi in via di sviluppo sono cresciute ad un tasso molto elevato del 2,5% annuo rispetto allo 0,3%7 annuo delle città dei Paesi sviluppati dove una crescita moderata o la contrazione sono oramai la norma.

15. Il totale della popolazione urbana nel mondo sviluppato dovrebbe quindi rimanere sostanzialmente invariato nei prossimi due decenni passando da quasi 900 milioni a poco più di 1 miliardo nel 2050.

6. Il 95% dell’incremento della popolazione urbana dei prossimi quarant’anni verrà assorbito dalle città dei Paesi in via di sviluppo (Fonte: UN-Habitat, State of World’s Cities 2008/2009). 7. Questo tasso di crescita considera solo le città con più di

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100.000 abitanti tra il 1990 e il 2000. La crescita della popolazione urbana mondiale è stata stimata del 2,67% per il Paesi in via di sviluppo e dello 0,54% per i Paesi sviluppati negli anni 2000-2005.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

La crescita deriverà essenzialmente dall’immigrazione di persone provenienti dai Paesi più poveri e non invece dalla crescita naturale della popolazione che in questi Paesi si assesta su livelli bassi o in declino.

16. Verso la metà del 21° secolo, la popolazione urbana dei Paesi in via di sviluppo sarà invece più che raddoppiata passando dai 2,3 miliardi del 2005 a 5,3 miliardi nel 2050. L’Asia ospiterà il 63% della popolazione urbana globale mentre l’Africa il 23% e complessivamente il 95% della crescita della popolazione urbana globale nei prossimi 40 anni sarà assorbita dalle città dei Paesi in via di sviluppo. Questi cambiamenti, per quanto riflettano un’importante evoluzione delle attività economiche e della struttura dell’impiego, segnando il passaggio dall’agricoltura verso l’industria ed i servizi, sono caratterizzati da ordini di grandezza mai visti fino ad ora e rischiano, se non adeguatamente gestiti, di bloccare il processo di sviluppo di questi Paesi.

17. Nonostante i livelli di urbanizzazione in continua crescita, si osserva che i tassi di crescita della popolazione urbana in questi Paesi stanno cominciano a ridursi, pur restando tra i più elevati al mondo. Nei prossimi decenni infatti la popolazione urbana dovrebbe crescere ad un tasso annuo medio di poco superiore al 2%, in calo dunque rispetto al 3,8% degli anni ’80 o al 4% degli anni ’50-’60. La relazione inversa tra i livelli di urbanizzazione ed i tassi di crescita urbana, così come la crescita significativa registrata da alcune città ed i segnali di contrazione provenienti da altre, sembrano segnalare l’inizio di un nuovo ciclo di urbanizzazione nei Paesi in via di sviluppo che potrebbe portare, anche se è ancora troppo presto per affermarlo, ad un maggiore allineamento con le tendenze in atto nei Paesi sviluppati.

18. I tempi e le caratteristiche della rapida urbanizzazione in atto nei Paesi in via di sviluppo varia considerevolmente di regione in regione. L’Asia è la regione con il maggior numero di megalopoli8 (9, Giappone incluso), si sta urbanizzando rapidamente, prima del 2025 la metà della popolazione vivrà in città ed è destinato a rimanere per i prossimi anni il continente che ospita la più alta percentuale della popolazione urbana globale9. Sono le città molto grandi a crescere ai ritmi più sostenuti (tra il 1990 ed il 2000 sono cresciute del 3,9% annuo, pari a 2 volte la media mondiale) seguite da quelle di piccole dimensioni. Questa crescita può essere in parte spiegata dai tassi di crescita della popolazione molto elevati (tra il 2 e il 4%) ed in parte da un insieme di fattori come: l’adozione da parte dei Governi di un approccio “pro urbano”10 per lo sviluppo economico, passando da un sistema economico pianificato e controllato dall’Autorità pubblica ad un sistema di mercato; la riclassificazione amministrativa di insediamenti prevalentemente rurali come città e l’immigrazione.

19. L’America Latina e i Caraibi rappresentano la regione più urbanizzata tra i Paesi in via di sviluppo con il 77% della popolazione che vive in aree urbane. La crescita di questa regione è cominciata nel 1940, ha raggiunto il suo picco negli anni ’60 con un tasso di crescita

8. Nucleo urbano la cui popolazione supera i 10 milioni di abitanti, (UN-Habitat). 9. Si prevede che l’Asia ospiterà il 63% della popolazione urbana globale nel 2050. (Fonte: UN-Habitat, State of World’s Cities 2008/2009).

10. Una caratteristica distintiva del processo di urbanizzazione in Asia è che con vari gradi di successo, anche se spesso di fallimento, la costruzione e lo sviluppo di città intermedie sono stati utilizzati come meccanismi di redistribuzione della popolazione e di sviluppo regionale allo scopo di rallentare la espansione delle città metropolitane.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

annuo del 4,6% per poi cominciare a rallentare a partire dal 1980 in concomitanza con i tassi di crescita della popolazione in declino negli ultimi tre decenni. Una caratteristica importante dell’urbanizzazione in questa regione è la taglia smisurata delle città. Quattro delle megalopoli più grandi al mondo (Città del Messico, Sao Paulo, Buenos Aires e Rio de Janeiro) si trovano in questa regione ed ospitano collettivamente il 14,1% della popolazione. Questo dato contribuisce a definire l’altra caratteristica dello sviluppo urbano in questa regione: la urban primacy11 ossia l’elevata percentuale della popolazione urbana (circa il 20%12) concentrata nelle più grandi città con più di 5 milioni di abitanti. A differenza dell’Asia, le città di grandi dimensioni non registrano però tassi di crescita significativi come invece accade per le città di piccole dimensioni (tra i 100.000 ed i 500.000 abitanti) che non solo stanno registrando i tassi di crescita più alti della regione ma hanno anche accolto quasi la metà dei nuovi cittadini tra il 1990 ed il 2000.

Box 1 - Le nuove forme dell’urbanizzazione La rapida crescita della popolazione urbana che si registrerà nei prossimi decenni porterà con sé non solo un ampliamento delle dimensioni delle città esistenti ma anche nuove forme di agglomerati urbani che sviluppandosi in lunghezza daranno vita a enormi regioni metropolitane dove le infrastrutture di trasporto saranno la variabile critica per il successo dell’area. Se nel 2025 si conteranno 26 megalopoli, 7 in più rispetto ad oggi (Kinshasa, Lagos, Jakarta, Guangzhou Guangdong, Lahore, Shenzhen, Chennai); si assisterà anche alla nascita ed allo sviluppo dei cosiddetti “Corridoi Urbani” e delle “Città-Regione”. Recenti studi delle Nazioni Unite hanno fatto emergere la tendenza in atto in molti Paesi a favorire le sinergie tra i maggiori nuclei urbani in espansione guidando il loro sviluppo in senso longitudinale in modo da riempire la distanza che separa due metropoli attraverso infrastrutture strategiche. Guidato dalle Autorità pubbliche o nato spontaneamente come risposta più immediata alla crescita esponenziale di città limitrofe, questo

11. Negli studi urbani, con urban primacy si indica la concentrazione in una città di una significativa proporzione della popolazione di un Paese così come delle funzioni di controllo sui

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processo di urbanizzazione trova già alcuni esempi concreti. Per quanto riguarda i corridoi urbani, secondo l’ultimo rapporto di UN-Habitat, ad oggi ne esistono una quarantina, ospitano il 18% della popolazione mondiale, il 66% delle attività economiche e l’85% dell’innovazione scientifica e tecnologica. Tra i più significativi si ricorda: - San Paolo-Rio De Janeiro - Ibadan-Lagos-Accra - Mumbai-New Delhi - Pechino-Tokyo-Pyongyang-Seul - Nagoya-Osaka-Kyoto-Kobe - Hong Kong-Shenzen-Guangzhou - Kuala Lampur-Klang Tra le Città Regione invece le principali sono: - San Paolo (8.000 metri quadri di superficie) - Cape Town (100km di lunghezza dell’area metropolitana) - Bangkok (200km di lunghezza nel 2020)

flussi di capitale e sulle transazioni finanziarie, della produzione industriale o della ricchezza prodotta. 12. In Asia la stessa percentuale è del 18% e in Africa del 15%.


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3. La transizione urbana in Africa: una visione di sintesi Principali dati di contesto

Fig. 4 Trend di urbanizzazione nelle regioni dell’Africa (1970-2050) (Fonte TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

20. I tassi di crescita della popolazione urbana in Africa sono i più alti del mondo13. Il potenziale di urbanizzazione della regione è ancora molto elevato: l’Africa, con il 38,7% della popolazione residente in città, è solo alle prime fasi del processo di urbanizzazione14 e registra tassi di fertilità ancora molto alti (4,7%)15 se comparati con la media globale (2,5%). Questa regione, secondo le previsioni, dovrebbe sostenere i più alti tassi di crescita urbana del mondo nei prossimi decenni. Nel 2030 si prevede che la maggioranza degli africani vivrà in città e che, in termini assoluti, i cittadini africani aumenteranno più del doppio.

Fig. 5 Popolazione urbana e rurale nelle regioni dell’Africa 2007 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

21. La popolazione urbana, che ad oggi ammonta a 373 milioni di abitanti, è distribuita sul territorio in modo irregolare. Si passa infatti da regioni altamente urbanizzate come l’Africa del Nord (51%) e l’Africa del Sud (46%) ad altre ancora prevalentemente rurali come l’Est Africa (20,4%).

13. 3,3% all’anno tra il 2005 ed il 2010 - Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT 2008. 14. Con il 38% della popolazione residente in città nel 2007 ed il 39,1% nel corso del 2008, l’Africa è la regione meno urbanizzata

del mondo - Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT 2008. 15. In alcune aree dell’Africa subsahariana i tassi di fertilità sono anche più alti. L’Africa Centrale, ad esempio, ha registrato un tasso di fertilità del 6,1% nel 2007 (Fonte: Banca Mondiale).

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22. La rapida crescita della popolazione urbana sarà assorbita in prevalenza (2/3) dalle città di piccole dimensioni (<500.000 abitanti) dove ad oggi si concentra già più del 50% della popolazione. Di conseguenza, appare fondamentale per i decisori politici nazionali e locali, concentrarsi su questa tipologia di agglomerato urbano per permettere loro di affrontare al meglio la crescita prevista per i prossimi anni.

23. Anche le grandi città (>1 milione di abitanti) cresceranno velocemente, a tassi più contenuti rispetto alle piccole città ma ugualmente più elevati della media dei Paesi in via di sviluppo. Queste città assorbiranno il restante 1/3 della crescita di popolazione prevista per i prossimi decenni e passeranno da 43 (2005) a 59 nel 2015. Due di queste nel 2025 entreranno inoltre nel rango di megalopoli (Kinshasa e Lagos) con una popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti.

24. Tra i tratti distintivi dell’urbanizzazione africana vi è la urban primacy, come vi fu per l’America Latina nel passato, e cioè la concentrazione sproporzionata di persone, attività, investimenti e risorse nella più grande città del Paese a scapito delle altre città. Questa caratteristica è all’origine di distorsioni economiche e di disequilibri, di problemi, di congestione, di degrado ambientale e di pianificazione di area vasta. Una seconda caratteristica sono i crescenti livelli di peri-urbanizzazione16 che sono sempre più una costante negli schemi di sviluppo nei nuclei urbani africani.

25. Nonostante le città africane siano responsabili del 55% del Pil globale, il 43% della popolazione urbana vive ancora sotto lo soglia di povertà17. Questo dato porta alla luce la natura dell’urbanizzazione africana, un’urbanizzazione cioè fortemente caratterizzata da tratti socio-umanitari e dalla povertà e non una transizione socio-economica risultante dall’industrializzazione come è avvenuto nelle altre regioni del mondo. L’urbanizzazione africana è strettamente connessa alla nascita di slum18 o di altre forme di habitat informale come indicato dai tassi di crescita urbana: tra il 1990 ed il 2000 gli slum sono cresciuti ad un tasso del 4,53% mentre, nello stesso intervallo di tempo, i nuclei urbani nel complesso sono cresciuti al 4,58%.

26. Parallelamente alla crescita tendenziale della popolazione urbana è doveroso sottolineare come, conformemente alla tendenza globalmente in atto nei Paesi in via di sviluppo, anche in Africa si stanno registrando i primi segnali di un rallentamento della crescita. Questo dato, unito alla redistribuzione della popolazione verso le città di piccole medie dimensioni, può essere interpretato come un segnale della saturazione e del raggiungimento della capacità massima di alcuni nuclei urbani e potrebbe

16. Molte grandi città si stanno espandendo ad un ritmo sostenuto, inglobando i terreni rurali e gli agglomerati di piccole dimensioni adiacenti creando così cinture di insediamento concentriche. Si tratta essenzialmente di un processo informale, guidato dagli sforzi di famiglie a basso reddito per assicurarsi un appezzamento di terra ad un prezzo abbordabile e in una posizione vantaggiosa. Le nuove forme di insediamento derivanti da questa espansione sono per lo più al di fuori delle normative e delle regolamentazioni pubbliche e per la maggior parte non godono dei servizi di base.

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17. In numerosi Paesi dell’Africa Sub Sahariana questa percentuale supera il 50%. 18. Un insediamento contiguo dove gli abitanti non dispongono di abitazioni adeguate e dove mancano i servizi di base. Gli abitanti degli slum sono accomunati dalla mancanza di: un accesso all’acqua potabile, l’accesso ai servizi igienici, abitazioni durevoli, spazio vitale e costruzioni sicure. Gli slum spesso non sono riconosciuti e considerati dalle Autorità pubbliche come parte integrante della città. - Fonte: (UN-Habitat).


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essere considerato un indicatore della necessità di un intervento sistemico per il rilancio della crescita urbana.

Fig. 6 Tassi di crescita urbana in Africa (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2008)

27. L’ordine di grandezza dei trend di sviluppo ur bano evidenziati, così c o m e l ’e m e r g e r e c o n irruenza di disequilibri e disfunzioni, hanno portato la questione urbana al centro dell’agenda di numerosi Paesi dell’Africa che s t anno cominciando ad avviare riflessioni strategiche e cantieri progettuali all’altezza delle sfide che i prossimi decenni por te ranno con sé. Crescente è il numero di realtà dinamiche e degne di nota che hanno saputo fare delle proprie città i motori dello sviluppo del territorio e numerosi sono anche gli esempi di città che hanno saputo sfruttare la crescita per crearsi un’immagine e sfruttare a proprio vantaggio le economie di scala e di apprendimento all’origine dei nuclei urbani.

Box 2 - L’origine delle città africane: tre generazioni urbane In Africa si possono distinguere almeno tre modelli di urbanizzazione che riassumono tre realtà urbane profondamente diverse ciascuna alla base di esigenze specifiche che necessitano di strumenti e di riflessioni ad hoc . Le città arabo-mussulmane del Maghreb Un’urbanizzazione antica molto marcata dalla cultura urbana araba. La maggior parte delle città si sviluppa a partire da un centro storico fortificato (la medina) dove un intricato labirinto di stradine e piccoli atelier commerciali impedisce l’ingresso delle macchine. L’ondata di urbanizzazione successiva alla colonizzazione francese e inglese ha aggiunto all’esterno delle medina degli spazi urbanizzati in modo geometrico e pianificato. Negli interstizi si sono poi progressivamente create delle bidonville (termine che trova la sua origine proprio per indicare delle forme di habitat illegale e spontaneo a Casablanca).

Le città sud-africane Un’urbanizzazione relativamente recente e guidata dallo sviluppo industriale. Il modello urbano è fondato sulla segregazione razziale. Le città infatti sono state create da e per i bianchi e sono state pianificate secondo i principi di separazione residenziale. Sono state così create delle aree residenziali per neri (township) separate dai quartieri bianchi e a grande distanza dal centro città. In molte città si trova inoltre un Central Business District. Le città dell’Africa centrale Un’urbanizzazione completamente esterna, frutto di volontà colonialiste che vedevano le città come centri di controllo politico amministrativo e punti di smistamento dei prodotti della terra verso le metropoli. Non si parla di centro storico ed il centro città corrisponde al vecchio nucleo abitativo europeo che nel tempo si è trasformato nel centro politico ed economico.

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Le sfide dello sviluppo urbano in Africa 28. L’urbanizzazione in corso in Africa appare ancora più eccezionale se si pensa al suo tardivo inizio. È infatti solo a partire dal 1945 (con qualche variazione a seconda dei Paesi) che ha avuto inizio la vera esplosione urbana. A partire da quegli anni le città cominciarono a crescere rapidamente, registrando valori sconosciuti alla maggior parte delle realtà del Nord. Soggette ad una crescita demografica improvvisa e di grandi proporzioni le città africane hanno progressivamente perso il pieno controllo sul proprio spazio e sulle logiche di evoluzione interne contribuendo così a creare disequilibri e disfunzioni. L’incremento della popolazione urbana è stato talmente rapido da non lasciare il tempo alle autorità pubbliche responsabili della gestione urbana di pianificare adeguatamente l’occupazione del suolo o di dotare i nuovi quartieri delle infrastrutture e dei servizi (scuole, ospedali, intrattenimento, ecc.) necessari a garantire una qualità di vita adeguata. Nella prospettiva di decenni di continua crescita, anche se a ritmi meno sostenuti, e avvertendo sempre più il peso di risposte continuamente ritardate, le città africane di piccole e grandi dimensioni hanno così cominciato da qualche tempo ad interrogarsi sui percorsi di sviluppo da intraprendere per assicurarsi una crescita sostenibile nel tempo. Gradualmente i decision maker sembrano realizzare l’importanza del potenziale di sviluppo racchiuso negli agglomerati urbani e a diverso titolo cominciano ad affrontare, trovando soluzioni innovative, non necessariamente riflesso di percorsi già intrapresi al Nord, quelle che oggi sono divenute le maggiori sfide dello sviluppo urbano in Africa.

29. In questa prospettiva verranno di seguito illustrate le dimensioni chiave che a diverso grado dovranno essere affrontate dalle città africane nei prossimi decenni per garantire uno sviluppo armonioso e sotenibile delle aree urbane con l’obiettivo di mettere in luce per ognuna gli aspetti che le rendono particolarmente critiche nel contesto africano e, quando possibile, dare testimonianza delle prime riflessioni e dei progetti più significativi avviati per fornire una risposta.

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I. LE SFIDE SPAZIALI

30. Il rapido processo di urbanizzazione ha posto i Governi locali di fronte a forme ed a processi spaziali nuovi. I cambiamenti sono avvenuti sostanzialmente in direzione di una più marcata frammentazione, separazione e specializzazione delle funzioni e degli usi delle città e di una polarizzazione del mercato del lavoro (Central Business District, mercati e atélier informali) che ha progressivamente portato a crescenti differenze tra le aree più benestanti e quelle più povere. Nel tempo sono emersi così contrasti altamente visibili tra aree di alta gamma e aree suburbane di caseggiati, tra enclavi etniche e ghetti così come tra aree destinate ai servizi avanzati ed al comparto produttivo, alla vendita di prodotti di lusso e al divertimento e aree di vecchi insediamenti industriali, fabbriche e attività informali. Se da un lato queste disuguaglianze spaziali rappresentano il risultato dell’azione delle forze di mercato sulle città e della speculazione edilizia e terriera, dall’altra sono anche una risposta alle politiche locali che per anni hanno mirato al rilancio della competitività globale delle città per attirare nuovi investimenti concentrando gli interventi sulle aree urbane di maggior interesse. Box 3 - la questione terriera La nascita di quartieri informali è anche il risultato delle pratiche più o meno regolamentate di acquisizione del suolo in Africa. Non esistendo la nozione di proprietà privata nel diritto tradizionale africano, lo sviluppo delle città è avvenuto parallelamente alla creazione da parte dei colonizzatori di diritti terrieri sull’esempio delle metropoli del Nord. Una volta identificata l’area da urbanizzare i terreni entravano così nella sfera di proprietà dell’Amministrazione (del catasto nello specifico) che progressivamente definiva le diverse modalità per permettere l’acquisizione del suolo urbano. Le procedure troppo complesse e costose hanno portato all’affermarsi di un diritto basato sulla consuetudine che si ispira in generale alla nozione di

“primo occupante”. La crescita della domanda di alloggio ha moltiplicato le vendite di lotti da parte di queste ultime tipologie di proprietari portando alla creazione anche di vaste estensioni abitative, il tutto però senza alcun valore giuridico per lo Stato che si considera ancora unico vero proprietario del suolo edificabile. Questa doppia via di acquisizione delle terre ha dato origine alla dicotomia ”città legale” e “città illegale”. In considerazione del numero consistente di popolazione residente in queste ultime zone, le autorità amministrative finiscono per riconoscere l’occupazione di fatto e, in mancanza di una regolamentazione chiara, i conflitti si risolvono solitamente con la negoziazione o la forza.

31. Diverse sono le forme di frammentazione spaziale che si possono osservare. In molte città le nuove forme che caratterizzano l’espansione delle città sono in gran parte determinate dal desiderio e dagli sforzi di famiglie a basso reddito per garantirsi un appezzamento di terra conveniente, in una posizione vicina al luogo di lavoro e con accessibilità ai servizi di base. Questo processo di espansione interessa essenzialmente la campagna e la periferia rurale che, non essendo spesso oggetto di regolamentazione, diventa terreno di sperimentazione di forme urbane assolutamente nuove. Il grosso della rapida urbanizzazione in atto nei Paesi in via di sviluppo si svolge infatti in aree peri-urbane non pianificate e si sostan zia nella costruzione di distese di slum.

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Fig. 7 Popolazione residente in slum (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

Fig. 8 Percentuale della popolazione urbana residente in uno slum (Fonte:TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008)

32. Un abitante su tre delle città nei Paesi in via di sviluppo vive in uno slum. Secondo le stime di UN-Habitat (2005) più della metà della popolazione che vive negli slum è localizzata in Asia, seguita dall’Africa subsahariana e dall’America Latina e i Caraibi. La prevalenza degli slum invece è maggiore nell’Africa subsahariana dove il 62% della popolazione urbana vive in uno slum19 o soffre di almeno una delle cinque privazioni (vedi nota 13) che definiscono la condizione di vita in questi contenuti.

33. In alcune parti del mondo come a Buenos Aires, San Paolo, Santiago, Johannesburg e Pretoria si assiste parallelamente ad un altro fenomeno di segregazione spaziale guidato da obiettivi opposti. In queste città, la paura della criminalità e la sensazione di insicurezza hanno portato famiglie di medio-alto reddito a rinchiudersi in “comunità chiuse” (gated communities) o altri tipi di complessi residenziali ad alta sicurezza creando delle barriere sempre più marcate con il resto della città.

34. Dopo l’indipendenza, numerosi Stati africani hanno elaborato politiche pubbliche per favorire uno sviluppo omogeneo delle zone residenziali e fornire un alloggio ai meno abbienti. Tuttavia con il perdurare dei tassi elevati di crescita che hanno caratterizzato le prime fasi dell’urbanizzazione africana, queste politiche non hanno avuto grande successo e

19. Il tasso medio di crescita degli slum in Africa subsahariana e in Africa è rispettivamente del 4,48% e 4,53%. Nello specifico, il Nigeria registra i tassi di crescita più alti del continente - Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT, 2008. 20. A titolo d’esempio: in Costa d’Avorio la SICOGI (Société Ivo-

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rienne de Construction et de Gestion Immobilière) che costruiva 5.000 alloggi all’anno tra 1971 e il 1979 e la SOGEFIHA (Societé de Gestion Financière de l’Habitat) che ne ha messi a disposizione 30.000 tra il 1965 e il 1979 hanno cessato la loro attività (R. Pourtier Villes Africaines, 1999).


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si sono presto scontrate con difficoltà di finanziamento e di gestione20. Con il tempo è apparso evidente come gli Stati non disponessero più di strumenti sufficienti per mettere a disposizione un parco alloggi adeguato e spesso nemmeno quelli per mantenerlo nel tempo.

35. La mancanza di risorse finanziarie per l’edilizia e per processi di sviluppo urbano di larga scala è all’origine della crisi degli alloggi21 che si registra oggi nell’Africa subsahariana. Nuove forme di interventismo pubblico sul tema sono quindi state testate attraverso, ad esempio, la pianificazione e l’equipaggiamento infrastrutturale di vasti appezzamenti dove veniva poi lasciata ai privati l’iniziativa e la responsabilità della costruzione degli immobili22, o grazie a nuovi sistemi di partenariato con soggetti privati ed istituzioni finanziarie al fine di sviluppare il mercato e di rispondere alle esigenze anche della fetta apparentemente meno appetibile.

36. Si evidenzia infatti che, se l’edilizia destinata alle classi medio alte rappresenta un mercato di crescente interesse per gli investitori privati e gli intermediari finanziari che sono disposti ad assumersi i rischi connessi in considerazione di ritorni futuri quasi certi, la sfida più grande a cui le città africane sono chiamate a confrontarsi oggi è la fornitura di alloggi adeguati per la popolazione a reddito medio-basso23. Questa cospicua24 fetta di popolazione rappresenta infatti la parte di mercato dominante nella richiesta di aree urbane e, date le limitate capacità finanziarie e l’assenza di un intervento pubblico strutturato, è sempre più portata a risolvere i propri problemi di sostentamento e di alloggio attraverso canali informali trasformando le città secondo le proprie esigenze, spesso confliggenti con le leggi in vigore e con i piani di sviluppo urbano. La risultante urbanizzazione “autogestita” è all’origine di frequenti attriti tra l’Amministrazione Comunale e gli abitanti degli insediamenti informali considerati esterni al tessuto urbano principale. Nei confronti di queste aree si è assistito nella storia ad un susseguirsi di approcci molto diversificati dei governi locali partendo da una prima fase di indifferenza (anni ’60), per poi passare all’eradicazione e alla demolizione dei fabbricati (anni ’70) adducendo come motivazione la non conformità ai piani urbanistici o la mancanza di documentazione a riprova dello stato di possesso illegale, per finire con un’accettazione tacita (anni ’80) del fenomeno. È solo a partire dai programmi di “slum upgrading” finanziati dalla Banca Mondiale che i Governi africani hanno cominciato a prendere realmente in considerazione la riqualificazione delle zone urbane più in difficoltà promuovendo interventi infrastrutturali (strade, erogazione dell’acqua e depurazione delle acque reflue) e di miglioramento della qualità di vita della popolazione residente.

21. In Sud Africa la domanda insoddisfatta di alloggi ammonta a 3 milioni di unità abitative. A titolo d’esempio in Zimbabwe, ai tempi del culmine dei programmi di sostegno all’edilizia, alla fine degli anni ’90, venivano costruite 18.000 case all’anno rispetto ad un’esigenza complessiva di 84.000 unità. Da allora la produzione è calata (Fonte: UN-Habitat, State of African Cities, 2008). 22. Esempio di questo processo di urbanizzazione che lasciando spazio alla libera iniziativa privata vede l’intervento pubblico per la pianificazione e l’equipaggiamento infrastrutturale è Dakar e nello specifico Pikine, un nuovo spazio urbano distante 15 km dal CBD (chiamato Plateau) disegnato ex nihilo dalle Autorità pubbliche per decongestionare il centro e accogliere le famiglie allontanate a causa della ristrutturazione urbana.

23. L’espansione senza precedenti della popolazione urbana registratasi negli ultimi anni in Africa ha provocato un rapido aumento della domanda di suolo urbano a cui però non ha fatto seguito un reale impegno delle autorità locali per l’equipaggiamento infrastrutturale di aree sottratte al mondo rurale. I tempi lunghi per l’estensione delle infrastrutture urbane uniti alle difficoltà nell’acquisizione di nuove terre da urbanizzare hanno provocato un graduale innalzamento dei prezzi di mercato che sono diventati impraticabili per le classi medio-basse e avvicinabili essenzialmente della ridotta fetta di mercato delle classi medio alte. 24. Il 43% degli africani vive ancora sotto la soglia di povertà (1US$ al giorno).

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37. La scarsità di alloggi per le classi meno abbienti e di conseguenza l’aumento degli insediamenti informali è inoltre il risultato della mancanza di visione strategica e sistemica sul tema da parte dei Governi e delle autorità locali, delle limitate capacità istituzionali per la gestione di agglomerati sempre più complessi e della mancanza di una chiara volontà politica nell’affrontare la questione degli insediamenti abitativi informali25.

Box 4 - Costruire alloggi per le fasce di popolazione a basso/medio reddito: due sperimentazioni. Il Sudafrica Tra il 1995 ed il 2005, il Sudafrica ha erogato sovvenzioni per 3,5 miliardi di US$ alle famiglie con un reddito inferiore a 580 US$ al mese per incentivare gli istituti erogatori di mutui ipotecari ad entrare nel mercato dell’edilizia convenzionata. Sebbene rappresenti un’iniziativa pionieristica, lo schema di sussidi progettato dal Governo ha incontrato numerosi ostacoli che ne hanno inficiato all’origine l’efficacia. In primo luogo le famiglie intestatarie del mutuo erano tenute a pagare gli interessi e le spese di servizio non vedendo quindi necessariamente aumentare la loro capacità di spesa. In secondo luogo la maggior parte delle case convenzionate erano localizzate in zone periferiche (comportando costi accessori elevati) ed erano in condizioni degradate (il 70% degli immobili costruiti tra il 1994 e il 1999 sono stati dichiarati inadeguati in termini di superficie, di impermeabilizzazione, di riscaldamento, di posizionamento e di design). L’ultima criticità è infine collegata agli istituti di credito. Questi ultimi sono tradizionalmente restii nel concedere prestiti a famiglie a basso reddito dati i livelli di rischio troppo elevati e consapevoli della loro difficoltosa comprensione dei meccanismi finanziari specifici, dei bisogni e delle logiche di comportamento dei diversi attori operanti nel mercato immobiliare. Anche in presenza di sussidi statali, gli istituti di credito hanno quindi trovato il mercato dell’edilizia per la fascia di popolazione a basso reddito (disoccupati, impiegati nel settore informale, ecc) impraticabile per l’impiego dei tradizionali strumenti ipotecari. Allo stesso modo le famiglie hanno fatto fatica a comprendere le

25. I programmi finalizzati ad affrontare la questione degli insediamenti abitativi informali sono spesso strumentalizzati per fini

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condizioni finanziarie sottostanti ed hanno giudicato troppo rischioso il meccanismo proposto. La difficoltà nel contrarre un mutuo con le banche ha portato così ad uno spostamento verso l’utilizzo della microfinanza per il settore immobiliare e la nascita e diffusione di istituti di credito non bancari dando vita ad innovative modalità di finanziamento per il settore in oggetto. Zimbabwe In seguito all’indipendenza il Governo ha istituito il National Housing Fund con lo scopo di concedere prestiti agli enti locali o a singoli operatori ad un tasso di interesse agevolato dell’11,25% rimborsabili su 30 anni. Prima che il fondo venisse chiuso verso la metà degli anni ’90, erano stati stanziati fondi (Z$ 2.466,8) per la costruzione di circa 500.000 case mentre le autorità locali avevano provveduto ad equipaggiare con le necessarie infrastrutture 106.003 appezzamenti di terra. Prima della crisi economica della fine degli anni ’90, sembrava che lo Zimbabwe fosse riuscito a sbloccare il meccanismo di concessione di mutui per le fasce di popolazione a basso reddito incentivando la partecipazione dei privati nel settore dell’edilizia abitativa (spesso finanziati da donatori e da fondi pubblici). La differenza chiave rispetto all’esperienza precedente è che il sostegno del Governo ed i sussidi dei donatori per incentivare la partecipazione del settore privato non sono andati direttamente alle famiglie, ma erano mirati a ridurre i costi strutturali nel più vasto mercato terriero e delle costruzioni. Dal 1987, il Housing Guarantee Loans (aiuto USA e sussidi governativi) insieme allo Zimbabwe

politici inseriti tra le priorità dei manifesti politici in periodo di elezioni e accantonati subito dopo.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Private Sector Housing Programme hanno cercato di influenzare significativamente la politica settoriale di offerta di alloggi con l’obiettivo di limitare le strozzature nella consegna degli alloggi a basso costo per quanto riguarda le aree da urbanizzare, gli strumenti finanziari, i materiali di costruzione e l’aumento dell’accessibilità economica degli alloggi per le fasce di popolazione a basso reddito. Questo meccanismo ha inoltre contribuito ad aumentare il volume dei mutui e dei terreni equipaggiati con le infrastrutture di base. Ugualmente rilevante è il fatto che, rendere economicamente accessibile l’acquisto di una casa per le classi “non così pove-

re” come avvenuto in questo caso, può comportare benefici a tutti i gruppi a basso reddito in quanto aumenta il numero di case in cui i poveri possono affittare delle camere o occupare il cortile con delle baracche con rischi inferiori rispetto a quelli di contrarre un mutuo con un ipoteca che rischiano di non onorare. In Zimbabwe, considerato l’incremento di volume dei mutui concessi e la loro convenienza a partire dai primi anni ’90, si è assistito inoltre alla nascita di istituti di credito gestiti da locali con un’offerta a favore delle fasce di popolazione a basso reddito ed in concorrenza con le tradizionali istituzioni finanziarie.

II. LE SFIDE INFRASTRUTTURALI

38. Per permettere alle città dell’Africa subsahariana di aumentare il proprio livello di produttività e divenire dei motori di sviluppo economico della regione, è necessario che le aree urbane rappresentino un contesto che incentivi l’insediamento delle comunità di business e ne faciliti l’interazione. Sulla base delle evidenze emerse da un recente studio della Banca Mondiale26, per la maggior parte dei Paesi africani l’impatto negativo derivante da infrastrutture carenti è pari a quello associato alla criminalità, alla corruzione ed ai vincoli del mercato finanziario. L’assenza di acqua potabile, di servizi igienici adeguati, una rete di trasporto congestionata o il limitato smaltimento dei rifiuti sono infatti elementi che pesano sulle decisioni degli investitori tanto quanto la sicurezza del contesto urbano di riferimento, l’esistenza di un quadro regolamentare a tutela delle attività svolte ed il dinamismo culturale delle vita che si sviluppa in quel contesto.

39. Il 64% della popolazione africana (341 milioni di persone) ha accesso all’acqua potabile27 il che rappresenta un significativo aumento rispetto al 56% del 1990. Più nello specifico circa il 50% della popolazione rurale e l’85% della popolazione urbana. Nel complesso 26 dei 54 Paesi africani sono in procinto di raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio di riferimento28 e tra il 1990 ed il 2006, 245 milioni di africani hanno ottenuto l’accesso all’acqua potabile. Per quanto riguarda i servizi igienici di base invece in 16 Paesi la copertura rimane ancora

26. Fonte: Vivien Foster Africa Infrastructure Country Diagnostic (Fonte: World Bank, 2008). 27. Gli ultimi dati disponibili sull’accesso all’acqua potabile e agli impianti igienici provengono dal WHO/Unicef Joint Monitoring Programme (JMP) e sono datati 2006.

28. MDG 7: Garantire la sostenibilità ambientale - “Ridurre della metà, entro il 2015, la percentuale della popolazione senza un accesso sostenibile all’acqua potabile e agli impianti igienici di base”

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inferiore al 25% e, con l’eccezione del Nord Africa, è difficile che gli altri Paesi riescano a raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo del Millennio per il 2015. Africa centrale e dell’Ovest La copertura complessiva nella distribuzione di acqua potabile nella regione è aumentata del 7% dal 1990 al 2006 passando dal 49% al 56%. La copertura del 56% del 2006 corrisponde ad una popolazione di 395 milioni e riguarda, se scomposta, il 76% della popolazione urbana ed il 41% di quella rurale. Anche gli impianti igienici di base hanno incrementato la loro diffusione del 9% arrivando al 30% nel 2006, il 39% in città ed il 20% nelle aree rurali. Africa dell’Est La copertura complessiva nella distribuzione dell’acqua potabile è aumentata del 14% tra il 1990 ed il 2006 arrivando al 54% nel 2006. Il contributo maggiore a questa crescita deriva dal miglioramento nelle aree rurali dove la copertura è passata dal 30% al 45% mentre è rimasta stabile nelle aree urbane che hanno comunque registrato un incremento consistente di popolazione. Per quanto riguarda la diffusione degli impianti igienici di base nel 2006 si registra una copertura del 37% nelle aree urbane e del 27% in quelle rurali. Africa del Sud Nel 2006 il più elevato livello di copertura nella distribuzione di acqua potabile in Africa si è registrato in questa regione con il 92% della popolazione servita (il 100% nelle aree urbane).

Fig. 9 Popolazione (%) avente accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici di base (Fonte:TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2008)

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Questo dato rappresenta un incremento dell’8% rispetto al 1990. La diffusione di servizi igienici di base ha invece raggiunto il 57%, la seconda miglior performance dopo l’Africa del Nord.

40. Le reti di trasporto congestionate, il parco mezzi pubblico scarso ed in cattive condizioni, l’incremento esponenziale delle automobili private sono ulteriori sfide che la maggior parte delle città africane si trova a dover fronteggiare per agevolare uno sviluppo armonioso dell’area urbanizzata e per facilitare i collegamenti dell’area urbana con la campagna e con gli altri nodi urbani del Paese. In una prospettiva più globale inoltre risulta eccessivo il trasporto su strada, rispetto a quello ferroviario, aereo, o via acqua, correndo così il rischio, per via del progressivo aumento del costo del carburante, di ridurre la competitività del territorio ed il vantaggio competitivo delle attività economiche che vengono sviluppate al suo interno. In assenza di studi che permettano dei raffronti sulle numerose sfaccettature che caratterizzano il tema in oggetto, è ugualmente possibile desumere attraverso dati puntuali le criticità maggiori attorno a cui vertono i recenti interventi pubblici e privati. Africa centrale e dell’Ovest Molti Governi della regione dimostrano un interesse crescente al tema considerato l’ammontare di investimenti annuali per la pianificazione e lo sviluppo del sistema dei trasporti (circa il 20% del budget annuale nell’Africa dell’Ovest). In Nigeria a titolo d’esempio, lo stato dell’infrastruttura di trasporto pubblica intra ed inter-urbana rimane uno dei più grandi vincoli allo sviluppo economico del Paese. Meno di un quinto degli 80.500 km di strade è asfaltato e le restanti si trovano in cattive condizioni.

Fig. 10 Segmentazione tipologia di trasporto (Fonte TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2003)

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Africa dell’Est Le città dell’Africa dell’Est e le rispettive aree limitrofe non risultano sufficientemente servite dal sistema di trasporto pubblico e la maggior parte dei nuclei urbani soffre della mancanza o della grave limitatezza di mobilità sostenendo costi sociali ed economici elevati. Solo di recente è stata attribuita maggior attenzione al tema all’interno delle politiche e degli orientamenti strategici nazionali e la liberalizzazione economica ha spinto operatori privati esterni (in particolar modo cinesi) ad inserirsi nel mercato e migliorare le infrastrutture in Kenya, Tanzania e Uganda. Nonostante ciò il sistema rimane caratterizzato da un’elevata domanda di mobilità e dal fallimento degli attori pubblici nel fornire opzioni di trasporto pubblico di massa sufficienti, accessibili e tempestive29. Africa del Sud Le città dell’Africa del Sud sono state concepite come “Città giardino”30 dove ogni area funzionale è separata dall’altra da spazi aperti con le fasce a basso reddito relegate alla periferia delle aree industriali. Questa architettura spaziale ha contribuito nel tempo a creare lunghe distanze rendendo gli investimenti nella costruzione di anelli stradali, di ferrovie e nel miglioramento delle infrastrutture di trasporto una priorità nelle agende politiche di molti Governi centrali e locali. L’essenziale della domanda di trasporto della regione è legata al lavoro31. La deregolamentazione e la liberalizzazione economica ha portato, in quasi tutti i Paesi della regione, all’eliminazione dei monopoli statali sulle compagnie di autobus ed alla conseguente legalizzazione di servizi di trasporto informale fino ad allora considerati illegali.

41. La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti è ancora considerata, nella maggior parte delle città africane, una responsabilità dell’Autorità locale, ma numerose sono le esperienze di privatizzazione nel settore. Ovunque si registrano delle situazioni critiche ed ingenti sono gli investimenti necessari per far fronte alle esigenze di una popolazione urbana in rapida crescita. L’uso delle discariche rimane la principale forma di smaltimento dei rifiuti solidi. Al di là di lattine, rottami metallici e bottiglie che sono solitamente acquistati da società di riciclaggio dai venditori di rifiuti urbani, la pratica del riciclaggio ed il compostaggio sono pratiche poco diffuse. Le discariche, come dimostrato da numerosi Paesi sviluppati, non rappresentano delle soluzioni di lungo termine in quanto siti adeguati allo scopo in prossimità dei confini urbani si esauriscono in fretta data la velocità di espansione dei nuclei urbani ed appare quindi di primaria importanza l’individuazione di forme alternative di smaltimento per sostenere la crescita delle città.

29. Di fronte a questa situazione il privato si è sempre più inserito nel mercato colmando alcuni dei gap del settore pubblico ed offrendo servizi di mobilità. Un esempio a questo riguardo è quello dei matatus (taxi collettivi a 14 posti) messi a disposizione dai privati in Kenya, Uganda e Tanzania. Anche se non sono esenti dalla congestione delle strade, dall’inquinamento e dagli incidenti, svolgono un ruolo essenziale non solo all’interno delle città ma anche nei collegamenti con la vicina campagna e le altre città. 30. Fonte: UN-Habitat, 2008.

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31. Ad Harare gli spostamenti sono principalmente realizzati in taxi o in minibus del settore informale. I viaggi in bus, in bicicletta o a piedi non pesano molto nelle abitudini di trasporto. Prima della crisi economica dello Zimbabwe solo il 5% dei lavoratori usava la bicicletta per raggiungere il posto di lavoro mentre il 30% camminava. Con l’incremento dei prezzi del carburante la percentuale di spostamenti a piedi è aumentata. Lilongwe, ad esempio, ha la percentuale più alta di lavoratori a basso reddito che si muove a piedi ogni giorno, circa il 50-70, mentre il 9% impiega gli autobus, ed il 4% la bicicletta - Fonte: UN-Habitat, 2008.


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42. Il miglioramento del sistema delle infrastrutture urbane dell’Africa è necessario e propedeutico alla crescita economica del continente e recenti studi dello UN-Habitat32 hanno dimostrato come gli investimenti infrastrutturali siano quelli che più degli altri contribuiscono alla crescita di un territorio. Dato il rilievo strategico del tema e l’esiguità dei fondi pubblici ancora a disposizione, i Governi africani stanno cercando strumenti di finanziamento alternativi per colmare il proprio deficit infrastrutturale e favorire lo sviluppo economico e sociale delle proprie città. Tra questi è particolarmente significativo il ricorso al partenariato con soggetti privati. Secondo questo meccanismo le autorità pubbliche sono responsabili di tracciare le linee guida per lo sviluppo delle infrastrutture ed in parte anche fornire i capitali per realizzarle lasciando ai privati l’onere di costituire le opere e poi anche di gestirle. La sfida infrastrutturale non comporta solamente la ricerca di nuove fonti di finanziamento ma anche, ed in primis, l’uso più efficiente delle risorse a disposizione e l’avvio di riforme strutturali per inserire un maggiore grado di concorrenza nell’erogazione dei servizi di interessere generale.

Box 5 - Il partenariato pubblico privato I mercati africani più sviluppati per l’implementazione di meccanismi di Partenariato Pubblico Privato (PPP) sono il Sud Africa e la Nigeria. In Sudafrica è stata creata un’unità specializzata all’interno del Ministero del Tesoro per la regolamentazione e la consulenza alle Istituzioni pubbliche (come Enti Locali o Authority specializzate su tematiche specifiche) interessate all’implementazione di meccanismi di PPP. Questa unità è responsabile di verificare che il progetto a cui si desidera applicare questo meccanismo presenti tre elementi chiave: l’accessibilità economica, il corretto trasferimento del rischio dal Governo al settore privato, ed il value for money. Dalla sua creazione, dieci anni fa, l’unità ha concluso 22 accordi di PPP del valore di 5,5 miliardi di Dollari. A Johannesburg è stato concluso il più grande accordo di PPP dell’Africa per la realizzazione di un collegamento ferroviario rapido (Gautrain) e di un insieme di reti di autobus ad esso connesse per ridurre i tempi di trasporto interni alla Regione Urbana del Guateng (GUR) e svilupparne il potenziale. Si tratta di un investimento stimato di 3,3 miliardi di Dollari di cui il Governo finanzia l’85%. Il Governo Provinciale del Gauteng ha stabilito una concessione

di 20 anni per la costruzione e la gestione della Gautrain assegnandola Bombela, un consorzio di attori privati che include Bombardier Transportation (capofila) Bouygues Travaux Publics, Murray & Roberts, Strategic Partners Group, RATP, J&J Group e Absa Group. La costruzione è cominciata nel 2006 e dovrebbe essere completata nel 2011. I ruoli e le responsabilità di progetto sono state chiaramente suddivise tra attori pubblici e privati. Bouygues e Murray & Roberts sono responsabili dei lavori infrastrutturali, Bombardier della progettazione, della fabbricazione, dell’installazione e della manutenzione dei componenti ferroviari, RATP della messa in opera del sistema. Il Governo Provinciale invece ha il compito di valutare il servizio erogato dal concessionario e garantire parte dei ritorni sulla base di livelli di traffico stimato. Il Nigeria è il secondo mercato più sviluppato per il PPP e sta attualmente perfezionando la regolamentazione dello strumento per favorire un utilizzo diffuso nei settori dei trasporti e dell’energia. Si stima infatti che l’impiego di questo strumento potrà rendere possibile un investimento privato di circa 10 miliardi di Dollari nelle ferrovie colmando così in parte il gap infrastrutturale che caratterizza il Paese.

32. Fonte: State of World’s Cities 2008/2009, UN Habitat.

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III. LE SFIDE AMBIENTALI

43. Nelle città si concentra oggi la maggior parte delle attività umane e si genera il 75% del Pil globale. In qualità di motori dello sviluppo economico e aree ad elevata concentrazione di popolazione, le città contribuiscono significativamente e sono allo stesso tempo molto vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. Le aree edificate consumano infatti più energia e producono più emissioni delle aree poco urbanizzate, consumano circa il 67% dell’energia globale e generano più del 70% delle emissioni di gas serra, i principali responsabili del cambiamento climatico. Un peso preponderante è dato dal riscaldamento e dall’illuminazione degli edifici residenziali e commerciali che generano circa il 25% delle emissioni globali (equivalendo il livello di emissioni attribuibili al comparto agricolo e industriale). I trasporti invece sono responsabili del 13,5% delle emissioni e di queste il 10% è imputabile al trasporto su strada. Le città si configurano quindi come attori chiave nell’analisi delle trasformazioni a cui l’ambiente naturale è sottoposto così come nella progettazione di soluzioni efficaci per risolvere alcune delle sfide più cogenti.

44. Da sempre l’urbanizzazione ha comportato degli oneri ambientali, ma i ritmi dei trend recenti e la scarsità di risorse dei Paesi protagonisti di queste evoluzioni implicano livelli di consumo e perdita di risorse naturali senza precedenti. È stato stimato33 che, in seguito alla crescita esponenziale della popolazione urbana, l’intera superficie urbanizzata nei Paesi in via di sviluppo triplicherà tra il 2000 ed il 2030 passando da 200.000 km2 a 600.000 km2. Questa trasformazione assume delle proporzioni ancora più significative se si considera che i 400.000 km2 di superficie che si prevede saranno costruiti nei prossimi 30 anni equivalgono al totale della superficie urbanizzata nel mondo nel 2000.

45. Recenti studi34 hanno dimostrato che, se i Paesi in via di sviluppo dovessero tenere delle abitudini di consumo simili a quelle dei Paesi oggi sviluppati, sarebbe necessaria una base di risorse pari a quattro pianeti terra per supportarne la crescita. Data la limitata disponibilità delle risorse appare evidente come le città dei Paesi in via di sviluppo così come di quelli sviluppati debbano ricercare modalità più efficienti per soddisfare i bisogni della popolazione crescente modificando il proprio paradigma di sviluppo. Il benessere delle generazioni future dipende da come oggi le città affrontano gli oneri ambientali connaturati alla diffusione di stili di vita urbani. Come possono le città conciliare le opportunità di crescita economica e di riduzione della povertà prospettate dall’urbanizzazione mitigandone gli effetti negativi? Quali iniziative intraprendere considerando la velocità e l’ordine di grandezza del fenomeno e date le competenze gestionali limitate? Come si possono combinare le valutazioni economiche con quelle ecologiche in modo da garantire vantaggi di lungo periodo per le città e l’insieme della popolazione? Se non adeguatamente progettato, governato e gestito, lo sviluppo urbano può significativamente compromettere

33. Fonte: Eco2 Cities, Ecological Cities as Economic Cities, The World Bank, 2010.

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34. Fomte: Eco2 Cities, Ecological Cities as Economic Cities, The World Bank, 2010.


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la qualità dell’aria, la disponibilità di acqua, la capacità di trattamento dei rifiuti e i sistemi di riciclaggio così come molti altri aspetti dell’ambiente urbano che determinano il benessere della popolazione.

46. A seconda del grado di sviluppo e del contesto di riferimento le città fronteggiano sfide ambientali sostanzialmente differenti. Quelle delle città dei Paesi in via di sviluppo sono circostanziate ad aree territoriali chiaramente identificate, comportano solitamente un impatto immediato e rappresentano una minaccia per la salute della popolazione. Mentre nelle città dei Paesi industrializzati si parla di “Green Agenda” riferendosi principalmente alla necessità di riduzione delle emissioni di gas effetto serra per limitarne gli impatti globali ed intergenerazionali; in queste città si parla invece di “Brown Agenda”, indicando con questo appellativo le criticità ambientali connesse all’inquinamento acustico ed idrico, alla mancanza di acqua potabile, all’inadeguatezza dei servizi igienici e alla raccolta dei rifiuti. Le emissioni di gas serra in Africa sono, infatti tra le più basse al mondo35 e, essendo correlate non tanto al livello di urbanizzazione quanto invece alle abitudini di consumo ed alla ricchezza prodotta, non rappresentano ancora una priorità nelle agende politiche. La pianificazione urbana e la progettazione di interventi nel rispetto dei principi della sostenibilità ambientale sono ancora in fase embrionale in Africa36. All’interno delle Amministrazioni Pubbliche, così come nelle principali comunità di business, non si è ancora diffusa la consapevolezza della gravità dei potenziali e futuri pericoli conseguenti ai cambiamenti climatici in atto e le componenti ambientali non rappresentano ancora una priorità nelle agende politiche se confrontate con la numerosità delle esigenze più impellenti e la scarsità delle risorse a disposizione per soddisfarle. Le iniziative funzionali ad affrontare le sfide ambientali sono ancora scarse e, qualora presenti, non sono inserite in un disegno sistemico ed integrato capace di massimizzarne i benefici.

35. Gli Stati Uniti, la Cina, l’Unione Europea, la Russia e l’India contribuiscono per circa il 61% alle emissioni di gas serra globali. Tra i Paesi in via di Sviluppo l’Asia dell’est è (2004) il più grande produttore di emissioni di CO2 (5,6 miliardi di tonnellate metriche) equivalenti a quasi 3 volte quelle prodotte dall’Asia del Sud (2 miliardi di tonnellate metriche) e 4 volte quelle prodotte dall’America Latina e dai Caraibi (1,4 tonnellate metriche). L’Africa del Nord e subsahariana produce la più piccola quantità di emissioni di CO2 (0.5 tonnellate metriche e 0,7 tonnellate metriche rispettivamente). In Africa un individuo è in media responsabile di meno di un decimo delle emissioni di CO2 prodotte da uno stesso individuo nel mondo sviluppato. Fonte: UN-HABITAT State of World cities 2008/9. 36. Alcune iniziative per affrontare le sfide ambientali nelle città africane sono state recentemente lanciate attraverso organizzazioni internazionali, governative e non, e reti di città a geometria variabile: - L’International Human Dimensions Programme ha lanciato per i dieci anni di attività l’iniziativa UGEC (Urbanization and Global Environmental Change) con l’obiettivo di condurre alcune ricerche in Africa e di costituire una rete regionale nell’Africa dell’ovest raggruppante ricercatori, rappresentanti delle comunità locali e funzionari delle Amministrazioni pubbliche e delle Agenzie. - UN-HABITAT ha costituito nel 2007 SUD-NET un network avente lo scopo di promuovere i principi dello sviluppo urbano sostenibile diffondendo standard edilizi eco-compatibili a livello globale

e locale. All’interno di questa rete è stata inoltre lanciata la Cities and Climate Change Initiative (CCCI) nel Marzo 2009 dove due città africane (Maputo e Kampala) sono state selezionate come città pilota. - Il South African Cities Network è una piattaforma di scambio per i funzionari ed i politici delle città del Sudafrica funzionale allo scambio di informazioni e best practice. Solo recentemente ha cominciato ad occuparsi di temi connessi allo sviluppo sostenibile testimoniando l’attenzione delle città di questa regione ai temi della ristrutturazione post-apartheid e sulle questioni connesse alla giustizia ed alla sicurezza. - Addis Abeba, il Cairo, Lagos e Johannesburg sono membri del C40, la rete delle città più grandi del mondo. Originariamente nota come C18, ha lanciato una conferenza biennale sul clima nel 2005 a Londra, raggruppando sindaci, funzionari ed esponenti della comunità di business per uno scambio di idee e per la creazione di sinergie. - L’International Council for Local Environment Initiatives (ICLEI) è l’organizzazione incaricata di controllare e promuovere la formulazione e l’implementazione dell’Agenda 21 a livello locale. Sotto l’egida della Cities for Climate Protection Campaign lanciata nel 1993, ICLEI ha lanciato numerose iniziative nelle città del Sudafrica (unico Paese africano rappresentato) per la riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico.

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47. Tra le sfide ambientali

Fig. 11 Consumi di energia per passeggero al kilometro (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2008)

delle città africane, l’inquinamento atmosferico è tra quelle più rilevanti. Secondo il United Nations Environment Programme (UNEP) l’inquinamento atmos ferico esterno nelle città africane è causa di circa 49.000 decessi prematuri all’anno mentre l’uso domestico di combustibili solidi è c ausa di un numero di decessi di otto volte superiore. In aggiunta alla rapida urbanizzazione ed al relativo incremento delle attività economiche, l’inquinamento atmosferico urbano dell’Africa è aggravato dal rapido aumento del numero di macchine, per lo più vecchie e maltenute senza alcun controllo sulle emissioni, dalla mancanza di carburanti puliti, da deboli quadri regolamentari specificatamente predisposti per il controllo delle emissioni e da una limitata applicazione delle norme nei rari casi in cui sono state sviluppate. L’inquinamento atmosferico in Africa è in aumento per quanto riguarda molte delle principali sostanze inquinanti. La causa principale resta però l’uso di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas naturale) nei trasporti, nella produzione di energia, nell’industria e negli ambienti domestici. Anche la combustione di legna, di scarti animali e vegetali contribuisce agli elevati tassi di inquinamento atmosferico.

48. L’inadeguata gestione dei rifiuti solidi rappresenta un ulteriore pericolo per la salute in molte città africane. Anche se la quantità di rifiuti prodotta nelle città a basso reddito è generalmente inferiore a quella prodotta in città a reddito elevato, la gestione dei rifiuti è una preoccupazione crescente considerato che le conseguenze di un’inadeguata raccolta e smaltimento possono avere un impatto significativo sugli ecosistemi delle città, contribuire al degrado dell’ambiente urbano ed esporre a gravi rischi la salute delle popolazioni. Le città dei Paesi in via di sviluppo sono maggiormente esposte a queste conseguenze rispetto alle città del mondo sviluppato in virtù di un servizio di raccolta rifiuti, pubblico e privato, ancora poco pervasivo37. In generale, i rifiuti prodotti consistono principalmente in materiale organico come scarti di carburante, di legno, di carbone o di cibo38. Il riciclaggio ed il riutilizzo dei rifiuti solidi sono pratiche comuni nelle città dei Paesi in via di sviluppo, ma sono spesso lasciate al settore informale e gestite in condizioni rischiose e non sono ancora oggetto di una reale politica nazionale.

37. A titolo d’esempio: al Cairo in Egitto solo un terzo dei rifiuti sono raccolti e trattati dal Comune o dal sistema formale; in Benin meno del 50% delle famiglie che vivono in città beneficiano della raccolta di rifiuti domestici attraverso il sistema pubblico o privato. 38. In città come Freetown, Kigali e Accra più del 80% dei rifiuti è

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materiale organico, rispetto al 30% o meno in città come Milano, New York e Gotemborg. 39. Nei Paesi in via di sviluppo, quattro case ogni dieci non permamenti sono localizzate in zone minacciate da inondazioni, frane, disastri naturali e si trovano generalmente in bidonville o all’interno di insediamenti informali.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

49. Il cambiamento clima-

Fig. 12 Città africane a rischio di inondazione (Fonte:TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2008)

tico rappresenta un’altra tra le più significative sfide ambient ali per le cit t à. Come dimostrato in precedenza l’Africa contribuisce in misura limitata ai trend di cambiamento climatico in atto con i suoi ridotti consumi di energia e le contenute emissioni di gas serra, tuttavia questa regione è tra quelle più espos te alle minacce nel breve termine e secondo ordini di grandezza significativi in virtù della vulnerabilità dei suoi ecosistemi, della povertà diffusa e della limitata capacità di adattamento e risposta della popolazione. I crescenti costi della terra e delle abitazioni hanno spinto, e stanno continuando a farlo, le popolazioni meno abbienti in luoghi che sono altamente soggetti a rischi naturali39 aumentando così i potenziali danni derivanti da calamità di diversa natura. Tali disastri sono quindi solo in parte il risultato di forze naturali spesso imprevedibili in quanto l’esposizione a tali rischi è amplificata da un’inaccorta pianificazione degli sviluppi urbani. In Africa Il rischio maggiore a cui sono esposte le città come conseguenza del riscaldamento globale è rappresentato dall’innalzamento del livello del mare (stimato tra i 22 e i 34 centimetri di qui al 208040). L’11,5% della popolazione urbana africana è insediata in zone costiere a meno di 10 metri sopra il livello del mare (18% nell’Africa del Nord e il 9% nell’Africa subsahariana) e il 15% delle città a più alto rischio di inondazione nei Paesi in via di sviluppo si trova in Africa. La rischiosità dell’innalzamento del livello delle acque è dato congiuntamente dall’elevata densità di popolazione e dal grado di sviluppo avanzato che caratterizza queste zone dove elevata è la concentrazione di abitazioni, di attività commerciali, industriali e di facilities. Inoltre, sebbene la proporzione ed il numero di abitanti nelle città costiere africane siano relativamente inferiori rispetto a quelli dell’Asia, le città africane41 saranno tra quelle più negativamente affette dall’innalzamento del livello delle acque non disponendo delle infrastrutture e dai sistemi di prevenzione e sicurezza adeguati che caratterizzano le città costiere asiatiche.

50. È crescente il numero di città nei Paesi in via di sviluppo che sta maturando una sensibilità al tema e che ha implementato delle politiche e delle iniziative concrete guidate da

40. Fonte: State of World Cities 2008/9, UN HABITAT. 41. Le più grandi città costiere africane che potrebbero risentire in modo più significativo degli impatti negativi conseguenti all’innalzamento del livello del mare sono: Abidjan, Accra, Ales-

sandria, Algeri, Cape Town, Casablanca, Dakar, Dar el Salaam, Djibouti, Durban, Freetown, Lagos, Liberville, Lome, Luanda, Maputo, Port Luis e Tunisi.

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una marcata sensibilità ai temi ambientali. Queste città hanno dimostrato che, con il supporto di un approccio strategico adeguato, è possibile accrescere l’efficienza nell’uso delle risorse realizzando un ugual valore da una quantità di risorsa minore e rinnovabile e riducendo allo stesso tempo l’inquinamento e gli sprechi. Sebbene siano ancora limitati gli esempi sul territorio africano, altre città che affrontano problemi analoghi possono dimostrare come investimenti di questo tipo siano fattibili anche in presenza di disponibilità di budget limitate e possano comportare dei significativi ritorni anche in termini di benefici diretti ed indiretti per la popolazione meno agiata.

51. Anche a livello internazionale inoltre è possibile riscontrare un impegno crescente nel supportare le città nella progettazione e nell’implementazione di investimenti urbani di lungo periodo. Nuove opportunità di finanziamento si sono aperte per le città dei Paesi in via di sviluppo desiderose di implementare azioni funzionali ad un percorso di sviluppo sostenibile, con particolare attenzione alle misure di efficienza energetica per la riduzione delle emissioni di gas serra. Progressivamente si assiste alla nascita di nuovi metodi contabili per la stima dei costi e dei benefici derivanti dalle politiche pubbliche, così come di nuovi approcci alla pianificazione e alla valutazione di investimenti in grado di ponderare anche le variabili ambientali.

IV. LE SFIDE ECONOMICHE

52. Storicamente in molte regioni l’urbanizzazione ha spinto la crescita delle economie nazionali. In media circa il 75% della produzione economica globale si concentra nelle città e nei Paesi in via di sviluppo questa percentuale è in continua crescita ed in molti di questi, la quota di Pil nazionale generata dalle aree urbane oltrepassa già il 60%. Come nella maggior parte dei Paesi, anche in Africa si registra una correlazione positiva tra il grado di urbanizzazione e il livello di sviluppo economico. Solo 9 dei 24 Paesi presi in considerazione42 presentano un disallineamento tra l’urbanizzazione che aumenta e la crescita economica che rimane trascurabile o negativa43. Nonostante il trend di crescita, lo sviluppo economico non è stato sufficiente a ridurre i livelli di povertà, i posti di lavoro offerti dall’economia urbana rispondono solo parzialmente alla domanda di lavoro espressa dalla popolazione residente nelle aree urbane e velocemente si sono gettati i presupposti per un mercato parallelo ed informale. L’ampliarsi dello scostamento tra l’incremento della popolazione e la ricchezza prodotta si trova all’origine della crisi urbana che oggi sembra interessare la maggior parte delle città africane e che vede nel rallentamento dei tassi di crescita urbana i primi segnali di conferma.

42. Studio estratto da C. Kessides, La transition urbaine en Afrique Subsaharienne, 2006. 43. Si tratta essenzialmente dei Paesi che sono stati terreno di

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sommosse civili (Rwanda) o di grandi transizioni (Sudafrica). I restanti presentano performance più contrastate (Cameroon, Costa d’avorio, Kenya, Madagascar, Nigeria, Togo, Zambia).


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53. L’urbanizzazione africana può quindi essere qualificata come un processo dai forti connotati socio-umanitari, primariamente guidato da forze demografiche e dalla percezione di maggiori opportunità di lavoro, e non invece come la transizione socio-economica indotta dall’industrializzazione e dallo sviluppo di una solida economia urbana avvenuta nella maggior parte delle regioni del mondo. Le città africane sono infatti cresciute molto rapidamente grazie alle migrazioni dalle campagne di persone che vedevano nelle città maggiori opportunità di lavoro ed una migliore qualità di vita. Incuranti del peso crescente che queste realtà urbane stavano acquisendo, i Governi centrali non hanno mai dato loro molta importanza. Intimoriti da autorità locali troppo forti o controllate dall’opposizione, hanno avuto fin dal principio la tendenza a considerare le città più grandi come focolai politici, ed hanno conseguentemente ostacolato i sindaci attraverso drastiche riduzioni nell’erogazione di fondi ed un forte interventismo centrale anche nelle questioni di interesse locale e raramente venivano reinvestiti fondi nell’edilizia convenzionata, nelle infrastrutture o nell’incentivazione dell’occupazione. In Africa, storicamente, le città non sono state considerate motori per lo sviluppo economico del territorio e le decisioni politiche intraprese in seguito all’indipendenza sottolineano il loro ruolo di supporto al Governo centrale. Con l’indipendenza il rinnovato settore pubblico, centrale e locale, diede lavoro ad una grande fetta della popolazione destinata a divenire la classe media emergente. Con i programmi di aggiustamento strutturale degli anni ’80 tuttavia vennero soppressi numerosi posti di lavoro dimezzando quella fascia di popolazione che avrebbe dovuto portare allo sviluppo delle attività economiche a livello locale.

54. Anche se non sufficiente

Fig. 13 Contributo dei diversi comparti economici al Pil

a garantire tassi di crescita del reddito pro-capite adeguati a ridurre l’incidenza della povertà, la crescita economica registrata dall’Africa negli ultimi anni proviene essenzialmente dalle aree urbane44. Una stima del contributo delle “attività economiche urbane” può essere realizzata considerando il contributo del settore secondario e terziario (generalmente localizzato in aree urbane) alla crescita del Pil.

44. Il contributo delle città al PIL nazionale può essere valutato solo in modo indiretto in quanto non ci sono Paesi in Africa che mettono a disposizione dei bilanci disaggregati sulla base di aree geografiche. Un “PIL locale” è stato ad esempio calcolato approssimativamente per alcune delle città più grandi dell’Africa del Sud. Le economie di Johannesburg, il Capo e Durban rappresentano così circa il 50% del PIL del Paese e raccolgono solo il 20% della popolazione. Addis Abeba invece accoglie il 4% della

popolazione ma produce il 20% del PIL Paese. 45. Solo il Cameron, in Costa d’Avorio, in Malawi, in Nigeria ed in Rwanda che l’industria ed i servizi contribuiscono per meno di metà alla crescita del PIL Paese come conseguenza di performance agricole elevate. 46. Dati relativi al decennio 1990-2003, Fonte: La transition urbaine en Afrique Subsaharienne, 2006.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Nel decennio 1993-2003 l’economia urbana ha contribuito per il 79% alla crescita del Pil africano rispetto ad un 100% circa in Europa e Asia centrale. Questa spinta alla crescita è sostanzialmente imputabile ai servizi che, da soli, contribuiscono a più della metà del Pil africano assimilando in questo trend l’Africa alle economie più sviluppate45.

55. L’industria contribuisce solo per il 30% al Pil africano46. In aggiunta, la sua crescita è stata inferiore a quella del Pil africano per una buona parte degli anni ’90. Con l’eccezione di qualche città mineraria, l’industria, specie quella manifatturiera, non è mai stata fortemente presente nelle città africane, di piccole come di grandi dimensioni. Inoltre ha ridotto nel tempo la sua importanza quasi ovunque, compresa l’Africa del Sud dove storicamente ha avuto una presenza maggiore, come risultato del progressivo allontanamento del settore pubblico dal capitale delle imprese in virtù dei Programmi di Aggiustamento Strutturale. Numerose industrie sono sopravvissute infatti grazie a sovvenzioni pubbliche: la crisi finanziaria degli Stati e gli avvertimenti del FMI hanno accelerato il declino del settore.

56. In Africa, accanto alle tradizionali forme regolamentate di attività economica, esiste un settore informale di crescente importanza che sopperisce all’offerta scarsa di posti di lavoro dei settori tradizionali e rappresenta molte volte la motivazione che spinge la popolazione a migrare dalle campagne alla città in cerca di opportunità migliori. Secondo delle stime47, l’economia informale è responsabile del 78% dei posti di lavoro non agricoli in Africa, del 93% dell’insieme dei nuovi posti di lavoro nonché del 61% dei posti di lavoro nelle aree urbane48. L’economia informale è quindi una fonte di lavoro essenziale per una buona parte della popolazione urbana e per le donne in particolare. Tuttavia se è vero che il settore informale risponde ad esigenze che difficilmente potrebbero essere soddisfatte altrimenti, l’importanza che oggi ricopre in Africa è un altro segnale della crisi urbana che sta interessando la maggior parte delle città. Si tratta infatti di un rimedio di breve termine e non di uno strumento per lo sviluppo sostenibile della società49. Il contributo dell’economia informale tende infatti a diminuire con l’aumento del livello di sviluppo50. È stato stimato che l’economia informale contribuisce al Pil non agricolo dell’Africa per il 40%, di gran lunga superiore al 31% registrato in Asia e al 29% in America Latina.

57. Se in passato poteva essere normale considerare l’economia informale come marginale ed improduttiva, oggi i numeri dimostrano come il suo contributo alla produttività globale sia fondamentale per tutti i Paesi in via di sviluppo così come la sua importanza per i lavoratori ed i consumatori portando ad identificare la regolamentazione del settore informale come una delle sfide dell’economia urbana dei prossimi anni. Le imprese informali sono infatti quelle più vulnerabili alle carenze dei dispositivi di tutela giuridica e si appoggiano spesso alla propria rete di relazioni quando non possono fare affidamento su di un’applicazione onesta ed imparziale delle leggi e dei regolamenti o su degli organismi di sostegno per lo sviluppo di business.

47. Fonte: ILO, 2002. 48. Questa percentuale arriva anche al 90% in alcuni Paesi come il Benin. 49. Uno studio del settore manifatturiero informale in Nigeria ha dimostrato che queste imprese sono redditizie per i proprietari ma che creano tuttavia limitati posti di lavoro ingrandendosi e

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consolidandosi. Restano spesso molto piccole e sottocapitalizzate ed effettuano molto raramente delle transazioni con imprese più importanti del settore formale (CBN/NISER/FOS, 2003). 50. Fonte : C. Kessides, La transition urbaine en Afrique Subsaharienne, 2006.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Box 6 - Harare: regolamentare l’economia informale per promuovere lo sviluppo economico della città Il tema di come strutturare e comporre le città Africane assume sempre più importanza. Un numero crescente di città sta cominciando a riconoscere il valore di questo tema e a predisporre politiche locali in grado di valorizzare queste attività e non invece di ostacolarle come è stato consuetudine fare fino a qualche anno. Un esempio di successo è stato quello di Harare (capitale dello Zimbabwe) che ha lanciato dal 1994 al 2004 delle politiche capaci di riconoscere i rapporti sinergici tra l’economia formale e quella informale. Abbandonando il tradizionale approccio ostativo in favore di politiche di deregolamentazione di alcuni spazi urbani, Harare ha incentivato alcune piccole imprese familiari ad insediarsi

negli spazi urbani tradizionalmente riservati ai bianchi. L’Autorità locale ha creato spazi attrezzati per il lavoro, ha equipaggiato superfici da adibire a mercati e mercati delle pulci, ha coordinato la realizzazione di infrastrutture per i servizi pubblici essenziali ed ha contribuito a sviluppare le competenze e conoscenze gestionali dei piccoli imprenditori informali. Variabile di successo di queste politiche è stata la partecipazione dei portatori di interesse locali ai processi decisionali. Sono stati creati numerosi posti di lavoro, per i giovani disoccupati e donne soprattutto, e i beni ed i servizi offerti erano caratterizzati da un prezzo più vantaggioso ed accessibile anche alle fasce di popolazione meno abbiente.

V. LE SFIDE SOCIALI

58. La tendenza all’urbanizzazione è generalmente un fattore positivo per la riduzione della povertà di un Paese. Il United Nations Population Fund ha esaminato la relazione tra le maggiori opportunità offerte dalle città e la riduzione della povertà in 25 Paesi ed ha concluso che l’urbanizzazione ha contribuito significativamente alla riduzione della povertà51. La crescita urbana favorisce in più modi la riduzione della povertà. In primo luogo consente l’allargamento e la diversificazione del mercato del lavoro ed agevola l’erogazione efficiente dei servizi. Le aree urbane si caratterizzano infatti per una forte concentrazione della domanda e per un’ampia offerta di lavoro e di servizi. Sotto un punto di vista meno quantificabile, ma ugualmente rilevante, l’eterogeneità della popolazione urbana contribuisce all’ampliamento delle prospettive ed al cambiamento di abitudini consolidate favorendo l’emergere di ambizioni in gruppi svantaggiati che possono rimettere in discussione il proprio status quo52. Erogare servizi sociali, realizzare le infrastrutture a supporto dei servizi di base e perseguire gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio può inoltre risultare più facile in un contesto urbano53. Dal lato dell’offerta le decisioni riguardanti la produzione, i soggetti gestori della rete e gli erogatori del servizio saranno più facili da adottare nelle città che nelle aree a più debole concentrazione di popolazione. Il costo pro-capite di numerosi servizi, infrastrutturali o

51. A titolo d’esempio il 28,3% della riduzione della povertà in Bolivia tra il 1999 ed il 2005 è attribuibile all’urbanizzazione (UNFPA, 2007).

52. Fonte: WDR, 2003. 53. Fonte: C. Kessides, La transition urbaine en Afrique Subsaharienne, 2006.

99


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

sociali, sarà infatti generalmente più basso in quanto la popolazione interessata sarà molto più estesa. Risulta inoltre più facile attrarre e mantenere il personale, assicurare la qualità del servizio e mettere in concorrenza più opzioni in città rispetto alle aree più remote. Nelle aree urbane anche alcuni fattori collegati al lato della domanda possono rappresentare degli elementi facilitatori per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. I cittadini possono infatti più facilmente ottenere informazioni ed osservare le conseguenze collegate a certi comportamenti o politiche implementate dalle Istituzioni pubbliche locali. Delle azioni di sensibilizzazione/prevenzione possono essere conseguentemente implementate con più facilità a fronte di una domanda più consapevole. In ultima analisi è da sottolineare come l’accesso ai redditi derivanti da attività non agricole e sviluppate in un contesto urbano favorisca anche la riduzione della povertà rurale rappresentando una base significativa di risorse finanziarie con cui integrare i redditi delle famiglie rurali attraverso i numerosi trasferimenti di denaro. La vicinanza dei mercati urbani moltiplica infine le opportunità di commercio e scambio per la popolazione residente nelle aree rurali limitrofe.

59. La povertà urbana resta tuttavia un fattore significativo nelle città africane dove il 43% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e le previsioni per i prossimi anni vedono questa percentuale in aumento. La questione fondamentale che si pone è quindi quella di capire in che misura la povertà che si registra in città è parte di un processo di transizione economica e di cambiamento normale per un Paese e quanto invece di questo fenomeno è un effetto perverso derivante da fallimenti di politiche pubbliche e da disfunzionamenti delle Istituzioni pubbliche locali.

60. Tradizionalmente, fino alla metà degli anni ’80, la povertà nei Paesi in via di sviluppo era associata principalmente alle aree rurali. Con la transizione urbana in atto in Africa il peso della povertà si sta spostando progressivamente dalle aree rurali verso le città e si sta sempre più qualificando come fenomeno urbano in un processo che prende il nome di “urbanizzazione della povertà”. Se fino a qualche anno fa i tassi di povertà rurale erano significativamente superiori a quelli registrati nelle aree urbane con degli scarti anche importanti in termini di reddito, consumi o spese, con il passare del tempo questa differenza si è assottigliata. Nonostante i vantaggi economici ed i benefici sopra illustrati derivanti dalla vita in area urbana, è stato dimostrato54 che le differenze tra i tassi di povertà non sono più così grandi e che in alcuni casi l’incidenza della povertà sulla popolazione urbana si assesta quasi agli stessi livelli della povertà rurale55.

61. In base alle proiezioni sull’evoluzione dell’urbanizzazione e nell’ipotesi di tassi relativi di povertà rurale e urbana costanti, si prevede che nei prossimi vent’anni il livello di povertà urbana continuerà a crescere avvicinandosi o superando il 50% in Benin, in Kenya, in Mozambico, in Nigeria, in Senegal ed in Mauritania. La crescita prevista dei tassi di povertà urbana dipende in parte, ma non esclusivamente, dall’incremento esponenziale della popolazione urbana56. L’analisi della povertà urbana in Africa mette in evidenza ulteriori spiegazioni come i fallimenti delle Istituzioni pubbliche nel disegnare politiche ade54. C. Kessides, La transition urbaine en Afrique Subsaharienne, 2006. 55. Lo scarto tra i tassi di povertà urbana e di povertà rurale si assesta in un intervallo inferiore al 20% in Etiopia, Kenya, Malawi, Mozambico e Nigeria. Quasi un terzo della popolazione urbana

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vive sotto la sogli di povertà in Etiopia, Gambia, Zambia, Madagascar, Kenya, Malawi, Mozambico, Nigeria e Senegal. 56. La correlazione tra queste due dimensioni è infatti debole ed il coefficiente di correlazione per l’Africa è di 0,22.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Fig. 14 La frammentazione spaziale a Nairobi guate e responsabili così di (Fonte: TEH-Ambrosetti su mappa Google Earth, 2008) perpetuare l’esclusione sociale e le ineguaglianze tra le fasce più ricche e quelle più povere. I redditi bassi non risultano essere così gli unici responsabili del problema in analisi, le difficoltà nell’ottenimento di servizi adeguati, lo stato di sviluppo della sanità, il livello di educazione, la sicurezza individuale e della comunità in generale sono infatti sintomi di ostacoli istituzionali sottostanti e di un’esclusione sociale che difficilmente può essere superata anche da famiglie a redditi intermedi. La povertà urbana in Africa assume molteplici sfaccettature e si manifesta a livello spaziale con le cosiddette “città frammentate”. Siccome persone dalle caratteristiche simili tendono a stabilirsi in aree urbane simili, la crescente urbanizzazione in atto nella maggior parte dei Paesi dell’Africa si accompagna alla nascita di aree urbane altamente specializzate e diversificate. I quartieri urbani si polarizzano e progressivamente si distaccano dall’ambiente circostante in un processo continuo di consolidamento delle differenze e delle peculiarità. Questo fenomeno non esprime solo una diversità socio-economica ma genera e consolida delle contraddizioni spaziali, sociali, economiche e politiche difficilmente riconciliabili in un piano ed una visione unitaria. Nelle “città frammentate” gli spazi pubblici sono sempre più lasciati agli indigenti e ai senza tetto mentre le fasce di popolazione più benestanti tendono a svolgere la propria vita ed i propri affari negli spazi chiusi così da rendere le città un luogo dove i quartieri ed i rispettivi residenti sembrano vivere e funzionare in modo autonomo. Anche se la frammentazione sociale e fisica è più evidente nelle grandi città, si tratta di un fenomeno urbano pervasivo che è possibile riscontrare in tutte le città africane che hanno registrato una crescita significativa negli ultimi vent’anni. La frammentazione urbana dà origine tipicamente a due città. La fascia di popolazione meno abbiente vive in zone ad alta densità su spazi non pianificati e per la maggior parte senza alloggi adeguati, servizi municipali e altri benefici solitamente garantiti in aree urbane. Le fasce più benestanti invece risiedono in aree pianificate e strutturate che beneficiano di tutte le facilities e di tutti i servizi pubblici. I quartieri privi delle infrastrutture di base e dei servizi pubblici essenziali sono quelli che ospitano la maggior parte della popolazione nelle città africane ed è in questi quartieri che le manifestazioni più evidenti della povertà urbana possono essere evidenziate.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Fig. 15 Fonte TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2003

Percentuale di famiglie urbane senza… Condizioni igieniche accettabili

Acqua potabile

Sufficiente spazio vitale

Abitazione duratura

Abitanti degli slum (%)

Benin

26,0

66,1

17,8

20,3

83,6

Burkina Faso

16,0

64,1

15,5

7,6

76,5

Capo Verde

36,0

52,5

n.d.

n.d.

69,6

Costa d’Avorio

10,0

53,5

22,6

0,8

67,9

Gambia

20,0

58,8

n.d.

n.d.

67,0

Ghana

13,0

55,2

21,2

0,9

69,6

Guinea

28,0

44,7

24,0

8,5

72,3

Guinea-Bissau

71,0

77,4

n.d.

n.d.

93,4

2,0

54,8

n.d.

n.d.

55,7

Mali

26,0

81,2

21,7

37,6

93,2

Niger

30,0

88,1

30,2

35,4

96,2

Nigeria

19,0

60,6

26,5

11,2

79,2

Senegal

8,0

62,3

27,3

6,4

76,4

Sierra Leone

77,0

81,7

n.d.

n.d.

95,8

Togo

15,0

70,2

19,7

4,8

80,6

Liberia

62. Se affrontare la povertà urbana è la sfida sociale più importante che le città africane si troveranno ad affrontare nei prossimi anni per garantire una sostenibilità allo sviluppo delle proprie città, numerosi sono gli aspetti più o meno direttamente collegati che una sfida di tali dimensioni implica come ad esempio la riduzione della criminalità e della violenza urbana. Dal 1999 al 2000 si è registrato globalmente un incremento dei casi di criminalità violenta che sono passati da 6 a 8,8 ogni 100.000 persone57 e dal 2002 il 60% della popolazione urbana dei Paesi in via di sviluppo sono stati vittima di un crimine, di cui il 70% in America Latina e Africa. Il tasso di omicidi più alto si trova nell’Africa subsahariana ed in America Latina. Oggi la criminalità e la violenza urbana sono considerate tra le più importanti minacce alla sicurezza nelle città africane58 e numerosi sono gli sforzi che le Autorità locali stanno facendo per migliorare la sicurezza anche sviluppando degli approcci innovativi di coinvolgimento dei cittadini stessi.

63. Accanto alla povertà urbana un ulteriore fenomeno, a questo collegato ma distinto, che merita attenzione è il livello di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi tra la popolazione urbana. I livelli di ineguaglianza urbana sono progressivamente aumentati

57. Fonte: UN-Habitat, 2008 58. Nel 2000 il 30% degli abitanti di Johannesburg hanno dichia-

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rato di essere stati vittima di una rapina (UN Habitat, 2008).


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Fig. 16 Coefficiente medio di Gini delle aree urbane a partire dal 1980 in tutti i (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2008) Pa e s i d e l m o n d o e d i n modo particolare nei Paesi in via di sviluppo, in Africa ed in America Latina raggiungendo poi dei valori e c c e z i o n a l m e n t e a l t i 5 9. N u m e ro s i s t u d i co nfe rmano come lo s viluppo economico si accompagna solitamente ad un incremento dei livelli e delle forme di disuguaglianza (diverse capacità umane ed opportunità, diversi livelli di partecipazione alla vita politica, diversi consumi e redditi, disparità negli standard di vita e nell’accesso alle risorse ed ai servizi di base, ecc.). Tuttavia livelli eccessivamente alti di disuguaglianze possono ostacolare lo sviluppo socio-economico, ridurre l’incisività delle politiche pubbliche miranti alla riduzione della povertà, bloccare la crescita economica di un territorio e creare le precondizioni per disordini sociali e conflitti. Il tasso medio di crescita economica del 5,4%60 dell’Africa negli ultimi dieci anni ha contribuito ad esacerbare le disparità tra le fasce di popolazione urbana più e meno abbiente e queste disparità corrono il rischio di divenire ancora più consistenti se non verranno adottate delle politiche a riguardo61. In termini di disuguaglianze nella distribuzione del reddito urbano l’Africa subsahariana è seconda solo all’America Latina ed i Caraibi ed è caratterizzata da un coefficiente di Gini62 di 0,46 rispetto allo 0,50 della prima in classifica. Con l’eccezione dell’Algeria, della Namibia e del Sierra Leone dove i livelli di ineguaglianza sono più elevati nelle aree rurali, in tutti gli altri Paesi per cui sono disponibili dei dati, il valore medio del coefficiente di Gini è superiore nelle aree urbane. In Sudafrica ed in Namibia le disuguaglianze sono molto pronun-

59. I Paesi dell’America Latina e dell’Africa che registrano i più alti livelli di disuguaglianze sono il Brasile, la Colombia, il Kenya, la Namibia, il Sudafrica e lo Zimbabwe (Fonte: UN-Habitat, State of World’s Cities 2008/2009). 60. Il tasso di crescita del PIL africano nel 2009 ha un valore molto basso (2,3%) a causa della crisi che ha interessato tutti i Paesi. Per non distorcere eccessivamente i risultati questo dato non è stato conteggiato nel calcolo del valore medio sugli ultimi dieci anni Fonte: Fondo Monetario Internazionale, 2009. 61. Paesi come il Ghana, il Mozambico e la Tanzania hanno sperimentato una rapida crescita economica negli ultimi anni e parallelamente hanno registrato dei livelli di disuguaglianze in crescita. Tuttavia la crescita economica non è l’unica leva alla base dell’aumento delle ineguaglianze di un territorio tanto che Paesi che hanno avuto una crescita moderata come il Cameron e la Costa d’Avorio hanno registrato dei crescenti livelli di ineguaglianze. 62. Il Coefficiente di Gini è una misura della disuguaglianza di una distribuzione. Spesso è impiegato per misurare la disuguaglianza del reddito o della ricchezza. È un numero compreso

tra 0 e 1. Valori bassi del coefficiente indicano una distribuzione più uguale con il valore 0 che corrisponde all’uguaglianza perfetta. Valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale con il valore 1 che corrisponde alla più completa diseguaglianza. Il coefficiente di Gini può essere impiegato come indicatore del livello di diseguaglianze di reddito e ricchezza nelle città. Generalmente le città che presentano un valore del coefficiente compreso tra 0,2 e 0,39 sono caratterizzate da una distribuzione di risorse relativamente equa, tipicamente hanno una situazione sociale stabile ed elevati livelli di sviluppo economico. Un valore dello 0,4 denota una distribuzione moderatamente ineguale di redditi o ricchezza ed è considerato internazionalmente il valore soglia oltre il quale le città dovrebbero predisporre delle misure d’urgenza per limitare l’ampiezza delle disuguaglianze. Le città con dei valori del coefficiente uguali o superiori allo 0,6 soffrono di livelli eccessivamente elevati di disuguaglianze come risultato di un mercato del lavoro inefficace, un’economia stagnante, problemi strutturali nella distribuzione del benessere o fallimenti delle Istituzioni Pubbliche.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

ciate nonos t ante la fine dell’apartheid negli anni ’90. I livelli di disuguaglianza urbana in questi due Paesi sono anche maggiori di quelli delle città dell’America Latina. Il valore medio del coefficiente di Gini nelle città del Sudafrica è 0,73, quello delle città della Namibia è 0,62 mentre quello dell’America Latina 0,5. Freetown in Sierra Leone, Dire Dawa in Etiopia e Dar el Salaam in Tanzania sono tra le città con i livelli più bassi di ineguaglianze dell’Africa subsahariana con dei valori del coefficiente di Gini rispettivamente di 0.32, 0,39 e 0,36.

Fig. 17 Livelli di disuguaglianza nelle aeree urbane dell’Africa (Fonte:TEH-Ambrosetti su dati UN-Habitat, 2008)

64. Le disuguaglianze di reddito nelle città africane trovano le loro radici nel passato coloniale, ma sono state in seguito rafforzate dall’azione di Amministrazioni Pubbliche poco sensibili al tema e dall’implementazione di politiche inadeguate. I programmi di aggiustamento strutturale che hanno eliminato i sussidi per i servizi di base, ad esempio, non hanno avuto successo nell’alleviare la povertà urbana ed in alcuni Paesi hanno contribuito ad incrementare non solo la povertà ma anche il livello di disuguaglianza63.

63. Per quanto riguarda le aree urbane del Kenya il coefficiente di Gini è passato da 0,47 nel 1980 a 0,57 nel 1990 essenzialmente a causa dei Programmi di Aggiustamento Strutturale, in Nigeria,

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per le stesse motivazioni, si è registrato un incremento del valore del coefficiente da 0,37 a 0,41 (Fonte: UN-Habitat, State of World’s Cities 2008/2009).


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

VI. LE SFIDE ISTITUZIONALI

65. Come accaduto per la maggior parte delle regioni in via di sviluppo del mondo, molti Paesi africani hanno avviato processi di decentramento nel corso dell’ultimo decennio con sindaci e consigli comunali eletti a livello locale. Parallelamente questi Paesi hanno gradualmente tentato di decentrare l’autonomia di bilancio a beneficio delle Amministrazioni locali, ma il decentramento non può dirsi ancora completato nella maggior parte delle città africane.

66. Le performance finanziarie delle città e quindi il livello di prestazioni in termini di fornitura di servizi dipendono principalmente dal quadro fiscale definito a livello centrale che stabilisce la rispettiva autonomia in materia di riscossione delle imposte e l’accesso alle risorse centrali (direttamente o per trasferimento). Le entrate (ivi incluse le imposte e gli aiuti) e le uscite delle Amministrazioni locali in termini di percentuale di Pil sono molto variabili a seconda della regione analizzata. Nei Paesi della Comunità Europea ad esempio, le spese della Amministrazioni locali rappresentano in media l’11% del Pil con significative differenze tra un Paese e l’altro64. In Africa nello specifico le risorse locali possono arrivare al 5% del Pil in Uganda o al 3,5% in Sudafrica65, ma il livello è generalmente dell’1% o meno come in Benin, in Burkina Faso, in Cameron, nel Ghana, in Senegal o in Costa d’Avorio. Le Amministrazioni locali africane fanno meno affidamento sulla tassazione e più sui trasferimenti di denaro dal livello centrale rispetto alla maggior parte delle economie decentrate66. Spesso l’autonomia fiscale e la capacità di indebitamento delle città, in particolare le grandi città e quelle in cui la crescita della popolazione è rapida, non sono adeguate per permettere l’erogazione di servizi e gli investimenti necessari per lo sviluppo armonioso delle aree urbane e ridotti sono i margini di manovra che restano67. La scarsità di risorse a livello locale non sempre è compensata da investimenti statali a favore delle aree urbane68 che non vengono così attrezzate con l’infrastruttura ed i servizi necessari per uno sviluppo integrato e sostenibile.

67. In molti Paesi i Governi municipali presentano debolezze strutturali notevoli non solo dal punto di vista finanziario, ma anche tecnico. La ragione principale risiede nel fatto che per lungo tempo sono prevalse le tendenze all’accentramento delle responsabilità di pianificazione e finanziarie con la conseguente riduzione del flusso di risorse destinate ai Governi

64. A titolo d’esempio si passa da un 31% sul PIL in Danimarca al 2,8% in Grecia. In Messico le spese e le risorse locali rappresentano ciascuna l’1,4% del PIL e su un campione di Paesi in transizione (Bulgaria, Georgia, Kazakistan, Moldavia, mongolia, Romania) le stesse grandezze oscillano tra il 5% ed il 14% (Fonte: FMI 2004). 65. Fonte: FMI, 2004. 66. Da sottolineare tuttavia il limitato apporto delle entrate locali che ad esempio in Benin, in Burkina Faso, in Cameron, nel Ghana, in Senegal o nella Costa d’Avorio non rappresentano più del 5% delle entrate statali. 67. L’applicazione di un’imposta sugli immobili non viene praticata

spesso nonostante rappresenti una tre le più significative e potenzialmente rilevanti risorse finanziarie per le città. Il Sudafrica è l’unico Paese ad applicare in modo rigoroso questa imposta che rappresenta il 72% delle entrate fiscali delle Amministrazioni locali. 68. In Cameron le spese in conto capitale per le 18 più importanti città rappresenta l’1% delle entrate dello Stato. In Nigeria solo l’8% del budget nazionale per gli investimenti è destinato alle aree urbane (ivi compresi tutti settori di attività) mentre l’80% alle zone rurali. Le Amministrazioni locali di questo Paese spendono l’equivalente del 7% delle già limitate risorse statali destinate alle aree urbane.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

locali e il limitato margine di manovra lasciato a questi ultimi per la gestione degli affari locali. Nonostante le risorse finanziarie e le strutture amministrative inadeguate, le autorità locali africane stanno cominciando a prendere coscienza del ruolo potenzialmente strategico che possono svolgere per lo sviluppo delle aree urbane e del Paese ed hanno avviato dei partenariati per supportarsi vicendevolmente, colmare le lacune di competenze e favorire la diffusione di buone pratiche di governo69.

68. Come risposta al decentramento crescente di poteri e responsabilità in atto in molti Paesi dell’Africa subsahariana, si comincia ad osservare la nascita di nuove forme di governo locale che, riconoscendo la complessità del contesto urbano e l’importanza del coinvolgimento dei diversi portatori di interesse rilevante per un’ef ficace e rapida implementazione delle politiche pubbliche, aprono i processi decisionali più critici alla partecipazione di cittadini e di rappresentanze di categoria. Accanto alle istituzioni pubbliche centrali e locali, si riconosce progressivamente il peso degli interessi di agenzie non governative, del settore privato, di associazioni della società civile e non ultimo dei cittadini. In molte città dei Paesi in via di sviluppo, ed ad un livello ancora poco significativo in Africa70, si sta realizzando un cambio di paradigma verso una governo urbano partecipato che ha come obiettivo quello di creare consenso nel disegno e nell’implementazione di politiche pubbliche.

69. Nuove forme di governo emergono anche dalla complessità gestionale posta da quelle metropoli africane che sulla spinta della crescente urbanizzazione degli ultimi anni hanno registrato un’espansione incontrollata che spesso ha portato le città ad oltrepassare gli originali confini amministrativi ed inglobare progressivamente i comuni ed i territori limitrofi.

69. A questo riguardo è possibile citare alcuni esempi di aggregazioni tra comuni ed enti locali tra cui: “Africités” un conferenza che dal 1998 ogni due anni viene organizzata dall’Association des cités unies et des collectivités locales; la Rete delle città del Sudafrica (Reseau des villes d’Afrique du Sud) che raggruppa le nove città più importanti del Paese; il Consiglio dei Comuni e delle Regioni dell’Africa (Conseil des Communes et Régions d’Afrique) creato nel 2005 dalla fusione di tre sotto gruppi dell’Africa in modo da avere “una voce che parla a favore dello sviluppo sostenibile delle collettività locali in Africa” o ancora l’Associazione nazionale dei Comuni del Benin (ANCB) istituita nel 2003 con l’obiettivo di costituire un terreno comune per la difesa degli interessi e la promozione dello sviluppo dei comuni del Paese. 70. A titolo d’esempio in Kenya il Ministero per gli affari regionali

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(PPP) ha adottato delle misure per facilitare e migliorare le relazioni tra i Consigli Comunali ed i residenti attraverso il Piano di Riforma del Governo Locale (LGRP) ed i connessi Piani d’Azione per lo Sviluppo dei Servizi delle Autorità Locali (LASDAP). Il Piano di Riforma in oggetto rende il coinvolgimento della collettività locale una precondizione affinché le Amministrazioni possano accedere ai fondi del Governo centrale (Local Authority Transfer Fund) per il finanziamento dei propri progetti di sviluppo. L’obbligatorio coinvolgimento degli stakeholder ha portato le Autorità locali ad allargare alcuni processi decisionali (es. bilancio preventivo) ai cittadini consolidando il senso di appartenenza ad una comunità e anche se il processo è ancora ai suoi albori e la natura del coinvolgimento è ancora più informativa che consultiva, sembra aver dato dei primi risultati confortanti (Fonte: UN Habitat, 2008).


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

L’emergere di queste nuove forme urbane (es. Corridoi urbani, Regioni Urbane, ecc.) rende la creazione di adeguate forme di governo di area vasta una necessità sempre più cogente per coordinare ed allineare gli orientamenti di sviluppo delle Autorità locali ricomprese nella più grande regione urbana. Sebbene l’istituzione di un sistema efficace rappresenti per la maggior parte delle volte una sfida complessa, soprattutto dal punto di vista politico ed amministrativo, questa è una soluzione sempre più studiata dalle più grandi metropoli africane. In Kenya, ad esempio, il Governo ha recentemente (2008) istituito un Ministero per lo Sviluppo della Regione Metropolitana di Nairobi che su di un’area di 3.000km2 ed una popolazione di 4,73 milioni di abitanti (21% della popolazione urbana del Paese) incaricato di creare un sistema di trasporto efficiente, sostituire gli insediamenti abitativi informali con alloggi accessibili alle fasce di reddito più basse, applicare le regole dell’urbanistica, promuovere, sviluppare ed investire nelle public utilities.

Box 7 - Curitiba: un modello di sviluppo urbano partecipato per i Paesi in via di sviluppo Curitiba, capitale dello Stato del Paranà a sud del Brasile, presenta tutte le criticità di una metropoli cresciuta troppo in fretta passando dai 300.000 abitanti del 1950 ai circa 2.500.000 attuali. Tuttavia è riuscita nel tempo a raggiungere livelli di istruzione, salute, benessere, sicurezza, partecipazione democratica, stabilità politica, senso civico e tutela dell’ambiente sensibilmente migliori, non solo del resto del Brasile, ma anche di numerosi Paesi industrializzati, rappresentando oggi una città simbolo del buon governo urbano, della crescita ordinata e della partecipazione democratica alle scelte di sviluppo. Questo risultato è stato infatti ottenuto non attraverso una pianificazione centralizzata, ma sviluppando centinaia di iniziative ad ampio raggio poco costose, semplici, locali e centrate sulla persona che hanno rivitalizzato i meccanismi di mercato e le capacità personali. Curitiba ha potuto avvalersi di una leadership lungimirante e pragmatica, di un processo di progettazione integrata e di una forte partecipazione pubblica e privata. Svariati sono gli esempi che testimoniano il rispetto ed il coinvolgimento della cittadinanza quale risorsa strategica da valorizzare. Tra questi di particolare interesse sono le “Strade della Cittadinanza”, un’area urbana simbolo del decentramento amministrativo che concentra un’ampia fascia di servizi pubblici evitando alla popolazione lunghi spostamenti verso il centro della città e che costituisce un terreno d’elezione per agevolare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali pubblici.

I principi guida alla base degli aspetti urbanistici e amministrativi delle “Strade della Cittadinanza” sono: - equità: per garantire le medesime condizioni di servizio a tutti i cittadini delle differenti zone della città; - accessibilità: per questo le Strade della Cittadinanza sono localizzate in prossimità dei terminali del trasporto pubblico e di altre strutture pubbliche municipali; - qualità: assicurare la qualità dei servizi, attraverso il rispetto dei criteri di efficacia ed efficienza In queste strutture sono disponibili servizi come la prenotazione di prestazioni ambulatoriali, l’iscrizione alla COHAB (Compagnia delle Abitazioni Popolari di Curitiba) e alle scuole pubbliche, il pagamento delle imposte e l’ottenimento di credito facilitato. Oltre ai nuclei di servizio di tutte le segreterie comunali sono anche presenti rappresentanze sia del Governo statale che di quello federale. Alcune Strade della Cittadinanza ospitano ambulatori pubblici, sportelli bancari, uffici delle aziende statali dell’acqua e della luce, del trasporto locale, dell’Istituto d’Identificazione, dei giudici di pace, sportelli delle finanze statali e federali, la sede del SEMPRE / SINE (Servizio Pubblico di Collocamento / Sistema Nazionale di Collocamento), dell’Assistenza Sociale Municipale, dell’Esercito, dei Pompieri e delle Poste. Sono anche presenti i cosiddetti “Empori della Famiglia”, una tipologia di

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

supermercati popolari dove i membri di nuclei familiari che complessivamente percepiscono un reddito inferiore a tre salari minimi, presentando la propria carta di identità elettronica, possono acquistare beni alimentari ad un prezzo del 30% inferiore a quello di mercato. E’ soprattutto nelle Strade della Cittadinanza che avviene la partecipazione della popolazione alla vita pubblica della città e che sono presentate e discusse le proposte di pianificazione urbana. Sempre all’interno di queste strutture si trovano anche

piccole attività commerciali, biblioteche, auditorium, e ampie aree polisportive coperte dedicate al tempo libero autogestite dagli abitanti della zona sotto la supervisione dell’amministrazione regionale. Queste attività commerciali e ricreative, nate inizialmente con la funzione di attrarre la popolazione e promuovere la fruizione dei servizi pubblici - obiettivo primario del progetto - oggi contribuiscono a rendere le Strade della Cittadinanza un vero punto di incontro per la popolazione di Curitiba.

70. Un’ulteriore sfida che si pone alle città africane che nei prossimi anni assorbiranno la parte più consistente dell’incremento della popolazione mondiale, riguarda lo sviluppo ed il consolidamento di strumenti di governo urbano in grado di supportare le Autorità locali nella risoluzione delle criticità evidenziate dai trend demografici ed economici. Nello specifico la pianificazione strategica ed urbanistica, strumento chiave a supporto dei processi di sviluppo urbano, non è stata abbastanza lungimirante e, basandosi su dati spesso approssimativi e statistiche difficilmente reperibili, non è stata in grado di inquadrare e regolamentare efficacemente la massiccia urbanizzazione degli ultimi anni portando nella maggior parte delle città africane ad un’urbanizzazione spontanea dominata da insediamenti di carattere illegale e spesso informale e all’incremento della popolazione urbana a basso reddito senza disponibilità di un alloggio adeguato e senza accesso ai servizi di base come l’acqua, i servizi igienici o l’elettricità.

71. Se per molto tempo i piani urbanistici delle città si sono focalizzati essenzialmente sulla dimensione spaziale ed avevano la finalità prima di regolare l’occupazione del suolo al di là di ogni valutazione economico-finanziaria, da qualche anno le più grandi metropoli africane hanno cominciato ad elaborare piani strategici multidimensionali riflettendo in chiave sistemica ed integrata sull’insieme di leve (spaziali, economiche e sociali) che impattano sullo sviluppo di un’area urbana. Alla luce delle nuove evoluzioni spaziali delle aree urbane la pianificazione sta gradatamente cambiando scala passando da un focus limitato alla città verso una prospettiva regionale così da valorizzare l’apporto di tutti i nuclei urbani allo sviluppo dell’intero Paese. Nei prossimi anni i Governi centrali e le Autorità locali dovranno sempre più osservare il processo di urbanizzazione in un contesto regionale e non solo strettamente locale in modo da definire una gerarchia di nuclei urbani, spesso assente o ereditata dall’epoca coloniale e mai rimessa in discussione. La creazione di una gerarchia di città con determinate funzioni e ruoli eviterebbe infatti la concentrazione eccessiva di risorse o la duplicazione di funzioni e promuoverebbe uno sviluppo più razionale e sostenibile del Paese71.

71. A titolo d’esempio Kampala è stata oggetto di numerosi interventi di pianificazione nel 1912, 1930, 1948, 1968, 1972 e 1994 che prendevano in considerazione essenzialmente le esigenze locali senza focalizzarsi sul più ampio contesto nazionale. Persino il Piano del 1994 prevedeva la riqualificazione ed il rilancio solo di aree già sviluppate ed equipaggiate. Non appena l’impor-

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tanza della città cominciò a crescere e ad estendersi ci si rese conto che una pianificazione incentrata sulla sola area urbana di Kampala era insufficiente e l’Autorità locale sta attualmente lavorando su di una pianificazione di area vasta capace di valorizzare ed orientare meglio il contributo della città allo sviluppo dell’Uganda.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Box 8 - Nairobi Metro 2030 In Kenya nel 2008 viene dato avvio ad una sperimentazione unica e pionieristica in Africa nell’ambito della governance e della pianificazione di area vasta che, anche se ancora ai primi stadi di sviluppo, può preludere ad un radicale cambiamento di paradigma verso una gestione delle aree urbane come catalizzatori dello sviluppo del Paese. Per fronteggiare le proiezioni di crescita urbana della Regione Metropolitana di Nairobi e nel tentativo di rispondere adeguatamente alle sfide presenti e future, il Governo del Kenia ha elaborato un’ambiziosa visione strategica (Nairobi Metro 2030) per ridefinire a livello spaziale la Regione Metropolitana e creare un’area urbana di rango mondiale pensata per generare benessere sostenibile e qualità della vita per i residenti, investitori e visitatori. L’elaborazione e l’implementazione del Piano, che rientra in una visione più ampia di sviluppo del Paese, è responsabilità del Ministero per lo Sviluppo della Regione Metropolitana di Nairobi costituito ad hoc. La visione è di creare “la metropoli africana meglio gestita” fondata su un’economia internazionale, competitiva ed inclusiva e supportata da un’infrastruttura di alto livello e da una forza lavoro qualificata. Sulla base di valori chiave quali l’innovazione, l’imprenditorialità, la sostenibilità, la corresponsabilità, l’autonomia e l’eccellenza, la strategia è di ottimizzare il ruolo della Regione Metropolitana di Nairobi nello sviluppo nazionale facendo leva sui punti di forza che caratterizzano il territorio tra cui: la funzione di Nairobi come hub nel trasporto ae-

reo, il gran numero di Istituzioni locali ed internazionali localizzate sul territorio così come di Istituti di ricerca e scolastici. La Regione Metropolitana di Nairobi copre una superficie di 3.000km2 e raggruppa l’insieme di popolazione che gravita attorno a Nairobi per l’offerta di lavoro ed i principali servizi pubblici. La pianificazione iniziale riguarderà solo l’area compresa entro un raggio di 40km dal centro, nonostante l’area metropolitana si estenda su di un raggio di 100km o più e, oltre al Comune di Nairobi, sono ricompresi nell’area considerata anche 12 Autorità locali limitrofe ed indipendenti. Ancora da definire come l’architettura istituzionale prospettata per il governo di area vasta sarà in grado di conciliare i poteri e le rispettive autonomie delle altre istituzioni pubbliche aventi responsabilità di governo su frazioni del territorio sopra identificato. Nairobi Metro 2030 promuove l’integrazione tra le politiche economiche, le politiche infrastrutturali, le politiche sociali, la governance di sistema, le politiche ambientali e le politiche del lavoro per consolidare le competenze a livello istituzionale. L’economia urbana essenzialmente informale, combinata con l’inadeguata erogazione dei servizi di base e con circa la metà della popolazione di Nairobi che vive negli slum, contribuiscono a spiegare l’importanza della sfida che il Governo del Kenya, assistito da UN Habitat, sta affrontando con Nairobi Metro 2030. L’Africa intera seguirà con attenzione gli sviluppi del progetto nella speranza di poterne estrarre delle buone pratiche da replicare.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Box 9 - L’approccio della Banca Mondiale allo sviluppo urbano Con il Nuovo Paradigma di Sviluppo Integrato (CDF) lanciato nel 1999 dall’allora Presidente Wolfenshon la Banca Mondiale inaugura un nuovo approccio allo sviluppo ispirato ad una logica bottom-up e di tipo sistemico. Gli interventi in materia di sviluppo urbano, che hanno caratterizzato l’azione della Banca a partire dagli anni ’70, hanno subito nel tempo sostanziali riorientamenti. Per comprendere l’entità del cambiamento è opportuno tuttavia ripercorrere sinteticamente i principali step dell’evoluzione dell’approccio della Banca allo sviluppo urbano: - Anni ’70: l’obiettivo primario è la riduzione della povertà. I primi progetti prevedono investimenti multi settoriali in infrastrutture di base e nella costruzione di abitazioni a favore dei residenti urbani a basso reddito (slum upgrading). - Anni ’80: i temi della riforma istituzionale e della creazione di un quadro legale per una solida gestione politica e finanziaria delle municipalità entrano nell’agenda di sviluppo urbano della Banca e diventano le questioni chiave. I progetti mirano allo sviluppo municipale (municipal development) per promuovere la riforma finanziaria e per creare nuove competenze all’interno delle municipalità. Cominciano a diffondersi anche progetti di taglio mono settoriale: trasporto, acqua, servizi igienici, ecc. - Anni ’90: calo di interesse della Banca nei confronti delle tematiche di sviluppo urbano, riduzione degli investimenti sul tema ed enfasi sui progetti di aggiustamento strutturale. - 1997-98: rinnovato interesse verso i temi di sviluppo urbano sia per l’aumento della domanda di assistenza da parte dei Paesi in via di svilup-

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po sia per il ruolo di catalizzatore riconosciuto all’economia urbana. L’esperienza maturata sul campo e l’analisi dei risultati derivanti dai progetti realizzati, ha portato la Banca Mondiale all’adozione nel tempo di un approccio sistemico allo sviluppo urbano. Con l’approvazione del CDF si afferma ufficialmente la necessità di prestare attenzione a fattori che sino ad allora si ignorava potessero incidere sulla performance dei progetti di sviluppo locale come la riforma politica, i cambiamenti istituzionali, le questioni relative al finanziamento e alle attività sociali. Il fenomeno della transizione urbana in atto nella maggior parte dei Paesi viene interpretato come un fenomeno globale che investe più fronti, da quello tipicamente economico e finanziario a quello politico ed istituzionale e, in quanto tale, necessita una strategia di sviluppo urbano di ampia portata concepita in modo tale da affrontare in maniera parallela e coordinata i diversi aspetti. Tenuto conto che le esigenze dei soggetti destinatari degli interventi della Banca Mondiale differiscono in funzione delle modalità con cui il fenomeno della transizione urbana si manifesta e delle condizioni di partenza in cui ciascuno di loro si trova in termini di forza economica, capacità finanziaria e istituzionale, la Banca ha elaborato una strategia flessibile che le permette di dare risposte adeguate alle esigenze dei suoi interlocutori svolgendo un ruolo che varia dall’assistenza tecnica, al sostegno finanziario fino al supporto nella definizione degli obiettivi, delle priorità e delle strategie di sviluppo da parte delle municipalità.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

4. Considerazioni di sintesi e opportunità dello sviluppo urbano in Africa

72. Il 21° secolo è il secolo delle città e dell’urbanizzazione. Nel 2007 per la prima volta nella storia, a livello globale, la popolazione che vive nelle città ha superato quella rurale. Fig. 18 Ripartizione popolazione mondiale; % su totale (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Nazioni Unite)

73. Secondo le Nazioni

Fig. 19 Megalopoli nel mondo; numero, 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Nazioni Unite)

Unite ad oggi quasi 3 miliardi di persone vivono negli agglomerati urbani; nel 2015 questo numero salirà a oltre 4 miliardi. Questo vuol dire che nei prossimi 5 anni stante le previsioni - ogni giorno la popolazione urbana crescerà di oltre 500 mila unità. Tale trend porterà anche all’aumento dimensionale dei sistemi urbani: si prevede infatti che nel 2015 ci saranno nel mondo oltre 59 megalopoli (agglomerati urbani con oltre 10 milioni di abitanti). 72

72. State of the World Population.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

74. Questi fenomeni, pur a carattere globale, interesseranno soprattutto le aree in via di sviluppo che - a dif ferenza di quelle industrializzate in cui i processi di inurbamento di massa sono iniziati nel 19° secolo e oggi hanno tassi di crescita contenuti - vedranno la popolazione urbana crescere esponenzialmente.

Fig. 20 Popolazione urbana nelle aree in via di sviluppo; milioni di persone (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Nazioni Unite)

75. In nessuna epoca storica la popolazione delle città è cresciuta a tali ritmi. Concause di questa tendenza sono sicuramente i progressi fatti nell’agricoltura, scienza e medicina, ma anche fattori “push” come la povertà nelle aree rurali e la mancanza di risorse e - specularmente - “pull” come gli stili di vita moderni, le opportunità economiche, l’accesso ai servizi, ecc. che offrono i sistemi urbani.

76. Tutto questo ha implicazioni rilevanti ad almeno a tre livelli fortemente interrelati: - Strategico. In un’epoca di urbanizzazione di massa in cui quasi 9 persone su 10 nel 2050 vivranno in agglomerati cittadini, la progettazione degli assi di crescita e gestione dei sistemi urbani implicherà la necessità di risposte eccezionali per innovazione e efficacia rispetto a quanto fatto in passato. Tutto questo sarà reso ancora più critico dal fatto che in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato - e soprattutto dalle risorse finite - l’accesso ai fattori chiave necessari per lo sviluppo sarà una sfida che trascenderà i confini continentali. - Economico. Le città sono il perno della crescita mondiale. Questo è vero oggi; lo sarà ancora di più nel prossimo futuro. Tale constatazione apre una molteplicità di problemi che hanno un comune denominatore: creare le condizioni affinché le città siano centri produttori di opportunità e ricchezza. Se questo non avviene, il rischio è quello che si instauri un circolo vizioso di moltiplicazione di povertà e degrado. Significative sono in Fig. 21 Crescita della popolazione nei paesi in via di sviluppo; popolazione tal senso le previ totale in milioni (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Nazioni Unite) sioni delle Nazioni Unite che, con riferimento ai Paesi in via di sviluppo, stimano - in assenza di interventi incisivi - il maggior tasso di crescita della popolazione urbana nella fascia a medio e basso reddito (si veda figura a fianco).

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

- Sociale. Grandi flussi di persone di culture ed estrazione (anche fortemente) diverse in aree urbane sempre più grandi e dai confini sfumati, implicheranno sempre più anche grandi cambiamenti sociali negli stili di vita, nella cultura e nelle regole comuni di convivenza. Già oggi questi cambiamenti - e le tensioni che producono - sono evidenti. Nel prossimo futuro non potranno che accentuarsi. Per evitare pericolosi “punti di rottura” dovranno essere messe in campo politiche per gestire con efficacia anche questa dimensione.

77. Questi problemi/sfide riguardano tutto il mondo: il tema urbano è dunque uno dei grandi temi globali del prossimo futuro.

78. Nei Paesi in via di sviluppo e del terzo mondo, date le condizioni di contesto, tali sfide raggiungeranno le punte di criticità più elevate. In particolare l’Africa è (e sarà) una delle aree in cui le tensioni generate da questi processi saranno più forti.

79. In Africa l’urbanizzazione è più veloce che in ogni altra par te del mondo; al 2030 si prevede73  che: - G l i a f r i c a n i c h e vivranno nelle città sar anno oltre 750 milio ni ( p iù d e lla popolazione urbana dell’intero emisfero occidentale), con un incremento di 300 milioni di unità, il 45% in più rispetto ai valori attuali. - Le megalopoli con più di 10 milioni di abitanti passeranno d alle at t uali 1 (Il Cairo) a 3 (Il Cairo, Kinshasa e Lagos); aumenteranno anche le città con più di 1 milione di abitanti che passeranno da 52 a 75.

Fig. 22 Popolazione urbana in Africa; milioni (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT)

Fig. 23 Popolazione urbana in Africa; % del totale (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UN-HABITAT)

73. Fonte: stime UN-Habitat, Banca Mondiale. 74. Se tali tassi di crescita saranno confermati, al 2050 ci saranno

più persone nelle città africane che nelle città e nelle aree rurali (insieme) dell’emisfero occidentale.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Fig. 24 Megalopoli nel mondo, anno 2015 (Fonte: Nazioni Unite)

80. Queste spinte demo-

Fig. 25 Città con più di 1 milione di abitanti, 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Nazioni Unite)

grafiche, innestate su sistemi urbani fragili e non ancora reali motori di sviluppo sostenibile, rischiano di essere - come nelle parole della Banca Mondiale “bombe a tempo”, se non adeguatamente gestite. Secondo il recente rapporto UN-Habitat le città africane sono quelle che hanno: - la più alta percentuale al mondo di persone che vive negli slum, il 71.9%; - i più alti livelli di sperequazione del reddito (si veda figura 27).

81. Le sfide sono dunque sul campo. È da rilevare però che dopo decenni di errata pianificazione urbana e di scelte di sviluppo macroeconomico dai risultati perlomeno dubbi, la consapevolezza della comunità internazionale e la presa di coscienza dei governi africani rispetto alla necessità di un nuovo orientamento ai temi della sostenibilità urbana, aprono nuove prospettive.

82. In questa logica occorre tenere conto in primo luogo che la crescita della ricchezza del Continente avverrà soprattutto nei centri urbani. Oggi l’economia urbana in Africa genera circa il 55% del Pil totale; al 2030 si prevede che tale quota salirà al 75%. Questo dovuto anche alla:

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

Fig. 26 Coefficiente di GINI in alcune città africane; minimo=0, massimo=1 (Fonte: Nazioni Unite)

- Maggiore crescita della produttività nelle aree cittadine rispetto a quelle rurali; ricerche empiriche su alcuni Paesi africani hanno evidenziato che l’aumento della produttività è spiegato per misure consistenti (tra il 20 e il 50% a seconda dello specifico contesto) dal passaggio dell’occupazione dalle aree rurali a quelle urbane. - Maggiore creazione di posti di lavoro nelle città che nelle aree rurali. Si prevede che nel 2040 la forza lavoro africana sarà di 1,1 miliardi di persone, più di quella cinese e indiana75 . In ipotesi di adeguate politiche di sviluppo, circa i 2/3 dei nuovi posti di lavoro potrebbero creati nei contesti urbani. Fig. 27 Forza lavoro, milioni di persone (Fonte: MGI)

75. Negli ultimi 20 anni in Africa la crescita del Pil pro-capite è stata

determinata per il 75% dalla crescita della forza lavoro (Fonte: MGI)

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

83. Nelle aree urbane si concentrerà la maggioranza della classe media (oltre che i “ricchi”) - la cosiddetta “consumer class” - in grado di comprare abitazioni, servizi, beni primari e strumentali, ecc. Questa sarà il vero perno dello sviluppo. Ad oggi si stima che nelle città dell’Africa viva il 40% di questa fascia di popolazione76 ; nel prossimo futuro (2030), pur con le cautele del caso in questo tipo di proiezioni, tali valori potrebbero salire al 60-65%. Sempre al 2030, recenti valutazioni, hanno previsto che le 18 più grandi città africane avranno un potere di spesa combinato di oltre 1.300 miliardi di Euro.

84. La crescente urbanizzazione richiederà poi case e infrastrutture. Per quanto riguarda le prime, si è detto che agli attuali tassi di crescita l’incremento della popolazione urbana in Africa sarà di 300 milioni di persone al 2030: occorrerà costruire abitazioni in numero sufficiente per fronteggiare questa domanda. Assumendo una dimensione media di nucleo familiare di 5 persone (ipotesi conservativa), vuol dire nei prossimi 20 anni dovranno essere realizzate 60 milioni di nuove abitazioni (3 milioni ogni anno; 8.200 ogni giorno). Ipotizzando un valore medio unitario di realizzazione di 30.000 Dollari77 , il mercato potenziale cumulato in 20 anni potrebbe arrivare a 1,8 trilioni di Dollari, pari a 90 miliardi di Dollari l’anno (senza contare le costruzioni per sostituire le vecchie abitazioni).

85. Parimenti rilevanti saranno gli investimenti in infrastrutture. È noto che, salvo specifiche eccezioni, il gap infrastrutturale è uno dei nodi cruciali per le città africane (si veda figura a fianco).

Fig. 28 % della popolazione urbana africana con accesso ai servizi, 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati IBRD)

86. Ad esempio la maggioranza delle popolazioni urbane nell’Africa subsahariana non ottiene l’acqua dalle utility (o dalla rete pubblica), bensì da pozzi improvvisati o depositi di superficie, che per il 24% della popolazione urbana dell’Africa sono la prima fonte di approvvigionamento. Non solo: le grandi pressioni demografiche e l’inadeguatezza dei servizi in essere fanno si che il tasso di crescita dell’accesso all’acqua potabile sia più alto proprio per le soluzioni “informali” (figura a fianco).

Fig. 29 Tasso di crescita % annualizzato per fonte di accesso all’acqua potabile nelle aree urbane africane, 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Banca Mondiale)

76. Nel 1980 la percentuale di classe media che viveva nelle città era circa il 28%. 77. Il costo di costruzione unitario medio di 28.500 unità abitative

116

in Nigeria agli inizi degli anni ’90 è stato di 27.000 $; Fonte: “ The need for urban housing in Sub-Saharan Africa”, African Affairs, 1994.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

87. Per quanto riguarda i servizi elettrici, secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), il tasso di elettrificazione delle aree urbane nel Continente africano (circa il 67%) è il più basso mondo (si veda tabella sotto). Discorsi similari possono essere fatti per la rete dei trasporti e per tutte le altri componenti infrastrutturali del sistema urbano (servizi in primis). Fig. 30 Accesso all’elettricità nel mondo, 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Agenzia Internazionale per l’Energia)

Tasso di elettrificazione (%)

Popolazione senza elettricità (milioni) Nord Africa

Tasso di elettrificazione aree urbane (%)

2

98.9

99.6

Africa subsahariana

587

28.5

57.5

Africa

589

40.0

66.8

Cina e Asia dell’Est

195

90.2

96.2

Asia del Sud

614

60.2

88.4

Asia in via di sviluppo

809

77.2

93.5

21

89.1

98.5

1,453

72.0

90.0

3

99.8

100.0

1,456

78.2

93.4

Medio Oriente Paesi in via di sviluppo Economie in transizione e OECD Mondo

88. I governi africani e gli investitori privati, stante la situazione sopra detta, stanno investendo massicciamente in infrastrutture: si stima che ogni anno gli investimenti complessivi siano superiori ai 70 miliardi di Dollari. Recenti studi78  stimano che per rispondere pienamente ai bisogni dell’Africa siano necessari investimenti per oltre 93 miliardi di Dollari all’anno. In questo quadro è importante sottolineare due aspetti: - L’investimento del settore privato sta aumentando significativamente: negli ultimi anni i volumi sono triplicati arrivando a valori medi di circa 20 miliardi di Dollari all’anno tra il 2006 e il 2008. Questo è dovuto a diversi fattori: i massicci piani nazionali di investimento; la canalizzazione di fondi internazionali su questi progetti; gli interessanti tassi di ritorno sull’investimento e le prospettive future; la progressiva apertura e le riforme strutturali finalizzate ad attirare il settore privato (investimenti e gestione)79 . - Il deficit infrastrutturale da colmare è ancora ampio. Si prevede che nei prossimi 10 anni, solo per mantenere il livello di reddito pro-capite e le condizioni di vita attuali nelle città africane, siano necessari investimenti infrastrutturali in senso lato compresi tra i 20 e i 30 miliardi di Dollari l’anno80  (quindi con valori cumulati al 2020 di 200300 miliardi di Dollari).

78. V. Foster, C. Briceno, “Africa’s infrastructures – a time for transformation”, IBRD, 2010. 79. Ad esempio nel settore dell’acqua nei sistemi cittadini, circa l’80% dei Paesi africani hanno messo in campo riforme strutturali per creare le condizioni per attrarre l’investimento

privato. A completezza d’analisi è da segnalare che il processo è ancora in corso e che gli spazi di miglioramento sono ancora consistenti. 80. Fonte: stime Fondo Monetario Internazionale, Nazioni Unite, MCGI.

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CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

89. Il quadro delle opportunità offerte dall’Africa nello sviluppo urbano può essere letto e rafforzato nella più generale analisi del mercato delle costruzioni nel Continente nel suo complesso81 ; nello specifico: - negli ultimi otto anni gli investimenti in Africa sono cresciuti ad un ritmo medio dell’8,5% (superiore a quello mondiale del 4% circa) superando i 200 miliardi di Dollari; - nel 2008 la crescita è stata del 9,4%, una percentuale paragonabile a quella di paesi come Cina (12,6%) e India (14,9%); - i dati 2009 indicano una crescita degli investimenti del 6% contro una diminuzione a livello mondiale del 2,6% (e punte negative dell’8% in Europa e del 14% negli Stati Uniti).

90. Un ulteriore aspetto di interesse, collegato anche a quanto sopra detto, attiene alla dimensione economico-finanziaria. Uno dei grandi vincoli su cui si sono confrontate le strategie di sviluppo urbano in Africa è stata la mancanza di fondi sufficienti per i vari investimenti, a partire da quelli abitativi e infrastrutturali. Alcuni studi82  hanno stimato (con le cautele del caso doverose in questo tipo di esercizio) che negli anni ‘90, a parte alcuni casi specifici, in media i Governi africani avessero risorse per finanziare meno di un quarto dei nuovi progetti urbani. A questo andava aggiunto il fatto che l’economia africana - in contrazione - e le generali difficili condizioni di contesto, non permetteva l’emergere di una classe media in grado di attivare economicamente l’edilizia privata. Ancora negli anni ’90 il consenso generale era che i progetti di housing sociale contribuissero per il 5-10% dei bisogni abitativi strutturati dell’Africa. Anche su questi temi la situazione è sostanzialmente cambiata: - L’economia dell’Africa cresce e cresce la solidità e disponibilità delle finanze pubbliche: la spesa pubblica nei Paesi dell’Africa subsahariana è passata dai 66 miliardi di Dollari83  degli anni ’90 agli attuali 140 miliardi con un aumento non solo nei valori assoluti, ma anche di incidenza % sul Pil nazionale (22% negli anni ’90; 29% oggi); trend simili si sono avuti anche nei Paesi del Nord Africa (anni ’90 spesa pubblica pari a 79 miliardi di Dollari; oggi, 142 miliardi)84 . - Cresce la quota (% sul totale del budget pubblico) di investimenti dedicati all’housing e alle infrastrutture (strade, enerFig. 31 Investimento pubblico in % del Pil (Fonte: FMI) gia, ICT, ecc.). Ad esempio per i trasporti e le comunicazioni i Paesi dell’Africa subsahariana spendevano negli anni ’90 il 4,5% del proprio budget statale; oggi tale quota è salita a oltre il 6% in media. Comprendendo anche i settori dell’energia e acqua tali percentuali salgono fino al 12%.

81. Fonte: CRESME. 82. Si veda ad esempio A.G. Tipple, Oxford Journals, Settembre 2010. 83. Riferimento ai Dollari internazionali 2000.

118

84. Fonte: ReSAKSS, working paper N° 28, Aprile 2009. 85. Valori a parità di potere d’acquisto 2005. 86. Fonte: MGI.


CAPITOLO 2 - Lo sviluppo urbano in Africa

- La classe media si rafforza, in quantità e potere di spesa. Già oggi i nuclei familiari africani con un potere di spesa superiore ai 10.000 Dollari l’anno85  sono circa 30 milioni86  (erano meno di 20 agli inizi degli anni 2000). Se i trend di crescita venissero confermati al 2020 si potranno avere oltre 45 milioni di famiglie che rappresenteranno un nucleo importante di consumatori - principalmente localizzati nelle città - in grado di pagare affitti, comprare case e servizi, ecc. - Cresce l’investimento privato. Collegato all’emergere della classe media africana e ai programmi messi in atto da molti Paesi africani di riforme strutturali, sviluppo urbano e privatizzazioni dei servizi, molte aziende private - estere, ma anche locali (seppur ancora in parte residuale) - stanno operando con profitto87  ai vari livelli della filiera (si veda anche quanto sopra detto sui volumi di investimenti privati).

91. Naturalmente tutte le considerazioni sopra fatte devono essere calate sulla specifica realtà dei singoli Paesi che può essere anche molto diversa da caso a caso. Diventa quindi essenziale essere in grado di “leggere” i dati di contesto per valutare le concrete opportunità (si rimanda al Capitolo 3 per le valutazioni della Ambrosetti Development of Africa Map - ADAM).

92. In generale comunque le città dell’Africa sono una sfida da gestire, ma anche una grande opportunità da cogliere. Le imprese europee e italiane, grazie al loro know-how, alle loro competenze e “cultura” urbana88  possono sfruttarla meglio e di più. A questo proposito - riguardo all’Italia - pur con dati non relativi alla specifica dimensione urbana, occorre evidenziare che: - le aziende del settore delle costruzioni con partecipazione italiana che operano in Africa sono oltre 1428 9, pari a quasi il 20% del totale; - per volume d’affari i grandi general contractor italiani sono secondi nel continente solo a quelli cinesi, superando così quelli americani e francesi. A fronte di questo è però da rilevare che il tessuto delle medie (e piccole) imprese nazionali, che per progettualità, livello qualitativo e capacità di integrazione dell’intera filiera potrebbero inserirsi con profitto in questi mercati, ad oggi è ancora poco presente, complice anche la mancanza di una organica strategia Paese (come invece fatta da altri player, in primis la Cina) in grado di fornire un valido supporto alla presenza imprenditoriale sul territorio. Da questo punto di vista il recente Piano Africa del Ministero dello Sviluppo Economico e le missioni di filiera con Confindustria, l’attività del Ministero degli Affari Esteri e le rilevanti prospettive dei mercati africani potrebbero rappresentare un importante punto di svolta per rafforzare ancora di più la presenza nazionale, in particolare nell’area subsahariana.

87. Ad esempio le tariffe per i ser vizi in Africa sono più elevate rispetto a quelle medie delle aree in via di sviluppo. Ad esempio: tariffe energetiche ($ per K Wh) Africa: 0,02-0,46; PVS: 0,05-0,10; tariffe acqua ($ per m3) Africa: 0,86-6,56; PVS: 0,03-0,6; tariffe telefonia mobile ($ per mese a parità di volume) Africa: 2,6-21; PVS: 9,9; tariffe internet ($/mese) Africa: 6,7-148; PVS: 11. Fonte: IBRD.

88. L’Europa è una delle aree del mondo a più antica urbanizzazione. Oggi le città svolgono un ruolo di fondamentale importanza nella vita economica e sociale europea. Circa l’80% della popolazione dell’Unione Europea vive e lavora all’interno delle città o nelle aree urbane circostanti. 89. Di queste 73 sono attive nei paesi del Nord Africa e 69 nell’area sub sahariana. Fonte: CRESME

119



CAPITOLO 3 L’osservatorio sull’Africa: situazione congiunturale, prospettive future e andamento dei singoli Paesi


INDICE 1. Introduzione: l’Africa dopo la crisi

123

2. La situazione economica dell’Africa

125

2.1. L’Africa e la crisi globale

125

2.2. Prospettive per il 2010 e il 2011

129

2.3. Un trend emergente: la crescita della classe media

130

3. L’Africa come soggetto politico: rappresentanza e unificazione

133

3.1. L’Africa nelle relazioni internazionali

133

3.2. L’economia regionale in Africa

137

4. L’Africa e lo sforzo per raggiungere i “Millenium Development Goals” (MDG)

141

Obiettivo 1: Sradicare l’estrema povertà e la fame

143

Obiettivo 2: Raggiungere la piena scolarizzazione primaria

144

Obiettivo 3: Promuovere l’uguaglianza dei sessi e rafforzare il ruolo della donna

144

Obiettivo 4: Ridurre la mortalità infantile

145

Obiettivo 5: Migliorare la salute delle madri

146

Obiettivo 6: Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie

147

Obiettivo 7: Assicurare la sostenibilità ambientale

148

Obiettivo 8: Sviluppare una collaborazione mondiale per lo sviluppo

148

5. “Ambrosetti Development of Africa Map - ADAM”:

strumento interpretativo dello sviluppo degli Stati africani

151

5.1. Metodologia di costruzione di “ADAM – Ambrosetti Development of Africa Map”

151

L’indicatore di sintesi delle performance economiche

152

L’indicatore di sintesi di dotazione dei patrimoni

154

5.2. Rappresentazione della Mappa: ADAM – Ambrosetti Development Africa Map

163

5.3. Alcuni casi di Paesi in transizione

167

Uganda: un Paese pronto al salto

167

Ruanda: un paese sulla giusta strada

169

Malawi: in uscita dall’area di salvaguardia

173

Zambia: un Paese landlocked dalle grandi prospettive

175

6. Le trappole allo sviluppo dell’Africa

178

6.1. La trappola del conflitto

178

6.2. La trappola delle risorse naturali

180

6.3. La trappola dei Paesi landlocked

182

6.4. La trappola del malgoverno

185

7. Considerazioni di sintesi

187


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

1. Introduzione: l’Africa dopo la crisi

1. La crisi dell’economia mondiale ha impattato sulla crescita dell’Africa, in particolare di quella subsahariana più pesantemente di quanto inizialmente annunciato: la crescita reale dell’economia è passata dal 5,4% del 2008 all’ 2,9% del 2009 contro delle previsioni iniziali che prevedevano una crescita per il 2009 del 3,3%1. La crisi infatti non si è limitata ai mercati finanziari, cosa che faceva ben sperare per l’Africa poco integrata in questo settore, ma si è ripercossa su tutta l’economia.

2. La crisi in Africa, come pronosticato, è stata sentita inizialmente da Paesi con mercati finanziari più integrati nell’economia mondiale, ad esempio il Sud Africa, per poi espandersi, in seguito al crollo del commercio mondiale, nei Paesi esportatori di petrolio (come l’Angola) e in quelli esportatori di commodity (come Botswana e Zambia). Il crollo delle esportazioni di materie prime è stato maggiore della contrazione delle importazioni portando a un peggioramento della bilancia commerciale e delle partite correnti.

3. La crisi quindi ha avuto effetti più consistenti nei paesi a medio reddito e in quelli esportatori di petrolio, più legati all’economia mondiale, lasciando sostanzialmente invariato il percorso dei Paesi a basso reddito.

4. Anche il turismo ha risentito della crisi mondiale rallentando momentaneamente lo sviluppo che aveva segnato nel 2007 (+9% di arrivi) scendendo nel 2008 a un +3,8% per risalire al 5% già nel 2009. L’Africa è stata comunque l’unica area del mondo a riscontrare una crescita in questo settore nel periodo 2008-2009, spinta parzialmente dal traino della Coppa del Mondo di calcio in Sudafrica: nel 2010 è prevista una crescita del 7%.

5. Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri l’Africa, nel 2008, ha continuato a vederne aumentare il flusso, segnando un +27% rispetto al 2007; per un totale di 72 Miliardi di Dollari; mentre nel 2009 con la caduta dei mercati ha visto un decremento dei flussi di investimenti del 36%, fermandosi a 59 miliardi di Dollari.

1. Fonte: OCSE, African Economic Outlook , 2009

123


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

6. Le economie africane hanno mostrato, nel complesso, di essere incredibilmente resistenti alla crisi e, grazie all’azione coordinata delle banche centrali africane, il tasso di crescita atteso per il 2010 è di nuovo in salita di 4,5% e nel 2011 di 5,2%. La ripresa dell’economia africana dovrebbe essere spinta dal recupero della domanda privata (grazie alla presenza di una classe media in crescita), dagli investimenti esteri previsti di nuovo in aumento e soprattutto nelle esportazioni (i prezzi delle commodity sono già in ripresa). La ripresa resta comunque parzialmente vincolata alla ripresa dei partner commerciali ovvero Stati Uniti, Europa, e i BRICs – questi ultimi partner sempre più importanti per l’Africa. La crisi tuttavia è tutt’altro che conclusa anche perchè l’arresto della crescita ha fermato il miglioramento di molte di quelle dimensioni fondamentali (reddito pro capite, istruzione, nutrizione e salute), monitorate attraverso i Millenium Development Goals, rallentando o invertendo addirittura il trend rispetto ai progressi raggiunti negli anni precedenti.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

2. La situazione economica dell’Africa

2.1. L’Africa e la crisi globale 7. L’economia africana è stata più r e s i s te n te alla cr isi globale rispetto alle altre economie ma l’effetto della crisi, anche se meno consistente, è stato comunque significativo. Dopo alcuni anni in cui l’Africa segnava un tasso di crescita medio attorno al 6% nel 2009 esso si è abbassato a solo il +2,9%.

Fig. 1 Andamento della crescita del Pil dell’Africa subsahariana rispetto alle economie avanzate e ai mercati emergenti (Fonte: Fondo Monetario Internazionale)

8. Gli effetti della crisi mondiale hanno colpito l’Africa attraverso più canali: - La finanza (e quindi direttamente attraverso le banche) - Il commercio (e quindi attraverso la dimi nuzione della domanda, e del prezzo, delle commodity) - I flussi finanziari in entrata (diminuiti contestualmente alla crisi)

Fig. 2 Andamento dei prezzi dei principali metalli – Prezzo 2000=100 (Fonte: Bloomberg, Fondo Monetario Internazionale)

9. Il primo canale, più diretto, è stato quello di minor criticità per l’economia africana, le cui banche poco integrate con i circuiti finanziari internazionali, hanno risentito in maniera lieve della crisi delle banche internazionali.

Fig. 3 Andamento dei prezzi delle principali commodity agricole – Prezzo 2000=100 (Fonte: Bloomberg, Fondo Monetario Internazionale)

10. Il canale attraverso il quale la crisi ha effettivamente fatto risentire i suoi effetti sull’Africa è quello commerciale delle materie prime e delle commodity.

11. L’Africa aveva registrato nel 2008 un volume di scambi (importazioni

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

ed esportazioni) superiore ai 1.000 miliardi di Dollari. Le esportazioni, sostenute dai prezzi favorevoli delle commodity, avevano raggiunto i 557,8 miliardi di Dollari permettendo al continente importare beni per un valore di 465,6 miliardi di Dollari. Tuttavia la mancanza di diversificazione nelle esportazioni2, ha fatto sì che la caduta della domanda e dei prezzi delle commodity dalla seconda metà del 2008 fino all’inizio del 2009 abbia ridotto pesantemente il volume degli scambi africano. Nel 2009, infatti, il volume delle esportazioni africane si è ridotto del 2,5% e quello delle importazioni di circa l’8%. Un altro fattore che ha aggravato la situazione degli scambi africani durante la crisi è stata la destinazione delle esportazioni africane: i principali partner commerciali. dell’Africa sono infatti, da sempre, Europa e Stati Uniti - che da Fig. 4 Flussi di esportazioni e importazioni da e verso l’Africa nel 2008 (Fonte: World Trade Organization)

soli nel 2008 costituivano la metà delle esportazioni africane – e che sono state le aree più colpite dalla crisi. Questa situazione sta via via modificandosi e già durante questo periodo di crisi l’Africa ha potuto limitare gli effetti negativi della caduta degli scambi con le economie avanzate attraverso i commerci con i Paesi emergenti e in particolare la Cina, partner commerciale sempre più importante. Gli interscambi commerciali dell’Africa con la Cina, infatti, dal 2000 al 2008 sono aumentati del 703% con una crescita media annua del 28% a fronte di una crescita totale dell’interscambio commerciale dell’Africa in crescita del 363% (da 282 miliardi di Dollari a 1.023 miliardi di Dollari). L’Europa non ha tenuto il passo; gli interscambi sono sì aumentati, ma al di sotto della media, ovvero del 317% con una crescita media annua del 16%. Fig. 5 Andamento della bilancia commerciale dei Paesi africani suddivisi per cluster (Fonte: Fondo Monetario Internazionale)

. Circa l’80% delle esportazioni africane sono costituite da 2 petrolio, minerali e commodity agricole.

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Fig. 6 Andamento della bilancia corrente dei Paesi africani suddivisi per cluster (Fonte: Fondo Monetario Internazionale)


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

12. A causa della caduta dei prezzi delle commodity la bilancia commerciale si è deteriorata: il valore delle esportazioni è diminuito del 30% mentre quello delle importazioni solo del 20% portando anche a un peggioramento della bilancia corrente in molti Stati africani.

13. Le economie africane dipendenti dalle esportazioni di commodity avevano, infatti, aumentato la loro spesa pubblica nel periodo di boom dei prezzi3 (senza accantonare riserve) mentre i Paesi che erano riusciti a registrare un avanzo pubblico (ad esempio la Nigeria) hanno attinto alle riserve per tamponare le difficoltà generate dalla crisi.

14. Già dalla seconda metà del 2009 i prezzi delle commodity hanno cominciato a recuperare, la situazione della bilancia commerciale di molti Paesi è quindi in miglioramento e per il 2010 è stimata di nuovo positiva4.

15. Non essendo stata teatro diretto della crisi l’Africa avrebbe potuto evitare parzialmente questa situazione di contrazione degli scambi ripiegando sul mercato interno; tuttavia esso – nonostante gli sforzi in atto per creare economie regionali – è ancora molto limitato e conta solo per il 10% del totale dell’interscambio commerciale.

16. Per quanto riguarda i flussi di capitali in entrata anche essi sono stati influenzati dalla crisi. La crisi non ha influito significativamente sui flussi di aiuti ufficiali5 (si vedano i capitoli 4 e 5). Essi infatti erano legati a impegni precedenti la crisi e già stanziati nei budget dei paesi donatori; su questo tema la preoccupazione maggiore, invece, è che nel 2011 in fase di negoziazione degli impegni, i Paesi sviluppati più colpiti dalla crisi taglino i flussi di aiuti per sanare i bilanci interni. Inoltre la dimiFig. 7 Andamento degli investimenti diretti esteri in nuzione del Pil dei Paesi donatori inevita Africa (Fonte: UNCTAD, 2010) bilmente diminuirà (e sta già diminuendo) il flusso degli aiuti anche nel caso in cui vengano rinnovati gli impegni passati.

17. I flussi di investimenti diretti esteri (IDE) hanno subito un più rilevante arresto: l’Africa era stata fino al 2008 in un periodo di costante crescita dei flussi di IDE quando avevano raggiunto il loro picco massimo di 72 miliardi di Dollari (+27% rispetto al 2007). Il calo dei prezzi delle commodity ha frenato gli investimenti

3. Il periodo del boom dei prezzi delle commodity è durato 5 anni, dal 2003 a metà del 2008. Dopodichè i prezzi di petrolio e altre commodity sono caduti fino all’inizio del 2009. Anche i prodotti agricoli hanno seguito lo stesso andamento. 4. Ov viamente la posizione netta della bilancia commerciale varia da Paese a Paese; i Paesi impor tatori di petrolio e di prodotti agricoli (i più poveri) hanno sofferto in misura molto minore (se non addirittura hanno beneficiato) del calo dei prezzi delle materie prime, mentre i Paesi espor tatori di

minerali e petrolio sono stati quelli a vedere maggiormente deteriorata la loro bilancia commerciale. Un altro ef fetto interessante da sottolineare per quanto riguarda il prezzo delle commodity agricole è come mentre i produttori sono svantaggiati nei momento di calo dei prezzi, lo stesso fenomeno ha effetti positivi rispetto alla redistribuzione della ricchezza. 5. Il deprez zamento del doll aro ne ha f at to diminuire il valore.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

esteri nei settori estrattivi e manifatturieri, gli stessi settori in cui tradizionalmente si erano concentrati gli investimenti esteri. Stime preliminari6 del 2009 hanno evidenziato una caduta degli IDE in entrata in Africa del 36%. In generale la stessa situazione si è verificata in molte altre economie emergenti con tassi di diminuzione simili (34%); l’Africa tuttavia ha maggiormente risentito di questa contrazione poichè il livello generale degli investimenti interni è fortemente dipendente da quelli esteri (circa un quinto sul totale).

18. Riguardo le diverse aree di attrazione di IDE: - Il Nord Africa è l’area che riceve gli investimenti più diversificati. Nel 2009 sono previsti ulteriori cali nei flussi di IDE in entrata in quest’area; - L’Africa occidentale nel 2009 ha beneficiato della presenza (e delle nuove scoperte) di giacimenti petroliferi soprattutto in Ghana, Guinea e Nigeria. L’80% di tutti gli investimenti nell’Africa occidentale sono legati all’estrazione di petrolio. - I flussi in entrata nell’Africa centrale sono rimasti stabili nel 2009, intorno ai 6 miliardi di Dollari. La Repubblica Democratica del Congo è il principale ricevente nell’area con 2,6 miliardi di flussi in entrata. - L’Africa orientale continua ad essere l’area a ricevere la minore percentuale di IDE in Africa, con un flusso totale in entrata nel 2009 stabile intorno ai 4 miliardi di Dollari. - Il Sud dell’Africa è stata l’area a crescere maggiormente nel 2008, segnando un incremento attorno al 50%, il 2009 ha costituito un anno di forte calo degli investimenti, essi sono diminuiti di circa il 25% rispetto al 2008.

19. Nel 2008 i Paesi maggiormente ricettori di IDE sono stati la Nigeria, l’Angola, l’Egitto e il Sud Africa. Gli investimenti, quindi, restano per la maggior parte indirizzati verso Paesi ricchi di risorse ovvero verso i settori estrattivi. La sfida per l’Africa è dunque quella di attrarre investimenti in settori diversificati e a maggiore valore aggiunto.

20. Il recupero futuro dei flussi di IDE è legato alla risposta degli investitori: l’Africa non è stata teatro diretto della crisi, i ritorni sugli investimenti continuano ad essere relativamente alti e ci sono significative possibilità di diversificare gli investimenti; è possibile quindi che l’attrattività per gli investitori privata possa essere rapidamente riconquistata.

Fig. 8 Suddivisione dei flussi di Investimenti Esteri per area dell’Africa, 2008 (Fonte: UNCTAD, 2010)

21. Un altro flusso finanziario in entrata che si stima aver risentito della crisi è quello delle rimesse dei lavoratori dall’estero: la crisi generalizzata del mercato del lavoro in tutto il mondo ha fatto sì che molti lavoratori abbiano ridotto la percentuale di trasferimenti verso i Paesi d’origine diminuendo il reddito delle famiglie d’origine, la loro capacità di spesa e di consumo.

6. African economic outlook 2010

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

BOX 1: Miglioramento del Doing Business Gli investimenti esteri sono diventati una delle maggiori fonti di capitali per l’Africa anche grazie agli sforzi dei governi per migliorare le condizioni di attrazione di investimenti e in particolare il business environment . Nel repor t “Doing business” del 2010 dalla Banca Mondiale,

su 46 Paesi africani monitorati 29 hanno segnato un avanzamento nella posizione in classifica; la maggior parte dei miglioramenti sono avvenuti nella facilitazione nell’avviare un nuovo business e nei commerci esteri. Si rimanda al databook per la classifica completa.

Fig. 9 Paesi africani che hanno fatto segnare i miglioramenti maggiori nella classifica Doing Business (Fonte:World Bank, 2010)

22. É molto difficile tuttavia stimare l’effettiva consistenza delle rimesse; la Banca Mondiale ha stimato che, prima della crisi, in Paesi come Nigeria, Sierra Leone, Togo, Guinea Bissau e Senegal le rimesse incidevano tra l’8 e l’11% del Pil.

23. Nel complesso è stato stimato che nel 2009 le rimesse siano diminuite complessivamente di circa 6,6% (dai 41 miliardi di Dollari del 2008 ai circa 38 miliardi del 2009). Il declino non è stato tuttavia della stessa intensità in tutta l’Africa: i Paesi del Nord Africa hanno sofferto di più mentre nell’Africa subsahariana (comunque colpita) ci sono stati dei Paesi, come l’Uganda, che hanno addirittura segnato un aumento delle rimesse nel 2009. Fig. 10 Andamento delle rimesse verso l’Africa, Miliardi di Dollari (Fonte: World Bank, 2010)

Paese

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Africa Subsahariana

6

8

9,4

12,6

18,5

21,1

20,5

Nord Africa

9,6

11,5

13,1

13,9

18,3

19,7

17,6

Totale Africa

15,6

19,5

22,5

26,5

36,9

40,8

38,1

2.2. Prospettive per il 2010 e il 2011 24. Nella seconda parte del 2009 l’economia mondiale ha ricominciato a crescere, e l’Africa, nel suo complesso dovrebbe continuare ad essere una delle aree che cresce di più: la crescita del Pil africano è prevista migliorare rispetto al 2009 assestandosi su una

129


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

crescita del 4,5% nel 2010 e del 5,2% nel 2011 (rimanendo tuttavia a livelli inferiori rispetto al periodo pre-crisi). Fig. 11 Crescita attesa del Pil 2010-2011 per area geografica (Fonte: Fondo Monetario Internazionale)

25. Il commercio mondiale si è ripreso7 e i prezzi delle commodity sono risaliti. Dopo la caduta del 2,5% del 2009, le esportazioni africane sono previste crescere del 3,2% nel 2010 e del 5% nel 2011. La ripresa contribuirà a ridurre anche i deficit fiscali causati dalla crisi; dal 4,4% del Pil nel 2009, il deficit medio dei Paesi africani è previsto abbassarsi a circa il 3,3% nel 2010 e addirittura al 1,9% nel 20118. Entro il 2011 2 Paesi africani su 5 dovrebbero registrare deficit inferiori al 3% o addirittura registrare dei surplus. Anche la bilancia commerciale di gran parte degli Stati africani è prevista in miglioramento e nuovamente positiva in ragione della ripresa della domanda e dei prezzi delle commodity9.

2.3. Un trend emergente: la crescita della classe media 26. Uno dei principali effetti di questo decennio di crescita dell’Africa è stato l’emergere di una nuova fascia socio-economica che può a tutti gli effetti essere definita “classe media”. Anche se non esistono ancora statistiche ufficiali sulla numerosità di questa sezione di popolazione, si stima che, nel 2008, essa si assestasse intorno ai 100 milioni10 di individui, ovvero circa il 12% dell’intera popolazione africana. Dal 2000 ad oggi la crescita di questo nuovo

7. Anche gli investimenti privati, le rimesse e il consumo privato sono previsti recuperare però con più fatica del commercio. 8. Alcuni Paesi produttori di petrolio (Libia, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Equatoriale) dovrebbero addirittura segnare un surplus fiscale.

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9. I Paesi esportatori di petrolio segneranno i surplus commerciali maggiori. Alcuni Stati (Seychelles, Sao Tomè e Principe e Liberia) continueranno a segnare bilance commerciali molto negative. 10. “The middle classes moving on up”, The Africa Report 2010. Non sono compresi coloro appartenenti alla classe media “globale”.


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gruppo sociale il cui reddito annuo, in Dollari a parità di potere d’acquisto (PPP)11, può essere mediamente collocato intorno tra i 10.000 e i 20.000 Dollari l’anno, procede a un tasso di attorno al 5,9% annuo; se il trend verrà mantenuto nel 2020 la classe media africana arriverà a circa 195 milioni di persone (superiore a quella indiana).

Fig. 12 Evoluzione della classe media emergente africana in milioni di persone, 2008

27. Nei Paesi africani il sistema dei prezzi relativi è molto diverso da quello dei Paesi avanzati; individui con redditi nominali considerati ben sotto la soglia di povertà nei paesi avanzati in Africa rientrano pienamente nella classe media. Nella tabella sono riportati redditi mensili minimi (a valori correnti) in alcune Nazioni africane, sopra i quali i cittadini sono considerati classe media; tale “soglia” non è solo definita in base al reddito, ma piuttosto rispetto all’accessibilità al benessere, alle aspettative e alle modalità di consumo. Come si vede, in alcuni Paesi (Ruanda, Etiopia e Sierra Leone) un individuo che vive con 5 Dollari al giorno può essere addirittura considerato appartenente alla classe media.

28. La “nuova classe media” africana è formata per la maggior parte da professionisti, medici, insegnati e impiegati del settore pubblico e vive nelle aree urbane. Dal punto di vista reddituale, essa si colloca al di sotto della fascia dei “benestanti” e sopra i cosiddetti “potenziali emergenti”. I “benestanti “ sono coloro, individui e famiglie, il cui reddito medio - alto e alto è assimilabile a quello dei Paesi avanzati (vi appartengono le élite economiche e politiche, ancorchè numericamente limitate, ma anche l’insieme dei funzionari pubblici d’alto livello che operano presso Fig. 13 Reddito mensile minimo per poter essere considerati classe media organismi internazionali in alcuni Paesi africani, 2009 (Fonte: Consumer Insight Africa) spesso all’estero) che consumano beni in prevalenza di importazione. I “potenziali emergenti” – 24% della popolazione africana - sono per contro coloro i quali vivono con più di 2 Dollari al giorno e che cominciano ad avere una parte di reddito da dedicare – saltuariamente - a consumi discrezionali, sebbene non possano ancora considerarsi “consumatori”.

11. Riferimento 2005.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Da rilevare che al di sotto dei “potenziali emergenti” ci sono ancora i “poveri” e i “poverissimi”. Entrambe queste fasce (complessivamente il 60% della popolazione) vivono sotto la soglia dei 2 Dollari al giorno, i primi tuttavia riescono a soddisfare i bisogni primari, i secondi invece sono da considerarsi indigenti e soffrono la fame.

29. La crescita della classe media e dei suoi consumi, sia di beni che di servizi, è la chiave di volta dello sviluppo africano e lo sarà sempre più i futuro. La nuova classe media sostiene la domanda interna di beni di consumo (elettrodomestici, telefonia, automobili, istruzione e alimentari). Mentre i “benestanti” preferiscono prodotti di importazione e servizi erogati da istituzioni e organizzazioni estere, la nuova classe media consuma prevalentemente prodotti e servizi africani, contribuendo in questo modo a dare spinta allo sviluppo dell’industria manifatturiera africana e incentivando la Fig. 14 Composizione della popolazione africana crescita del terziario e dell’edilizia in per classi di reddito/consumo Africa. La creazione e il rafforzamento (Fonte: TEH- Ambrosetti) delle attività locali crea anche posti di lavoro; si instaura in questo modo un meccanismo virtuoso per cui i nuovi occupati creati grazie alla domanda della classe media diventeranno a loro volta classe media. Un esempio di questo effetto positivo sull’economia è quello del turismo: mentre i ricchi spesso trascorrono all’estero le loro vacanze, la classe media si sposta all’interno dell’Africa, dando impulso all’industria turistica, ad alto impiego di lavoro locale.

30. L’importanza della classe media non è ovviamente solo legata alla sfera economica. Si tratta infatti di una classe mediamente scolarizzata, i cui nuclei familiari sono meno numerosi della media e pianificati, che sarà determinante nella stabilizzazione politico e sociale e nella qualificazione della futura classe dirigente del continente.

31. Nei Paesi avanzati la percentuale di classe media sul totale è di circa il 50%-60%: esiste quindi un gap tra le stime fin ora illustrate e la struttura “tipo” delle fasce di reddito delle economie più sviluppate. In questo gap sta il grande potenziale di crescita dell’Africa.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

3. L’Africa come soggetto politico: rappresentanza e unificazione

3.1. L’Africa nelle relazioni internazionali 32. Di pari passo alla crescita economica l’Africa si sta imponendo anche some soggetto politico unitario e autonomo nelle relazioni politiche ed economiche internazionali con altri partner.

33. Per acquisire un peso crescente a livello internazionale l’Africa si è posta l’obiettivo di ribaltare quella che per molto tempo è stata la sua focalizzazione politica riportando la politica e la crescita interna al centro dei propri interessi: concentrarsi innanzitutto nella crescita economica interna per poi aprirsi al mondo invece di, come è stato tradizionalmente, guardare in primo luogo ai rapporti e agli scambi con il resto del mondo per facilitare la crescita interna.

34. L’Africa vuole quindi essere il motore del suo stesso sviluppo e diventare il soggetto politico protagonista delle scelte del Continente. Affinchè questo diventi possibile l’Africa è consapevole della necessità di una maggiore unità tra i singoli Stati, in modo da sfruttare le sinergie interne ed espandere il suo peso politico nello scacchiere internazionale.

35. Questo è ancora più impellente analizzando la situazione di rappresentanza dell’Africa all’interno dei fora internazionali: l’interesse delle istituzioni internazionali verso l’Africa, dopo un periodo di grande attenzione per il continente, sembra ridimensionato. Il G8 ha dato all’Africa molto spazio negli ultimi 8 summit, aiutando in questo modo a cancellare parte del debito africano e ad aumentare il budget destinato agli aiuti. Questa stessa attenzione al tema Africa non è stata invece recepita nell’agenda del G20. Il G20 sta infatti definendo interventi per i Paesi in via di sviluppo che si indirizzano per lo più verso i Paesi a medio reddito piuttosto che verso quelli poveri.

36. La presenza del Sudafrica all’interno del raggruppamento non può essere considerata rilevante come rappresentanza: esso infatti, per sviluppo economico e storia, non è ancora considerato dal resto del continente un portavoce autorizzato. Se il Sud Africa non può assumere questo ruolo, è altresì difficile identificare un altro Stato candidabile ad entrare nei fora internazionali. La Nigeria, seconda economia dell’Africa subsahariana non sembra, a causa della sua situazione interna e del limitato peso economico a livello internazionale, un candidato possibile. Il peso economico relativamente limitato e la dimensione limitata di tutti gli Stati africani rischiano di marginalizzare il continente dai fora internazionali senza che ci sia una deliberata volontà di esclusione.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Box 2: le egemonie regionali Sudafrica e Nigeria sono le due maggiori economie dell’Africa subsahariana ed entrambi stanno tentando di stabilire un’influenza regionale. I due Stati hanno una “strategia” molto simile per perseguire i loro obiettivi egemonici che punta sull’intervento, sia politico che militare, all’interno delle guerre civili che in tempi recenti hanno sconvolto (o affliggono tuttora) alcuni Stati africani e non hanno mancato di esercitare la loro influenza, cercando di presentarsi come i risolutori dei conflitti locali, anche attraverso l’invio di proprie truppe per effettuare operazioni di peacekeeping. Nigeria e Sudafrica hanno diverse caratteristiche economiche e sociali, che possono essere usate come carta vincente nei confronti degli altri Paesi del continente. La Nigeria è lo Stato africano più popoloso (circa 149 milioni di abitanti), il terzo per Pil (165.437 milioni di Dollari nel 2009), ma solo 20° per Pil procapite (circa 2.100 Dollari al 2008). Occupa una posizione di predominanza nell’area dell’Africa

occidentale che si è accresciuta dopo la rinuncia della Francia ad esercitare il ruolo di “protettore” degli Stati dell’Africa occidentale. Il Paese ha sperimentato elevati tassi di sviluppo economico, legato soprattutto all’esportazione di petrolio e agli investimenti effettuati dalla Cina, che le consentono di esercitare una superiorità regionale verso gli Stati limitrofi. Il Sudafrica è il primo Paese africano per Pil prodotto (287.219 milioni di Dollari al 2009), il 7° per Pil pro capite a PPP (circa 10.100 Dollari nel 2009) e il 5° per popolazione (circa 49 milioni di persone). L’embargo imposto dalla comunità internazionale ai tempi dell’apartheid ha avuto l’effetto di incentivare lo sviluppo di diversi settori industriali, favorendo la diversificazione delle produzioni. Il Sudafrica è da diversi anni il Paese di provenienza di numerosi flussi di investimenti diretti esteri verso altri Stati del continente (negli ultimi dieci anni, il flusso medio è stato di 1 miliardo di Dollari all’anno; nel 2008 ha superato i 2 milioni).

37. La mancanza di rappresentanza africana tuttavia non necessariamente va interpretata come la volontà di disinteressarsi dei problemi dell’Africa da parte della comunità internazionale. Questa situazione pone però la questione della ownership dello sviluppo: se, dove vengono decise e negoziate le politiche comuni di sostegno, l’Africa non è rappresentata gli aiuti saranno sempre decisi da terzi, scavalcando la volontà interna al continente di decidere priorità e modalità di intervento.

38. In questo quadro, in assenza di una leadership riconosciuta, l’organo africano di maggiore autorevolezza è l’Unione Africana: la recente elezione del presidente del Malawi Bingu wa Mutharika alla sua guida ne ha aumentato notevolmente la credibilità e la rappresentatività12.

39. L’Unione Africana13 è l’istituzione africana sovranazionale che ha come obiettivo quello di guidare l’Africa verso la costituzione dell’unità del continente. Essa si configura come la prima istituzione e principale organizzazione per la promozione e l’accelerazione dell’integrazione socio-economica e per una maggiore unità e solidarietà tra gli Stati e i popoli dell’Africa.

12. Il precedente presidente dell’Unione Africana, Gheddafi, non costituiva un partner e un rappresentante credibile dell’Africa intera all’interno del G20.

134

13. L’Unione Africana nasce nel 2001 dall’evoluzione dell’Organizzazione dell’Unità Africana per favorire l’integrazione degli Stati africani.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

40. Nella sua visione, l’Unione Africana dichiara il suo primo obiettivo nella costituzione di un’Africa forte e unita, attraverso la costruzione di partenariati tra i governi e tutti i segmenti della società civile (in particolare donne, giovani e settore privato), per rafforzare la solidarietà e la coesione interna. In quanto organizzazione continentale, l’Unione si focalizza sulla promozione della pace, della sicurezza e della stabilità come pre-requisito per lo sviluppo e l’integrazione dell’Africa.

41. All’interno dell’Unione Africana, un ruolo di primo piano è svolto dal Nuovo Partenariato per lo Sviluppo dell’Africa (The New Partnership for Africa’s Development, NEPAD), adottato nel 2001 su mandato dato a cinque capi di Stato africani (Algeria, Egitto, Nigeria, Senegal e Sudafrica) dall’Organizzazione dell’Unità Africana per delineare un quadro di sviluppo socio-economico integrato. All’interno del piano di integrare il NEPAD all’interno delle strutture e nei programmi dell’Unione Africana, nel 2010, il segretariato del NEPAD è stato trasformato in una Agenzia dell’Unione Africana. In questo modo si garantisce maggiore coordinamento e coerenza tra le politiche decise in sede di Unione Africana e le azioni portate avanti dal NEPAD. Gli obiettivi prioritari del NEPAD restano: - Sviluppo e crescita sostenibile dei Paesi africani (pace e sicurezza; democrazia e buona amministrazione economica; politica e imprenditorialità; integrazione e cooperazione regionale). - Riduzione della posizione marginale dell’Africa nel processo di globalizzazione. - Politiche di riforme nei seguenti settori: agricoltura14, sviluppo umano, infrastrutture, produzione ed esportazioni, ambiente. - Mobilitazione delle risorse necessarie allo sviluppo (accrescimento degli investimenti e del risparmio interno; miglioramento della gestione dei conti pubblici; accrescimento delle quote africane nel commercio mondiale; attrazione di investimenti diretti esteri e di aiuti allo sviluppo).

42. Se da un lato il processo di integrazione in Africa è stato spinto da un certo senso di “panafricanismo”, non si può dimenticare che esistono molte differenze tra gli Stati africani che rendono difficile la stipula di accordi e l’adozione di politiche comuni su temi importanti come lo sviluppo e la crescita economica, la lotta alla povertà e alle malattie.

43. Per appianare queste differenze e favorire la costituzione di un’Africa unita l’Unione Africana ha avviato il processo di peer review che incoraggia gli Stati africani a seguire valori guida, codici e standard di politica, economia, e corporate governance uniformi in tutti i Paesi dell’Unione. L’armonizzazione delle condizioni degli Stati africani è il punto di partenza necessario in un futuro processo di costituzione di una più concreta integrazione economica e politica degli Stati Africani, paragonabile per certi aspetti alla costituzione dell’Unione Europea.

14. Attraverso il programma CAADP.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Box 3: L’African Peer Review Mechanism L’African Peer Review Mechanism (APRM) è uno strumento adottato su base volontaria concordato insieme dai Paesi dell’Unione Africana (UA) come forma di meccanismo di auto valutazione/monitoring. I Paesi aderiscono formalmente al APRM depositando il Memorandum of Understanding del Marzo 2003 (anno di fondazione del APRM) firmato presso il Segretariato del Nepad. 29 Stati hanno attualmente aderito al APRM e sono: Algeria, Burkina Faso, Repubblica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Camerun, Gabon e Mali (dal 2003); Mauritius, Mozambico, Nigeria, Ruanda, Senegal, Sud Africa, Uganda, Egitto, Benin, Malawi, Lesotho, Tanzania, Angola e Sierra Leone (dal 2004), Sudan e Zambia dal 2006; São Tomé and Príncipe e Gibuti dal 2007, Mauritania e Togo dal 2008. L’African Peer Review Mechanism è formato da 4 distinti soggetti: 1) Il Comitato dei Capi di Stato e Governo partecipanti chiamato APR Forum; la più alta autorità decisionale dell’APRM. 2) Il Panel di saggi, che viene nominato per supervisionare il processo e assicurarne l’integrità e per formulare raccomandazioni per migliorare la situazione dei Paesi valutati. 3) Il Segretariato dell’APRM con funzione di coordinamento e amministrativa. 4) Il Team Paese di Valutazione che viene nominato per visitare il Paese da valutare, dare i primi input per il miglioramento del Programma d’Azione del Paese e redigere il dossier Paese. Il processo di peer review si svolge in 4 fasi: - Fase 1: auto-valutazione del Paese e redazione del Piano d’Azione - Fase 2: visita al Paese da parte del Team Paese guidato da un membro del Panel di saggi ed estensiva consultazione da parte del team di funzionari del governo, parlamentari, rappresentanti dei partiti politici, della business community, della società civile (compresi media, università, sindacati e organizzazioni non governative). La visita ha lo scopo di sensibilizzare gli stakeholder sul processo di peer review, il suo spirito e i suoi principi guida, di discutere e miglio-

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rare il Piano d’Azione proposto e di creare consenso riguardo le aree di intervento non ancora presidiate. - Fase 3: preparazione del report da parte del Team Paese contentete l’analisi sullo stato del Paese e le raccomandazioni del team per accelerare il raggiungimento degli obiettivi. - Fase 4: Il report del team dell’APR viene sottoposto al Panel di saggi. Il Panel a sua volta formula le sue raccomandazioni e le riporta al Forum. Il Forum esamina il dossier paese e le raccomandazioni del Panel di saggi e decide che azioni intraprendere. La quarta fase termina quando il Presidente dell’APR comunica al Capo di Stato del Paese valutato le decisioni del Forum. - Fase 5: il dossier Paese e le raccomandazioni fatte vengono rese pubbliche a beneficio delle istituzioni africane sovranazionali (Unione Africana, Parlamento Pan-Africano, le comunità economiche regionali di riferimento, ecc...) e nazionali. Finito il processo inizia la fase di follow-up in cui il Paese esaminato rivede il suo Piano d’Azione, lo implementa e ne monitora i progressi e durante il quale il Segretariato dell’APRM svolge un’azione di monitoraggio e guida avvalendosi anche di workshop per diffondere esperienze e casi esemplari di altri Paesi. Attualmente hanno completato il processo di peer review 9 Paesi: Ghana, Ruanda, Kenya, Sud Africa, Algeria, Benin, Uganda, Nigeria e Burkina Faso. 3 Paesi sono pronti per ricevere la visita del team dell’APR( Mozambico, Mali e Lesotho), mentre altri 3 hanno completato la fase di auto-valutazione (Etiopia, Mauritius e Tanzania). Gli altri Paesi pur avendo aderito non hanno ancora avviato il programma di peer review. Nei Paesi già valutati sono emersi dei temi comuni che necessitano attenzione immediata: la gestione della diversità; la disoccupazione; limiti nelle capacità e nella fornitura di servizi; la riforma della terra e la corruzione. Altri problemi diffusi sono la violenza verso le donne, la povertà e la diseguaglianza e la dipendenza dall’estero.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

3.1. L’economia regionale in Africa Accanto al processo di integrazione continentale, gli Stati africani hanno dato vita a processi di integrazione sub-regionale di natura prettamente economica. Le principali organizzazioni (denominate RECs in inglese, cioè Regional Economic Communities) sono: - Mercato Comune per l’Africa Orientale e Meridionale (COMESA, Common Market for East and Southern Africa). - Unione Araba del Maghreb (AMU, Union du Maghreb Arabe). - Comunità Economica degli Stati Africani Occidentali (ECOWAS, Economic Community of West African States). - Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale (SADC, Southern African Development Community). - Autorità inter-governativa per lo sviluppo (IGAD, Inter-governmental Authority on Development). - Comunità Economica degli Stati dell’Africa Centrale (CEMAC, Communauté Economique et Monétaire d’Afrique Centrale).

44. Le diverse organizzazioni africane hanno come scopo principale lo sviluppo di aree di libero scambio e di semplificazione dei traffici. Indubbiamente, molte di queste si sono evolute sul piano politico, come testimoniato ad esempio dalla presa in carico della risoluzione di alcuni conflitti regionali.

45. L’esistenza delle orga-

Fig. 15 Le principali organizzazioni regionali africane (Fonte: World Bank)

nizzazioni regionali accanto all’Unione Africana mette in evidenza, a prescindere da qualunque considerazione sull’ef ficacia delle stesse, la dif ficoltà del processo di integrazione su scala continentale.

46. Di par i pas s o allo s for zo di integr are dal punto di vista politico e doganale l’Africa partendo da comunit à regionali, anche lo sviluppo economico, ha assunto negli ultimi anni una dimensione regionale. I singoli Stati hanno maturato sempre più la consapevolezza che una maggiore integrazione delle economie e la condivisione di obiettivi e risorse per lo sviluppo conferiscano anche maggiore efficacia agli investimenti, sia privati che nell’ambito dei programmi internazionali di cooperazione allo sviluppo.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Protagoniste e strumento di questo convincimento sono state le organizzazioni regionali africane, che già avevano tra i propri obiettivi quelli della maggiore integrazione e condivisione di scelte per lo sviluppo, limitatamente agli Stati membri delle organizzazioni.

47. È questo quindi il contesto in cui si è sviluppata la logica dei corridoi trans-nazionali come modalità di intervento per lo sviluppo: si mettono a fattor comune le risorse per la costruzione di grandi opere infrastrutturali che consentono di aumentare la mobilità, le connessioni e gli scambi tra gli Stati, di migliorare le comunicazioni e l’approvvigionamento energetico, contribuendo così ad accrescere la competitività e lo sviluppo della regione interessata dagli interventi.15 L’avvio di progetti concreti di sviluppo infrastrutturale, associati alla realizzazione di politiche e misure volte a favorire l’integrazione dei mercati e la liberalizzazione degli scambi, dovrebbe contribuire a dare una svolta al processo stesso di integrazione africano.

Fig. 16 Le infrastrutture per i trasporti previste dal corridoio Nord-Sud (Fonte: Regional Trade Facilitation Programme)

48. Il corridoio Nord-Sud rappresenta un progetto pilota di applicazione del meccanismo dell’Aid for Trade. Per la prima volta, a livello regionale, gli investimenti in infrastrutture sono effettuati contemporaneamente all’adozione di misure per favorire i commerci e gli scambi (approccio multi-settoriale). Il progetto è stato voluto da tre organizzazioni regionali dell’Africa sud-orientale, COMESA, EAC e SADC16.

49. L’obiettivo del corridoio è ridurre le difficoltà e la lentezza nei collegamenti commerciali al fine di renderli più competitivi e, in ultima istanza, accrescere lo sviluppo economico, l’occupazione e ridurre la povertà negli 8 Stati africani coinvolti: Sudafrica, Zimbabwe, Zambia, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo, Malawi, Botswana e Mozambico. Il progetto ha un approccio multi-settoriale: sono previsti infatti investimenti su tutte le infrastrutture necessarie ai collegamenti e agli scambi, cioè strade, porti e ferrovie,inclusi interventi nel settore dell’energia elettrica.

15. L’importanza dei corridoi è stata riconosciuta anche nell’ambito del 12° vertice dei capi di stato dell’Unione Africana, tenutosi ad Addis Abeba nel febbraio 2009 in cui è stata espressa la convinzione che l’integrazione continentale non passa solo attraverso le scelte e le aperture politiche, ma che sia necessario imple-

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mentare la rete di comunicazioni a livello continentale, attraverso interventi diretti sulla rete della mobilità e dei trasporti e delle telecomunicazioni. 16. La decisione è stata presa nell’ambito del Vertice tripartito di Kampala (Uganda) dell’ottobre 2008.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

50. È stato calcolato che i miglioramenti infrastrutturali nell’ambito del corridoio Nord-Sud porteranno ad un risparmio di tempo per le aziende localizzate in Africa pari a 150 milioni di Dollari all’anno. Secondo la World Bank, una adeguata fornitura di energia, buone strade e un regime commerciale favorevole possono portare ad un aumento del Pil del 2% e ad una crescita della produttività del 40%. Tra i principali risultati attesi dal miglioramento della dotazione infrastrutturale delle aree coinvolte vi sono: - Riduzione dei costi di trasporto e transito del 25% per i traffici tra Dar es Salaam (Tanzania) e Lusaka (Zambia). - Riduzione del 10% dei tempi di viaggio tra Lusaka e Durban (Sudafrica). - Riduzione di almeno il 20% dei tempi di transito nel posto di blocco di Chirundu a confine tra Zimbabwe e Zambia. - Riduzione dei costi e dei tempi di transito tra l’Africa orientale e meridionale. - Aumento della trasmissione di energia elettrica tra i Paesi, soprattutto di quella idroelettrica.

51. L’area interessata è pari al 25% dell’intero continente; raccoglie 198 milioni di persone (pari a circa il 25% della popolazione dell’Africa subsahariana) e un Pil di 351 miliardi di Dollari (quasi la metà del Pil dell’Africa subsahariana).

52. Accanto agli interventi sulle infrastrutture fisiche, gli Stati che partecipano al progetto si sono impegnati, come contropartita, ad adottare e attuare le misure necessarie per favorire la liberalizzazione degli scambi e l’integrazione dei mercati regionali (peraltro già obiettivo delle diverse organizzazioni regionali africane e dell’Unione Africana).

53. Il corridoio Nord-Sud si compone di due corridoi indicati come prioritari dal NEPAD: il corridoio Durban, che collega la regione del Copperbelt nello Zambia ai porti del Sudafrica, e il corridoio di Dar es Salaam, che collega il porto della Tanzania allo Zambia. Esso andrà poi ad integrarsi con altri corridoi per i transiti e i trasporti che attraversano tutto il continente africano. In particolare, è prevista l’integrazione con il corridoio Centrale, che va dal porto di Dar es Salaam in Tanzania al Ruanda e al Burundi; il corridoio Nord che attraversa Kenya, Uganda, Ruanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo e il corridoio tra il Sudan meridionale e l’Etiopia.

54. L’impegno finanziario complessivo è di 1,2 miliardi di Dollari17 stanziato per migliorare i collegamenti ferroviari, stradali e portuali lungo il corridoio africano Nord-Sud e per ampliare l’accesso all’energia elettrica.

55. Un’altra area interessata da un notevole sviluppo dei corridoi è l’Africa occidentale. L’area dell’ECOWAS18 sta sviluppando collegamenti innanzitutto stradali lungo le direttrici est-ovest e da nord a sud. Le arterie più importanti dell’area sono: · La Dakar-Lagos che attraversa i 10 Stati costieri dell’ECOWAS

17. Ai finanziamenti di tale importante progetto infrastrutturale partecipano anche l’Unione Europea (si veda capitolo 5) e singoli Stati. 18. Economic Community of West African States formata da

Benin, Burkina Faso, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Guinea Bissau, Liberia, Mali, Niger, Nigeria, Senegal, Sierra Leone, Togo.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

· La Dakar-N’djamena che attraversa Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria e arriva fino in Ciad · La Algeri-Lagos, autostrada che attraversa il deserto del Sahara

56. Il cuore pulsante dell’area è il corridoio urbano che passa da Ibadan e Lagos in Nigeria, Cotonou in Benin, Lomè in Togo e Accra in Ghana. Le città principali lungo il corridoio distano le une dalle altre circa 150-200 chilometri e, tra una e l’altra, si sono formati numerosi insediamenti abitativi, tanto da renderlo il corridoio più densamente e ininterrottamente popolato dell’Africa subsahariana. Accra conta il 19,7% del totale della popolazione del Ghana, Lomè il 58% della popolazione del Togo, Cotonou il 22,4% della popolazione del Benin e Lagos circa il 6,6% della popolazione della Nigeria con circa 9,7 milioni di abitanti. In totale il corridoio ha una popolazione di 18,3 milioni di abitanti considerando solo le città e si stima arrivi a 25 milioni di abitanti contando anche gli abitanti di cittadine e villaggi. Anche dal punto di vista economico le città del corridoio hanno un peso determinate nell’area: Lagos produce da sola il 26,2% del Pil della Nigeria e ad Accra sono concentrate il 70% delle industrie manifatturiere del Ghana.

57. È evidente come la presenza di un corri-

Fig. 17 Rete delle autostrade dell’Africa occidentale (Fonte Nazioni Unite)

doio di tale entità possa funzionare da volano per lo sviluppo economico di tutta l’area. L’ECOWAS, consapevole di questa opportunità, ha adottato dei protocolli per facilitare gli scambi all’interno dell’area con l’obiettivo di: - Adottare politiche, leggi e regolamenti comuni in materia di trasporti e comunicazione - Sviluppare un network esteso di autostrade asfaltate all’interno della Comunità con Fig. 18 Corridoio urbano Accra-Lagos-Ibadan priorità a quelle sovranazionali (Fonte: Nazioni Unite) - Promozione dei servizi di trasporto aereo regionale - Armonizzazione delle norme di trasporto marittimo Tuttavia questi protocolli sono ancora lontani dall’essere concretamente adottati (a causa di lungaggini burocratiche e amministrative) e la sostanziale frammentazione del territorio lungo il quale si snoda il corridoio urbano, spezzettato da confini statali e dogane, ostacola e rallenta lo scambio di merci e di persone, facendo perdere all’area molte delle opportunità di crescita derivanti dalla concentrazione di persone e risorse lungo il corridoio. Nel 2010 la Banca Mondiale ha approvato un programma da 228 milioni di Dollari per abbattere le barriere commerciali e potenziare i trasporti stradali e marittimi da Abidijian a Lagos. I miglioramenti nell’efficienza del corridoio aumenteranno gli scambi interni e con l’estero facilitando importazioni ed esportazioni e permetteranno al corridoio urbano di diventare davvero elemento catalizzatore per l’economia di tutta l’area.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

4. L’Africa e lo sforzo per raggiungere i “Millenium Development Goals” (MDG)

58. Nati durante il Summit del Millennio delle Nazioni Unite del settembre 2000 e sottoscritti da 189 nazioni all’interno della Dichiarazione del Millennio, gli 8 Millennium Development Goals stanno cambiando il cammino dello sviluppo di molti Paesi orientando gli sforzi di governi, agenzie per lo sviluppo, organizzazioni non governative e società civile verso il loro raggiungimento. Gli obiettivi sono: 1) Sradicare l’estrema povertà e la fame. 2) Raggiungere la piena scolarizzazione primaria. 3) Promuovere l’uguaglianza dei sessi e rafforzare il ruolo della donna. 4) Ridurre la mortalità infantile. 5) Migliorare la salute delle madri. 6) Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie. 7) Assicurare la sostenibilità ambientale. 8) Sviluppare una collaborazione mondiale per lo sviluppo19.

59. Gli obiettivi sono stati definiti rispetto all’orizzonte temporale del 2015. Sono misurabili e concreti e rappresentano un riferimento per la valutazione delle politiche per lo sviluppo messe in atto dai governi locali e dalle organizzazioni sovranazionali, che sono quindi responsabili per il loro raggiungimento. Fig. 19 Andamento delle rimesse verso l’Africa, Miliardi di Dollari (Fonte: World Bank, 2010)

19. Obiettivo non misurabile

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Ciascuno degli obiettivi è composto da sotto-obiettivi (o target), anch’essi quantificabili, per i quali è stato proposto un articolato sistema di indicatori di riferimento, che agevolano la valutazione del grado di Fig. 20 Avanzamento nel raggiungimento dei Millenium Development raggiungimento. Goals al 2007 (Fonte: OECD)

60. L’Africa subsahariana è sicuramente uno d ei ter r itor i c he s t a incontrando più difficoltà nel conseguimento degli obiettivi anche se alcuni Stati hanno raggiunto e superato i target di riferimento. La crisi mondiale, inoltre, ha rallentato il progresso nel raggiungimento degli obiettivi.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Obiettivo 1: Sradicare l’estrema povertà e la fame Target 1: Ridurre di metà dal 1990 al 2015 la proporzione di popolazione che vive con meno di 1$ al giorno

61. È uno degli obiettivi più difficili da raggiungere. Dal 1990 il trend è comunque stato positivo sebbene lontano dai valori richiesti stimati per raggiungere l’obiettivo nel 2015. Il numero di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno è sceso dal 55,7% del 1990 al 51,4% del 2007. La crisi mondiale tuttavia ha rallentato i progressi in questo campo e, se il trend 19902007 avrebbe consentito nel 2015 di raggiungere un 36% di popolazione sotto 1$ al giorno, con gli effetti della crisi si stima si possa arrivare solo al 38%. il 50% degli Stati per cui i dati sono disponibili (24 Stati) mostra un Fig. 21 % di forza lavoro che vive con meno di un miglioramento non sufficiente a rag dollaro al giorno (Fonte: TEH-Ambrosetti giungere il target nell’orizzonte tempo su dati World Bank) rale di riferimento o addirittura un peggioramento della situazione. Questa difficoltà è più accentuata negli Stati dell’Africa occidentale (10 Stati) e del sud Africa (9 Stati). Quelli invece che mostrano performance positive o molto positive sono Camerun, Capo Verde, Senegal, Kenya, Mauritania e Ghana. Rispettano invece il livello di crescita per raggiungere il target Benin, Repubblica del Congo, Guinea, Swaziland e Uganda.

Target 2: Ridurre della metà tra il 1990 e il 2015 la proporzione di popolazione che soffre la fame

62. I risultati sono contrastanti: la percentuale di popolazione sotto alimentata è passata dal 32% del 1990 (202 milioni di persone) al 28% del 2005. Questo risultato non è sufficiente ad arrivare al target del 16%, atteso per il 2015. Le persone che soffrivano la fame nell’Africa subsahariana nel 2009 sono state stimate dalla FAO pari a 265 milioni, il 32% della popolazione, in crescita dell’11,8% rispetto al 2008. L’area del Nord Africa20 ha subito l’aumento percentuale più alto, dell’ordine del 13%. Anche in questo caso esistono Paesi con migliori e peggiori performance: Angola, Ciad, Gibuti e Mozambico hanno mostrato buoni risultati, mentre le aree dell’Africa centrale e orientale continuano a soffrire la fame. I casi più gravi si riscontrano in Repubblica del Congo, Burundi, Liberia, Guinea-Bissau. A causa della crescita del prezzo dei prodotti dell’agricoltura, del petrolio, unitamente alla crescita costante della popolazione e alla produttività sempre molto bassa dell’agricoltura la sicurezza alimentare sta attraversando un nuovo periodo critico. La crisi mondiale in atto aggrava ulteriormente la situazione.

20. I dati Fao non distinguono i dati del Nord Africa da quelli del Medio Oriente. Non sono quindi disponibili dati disaggregati.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Obiettivo 2: Raggiungere la piena scolarizzazione primaria Target : E ntro

il

2015

dare a tutti i bambini, maschi e femmine, i mezzi per completare la

scuola primaria

63. Il tasso di iscrizione al primo anno è cresciuto di 18 punti percentuali tra il 1999 e il 2008 (dal 56% al 74% della popolazione in età scolare). Alcuni Stati hanno già raggiunto la piena iscrizione: Madagascar, Sao Tome e Principe, Seychelles e Tanzania, mentre altri sono molto vicini (intorno al 95%) ovvero: Algeria, Egitto, Tunisia, Mauritania, Ruanda, Uganda e Zambia. Altri Stati hanno mostrato miglioramenti molto consistenti passando da un tasso di iscrizione intorno al 50% (1999) al 70% (2008) tra questi Benin, Etiopia, Ghana, Guinea e Mozambico. Anche in questo caso, nonostante risultati molto positivi di alcuni Paesi, metà degli Stati dell’Africa subsahariana non sono in linea con il raggiungimento dell’obiettivo o addirittura hanno segnato un peggioramento della loro situazione (Capo Verde, Liberia, Gambia e Sudafrica, quest’ultima pur a livelli alti, in peggioramento).

64. L’altra condizione per il conseguimento della piena scolarizzazione è il completamento della scuola primaria: Nel 2008 il tasso di completamento della scuola primaria è arrivato al 65% dei bambini in età scolare; nel 1990 solo il 49% di questi completava il ciclo primario e nel 2000 il 53%. I progressi sono stati quindi notevoli. L’alfabetizzazione dei bambini sotto i 15 anni è migliorata dal 66,5% del 1990 al 73% del 2006. Questa crescita risulta ancora inadeguata al raggiungimento del 100% per il 2015.

Fig. 22 % di bambini che hanno completato la scuola primaria (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank)

Obiettivo 3: Promuovere l’uguaglianza dei sessi e rafforzare il ruolo della donna 65. I progressi nell’eliminazione delle diseguaglianze tra i sessi sono molto evidenti nel confronto dei tassi di is c r izio ne alla s c uola p r imar ia: i l 67,9% degli Stati dell’Africa subsahariana hanno raggiunto o sono allineate per raggiungere l’obiettivo per il 2015 e di questi più dell’80% ha una percentuale maggiore o superiore alla media. Gambia, Mauritania, Maur itius, Namibia e Ruanda hanno raggiunto la parità, colmando

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Fig. 23 Tasso di iscrizione delle femmine alla scuola primaria in relazione a quella dei maschi (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank)


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

in 15 anni un divario pari al 30% tra maschi e femmine e, alcuni Stati, hanno addirittura segnato un vantaggio delle femmine (Mauritania, Gambia, Ruanda, e Mauritius).

66. Sono stati fatti miglioramenti anche rispetto all’impiego della forza lavoro femminile: nel 1990 gli impiegati in settori non agricoli erano donne per il 23% mentre al 2007 esse sono il 29%21; la Banca Mondiale stima che per il 2015 esse saranno il 33% Ancora più rilevante il miglioramento nella percentuale di seggi in parlamento occupati dalle donne, dal 7,2% del 1990 all’attuali 18% (dato 2009).

Obiettivo 4: Ridurre la mortalità infantile Target 4:

ridurre di

2/3

tra il

1990

e il

2015

la mortalità dei minori di

5

anni

67. L’Africa subsahariana è sicuramente l’area del mondo più lontana dal raggiungimento di questo obiettivo: i bambini morti in quest’area sono circa la metà di tutti quelli morti nei paesi in via di sviluppo. Nel 2007 la mortalità infantile è stata di 145 bambini ogni 1.000 nati vivi ( 157 nel 2006) contro i 77 su 1.000 dell’Asia meridionale ( seconda area con le peggiori performance). Ci sono tuttavia 19 Stati virtuosi che hanno già raggiunto l’obiettivo. I Paesi che hanno mostrato i risultati migliori, oltre a quelli del Nord Africa, sono stati Eritrea, Malawi, Mozambico, Namibia, Niger e Tanzania. che pur partendo da livelli di mortalità molto alti hanno già raggiunto l’obiettivo. Ben 8 Stati (Benin, Burundi, Camerun, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Bissau, Kenya e Sud Africa) hanno mostrato un peggioramento rispet to addirit tura al dato Fig. 24 Mortalità dei bambini sotto i 5 anni ogni 1.000 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank) 1990. La crisi mondiale dovrebbe comportare inoltre, all’interno di questo quadro di per sè poco confortante, un inasprimento delle aspet tative. Se prima della crisi si stimava che per il 2015 l’Africa avrebbe raggiunto un tasso di mortalità infantile (sotto i 5 anni) di 129,2 morti ogni mille nati; la stima aggiornata post crisi è di 139,5 morti ogni 1000 nati vivi per il 2015.

68. Il raggiungimento di questo obiettivo è fortemente correlato con la riduzione della povertà, dal momento che la povertà è responsabile della malnutrizione e del peggioramento delle condizioni igieniche che, riducendo le difese del sistema immunitario, causano malattie altrimenti prevenute dall’immunizzazione.

21. Contro una media mondo del 39%.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Nel 2007 il 28% dei bambini sotto i 5 anni era sottopeso (stesso dato del 2006, partendo dal 32% del 1990). Il fenomeno risulta essere molto più grave nelle campagne (30% di bambini sottopeso) che nelle città (19% di bambini sottopeso). Quanto alle malattie, il morbillo è la causa principale di morte dei bambini in Africa22, prima dell’AIDS, della tubercolosi e della malaria. Si sta facendo molto su questo fronte ma, considerati i risultati, gli sforzi devono essere ancora notevoli: nel 2007 la percentuale di bambini tra i 12 e 23 mesi che ha ricevuto una dose di vaccino contro il morbillo è salita dal 55% del 2000 al 73% del 2007, percentuale inferiore alla media dei paesi in via di sviluppo (80%) allineata con quella dell’Asia meridionale (72%) e superiore all’Oceania (62%).

Obiettivo 5: Migliorare la salute delle madri Target: R idurre

di

3/4

tra il

1990

e il

2015

il tasso di mortalità per il parto

69. Metà dei decessi materni (circa 265.000) si sono verificati nell’Africa subsahariana. Il rischio per le madri di morire per complicazioni in seguito al parto è la più alta al mondo: 1 su 22 contro 1 su 7.300 dei Paesi sviluppati. Nel 2005 la mortalità è stata di 900 madri ogni 100.000 nati vivi: praticamente il doppio rispetto al secondo peggior risultato, 490 ogni 100.000, nell’Asia meridionale. Il target per il 2015 dovrebbe essere quello di raggiungere un livello vicino ai 230: solo il 26,9% degli stati dell’Africa subsahariana sono allineati e il progresso dal 1990 è stato solo di un punto percentuale.

70. Le maggiori cause della mortalità materna sono, in ordine di importanza: emorragie, setticemia e infezioni (compreso l’HIV), disordini da ipertensione e complicazioni derivate dall’aborto. Nel 2007 il 44% delle donne è stata assistita da un operatore sanitario durante il parto (42% nel 1990) e il 75% è stata visitata almeno una volta durante la gravidanza (68% nel 1990).

Fig. 25 Confronto della mortalità materna nei paesi in via di sviluppo: numero di morti per parto ogni 100.000 nati vivi, 2005 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UNDP)

71. Un ulteriore fattore di rischio è la maternità in età adolescenziale. Le nascite da madri tra i 15 e i 19 anni erano scese da 131 ogni 1.000 donne del 1990 a 118 nel 2000; la proporzione del 2006 (123 ogni 1.000) mostra una preoccupante inversione di tendenza. Questo problema può essere progressivamente eliminato aumentando l’accesso e la qualità dei servizi sanitari per le donne, l’accesso agli strumenti di pianificazione delle nascite, la prevenzione delle gravidanze non volute e l’aumento dell’istruzione femminile.

22. World Health Organization, 2008.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Obiettivo 6: Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie Target 1: Fermare

e iniziare a diminuire la diffusione dell’HIV/AIDS entro il

2015

72. Questo target è molto lontano dell’essere raggiunto. Nel 2007 un terzo di tutti i nuovi contagi di HIV nel mondo e il 38% delle morti da AIDS si sono verificate nell’Africa subsahariana. Il tasso di positività all’HIV è passato dal 2,1% del 1990 al 4,9% del 2009. Circa il 67% della popolazione mondiale infetta da HIV vive nell’Africa subsahariana e questa malattia rappresenta la prima causa di morte. Circa il 60% delle persone infette da HIV in Africa è donna. L’Africa meridionale registra i più alti tassi di infezione: il worst performer è lo Swaziland con il 26% della popolazione affetta da HIV; in grave difficoltà anche Botswana (23%); Lesotho (23%), Sud Africa (18%) e Namibia (15%). In più dell’80% degli Stati dell’Africa subFig. 26 Percentuale di donne tra i 15 e 24 anni affette da HIV sahariana i tassi di infezione da HIV non (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank) sono stati ridotti sufficientemente o addirittura sono aumentati. Questo rende difficile raggiungere l’obiettivo prefissato per il 2015. In Africa, inoltre l’HIV rappresenta uno degli ostacoli principali allo sviluppo sostenibile dato che la fascia di popolazione più colpita è quella tra i 14 e i 49 anni di età. Inoltre si stima che dei 15 milioni di bambini che restano orfani ogni anno a causa dell’AIDS ben 12 milioni siano africani.

Target 2: Garantire

entro il

2010 l’accesso

universale alle cure per l’AIDS per chi ne ha

bisogno

73. Il numero di persone che ricevono terapie antiretrovirali è in continuo aumento: nel 2006 erano il 21% mentre nel 2007 erano già salite al 30%. Nonostante ciò, nel 2007 a causa della scarsità di medicinali rispetto al bisogno, 5 milioni di persone si sono viste negare l’accesso alle terapie. D’altra parte si stima che dal 2002 l’utilizzo di questi farmaci abbia fatto guadagnare 2 milioni di anni di vita nella sola Africa subsahariana.

74. Dopo l’HIV, la malaria e la tubercolosi sono le malattie più serie. Circa l’80% delle morti per malaria al mondo sono localizzate nell’Africa subsahariana; la malaria inoltre è responsabile di più del 18% delle morti dei bambini sotto i 5 anni. La lotta alla tubercolosi si dimostra particolarmente critica: se nel 1990 i nuovi casi erano 157 ogni 100.000 abitanti (escludendo quelli positivi all’HIV), nel 2006 i nuovi casi sono stati 291 e nel 2007 essi sono lievemente scesi a 234. Nonostante questo lieve miglioramento questi dati mettono seriamente in discussione la possibilità di fermare la malattia per il 2015; il virus della tubercolosi è mutato diventando resistente ai farmaci più diffusi.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Obiettivo 7: Assicurare la sostenibilità ambientale Target: D imezzare

entro il

2015

la percen potabile e strutture sanitarie di base

75. La mancanza di infrastrutture di base rende l’accesso a fonti di acqua potabile e ai servizi igienici prioritari. Nel 2006 solo il 58% della popolazione africana ha avuto accesso all’acqua potabile con una netta differenziazione tra la situazione delle città (accesso all’80%) e delle campagne (accesso al 46%); il target da raggiungere per il 2015 è del 75%. Il 60% dei Paesi ha raggiunto l’obiettivo (Marocco, Mali, Ciad, Camerun, Benin, Ghana, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Sierra Leone, Senegal, Guinea, Guinea Bissau, Somalia, Zambia e Zimbabwe) o è sulla strada per raggiungerlo (ad esempio: Namibia, Liberia, Lesotho, Sud Africa, Botswana e Mauritania). Per contro c’è un gruppo di Paesi che ha addirittura peggiorato la proprie performance dal 1990 al 2006: Algeria, Isole Comore, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale ed Etiopia.

76. Ancor più preoccupante è l’accessibilità ai servizi igienici: nel 2006 nell’Africa subsahariana solo il 31% della popolazione ne ha potuto usufruire (29% nel 2000 e 26% nel 1990); di questi il 42% era nelle città e il 24% nelle campagne. Il target per il 2015 è di allargare l’accesso ai servizi al 63% della popolazione il che significherebbe passare dai 242 milioni di persone che hanno attualmente accesso a circa 612 milioni nel 2015. Questo risulta un obiettivo ancora più difficile da raggiungere se si pensa che la crescita demografica, l’accelerazione dell’urbanizzazione e quindi l’allargamento di periferie degradate rischiano di rendere ancora più difficile l’estensione dell’accesso ai servizi sanitari. Attualmente nell’Africa subsahariana la percentuale di popolazione urbana che vive negli slum è circa del 62%; a queste famiglie spesso mancano l’acqua potabile, strutture igieniche, una abitazione solida e duratura o un’area sufficiente per vivere.

77. Altri problemi con ricadute meno dirette sulle popolazioni che vengono monitorate all’interno di questo obiettivo sono le emissioni di CO2 – esigue in Africa rispetto a quelle dei Paesi sviluppati (sebbene in crescita) e la deforestazione, problema sicuramente più attuale se si considera la deforestazione del continente causata da un lato dallo sfruttamento per il legname e dall’altro dalla ricerca di nuovi terreni per le piantagioni. Per questo aspetto si sta riscontrando un trend moderatamente positivo: la porzione di territorio sottoposto a protezione ambientale è salita dal 8,5% del 1990 al 9,5% del 2007 al 10% del 2009; tuttavia l’Africa subsahariana continua ad essere una delle aree al mondo che contano le perdite più consistenti di foreste: circa 4,1 milioni di ettari in meno ogni anno (2000-2005).

Obiettivo 8: Sviluppare una collaborazione mondiale per lo sviluppo 78. Nel definire gli obiettivi del Millennio le Nazioni Unite hanno riconosciuto la centralità della collaborazione tra i Paesi più sviluppati e quelli più poveri. L’ottavo obiettivo è stato suddiviso in sotto-obiettivi; alcuni dei quali non sono misurabili ma si configurano piuttosto come linee guida per la creazione di una più forte e responsabile collaborazione tra nord e sud del mondo. Essi sono:

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

1) Sviluppare progressivamente un sistema commerciale e finanziario aperto, trasparente e non discriminatorio. 2) Affrontare i bisogni particolari dei Paesi meno sviluppati (incluse esportazioni libere da tariffe e quote per i paesi meno sviluppati; programmi per l’estinzione del debito, aiuti più generosi da parte dei Paesi impegnati nella riduzione della povertà). 3) Affrontare i problemi dei paesi in via di sviluppo landlocked e delle piccole isole. 4) Affrontare in maniera estensiva il problema del debito per i Paesi in via di sviluppo attraverso misure a livello nazionale e internazionale affinché il debito sia sostenibile nel lungo termine. 5) In cooperazione con il settore farmaceutico dare accesso a basso costo ai medicinali essenziali 6) In cooperazione con il settore privato rendere disponibili i benefici delle nuove tecnologie soprattutto dell’informazione e delle comunicazioni.

79. I progressi nei primi 4 sotto-obiettivi sono stati largamente inadeguati, a parte nel caso dell’alleggerimento del debito. Per quanto riguarda gli aiuti essi hanno avuto nel 2008 un aumento del 10,2% arrivando a 119,8 miliardi di Dollari, cifra più alta mai raggiunta. A livello di singolo Stato donatore tuttavia sono pochissimi quelli che hanno rispettato il target di 0,7% del GNI di aiuti (Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia). La crisi finanziaria del 2009 ha visto ridurre gli aiuti verso l’Africa: anche i Paesi virtuosi che rispettano il target dello 0,7% hanno diminuito l’ammontare di aiuti in termini assoluti per contrazione stessa del GNI. Inoltre vi sono state delle lacune da parte degli aiuti di alcuni Stati (Austria, Grecia e Italia) il cui contributo (estinzione del debito esclusa) è stato meno della metà del target stabilito. Questa situazione risulta preoccupante non solo perchè i mancati aiuti rendono più difficile il raggiungimento dei Millennium Development Goals ma anche perché minano la sostenibilità dei progressi già fatti.

80. Il Fondo Monetario internazionale ha istituito nel 1996 un programma l’HIPC (Heavily Indebt Poor Countries) per aiutare un gruppo di Paesi fortemente penalizzati da un debito e un servizio al debito insostenibile. Nel 2009 sono stati individuati 40 Paesi eleggibili di ricevere aiuti; di questi 29 sono dell’Africa subsahariana. Per ora 21 Paesi africani hanno raggiunto le condizioni per ottenere la cancellazione del debito23; 7 hanno ottenuto una eliminazione parziale (Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Guinea, Guinea Bissau, Liberia e Togo) e 4 Paesi africani hanno segnato livelli di indebitamento e povertà tali da farli entrare nel programma (Isole Comore, Eritrea, Somalia e Sudan).

81. L’aiuto dei Paesi sviluppati verso quelli in via di sviluppo dovrebbe passare anche attraverso il settore privato in determinati ambiti, ovvero il farmaceutico e le telecomunicazioni. Nel primo caso si tratta di adottare delle politiche che permettano di aumentare l’accesso (e quindi abbassare i prezzi) ai medicinali. Meno di 3/4 dei Paesi in via di sviluppo ha adottato politiche di sostituzione dei farmaci generici al posto di quelli di marca. Nel caso delle

23. Benin, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centro Africana, Repubblica del Congo, Etiopia, Gambia, Ghana, Madagascar,

Malawi, Mali, Mauritania, Mozambico, Niger, Ruanda, Sao Tomè e Principe, Senegal, Sierra Leone, Tanzania, Uganda, Zambia.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

telecomunicazioni l’obiettivo è quello di allargare la base di popolazione con accesso al telefono, ai cellulari e a internet. In Africa sono stati registrati nel 2007 più di 50 milioni di nuovi utenti di telefonia; la penetrazione della telefonia mobile è passata dal 2% del 2000 a quasi il 25% attuale. La diffusione dei telefoni cellulari non ha aumentato solo l’accesso ai servizi vocali ma anche alla messaggistica istantanea, m-banking, m-commerce e disaster management. I telefonini di nuova generazione inoltre consentono la connessione a internet a banda larga; questo potrebbe agevolare l’accesso (per ora limitato al 5% di utenti internet sull’intera popolazione) e colmare la carenza infrastrutturale di banda larga dell’Africa.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

5. “Ambrosetti Development of Africa Map – ADAM”: strumento interpretativo dello sviluppo degli Stati africani

82. La “Ambrosetti Development African Map – ADAM” (mappa strategica dei Paesi africani) è uno strumento elaborato appositamente per interpretare i fenomeni africani. La caratteristica di ADAM è l’approccio multi-dimensionale impiegato per fotografare e comprendere le linee portanti dello sviluppo dei Paesi africani, rendendone possibile il monitoraggio nel tempo.

83. Per un completo schema interpretativo non sono state considerate le sole variabili di natura economica24, ma anche altri fattori di sostenibilità della crescita e dello sviluppo: la dotazione di risorse naturali e minerarie e di infrastrutture e la rischiosità di un Paese sotto il profilo complessivo della governance, intesa sia come stabilità politica sia come efficienza dell’apparato amministrativo e normativo.

84. La mappa non si limita a visualizzare e monitorare la dinamica delle posizioni relative dei Paesi nel corso degli anni. Essa si propone come strumento a forte valenza predittiva, che permette di proiettare i tracciati evolutivi dei diversi Paesi nel medio termine, indicando così sia gli attuali sia i potenziali e più attrattivi player di domani.

85. La mappa strategica è quindi rivolta a quegli operatori pubblici e privati che hanno bisogno di strumenti analitici di facile lettura per guidare e sostanziare le loro decisioni di investimento, per identificare futuri partner economici e commerciali o per definire priorità nello stabilire più stretti rapporti bilaterali.

5.1. Metodologia di costruzione di “ADAM – Ambrosetti Development of Africa Map” 86. Le dimensioni di analisi sono state ricondotte a due indicatori principali, uno relativo alle performance economiche (tasso di crescita del Pil, tasso di crescita del Pil pro capite e livello di Pil pro capite), l’altro all’insieme dei patrimoni (ovvero risorse, infrastrutture “fisiche” e socio-sanitarie) necessari per la realizzazione e la sostenibilità nel tempo delle performance economiche25.

24. è nostra convinzione infatti che le misurazioni legate al Pil non bastino a descrivere la crescita della ricchezza di un Paese africano. 25. La dimensione performance economiche è stata utilizzata

come variabile dipendente (Y) rispetto alla quale confrontare la variabile indipendente (X), l’indice dei patrimoni, composto da risorse naturali, infrastrutture socio-sanitarie e infrastrutture fisiche.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

87. Le due dimensioni sono a loro volta composte da indici e sotto indiciì. Ogni indice scelto è stato indicizzato sulla base della media dell’Africa nell’anno di riferimento 2001, al fine di permettere il confronto delle grandezze ottenute tra i vari Paesi ed evidenziare l’evoluzione nel tempo dei Paesi africani.

88. La situazione politico-amministrativa è la terza dimensione rappresentata dal colore del punto nella mappa; l’introduzione dell’elemento istituzionale è dettata dalla convinzione che la variabile politico-amministrativa influisca sulla performance economica di un Paese26.

L’indicatore di sintesi delle performance economiche27 89. La dimensione economica (asse delle ordinate della matrice) serve per valutare lo “stato di salute” del sistema economico dei Paesi africani28; essa è composta da 3 indici di seguito illustrati. Fig. 27 Indicatore di sintesi delle performance economiche

90. Pil pro capite a parità di potere d’acquisto in Dollari (media dei 3 anni precedenti)29 (fonte: World Bank). Questo indicatore è stato scelto come proxy del benessere complessivo della popolazione di un Paese. Il reddito pro capite, come noto, non indica la distribuzione del reddito all’interno di un Paese; accade che, soprattutto nei Pesi in via di sviluppo, che esista un piccolo gruppo di persone con reddito molto elevato mentre la maggioranza resta molto povera. Nonostante questo limite30 il Pil pro capite rimane una delle misure più utilizzate per verificare il grado di ricchezza di

26. É bene sottolineare come la peculiarità della situazione africana renda indispensabile leggere con cautela ogni situazione rappresentata dalla mappa: a volte infatti performance di per sé positive nascondono situazioni di oligarchia e di sviluppo non strutturale del Paese. La sintesi elaborata rappresenta inoltre necessariamente un’approssimazione della realtà analizzata. 27. Si rimanda al databook per i valori degli indicatori di ciascuna dimensione di analisi. 28. La situazione complessiva dell’economia africana è stata approfonditamente descritta nel capitolo 5. 29. L’arco di tempo considerato di 3 anni è sufficientemente lungo per fotografare le recenti tendenze di sviluppo degli Stati,

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e per mediare picchi anomali che si possono verificare, evitando allo stesso tempo di attribuire un peso eccessivo alle situazioni passate. 30. Sono state messe a punto diverse misure del benessere di uno Stato, alternative o complementari a quella economica espressa dal Pil. Tra queste, ad esempio, ci sono l’Indicatore del progresso reale (in inglese Genuine Progress Indicator, GPI) che ha l’obiettivo di misurare l’aumento della qualità della vita distinguendo con pesi differenti tra spese positive (perché aumentano il benessere, come quelle per beni e servizi) e negative; la felicità nazionale lorda (in inglese Gross National Happiness) o l’Indice di sviluppo Umano elaborato dalla Nazioni Unite.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

uno Stato, specialmente in via di sviluppo, rispetto alla sola misura del Pil prodotto. Nel 2008 il Pil pro capite medio africano è stato di 4.298,9 Dollari con una crescita del 6,3% rispetto al 2007 in cui si assestava sui 4.026 Dollari.

91. Crescita media annua del Pil (media dei 3 anni precedenti) (fonte: World Bank, African Development Indicators). Questo indicatore consente di valutare il dinamismo e il sentiero di crescita dell’economia dei Paesi considerati. L’Africa risulta essere cresciuta nell’ultimo anno di osservazione (2008) in media del 5,4%, con tassi a due cifre soprattutto per i Paesi esportatori di petrolio e gas naturale. In generale, la maggioranza dei Paesi africani sembra essere avviata lungo un percorso di crescita. Dei 52 Paesi considerati, 5 (Angola, Guinea Equatoriale, Etiopia, Ruanda, Uganda e Nigeria) hanno avuto un tasso di crescita del Pil nel 2008 superiore o prossimo al 10%. La crisi economica in atto ha ridotto notevolmente questi tassi per il 2009 ma già agli inizi del 2010 i tassi sono previsti nuovamente in linea con quelli pre-crisi. Fig. 28 Crescita Pil Africa (2002-2012) (Fonte: TEH- Ambrosetti su dati World Bank)

92. Crescita media annua del Pil pro capite (media dei 3 anni precedenti) (fonte: World Bank, African Development Indicators). Questo indicatore è stato scelto quale migliore proxy disponibile della crescita della ricchezza pro capite, sebbene sia soggetto ad alcuni dei limiti del Pil pro capite stesso. Questo indicatore è di particolare rilievo infatti contiene al suo interno la segnalazione del più grande paradosso dell’Africa: se la crescita demografica percentuale è simile o maggiore della crescita del Pil vengono vanificati i benefici della crescita economica in termini di diffusione di benessere e ricchezza per la popolazione. Sono casi limite quelli del Togo, in cui la crescita del Pil nel 2008 è stata di +1,1% mentre il Pil pro capite è diminuito del -1,37%; del Senegal con Pil +2,5% e Pil pro capite a -0,17% e Costa d’Avorio con crescita del Pil 2008 a +2,2% e Pil pro capite in diminuzione del -0,1%.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

L’indicatore di sintesi di dotazione dei patrimoni 93. L’indicatore dei patrimoni è la seconda variabile utilizzata per costruire la mappa strategica (asse delle ascisse della matrice). Esso rappresenta la dotazione di risorse e di strutture di cui il Paese dispone per sostenere lo sviluppo. Questo indicatore è composto da una serie di indici relativi alle seguenti sotto-dimensioni: - Risorse naturali disponibili nel Paese - Infrastrutture fisiche - Infrastrutture socio-sanitarie Alla sotto-dimensione di “presenza di risorse naturali” è stato applicato un correttivo relativo alla diversificazione delle esportazioni, coerentemente con la considerazione che un Paese che basa le sue ricchezze naturali su una sola commodity risulti più fragile e vulnerabile di uno che diversifica la sua economia. Fig. 29 Composizione indicatore di sintesi dei patrimoni e relativi pesi

Risorse naturali e minerarie

94. Come già accennato, la crescita di molti Stati africani è strettamente legata all’industria estrattiva e allo sfruttamento delle risorse energetiche. L’obiettivo è valutare quanto un Paese sia per sua natura ricco di materie prime, risorse energetiche, minerarie e di altre risorse che, se ben valorizzate, consentano di alimentare lo sviluppo. Nello specifico gli indici presi in considerazione per valutare lo stato di questa dimensione (si rimanda al databook per i valori di ciascuna grandezza per i singoli Paesi africani) sono di seguito elencati.

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Fig. 30 Maggiori estrattori di oro tonnellate all’anno (Fonte: World Bank)


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Produzione di metalli, petrolio e gas (fonti: US Geological Survey, World Nuclear Association).

95. L’Africa è estremamente ricca di minerali: dalla bauxite in Guinea, al rame di cui sono grandi produttori mondiali Zambia e Repubblica Democratica del Congo. Ci sono poi grandi riserve di cromo nello Zimbabwe (oltre che in Sud Africa), di tungsteno in Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Uganda e Burundi e di titanio in Sierra Leone, Egitto e Sud Africa. Il Sudafrica è in assoluto il Paese africano a maggiore dotazione di metalli; da solo produce un terzo dell’intera produzione mondiale d’oro ed è tra i maggiori produttori al mondo di uranio31.

96. Per quanto riguarda le risorse energetiche, si stima che in Africa siano localizzate il 10% delle riserve mondiali accertate di petrolio e l’8% dei giacimenti di gas32. Il petrolio è per molti Stati africani la prima voce di esportazione. Tra questi, Nigeria, Libia, Angola e Algeria figurano tra i più grandi produttori mondiali di petrolio, seguiti da Egitto, Sudan, Guinea Equatoriale e Gabon. La presenza di petrolio è una risorsa che genera anche investimenti diretti esteri: le concessioni rilasciate per lo sfruttamento dei giacimenti, infatti, sono spesso ripagate non solo economicamente, ma anche attraverso la contropartita di investimenti in infrastrutture fisiche che rimangono in dotazione dei Paesi e che risultano funzionali allo sviluppo. Per il gas valgono le stesse considerazioni esposte per il petrolio. Nigeria, Algeria, Egitto e Libia sono i principali produttori di gas naturale dell’Africa.

97. Per non penalizzare alcuno Stato rispetto alla dotazione di una o dell’altra risorsa si è provveduto a formare un paniere di produzione di minerali e risorse energetiche sommando le produzioni di ciascun minerale/combustibile valorizzate al prezzo medio33 tra il 2001 (anno di inizio di rilevazione dei dati) e il 2005 (ultimo anno prima dell’ondata speculativa delle materie prime)34. Sono stati considerati tutti i metalli e carburanti che presentano consistenti produzioni in Africa: Bauxite, Cobalto, Cromo, Gas, Oro, Petrolio, Piombo, Platino, Rame, Titanio, Tungsteno, Uranio.

98. Produzione di diamanti (fonte: US Geological Survey). La produzione di diamanti è stata considerata separatamente da quelle degli altri minerali mancando un riferimento di prezzo affidabile per valorizzare tale pietra. La mancanza di un prezzo di riferimento è dovuta alla estrema variabilità della qualità delle gemme e alla mancanza di un vero e proprio mercato di scambio35.

31. Esso fornisce, insieme al Niger e alla Namibia, oltre un terzo della produzione mondiale di uranio. Nuovi giacimenti di uranio sono stati di recente scoperti anche in Malawi. 32. Fonte: Energy Information and Administration, Official Energy Statistics U.S. Government, 2007. 33. I prezzi si riferiscono al prezzo di listino per i minerali quotati e al prezzo di scambio over the counter (OTC) rilevato per i minerali minori.

34. La necessità di riferirsi a dei prezzi mediati è sorta per la presenza di picchi speculativi in alcuni anni indipendentemente dall’andamento generale del mercato (ad esempio il palladio nel 2001). 35. Il diamante non essendo considerata una commodity per le sue varietà e le specifiche diverse di ogni pietra non è commerciato su mercati standardizzati e non esiste di conseguenza un prezzo di scambio rilevato.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Con riferimento ai diamanti, le maggiori risorse sono concentrate in poche aree del continente africano, prevalentemente nel sud dell’Africa.

99. Produzione di legname (fonte: FAOstat). Tra le risorse non minerarie di cui è ricca l’Africa, non va trascurato il legname36 che, per molti Paesi, rappresenta un’importante risorsa da esportare. I maggiori produttori di legname sono: Nigeria, Gabon, Sud Africa, Repubblica Democratica del Congo e Camerun.

100. Percentuale di terra coltivata e coltivabile37 sul totale della terra (fonte: World Bank,World Development Indicators) La terra coltivabile o che può Fig. 31 Produttori legname sul totale Africa 2008 (Fonte: World Bank) essere adibita a pascolo è la condizione di partenza per praticare un’agricoltura che non sia strettamente di sussistenza. L’Africa non ha ancora saputo sfruttare il patrimonio agricolo che, in altri Paesi in via di sviluppo, specie del continente asiatico, ha consentito di dare il via allo sviluppo economico generale ( l a c o s i d d e t t a “r i v o l u z i o n e verde”38). Anche se a partire dalla Fig. 32 Primi 10 Paesi africani per percentuale di terra arabile fine degli anni ’90 qualcosa è sul totale (Fonte: World Bank, 2008) cambiato e l’agricoltura ha ripreso centralità nelle agende di molti governi, esistono ancora notevoli potenzialità non sfruttate nell’agricoltura africana, ancora in gran parte di sussistenza. In termini percentuali, l’agricoltura ha contribuito al 13% del valore aggiunto totale e al 30% della produzione di beni del continente. Nella figura sottostante sono riportati Paesi con i valori percentuali più alti di coltivabilità delle terre.

36. Nella valorizzazione dell’indice sono stati considerati solo i tronchi prodotti, eliminando le produzioni di legname a minor valore per la carta e da combustione. 37. Sono inclusi nell’indice i pascoli permanenti, la terra arabile e i terreni già coltivati. 38. Con questo termine ci si riferisce al vertiginoso boom della produttività agricola nel mondo in via di sviluppo tra il 1960 e il

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1990. Durante questi decenni, in molte regioni, specialmente in Asia e America Latina, il raccolto dei cereali più importanti (riso, grano e mais) è più che raddoppiato, mentre anche altre coltivazioni hanno avuto aumenti significativi. Il processo si è innescato a seguito dell’adozione di diverse iniziative da parte di molti Governi dei Paesi industrializzati e in via di sviluppo che hanno investito in maniera consistente nella ricerca agricola.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

101. Correttivo di diversificazione delle esportazioni (fonte: World Bank, African Development Indicators) All’indice di dotazione di risorse naturali abbiamo applicato un moltiplicatore che corregge il valore di dotazione in base alla diversificazione delle esportazioni. Questo correttivo è di fondamentale importanza per bilanciare i potenziali rischi dei Paesi che presentano un paniere molto ristretto di materie prime. Ad esempio, i Paesi la cui economia è fortemente legata ad una sola risorsa (i worst performer nella figura sotto) rischiano di incorrere in un momento di crisi del Paese qualora la risorsa da cui dipendono attraversi una fase di stallo nei commerci mondiali. Molti Paesi africani affetti da questo sbilanciamento hanno risentito pesantemente della recente crisi mondiale e del crollo della domanda di molte materie prime (si veda la prima parte del presente capitolo). Fig. 33 Diversificazione delle esportazioni nei 10 Paesi maggiormente diversificati e nei 10 più dipendenti (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank)

Indice di Diversificazione 10 Best Performer

10 Worst Performer

Marocco

67,3

Angola

1,1

Sudafrica

45,6

Ciad

1,1

Tunisia

35,8

Guinea-Bissau

1,2

Tanzania

30,1

Sudan

1,2

Senegal

22,3

Guinea Equatoriale

1,3

Kenia

21,9

Libia

1,3

Madagascar

21,2

Nigeria

1,3

Swaziland

20,0

Congo, Rep.

1,4

Egitto.

17,2

Niger

1,4

Mauritius

13,4

Gabon

1,9

102. Inoltre è stato dimostrato che una ricchezza ingente determinata da una sola materia prima instaura altri meccanismi che disincentivano uno sviluppo economico sostenibile e minano il buon funzionamento delle istituzioni. Approfondiremo questo tema nel paragrafo dedicato alla trappola delle risorse naturali. Il correttivo riduce del 20% l’indice di dotazione di risorse naturali per i Paesi molto dipendenti (indice di diversificazione39 < di 2) e abbiamo invece premiato, con una correzione del +20% sull’indice di dotazione di risorse naturali, i Paesi con esportazioni molto diversificate.

39. L’indice di diversificazione delle esportazioni è calcolato dalla banca mondiale su scala da 1 a 100, dove 1 rappresenta la

dipendenza totale da una sola commodity e 100 la situazione di diversificazione completa che fa capo all’economia mondiale.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

103. Sono soprattutto le economie basate sul petrolio e il gas a mostrare indici di diversificazione molto bassi (inferiori a 2): due situazioni limite sono quella dell’Angola e Ciad che hanno un indice di diversificazione minimo di 1,1. In Angola l’incidenza del petrolio contribuisce per circa l’85% del Pil totale e tra il 2004 e il 2007 esso ha contribuito a far crescere il Pil di 15 punti percentuali40 per anno diventando allo stesso tempo il punto di forza (entrate) e il punto di debolezza (dipendenza) di questo paese.

104. Tra i Paesi con maggiore diversificazione delle esportazioni troviamo: Egitto, Kenya, Madagascar, Marocco, Senegal, Swaziland, Tanzania, Tunisia e Sud Africa. É interessante notare come quasi tutti questi Stati (a parte il Sud Africa) non presentino nessuna dotazione di materie prime consistente, a ulteriore riprova che proprio la mancanza di una “rendita” stimola l’economia locale alla diversificazione e alla trasformazione. La mancanza di proventi da materie prime, e quindi di liquidità per comprare beni dall’estero, crea la necessità di costruire l’industria locale che diventa quindi competitiva prima nel proprio mercato di riferimento e successivamente nei Paesi confinanti e all’estero (si rimanda al paragrafo sulla trappola delle risorse naturali per approfondimenti).

Dotazione di infrastrutture fisiche

105. La seconda sotto dimensione considerata all’interno dell’indicatore di sintesi dei patrimoni è la dotazione di infrastrutture presenti sul territorio. Le infrastrutture fisiche rivestono infatti una notevole importanza ai fini dello sviluppo sociale ed economico complessivo di un Paese, la creazione delle condizioni necessarie per attirare investimenti diretti esteri e per favorire gli scambi commerciali tra le regioni africane e con l’estero.

106. Indice

di infrastrutture per la

(fonti: CIA, World Factbook e World Bank). Il primo indice considerato è relativo alla mobilità e al sistema dei trasporti, che rappresentano il primo fattore per la competitività di un territorio ed è composto dalla dotazione di strade, ferrovie e aeroporti. La dimensione41 molto diversa degli Stati africani ha reso necessario rapportare la dotazione in chilometri di strade e ferrovie e in numero di aeroporti alla superficie dei Paesi. Ovviamente in questo modo sono favoriti alcuni Stati a interesse turistico (primo mobilità

Fig. 34 Primi 10 Paesi per crescita dell’indice delle infrastrutture per la mobilità periodo 2001–2008 (Fonte TEH-Ambrosetti su dati vari)

40. La crescita a doppia cifra percentuale di paesi esportatori di petrolio è stata resa possibile anche grazie al forte rincaro del greggio avuto negli ultimi anni: i tre più grandi produttori (Alge-

158

ria, Angola e Nigeria) hanno guadagnato un trilione di Dollari nel periodo tra il 2000 e il 2008, in confronto ai 300 miliardi di Dollari guadagnati dagli stessi Paesi negli anni novanta.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

fra tutti le Seychelles) che dispongono di numerose infrastrutture, in particolare aeroporti, in misura sproporzionata rispetto ai bisogni interni. In ogni caso sebbene in termini di indici la sproporzione sia enorme, è indubbio come questa concentrazione infrastrutturale sia strumento e allo stesso tempo frutto dello sviluppo. Nella figura successiva sono stati riportati i Paesi in cui la crescita delle infrastrutture per la mobilità è stato maggiore nell’arco di tempo 2001-2008. Il Benin risulta essere lo Stato che è cresciuto di più grazie soprattutto alla sviluppo ferroviario che dal 2001 è quasi raddoppiato (da 420 km a 758 km di binari).

107. Tasso di elettrificazione42 (fonte UNDP, United Nations Development Programme) I tassi di elettrificazione del continente sono ancora molto bassi, soprattutto nell’Africa subsahariana: il tasso di elettrificazione dell’intera Africa è pari al 36%, un valore che scende al 24% se si considera la sola Africa subsahariana. Secondo i calcoli dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA), occorrerebbe investire almeno 350 miliardi di Dollari entro il 2030 perché il tasso di elettrificazione risponda ai bisogni futuri stimati.43 La figura sotto riporta quanti giorni all’anno ci sono stati black out in alcuni Paesi Africani selezionati e il confronto con Cina e India. Il caso limite è quello della Nigeria dove praticamente ogni giorno si registra un black out.44 Fig. 35 Numero di giorni l’anno in cui si sono verificati dei black out in selezionati Paesi africani, 2009 (Fonte: Center for Global Development)

41. Lo Stato più grande del Continente africano è il Sudan con una superficie pari a 2.505.810 km² (l’Italia ha una superficie di circa 301.000 km²). Lo Stato africano più piccolo è costituito dall’arcipelago delle Seychelles con una superficie totale di 455 km². 42. Misurato come il numero di persone che hanno accesso all’elettricità in percentuale della popolazione totale. L’ultimo

dato disponibile è del 2005, monitorato da una rilevazione spot dell’UNDP in anni diversi in Paesi diversi: l’anno di riferimento è quello a cui si riferisce il dato più aggiornato. La serie è stata considerata costante nell’elaborazione della mappa. 43. World Energy Outlook 2007. 44. Fonte: Center for Global Development , Marzo 2009.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Come per le infrastrutture della mobilità, anche le carenze di energia elettrica inficiano la competitività delle produzioni e degli scambi commerciali aumentando i costi di produzione.

Dotazione di infrastrutture socio-sanitarie

108. Le infrastrutture socio-sanitarie sono direttamente collegate allo sviluppo del capitale umano e al benessere della popolazione locale. Le strutture prese in considerazione sono tre: le scuole e gli ospedali, in quanto rappresentano le strutture minime di cui una comunità deve essere dotata, e la diffusione di strumenti per le telecomunicazioni. Gli indici scelti sono sotto elencati.

109. Istruzione primaria (fonte: World Bank, African Development Indicators) L’indicatore di istruzione primaria è stato ottenuto dalla media degli indicatori di: - iscrizione alla scuola primaria; - completamento della scuola primaria. Si è premiato il ciclo primario con ben due indicatori per adeguarsi al Millenium Development Goal relativo all’educazione che punta all’aumento del tasso di iscrizione e al completamento dell’istruzione primaria come basi fondamentali per lo sviluppo.

110. Presenza di medici, infermiere e volontari nel territorio45 (fonte: World Bank) L’indice di dotazione di personale medico indica quanto è diffusa la presenza di assistenza sanitaria a favore delle popolazioni. Al numero di ospedali abbiamo preferito un indicatore di personale: in questo modo è stato possibile valutare la presenza delle innumerevoli strutture paramediche (cliniche, ospedali da campo, ONG) che spesso svolgono un importante ruolo sussidiario rispetto alle strutture ospedaliere soprattutto nelle zone periferiche e in quelle rurali.

111. Diffusione di strumenti per le telecomunicazioni (fonte: The European House-Ambrosetti su dati World Bank) I mezzi di comunicazione e di informazione hanno ormai acquisito un ruolo fondamentale per lo sviluppo economico e sociale, consentendo significative accelerazioni nei percorsi di crescita. I sottoindici che compongono questo indice sono: il numero di linee telefoniche ogni 1.000 abitanti, il numero utenti di cellulari ogni 1.000 abitanti; il numero di computer ogni 1.000 abitanti e il numero di utenti internet ogni 1.000 abitanti. Si è ritenuto opportuno evitare di inserire nell’indice la presenza della banda larga in quanto ancora troppo poco diffusa. É interessante comunque evidenziare gli Stati in cui essa è più diffusa. Questi sono ancora una volta quelli più appetibili dal punto di vista turistico (Seychelles, Mauritius e Sao Tome e Principe) e quelli del Nord Africa (Marocco, Tunisia, Egitto, Algeria). Tra gli Stati dell’Africa subsahariana, oltre al Sud Africa che si attesta su livelli simili a quelli del Nord Africa, gli unici Stati46 in cui la banda larga raggiunge almeno un abitante ogni mille sono lo Zimbabwe, il Senegal, il Gabon, il Sudan e il Botswana. Non sono ancora dotati di banda larga47 (e quindi non compaiono nella tabella): Angola,

45. Rilevazione spot della Banca Mondiale del 2004. La serie è stata considerata costante nell’elaborazione della Mappa. 46. Tra quelli in cui ci sono dati disponibili.

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47. Al momento della rilevazione del dato che per alcuni Stati è antecedente al 2007. Si veda data book.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Burundi, Repubblica Centrafricana, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Etiopia, Guinea, Guinea Bissau, Liberia, Madagascar, Mozambico, Nigeria, Sierra Leone, Swaziland e Tanzania. Fig. 36 Presenza di banda larga ogni 1.000 abitanti. Per i Paesi contrassegnati da 1 asterisco l’ultima rilevazione si riferisce al 2007, per quelli contrassegnati da 2 asterischi al 2006, per quelli contrassegnati con 3 asterischi al 2005 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank)

Broadband per 1000 Paesi

2004

2007

2008

Algeria*

1,11

8,48

8,48

Angola*

0,00

0,67

0,67

Benin*

0,01

0,24

0,24

Botswana*

0,00

1,88

1,88

Burkina Faso**

0,01

0,12

0,12

Burundi

0,00

0,00

0,02

Camerun**

0,00

0,02

0,02

Cape Verde

0,60

14,86

14,80

Congo, Dem. Rep.*

0,03

0,02

0,02

Costa d'Avorio**

0,04

0,51

0,51

Egitto

0,39

5,96

9,43

Gabon*

0,48

1,39

1,39

Gambia*

0,02

0,17

0,17

Ghana

0,04

0,71

0,74

Kenya*

0,00

0,47

0,47

Lesotho***

0,01

0,02

0,02

Madagascar

0,00

0,14

0,33

Malawi*

0,01

0,11

0,11

Mali

0,00

0,26

0,41

Mauritania

0,00

1,28

1,84

Mauritius

2,08

48,78

57,55

Marocco

2,17

15,47

15,49

Namibia*

0,00

0,12

0,12

Niger***

0,01

0,02

0,02

Nigeria

0,00

0,00

0,17

Ruanda

0,13

0,27

0,44

Senegal

0,70

3,21

3,88

Seychelles

4,23

41,08

39,58

Sudafrica*

1,29

7,90

7,90

Sudan*

0,02

1,05

1,05

Togo

0,00

0,19

0,30

Tunisia

0,29

9,38

22,01

Uganda

0,00

0,06

0,15

Zambia

0,02

0,19

0,45

Zimbabwe*

0,72

1,22

1,22

161


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

L a situazione politico amministrativa

112. Nella mappa, per evidenziare la relazione tra governance e performance abbiamo colorato il punto relativo a ogni Stato di verde, giallo o rosso a seconda che la situazione politico amministrativa fosse positiva, con problemi o critica.

113. Per rendere ancora più evidente e consistente la relazione tra governance e performance (sia economica che di accumulo dei patrimoni) è stato attribuito il colore verde solo in presenza di 3 anni consecutivi di situazione positiva, la stessa cosa per il giallo: uno scostamento momentaneo dell’indicatore non è stato ritenuto sufficientemente per rilevare un miglioramento.

114. Nell’impianto della mappa ci si aspetta che siano principalmente i Paesi con governance positiva (verde) e quelli che migliorano la loro situazione (da giallo a verde) ad avere una crescita economica più solida. Una buona governance, tuttavia, aiuta un Paese a cogliere le opportunità che gli si presentano, ma non può generarne se non esistono. L’indice di stabilità politico amministrativa è formato da 6 sotto indici:

115. Stabilità politica e assenza di violenza (fonte: World Bank, African Development Indicators) Questo indice permette di verificare quanto le istituzioni politiche africane siano stabili, con una situazione interna di tranquillità.

116. Efficacia del governo (fonte: World Bank, African Development Indicators) L’indice misura la qualità dei servizi pubblici, la credibilità del Governo riguardo alle misure da realizzare, la qualità dell’apparato burocratico e l’indipendenza dei funzionari pubblici dalle pressioni politiche.

117. Qualità delle leggi (fonte: World Bank, African Development Indicators): Questo indice misura quanto le politiche implementate siano orientate al mercato dal punto di vista del controllo dei prezzi, della regolamentazione dei mercati finanziari, del potere di supervisione sul sistema bancario.

118. Rule of law (fonte: World Bank, African Development Indicators) L’indice misura la fiducia degli operatori nella capacità delle amministrazioni pubbliche di applicare le leggi dello Stato, la percezione dell’incidenza del crimine, della certezza della pena, della protezione della proprietà privata e della capacità dello Stato di far rispettare i contratti.

119. Corruzione (fonte: World Bank, African Development Indicators) L’indice misura il livello per cui il potere pubblico è esercitato per scopi privati, incluse forme di corruzione minime e macroscopiche, come anche la “cattura” dello Stato da parte di elite e lobby che esercitano interessi privati.

120. Voice and accountability (fonte: World Bank, African Development Indicators) L’indice misura quanto i cittadini di un Paese sono liberi nel partecipare alla vita politica e all’elezione dei loro rappresentanti e quanto esercitano libertà di espressione, associazione e quanto risultano liberi i media.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

5.2. Rappresentazione della Mappa: ADAM – Ambrosetti Development Africa Map 121. ADAM – Amborsetti Development of Africa Map è lo strumento di rappresentazione nel piano cartesiano degli elementi fin qui descritti. Al suo interno abbiamo individuato 6 aree di attenzione: - I 4 quadranti separati dalle mediane dell’asse delle ascisse e delle ordinate, che individuano ognuno un diverso gruppo di Paesi rispetto a performance economiche e dotazioni di patrimoni. - L’area di vulnerabilità delimitata dall’asse delle ordinate e dalla perpendicolare passante per il valore limite del primo quartile48 dell’asse dei patrimoni. - L’area di salvaguardia delimitata dalla mediana dell’asse delle ordinate e la perpendicolare passante per il valore limite del terzo quartile49 dell’asse dei patrimoni.

122. L’area di vulnerabilità

Fig. 37 Struttura della matrice ADAM – Ambrosetti Development Africa Map

è quella nella quale i Paesi o sono endemicamente poveri (terzo quadrante) e quindi partono da una situazione di povertà di patrimoni, crescit a sc ar s a e impossibilità di intervenire, oppure hanno sperimentato la crescita in assenza di patrimoni solidi (quarto quadrante). Questo secondo caso è tipico di quegli Stati in cui, pur in assenza di ogni altro tipo di dotazione infrastrutturale (scuole, strutture sanitarie, strutture per le telecomunicazioni e spesso anche una buona governance), viene scoperta una risorsa naturale che fa crescere repentinamente il Pil ma, in assenza di strumenti per sfruttare questa nuova ricchezza, la crescita registrata non si trasforma in patrimonio e spesso si arresta. È, per esempio, il caso del Ciad che dopo la scoperta del petrolio ha conosciuto una veloce fase di sviluppo economico (si veda la sua posizione nella mappa nel 2004) per poi ritornare alla situazione di partenza nel 2008.

123. L’area di salvaguardia è idealmente quella dove un Paese che registra un indice di sviluppo economico superiore alla mediana ha anche raggiunto un livello di solidità infrastrutturale tale per cui, salvo oscillazioni congiunturali, può considerare la sua situazione economica solo migliorabile. In questo quadrante ci sono Stati che, spesso ricchi di patrimoni

48. In una distribuzione si intende primo quartile quella parte di distribuzione in cui sono contenuti il 25% dei valori più bassi. Tanto più i valori sono concentrati all’inizio della distribuzione

tanto più piccolo sarà l’intervallo del quartile. 49. Parallelamente per terzo quar tile si intende la par te di distribuzione in cui sono contenuti il 25% dei valori più alti.

163


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

naturali50, sono riusciti a tramutare la crescita e la ricchezza anche in patrimoni “costruiti dall’uomo” (infrastrutture fisiche e socio-sanitarie). Ovviamente la condizione necessaria per rimanere stabilmente nell’area di salvaguardia è la presenza di una buona governance.

Fig. 38 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2001 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

124. Dalla mappa emerge come il tema vero affinché la crescita economica sia sostenibile nel lungo termine è che questa si traduca in accumulo di patrimoni. Tendenzialmente gli Stati che hanno ottenuto valutazioni positive nell’indice della governance sono quelli orientati maggiormente a far fruttare la crescita attraverso il progressivo investimento in infrastrutture economiche e sociali. In un Paese in cui mancano le condizioni di buon governo inoltre risulta penalizzata anche la capacità di sfruttare appieno i patrimoni presenti nel territorio. (Per un approfondimento si rimanda ai paragrafi delle trappole alla crescita del conflitto e del mal governo).

Fig. 39 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2004 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

Fig. 40 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2007 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

125. Per mostrare l’evoluzione nel tempo del posizionamento dei Paesi sulla mappa abbiamo riportato di seguito i risultati di 4 anni: il 2001, l’anno di riferimento rispetto al quale sono relativizzati tutti gli altri dati, il 2004, il 2007 e il 2008 che è l’anno al quale si riferiscono i dati più recenti disponibili.

50. Non è stato tenuto conto nella mappa dei patrimoni turistici: è evidente come per alcune isole (Mauritius e Seychelles) questo sia il bene più prezioso. Una buona proxy dell’importanza del turi-

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smo comunque è emersa dalla concentrazione di infrastrutture per la mobilità e la connettività presenti in questi territori.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

126. Os ser vando le t avole

Fig. 41 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2008 (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

della mappa dei 4 anni di riferimento si nota il cammino di s v ilu p p o relati vo d ei Pae s i africani: a. Nel 2001 c’è una netta concentrazione at tor no alla mediana di tutti gli Stati fatti salvi i Paesi del Maghreb, isole, Sud Af r ic a e Botswana. b. Nel 2004 si assiste a un primo cambiamento nelle posizioni relative: alcuni Paesi emergono dal gruppo intorno alla mediana per traghettarsi in direzione del 3° quartile. c. Questa tendenza si consolida poi nel 2007 soprattutto per quei Paesi che si sono dimostrati good performer dal punto di vista politico amministrativo. d. Nel 2008 si assiste ad un’ulteriore conferma dei paesi che sono entrati nel terzo quartile alzando ulteriormente il valore delle due mediane, segno di crescita costante per tutto il continente. Fig. 42 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2008 con evidenza dei quadranti (Fonte: TEH-Ambrosetti)

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

127. Ognuno dei 4 quadranti racchiude, inoltre, un gruppo di Paesi51 con caratteristiche simili per quanto riguarda la performance economica e la dotazione di patrimoni. - I Paesi “virtuosi in sviluppo” (nel I quadrante), con performance economiche e dotazione di patrimoni superiori alla mediana. Fanno parte di questo gruppo 16 Paesi: Seychelles, Sudafrica, Mauritius, Botswana, Tunisia, Capo Verde, Egitto, Marocco, Gabon, Namibia, Algeria, Lesotho, Ghana, Tanzania, Gambia e Kenya. I Paesi di questo gruppo sono accomunati da una situazione politica sostanzialmente positiva. - I Paesi “problematici” (II quadrante), con patrimoni superiori alla mediana ma performance economiche inferiori. Questi sono Paesi che, pur avendo grandi ricchezze, non riescono a trasformarle in crescita spesso a causa di una situazione di governance fragili (Swaziland, Comore, Camerun e Repubblica del Congo). Altri sono Paesi molto poveri di materie prime che stanno puntando sulla creazione di patrimoni creati dall’uomo (infrastrutture per la mobilità e sociosanitarie) ma che non sono ancora riuscite a far leva su queste per stimolare lo sviluppo economico (Benin, Gambia e Senegal). - I Paesi “intrappolati” (III quadrante), con patrimoni e performance economiche inferiori alla mediana. Nel gruppo sono presenti sia stati endemicamente poveri (Repubblica Centrafricana, Niger, Burundi, Mali, Repubblica del Congo, Eritrea, Guinea, Togo, Gibuti, Guinea Bissau e Liberia) oppure che dispongono di risorse – petrolio, oro o diamanti – i cui pr oventi non vengono rilasciati sul territorio. É il caso di Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar e Zimbabwe. Nessuno dei Paesi in questo quadrante ha una situazione politico amministrativa positiva e spesso sono vittime di governi autoritari. - I Paesi “corridori con i piedi d’argilla”, (nel IV quadrante) con patrimoni inferiori alla mediana ma performance economiche superiori. La maggior parte dei Paesi presenti in questo quadrante hanno conosciuto un periodo di grande crescita grazie alla scoperta di una risorsa naturale (petrolio o gas) ma ancora non hanno trasformato questa ricchezza in investimenti infrastrutturali e sociali che permettano una crescita armoniosa del Paese. Essi sono Guinea Equatoriale, Etiopia, Sierra Leone e Sudan ( e Angola, anche se in un altro quadrante). Nello stesso quadrante ci sono Paesi che, pur poveri di risorse sono riusciti ad accrescere le loro performance grazie al miglioramento della governance e all’attrazione di capitali: ad esempio il Mozambico.

128. Dai 4 quadranti si possono isolare un gruppo di Paesi in transizione che si trovano attorno all’incrocio delle mediane (Zambia, Uganda, Tanzania, Gambia, Ruanda, Mozambico) e che dal 2001 stanno percorrendo un cammino di miglioramento progressivo verso il primo quadrante. Tutti questi Paesi sono accomunati da una situazione politico-amministrativa positiva o comunque in miglioramento.

129. A questo proposito abbiamo selezionato alcuni casi paradigmatici e evidenziato il loro percorso di crescita all’interno della Ambrosetti Development of Africa Map.

51. Nella lettura della mappa sono stati evidenziati i cluster omogenei; esistono in ogni quadrante Paesi “outsider”.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

5.3 Alcuni casi di Paesi in transizione 130. Abbiamo scelto 4 Paesi, Ruanda, Uganda, Malawi e Zambia e ne abbiamo approfondito il percorso fatto dal 2001 al 2008. Essi sono stati selezionati perché, seppur in modo diverso, sono migliorati molto nell’arco di tempo analizzato spostandosi sempre più verso il primo quadrante. La base delle matrici raffiguranti il sentiero di crescita dei paesi descritti corrisponde alla matrice del 2008 (quindi il valore delle mediane e di conseguenza dei quattro quadranti).

Uganda: un Paese pronto al salto

Superficie: 241.038 kmq Popolazione: 33.398.682 (2010) Forma di governo: Repubblica PIL (milioni di USD, prezzi correnti): 40.55 PIL pro capite (USD, prezzi correnti): 1.300 Inflazione (%): 12,1 Attività prevalenti: Zucchero, produzione di birra, tabacco, cotone, cemento, produzione di acciaio Principali partner commerciali: Kenya, Svizzera, Emirati Arabi Uniti, Cina, Giappone Export: caffè,pesce, tè, cotone, oro Import:veicoli, forniture medicinali, cereali

131. Un piccolo miglioramento accompagnato da segnali molto positivi. L’Uganda partiva nel 2001 nel terzo quadrante con una situazione politico-amministrativa non del tutto positiva. Nel periodo considerato, 2001-2008, esso ha segnato un cammino che ha portato il Paese prima nel secondo quadrante, fino ad arrivare nel 2008 a ridosso del primo quadrante; lo spostamento non è stato tra i maggiori registrati nella mappa, ma è stato accompagnato dal raggiungimento di molti obiettivi importanti: la crescita del Pil ugandese, infatti, è stata, nel 2008, di 9,53%, nettamente sopra la media degli stati africani ( 5,34%). Sono stati fatti anche notevoli sforzi per diminuire la dipendenza dai donatori che è passata dal 5,1% del Pil del 2007 al 2,6% del 2008. L’indice di diversificazione delle esportazioni ha mostrato un miglioramento significativo (dal 5,6 del 2001 al 10,4 del 2008). I principali prodotti esportati rimangono però commodity: caffè (23% del totale); tabacco (4%); oro (3%); tè (3%). L’agricoltura rimane, quindi, il settore economico che contribuisce maggiormente nella composizione del Pil del Paese (circa il 24%). I settori immediatamente successivi sono quello delle costruzioni (13%) e il settore dei servizi pubblici – pubblica amministrazione, difesa, educazione e sanità - (11,9%). Anche sul fronte di attrazione degli investimenti esteri l’Uganda è stato molto attivo: il flusso di IDE in entrata è stato in costante aumento: nel 2001 i flussi in entrata sono stati di 151 milioni di Dollari mentre nel 2008 essi sono arrivati a 799 milioni di Dollari.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

132. Stabilità politico amministrativa. Molti dei progressi raggiunti vanno collegati alla situazione di stabilità politico amminis tr ativa conosciut a dall’Uganda sot to la presidenza52 di Museveni, iniziata nel 1986. Il governo ha compiuto grandi passi verso la ricostruzione economica: riconoscendo la necessità di maggiori aiuti stranieri, nel 1987 ha negoziato, e ottenuto, il suppor to dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca mondiale. La sua attenzione si è poi spostata sull’attuazione di politiche economiche volte a ripristinare la stabilità dei prezzi e la sostenibilità della bilancia dei pagamenti. Tuttavia non è possibile definire la situazione completamente positiva per la presenza di tensioni al confine con il Ruanda: questa situazione conflittuale impedisce al Paese di essere segnalato con il colore verde.

Fig. 43 Sentiero di crescita dell’ Uganda all’interno di ADAM – Ambrosetti Development of Africa Map (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

Fig. 44 PIL del Uganda in Miliardi di Dollari (*) risultato atteso (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank)

133. Mobilità, elettricità e comunicazioni. Dal 2001 al 2008 l’Uganda ha visto aumentare in maniera disomogenea i suoi patrimoni. Per quanto riguarda le infrastrutture fisiche l’indice di strade e aeroporti è rimasto invariato mentre si è registrato un aumento delle ferrovie (da circa 259 km nel 2001 a 644 km nel 2007). Attualmente, tuttavia, le infrastrutture fisiche e in particolare le strade e la rete elettrica sono considerate carenti: questa mancanza è sicuramente un limite per la crescita futura; il Governo conscio di ciò ha riconosciuto l’infrastrutturazione del Paese come prioritaria, investendo in strade e centrali idroelettriche. Il 30% di queste opere è finanziato attraverso fondi dei donatori (Unione Europea, African Development Bank e World Bank). Il passaggio del corridoio Nord-Sud proprio in Uganda dovrebbe dare una ulteriore spinta allo sviluppo delle arterie stradali e della rete elettrica. Importantissimi miglioramenti sono invece stati ottenuti rispetto alle infrastrutture per le comunicazioni: esse sono aumentate di quasi 20 volte (contro un fattore moltiplicativo di 10 volte della media Africa), rafforzando la possibilità dell’Uganda di interconnettersi con il mondo.

52. L’Uganda è una repubblica democratica con un sistema apartitico, in cui il Presidente, Yoweri Museveni, è sia capo di Stato che capo del

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governo. Il potere esecutivo è esercitato dal governo mentre il potere legislativo è esercitato sia dal governo e l’Assemblea nazionale.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

134. Risorse naturali: una situazione in trasformazione. Dai dati della mappa al 2008 l’Uganda risulta avere una buona dotazione di terre per l’agricoltura (65% del suo territorio), una produzione di legnami superiore alla media dell’Africa (e in crescita) e, rispetto al 2001, una nuova,anche se piccola, industria estrattiva basata su oro e piccoli giacimenti di tungsteno. Queste risorse, certamente importanti, non sono state sufficienti all’Uganda per dare una decisiva impennata al suo sviluppo: la vera svolta nell’accrescimento dei patrimoni sarà apportata dalla recente scoperta del petrolio53 in Uganda (non ancora registrato dai dati della mappa). L’economia ugandese sarà profondamente influenzata da questa scoperta sia per gli ovvi flussi di cassa che comporterà che per le relazione politico/economiche che si creeranno con i paesi vicini (in particolare con il Kenia per il passaggio dell’oleodotto) e con tutti i paesi importatori. Sicuramente questa scoperta sosterrà il cammino dell’Uganda all’interno di ADAM verso il primo quadrante.

135. Miglioramenti nelle condizioni di vita. Anche se la mappa non monitora in maniera puntuale il raggiungimento dei Millennium Development Goal è sicuramente significativo sottolineare i buoni risultati ottenuti dall’Uganda in molte dimensioni. Esso è infatti uno dei pochi Paesi dell’Africa subsahariana che ha mostrato miglioramenti tali da far pensare che sia in grado di raggiungere molti degli obiettivi prefissati per il 201554. Gli ultimi dati disponibili mostrano che la popolazione che vive con meno di 1 Euro al giorno è passata dal 56% (1993) al 31% nel 2006; la percentuale di popolazione infetta da HIV è passata dal 18% del 1992 al 6,2% del 2005 e il tasso di iscrizione alla scuola elementare è dell’86%, in trend per raggiungere l’obiettivo del 100% entro il 2015.

Ruanda: un paese sulla giusta strada

Superficie: 26.338 kmq Popolazione: 11.055.976 (2010) Forma di governo: Repubblica PIL (milioni di USD, prezzi correnti): 10.130 PIL pro capite (USD, prezzi correnti): 900 Inflazione (%): 14,2 Attività prevalente: Agricoltura Principali partner commerciali: Cina, Thailandia, Germania, USA

136. Il Ruanda nel periodo 2001-2008 ha sperimentato una crescita costante e, nello stesso tempo, è stato in grado di accumulare patrimoni. Una delle condizioni che sicuramente ha

53. É stata scoperta in Uganda occidentale, in corrispondenza del lago Albert, un enorme giacimento di petrolio. Questa riserva è considerata la più grande scoperta di petrolio onshore in Africa

subsahariana degli ultimi 20 anni. 54. Si veda il paragrafo dedicato ai Millennium Development Goal per approfondimenti.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

permesso a questo Paese di compiere un buon cammino è stato il miglioramento della situazione politico-amministrativa.

137. La stabilizzazione politica. Dopo i drammatici avvenimenti degli anni ’90 dal 2000, con l’elezione a presidente della Repubblica del Tutsi Paul Kagame (poi rieletto nel 2003 con il 95% e recentemente55 riconfermato con la stragrande maggioranza - 93%) il Ruanda ha conosciuto una fase di stabilità e pace. Kagame, principale esponente politico del partito del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), infatti, ha saputo indirizzare l’ interesse della popolazione verso un definitivo processo di democratizzazione dopo gli anni di conflitto. Applicando una politica aperta verso l’estero, con iniziative volte alla cooperazione con altri Paesi.

138. Presente di agricoltura,

Fig. 45 Pil del Ruanda in Miliardi di Dollari (*) risultato atteso (Fonte: World Bank)

futuro di servizi. La crescita che il Ruanda ha fatto registrare nel periodo in esame è da far risalire per gran parte al contributo dell’agricoltura, primo settore produttivo del Paese che impiega l’85% della popolazione attiva. Tra le colture commerciali ha un posto di particolare rilievo il caffè, principale prodotto di espor tazione, seguito dal té e dal tabacco. Per quanto riguarda la produzione di caffè è stato stimato che nel 2009 il volume totale sarà di 23.000 tonnellate contro le 28.000 del 2008. Nonostante questo calo, l’Office des Cultures Industrielles du Rwanda-Cafè annuncia forti investimenti nel settore che porteranno a una capacità produttiva fino a 40.000 tonnellate entro il 2011. Con le nuove politiche di privatizzazione l’area coltivabile a tè è notevolmente aumentata e secondo le previsioni del governo ruandese la produzione passerà da 20.000 tonnellate del 2008 a 35.000 tonnellate nel 2012. Tuttavia, nonostante questi buoni risultati per quanto riguarda le esportazioni, il 28% degli abitanti del Ruanda restano in una situazione di insicurezza alimentare; le coltivazioni per la produzione interna sono rimaste ancora a livello di sussistenza.56 Il governo del Ruanda si sta impegnando affinché l’agricoltura per il consumo interno si modernizzi, imponendo la monocoltura per lotti di terreno piccoli, in modo da promuovere la specializzazione. Se questa è la situazione attuale, il Ruanda, conscio di non poter contare solo sull’agricoltura per la crescita futura, si è dotato di una visione al 2020. Essendo un Paese landlocked, povero di risorse, il Ruanda si è dato come obiettivo quello di diventare un hub di servizi per tutti i Paesi limitrofi. Questo processo è guidato dall’adozione di riforme per migliorare il business environment.

55. Durante le elezioni del 9 Agosto del 2010 56. I principali prodotti destinati all’alimentazione locale sono

170

la batata, la manioca, la patata, il sorgo il mais e vari prodotti orticoli.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Fig. 46 Classifica “Doing Business 2010” (Fonte: World Bank)

Indice di Diversificazione 10 Best Performer

Classifica Doing Classifica Doing Cambiamento in Business 2010 Business 2009 Classifica

Posizione complessiva in graduatoria

67

143

76

Iniziare un nuovo business

11

64

53

Contrattare permessi di costruzione

90

88

-2

Assumere forza lavoro

30

113

83

Registrare la proprietà

38

59

21

Avere finanziamenti

61

147

86

Protezione per gli investitori

27

171

144

Pagare le tasse

59

58

-1

Commercio oltre frontiera

170

171

1

Esecuzione di contratti

40

48

8

Chiudere un business

183

183

0

139. Riforme amministrative ed economiche. In coerenza con la Visione al 2020 il Ruanda ha intrapreso un percorso di riforme che lo ha reso nel 2010 il Paese africano più riformista rispetto al clima economico.57 I fattori che maggiormente hanno contribuito agli ottimi passi avanti dal Paese sono stati: la velocità Fig. 47 Sentiero di crescita del Ruanda all’interno di con cui è possibile oggi ADAM – Ambrosetti Development of Africa Map avviare un nuovo business nel (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti) Paese, la disponibilità di forza lavoro, la semplificazione nell’ottenere finanziamenti, ma in particolar modo la protezione per gli investitori. L’attuale governo ha dotato inoltre il Paese di una struttura amministrativa snella ed efficiente e ha perseguito la stabilità macroeconomica. Queste riforme hanno incentivato l’investimento privato sia africano che extra-africano in Ruanda. Tuttavia le riforme

57. World Bank, Doing Business: misura attraverso 10 indicatori quanto è facile per un imprenditore condurre un impresa in un

Paese.

171


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

non appaiono ancora strutturali e il Ruanda soffre ancora di povertà diffusa e di eccessiva dipendenza dall’agricoltura. Si vede dalla mappa, infatti, come la crescita sia avvenuta praticamente senza l’accrescimento dei patrimoni.

140. Lo sfruttamento e accrescimento delle risorse. Il settore estrattivo presenta un certo sviluppo; l’attività mineraria, iniziata con la dominazione belga, sfrutta i giacimenti di cassiterite, columbite, tantalite, oro e in particolare di tungsteno, minerale di cui il Ruanda è leader nel continente africano.

Fig. 48 Produzione di tungsteno in Ruanda in tonnellate (Fonte: U.S. Geological Survey)

141. Energia: nuove opportunità. Tra i settori che vanno potenziati sia per differenziare l’economia che per perseguire la “visione 2020” c’è quello dell’energia. La produzione di energia è, infatti, uno dei vincoli principali alla la crescita ruandese: il fabbisogno attuale (2009) è di 55 MW, ma è destinato a crescere velocemente insieme all’economia. È in fase di sperimentazione un progetto per produrre energia dal gas metano generato dal lago Kivu. La Contour Global, una società con sede in America, sta installando 4 piattaforme da gas che possono arrivare a produrre fino a 100 MW di energia.

142. Tecnologia: importanti passi avanti. L’indice considerato nella mappa per monitorare il progresso nelle telecomunicazioni è composto della telefonia (contratti e linee telefoniche) e dalla diffusione di internet (utenti e proprietari di PC): tra il 2007 e il 2008 esso è aumentato circa del 388%. Il Ruanda, anche in virtù della sua condizione di paese senza sbocco sul mare sta puntando molto sulle connessioni telematiche. Nell’ottobre del 2006 il NEPAD e la Commissione Africana hanno avviato un progetto per sviluppare ulteriormente l’ICT nelle scuole del Ruanda. Il progetto mira a tenere in collegamento le scuole primarie e secondarie: scopo ultimo è quello di integrare tutte le scuole secondarie del Ruanda. Due istituzioni sono fortemente coinvolte nell’istruzione ICT: KIST (Kigali Institute of Science and Technology) e KIE (Kigali Institute of Education).

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

Malawi: in uscita dall’area di salvaguardia

Superficie: 118.484 kmq Popolazione: 15.447.500 (2010) Forma di governo: Repubblica Presidenziale PIL (milioni di USD, prezzi correnti): 12.810 PIL pro-capite (USD, prezzi correnti): 800 Inflazione (%): 8,7% Attività prevalenti: tabacco, tè, zucchero, cemento Principali partner commerciali: Import: Sud Africa, India, Cina, Tanzania, USA Export: Sud Africa, Egitto, Zimbabwe, Olanda, Germania e Russia

143. Il Malawi ha compiuto nel periodo 2001-2008 un percorso di crescita, soprattutto economica, davvero significativa nonostante l’esiguità di risorse naturali in suo possesso: tutto il percorso si è svolto al limite dell’area di vulnerabilità dalla quale sembra, il Malawi, sia prossimo ad uscire. Gli assi su cui è basata la sua strategia, più o meno intenzionale, sono stati: la stabilità politica e il buon governo, la gestione attenta dello sfruttamento delle risorse naturali, l’importante attenzione che il paese sta dando alle politiche interne e di sviluppo economico.

144. La situazione politica. Il Malawi è indipendente dall’ Inghilterra dal 1964 ed è attualmente sotto la guida del Presidente Bingu wa Mutharika 58 . Gli vengono attribuiti diversi meriti in quanto fautore di importanti politiche volte alla crescita economica del Malawi.

Fig. 49 Sentiero di crescita del Malawi all’interno di ADAM – Ambrosetti Development of Africa Map (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

145. Economia: un progres so cos t ante. Negli ultimi anni, l’economia del Malawi è cresciuta vivace-

58. Mutharika è stato eletto nel marzo del 2004 come candidato del partito Fronte Unito Democratico dal quale però si è separato meno di un anno più tardi. Nel febbraio 2005 fonda un nuovo partito, il Partito Democratico Progressista. Il suo nuovo partito

attira subito importanti esponenti riformisti da altri partiti con i quali sta vincendo le elezioni in tutto il paese a partire dal 2006. Confermato presidente nelle elezioni del 2009, Mutharika è dal gennaio 2010 anche presidente dell’Unione Africana.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

mente sostenuta da una buona gestione macroeconomica. Partito da un indice di performance economica addirittura negativo, il Malawi è riuscito ad arrivare a livello della mediana orizzontale: la crescita nell’ultimo triennio monitorato (2006-2008) è stata addirittura dell’8,3% (contro il +5,8% del triennio 2005-2007). La crescita del Pil ha registrato il suo apice nel 2008 arrivando al 9,7% sostenuta dalle esportazioni record di tabacco pari a 472 milioni Dollari nella stagione 2007-200859 e da un eccezionale raccolto di granturco. L’agricoltura, infatti, è la principale fonte di crescita: essa contribuisce per solo 35 % alla composizione del PIL (rispetto al 46% dei servizi e il 19% dell’industria), ma impiega l’85% della popolazione60 e rappresenta oltre l’80% dei proventi delle esportazioni. L’indice di diversificazione di queste ultime infatti è molto basso (anche se lievemente in aumento), pari a 3,861 su 100. La crescita dell’economia del Malawi è sostenuta anche da un miglioramento della situazione fiscale e dal costante flusso di aiuti in entrata: il Paese tramite una politica di trasparenza e buona governance è riuscito ad aumentare il numero di donatori e quindi i flussi di aiuti, flussi che a loro volta hanno permesso di ridurre l’ammontare dei prestiti del Paese. Nel 2006, il Malawi è Fig. 50 Contributo dei 3 settori sul PIL del Malawi stata inserito nel programma Hea (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank) vily Indebted Poor Countries (HIPC) e nel dicembre 2007, gli Stati Uniti gli hanno concesso lo status di ammissibilità e un sostegno finanziario nell’ambito del “Millennium Challenge Corporation” (MCC).

146. Infrastrutture fisiche. In questi ultimi anni il Malawi ha fatto seri sforzi per migliorare le infrastrutture per la mobilità. Tra il 2004 e il 2006 le ferrovie sono aumentate del 10,9%. Il Malawi sta investendo molto anche sui trasporti fluviali: è in corso importante progetto con il quale si vuole riavviare il sistema di trasporto fluviale; esso permetterà notevoli risparmi negli spostamenti di merci interni al paese e con i paesi limitrofi, in particolare con il Mozambico per una rete totale di 238 km.

Fig. 51 PIL del Malawi in Miliardi di Dollari (*) risultato atteso (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati World Bank)

147. Lotta alla povertà. La povertà resta uno dei problemi principali del Malawi, che però si sta impe-

59. Tra il 2009 e il 2010 è previsto un calo dovuto alla forte siccità che farà registrare un calo sulla produzione agricola di circa il 10% 60. I piccoli proprietari terrieri costituiscono circa i tre quarti

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del settore agricolo. 61. In particolare il 60% delle entrate del Malawi, diverse dalle donazioni, è costituito dalle esportazioni di tabacco.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

gnando notevolmente raggiungere i Millennium Development Goal anche grazie alla Malawi Growth and Development Strategy messa in atto dal governo. La crescita economica e il miglioramento della sicurezza alimentare dal 2005 in poi hanno aiutato a ridurre la povertà. Il governo del Malawi stima che i poveri siano passati dal 52,4% del 2005 al 40% nel 2009. La diffusione dell’HIV, rimane alta, del 12,1% ma in declino rispetto al 2005 quando era del 15,3%. Altri progressi nell’erogazione di servizi sanitari sono stati riscontrati nella diminuzione della mortalità materna diminuita da 984 decessi ogni 100.000 del 2005 a 807 decessi ogni 100.000 del 2008. Anche l’aspettativa di vita alla nascita è migliorata da 48 anni del 2005 a 53,1 del 2009.

148. Nuove opportunità per il futuro. Il ruolo del settore minerario, che fino al 2008 risultava essere poco significativo, è destinato a crescere con l’avvio delle attività estrattive nella miniera di uranio di Kayelekera. È stato stimato che dal 2010 quando la miniera sarà completamente a regime farà crescere le entrate del settore minerario del 53,5%. Se fino adesso il Malawi non ha visto accrescere i suoi patrimoni, questa scoperta potrebbe dare nuovo impulso all’economia (con le operazioni di estrazione si prevede vengano generati circa 150 milioni Dollari all’anno) e permettere al Paese di stabilizzare ulteriormente la sua posizione in direzione del primo quadrante. Nel 2009 la Banca Mondiale stessa ha assistito la revisione del piano del governo per il settore minerario per fare in modo che questa nuova risorsa possa diventare una fonte di crescita economica e di sviluppo del benessere per il Malawi.

Zambia: un Paese landlocked dalle grandi prospettive

Superficie: 752.614 kmq Popolazione: 12.056.923 (2010) Forma di governo: Repubblica dello Zambia PIL (milioni di USD, prezzi correnti): 14.320 PIL pro-capite (USD, prezzi correnti): 1.178 Inflazione (%): 12,9 Attività prevalenti: industria mineraria (rame), commercio al dettaglio e all’ingrosso, agricoltura, industria manifatturiera, servizi e turismo Principali partner commerciali: Sud Africa, EU, Giappone, Cina

149. Il caso dello Zambia era stato affrontato anche nella terza edizione della ricerca ma, la costante crescita di questo Paese landlocked, è stata così significativa che riteniamo importante riportare questo caso. Lo Zambia partiva nel 2001 nella zona di vulnerabilità con una situazione politico-amministrativa non del tutto positiva. Nel periodo considerato, 2001-2008, esso ha segnato un cammino di crescita costante che l’ha portato prima fuori

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

dall’area di vulnerabilità e nel 2008 al limite del primo quadrante. Questa crescita si è basata soprattutto sul rame, risorsa di cui lo Zambia è ricco, e sul migliorame nto d ella s it ua zio ne politico-amministrativa. Il livello di corruzione infatti è diminuito costantemente dal 2001 in poi (da 3,4 nel 2001 a 2,8 nel 200862); anche l’efficacia del governo è in continuo miglioramento (da 14,2 nel 2000 a 29,4 nel 200863).

150. La dipendenza dal

Fig. 52 Percorso di crescita dello Zambia all’interno della matrice di ADAM – Ambrosetti Development of Africa Map (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

Fig. 53 PIL del Zambia in Miliardi di Dollari (*) risultato atteso

(Fonte TEH-Ambrosetti su dati World Bank) rame. L’indice di diversificazione delle esportazioni nello Zambia è abbastanza basso 2,5, in lieve miglioramento rispetto al passato (nel 2007 era pari a 2,2). Le esportazioni di rame infatti incidono sul 63% del totale, seguite da quelle di altri minerali grezzi (18%). Lo Zambia però diversamente da altri Stati ricchi di risorse, ha una dipendenza dalle esportazioni non elevatissima: essa è stata del 36,8% nel 2008 (42,1% nel 2007). Anche la crescita degli ultimi anni è da collegarsi al boom dei prezzi di questa materia prima, che ha attirato molti investitori sia Europei che cinesi. Il Governo zambese, consapevole della debolezza intrinseca generata dalla dipendenza da una sola risorsa, sta perseguendo un programma di diversificazione dell’economia incentrato su turismo, agricoltura, estrazione di pietre preziose ed energia idroelettrica. Tale debolezza si è poi riscontrata durante la recente crisi mondiale: l’iniziale caduta dei prezzi delle commodity ha rischiato di minare la crescita del Paese, deteriorando sensibilmente la bilancia commerciale. Nonostante l’emergenza sia rientrata e il prezzo del rame sia ritornato a livelli pre-crisi, nel 2009 sono addirittura state chiuse 3 miniere considerate non profittevoli con conseguenze occupazionali rilevanti.

62. Fonte: World Bank, indice di corruzione percepita

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63. Fonte: World Bank, indice efficacia del governo


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151. Miglioramenti nella dotazione di infrastrutture fisiche e sociali. Lo Zambia ha comunque saputo sfruttare la ricchezza derivata dal rame tramutandola in investimenti infrastrutturali di diversa natura. Grande importanza è stata data all’incremento delle infrastrutture per la mobilità, così importanti per un Paese landlocked. Prima ancora dell’inizio della costruzione del corridoio nord-sud che passa per lo Zambia, tra il 2001 e il 2007 la concentrazione delle strade sul territorio zambese è aumentata del 68% (da 66.781 km a 112.675 km). Nello stesso periodo anche le ferrovie, sebbene in misura minore, hanno visto aumentare la loro lunghezza del 14%. Per quanto riguarda l’educazione il tasso di iscrizione alla scuola primaria è passato dal 70% del 2001 al 92% del 2007 mentre il tasso di completamento è cresciuto dal 60% del 2001 all’84% del 2007. Anche il settore sanitario ha visto dei miglioramenti: tra il 2001 e il 2007 infatti il tasso di mortalità infantile è diminuito del 30%. Come in molti altri Paesi il numero di utenti di telefonia cellulare è aumentato notevolmente nel periodo in esame: da 11 ogni 1.000 abitanti nel 2001 a 280 nel 2008. La diffusione del computer per contro è ancora limitata (7 computer ogni 1.000 abitanti nel 2001 e 11 nel 2005, ultimo dato disponibile). L’accesso a internet è cresciuto di più, e partendo da circa 2,3 utenti ogni 1.000 abitanti nel 2001 si è passati più di 55 nel 2008.

152. Due sono gli elementi che portano a considerare lo Zambia di grande potenziale prospettico. Il primo riguarda la possibile presenza di giacimenti petroliferi al confine con l’Angola; il secondo la sua posizione geografica, che lo colloca al centro delle nuove interconnessioni viarie previste dal Corridoio nord-sud e che candida il Paese a diventare l’hub per lo smistamento di merci e servizi in un area che comprende 6 Paesi (Botswana, Angola, Sudafrica, Mozambico, Zimbabwe e Malawi) e un bacino di utenza di 152 milioni di consumatori.

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6. Le trappole allo sviluppo dell’Africa

153. Si stima che su una popolazione mondiale di 6 miliardi di persone un miliardo viva al di sotto della soglia di povertà di un Dollaro al giorno. Di questo miliardo il 70% vive in Africa. Paul Collier, nel suo lavoro “The bottom billion” 64 sottolinea come l’unico modo per uscire dalla povertà e quindi per svilupparsi sia la crescita economica. Questa affermazione apparentemente scontata è stata smentita nei fatti da quasi 30 anni di politiche orientate prevalentemente alla riduzione della povertà, attraverso aiuti massicci, anziché a porre le condizioni per l’attivazione di processi di sviluppo endogeni e strutturali65.

154. La situazione particolare dei Paesi estremamente poveri è fortemente condizionata da alcune circostanze che possono essere definite trappole allo sviluppo66 (e quindi alla crescita economica): - La trappola del conflitto. - La trappola delle risorse naturali. - La trappola dei Paesi landlocked (senza sbocco sul mare). - La trappola del mal governo.

155. Nel costruire la Mappa strategica dell’Africa – e quindi nello scegliere le variabili che la compongono – si è tenuto conto di come queste trappole condizionino lo sviluppo: in particolare il lavoro di Collier è stato prezioso nella scelta degli indicatori alla base del modello; ad esempio il correttivo di diversificazione delle esportazioni è stato introdotto per tenere in considerazione la “trappola delle materie prime” mentre il correttivo di governance ha l’obiettivo di considerare sia la conflittualità che il buon governo di un Paese. La situazione di mancanza di sbocco sul mare (landlocked) non è stata introdotta esplicitamente come variabile numerica, ma è sempre stata considerata nella valutazione degli spostamenti degli Stati all’interno della matrice. Per questo ci sembra importante approfondire contesto e conseguenze di quando un Paese si trova “intrappolato” da una di queste 4 condizioni e come queste influenzano e vincolano la sua crescita.

6.1 La trappola del conflitto 156. Tutti i tipi di società possono avere dei conflitti; la peculiarità dei Paesi del bottom billion è il tipo di conflitti che si verificano al loro interno. Essi sfociano spesso in guerre civili o possono risolversi in un colpo di Stato67. In ogni caso i conflitti sono molto costosi, pos-

64. Paul Collier, The Bottom Billion, Oxford University, 2008. 65. Dal 1975, a seguito della grave crisi petrolifera che colpì l’economia mondiale e mise in ginocchio i Paesi più poveri, la Banca Mondiale sotto la gestione McNamara, avvocò a sé le politiche degli aiuti e di sostegno allo sviluppo dando priorità alla lotta alla

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fame e riducendo gli interventi di natura infrastrutturale messi a disposizione dalla comunità internazionale nell’immediato decennio post coloniale. 66. Si veda Paul Collier, The Bottom Billion, Oxford University, 2008.


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sono essere ripetitivi e possono far cadere un Paese nella trappola della povertà. Ben il 73% delle persone che vive nei Paesi del bottom billion è stato coinvolto in una guerra civile o lo è tuttora. Non è la guerra civile a mettere uno Stato in trappola68, ma sono le condizioni di contesto che determinano se per un Paese il fatto che si scateni una guerra civile al suo interno lo mette in trappola. Nei Paesi a basso reddito le possibilità che le guerre diventino una trappola sono molto alte e queste rappresentano, quindi, veri ostacoli alla crescita. La guerra civile infatti agisce come uno “sviluppo al contrario” poiché danneggia sia il Paese in cui essa ha luogo che i suoi vicini. Essa tende a ridurre la crescita di circa il 2,3% ogni anno risultando così peggiore di una prolungata depressione economica: uccide le persone, crea profughi e movimenti di massa che, in un sistema in cui i sistemi di salute pubblica crollano, producono epidemie.

157. Individuare le cause di

Fig. 54 I Paesi più conflittuali nel 2007 (fonte TEH – Ambrosetti su dati World Bank)

una guerra civile è difficile in quanto concorrono fattori Indice stabilità sociali, politici, geografici ed politica 2007 economici. Una prima relazione si stabiliSudan -2,30 sce tra il rischio di guerra e il Rep. Dem. Congo -2,26 livello iniziale di reddito. È molto più probabile, infatti, Costa d’Avorio -2,12 che una guerra civile scoppi Nigeria -2,07 nei Paesi a basso reddito; la relazione è inoltre circolare in Guinea -2,02 quanto la guerra rende povero Ciad -1,96 un Paese e la povertà rende Rep. Centrafricana -1,78 un Paese incline alla guerra. Altri fattori che aumentano il Etiopia -1,72 rischio di guerra civile in un Burundi -1,43 Paese sono la crescita lenta o, Zimbabwe -1,30 ancora peggio, la stagnazione e il declino. Algeria -1,18 È stato dimostrato inoltre che Liberia -1,15 più è basso il reddito di un Uganda -1,15 Paese all’inizio di un conflitto, maggiore sarà la durata del Kenya -1,10 conflitto. Peraltro, la concluEritrea -1,04 sione di una guerra, spesso, non è la fine di un conflitto perché, una volta terminato, è probabile che un conflitto ricominci: aver vissuto l’esperienza di una guerra civile raddoppia generalmente il rischio di un altro conflitto. La consapevolezza

67. Di seguito si spiegheranno in dettaglio cause e conseguenze delle guerre civili. Per i colpi di Stato le cause sono molto simili, mentre le conseguenze seppur negative più attutite.

68. In alcuni casi, come Stati Uniti, Russia, Inghilterra, sono state abbastanza rapide e non ripetitive.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

dei Governi nei Paesi post-conflitto di essere in un periodo di pericolo potenziale li fa reagire mantenendo le loro spese militari ad un livello alto in modo anormale; statisticamente durante il decennio del post-conflitto, la spesa militare è solo circa un decimo più bassa rispetto al periodo della guerra. Nella mappa strategica ADAM ben 10 Paesi collocati nell’area cosiddetta di “vulnerabilità” sono tra quelli che hanno registrato il maggior numero di conflitti negli anni considerati. La dipendenza da commodity – petrolio, diamanti e simili – aumenta sostanzialmente il rischio di guerre civili poiché le risorse naturali contribuiscono a finanziare i conflitti e talvolta perfino a incentivarli. Dal punto di vista sociale i conflitti risultano più probabili là dove esistono masse di persone predisposte a essere coinvolte nella violenza politica, di norma giovani non istruiti e senza legami, condizioni certamente più facili da crearsi in Paesi poveri dall’economia stagnante. Anche la geografia contribuisce, a volte, a rendere un Paese più propenso alla guerra civile: un Paese vasto con la popolazione dispersa nei margini, come la Repubblica Democratica del Congo, è a maggiore rischio di guerra perché gli eserciti ribelli trovano più luoghi per formarsi e nascondersi.

158. Quando il processo di crescita si interrompe in una società a basso reddito, essa è esposta ad una serie di rischi difficili da contenere e, a sua volta, senza crescita la pace è considerevolmente più difficile, tanto che nelle società del bottom billion intrappolate dai conflitti l’economia risulta bloccata.

159. Nella mappa ci sono alcuni Paesi che soffrono per il conflitto. Un esempio abbastanza evidente, anche perché non influenzato da altre “trappole”, sono le Comore che, nonostante le potenzialità turistiche che condividono con le altre isole (Mauritius, Seychelles e Capo Verde), hanno imboccato da quando sono teatro di conflitti politici un percorso regressivo che dal 2004 ha ridotto le performance economiche e ha diminuito anche la dotazione di patrimoni69. Anche il Madagascar è un caso in cui il conflitto politico è tra i fattori che causano la mancata crescita e l’erosione dei patrimoni. Il Paese partiva nel 2001 dal quarto quadrante, quello dei “corridori dai piedi d’argilla”. Da quella posizione un Paese in crescita può passare al percorso di transito verso il primo quadrante, consolidando la crescita attraverso l’accumulo di patrimoni oppure, in caso di situazioni di governance non positive o peggio attraverso il conflitto può volatilizzare il progresso conquistato. Il Madagascar alla rilevazione del 2008 si trova nel terzo quadrante diretto verso la zona di vulnerabilità.

6.2 La trappola delle risorse naturali 160. La dotazione di risorse naturali si è dimostrata spesso variabile positivamente correlata all’instaurarsi di conflitti. La loro presenza, per assurdo, può essere svantaggiosa anche per la crescita sostenibile di un Paese in situazioni di pace.

69. Prima del colpo di Stato le Comore stavano attraversando un periodo di accumulo di patrimoni.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

161. La conseguenza più banale dell’esportazione massiccia di materie prime è il rischio di veder apprezzata la propria valuta, con la contestuale perdita di competitività degli altri beni prodotti da quel Paese.70 Il principale effetto negativo della particolare concentrazione di materie prime, tuttavia, è rappresentato dal mancato interesse a sviluppare il settore industriale. Questo stesso paradosso può essere peraltro generato anche dalla presenza massiccia di aiuti.

162. In altre parole: un Paese povero di risorse naturali che non riceve aiuti deve acquisire valuta estera tramite le esportazioni per comprare beni di importazione. Le esportazioni infatti vengono pagate in valuta straniera; a loro volta gli importatori ricomprano la valuta straniera per comprare beni dall’estero. Nel caso in cui un Paese detenga risorse naturali che vengono esportate (o aiuti provenienti dall’estero) viene meno la necessità di sviluppare una industria di trasformazione che produca beni da esportare per acquisire valuta estera: il costo opportunità di sviluppare una industria interna è più alto di quello di comprare solo beni di importazione con la ricchezza prodotta dalle risorse naturali. Le esportazioni dell’industria manifatturiera, per contro, sono quelle che stimolano maggiormente un Paese a svilupparsi tecnologicamente e ad espandere la propria base produttiva. La presenza di petrolio rappresenta uno dei fattori che più facilmente instaurano tale trappola.

163. Inoltre, le entrate derivanti dalle risorse naturali sono volatili. La dipendenza dalle esportazioni di materie prime infatti espone lo Stato alla volatilità dei corsi internazionali delle commodity. Le politiche del governo risultano quindi condizionate da periodi di boom dei prezzi che inducono ad aumenti di crescita della spesa pubblica che possono però interrompersi bruscamente nel momento in cui questi cedono. Il problema che ne deriva non è limitato alla gestione dei conti pubblici, ma diventa anche un problema di gestione del consenso. In periodi di boom governi poco accorti, o del tutto inefficienti, possono essere percepiti come molto positivi mentre governi più illuminati che operano in periodi di crollo sono percepiti negativamente. L’opinione pubblica, poco istruita e inconsapevole del contesto macroeconomico, basa il suo consenso sulle condizioni di vita che sperimenta e non sulla bontà delle riforme e dei provvedimenti presi. Questo problema di gestione del consenso è molto attuale se lo si lega alle recenti performance economiche legate alla crisi in atto di molti Stati africani: il rallentamento della crescita e il peggioramento delle condizioni di vita possono facilmente essere strumentalizzati dalle opposizioni per rovesciare governi in carica, mettendo a dura prova il processo di democratizzazione dell’Africa e indebolire i già spesso fragili governi africani.

164. Dopo un periodo di relativa stabilità nell’anno 2008-2009 l’Africa ha visto 4 colpi di stato (Mauritania, Guinea, Guinea-Bissau e Madagascar). Nessuno dei 4 colpi di Stato è la diretta conseguenza di una crisi economica, sicuramente la pressione sui governi dovuta al peggioramento delle condizioni economiche ha influenzato la situazione interna.

70. Tradizionalmente questa fattispecie viene soprannominata “Dutch disease” poiché è stata teorizzata per la prima volta con

riguardo all’effetto che la presenza di gas nel Mare del Nord ha avuto in Olanda.

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6.3 La trappola dei Paesi landlocked 165. La geografia conta: i Paesi che non hanno sbocchi sul mare, a parità di altre condizioni subiscono una perdita di uno 0,5% sulla crescita del Pil71. Questa situazione, ce lo dimostrano Stati come la Svizzera o il Lussemburgo, non decreta uno stato di povertà, ma pone delle condizioni aggiuntive allo sviluppo e alla crescita. Non a caso il 38% della popolazione mondiale del miliardo che vive in povertà appartiene a Paesi landlocked.

166. Nel mondo in via di sviluppo, esclusa l’Africa, solo l’1% della popolazione vive in Paesi che sono sia landlocked sia scarsi di risorse. Oltre l’Africa, le aree che sono lontane dalla costa e non hanno risorse, semplicemente non diventano Paesi. Tali aree, dipendendo fortemente da quelle limitrofe, trovano conveniente, infatti, far parte del sistema da cui dipenderebbero comunque (il Paese confinante con sbocco sul mare) piuttosto che essere indipendenti. In Africa invece avviene il contrario: circa il 30% della popolazione vive in Paesi landlocked scarsi di risorse. Tuttavia, negli ultimi anni alcuni di questi Paesi hanno mostrato percorsi di crescita molto positivi grazie al mantenimento della stabilità politica, ad accorte politiche infrastrutturali e hanno tramutato la loro debolezza in uno stimolo alla ricerca e al perseguimento di politiche e strategie innovative e concrete per la crescita. Esempi sono lo Zambia, il Malawi e il Ruanda.

167. La prima conseguenza

Fig. 55 Posizionamento in ADAM – Ambrosetti

Development of Africa Map dei Paesi landlocked di essere un Paese senza (Fonte: elaborazioni TEH-Ambrosetti) sbocco sul mare è l’aumento dei costi logistici che rende in partenza l’industria di qualsiasi tipo svantaggiata rispetto a quella di un Paese con sbocco sul mare. Le infrastrutture per la mobilità sono fondamentali per questi Paesi, ma sono per gran parte fuori dal loro controllo, poiché dipendono dallo Stato confinante aper to. In par ticolare è stato rilevato che il costo logistico è legato non tanto alla distanza dal mare quanto all’investimento in infrastrutture portuali del Paese confinante. I costi di accesso dipendono quindi dall’infrastruttura di trasporto e dalle decisioni politiche dei confinanti costieri. Questa condizione di svantaggio viene meno in presenza di materie prime poiché esse sono talmente preziose che il costo del trasporto non ne inficia la competitività. Questo è uno dei motivi per cui uno Stato come il Botswana non ha risentito della sua condizione di isolamento.

71. Da Paul Collier, The Bottom Billion, Oxford University, 2008.

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168. Per un Paese landlocked

Fig. 56 Paesi landlocked

diventa molto difficile accedere ai mercati globali specialmente per le produzioni industriali che richiedono rapidità. Per questo, ancor prima di espandersi sui mercati globali sarebbe importante trovare mercati di sbocco nei Paesi limitrofi. Ovviamente in questo caso la crescita di un Paese landlocked dipende dalla crescita dei Paesi confinanti: si calcola che per ogni punto percentuale di crescita del vicino il Paese isolato benefici di uno 0,7. In Africa questa relazione è stata a lungo disattesa poiché i Paesi africani erano orientati o al mercato interno o al mercato globale non esistendo veri e propri sistemi transnazionali integrati di infrastrutture che permettano agevoli scambi. Per questo in Africa l’esternalità positiva della crescita degli Stati confinati si arresta allo 0,2% ogni punto di crescita. Per incentivare i Paesi landlocked ad orientarsi maggiormente verso mercati limitrofi è più che mai importante l’integrazione regionale e la conseguente eliminazione, o almeno riduzione, delle barriere commerciali che producono un invisibile trasferimento di ricchezza dai Paesi landlocked poveri ai loro vicini più ricchi e industrializzati. Particolarmente rilevante per sviluppare i mercati transnazionali è il recente impegno nella costruzione di corridoi che collegano le diverse regioni africane. (Si rimanda alla prima parte di questo capitolo dove viene citato il corridoio Nord-Sud).

169. Cosa altro si può fare affinché gli Stati landlocked escano dalla trappola oltre a favorire l’abbattimento di barriere doganali, formare aree di libero scambio e incentivare un miglioramento delle politiche economiche degli stati confinati? La costruzione di corridoi transnazionali per le vie di comunicazione tra Stati e l’accesso al mare è sicuramente un primo passo dal punto di vista delle infrastrutture. Lo Stato inoltre può seguire la strategia di diventare “un paradiso” per i vicini offrendo servizi di eccellenza a cui gli altri Stati possono indirizzarsi – mutuando in un certo senso il modello della Svizzera (che è la strategia dichiarata dal Ruanda). Gli Stati senza sbocco sul mare devono inoltre sfruttare ogni mezzo che hanno per connettersi indipendentemente dalle politiche dei vicini: fondamentali sono quindi i collegamenti via aria e i collegamenti in telecomunicazioni. Malawi, Ruanda, Lesotho, Swaziland e Zimbabwe mostrano già un indice di mobilità aeroportuale superiore alla media africana72. Per quanto riguarda invece l’indice di dotazione di infrastrutture per le

72. Media corretta eliminando il dati estremi delle isole (Seychelles, Mauritius, Comore, Sao Tome e Principe e Capo Verde).

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

telecomunicazioni solo Zimbabwe, Uganda e Botswana hanno un indice superiore alla media africana; a questi si aggiungono Zambia, Swaziland e Lesotho se si considera la sola Africa subsahariana. Fig. 57 Pil pro capite, crescita del Pil e dotazione di risorse naturali dei Paesi landlocked (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati vari)

Paesi landlocked

Pil pro capite a PPP USD (media 2006-2008)

Crescita Pil pro Indice dotazione capite (media risorse naturali 2006 - 2008)

Botswana

13.183,5

0,83 %

679,49

Burkina Faso

1.123,3

1,64%

20,23

352,2

0,73%

53,04

1.467,7

-2,83%

30,17

Etiopia

782,6

8,29%

19,08

Lesotho

1.523,1

4,71%

40,1

Malawi

765,1

5,60%

33,92

1.089,8

1,27%

22,76

Niger

641,3

2,46%

16,01

Rep. Centrafricana

709,6

1,88%

36,9

Rep. Dem. Congo

300,3

2,83%

564,4

Ruanda

902,7

4,70%

52,67

2.042,7

1,67%

63,88

Uganda

997,3

3,60%

83,29

Zambia

1.329,1

3,89%

34,11

Media Africa

3.781,3

3,05%

114,73

Burundi Ciad

Mali

Swaziland

170. Una strategia per sfuggire alla trappola della mancanza di sbocco sul mare è la creazione di un ambiente trasparente e favorevole all’investitore contestuale però all’offerta di opportunità di investimento interessanti. In Africa gli Stati che hanno sviluppato un mercato finanziario e una borsa trasparente ed efficiente sono 16; di questi 7 sono Paesi landlocked (Botswana, Malawi, Swaziland, Ruanda, Uganda, Zambia e Zimbabwe)73.

171. Infine un buon governo può fare la differenza in un Paese landlocked con risorse scarse, anche con vicini “cattivi”: per esempio, i governi in Uganda, Burkina Faso e Zambia74 hanno sostenuto discreti tassi di crescita da circa un decennio.

73. Dambisa Moyo, Dead Aid, 2009. 74. Ovviamente anche il Botswana ma la massiccia presenza di

184

ricchezze naturali non lo rende un Paese landlocked “tipico”.


CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

6.4 La trappola del malgoverno 172. Da un lato abbiamo già sottolineato come una buona governance e adeguate politiche economiche siano determinanti per la crescita di un Paese. È dimostrato tuttavia che gli effetti positivi non possano eccedere il 10% del tasso di crescita di un Paese: un Paese senza opportunità non può quindi crescere indefinitamente grazie solo a una buona governance, ma sicuramente una buona governance riesce a far sfruttare a un Paese con poche opportunità il massimo da esse: nessun Paese con governance positiva stabile è rimasta nel terzo quadrante, quello degli “intrappolati”. Al contrario, una cattiva governance può distruggere una economia e i vantaggi provenienti, ad esempio, dalle materie prime. Il collasso economico dello Zimbabwe, dotato di notevoli patrimoni naturali, è da deputare alla situazione politica in cui si trova il Paese.

173. L’incidenza del buon governo sullo sviluppo di un Paese è comunque sempre legata alle opportunità: tanto maggiori sono le opportunità che un Paese ha e tanto più una buona governance è importante. Per un Paese con risorse scarse e con poche opportunità, anche una modalità di governo leggero è sufficiente: le politiche da adottare richiedono un minor livello di capacità tecniche anche a fronte dell’ammontare limitato di risorse da distribuire a disposizione: l’importante è che non faccia danni, ma non può fare molto meglio. Uno Stato più ricco invece ha l’opportunità di incrementare il benessere dei suoi cittadini trasformando la ricchezza in servizi pubblici. Questo spesso non avviene. Esempi ben leggibili nella mappa sono quelli del Ciad e della Guinea Equatoriale che contestualmente al mancato sviluppo per la cittadinanza vedono un decremento della crescita. Il mal governo non è necessariamente una trappola: molti Paesi hanno imparato dagli errori passati e hanno migliorato la loro governance. Purtroppo non tutti perdono nelle situazioni di mal governo; i leader di molti Paesi poveri sono loro stessi dei super ricchi (ad esempio in Guinea Equatoriale e Nigeria) e spesso è proprio la corruzione che frena la trasformazione di ricchezza in servizi oltre alla consapevolezza che soprattutto l’educazione della cittadinanza minerebbe la loro posizione di privilegio.

174. Non tutti i casi di mal governo si riconducono alla presenza di autocrati; altri casi sono dovuti alla mancanza di competenze tecniche nei governanti. Pochi cittadini hanno davvero la preparazione necessaria a guidare un Paese e di quei pochi molti emigrano per il fenomeno ormai noto del brain drain. La scarsa istruzione dei cittadini ha anche l’effetto del mancato supporto da parte della popolazione per le riforme. Spesso queste non vengono capite e, altrettanto spesso nessuno si attende o sa valutarne i risultati; si aggiungono a ciò l’effetto di storture dovute alle fluttuazioni dei prezzi delle risorse naturali (si veda in merito la trappola corrispondente).

175. Per uscire dalla trappola della cattiva governance è necessario un cambiamento forte in un Paese. È stato dimostrato come la presenza di uno Stato democratico per sé non è sufficiente a generare cambiamento: ciò che si rende necessario è piuttosto la presenza di un’ampia popolazione e una larga fascia di questa in possesso di educazione secondaria. Questa condizione risulta fondamentale per formulare e portare avanti le riforme poiché è l’unico modo in cui la spinta al cambiamento e alla riforma può essere endogena e condivisa dalla popolazione; questa a sua volta condizione indispensabile per fare in modo che le riforme siano di successo.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

176. Come abbiamo già visto parlando dei Paesi landlocked una situazione di cattiva governance e di stagnazione dell’economia non è un problema solo per lo Stato che la sperimenta, ma anche per i vicini. Paul Collier nel suo lavoro stima che il fallimento di uno Stato, in pace, possa essere valutato intorno ai 100 miliardi di Dollari.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

7. Considerazioni di sintesi

177. La mappa strategica qui presentata svolge il ruolo di strumento operativo unico (per scopi e costruzione metodologica) e unitario (per prospettiva interpretativa di sintesi) che consente di visualizzare nel tempo, per ogni singolo Stato africano, perfomance di crescita economica e dotazione di risorse e infrastrutture e allo stesso tempo evidenzia, grazie alla posizione relativa di ogni Paese rispetto ai valori medi75 e rispetto agli altri Paesi del continente, gli elementi di criticità spesso determinati dall’interrelazione non armoniosa dei due fattori precedenti o dall’instabilità della situazione politico- amministrativa.

178. Oltre ai quattro quadranti abbiamo voluto evidenziare alcune aree d’attenzione. La prima, che abbiamo chiamato “area di salvaguardia”, nella parte superiore a destra della mappa, è l’area del definitivo consolidamento di alcuni Paesi nel novero di quelli che P. Khanna chiama Paesi del “secondo mondo” (tra i 3.000 e i 6.000 Dollari di Pil pro capite)76. Questi sono Paesi che usciti dal sottosviluppo possono essere considerati “emergenti” secondo le definizioni internazionali: sono i Paesi del Nord Africa (Tunisia, Egitto, Algeria), pronti a cogliere le opportunità della prossima integrazione mediterranea; le principali isole (Seychelles, Mauritius, Capo Verde) che hanno saputo sfruttare il loro patrimonio naturalistico e il turismo in chiave attivante per il resto dell’economia77 e naturalmente il Sud Africa e i suoi più limitrofi partner economici, come Namibia e Botswana. Nel 2008 sono entrati nell’area di salvaguardia 3 nuovi Paesi: Ghana, Lesotho e Marocco il cui cammino positivo era già stato evidenziato nella passata edizione di questo lavoro. Questo gruppo di relativi “happy few” è rappresentato ancora un numero esiguo di Paesi rispetto alla totalità degli altri Stati africani (poco più del 20% del totale). La seconda area evidenziata, all’opposto, è quella che abbiamo chiamato “area di vulnerabilità”, che comprende i Paesi del primo quartile. Per i Paesi di quest’area le criticità sono la scarsità di risorse o anche l’incapacità di accumulare ricchezza pur in presenza di buone performance economiche. In questo quartile sono collocati i Paesi più poveri, più “fragili” politicamente e spesso vittime di conflitti. Ad oggi ancora 11 Paesi ne fanno parte (4 in meno rispetto allo scorso anno). L’uscita da questa area, impresa purtroppo ardua, rappresenta un importante traguardo per i Paesi che versano in situazione di cronico sottosviluppo. Almeno per quei Paesi dotati di risorse naturali (tra tutti la Guinea Equatoriale), è determinante la volontà dei Governi di lavorare a favore del diffuso miglioramento socio economico del territorio, anziché concentrare la ricchezza presso esigue élite. Realisticamente, non va sottovalutato il fatto che quasi tutti gli altri Paesi, anche se non collocati nell’”area di vulnerabilità”, siano ancora in bilico tra il proseguimento del proprio percorso di crescita e il rischio di pericolose retromarce. Purtroppo molti Paesi africani

75. I valori medi sono indicati rispetto alla mediana e non alla media. 76. Parag Khanna, I tre imperi, Fazi editori 2009.

77. Si stima che per ogni Euro di spesa turistica se ne generino 2,1 di indotto.

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CAPITOLO 3 - L’osservatorio sull’Africa

hanno dimostrato negli anni un’endemica fragilità nel consolidare le posizioni raggiunte, spesso a causa di quelle che Collier78 chiama le “4 trappole allo sviluppo” (conflitti, eccessiva concentrazione di risorse, assenza di sbocco al mare e soprattutto malgoverno).

179. L’intero impianto interpretativo della mappa si basa tuttavia sulla tesi che le 4 trappole, considerate finora gravi ipoteche allo sviluppo dell’Africa, possano oggi essere rimosse grazie a una nuova cultura di governo, a una maggiore consapevolezza nell’applicare strumenti di politica economica da parte dell’apparato politico amministrativo, alle nuove tecnologie e anche a un diverso approccio delle organizzazioni internazionali a favore del continente africano. In sintesi la vera sfida per i Paesi africani è rappresentata dalla qualità dei propri programmi economici, dalla definizione di una visione e di obiettivi strategici a lungo termine atti a rimuovere i problemi strutturali e dal raggiungimento di traguardi concreti a favore di un più diffuso sviluppo umano e sociale della comunità.

180. L’interesse che l’Africa sta oggi ricevendo, a vario titolo, da parte di molti Paesi e operatori esteri, rappresenta un’opportunità senza precedenti per i Governi africani. La competizione tra Stati per attrarre e orientare capitali produttivi esteri è già uno dei maggiore driver di cambiamento per molti Stati. Gli Stati africani si stanno adoperando per presentare opportunità di investimento concrete e predisporre un ambiente economico favorevole e trasparente per gli investitori esteri.

78. Paul Collier, The Bottom Billion, Oxford University, 2008.

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CAPITOLO 4 L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo


INDICE 1. introduzione: IL RISVEGLIO AFRICANO

193

2. L’ASSE SUD-SUD

197

Il peso del Sud del mondo nel flusso di aiuti all’Africa

199

L’avanzata della Cina

200

La rincorsa dell’India

206

Brasile-Africa: la diplomazia dei biocarburanti

209

Paesi arabi: caccia alla terra d’Africa

211

3. CONSIDERAZIONI di sintesi

213


CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

1. Introduzione: il risveglio africano

1. L’economia mondiale sta diventando rapidamente sempre più multipolare, alcuni paesi in via di sviluppo si impongono come nuove potenze, altri si stanno trasformando in epicentri di crescita. Lo ha ribadito il presidente della Banca Mondiale Robert B. Zoellick, in un intervento dal titolo significativo: La fine del Terzo Mondo?

2. Uno di questi poli è l’Africa, che può aspirare a un posto più importante (e non solo dal punto di vista economico).

3. Dal 2000 al 2008 il Pil africano è aumentato in media di oltre il 5% all’anno1. Alle soglie del collasso dei mercati nel 2008, il continente registrava un afflusso record di Investimenti Diretti Esteri (IDE), pari a 88 miliardi di Dollari, con un balzo del 27% rispetto al 20072. Fig. 1 Investimenti Diretti Esteri (IDE) in Africa, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati UNCATD)

1. Fonte: Banca Mondiale.

2. Fonte: African Economic Outlook, 2010.

193


CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

4. La crisi globale ha impresso un rallentamento dello sviluppo del continente africano. Secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’Africa sta però recuperando più in fretta e meglio di altre regioni del mondo e con minori conseguenze rispetto alle crisi precedenti. Questo significa, da un lato, che molte delle economie più deboli del continente sono ancora poco integrate nel sistema commerciale e finanziario mondiale (e quindi sostanzialmente al riparo dagli scossoni); dall’altro che la ripresa, in particolare quella di India e Cina, ha ricadute positive soprattutto sui paesi che esportano materie prime3.

5. Le prospettive per l’immediato futuro appaiono nel complesso incoraggianti. Il Pil del continente è previsto in crescita del 5% nel 2010 e del 5,9% nel 2011, un tasso che potrebbe essere mantenuto fino al 2015. Nel prossimo quinquennio l’Africa Sub Sahariana crescerà più rapidamente del Brasile4.

6. Altre volte in passato l’Africa sembrava sul punto di imboccare la giusta strada per lo sviluppo, ma i successi si sono spesso rilevati effimeri. Ciò che è profondamente mutato oggi è il contesto nel quale il continente si trova a giocare il suo ruolo. Le potenze economiche emergenti come Brasile, Cina e India, ma anche gli altri paesi del G20 stanno intensificando i loro rapporti commerciali e diplomatici con l’Africa, per la sua importanza strategica.

7. L’Africa detiene infatti almeno il 10% del petrolio mondiale, il solo Sud Africa racchiude il 40% delle riserve aurifere della terra, lo Zambia e la Repubblica Democratica del Congo, un terzo dei depositi di cobalto. Il Niger è ricco di Uranio, la Guinea di bauxite. Il continente racchiude il 10% dell’acqua potabile del mondo e il 27,4% della terra arabile5.

8. Se vogliono continuare a crescere, le economie emergenti non possono trascurare una realtà come quella africana, che non solo è ricca di risorse indispensabili, ma con il suo miliardo di abitanti, di cui la metà vive ancora con meno di 1,25 Dollari al giorno, è l’ultima grande frontiera dello sviluppo.

9. L’avvento di un mondo multipolare nel quale sempre di più le scelte e le opportunità non sono esclusivo appannaggio dell’Occidente conferisce all’Africa un nuovo peso politico. I paesi africani cominciano a prendere coscienza dell’importanza che il loro continente può avere sul palcoscenico internazionale e si fanno portatori di una propria visione nei negoziati del Doha Round, nelle discussioni sul cambiamento climatico, in seno al consiglio di sicurezza dell’ONU, sostenuti in molte di queste istanze dalle economie emergenti. Il dinamismo del PIL africano precedente alla crisi e la ripresa (per quanto non omogenea) riflettono e nel contempo spiegano questo nuovo ruolo africano.

10. Le ricchezze del sottosuolo sono state e continueranno a essere un volano per l’economia dell’Africa.

3. In molti paesi africani sono anche stati varati pacchetti di stimolo dell’economia. 4. Fonte: FMI, “ World Economic Outlook ”, 2010.

194

5. Fonte: Chatham House, “Our Common Strategic Interest Africa’s Role in the Post-G8 World”, 2010.


CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

Il forte rialzo del prezzo del greggio, passato dai 99 Dollari a barile del 1999 ai 145 Dollari del 2008, e di quello dei metalli, quadruplicato tra il 2002 e il 2007, spiegano tuttavia solo in parte il dinamismo dell’economia africana. Il boom delle materie prime ha inciso sull’andamento dell’economia per circa il 24%, ma il turismo, il settore bancario e le telecomunicazioni sono cresciuti più rapidamente. Anche in paesi che non hanno potuto beneficiare degli introiti derivanti dalle materie prime. Nonostante persistano differenze, anche profonde, tra le varie regioni dell’Africa, i buoni risultati economici sono la spia di un risveglio del continente che dipende da alcuni cambiamenti strutturali.

11. Nell’ultimo decennio si è assistito alla fine di molti conflitti e alla conquista di un certo grado di stabilità politica nel continente. Il numero delle guerre che coinvolgono gli stati sono diminuite, passando da 16 nel 1999 a 7 nel 2007, anche se nel 2009 sono risalite a 11. Le vittime sono scese dalle circa 64mila nel 1999 alle 1.400 del 2005 (anche qui con un peggioramento nel 2009)6. La situazione in molti aree è ancora fragile e a rischio di possibili deterioramenti, tuttavia per 11 paesi subsahariani il Global Peace Index, ha registrato un miglioramento negli ultimi quattro anni. L’indice – che misura il livello di pace di un paese tenendo conto di indicatori tra i quali la facilità di accesso alle armi, le spese militari, il numero di omicidi e quello dei profughi – ha fatto progressi soprattutto in Angola, Costa d’Avorio e Uganda. Anche l’Africa del Nord ha compiuto significati passi avanti sulla strada verso la stabilità.

12. La diminuzione della violenza ha consentito di creare le condizioni per lo sviluppo economico, favorito anche da una serie di riforme strutturali intraprese dagli stati africani: - il tasso medio di inflazione che negli anni Novanta era intorno al 22%, dopo il 2000 è precipitato all’8%; - il debito estero è stato cancellato o ridotto di un quarto e il deficit di bilancio tagliato sensibilmente; - molti paesi hanno abbassato le tasse e avviato politiche per liberalizzare i mercati e favorire la crescita delle imprese; - la Nigeria ha privatizzato oltre 116 imprese tra il 1999 e il 20067.

13. Nel 2010 per la prima volta un paese africano, il Ruanda, risulta in testa alla classifica dei paesi che hanno adottato misure per rendere più efficiente il sistema economico. In Ruanda, riconosce la Banca Mondiale nel suo rapporto Doing Business, oggi è possibile avviare un’impresa in 2-3 giorni, è migliorato l’accesso al credito e sono state semplificate le procedure di registrazione della proprietà. Altri due stati africani rientrano nella top ten: Egitto e Liberia, a dimostrazione che nonostante il clima per gli investimenti in Africa non sia ancora tra i più facili, i miglioramenti sono tangibili.

14. Questi cambiamenti strutturali hanno contribuito a incrementare la produttività delle imprese africane che tra il 2000 e il 2008 è risalita per la prima volta dopo decenni.

6. Fonte: Nogozi Okonjio-Iweala, managing director World Bank, “ What’s the Big Idea? To reposition Africa as the Fifth BRIC-A

destination for Investment, not just Aid”, 2010. 7. Fonte: Banca Mondiale.

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

Oggi in Africa ci sono circa 1.400 aziende quotate in borsa, più di un centinaio hanno ricavi superiori a un miliardo di Dollari.

15. Il settore più vivace è senza dubbio quello delle telecomunicazioni: negli ultimi dieci anni il numero di cellulari nel continente è cresciuto fino a raggiungere i 316 milioni. Ma anche il settore finanziario e quello del commercio al dettaglio hanno risentito positivamente della progressiva urbanizzazione del continente e dell’allargamento della classe media8.

16. Gli africani che vivono in città sono circa 370 milioni, il 38% della popolazione, più che in India. Non sempre abitare in un grande agglomerato significa avere accesso a condizioni di vita migliori9, il reddito disponibile in molti paesi africani non è paragonabile ai livelli di quelli asiatici ed è lontanissimo da quelli occidentali. Tuttavia questa nuova fascia sociale, composta da insegnanti, negozianti, impiegati, sta dando un discreto impulso ai consumi, che crescono due, tre volte più velocemente di quelli dei paesi OCSE. Nel 2008 i nuclei familiari africani hanno speso nel complesso 860 miliardi di Dollari, più di quanto abbiano fatto le famiglie indiane e russe10.

17. Uno degli elementi che da sempre contribuiscono a distribuire ricchezza è il commercio. Dagli anni cinquanta e per molti decenni, gli scambi sono intercorsi per lo più tra paesi ad alto reddito e in particolare lungo il triangolo Europa, Stati Uniti e Giappone. Da una ventina d’anni a questa parte, però, la situazione è mutata profondamente. Nel 1990 l’interscambio Nord-Nord era pari al 58% del totale, nel 2008 la quota era scesa al 41%.

18. L’avanzata dei paesi in via di sviluppo sulla scena economica mondiale è al tempo stesso causa e conseguenza di una maggiore apertura dell’Africa ai mercati internazionali. Grazie a un aumento eccezionale delle esportazioni e importazioni di merci, quasi quintuplicate in 13 anni, il continente contribuisce al 3,3% dell’interscambio mondiale, ma soltanto al 2,5% del Pil; e ha il 14,6% della popolazione.

19. L’Africa sta dunque diventando un tassello importante nell’economia globale, ma il suo potenziale di crescita è ancora largamente inespresso. A scommettere con maggiore convinzione sullo sviluppo africano sono sempre di più le potenze emergenti del Sud del mondo (si vedano paragrafi successivi).

8. Composta da nuclei familiari con un reddito di almeno 20.000 Dollari all’anno. 9. Si veda Capitolo 2 del presente rapporto per maggiori appro-

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fondimenti. 10. Fonte: Banca Mondiale.


CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

2. L’asse Sud-Sud

20. Dietro la straordinaria crescita che ha caratterizzato l’Africa fino al 2008, ma anche dietro il rapido recupero dalla crisi, c’è una delle forze più dinamiche della scena economica e politica internazionale: l’interscambio tra paesi del Sud del mondo, che solo vent’anni fa ammontava appena al 7,8% del commercio globale, ma nel 2008 era pari al 19%11.

21. L’Africa è al centro di questo flusso di merci e di capitali che viaggiano lungo la rotta che collega la Cina al Brasile, passando dall’India12 (si veda la figura a fianco). Ad attrarre le economie in piena espansione è soprattutto la ricca dotazione di materie prime di cui dispone il continente, tuttavia l’Africa è concepita anche come un’oppor tunità di investimento e un mercato per manufatti.

Fig. 2 Composizione percentuale dell’interscambio commerciale mondiale dell’Africa, 1990-2008 (Fonte: Fondo Monetario Internazionale), MGI

Fig. 3 Scambi commerciali con l’Africa, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Chatham House, 2010).

11. Fonte: OCSE, “Perpectives on Global Development”, 2010. 12. Fonte: UNCTAD, 2010.

13. Fonte: UNCTAD, 2010.

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

22. L’intensificarsi delle relazioni Sud-Sud ha intaccato la supremazia dei paesi sviluppati nei rapporti economici, ma anche politici con l’Africa. A metà degli anni ottanta l’interscambio con l’Unione Europea costituiva il 55% del commercio africano, nel 2008 era inferiore al 40%.

23. Gli IDE dei paesi in via di sviluppo in Africa tra il 1995 e il 1999 erano il 17,7% del totale, la quota è salita al 20,8% tra il 2000 e il 200813. Per quanto dominati dalla ricerca di materie prime, gli investimenti sono sempre più diretti a creare mercati per le aziende indiane, cinesi o brasiliane, anche attraverso progetti greenfield, fusioni e acquisizioni. Quello che era nato a metà degli anni Cinquanta come un rapporto di cooperazione tra i paesi in via di sviluppo, desiderosi di collaborare per diminuire la dipendenza dalle potenze industriali, si è trasformato in un asse economico capace di cambiare il futuro dell’Africa. Fig. 4 IDE verso l’Africa, valori cumulati 2006-2008 in Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti)

24. A partire dal 2000 i paesi africani hanno cominciato a stringere una serie di alleanze con altri stati del Sud del mondo sulla base di interessi prevalentemente economici, tuttavia anche la collaborazione politica, in particolare nei consessi internazionali, ha un suo peso in questa nuova geometria diplomatica. Forum e partnership hanno strutture e caratteristiche differenti, ma condividono una serie di principi ispiratori. Tutti sottolineano l’importanza di promuovere la cooperazione tra i paesi perseguimento di benefici reciproci, senza interferire negli affari interni dei partner. Condizione quest’ultima che ha sollevato numerose critiche soprattutto nei confronti dell’alleato più importante in termini sia economici sia politici, ovvero la Cina.

25. Le alleanze vengono consolidate con frequenti visite di Stato ad alto livello e poggiano sulla considerazione, espressa spesso nei discorsi ufficiali, che tutte le parti coinvolte ne traggano vantaggi. Le economie emergenti come Cina, India e Brasile considerano l’Africa un fornitore strategico di materie prime, indispensabili per alimentare la loro crescita, ma anche un promettente mercato per l’esportazione di prodotti e un attore da coinvolgere per ottenere

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

sostegno sulle questioni globali che riguardano i temi dello sviluppo. Questi due ultimi punti sono cruciali e rappresentano la sostanziale novità della cooperazione Sud-Sud.

26. La rete di relazioni di cui fa parte l’Africa è costituita da alleanze bilaterali, trilaterali e su base regionale.

27. Sono bilaterali il Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC), la partnership tra Africa e India, quella tra Africa e Brasile, Africa e Turchia e Africa e Repubblica di Corea.

28. Il patto trilaterale India Brasile Sud Africa (IBSA), lanciato a Brasilia nel 2003 è un dialogo tra questi paesi che mira a espandere la loro l’influenza sulla scena globale e ad accrescere la cooperazione su temi quali agricoltura, energia, ambiente, educazione, difesa, salute, commercio e turismo. L’IBSA ha costituito un fondo, al quale ciascun membro contribuisce con un milione di Dollari per finanziare progetti di sviluppo replicabili in varie realtà.

29. Tra le iniziative interregionali, la New Asian-African Strategic Partnership (NAASP) è nata nel 2005 in Indonesia, nel ricordo della conferenza di Bandung che nel 1955 aveva piantato il seme della cooperazione tra i paesi in via di sviluppo. L’intento è enfatizzare la necessità di un approccio multilaterale alle relazioni internazionali.

30. Un anno dopo, nel 2006, ha preso forma l’ASA, Africa-South America Partnership. Di recente le aziende sudamericane sono diventate più attive in Africa, soprattutto nel settore agricolo ed energetico.

31. Vi è una lunga storia di relazioni anche tra Africa e mondo arabo e la prima forma di cooperazione è stata varata nel 1977 in occasione del primo summit afro-arabo. Anche qui i campi di collaborazione sono diversi e vanno dall’educazione (numerose sono le madrasse, le scuole islamiche, finanziate dall’Arabia Saudita in vari paesi africani) alla cultura, dalla finanza al commercio, all’agricoltura.

2.1. Il peso del Sud del mondo nel flusso di aiuti all’Africa 32. È difficile stabilire a quanto ammontino gli aiuti concessi dai paesi che non membri della Development Assistance Commetee (DAC) dell’OCSE, ma i paesi del Sud del mondo stanno diventando donatori sempre più importanti per l’Africa. Al 2006 l’Official development assistance (ODA) di Cina, India, Corea, Brasile, Turchia e paesi arabi verso l’Africa era pari a 2,8 miliardi di Dollari, il 6% del flusso di aiuti totali alla regione14.

33. Vi sono alcune caratteristiche che contraddistinguono e accomunano questi aiuti: - Il flusso di aiuti è spesso interconnesso con la promozione del commercio e degli

14. L’ODA comprende soltanto gli aiuti ufficiali sotto forma di prestiti agevolati o contributi che abbiano come scopo principale la promozione dello sviluppo economico e sociale del ricevente. Gli OF, Official flows, rappresentano invece il totale degli esborsi

ufficiali di uno stato e racchiudono anche quelle forme di cooperazione che non hanno le caratteristiche per rientrare direttamente negli aiuti allo sviluppo.

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investimenti. Cina e India usano le rispettive banche per le esportazioni e importazioni come canale per fornire sostegno finanziario in contrasto con i donatori tradizionali che preferiscono affidarsi ad agenzie per lo sviluppo e non mischiare aiuti e investimenti. - I paesi del Sud tendono a focalizzare i loro interventi nel settore delle infrastrutture, a differenza dei donatori DAC che si concentrano maggiormente sul settore sociale. Dopo l’adozione degli Obiettivi del Millennio, che puntano l’attenzione sullo sviluppo sociale, la percentuale di aiuti che i donatori tradizionali destinano al settore produttivo e alle infrastrutture in Africa è sceso dal 30% al 22%. Le carenze infrastrutturali costano al continente almeno un punto percentuale nella crescita annua del reddito pro capite. E per colmare questo deficit ci sarebbe bisogno di 93 miliardi di Dollari all’anno. La Cina è la più attiva nel settore: circa il 54% del sostegno cinese all’Africa tra il 2002 e il 2007 era concentrato nei lavori pubblici. L’India tra il 2003 e il 2007 ha finanziato infrastrutture per circa 500 milioni di Dollari all’anno, all’incirca lo stesso ammontare garantito dai paesi arabi. Il Brasile si è concentrato sull’agricoltura. Soltanto Turchia e Corea, essendo membri dell’OCSE hanno preferito concentrarsi su altri settori15. - I paesi in via di sviluppo concedono aiuti anche a stati fragili, o in conflitto, trascurati dai donatori tradizionali. Il motivo di questa attenzione (come nel caso del Sudan per la Cina) è che spesso si tratta di paesi ricchi di risorse. - Hanno un ruolo attivo nella cancellazione del debito ai paesi poveri e altamente indebitanti (HIPC) in aperta contraddizione con il fatto che, soprattutto India e Cina, prediligono la concessione di prestiti, sebbene a tasso agevolato, piuttosto che quella di sovvenzioni. - I paesi in via di sviluppo, a differenza dei donatori tradizionali, non impongono condizioni quali l’adozione di riforme economiche o politiche. Tuttavia legano spesso la concessione degli aiuti all’accesso alle materie prime o all’acquisto di beni e servizi da aziende provenienti dal paese che fornisce il sostegno economico. - La cooperazione tecnica è un elemento importante degli aiuti. Nel 2008 il 33% degli stanziamenti coreani e il 29% di quelli turchi era costituito da programmi di formazione e altre forme di assistenza tecnica. Il Brasile ha progetti in questo ambito in 22 paesi africani. L’India invece ha lanciato il Pan African e-Network Project, finanziato con 117 milioni di Dollari, a quale hanno già aderito 44 paesi. L’intento è fornire servizi digitali nel campo dell’educazione e della medicina16.

2.2. L’avanzata della Cina 34. Gli aiuti della Cina all’Africa e gli scambi politici, militari e culturali, hanno una lunga storia. Fin dagli anni cinquanta la Repubblica Popolare Cinese ha promosso la cooperazione con i paesi in via di sviluppo, per motivazioni in larga misura ideologica. Ma è stato con l’inizio della straordinaria crescita della Cina, in seguito alle riforme economiche avviate da Deng

15. Fonte: UNCTAD, 2010. 16. Il Pan-African e-Network Project è un’iniziativa congiunta di India e Unione Africana nata da un’idea dell’ex presidente indiano A. P. J. Abdul Kalam. L’obiettivo è dotare un ospedale e un centro di formazione per ognuno dei 53 paesi africani, 5 ospedali regionali e 5 università di un sistema di connessione a internet a

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banda larga con università e centri medici indiani. L’india fornirà hardware, software e connessione satellitare affinché i medici di 12 ospedali del subcontinente possano fornire consulti a distanza a 1.500 tra dottori e infermieri africani per 8 ore al giorno. Sette atenei indiani, invece, terranno lezioni in remoto per 10.000 studenti africani.


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Xiaoping nel 1978, che l’Africa è diventata sempre più importante nelle scelte di Pechino. Il continente è ricco di materie prime e offriva nuovi mercati e opportunità di espansione alle aziende cinesi impegnate a uscire dai confini nazionali secondo i dettami della così detta going out policy17. Ma l’Africa contava e conta ancora oggi per ragioni politiche: riaffermare la politica dell’Unica Cina, sottraendo alleati a Taiwan, ottenere l’appoggio degli stati africani nei consessi internazionali e consolidare quel ruolo di potenza politica, cui la Cina aspira da tempo. Dal 2000 al 2008 il valore dell’interscambio tra Africa e Cina è cresciuto di dieci volte, fino a raggiungere i 106,6 miliardi di Dollari e l’11 % del totale del commercio estero africano. La Cina è oggi il secondo partner commerciale del continente, dietro agli Stati Uniti18.

Fig. 5 Peso dell’interscambio Africa-Cina sugli interscambi totali dell’Africa nel 2008 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati CIA)

35. La composizione delle esportazioni africano rivela chiaramente come la Cina sia particolarmente interessata al petrolio e alle risorse minerarie. Cinque paesi produttori di greggio o minerali: Angola, Sudan, Sud Africa, Repubblica del Congo e Guinea Equatoriale, generano l’85% delle esportazioni verso la Cina dell’intero continente. E si tratta di una tendenza crescente. Nel 2001 la Cina importava dall’Africa materie prime e manufatti pressoché nella stessa misura, nel 2008 quella suddivisione si è sbilanciata assestandosi su 84% contro 16%. Nel contempo l’Africa ha aumentato le sue importazioni di prodotti finiti dalla Cina dal 76% del 2000 all’86% del 2008. Di questi circa il 25% sono prodotti tessili, l’11% tecnologie avanzate dell’informazione, l’8% proFig. 6 Ripartizione importazioni dalla Cina per settori 2008 dotti ferrosi e acciaio, il 46% (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati CIA) elettromeccanici19.

36. Una categoria quest’ultima che racchiude piccoli elettrodomestici venduti in molti negozi e mercati del continente, ma anche macchinari per la produzione, per uso agricolo e minerario, acquistati da aziende africane o dalle aziende cinesi che operano in Africa.

17. La “going out o go global policy”, formulata negli anni Novanta, consiste in uno sforzo di internazionalizzazione delle imprese cinesi, invitate anche con una serie di speciali incentivi e protezioni a espandersi all’estero. Da questa decisione ha avuto come conseguenza anche una crescita sensibile degli

Investimenti diretti esteri della Cina. 18. Fonte: UNCTAD, 2010. 19. Fonte: UNCTAD, 2010 e “ Looking East: Africa’s Newest Investment Partners” presentazione di Deborah Brautigam all’Africa Emerging Market Forum di Cape Town settembre 2009.

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Fig. 7 Volume importazioni (a sinistra) ed esportazioni (a destra) tra Africa e Cina, Milioni di Dollari (Fonte: Standard Bank)

37. L’afflusso di merci a basso costo dalla Cina è uno degli elementi controversi della relazione commerciale tra Pechino e l’Africa. Da un lato un maggior numero di africani può ora permettersi di comprare prodotti che prima dell’avvento del made in China avevano prezzi troppo alti, dall’altro la concorrenza cinese ha colpito duramente le industrie tessili di paesi quali Lesotho, Swaziland, Madagascar, Kenya e perfino Sud Africa. Per non parlare dell’artigianato, soffocato dalle copie fabbricate in Cina che hanno invaso i mercati africani.

38. Il tracollo del tessile africano è coinciso, in realtà, con la fine dell’accordo Multifibre nel 200520 e, come alcuni analisti hanno sottolineato, è frutto in larga misura della mancanza di competitività della imprese africane. I costi legati all’inefficienza del sistema, alla mancanza di infrastrutture e agli scarsi investimenti in tecnologia fanno sì che i prodotti africani risultino sempre perdenti contro quelli cinesi. Questo non ha impedito ai lavoratori africani di protestare contro le merci cinesi e ai politici, come nel caso del Sud Africa, di imporre quote sulle importazioni di prodotti tessili.

39. La Cina, intenzionata a mantenere il suo mercato più importante, ha acconsentito a ridurre volontariamente le esportazioni e ha donato al governo sudafricano 31 milioni di Dollari per avviare programmi di formazioni nelle industrie locali.

20. L’Accordo Multifibre entrato in vigore nel 1973 e cessato nel 2005 introduceva una deroga alla liberalizzazione del commercio internazionale sancita dal General Agreement on Tariffs and Trade (GAT T) del 1947. L’accordo riguardava i prodotti tessili e prevedeva che attraverso trattati bilaterali gli stati

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potessero imporre restrizioni quantitative alle importazioni. L’Uruguay Round del 1994, che ha ampliato il GATT, ha previsto una progressiva eliminazione delle quote fino al completo smantellamento dell’Accordo Multifibre avvenuta il 1° gennaio del 2005.


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40. Si tratta di un contributo quasi simbolico, di fronte alle carenze dei sistemi produttivi africani. Tuttavia, secondo il principio del mutuo beneficio che ispira ufficialmente la cooperazione cinese, e nel rispetto di preciso disegno economico, la Cina sta avviando una serie di iniziative industriali in Africa. Il governo di Pechino vuole esportare macchinari cinesi e uno dei modi per farlo è avviare imprese vicino alle fonti di materie prime. In questo modo sono nate aziende e joint venture che producono ricambi d’auto, frigoriferi, parti di telefonini, lavorano il pellame e il pesce21.

41. Per incentivare lo sviluppo industriale africano la Cina ha deciso di contribuire alla nascita in Africa di EPZ (Export Processing Zones)22: una sorta di zone economiche speciali modellate, in par te, sull’esperienza di quelle che negli anni ottanta hanno attirato gli investimenti stranieri nella Repubblica popolare, favorendone la straordinaria crescita.

Fig. 8 Importazioni dall’Africa e Esportazioni verso l’Africa della Cina, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati dati Chatham House 2010)

42. Annunciate al vertice del FOCAC nel 2006, le EPZ sono negoziate bilateralmente tra il governo di Pechino e la controparte africana. Hanno lo scopo di creare, attraverso incentivi fiscali e normativi, un ambiente favorevole allo sviluppo delle imprese cinesi, soprattutto quelle medie e piccole, ma anche locali e di altri paesi, dando vita a veri e propri distretti industriali. Metà delle spese sostenute dalle imprese che decidono di ricollocarsi nelle EPZ vengono rimborsate dal governo cinese e le aziende possono anche ottenere speciali condizioni di accesso alla valuta, abbattimento delle tasse pagate per esportare i manufatti prodotti nelle EPZ, oltre al sostegno del governo cinese nel realizzare infrastrutture, negoziare l’acquisizione della terra, i permessi di lavoro e le autorizzazioni con il paese ospitante.

43. La prima EPZ è partita nell’area delle miniere di ferro di Chambishi nello Zambia, dove è stata costruita una fonderia da 300 milioni di Dollari, sono già operative una dozzina di aziende cinesi e vi lavorano 3.500 zambiani. A fronte di un investimento minimo di 500mila Dollari, il governo dello Zambia offre alle imprese che si stabiliscono nel distretto: l’esenzione totale delle tasse sui profitti nel primo anno, e del 50% per 5 anni; esenzione dei dividendi per 5 anni dalla prima dichiarazione, l’abbattimento totale delle tariffe d’importazione su macchinari e strumenti per 5 anni; agevolazioni fiscali sugli investimenti in infrastrutture23.

21. A titolo di esempio, la Holley Pharmaceuticals ha investito 6 milioni di Dollari nel 2006 per produrre un farmaco antimalaria in Tanzania; nel 2007 la China International Fisheries Corporation ha investito 5 milioni di Dollari in un impianto per la lavorazione del pesce in Ghana; il produttore di elettrodomestici cinese Haier ha annunciato che comincerà a fabbricare frigoriferi senza CFC

in Nigeria, mentre una joint venture tra un’azienda kenyana e una cinese avvierà un impianto da 130 milioni di Dollari per la costruzione di pannelli solari in Kenya. 22. Si chiamano anche Special Economic Zone (SEZ) o nel caso dello Zambia Multi facilty economic zones (MFEZ). 23. Fonte: Zambian Development Agency.

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44. Altre tre di queste zone, in Egitto, Nigeria e Mauritius, sono in fase di realizzazione, mentre sono in fase di studio quelle in Angola, Etiopia, Mozambico, Tanzania e Uganda. La Cina ha previsto di investire nelle EPZ circa 2,5 miliardi di Dollari entro il 2018.

45. I cinesi sono convinti che l’esperimento questa volta darà risultati migliori delle altre zone speciali create dai governi africani in passato24. Permettendo agli africani di trarre vantaggio dalla partnership tecnologica con le aziende cinesi. Parte di queste EPZ sono finanziate dal CADF, il China-Africa Development fund, un fondo di investimento costituito nel 2006 presso la China Development Bank, con una dotazione di 5 miliardi di Dollari. Lo scopo del fondo è fornire sostegno finanziario alle imprese cinesi pronte a sbarcare in Africa.

46. L’Africa rimane ancora una destinazione minore per i flussi di capitali cinesi, tuttavia l’interesse della Cina a investire nel continente è cresciuto. Gli IDE della Cina erano 551 milioni nel 2000 e hanno raggiunto quota 7,8 miliardi di Dollari alla fine del 2008, il 4% del totale degli IDE cinesi25. I principali riceventi sono paesi ricchi di risorse: Sudafrica (3 miliardi di Dollari), Nigeria (796 milioni), Zambia (651 milioni) e Algeria (509 milioni), ma tra i primi dieci figurano anche Tanzania, Madagascar ed Etiopia, a conFig. 9 Principali Paesi africani destinatari degli Investimenti Diretti Esteri ferma che la strategia di espan (IDE) cinesi, 2008 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Standard Bank) sione della Cina in Africa passa anche attraverso investimenti in altri settori, come quello agricolo e quello manifatturiero.

47. L’ambito dove la Cina si è dimostrata più attiva è senza dubbio quello della costruzione di infrastrutture: strade, ferrovie, palazzi governativi, centrali idroelettriche. Tra il 2001 e il 2007 la Repubblica Popolare si è impegnata in progetti per quasi 16 miliardi di Dollari, tra i quali la riabilitazione di 1.350 chilometri di ferrovie e la costruzione di altri 1.600 chilometri, la riparazione e la realizzazione di 1.400 chilometri di strade, il finanziamento di una decina di dighe26.

48. Al 2010 la Cina aveva completato opere per 20 miliardi di Dollari e siglato contratti per altri 40 miliardi. E anche in questo caso, nonostante l’attenzione riservata ai paesi produttori di petrolio o ricchi di risorse minerarie come Angola, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo, la Cina ha sottoscritto o sta discutendo progetti con 35 paesi27.

24. In passato hanno pesato carenze infrastrutturali, difficoltà politiche e istituzionali, scarsa capacità imprenditoriale. Molte critiche sono state anche rivolte alle condizioni di lavoro imposte agli operai. 25. Fonte: UNCTAD (2010). Calcolare con precisione l’ammontare degli IDE cinesi è molto complicato e spesso le cifre fornite dall’ufficio statistico cinese differiscono da quelle conteggiate

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dagli organismi internazionali. 26. Fonte: Vivien Foster et al. Building Bridges, “China’s Growing Role as Infrastructure Financier for Africa”, The World Bank PPIAF, 2008. 27. Fonte: Martyn Davies, “ Will China Influence Africa’s Development” e OECD Global Development Outlook 2010.


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49. La realizzazione di infrastrutture è un tassello di una strategia varata a metà degli anni novanta che combina aiuti, commercio, cooperazione. Gli aiuti sono diventati uno strumento per promuovere l’attività delle imprese cinesi che si avventuravano all’estero, il mutuo beneficio si traduce in sviluppo per il paese ricevente e affari per la Cina.

50. Il perno di questo sistema è la Eximbank che concede credito alle aziende cinesi operanti all’estero e prestiti tassi agevolati ai paesi africani. I soldi vengono di solito erogati direttamente all’impresa cinese appaltatrice dei lavori. I governi africani si impegnano a restituire il prestito attraverso i profitti generati dal progetto28, o concedono in garanzia le risorse naturali, come è accaduto in Angola e Repubblica Democratica del Congo. Spesso la realizzazione di queste grandi opere avviene impiegando manodopera e quadri cinesi. Tra il 2005 e il 2007 la Eximbank ha siglato prestiti agevolati ai paesi africani per circa 16 miliardi di Dollari, quasi quanto la Banca Mondiale (17,4 miliardi)29.

51. La segretezza cinese sull’entità e le differenze nella classificazione degli aiuti rende difficile stabilire quanto la Cina conti come donatore per l’Africa. Nel 2007, secondo alcune stime, la Cina si è impegnata in aiuti ODA e cancellazione del debito per 1,4 miliardi di Dollari, cifra che potrebbe aver raggiunto i 2,5 miliardi alla fine del 2009, ma comunque lontana dagli impegni assunti dagli Stati Uniti o dall’Unione Europea30. Questa mancanza di trasparenza, insieme al fatto che la Cina concede aiuti e prestiti senza chiedere che vengano rispettate le condizioni politiche ed economiche imposte dai donatori tradizionali (quali ad esempio la lotta alla corruzione e il miglioramento della governance), ha sollevato numerose critiche.

52. La Cina è riuscita a farsi strada in Africa utilizzando tutti gli strumenti del “soft power”, ovvero ricorrendo alla forza della persuasione, piuttosto che alle pressioni di carattere politico o economico che caratterizzano l’”hard power”. La Cina ha preferito “corteggiare” i paesi africani (in primis quelli ricchi di materie prime, ma non solo) con frequenti visite di stato ad alto livello e forum, ma anche assistenza in vari campi: dalla salute, alla formazione, all’agricoltura. La Cina, ad esempio, ha inviato il primo team medico in Africa nel 1964 su invito del governo algerino, da allora almeno 15.000 dottori hanno visitato 47 stati africani e curato circa 180 milioni di pazienti. Attraverso il Fondo per lo Sviluppo delle Risorse umane africane vengono formati circa 3.800 candidati all’anno, soprattutto nel campo del management, sono stati avviati accor­di di cooperazione con 27 università africane e aperto 18 istituti Confucio per l’insegnamento della lingua cinese31. In Africa sono attivi 14 Agricultural Technology Demonstration stations, centri nei quali i cinesi insegnano le loro tecniche di coltivazione e introducono l’uso di sementi ibride. Ma soprattutto, la Cina si è fatta promotrice di un modello di sviluppo alternativo, che è stato denominato il Consenso di Pechino, in contrapposizione al Consenso

28. È il caso della centrale idroelettrica di Dodo in Sierra Leone. 29. Fonte: Dati elaborati da Deborah Braütigam, The Dragon’s Gift. The Real Story of China in Africa, Oxford University Press, 2009. 30. Fonte: Braütigam, 2009. 31. Fonte: Thompson, Drew, 2005: “China’s soft power in Africa:

From the ‘Beijing consensus’ to health diplomacy ”, China Brief, V (21), Kurlantzick, Joshua, 2006: BEIJING’S safari: China’s move into Africa and its implications for aid, deve­lopment, and governance. Washington, Carnegie Endowment for International Peace, p. 3; PANOZZO, Irene, 2008: “Beijing consensus’, l’offensiva dello charme nel continente nero”, Limes.

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di Washington32: ovvero una formula di sviluppo che ha portato al miglioramento della condizione di vita di milioni di cinesi, contro le regole del rigore imposte dalle grandi istituzioni finanziarie.

2.3. La rincorsa dell’India 53. I primi contatti commerciali tra India e Africa risalgono al XIV secolo, ma è stato solo verso la fine dell’Ottocento che 2,5 milioni di indiani hanno attraversato l’oceano per stabilirsi in Sud Africa, Kenya, Uganda, Tanzania, Mauritius per lavorare dapprima nelle miniere, nelle ferrovie e nelle piantagioni. Oggi si calcola che gli indiani d’Africa siano circa 2 milioni. Nonostante i legami che l’India ha mantenuto con l’Africa dopo l’indipendenza, in nome dell’anticolonialismo, è stata l’ascesa economica e politica del sub continente che ha portato il governo di Delhi a riconsiderare le relazioni con l’Africa, divenuta un terreno di conquista per le dinamiche imprese indiane. Fig. 10 Volume importazioni (a sinistra) ed esportazioni (a destra) tra Africa e India, Milioni di Dollari (Fonte: Standard Bank)

32. Il Consenso di Washington è una lista di dieci riforme politiche ed economiche improntate al neoliberismo e al rigore finanziario, elaborata nel 1989 da John Williamson, economista dell’Institute for International Economics, come risposta alla crisi del debito che affliggeva l’America latina. Riguardano le priorità della spesa pubblica, la riforma del sistema fiscale la liberalizzazione del commercio, la gestione del tasso di cambio e di interesse, le privatizzazioni. Questo manifesto fu chiamato il Washington consensus perché l’amministrazione USA e le istituzioni finanziarie internazionali hanno sede nella capitale statunitense e diventò presto il piano d’azione suggerito, imposto o adottato in molti paesi in via di sviluppo. Finì con l’essere anche duramente contestato da chi come il premio Nobel Joseph Stigliz giunse a criticare limiti e storture della globalizzazione. In contrapposizione al Consenso di Washington,

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Joshua Cooper Ramo ex giornalista e sinologo ha coniato l’espressione Consenso di Pechino per descrivere come la formula dello sviluppo cinese: innovazione, controllo degli squilibri causati dalla crescita, salda presa sul potere e difesa della propria identità si sia trasformata in un modello, tanto più apprezzato in quanto non imposto da alcun organismo esterno: “ La Cina sta segnando la via per altre nazioni che cercano di scoprire non solo come sviluppare il loro paese, ma anche come trovare un posto nell’ordine internazionale che consenta loro di mantenere una vera indipendenza, proteggere il proprio stile di vita e le proprie scelte politiche”. Fonte: Cfr. John Williamson, “ What Wa­shington means by policy reform”, Washington, Peterson Institute for International Economics, 1990; Joshua Cooper Ramo, “ The Beijing consensus”, The Foreign Policy Centre, 2004.


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54. Il livello dell’interscambio tra India e Africa è ancora lontano da quello tra Cina e Africa, ma sta accelerando. Nel 2000 era pari ad appena 7,3 miliardi di Dollari, nel 2008 ha raggiunto i 18,6 miliardi di Dollari, ma il governo indiano si aspetta che superi i 70 miliardi entro il 2020. Oggi l’interscambio tra India e Africa è pari al 6,9% del totale del commercio indiano e l’India è fra i cinque primi fornitori di merci dall’estero per un terzo degli stati africani33.

55. L’elenco dei principali partner commerciali africani dell’India tradisce il fatto che anche New Delhi è attratta dalle materie prime del continente: petrolio, ma anche minerali e carbone. Dalla Nigeria proviene il 47% di tutte le esportazioni africane verso l’India, dal Sud Africa il 14%, dall’Egitto il 10%, Fig. 11 Importazioni dall’Africa e Esportazioni verso l’Africa dall’Angola l’8%34. La compa dell’ India, Miliardi di Dollari (Fonte: Rielaborazione TEH-Ambrosetti su dati dati Chatham House, 2010) gnia petrolifera statale ONGC Videsh Ltd (OVL) ha investimenti da oltre 2 miliardi di Dollari in 8 paesi: Sudan, Congo, Nigeria, Libia, Ghana, Angola, Egitto e Uganda 35 .

56. La penetrazione del mercato africano da parte dell’India è avvenuta finora in modo diverso dalla Cina. Mentre Pechino ha avviato una strategia più coerente e aggressiva basata sull’operato delle grandi aziende statali, l’avanzata indiana è stata condotta in primo luogo da singole imprese private36.

57. Storicamente gli IDE indiani nel continente africano si sono concentrati a Mauritius dove risiede una delle più popolose comunità della diaspora. Tra il 1996 e il 2005 il paese ha ricevuto 1,4 miliardi di Dollari, pari al 9% del totale degli IDE dell’India37. Tra il 2003 e il 2009 le multinazionali indiane hanno investito in 130 progetti in Africa contro gli 86 delle aziende cinesi38. Oggi molti dei grandi gruppi indiani sono attivi in tutta l’Africa con investimenti che hanno raggiunto i 5 miliardi di Dollari. Vari sono i settori, oltre al petrolio, l’industria mineraria, le infrastrutture, le telecomunicazioni, la distribuzione di farmaci, l’agricoltura. Le aziende dell’agrobusiness indiano sono molte attive nell’acquisire terreni e avviare produzioni che vanno dai fiori recisi al té, dagli ortaggi, ai latticini39.

33. Fonte: UNCTAD, 2010; India-Africa Conclave to help prepare roadmap for next Forum Summit Confederation of Indian Industry, 2010; Simon Freemantle, Jeremy Stevens, Africa: BRIC and Africa, Standard Bank, 2009. 34. Fonte: UNCTAD, 2010. 35. Fonte: Chietigj Bajpaee, “ The Indian Elephant returns to Africa Asia Times Online e OVL explores projects in Africa” , The Hindu Business. 36. Fonte: Chatham House, “ The future of Africa-India engagement”, Conference Report, 2010. 37. Fonte: UNCTAD, 2010. 38. Fonte: OCSE 2010.

39. Tata group ha investito circa 1,6 miliardi di Dollari in 12 paesi africani, dalle telecomunicazioni, ai prodotti chimici, dall’industria alimentare a quella automobilistica fino alle miniere. Archelor Mittal è entrato prepotentemente nel business minerario sudafricano, Bharti Airtel ha acquisito il portafoglio africano della Zain Group per 10,7 miliardi di Dollari, il più grande affare nelle telecomunicazioni siglato da un’azienda indiana. Altri accordi e acquisizioni sono avvenute in campo farmaceutico ed energetico. Cfr Francesca Marino, In Sudafrica l’India gioca per vincere, Limes; Indrajit Basu India Inc woos Africa, Asia Times online; Sanusha Naidu India stepping up the ante in Africa Relations, Panbazuka news; Shani Duttagupta e Sutanuka Ghosal, The Economic Times, 2010.

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58. Nonostante lo slancio indiano verso l’Africa non abbia ancora la coordinazione e la forza di quello cinese40, il governo di New Delhi è corso ai ripari varando una serie di iniziative a sfondo politico ed economico.

59. Nel 2002 è stato lanciato il Focus Africa, un programma per incentivare le relazioni commerciali attraverso missioni, riduzione delle tariffe di esportazione verso i paesi africani. La Eximbank indiana organizza da sei anni in collaborazione con la Confederazione delle industrie indiane (CII), un incontro, il Conclave on India Africa Project Partnership, cui prendono parte ministri e aziende indiane e africane. In quello del giugno 2010 sono stati discussi 145 progetti economici e negoziati accordi per 9 miliardi di Dollari. Iniziative simili si svolgono su base regionale in Africa41.

60. La nuova cornice che racchiude queste attività è il Forum India-Africa, che si è riunito per la prima volta a New Delhi nel 2008 e del quale è previsto un altro summit nel 2011. La formula ricalca quella del Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC)42 ed è un chiaro tentativo di recuperare terreno rispetto alla forte avanzata cinese in Africa. Al primo vertice il premier indiano ha annunciato la concessione di 500 milioni di Dollari all’Africa in contributi allo sviluppo entro un arco temporale di 6 anni, il raddoppio della linea di credito che la Eximbank ha concesso a vari governi africani, da 2,3 a 5,4 miliardi di Dollari. L’India concederà anche un accesso preferenziale alle esportazioni da parte di 50 paesi tra i meno sviluppati al mondo, tra i quali 34 africani43.

61. Il Forum ha anche discusso dell’impegno indiano nel campo della formazione e della cooperazione agricola, tecnologica e scientifica, oltre alla promozione delle piccole e medie imprese indiane, considerate il motore dello sviluppo del subcontinente, come modello per quelle africane.

62. Il fatto di porre l’accento sull’importanza delle piccole e medie imprese anche nel promuovere la creazione di occupazione giovanile è uno dei modi attraverso cui gli indiani puntano a differenziarsi dal modus operandi cinese in Africa: sostanziale attenzione ai progetti legati alle attività estrattive o in paesi ricchi di risorse e forte impiego di manodopera cinese nella realizzazione delle opere. In realtà, almeno sotto il profilo degli aiuti anche gli indiani mostrano di essere sensibili alle esigenze di approvvigionamento energetico: una larga parte delle linee di credito aperte dalla Eximbank sono destinate al governo del Sudan, per interventi infrastrutturali, all’Angola e alla Nigeria, mentre il Techno Economic Approach for Africa India Movement (TEAM-9), fornisce linee di credito per 500 milioni di Dollari a 8 paesi dell’Africa Occidentale che coincidono in parte con i paesi corteggiati dalle società petrolifere indiane. E in parte anche gli aiuti di New Delhi sono legati, come quelli, cinesi all’acquisto di beni e servizi dalle aziende indiane44.

40. A differenza della Cina, ad esempio, l’India non ha ancora codificato i punti distintivi in un documento programmatico come invece Pechino ha fatto con la sua China’s African Policy pubblicata nel 2006. 41. Fonte: CII. 42. Il FOCAC è un forum organizzato dalla Cina e dai paesi africani nato per creare e migliorare le cooperazioni tra i paesi in via di

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sviluppo, in particolare sull’asse “Sud-Sud”. 43. Fonte: “Plan of Action of the Framework for cooperation of the India-Africa Forum Summit”, Chietigj Bajpaee. 44. Fonte: Eximbank India; Peter Kragelund, “ The potential role of non traditional aid in Africa”, International Centre for Traid and Sustainable Development, 2010.


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63. Come per la Cina anche per l’India, l’Africa non rappresenta soltanto una frontiera di espansione per le proprie imprese, ma un importante alleato sulla scena internazionale. La Dichiarazione di Delhi che ha chiuso il summit del Forum Africa-India del 2008 sottolineava l’importanza del multilateralismo e delle ragioni dei paesi in via di sviluppo in consessi come i vertici sul cambiamento climatico e i negoziati del WTO. L’India come il Brasile, inoltre aspira a un ruolo di maggior peso in seno alle Nazioni Unite e questa è una delle motivazioni politiche che hanno portato alla nascita dell’IBSA e in generale al rilancio delle relazioni con l’Africa.

2.4. Brasile-Africa: la diplomazia dei biocarburanti 64. Con l’arrivo di Inacio Lula da Silva alla presidenza nel 2003, il Brasile ha assunto un profilo internazionale molto più dinamico. E per quanto le relazioni con l’Africa non siano paragonabili a quelle che il continente ha stretto con India e Cina, il paese sudamericano sta crescendo rapidamente d’importanza tra i partner dell’Africa.

65. Il presidente Lula durante i suoi mandati ha visitato nove volte il continente (più di qualsiasi altro capo di stato non africano) facendo tappa in una ventina di paesi. Le ragioni di questa grande attenzione sono economiche, ma anche politiche.

66. Dal 1990 al 2008 l’interscambio tra il Brasile e l’Africa è passato da 700 milioni di Dollari a 31,1 miliardi. Un balzo legato soprattutto alle esportazioni di petrolio e risorse minerarie da un pugno di paesi che costiutiscono i maggiori partner commerciali del Brasile: Nigeria (32%), Angola (16%), Algeria (12%), Sud Africa (10%).

67. La società petrolifera statale brasiliana Petrobras è presente in Libia e Nigeria, ma soprattutto in Angola dove ha annunciato di volere investire 3 miliardi di Dollari nella produzione di petrolio entro il 2012, mentre il governo di Brasilia ha concesso al paese africano una linea di credito in un miliardo di Dollari45.

Fig. 12 Maggiori partner africani del Brasile, 2008 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Standard Bank)

68. L’Africa a sua volta importa dal paese sudamericano, zucchero (il 28 % del totale consumato), carne e derivati del latte, cereali, grassi animali e vegetali, veicoli e macchinari. Il Brasile è ancora l’unico paese tra quelli in via di sviluppo, con il quale l’Africa mantiene la bilancia commerciale in attivo.

45. Fonte: UNCTAD, 2010.

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

69. Nel 2009, tuttavia, l’Africa ha aumentato le sue importazioni di prodotti agricoli dal Brasile del 3,1%, arrivando ad acquistare il 7,7% della produzione brasiliana. Fig. 13 Volume importazioni (a sinistra) ed esportazioni (a destra) tra Africa Brasile, Milioni di Dollari (Fonte: Standard Bank)

70. I mercati emergenti stanno diventando una destinazione sempre più importante per le esportazioni agricole brasiliane. Ma ciò che preme di più alle grosse aziende statali, leader nella produzione di etanolo, ai coltivatori di canna da zucchero e ai costruttori di macchinari agricoli è di far crescere la domanda globale di biocarburanti. Il Brasile vuole approfittare della crescita economica e dell’industrializzazione dell’Africa per incentivare produzione e consumo di etanolo. La Nigeria nel 2008 ha importato dal Brasile 97,8 milioni litri di etanolo, con un aumento del 127% rispetto al 2006 che l’ha diventare il decimo maggior acquirente del biocarbuFig. 14 Importazioni dall’Africa ed esportazioni verso l’Africa del rante brasiliano, il Ghana ha Brasile, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati dati Chatham House, 2010) impor tato 19,7 milioni di litri, con una crescita del 222 % rispetto al 2006 46 .

71. Considerate le prospettive, il cuore della strategia brasiliana è offrire assistenza ai governi africani affinché siano in grado di avviare la produzione di biocarburanti. L’EMBRAPA, la società pubblica di ricerca in campo

46. Fonte: Simon Freemantel, Jeremy Stevens, “Brazil weds itself to Africa’s latent agricultural potential”, Standard Bank , 2010.

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

agricolo, ha aperto nel 2008 un ufficio ad Accra, in Ghana, per facilitare il trasferimento di tecnologia e know-how ai coltivatori africani, e promuovere i contatti con le aziende brasiliane. Attraverso l’EMBRAPA, il Brasile ha esteso la sua cooperazione a molti altri stati tra cui Mozambico, Kenya, Angola, Marocco, Libia e Mali, per progetti relativi ai biocarburanti, ma anche ai sistemi di irrigazione e alla coltivazione del cotone.

72. A maggio del 2010 è stata lanciata The Africa-Brazil Agricultural Innovation Marketplace, un’iniziativa sostenuta da molti organismi internazionali che ha lo scopo di promuovere la cooperazione tra ONG, esperti, associazioni di categoria africane e brasiliane, allo scopo di rafforzare le capacità produttive dei piccoli contadini.

73. Negli ultimi anni molte società brasiliane hanno stretto accordi in Mozambico, Sudan, Repubblica del Congo, Uganda e Senegal, Angola e Nigeria, per avviare la coltivazione di biomasse per carburanti e la produzione di etanolo e biodiesel.

74. Dal punto di vista politico, il Forum più importante è l’IBSA, la trilaterale che comprende India, Brasile e Sud Africa. Nella dichiarazione congiunta che ha concluso il quarto summit tenutosi a Brasilia nell’aprile 2010, emerge con chiarezza che l’intento è di costruire un’alleanza in vista della riforma del consiglio di sicurezza dell’Onu, e soprattutto di accrescere il peso delle economie in via di sviluppo nel contesto internazionale.

2.5. Paesi Arabi: caccia alla terra d’Africa 75. L’impennata del prezzo delle materie agricole tra il 2007 e il 2008 ha provocato un aumento di investimenti nel settore e una corsa all’acquisizione di ampie porzioni di terra coltivabile. Fondi d’investimento, hedge fund, fondi pensione, società private si sono convinti che nel lungo termine i prezzi di cereali, soia, prodotti lattieri sono destinati a restare alti, a causa di una pressione della domanda, mentre la terra adatta alla produzione agricola è una risorsa limitata, destinata quindi ad accrescere il suo valore, e diventare un ottimo asset per diversificare il portafoglio degli investimenti.

76. Per paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait o Qatar, il forte rialzo del prezzo del cibo si è trasformato, invece, in una questione di sicurezza nazionale. L’Arabia Saudita e gli altri paesi della regione hanno scarse riserve idriche e terra inadatta alla coltivazione. Per questo importano il 60% del loro fabbisogno alimentare. Pur disponendo di ingenti risorse finanziarie la prospettiva di dover affrontare costi elevati, ma soprattutto il protezionismo dei paesi produttori47 di materie prime agricole, ha spinto i governi ad acquisire terra all’estero sui quali produrre il cibo da riesportare in patria. Accelerando e amplificando un processo che in alcuni paesi d’Africa era già cominciato con le coltivazioni di prodotti per l’orticoltura per le esportazioni e le biomasse per i biocarburanti. Tra il 2004 e il 2009 in soli cinque paesi, Mali, Etiopia, Sudan, Ghana e Madagascar, almeno 2.492.684 ettari di terra sono finiti nel portafoglio di aziende e fondi sovrani.

47. All’apice della crisi del cibo una trentina di paesi produttori di grano, riso e altre materie prime agricole hanno imposto quote

o tariffe all’esportazione per evitare che un eccessivo rialzo dei prezzi avesse effetti destabilizzanti all’interno.

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

77. Il continente secondo le stime della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (UNECA), ha un patrimonio di terra arabile quantificato in 733 milioni di ettari dei quali solo il 3,8 % è sfruttato e il 7% irrigato “chiaramente c’è ampio margine di sviluppo per l’agricoltura”48.

78. Molti paesi africani hanno accolto questo rinnovato interesse per l’agricoltura con entusiasmo. La Tanzania ha creato una sorta di banca della terra con 2,5 milioni di ettari adatta agli investimenti, mentre l’Etiopia attraverso la commissione per gli investimenti ne ha messi a disposizione 2,7 milioni.

79. L’Arabia Saudita ha costituito nel 2009 la King Abdullah Initiative for Saudi Agricultural Investment Abroad (KAISAIA): un’agenzia per il sostegno di iniziative che nascono in tandem tra lo stato e le imprese. E una società pubblica la Saudi Company for Agricultural Investment and Animal Production (SCAIAP) dotata di 800 milioni di Dollari di capitale, che ha il compito di sostenere le aziende intenzionate a fare affari agricoli all’estero. Tra i venti paesi individuati come potenziali obiettivi d’investimento figurano il Sudan e l’Etiopia.

80. L’Islamic Development Bank insieme a un gruppo di investitori basati in Arabia Saudita ha invece avviato il progetto chiamato 7x7, perché punta a sviluppare in sette anni 700 mila ettari di terra per produrre 7 milioni di tonnellate di riso. Il piano, che nasce sotto l’egida dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, coinvolge Mali e Senegal (che ne sono membri) e probabilmente riguarderà anche Sudan e Uganda.

81. Anche altri paesi in via di sviluppo come la Corea, l’India e la stessa Cina sono interessati a investire in terreni agricoli e hanno avviato trattative con numerosi stati africani

82. Questi accordi siglati prevedono in genere l’affitto a lunghissimo termine (da 50 a 99 anni) di vasti appezzamenti in via del tutto gratuita o a canoni irrisori, in cambio dello sviluppo dell’area ottenuta e della realizzazione di lavori di infrastrutture. Vengono negoziati e siglati spesso in segreto e hanno provocato numerose critiche a causa del potenziale impatto negativo sulle comunità locali, i piccoli contadini, ma anche sulla sicurezza alimentare di paesi come l’Etiopia che ancora ricevono aiuti alimentari dal PAM. Per questo la FAO e l’IFAD stanno lavorando alla stesura di un codice di condotta sugli investimenti agricoli.

48. Fonte: United Nations Economic Commission on Africa (UNECA) (2009), “Economic Report on Africa: Developing Afri-

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can Agriculture Through Regional Value Chains”, Addis Abeba, UNECA, p. 123.


CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

3. Considerazioni di sintesi

83. L’Africa ha una popolazione attiva di 500 milioni di persone. Nel 2040 gli africani in età lavorativa saranno 1,1 miliardi, più degli indiani e più dei cinesi, con possibili effetti positivi sulla ricchezza del continente.

84. Se la crescita economica si mantiene intorno al 5% nel 2020 il Pil raggiungerà i 2.600 miliardi di Dollari. Le famiglie africane con capacità di spendere il loro reddito in beni non alimentari toccherà i 128 milioni: i consumatori africani che nel 2008 hanno speso 860 miliardi di Dollari arriveranno a spenderne 1.400 miliardi. 85. L’Africa è di fronte all’occasione di trasformare il suo destino grazie soprattutto all’impulso che deriva dalle potenze economiche emergenti, Cina e India in testa, ma anche Brasile, Turchia, Corea. Le accresciute relazioni commerciali tra paesi del sud del mondo hanno stimolato la crescita economica dell’Africa prima della crisi finanziaria e sono anche una delle principali ragioni per cui il continente sta uscendo più velocemente di altre regioni dalla recessione.

86. I paesi in via di sviluppo alimentano la domanda di materie prime, il flusso degli IDE, e degli aiuti, e contribuiscono attivamente a colmare il deficit infrastrutturale dell’Africa. Ma soprattutto guardano all’Africa non più soltanto come un continente disperato e bisognoso del sostegno internazionale, ma come un partner economico, un potenziale mercato, un alleato politico. Il rafforzamento di quest’asse Sud-Sud ha eroso parte dell’influenza dei tradizionali partner occidentali.

87. Per la prima volta nella sua storia l’Africa si trova di fronte a un’alternativa al modello proposto dalle potenze occidentali, sia sul fronte degli investimenti sia su quello della cooperazione. India e Cina desiderose di aprirsi la strada alle risorse e ai mercati del continente offrono prestiti e linee di credito agevolati attraverso le loro banche per le importazione e le esportazioni. Soldi che servono a finanziare grandi opere spesso realizzate da imprese cinese o indiane. Il fatto che gli stati africani abbiano la possibilità di ottenere in tempi rapidi le opere di cui hanno bisogno è un fatto di per sé positivo. Cina e India intervengono su progetti che i donatori tradizionali non hanno preso in considerazione o hanno scartato perché troppo onerosi o difficoltosi. Spesso i progetti finanziati dalle grandi istituzioni finanziarie o dai donatori tradizionali hanno tempi si realizzazione lunghissimi, perché sono frenati da costose lungaggini burocratiche. Il rischio, tuttavia, è che questi accordi di aiuto in cambio di business, si sottraggano all’assetto di regole promosse dalle istituzioni finanziarie per accrescere la trasparenza nella gestione dei fondi, le buone pratiche, il rispetto per l’ambiente49, contribuendo ad

49. Ad esempio attraverso l’adozione dei principi dell’Equatore, un codice volontario di regole che promuovo il rispetto

di standard ambientali e sociali nel finanziamento di grandi opere.

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CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

accrescere alcune fragilità insite in molti paesi africani. Inoltre l’accesso a fondi erogati con tassi fortemente agevolati e senza particolari condizioni, ad esempio una rigorosa gestione dei conti pubblici, potrebbe provocare nel lungo periodo un altro aumento insostenibile del debito per molti stati poveri.

88. L’Africa è ancora dipendente dall’esportazioni di petrolio e risorse minerarie che rappresenta il modello dominante anche nelle relazioni commerciali con le economie emergenti. La maggior parte degli Investimenti diretti esteri è destinato a progetti in campo estrattivo. Tuttavia sono in aumento quelli indirizzati ad attività produttive e all’agricoltura. Secondo alcune stime nel 2030 la Cina sarà la seconda economia mondiale, l’India la quarta e il Brasile la settima, una buona parte di questa crescita sarà dovuta per forza di cose all’Africa, il continente con la base economica di partenza più bassa e quindi i margini di aumento dei consumi più alti. Per questo l’Africa non potrà che diventare un mercato sempre più centrale per le economie emergenti. Secondo i calcoli dell’OCSE se i paesi del sud del mondo liberalizzassero il commercio abbattendo le tariffe ai livelli del nord del mondo si otterrebbero guadagni per 60 miliardi di Dollari soprattutto nel settore manifatturiero50.

89. Il flusso di IDE dei paesi in via di sviluppo è un contributo importante alla riduzione della volatilità degli investimenti. Anche nel pieno della crisi la Cina ha continuato ad annunciare nuovi progetti in Africa. Le multinazionali dei paesi del sud del mondo sono più propense a investire in un ambiente che è molto simile a quello nel quale hanno cominciato ad operare e hanno una maggiore conoscenza dei mercati nei paesi in via di sviluppo51. Le imprese del sud del mondo non sempre si distinguono per l’adozione di alti standard nelle condizioni di lavoro, nella responsabilità sociale e ambientale e, a differenza delle multinazionali occidentali (non certo senza macchia) non sono neppure soggette alla pressione dell’opinione pubblica nel paese d’origine.

90. L’importazione di merci a basso costo ha avuto effetti a volte drammatici sulle economie di alcuni paesi africani che non hanno retto la competizione dei prodotti cinesi. Tuttavia la Cina sta risalendo la catena del valore ed espandendo la produzione e l’esportazione di beni capitali, con un potenziale duplice effetto sull’economia dei paesi a medio e basso reddito: il primo è di abbassare i prezzi dei beni usati per la produzione, il secondo di aprire spazi per l’industria dei beni di consumo, anche in Africa. La domanda nei paesi in via di sviluppo, a differenza di quelli ricchi, è concentrata soprattutto su prodotti generici a basso costo. Per i paesi africani si tratta di un’occasione unica per entrare nella catena produttiva. Per rafforzare la capacità imprenditoriale e produttiva delle aziende africane, la cooperazione con la Cina e soprattutto con l’India nel campo della formazione e del trasferimento di competenze tecnologiche assume una grande importanza. L’India si è distinta per la capacità innovativa delle sue imprese, che hanno saputo dar vita a prodotti funzionali a costi contenuti52, una lezione che può diventare fondamentale per le imprese africane.

50. Fonte: OCSE, 2010. 51. Ad esempio i più grandi investitori nel settore delle telecomunicazioni in Africa provengono da paesi emergenti o in via di sviluppo.

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52. Il fenomeno è stato definito Frugal Innovation e va dall’invenzione della Tata Nano, ai farmaci generici, passando per sistemi di potabilizzazione dell’acqua e computer. Cr f The Economist.


CAPITOLO 4 - L’Africa e i rapporti con il Sud del mondo

91. Un altro settore a lungo negletto nelle relazioni tra le potenze economiche e l’Africa è quello agricolo. Il Brasile ha incentrato molto della sua avventura africana sulla cooperazione in questo settore. Forte di una storia di grande successo, il Brasile ha probabilmente valide lezioni per i partner africani, sia nella produzione di biomasse per carburanti verdi, sia nell’adozione di tecniche agricole più efficiente nella produzione alimentare. Anche le imprese indiane e cinesi hanno puntato molto sullo sviluppo del business agricolo. Animate dalle prospettive di un settore che diventerà strategico, perché sempre più aree nel mondo diventano inutilizzabili a causa del degrado (anche in Cina e India) e il mondo sta cambiando e aumentando i suoi consumi di cibo. Gli investimenti che possono migliorare l’agricoltura africana sono indispensabili, ma se assumono la formula dell’acquisizione di vasti terreni dove avviare la coltivazione di prodotti alimentare da riesportare nel paese d’origine, rischiano di creare controversia e dare vita a una nuova forma di dipendenza dell’Africa dal sapore antico.

92. Le alleanze politiche tra i paesi in via di sviluppo stanno plasmando un nuovo assetto delle relazioni internazionali, nel quale l’Africa può avere un ruolo sempre maggiore. Cina, India, Brasile hanno capito meglio di Unione Europea, Stati Uniti e G8 quanto gli africani aspirino a essere considerati per le loro potenzialità e non soltanto per i loro, pur enormi, problemi. E hanno deciso di capitalizzare queste aspirazioni nei vari consessi internazionali.

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CAPITOLO 5 Le relazioni fra l’Europa e l’Africa


INDICE 1. L’Europa ripensa la sua strategia per l’Africa

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1.1. I risultati del primo piano di azione

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1.2. Il Trust Fund per le infrastrutture: un modello innovativo

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1.3. Gli aiuti: considerazioni sull’efficacia

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2. Commercio, il difficile cammino delle partnership

2.1. L’Aid for Trade

3. L’azione dei principali Paesi europei in Africa

230 232 234

3.1. Germania

234

3.2. Francia

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3.3. Gran Bretagna

239

3.4. Spagna

241

3.5. Italia

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4. Le relazioni Stati Uniti-Africa: cenni

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5. Considerazioni di sintesi

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

1. L’Europa ripensa la sua strategia per l’Africa

1. L’Unione Europea (UE) è il maggior partner commerciale dell’Africa e il più grande donatore, ma il suo peso si sta riducendo a favore delle potenze emergenti, mentre permane la complessità di altri fattori chiave delle relazioni tra Europa e Africa, quali l’immigrazione e la sicurezza. Da qui la necessità di ripensare l’intero quadro dei rapporti con il continente africano.

2. Un primo passo è stato fatto nel 2005 dopo il summit G8 di Gleneagles1, con il varo della Strategia UE per l’Africa. Ma è stato con il vertice tra UE e paesi africani svoltosi a Lisbona l’8-9 dicembre 2007 che l’Europa ha voluto imprimere una svolta. In realtà si è trattato del secondo incontro UE-Africa, arrivato a 7 anni di distanza dal precedente2 e ha segnato un forte rilancio, almeno sulla carta, delle cooperazione e delle relazioni Fig. 1 Aiuti all’Africa dall’America e l’Europa 1960-2009, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti)

1. Al vertice G8 di Gleneagles i capi di stato si impegnarono ad aumentare gli aiuti all’Africa di 25 miliardi di Dollari all’anno in

più entro il 2010, raddoppiandoli rispetto al 2004. 2. Il primo si è svolto al Cairo il 3 e 4 aprile del 2000.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

tra i due continenti. I primi risultati di questa nuova partnership saranno discussi nel terzo summit in programma per il 29 e 30 novembre 2010 a Sirte in Libia.

3. L’architrave di questa nuova struttura è l’Africa-Eu Strategic Partnership3, ispirata ad alcuni principi che sanciscono: l’unità dell’Africa, l’interdipendenza tra Africa ed Europa, la responsabilità condivisa, il rispetto per i diritti umani, i principi democratici, lo stato di diritto e il diritto allo sviluppo. Gli obiettivi della nuova strategia si riassumono in quattro macroaree: - Pace e sicurezza. - Governance democratica e diritti umani. - Commercio e integrazione regionale. - Questioni chiave per lo sviluppo. Includono il rafforzamento dei legami istituzionali e la risposta a sfide comuni quali la pace e la sicurezza, le migrazioni, la tutela dell’ambiente; la promozione della governance democratica, delle libertà fondamentali, dello sviluppo sostenibile, del raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals, MDG); la promozione di un efficace multilateralismo e la riforma delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali.

4. L’accento sui diritti umani e governance sottolinea la differenza di approccio, rispetto alla Cina, che l’UE intende riaffermare nelle sue relazioni con l’Africa. Mentre le dichiarazioni sul multilateralismo e sull’importanza del rafforzamento di un dialogo tra continenti, che abbiano al centro UE e Unione Africana (UA) dimostrano l’intenzione dell’Europa di riconoscere l’accresciuta importanza politica dell’Africa.

5. La politica africana dell’Europa si concretizza nei Piani d’Azione. Il primo, valido per il triennio 2008-2010 è stato varato a Lisbona, il prossimo prenderà vita a Sirte. Nel Piano d’Azione sono previste otto aree di priorità: - Pace e sicurezza. - Democrazia e diritti umani. - Commercio, integrazione regionale e infrastrutture. - Obiettivi di sviluppo del Millennio. - Energia. - Cambiamento climatico. - Migrazione, mobilità e occupazione. - Scienza, società dell’informazione e spazio.

6. La Joint Africa-Eu Partnership è nata con l’intento di dare una maggiore coerenza e una migliore coordinazione alla strategia dell’UE verso l’Africa, tuttavia molti degli strumenti di cooperazione economica e politica precedenti continuano a sopravvivere, aprendo interrogativi sulla reale portata della “rivoluzione” annunciata a Lisbona. A questo si aggiunge il recente varo della diplomazia Europea con l’attribuzione di nuove competenze sulla politica

3. L’Africa-Eu Strategic Partnership segue la Eu Strategy for Africa elaborata nel 2005 proprio per dare maggior coerenza al

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quadro di aiuti Europei all’Africa e creare una cornice nel quale sviluppare le relazioni tra Europa e Africa nel lungo termine.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

estera dell’Unione all’Alto rappresentante per le relazioni esterne, il cui impatto sulla formulazione e la gestione delle politiche africane non è ancora chiaro.

7. I progetti legati alla Joint Africa-EU Partnership sono (o potrebbero essere) finanziati o attraverso una serie di strumenti per lo più preesistenti al summit di Lisbona e che spesso coprono anche altre aree geografiche e non soltanto l’Africa: - Il Fondo Europeo per lo Sviluppo (European Development Fund-EFD) che è il principale strumento per la cooperazione allo sviluppo dell’UE, che per il quinquennio 20082013 ha una dotazione di 22,7 miliardi di Euro4. - Il Trust Fund per le infrastrutture in Africa (ITF), un fondo che raccoglie contributi dalla Commissione Europea, dagli stati membri, dalla Banca Europea degli Investimenti e da altre istituzioni finanziarie per lo sviluppo che possono cofinanziare grandi progetti infrastrutturali - La Politica Europea di vicinato (European Neighbourhood Policy -ENB), concepita per sostenere l’avvicinamento agli standard Europei dei paesi vicini, ha un budget di 12 miliardi di Euro (per il periodo 2007-2013) attraverso il quale vengono finanziati anche progetti nei paesi del Mediterraneo. - Lo Strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo (Development Cooperation Instrument - DCI). Riguarda l’attuazione di programmi nell’ambito degli OSM1684764, dello sviluppo rurale, dell’assistenza post-crisi in 47 paesi in via di sviluppo di America Latina, Asia, area del Golfo e Africa Meridionale. Nonché le misure per ridurre l’impatto sui paesi produttori del mutato regime dello zucchero in Europa. Ha un bilancio di 16,9 miliardi di Euro (2007-2013). - Lo Strumento di stabilità (IFS). Ha due componenti: una di breve termine, che ha come obiettivo la risposta alle emergenze insorte in seguito a una catastrofe naturale o un conflitto; una di lungo termine che ha lo scopo di combattere contro la proliferazione delle armi di distruzione di massa e il terrorismo e migliorare la capacità di prevenzione dei conflitti. Ha un budget di 2,1 miliardi di Euro (2007-2013). - Lo Strumento Europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR). È pensato per accrescere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nelle regioni più a rischio, rafforzare il ruolo della società civile nella promozione delle riforme democratiche sostenere azioni in aree quali violenza sulle donne, tortura, pena di morte, bambini soldato. Per il periodo 2007-2013 ha un bilancio di 1 miliardo e 106 milioni di Euro5. - La Politica Estera di Sicurezza Comune (PESC), che attraverso la Politica di sicurezza e difesa comune sostiene missioni civili e militari che contribuiscono alla gestione delle crisi internazionali. Attualmente l’UE ha in corso 14 missioni tra le quali, 2 nella Repubblica Democratica del Congo, una in Guinea Bissau, una in Somalia, una al largo della coste somale contro la pirateria. Il budget riservato alla PESC nel 2010 è 282 milioni di Euro. - L’African Peace Facility costituita nel 2004 ha finora convogliato circa 740 milioni di Euro. Dal 2007, UE e Unione Africana hanno deciso di ampliare il raggio d’azione di questo strumento arrivando a comprendere: - Capacity buiding. Circa 100 milioni di Euro sono stati spesi per l’organizzazione dell’African Peace and Security Architecture (APSA) and Africa-EU dialogue;

4. Fonte: 10th EDF, European Commission.

5. Programmi di cooperazione esterna UE.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

- Peace Support Operations, come la missione dell’UA in Somalia (AMISOM) o nella Repubblica Centrafricana (MICOPAX) per le quali sono stati stanziati circa 600 milioni di Euro; - Early Response Mechanism (ERM) finanziato con 15 milioni di Euro, che ha lo scopo di dotare l’Unione Africana o le comunità regionali dei fondi per sostenere le prime fasi degli interventi di mediazione e pianificazione per le missioni di pace. - Le Banche per lo sviluppo, come la Banca Europea degli Investimenti che gestisce l’Investment Facility (IF), un fondo per sostenere gli investimenti privati nei paesi ACP, che ha finanziato progetti per 2,2 miliardi di Euro tra il 2003 e il 2008, e ha una dotazione di altri 1,5 miliardi di Euro per il periodo 2008-2013.

8. Oltre alla frammentazione delle fonti di finanziamento dei progetti che rientrano negli obietti della partnership tra Africa e UE, a destare altre perplessità è l’organizzazione geografica di molti dei programmi Europei e della stessa architettura commerciale. Nel classificare gli aiuti allo sviluppo e gli accordi di importazioni ed esportazioni a Bruxelles si ragiona ancora in termini di paesi Africa Caraibi Pacifico (ACP): un gruppo di 79 paesi composto dai 48 stati dell’Africa subsahariana; 16 caraibici e 15 nazioni del Pacifico. Tutti firmatari dell’accordo di Cotonou6, che prevede cooperazione allo sviluppo, economica e politica. Le relazioni con i paesi del Nord Africa vengono invece regolate dalla partnership tra Europa e Mediterraneo, Euromed. Una suddivisione che appare in contraddizione con l’importanza assegnata ai rapporti tra i due continenti nella Joint Africa-EU Partnership, nonché alla visione dell’Africa come un’entità unitaria e agli sforzi per avviare una collaborazione sempre più stretta con l’UA, visione per altro riaffermata nella seconda revisione dell’accordo di Cotonou conclusa a marzo 2010. Fig. 2 Totale investimenti diretti esteri in conto capitale in Africa 2003-2009, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati FDI intelligence)

6. Il gruppo dei paesi ACP nasce nel 1975, i rapporti tra l’Europa e questi stati viene regolato fino al 2000 dalle convenzioni di Lomé

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e successivamente dall’accordo di Cotonou della durata di vent’anni.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

1.1. I risultati del primo Piano d’Azione 9. In questi primi tre anni di applicazione della strategia comune è stato rafforzato il dialogo sulla sicurezza africana a livello continentale e regionale. L’UE ha stanziato 1 miliardo di Euro a sostegno dei progetti sulla pace e la sicurezza dell’Africa, tra cui l’Early warning system che facilita l’intervento preventivo in caso di situazioni a rischio; la definizione e l’implementazione di politiche di disarmo e anti terrorismo, l’addestramento e il supporto operativo all’Africa Standby Force, la forza continentale per gli interventi in aree di crisi.

10. Nel campo dei diritti umani e della democrazia, sono state avviate la Platform for dialogue con esperti di 30 capitali sui temi della governance e il Civil society Human Rights Dialogue. Il fondo per l’assistenza in campo elettorale dell’UA ha ricevuto dall’Europa un milione di Euro. Ma il capitolo più importante della cooperazione in questo settore è senza dubbio il contributo che l’UE dà all’African Peer Review Mechanism (APRM)7. L’Europa ha versato 2 milioni di Euro al Trust fund dell’UNDP che sostiene il segretariato dell’APRM, ma soprattutto concede finanziamenti attraverso la Governance Incentive Tranche, un fondo di 2,7 miliardi di Euro con il quale l’Europa premia i programmi dei paesi di Africa Caraibi e Pacifico che si impegnano sulla strade delle riforme. 11. L’UE ha finanziato con 1,5 miliardi di Euro i programmi di integrazione commerciale in quattro regioni africane: Africa Orientale e Meridionale (645 milioni); Africa Occidentale (598 milioni); Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (South African Development Community –SADC, 116 milioni) e Africa Centrale (165 milioni); e con 10 milioni di Euro, un vasto programma di armonizzazione delle misure sanitarie e fito sanitarie, di miglioramento dei controlli veterinari e legali sulla produzione del cibo (vedi anche 3.1).

12. I Millennium Development Goals (MDG) costituiscono un tassello importante della cooperazione Europea. Per quanto riguarda la sicurezza alimentare l’UE ha contribuito con interventi diretti stanziando 560 milioni di Euro attraverso la European Commission Food Facility e altri 200 milioni di Euro derivanti dal Fondo Europeo di Sviluppo di cui hanno beneficiato 30 paesi africani. Circa 80 milioni di Euro all’anno vengono invece spesi per programmi legati alla ricerca in campo agricolo e per il Comprehensive Africa Agricultural Development Program (CAADP), oltre che in progetti di gestione sostenibile della terra. L’UE ha conferito nel 2008 e nel 2009, 100 milioni di Euro al Fondo globale per combattere l’AIDS, la tubercolosi e la malaria (GFATM) dei quali il 60% vengono spesi in Africa. Altri fondi sono stati destinati alla ricerca sulle malattie dimenticate.

7. L’African Peer Review Mechanism è il primo sistema di autovalutazione su base volontaria che gli stati africani hanno messo a punto per misurare i progressi nel campo della governance in campo politico, economico, aziendale e nello sviluppo sociale ed

economico, secondo standard internazionali. È nato con la firma di un memorandum d’intesa al segretariato della New Partenrship for Africa’s Development (NEPAD) nel 2003, e ne fanno parte 29 paesi.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

L’impegno sull’istruzione è condotto attraverso i contributi che la Commissione Europea eroga all’iniziativa Education for All Fast Track Initiative (EFA-FTI) che nel triennio 2007-2009 ha superano i 32 milioni di Euro: 21 dei 30 paesi beneficiari dell’EFA-FTI sono africani.

13. Nel settore energetico l’Unione Europea contribuisce sia alla realizzazione di infrastrutture sia alla standardizzazione e integrazione dei mercati oltre che al varo di progetti specifici quali il Piano solare per il Mediterraneo.

14. Sul fronte del cambiamento climatico, al vertice di Copenhagen del dicembre 2009, l’UE si è impegnata a versare 2,4 miliardi di Euro all’anno dal 2010 al 2012 per permettere all’Africa di adattarsi agli effetti dell’innalzamento della temperatura e cominciare il suo percorso verso il taglio delle emissioni di gas serra. Mali, Mauritius, Mozambico, Ruanda, Senegal, Seychelles e Tanzania sono stati identificati come partner di una rafforzata cooperazione sotto l’egida della Global Climate Change Alliance (GCCA). Altri cinque paesi saranno selezionati nel 2010. Altri interventi sono previsti per la lotta alla desertificazione.

15. Riguardo a immigrazione, mobilità e occupazione, una delle iniziative chiave è stata la concezione e l’avvio dell’Istituto Africano per le rimesse (finanziato con 1,7 milioni di Euro) che avrà lo scopo di rendere più economico e sicuro il flusso di denaro tra gli immigrati africani in Europa e i loro paesi d’origine. Nell’anno accademico 2010/2011 è previsto l’avvio del Programma Nyerere per lo scambio di studenti universitari, finanziato con 30 milioni di Euro. Mentre entro la fine del 2010 dovrebbe diventare operativa una rete di osservatori sulla migrazione in tutto il continente.

16. Sotto il profilo scientifico l’UE contribuisce alla ricerca attraverso un programma quadro che dal 2007 ha erogato circa 65 milioni di Euro per 500 progetti.

17. Numerosi sono anche i progetti di cooperazione istituzionale con scambi di personale e seminari di formazione per rappresentanti della commissione dell’UA8.

1.2. Il Trust Fund per le infrastrutture: un modello innovativo 18. Una delle risorse economiche della strategia Europea in Africa è il Trust Fund per le infrastrutture (ITF), creato nel 2007 per sostenere finanziariamente l’omonima partnership nata tra UE e UA all’indomani del vertice di G8 di Gleneagles.

19. Il fondo è gestito dalla Banca Europea degli Investimenti (BEI) ed è un meccanismo che mette insieme stanziamenti dei donatori Europei, prestiti a lungo termine della BEI e di altre istituzioni finanziarie per lo sviluppo. Questo mix consente di generare un sostanzioso contributo di partenza permettendo ad altri finanziatori di prendere in considerazione un investimento che altrimenti sarebbe stato scartato perché troppo costoso, per limiti della

8. Fonte: Key deliverables of the Joint Africa-Eu Strategy.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

capacità di ottenere altri prestiti, ad esempio da parte dei paesi poveri altamente indebitati (HIPC), oppure perché il ritorno economico è troppo basso.

20. I progetti che vengono sovvenzionati devono essere “trasnazionali o nazionali, ma con un impatto regionale”. Riguardano trasporti, energia, gestione dell’acqua e telecomunicazioni. I finanziamenti possono prendere quattro forme: - sussidi agli interessi; - assistenza tecnica, che include il finanziamento del lavoro preparatorio per progetti candidati a ricevere fondi dall’ITF, come la valutazione d’impatto ambientale, la supervisione del progetto e la formazione e qualificazione del personale amministrativo e tecnico locale; - contribuzione diretta, per parti di progetto che hanno sostanziali e dimostrabili benefici sociali e ambientali o possano mitigare impatti sociali e ambientali negativi; - premi di assicurazione.

21. Dalla sua creazione il livello di impegno finanziario da parte degli aderenti al fondo è cresciuto da 87 milioni a 373 milioni di Euro alla fine del 2009, dei quali 165 milioni provengono dal Fondo Europeo per lo sviluppo e da stati membri (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna). Altri 200 milioni saranno resi disponibili attraverso fondi del sistema ACP. I progetti che hanno ricevuto un primo via libera o hanno già avuto la definitiva approvazione sono 21 per un totale di oltre 122 milioni Euro dai quali discenderanno investimenti complessivi pari a 1,4 miliardi di Euro. Fig. 3 Aree con progetti già approvati (Fonte: Standard Bank)

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

22. Tra i progetti accolti c’è la riabilitazione del corridoio di Beira9 in Mozambico, con la ristrutturazione del porto e della ferrovia Sena, l’impianto per la produzione di energia elettrica di Félou in Senegal che fornirà energia anche a Mali e Mauritania e un sistema di cablaggio sottomarino lungo le coste dell’Africa orientale che prevede la posa di 10.000 chilometri di fibre ottiche.10

1.3. Gli aiuti: considerazioni sull’efficacia 23. Come ha ricordato il presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso, l’UE è il più grande donatore al mondo, con un contributo pari al 55% del totale degli aiuti allo sviluppo.

24. Nel 2008 l’Europa ha versato una cifra di Official Development Assistance (ODA) pari a 50,1 miliardi di Euro11. Nel 2005 l’Europa ha deciso di fissare un nuovo obiettivo: raggiungere un livello di contribuzione pari allo 0,7% del Reddito Nazionale Lordo (RNL) nel 2015, con un traguardo intermedio pari allo 0,56% entro il 2010. Obiettivi riaffermati al summit G8 di Gleneagles. Ciascuno degli allora 15 paesi membri si è impegnato a destinare lo 0,51% entro il 2010. La metà dei nuovi fondi sono riservati all’Africa. Fig. 4 Gleneagles: promesse e stanziamenti, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati ONE)

25. Tra il 2004 e il 2009 gli aiuti Europei all’Africa sono aumentati del 37%, da 16 miliardi di Euro, a 22,5 miliardi di Euro12. Tra il 2008 e il 2009 l’incremento è stato del 4%. Se le stime d’incremento per l’anno in corso saranno confermate, 1,8 miliardi in più, alla fine del 2010

9. Il porto di Beira è di enorme importanza sia per l’interno del Mozambico ma ancor di più per il Malawi, lo Zambia e lo Zimbabwe che non hanno accesso al mare. Una ferrovia, una strada e un oleodotto collegano lo Zimbabwe con il porto di Beira attraverso il cosiddetto Corridoio di Beira.

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10. Fonte: EU-Africa Infrastructure Trust Fund Annual Report, 2009. 11. Si intende istituzioni europee più stati membri. 12. Rispettivamente 11,5 miliardi e 16,148 miliardi al netto della cancellazione del debito.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

l’UE avrà rispettato il 38% delle promesse finanziarie fatte a Gleneagles, e l’ammontare degli aiuti sarà pari allo 0,4% del RNL13.

26. La politica Europea degli aiuti è fortemente orientata ai principi dell’efficacia sanciti da una serie di accordi internazionali, in particolare la Dichiarazione di Parigi del 2005, il Consenso Europeo sullo sviluppo del 2006 e l’Agenda di Accra del 200814. Uno dei cambiamenti provocati dall’adesione a questi principi è stata la crescente quota di contributi destinata non più a specifici progetti, ma al sostegno generale dei bilanci dei paesi in via di sviluppo. Secondo questo approccio sono i paesi riceventi a fissare la propria strategia di riduzione della povertà e a condurla attraverso le casse dello Stato, dove confluiscono i fondi dei donatori. In questo modo si intende accrescere il coinvolgimento dei paesi in via di sviluppo e favorire una loro maggiore assunzione di responsabilità, ma anche ridurre costi e tempi di gestione degli aiuti, uno dei punti critici dei progetti di cooperazione.

27. Nel 2009 i fondi (EDF) Fondo Europeo di Sviluppo o European Development Fund destinati all’Africa hanno raggiunto 3,1 miliardi di Euro, gli esborsi sono stati 2,5 miliardi. Il 22% degli stanziamenti riguarda operazioni di sostegno del bilancio, il 19% i trasporti, il 14 % il governo e la società civile. Nel corso del 2009, inoltre la Commissione ha approvato nuovi programmi di sosteFig. 5 Ripartizione % stanziamenti 2009 (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati CIA) gno al bilancio per 26 paesi Sub-Sahariani del valore complessivo di 1,1 miliardi di Euro, corrispondenti al 37 % d e i f o n d i e r o g a t i annualmente at tr aver so l’EDF. Uno dei paesi dove l’Europa utilizza maggiormente lo strumento del sostengo al bilancio è lo Zambia, che grazie ai suoi risultati soddisfacenti nel percorso verso gli obiettivi del millennio, è stata sele-

13. Fonte: ONE, The Data Report, 2010. 14. La Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti ( Paris Declaration on Aid Effectiveness) è un accordo internazionale al quale hanno aderito ministri e responsabili di varie agenzie allo sviluppo impegnando i rispettivi e le organizzazioni ad accrescere gli sforzi per armonizzare, allineare e gestire gli aiuti puntando a risultati monitorabili in base a una serie di indicatori quali: ownership - i paesi in via di sviluppo fissano la loro strategia per la riduzione della povertà, il miglioramento delle istituzioni e la lotta alla corruzione; allineamento - i paesi donatori si adeguano a questi obiettivi e utilizzano mezzi locali; armonizzazione- i paesi donatori coordinano e semplificano le procedure e condividono le informazioni per evitare duplicazioni; risultati - i paesi in via di sviluppo e i donatori si focalizzano sui risultati e sulla loro misu-

razione; mutua responsabilità- donatori e partner sono entrambi responsabili per i risultati. Nel 2008 ad Accra è stata tracciata l’Accra Agenda for Action (AAA) che sulla base della dichiarazione di Parigi ha aggiunto ulteriori impegni: prevedibilità – i donatori forniranno ai paesi partner informazioni su 3-5 anni di aiuti pianificati; sistemi locali – per distribuire gli aiuti saranno utilizzati in prima istanza i sistemi del paese ricevente; carattere condizionale – per i modi e i tempi dell’esborso degli aiuti i donatori si conformeranno a condizioni basate sugli obiettivi di sviluppo di ogni singolo paese anziché a condizioni prescrittive; meno restrizioni– donatori si impegnano a rivedere le restrizioni che impediscono ai paesi in via di sviluppo di comprare beni e servizi di cui hanno bisogno ovunque da chiunque possano ottenere miglior qualità e minor prezzo.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

zionata nel 2008 come beneficiario di 225 milioni di Euro di contributo in sei anni attraverso il contratto Millennium Development Goal15 (si veda Capitolo 3).

28. Un altro meccanismo legato al sostegno dei bilanci è il Vulnerability-Flex (V-Flex), messo a punto dall’UE per permettere ai governi dei paesi in via di sviluppo di far fronte a situazioni di emergenza, come l’aumento del prezzo di cibo e carburante, senza dover distogliere fondi da altri obiettivi. Si tratta della concessione rapida di contributi nella forma di sostegno al bilancio o doni, che reintegrano le possibili perdite di bilancio dei paesi in via di sviluppo, dovuti alle crisi. In questo modo i governi dispongono di fondi “tampone” in più e non sono costretti a tagliare le spese in campo sociale. Il sistema varato alla fine del 2009 con una dotazione di 500 milioni di Euro ha già permesso alla Commissione Europea di assistere 11 paesi con 160 milioni di Euro. In seguito a colpi di stato, il pagamento di contributi V-Flex a Madagascar e Niger sono stati sospesi16.

29. L’Unione Europea garantisce 20 milioni di Euro per i programmi di sicurezza alimentare in Etiopia, assistendo oltre 8 milioni di persone in 286 aree colpite da siccità.

30. L’assistenza umanitaria dell’UE è gestita attraverso la direzione generale per gli aiuti umanitari (ECHO17) della Commissione, che interviene in situazioni di emergenza. Nel 2009 ECHO ha fornito assistenza alle vittime di calamità, sia naturali che provocate dall’uomo, in oltre 70 paesi. Gli aiuti hanno raggiunto circa 115 milioni di persone, per un valore complessivo di 930 milioni di Euro, il 53% dei quali è andato in Africa.

31. Ad aprile 2010 la Commissione Europea ha presentato un Piano d’azione in 12 punti per accelerare i progressi verso il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio (MDG) nel 2015. Il documento prevede di mettere a disposizione ulteriori aiuti da distribuire attraverso una pianificazione più efficace. In particolare: - agli stati membri sarà chiesto di mettere a punto piani d’azione annuali, organizzando ogni anno una valutazione paritetica; - membri UE e Commissione intensificheranno la collaborazione nei paesi in via di sviluppo; - si assicurerà la coerenza di tutte le politiche UE (in materia di commercio, finanza, cambiamenti climatici, sicurezza alimentare, migrazione, lotta alla povertà) con gli obiettivi di sviluppo; - si concentreranno aiuti mirati ai paesi nei quali i progressi verso gli MDG sono più lenti18.

15. Il contratto MDG è una nuova forma di sostegno di bilancio che prevede un termine più lungo, sei anni. Una contributo base pari al 70% della somma pattuita (che viene meno solo in caso di cessazione del’eleggibilità al finanziamento o altri elementi fondamentali della cooperazione) e il 30% variabile e legato ai risultati. 16. L’articolo 96 dell’Accordo di Cotonou prevede che in caso di violazione dei diritti umani, dei principi democratici e dello stato

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di diritto siano avviate consultazioni tra le parti, che se non conducono a nulla possono essere seguite da “misure appropriate”, in questo caso la sospensione dei finanziamenti. 17. European Commission, Humanitarian Aid & Civil Protection 18. Commissione Europea, “A twelfe point EU action plan in support of the Millennium Development Goals”, aprile 2010.


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32. L’UE ha monitorato nel corso di 43 missioni circa 408 progetti nel campo delle infrastrutture e servizi (210), infrastrutture economiche (35), settore produttivo (55) e commodity aid (32). Il 66% dei progetti analizzati hanno registrato una perfomance complessiva molto buona o buona, ma qualche problema è stato ancora registrato nella sostenibilità (dove solo il 59% ha avuto le valutazioni più alte); l’efficienza (56%) e l’efficacia (50%). Il settore più critico si è rivelato quello della produzione, con il 45% di progetti che hanno registrato risultati scadenti. La Commissione Europea ha anche riconosciuto che i possibili guadagni legati a una gestione più efficiente degli aiuti si attesterebbe tra i 3 e miliardi di Euro all’anno: obiettivo raggiungibile attraverso un miglior coordinamento tra istituzione UE e stati membri alle origini del processo di programmazione ed erogazione. Fig. 6 Suddivisione dei progetti (numero) monitorati dall’ Unione Europea per settore di riferimento (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Commissione Europea)

Fig. 7 Segnalazione degli ambiti di criticità nei progetti monitorati dall’Unione Europea (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Commissione Europea)

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2. Commercio, il difficile cammino delle partnership

33. L’UE è il principale partner commerciale dell’Africa, ma la superiorità rispetto agli altri partner è in declino. Se a metà degli anni ottanta il 55% dell’interscambio africano totale era con l’Europa, nel 2008 quella quota è scesa al 40%.

34. Nel 2009 il 4% delle importazioni europee provenivano da paesi africani, il 4,8% delle esportazioni dell’UE erano dirette all’Africa. Come nel caso delle economie emergenti, anche le esportazioni africane verso l’Europa sono caratterizzate da una prevalenza di materie prime: il 42% è costituito da idrocarburi e derivati, il 18,6% da cibo e bestiame. L’Africa, invece, importa per lo più macchinari e apparecchiature nel campo dei trasporti (43,2%) e prodotti finiti al (12,6%).

35. Per oltre 30 anni gli scambi commerciali tra l’Europa e i paesi ACP sono stati regolati sulla base delle convenzioni di Lomé che concedevano ai partner in via di sviluppo ampie esenzioni tariffarie per le loro esportazioni verso l’UE senza obbligo di reciprocità. Ma questo accesso preferenziale non è riuscito a rafforzare l’economia e rafforzare la crescita dei paesi ACP19. Quel regime è stato contestato dalla World Trade Organization (WTO) che ha comunque concesso una proroga fino al 2007. Fig. 8 Interscambi con l’Africa, Miliardi di Dollari (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Chatham House)

19. Fonte: Louis Michel, ex commissario Europeo per gli aiuti e lo sviluppo: Economic Parnership Agreements: drivers of development.

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36. L’accordo di Cotonou del 2000 ha stabilito le basi per un nuovo regime tariffario improntato alla reciprocità, implementabile attraverso gli Economic Partnership Agreement (EPA). Si tratta di accordi economici che vanno a sostituire il regime di preferenze tariffarie che l’UE aveva accordato ai paesi del gruppo ACP, i quali potevano imporre dazi sulle importazioni dall’Unione Europea, ma godevano di esenzioni per le loro esportazioni verso l’UE. Questo regime, che contravviene alle norme della WTO è stato in vigore fino al 2007. Da allora l’UE ha fatto partire le negoziazioni sugli EPA con sette regioni o raggruppamenti di stati: 5 in Africa e 2 nei Caraibi e Pacifico.

37. Gli EPA introducono sostanzialmente il concetto di reciprocità e quindi l’apertura dei mercati africani alle importazioni europee e viceversa. L’apertura immediata e completa dei mercati di beni, capitali e servizi, è avvenuta unilateralmente per l’UE dal primo gennaio 2008, mentre per i paesi in via di sviluppo è previsto un intervallo di 15 (e fino a 25) anni. Questi ultimi potranno continuare a escludere dalla liberalizzazione il 20% delle importazioni di prodotti “sensibili”. Gli EPA contemplano una serie di misure di assistenza ai paesi in via di sviluppo affinché possano avviare le necessarie riforme strutturali.

38. Negoziati sono in corso con tutte le organizzazioni africane: Southern African Development Community (SADC); Eastern and Southern Africa (ESA); East African Community (EAC), Economic Community of West African States (ECOWAS); Economic Community of Central African States (CEMAC).

39. La scelta di condurre trattative con blocchi regionali, sebbene la possibilità di accordi bilaterali tra EU e singoli stati non sia esclusa, è stata fatta negli intenti Europei per favorire l’integrazione dei mercati intra-africani. Tuttavia finora sono stati conclusi soltanto accordi ad interim e spesso tra singoli Stati e UE.

40. Tra i punti più critici che rallentano il varo degli accordi c’è proprio la poca coerenza tra gli obiettivi degli EPA e i processi di integrazione regionale in Africa. Molti dei raggruppamenti individuati come controparte non ricalcano esattamente gruppi esistenti e neppure i confini delle costituende unioni doganali. Inoltre all’interno di ogni gruppo vi sono ancora paesi che rientrano tra quelli meno sviluppati (Least Developed Countries LDC). Stati che possono continuare a godere di un regime di esenzione tariffaria accettato dalla WTO20, ma che sono anche i più esposti ai possibili danni di una completa liberalizzazione delle importazioni dall’Europa prevista dagli EPA. Per questo in un documento l’UA ha avanzato la richiesta di aprire non l’80% del commercio in 15 anni, bensì il 60-70% in più di 20 anni.

41. Un altro punto che divide Africa e Commissione Europea è la proposta Europea di includere la clausola di “Nazione più favorita” negli EPA. Adottando questa procedura i paesi contraenti si impegnano ad accordare ai prodotti provenienti da un paese estero condizioni doganali e daziarie non meno favorevoli di quelle già stabilite negli accordi commerciali con un paese terzo. Gli stati africani dovrebbero quindi

20. Si tratta del’accordo “Everything But Arms (EBA)” che consente l’accesso nell’UE senza dazi o quote d’importazione.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

estendere all’Europa qualsiasi trattamento più favorevole, decidessero di garantire ad altri partner. Un modo, secondo gli africani, per limitare le loro opportunità di firmare ambiziosi accordi commerciali con le economie emergenti, quali India e Cina.

42. I paesi africani vorrebbero anche un regime di salvaguardia per i prodotti agricoli, il settore che rischia di subire maggiormente la concorrenza Europea. E aspirano all’introduzione di impegni che vincolino legalmente l’UE a erogare più risorse per supportare l’implementazione degli EPA21.

43. Con il Sudafrica, l’Unione Europea ha siglato nel 2004 un accordo bilaterale il Trade, Development and Coooperation Agreement (TDCA) che copre le relazioni commerciali, la cooperazione economica e allo sviluppo oltre a numerosi altri campi dalla cultura al dialogo politico.

2.1. L’Aid for Trade 44. Il 15 ottobre del 2007 l’UE ha adottato la Aid for Trade Strategy, con lo scopo di aiutare i paesi in via di sviluppo, in particolare quelli meno sviluppati (LDC), a integrarsi meglio nei mercati mondiali. La nuova strategia è concentrata sul fornire ai partner il sostegno necessario affinché accrescano la loro capacità di operare in mercati aperti e trarne beneficio per rafforzare l’economia ridurre la povertà e favorire lo sviluppo.

45. Vi sono due tipologie di aiuti in questo campo: - la prima più strettamente legata al commercio, Trade Related Assistance (TRA), che prevede il sostegno nel campo della pianificazione e della regolamentazione e dello sviluppo commerciale, ad esempio attraverso analisi di mercato e promozione di investimenti e servizi; - la seconda contempla un più ampio concetto di Aid for trade e comprende il supporto nel campo delle infrastrutture e della capacità produttiva. Può includere costruzione di strade o linee telefoniche, realizzazione di porti o servizi doganali, contributi di bilancio per l’adozione di riforme, finanziamenti per aiutare fabbriche a raggiungere gli standard sanitari e di sicurezza internazionali.

46. L’UE si è impegnata ad aumentare di 2 milioni di Euro all’anno i fondi destinati all’Aid for Trade entro il 2010. Nel 2008 la contribuzione in questo settore ammontava a 10,4 miliardi di Euro, dei quali 3,2 miliardi stanziati dalla Commissione e 7,2 dagli stati membri. Per quanto riguarda la TRA, al 2008 l’Europa si era impegnata per 2,2 miliardi di Euro, dei quali 1 miliardo circa conferito dall’UE e 1,2 miliardi dai paesi membri22.

47. L’Africa è il maggior ricevente dei fondi Europei Aid for Trade: 2,7 miliardi di Euro nel 2007. Nel corso del decimo EDF (2008-2013) la Commissione Europea ha quasi raddoppiato

21. Melissa Julian, “EPA update Trade negotiations insights”, International Centre for Trade and Sustainable Development, luglio 2010.

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22. John Gallego, Chiara Tardivo, Delegazione UE all’Unione Africana: “EU Perspectives on Aid for Trade in Africa”, giugno 2010.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

l’impegno finanziario per l’integrazione regionale nei paesi ACP. Ha destinato 645 milioni di Euro per sostenere il cammino di integrazione dell’ Eastern and Southern Africa and Indian Ocean region, 116 milioni per lo sviluppo della SADC23.

48. Nel corso dei negoziati per la conclusione di un EPA con i paesi dell’Africa occidentale, è stato elaborato un programma di sviluppo, noto come PAPED (Accord de développement pour l’Accord de partenariat économique), cui hanno partecipato le commissioni di ECOWAS e Unione monetaria ed economica dell’Africa occidentale (UEMOA), governi e società civile.

49. Il PAPED è composto di 5 assi per i quali è necessario un intervento di sostegno nell’ambito dello sviluppo dell’EPA: - Diversificazione e incremento delle capacità produttive. - Sviluppo del commercio intra-regionale e facilitazione dell’accesso ai mercati internazionali. - Miglioramento e rafforzamento delle infrastrutture connesse al commercio. - Necessari aggiustamenti connessi con esigenze commerciali. - Sostegno all’implementazione, controllo e valutazione dell’EPA nell’Africa occidentale. Il costo stimato del PAPED nel periodo 2010-2014 è all’incirca di 9,5 miliardi di Euro. I contributi arriveranno oltre che dall’UE, da programmi bilaterali tra UE e stati membri, da agenzia dell’ONU, Banca Mondiale e Banca Africana per lo sviluppo. I fondi che l’Europa stima di poter mettere a disposizione ammontano a 6,5 miliardi di Euro24.

23. Fonte: Fact sheet Aid for Trade, 2009. 24. “ The Eu Commitment to Deliver Aid for Trade in West Africa

and Support the EPA Development Programme (PAPED)”, ECDPM Discussion Paper, 2010.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

3. L’azione dei principali Paesi europei in Africa

3.1. Germania 50. Per molto tempo la Germania non ha avuto in Africa il peso politico e culturale di Gran Bretagna, Francia e Italia. Partendo dal presupposto che il continente sta crescendo e cambiando, la Germania nel 2007 ha aperto una nuova è più dinamica fase nella sua politica africana, cui è seguito un aumento nel 2008 e nel 2009 dei fondi destinati al continente per 110 milioni di Euro.

51. La Germania nel 2008 era al quinto posto assoluto tra i donatori della Development Assistance Commitee (DAC) per l’Africa. Ha erogato 2,7 miliardi di Dollari, il 6% dei fondi DAC ricevuti dal continente. La parte più cospicua (37%) è andata alla cancellazione del debito, il 34,9% a progetti di natura sociale (educazione, salute, ecc.), mentre il 10% a progetti in campo economico, il 6% dei quali nel settore dell’energia, per i quali la Germania è uno dei maggiori contribuenti.

52. Nel 2008 la Germania ha deciso di rafforzare le relazioni culturali con il continente africano lanciando il programma “Aktion Afrika”, finanziato a partire dal 2008 con circa 40 milioni di Euro.

53. La Germania contribuisce sia attraverso aiuti bilaterali che multilaterali alla creazione dell’architettura di sicurezza africana: l’intento è dare vita all’Africa stand by force: un insieme di brigate miste composte da personale militare e civile in grado di operare in missioni di pace nel continente. La Germania sta addestrando le forze di polizia che faranno parte del contingente.

54. I fondi stanziati dal governo federale tedesco per progetti bilaterali di cooperazione allo sviluppo vengono impiegati per lo più dalla Deutsche Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit (GTZ), un’organizzazione statale che opera in 128 paesi, 41 dei quali in Africa subsahariana e impiega 14.685 persone25.

55. Nel 2009 il volume dei fondi gestiti dalla GTZ è aumentato del 18% a un livello record di circa 1,5 miliardi di Euro (nel 2008 erano 1.2 miliardi di Euro). L’80,5% di quella somma deriva da contratti con il ministero dello sviluppo (BMZ). Ma la partnership con il settore privato è in crescita.

25. Dato 2009, 1.700 persone in più rispetto al 2008.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

56. I progetti che la GTZ sta portando avanti in Africa sono su base nazionale e regionale, vanno dalla promozione della governance, al rafforzamento della pace e della sicurezza, dalla gestione dell’acqua a quella della terra, dalla riforma dei sistemi finanziari, al sostegno alla New Partnership for Africa Development (NEPAD)26.

57. La Germania nel 2008 ha esportato in Africa beni per un valore di 28,6 miliardi di Dollari incrementando di quasi il 20% questo valore rispetto il 2007. Il 23,4% delle esportazioni della Germania verso l’Africa sono automobili, il 18,3% macchinari, il 10,7% prodotti chimici e il 6,3% tecnologie per l’informazione (si veda figura sotto). Fig. 9 Suddivisione esportazioni Germania verso l’Africa, 2008 (Fonte: TEH- Ambrosetti su dati Standard Bank)

58. La Germania veste sempre di più un ruolo fondamentale nello scenario economico Africano. Il Sud Africa è il primo partner commerciale, da solo nel 2008 ha segnato il 37% delle esportazioni e il 22% delle importazioni del totale interscambio tra Germania e Africa.

59. Nel 2009 l’interscambio tra Germania e Africa è sceso per la prima volta in sei anni del 22% rispetto all’anno precedente, calo dovuto alla grande crisi che ha visto coinvolta l’intera economica mondiale.

60. Tra il 2000 e il 2008 gli IDE tedeschi in Africa27 sono aumentati del 38% attestandosi a 6,3 miliardi di Euro. Le aziende tedesche attive nel continente sono 686, con circa 164.000 occupati. La destinazione principale è il Sud Africa (con oltre 4 miliardi di Euro di investimenti) dove i principali gruppi automobilistici tedeschi hanno annunciato di voler investire tra 200 e 500 milioni di Euro. Mentre l’Africa del nord, da dove arriva la maggior parte del greggio africano importato in Germania, è la destinazione per le società operanti nel campo petrolifero.

26. Le NEPAD è un programma che nasce nel 2001 dalla fusione di precedenti iniziative di 5 capi di stato africani. Lo scopo è di sradicare la povertà, promuovere lo sviluppo sostenibile, inte-

grare l’economia africana in quella mondiale. Dal 2010 è diventata un’agenzia dell’Unione Africana. 27. Intero continente.

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

Fig. 10 Importazioni ed esportazioni Germania-Africa (Fonte TEH-Ambrosetti su dati Chatham House)

Esportazioni verso l’Africa (Milioni/$)

Germania

Importazioni dall’Africa (Milioni/$)

2006

2007

2008

2006

2007

2008

Totale

20.191

23.941

28.615

19.077

20.497

27.635

Africa escluso il Sud Africa

11.377

14.225

18.095

14.738

15.508

21.438

Africa Subsahariana

13.014

15.055

16.750

8.896

10.418

12.896

Africa Subsahariana escluso il Sud Africa

4.200

5.339

6.230

4.557

5.429

6.699

Sud Africa

8.814

9.716

10.520

4.339

4.989

6.197

61. Da quasi 100 anni è attiva Afrika Verein, l’associazione che offre informazioni e assistenza alle imprese tedesche intenzionate a investire nel continente28.

62. Il 2009 è stato un anno importante anche per gli investimenti sostenuto dal Deutsche Investitions-und Entwicklungsgesellschaft (DEG), l’istituto (membro del gruppo bancario pubblico KfW) che finanzia imprese private intenzionate a investire in paesi in via di sviluppo. Dei 90 progetti per un totale di oltre un miliardo di Euro, finanziati nel 2009, il 26% (266 milioni di Euro) erano in Africa.

3.2. Francia 63. La grande influenza culturale e le strette relazioni economiche tra Francia e Africa sono state le travi portanti di un rapporto non sempre facile tra l’ex potenza coloniale e il suo vecchio impero caratterizzato anche da scandali e casi giudiziari che hanno coinvolto uomini d’affari e politici francesi. In Francia oggi vivono 6 milioni di persone (francesi o immigrati) che sono di origini africane. In Africa la Francia mantiene ancora una presenza militare strutturata29.

64. La Francia è oggi il terzo partner commerciale del continente, il secondo esportatore (superata dalla Cina) e il quarto importatore (dietro USA, Cina e Italia). Tuttavia se negli anni Sessanta gli scambi con l’Africa assommavano al 40% del commercio estero francese, oggi quella percentuale è scesa intorno al 5%.

28. Dati Afrika Verein. 29. La Francia ha in Africa tre basi permanenti: in Senegal 1.200 uomini, in Gabon 820, a Gibuti 2.900, cui si aggiunge la presenza

236

in Ciad (1.000 uomini), l’operazione Licorne in Costa d’Avorio: 950 uomini, oltre a una partecipazione alle missioni dell’Onu nella repubblica Centrafricana.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

65. Nel 2008 in Africa sono stati esportati beni per un totale di 36,9 miliardi di Dollari, con un incremento rispetto all’anno precedente di quasi il 18%. Ma sono le importazioni a registrare l’incremento più alto tra il 2007 e il 2008, crescendo del 36%, per una valore totale nel 2008 pari a 38,4 miliardi di Dollari. Fig. 11 Importazioni ed esportazioni Francia-Africa (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Chatham House)

Esportazioni verso l’Africa (Milioni/$)

Francia

Importazioni dall’Africa (Milioni/$)

2006

2007

2008

2006

2007

2008

Totale

26.344

30.393

36.878

24.763

28. 198

38.354

Africa escluso il Sud Africa

24.204

28.177

34.482

23.767

26.957

36.945

Africa Subsahariana

11.341

13.184

15.278

9.195

11.443

15.640

Africa Subsahariana escluso il Sud Africa

9.237

10.968

12.882

8.199

10.202

14.231

Sud Africa

2.104

2.216

2.396

996

1.241

1.409

66. Nel 2009 in Africa è andato il 7% delle esportazioni francesi pari a 23,3 miliardi di Euro (in calo del 7,7% rispetto al 2008, ma in aumento del 27,2% in relazione al 2000). Dall’Africa arriva il 5,1% delle importazioni francesi, pari a 20 miliardi di Euro, (in calo del 26,9% sul 2008, ma in crescita del 46,3% in rapporto al 2000). La Francia ha dunque un saldo positivo nei confronti del continente africano di 3,3 miliardi dei quali 1,1 è con l’Africa subsahariana30.

67. L’erosione della predominanza francese e la contestuale avanzata cinese, è stata percepita con chiarezza al 25° vertice sulla “Françafrique”, la Francia-Africa tenutosi a Nizza il 31 maggio e il 1 giugno 2010, al quale per la prima volta, oltre a 51 rappresentanti di altrettanti africani e al presidente e ministri francesi hanno preso parte anche 80 imprese francesi e 130 africane. Il presidente francese in quell’occasione ha riconosciuto e sostenuto la necessità che l’Africa abbia un membro permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

68. Questo accento sulla dimensione economica delle relazioni franco-africane era stato sottolineato già nel 2008, quando in un discorso al parlamento sudafricano il presidente francese Nicolas Sarkozy aveva annunciato le tre nuove componenti dell’impegno francese verso il continente: la creazione di un fondo d’investimento di 250 milioni di Euro per acquisire partecipazioni ad altri fondi misti o tematici in modo da sviluppare le imprese

30. L’Expansion: “Le sommet France-Afrique sous le signe de business”, 1 giugno 2010 (Fonte: Ministero degli Esteri francese).

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

africane; la costituzione di un fondo di garanzia con dotazione di 250 milioni di Euro per facilitare l’accesso delle piccole e medie imprese africane al credito; il raddoppio dell’attività dell’Agenzia francese per lo sviluppo a favore del settore privato: 2 miliardi di Euro in 5 anni.

69. L’Agenzia francese per lo sviluppo (AFD) è l’istituzione che dal 1941 gestisce la cooperazione francese allo sviluppo. Gli aiuti bilaterali netti della Francia all’Africa erogati nel 2009 ammontano a 3 miliardi di Euro, circa il 60% dei fondi bilaterali complessivi. Di questi, 2,5 miliardi (il 50% dell’aiuto bilaterale) sono andati all’Africa subsahariana, i restanti 500 milioni dall’Africa del nord31. Il paese che ottiene più aiuti nel continente è il Camerun, secondo nella classifica dei primi dieci destinatari dei fondi francesi, nella quale sei sono africani32.

70. Il 35% dei fondi destinati all’Africa subsahariana sono nel settore delle infrastrutture e dello sviluppo urbano. Il 21,8% degli aiuti francesi sono destinati a progetti nel campo dei trasporti e delle telecomuFig. 12 Distribuzione dei fondi Francesi per l’Africa Subsahariana nicazioni, cifra paragona (Fonte: TEH- Ambrosetti su dati Standard Bank) b i l e ( 21, 3 %) a q u e l l a destinata all’istruzione33.

71. Impiega il 44% delle sue risorse in Africa anche P R O PA R C O   c h e è l a società di investimento e promozione della cooperazione economica creata nel 1977. La società finanziaria è in parte di proprietà dell’AFD e in parte in mano a privati del nord e del sud del mondo. La missione di PROPARCO è catalizzare gli investimenti privati nei paesi in via di sviluppo, per promuovere una crescita sostenibile e il raggiungimento degli MDG.

72. Nel 2009 PROPARCO ha gestito un bilancio di 1,9 miliardi di Euro, con un risultato netto di 23,6 milioni di Euro. Ha partecipazioni per 269,4 milioni di Euro e transazioni approvate per altri 111,4 milioni di Euro. Ha erogato prestiti per 1,4 miliardi di Euro e sottoscritto impegni per altri 947,5 milioni di Euro. In Africa la società ha 4 uffici regionali e attività per 920 milioni di Euro, che vanno dalle iniziative per abbattere i costi delle rimesse degli immigrati, al primo progetto privato per la produzione di energia geotermica, al sostegno dell’agribusiness.

73. All’ultimo summit Françafrique, la Francia ha anche annunciato la costituzione del Fondo per l’agricoltura africana, destinato a sostenere lo sviluppo di progetti agricoli e la distribuzione di derrate. Il fondo partirà con una dotazione di 120 milioni di Dollari, per arrivare a regime fino a 300 milioni di Dollari.

31. Fonte: Ministero degli Esteri francese. 32. Fonte: OCSE.

238

33. AFD 2008; OCSE, 2010.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

3.3. Gran Bretagna 74. Negli ultimi anni la politica africana della Gran Bretagna è stata caratterizzata da una grande attenzione ai problemi del continente e agli aiuti per favorirne lo sviluppo. Quella intrapresa dai governi laburisti è stata una sorta di “crociata morale sull’Africa”34. Lo testimoniano iniziative come la Commissione sull’Africa voluta dell’ex premier Tony Blair, la campagna Make Poverty History, gli impegni sottoscritti al summit G8 di Gleneagles nel 2005, durante la presidenza britannica. Questa posizione ha avuto come concreto riflesso un aumento considerevole degli aiuti che oggi raggiungono lo 0,43% del Reddito Nazionale Lordo (RNL) contro una media dei paesi DAC dello 0,3%. Gli ODA britannici verso l’Africa subsahariana al netto della cancellazione del debito sono cresciuti da 1,5 miliardi di Sterline del 2004, a 2,5 miliardi di Sterline del 200935.

75. La cooperazione allo sviluppo britannica è gestita per lo più dal Department for International Development (DFID), il cui impegno per l’Africa Sub Sahariana nel 2010/2011 dovrebbe raggiungere i 3,4 miliardi di Sterline quasi tre volte il livello del 2004/200536.

76. Nel 2008/09, gli aiuti bilaterali del DFID per l’Africa hanno superato la cifra di 1,5 miliardi di Sterline pari al 47% del budget riservato ai programmi bilaterali37.

77. L’Etiopia è il paese africano che tra il 2008 e il 2009 ha ricevuto più fondi bilaterali del DFID (166 milioni di Sterline), mentre il paese che ha ricevuto più fondi ODA inglesi è la Tanzania con 141 milioni di Sterline seguito dall’Etiopia con 140 milioni38.

78. ONE, l’organizzazione di lotta alla povertà estrema che controlla anche l’efficacia degli aiuti e il mantenimento degli impegni presi dal G8 sull’Africa, calcola che se nel 2010 la Gran Bretagna erogherà, come promesso, altri 1,2 miliardi di Sterline per l’Africa subsahariana arriverà un totale di flussi ODA per la regione di 3,8 miliardi di Sterline: in questo modo l’obiettivo di aumentare gli aiuti all’Africa sarà centrato al 93%.

79. Le priorità della Gran Bretagna sullo sviluppo internazionale sono contenute in un libro bianco presentato nel 2009 dal titolo Building our common future. Nel documento si sottolinea lo sforzo britannico nella lotta contro la povertà, il cambiamento climatico e in più in particolare l’impegno di riservare lo 0.7% del Reddito Nazionale Lordo agli aiuti entro il 2013, aumentando la trasparenza degli stessi. Tra le altre cose Londra intende focalizzare gli interventi sugli stati fragili, destinando loro almeno il 50% degli aiuti, di triplicare gli investimenti nella sicurezza e nella giustizia, di sostenere 8 milioni di scuole in Africa entro il 2010, di salvare 6 milioni di madri e neonati entro il 2015 attraverso progressi nella salute materno infantile.

34. Julia Gallagher, “ Britain’s idealisation of Africa: is ‘doing good’, good enough? ”, Centre for Development Policy and Research, SOAS, 2009. 35. Fonte: ONE, 2010.

36. Fonte: DFID, 2009. 37. Fonte: DFID, 2009. 38. DFID, 2009.

239


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

80. L’attuale governo ha deciso di avviare una profonda revisione del sistema di cooperazione sia bilaterale, sia multilaterale, prendendo in esame gli aiuti per circa 2,9 miliardi di Sterline erogati a 90 paesi e i 3 miliardi di Sterline che Londra versa alle casse delle istituzioni internazionali.

81. Il governo ha chiarito che intende tenere fede all’obbiettivo di destinare lo 0,7% del Reddito Nazionale Lordo agli aiuti entro il 2013, ma intende canalizzare meglio i soldi: ridistribuendoli su alcuni paesi prioritari e focalizzando gli interventi sulla riduzione della povertà, il miglioramento della salute materna, i diritti della donne alla pianificazione familiare e la protezione contro malattie mortali quali la malaria.

82. Per quanto riguarda le organizzazioni multilaterali la Gran Bretagna ha affermato l’intenzione di continuare a finanziare, anche con fondi aggiuntivi, quelle che si dimostreranno efficaci nell’azione contro la povertà e nella capacità di ottenere risultati concreti. Per le altre, la contribuzione potrebbe ridursi o anche bloccarsi del tutto.

83. Sarà anche istituito un Garante per la trasparenza degli aiuti che si accerterà che il DFID pubblichi tutte le informazioni relative alle modalità di impiego dei soldi pubblici destinati alla cooperazione39.

84. La Gran Bretagna è tra i primissimi donatori dell’Africa40, ma è il settimo partner commerciale del continente: soltanto il 3,8% del commercio estero africano avviene con il Regno Unito. Tuttavia il nuovo ministro per l’Africa, ha debuttato in luglio con la partecipazione al Fig. 13 Importazioni ed esportazioni Regno Unito-Africa (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Chatham House)

Esportazioni verso l’Africa (Milioni/$)

Regno Unito

Importazioni dall’Africa (Milioni/$)

2006

2007

2008

2006

2007

2008

Totale

11.337

12.830

15.609

18.068

18.868

21.054

Africa escluso il Sud Africa

7.392

8.538

10.889

10.755

10.312

11.746

Africa Subsahariana

8.800

9.789

11.609

12.961

13.717

15.070

Africa Subsahariana escluso il Sud Africa

4.855

5.497

6.889

5.648

5.161

5.762

Sud Africa

3.945

4.292

4.720

7.313

8.556

9.308

39. Fonte: DFID, giugno 2010. 40. Le ultime statistiche OCSE sui donatori DAC, collocano la

240

Gran Bretagna al terzo posto, considerando la media dei tre anni 2006-2008, ma nel 2008 la Germania ha donato di più.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

summit dell’UA a Kampala e una visita nella regione con un chiaro focus sull’economia e le opportunità di business.

85. La Gran Bretagna ha incrementato l’interscambio con l’Africa del 16% tra il 2007 e il 2008 arrivando a scambiare circa 36,6 miliardi di Dollari. Il 38% degli interscambi sono stati con il Sud Africa, da cui la Gran Bretagna importa per valore pari a 9,3 miliardi di Dollari ed esporta 4,7 miliardi di Dollari (si veda figura 13).

3.4. Spagna 86. Il profilo delle relazioni tra Spagna e Africa è cresciuto notevolmente nell’ultimo decennio. Lo dimostra soprattutto l’incremento nei fondi ODA destinati all’Africa subsahariana: nel 2004 erano 492 milioni di Euro, nel 2008 hanno superato il miliardo di Euro41. La Spagna è anche il sesto partner commerciale africano (davanti alla Gran Bretagna). Nel 2009 le esportazioni spagnole verso l’Africa sono state pari a 9,3 miliardi di Euro (5,9% del totale), le importazioni dall’Africa hanno raggiunto i 16,7 miliardi (8% del totale)42. I destinatari principali delle esportazioni spagnole sono Sud Africa, Nigeria e Angola, paese con il quale nel 2009 l’interscambio ha raggiunto i 936 milioni di Euro43.

87. Lo strumento attraverso il quale la Spagna elabora la sua politica verso il continente è il Piano Africa, che fissa obiettivi e priorità d’intervento. Il primo ha coperto il periodo 20062008, il secondo riguarda il quadriennio 2009-2012. Nasce dalla necessità di un approccio regionale e più coordinato all’Africa. È strutturato in sei principi operativi: - sostenere e consolidare democrazia; - pace e sicurezza; - combattere la povertà; - promuovere le relazioni commerciali e gli investimenti, tra Spagna e Africa e lo sviluppo economico africano; - rafforzare la partnership sulle migrazioni; - rafforzare le relazioni afro-spagnole, multilaterali e attraverso l’UE, consolidare il profilo politico e istituzionale della Spagna in Africa attraverso Casa Africa44 e altre forme di diplomazia.

88. La Spagna, recita il piano, intende dare vita a un nuovo significato di vicinanza con l’Africa.

89. In linea con le scelte europee la Spagna intende puntare sulla cooperazione con l’Unione Africana e le comunità regionali con una speciale attenzione all’ECOWAS. I singoli paesi

41. Fonte: Plan Africa, 2009-2012. 42. Fonte: Bollettino commercio estero, Ministero dell’Industria, Turismo e Commercio. 43. Fonte: Plan Africa, agenzie. 44. Fonte: Casa Africa è un’istituzione pubblica inaugurata nel

2007 che ha sede alle Canarie. È una sorta di terminale diplomatico nato con lo scopo di promuovere attraverso ricerche e studi la conoscenza del continente africano, creare reti di esperti, rafforzare le relazioni tra Africa e Spagna in vari campi, culturale, accademico, economico.

241


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

destinatari degli aiuti spagnoli vengono individuati sulla base: della lunga e speciale relazione con la Spagna; dello status di naturali vicini; del livello di impegno per i MDG; della capacità di porsi come forze trainanti dell’integrazione regionale; della necessità di monitorare specifiche situazioni di conflitto e instabilità45.

90. Una parte importante degli sforzi spagnoli è diretta a regolare i flussi migratori e combattere l’immigrazione illegale. Madrid ha firmato accordi quadro sull’immigrazione con Capo Verde, Gambia, Guinea Conakry, Mali e Niger, oltre a un Memorandum con il Senegal e un accordo sulla regolazione dei flussi con la Mauritania. Ha avviato progetti per la costituzione di 12 scuole professionali in Africa e ha costituito un fondo congiunto Spagna-Ecowas per la migrazione e lo sviluppo. In collaborazione con la Banca Africana per lo sviluppo e la cooperazione danese la Spagna ha anche finanziato il Fondo africano di garanzia (che ha un capitale di circa 500 milioni di Dollari su un periodo di 5 anni) per accrescere l’accesso al credito delle piccole e medie imprese del continente.

3.5. Italia 91. Negli ultimi due anni l’Italia ha avviato alcune iniziative che intendono rivitalizzare le relazioni con l’Africa caratterizzate, nel passato, dall’approccio prevalentemente umanitario, ma soprattutto da uno scarso coordinamento tra le azioni e dalla mancanza di obiettivi precisi.

92. L’Italia è il terzo partner commerciale del continente. Nel 2009 le esportazioni sono state superiori ai 16 miliardi, le importazioni 24,4 miliardi (in calo rispetto al 2008). I primi tre mesi del 2010 hanno segnato un rialzo sia delle esportazioni che delle importazioni, rispetto allo stesso periodo del 2009: le esportazioni hanno toccato quota 3,9 miliardi di Euro (+2,5%) e le importazioni hanno superato i 7,4 miliardi di Euro (+6%). L’interscambio è fortemente sbilanciato a favore del Nord Africa (vedi figura 14) a causa delle importazioni di petrolio e gas naturale e per questo motivo la Libia è il più importante partner commerciale46, seguita dall’Algeria. A sud del Sahara il principale partner è il Sud Africa, ma altri paesi stanno crescendo, come il Camerun che nei primi quattro mesi del 2010 ha fatto registrare un balzo del 34% nell’interscambio con l’Italia47.

93. Nel 2009 il Ministero per lo Sviluppo Economico ha lanciato il primo Piano Africa, inteso a rilanciare le attività economiche nell’area subsahariana. La considerazione di partenza è che “la presenza in Africa dei ‘finanziatori emergenti’ e di altri Paesi occidentali costituisce una sfida con cui l’Italia deve confrontarsi se non vuole perdere l’opportunità di una graduale e diversificata penetrazione delle proprie imprese nel mercato africano in comparti di importanza strategica per lo sviluppo del continente nonché di proficuo ritorno per l’impren-

45. In Africa occidentale oltre alla Mauritania, i paesi ECOWAS in particolare Senegal, Mali, Gambia, Costa d’Avorio, Niger, Nigeria, Guinea Bissau, Guinea, Ghana and Capo Verde. Nel Corno i paesi dell’Intergovernmental Authority on Development (IGAD), in particolare Etiopia, Kenya e Sudan, in Africa Centrale i paesi della Communauté économique des États de l ’Afrique centrale (CEEAC), in particola Guinea Equatoriale, Camerun, Gabon and

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Sao Tome and Principe, in Africa del Sud paesi SADC countries, in particolare Sud africa, Namibia, Mozambico, Angola, Zimbabwe, Tanzania e Repubblica Democratica del Congo. 46. Dalla Libia proviene quasi il 50% delle importazioni italiane dall’Africa. 47. Dati ICE; Il vice ministro Urso ha guidato una missione commerciale con 50 aziende in Camerun a luglio 2010.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

Fig. 14 Importazioni ed esportazioni Italia-Africa (Fonte: TEH-Ambrosetti su dati Chatham House)

Esportazioni verso l’Africa (Milioni/$)

Italia

Importazioni dall’Africa (Milioni/$)

2006

2007

2008

2006

2007

2008

Totale

15.872

20.046

26.445

39.399

43.350

56.471

Africa escluso il Sud Africa

13.875

17.929

24.325

36.512

39.609

52.569

Africa Subsahariana

5.511

6.352

7.019

7.414

9.067

10.494

Africa Subsahariana escluso il Sud Africa

3.514

4.235

4.899

4.527

5.326

6.592

Sud Africa

1.997

2.117

2.120

2.887

3.741

3.902

ditoria italiana”. Nel piano si fa riferimento alla ricca dotazione di materie prime del continente, ma anche al dinamismo economico dei paesi africani. Il piano auspica una ricognizione delle iniziative italiane esistenti anche nel campo della cooperazione, per fissare meglio gli obiettivi di lungo periodo e creare partnership specifiche tra paesi africani e regioni italiane in grado di garantire una continuità d’azione anche nel medio lungo periodo e soprattutto di dar vita ad “avamposti per le opportunità di business”.

94. Per finanziare l’avvio del piano il Ministero per lo Sviluppo Economico ha previsto di stanziare, insieme all’ICE, circa 3,5 milioni di Euro, la Società Italiana per le Imprese all’Estero (SIMEST) ha deciso di mettere a disposizione 90 milioni di Euro per il sostegno a progetti di investimento nell’area subsahariana, e il Gruppo SACE, 720 milioni di Euro per la copertura assicurativa di esportazioni e investimenti nell’area. Fig. 15 Numero imprese italiane presenti nei Paesi Sub-Sahariani, 2008 (Fonte: Elaborazione TEH-Ambrosetti su dati CIA)

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CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

95. Nel luglio 2010, al secondo Forum “Italy & Africa Partners in Business”, organizzato dal ministero dello Sviluppo Economico e SIMEST il vice ministro Urso ha ribadito che l’obiettivo è “raddoppiare in tre anni il valore delle esportazioni e degli investimenti in Africa subsahariana, arrivando rispettivamente a 9 miliardi di Euro e 150 milioni di Euro”. Al forum hanno preso parte 500 aziende italiane e 19 ministri africani.

96. La presenza italiana in Africa subsahariana è tuttavia ancora piuttosto esigua: gli investimenti diretti italiani sono appena lo 0,2% del totale, le aziende italiane 250 (di cui 101 in Sud Africa), con 22.000 addetti e un fatturato di 5,4 miliardi di Euro48.

97. Anche nel campo della cooperazione allo sviluppo è stato varato per la prima volta un documento che traccia le linee guida per il triennio 2009-2011. Tenuto conto dell’impegno italiano nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, vengono individuati i settori prioritari per l’intervento bilaterale: agricoltura e sicurezza alimentare; ambiente, territorio e gestione delle risorse naturali, con particolare riferimento all’acqua; salute; istruzione; governance e società civile anche relativamente al sostegno all’e-government e alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) come strumento di lotta alla povertà, sostegno alle micro, piccole e medie imprese. L’Italia continuerà inoltre a operare per l’empowerment femminile, il sostegno ai gruppi vulnerabili (bambini e disabili), la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. L’impegno assunto in quel documento era destinare il 50% dei fondi disponibili sul canale bilaterale all’Africa subsahariana in ciascuno degli anni tra il 2009 e il 2011.

98. Le linee guida fissano un elenco di 11 paesi prioritari sui quali concentrare le risorse49. 99. Nel 2008 la cooperazione italiana ha erogato 115 milioni di Euro a dono ripartiti su 34 paesi beneficiari e 34,7 milioni di Euro a credito all’Etiopia, che è stato il maggior beneficiario degli aiuti italiani con 43,2 milioni di Euro in totale (dei quali 8,4 a dono). Il Mozambico è il primo per aiuti a dono (20,2 milioni di Euro), seguito dal Sudan (20 milioni di Euro) e la Somalia con 16 milioni di Euro.

100. Il 47% degli aiuti a dono, 41 milioni di Euro, sono stati erogati attraverso le ONG che costituiscono una parte importante di quel “sistema Italia” della cooperazione allo sviluppo di cui fanno parte anche gli enti locali.

101. Sul tema degli aiuti la nota dolente è il ritardo accumulato dall’Italia nel mantenimento delle promesse formulate a Gleneagles nel 2005. L’ultimo rapporto ONE traccia un quadro piuttosto impietoso. Tra il 2004 e il 2009 l’Italia ha tagliato 169 milioni di Euro di aiuti ODA all’Africa subsahariana e si è allontanata dall’obiettivo previsto per il 2010 (3,8 miliardi di Euro). Nel 2009 la percentuale ODA su RNL era 0,15%, lontanissimo dallo 0,51% da raggiungere entro il 2010 che l’UE si è data come target minimo per ognuno dei suoi membri.

48. Fonte: SIMEST. 49. Niger, Senegal, Burkina Faso, Ghana, Sierra Leone, Guinea

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Bissau, Sudan, Kenya, Etiopia, Somalia, Mozambico. Le iniziative avviate in altri paesi saranno completate.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

102. Per migliorare la gestione e la trasparenza degli aiuti, nel 2009 il ministero degli Affari Esteri ha formulato un Piano nazionale per l’efficacia degli aiuti e ha costituito un gruppo di esperti che lavorano su 12 gruppi tematici.

103. Nel luglio 2010 il Ministerro dello Sviluppo Economico per facilitare la crescita del continente africano a promosso due strumenti, il countertrade e microcredito. Il ricorso al meccanismo del countertrade (Ct) per attivare flussi di investimento è spesso l’unica formula possibile per sviluppare rapporti con i Paesi fortemente indebitati e impossibilitati a sostenere ulteriori indebitamenti internazionali o ad ottenere finanziamenti internazionali.

104. L’utilizzo del microcredito deriva dalla dimostrazione che hanno dato diverse teorie economiche che hanno mostrato come lo sviluppo reale e sostenibile è quello che ha le origini nello sviluppare il capitale umano, ossia delle capacità individuali delle persone di sfruttare le risorse presenti in natura tramite il loro ingegno e investire sulle agevolazioni per la fruizione dei diritti fondamentali tra cui quello all’alimentazione, alla salute e all’educazione.

105. Il sistema di erogazione microcreditizia prevede la costituzione, su base volontaria, di piccoli e omogenei gruppi in cui i beneficiari sono legati gli uni agli altri ai fine dell’ottenimento del prestito. La chiave di volta su cui si regge l’intero assetto microcreditizio è l’assistenza costante da parte dell’ente erogatore che svolge un vero e proprio ruolo di supporto nell’utilizzo del credito.

245


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

4. Le relazioni Stati Uniti-Africa: cenni

106. L’elezione del primo presidente afro americano nella storia degli Stati Uniti, ha acceso le speranze dell’Africa sull’avvio di una nuova stagione nei rapporti con Washington. Storicamente il continente africano non è mai stato in cima alle priorità strategiche degli USA, che tuttavia rimangono il primo partner commerciale dell’Africa.

107. L’impegno umanitario è sempre stato l’approccio principale degli Stati Uniti all’Africa, anche se alcuni avvenimenti dell’ultimo decennio hanno fatto emergere altre priorità e contribuito a cambiare in parte la percezione del continente già durante la presidenza Bush.

108. L’Africa è diventata più importante per la sicurezza energetica degli USA che oggi importano dal continente il 22% del loro petrolio dall’Africa (il 15% dall’Africa subsahariana) contro il 17% dal Medio Oriente.

109. La presenza di gruppi islamici radicali in molte aree dell’Africa, ha accresciuto il timore che la minaccia terrorista si espanda e questa è una delle considerazioni alla base della creazione di Africom, il comando regionale per l’Africa, una delle principali innovazioni, per quanto discussa, dell’era Bush.

110. L’amministrazione Obama ha deciso di improntare la sua politica su 5 punti chiave: - rafforzare i governi e la democrazia africana; - sostenere i progressi economici; - accrescere la prevenzione delle malattie e l’accesso alle cure; - operare con africani e comunità internazionale per prevenire e risolvere conflitti; - cooperare con gli africani per affrontare le sfide transnazionali quali il cambiamento climatico, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali, il traffico di esseri umani, e di droga.

111. Nel 2009 gli Stati Uniti si sono confermati il singolo paese che ha donato di più al mondo50 con 28,7 miliardi di Dollari di aiuti, il 5,4% in più rispetto al 2008. La quota destinata all’Africa subsahariana è stata di 7,5 miliardi di Dollari, con un incremento del 10,5% rispetto al 2008. Anche la quota riservata ai paesi Least Developed Countries (LDC) è cresciuta del 13,6% superando gli 8 miliardi di Dollari51. Il governo USA assiste 47 paesi nell’Africa subsahariana attraverso 23 missioni dell’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID). I programmi di aiuto degli Stati Uniti sono centrati soprattutto sul rafforzamento della governance dei paesi riceventi, molte sono le condizioni legate al raggiungimento di determinati standard nella gestione dello stato e del denaro pubblico. Regole che in certi casi si sono rivelate eccessivamente rigide rallentando il conseguimento dei risultati.

50. Come singolo paese, l’Europa intesa come UE e paesi membri rimane in assoluto il primo donatore.

246

51. Fonte: OCSE, 2010.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

112. Barack Obama ha lasciato intendere fin dalla sua rielezione di voler procedere a una razionalizzazione del sistema degli aiuti troppo “frammentato in differenti agenzie e teorie”52. E soprattutto di voler ridare slancio all’azione del Dipartimento di Stato che durante l’era Bush aveva perso centralità nella politica africana “governata” sempre di più dal Dipartimento della Difesa che si era assunto crescenti compiti civili nell’ambito dei progetti di cooperazione e addestramento militare. Un primo passo in questa direzione è stato dare vita nel 2009 alla Global Health Initiave (GHI) un progetto ambizioso che nasce dall’intento di coordinare gli sforzi sulla lotta alla diffusione dell’HIV, della malaria, della tubercolosi e delle malattie tropicali dimenticate, sul miglioramento della salute dei bambini, l’alimentazione e la pianificazione familiare. La GHI si fonda su alcuni precedenti programmi di successo (anche se in parte contestati) come il Piano presidenziale d’emergenza sull’AIDS (PEPFAR) e l’iniziativa presidenziale sulla malaria (PMI) e avrà una dotazione di 63 miliardi di Dollari in sei anni.

113. Continua il sostegno alla Millennium Challenge Corporation che concede aiuti ai paesi in via di sviluppo che rispondano a determinati criteri di eleggibilità che vanno dall’impegno contro la corruzione, al rispetto per le libertà civili, dalla partecipazione democratica, alle politiche fiscali. Per il 2011 Obama ha chiesto al congresso fondi per 1,28 miliardi di Dollari53.

114. Al G8 dell’Aquila nel 2009 il presidente USA aveva annunciato di voler stanziare almeno 3,5 miliardi di Dollari in tre anni (parte di un impegno collettivo del G8 di 18,5 miliardi) per lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentare. È nata così Feed the Future (FTF) un’iniziativa che punta a combattere fame e malnutrizione sostenendo l’adozione dei piani per la sicurezza alimentare da parte dei vari paesi a rischio e promuovendo investimenti strategici e sostenibili nell’agricoltura.

115. Tra il 2005 e 2008 l’interscambio tra Usa e Africa è cresciuto di quasi il 42%, ma la quota USA nel commercio estero africano oscilla da 30 anni sempre tra il 10 e il 15%. Segno che l’espansione dell’economia africana non si è tradotta in un automatico aumento del peso degli Stati Uniti, che scontano l’avanzata dei paesi emergenti. Nel 2009, la crisi economica ha provocato un crollo delle importazioni americane dall’Africa del 45,5%, dovuto soprattutto a un calo degli acquisti di greggio, che costituisce il 95,8 % delle importazioni e una caduta delle esportazioni del 18,1%54. I primi 5 paesi destinatari delle esportazioni USA sono Sud Africa, Nigeria, Angola, Benin e Ghana. I principali paesi dai quali gli Stati Uniti hanno importato sono Nigeria, Angola, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Ciad e Gabon, tutti produttori di petrolio.

116. Le aziende americane sono state piuttosto restie ad avventurarsi su nuovi mercati in Africa e negli ultimi dieci anni gli investimenti al di fuori del settore energetico si sono rivelati piuttosto statici. L’Africa sub-sahariana conta circa l’1% nel totale degli IDE ame-

52. Alex Vines, Tom Cargill “Sub-Saharan Africa: Providing Strategic Vision of Fire Fighting?”, in America and a Changed World: A question of Leadership, Chatham House, 2010. 53. In passato la MCC ha avuto più volte problemi a ricevere

sostegno dal Congresso, a causa soprattutto di poca chiarezza negli obiettivi dell’agenzia e di lungaggini nell’assegnazione dei fondi ai paesi idonei. 54. Dati US Department of Commerce.

247


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

ricani, sebbene vi sia stato un incremento del 5% tra il 2006 e il 2007, a 13,3 miliardi. E di ben il 20% tra il 2008 e il 200955.

117. Uno degli strumenti che gli Stati Uniti hanno adottato per promuovere il commercio e contestualmente lo sviluppo africano è l’African Growth and Opportunity Act (AGOA). Adottato durante la presidenza Clinton nel 2000 è un programma che consente l’importazione senza dazi negli USA di circa 6000 prodotti africani provenienti da 38 paesi che rispondono a una serie di requisiti56. L’interscambio con i paesi AGOA nel 2008 ha raggiunto 104,5 miliardi di Dollari nel 2008, con un incremento del 28% rispetto all’anno precedente. Il bilancio di questi primi 10 anni del programma è misto, ci sono storie di successo, come la crescita delle esportazioni di abbigliamento e prodotti tessili in particolare da Lesotho e Kenya, passato da 350 milioni di Dollari pre-AGOA a 1,3 miliardi, i fiori recisi di Kenya (da 700 mila Dollari a 1,7 milioni di Dollari), o il caffè e il tè della Tanzania (da 2,5 milioni di Dollari a 16 milioni)57. Ma non mancano le critiche soprattutto legate al fatto che la maggior parte delle importazioni da paesi AGOA riguardano petrolio, gas e prodotti correlati.

118. Vi sono proposte per rendere il programma permanente58, ampliare la fascia di prodotti che hanno accesso ai benefici tariffari, ma anche investire di più nella formazione e nel sostegno alle aziende africane59.

119. Oltre all’AGOA, gli Stati Uniti hanno anche lanciato nel 2006 l’African Global Competitiveness Initiative (AGCI) con l’obiettivo di promuovere la competitività delle aziende africane nelle esportazioni, attraverso formazione, maggior accesso al credito, miglioramento dei regolamenti. È finanziata con 200 milioni di Dollari in 5 anni. Attraverso quattro hub regionali in Ghana, Senegal, Kenya e Botswana gestiti dalle missioni USAID, vengono fornite informazioni e assistenza tecnica.

55. Fonte: VINES, CARGHILL, e U.S. Bureau of Economic Analysis, 2010. 56. Tra questi il rispetto dello stato di diritto, dei diritti umani e dei lavoratori, la tutela della proprietà intellettuale, l’impegno a costruire un’economia orientata al mercato, ed eliminare le barriere agli investimenti USA. I paesi che non rispettano uno o più criteri possono essere sospesi dall’AGOA, è successo nel 2009

248

con il Niger, il Madagascar e la Guinea in seguito a colpi di Stato. Sono possibili anche le reintegrazioni, come la Mauritania. 57. http://www.america.gov/st/africa-english/2010/June/201006 18095108SztiwomoD4.854983e-02.html. 58. Fonte: AGOA scade nel 2015. 59. The Withaker Group, “AGOA’s architect unveil New Economic Policy for Obama Administration” 2010.


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

5. Considerazioni di sintesi

120. La presenza sempre più incalzante di nuovi attori sul palcoscenico africano ha spinto l’Europa a ripensare i suoi rapporti con il continente. Al summit di Lisbona del 2007 si è celebrato l’avvio della nuova Africa-Eu strategic partnership, all’insegna di uno sforzo più corale e coerente da parte dell’Unione Europea e di una maggiore corresponsabilità nelle scelte. A novembre 2010 in Libia ci sarà un altro vertice tra i due continenti e sarà l’occasione per trarre i primi bilanci.

121. La strategia contiene elementi di novità, come l’accento sul multilateralismo, il rafforzamento delle relazioni tra UE e Unione Africana, il sostegno all’integrazione regionale nel continente, la necessità di inquadrare i rapporti tra Europa e Unione Africana in una cornice di lungo termine. Tuttavia l’impatto di questi cambiamenti si stempera a causa della persistenza degli schemi già consolidati nel funzionamento della macchina Europea: molti dei programmi di cooperazione allo sviluppo e le strategie commerciali classificano l’Africa sub sahariana nei paesi ACP, e includono il Nord Africa nella regione mediterranea, rinnegando nei fatti l’unicità del continente africano che è il fulcro della strategia di Lisbona.

122. Dal punto di vista commerciale, l’Europa punta molto sugli EPA, gli accordi di liberalizzazione reciproca dei mercati che devono sostituire i regimi tariffari agevolati come imposto dalla WTO. Li considera un’occasione per fare del commercio un volano per l’economia africana, obiettivo che le protezioni offerte dalle convenzioni di Lomé non hanno centrato. Ed è pronta ad accompagnare il percorso verso la firma degli EPA con pacchetti di aiuti aid for trade. Il percorso si sta rivelando piuttosto accidentato, ma soprattutto mette in luce ancora una volta la difficoltà di pensare all’Africa come a una realtà unitaria non solo su scala continentale, ma anche regionale. Vista la lunghezza dei negoziati per arrivare alla sigla degli accordi regionali, l’UE ha scelto di firmare molti accordi a interim con singoli stati, rischiando di incrinare le architetture commerciali intra africane che la stessa Europa ha contribuito a costruire.

123. L’Europa rimane un donatore fondamentale per l’Africa e nonostante non sia ancora in linea con gli obiettivi che s’è data nel consenso europeo per lo sviluppo e a Gleneagles, gli sforzi per rendere anche più efficaci e trasparenti gli aiuti sono fondamentali per permettere all’Africa di consolidare i primi positivi risultati frutto del risveglio economico del continente. Inoltre l’UE ha un ruolo importantissimo nella costruzione della sicurezza africana, attraverso finanziamenti e formazione dei militari.

124. La nuova percezione dell’Africa ha in qualche modo “contagiato” anche alcuni degli stati membri dell’Unione Europea.

125. La Germania afferma con chiarezza nelle sue linee guida che il nuovo corso africano impone una nuova politica. E nei fatti si impegna attivamente dal punto di vista della cooperazione, ma soprattutto con una sempre maggior presenza delle sue aziende nel continente.

249


CAPITOLO 5 - Le relazioni fra l’Africa e l’Europa

126. La Francia, per tradizione il paese europeo con maggior influenza culturale ed economica sul continente, ha affermato all’ultimo vertice sulla Françafrique di voler cambiare passo sotto il profilo politico, prestando maggiore attenzione alle istanze dei partner africani e soprattutto economico.

127. La Gran Bretagna è di gran lunga il paese che più si è speso sul piano della cooperazione allo sviluppo, facendo diventare l’Africa una questione morale. Il cambio di governo ha segnato l’avvio di una profonda revisione del sistema degli aiuti, che saranno nelle intenzioni dei conservatori, improntati a obiettivi e priorità definiti e soprattutto a maggior efficienza e trasparenza. Rimane ancora da capire se e come verranno riviste e rafforzate le relazioni commerciali.

128. La Spagna si sta ritagliando un ruolo sempre più importante nelle relazioni con il continente, puntando soprattutto a migliorare i rapporti con i “naturali vicini”, a disinnescare potenziali crisi, ma anche a promuovere la Spagna come interlocutore politico e partner commerciale.

129. L’Italia si è finalmente dotata di alcuni strumenti come il Piano Africa che testimoniano una presa di coscienza dell’importanza che il continente può rivestire per la nostra economia. Tuttavia i riflessi concreti di questo nuovo corso sono ancora limitati. Anche l’intenzione di pianificare meglio gli interventi di cooperazione allo sviluppo fissando priorità e obbiettivi puntuali è un passo nella giusta direzione, purtroppo il mancato rispetto degli impegni assunti nei contesti internazionali finisce per minare l’immagine del paese e indebolirne la posizione.

130. Per quanto riguarda gli Stati Uniti invece, l’altro grande attore geopolitico globale, l’elezione di Barack Obama ha alimentato grandissime speranze nel continente africano, anche se le aspettative dei governi sono quasi certamente molto più realistiche. L’Africa non è balzata improvvisamente in cima alle priorità dell’amministrazione USA, le limitazioni di bilancio imposte dalla crisi economica e i molti fronti internazionali aperti con tutta probabilità non consentiranno l’avvio di nuovi programmi. Tuttavia gli Stati Uniti hanno compiuto alcuni passi interessanti verso la riorganizzazione e la razionalizzazione del sistema degli aiuti, oltre al riordino della sezione che si occupa di Africa all’interno del Dipartimento di Stato, ridando nuovo slancio all’azione politica nel continente.

131. Gli Stati Uniti sono un donatore importantissimo per il continente, ma molti dei programmi di aiuto sono poco flessibili e forse non adatti a cogliere le esigenze di un continente che sta profondamente cambiando. Un cambiamento che neppure le aziende americane sembrano avere ancora colto.

250




Databook



Databook

Fig. 1 Crescita del Pil % annuale (Fonte: World Bank, 2010) Paesi

Crescita del Pil (% annuale) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

2,6

4,7

6,9

5,2

5,1

2

3

3

Angola

3,14

14,49

3,31

11,18

20,61

18,56

20,28

14,8

5

4,5

3,9

3,1

2,9

3,8

4,6

5,1

Botswana

5,21

3,33

6,28

6,54

4,68

2,96

4,25

-1

Burkina Faso

6,65

4,7

8,04

4,63

6,35

5,5

3,6

4,47

Burundi

2,06

4,45

-1,22

4,83

0,9

5,12

3,6

4,5

Camerun

4,51

4,01

4,03

3,7

2,3

3,22

3,5

3,9

3,8

4,6

6,2

-0,71

6,53

10,8

6,94

5,95

0,26

-0,58

-7,6

1

2,4

4

4,2

2,8

11,66

8,49

14,72

33,63

7,93

0,15

0,2

-0,4

Benin

Capo Verde Centrafricana, Repubblica Ciad Comore

3,33

4,15

2,47

-0,24

4,23

1,24

0,49

0,97

Congo, Rep. Dem.

-2,1

3,47

5,79

6,64

7,88

5,59

6,26

6,2

Congo, Repubblica Costa d'Avorio

3,8

4,8

1,72

3,6

7,7

6,24

-1,59

5,57

-0,02

-1,43

-1,56

1,79

1,26

0,68

1,71

2,21

Gibuti

2,05

2,62

3,2

3,83

3,17

4,11

4,26

3,86

Egitto

3,54

2,37

3,21

4,08

4,48

6,85

7,07

7,06

Guinea Equatoriale

61,9

19,46

13,96

38

9,75

1,26

21,44

11,29

Eritrea

8,88

3,01

-2,66

1,45

2,57

-0,97

1,33

2

Etiopia

8,3

1,51

-2,16

13,57

11,82

10,86

11,1

11,32

Gabon

2,13

-0,27

2,48

1,35

3,02

1,18

5,55

2,06

Gambia

5,8

-3,25

6,87

7,05

5,11

6,55

6,3

5,89

4

4,5

5,2

5,6

5,9

6,4

6,1

6,2

3,98

4,19

2,04

2,71

3,33

2,17

1,51

8,4

Gana, Repubblica Guinea Guinea-Bissau

0,2

-7,1

-7,15

-0,63

2,22

3,46

0,6

2,7

Kenya

3,78

0,55

2,93

5,09

5,8

6,4

6,96

3,6

Lesotho

3,04

1,63

3,94

4,55

0,68

8,1

5,06

3,95

2,9

3,7

-31,3

2,6

5,3

7,8

9,4

7,1

Liberia Libia

4,52

3,26

-2,75

5

6,3

5,2

6,8

7

Madagascar

6,02

-12,67

9,78

5,26

4,6

5,02

6,24

6,88

Malawi

-4,97

-4,42

6,28

5,68

2,55

8,2

8,6

9,7

Mali

12,1

4,15

7,44

2,19

6,08

5,3

2,8

5

Mauritania

2,89

1,1

5,59

5,18

5,45

11,7

1,9

..

Mauritius

5,56

2,71

3,19

4,7

4,57

3,6

4,68

5,34

Marocco

7,55

3,32

6,32

4,8

2,98

7,76

2,72

5,8

Mozambico

11,9

8,82

6,02

7,88

8,39

8,68

7,02

6,46

Namibia

1,18

4,79

4,24

12,27

2,53

7,15

4,06

2,67

7,1

3

4,4

-0,83

7,41

5,8

3,3

9,5

Nigeria

3,1

1,55

10,3

10,6

5,4

6,2

6,45

5,29

Ruanda

8,5

11

0,3

5,3

7,1

7,29

7,94

11,23

Niger

Senegal

4,58

0,65

6,66

5,9

5,63

2,39

4,66

2,5

Seychelles

-2,27

1,21

-5,89

-2,85

7,47

8,3

7,26

2,81

Sierra Leone

18,17

27,46

9,29

7,51

7,25

7,34

6,85

5,06

Sudafrica

2,74

3,67

3,12

4,86

4,97

5,32

5,1

3,06

Sudan

6,17

5,36

7,14

5,11

6,33

11,29

10,16

8,34

1

1,83

3,89

2,51

2,21

2,87

3,51

2,5

6,24

7,24

5,67

6,73

7,37

6,74

7,15

7,46

Swaziland Tanzania Togo Tunisia

-0,18

4,14

2,7

3

1,2

3,9

1,9

1,1

4,92

1,65

5,56

6,04

3,98

5,66

6,33

5,1

Uganda

4,94

6,4

6,47

6,81

6,33

10,78

8,59

9,53

Zambia

4,89

2,72

5,67

5,44

5,2

6,2

6,2

6

Zimbabwe

-2,7

-4,4

-10,4

-3,8

-5,3

..

..

..

255


Databook

Fig. 2 Crescita Pil pro capite annuale % (Fonte: World Bank, 2010) Paesi Algeria

Pil pro capite a parità di potere d’acquisto in USD (% annuale) 2001

2002

2003

2004

2007

2008

3,17

Angola

0,16

11,02

0,12

Benin

1,65

1,07

0,44

Botswana

3,74

2,06

5,1

5,37

3,5

Burkina Faso

3,34

1,38

4,59

1,34

3,1

Burundi

0,03

1,93

-3,91

1,81

-2,05

2,01

Camerun

2,07

1,59

1,64

1,38

0,08

1,07

1,5

1,89

Capo Verde

1,96

2,8

4,42

-2,32

4,88

9,15

5,41

4,47

-1,51

-2,18

-9,01

-0,56

0,74

2,21

2,31

0,94

7,62

4,49

10,52

28,93

4,37

-2,93

-2,55

-3,13

1,17

1,97

0,33

-2,32

2,05

-0,92

-1,88

-1,4

-4,63

0,57

2,65

3,37

4,54

2,27

3,27

3,21

Ciad Comore Congo, Repubblica Democratica Congo, Repubblica

3,64

2006

1,11

Centrafricana, Repubblica

5,32

2005 3,54

0,48

1,47

1,47

7,82

17,11

15,29

17,09

11,83

-0,32

-0,46

0,47

1,3

1,84

1,73

2,96

-2,22

2,38

0,66

1,5

0,5

1,44

1,53

2,28

-0,81

1,11

5,32

4,12

-3,39

3,7

Costa d'Avorio

-2,32

-3,54

-3,57

-0,29

-0,88

-1,51

-0,56

-0,11

Gibuti

-0,35

0,54

1,34

2,05

1,39

2,29

2,45

2,05

Egitto

1,59

0,44

1,26

2,12

2,53

4,88

5,12

5,14

57,23

16,09

10,8

34,24

6,8

-1,43

18,26

8,43

4,64

-1,27

-6,76

-2,69

-1,35

-4,46

-1,81

-1,15

Guinea Equatoriale Eritrea Etiopia

5,47

-1,11

-4,68

10,66

8,95

8,01

8,25

8,47

Gabon

-0,14

-2,39

0,37

-0,67

1,03

-0,73

3,6

0,21

Gambia

2,29

-6,37

3,53

3,8

2,02

3,52

3,37

3,04

Gana, Repubblica

1,56

2,07

2,79

3,23

3,58

4,13

3,88

4,02

Guinea

2,01

2,26

0,15

0,77

1,31

0,09

-0,64

6

-2,16

-9,36

-9,43

-3,04

-0,19

1,11

-1,63

0,46

1,13

-2,02

0,29

2,38

3,05

3,62

4,18

0,9

Guinea-Bissau Kenya Lesotho

1,68

0,52

2,98

3,7

-0,08

7,34

4,49

3,38

Liberia

-1,73

0,33

-33,07

-0,16

1,84

3,55

4,69

2,41

Libia

2,41

1,18

-4,71

2,88

4,17

3,1

4,76

4,95

Madagascar

2,96

-15,16

6,71

2,34

1,73

2,17

3,39

4,05

-7,53

-6,88

3,63

3,05

-0,02

5,45

5,87

6,95

8,9

1,12

4,27

-0,86

2,92

2,16

-0,25

1,89

Mauritania

-0,07

-1,82

2,57

2,22

2,57

8,74

-0,63

..

Mauritius

4,41

1,83

2,13

3,81

3,74

2,8

4,04

4,66

Marocco

6,18

2,07

5,11

3,68

1,94

6,51

1,5

4,55

9,1

6,12

3,45

5,37

5,99

6,41

5,02

4,47

Malawi Mali

Mozambico Namibia

-0,59

3,21

2,85

10,85

1,22

5,74

2,38

1,02

Niger

3,36

-0,57

0,8

-4,24

3,72

2,16

-0,04

5,96

Nigeria

0,47

-1

7,58

7,92

2,9

3,73

4,1

2,96

Ruanda

3,9

8,03

-1,39

3,7

5,05

4,75

5,15

8,18 -0,17

Senegal

1,88

-1,93

3,93

3,18

2,89

-0,27

1,93

Seychelles

-2,36

-1,81

-4,86

-2,5

6,95

6,12

6,72

1,26

Sierra Leone

14,39

22,62

4,85

3,29

3,44

4,01

3,9

2,43

Sudafrica

0,87

2,68

1,87

3,63

3,75

4,21

4,09

1,29

Sudan

3,89

3,22

5,02

3,01

4,13

8,91

7,75

5,94

Swaziland Tanzania Togo Tunisia

-0,17

1,02

3,26

1,86

1,35

1,76

2,19

1,06

3,53

4,46

2,89

3,87

4,45

3,78

4,14

4,4

-3,07

1,34

0,09

0,44

-1,31

1,32

-0,62

-1,37

3,73

0,53

4,94

5,05

2,98

4,63

5,32

4,07

Uganda

1,69

3,06

3,09

3,39

2,92

7,23

5,09

6,01

Zambia

2,38

0,39

3,34

3,11

2,81

3,72

3,66

3,43

-3,07

-4,52

-10,35

-3,66

-5,17

..

..

..

Zimbabwe

256


Databook

Fig. 3 Pil pro capite a parità di potere d’acquisto (PPP) (Fonte World Bank, 2010) Paesi

Pil pro capite a parità di potere d’acquisto in USD 2001

2002

2003

2004

Algeria

5577,05

5854,41

6297,27

6713,83

Angola

2331,64

2633,9

2693,27

Benin

1177,73

1211,11

1242,33

9363,44

9723,82

839,32

865,76

Botswana Burkina Faso

2005

2006

2007

7176,05

7437,74

2987,18

3611,49

1273,9

1309,03

10437,13

11313,68

924,82

964,14

2008

7747,86

8032,66

4294,98

5162,6

5898,54

1356,67

1410,79

1467,87

12087,6

12683,77

13405,56

13391,77

1026,16

1083,7

1119,83

1161,34

Burundi

315,59

327,32

321,22

336,44

340,18

357,95

369,3

382,76

Camerun

1694,37

1751,38

1817,99

1895,94

1958,78

2042,07

2127,76

2215,06

Capo Verde

2220,29

2322,35

2476,77

2488,93

2694,68

3034,02

3283,03

3504,27

654,75

651,66

605,55

619,45

644,18

679,17

713,35

735,67

Centrafricana, Repubblica Ciad

856

910,11

1027,32

1362,58

1468,05

1469,88

1470,45

1455,27

1001,54

1039,18

1064,87

1070

1127,26

1152,06

1160,47

1169,01

221,39

226,55

237,51

252,57

272,56

287,54

304,83

321,44

Congo, Repubblica

2932,57

3052,04

3091,88

3216,02

3496,5

3755,31

3724,29

3945,88

Costa d'Avorio

1537,77

1509,29

1486,35

1524,58

1560,06

1584,94

1617,97

1651,23

Gibuti

1590,06

1626,57

1683,47

1767,25

1849,76

1951,67

2052,63

2140,23

Egitto

3674,78

3755,48

3883,77

4080,24

4318,85

4672,39

5042,29

5416,41

12169,69

14375,43

16267,94

22465,91

24769,88

25186,19

30577,06

33872,93

646,1

649,06

618,06

618,69

630,06

620,93

625,91

632,12

Comore Congo, Repubblica Democratica

Guinea Equatoriale Eritrea Etiopia Gabon

504,44

507,56

494,14

562,52

632,69

704,91

783,35

868,11

12008,52

11926,14

12225,49

12492,43

13028,52

13340,8

14188,66

14526,53

Gambia

1008,5

960,79

1015,86

1084,78

1142,45

1219,88

1294,47

1362,77

Gana, Repubblica

963,41

1000,58

1050,44

1115,54

1192,84

1281,22

1366,34

1452,07

Guinea

914,86

951,93

973,71

1009,38

1055,62

1089,91

1111,75

1203,97

Guinea-Bissau

567,43

523,32

484,07

482,84

497,49

518,87

523,98

537,8

Kenya

1179,32

1175,67

1204,21

1268,24

1349,22

1442,13

1542,26

1589,95

Lesotho

1069,33

1093,68

1150,3

1227,09

1265,74

1401,45

1503,29

1587,84

Liberia

428,49

437,43

298,99

307,09

322,84

344,85

370,6

387,76

11014,67

11339,23

11035,07

11679,53

12559,54

13357,24

14364,16

15402,42

847,94

732,01

797,75

839,88

882,07

929,65

986,71

1048,92

Malawi

590,34

559,35

592,01

627,62

647,76

704,61

765,82

836,79

Mali

845,48

869,92

926,38

944,84

1003,82

1057,79

1083,18

1127,56

Mauritania

1445,66

1444,13

1512,78

1590,83

1684,38

1889,4

1927,46

..

Mauritius

8070,68

8362,6

8722,49

9314,56

9975,21

10577,2

11296,38

12079,33

Marocco

2867,66

2978,25

3197,11

3410,12

3588,64

3942,7

4108,28

4388,5

500,54

540,48

571,05

618,99

677,26

743,38

801,4

855,35

4078,75

4283,37

4499,25

5130,5

5360,76

5847,18

6145,45

6342,7

531,8

538,01

553,88

545,64

584,23

615,66

631,79

684

Nigeria

1325,97

1335,68

1467,52

1629,26

1730,68

1851,84

1979,02

2081,89

Ruanda

619,03

680,43

685,24

730,99

792,69

856,51

924,57

1021,93

Libia Madagascar

Mozambico Namibia Niger

Senegal

1351,61

1348,72

1431,58

1519,51

1614,03

1660,33

1737,3

1771,96

Seychelles

16140,6

16126,17

15668,7

15716,28

17352,22

18995,28

20810,23

21529,57

Sierra Leone

422,1

526,62

563,93

599,23

639,91

686,52

732,22

766,27

6852,38

7158,83

7448,03

7940

8503,65

9141,22

9767,68

10108,56

Sudan

1247,51

1310,21

1405,36

1489,28

1600,98

1798,52

1989,3

2153,28

Swaziland

3647,53

3749,11

3953,77

4142,86

4334,68

4549,91

4773,07

4928,21

Tanzania

803,91

854,49

897,89

959,47

1034,53

1107,52

1184

1262,94

Togo

695,84

717,48

733,41

757,8

772,03

806,84

823,17

829,48

5117,35

5234,41

5610,01

6062,61

6444,81

6955,51

7520,19

7996,08

Uganda

722,33

757,43

797,45

848,18

901,19

996,76

1075,36

1164,7

Zambia

928,48

948,4

1001,01

1061,78

1126,95

1205,67

1283,01

1355,77

..

..

..

..

..

..

..

..

Sudafrica

Tunisia

Zimbabwe

257


Databook

Fig. 4 Peso delle esportazioni sul Pil (% annuale) (Fonte: World Bank) Paesi

Peso delle esportazioni sul Pil (% annuale) 2001

2002

2003

2004

2005

Algeria

36,25

35,08

Angola

76,63

73,53

69,62

Benin

15,18

13,54

13,68

Botswana

48,61

47,38

44,66

44,34

9,24

8,82

8,79

10,74

Burkina Faso

38,27

40,07

2006

2007

2008

47,65

48,9

47,13

59,11

69,68

79,28

73,77

73,92

89,49

13,32

13,46

..

..

..

48,7

50,7

47,04

45,71

9,99

11,53

..

..

Burundi

6,86

6,16

8,42

9,58

11,4

10,73

..

..

Camerun

21,92

19,93

20,24

19,4

20,45

23

22,05

29,22

Capo Verde

30,32

31,46

31,74

14,87

17,02

19,1

19,7

19,94

Centrafricana, Repubblica

16,52

15,51

13,5

13,23

12,62

14,04

14,85

14,42 43,98

Ciad

14,67

12,69

24,63

51,01

55,06

61,15

49,61

Comore

15,52

15,73

15,75

12,65

12,48

11,72

12,17

12,76

Congo, Repubblica Democratica

18,65

21,16

26,13

30,24

30,98

28,64

27,19

23,24

Congo, Repubblica

77,42

81,51

79,27

84,32

84,78

86,88

73,01

..

Costa d'Avorio

41,84

50,03

45,84

48,56

51,05

52,65

46,58

51,05

Gibuti

37,3

38,57

39,91

36,97

40,61

40,32

59,2

..

Egitto

17,48

18,32

21,8

28,23

30,34

29,95

30,25

37,68

101,35

99,62

96,85

90,13

87,42

86,76

81,89

78,26

11,83

12,72

7,27

6,82

5,78

6,52

6,26

..

Guinea Equatoriale Eritrea Etiopia Gabon

12

12,6

13,32

14,9

15,1

13,88

12,83

11,6

59,03

53,56

55,34

62,2

64,74

64,98

64,72

77,25

Gambia

35,89

42,47

43,09

46

40

39,9

33,3

30,1

Gana, Repubblica

45,23

42,62

40,68

39,3

32,41

36,03

33,74

36,84

Guinea

26,61

24,46

22,28

21,05

28,37

33,5

37,24

27,83

Guinea-Bissau

28,61

29,82

29,96

32,13

31,28

18,7

27,95

29,82

Kenya

22,93

24,9

24,09

26,62

28,46

26,59

26,13

24,92

Lesotho

44,87

58,25

52,29

55,91

51,08

50

52,72

47,31

Liberia

23,18

19,86

32,35

37,28

37,89

28,63

33,27

..

Libia

30,19

47,74

..

..

..

..

..

..

Madagascar

29,08

16,01

23,09

32,64

26,91

29,9

30,4

26,34

Malawi

27,99

34,05

29,83

24,96

19,58

18,82

23,55

23,37

33,3

31,88

26,42

25,38

25,62

32,11

27,32

..

Mauritania

33,82

33,26

27,7

30,58

35,9

54,58

57,66

..

Mauritius

65,61

60,6

59,05

55,24

56,54

60,13

61,81

61,62

Mali

Marocco

29,41

30,15

28,66

29,37

32,31

34,2

35,8

40,65

Mozambico

24,64

28,28

28,99

32,08

32,89

39,9

37,58

31,99

Namibia

41,17

46

43,39

39,81

40,45

45,47

47,87

38,95

Niger

16,92

15,2

16,17

16,94

15,38

..

..

..

Nigeria

42,99

31,87

42,7

43,95

46,54

43,17

40,15

43,47

Ruanda

9,38

8,09

7,85

10,13

10,29

9,7

9,74

8,07

Senegal

28,73

28,55

26,63

26,44

26,93

25,63

25,45

24,94

Seychelles

81,57

83,97

95,14

97,81

81,14

88,85

108,8

130,92

Sierra Leone

16,03

17,57

23,22

23,02

24,05

24,95

20,95

24,91

Sudafrica

30,13

32,99

28,06

26,71

27,4

29,55

31,57

36,33

Sudan

12,82

13,33

14,7

17,63

18,23

16,52

20,09

22,74

Swaziland

89,33

99,79

104,21

90,1

89,14

84,6

79,86

80,23

Tanzania

15,94

16,72

19,66

22,36

20,96

21,68

..

..

Togo

31,67

33,77

33,81

33,52

40,32

42,29

41,94

40,44

Tunisia

47,68

45,23

43,81

46,92

49,72

50,38

54,13

65,17

Uganda

11,52

11,21

11,38

12,72

14,2

15,3

16,74

15,64

Zambia

28,06

27,72

28,71

38,33

34,68

38,59

42,08

36,79

23,1

9,22

25,06

42,48

56,8

..

..

..

Zimbabwe

258


Databook

Fig. 5 Indice di diversificazione sulle esportazioni (Fonte: World Bank 2010) Paesi

Indice di diversificazione sulle esportazioni 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

Algeria

5,3

3,7

3,1

2,3

2,4

2,3

2,4

Angola

1,3

1,2

1,1

1,1

1,1

1,1

1,1

Benin

1,8

3,7

4,2

3,9

4,8

6,3

6,4

Botswana

7,5

1,3

1,3

1,4

1,4

1,8

2,8

Burkina Faso

4,4

2,8

2,3

2,5

1,6

1,7

1,9

Burundi

1,9

3,3

2,8

3,4

2

5,4

2,6

Camerun

4,5

4,8

4,7

4

4,1

3

3,3

Capo Verde

8,6

6,2

14,5

13,6

7,9

10

9

Centrafricana, Repubblica

2,4

2,2

5,4

5,5

4,7

4,6

5,5

Ciad

1,5

1,7

2,2

1,4

1,7

1,2

1,1

Comore

1,3

3,2

1,7

2,4

4,6

5,6

4,9

Congo, Repubblica Democratica

2,4

2,2

3,4

4

4,7

6,2

7,6

Congo, Repubblica

1,5

1,5

1,6

1,5

1,4

1,3

1,4

Costa d'Avorio

6,8

6,3

4,8

7,2

7,1

7,7

7,7

Gibuti

4,9

18,6

13,1

15

44,6

23,9

5,9

Egitto

26,3

18,9

22,1

22

22,6

14

17,2

1,3

1,2

1,2

1,1

1,2

1,2

1,3

Eritrea

14,4

12,5

31,2

27,8

9,5

22,4

2,1

Etiopia

5,3

4,2

4,6

4,1

4,2

4,5

4,7

Gabon

1,7

1,8

1,7

1,8

1,7

1,9

1,9

Gambia

5,8

6,9

8,2

10,7

6,1

5,2

6,6

Guinea Equatoriale

Gana, Repubblica

8,2

6,5

5,3

5,3

5,2

4,7

4,5

Guinea

3,4

3,8

3,5

3,3

3,1

3,4

3,2

Guinea-Bissau

1,6

2,8

2,2

2,3

1,2

1,4

1,2

11,3

20,1

18,8

18,4

17,9

19,9

21,9

5,2

7

7,3

7,1

7,2

7,9

6,6

Liberia

2,1

2,4

3,1

3,4

3,3

5

3,5

Libia

1,4

1,5

1,4

1,3

1,3

1,3

1,3

Madagascar

9,2

10,5

10,5

15,7

19,6

19,5

21,2

Malawi

2,9

2,5

3,2

3,8

2,9

3

3,8

Mali

3,2

1,6

1,5

1,3

1,5

2,9

2

Mauritania

3,8

4,2

4,5

4,2

4,1

4,4

3,9

Kenya Lesotho

Mauritius

12,6

13,6

13,9

11,8

12,3

12,7

13,4

Marocco

35,3

64,5

72,1

71,6

63

69,6

67,3

Mozambico

2,9

3,5

2,8

2,6

3,1

2,7

3,5

Namibia

7,1

8,3

10,2

7,9

5,9

5,2

9,1

Niger

4,6

2,2

2,1

3,7

2,5

2,5

1,4

Nigeria

1,3

1,3

1,3

1,2

1,3

1,2

1,3

Ruanda

2,6

2,7

2

1,7

2,7

2,5

4,1

Senegal

12,8

14,5

19,6

19,7

10,4

25,4

22,3 3,9

Seychelles

2,6

3,7

3,2

3,8

4,7

3,2

Sierra Leone

6,8

8,5

4,5

3,4

2,8

5,3

7,3

33,2

45,1

54,1

51,5

50

46,7

45,6

Sudafrica Sudan

1,7

1,7

1,6

1,5

1,4

1,3

1,2

Swaziland

8,8

14,5

17,2

17

18,8

20

20

Tanzania

19

20,8

27,6

25,5

20,4

31,2

30,1

Togo

9,3

9,3

11

9,8

13,3

11,8

9,3

Tunisia

28,5

43,4

47,1

44,8

43,2

44,3

35,8

Uganda

6,2

6,3

7,3

6,7

7,8

8

10,4

Zambia

4,2

5,2

5,8

4,1

3,5

2,3

2,5

Zimbabwe

9,8

8

11,2

13,6

15,7

15,6

10,8

259


Databook

Fig. 6 Investimenti Diretti Esteri (milioni di USD), Fonte: UNCTAD Paesi

2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

2009

Algeria

1.196

1.065

634

882

1.081

1.795

1.662

2.646

2.847

Angola

2.145

3.133

5.685

5.606

6.794

9.064

9.796

16.581

13.101

Benin

44

14

45

65

53

55

261

174

93

Botswana

31

403

418

391

279

486

495

521

234

6

15

29

14

34

34

344

137

171

Burkina Faso Burundi

0

0

0

0

1

0

1

14

10

Camerun

73

602

383

319

225

309

284

270

337

Capo Verde

13

39

34

68

82

131

190

212

120

5

6

22

29

32

35

57

117

42

460

924

713

467

-99

-279

-69

234

462

1

0

1

1

1

1

8

8

9

Centrafricana, Repubblica Ciad Comoros Congo Corte d'Avorio Dem. Rep. of the Congo

71

131

321

513

1.475

1.925

2.275

2.483

2.083

273

213

165

283

312

319

427

482

409

80

141

391

409

..

256

1.808

1.727

951

Gibuti

3

4

14

39

59

164

195

234

100

Egitto

510

647

237

2.157

5.376

10.043

11.578

9.495

6.712

Guinea Equatoriale

941

323

690

341

769

470

1.243

-794

1.636

Eritrea

12

20

22

-8

-1

0

0

0

0

Etiopia

349

255

465

545

265

545

222

109

94

Gabon

-89

37

206

320

242

268

269

209

33

Gambia

35

43

15

49

45

71

76

70

47

Ghana

89

59

137

139

145

636

855

1.220

1.685

Guinea

2

30

83

98

105

125

386

382

141

Guinea-Bissau

0

4

3

9

8

17

19

6

14

5

28

82

46

21

51

729

96

141

28

27

42

53

57

89

97

56

48

8

3

372

75

83

108

132

200

378

-113

145

143

357

1.038

2.013

4.689

4.111

2.674

Kenya Lesotho Liberia Libia Madagascar

93

61

95

95

86

294

777

1.180

543

Malawi

60

17

66

108

52

72

92

170

60

122

244

132

100

225

82

65

180

109

77

67

102

392

814

106

138

338

-38

Mali Mauritania Mauritius

-26

32

62

11

42

105

339

383

257

2.808

481

2.314

895

1.653

2.450

2.803

2.487

1.331

Moambico

255

347

337

245

108

154

427

592

881

Namibia

365

181

149

226

348

387

733

720

516

Marocco

Niger

23

2

11

20

30

51

129

566

739

Nigeria

1.277

2.040

2.171

2.127

4.978

13.956

6.087

6.814

5.851

Ruanda

19

2

3

11

14

31

82

103

119

3

4

3

4

16

38

35

33

36

Senegal

32

78

52

64

52

210

273

272

208

Seychelles

65

48

58

38

86

146

239

252

243

Sierra Leone

10

10

9

61

83

59

97

53

33

Sao Tome and Principe

Somalia Sudafrica

0

0

-1

-5

24

96

141

87

108

6.784

1.569

734

798

6.647

-527

5.695

9.006

5.696

Sudan

574

713

1.349

1.511

2.305

3.541

2.436

2.601

3.034

Tanzania

467

388

308

331

494

597

647

679

645

Swaziland

29

92

-61

71

-46

121

37

106

66

Togo

64

53

34

59

77

77

49

24

50

Tunisia

487

821

584

639

783

3.308

1.616

2.758

1.688

Uganda

151

185

202

295

380

644

733

787

799

Zambia

72

303

347

364

357

616

1.324

939

959

4

26

4

9

103

40

69

52

60

Zimbabwe

260

Investimenti Diretti Esteri (Milioni di USD)


Databook

Fig. 7 Classifica top 15 parners commerciali 2007 (Fonte: Eurostat) Classifica top 15 partners commerciali Europa (27) Paesi

Valore interscambio in Milioni di Euro, 2007

Sudafrica

10.084

Egitto

8.310

Marocco

6.511

Nigeria

5.582

Tunisia

4.476

Algeria

3.376

Angola

3.330

Libia

1.941

Kenia

1.569

Mauritius

1.349

Liberia

1.158

Ghana

860

Corte d'Avorio

856

Senegal

831

Gabon

725

261


Databook

Fig. 8 Valorizzazione paniere minerali e combustibili (Fonte: Geographical Yearbook, NY Metal Exchange, Metal Price) Paesi

Valorizzazione paniere minerali e combustibili in USD 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

29.354.751.589

30.997.930.534

33.443.572.674

34.454.566.517

36.192.621.090

35.524.240.973

39.472.639.865

8032,66

Angola

9.206.419.351

11.234.098.578

10.695.110.945

12.139.487.667

15.420.067.035

17.545.317.098

21.714.530.502

5898,54

5.783.120

231.325

231.325

231.325

231.325

231.325

0

1467,87

216.430.772

57.298.667

105.183.810

97.453.407

128.782.373

124.912.016

129.931.726

13391,77

11.566.240

2.417.344

8.906.005

13.012.020

16.158.037

18.170.563

19.892.002

1161,34

Benin Botswana Burkina Faso Burundi Camerun Capo Verde

4.799.990

5.586.494

33.145.109

37.423.385

46.059.120

47.369.217

32.025.706

382,76

1.044.297.275

926.203.726

862.446.270

1.155.341.334

1.062.971.629

1.126.729.084

1.088.429.316

2215,06

0

0

0

0

0

0

0

3504,27

231.325

185.060

80.964

80.964

80.964

80.964

126.620

735,67

Ciad

0

1.734.936

313.420.737

2.227.026.586

2.295.309.090

2.027.114.331

1.944.260.338

1455,27

Comore

0

0

0

0

0

0

0

1169,01

3.456.049.461

3.579.092.801

3.398.779.974

3.630.915.610

4.158.825.563

4.563.638.646

1.327.889.500

321,44

115.662

115.662

867.468

693.974

231.325

115.662

2.950.396.872

3945,88

Centrafricana, Rep.

Congo, Rep. Dem. Congo, Repubblica Costa d'Avorio

35.855.344

41.291.477

15.186.473

14.099.247

18.945.501

18.505.984

16.460.600

1651,23

Gibuti

0

0

0

0

0

0

0

2140,23

Egitto

13.822.283.034

13.919.702.262

14.243.581.299

14.220.067.615

15.105.601.615

16.681.363.496

20.074.884.572

5416,41

2.213.798.096

2.545.987.444

3.020.024.557

4.317.284.058

4.655.361.757

4.464.087.713

4.700.739.676

33872,93

Guinea Equatoriale Eritrea

3.122.885

0

104.096

381.686

346.987

346.987

379.860

632,12

Etiopia

60.144.448

42.448.101

44.819.180

39.822.564

50.613.866

46.626.441

41.784.600

868,11

809.637

809.637

809.637

3.469.872

3.469.872

3.469.872

2.962.402.321

14526,53

0

0

0

0

0

0

0

1362,77

Gana, Repubblica

794.615.638

801.220.093

818.310.822

730.291.810

773.239.661

765.761.485

979.393.038

1452,07

Guinea

Gabon Gambia

150.361.120

194.486.326

192.254.041

128.385.264

176.963.472

176.153.835

227.916.000

1203,97

Guinea-Bissau

0

0

0

0

0

0

0

537,8

Kenya

0

0

0

0

0

0

0

1589,95

Lesotho

0

0

0

0

0

0

0

1587,84

Liberia Libia Madagascar Malawi Mali Mauritania Mauritius Marocco Mozambico Namibia Niger

11.566.240

485.782

231.325

1.272.286

185.060

231.325

139.282

387,76

17.811.870.358

17.193.732.051

18.538.716.005

20.304.067.701

22.533.584.932

23.975.394.307

25.260.018.602

15402,42

38.177.640

8.091.600

33.247.086

56.982.973

103.664.884

97.403.457

123.251.000

1048,92

0

0

0

0

0

0

0

836,79

489.113.157

648.206.788

584.499.938

496.318.925

569.405.995

641.741.260

618.538.700

1127,56

0

0

0

0

0

0

0

..

0

0

0

0

0

0

0

12079,33

115.360.059

134.746.651

98.272.652

90.572.349

100.231.234

102.167.560

107.783.500

4388,5

289.354

196.825

728.933

647.858

728.883

786.748

1.139.822

855,35

86.178.427

99.757.771

93.256.213

82.542.068

88.446.780

80.774.386

223.962.772

6342,7

32.590.240

22.463.855

22.976.587

31.541.708

57.026.151

41.842.835

212.856.604

684

Nigeria

30.343.788.444

28.086.106.910

30.926.207.164

34.438.928.421

35.248.734.697

34.868.241.054

36.513.180.151

2081,89

Ruanda

400.647

400.647

678.598

854.955

3.020.841

7.789.590

14.335.230

1021,93

Senegal

6.361.432

6.939.744

6.939.744

6.939.744

6.939.744

6.939.744

7.597.200

1771,96

0

0

0

0

0

0

0

21529,57

Seychelles Sierra Leone

0

0

0

0

0

633.547.125

818.080.444

766,27

20.395.322.525

20.734.254.070

21.506.988.334

21.439.570.762

21.193.157.034

22.513.781.144

31.951.678.552

10108,56

2.770.122.840

3.061.058.360

3.374.214.561

3.821.792.297

3.842.089.293

4.159.532.730

5.989.943.991

2153,28

0

0

0

0

0

0

0

4928,21

354.068.110

510.727.523

563.903.533

566.957.578

612.110.022

540.070.138

516.430.176

1262,94

0

0

0

0

0

0

0

829,48

Tunisia

850.380.331

889.197.803

809.112.743

854.009.579

872.035.302

830.466.884

1.187.123.620

7996,08

Uganda

161.492

889.654

472.149

17.230.323

20.004.590

19.218.447

20.960.075

1164,7

Zambia

943.976.160

1.042.433.400

1.123.164.250

1.264.555.332

1.235.596.770

1.319.910.080

1.420.948.500

1355,77

Zimbabwe

801.770.155

772.561.831

730.055.192

856.033.672

748.237.832

710.901.594

1.085.778.763

..

Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania Togo

262


Databook

Fig. 9 Produzione diamanti (migliaia di carati) (Fonte: Geographical Yearbook, 2010) Paesi

Produzione diamanti (migliaia di carati) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

Algeria

0

0

0

0

0

0

0

Angola

5.170

5.022

5.700

6.100

7.000

7.800

9.670

Benin

0

0

0

0

0

0

0

26.400

28.400

30.400

31.100

31.900

32.000

33.000

Burkina Faso

0

0

0

0

0

0

0

Burundi

0

0

0

0

0

0

0

Camerun

0

0

0

0

0

0

0

Botswana

Capo Verde

0

0

0

0

0

0

0

480

416

333

350

380

420

417

Ciad

0

0

0

0

0

0

0

Comore

0

0

0

0

0

0

0

Centrafricana, Repubblica

Congo, Repubblica Democratica Congo, Repubblica Costa d'Avorio

0

0

0

0

0

0

0

18.200

21.679

26.981

30.880

30.300

28.000

27.200

110

101

76

99

99

99

Gibuti

0

0

0

0

0

0

0

Egitto

0

0

0

0

0

0

0

Guinea Equatoriale

0

0

0

0

0

0

0

Eritrea

0

0

0

0

0

0

0

Etiopia

0

0

0

0

0

0

0

Gabon

0

0

0

0

0

0

0

Gambia

0

0

0

0

0

0

0

1.170

963

904

905

1.063

970

900

Gana, Repubblica Guinea

361

491

623

716

570

450

1.015

Guinea-Bissau

0

0

0

0

0

0

0

Kenya

0

0

0

0

0

0

0

Lesotho

0

0

0

0

0

0

0

Liberia

170

80

40

11

11

11

22

Libia

0

0

0

0

0

0

0

Madagascar

0

0

0

0

0

0

0

Malawi

0

0

0

0

0

0

0

Mali

0

0

0

0

0

0

0

Mauritania

0

0

0

0

0

0

0

Mauritius

0

0

0

0

0

0

0

Marocco

0

0

0

0

0

0

0

Mozambico

0

0

0

0

0

0

0

1.487

1.562

1.481

2.004

1.902

2.200

2.200

Niger

0

0

0

0

0

0

0

Nigeria

0

0

0

0

0

0

0

Ruanda

0

0

0

0

0

0

0

Senegal

0

0

0

0

0

0

0

Seychelles

0

0

0

0

0

0

0

Namibia

Sierra Leone

600

352

507

692

669

612

600

11.170

10.876

12.684

14.300

15.800

15.370

15.200

Sudan

0

0

0

0

0

0

0

Swaziland

0

0

0

0

0

0

0

Sudafrica

Tanzania

254

240

237

304

220

230

270

Togo

0

0

0

0

0

0

0

Tunisia

0

0

0

0

0

0

0

Uganda

0

0

0

0

0

0

0

Zambia

0

0

0

0

0

0

0

Zimbabwe

0

0

0

0

0

0

0

263


Databook

Fig. 10 Produzione legname (Fonte: FAOSTAT, 2010) Paesi

Produzione legname (tronchi in tonnellate) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

0

0

0

0

0

0

0

0

Angola

45.900

45.900

45.900

45.900

45.900

45.900

45.900

45.900

Benin

35.000

35.000

35.000

35.000

35.000

215.000

130.000

130.000

0

0

0

0

0

0

0

0

85.000

85.000

87.000

73.000

73.000

73.000

73.000

73.000

Botswana Burkina Faso Burundi Camerun Capo Verde Centrafricana, Repubblica Ciad Comore

120.000

120.000

120.000

120.000

120.000

120.000

120.000

266.000

1.190.000

1.250.000

1.400.000

1.450.000

1.450.000

1.450.000

1.450.000

2.266.000

0

0

0

0

0

0

0

690.000

611.000

475.000

524.000

524.000

524.000

524.000

533.000

14.000

14.000

14.000

14.000

14.000

14.000

14.000

14.000

8.650

8.650

8.650

8.650

8.650

8.650

8.650

8.650

Congo, Repubblica Democratica

170.000

170.000

170.000

170.000

170.000

170.000

170.000

170.000

Congo, Repubblica

895.000

1.179.000

1.350.000

1.277.000

1.450.000

1.600.000

1.700.000

1.700.000

2.615.000

2.084.000

1.556.000

1.678.000

1.347.000

1.408.000

1.469.000

1.469.000

0

0

0

0

0

0

0

0

Egitto

134.000

134.000

134.000

134.000

134.000

134.000

134.000

134.000

Guinea Equatoriale

635.000

574.000

419.000

419.000

419.000

419.000

419.000

419.000

Costa d'Avorio Gibuti

Eritrea

1.924

1.924

1.924

1.924

1.924

1.924

1.924

1.924

Etiopia

5.600

7.500

6.200

4.000

4.000

4.000

4.000

4.000

2.584.000

1.688.000

3.563.000

3.500.000

3.200.000

3.500.000

3.400.000

3.400.000

106.000

106.000

106.000

106.000

106.000

106.000

106.000

106.000

1.212.000

1.104.000

1.400.000

1.350.000

1.200.000

1.304.000

1.304.000

1.392.000

138.000

138.000

138.000

138.000

138.000

138.000

138.000

138.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

251.000

241.000

251.000

241.000

588.000

607.000

607.000

607.000

0

0

0

0

0

0

0

0

982.000

1.364.000

800.000

100.000

100.000

180.000

180.000

240.000

63.000

63.000

63.000

63.000

63.000

63.000

63.000

63.000

Gabon Gambia Gana, Repubblica Guinea Guinea-Bissau Kenya Lesotho Liberia Libia Madagascar

103.000

102.700

184.800

160.100

160.100

192.900

222.450

266.930

Malawi

130.000

130.000

130.000

130.000

130.000

130.000

130.000

130.000

Mali

3.900

3.900

3.900

3.900

3.900

3.900

3.900

3.900

Mauritania

1.000

1.000

1.000

1.000

1.000

1.000

1.000

1.000

Mauritius

5.000

4.000

5.000

5.000

5.500

7.000

5.800

5.800.000

Marocco

201.000

253.000

160.000

185.000

259.000

215.000

238.000

238.000

Mozambico

128.000

128.000

128.000

123.000

113.000

113.000

113.000

113.000

0

0

0

0

0

0

0

0

Namibia Niger

0

0

0

0

0

0

0

0

Nigeria

7.100.000

7.100.000

7.100.000

7.100.000

7.100.000

7.100.000

7.100.000

7.100.000

Ruanda

245.000

245.000

245.000

245.000

245.000

245.000

245.000

245.000

Senegal

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

40.000

0

0

0

0

0

0

0

0

Seychelles Sierra Leone

3.600

3.600

3.600

3.600

3.600

3.600

3.600

3.600

6.002.000

6.002.000

5.235.900

5.237.100

2.282.800

2.131.100

2.131.100

1.937.300

Sudan

123.000

123.000

123.000

123.000

123.000

123.000

123.000

123.000

Swaziland

260.000

260.000

260.000

260.000

260.000

260.000

260.000

260.000

Tanzania

317.000

317.000

317.000

317.000

317.000

317.000

317.000

317.000

55.000

43.000

43.000

44.000

86.000

86.000

86.000

86.000

Sudafrica

Togo Tunisia

20.800

20.800

20.800

20.000

25.000

25.000

25.000

25.000

Uganda

1.055.000

1.055.000

1.055.000

1.055.000

1.055.000

1.055.000

1.055.000

1.369.000

Zambia Zimbabwe

264

25.700

38.400

50.800

63.500

75.000

75.000

75.000

245.000

786.000

786.000

786.000

786.000

631.600

577.600

577.600

577.600


Databook

Fig. 11 Terra arabile su superficie totale (Fonte: World Bank, 2010) Paesi

Terra arabile su superficie totale (%) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

3,18

3,17

3,15

3,15

3,15

3,14

3,14

..

Angola

2,41

2,49

2,65

2,65

2,65

2,65

2,65

..

Benin

22,15

23,05

23,96

24,86

24,86

24,41

24,41

..

0,35

0,43

0,34

0,4

0,42

0,42

0,44

..

16,59

16,96

17,69

17,69

17,73

18,27

19,01

..

Botswana Burkina Faso Burundi

37,97

38,4

38,55

38,36

38,4

38,55

38,75

..

Camerun

12,81

12,81

12,81

12,81

12,81

12,81

12,81

..

Capo Verde

12,41

12,41

12,41

12,41

12,41

12,41

12,41

..

3,1

3,1

3,07

3,1

3,1

3,07

3,09

..

Centrafricana, Repubblica Ciad Comore

2,86

2,86

3,02

3,02

3,34

3,41

3,41

..

42,99

42,99

42,99

42,99

42,99

42,99

42,99

..

Congo, Repubblica Democratica

2,96

2,96

2,96

2,96

2,96

2,96

2,96

..

Congo, Repubblica

1,43

1,45

1,45

1,45

1,45

1,45

1,45

..

Costa d'Avorio

8,81

8,81

8,49

8,81

8,81

8,81

8,81

..

Gibuti

0,04

0,04

0,04

0,04

0,04

0,06

0,06

..

Egitto

2,87

2,95

2,92

2,98

3,02

3,03

3,03

..

Guinea Equatoriale

4,63

4,63

4,63

4,63

4,63

4,63

4,63

..

Eritrea

5,56

5,56

5,91

5,92

6,14

6,44

6,34

..

Etiopia

10,71

9,94

10,93

12,36

12,92

13,4

14,04

..

Gabon

1,26

1,26

1,26

1,26

1,26

1,26

1,26

..

32

30

31

33,5

33

34,5

34,8

..

17,84

18,37

18,39

17,58

17,58

18,02

18,02

..

Gambia Gana, Repubblica Guinea Guinea-Bissau Kenya Lesotho

5,9

6,1

6,51

6,92

7,73

8,55

8,95

..

10,67

10,67

10,67

10,67

10,67

10,67

10,67

..

9,01

8,95

9,04

9,24

9,25

9,33

9,14

..

10,87

9,88

9,88

10,21

10,87

9,88

9,88

..

Liberia

3,95

3,95

3,95

3,95

3,95

4

4

..

Libia

1,03

1,03

1,03

0,99

0,99

0,99

0,99

..

Madagascar

5,07

5,07

5,07

5,07

5,07

5,07

5,07

..

30,29

30,29

30,29

31,89

31,89

31,89

31,89

..

Mali

3,78

3,85

4,06

3,52

3,81

3,85

3,97

..

Mauritania

0,44

0,39

0,39

0,39

0,47

0,47

0,44

..

Malawi

Mauritius

49,26

46,8

46,8

45,81

45,81

45,32

44,33

..

Marocco

19,02

18,83

20,29

18,4

18,2

18,07

18,07

..

Mozambico

5,09

5,66

5,72

5,85

5,72

5,85

5,66

..

Namibia

0,99

0,99

0,99

0,99

0,99

0,99

0,97

.. ..

Niger

11,04

11,04

11,12

10,88

11,3

11,3

11,62

Nigeria

32,94

35,14

35,14

36,23

38,43

39,53

40,08

..

Ruanda

40,54

45,24

46,62

46,62

46,62

46,62

48,64

..

Senegal

16,15

16,1

15,49

15,77

16,5

15,51

15,5

..

2,17

2,17

2,17

2,17

2,17

2,17

2,17

..

Seychelles Sierra Leone Sudafrica Sudan

6,98

7,47

7,96

8,38

11,17

12,57

12,57

..

12,15

12,15

12,15

12,1

12,1

11,94

11,94

..

6,89

6,95

7,6

7,58

8,18

8,1

8,13

..

Swaziland

10,35

10,35

10,35

10,35

10,35

10,35

10,35

..

Tanzania

10,05

10,27

10,69

10,72

10,72

10,72

10,16

..

Togo

46,15

46,15

46,15

45,96

45,78

45,23

45,23

..

Tunisia

17,86

17,84

17,96

17,96

17,57

17,92

17,75

..

Uganda

25,88

25,88

26,38

26,89

27,4

27,4

27,9

..

Zambia

7,08

7,08

7,08

7,08

7,08

7,08

7,08

..

Zimbabwe

8,35

8,35

8,35

8,35

8,35

8,35

8,35

..

265


Databook

Fig. 12 Indice di diversificazione risorse (Fonte: World Bank) Indice Diversificazione

Paesi

Indice Diversificazione

Paesi

Marocco

67,3

Africa

Sudafrica

45,6

Ruanda

4,1

Tunisy

35,8

Mauritania

3,9

Tanzania

30,1

Sao Tome and Principe

3,9

Senegal

22,3

Seychelles

3,9

Kenya

21,9

Malawi

3,8

Madagascar

21,2

Liberia

3,5

Swaziland

4,1

Mozambico

3,5

Egypt

17,2

Camerun

3,3

Mauritius

13,4

Guinea

3,2

Zimbabwe

10,8

Botswana

2,8

Uganda

20

10,4

Burundi

2,6

Togo

9,3

Zambia

2,5

Namibia

9,1

Algeria

2,4

9

Eritrea

2,1

Capo Verde Corte d'Avorio

7,7

Mali

Congo, Rep Dem.

7,6

Burkina Faso

1,9

Sierra Leone

7,3

Gabon

1,9

Gambia

6,6

Congo, Rep.

1,4

Lesotho

6,6

Niger

1,4

Somalia

6,6

Guinea Equatoriale

1,3

Benin

6,4

Libia

1,3

Gibuti

5,9

Nigeria

1,3

Central African Republic

5,5

Guinea-Bissau

1,2

Comoros

4,5

Sudan

1,2

Etiopia

4,7

Angola

1,1

Ghana

4,5

Ciad

1,1

2

>

Indice di Diversificazione 10 Best Performer Marocco

67,3

Angola

Sudafrica

45,6

Ciad

1,1

Tunisy

35,8

Guinea-Bissau

1,2

Tanzania

30,1

Sudan

1,2

Senegal

22,3

Guinea Equatoriale

1,3

Kenya

21,9

Libia

1,3

Madagascar

21,2

Nigeria

1,3

Swaziland

266

10 Worst Performer 1,1

Congo, Rep.

1,4

Egitto

17,2

Niger

1,4

Mauritius

13,4

Gabon

1,9

20


Databook

Fig. 13 Ferrovie, lunghezza totale (km) (Fonte: World Bank, 2010) Paesi

Ferrovie, lunghezza totale km 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

Algeria

3.793

..

..

3.572

3.572

3.073

3.572

Angola

2.761

..

2.761

..

2.761

2.761

2.761

Benin

420

..

438

..

578

758

758

Botswana

888

..

888

..

888

888

888

Burkina Faso

622

622

..

..

622

622

622

Burundi

..

..

..

..

..

..

..

1.016

1.016

1.016

1.016

1.016

1.016

974

Capo Verde

..

..

..

..

..

..

..

Centrafricana, Repubblica

..

..

..

..

..

..

..

Ciad

..

..

..

..

..

..

..

Comore

..

..

..

..

..

..

..

Camerun

Congo, Repubblica Democratica

3.641

..

..

4.499

3.641

4.538

3.641

Congo, Repubblica

900

1.026

..

795

795

894

795

Costa d'Avorio

639

639

..

..

..

660

639

Gibuti

100

..

..

..

100

100

Egitto

5.125

5.150

..

5.150

5.150

5.063

5.195

..

..

..

..

..

..

..

Guinea Equatoriale Eritrea

306

..

306

..

306

..

..

Etiopia

681

681

681

681

681

699

699

Gabon

731

..

731

731

810

814

810

..

..

..

..

..

..

..

Gana, Repubblica

953

..

977

977

..

953

953

Guinea

837

..

837

..

..

837

837

..

..

..

..

..

..

..

2.634

2.634

..

2.634

‌

2.778

2.778

..

..

..

..

..

3

3

490

..

490

..

490

490

490

0

..

0

..

..

0

0

Madagascar

883

883

..

..

732

854

854

Malawi

710

710

710

710

..

797

797

Mali

734

733

..

..

..

729

729

Mauritania

717

..

717

..

717

717

717

Gambia

Guinea-Bissau Kenya Lesotho Liberia Libia

Mauritius

..

..

..

..

..

..

..

1.907

1.907

1.907

1.907

1.907

1.907

1.907

Mozambico

2.035

2.072

..

..

3.070

3.123

3.123

Namibia

2.382

..

..

..

..

2.382

2.382

Marocco

Niger

..

..

..

..

..

..

3.528

Nigeria

3.557

3.505

3.505

3.505

3.528

3.505

3.505

Ruanda

..

..

..

..

..

..

..

Senegal

906

..

..

..

..

906

906

..

..

..

..

..

..

..

Seychelles Sierra Leone

..

..

..

..

..

84

84

22.657

22.657

20.041

20.247

20.247

20.247

24.487

5.901

4.578

..

5.478

5.478

5.978

5.478

301

..

301

..

301

301

301

4.582

4.582

4.582

4.582

4.582

4.582

4.582

568

..

568

..

568

568

568

Tunisia

2.163

1.909

1.909

1.909

1.909

2.153

2.218

Uganda

259

259

..

259

..

644

644

Zambia

1.273

1.273

1.273

1.273

1.273

1.673

1.673

Zimbabwe

2.700

2.910

..

..

..

3.077

3.077

Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania Togo

267


Databook

Fig. 14 Dati aereoporti (Fonte: Teh-Ambrosetti su dati CIA, 2010) Paesi

Concentrazione aereoporti su superficie Paese (ogni 100 km)

Totale Aereoporti 2009

Aereporti con pavimentazione 2009

% aereporti con pavimentazione sul totale aereporti

Algeria

143

0,011

57

40

Angola

192

0,006

30

16

Benin

5

0,015

1

20

Botswana

77

0,004

9

12

Burkina Faso

26

0,013

2

8

Burundi

8

0,009

1

13

Camerun

36

0,029

11

31

Capo Verde

10

0,008

9

90

Centrafricana, Repubblica

40

0,248

2

5

Ciad

54

0,006

8

15

4

0,004

4

100

Comore Congo, Repubblica Democratica Congo, Repubblica

25

0,215

6

24

194

0,001

26

13

Costa d'Avorio

28

0,057

7

25

Gibuti

13

0,009

3

23

Egitto

85

0,056

72

85

7

0,009

6

86

Eritrea

14

0,025

4

29

Etiopia

63

0,012

17

27

Gabon

44

0,006

13

30

Gambia

1

0,016

1

100

Gana, Repubblica

11

0,009

7

64

Guinea

17

0,005

5

29

9

0,007

2

22

181

0,025

16

9

26

0,031

3

12

Guinea Equatoriale

Guinea-Bissau Kenya Lesotho Liberia Libia

33

0,086

2

6

137

0,033

59

43

Madagascar

88

0,008

27

31

Malawi

32

0,015

6

19

Mali

22

0,027

8

36

Mauritania

27

0,002

9

33

Mauritius

5

0,003

2

40

Marocco

58

0,245

32

55

Mozambico

155

0,008

23

15

Namibia

129

0,019

21

16

Niger

28

0,016

10

36

Nigeria

56

0,002

38

68

Ruanda

9

0,006

4

44

Senegal

19

0,200

10

53

Seychelles

14

0,010

8

57

Sierra Leone

9

3,070

1

11

Sudafrica

607

0,009

148

24

Sudan

121

0,050

19

16

14

0,005

1

7

125

0,081

9

7

8

0,013

2

25

Tunisia

32

0,014

16

50

Uganda

35

0,019

5

14

97

0,015

9

9

0,013

19

9

Swaziland Tanzania Togo

Zambia Zimbabwe

268


Databook

Fig. 15 Strade, lunghezza totale (km) (Fonte: World Bank, 2010) Paesi

Strade, lunghezza totale (km) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

Algeria

104.000

..

..

108.302

..

109.563

Angola

51.429

..

..

..

..

51.492

Benin

19.000

..

..

19.000

..

16.000

Botswana

24.102

24.102

25.233

24.455

25.798

25.798

Burkina Faso

92.495

..

..

92.495

..

92.495

Burundi

14.480

..

..

12.322

..

12.322

Camerun

50.000

..

..

50.000

..

50.000

Capo Verde

1.350

..

..

..

..

1.350

Centrafricana, Repubblica

24.307

..

..

..

..

24.307

Ciad

33.400

33.400

..

..

..

33.400

880

880

..

..

..

880

Comore Congo, Repubblica Democratica

156.741

..

..

153.497

..

151.564

Congo, Repubblica

13.400

..

..

17.289

..

18.241

Costa d'Avorio

58.500

..

..

80.000

..

80.000

Gibuti

3.065

..

..

..

..

3.065

Egitto

69.800

..

..

92.370

..

98.734

2.880

..

..

..

..

2.880

Guinea Equatoriale Eritrea

4.010

..

..

..

..

4.010

Etiopia

32.871

33.297

33.856

36.469

37.018

39.477

Gabon

8.547

..

..

9.170

..

10.235

Gambia

2.867

..

3.742

3.742

..

3.845

Gana, Repubblica

46.179

..

47.787

54.311

57.613

62.221

Guinea

32.432

..

44.348

..

..

45.478

3.455

3.455

..

..

..

3.455

63.942

..

..

63.265

..

63.265

6.134

..

7.091

..

..

8.673

Liberia

10.600

..

..

..

..

10.600

Libia

95.789

..

100.024

..

..

124.568

Madagascar

56.763

..

65.663

..

..

70.987

Malawi

15.451

..

15.451

..

..

15.451

Mali

15.700

..

..

18.709

..

20.765

8.589

..

..

..

..

11.066

Guinea-Bissau Kenya Lesotho

Mauritania Mauritius

2.000

2.000

2.015

2.015

..

2.028

Marocco

57.679

57.694

57.734

57.493

57.626

57.626

Mozambico

30.400

..

..

..

..

30.400

Namibia

54.352

42.237

..

..

..

54.352

Niger

14.658

14.657

15.074

18.387

18.423

18.550

Nigeria

193.200

..

..

193.200

..

193.200

Ruanda

12.600

..

..

14.008

..

16.348

Senegal

13.576

..

13.576

..

..

13.576

458

..

458

..

..

458

11.330

11.300

..

..

..

11.300

364.131

..

..

..

..

367.153

Seychelles Sierra Leone Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania Togo

11.900

..

..

..

..

11.900

3.584

3.594

..

..

..

3.678

78.891

..

78.891

..

..

81.245

7.520

..

..

..

..

7.520

Tunisia

18.997

..

..

19.232

..

20.245

Uganda

70.746

..

70.746

..

..

70.746

Zambia

91.440

..

..

..

..

112.675

Zimbabwe

97.267

97.267

..

..

..

97.267

269


Databook

Fig. 16 Dati elettrificazione (Fonte: UNDP HDI 2008 e World Bank, 2010) Paesi

% di elettrificazione (2005)

Produzione energia elettrica in Kwh (2006)

Consumo totale elettricitĂ in Kwh (2006)

Consumo pro capite elettricitĂ in Kwh (2006)

Algeria

98

35.226.000.000

29.013.000.000

869,93

Angola

15

2.959.000.000

2.530.000.000

148,05

Benin

22

127.000.000

602.000.000

74,06

Botswana

39

1.042.000.000

2.637.000.000

1.419,14

7

..

..

..

Burkina Faso Burundi

15

..

..

..

Camerun

47

3.954.000.000

3.374.000.000

185,64

Capo Verde

45

..

..

..

Centrafricana, Repubblica

15

..

..

..

Ciad

15

..

..

..

Comore

35

..

..

..

Congo, Repubblica Democratica

20

7.886.000.000

5.801.000.000

95,66

6

453.000.000

573.000.000

164,37

Costa d'Avorio

50

5.530.000.000

3.433.000.000

174,5

Gibuti

35

..

..

..

Egitto

98

115.407.000.000

102.475.000.000

1.303,72

Guinea Equatoriale

45

..

..

..

Congo, Repubblica

Eritrea

20

269.000.000

..

..

Etiopia

15

3.269.000.000

2.942.000.000

38,39 1.017,47

Gabon

48

1.726.000.000

1.420.000.000

Gambia

35

..

..

..

Gana, Repubblica

49

8.429.000.000

6.985.000.000

311,92

Guinea

35

..

..

..

Guinea-Bissau

15

..

..

..

Kenya

14

6.477.000.000

5.313.000.000

145,35

Lesotho

11

..

..

..

Liberia

-

..

..

..

Libia

97

23.992.000.000

22.273.000.000

3.688,41

Madagascar

15

..

..

..

7

..

..

..

Malawi Mali

15

..

..

..

Mauritania

35

..

..

..

Mauritius

94

..

..

..

Marocco

85

23.192.000.000

20.893.000.000

685,09

6

14.737.000.000

9.676.000.000

461,39

34

1.606.000.000

3.163.000.000

1.545,52

Mozambico Namibia Niger

15

..

..

..

Nigeria

46

23.110.000.000

16.848.000.000

116,42

Ruanda

15

..

..

..

Senegal

33

2.439.000.000

1.816.000.000

156,78

Seychelles

45

..

..

..

Sierra Leone

15

..

..

..

Sudafrica

70

251.910.000.000

227.945.000.000

4.809,88

Sudan

30

4.209.000.000

3.570.000.000

90,28

Swaziland

45

..

..

..

Tanzania

11

2.776.000.000

2.319.000.000

57,81

Togo

17

221.000.000

625.000.000

101,71

Tunisia

99

14.122.000.000

12.363.000.000

1.220,66

Uganda

9

..

..

..

Zambia

19

9.385.000.000

8.534.000.000

710,01

Zimbabwe

34

9.776.000.000

11.903.000.000

955,35

270


Databook

Fig. 17 Broadband ogni 1000 abitanti (Fonte: World Bank) Paesi

Broadband per 1000 abitanti 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

0,00

0,00

0,56

1,11

4,11

5,10

8,48

Angola

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,44

0,67

..

Benin

0,00

0,00

0,00

0,01

0,02

0,18

0,24

..

Botswana

0,00

0,00

0,00

0,00

0,87

0,97

1,88

..

Burkina Faso

0,00

0,00

0,01

0,01

0,03

0,12

..

..

Burundi

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

0,02

Camerun

0,00

0,00

0,00

0,00

0,01

0,02

..

..

Capo Verde

0,00

0,00

0,00

0,60

1,96

15,42

14,86

14,80

Centrafricana, Repubblica

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

..

Ciad

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

..

Comore

0,00

0,00

0,00

0,00

0,01

..

..

..

Congo, Repubblica Democratica

0,00

0,00

0,02

0,03

0,03

0,02

0,02

..

Congo, Repubblica

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

..

Costa d'Avorio

0,00

0,00

0,02

0,04

0,06

0,51

..

..

Gibuti

0,00

0,00

0,00

0,00

0,05

..

..

..

Egitto

0,00

0,01

0,07

0,39

1,83

3,25

5,96

9,43

Guinea Equatoriale

0,00

0,00

0,00

0,00

0,30

..

..

..

Eritrea

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

Etiopia

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

.. ..

Gabon

0,00

0,00

0,13

0,48

1,12

1,26

1,39

Gambia

0,00

0,00

0,00

0,02

0,05

..

0,17

..

Ghana

0,00

0,00

0,00

0,04

0,09

0,57

0,71

0,74

Guinea

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

..

Guinea-Bissau

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

Kenya

0,00

0,00

0,00

..

0,15

0,48

0,47

..

Lesotho

0,00

0,00

0,00

0,01

0,02

..

..

Liberia

0,00

0,00

0,00

..

..

..

..

..

..

..

..

..

..

1,60

..

..

Libia Madagascar

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,07

0,14

0,33

Malawi

0,00

0,00

0,01

0,01

0,03

..

0,11

..

Mali

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,26

0,26

0,41

Mauritania

0,00

0,00

0,00

0,00

0,06

0,32

1,28

1,84

Mauritius

0,00

0,24

0,97

2,08

4,34

22,26

48,78

57,55

Marocco

0,00

0,07

0,09

2,17

8,27

12,85

15,47

15,49

Mozambico

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

..

Namibia

0,00

0,00

0,00

0,00

0,07

0,10

0,12

..

Niger

0,00

0,00

0,00

0,01

0,02

..

..

Nigeria

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

0,17

0,00

0,00

0,13

0,13

0,19

0,27

0,44

Ruanda

0,00

Senegal

0,00

0,12

0,22

0,70

1,60

2,50

3,21

3,88

Seychelles

0,00

0,00

0,00

4,23

11,44

29,26

41,08

39,58

Sierra Leone

..

0,00

..

..

..

..

..

..

Sudafrica

..

0,06

0,44

1,29

3,52

7,07

7,90

..

Sudan

0,00

0,00

0,00

0,02

0,03

0,05

1,05

..

Swaziland

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

Tanzania

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

..

..

..

Togo

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,00

0,19

0,30

Tunisia

0,00

0,00

0,03

0,29

1,75

4,33

9,38

22,01

Uganda

0,00

0,00

0,00

0,00

0,03

0,04

0,06

0,15

Zambia

0,00

0,00

0,01

0,02

0,02

0,19

..

0,45

Zimbabwe

0,06

0,23

0,51

0,72

0,82

0,82

1,22

..

271


Databook

Fig. 18 Utenti internet (1.000 abitanti) (Fonte: World Bank) Country

Utenti internet (1.000 abitanti) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

6,46

15,92

21,95

46,35

58,44

73,76

103,39

..

Angola

1,36

2,7

3,71

4,65

11,43

19,08

28,37

30,52

Benin Botswana Burkina Faso

3,63

7,03

9,51

11,83

12,71

15,38

17,87

18,47

34,22

33,8

33,42

33,06

32,68

43,05

53,15

41,99

1,55

1,97

3,67

3,94

4,64

6,27

7,44

9,21

Burundi

1,06

1,18

2,01

3,49

5,42

6,58

7,02

8,05

Camerun

2,77

3,61

5,88

9,76

14,05

20,36

29,55

..

26,85

35,19

43,25

53,19

60,74

68,09

82,83

206,15

0,76

1,25

1,48

2,18

2,62

3,05

3,68

4,3

Capo Verde Centrafricana, Repubblica Ciad

0,46

1,64

3,17

3,57

3,94

5,73

8,36

11,75

Comore

4,53

5,68

8,69

13,61

33,31

34,22

35,17

..

Congo, Repubblica Democratica

0,12

0,93

1,36

1,98

2,39

2,97

3,69

4,52

Congo, Repubblica

0,32

1,57

4,6

10,78

14,63

20,08

27,6

42,88

Costa d'Avorio

3,96

4,98

7,59

8,49

10,39

15,25

22,36

32,05

Gibuti

4,42

5,9

8,37

11,39

12,43

13,44

..

..

Egitto

8,39

26,07

40,38

51,51

117

125,16

131,56

154,17

Guinea Equatoriale

1,65

3,21

5,21

8,44

11,5

12,79

15,57

18,2

Eritrea

1,57

2,25

7,18

11,48

17,67

21,31

24,78

30,02

Etiopia

0,37

0,72

1,06

1,55

2,2

3,11

3,7

4,46

Gabon

13,48

19,4

26,6

29,79

48,93

54,89

57,67

62,15

Gambia

13,37

17,97

24,37

33,08

37,99

52,38

62,05

68,79

2

8,3

11,93

17,17

18,31

27,23

38,48

42,7

Ghana Guinea Guinea-Bissau

1,76

4,02

4,51

5,09

5,42

6,37

7,8

9,15

3

10,23

13,54

18,08

19,01

20,57

22,06

23,55

Kenya

6,24

12,15

29,6

30,42

31,21

75,79

79,93

87,18

Lesotho

2,62

10,87

15,39

21,87

25,99

30,08

34,9

36,34

Liberia

0,34

0,33

0,32

0,31

..

..

5,51

..

Libia

3,67

22,45

28,16

35,35

39,21

43,06

47,32

..

Madagascar

2,23

3,4

4,23

5,25

5,68

6,08

6,5

16,54

Malawi

1,67

2,2

2,86

3,58

3,97

4,4

10,02

22,14

Mali

1,94

2,36

3,2

4,44

5,17

7,39

8,11

9,83

Mauritania

2,65

3,68

4,28

4,86

6,75

9,86

14,42

..

Mauritius

88,34

103,29

122,67

194,59

241,3

255,39

269,69

299,49

Marocco

13,87

23,99

33,87

117,3

152,61

200,02

213,86

329,82

Mozambico Namibia Niger

1,61

2,61

4,23

6,87

8,67

8,58

9,36

16,07

23,52

25,74

33,02

37,62

39,89

44,03

48,56

53,69

1,04

1,26

1,54

1,87

2,19

2,91

3,89

5,45

Nigeria

0,9

3,2

5,57

12,82

35,37

55,28

67,58

72,69

Ruanda

2,41

2,93

3,57

4,31

5,56

10,86

21,15

30,86

Senegal Seychelles Sierra Leone Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania

9,84

10,06

21,01

43,86

47,87

56,12

68,95

83,53

110,83

140,22

144,93

242,42

253,32

342,79

376,33

370,65

1,6

1,76

1,9

2,03

2,15

2,28

2,4

2,5

64,49

68,51

71,68

86,3

76,77

78,07

82,88

86

1,4

4,39

5,38

7,92

12,92

80,92

86,56

91,9

12,82

18,16

24,37

32,29

36,97

36,97

40,99

41,27

1,71

2,22

6,77

8,78

9,85

9,72

9,69

12,24

Togo

27,76

36,02

36,85

37,82

50,07

52,08

54,17

54,19

Tunisia

42,38

51,68

64,03

84,07

95,1

127,85

168,42

271,14

Uganda

2,38

3,84

4,65

7,2

17,42

25,29

36,72

78,97

Zambia

2,33

4,78

9,8

20,14

28,52

41,6

48,73

55,47

8

39,94

63,95

65,64

80,16

97,92

108,52

114,02

Zimbabwe

272


Databook

Fig. 19 Utenti di telefonia mobile ogni1.000 abitanti (Fonte: World Bank) Paesi

Utenti di telefonia mobile ogni 1.000 abitanti 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

Algeria

3,23

14,33

45,38

150,85

415,82

629,60

814,20

Angola

5,24

9,50

23,06

47,33

100,10

136,75

194,31

Benin Botswana Burkina Faso

16,76

28,39

29,66

55,85

70,23

120,52

209,94

189,50

250,67

291,24

288,05

307,08

442,95

758,47

6,21

8,77

18,20

29,31

45,47

70,80

109,02

Burundi

4,89

7,38

8,77

13,29

19,47

24,47

29,43

Camerun

25,70

42,19

63,28

87,93

126,58

172,54

244,76

Capo Verde

68,30

90,92

110,28

132,84

161,25

209,92

279,10

Centrafricana, Repubblica

2,80

3,15

9,85

14,55

23,86

25,79

29,93

Ciad

2,50

3,75

6,87

12,54

20,70

44,52

85,32

-

-

3,47

14,25

25,85

60,10

63,91

Comore Congo, Repubblica Democratica

2,88

10,46

22,59

34,98

46,75

72,81

105,64

Congo, Repubblica

45,66

65,87

95,69

108,70

135,74

216,84

354,15

Costa d'Avorio

41,91

58,05

71,22

91,62

126,42

214,94

365,89

4,01

19,67

29,61

43,63

54,78

53,88

54,02

Gibuti Egitto

41,23

65,14

82,51

106,82

187,09

242,71

398,15

Guinea Equatoriale

34,03

70,91

89,84

130,90

200,17

282,46

433,46

Eritrea

-

-

-

4,59

8,93

13,21

14,46

Etiopia

0,41

0,72

0,72

2,12

5,46

11,23

15,28

Gabon

124,45

227,52

240,17

385,29

570,77

685,06

878,83

Gambia

38,50

67,69

97,96

111,42

153,04

243,14

466,31

Ghana

11,83

18,34

36,87

76,85

127,56

226,32

324,11

Guinea

6,66

10,66

12,86

17,54

20,99

-

-

-

-

0,85

25,47

61,88

95,61

174,80

Guinea-Bissau Kenya

18,71

36,07

47,09

73,43

129,55

200,81

304,82

Lesotho

29,83

71,41

64,60

99,81

126,10

179,42

227,34

Liberia

0,63

6,50

14,36

28,18

46,49

78,24

150,01

Libia

9,16

12,57

22,35

86,21

337,94

650,40

730,94

Madagascar

8,85

9,51

16,08

18,41

27,37

54,59

112,74

Malawi

4,67

7,02

10,75

17,23

32,46

51,58

75,49

Mali Mauritania

2,33

4,33

22,62

36,12

65,63

126,41

201,30

41,81

90,87

125,29

181,25

251,63

348,31

416,54

Mauritius

227,04

287,67

378,15

444,10

528,31

616,22

741,26

Marocco

165,50

212,39

249,31

312,91

411,14

524,80

649,03

Mozambico Namibia

8,18

13,31

22,22

35,26

73,25

111,55

154,41

55,72

77,23

113,62

143,49

222,24

297,50

385,93

Niger

0,18

4,82

6,66

13,46

24,42

35,16

63,40

Nigeria

2,08

11,95

23,39

66,28

131,49

223,34

272,97

Ruanda

7,62

9,40

14,67

15,16

24,15

33,20

65,24

Senegal Seychelles Sierra Leone Sudafrica Sudan Swaziland Tanzania

28,45

50,82

69,99

97,74

146,99

247,06

332,20

451,75

534,42

594,55

659,02

709,36

831,44

908,81

5,72

13,61

21,93

-

-

-

132,69

240,71

302,84

368,11

449,62

724,21

836,91

888,89

3,05

5,49

14,88

29,01

49,54

113,72

193,59

51,50

62,49

76,89

129,48

176,83

219,70

331,91

7,94

17,04

53,13

51,78

88,10

146,14

204,10

Togo

17,04

29,60

41,24

54,78

69,51

110,45

180,89

Tunisia

40,23

58,71

194,87

376,11

566,43

724,62

765,25

Uganda

11,13

14,96

28,60

41,57

45,44

67,19

135,64

Zambia

11,36

12,80

21,77

41,20

82,73

142,21

221,40

Zimbabwe

24,59

26,35

28,10

32,69

49,32

64,19

91,45

273


Databook

Fig. 20 Popolazione paesi africani (Fonte: World Bank) Paesi

Popolazione (Milioni) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

30,95

31,41

31,89

32,37

32,85

33,35

33,85

34,36

Angola

14,70

15,16

15,65

16,14

16,62

17,09

17,55

18,02 8,66

Benin

6,88

7,11

7,36

7,61

7,87

8,13

8,39

Botswana

1,75

1,78

1,80

1,82

1,84

1,86

1,88

1,90

12,26

12,66

13,08

13,51

13,93

14,36

14,78

15,21

Burkina Faso Burundi

6,60

6,77

6,96

7,16

7,38

7,60

7,84

8,07

Camerun

16,24

16,63

17,02

17,41

17,80

18,17

18,53

18,90

Capo Verde

0,45

0,45

0,46

0,47

0,48

0,48

0,49

0,50

Centrafricana, Repubblica

3,93

4,00

4,06

4,12

4,19

4,26

4,34

4,42

Ciad

8,78

9,12

9,47

9,81

10,15

10,47

10,76

11,07

Comore

0,55

0,56

0,58

0,59

0,60

0,61

0,63

0,64

52,04

53,54

55,17

56,92

58,74

60,64

62,40

64,21

3,10

3,18

3,26

3,34

3,42

3,49

3,55

3,62

Congo, Repubblica Democratica Congo, Repubblica Costa d'Avorio

17,69

18,07

18,45

18,84

19,24

19,67

20,12

20,59

Gibuti

0,75

0,76

0,78

0,79

0,80

0,82

0,83

0,85

Egitto

71,52

72,89

74,30

75,72

77,15

78,60

80,06

81,53

0,54

0,56

0,58

0,59

0,61

0,63

0,64

0,66

Guinea Equatoriale Eritrea

3,83

4,00

4,18

4,35

4,53

4,69

4,84

5,00

Etiopia

67,27

69,06

70,88

72,75

74,66

76,63

78,65

80,71

Gabon

1,26

1,29

1,32

1,34

1,37

1,40

1,42

1,45

Gambia

1,35

1,39

1,44

1,48

1,53

1,57

1,62

1,66

20,00

20,47

20,95

21,44

21,92

22,39

22,87

23,35

Gana, Repubblica Guinea

8,54

8,71

8,87

9,04

9,22

9,41

9,62

9,83

Guinea-Bissau

1,34

1,37

1,40

1,44

1,47

1,51

1,54

1,58

32,07

32,91

33,78

34,67

35,60

36,55

37,53

38,53

1,91

1,93

1,95

1,97

1,98

1,99

2,01

2,02

Liberia

2,96

3,06

3,14

3,22

3,33

3,47

3,63

3,79

Libia

5,46

5,57

5,68

5,80

5,92

6,04

6,16

6,28

Kenya Lesotho

Madagascar

15,73

16,19

16,66

17,13

17,61

18,11

18,60

19,11

Malawi

11,94

12,26

12,57

12,89

13,23

13,57

13,92

14,28

Mali

10,30

10,61

10,93

11,26

11,61

11,97

12,33

12,71

2,64

2,72

2,80

2,88

2,96

3,04

3,12

3,20

Mauritania Mauritius

1,20

1,21

1,22

1,23

1,24

1,25

1,26

1,27

Marocco

28,83

29,18

29,52

29,84

30,14

30,50

30,86

31,23

Mozambico

18,66

19,13

19,61

20,08

20,53

20,97

21,37

21,78

1,91

1,94

1,97

1,99

2,02

2,05

2,08

2,11

Namibia Niger

11,53

11,94

12,37

12,81

13,26

13,74

14,20

14,67

Nigeria

128,04

131,34

134,66

138,00

141,36

144,72

147,98

151,32

Ruanda

8,31

8,54

8,69

8,82

8,99

9,21

9,45

9,72

Senegal

10,16

10,43

10,71

10,99

11,28

11,58

11,89

12,21

0,08

0,08

0,08

0,08

0,08

0,08

0,09

0,09

Seychelles Sierra Leone

4,37

4,54

4,73

4,93

5,11

5,27

5,42

5,56

Sudafrica

44,81

45,25

45,80

46,35

46,89

47,39

47,85

48,69

Sudan

35,67

36,41

37,14

37,90

38,70

39,55

40,43

41,35

1,09

1,10

1,11

1,12

1,12

1,14

1,15

1,17

35,03

35,96

36,93

37,95

39,01

40,12

41,28

42,48

5,40

5,55

5,70

5,84

5,99

6,14

6,30

6,46

Swaziland Tanzania Togo Tunisia

9,67

9,78

9,84

9,93

10,03

10,13

10,23

10,33

Uganda

25,22

26,04

26,89

27,78

28,70

29,65

30,64

31,66

Zambia

10,72

10,97

11,22

11,47

11,74

12,02

12,31

12,62

Zimbabwe

12,50

12,52

12,51

12,49

12,48

12,46

12,45

12,46

274


Databook

Fig. 21 Popolazione rurale su popolazione totale % (Fonte: World Bank) Paesi Algeria Angola Benin

Popolazione rurale su popolazione totale (%) 2001

2002

39,5

2003

38,8

2004

38,1

2005

2006

2007

2008

37,4

36,7

36,06

35,42

34,78

50

49

48

47

46

45,1

44,2

43,3

61,36

61,02

60,68

60,34

60

59,6

59,2

58,8

Botswana

45,98

45,16

44,34

43,52

42,7

41,94

41,18

40,42

Burkina Faso

83,06

82,72

82,38

82,04

81,7

81,28

80,86

80,44

Burundi

91,46

91,22

90,98

90,74

90,5

90,2

89,9

89,6

Camerun

49,22

48,34

47,46

46,58

45,7

44,88

44,06

43,24

Capo Verde

45,8

45

44,2

43,4

42,6

41,86

41,12

40,38

Centrafricana, Repubblica

62,3

62,2

62,1

62

61,9

61,74

61,58

61,42

Ciad

76,22

75,84

75,46

75,08

74,7

74,24

73,78

73,32

Comore

71,94

71,98

72,02

72,06

72,1

72,04

71,98

71,92

Congo, Repubblica Democratica

69,74

69,28

68,82

68,36

67,9

67,28

66,66

66,04

Congo, Repubblica

41,32

40,94

40,56

40,18

39,8

39,42

39,04

38,66

Costa d'Avorio

55,84

55,18

54,52

53,86

53,2

52,54

51,88

51,22

Gibuti

16,14

15,58

15,02

14,46

13,9

13,5

13,1

12,7

Egitto

57,4

57,4

57,4

57,4

57,4

57,36

57,32

57,28

Guinea Equatoriale

61,18

61,16

61,14

61,12

61,1

60,94

60,78

60,62

Eritrea

81,88

81,56

81,24

80,92

80,6

80,16

79,72

79,28

Etiopia

84,86

84,62

84,38

84,14

83,9

83,6

83,3

83

19,2

18,5

17,8

17,1

16,4

15,92

15,44

14,96

Gabon Gambia

49,94

48,98

48,02

47,06

46,1

45,26

44,42

43,58

Gana, Repubblica

55,24

54,48

53,72

52,96

52,2

51,46

50,72

49,98

Guinea Guinea-Bissau Kenya Lesotho

68,6

68,2

67,8

67,4

67

66,52

66,04

65,56

70,32

70,34

70,36

70,38

70,4

70,32

70,24

70,16

80,1

79,9

79,7

79,5

79,3

79

78,7

78,4

79,34

78,68

78,02

77,36

76,7

75,98

75,26

74,54

Liberia

44,94

44,18

43,42

42,66

41,9

41,22

40,54

39,86

Libia

23,48

23,36

23,24

23,12

23

22,82

22,64

22,46

Madagascar

72,62

72,34

72,06

71,78

71,5

71,16

70,82

70,48

Malawi

84,38

83,96

83,54

83,12

82,7

82,2

81,7

81,2

Mali

71,58

71,06

70,54

70,02

69,5

68,94

68,38

67,82

Mauritania

59,92

59,84

59,76

59,68

59,6

59,4

59,2

59

Mauritius

57,38

57,46

57,54

57,62

57,7

57,64

57,58

57,52

Marocco

46,36

46,02

45,68

45,34

45

44,66

44,32

43,98

Mozambico

68,54

67,78

67,02

66,26

65,5

64,72

63,94

63,16

Namibia

67,06

66,52

65,98

65,44

64,9

64,32

63,74

63,16

Niger

83,78

83,76

83,74

83,72

83,7

83,62

83,54

83,46

Nigeria

56,76

56,02

55,28

54,54

53,8

53,08

52,36

51,64

Ruanda

85,46

84,72

83,98

83,24

82,5

82,22

81,94

81,66

Senegal

59,2

59

58,8

58,6

58,4

58,14

57,88

57,62

Seychelles

48,62

48,24

47,86

47,48

47,1

46,62

46,14

45,66

Sierra Leone

64,24

63,98

63,72

63,46

63,2

62,88

62,56

62,24

Sudafrica

42,62

42,14

41,66

41,18

40,7

40,22

39,74

39,26

Sudan

62,96

62,02

61,08

60,14

59,2

58,32

57,44

56,56

Swaziland

76,54

76,38

76,22

76,06

75,9

75,62

75,34

75,06 74,48

Tanzania

77,32

76,94

76,56

76,18

75,8

75,36

74,92

Togo

62,82

62,14

61,46

60,78

60,1

59,4

58,7

58

Tunisia

36,22

35,84

35,46

35,08

34,7

34,3

33,9

33,5

Uganda

87,82

87,74

87,66

87,58

87,5

87,34

87,18

87,02

Zambia

65,16

65,12

65,08

65,04

65

64,86

64,72

64,58

Zimbabwe

65,78

65,36

64,94

64,52

64,1

63,62

63,14

62,66

275


Databook

Fig. 22 Tasso di iscrizione alla scuola primaria (%), Fonte: World Bank Paesi

Tasso di iscrizione alla scuola primaria (%) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

93,8

95,48

96,33

96,72

96,62

95,18

95,35

..

Angola

..

..

..

..

..

..

..

.. ..

Benin

..

..

78,93

82,22

77,72

80,17

..

Botswana

83,47

83,93

84,26

85,33

83,99

..

..

..

Burkina Faso

36,06

35,4

37,21

39,62

44,07

46,94

52,15

58,15

Burundi

51,24

50,24

53,61

55,18

58,28

74,6

81,24

..

..

..

..

..

..

..

..

..

91,3

95,07

94,18

91,79

90,08

87,8

84,51

..

..

..

..

..

45,1

45,61

53,83

56,21

54,46

58,31

60,22

..

..

..

..

..

..

..

..

..

..

..

..

..

Camerun Capo Verde Centrafricana, Repubblica Ciad Comoros Congo Corte d'Avorio Dem. Rep. of the Congo

..

..

..

..

..

..

..

..

56,41

57,36

54,93

..

..

..

..

..

..

..

..

..

..

54,71

53,82

..

Gibuti

28,81

29,54

31,39

32,82

34,42

37,75

40,06

45,3

Egitto

93,56

93,94

94,83

95,96

93,74

93,88

95,75

..

Guinea Equatoriale

93,11

91,75

87,07

..

..

..

67,08

..

Eritrea

39,1

43,23

46,87

48,33

48,58

46,54

41,19

..

Etiopia

41,87

43,91

44,91

48,17

59,58

65,22

71,38

..

Gabon

87,99

..

..

..

..

..

..

..

Gambia

68,69

66,58

69,55

63,41

61,11

72,28

70,97

66,53

Ghana

55,39

58,19

60,93

56,94

63,86

63,61

71,56

72,9

Guinea

51,58

59,62

63,58

67,17

69,41

71,57

73,64

..

Guinea-Bissau

45,15

..

..

..

..

..

..

..

Kenya

..

62,36

74,86

74,17

75,82

75,48

86,29

..

77,75

77,99

78,22

75,94

75,2

72,36

..

..

Liberia

..

..

..

..

..

39,47

..

30,86

Libia

..

..

..

..

..

..

..

..

65,86

66,85

76,83

88,96

92,93

95,91

98,46

..

..

..

..

93,83

92,77

91,12

87,01

..

Lesotho

Madagascar Malawi Mali

..

53,94

53,84

53,85

59,13

60,51

63,02

..

68,1

69,31

70,62

78,28

76,72

79,5

80,44

..

Mauritius

92,37

93,94

95,57

94,83

94,96

95,03

95,38

..

Marocco

80,52

85,3

86,96

86,81

87,45

88,11

88,85

..

Moambico

60,84

56,87

..

71,11

76,6

76,05

..

..

Namibia

82,25

84,1

84,58

83,02

84,09

83,84

86,52

..

Mauritania

Niger

30,7

34,13

38,02

41,83

42,47

43,42

44,89

..

Nigeria

..

..

61,13

62,19

62,98

63,81

..

..

Ruanda

68,36

70,47

75,36

71,55

78,72

91,47

93,6

..

Senegal

57,92

53,49

63,04

67,57

69,64

70,72

71,92

..

Seychelles

93,88

93,99

94,82

99,4

..

..

..

..

Sierra Leone Sudafrica Sudan

..

..

..

..

..

..

..

..

91,3

90,37

90,12

88,31

86,32

85,32

85,76

..

..

..

..

..

..

..

..

..

Tanzania

75,34

74,77

74,63

77,11

78,15

84,17

87,01

..

Swaziland

58,45

74,05

83,15

87,96

92,54

97,85

..

..

77,3

79,88

76,61

78,29

77,51

80,13

77,23

..

Tunisia

94,69

96,33

97,01

97,38

97,03

96,1

95,05

..

Uganda

..

..

..

..

..

..

94,61

..

Togo

Zambia

66,95

69,15

..

83,19

92,03

91,99

94,05

..

Zimbabwe

85,67

82,64

81,74

..

..

87,8

..

..

276


Databook

Fig. 23 Completameto scuola elementare su totale iscritti (%), Fonte World Bank Country

Completameto scuola elementare su totale iscritti (%) 2001

2002

2003

2004

2005

2006

2007

2008

Algeria

89,44

91,48

92,91

94,34

95,83

85,23

95,14

..

Angola

..

..

..

..

..

..

..

.. ..

Benin

38,8

40,91

45,06

48,65

64,66

64,4

..

Botswana

92,53

94,08

94,31

94,29

94,61

..

..

..

Burkina Faso

26,14

26,66

28

29,09

30,28

31,29

33,3

37,07

Burundi

25,26

25,56

29,91

32,21

34,62

36,27

39,23

..

..

51,28

57,07

59,16

52,1

51,79

55,47

..

96,09

97,09

97,58

95,42

81,36

92,25

86,24

..

..

..

24,9

22,19

24,29

24,38

30,24

30,45

24,69

27,58

32,67

34,49

31,19

30,8

30,43

..

..

47,83

46,95

50,37

50,49

..

..

..

Camerun Capo Verde Centrafricana, Repubblica Ciad Comore Congo, Repubblica Democratica

..

38,53

..

..

..

..

50,68

..

Congo, Repubblica

54,53

56,94

53,52

76,86

67,1

73,21

72,27

..

Costa d'Avorio

42,24

..

..

..

..

42,84

44,69

..

Gibuti

27,68

..

32,92

32,7

31,22

35,48

..

..

Egitto

95,08

93,23

93,39

94,94

97,99

93,8

98,45

..

Guinea Equatoriale

55,88

54,29

47,79

..

58,25

..

66,72

..

Eritrea

36,68

35,22

38,62

43,61

51,59

48,91

46,38

..

Etiopia

26,62

29,96

32,96

35,63

41,33

45,42

46,28

..

Gabon

..

75,97

74,7

..

..

..

..

..

Gambia

74,87

72,43

75,2

66,01

63,82

70,41

71,58

69,02

Gana, Repubblica

62,45

..

65,21

64,48

70,68

..

..

77,7

Guinea

35,06

39,53

40,11

51,02

58,3

63,73

64,2

..

Guinea-Bissau

26,94

..

..

..

..

..

..

..

Kenya Lesotho

..

..

..

90,04

92,62

..

..

..

62,09

63,33

65,34

67,45

62,3

78,32

..

..

Liberia

..

..

..

..

..

63,43

..

54,74

Libia

..

..

..

..

..

..

..

..

..

35,29

39,17

45,14

57,62

56,87

61,52

..

65,88

67,86

..

57,26

56,17

55,07

55,36

..

Madagascar Malawi Mali

36,99

37,67

40,69

42,55

44,11

49,42

52,18

..

Mauritania

48,57

45,98

47,21

44,28

46,01

47,14

59,44

..

Mauritius

105,63

103,2

100,37

99,39

97,22

92,3

93,53

..

Marocco

58,78

61,72

66,63

74,94

80,3

84,02

83,38

..

Mozambico

18,83

22,22

..

29,51

41,67

41,81

46,32

..

Namibia

86,41

84,49

84,53

77,87

78,79

76,85

77,08

..

Niger

19,52

21,06

20,34

26,57

29,61

32,72

39,6

..

Nigeria

..

..

71,92

72,37

..

..

..

..

Ruanda

21,93

26,66

35,19

35,5

..

..

..

..

Senegal Seychelles

41,97

44,3

44,36

46,48

51,48

48,66

50,13

..

117,61

118,33

115,75

104,69

114,87

..

113,86

..

Sierra Leone

..

..

..

..

..

..

80,75

..

Sudafrica

..

94,69

97,09

100,21

92,15

82,32

84,45

..

Sudan

39,39

41,34

44,37

46,2

46,87

..

49,97

..

Swaziland

60,99

63,17

60,67

63,29

66,68

67,41

74,62

..

Tanzania

54,79

59,27

..

59,06

56,46

74,35

85,41

111,67

66,4

69,49

65,06

66,1

65,03

64,46

57,38

..

Tunisia

87,05

90,95

93,82

96,65

99,17

119,57

99,86

..

Uganda

57,22

59,2

59,5

55,5

54,43

..

..

..

Togo

Zambia Zimbabwe

..

59,71

..

71,13

82,72

84,04

88,09

..

89,2

82,85

81,03

..

..

..

..

..

277


Databook

Fig. 24 Classifica Doing Business (Fonte: World Bank)

Concludere un business

Rispetto dei contratti

Interscambio internazionale

Pagamento delle tasse

Protezione degli investitori

Ottenere un credito

Registrare una proprietà

Forza lavoro

Contrattare per permesissi edilizi

Iniziare un nuovo Business

Paesi

Classifica Generale "Doing Business" Africa

Classifica Doing Business

Mauritius

1

1

4

3

6

8

2

1

1

8

7

Sudafrica

2

6

5

18

11

1

1

3

25

15

8

Botswana

3

8

23

8

4

5

5

2

27

13

1

Namibia

4

18

3

5

24

3

12

17

28

4

3

Ruanda

5

2

17

2

3

7

3

10

39

3

34

Zambia

6

10

30

19

12

4

12

6

30

16

12

Ghana

7

24

32

27

1

13

5

14

5

5

16

Kenya

8

19

2

9

20

2

15

38

24

21

10

Etiopia

9

9

7

16

16

17

18

8

32

7

9

Seychelles

10

7

6

25

5

28

8

5

8

10

34

Uganda

11

21

15

1

31

13

21

12

22

20

2

Swaziland

12

34

1

6

37

5

46

9

31

24

4

Nigeria

13

13

36

4

46

8

8

26

23

17

13

Lesotho

14

23

34

7

27

13

27

11

21

18

6

Tanzania

15

17

44

26

29

8

15

23

9

1

19

Malawi

16

20

37

15

15

8

12

4

41

28

23

Madagascar

17

3

19

31

33

40

8

13

10

36

34

Mozambico

18

11

35

33

32

17

5

18

17

23

25

Gambia

19

14

12

12

18

20

44

44

4

9

22

Capo Verde

20

25

14

38

21

28

21

20

3

2

34

Burkina Faso

21

15

13

11

17

28

27

30

44

19

18

Sierra Leone

22

5

42

37

44

17

3

36

18

30

29

Liberia

23

4

26

21

43

20

27

15

11

38

30

Sudan

24

16

27

32

2

20

34

16

20

31

34

Mali

25

26

18

17

14

28

27

34

29

26

20

Senegal

26

12

24

40

39

28

43

42

2

33

11

Gabon

27

30

8

36

23

20

34

19

16

32

26

Zimbabwe

28

28

45

29

9

13

18

25

37

12

33

Comoros

29

38

9

35

13

40

21

7

15

34

34

Togo

30

39

31

34

34

28

27

32

6

35

14

Mauritania

31

29

33

22

7

28

27

43

34

14

31

Costa d'Avorio

32

40

40

24

29

28

34

31

33

22

5

Angola

33

36

22

44

42

8

8

28

40

46

28

Guinea Equatoriale

34

42

16

46

8

20

27

37

19

11

34

Camerun

35

41

37

23

28

20

18

40

26

43

15

Benin

36

32

25

28

21

28

34

39

13

44

24

Guinea

37

43

41

10

38

40

44

41

14

25

17

Niger

38

33

39

41

10

28

34

29

42

27

27

Eritrea

39

44

46

13

41

46

17

20

35

6

34

Burundi

40

22

43

14

19

40

34

22

43

41

34

Ciad

41

45

11

20

25

28

21

27

38

39

34

Congo, Rep.

42

37

10

39

40

20

34

46

45

37

21

São Tomé and Principe

43

27

21

45

35

40

34

35

7

45

34

Guinea Bissau

44

46

20

43

45

28

21

24

12

29

34

Congo, Rep. Dem.

45

31

28

42

36

40

34

33

36

41

32

Centrafricana, Rep.

46

35

29

30

26

20

21

45

46

40

34

278


Databook

Fig. 25 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2001 - (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

279


Databook

Fig. 26 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2004 - (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

280


Databook

Fig. 27 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2007 - (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

281


Databook

Fig. 28 ADAM – Ambrosetti Development Africa Map; situazione al 2008 - (Fonte: elaborazione TEH-Ambrosetti)

282




Bibliografia

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287



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