Alcune proposte per restituire dignità alle nostre terre, per assicurare un futuro alle nuove generazioni, per convincere a restare chi è costretto ad andare via, per convincere a tornare chi da tempo cerca fortuna altrove.
La Campania, con un’età media di 41 anni e un indice di vecchiaia del 106,4% (106,4 anziani ogni 100 giovani), si conferma la regione più giovane d’Italia. Essa allo stesso tempo si conferma come il luogo meno ospitale per la popolazione under 35. A darne conferma i dati sull’emigrazione: i cittadini campani che nel solo 2013 hanno lasciato la regione sono 19mila (su 132mila). Nella graduatoria stilata dal rapporto Migrantes 2014, tra le prime dieci province per emigrazione, tre sono campane: Salerno (119.095), Napoli (113.787) e Avellino (102.230). Dalla sola città di Napoli 108.000 giovani sono partiti nel periodo che va dal 2000 al 2009 (su un totale di 500.000 dal Sud). Secondo un'analisi della CGIA di Mestre, la disoccupazione giovanile "reale" presente in Campania è al 51,1%. Per lo Svimez (2014) sono 606,4mila i giovani che non studiano e non lavorano, scoraggiati al punto di non cercare più lavoro. Il tasso di dispersione scolastica è del 22,2% (dati Save the children) e in alcune aree si raggiungono punte di abbandono scolastico del 25%, dato che tende a raddoppiare nelle aree interne e nelle periferie. Intere generazioni, finora emarginate, devono riprendersi la parola avanzando proposte concrete e al tempo stesso radicali. Non è più tempo dell’attesa. Vogliamo vivere nei nostri territori, mettere a disposizione delle comunità le nostre competenze, la nostra voglia e le nostre idee, vogliamo partire solo per ritornare. Serve dunque un piano regionale per il lavoro e contro la disoccupazione giovanile. In Campania, un giovane su due non ha lavoro e se lo ha, è mal retribuito. Negli ultimi 5 anni, anche a causa del malgoverno di Stefano Caldoro, questo dato è aumentato in modo significativo. C’è da prendere atto, infatti, del fallimento di Garanzia Giovani: in Campania sono arrivati dall’Europa circa 191 Milioni di Euro, che hanno permesso di inserire in percorsi lavorativi (di cui però l’80% in forme d’impiego precarie) circa 5.400 giovani campani, a fronte di più di 51.000 iscritti al programma. Garanzia Giovani da programma finanziato dall’Unione Europea per contrastare la disoccupazione giovanile è finito per essere l’ennesima occasione sprecata dalle nostre istituzioni regionali. In un contesto dove il Jobs Act ha reso la nostra generazione precaria “a tempo indeterminato” senza né diritti, né un salario, né la prospettiva di una pensione, siamo convinti che si debba cambiare radicalmente approccio. Abbiamo molte idee per cambiare questo stato delle cose!
Diritto allo studio e alla formazione per tutte e tutti Servono urgentemente 150 milioni di euro per il finanziamento della legge 4/2005 sul diritto allo studio delle scuole superiori per: • coprire borse di studio, • trasporti gratuiti, • comodato d’uso dei testi scolastici e accesso ai consumi culturali per tutti i beneficiari. Il testo delle legge è buono e valido ma i recenti governi regionali hanno progressivamente tagliato tutte le risorse a disposizione. Per le borse di studio universitarie sono necessari circa 43 milioni di euro totali per 17000 studenti universitari che ne hanno diritto. In questo caso la spesa a carico della Regione Campania sarebbe di circa 16 milioni di euro perché € 2.804.600,00 sono le entrate da Fondo Integrativo Ministeriale 2013-2014 e € 23.022.580,00 sono invece le entrate da Tassa Regionale per il Diritto allo studio al netto del rimborso per idonei, la differenza per è di € 15.937.180,00. Investendo tale cifra si garantirebbe l’accesso alle borse di studio e ai servizi a tutti gli studenti campani capaci ma privi di mezzi, così come previsto dall’articolo 33 della nostra Costituzione. In armonia con l’istruzione secondaria e universitaria occorre sviluppare un sistema di formazione continua capace di fornire competenze e saperi a tutti coloro che non sono coinvolti da percorsi formativi scolastici o universitari. Ad oggi, il sistema di formazione professionale, invece, ha preso delle derive clientelari. I corsi di formazione erogati attualmente dalla Regione Campania non hanno nessun collegamento con le esigenze del mercato del lavoro, diventando così uno spreco invece di essere, un importante investimento per garantire formazione lungo tutto l’arco della vita finalizzato all’inserimento lavorativo nei periodi di disoccupazione, che sia essa volontaria o involontaria. Tali misure dovrebbero essere armonizzate – e noi ci impegniamo affinché lo siano – in un’unica legge quadro per l’accesso ai saperi e alla formazione, attraverso l’istituzione di un reddito regionale di formazione diretto (ovvero attraverso erogazione monetaria) e indiretto (dunque con pieno accesso ai servizi), quest’ultimo uno strumento sperimentato in gran parte dei paesi europei.
Turismo e cultura per davvero Secondo l’Agenzia Nazionale del Turismo è quantificabile in 8 milioni di persone la presenza di visitatori che scelgono di visitare i nostri beni archeologici, artistici e culturali, le spiagge, le aree interne e montane della nostra Regione. In questi anni abbiamo assistito alla massiccia propaganda e alla continua retorica del turismo come “volano della crescita”. Mentre si perdeva tempo in convegni e iniziative tra addetti ai lavori, non è stato elaborato un piano concreto per valorizzare questo importante settore. È necessario un investimento finalizzato alla salvaguardia e valorizzazione delle filiere artistiche e culturali, prevedendo attività di manutenzione specializzata, promozione internazionale del patrimonio campano, un reale coordinamento tra i diversi attori istituzionali (e non) che si occupano della gestione del patrimonio, che garantisca la costruzione di una vera e propria filiera culturale e turistica Made in Campania Felix. Con tali interventi potrebbero essere creati 5000 posti di lavoro per i giovani del territorio, che sempre più spesso partono verso altre località (Roma, Firenze, Venezia, Torino, oppure direttamente l’estero…) che nulla hanno da invidiare alle straordinarie bellezze delle nostre terre, troppo spesso abbandonate a loro stesse per inettitudine, malgoverno e speculazione. Essendo nati e cresciuti in una terra straordinaria, siamo convinti di non averla ereditata dai nostri genitori ma di averla presa in prestito dai nostri figli e per tale ragione siamo desiderosi di tutelarla, valorizzarla e consegnarla a quest’ultimi meglio di come l’abbiamo trovata.
Autoimprenditorialità e start up per nuova e buona occupazione. Si stima che solo i beni confiscati alla camorra nel nostro territorio siano circa 1500. È necessario creare attraverso il riuso produttivo di tali beni modelli alternativi al welfare camorristico per davvero, con gesti concreti, superando la retorica dell’anticamorra da convegno. Bisogna prevedere che questi beni siano assegnati in modo sistematico e trasparente a cooperative sociali composte da giovani modificando la legge n.7/2012, mai attuata e scarsamente finanziata (250.000 Euro il primo anno, azzerati l’anno successivo). Stimando un’occupazione media di quattro unità per bene confiscato, si potrebbero creare 3000 posti di lavoro, sfidando in modo concreto ed efficace le camorre che tengono in ostaggio i nostri territori. Il ragionamento potrebbe essere esteso anche a tutti i beni pubblici di proprietà dei cittadini campani e lasciati marcire dalle Istituzioni preposte, ma la proposta di riutilizzare pienamente i beni confiscati è figlia della necessità di rompere il muro di omertà – o meglio di ipocrisia – attorno alla lotta alle camorre. Queste sono un fenomeno economico e in quanto tale vanno combattute, attraverso politiche di sicurezza sociale, lavoro e welfare. Ogni giovane disoccupato campano è un favore che le nostre Istituzioni fanno alle camorre, una sconfitta per tutti e tutte, tranne che per le organizzazioni che traggono la loro forza dall’insicurezza sociale, dalla povertà, dalle nuove forme di precarietà e sfruttamento. A tal fine andrebbe finanziato il fondo dedicato al sostegno dei progetti volti al riuso sociale dei beni confiscati previsto dalla legge n.7/2012, così come anche un fondo di rotazione per riattivare le 347 aziende confiscate (dato 2013) e tutelare i lavoratori collegati ad esse. Si tratta di alberghi, ristoranti, aziende turistiche, agricole, edili, dell’industria alimentare, dei servizi e del commercio. Un immenso patrimonio produttivo abbandonato a se stesso e che invece, qualora ci fossero politiche dedicate alla loro valorizzazione, potrebbero costituire una straordinaria occasione di sviluppo e di occupazione per i giovani campani. A tal fine, potrebbero essere stipulate apposite convenzioni con le Università campane e con le realtà imprenditoriali maggiormente dinamiche e affidabili, che potrebbero accompagnare i giovani volenterosi nel mettersi in gioco in percorsi di formazione e start up. Inoltre la nuova programmazione dei fondi europei (2014/2020) prevede un capitolo dedicato proprio ai beni e alle imprese confiscate alla camorra, dove insiste una grande occasione per bonificare l’economia e creare un modello di sviluppo sostenibile, un’occasione che non siamo disposti a sprecare come fatto finora dagli ultimi governi regionali.
Innovazione, ricerca e sviluppo In questi anni l’investimento in ricerca e sviluppo è costantemente diminuito. La Campania investe in ricerca e sviluppo l’1,2% del proprio PIL, nonostante l’obiettivo previsto da Europa 2020 sia del 3%. Sono solo il 2,3% gli addetti alla ricerca e allo sviluppo occupati nel settore pubblico e privato, un dato che rimane immutato dal 2012 e comunque lontano dalla media nazionale che si attesta sul 4%. Quando si parla di innovazione e di ricerca erroneamente siamo portati a pensare a quella tecnologica o all’ITC, ma quest’approccio è profondamente sbagliato. L’innovazione e la ricerca riguardano in modo trasversale tutti i settori produttivi, da quelli tradizionali a quelli più innovativi. Si pensi, ad esempio, ai comparti agroalimentare e dell’edilizia, al metalmeccanico e al tessile, alla manifattura e all’artigianato. La Campania rivela un’immensa capability in tal senso. In primo luogo è fondamentale uno studio dei fabbisogni territoriali al fine di prevedere interventi mirati e risolutivi. Serve un investimento programmato su progetti di ricerca in tutti i settori creando opportunità per 500 ricercatori di vari settori, anche dentro progetti interdisciplinari. Bisogna realizzare una reale connessione tra i centri di ricerca dislocati sul territorio regionale e tra le università campane. In tale ottica bisogna promuovere filiere integrate, poli distrettuali capaci di valorizzare il know how e le energie presenti sui diversi territori. Per fare ciò serve mappare i fabbisogni e dare luogo ad una seria programmazione e non continuare con la solita improvvisazione che governa le nostre istituzioni.
Politiche sociali e reddito regionale di cittadinanza. La Regione Campania è all’ultimo posto per numero di occupati che svolgono lavoro ad alto contenuto sociale. Sono solo il 6,7% gli addetti occupati nelle imprese e negli enti no-profit che svolgono attività di rilevanza pubblica e ad alto impatto sociale; i servizi di cura e di prevenzione, l’assistenza alle persone, gli asili nido, sono aspetti fondamentali perché offrono servizi ai cittadini oltre che creare opportunità di lavoro. In questi anni la Regione Campania ha disinvestito nei piani sociali di zona – lasciando che meccanismi clientelari e corruttivi si perpetrassero – e ha finanziato migliaia di corsi per operatori socio-sanitari e socio-assistenziali proprio mentre sottraeva risorse alla sanità pubblica. Innovazione sociale significa investire in questi settori che offrono opportunità di lavoro ad alto contenuto sociale, cioè che tengono conto non solo degli indicatori economici ma anche e soprattutto della qualità degli interventi e del loro impatto sul territorio e del benessere delle persone. La Campania, ad esempio, è la seconda regione per numero di bambini nella fascia 0-3 anni (1.680.825 bambini in questa fascia di età) ma all’ottavo posto per numero di comuni che hanno attivato asili nido o micronido, servizi integrativi e/o innovativi (ovvero 183 contro le 1380, dato ISTAT). Con la costruzione di 100 asili nido, ad esempio, possono essere realizzati 700 posti di lavoro, rinforzando le politiche sociali, garantendo ai cittadini campani un servizio di civiltà e garantendo nuove opportunità a chi vive il ricatto della precarietà sulla propria pelle e su quella dei propri figli. Serve però sul tema del welfare una vera e propria scelta di campo che sia opposta a quella portata avanti dal governo nazionale e dagli ultimi governi regionali che hanno continuato a tagliare fondi e di conseguenza tutele e diritti. Serve istituire (e finanziare!) una nuova legge regionale per un reddito di cittadinanza e di dignità! La crisi economica ha ulteriormente impoverito il nostro sud e aumentato la forbice tra ricchi e poveri. Servono dunque strumenti, presenti in tutti i paesi europei tranne Italia e Grecia, strumenti per ridistribuire la ricchezza, contro l’avanzare della povertà, contro il ricatto della precarietà e capaci di rilanciare la nostra domanda interna. Con la compressione dei salari, l’avanzare dell’insicurezza sociale, della precarietà, della disoccupazione di massa, ridistribuire ricchezza attraverso uno strumento quale il reddito di cittadinanza e di dignità è l’unico modo per rilanciare l’economia e garantire uno strumento che contrasti concretamente la povertà!
In che modo realizzare tutte queste proposte? Questo non è il nostro quaderno dei sogni, tutt’altro, sono proposte concrete che sono il frutto della nostra visione politica di come è possibile cambiare la regione Campania e migliorare la vita dei cittadini. Troppe volte ci sentiamo dire che alcune di queste proposte sono irrealizzabili per carenze di fondi, poi leggendo i bilanci regionali scopriamo che a causa degli sprechi, di ingiustificate indennità ed enti collaterali, di soldi ce ne sono fin troppi. Sentiamo l’esigenza di chiarire con forza un concetto: è la politica che decide i bilanci, che decide dove investire e dove tagliare fondi. Con il passare degli anni la favoletta che ci viene raccontata sulla esigenza di tagliare il bilancio non è più credibile, visto che poi per determinati capitoli di spesa - ovvero quelli che curano gli interessi dei pochi - le risorse si trovano sempre. Dunque è utile raccontare la verità per restituire dignità alla politica: le risorse per creare opportunità di lavoro di qualità ci sono. La principale è rappresentata dall’utilizzo dei fondi europei che saranno impiegati per i prossimi sette anni (2014/2020). Sommando i diversi programmi europei (FESR + FSE) e aggiungendo la quota di cofinanziamento nazionale (fissata per legge al 25%), saranno circa 7,8 Miliardi gli investimenti che saranno a disposizione della Regione Campania nei diversi assi e nelle diverse azioni previste dai vari programmi in essere. A questi fondi vanno aggiunti anche le risorse disposte dal FSC (Fondo Sociale di Coesione) interamente finanziato dal Governo Italiano ma che ancora non ha una suddivisione tra le diverse regioni che ne beneficeranno. Presumibilmente però la dotazione a disposizione della Regione Campania non sarà inferiore a 7.5 Miliardi di Euro, il che ci fa arrivare alla conclusione che la Regione Campania, nel settennato che abbiamo davanti avrà a disposizione circa 15 Miliardi di Euro! Possiamo sprecarli come fatto nel settennato precedente (2007/2013) o possiamo invece investirli per cambiare rotta e mettere in campo politiche nell’interesse generale dei cittadini campani. Con queste proposte - e con questa dotazione finanziaria - siamo convinti che cambiare si può e noi vogliamo essere artefici di questo cambiamento.
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