Chiara Gattoli
Il pantheon dei veronesi illustri La Protomoteca di Verona (1870-1898)
Comune di Verona
A Pietro Gattoli, mio papĂ
questa ricerca è stata finanziata da
con il sostegno di
coordinamento della ricerca Agostino Contò, Sergio Marinelli ricerca scientifica Chiara Gattoli riproduzioni fotografiche Stefano Saccomani altri crediti fotografici Biblioteca Civica di Verona, Biblioteca Civica di Padova, Direzione Musei d’Arte Monumenti di Verona, Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona testi Chiara Gattoli Paola Marini Sergio Marinelli Agostino Contò
in copertina Loggia del Palazzo del Consiglio, particolare, fotografia, ante 1917, Verona, Biblioteca Civica
© 2014 Comune di Verona Tutti i diritti riservati ISBN 978-88-96342-10-7
ringraziamenti L’autrice desidera ringraziare Paola Marini, Andrea Tomezzoli e Gian Maria Varanini per la disponibilità con cui hanno letto questo lavoro in fase di preparazione, aiutandolo a crescere e a migliorare. Un ringraziamento speciale a Ettore Napione per l’ausilio nelle fase redazionali. Si ringraziano inoltre per aver contribuito in vario modo alla riuscita di questa ricerca: Camilla Bertani, Camilla Bertoni, Paola Bressan, Francesco Bletzo, Laura Boccacini, Andrea Campalto, Daniela Castellazzo, Elena Casotto, Chiara Contri, Monica De Vincenti, Alberta Faccini, Giuseppe Palomba (grazie perché ci hai sempre creduto), Sara Rodella, Arianna Strazieri, Benito Torretta, Lidia Venturini. Questa pubblicazione è stata resa possibile grazie al sostegno di Agostino Contò, Paola Marini, Sergio Marinelli.
Chiara Gattoli
Il pantheon dei veronesi illustri La Protomoteca di Verona (1870-1898)
con un saggio di
Sergio Marinelli
Comune di Verona
Mancava, nel quadro degli studi sulla città, un lavoro che integrasse e completasse la Protomoteca veronese, proposta dal Sartori nel lontano 1881, a testimonianza di come la civica Amministrazione, a partire dal 1870, avesse voluto ricordare in modo degno gli Uomini che avevano dato lustro alla città. Il “Pantheon” dei veronesi illustri venne realizzato grazie al coinvolgimento di giovani scultori attivi in città: fu proprio l’Amministrazione civica di allora, infatti, a disporre che tutte le medaglie ed i busti dovessero essere eseguiti da scultori veronesi, per offrire “una bella palestra ai patri artisti”. Si realizzò quindi – come giustamente riporta il titolo di quest’opera - un vero e proprio pantheon della memoria civica, che originariamente venne collocato nel portico della Loggia di Fra Giocondo e che dal 1939 fu trasferito nell’atrio monumentale della Biblioteca Civica. Ora, grazie a questo lavoro di Chiara Gattoli, realizzato con il coordinamento scientifico della Direzione della Biblioteca Civica, della Direzione dei Musei d’Arte e Monumenti e del professor Marinelli, la Protomoteca viene opportunamente studiata, mettendone in luce la pregressa documentazione iconografica e storica, le committenze, gli scultori, i soggetti raffigurati. E lo si fa sperimentando un canale di diffusione innovativo, in linea con le più moderne tecnologie. Anche per questa iniziativa dobbiamo essere grati alla disponibilità della Fondazione Cariverona, che l’ha supportata nell’ambito di un bando per la ricerca scientifica, chiudendo così idealmente il percorso avviato con il contributo che ha permesso il restauro dell’intero edificio della Biblioteca Civica.
Flavio Tosi Sindaco di Verona
C’è un filo sottile che tiene insieme le storie dei silenziosi protagonisti che ci osservano dalle pareti della Protomoteca. Prima di tutto, naturalmente, il Consiglio cittadino che aveva deliberato nel 1870 l’istituzione della Protomoteca, per “ricordare in modo condegno la gloriosa memoria degli Uomini Illustri... come splendidi esempi da emulare”. I luoghi sono l’antica Loggia di Fragiocondo e, nel momento in cui, negli anni Trenta, si propose di mutare l’originaria collocazione ai manufatti della Protomoteca, la sala del vecchio ingresso da via Cappello della Biblioteca Civica. L’intuizione di trasferire proprio qui busti, erme e medaglioni si deve alla lungimiranza di Vittorio Fainelli, allora direttore della Biblioteca. E’ l’affascinante salone che dava accesso alle pubbliche scuole di San Sebastiano, un tempo gestite dai Gesuiti, con l’iscrizione che sovrasta l’architrave del portone di ingresso, tornata alla luce solo in occasione dei recenti restauri dell’edificio: IUVENTUTI ERUDIENDAE. Un filo che viene da lontano, se ricordiamo come già il grande Scipione Maffei fin dal 1718, in qualità di neo eletto alla carica di Provveditore del Comune aveva saputo indicare con preveggente sapienza nel celebre Discorso che: “Una Librarìa equivale a cento Maestri, perché insegna tutto”. La sala che forniva l’ingresso alle Scuole, nel tempo, è diventata, infatti, parte della Civica Biblioteca. Quale migliore sintesi, allora, se non quella di offrire a chi si serve degli insegnamenti forniti dai libri anche le testimonianze visive di coloro che furono i protagonisti della storia e della cultura della città e del territorio? Nel piccolo Pantheon cittadino queste caratterizzazioni sono oggi ancora più evidenziate dal momento che la destinazione funzionale è di uno spazio “dedicato” esplicitamente a ospitare esposizioni periodiche – non solo ai cittadini, non solo ai giovani studiosi ma anche ai visitatori di fuori città (tanto che si potrebbe riformulare il motto in: Universitati erudiendae) – di tesori custoditi nei ricchissimi archivi della Biblioteca, con documenti che partono dal IX secolo, a costituire un vero archivio della memoria civica. È stato compito di Chiara Gattoli, in coincidenza dei lavori di restauro dell’edificio, e del profondo rinnovo delle sue funzioni e dei servizi, ricostruire quelle che erano state le linee programmatiche servite da motore dell’allora Amministrazione guidata dal sindaco Camuzzoni, lavoro che con ampia ricognizione storico artistica e documentaria, ha illustrato l’importante impresa e messo a disposizione nel “libro della città” un nuovo capitolo. Agostino Contò Responsabile Biblioteca Civica del Comune di Verona
La temperie culturale che, negli anni settanta dell’Ottocento portò a erigere una Protomoteca comunale nel porticato antistante la rinascimentale Loggia del Consiglio, è la naturale continuazione di quella che nel 1812 aveva stabilito la costituzione nelle sale dello stesso edificio di una civica Pinacoteca, prima tra tutte quelle che sarebbero state istituite nel Veneto in un breve torno di tempo. Componenti essenziali di quel clima sono, intrecciati fra loro, gli studi storici e letterari, l’orgoglio civico, l’impegno nell’amministrazione pubblica di aristocratici e alto borghesi, la volontà di proporre esempi eletti di coltivazione dell’ingegno e delle arti, condizioni fondamentali del vivere civile. Da poco più di un decennio la Pinacoteca, ampliatasi in Museo, aveva trovato più comoda e idonea sede a Palazzo Pompei, dove molti dei protagonisti della vicenda ricostruita in questo libro avevano modo di curarla e arricchirla. La Protomoteca costituisce, accanto al Cimitero monumentale, la maggiore testimonianza della scultura del secondo Ottocento a Verona, da leggersi in parallelo ai monumenti innalzati nello spazio urbano dopo l’annessione del Veneto all’Italia. Sono questi i motivi per cui i Musei Civici sono lieti di unirsi alla Biblioteca Civica nel rendere accessibile questo lavoro, reso possibile dal sostegno alla ricerca offerto, già alcuni anni orsono, da Fondazione Cariverona. Ne è autrice Chiara Gattoli, che presso la nostra Direzione ha completato la sua formazione e ha proficuamente operato. Il volume vede la luce in singolare concomitanza con l’avvio di un nuovo restauro alla prima sede della raccolta memoriale di scultura sui personaggi che contribuirono a rendere illustre la nostra città. Oltre ad illuminare un episodio forse sofferto – come sempre, il denaro scarseggiava e solo pochi privati risposero all’invito del Comune a collaborare – ma esemplare del ruolo precipuamente educativo attribuito all’arte, questo libro, ne siamo certi, non mancherà di offrire spunti di riflessione anche per il presente.
Paola Marini Direttrice Musei d’Arte e Monumenti del Comune di Verona
ABBREVIAZIONI A.C.S.
Archivio Centrale dello Stato
A.G.C.
Archivio Generale Comune di Verona
A.B.C.
Archivio Storico Biblioteca Civica di Verona
A.S.B.A.P.
Archivio Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza
A.S.Vr
Archivio di Stato di Verona
B.C.Vr
Biblioteca Civica di Verona
D.B.I.
Dizionario biografico degli Italiani
D.B.V.
Dizionario biografico dei Veronesi
Thieme-Becker Allgemeines Lexikon der bildenden KuĚˆnstler von der Antike bis zur Gegenwart, a cura di U. Thieme, F. Becker
INDICE GENERALE
L’ALTARE DELLA PATRIA VERONESE . .
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IL CULTO DEGLI “UOMINI ILLUSTRI” NELL’OTTOCENTO: PRESUPPOSTI E MODELLI PER LA PROTOMOTECA DI VERONA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . LA PROTOMOTECA VERONESE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L’ideazione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Le Norme per la collocazione delle immagini di illustri veronesi nella Loggia del Palazzo del Consiglio.. . . . . . 3. Gli elenchi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Il progetto, l’allestimento. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Dalla formazione all’abbandono: 1870-1940. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Gli scultori. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Sergio Marinelli
APPENDICE DOCUMENTARIA.. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45 ELENCO CRONOLOGICO DELLE OPERE DELLA PROTOMOTECA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
CATALOGO DEI RITRATTI DELLA PROTOMOTECA ERME . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 MEDAGLIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 BUSTI. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 98
APPENDICE ICONOGRAFICA.. BIBLIOGRAFIA. .
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L’ALTARE DELLA PATRIA VERONESE Sergio Marinelli
In sistematico ritardo su Venezia, che aveva costruito il suo pantheon già a partire dal 1847, ma però in collegamento ideale con gli interventi più antichi intorno a Piazza dei Signori, che andavano dalle statue quattrocentesche sulla Loggia a quella di Scipione Maffei sull’arco vicino, anche Verona, a partire dal 1870, sistemò, in origine sulla stessa piazza, il suo storico mausoleo. La Protomoteca veronese risale tutta al periodo unitario, pur recuperando qualche pezzo precedente, il Michele Sanmicheli di Zannoni del 1856, e fu costruita dunque in un momento diverso da quella veneziana, che difendeva e rivendicava la sua storia dall’aggressione culturale degli invasori austriaci. Gli antichi interventi, dal Quattrocento al Settecento, avevano la funzione di rivendicare l’autonomia culturale della città dalla dominazione veneziana, ricollegandosi idealmente, ma in maniera scoperta, alle vicine monumentali tombe scaligere, del tempo più luminoso di Verona, libera e capitale. I tolleranti veneziani avevano in qualche modo finto di non capire, per non arrivare a scontri inutili o contrari alle loro norme di buon governo, come quando a Padova avevano dovuto distruggere le tombe dei Carraresi 1. Nella seconda metà dell’Ottocento italiano la Protomoteca ha forse allora la funzione di conservare l’identità del contesto storico cittadino nell’insieme assai più vasto e confondibile, ora, dello Stato italiano. E si dimentica, forse non a caso, della recente storia risorgimentale, quando Verona era stata la capitale militare del Lombardo-Veneto, residenza preferita del Maresciallo Radetzky 2. Manca quindi il troppo “fresco” benché già celebratissimo mito risorgimentale di Aleardo Aleardi, morto nel 1878. Mancano però, in controparte, anche i fondatori religiosi veronesi, Bertoni e Mazza, anche senza riandare al più consacrato santo, Pietro martire, per non irritare troppo gli anticlericali allora in auge.
La prima considerazione ovvia, che viene, è notare infatti chi c’è e chi manca, per definire i limiti della cultura e dell’identità veronese sullo scorcio del XIX secolo e capire come fu rimodellato il passato della città, con l’inclusione, o esclusione, di quali lari. Si vede allora che i veronesi si annettono ancora Vitruvio, anche se non era più chiaro di che personaggio si trattasse. In extremis (1899) rivendicano il vescovo precontroriformista genovese Matteo Giberti, anche nell’epoca di punta dello spirito anticlericale. Sono invece passati sotto significativo silenzio quattro secoli di prelati veneziani, molti dei quali, per vari aspetti, significativi. Ma è riguardo alle arti figurative che appare la più profonda, ma voluta, ignoranza della storia. La cultura della commissione veronese sembra essersi fermata a Vasari. E al blocco delle citazioni vasariane, grosso modo, ci si limita. Mancano tuttavia, anche da questo punto di vista, Liberale e Torbido, Battista del Moro e Zelotti. Manca Giovanni Caroto, come pure Orlando Flacco e Bernardino India. Di tutta la dinastia plurisecolare dei Badile è presente Antonio (III), forse solo perché socio e suocero di Veronese, ma non il più antico gotico Giovanni. Non si parla nemmeno del Seicento, quando ci si sarebbe aspettati che, non dico di Pietro Bernardi e Dario Pozzo, ma almeno di Alessandro Turchi, classicista direttore della romana Accademia di San Luca, ci si ricordasse. Anche il Settecento è ripagato della stessa ingratitudine: Santo Prunato, Antonio Balestra, Pietro Rotari, non esistono. A non parlare degli stranieri mai accettati, Brentana e Dorigny. Neppure Francesco Lorenzi gode evidentemente della reputazione del fratello Bartolomeo, scrittore, come pure l’altro fratello Giandomenico, incisore noto e stimato, ma l’incisione, si sa, era ancora tutta da scoprire sul piano mediatico. Manca infatti anche l’incisore Domenico Cunego, uno dei personaggi di spicco a Roma, e
1 Cfr. S.Marinelli, Le arche scaligere nell’età romantica, in Ultime dimore, catalogo della mostra a cura di V. Pavan, Venezia 1987, pp. 46-51.
2 Per i vari aspetti storici e artistici si veda Il Veneto e l’Austria, catalogo della mostra a cura di S. Marinelli, B. Mazzariol, F. Mazzocca, Milano 1989.
Il Pisanello di Troiani deriva da medaglia, ma lo scultore ha voluto aggiungere un prezioso disegno sul corpetto. L’Antonio Rizzo di Grigolli è un personaggio in costume vagamente belliniano, con i tratti del consueto robusto realismo tardoottocentesco. E in questo caso almeno è salvata l’apparente consonanza col tempo. Lo sciagurato Domenico Morone di Fraccaroli è vestito come uno studente di accademia di metà Ottocento. Ne ha anche l’apparente età. Questa è forse la scelta iconografica che più sconcerta. Fra Giovanni viene naturalmente dal ritratto a fresco di Giovanni Caroto, ma la traduzione iperrealistica ne fa qualcosa tra la maschera funebre e un’espressione cattiva, da strega. Il Paolo Morando di Carlo Spazzi, sovradimensionato nella testa, è fedele invece all’indicazione vasariana, che ne vedeva l’autoritratto tra i personaggi della Deposizione dalla croce di San Bernardino. La realizzazione dell’erma è tuttavia gelidamente inespressiva. Il Girolamo dai Libri di Troiani, vecchietto con le orecchie a sventola, in fantasioso costume, introduce probabilmente una nota di variatio nel pantheon, specialmente in rapporto al Domenico Morone non ancora ventenne. Egli vi porta anche una nota aneddotica divertente, da ospizio per vecchi artisti. Come lo scultore abbia scelto, o inventato, questa iconografia, lo vorremmo tanto sapere. Il Nicolò Giolfino di Cristani esibisce una vistosa gorgiera, ma anche barba e capelli velazquegni, che appartengono a un’epoca assai posteriore a quella del pittore. Pure l’inquieto sguardo “laterale” appartiene al modo in cui l’Ottocento guardava allora al Seicento. Niente riconduce al mondo più circoscritto e antico, ancora spiritualmente tardogotico, del presunto effigiato. Il Veronese di Fraccaroli è anche lui sfacciatamente ottocentesco, anche se di quell’Ottocento che sul Cinquecento voleva rimodellarsi. Sicuramente è il ritratto di qualcuno, incontrato magari nella Milano delle Quattro Giornate, o lo evoca. Anche la dura e decisa fierezza dello sguardo è “risorgimentale”, ignota al distacco sublime, impassibile, dei volti veronesiani. Il Farinati di Carlo Spazzi brucia le tracce dell’antica documentazione iconografica nel pittoricismo di una barba neomichelangiolesca o forse meglio neobarocca, alla moda di Ximenes o Gemito. Sembra qui ricercata, per la prima volta, una figura ideale d’artista. Tra i contemporanei l’Abramo Massalongo di Spazzi, riportato dalla fotografia di Moritz Lotze, è quello più
in tutta la cultura neoclassica, di fine secolo. Si salva, ma c’era tutta un’accademia a ricordarlo, e forse anche una vita cristianamente esemplare e irreprensibile, Giambettino Cignaroli. Ma non i cattivi fratellastri, Giandomenico e Felice, e neppure il nipotino Saverio Dalla Rosa, che pur era stato il personaggio-chiave del passaggio dell’arte e della storia a Verona tra Sette e Ottocento. Tra le lacune successive si possono annoverare sempre i due Caliari, Paolino e Giovanni, al loro tempo riconosciutissimi, ma anche il paesaggista Giuseppe Canella, e ancora il macchiaiolo Cabianca, e gli scultori Torquato della Torre, Innocenzo Fraccaroli e Francesco Puttinati. Questi erano stati, a dismisura, gli artisti veronesi più celebri del secolo. Fraccaroli, il più prestigioso scultore della Protomoteca, era morto nel 1882 ma in qualche momento del passato era stato lo scultore più considerato in Italia dopo Canova. Vero è che tra il 1882 e il 1899 la sua fama crollò a picco, forse già con l’oblio e la distruzione delle opere. Non si può però neppure dire che fossero troppe vicine le date della loro esistenza, perché compariva nel Pantheon Abramo Massalongo, fortissimamente voluto da Pierpaolo Martinati, morto nel 1860. Un po’ meno squilibrato è forse il panorama degli architetti, che arriva, pur con l’oblio di Cristofoli e Trezza, a Giuseppe Barbieri, l’architetto e urbanista veronese più decisivo dell’Ottocento. Anche i modi della rappresentazione, e l’iconografia, sorprendono o lasciano desiderare. Quelli che ne escono forse peggio sono i personaggi storici trecenteschi, già pronti per la sfilata del carnevale locale. Il Cangrande di Spazzi è ricostruito abbastanza fedelmente dal ritratto del gisant della sua tomba, ma con un’espressione, se possibile, ancora più ebete. L’Alberto della Scala di Grigolli è pure ancora riesumato in qualche modo dal rilievo della sua tomba presunta alle Arche, in ricco costume “storico”, ma con uno sguardo scavato di profonda mestizia ottocentesca. In molti casi, soprattutto quelli di mancata documentazione, sconvolge l’improntitudine dell’iconografia, che rivela comunque non solo l’ignoranza storica dei costumi ma anche l’assenza della ricerca in questa direzione. L’Altichiero di Troiani ha una capigliatura di secondo Quattrocento e i tratti realistici delle statue lignee che noi oggi sappiamo spettare a Giovanni da Zebellana, tra Quattro e Cinquecento. Anche lo sguardo “duro” è quello dell’autoritratto (o meglio ritratto) bronzeo di Andrea Mantegna.
“morto”, caratterizzato proprio dall’assenza di fissità dello sguardo derivata dall’immagine fotografica di partenza. Di conseguenza è anche una delle figure meno felici del ciclo. La Caterina Bon Brenzoni di Zannoni porta invece una nota di costume moderno, con tutto il gioco traforato dei suoi pizzi, che farà famoso, con altri virtuosismi, il suo autore. Segno che anche a Verona il ripristino del “barocco” è a quel momento già avvenuto. Ma l’immagine di questa fiorente e soddisfatta signora, tutta costruita sulla simmetria delle curve, stride non poco alla fine tra gli sguardi dei suoi compagni di gloria, tutti tesi, agitati, sopra le righe. La tranquillità del suo sguardo vorrebbe essere “raffaellesca”. Lei resterà una delle due sole donne nel pantheon veronese, caratterizzato da precise e inconfondibili fisionomie ottocentesche, stracariche di naturalismo e di pathos, senza mai grandi problemi di fedeltà storica, anche nei costumi, come esemplifica per tutti il cappotto ottocentesco e borghese di Giambattista Da Monte. Gli artefici delle scelte dei personaggi erano stati il
nobile podestà Ottavio di Canossa, il naturalista Pierpaolo Martinati3, il poligrafo locale Ettore Scipione Righi, un piccolo comitato che aveva interpretato le generiche volontà del sindaco Camuzzoni. Era indubbiamente l’espressione di una cultura classicista e positivista provinciale, già superata allora dall’immagine, più fondata e alta, che di Verona si aveva fuori di Verona. La Protomoteca era stata comunque l’occasione di lavoro per tanti giovani scultori dell’accademia locale (non si chiama nessuno da fuori), che però non fornirono qui le prove migliori del loro valore, neppure nel caso di Fraccaroli e Zannoni. Questo spiega anche la mancanza di fortuna critica del complesso scultoreo monumentale. L’episodio segna proprio il momento di stagnazione dell’accademia di belle arti ottocentesca, tutto legato alla scultura, prima di registrare gli influssi, anche indiretti, di quella riformata di Nani. Il pittore Giulio Sartori, disegnatore e ritrattista non mediocre, riuscì tuttavia a ricavarne una pubblicazione a dispense che servì, dal 1881 al1887, a divulgare, probabilmente con qualche risultato, la storia veronese.
Un bel ritratto fotografico di Pierpaolo Martinati, di Moritz Lotze, è pubblicato in Lotze, lo studio fotografico 1852-1909, ca-
talogo della mostra a cura di P.Brugnoli, S.Marinelli, A.Prandi, Verona 1984, p. 61.
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Loggia del Consiglio, fotografia, ante 1890. Verona, Museo di Castelvecchio.
IL CULTO DEGLI “UOMINI ILLUSTRI” NELL’OTTOCENTO: PRESUPPOSTI E MODELLI PER LA PROTOMOTECA DI VERONA
La celebrazione degli “uomini illustri” ha goduto, fin dalla sua riscoperta in epoca umanistica, di una costante fortuna che nei secoli successivi ha dato origine ad innumerevoli testimonianze letterarie ed artistiche frutto delle diverse interpretazioni politiche e culturali che ogni epoca volle attribuire all’exemplum virtutis1. Lo sviluppo del tema delle personalità illustri nel XIX secolo2 affonda le radici nella riscoperta settecentesca delle Vite parallele di Plutarco, da cui hanno tratto origine le successive interpretazioni storiografiche ed artistiche del modello celebrativo. Scritta in epoca traianea, l’opera costituisce il prototipo della storiografia a “medaglione”, intesa come descrizione eroica della vita di un personaggio storico assurto ad esempio di virtù civile. Dallo stesso modello antico è derivata, inoltre, la testimonianza sull’uso nell’antichità greca dell’erma-ritratto, quale massimo attestato di onore concesso dalla società ateniese alle proprie glorie3. Dalla lettura moderna della fonte plutarchiana discendo-
no, secondo un percorso parallelo, le successive rappresentazioni artistiche del tema che vedranno affermarsi, in analogia con l’intrinseco significato pubblico e politico tramandato dall’antichità, il genere ritrattistico ed, in particolare, quello scultoreo dell’erma e del busto4. In campo storiografico si era assistito, già in epoca illuministica, alla fioritura del genere storico-biografico, che aveva trovato la sua massima espressione nei Dictionnaires francesi, dai quali discendono tutte le successive variazioni nazionali del genere. Sempre dalla Francia proviene l’esempio celebrativo che ha segnato lo spartiacque storico tra l’interpretazione di stampo umanistico e quella propriamente moderna del tema degli illustri, incentrato sulla glorificazione degli eroi nazionali. Il Panthéon National des Grands Hommes, allestito a Parigi a partire dal 1791, fu il primo monumento di una nazione dedicato a glorie patrie del passato recente, da elevare a simbolo di unità culturale e politica. Con spirito
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Per la pittura si vedano: S. Pinto, Il tema degli uomini illustri, in Romanticismo storico. Celebrazioni per il centenario di Francesco Domenico Guerrazzi. catalogo della mostra, Firenze, La Meridiana di Palazzo Pitti, dicembre 1973 - febbraio 1974, Firenze 1974, p. 92; Garibaldi. Arte e Storia, catalogo della mostra, Roma, Palazzo Venezia, 23 giugno - 31 dicembre 1982, a cura di S. Pinto, Firenze 1982; S. Pinto, La promozione delle arti negli Stati italiani dall’età delle riforme all’Unità, in Storia dell’arte italiana, 6: Dal Cinquecento all’Ottocento, II, Torino 1982, pp. 793-1060. Fondamentale per la definizione del significato nazionalistico del tema si veda B. Steindl, Il tema degli «uomini illustri» a villa Torlonia, in «Ricerche di Storia dell’Arte», 28-29, 1986, pp.169-181. Per la scultura si vedano: A. Cremona, Il giardino della memoria, in Il giardino della memoria. I busti dei Grandi Italiani al Pincio, a cura di A. Cremona, S. Gnisci, A. Ponente, Roma 1999, pp.11-26. Come nel caso di quest’ultima segnalazione, l’argomento è trattato nelle pubblicazioni dedicate all’analisi di specifiche raccolte scultoree. Per questi singoli casi si rimanda alle successive note bibliografiche. 3 Cremona, Il giardino, cit., p. 16. 4 Sull’intreccio tra storiografia e arti figurative si vedano: C. Dionisi, Biografia e iconografia, in Storia dell’arte. Annali 4. Intellettuale e potere, a cura di C. Viviani, Torino 1981, pp. 417-426; Steindl, Il tema degli «uomini illustri», cit. 5 A. von Buttlar, Leo von Klenze. Leben, Werk, Vision, München 2014. 6 G. Salinari, Buonafede Appiano, in D.B.I., 15, Roma 1972, pp. 100-104.
M.M. Donato, Gli eroi romani tra storia ed «exemplum». I primi cicli umanistici di uomini famosi in Biblioteca di storia dell’Arte. Memoria dell’antico nell’arte italiana, II. I generi e i temi ritrovati, a cura di S. Settis, Torino 1985, pp. 97-152. Verona ebbe un ruolo di primo piano in questa fase di primo umanesimo, specie per il tipo ritrattistico della medaglia degli “illustri”, dal «partimento di medaglie» ricordato nel 1568 da Giorgio Vasari nei palazzi scaligeri - del cui progetto i ritratti imperiali di Altichiero nei sottarchi della loggia di Cansignorio della Scala forse erano parte (da ultimo E. Napione, I sottarchi di Altichiero e la numismatica. Il ruolo delle imperatrici, in «Arte Veneta», 68, 2012, pp. 23-39) - alla medaglistica di Pisanello (D. Gasparotto, Pisanello e le origini della medaglistica, in Pisanello, a cura di P. Marini, Milano 1996, pp. 325-330), fino alle statue degli scrittori antichi del 1492 sopra la Loggia del Consiglio (Vitruvio Cerdone, Catullo Plinio il vecchio, Cornelio Nepote e Emilio Macro, cfr. G. Schweikhart, Il Quattrocento: formule decorative e approcci al linguaggio classico, in L’architettura a Verona nell’età della Serenissima (sec. XV - sec. XVIII), a cura di P. Brugnoli, A. Sandrini, Verona 1988, I p. 27). In generale, la tradizione letteraria di epoca moderna degli uomini illustri, comprensiva di artisti, letterati, uomini d’armi, è, come noto, fondata sull’opera illustrata: Gli Elogi degli uomini illustri di Paolo Giovio del 1546, vedi l’edizione recente P. Giovio, Elogio degli uomini illustri, a cura di F. Minonzio, Torino 2006. 2 L’argomento è trattato in diverse pubblicazioni ognuna delle quali incentrata su un particolare aspetto della fortuna moderna del tema.
analogo Ludovico I di Baviera allestì il tempio del Walhalla nei pressi di Regensburg (progettato da Leo von Klenze5, dopo un concorso indetto nel 1814), in cui sono raccolti i busti e le erme dei personaggi della storia e della cultura tedesca presi a modello ed emblema dell’unità germanica (col termine Valhalla nella tradizione nordica si indicava la residenza delle anime dei caduti in battaglia). La particolare situazione politica italiana, ancora lontana dal raggiungimento di una patria unita e unica, determinava al contempo un diverso utilizzo del modello storiografico francese, dal quale dipenderà inevitabilmente il diverso significato attribuito alla celebrazione degli uomini illustri. In assenza di una storia nazionale comune e politicamente unificante, l’accettazione dell’esempio francese assunse, infatti, connotazioni diverse, incentrate sull’affermazione del primato culturale italiano quale forma di riscatto e rivalsa dall’imperante modello straniero. Da qui si fece strada la specificità italiana di glorificare i personaggi del passato - antico, medievale e rinascimentale - quale simbolo dei valori etici e culturali di una idea di nazione, quando lo nazione era ancora da fare, e per questo messaggeri di sottesi significati politici. Diverso è anche il codice formale adottato dagli autori italiani, ideologicamente restii ad adeguare il contenuto encomiastico del genere biografico al verbo divulgativo dei dizionari francesi. Tra le opere più rappresentative di questo filone accademico e retorico vanno ricordate le raccolte di Appiano Buonafede6 (Ritratti poetici, storici e critici di vari moderni uomini di lettere, arricchite da sonetti a corredo di ogni ritratto d’illustre del 1745, che ebbe poi 87 edizioni), e le composizioni latine dello storico Angelo Fabbroni7 (Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, 1766-1774), autore anche di elogi di contenuto dichiaratamente antifrancese. In Italia l’approdo ad un genere biografico moderno avvenne più decisamente all’indomani dei rivolgimenti politici del 1796, che accelerano il processo di assimilazione e diffusione del modello culturale transalpino. Nel 1810 fu pubblicato a Parigi il Dictionnaire universel de biographie ancienne et moderne, ou Histoire par ordre al-
fabétique de la vie publique et privée de tous les hommes qui se sont fait remarquer par leurs écrits, leurs actions, leurs talents, leurs vertus ou leurs crimes, opera che proponeva per la prima volta il binomio biografia-ritratto gettando le basi per la fortuna ottocentesca del genere biografico associato all’immagine calcografica. Su questo esempio fiorirono in Italia una serie di pubblicazioni dedicate agli italiani che furono grandi di ogni epoca e di ogni campo del sapere, opere destinate ad enorme successo, che fornirono i presupposti culturali necessari alla diffusione capillare nella penisola del culto neoclassico degli illustri. Interprete del nuovo genere sarà il veneto Nicolò Bettoni, editore di Ugo Foscolo, il poeta del culto della memoria, il quale a partire dal 1812 diede alle stampe numerose raccolte di biografie, corredate da un ricco repertorio di ritratti calcografici, che diventò una delle fonti iconografiche privilegiate dalla ritrattistica celebrativa ottocentesca8. La fortunata iniziativa di Bettoni proseguì con altri editori, come nel caso dei quaderni pubblicati da Bartolomeo Gamba9 che illustrano la Galleria dei letterati ed artisti illustri delle Provincie Austro-Venete (1822-1824) o del più tardo Panteon Veneto (1860) dell’abate Giuseppe Veronese. Il successo di queste pubblicazioni alimentò il proliferare di analoghe opere minori, incentrate sulla promozione delle glorie municipali, che contribuirono in maniera sostanziale all’affermazione dell’interpretazione localistica del culto degli illustri. Attraverso la diffusione di questo tipo di letteratura storico-biografica crebbe la base culturale e retorica che spinse a promuovere, in vari luoghi d’Italia, cicli e programmi decorativi con la scopo di raffigurare gli uomini che avevano dato lustro e onore alle città e alle comunità. L’intera vicenda si svolse nell’oscillazione tra l’idea di nazione (ancora da venire e declinata secondo differenti credo e aspirazioni) e la glorificazione degli uomini illustri delle singole città nel loro aderire alla prospettiva di una nazione. Presupposto e apripista di questo processo fu l’iniziativa di Antonio Canova, il quale, come presidente della Congregazione dei Virtuosi al Pantheon, propose a partire dal 1809, in un contesto di regno d’Italia murattiano e napoleonico,
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damenti dell’ideale patriottico 2. Gli eroi: i modelli storici e romanzeschi, i contemporanei che seguono l’esempio, in Garibaldi. Arte e Storia, cit. scheda 2,2, pp. 48-49). 9 Sulla figura del famoso editore si veda Una vita tra i libri. Bartolomeo Gamba, atti del convegno, Bassano del Grappa 21-22 maggio 2004, a cura di G. Berti, G. Ericani, M. Infelise, Milano 2008. 10 Sulla Protomoteca capitolina si veda: La Protomoteca capitolina, a cura di V. Martinelli e C. Pietrangeli, Roma 1955.
U. Baldini, Fabbroni Angelo, in D.B.I., 44, Roma 1994, pp. 2-12. Tra i molti progetti editoriali ideati da Bettoni c’era quello, poi fallito, di realizzare un «Panteon delle nazioni» ossia la raccolta dei ritratti di uomini illustri italiani e stranieri incisi da noti artisti (Niccolò Bettoni e il suo tempo, catalogo della mostra, Brescia, marzo 1979, Brescia 1979; F. Mazzocca, L’illustrazione romantica, in Storia dell’arte italiana, Parte terza. Situazioni, momenti indagini, II, Grafica e immagine, II, Illustrazione Fotografia, Torino 1981, pp. 376-381; F. Mazzocca, 1 / Fon-
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di ampliare la collezione di ritratti funerari del Pantheon romano inserendovi busti ed erme onorarie in memoria di «una schiera di eccellenti uomini italiani». Quindi non più solo artisti, come era nella tradizione dello stesso Pantheon di Roma, ma tutti coloro che nel corso della storia avevano contribuito con le loro opere all’affermazione del genio italico. Canova, dunque, segnò nel campo delle Arti il primo passo verso l’interpretazione nazionalistica del tema in funzione pubblica, come già Quatrèmere de Quency, amico dello scultore, aveva teorizzato ed attuato nella trasformazione della chiesa di St. Geneviève di Parigi quale Panthéon National des Grands Hommes. La raccolta romana crebbe enormemente, fino a snaturare la funzione di luogo di culto dell’edificio, al punto che, nel 1820, papa Pio VII decise il suo trasferimento in Campidoglio ove prese il nome di Protomoteca, ossia luogo ove si conservano i ritratti10. Premessa importante del piano canoviano, puntualmente imitato dalle successive iniziative ispirate a quello, fu il connubio tra l’intento celebrativo e la promozione artistica che venne realizzato commissionando i ritratti a giovani artisti, offrendo loro, attraverso la committenza pubblica, la possibilità di lavorare e farsi conoscere. Il passaggio dalla celebrazione del primato culturale, di matrice illuministica, all’identificazione nelle glorie italiche della coscienza nazionale si affermò durante la Restaurazione. Storicamente significativo, in questo senso, è il giardino della villa di Scornio presso Pistoia nel quale Niccolò Puccini, intellettuale filantropo e riformista, allestì una raccolta di erme raffiguranti compatrioti illustri. Il piano celebrativo, seppure ideato in ambito privato, annunciava i medesimi contenuti nazionalistici tramandati dalla letteratura biografica, di cui lo stesso Puccini fu interprete con la sua partecipazione alla Società dei Parentali dei Grandi d’Italia”11. Contestualmente alla nascita di cicli a carattere “nazionale”, si svilupparono, come fu già nel campo dell’editoria, piani celebrativi municipali, frutto dell’interpretazione localistica del culto degli uomini esemplari alimentata dalla frammen-
tazione politica e territoriale del paese. Una serie scultorea fu progettata da Giuseppe Bossi fin dal 1803, al Palazzo di Brera a Milano, per la celebrazione degli “illustri” lombardi12, addirittura in anticipo sul programma canoviano (e anche Canova, a quanto pare, si giovò di questa esperienza)13. A Firenze, a partire dal 1834, il tipografo Vincenzo Batelli diede vita ad un ambizioso progetto di completamento della decorazione del loggiato degli Uffizi, simbolo del governo cittadino, con le sculture dei fiorentini più famosi, richiamandosi con ciò all’antico programma iconografico immaginato da Cosimo I de’ Medici14. Nato da una sottoscrizione pubblica, il progetto prevedeva all’origine il coinvolgimento di giovani artisti fiorentini e l’impiego di marmo di provenienza rigorosamente toscana. Alla base di questa iniziativa, sviluppatasi all’ombra di un governo assolutista ma illuminato, c’era evidente la volontà dei promotori di dare voce all’orgoglio civico dei fiorentini quali eredi del Rinascimento italiano, di cui si consideravano simbolicamente continuatori, degni di completare il progetto decorativo cinquecentesco. La fortuna del mito di Canova, esaltato fin dalle sue esequie solenni, contribuì indirettamente alla diffusione del culto degli illustri che, parafrasato e divulgato anche dalle tavole canoviane15, trovò particolare fortuna nelle terre venete ove si susseguirono programmi celebrativi tesi alla glorificazione delle glorie municipali. Non a caso, già all’indomani della morte dello scultore fu proprio Treviso a dedicargli un’erma, segnando la prima tappa della formazione di un Pantheon trevigiano16. L’episodio più significativo in area veneta rimane però indubbiamente quello veneziano, promosso dall’Imperial Regio Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti a partire dal 184717. I modelli di riferimento per gli ideatori erano ancora la Protomoteca capitolina, assurta ad esempio nazionale per eccellenza, e la serie scultorea ideata da Giuseppe Bossi a Milano18. Il Pantheon di Venezia nacque come tributo dell’Istituto alla città lagunare in occasione del IX Congresso degli scienziati.
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singolare iconografia: Michele Fanoli, Possagno e la fortuna canoviana, in Canova e l’incisione, Bassano del Grappa 1993, pp. 44-46). 16 E. Manzato, Un busto del Canova nell’Ateneo di Treviso, in Antonio Canova, atti del convegno, Venezia 7-9 ottobre 1982, Venezia 1997, pp. 81-85. 17 A. Bonannini, Il Panteon Veneto di Palazzo Ducale: un episodio del Risorgimento, in «Archivio Veneto», s. V, CXLV, 1995, pp. 99-137; Idem, Cenni sul Pantheon Veneto di Palazzo Ducale, in «Venezia Arti», 1996, pp. 85-94; F. Magani, Il “Panteon Veneto”, Venezia 1997. A quest’ultima pubblicazione si rimanda per la trattazione della fortuna del tema degli uomini illustri in area veneta e veneziana in particolare. 18 Magani, Il “Panteon Veneto”, cit., p. 29.
G. Bonacchi Gazzarrini, Il Panteon nel giardino romantico di Scornio: storia e restauro, Firenze 1999; Niccolò Puccini: un intellettuale pistoiese nell’Europa del primo Ottocento, atti del convegno, Pistoia, 3-4 dicembre 1999, a cura di E. Beretti, C. D’Afflitto, C. Vivoli, Firenze 2001. 12 D. Pescarmona, L’arredo scultoreo del Palazzo di Brera, in «Brera. Notizie della Pinacoteca», 15, 1986-1987, pp. 12-13. 13 Cremona, Il giardino della memoria, cit., p. 12. 14 S. Iacopazzi, Il ciclo scultoreo degli Uffizi: genesi e sviluppo di un progetto non solo celebrativo, in Gli uomini illustri del loggiato degli Uffizi. Storia e restauro, a cura di M. Scudieri, Firenze 2001, pp. 15-33. 15 In particolare le litografie di Michele Fanoli (1807-1876) raffiguranti Monumenti e busti e I sepolcri (Mazzocca in 1 / Fondamenti dell’ideale patriottico, cit., scheda 2.1.7a, pp. 54-55; G. Delfini Filippi, Una
L’obbiettivo era celebrare i cultori delle scienze, delle lettere e delle arti nel luogo «simbolo della potenza e della gloria della veneziana Repubblica»19. Le logge di palazzo Ducale, allora sede dell’Istituto, si arricchiranno così di medaglioni e busti collocati su cippi o mensole, secondo un preciso piano iconografico. L’Istituto fu il promotore ed il regolatore dell’opera, attraverso il vaglio delle proposte di onorificenza che la cittadinanza, dalle grandi famiglie veneziane agli istituti di cultura e alla municipalità, via via avevano avanzato. La scelta dei personaggi da accogliere ed il susseguirsi dei diversi committenti segnarono l’evoluzione del significato attribuito al Pantheon che, dopo i rivolgimenti storici di cui Venezia fu protagonista nel 1848, assunse connotazioni diverse dalle iniziali, spostando l’attenzione sull’esaltazione dei simboli della Repubblica quale tacito richiamo alle istanze di autodeterminazione. In questo processo si inserisce e si spiega, ad esempio, la serie di ritratti dei dogi commissionata dalla municipalità veneziana, cui seguirà, all’indomani dell’annessione, la celebrazione dei patrioti, passaggio che segnerà formalmente la fine della stagione del Pantheon veneto. All’indomani dell’Unità, esauritasi la stagione romantica, la celebrazione degli illustri perse il suo sotteso significato di sostegno all’indipendenza dallo straniero, per acquisire, in sintonia col mutato clima culturale e sociale, una nuova e dichiarata funzione politica. La dimostrazione del primato italiano, codificata dalla produzione letteraria neoclassica, si trasformava in strumento di educazione ed incitamento ai valori risorgimentali e in rappresentazione simbolica della nuova nazione e della partecipazione di ogni singola città alla sua formazione di lungo periodo. Tra i grandi della storia entrarono ora anche i patrioti che avevano contribuito alla formazione dell’Unità. Alle loro immagini, secondo un preciso piano pedagogico e propagandistico, fu consegnata la fondamentale funzione di exempla virtutis. A questo nuovo e diverso spirito corrispose il programma celebrativo attuato, a partire dal 1870, dalla Municipalità romana con la collocazione nell’area del Pincio di erme in ricordo dei grandi italiani che si sacrificarono per la patria20. Trasformato così in una sorta di succursale all’aperto della Protomoteca capitolina, il giardino pubblico diventava
luogo della memoria collettiva e nazionale. Se il riferimento al precedente del giardino di villa di Puccini può sembrare formalmente scontato, diverse furono la natura e lo scopo dell’opera: la personale e privata adesione al sentimento nazionalistico diventava nel caso romano pubblica celebrazione dei simboli nazionali. La rigenerazione, in epoca post risorgimentale, del mito classico e della sua antica funzione educativa trovò la sua estrema declinazione nel codice encomiastico proprio delle manifestazioni e dei riti dello stato unitario. Le città italiane, in primis la capitale, si apprestavano a diventare palcoscenici per la poderosa macchina propagandistica dello Stato, impegnata nella creazione di miti, simboli e monumenti che contribuissero al consolidamento politico e morale della nazione ed al suo riconoscimento nella monarchia sabauda. Nel 1872, in occasione della festa romana dello Statuto Albertino, l’ingegnere comunale Gioacchino Ersoch realizzò una colossale macchina pirotecnica rappresentante il «Panteon degli uomini illustri»21. La grandiosa architettura effimera, a forma di tempio a pianta centrale coronato da un’alta cupola, era popolata di statue raffiguranti i famosi delle arti e delle scienze su cui dominavano le figure allegoriche della Libertà e della Vittoria. In asse con queste ultime, tra gli illustri per ardimento militare, spiccava la statua di re Carlo Alberto di Savoia, nume tutelare della monarchia sabauda. In questo nuovo processo di identificazione tra nazione e monarchia, le Glorie tracciavano la via di un inarrestabile percorso storico verso la libertà della nazione del quale il re era guida e simbolo. A compimento di un percorso evolutivo l’Italia, ora unita, arrivava alla celebrazione trionfale di un proprio pantheon nazionale sul modello di quelli francese e tedesco. Un’architettura effimera costellata di statue ed allegorie, metafora di un’unità ancora apparente e da costruire. In questo scenario, anche Verona, come le altre città italiane, si dotava di “luoghi della memoria”, secondo la stessa dialettica tra la celebrazione della nazione e la glorificazione dei valori della municipalità delle altre città italiane (talora fondati su aspirazioni emerse già in epoca preunitaria)22. A seguito di queste dinamiche, nel 1870 avvenne la fondazione della Protomoteca veronese.
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moria” si basa sull’opera di Pierre Nora e i tre volumi Les Lieux de Mémoire, I-III, Paris 1984-1992 (a cui in Italia è corrisposto, pur con le sue peculiarità, lo studio di Mario Isnenghi, I luoghi della memoria, Bari 1996). Sulle celebrazioni nazionali nella loro dialettica con le identità municipali, vedi I. Porciani, La festa della Nazione. Rappresentazione dello stato e spazi sociali nell’Italia unita, Bologna 1997.
Cfr. Magani, Il “Panteon Veneto”, cit., p. 5. Il giardino della memoria, cit. 21 Sull’episodio ed in generale sulle manifestazioni ed i monumenti celebrativi dell’Italia unita si veda B. Tobia, Una patria per gli Italiani, Roma 1991, in particolare pp. 5-12. 22 La recente riflessione storiografica generale sui “luoghi della me20
LA PROTOMOTECA VERONESE
All’indomani delle prime elezioni italiane, Verona era guidata da una ristretta élite di cittadini appartenenti alla nobiltà ed all’alta borghesia liberale e moderata. A capo dell’amministrazione era stato eletto Giulio Camuzzoni (1816-1897), protagonista di primo piano degli anni post unitari, anche a livello nazionale, e promotore per la città di un fondamentale piano di rinascita economica e sociale (fu sindaco per sedici anni dal 1867 al 1883)23. Coinvolto in prima persona nella gestione di tutte le maggiori istituzioni culturali cittadine, Camuzzoni fu il regista delle principali manifestazioni celebrative dell’età post risorgimentale veronese, spesso in continuità con i desideri e i piani di celebrazione municipalistica maturati prima dell’annessione al Regno d’Italia. Già nel 1865, ancora sotto il dominio asburgico, si distinse tra i promotori della statua a Dante Alighieri in piazza dei Signori, scolpita da Ugo Zannoni, che si riconosce, per lo spirito nazionalistico insito nella scelta dell’effigiato, come il primo monumento risorgimentale della città. Fu, però, solo durante la sua amministrazione che Camuzzoni, in sintonia con quanto già accadeva nelle principali città del Regno, mise in pratica una vera e propria “politica monumentale”, che popolò
Verona di busti, sculture, lapidi e targhe commemorative, diventati mezzi (e oggi simbolici testimoni) dello spirito pedagogico insito nelle celebrazioni patriottiche dell’età umbertina24. All’iniziativa del sindaco Camuzzoni si devono i monumenti al poeta patriota Aleardo Alerdi (1883), al “Gran Re” Vittorio Emanuele II (1883) e all’ “eroe dei due mondi” Giuseppe Garibaldi (1887). Negli stessi anni, parallelamente a questo filone nazionalistico25, portò a compimento i progetti elaborati in età austriaca per le sculture di Michele Sanmicheli (1874) e di Paolo Veronese (1888)26, testimonianze di un rinnovato orgoglio civico ancora di matrice romantica, teso all’esaltazione del genio locale e del passato glorioso della città27. I valori della nazione e della municipalità, come detto, rappresentavano le due facce di una stessa medaglia. In questo processo di costruzione e celebrazione di una nuova memoria collettiva, nazionale e cittadina - quest’ultima sopita e snaturata dal recente passato di Verona come presidio militare asburgico - si inseriva il progetto di allestire, come era prima accaduto a Firenze e Venezia, una galleria di uomini illustri rappresentativi della storia e della cultura veronese.
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mentale può essere individuato nella basilica di Santa Anastasia, sentita ancora nel Settecento come tempio civico, dove sono accolti i monumenti di defunti veronesi illustri, vedi P. Marini, Santa Anastasia fuori di sé: spigolature oltre la chiesa gotica, in La basilica di Santa Anastasia. Storia e restauro, a cura di P. Marini, C. Campanella, Verona 2011, pp. 82-93. 25 Pur esulando dalla trattazione della scultura monumentale è necessario ricordare che lo stesso Camuzzoni, in veste di sindaco, si fece promotore, nel 1877, della sottoscrizione nazionale e del successivo concorso per l’erezione dell’Ossario di Custoza (da ultimo C. Saletti, L’Ossario di Custoza, s.l., 2013) baluardo a memoria dei martiri delle guerre risorgimentali. Il monumento fu costruito su progetto di Giacomo Franco e venne inaugurato nel 1879 (R. Scola Gagliardi, Giacomo Franco architetto dell’800, Verona 1989, pp. 96-99). 26 S. Marinelli, Torquato della Torre, in Il Veneto e l’Austria. Vita e cultura artistica nelle città venete 1814-1866, a cura di S. Marinelli, G. Mazzariol, F. Mazzocca, Milano 1989, scheda 108, pp. 173-174. 27 B. Meneghello, Divagazioni sulla scultura popolare e monumentale di Verona nell’Ottocento, in «Atti e memorie della Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona», s. VI, XXXIII, 1981-1982, pp. 175-186; C. Bertoni, La scultura monumentale a Verona, in L’Ottocento a Verona, a cura di S. Marinelli, Milano 2001, pp. 277-309.
Sulla figura di Giulio Camuzzoni si vedano: M. Zangarini, Giulio Camuzzoni. Un intellettuale borghese fra tradizione e progresso, in Il Canale Camuzzoni, a cura di M. Zangarini, Verona 1991, pp. 91-105; D. Marchesini, Giulio Camuzzoni, in Storia della Società Letteraria di Verona tra Otto e Novecento, II, Temi e protagonisti, a cura di G.P. Romagnani, M. Zangarini, Verona 2007, pp. 99-113. Fondamentali, inoltre, gli scritti dello stesso Camuzzoni, Note autobiografiche e scritti vari che si collegano, Verona 1896. Per un inquadramento generale sulla storia della città in età post unitaria si vedano: P. Morachiello, Dall’annessione a fine secolo, in Ritratto di Verona. Lineamenti di una storia urbanistica, a cura di L. Puppi, Verona 1978, pp. 471-529; S. Noto, L’annessione all’Italia. Realtà e speranze (1866-1898), in Storia di Verona. Caratteri, aspetti, monumenti, a cura di G. Zalin, Verona 2002, pp. 299-343; G. Zalin, Il territorio veronese dall’annessione ai moti del 1898, in Verona e il suo territorio, VI, II, Verona 2003, pp. 303-425; M. Zangarini, Verona 1866-1889: il governo dei moderati, in Magna Verona Vale. Studi in onore di P. Brugnoli, a cura di A. Brugnoli, G.M. Varanini, Verona 2008, pp. 229-248. 24 G.P. Romagnani, Lapidi e monumenti: una pedagogia patriottica, in Conoscere Verona. I luoghi della città. Gli eventi. I protagonisti, a cura di G. P. Romagnani, Verona 2008, pp. 205-221. Si segnala che un particolare antecedente storico dell’idea di un luogo deputato alla memoria monu-
1. L’IDEAZIONE In occasione dell’acceso dibattito, svoltosi tra il 1852 e il 1853, anche in sede di Commissione d’ornato28, sulla collocazione da dare alla statua di Michele Sanmicheli e sullo scultore a cui farla eseguire, fu concepita la prima idea di trasformare Piazza dei Signori, cuore storico della città scaligera, in Pantheon veronese29 (nelle fonti ottocentesche la parola viene sempre riportata nella variante italiana Panteon)30. Fu l’architetto Giacomo Franco31, nel 1853, a dare alle stampe un progetto che prevedeva la collocazione del monumento tra le balaustre della Loggia del Palazzo del Consiglio (fig. 1) da affiancare, in un immediato futuro, a quello dell’altra gloria locale, Paolo Veronese32. Una proposta analoga a Padova avrebbe portato nel 1865 ad inserire le statue di Dante e di Giotto, scolpite da Vincenzo Vela, sotto la Loggia Amulea in Prato della Valle33. L’appassionata e controversa vicenda delle due sculture (Sanmicheli e Veronese), terminata per entrambe molti anni più tardi, contribuì ad identificare nell’antica piazza il luogo simbolicamente più adatto ove celebrare le personalità insigni del passato veronese, stabilendo così una continuità ideale con gli antichi monumenti preesistenti34. Alle glorie della città romana, rappresentate dalle statue quattrocentesche poste sopra la Loggia del Consiglio (Catullo, Cornelio Nepote, Plinio il Vecchio, Vitruvio Cerdone, Emilio Macro)35 ed ai simboli della Signoria scaligera, ancora evidenti nei palazzi della piazza e nelle vicine Arche sepolcrali, avrebbero dovuto perciò aggiungersi, secondo il piano di Franco, quelle del rinascimento maturo. Ancor più significative per la storia della Protomoteca sono le parole spese dall’architetto in chiusura del suo testo progettuale, in cui auspicava, quasi come una premonizione, di «ornare con una statua altri illustri concittadini: Pacifico, Guarino, Onofrio Panvinio, Isotta Nogarola, Antonio Cagnoli, Antonio Cesari e parecchi con loro ne sarebbero degni non meno dei due. A minori monumenti potranno assai acconciamente prestarsi
il portico interno e le pareti. Si compia così quanto che sia questo, ed allora emula di Firenze, avrà Verona la sua Loggia artistica, anzi avrà un Panteon dei sui grand’uomini». Per Verona il programma celebrativo descritto da Franco era del tutto nuovo. Semmai la forma immaginata per la sua realizzazione poteva trovare in città un precedente tipologico minore - valido soltanto come precedente di tradizione memoriale (senza, quindi, i valori simbolici e civici di distinzione esemplare del Panteon) in un contesto architettonico di loggia/porticato - nei ritratti scultorei dedicati a benefattori di istituti e conventi, specie quando essi costituivano un gruppo unitario, come quelli collocati, ad esempio, in un portico dell’ex convento di Santa Caterina. Adibito a Casa di Ricovero dopo le soppressioni napoleoniche36, l’istituto di assistenza beneficiò nel corso del secolo delle donazioni testamentarie di alcuni facoltosi cittadini alla memoria dei quali furono dedicati ritratti scultorei e iscrizioni. La raccolta è ancora visibile all’interno del cortile dell’ex struttura conventuale sotto un porticato che, risalente ai primi decenni del secolo, fu probabilmente creato appositamente per custodire, secondo un ordine simmetrico fissato dall’architettura, le effigi di quanti furono munifici verso l’istituto. Allo stesso modo poteva accadere per la celebrazione dei membri di Accademie o di Società, che raccoglievano negli atri d’accesso ai palazzi dello loro sedi i ritratti marmorei dei soci defunti di maggiore fama o che più contribuirono all’istituzione di riferimento, come in parte era già avvenuto tra il portico d’ingresso e la corte interna di Palazzo Erbisti, sede dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, dalla fine del XVIII secolo37. Gli eventi bellici che seguirono la pubblicazione di Franco fecero accantonare l’ambizioso progetto, come pure la realizzazione dei due monumenti che l’avevano ispirato. Dieci anni più tardi, nel 1863, si tornò a parlare in sede consiliare di un Pantheon cittadino, ma fu di nuovo l’emergenza imposta dalla guerra a congelare ogni ulteriore sviluppo
28 Sulla storia e l’attività dell’organo municipale si veda G. Mazzi, La Commissione d’Ornato, in Case e Palazzi di Verona Asburgica, Verona 1991, pp. 109-124. 29 Bertoni, La scultura monumentale, cit., p. 283, vedi anche le note 25-27. 30 Sul termine Pantheon con le varianti pànteo, panteon, pantéone, si rimanda alla voce nel classico S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino 1984, XII, p. 503. 31 Sulla figura e sull’opera dell’architetto veronese si vedano: Scola Gagliardi,Giacomo Franco,cit.; G.Conforti,Franco Giacomo,in L’architettura a Verona dal periodo napoleonico all’età contemporanea, Verona 1989, vol. I, pp.441-446; Idem, Franco, Giacomo, in D.B.I, Roma 1998, 50, pp. 184-186. 32 G. Franco, Cose patrie. Il monumento di Sanmicheli, in «Il Collettore dell’Adige», 3 agosto 1853. Andrea Tomezzoli segnala che già nel 1815
la locale Accademia di Pittura e Scultura chiese ad Antonio Canova di poter avere i gessi dei busti di Sanmicheli e Veronese che furono eseguiti per la Protomoteca capitolina (Atti dell’Accademia, 29 gennaio 1815; aprile 1815; La Protomoteca capitolina, cit. n. 76, p. 82; n. 87, p. 86). 33 Sulle sculture B. Cinelli, Vincenzo Vela, in Il Veneto e l’Austria. Vita e cultura artistica nelle città venete 1814-1866, a cura di S. Marinelli, G. Mazzariol, F. Mazzocca, Milano 1989, pp. 202-205. 34 L. Simeoni, Verona. Guida Storico artistica della città e provincia, Verona 1909, pp. 19-29; T. Lenotti, Piazza dei Signori, Verona 1954; G. Newman, La Loggia del Consiglio, in Palladio a Verona, catalogo della mostra, a cura di P. Marini, Verona 1980, pp. 122-123; P. Brugnoli, Il Palazzo della Provincia già dimora di Cangrande, Verona 2001. 35 Sono opera del 1492 del lapicida Alberto da Milano (Schweikhart, Il Quattrocento, cit., p. 27). In piazza sono presenti anche le statue dei rettori veneti, di Fracastoro e di Maffei, vedi nota 47.
del progetto fino al 1870, quattro anni dopo la fatidica annessione al Regno d’Italia. Nella seduta del 29 gennaio 1870 del Consiglio Comunale, Pietro Paolo Martinati38, componente della commissione incaricata di provvedere alla redazione delle Norme per il conferimento degli onori del Pantheon cimiteriale, si soffermò lungamente sulla definizione del nome da dare al luogo, richiamandosi esplicitamente al modello francese per il quale “Pantheon” corrisponde al monumento “dove, a cagione di onore, le salme, le immagini, o i fasti degli uomini celebri stanno in bell’ordine raccolti e disposti”39. Da qui l’idea di ultimare il cimitero monumentale progettato da Giuseppe Barbieri nel 182840, con un edificio che accogliesse le spoglie “degl’illustri Veronesi passati all’altra vita dacché il cimitero stesso fu in uso”41. Ne derivò più tardi l’organizzazione cimiteriale con i settori ancora esistenti e regolamentati chiamati Ingenio Claris e Beneficis in Patriam, per onorare rispettivamente quanti si erano distinti per opere d’ingegno e per benemerenze verso la patria. La limitazione iniziale, che escludeva il ricordo dei concittadini illustri scomparsi precedentemente al 182842, indusse lo stesso Martinati a esprimere l’auspicio che si potesse trovare un «altro luogo cospicuo ed accessibile a tutti, [ove] si raccogliessero e ordinassero le immagini dei celebri veronesi che non potessero entrare nel Pantheon, sull’esempio del tedesco Walhalla, e di altri consimili monumenti»43. Qualche mese dopo, nella seduta del 26 aprile 1870 la Giunta, sentita la relazione dell’assessore Giambattista Turella (che sia era già speso con Camuzzoni per la realizzazione del monumento a Dante)44, sottopose all’approvazione del Consiglio la collocazione sotto la loggia di due lapidi com-
memorative: una dedicata al Plebiscito che sancì l’annessione, l’altra ai patrioti veronesi morti nelle guerre d’Indipendenza45. La scelta del sito per le due lapidi cadde, dunque, ancora una volta, sul Palazzo del Consiglio, definito dal relatore «edifizio […] memorabile della vita del nostro popolo», essendo stato sede dell’antico governo cittadino. Per questo stesso motivo, nella medesima seduta, la Loggia dell’antico Palazzo fu destinata «ad uso di Panteon cittadino»46. Si concretizzava così, a quasi vent’anni di distanza, il progetto immaginato da Giacomo Franco: esprimendosi quasi con le medesime parole dell’architetto, Martinati tornava a ricordare gli esempi già realizzati agli Uffizi a Firenze e nelle logge di palazzo Ducale a Venezia, rappresentando perfettamente la continuità tra periodo pre e post unitario. Anche se i monumenti di Sanmicheli e di Veronese ebbero poi collocazione altra dalla Loggia (l’uno nel 1874 in piazza Pradaval, l’altro nel 1888 in piazza Santa Anastasia), la continuità storica tra il pantheon nascente e le sculture esistenti, elaborata da Franco con il suo progetto, trovò una relazione con la statua di Dante Alighieri di Ugo Zannoni (1865), collocata al centro della Piazza dei Signori, metafora, come detto, delle aspirazioni italiane della cittadinanza sottomessa, ma anche tributo indiretto alla Signoria scaligera che aveva ospitato il poeta, vagheggiato simbolo d’indipendenza civica47. L’inaugurazione del Pantheon e la collocazione delle lapidi avvenne il 5 giugno 1870 in occasione della festa dello Statuto Albertino48. Prima di allora però il Consiglio aveva provveduto al restauro della Loggia49, al quale era seguito un più ampio intervento di “ripristino” dell’intero edificio.
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vembre 2001; n. 97 del 9 dicembre 2010, n. 44 del 7 luglio 2011. 43 Resoconti, cit., 1870, p. 66. 44 A.Manganotti,G.Camuzzoni,G.Turella,Inaugurazionedelmonumento a Dante Alighieri in Verona nel 14 maggio 1865, Verona 1865. 45 Resoconti, cit., 26 aprile 1870, pp. 186-190. Le targhe sono attualmente collocate sotto la loggia di Palazzo Barbieri. 46 Resoconti, cit., 26 aprile 1870, p. 188. 47 In piazza dei Signori sono (ed erano) presenti anche la statua di Girolamo Fracastoro, scolpita da Danese Cattaneo, sopra l’arco verso via delle Fogge (1559), e quella di Scipione Maffei, realizzata da Angelo Finali, sopra il vòlto Barbaro (1755). Cfr. T. Lenotti, Piazza dei Signori, Verona 1954, pp. 33-34. 48 Resoconti, cit., 26 aprile 1870, p. 189; Festa dello statuto, in «L’Arena», 5 giugno 1870; Festa dello statuto, in «L’Arena», 7 giugno 1870. 49 Nel Resoconto morale dell’amministrazione del Comune di Verona dal novembre 1867 al febbraio 1871, Verona 1872, a p. 121 si legge a proposito del restauro della Loggia: «Si levò dapprima una cancellata, che divideva in due la loggia, postavi in epoca posteriore di molto alla costruzione del palazzo. Si rinnovò l’intonaco delle pareti, esplorando prima diligentemente se esistesse qualche storica memoria da conservarsi. Nulla si rinvenne; tutto era stato smantellato ed erasi perduto irreparabilmente.
R. Cona, Le Case di Ricovero e d’Industria dalla «riforma generale» alla pax asburgica, in L’Ospedale e la città. Cinquecento anni d’arte a Verona, a cura di A. Pastore, G. M. Varanini, P. Marini, G. Marini, Verona 1996, pp. 109-115. 37 Busti dell’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere, a cura di C. Bertani, C. Contri, Verona 2011. 38 A. Bertoldi, Di Pietro Paolo Martinati e de’ suoi scritti storici e paleoetnologici, estratto da «Archivio Veneto», XVI, parte 2, 1878; A. Bertoldi, Elogio di Pietro Paolo Martinati, estratto da «Accademia d’Agricoltura Arti e Commercio di Verona», s. 2, LVII, 1879. 39 Resoconti delle sedute del Consiglio Comunale di Verona, 29 gennaio 1870, p. 63. 40 M. Basso, C. Bertoni, Il cimitero di Verona: architettura e scultura tra Neoclassicismo ed Eclettismo, in Gli spazi della memoria. Architettura dei cimiteri monumentali europei, a cura di M. Felicori, Roma 2005, pp. 171-185. 41 Resoconti, cit., 29 gennaio 1870, p. 69. 42 Le norme poi cambiarono e furono fissate nel 1897. Sono ancora vigenti, vedi Regolamento per le onoranze nei Pantheon del cimitero monumentale di Verona, approvato dal Consiglio comunale nella seduta del 31 marzo1897, modificato con deliberazioni consiliari n. 77 del 22 no-
2. LE NORME PER LA COLLOCAZIONE DELLE IMMAGINI DI ILLUSTRI VERONESI NELLA LOGGIA DEL PALAZZO DEL CONSIGLIO Qualche mese dopo la solenne celebrazione pubblica, nella seduta consiliare del 14 dicembre 1870, la commissione incaricata di redigere le Norme51 per il Pantheon della Loggia del Consiglio (un triumvirato52 composto da Ettore Scipione Righi53, Pietro Paolo Martinati, Ottavio di Canossa54) presentava la propria proposta per voce di Righi. In questa occasione si verificò il cambiamento di nome della raccolta, che fu definita, come «grecamente dicesi», Protomoteca. Le Norme stabilivano di onorare la memoria di tutti quegli illustri «che nacquero in Verona, o nella sua provincia, oppure accidentalmente fuori, ma sempre da genitori accasati in questa, o in quella: come coloro che quantunque nati altrove, pure al momento della loro morte erano da lungo tempo volontariamente stabiliti in Verona o nella sua Provincia»55. Le norme attraverso le quali accedere a tale onorificenza ri-
calcavano, come ammesso dallo stesso relatore, quelle già approvate per il Regolamento del Pantheon cimiteriale, con la sostanziale differenza che la Protomoteca, essendo libera dai vincoli imposti per le sepolture, poteva accogliere illustri di ogni epoca anche «quelli già ammessi nel Panteon del Civico Cimitero, o ricordati con monumenti nelle Chiese ed altri pubblici luoghi della città e provincia»56. Prevalse, quindi, nella definizione di quest’ultima norma la volontà comune «di riunire in un sol luogo le immagini di tutti gli illustri veronesi»57 e, in particolare, (ma non solo) di tutti quelli che «non possono essere accolti nel Pantheon del civico Cimitero»58. Caratteristica delle Norme elaborate per la Protomoteca fu di definire sia le norme attraverso le quali si accedeva all’onorificenza, sia quali fossero quegli illustri per i quali sarebbe stata invece autorizzata «senza bisogno di pratiche speciali». In allegato al documento furono infatti presentate al Consiglio due liste chiuse denominate B e C (esisteva, infatti, un allegato A delle Norme dedicato alle modalità di disposizione dei ritratti, poi cassato dall’edizione a stampa), composte rispettivamente di 48 e 28 nominativi, sulle quali vennero aggiunte alle Norme due specifiche disposizioni transitorie. L’obbiettivo era quello di evitare, per i soli personaggi di «incontestabile celebrità», le normali procedure definite dalle Norme al fine di «agevolare la collocazione delle onorificenze nella Protomoteca, e di eccitare il concorso privato ad un’opera che, lasciata alle sole forze dell’erario comunale, non sarebbe certo per molti e molti anni condotta ad uno stato soddisfacente»59. Lo stesso Righi, rispondendo alle obiezioni sollevate da qualche consigliere sul criterio di scelta, spiegava che la prima lista «contiene gli uomini illustri la cui celebrità è di primo ordine per la città o provincia» per i quali «le Amministrazioni comunali restano autorizzate a provvedere senz’altro» alla collocazione dei ritratti. La seconda lista, invece, elencava le personalità di minore importanza, per le quali sarebbe stata accordata l’onorificenza «quando però la spesa necessaria, in luogo del Comune, sia sostenuta dai
Si provvide alla coloritura del soffitto, eseguita sulle tracce dell’antico disegno. Si costrusse infine un ricco pavimento a marmi rossi e bianchi tirati a pulimento, in luogo del guasto ed ignobile mattonato». 50 Inaugurazione del Panteon cittadino, Verona 1870, p. 3. 51 Resoconti, cit., 14 dicembre 1870, p. 448. Il regolamento fu stampato dalla tipografia Vicentini e Franchini, col titolo di Norme da seguire per la collocazione delle immagini di illustri veronesi nella Loggia del Palazzo del Consiglio destinata all’ufficio di Panteon o Protomoteca Veronese, Verona [1870]. Per il testo integrale del regolamento si rimanda all’Appendice documentaria. 52 Il triumvirato rappresentava le anime della politica locale: un cattolico (Canossa), un liberale (Scipione Righi) e un progressista (Martinati).
53 Sulla sua figura vedi Ettore Scipione Righi (1833-1894) e il suo tempo, atti della giornata di studio, Verona 3 dicembre 1994, a cura di G.P. Marchi, Verona 1997. 54 Per una memoria sul personaggio: T. Poggi, Ottavio di Canossa, «Atti e memorie dell’Accademia d’Agricoltura Scienze Lettere Arti e Commercio di Verona», s. IV, LXXXII, 1907, pp. 214-227; vedi B. Avesani, Canossa Ottavio di, in D.B.V., I, p. 193. 55 Norme, cit., art. 2. 56 Norme, cit., art. 3. 57 Resoconti, cit., 14 dicembre 1870, p. 432 58 Norme, cit., art. 3 59 Resoconti, cit., 14 dicembre 1870, p. 432.
Alla solenne cerimonia intervennero il prefetto Antonio Allievi e il sindaco Giulio Camuzzoni. Nel discorso tenuto da quest’ultimo, denso di contenuti patriottici, espressi con il vocabolario retorico delle occasioni pubbliche, si legge il chiaro riferimento a uno degli obbiettivi del suo programma politico: l’educazione popolare. Questa fu infatti la principale finalità affidata al Pantheon veronese, che faceva affermare a Camuzzoni: «il cittadino, inspirandosi alle gesta dei nostri grandi, sentirà una nobile fiamma che lo purgherà di ogni basso effetto; egli darà lena a compiere i suoi doveri; gli aprirà fors’anco la via della gloria»50. Il nobile, quanto velleitario, progetto educativo rispondeva pienamente al programma nazionale di educazione intesa non solo come mera alfabetizzazione delle masse incolte, ma anche come processo di moralizzazione, che doveva trovare attuazione nella promozione e divulgazione dei valori laici e civili del nuovo stato. Il ricordo delle glorie veronesi andava sentito tanto come simbolo di un mai sopito orgoglio municipalistico quanto ( e soprattutto) come contributo locale alla cultura ed alla storia della nazione.
privati»60. Alle due liste era in sostanza attribuito un ordine di priorità determinato dalla rilevanza dei nominativi in esse elencati e dalla reale possibilità che i privati o gli enti potenzialmente interessati concorressero alla realizzazione dei ritratti. Da questo fondamentale presupposto discesero le diverse fasi di formazione della Protomoteca, l’ordine di realizzazione dei ritratti e la conseguente loro distribuzione negli spazi della Loggia. Il piano iconografico messo a punto dalla commissione prevedeva, data l’esiguità dello spazio a disposizione, l’inserimento sotto la Loggia di busti, erme e medaglioni, accompagnati da un’iscrizione identificativa ed aventi tutti il medesimo valore onorifico, a prescindere dalla collocazione ricevuta. Il modello di riferimento, come detto, era dichiaratamente quello del Pantheon veneziano, costituito dalle medesime tipologie di ritratti, ma anche la collocazione nella Loggia del Consiglio Comunale era di valenza analoga all’originario allestimento nella città lagunare sotto le logge di Palazzo Ducale, sede storica del governo della Repubblica Veneta. A differenza di quanto realizzato a Venezia, però, la commissione veronese, su indicazione della Giunta, aveva definito fin dall’inizio un progetto di allestimento che, «mediante un concetto armonico generale»61, impedisse negli anni una disordinata stratificazione delle onorificenze che «cagionerebbe confusione nelle linee architettoniche e nuocerebbe all’estetica dell’edificio»62. L’incarico di redigere il progetto venne affidato all’architetto Giacomo Franco e all’ingegnere Enrico Sartori che presentarono all’assemblea municipale il proprio lavoro solamente due anni più tardi. Nell’articolo 4 delle Norme del 1870 si faceva riferimento però già ad un disegno (definito allegato A) a cui era obbligatorio attenersi per la collocazione dei marmi. Più che il vero e proprio progetto d’allestimento, l’allegato probabilmente illustrava in linea di massima le tipologie di ritratti ammesse e la loro disposizione ordinata e simmetrica63. In sede di Consiglio tali vincoli sollevarono alcune perplessità soprattutto in relazione al numero delle onorificenze previste. Secondo alcuni la rigidità del progetto non poteva consentire la continuità nel tempo della Protomoteca e, in particolare, avrebbe portato all’esclusione di donazioni di ritratti diversi da quelli previsti. A queste obiezioni la commissione rispondeva che «Agli ottanta nomi dei due elenchi, pochi se ne avranno da aggiungere per far completa la serie degli illustri che vissero fino ad oggi. Crede non si sorpasserà il numero di novanta; ma ammesso se ne avessero
anche cento, il Panteon [intendendo quello del Cimitero, n.d.a.] è capace per duecento […]»64. Come vedremo queste entusiastiche previsioni non troveranno riscontro, ma è ugualmente importante notare come le Norme, così concepite nella loro suddivisione in articoli, allegati e norme transitorie, non si erano limitate a costituire e regolamentare la Protomoteca, ma erano arrivate indirettamente a pianificare anche i tempi ed i modi della sua realizzazione. Il conferimento immediato delle settantasei onorificenze elencate nelle due liste voleva determinare infatti la formazione del primo nucleo di ritratti della raccolta, col pensiero che poi si sarebbero aggiunti, negli anni, quelli dei futuri “illustri” ai quali di fatto erano riservati i tredici articoli dello Statuto sulle modalità di concessione dell’onorificenza. Da questa scrupolosa pianificazione discese il progetto di allestimento della Protomoteca, fedele traduzione delle ottimistiche aspettative della committenza. 3. GLI ELENCHI Non sono stati reperiti documenti sui criteri usati dalla Commissione nel proporre le liste per la Protomoteca. Gli elenchi B e C delle Norme (vedi l’appendice al capitolo) perseguono l’intento di celebrare uomini illustri in diversi campi del sapere, ma sono formulati a prima vista senza un ordine logico e senza fonti letterarie precise di riferimento: non sono un elenco alfabetico, non seguono un ordine diacronico, non sistemano i nomi per tipologia di mestiere. Raggruppando i nominativi dell’elenco B per “professione”, possiamo distinguere i poeti e gli scrittori (Catullo, Cornelio Nepote, Emilio Macro, Guarino, Giovanni Battista Spolverini, Isotta Nogarola, Ippolito Pindemonte, Caterina Bon Brenzoni), gli eruditi e i letterati (Domizio Calderini, Torella Saraina, Onofrio Panvinio, Scipione Maffei, Antonio Cesari), i medici (Giovanni Battista Da Monte, Girolamo Fracastoro, il medico e scrittore Giulio Cesare Scaligero), i giuristi (Bartolomeo Cipolla), i musicisti (Giuseppe Torelli), gli artisti (Altichiero, Stefano, Pisanello, Matteo Pasti, fra Giovanni, Antonio Rizzo, Francesco Caroto, Paolo Cavazzola, Domenico e Francesco Morone, Falconetto, Paolo Caliari), gli architetti (Fra Giocondo, Michele Sanmicheli, Girolamo Sanmicheli), gli scienziati e matematici (Antonio Cagnoli, Anton Maria Lorgna), i botanici e agronomi (Ciro Pollini, Abramo Massalongo), gli ecclesiastici di fama per ruolo storico e per cultura (San Zeno, Pacifico, Adamo Fumano, Enrico Noris), gli antesignani del mestiere di archeologo (Francesco Bianchini), i protagonisti della prima signoria degli Scaligeri (Mastino I, Alberto I, Bartolomeo
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Ibidem, p. 454. Resoconti, cit., 6 aprile 1872, p. 124. Resoconti, cit., 14 dicembre 1870, p. 453.
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Norme, cit., art. 4. Resoconti, cit., 14 dicembre 1870, p. 432.
I e Cangrande I della Scala). L’elenco C segue più o meno le stesse categorie, ma senza le presenze femminili, in grado di attribuire un pizzico di ‘modernità’ alla prima scelta della Commissione del 1870: due donne, Isotta Nogarola e Caterina Bon Brenzoni, erano degne di comparire tra i 48 “illustri” irrinunciabili della Protomoteca (per confronto nel Pantheon di Venezia le donne erano tre: Caterina Cornaro, Giustina Renier e Cassandra Fedele ). L’assenza più evidente tra le professioni è quella dei condottieri e dei militari (Scaligeri, a parte) e l’opzione ha il sapore di una valutazione consapevole in una città dove ancora i nobili (con orgogliosi antenati prodighi di carriere nell’esercito) erano al centro della vita politica. Questa scelta, certo, fu agevolata dalla mancanza nella storia cittadina di eroi degni di nota. Gli elenchi B e C, del resto, erano (e rimangono) opinabili65, in parte perché queste liste lo sono per loro natura e, in parte perché molti personaggi catalogati alla C magari avrebbero potuto comparire nella serie principale (e viceversa). La mancanza assoluta di qualche nome in entrambe le serie appare più clamorosa. In qualche caso la spiegazione sembra a portata di mano: il pittore Antonio Balestra (Verona 1666-1740), ad esempio, il cui ruolo storico e artistico è di gran lunga superiore ai confini di Verona, pagava il disamore, se non la repulsione, del gusto tardo ottocentesco, verso l’arte del Seicento e del primo Settecento, e l’eccezione di Giambettino Cignaroli, presente nella lista C, si spiega specialmente col suo essere fondatore dell’Accademia cittadina di Belle Arti. Altre esclusioni risultano meno comprensibili, anche rispetto alla storiografia del XIX secolo: fu dimenticato per esempio il pittore Liberale da Verona (l’unico artista direttamente citato nel titolo di una biografia delle Vite di Giorgio Vasari, nell’edizione del 1568, assieme a fra Giocondo66), mentre nella lista B ci sono i pittori coevi Domenico e Francesco Morone. In modo simile sul fronte dell’erudizione storica fu dato il massimo risalto a Torello Saraina, ma non si fecero rientrare tra gli “illustri” Girolamo Dalla Corte e Lodovico Moscardo, autori di opere sulla storia della città di importanza almeno pari. Anche nella lista C, dichiaratamente mossa dall’intento di ottenere la commissione dei ritratti da altri enti o da privati, si osservano apparenti incongruenze. Ecco l’inclusione per il medioevo del cronista Paride da Cerea e del poeta Gidino da Sommacampagna le cui effigi furono poi in effetti con-
segnate alla Protomoteca dai comuni d’origine. Ecco ancora lo scrittore Guglielmo da Pastrengo, inserito nella speranza che il ritratto potesse essere promosso dal comune di provenienza. Ci si può chiedere, allora, perché fu estromesso il grammatico Rinaldo Calvalchini da Villafranca, già considerato alla stessa stregua di Guglielmo da Scipione Maffei nella Verona Illustrata. Il gioco degli inclusi e degli esclusi potrebbe continuare fino a diventare ozioso, dimostrando nel suo meccanismo che la Commissione adottò con coscienza una propria discrezionalità, forse nemmeno troppo mascherata dal desiderio di far trasparire dei criteri di selezione di carattere oggettivo. Il piano della Protomoteca, d’altro canto, era aperto e avrebbe potuto proseguire oltre le liste B e C, consentendo al triumvirato (Canossa, Righi, Martinati) di rimettere idealmente ai posteri l’esigenza di apportare le opportune integrazioni. Non sfugge che l’inserimento nel primo elenco di due naturalisti vissuti nello stesso XIX secolo, come Ciro Pollini, morto nel 1833, e come Abramo Massalongo, morto nel 1860 (solo dieci anni prima dell’istituzione della Protomoteca) doveva essersi giovato degli interessi nella materia di Martinati e Canossa (proprio Martinati aveva curato l’acquisizione della collezione Massalongo al Museo Civico)67. Il criterio di accogliere tra gli “illustri” delle personalità del primo Ottocento aveva riguardato anche la lista C, dove si evidenziano in particolare la presenza dell’ingegnere Giuseppe Barbieri (morto nel 1836 e autore, tra l’altro, del Municipio e del Cimitero) e dell’abate e scienziato Giuseppe Zamboni (morto nel 1846, inventore della pila a secco). La scelta di celebrare questi personaggi del periodo asburgico tra le glorie civiche rende più evidente l’assenza dei ‘martiri’ delle guerre d’indipendenza, anche di uomini dal profilo culturale articolato come Carlo Montanari (giustiziato nel 1853)68. Questa mancanza assume i contorni di una scelta netta. Il suo valore politico lascia desumere che fosse il risultato di una condivisione dell’intero ceto dirigente cittadino (solo veicolata dalla Commissione), compreso il sindaco Giulio Camuzzoni, in apparente contraddizione con la finalità educativa affidata alla Protomoteca, come carrellata esemplare di figure valoriali su cui fondare la città e la nazione. Probabilmente, non essendovi dubbi sull’impegno generale della Giunta Comunale nell’esaltazione del Risorgimento, prevalse la linea di scegliere personalità dal-
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ne acquistò dagli eredi del chiarissimo dottore e professore Abramo Massalongo, Verona 1860. 68 Si osserva che nel 1879 l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona provvide a commissionare per il proprio ‘cortile’ memoriale un medaglione a Carlo Montanari, realizzato da Grazioso Spazzi (Busti, cit, 2011, pp. 28-29). 69 Romagnani, Lapidi, cit., pp. 205-206. L’autore fu il lucchese France-
In prospettiva storica, basti osservare quanti degli scrittori veronesi illustri di cui Scipione Maffei ritaglia la biografia nella Verona illustrata del 1732 non sono presenti nel piano. 66 Cfr. tra gli ultimi P. Plebani, Verona e gli artisti veronesi nelle «Vite» di Giorgio Vasari, Milano 2012; Le Vite dei veronesi di Giorgio Vasari. Un’edizione critica, a cura di M. Molteni, P. Artoni, Treviso 2013. 67 E. De Betta, P.P. Martinati, Collezioni di storia naturale che il Comu-
4. IL PROGETTO, L’ALLESTIMENTO Benché ufficialmente inaugurata nel 1870, la Protomoteca di fatto cominciò ad esistere dal 1873. All’anno precedente risale, infatti, la prima discussione in sede di Consiglio sul progetto di completamento della Loggia del Consiglio, presentato alla municipalità da Giacomo Franco e dall’ingegnere Enrico Sartori il 6 aprile 187270. Il verbale di seduta riferisce che «la Commissione d’ornato applaudì al progetto siccome quello che non ostante la difficoltà della ricorrenza di alcune linee primordiali della facciata è coordinato in modo da corrispondere allo stile dell’edificio ed al carattere della nuova destinazione della loggia»71. Così approvato il progetto fu immediatamente sottoposto alla Giunta che provvide ad autorizzarne la realizzazione, stabilendo, in base agli stanziamenti previsti, che dovesse essere ultimata entro il 187472. La forte volontà dimostrata dall’Amministrazione Comunale di arrivare presto al completamento dei lavori per la Protomoteca, affinché il prima possibile si potesse dare il via
alla realizzazione dei marmi, si concretizzò con la chiusura anticipata del cantiere già entro il dicembre 187373. L’allestimento elaborato da Franco si ricostruisce esaminando le fotografie d’epoca ed il rilievo svolto a cura del Comune in occasione dello smontaggio e trasferimento dei marmi della Protomoteca nell’attuale collocazione in Biblioteca Civica74. Il fronte interno della Loggia (fig. 2), oltre le nicchie ai lati del portale d’ingresso dove erano state collocate in simmetria le due statue dell’Annunciazione di Girolamo Campagna (che erano state tolte per ragioni conservative dalla facciata del palazzo)75, era stato suddiviso in sette campate scandite da paraste e suddiviso in due porzioni ciascuna da un cornicione. Lo stesso modulo, in proporzioni ridotte, si ripeteva nelle pareti laterali, frazionate ognuna in tre parti. Negli spazi parietali così simmetricamente partiti erano collocati tutti i medaglioni, disposti secondo due moduli prestabiliti che prevedevano, a seconda dell’estensione della campata, uno o due tondi nell’area al di sopra del cornicione, e due o tre in quella al di sotto. All’incrocio tra cornicione e parasta, quindi tra le due fasce di medaglioni, trovavano collocazione le erme (figg. 3-7). Nella parte inferiore, ad altezza dell’osservatore, erano collocati i busti che, appoggiati ciascuno su una propria mensola, seguivano nella loro disposizione la partizione architettonica della facciata: per ogni campata, come per i medaglioni posti superiormente, erano previsti da due a tre ritratti e, in corrispondenza di ogni parasta, un busto sopraelevato rispetto agli altri grazie all’aggiunta di un alto piedistallo a pianta poligonale76. Sotto ciascuna mensola, infine, era presente una targa, presumibilmente anch’essa marmorea, con l’iscrizione del nome dell’effigiato, la professione e le date di nascita e di morte77. La caratteristica saliente del progetto era quella di stabilire
sco Petroni (1877-1960). Nel 1867 era stata affissa una targa lapidea con ritratto sulla facciata del palazzo dello stesso Montanari, per volontà del fratello Giovanni Battista: Monumenti celebrativi dell’età risorgimentale nella provincia di Verona, a cura di D. Beverari, M. Vecchiato, Verona 2008, p. 274. 70 Resoconti, cit., 6 aprile 1872, pp. 123-127. 71 Ibidem, p. 125. 72 La sistemazione della Loggia si inseriva in un generale piano di riordino ed adattamento del Palazzo che era stato destinato a sede dell’Amministrazione Provinciale nel 1869. In questa occasione il Comune, proprietario dell’immobile, provvide al rifacimento della facciata ed al restauro dei suoi affreschi, mentre alla Provincia fu demandato l’onere di adattare gli spazi interni alla nuova funzione. Progettista di questa seconda parte di interventi fu, ancora una volta, Giacomo Franco (Scola Gagliardi, Giacomo Franco, cit., pp. 61-62). A questi stessi anni risale, inoltre, il trasferimento dell’Annunciazione bronzea di Girolamo Campagna tolta dalla facciata dell’edificio e collocata nella Loggia, ai lati della porta d’ingresso. Allo stesso Franco, dunque, è naturale attribui-
re, contestualmente alla riorganizzazione della Loggia in funzione della Protomoteca, anche la progettazione delle due nicchie laterali poi destinate ad accogliere le sculture dell’Annunciazione fino al 1917, anno in cui saranno definitivamente rimosse per essere depositate nei Civici Musei. 73 Resoconti, cit., 12 marzo 1873, pp. 266. 74 A.G.C., Carteggi 1931-1970, Loggia di Frà Giocondo. Trasferimento della Protomoteca (classifica: 1937, IX,5,2). 75 Vedi nota 72. 76 Sul lato sinistro della parete mediana, a partire dalla porta d’ingresso, trovavano una collocazione sopraelevata i busti di Onofrio Panvino, Girolamo Dai Libri e Bartolomeo Cipolla (cat. 51, 69, 50); sul lato destro, invece, Alberto I Della Scala e Caterina Bon Brenzoni (cat. 60, 53). 77 L’esistenza dei piedistalli a pianta poligonale e delle iscrizioni è documentata da una delle rare fotografie scattate sotto la Loggia (fig. 2) in cui sono chiaramente distinguibili due tipi di targhe: una scura usata per tutti i busti collocati all’interno delle campate ed un’altra di colore più chiaro per quelli sistemati davanti alle paraste (B.C.Vr, Archivio Fotografico, Palazzo del Consiglio, cartolina 76/3).
la fama consolidata e indiscutibile, specialmente nelle arti e nelle scienze. È possibile, però, che, si volesse evitare per la Protomoteca di assumere la decisione su quale fosse il “martire” locale più meritevole di essere effigiato, trattandosi di vicende ancora sensibili e cariche di emotività. Si aveva, tra l’altro, in progetto il luogo deputato agli eroi patri al cimitero (Beneficiis in patriam), dove già nel 1866 l’amministrazione aveva stabilito di collocare un monumento a Montanari. Il proposito rimase però a lungo disatteso e fu effettivamente realizzato soltanto nel 1910, ma con il cambio di destinazione dell’opera in bronzo dal cimitero (col piano di posizionarla nel piazzale antistante) all’imbocco di via dell’Interrato dell’Acqua Morta69.
fin dall’inizio un preciso ed ordinato piano di allestimento destinato a rimanere sostanzialmente immutato nel tempo. Per questo motivo l’Amministrazione, convinta sostenitrice del valore storico, morale, nonché artistico dell’iniziativa, commissionò un progetto che, pur mantenendo intatto il «concetto armonico» ed unitario, prevedesse la collocazione di un numero maggiore di ritratti affinché anche i futuri “illustri” veronesi potessero trovare la loro degna ed ordinata sistemazione sotto Loggia78. Si spiegano così i tanti spazi rimasti vuoti e l’aspetto d’incompletezza tramandato dalla documentazione fotografica realizzata ben dopo il compimento dell’originale programma celebrativo (fig. 1). Analizzando le immagini disponibili ed immaginando di occupare tutte le posizioni predisposte dal modulo inventato da Franco, si contano ben 98 collocazioni possibili tra medaglioni, busti e erme, e anche per quelle non occupate, come osservabile nelle fotografie più ravvicinate, erano già stati preparati gli incavi nell’intonaco e le mensole di appoggio79. Ricostruendo la cronologia di realizzazione dei ritratti e le modalità con cui questi vennero autorizzati, risulta che il progetto si era limitato a definire la disposizione delle diverse tipologie di sculture senza però fornire un ordine prestabilito per le effigi marmoree di cui era già certa la realizzazione. Come indicato nelle Norme, infatti, ogni onorificenza poteva essere conferita solo dal Consiglio su proposta della Giunta la quale, secondo quanto enunciato nelle norme transitorie, doveva in primo luogo autorizzare e promuovere quelle previste negli elenchi allegati al piano del 1870. Appare chiaro che fin dall’inizio la lista B, considerata l’importanza dei nomi e la mancanza di discendenti diretti, fu quella su cui si concentrò l’attenzione della Giunta, tanto che, entro il 1880, le 48 onorificenze vennero tutte conferite, portando la Protomoteca a contenere 22 medaglioni, 23 busti e 3 erme80. A questa serie si aggiunsero i ritratti di Giambettino Cignaroli, Giovanni Cotta e Paride da Cerea (cat. 8, 13, 45), che, benché inseriti nella seconda lista, trovarono immediata collocazione grazie alla solerte partecipazione economica di enti diversi dalla municipalità scaligera (l’Accademia di Pittura e Scultura, e i comuni di Sommacampagna e di Cerea). Fatte salve queste tre eccezioni, agli illustri della prima lista fu riservata automaticamente l’intera pa-
rete mediana della Loggia a partire dalle posizioni disposte ai lati della porta d’ingresso che, ovviamente, offrivano la maggiore visibilità possibile81. Verosimilmente proprio per questo motivo la sequenza cronologica delle onorificenze, conferite a più personaggi nelle medesime sedute consiliari, non seguì pedissequamente l’ordine della lista ma quello adottato negli anni dalla Giunta proponente. Un altro fattore discriminante per la disposizione dei marmi fu costituito dalla scelta tra medaglione, busto e erma. Benché non in tutte le sedute del Consiglio la questione sia stata oggetto di discussione, appare evidente che la parità d’importanza attribuita dalle Norme alle diverse tipologie di scultura non fu in realtà interpretata da tutti i consiglieri come tale (né oggettivamente, anche agli occhi di noi posteri, il “peso” memoriale di un busto appare equivalente a un medaglione). Così accadde in occasione della seduta del 12 agosto 1876 quando venne proposto di far scolpire tre busti raffiguranti Mastino I, Bartolomeo della Scala e Caterina Bon Brenzoni e le medaglie con i profili di Catullo e Cornelio Nepote. L’intervento del consigliere Augusto Caperle (che fu poi sindaco nel 1891)82 fece cambiare la decisione: ai due signori scaligeri fu destinata la semplice medaglia, riservando invece l’onore del busto agli autori latini, secondo una evidente pregiudiziale classicista83. In un’altra occasione a decidere la forma da dare alle onorificenze fu semplicemente lo spazio a disposizione, come nella seduta del 20 dicembre 1873 quando si stabilì che i ritratti approvati in quella circostanza prendessero le forme di quattro medaglie, due erme e due busti affinché andassero «a completarsi le due campate della Protomoteca, laterali alla porta»84. Alle soglie del nuovo secolo il programma celebrativo stabilito dalle Norme arrivò a completamento con il conferimento delle ultime onorificenze della seconda lista. Per alcune di queste però non si giunse alla realizzazione vera e propria del ritratto marmoreo, mentre di nessun “nuovo illustre” fu mai discussa la candidatura. Così, inconclusa e di fatto abbandonata, la Protomoteca giunse ad occupare tutte le campate della parete centrale e solo parte di quelle laterali, dove furono collocati gli ultimi medaglioni e dove avrebbero dovuto trovar posto le attese future glorie veronesi.
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Resoconti, cit., 14 dicembre 1870, p. 452. Le lista B constava di 48 nominativi, la C di 28. Immaginando di riempire tutte le posizioni previste dal modulo proposto da Franco, si arrivano a contare per la parete di sinistra 27 medaglie, 22 busti e 5 erme mentre per quella di destra, meno estesa, 22 medaglie, 18 busti e 4 erme, per un totale di 98 ritratti contro i 76 definiti dalle liste. I marmi effettivamente realizzati consistono in 41 medaglie, 26 busti e 5 erme, per un totale di 72 ritratti.
Resoconti, cit., 5 gennaio 1880, pp. 28-35. Con le onorificenze votate nella seduta del 22 dicembre 1873 veniva autorizzata la realizzazione di 4 medaglie, 2 busti e 2 erme che andarono così a completare le prime due campate laterali alla porta d’ingresso al palazzo (Resoconti, cit., 22 dicembre 1873, p. 755). 82 G.F. Viviani, Caperle Augusto, in D.B.V., pp. 194-195. 83 Resoconti, cit., 12 agosto 1876, pp. 126-127. 84 Resoconti, cit., 20 dicembre 1873, p. 754-756.
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5. DALLA FORMAZIONE ALL’ABBANDONO: 1870-1940
nanza del 24 marzo 1871, espresse parere sfavorevole alla proposta di cessione del busto (oggi irreperibile) di Giovanni Battista Da Monte «essendo un ornamento troppo interessante» e importante per la storia dell’istituzione88. Anche Antonio Nogarola, discendente della letterata Isotta, nella sua lettera di risposta dichiarò, con rammarico, di non poter aderire all’invito di donare l’effigie della propria ava perché troppo affranto dalla «incommensurabile sventura della perdita dell’unico figlio» che sarebbe stato l’unica vera certezza della futura memoria della famiglia89. Da segnalare, infine, la risposta di Antonia Brenzoni, cognata della poetessa Caterina, che pur dichiarando la disponibilità del proprio figlio, erede della benemerita, ad aderire alla proposta del Comune riferiva che prima di cedere il busto posseduto in casa «desidererebbe farne estrarre una coppia»90. Ultimato finalmente, nel 1873, il progetto di allestimento ed esaurita questa prima fase di promozione, la formazione della Protomoteca procedette secondo due fasi storicamente ben distinte: tra il 1873 ed 1880 il Comune provvide ad esaurire tutte le onorificenze della lista B, mentre solo a partire dal 1891, e fino al 1898, si occupò di tutte le rimanenti incluse nella successiva lista C, per la maggior parte rimaste prive di patrocinio. Come riferito dall’assessore Turella nella seduta consiliare del 12 marzo 187391, i primi marmi collocati sotto la loggia furono i medaglioni di Giovanni Cotta, di Giambettino Cignaroli ed il busto di Michele Sanmicheli, scolpito nel 1857 dal giovane Ugo Zannoni e già di proprietà del Comune (cat. 66). In questa stessa occasione vennero inoltre conferite le prime sei onorificenze preliminari alla realizzazione dei busti di Fra Giocondo, Onofrio Panvinio, Paolo Caliari, Antonio Rizzo, Paolo Cavazzola e Cangrande I Della Scala, che avrebbero ornato le prime posizione ai lati della porta d’ingresso al Palazzo del Consiglio. Interessante per comprendere a pieno lo spirito dell’epoca e uno dei criteri di scelta degli uomini illustri da onorare, è
5.1 Le onorificenze tra il 1870 e il 1888 Le Norme redatte dalla apposita commissione prevedevano che, nella prima fase di formazione della Protomoteca, la Municipalità provvedesse in prima istanza ad autorizzare e promuovere la collocazione dei ritratti delle personalità iscritte nei due elenchi allegati al regolamento. Prima di intervenire con propri stanziamenti, la Giunta avviò un’opera di vera e propria promozione dell’iniziativa, spedendo una lettera a ciascuna famiglia, ente o istituzione potenzialmente interessati a tramandare con un busto o un medaglione la memoria del proprio antenato, concittadino, benefattore o insigne esponente. Con la lettera, datata 28 dicembre 1870, si invitavano tutti i destinatari a far eseguire e donare il ritratto marmoreo del proprio illustre o, se già esistente, di offrirlo alla Protomoteca85. Da un minuta anonima si apprende che quella lettera fu spedita ad una ventina di destinatari86 ma di pochissimi è stato possibile reperire una risposta. La ricostruzione storica dell’intera vicenda permette in ogni caso di affermare che pochi furono coloro che decisero di collaborare all’impresa, soprattutto tra le famiglie dei discendenti87. Degli otto doni pervenuti alla Protomoteca, infatti, solo due, il medaglione di Ludovico Canossa (cat. 16) e quello di Giovanni Battista Spolverini (cat. 27), sono attribuibili ad una commissione di origine privata. I rimanenti furono finanziati da istituzioni pubbliche, quali le municipalità di Legnago, per il medaglione di Giovanni Cotta (cat. 13), di Cerea, per quello di Paride da Cerea (cat. 8), di Zevio, per quello del pittore Stefano (cat. 38), o da altri enti cittadini quali l’Accademia di Agricoltura, Lettere e Arti, che offrì i busti dei suoi illustri componenti Anton Maria Lorgna (cat. 55) e Ciro Pollini (cat. 61), e l’Accademia di Pittura e Scultura, che fece eseguire ad un proprio allievo il medaglione di Giambettino Cignaroli (cat. 45). Tra le risposte negative ricevute da alcuni destinatari si segnala quella della Società Letteraria la quale, nella sua adu85 A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXI/22. Nel fondo archivistico sono conservate più copie della missiva, ognuna adattata nel testo in funzione della tipologia di destinatario. 86 A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXI/22, minuta. 87 Le lacune storiche provocate dalla mancanza di documentazione d’archivio, soprattutto per ciò che concerne la committenza e l’esecuzione delle opere, sono in parte risarcibili attraverso l’analisi incrociata di tutti dati reperiti. È stato osservato che per tutti i marmi certamente frutto di donazioni non venne votata l’onorificenza in sede di seduta consiliare, perciò è possibile stabilire con ragionevole sicurezza che i doni non furono più di otto. L’unico desunto come tale da questa analisi è il medaglione di Ludovico di Canossa (cat. 16). È opportuno precisare che essendo le donazioni pervenute tutte entro il 1876, non sussiste il dubbio che la mancanza della votazione consiliare dipenda dalla perdita
dei verbali di seduta che sono, almeno fino a quella data, tutti rintracciabili e facilmente consultabili. 88 A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXI/22, lettera della Conservazione della Società Letteraria al Sindaco, datata 27 marzo 1871, firmata “A. Agostini”. 89 A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXI/22, lettera di Antonio Nogarola al Sindaco, datata 11 gennaio 1871. 90 A questa lettera non ne seguirono altre, ma è possibile ipotizzare che, benché inizialmente interessato, Gerardo Brenzoni, figlio della scrivente e nipote della poetessa, non abbia poi dato seguito ai propositi espressi nella missiva (A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXI/22, lettera di Antonia Brenzoni al Sindaco, datata 4 febbraio 1871. Vedi cat. 53). 91 Resoconti, cit., 12 marzo 1873, pp. 266-269.
la motivazione espressa dall’assessore Turella, con consapevole forzatura storica, per l’onorificenza al signore scaligero, che ricordava essere «chiamato il Grande […] perché tentò di ridurre ad unità l’Italia sotto la scorta di quel divino Alighieri, che egli ospitò bandito e dal quale ebbe nome immortale colla dedica della seconda delle eterne cantiche»92. L’attribuzione dell’onorificenza a più personaggi nel corso della medesima seduta consiliare sarà una pratica pressoché costante, dipendente da una precisa modalità amministrativa. Il bilancio comunale dedicava annualmente alla Protomoteca uno stanziamento specifico che rimase cospicuo e costante durante tutta la prima fase di realizzazione arrivando ad una progressiva e sostanziale riduzione solamente negli anni Novanta. L’impegno della somma venne così discusso annualmente e, salvo rarissimi casi, nel corso di un’unica seduta. In ragione di questo meccanismo il numero delle onorificenze e la tipologia di ritratti commissionabili venne a dipendere unicamente dalla somma disponibile che, tra il 1873 ed 1879, si aggirò quasi sempre attorno alle 4.000 Lire. In realtà tale somma, frazionata in più commissioni nel medesimo anno, permise per ogni lavoro di scultura un compenso tutto sommato esiguo93. A norma delle regole istitutive ogni scultura, prima di poter essere collocata, doveva essere sottoposta alla valutazione della Commissione d’Ornato, ma a causa della perdita della documentazione archivistica non conosciamo attraverso quali modalità venisse scelto l’artista e secondo quali criteri fosse valutata l’opera94. Significativo però è osservare la presenza all’interno della Giunta e della Commissione di alcuni dei “fondatori” della Protomoteca, che dovette favorire una comunione d’intenti. A partire dal 1871 a presiedere l’organo municipale fu lo stesso Camuzzoni affiancato dall’assessore Turella. Nel 1872, in concomitanza con la realizzazione del suo progetto, era presente in Commissione anche Giacomo Franco, mentre tra i veterani incontriamo Carlo Alessandri ed Antonio Pompei, a loro volta coinvol-
ti direttamente nell’amministrazione dell’Accademia, del Museo e di altre istituzioni cittadine. In questi ambiti istituzionali ebbero qualche ruolo anche gli artisti che insegnavano all’Accademia di Belle Arti. È il caso di Giuseppe Poli, che tra il 1877 ed il 1890 fu maestro di scultura, e del suo allievo e successore Romeo Cristani, che all’incarico accademico unì, dal 1899 al 1901, la presenza nella Commissione divenuta, nel frattempo, “edilizia”95. La Giunta, fin dall’origine dell’impresa, aveva progettato di sfruttare l’iniziativa pubblica per promuovere, alla stregua del modello fiorentino, gli artisti locali, fossero essi giovani o già affermati96. Ciò avrebbe dovuto, nelle intenzioni, portare al duplice risultato di pervenire in breve tempo alla conclusione dell’ambiziosa opera con le poche risorse disponibili e, allo stesso modo, di aiutare i molti artisti veronesi che, per la presenza dell’Accademia di Pittura e Scultura, erano considerati a Verona una sorta di vera e propria classe sociale a sé. La «tenue somma» a disposizione per ogni singolo ritratto, come spiegava l’assessore Turella in occasione di una discussione sull’argomento in sede consiliare, escludeva la possibilità di assegnare gli incarichi con un concorso pubblico. Il concorso, del resto, avrebbe rallentato enormemente la realizzazione della Protomoteca, e avrebbe disincentivato l’auspicata partecipazione privata all’impresa97. I risultati di questa politica non furono però sempre all’altezza delle aspettative tanto che Ettore Scipione Righi, quale membro della commissione per le Norme, non mancherà di rimarcare «che alcuni busti collocati nella Protomoteca sono di squisita fattura artistica, altri molto al di sotto della mediocrità»98. Qualche tempo dopo, in occasione del resoconto pubblico sull’attività dell’amministrazione, la medesima critica verrà riformulata imputando lo scarso merito artistico delle opere proprio al «modico prezzo» stanziato per la loro esecuzione99. In realtà benché la Giunta avesse cercato di predisporre tut-
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1900-1901, Verona, 1902, p. 12. 96 Si segnala a questo proposito una lettera inviata da un giovane Carlo Spazzi (1854-1936) alla Giunta Municipale all’indomani dell’approvazione delle prime onorificenze (Resoconti, cit., 12 marzo 1873). Nella missiva, datata 5 maggio 1873, l’artista, venuto a sapere che «la Protomoteca è destinata ad animare gli scultori del luogo e confidando sulla disposizione apertamente dimostrata di voler incoraggiare i giovani artisti, […] ardisce a chiedere gli venga concessa l’ordinazione di uno dei busti previa l’approvazione del relativo modello che egli farebbe a suo rischio e pericolo» (A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXII/13). Qualche mese dopo, nella seduta consiliare del 22 dicembre (Resoconti, cit., p.755), Carlo Spazzi è l’artista a cui risulta affidato il busto ritratto di Paolo Morando detto Cavazzola (cat. 71). 97 Resoconti, cit., 12 marzo 1873, p. 268. 98 Resoconti, cit., 14 maggio 1875, p. 165.
Resoconti, cit., 12 marzo 1873, p. 267. A titolo d’esempio si può citare il dettaglio della spesa di 4000 Lire impiegata dal Comune per le onorificenze conferite nella seduta del 12 agosto 1876: per i tre busti di Caterina Bon Brenzoni, Catullo e Cornelio Nepote fu preventivata la spesa di 800 Lire ciascuno, per l’erma di Domenico Morone 600, per i medaglioni di Mastino e Bartolomeo Della Scala 400 ciascuno, per un totale di 3800. Le rimanenti 200 Lire sono destinate alla messa in opera delle sculture (Resoconti, cit., 12 agosto 1876). 94 MinisteroperiBeniCulturalieAmbientali.Ufficiocentraleper i Beni Archivistici, Guida generale degli archivi di Stato italiani, Roma 1994, pp. 1248. 95 L’Indispensabile ossia guida politica, amministrativa, giudiziaria, ecclesiastica e commerciale della Città e Provincia di Verona per l’anno 1870, p. 222; Idem, 1871, p. 159; Idem, 1872, p. 188; Idem, 1873, p. 192; Idem, 1876, p. 173; Relazione della Giunta al Consiglio Comunale di Verona. 189993
che della mano, non ha però minore bisogno di essere assistita», non trovando «occasioni di utilizzare il loro ingegno, e scoraggiati ed avviliti per difetto di commissioni, nessun vantaggio ritraggono dalla nobilissima arte da loro prescelta»101. Insomma Perez toglieva con una mano alla categoria generale dei «giovani artisti scultori» (come parte delle classi meno agiate) per pagare soltanto gli scultori chiamati a lavorare per il pantheon della Loggia. L’escamotage contabile dimostra nello stesso tempo la premura per il progetto e la difficoltà (sempre più crescente) del suo proseguimento.
ti i mezzi per facilitare e promuovere la formazione della Protomoteca con la partecipazione di altri enti o di privati, questa rimase sostanzialmente a carico dell’Amministrazione Comunale. Anche per questo accadde che nel 1878 una particolare congiuntura permise di stanziare per la causa della Protomoteca una cifra quasi doppia rispetto a quella consueta, consentendo di approvare l’esecuzione di ben undici ritratti. Fino a quel momento già 34 dei 48 illustri della lista denominata B avevano trovato collocazione nella parete intermedia e, grazie al generoso stanziamento, si giunse a quota 45. Tre nominativi rimasero esclusi dalla tornata, quelli di Giovanni Battista da Monte, di Isotta Nogarola e di Ippolito Pindemonte per i quali, come dichiarava l’assessore competente, «si presenta ancora una qualche lusinga che sarà loro provveduto dalla iniziativa privata» delle tre famiglie100. Due anni dopo l’auspicato contributo non era però ancora arrivato, perciò la Giunta ricorse ad uno stanziamento straordinario per realizzare gli ultimi tre ritratti e giungere finalmente ad assegnare tutte le onorificenze elencate nella prima lista. Ai nostri occhi risulta storicamente interessante il capitolo di spesa dal quale l’amministrazione decise di prelevare i fondi necessari alla realizzazione di quelle sculture. Nella seduta del 5 gennaio 1880, la stessa durante la quale furono votate le onorificenze, l’assessore Antonio Perez dichiarava al Consiglio di voler trarre la somma necessaria alla Protomoteca, altrimenti non disponibile per quell’anno, dai fondi riservati ai «lavori da destinarsi e da eseguirsi possibilmente nella corrente invernata a sollievo della classe povera operaia». Tra le categorie comprese in questa classe vi erano i «braccianti terajuoli», «tagliapietra e scalpellini», «falegnami» ed i «giovani artisti scultori». Questi ultimi, come spiegava il relatore «quantunque di condizione più elevata, e più dedita al lavoro della intelligenza
5.2 - La Protomoteca Veronese di Giulio Sartori Il 2 maggio 1881, a circa un anno dalla conclusione della prima fase costitutiva della Protomoteca, l’artista veronese Giulio Sartori (1840-1907) scrisse alla Municipalità per ottenere il permesso di accedere alla Loggia del Consiglio ed eseguire la copia di alcuni medaglioni102. Da questo lavoro prese origine l’opera in fascicoli dedicata alla Protomoteca Veronese (figg. 52-55), iniziata a stampare presso il litografo Fioravante Penuti nel 1881 e conclusa presso il litografo Pietro Pizzighella nel 1887. Artista oggi poco noto, se non proprio per questo lavoro di documentazione, Sartori si formò alla locale Accademia, di cui divenne socio nel 1876. La sua carriera iniziò ufficialmente nel 1856 con la presenza all’esposizione artistica cittadina103, alla quale continuò a partecipare saltuariamente, presentando sia ritratti, per i quali fu spesso apprezzato dalla critica coeva, che opere di tema storico e risorgimentale104. Tra i dipinti conosciuti si segnalano il ritratto di Domenico Scattola (1897, Verona, Galleria d’Arte Moderna)105 ed il grandioso Inondazione di Verona 2 settembre 1757106 di cui rimangono diverse traduzioni litografiche107 da lui stesso realizzate. Fu proprio grazie a questa parallela attività di litografo che
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106 L’autore lavorò alla realizzazione dell’opera per più di un decennio a partire dal 1879. Esposta non finita nel 1889 fu poi presentata ultimata alla Biennale veronese tre anni più tardi. In questa circostanza fu avanzata l’ipotesi di acquisto da parte del Comune del dipinto per destinarlo alle scuole Rubele «a perenne insegnamento dei giovani alunni». Nel 1894 il Consiglio Comunale respinse la proposta per mancanza di fondi cosicché alcuni cittadini decisero di finanziarne l’acquisto ricevendo in cambio una copia litografica dell’opera (G. A Aymo, Fra quadri e statue, in «L’Arena», 18-19 maggio 1892; Il quadro di Sartori, in «Arena», XXIX, n. 166, 16-17 giugno 1894; Serra, Giulio Sartori, cit., p. 230). Non è stato possibile appurare se effettivamente l’opera fu poi acquistata e donata al Comune, tant’è che ad oggi risulta dispersa. 107 Alcune delle sue opere più famose, quali L’entrata delle truppe italiane in Verona nel 1866 e la stessa Inondazione di Verona 2 settembre 1757 (Lit. G.B. Moser), furono tradotte litograficamente dal pittore e riproposte in occasione di eventi celebrativi: il primo in occasione del venticinquesimo anniversario, il secondo nel 1898 per l’inaugurazione dei Muraglioni dell’Adige (B.C.Vr, inv. 1251). Tra le stampe note attraverso
Resoconto morale dell’amministrazione del Comune di Verona dal I gennaio 1871 al 31 gennaio 1876, Verona 1878, p. 179. 100 Resoconti, cit., 4 maggio 1878, p. 139. 101 Resoconti, cit., 5 gennaio 1880, p. 30. 102 A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXII/20; lettera autografa di Giulio Sartori alla Giunta Municipale, datata 2 maggio 1881. 103 Catalogo degli oggetti esposti alla pubblica Mostra Agricolo-Industriale ed artistica, Verona 1856, n. 99 p. 39; Cfr. B. Meneghello, Annali Società Belle Arti di Verona, 1858-1921,Verona 1986, pp. 25, 256. 104 L. Servolini, Dizionario illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei, Milano 1932, p. 734; A.M. Comanducci, Dizionario illustrato dei Pittori, Disegnatori e Incisori Italiani Moderni e Contemporanei, Milano 1974, vol. V, p. 2938; Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani, vol. X, Torino 1975, p. 170; A. Serra, Giulio Sartori, in La Pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, a cura di P. Brugnoli, Verona 1986, vol. I pp.230-231. 105 Serra, Giulio Sartori, cit., p. 231; S. Marinelli, Il Regno Italico e l’età austriaca, in L’Ottocento a Verona, cit., p. 34.
Sartori si garantì una certa notorietà, contribuendo alla promozione della propria opera pittorica e grafica (ampiamente documentata dalle fonti coeve ma oggi in gran parte dispersa), e collaborando come illustratore al settimanale «La Ronda»108. Da questa competenza tecnica, unita alla sua naturale predisposizione al genere del ritratto, discese certamente il proposito di Sartori di partecipare all’evento cittadino della creazione della Protomoteca, dando vita ad una pubblicazione illustrata che rimase certamente la sua opera più nota109. L’opera consta di cinquantuno litografie abbinate ad altrettante biografie redatte dai maggiori eruditi e studiosi veronesi del periodo in vari campi: Antonio Agostini (per i medici); Antonio Bertoldi (per i due Sanmicheli); Giuseppe Biadego (per Calderini, Cignaroli, Torelli); Pietro Caliari (per quasi tutti gli artisti); Carlo Cipolla (per gli Scaligeri); Francesco Cipolla (per gli scrittori classici); Francesco Dal Fabbro (per Rizzo); Giuseppe Fraccaroli (per Bordoni); Giacomo Franco (per fra Giovanni); Luigi Gaiter (per Bianchini, Cesari, Noris e Panvinio); Angelo Garbini (per Ciro Pollini); Luigi Gelmetti (per Spolverini); Giambattista Carlo Giuliari (per Cotta, Falconetto, Fumani, fra Giocondo, Maffei, Pacifico, San Zeno); Luigi Adriano Milani (per Pisanello); Gianluigi Panighetti (per Lorgna); Gaetano Leone Patuzzi (per Bon Brenzoni); Luigi Polfranceschi (per Altichiero e de’ Pasti); Isabella Scopoli Biasi (per Nogarola); Gregorio Segala (per Catullo); Pietro Sgulmero (per Pindemonte); Leopoldo Stegagnini (per Massalongo); Francesco Trevisan (per Guarino) e Ignazio Zenti (per Cagnoli). Gaetano Da Re, infine, aveva firmato un fascicolo dedicato alla Storia della Loggia del Consiglio. L’iniziativa della Protomoteca a fascicoli (ciascuno dei quali poteva contenere due biografie) era riuscita, dunque, a coinvolgere personalità delle istituzioni culturali (Giuseppe Biadego110 della Biblioteca comunale e Giambattista Carlo Giuliari111 della Biblioteca Capitolare; Gaetano Da Re, responsabile degli Antichi Archivi di Verona112), studiosi al-
lora di grande presente o di notevole prospettiva (risaltano Carlo Cipolla per la ricerca storica e documentaria113, Luigi Adriano Milani114, artefice di una importante carriera di numismatico e archeologo a Firenze; Giuseppe Fraccaroli115 poeta e, in quegli anni, professore straordinario di lettere greche nell’università di Palermo), ma anche una donna colta e socialmente impegnata, come la contessa e scrittrice Isabella Scopoli Biasi, che fu ispettrice straordinaria per il Ministero della Pubblica Istruzione116. Queste personalità dovettero partecipare dell’intento pedagogico della pubblicazione, condividerne gli scopi, dimostrando l’adesione della cultura veronese allo spirito del pantheon voluto dall’amministrazione Camuzzoni. L’edizione della biografia degli “illustri” veronesi si avviò sotto i migliori auspici anche nella raccolta dei finanziamenti tramite dei soci sostenitori. Giunse a contarne 164. Tra i soci che concorsero si trovano i nomi delle più importanti famiglie di Verona (Bevilacqua, Carlotti, Dionisi, Della Torre, Da Lisca, Da Persico, Erbisti, Forti, Fedrigoni, Giuliari, Giusti, Gazzola, Malaspina, Miniscalchi, Monga, Nichesola, Orti, Serego, Sagramoso, Trezza), comprese alcune che potevano vantare nel piano della Protomoteca la presenza di un proprio illustre antenato (Cagnoli, Dal Bene, Maffei, Noris, Pompei, Pindemonte). Tra i partecipanti non poterono inoltre mancare i nomi di quanti avevano sostenuto concretamente la realizzazione del pantheon cittadino: Giulio Camuzzoni, vero e proprio padre e ideatore dell’iniziativa, il conte Giovanni Battista Buri, a cui si deve il medaglione di Giovanni Battista Spolverini (cat. 27), e le Municipalità di Verona e Legnago, quest’ultima committente del ritratto di Giovanni Cotta (cat. 13). A questi si unirono molte delle principali istituzioni: dalla Deputazione Provinciale alla Biblioteca municipale fino al Regio Liceo “Scipione Maffei” ed alle scuole municipali117. Vi rimasero estranee, però, l’Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere, l’Accademia di Pittura e Scultura, la Società Letteraria, la Società di Belle Arti, a dimostrare che l’iniziativa editoriale fu solo in apparenza ‘adottata’ dalla città per testimoniare la missio-
la bibliografia si segnala Custodia delle onorande reliquie dei prodi caduti in queste funeree Campagne nel 25 luglio 1848 e il 24 giugno 1866 (Lit. Penuti, 1879), probabilmente eseguita in occasione dell’inaugurazione dell’Ossario di Custoza (Servolini, Dizionario, cit.). 108 Ritratto di Carlo Germano, in «La Ronda», 1 gennaio 1884; Medaglione di Isotta Nogarola, in «La Ronda», 11 settembre 1884. 109 G. Sartori, Protomoteca Veronese, Verona 1881-1887; l’opera consta di 212 pagine non numerate di cui 50 illustrate con i ritratti litografici ed una con la fotolitografia del Palazzo del Consiglio eseguita dal tipografo Pietro Pizzighella. 110 P. Tentori, Biadego Giuseppe, in D.B.I., 9, Roma 1967, p. 821. 111 F. Brancaleoni, Giuliari Giambattista Carlo, in D.B.I., 56, Roma 2001, pp. 786-789.
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V. Cavazzocca Mazzanti, Gaetano Da Re, estratto da «Archivio Veneto», 10, 1931; M. Sgarbi, Da Re Gaetano, in D.B.V., p. 286. 113 Carlo Cipolla e la storiografia italiana fra Otto e Novecento, atti del convegno di studio, Verona, 23-24 novembre 1991, a cura di G.M. Varanini, Verona 1994. 114 A. Vistoli, Milani Adriano Luigi, in D.B.I, 74, Roma 2010, pp. 442445. 115 P. Treves, Fraccaroli Giuseppe, in D.B.I., 49, Roma 1997, pp. 556-559; Giuseppe Fraccaroli (1849-1918). Letteratura, filologia e scuola tra Ottocento e Novecento. A cura di A. Carobene e G.M. Varanini, Trento 2000. 116 A. I. Bassani, Il Vescovo Giovanni Antonio Farina e Il Suo Istituto nell’Ottocento Veneto, Roma 1988, pp. 540-541. 117 Sartori, Protomoteca, cit., Elenco dei Soci.
ne della Protomoteca. Al dunque, rimaneva nella sua essenza più profonda l’intelligente promozione di un singolo, a cui si poteva anche non aderire (e che anche per questo, come diremo, non fu mai conclusa). Inoltre è difficile giudicare il senso della partecipazione delle famiglie che si erano sottratte al finanziamento dell’effigie marmorea del loro antenato celebre nella Loggia, pur sollecitata dal Comune. Tale presenza assume i connotati di una conveniente scorciatoia per dar conto, comunque, di una adesione ai valori civici che ispiravano l’iniziativa. Nel particolare binomio biografia-ritratto l’opera di Giulio Sartori seguiva, potenziata dalla semplificazione tecnica apportata dalla litografia, una tradizione editoriale inaugurata nei primi anni del secolo XIX dalle fortunate serie iconografiche dell’editore Niccolò Bettoni, vero e proprio interprete e diffusore del culto degli uomini illustri. Contrariamente a quanto accaduto per quelle opere, però, Sartori non si prestava con la propria abilità ad illustrare semplicemente un’opera definita da un editore, ma fu egli stesso promotore e autore della pubblicazione. Questo modo di procedere trovava un presupposto nella consolidata tradizione accademica che, da Saverio Dalla Rosa con le incisioni di Gaetano Zancon118, fino alla raccolta litografica di Pietro Nanin119, dedicata all’illustrazione degli affreschi veronesi, aveva fatto dell’incisione il principale strumento per la documentazione del patrimonio artistico cittadino. Per comprendere a pieno la continuità tra queste opere e quella di Sartori bisogna tenere presente che la Protomoteca non nacque solamente come monumento in memoria delle glorie cittadine, ma anche come opera “pubblica” a decoro della città. Alla missione educativa e celebrativa doveva coniugarsi perciò, nella mente dei suoi ideatori, un indiscusso valore artistico, alla cui espressione avrebbero dovuto contribuire i migliori scultori locali. La raccolta di Sartori, dunque, non volle essere solamente un tributo in onore della nobile iniziativa pubblica, ma anche l’opera di documentazione di un monumento ritenuto significativo per la città, perché espressione esso stesso della sua tradizione artistica. La pubblicazione di Sartori immortala la situazione della Protomoteca una volta terminata la realizzazione della prima tranche di onorificenze definite dalla lista B allegata alle Norme. Sono perciò illustrati i ritratti di cinquantuno personaggi, i quarantotto iscritti alla prima lista più quelli di Paride da Cerea, Giovanni Cotta e Giambettino Cignaroli, compresi nel secondo elenco, ma già
da allora collocati nella Loggia. Anche limitandosi a considerare la raccolta litografica per il suo valore documentario, è indubbio che essa rappresenti una fonte imprescindibile per la storia della Protomoteca, seppure limitatamente alla sua prima fase costitutiva, soprattutto alla luce della scarsità di documenti attualmente disponibili riguardanti le opere e gli artisti che le crearono. Gli scultori coinvolti sono esplicitamente nominati solamente in occasione delle prime sedute consiliari dedicate all’argomento, ovvero in concomitanza con la realizzazione delle primissime opere commissionate. Per le successive, quando non sono presenti le firme sui marmi o non si dispone altre testimonianze, le attribuzioni (con i limiti di cui poi diremo) sono rese possibili dalle indicazioni a margine delle litografie di Sartori e dall’elenco delle opere e degli artisti inserito a conclusione della raccolta120. Queste informazioni hanno agevolato il riconoscimento delle diverse personalità artistiche coinvolte, alcune delle quali fino ad oggi scarsamente documentate, e suggerito l’accorpamento per similitudine stilistica di opere non firmate, come accaduto per il folto gruppo di busti e medaglioni attribuiti a «Spazzi Grazioso e figli», protagonisti indiscussi della prima serie di commissioni. L’elenco, però, col progredire della ricerca, ha rivelato inaspettatamente un certo grado di inesattezza che, se si considera la vicinanza cronologica della pubblicazione alle opere descritte, risulta in taluni casi davvero incomprensibile. Così accade che i medaglioni di Matteo de’ Pasti (cat. 36) e Girolamo Sanmicheli (cat. 43) siano attribuiti a Cesare Poli quando in realtà sono firmati dal padre Giuseppe; analogamente quello di Falconetto viene inspiegabilmente inserito nello stesso gruppo benché vergato con le iniziali di Gian Battista Troiani. A quest’ultimo è a sua volta attribuito il busto di Bartolomeo Cipolla (cat. 50), firmato invece da Luigi Marai. Ancor più sorprendente è l’errore commesso a spese della gloria della scultura veronese, Innocenzo Fraccaroli, al quale è attribuito da Sartori il solo Paolo Caliari (cat. 68) quando in realtà al famoso artista sono riconducibili, grazie al confronto stilistico ed alla documentazione rintracciata, anche il busto di Francesco Bianchini (cat. 54), segnalato come opera dello Spazzi, e l’erma di Domenico Morone (cat. 3), inesplicabilmente inserita tra le sculture eseguite dal più giovane Troiani. Nel marzo del 1887, dopo sei anni dal primo (dedicato nell’ottobre 1881 a Giovanni Battista Da Monte), uscì l’ulti-
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verio Dalla Rosa, Verona 1996, pp. XVII-XVIII; I. Turri, Gaetano Zancon, incisore (1770-1817 circa), in Scuola veronese, cit., pp. 315-328. 119 P. Nanin, Affreschi in Verona, Verona 1864. 120 Sartori, Protomoteca, cit., Elenco dei Scultori.
Vedi l’edizione: S. Dalla Rosa, Scuola veronese di pittura, Verona 2011. Cfr. G.P. Marchini, L’Accademia di Pittura e Scultura di Verona, in La pittura a Verona, cit., pp. 545-557; S. Marinelli, P. Rigoli, Catastico delle pitture esistenti nelle chiese e luoghi pubblici situati in Verona di Sa-
pevole di provocare con la sua nudità «le risa dei forestieri, che si domandano se sia una donna illustre veronese», come sdegnosamente lamentato dal consigliere Achille Cavadini in occasione della ripresa dei lavori125. Come precedentemente già segnalato, le somme annualmente messe a disposizione della Protomoteca si ridussero fortemente nel corso dell’ultimo decennio del secolo, periodo nel quale si arrivò, almeno ufficialmente, al completamento del progetto celebrativo. Non è un caso che osservando le opere risalenti a questo periodo, contrariamente alla scelta attuata per la prima lista tra i ritratti, avesse prevalso la tipologia a medaglione, forse perché ritenuta più adatta al grado dei personaggi, ma certamente anche la più economica. Così avvenne che nel 1891, quando la nuova Giunta democratica (guidata dal sindaco Augusto Caperle) tornò a trattare la questione Protomoteca, raccogliendo il plauso dell’anziano senatore Camuzzoni, gli unici offerenti disposti a partecipare all’impresa furono i comuni di Sommacampagna e di Fumane per i busti di Gidino da Sommacampagna (cat. 7) e di Bartolomeo Lorenzi (cat. 33). Questi committenti non riuscendo a sostenere l’intera spesa necessaria alla realizzazione dei ritratti dei propri concittadini, limitarono il loro contributo rispettivamente a cinquanta e venticinque lire126. Ai medaglioni di Gidino da Sommacampagna e di Bartolomeo Lorenzi si aggiunsero entro lo stesso anno l’erma di Nicola Giolfino (cat. 5) e i busti di Giuseppe Barbieri (cat. 72) e Paolo Farinati (cat. 70). L’anno seguente, con la somma cinquecento lire per ritratto si realizzarono due medaglioni (Guglielmo da Pastrengo, cat. 9, e Francesco Calceolari, cat. 32), mantenendo sempre vivo l’auspicio che qualche altro committente offrisse il proprio contributo alla Protomoteca. Nel 1895, grazie al «cumulo delle restanze delle precedenti gestioni» rimaste inutilizzate, vennero collocati ancora due ritratti (Giovanbattista Biancolini, cat. 18, e Girolamo Pompei, cat. 44), portando così a undici le onorificenze conferite alla seconda lista127. Il perdurante disinteresse dimostrato dai privati alla cele-
mo fascicolo della Protomoteca Veronese (il fascicolo di Gaetano Da Re sulla Loggia del Consiglio)121. Come aveva spiegato l’autore nella prefazione all’opera, a questa prima raccolta sarebbe dovuta seguire un’integrazione per documentare i ritratti realizzati posteriormente all’uscita dell’ultimo fascicolo. Le onorificenze per la Protomoteca si esaurirono, come diremo, tra il 1891 ed 1898, ma non tutte si tradussero realmente in ritratti scultorei. Lo scemare dell’interesse verso questo tipo di celebrazione pubblica, che lasciò la Protomoteca incompleta, segnò anche il destino della pubblicazione di Sartori, che non vide mai la prevista prosecuzione. L’entusiasmo apparente che aveva accompagnato i fascicoli biografici e illustrati nel 1881 rappresentò l’inizio della fine. In pochissimi anni la stessa classe di uomini di cultura che contribuì a scrivere le biografie e gli stessi numerosi soci, che rappresentavano la Verona più influente, osservarono la faticosa conclusione della Protomoteca reale, senza avere la forza o la volontà di dare ultimazione al progetto editoriale, divulgativo e pedagogico, di Giulio Sartori. 5.3 Il tramonto del progetto: le onorificenze tra 1891 e 1898 La scarsa partecipazione dei privati alla vicenda della Protomoteca perdurò negli anni e, trascorso ormai un decennio dall’ultima votazione consiliare, la Giunta tornò ad occuparsi dell’impresa prendendo in considerazione le onorificenze della lista C, per le quali «non si ha motivo a sperare che altri vi provveda a proprie spese»122. Una fotografia conservata presso il Museo di Castelvecchio123 immortala la situazione della Loggia negli anni tra la fine di questa prima fase di formazione e l’inizio della successiva, risalente al 1891 (fig. 1). Sono riconoscibili, alle estremità della parete mediana, gli ultimi tre ritratti commissionati, ossia i busti di Giovanni Battista Da Monte (cat. 63), a sinistra, e di Ippolito Pindemonte (cat. 52), a destra, e sopra quest’ultimo il medaglione di Isotta Nogarola (cat. 12). Nella seconda campata di sinistra, invece, è distinguibile, tra i busti di Paolo Morando (cat. 71) e Ciro Pollini (cat. 61), la scultura Eva di Innocenzo Fraccaroli124, inserita sotto la Loggia dopo la sua acquisizione al Comune nel 1869, col-
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La Protomoteca Veronese del pittore Giulio Sartori, in «Arena», 26-27 marzo 1887. 122 Resoconti, cit., 8 maggio 1892, p. 285. 123 A.M.C, Archivio fotografico, n. inv. 41574-10C5398. 124 L’opera, firmata e datata 1842, è una delle versioni derivanti dalla Eva prima del peccato, presentata da Fraccaroli all’esposizione milanese del 1840 (S. Marinelli, Innocenzo Fraccaroli, in Il Veneto e l’Austria, catalogo della mostra a cura di S. Marinelli, G. Mazzariol, F. Mazzocca, Milano 1989, scheda 86, pp.155-156; M. De Vincenti, Scultori veronesi del primo Ottocento, in L’Ottocento a Verona, cit., pp. 157, 170). Dalla documenta-
zione archivistica del Museo di Castelvecchio la statua risulta restaurata dallo scultore Poli nel 1891, informazione che lascia supporre che già entro lo stesso anno la scultura sia stata rimossa da sotto la Loggia del Consiglio (A.M.C., Catalogo informatizzato, n. inv. 6226-4C0819). 125 Resoconti, cit., 8 maggio 1891, p. 286. 126 Resoconti, cit., 8 maggio 1891, p. 285. 127 Ai dieci ritratti dipendenti dalla lista C fin qui citati, si devono aggiungere quelli di Giambettino Cignaroli e Paride da Cerea, frutto di precedenti donazioni e collocati sotto la Loggia del Consiglio negli anni Settanta (vedi sopra).
5.4 Nell’atrio della nuova Biblioteca Civica Fin dalla prima fase formativa della Protomoteca, fu avvertito il rischio di un precoce deterioramento delle sculture sia per l’esposizione agli atti vandalici, per cui poco o nulla potevano fare le cancellate a chiusura della Loggia, sia per il naturale depositarsi sulle opere di sporcizia di varia natura che già iniziava ad oscurare i marmi. A tal proposito era ripetutamente intervenuto il consigliere Canossa il quale nel 1880 aveva rinnovato la «viva raccomandazione alla Giunta affinché disponga che sieno puliti assai di frequente dalla polvere i busti e medaglioni della Protomoteca, perché coll’umidità la polvere penetra e il marmo si annerisce facilmente»130.
Questi problemi di manutenzione della raccolta non dovettero probabilmente migliorare negli anni che seguirono la collocazione degli ultimi ritratti, tanto che in un verbale d’assemblea della Commissione Provinciale Conservatrice del 1906 si legge: «viste le condizioni attuali della Protomoteca, fa voto perché il Municipio voglia provvedere ad una conveniente pulitura di essa»131. La scarsissima influenza dell’organo consultivo sulle decisioni prese dall’Amministrazione municipale in questi anni lascia supporre che l’invito fosse rimasto inascoltato, così da lasciare la Loggia nelle stesse condizioni d’incuria e abbandono in cui versava. A fare le spese di questa situazione furono per prime le preziose sculture del Campagna che vennero gravemente deturpate nel 1917 da improvvisati ladri di metalli, che ebbero l’unico merito di riaccendere l’attenzione degli organi competenti sullo stato dell’antico Palazzo132. Come recentemente ricostruito, i capolavori del Campagna trovarono riparo, proprio a seguito del grave episodio, presso i Musei Civici lasciando così vuote le nicchie ai lati della porta d’ingresso dell’edificio, ove erano state collocate dopo i restauri degli anni Settanta del XIX secolo133. Non c’è un legame diretto e documentato tra questo cambiamento e le future vicende della Protomoteca, ma è indubbio che lo spostamento delle sculture aprì la strada ad una riconsiderazione critica della Loggia e delle annesse sovrastrutture ottocentesche. Esaurita l’esperienza postrisorgimentale e ormai alle soglie dell’era fascista, la Protomoteca vedeva inevitabilmente offuscata (se non persa) la funzione moralizzatrice ed educatrice che era stata all’origine dell’iniziale collocazione pubblica nel cuore storico della città. Privata di questo suo ruolo, la raccolta fu presto interpretata come un’intrusione, una stonatura, se non proprio come la causa della deturpazione dello stesso complesso monumentale per cui era stata ideata e realizzata dai suoi padri fondatori. Il primo passo verso un complessivo ripensamento della collocazione dei ritratti marmorei avvenne nei primi anni Venti, quando l’allora Soprintendente all’arte medievale e moderna decise di intervenire presso le autorità competenti per sollecitare il restauro della facciata del Palazzo del Consiglio134. Il precedente restauro, eseguito
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brazione delle proprie glorie passate, spinse la Giunta (con il sindaco Antonio Guglielmi)128 a portare a termine in proprio, una volta e per sempre, «l’impegno morale contratto dall’Amministrazione», conferendo nell’unica tornata del 1898 le rimanenti quindici onorificenze della lista C, forse anche come rispettoso debito verso l’eredità politica e culturale di Giulio Camuzzoni, scomparso il 7 aprile 1897. Ma poiché lo stanziamento per quell’anno fu scarso quanto quello dei precedenti, ci si limitò ad autorizzare la collocazione dei quindici medaglioni «a seconda che la Giunta stessa troverà del caso, avuto riguardo alle somme disponibili a tale scopo nei bilanci annuali»129. Negli anni che seguirono quest’ultima seduta, la Protomoteca comparve regolarmente tra le voci afferenti al capitolo di spese dei Lavori Pubblici senza però arrivare all’auspicato completamento della lista C. Nel 1899 fu collocato il busto di Gian Matteo Giberti (cat. 57). Toccò al vescovo riformatore essere l’ultimo “illustre” del pantheon della Loggia. Dei quindici personaggi compresi nell’elenco secondario ed ancora privi di ritratto, quattro, relativi a uomini vissuti nel XVIII secolo, ne rimasero orfani per sempre (l’erudito Domenico Vallarsi, il medico Gianverardo Zeviani, l’agronomo Zaccaria Betti, il medico e letterato Leonardo Targa), alimentando, con la loro assenza, quel malinconico senso d’incompletezza tramandato dalle immagini più recenti della Protomoteca nella Loggia, ancora in attesa di accogliere, tra le sue glorie, nuovi Illustri.
G.F. Viviani, Guglielmi Antonio, in D.B.V., 2006, II, p. 457. Resoconti, cit., 28 giugno 1898, p. 555. 130 Resoconti, cit., 9 marzo 1877, p. 284; 5 gennaio 1880, p. 34. 131 A.C.S., Direzione Generale Antichità e Belle Arti, III versamento, II parte, Divisione Monumenti, b. 858, Estratto del Processo verbale dell’adunanza tenuta nel giorno 14 novembre 1906. 132 A.S.B.A.P., fascicolo 91/143, Verona. Palazzo Provinciale: lettera del Municipio di Verona alla Soprintendenza ai Monumenti del 28 dicembre 1917 e risposta di quest’ultima nella medesima data.
S. D’Ambrosio, C. Franchini, G. Sartea, La catalogazione del patrimonio scultoreo dei Civici Musei d’Arte di Verona, in «Verona Illustrata», 22, 2009, pp. 107-108. 134 In una lettera della Soprintendenza, datata 23 marzo 1922, si sollecita la Municipalità a provvedere urgentemente alla conservazione degli affreschi della facciata. Non trovando l’auspicato riscontro, la stessa Soprintendenza, con una lettera del 3 maggio, si rivolse al Prefetto affinché intervenisse presso il Sindaco evitando così l’avvio della procedura impositiva prevista in questi casi dalla legge (L. 394 del 20 giugno 1909).
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ad opera del pittore Luigi Marai, presentava già da qualche tempo gravi deterioramenti causati, prima che dagli anni ormai trascorsi, dalla cattiva resa degli intonaci. Affidato l’incarico al pittore Alfredo Savini135, allora direttore dell’Accademia, coadiuvato da Gaetano Miolato136, il restauro giunse a compimento nel 1923137. A questa data risale una dettagliata relazione del Soprintendente Alessandro Da Lisca138 che, oltre ad illustrare la storia dell’edificio e i vari interventi di restauro susseguitisi negli anni, si soffermava a lungo sulla Protomoteca arrivando a definire «un vero sconcio» la scelta ottocentesca di collocarla nell’atrio dell’antico palazzo pubblico. Così si esprimeva: «Ma quella povera Protomoteca che voleva onorare gli illustri veronesi finì col disonorarli e col disonorare la città. Di quei busti scolpiti che si appoggiano a mensolette e che fanno correre il pensiero a certi giuochi di fiera per colpire con le palle le teste di Cioppino e di Checo Bepo, o di Colombina, di quelle sculture ben poche hanno sia pur scarso valore artistico139. E quell’atrio così trasformato, suddiviso da paraste nelle pareti, infelicemente compartito in zone a tinte e riquadri, assai male conviene alla nobiltà di tutta la rimanente costruzione e a quel pubblico decoro cittadino per cui venne compiuta». A questa valutazione a dir poco negativa sull’opera seguì “il voto” del Soprintendente affinché «quelle mensolette, quelle targhe, quei busti, quei medaglioni che si sono appollaiati sotto la Loggia, trovino posto più adatto – e che si tolgano gli scomparti delle pareti, e le paraste, e le cornici – e che scompaiano le due lesene laterali aggiunte alla porta, limi-
tando il cornicione sovrapposto alla primitiva ampiezza – e che al di sopra di questo cornicione si cancellino i pilastrini, gli stemmi della città, le code di rondine messe ai lati della targa di nero bronzino – e che infine questo atrio ritorni alla pristina sobrietà con una tinta adatta alle pareti, dove l’occhio si riposi senza esser distratto dai fronzoli e dalle cincischiature che vi posero i nostri padri del 1870, con la vana intenzione di abbellirlo e di onorare i grandi veronesi»140. L’occasione per concretizzare l’idea del Soprintendente si presentò con la realizzazione del progetto di ampliamento e riordino della Biblioteca Civica che, ormai costretta negli spazi dell’ex collegio dei Gesuiti, avrebbe con la nuova sistemazione inglobato nel proprio complesso anche l’annessa chiesa di San Sebastiano. La Biblioteca era diretta allora da Vittorio Fainelli (lo sarà poi fino al 1957)141. La procedura per l’attuazione dell’ammodernamento della struttura prese ufficialmente avvio nel dicembre 1929 allorquando la Commissione preposta alla Biblioteca Comunale fu invitata a discutere in sede municipale142, alla presenza del podestà Filippo Nereo Vignola143 e del soprintendente Armando Vené144, il progetto d’inglobamento che venne contestualmente approvato perché «l’interno della chiesa» non rivestiva «carattere tale da impedire la trasformazione in ambienti» funzionali alla vita della biblioteca145. Nel 1933, con esemplare «celerità fascista», i lavori di ampliamento giunsero a termine. Nella riunione della Commissione della Biblioteca svoltasi il 26 gennaio dello stesso anno venne affrontato il problema degli arredi e della suddivisione logistica degli spazi acquisiti e, a proposito dell’a-
Poco tempo dopo, 31 luglio, il Comune presentava alla Soprintendenza il preventivo di spesa per il restauro, che fu ultimato nell’estate del 1923 (A.S.B.A.P., fascicolo 91/143, Verona. Palazzo Provinciale). 135 G. Marchini, Savini Alfredo, in D.B.V., 2006, II, pp. 738-740. 136 D. Ballini, M. Graganto, Miolato Gaetano, in Dizionario biografico dei veronesi, cit., pp. 560-561. 137 A questa data risale la conclusione del restauro degli affreschi della sola facciata prospiciente Piazza dei Signori. Nel 1927 il pittore Angelo Zamboni sarà incaricato di svolgere quello dei dipinti sulla parete laterale del Palazzo, denominata delle “Fogge” (A.S.B.A.P., fascicolo VR 91/143, Palazzo Provinciale, lettera del Municipio alla Soprintendenza datata 13 aprile 1927). 138 M. Vecchiato, Alessandro Da Lisca, in Dizionario biografico dei Soprintendenti Architetti (1904-1974), Bologna 2011, pp. 230-232. 139 L’azione vandalica perpetrata nei confronti della Protomoteca trova riscontro nei danneggiamenti rilevabili sui busti che, come lasciano desumere le indicazioni di Da Lisca, erano maggiormente esposti agli irriverenti giochi di strada. 140 A.S.B.A.P, fascicolo VR 91/143, Palazzo Provinciale; bozza dattiloscritta della relazione letta da Da Lisca di fronte alle autorità in occasione della presentazione alla cittadinanza del restauro della facciata nell’agosto del 1923. La stessa relazione è stata poi pubblicata all’interno dell’articolo L’inaugurazione del restauro della decorazione alla Loggia di Fra Giocondo, apparso nel «Corriere del Mattino» del 22 agosto 1923.
Questo atteggiamento verso la Protomoteca della Loggia è in apparente contraddizione col trasferimento nel 1925 in piazza dei Signori delle statue di Onofrio Panvinio (arco su via Dante) e di Enrico Noris (arco su via della Costa), «qual nuovo ornamento di quel gioiello architettonico che è la nostra piazza», avvenuto su iniziativa del Comitato “Madonna Verona” (Verona nei quattro anni di Amministrazione Comunale Fascista. X maggio MCMXXIII – XXII dicembre MCMXXVI, Verona 1927, p. 72). Le due statue, scolpite da Domenico Aglio al principio del XVIII secolo, si trovavano a San Sebastiano. 141 G.F. Viviani, Fainelli Vittorio, in D.B.V., 2006, I, pp. 341-342. Nel 1924 Fainelli si era occupato della realizzazione del busto a Carlo Cipolla, ora posto nell’androne dopo l’atrio della Protomoteca, opera firmata da Tullio Montini (su cui vedi il paragrafo Gli scultori in questo saggio) e da Gaetano Trestin (San Bonifacio, 1893-1974, su cui vedi G. Storari, L. Trestin, Gaetano Trestin “amò Dio, la natura e l’arte”, San Bonifacio 2011). L’inaugurazione avvenne il 24 novembre dello stesso anno: Verona nei quattro anni di Amministrazione Comunale Fascista, cit., p. 69. 142 A.B.C., fascicolo Progetto ampliamento biblioteca 1939; lettera di convocazione del Municipio indirizzata al direttore della biblioteca Vittorio Fainelli, datata 18 dicembre 1929. 143 D. Zumiani, Vignola Filippo Nereo, in D.B.V., 2006, II, pp. 859-860. 144 U. Carughi, Armando Venè, in Dizionario biografico dei Soprintendenti Storici dell’Arte (1904-1974), Bologna 2007, pp. 630-633. 145 A.B.C., Atti della Commissione, 23 dicembre 1929.
trio d’ingresso del nuovo complesso, il compilatore degli atti scrisse che: «la Commissione resasi interprete delle aspirazioni - ormai storiche - dell’intera città, ha deliberato di proporre al Comune il trasferimento dei busti e dei medaglioni che formano la Protomoteca Veronese - sotto la Loggia di Fra Giocondo - al nuovo atrio della Biblioteca, dove i ritratti dei nostri maggiori saranno d’incitamento a egregie cose, per i nostri giovani studiosi»146. La Biblioteca municipale chiedeva così all’Amministrazione Comunale di adottare la Protomoteca. Alla seduta della Commissione erano presenti il medico e letterato Luigi Messedaglia, senatore e di lì a poco presidente dell’Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti147 (che presiedeva la riunione), il botanico Achille Forti148, l’ex podestà Filippo Nereo Vignola, l’erudito Vittorio Cavazzocca Mazzanti149, Giovanni Cabianca e Floriano Grancelli150, oltre al direttore Fainelli (quale segretario della Commissione). Agiva nei commissari la consapevolezza di voler fare della Biblioteca il luogo civico simbolico della storia culturale, scientifica e artistica di Verona, trasformando la ‘vecchia’ Protomoteca, ormai sentita come un intruso nella Loggia del Consiglio, in una nobile eredità, di cui assumere la responsabilità e i valori. Erano gli anni in cui, pur tra mille contraddizioni, il Fascismo strumentalizzava il significato del Risorgimento e, in qualche modo, la Biblioteca guidata ‘politicamente’ dal colto Luigi Messedaglia recuperava anche l’originaria ispirazione risorgimentale della Protomoteca (Messedaglia, tra l’altro, diede il proprio contributo al Museo del Risorgimento, inaugurato a Palazzo Forti il 5 dicembre 1938 dal ministro Giuseppe Bottai)151. Le aspettative della Commissione rimasero sopite per quattro anni. Solo nel 1937 il podestà, Alberto Donella152, scrisse al
soprintendente Alfredo Barbacci153 per ricevere la necessaria autorizzazione al trasferimento della raccolta di busti e medaglioni la cui collocazione, come si legge nella lettera, fu un fatto «certamente inopportuno» tanto quanto la sua permanenza sotto la Loggia che «costituisce una evidente deturpazione del bel capolavoro del Rinascimento»154. La Soprintendenza, richiamandosi a quanto già proposto anni addietro, espresse fin da subito parere favorevole, demandando però la decisione definitiva al Ministero competente che non tardò ad autorizzare la rimozione di tutte le «superfetazioni» ottocentesche che sfiguravano il monumento155. Con delibera podestarile del 29 dicembre 1939 la municipalità avviò le procedure amministrative necessarie al trasferimento della Protomoteca. Nel frattempo, il 10 maggio, era stato presentato il progetto di allestimento, ed entro l’anno venne firmato il contratto con la ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori156, che furono ultimati nel maggio del 1940157. La regia dell’impresa era ancora principalmente nelle mani di Messedaglia e di Fainelli. La nuova Biblioteca Civica, così ampliata e ammodernata negli arredi e nell’organizzazione degli spazi, venne solennemente inaugurata il successivo 9 giugno 1940, in occasione delle celebrazioni fasciste per l’anniversario della Fondazione dell’Impero158.
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155 A.S.B.A.P, fascicolo VR 91/143, Palazzo Provinciale, Lettera della Soprintendenza al Ministero dell’Educazione Nazionale datata 28 aprile 1937. La risposta del Ministero, datata 1 giugno 1937, pose come condizione del trasferimento dei marmi che le spese necessarie al ripristino delle pareti della Loggia fossero a carico del Comune. La Soprintendenza comunica il parere favorevole alla Municipalità in data 4 giugno 1937 (A.G.C., Deliberazioni 1936-1960, Estratto di deliberazione Podestarile, 29 dicembre 1939, n. 939). 156 A.G.C., Carteggi 1931-1970, Righetti Francesco. Trasferimento della Protomoteca (classifica: 1940, I,11,2,); Contratto n. 28007, 17 aprile 1940. 157 A.G.C., Carteggi 1931-1970, Loggia di Fra Giocondo. Trasferimento della Protomoteca (classifica: 1937, IX,5,2); Verbale di ultimazione lavori, 10 maggio 1940. Il 4 marzo erano già iniziati i lavori di adattamento dell’atrio alla nuova destinazione (A.B.C., b. 1940, fasc. Municipio; lettera del direttore Fainelli al Presidente della Commissione Civica, datata 4 marzo 1940). 158 A.B.C., b. 1940, fasc. Municipio; Lettera del Podestà a Luigi Massedaglia, presidente della Commissione della biblioteca, datata 4 maggio 1940; G.D., Ampliamento e ordinamento della Biblioteca Comunale, in «L’Arena», 9 maggio 1940. 159 Significativa in tal senso è la documentazione relativa alla richiesta inoltrata da Cortesia Serego con lettera del 20 aprile 1938, nella quale il
5.5. Caratteri del nuovo allestimento Interpretata correttamente come raccolta autonoma e conclusa159, la Protomoteca fu ordinata in un unico ambiente, con un generale stravolgimento del precedente allestimento (figg. 56-57). La griglia decorativa ideata da Franco, entro cui
A.B.C., Atti della Commissione, 26 gennaio 1933. Luigi Messedaglia tra cultura e impegno politico e civile nel Novecento veneto, atti del convegno, Verona, 19-20 novembre 1999, Verona 2003; L. Bonuzzi, Luigi Messedaglia, in D.B.I., 73, Roma 2009, pp. 787-789. 148 M.A. Cappelletti, Forti Achille, in D.B.I., 49, Roma 1997, pp. 167-169. Nel 1935, Achille Forti donò al Comune il palazzo eponimo, poi sede della Galleria d’Arte Moderna: A. Di Lieto, La Galleria d’Arte Moderna, in Il palazzo e la città. Le vicende di Palazzo Emilei Forti a Verona, a cura di L. Olivato, G.B. Ruffo, Verona 2012, pp. 165-174. 149 Vittorio Cavazzocca Mazzanti un erudito veronese tra Otto e Novecento, atti del convegno, Lazise 4 ottobre 2003, a cura di G. Volpato, Lazise 2007. 150 E. Luciani, Grancelli Floriano, in D.B.V., 2006, I, cit., p. 445. 151 E. Napione, Il Museo del Risorgimento di Verona, in Il Museo del Risorgimento. Verona dagli Asburgo al Regno d’Italia, a cura di E. Napione, Milano 2011, pp. 11-25. 152 G.F. Viviani, Donella Alberto, in D.B.V., 2006, I, pp. 321-322. 153 P. Monari, Alfredo Barbacci, in Dizionario biografico dei Soprintendenti, cit., 2011, pp. 56-69. 154 A.S.B.A.P, fascicolo VR 91/143, Palazzo Provinciale, lettera del Municipio di Verona, firmata dal Podestà, al Soprintendente datata 22 aprile 1937. La missiva è classificata “urgente”. 147
era ordinata la sequenza di ritratti, fu rimossa e distrutta durante i lavori di ripristino della Loggia, svincolando così la futura collocazione da una riproposizione filologica. Secondo quanto descritto dal piano dei lavori per lo spostamento della Protomoteca, furono rimossi e ricollocati nella nuova sede settantadue ritratti e quarantanove mensole. Furono invece escluse dal trasferimento le ventisei targhe illustrative che si trovavano sotto ciascun busto e di cui non fu fatta alcuna menzione nel documento. Confrontando le lastre epigrafiche che attualmente si trovano in Protomoteca con quelle visibili nella documentazione fotografica antecedente - recanti nome, professione e date di nascita e di morte dell’effigiato - è evidente che le originali furono sostituite con delle nuove, di formato più ridotto, prive di indicazioni cronologiche e cromaticamente uniformi160. Nella nuova sistemazione venne riproposto in modo semplificato il modulo compositivo progettato da Franco che prevedeva un numero prefissato di ritratti per ciascuna campata. Rispetto al piano della Loggia fu modificata la posizione delle erme che, non più alternate alle altre tipologie di ritratto, vennero riunite sulla parete d’ingresso all’atrio. Fu inoltre uniformata l’altezza dei busti non essendo stati ricollocati, all’atto del trasferimento, i piedistalli che soprelevavano le effigi poste precedentemente davanti alle lesene. La differenza sostanziale rispetto all’antica Protomoteca riguardò però lo stravolgimento dell’ordine di collocazione dei veronesi illustri, che non seguì più il criterio cronologico di realizzazione dei ritratti, ma, come descritto da un cronista presente all’inaugurazione del 1940, un modello storico-tematico «secondo la classe – lettere, scienze, arti – per la quale gli illustri personaggi sono passati all’immortalità». Seguendo questo criterio basato sulla più generica e comune classificazione del sapere, i marmi furono riuniti in gruppi secondo sequenze parallele di busti e medaglioni: nella prima campata trovarono posto gli scrittori latini; poi il folto gruppo di letterati e poeti (tra cui primeggiano Pindemonte e la Bon Brenzoni); quindi gli studiosi delle scienze, da Lorgna a Torelli; poi ancora gli architetti e, infine, la lunga teoria di artisti rappresentativi della scuola veronese fino al Rinascimento maturo. In realtà tale ordine non si presenta
in modo sempre lineare, tanto da apparire talvolta poco trasparente, a causa della varietà dei personaggi, delle epoche e, soprattutto, delle tipologie di ritratto, nonché a seguito della volontà degli allestitori di meglio esporre alcuni ritratti rispetto ad altri. La difficoltà incontrata per cercare di attribuire un criterio alla sequenza di ritratti si ravvisa evidente nel disegno, allegato al progetto di sistemazione dell’atrio161: nella raffigurazione della disposizione dei marmi sulle pareti con gli “illustri”, i nomi sono più volte cancellati e corretti, e peraltro non coincidono, in più casi, con la soluzione effettivamente adottata. Un caso esemplare è offerto della difficile scelta dei ritratti da collocare sulla parete di ingresso al vestibolo interno della biblioteca, per la quale si ipotizzarono le soluzioni più varie. Nell’ipotesi iniziale era evidente l’obbiettivo di concentrare sulla parete più visibile della stanza le glorie maggiormente rappresentative della cultura e della storia veronese, ossia quelle a cui comunemente è associata la città scaligera, a prescindere quindi da una classificazione tematica. In un primo momento fu previsto di sistemare i busti di Alberto I della Scala e di Cangrande I della Scala ai lati dell’arco, sormontati sulla parete dai medaglioni di Mastino I della Scala e Bartolomeo I della Scala, scegliendo così di riservare alla memoria della storia scaligera le posizioni centrali. I busti di Catullo e San Zenone avrebbero completato le estreme posizioni laterali, mentre i medaglioni di Enrico Noris, Scipione Maffei, Guarino Veronese, Girolamo Fracastoro e Antonio Cesari avrebbero ultimato la rosa degli «illustrissimi» veronesi. Se le modifiche poi apportate alle posizioni di questi medaglioni furono poche, ben più sostanziali furono quelle subite in fase di realizzazione dai busti: Catullo fu la prima vittima del diverso criterio classificatorio, finendo relegato nella prima campata assieme agli altri scrittori latini, per lasciare spazio a Matteo Giberti, estremo (e non del tutto congruo) rappresentante del gruppo delle scienze iniziato nella parete precedente. Il quadrilatero scaligero a cornice dell’ingresso fu invece interrotto dall’esposizione di San Zeno a lato dell’arco assieme al capostipite della schiatta scaligera. Il risultato di tanti ragionamenti, scambi, inversioni e sostituzioni finì, come detto, per non essere chiarissimo. Nell’affollata sezione
nobile chiedeva al Podestà di poter donare un busto raffigurante il ritratto del padre Alberto Serego, affinché fosse inserito tra gli illustri dell’erigenda Protomoteca. Dopo una serie di consultazioni tra il Municipio e la Commissione della biblioteca, il Podestà rispose in data 2 agosto comunicando che il busto non poteva «essere collocato tra i medaglioni della Protomoteca in quanto questa [sarebbe stata] semplicemente trasferita dalla Loggia di Fra Giocondo all’atrio della Biblioteca Civica, senza alcuna variazione od aggiunta» (A.B.C., b. 1938, fasc. Commissione). 160 Le precedenti lastre erano evidentemente di misure maggiori rispetto alle attuali che, oltretutto, non riportano le stesse iscrizioni, li-
mitandosi a ricordare il nome dell’effigiato e la sua professione. Quelle sotto la Loggia, inoltre, prevedevano un’alternanza cromatica del marmo che cambiava in coincidenza con i busti sopraelevati posti in linea con le lesene che scandivano la parete. Osservando la documentazione fotografica più ravvicinata si può inoltre supporre che il lavoro di rimozione delle mensole abbia di per sé compromesso le targhe sottostanti cui si sovrapponevano la parti inferiori dei sostegni. 161 A.G.C., Carteggi 1931-1970, Loggia di Fra Giocondo. Trasferimento della Protomoteca (classifica: 1937, IX, 5, 2); Biblioteca Comunale. Nuova sistemazione dell’atrio a Protomoteca.
dedicata alle Arti, suddivise tra pittura, architettura e scultura, l’ordine conferito può apparire confuso e contraddittorio, se non si tenesse conto che le diverse tipologie di ritratti imposero la ripresa delle medesime classi in punti diversi dell’atrio, a seconda che l’effigiato fosse rappresentato sotto forma di medaglione, erma o busto. Accadde così che alla triade di busti di Vitruvio, Fra Giocondo, Michele Sanmicheli, posta nella sesta campata assieme ad un gruppo di scienziati, seguissero nell’ultima i medaglioni di altri illustri architetti, sotto i quali furono posti, però, il ritratto del pittore Paolo Farinati prima di quello del più antico Paolo Morando, seguiti dal busto dell’ingegnere Giuseppe Barbieri. La sequenza degli illustri artisti ricompare nella parete d’ingresso dove sono raggruppate tutte le erme secondo uno schema piramidale del tutto arbitrario, al cui vertice spicca Pisanello. L’imposizione di questo nuovo ordine, a prescindere dal guazzabuglio di incroci a cui ha dato origine, nacque probabilmente dalla volontà di chi l’aveva ideato di riqualificare la raccolta adattandola al contesto fisico e “culturale” offerto dalla Biblioteca, punto di riferimento del sapere e dell’erudizione cittadina. Ridotta ad arredo, secondo la definizione usata nei documenti relativi al suo trasferimento, la raccolta di ritratti perse (forse anche oltre l’intenzione di Messedaglia) la sua natura precipua di monumento pubblico, riducendosi ad illustrazione iconografica del sapere, in sintonia con il luogo di studio, nel quale gli “uomini illustri” di Verona diventano antesignani e promotori degli “argomenti” di lettura e di ricerca nella nuova Biblioteca.
Verona, di cui fu il primo presidente nel 1858 (con segretario Aleardo Aleardi), dopo aver contribuito alla sua fondazione. Camuzzoni mantenne la presidenza fino al 1889, ma al percorso fondativo della Società parteciparono anche altri protagonisti del progetto della Protomoteca: Gianbattista Turella, Ottavio di Canossa, Ettore Scipione Righi162.
6. GLI SCULTORI I fondatori della Protomoteca Veronese ebbero il proposito di coinvolgere gli scultori di Verona: quelli già affermati, che avrebbero dato lustro alla raccolta, e quelli più giovani, che avrebbero trovato un’occasione per farsi conoscere. Nonostante le difficoltà della sua gestazione e la progressiva penuria di risorse disponibili, si può dire che l’obiettivo fu raggiunto, anche se ogni assegnazione portò con sé le sue particolarità e i suoi travagli. In principio il sindaco Camuzzoni governò non solo di diritto (quale guida dell’amministrazione), ma anche nelle relazioni fattuali, il processo di scelta degli artisti, in forza dell’esperienza e della competenza acquisita come presidente della Società di Belle Arti di
6.1 Gli scultori affermati e le loro botteghe Nelle pratiche di avvio della raccolta ci fu il trasferimento del busto di Michele Sanmicheli realizzato da Ugo Zannoni163 nel 1856, quando era ventenne, fino ad allora depositato al Museo Civico di Palazzo Pompei. Era un modo per introdurre da subito un artista ormai famoso, che nel 1873, quando il busto fu collocato, stava operando con successo a Milano (le sue opere si vendevano a New York, Londra e Monaco)164 e si apprestava a diventare professore all’Accademia di Belle Arti di Brera (1878), non prima di aver dato ancora il suo contributo nel 1877 con i ritratti di Cornelio Nepote (cat. 47) e Caterina Bon Brenzoni (cat. 53). Il salto qualitativo delle opere del 1877 rispetto al busto del 1856 dimostra la crescita di Zannoni, che dopo gli esordi ancora intrisi di neoclassicismo (basti confrontare il busto di Sanmicheli con quello di Fraccaroli, cat. 68) seppe garantire sempre uno standard elevato ai suoi ritratti marmorei, nel novero di uno stile perfettamente conforme alle aspettative della borghesia ottocentesca: romantico, ma non passionale; realista, ma non drammatico; intenso negli sguardi e, al contempo, distaccato165. Zannoni fu accademico, anche suo malgrado, e, perciò, poco incline a sperimentazioni, nonostante l’adesione agli «ardimenti» di Lorenzo Bartolini, fosse stata evocata come il «battagliare per le nuove idee» del giovane Ugo166. Nel caso di Caterina Bon Brenzoni, il velo lavorato a traforo permise all’autore il più classico virtuosismo tecnico. Anche nella Protomoteca, Ugo Zannoni si dimostra tra i più capaci artisti di Verona del secolo XIX. La vicenda dell’effigie di Sanmicheli aveva attivato la vis polemica dello scultore Grazioso Spazzi167, che proponeva con perentorietà l’acquisto da parte del Comune della statua dell’architetto del Cinquecento veronese (oggi perduta) eseguita dal fratello Giovanni, morto nel 1866 (sulla vicenda vedi cat. 66). Grazioso Spazzi con i figli Carlo e Attilio guidò la bottega più laboriosa e agguerrita della città, in forza di
162 Vedi il processo verbale della prima seduta della Società di Belle Arti del 21 gennaio 1858, in Meneghello, Annali, cit., pp.31-32. 163 Su Ugo Zannoni (Verona, 21 luglio 1836 – 3 giugno 1919), vedi Bertoni, La scultura monumentale, cit. 2001, pp. 293-307; L. Ievolella, Zannoni Ugo, in La pittura nel Veneto. L’Ottocento, a cura di G. Pavanello, Milano 2003, II, p. 849; F. Vecchiato, Zannoni Ugo, in D.B.V., 2006, II, pp. 891-892. 164 Bertoni, La scultura monumentale, cit., p. 297.
165 L’omonimo Ugo Zannoni lo definisce «vero campione veronese dell’arte tradizionale» (U. Zannoni, Amore di Verona, Verona 1955, p. 199). 166 In morte di Ugo Zannoni, «Madonna Verona», XIII, 1919, 3-4, p. 146. Il necrologio è firmato con l’iniziale “A.” (Avena?). 167 Su Grazioso Spazzi (Verona, 15 agosto 1816 - 12 settembre 1892), vedi A. Panzetta, Dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino 1994, p. 258; Bertoni, La scultura monumentale, cit., pp. 277-278.
una carriera iniziata sotto i migliori auspici, allorché riuscì vincitore nel 1841 al concorso governativo di Brera a Milano con il gruppo Lottatori (Milano, Galleria d’Arte Moderna). Non a caso già nel 1872 giunsero a Grazioso le commissioni dei busti di Ciro Pollini (cat. 61) e Anton Maria Lorgna (cat. 55) da parte dell’Accademia di Agricoltura, Scienze Lettere e Arti di Verona, che (non a caso) nominò nella commissione incaricata di seguirne la realizzazione Pietro Paolo Martinati, già membro, come detto, della commissione per le Norme della Promoteca. Si può dire che gli Spazzi tentarono sempre e vigorosamente di aggiudicarsi le committenze pubbliche e anche per questo la loro officina fu la più impegnata nella Loggia del Consiglio (si contano 15 interventi attribuibili con certezza, l’ultimo dei quali nel 1895 con il busto di Paolo Farinati eseguito da Carlo, cat. 70, a cui ne seguirono almeno sei forse dovuti a Attilio)168. La qualità degli Spazzi risulta incostante, in qualche caso modesta o accademica (specie nei medaglioni affidati probabilmente al solo Attilio169) e a lungo imbrigliata nell’ambiguità di Grazioso, che, dopo la metà del secolo, si era prodigato nel cercare una via uscita dal classicismo della propria formazione (avvenuta con Pompeo Marchesi e poi come praticante di Innocenzo Fraccaroli), approcciando il naturalismo delle correnti di metà secolo, senza trovare, nel clima romantico e sentimentale, l’equilibrio di stile e di espressione su cui invece veleggiava il più giovane Zannoni (che pure di Spazzi era stato allievo). Grazioso realizzò le sue imprese migliori negli anni giovanili (come il monumento funebre di Napoleone Giuseppe Dalla Riva al Cimitero monumentale, tra 1842 e 1846)170 e poi si ingegnò con molto mestiere. Detto questo, gli interventi dello scultore per la Protomoteca manifestano un fremito vitale nei ritratti degli uomini del suo secolo, di cui si aveva memoria iconografica o fotografica, per i quali, a fronte di un volto ben connotato, esibiva dettagli del vestiario di divertita vivacità: il nodo alla sciarpa di Ciro Pollini (cat. 61), il papillon di Abramo Massalongo (cat.
62, nella scultura fu molto aiutato, forse da Carlo); il pizzo della camicia che spunta ordinato dalla giacca di Anton Maria Lorgna (cat. 55). Quando Grazioso sovrintendeva alle invenzioni del giovane figlio Carlo171 (più capace di Attilio, ma ancora inesperto), come nel caso di Paolo Morando detto Cavazzola (cat. 71), il risultato è mediocre: lo sguardo dell’effigiato diventa abulico e la cura del particolare svanisce. Il busto di Cangrande della Scala (cat. 59) appare quasi scolastico, prevedibile nella costruzione della figura e elementare nella tecnica. Probabilmente le lamentale di Ettore Scipione Righi del 1875 sulla scarsa qualità di alcuni busti accolti in Protomoteca (di cui si è detto in precedenza) riguardavano queste opere. Nelle prove degli anni Novanta, Carlo migliora considerevolmente, staccandosi dal linguaggio appreso dal padre, per ammiccare un po’ alla scapigliatura lombarda e a Giuseppe Grandi. Il busto di Paolo Farinati (cat. 70), dove la pietra vibra di luce e trasmette energia, lo riscatta dagli esercizi degli anni Settanta e nella Protomoteca ancora lo distingue (ma eseguì in modo apprezzabile anche il medaglione di Bartolomeo Lorenzi, cat. 33). Anche il nume della scultura veronese del secolo XIX, l’ormai più che settantenne Innocenzo Fraccaroli, celebre e titolatissimo172, fu chiamato presto a lavorare per la serie dei veronesi illustri, con la commissione del busto di Paolo Caliari detto Veronese del 1873 (cat. 68). Compassato e impassibile, di freddo sguardo giacobino, il ritratto del Veronese non spicca nella serie delle effigi e serve quasi soltanto per testimoniare il passaggio del vecchio Fraccaroli in Protomoteca. L’artista tornò all’opera anche nel 1878 per il busto di Francesco Bianchini (cat. 54), realizzato con esperienza, e per la più stanca e vacua erma di Domenico Morone (cat. 3). Forse allora si era servito della bottega e forse l’apparizione estemporanea di due suoi allievi veronesi, ormai adulti, quali Pietro Del Negro173 per Catullo nel 1876 (cat. 48) e Giovanni Turini174 per San Zeno (cat. 58) nello stesso 1878, ne è la spia175. La raccomandazione di Fraccaroli do-
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1997, pp. 559-561; M. De Vincenti, Scultori veronesi del primo Ottocento, in L’Ottocento a Verona, cit., 2001 pp. 162-180; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, pp. 281-285, 288; N. Boschiero, Fraccaroli Innoncenzo, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon, 43, München-Leipzig 2004, p. 202; C. Franchini, L’Achille e Pentesilea di Innocenzo Fraccaroli: frammenti di un mito, «Verona Illustrata», 22, 2009, pp. 137-147; C. Bissoli, Innocenzo Fraccaroli scultore di Castelrotto, in «Annuario Storico della Valpolicella», in corso di stampa. 173 Su Pietro Del Negro (Quinzano 1824 - Milano 14 febbraio 1880), vedi S. Wieland Staps, Del Negro Pietro, in Saur. Allgemeines Künstler-Lexicon, 25, München-Leipzig 2000, p. 516; De Vincenti, Scultori veronesi, cit., p. 179. 174 Su Giovanni Turini (Castelrotto, 25 maggio 1841- New York 27 agosto 1899), vedi Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 300; De Vincenti, Scultori veronesi, cit., p. 179. 175 A proposito della devota assistenza di Del Negro a Fraccaroli, scri-
La bottega degli Spazzi si impegnò anche nei restauri monumentali, vedi per esempio gli interventi di Carlo alle Arche Scaligere (E. Napione, Le Arche Scaligere di Verona, Venezia 2009, pp. 474-478). 169 Su Attilio Spazzi (Verona, 28 febbraio 1859 - 14 novembre 1915), vedi Panzetta, Dizionario, cit., p. 258; G. F. Viviani, Spazzi Attilio, in D.B.V., 2006, II, p. 777. 170 Bertoni, La scultura monumentale, cit., pp. 277-278. 171 Su Carlo Spazzi (Verona, 28 novembre 1850-18 febbraio 1936), vedi Panzetta, Dizionario, cit., p. 258; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, pp. 287-291; G.F. Viviani, Spazzi Carlo, in D.B.V., 2006, II, p. 778. 172 Su Innocenzo Fraccaroli (Castelrotto, 28 dicembre 1805 - Milano, 29 aprile 1882), vedi L. Chirtani, Lo scultore Fraccaroli, «L’Illustrazione italiana», IX, 30 aprile 1882, pp. 307-308; G. Fraccaroli, Lo scultore Innocenzo Fraccaroli, Verona 1883; S. Marinelli, L’arte in esilio, in Il Veneto e l’Austria, cit., pp. 22-39; M. De Micheli, La scultura dell’Ottocento, Milano 1992, pp. 61-63; F. Tedeschi, Fraccaroli Innocenzo, in D.B.I., 49,
vanamente una forma di affabile realismo comunicativo. L’ultimo scultore veronese già affermato coinvolto nella Protomoteca fu Salesio Pegrassi178, lodato da Camillo Boito e noto anche per le vendite sul mercato inglese (specialmente nature morte intagliate e ornamenti con “candelabre” in stile ‘quattrocentesco’)179. Ormai anziano scolpì nel 1875 il medaglione di Francesco Morone (cat. 39), con la stessa onesta diligenza trasmessa ai figli Angelo180 (fece Guarino, cat. 20, nello stesso 1875) e al meno conosciuto Francesco181, che pure nel medaglione di Gidino da Sommacampagna del 1891 (cat. 7, l’unico firmato) aveva dimostrato una sua differente maturità, più realista e meno debitrice dei modelli del primo rinascimento veronese (il tondo di Angelo sembra imitare figure dello stesso Francesco Morone), palesando una ordinata e apprezzabile compostezza (una versione in miniatura dell’arca di Cansignorio della Scala di Francesco fu premiata nel 1876 a Firenze e la fotografia dell’opera venne conservata da Camillo Boito)182.
vette contare nella decisione della Municipalità di affidare il busto di due figure tanto importanti ed emblematiche per Verona (Catullo e San Zeno) a due scultori quasi ignoti. Il primo consegnò un’effige di dignitosa compostezza e buona fattura, che ricorda più la maniera di Zannoni che quella del maestro, nel solco di un maggiore realismo del ritratto rispetto all’impronta classicista della formazione, già manifestata da Del Negro con l’effige di Giovanni Caliari in Santa Maria della Scala a Verona, nel 1850176. Il secondo si fece interprete di uno dei busti più improbabili della Protomoteca, considerate le aspettative circa il santo patrono, rispetto alla sua autorevolezza e alla sua consolidata iconografia tra la statua medievale del San Zen che ride e il San Zeno più austero e barbuto delle raffigurazioni dei secoli a seguire. Turini suscita simpatia: era un garibaldino emigrato in America, dove aveva saputo collegarsi alla raccolta di fondi per celebrare gli eroi del Risorgimento Italiano, con cui realizzò la statua bronzea di Garibaldi al Washington Square Park di New York, inaugurata nel 1888 e criticata dalla stampa americana per la sua goffaggine177. Osservando la barba dell’eroe dei due mondi nel parco newyorkese ci si accorge che era stata sperimentata sul volto di San Zeno: basti questo, oltre al sorriso ‘brillo’, a definire l’irritualità della figura del patrono di Turini. Forse nel suo curriculum Turini aveva vantato il busto di Giuseppe Mazzini realizzato nel 1877, ancora a New York, in Central Park, dove era stato rigorosamente devoto ai modi di Fraccaroli. Per il santo decise improvvidamente di abbandonare quella rassicurante esperienza, ricercando
6.2 I giovani esordienti Agli esordi della Protomoteca si distinse il protagonismo di Gian Battista Troiani183, che a venticinque anni, nel 1870, ricevette dal sindaco Giulio Camuzzoni l’incarico di erigere la statua di Michele Sanmicheli, ‘vincendo’ la concorrenza dei modelli presentati da Innocenzo Fraccaroli e da Giovanni Spazzi (in barba alle polemiche della stampa e a quelle, già citate, di Grazioso Spazzi). Il giovane entrò nel progetto della Protomoteca nel 1873 con il busto di fra Giovanni Giocondo (cat. 65), prima che il monumento a Sanmicheli
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veva Pietro Caliari: «Eseguiva per lui dei superbi lavori, per lui sbozzava, per lui modellava, per lui scolpiva, con straordinaria perizia, ma nascondeva intanto il suo merito in un velo di modestia» (P. Caliari, Gli artisti: Salesio Pegrassi, Pietro Dal Negro, Vincenzo Cabianca e il loro maestro, in «Madonna Verona», VIII, 1914, 32, pp. 218-219). 176 C. Gemma Brenzoni, Sepolcri, lapidi e lastre tombali, in Santa Maria della Scala. La grande ‘fabrica’ dei Servi di Maria in Verona. Storia, trasformazioni, conservazione,a cura di A. Sandrini, Verona 2006, p. 245. 177 Bertoni, La scultura monumentale, p. 300; E. Kies Folpe, It happened in Washington Square, Baltimore 2002, p. 118. In merito alle critiche alla statua, Turini scrisse una lettera al New York Times, spiegando che il progetto fu cambiato per problemi di finanziamento e errori di fusione: Mr. Turini justifies his art. The Garibaldi Group, He Thinks, Has Been Unjustly Criticised , «New York Times», 10 dicembre 1893; si pensò ad una sostituzione e la questione rimase viva per qualche tempo: New Statue of Garibaldi; To Take the Place of the Present One in Washington Square, «New York Times», 3 maggio 1896. 178 Su Salesio Pegrassi (Verona, 21 novembre 1812 - 6 dicembre 1879) vedi G. Dal Bovo, Pegrassi Salesio - scultore 1812-1879, in «Archivio Storico Veronese», 7, 1880, 29, pp. 24-100; Caliari, Gli artisti, cit., pp. 216-220; Pegrassi Salesio, in Thieme-Becker, XXVI, 1932, p. 349; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 287. Sulla famiglia-bottega: E. Pegrassi Angeli, I Pegrassi, in «Vita Veronese», V, 1922, n. 2, pp. 57-58.
C. Boito, Scultura e pittura d’oggi , Torino 1877, pp. 164-168. Su Angelo Pegrassi (Verona, 8 settembre 1845 - 16 febbraio 1931), vedi E. Angeli, Un artista veronese garibaldino, in «Vita Veronese», XV, 1962, n. 1-2, pp. 24-31; S. Pozzani, Vicende garibaldine di un artista veronese: Angelo Pegrassi, Verona 2002. 181 Sulla famiglia-bottega: E. Pegrassi Angeli, I Pegrassi, in «Vita Veronese», V, 1922, n. 2, pp. 57-58, dove si ricava qualche notizia su Francesco Pegrassi (Verona, 22 febbraio 1838 - 1899); i Pegrassi operarono anche nel ‘restauro’ dei monumenti, come, per esempio, nel 1874 alle Arche Scaligere (Napione, Le Arche, pp. 472-473). 182 F. Brunetti, Una raccolta d’autore, in Camillo Boito e il sistema delle arti. Dallo storicismo ottocentesco al melodramma cinematografico di Luchino Visconti, a cura di G. Agosti, C. Mangione, Padova 2002, fig. 3, p 108. 183 Su Gian Battista Troiani (Villafranca di Verona, 11 febbraio 1844 - 2 maggio 1927) vedi Troiani Giovanni, in Thieme-Becker, Leipzig 1939, p. 421; G. Faccioli, Gio-Batta Troiani, «Vita Veronese», 1961, n. 6-7, pp. 233234; Meneghello, Divagazioni sulla scultura, cit, 1981-1982, pp. 179-180; L. Caoro, Gian Battista Troiani (1845-1927). L’esordio veronese di uno scultore mazziano, in «Note Mazziane», XXXIX, 2004, n. 3, pp. 147-153; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, pp. 296-297; G. Fagnini, Troiani (Trojani) Giambattista, in D.B.V., 2006, II, p. 833; R. Adami, Gian Battista Troiani scultore. Nell’80° anniversario della sua morte (1927-2007), Villafranca 2007. 180
di piazza Pradaval fosse inaugurato (7 giugno 1874). Troiani aveva avuto una formazione all’Accademia di Venezia con Luigi Ferrari e un periodo di bottega a Firenze con l’ormai affermato Giovanni Dupré (1817-1892, coinvolto nel 1871 al cimitero di Verona per il monumento sepolcrale della famiglia Monga184), ma soprattutto era stato promosso e protetto dal poeta Aleardo Aleardi, suo benefattore già nella fanciullezza, allorché aveva agevolato i suoi studi all’Istituto di don Nicola Mazza. Fu lo stesso Aleardi a presentare il giovane artista a Giovanni Duprè, di cui era amico e estimatore185. Troiani operò per la Protomoteca realizzando un medaglione, tre erme e tre busti, fino al 1876, seguendo una linea che proseguiva idealmente il caposaldo della statua di Giotto scolpita dal maestro Dupré per il portico vasariano degli Uffizi (1844), secondo quello che allora era chiamato «naturalismo», ma declinato in senso storico e affine al gusto neomedievale di certo romanticismo. I suoi ritratti sembrano estratti dalla pittura e dalla scultura fiorentina tra il Quattrocento e il Cinquecento, come bozzetti per caratteristi di una rappresentazione di teatro, nei quali (complice la mancanza di tradizioni iconografiche), Troiani richiamava alla memoria dei modelli famosi senza citarli direttamente, confondendoli con accenti di realismo. Così Altichiero (cat. 2) sembra una variazione sul ritratto classico di Lorenzo dei Medici (tra Bronzino e Verrocchio), mentre Girolamo dai Libri (cat. 69) potrebbe essere tratto dal Cosimo dei Medici di Pontormo, ruotato frontalmente e vivificato. Alla distanza forse l’invenzione per il ritratto del pittore e miniatore Girolamo dai Libri è l’unica che ancora si osserva con qualche stupore, mentre gli altri annegano un po’ anonimi nella galleria dei busti.
Probabilmente il ruolo assunto da Troiani non fu gradito dalla locale Accademia di Pittura e Scultura, che, già nel 1871 inserì nei progetti della nascente Protomoteca l’opera del proprio rampollo Giacomo Grigolli186. L’artista ventenne fu l’unico partecipante (fatto invero strano e di cui è difficile dare spiegazione) al concorso interno per realizzare il medaglione di Giambettino Cignaroli (cat. 45), e nel 1873 ricevette l’incarico di eseguire il busto di Alberto I della Scala (cat. 59). L’effige di Grigolli emerge per la bravura con cui seppe coniugare la composizione accademica e la riflessione sull’iconografia del personaggio (cat. 60), trasmettendo lo stesso efficace senso della storia che Troiani aveva ricercato in modo più inquieto e costruito su modelli compositivi del passato. Grigolli fu salutato come l’astro nascente della scultura veronese187, dimostrando in gioventù un talento superiore agli altri della sua generazione, compreso Carlo Spazzi, a cui non fece seguire, però, un’evoluzione pari alle attese. 6.3 L’Accademia di Pittura e Scultura Grigolli era discepolo di Giuseppe Poli188, che fu poi anche maestro all’Accademia di Pittura e Scultura tra il 1877 e il 1890. Il busto di Onofrio Panvino (cat. 51) che Poli realizzò nel 1873, come copia fedele dell’effige sul cenotafio dello scrittore nella chiesa romana di Sant’Agostino, restituisce l’immagine di un artista compendiario nel suo agire tradizionale. Negli anni la Protomoteca accolse, comunque, le opere dei suoi giovani allievi più promettenti189, oltre al citato Grigolli, Cesare Poli (figlio di Giuseppe)190, Luigi Marai191, Pietro Bordini192, Romeo Cristani193, mentre non è chiaro il percorso dell’estemporaneo e sfortunato Gaetano Fran-
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Bertoni, La scultura monumentale, cit., p. 292. Scriveva Aleardi a Duprè in una lettera del 12 agosto 1864 «Tu sei il mio ideale di artista: forma antica, sentimento moderno, anima cristiana con in mano scalpello greco» (vedi E. Spalletti, Inediti di Giovanni Duprè, «Paragone», XIII, 1972, 271, p. 84). 186 Su Giacomo Grigolli (Verona 1852 - 8 agosto 1906), vedi: A. Panzetta, Nuovo dizionario degli scultori italiani dell’Ottocento e del primo Novecento, I-II, 2003; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 300; Grigolli Giacomo, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon, 62, München-Leipzig, 2009, p. 153. 187 Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 309, nota 89. 188 Su Giuseppe Poli (Verona 1830 ca. - post 1894), vedi Poli Giuseppe, in Thieme-Becker, XXVII, 1953, p. 206; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 300. 189 Su questa generazione di scultori, come in larga parte sulla precedente, le ricerche sono ancora molto rarefatte e certamente si gioverebbero di uno studio organico dei monumenti funebri al Cimitero, che appare nei suoi settori più ‘antichi’ una vera e propria collezione di opere del XIX secolo, fin dall’atrio d’ingresso, dove i rilievi con Storie di Cristo sono firmati da Giuseppe Poli. 190 Su Cesare Poli (Verona 1852- entro il 1906), vedi Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 300. 191 Su Luigi Marai non sono disponibili notizie anagrafiche, ma si di-
stingue dall’omonimo pittore della stessa epoca (coinvolto, tra l’altro, nel restauro della Loggia del Consiglio, vedi paragrafo 5.4), con cui potrebbe essere confuso (cfr. B. Meneghello, Annali Società Belle Arti di Verona 1858-1921, Verona 1986, p. 25 e p. 252). Il suo nome ricorre nei cataloghi delle esposizioni veronesi del periodo tra il 1856 e il 1900; fu presente all’Esposizione Universale di Filadelfia del 1876 (Bertoni, Scultura, cit., pp. 298, 300), da cui risulta essersi trasferito a Milano, come si apprende poi anche dal Catalogo dell’esposizione di Belle Arti promossa dalla Società di Belle Arti in Verona, Verona 1879, p. 19, n. 169. 192 Su Pietro Bordini (Verona, 18 febbraio 1854- 27 aprile 1922) vedi: E. Verga, Bordini Pietro, in Thieme-Becker, IV, 1919, p. 346; C. Petrucci, Pietro Boldrini, in La pittura a Verona, cit., p. 255; P. Breanza, Dalla ridente Verona “A te volando”: dal primo tram elettrico agli anni Venti, Verona 1990, pp. 82-83; S.W. Staps, Bordini Pietro, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon, 13, München-Leipzig 1996, p. 10; Bertoni, La scultura monumentale, cit., pp. 300-302; D. Ballini, Bordini Pietro, in D.B.V., I, pp. 148-149. 193 Su Romeo Cristani (Verona 21 maggio 1855 - 11 gennaio 1920) vedi P. Scapini, Maestri e allievi in I cento anni della Scuola d’arte P. Brenzoni, a cura di G.F. Viviani, Verona 1972, pp. 19-21; Meneghello, Divagazioni sulla scultura, cit., pp. 181-186; G. Salvagni, Cristani Romeo, in Saur Allgemeines Künstler-Lexicon, 22, München-Leipzig, 1999, p. 324; Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, pp. 298-300; L. Rognini, Cristani Romeo
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ceschetti (medaglione di Giuseppe Torelli, cat. 35), morto a ventuno anni194. Luigi Marai si pose nel solco dello stile di Troiani col busto di Bartolomeo Cipolla del 1878 (cat. 50), dimostrando anche buona tecnica. Romeo Cristani, destinato a succedere a Poli nella cattedra all’Accademia, intervenne nel pantheon della Loggia nel 1878 (medaglione di Antonio Cagnoli, cat. 34), poi ancora nel 1880 (busto di Ippolito Pindemonte, cat. 52) e nel 1892 (erma di Nicola Giolfino, cat. 5), fornendo tre esempi per verificare le tappe evolutive del suo percorso artistico. Nel primo, compiuto quand’era ventitreenne, si osserva un’ottima capacità accademica, nel secondo, di tre anni dopo, Cristani mostra una fase di ricerca, ancora squilibrata nell’inseguire un certo verismo luministico, al punto da apparire quasi espressionista (Pindemonte ha un aspetto stralunato e bohèmien); infine nell’erma del 1891, lo scultore si manifesta con il suo stile più maturo e riconoscibile, fatto di profili netti, con contrasti chiaroscurali di pieghe profonde e spigoli marcati, di cui è silloge il monumento compiuto per la famiglia Camuzzoni al cimitero (1896)195. Cristani fu uno dei maestri più significativi nel passaggio tra il secolo XIX e XX, così come Pietro Bordini, che ebbe un’importante carriera nella scultura monumentale (assieme a Cristani realizzò nel 1882 il monumento per la battaglia di Santa Lucia nel borgo eponimo di Verona, poi, tra gli altri, quello a Garibardi nel 1883 a Iseo)196. Bordini ‘entrò’ in Protomoteca nel 1874, con il medaglione dell’arcidiacono Pacifico (cat. 10), affrontando il primo busto nel 1880 (Giovanni Battista da Monte, cat. 63). L’opera è interessante per la pienezza del volto pensieroso
e la vivacità del chiaroscuro. Appare più riuscita, ma meno sfrontata, nel confronto con lo spirito scapigliato che aveva agito nello stesso anno su Romeo Cristani per Pindemonte (cat. 52). Bordini diventò più sperimentale nel 1898, forse un po’ fuori tempo (su quella linea di ricerca stilistica, Medardo Rosso aveva già esplorato l’esplorabile vent’anni prima), scolpendo l’emaciato Giuseppe Zamboni (1898) e il più vivace e deciso Giuseppe Barbieri (cat. 72), che nel novero della serie degli illustri veronesi resta, comunque, in assoluto una delle prove migliori. L’ultimo virgulto dell’Accademia coinvolto nella Protomoteca fu il ventenne Tullio Montini197, che partecipò alla fase finale con tre medaglioni, esprimendo uno stile alla Cristani, ma con personalità di tecnica e con un peculiare grafismo di tocco. Montini visse intensamente i primi decenni del secolo a seguire, con l’esplosione dell’Art Noveau: sono suoi, per esempio, l’epigrafe ai Caduti in Libia, con statua allegorica della Patria, del 1912; il monumento funebre Fedrigoni al cimitero, del 1916; il Cristo deposto nella cappella dei Caduti voluta nella chiesa di San Luca da don Giuseppe Chiot, nel 1919198. Quando la Protomoteca chiuse i suoi battenti nel 1899 (l’ultimo busto collocato fu quello di Gian Matteo Giberti di Cesare Poli), era già simile a un manuale della scultura veronese del secondo Ottocento. Aveva inscritto tra le sue pagine gli scultori protagonisti dell’epoca post risorgimentale, una stagione forse mancante di opere di valore assoluto, ma vera e intensa, tanto fondamentale per la storia culturale di Verona alle soglie del Novecento, quanto perfettamente conclusa (sul piano artistico e simbolico) al calar del secolo XIX.
Giuseppe, in D.B.V., 2006, I, pp. 262-263. 194 Questo Gaetano Franceschetti doveva essere uno scultore di diciotto anni circa, proveniente dalla Valpolicella, che espose il medaglione di Giuseppe Torelli (cat. 35) col padre, anch’esso di nome Gaetano, nel 1878. Lo si ricava da un documento che ci è stato cortesemente segnalato da Camilla Bertoni, con il quale tale Gaetano Massagrande aveva richiesto che fosse esaminato il progetto di decorazione della sepoltura di Gaetano Franceschetti, presso il colombaio n. 1546. Dal progetto apprendiamo che lo scultore, lodato nell’epigrafe per il suo talento reciso dal destino, era nato a S. Sofia di Valpolicella il 25 luglio 1862 e morto il 7 aprile 1883
(A.S.Vr, Comune di Verona, busta 21/36 Commissione d’ornato del Cimitero Comunale). 195 Bertoni, La scultura monumentale, cit., 2001, p. 307. 196 Bertoni, La scultura monumentale, cit., pp. 299-307. 197 Su Tullio Montini (Verona, 23 febbraio 1878 - 30 marzo 1964) vedi Breanza, Dalla ridente Verona, cit., 1990 pp. 32-33; 82-83; G.F. Viviani, Montini Tullio, in D.B.V., II, p. 573. 198 A.C. Tommasi, Carlo Donati e il suo angelo: un caso di committenza sacra nella Verona anni Venti, in Don Giuseppe Chiot. Un prete del Novecento, a cura, a cura di G.M. Varanini, R. Cona, Verona 2001, p. 101.
La Protomoteca nell’atrio della Biblioteca Civica di Verona in una fotografia del 1939.
APPENDICE DOCUMENTARIA Norme da seguire per la collocazione delle immagini di illustri veronesi nella Loggia del Palazzo del Consiglio destinata all’Ufficio di Panteon o Protomoteca Veronese [1870]
1. La Loggia del Palazzo del Consiglio in Piazza dei Signori è sacra alla memoria delli illustri veronesi, considerandosi tali così quelli che nacquero in Verona, o nella Provincia, oppure accidentalmente fuori, ma sempre da genitori accasati in questa od in quella: come coloro che quantunque nati altrove, pure al momento della loro morte erano da lungo tempo volontariamente stabiliti in Verona o nella sua Provincia.
7. La proposta per la collocazione della onorificenza nella Protomoteca competerà (in base al §. 5) Alla Magistratura cittadina che terrà il primato nella Civica amministrazione, qual’è attualmente la Giunta Municipale; e ad ogni Corpo Morale, Associazione o Privato che si obblighi a sostenerne le spese, e che la indirizzerà per iscritto alla Giunta Municipale, od a quella Autorità che la sostituisse. 8. In tutti i casi del § 7 serviranno di guida la pubblica opinione, le manifestazioni della stampa, il voto degli uomini più competenti, le opere del defunto e molto più la durata, e l’aumento della sua fama dal giorno della sua morte in poi.
2. Verranno proclamati illustri quei veronesi che per eminenti prove d’ingegno, o per geste preclare avranno conseguita una celebrità durevole, conosciuta ed apprezzata in tutta la penisola, od almeno avranno portato un aumento notevole al lustro municipale di Verona.
9. La Giunta Municipale porterà sempre la proposta di cui il § 7 al Consiglio Comunale, annunciandola regolarmente nella lettera di convocazione; ed il Consiglio procederà alla nomina di una Commissione di cinque membri anche fuori del suo seno che dovrà prenderla in esame, e riferirgliene in altra adunanza con voto consultivo.
3. Saranno onorati con preferenza quelli illustri che a seconda del relativo Statuto non possono essere accolti nel Panteon del Civico Cimitero. Siccome però, oltrechè un Panteon, la Loggia suddetta dovrà costituire una vera Protomoteca dei più chiari veronesi, così vi saranno onorati anche quelli già ammessi nel Panteon del Civico Cimitero, o ricordati con monumenti nelle Chiese ed altri pubblici luoghi della città e provincia.
10. La relazione dovrà contenere una diligente e circonstanziata esposizione dei fatti, e dei motivi della proposta, con parole che escludono qualunque dubbio, ambiguità o reticenze; sarà stampata, distribuita ai Consiglieri in precedenza alla relativa seduta, e letta al Consiglio Comunale in apposita adunanza, nella quale si potrà trattare di altri oggetti. Non è interdetto di unire in una stessa seduta la proposta, o la votazione di onorificenze a più di una persona, ma si dovrà sempre votare separatamente sopra ciascuna.
4. La onorificenza consisterà in soli busti e medaglioni di marmo statuario, riproducenti le effigie del ricordato, con breve iscrizione relativa, simmetricamente disposti a norma del disegno unito al presente Statuto sotto lettera A, senza che la scelta del busto o del medaglione, od il sito del collocamento implichi vario grado di onorificenza.
11. Chiusa la discussione il Consiglio Comunale procederà alla votazione. Una onorificienza negata non potrà essere riproposta che dopo il termine di cinque anni.
5. Le spese per i busti ed i medaglioni saranno sostenute dal Comune, ed anche da altri Corpi Morali, da Associazioni, o Privati, che intendessero assumerle colle norme dei paragrafi successivi.
12. Per tutti quelli illustri che a norma dello Statuto relativo, avranno ottenuta una onorificenza nel Panteon del Civico Cimitero non occorreranno le pratiche dei § 9, 10, ed 11, onde la loro effigie possa essere collocata nella Protomoteca.
6. A nessuno potrà esser accordato l’onore della Protomoteca se non sieno scorsi almeno cinque anni dalla sua morte.
31. Rizzo Antonio 32. Carotto Francesco 33. Morone Domenico 34. Morone Francesco 35. Cipolla Bartolomeo 36. Girolamo Dai Libri 37. Morando Paolo detto Cavazzola 38. Fra Giovanni Olivetano 39. Pisano Vittore (Pisanello) 40. Altichieri 41. Stefano da Zevio 42. Pasti Matteo 43. Nogarola Isotta 44. Fumani2 Adamo 45. Alberto I. della Scala 46. Mastino I. id. 47. Cangrande I. id. 48. Bartolomeo I. id
13. I busti, i medaglioni, e le iscrizioni relative non potranno allogarsi nella Protomoteca senza approvazione della Civica Commissione di Ornato; La loro collocazione seguirà sempre a cura e spese del Municipio.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE I. Ad affrettare la collocazione della onorificenza alli illustri veronesi la cui celebrità è già incontestabilmente consacrata dal tempo la Giunta Municipale viene senz’altro autorizzata a promuoverla ed attuarla per quelli enunciati nell’elenco unito sotto la lettera B al presente Statuto. II. Quando i loro consanguinei od aderenti, od altri Corpi Morali, o Privati assumessero di sostenere le spese, la Giunta Municipale viene senza altra autorizzazione a promuovere ed effettuare la collocazione delle onorificenze anche a quegli enunciati nell’elenco che s’unisce sotto lettera C.
ELENCO C ELENCO B
1. Paride da Cerea 2. Guglielmo da Pastrengo 3. Gidino da Sommacamapagna 4. Giberti Matteo 5. Canossa Lodovico 6. Calceolari Francesco 7. Cotta Giovanni 8. Ballarini Girolamo 9. Ballarini Pietro 10. Ballarsi Domenico 11. Zeviani Gianverardo 12. Betti Zaccaria 13. Pompei Girolamo 14. Farinati Paolo 15. Campagna Girolamo 16. Pompei Alessandro 17. Zamboni Giuseppe 18. Pindemonti Giovanni 19. Dal Bene Benedetto 20. Targa Leonardo 21. Lorenzi Bartolomeo 22. Venturi Giuseppe 23. Carli Alessandro 24. Biancolini Gio. Battista 25. Giolfino Nicolò 26. Barbieri Giuseppe 27. Badile Antonio 28. Cignaroli Giambettino
1. Catullo 2. Cornelio Nipote 3. E. Macro 4. Vitruvio Cerdone 5. S. Zenone 6. Arcidiacono Pacifico 7. Guarino 8. Calderini Domizio 9. Frà Giocondo 10. Giulio Cesare Bordoni detto lo Scaligero 11. Da Monte G. Battista 12. Fracastoro Girolamo 13. Panvinio Onofrio 14. Saraina Torello 15. Sanmicheli Michele 16. Sanmicheli Girolamo 17. Noris Enrico 18. Bianchini Francesco 19. Maffeis Scipione 20. Spolverini Gio. Battista 21. Caliari Paolo 22. Falconetto Gio. Maria 23. Pindemonti Ippolito 24. Pollini Ciro 25. Cesari Antonio 26. Cagnoli Antonio 27. Massalongo Abramo 28. Lorgna Anton-Mario 29. Bon-Brenzoni Caterina 30. Torelli1 Giuseppe
1 2
Stampato: “Tirelli”. Stampato: “Famani”.
ELENCO CRONOLOGICO DELLE OPERE DELLA PROTOMOTECA (sono riportati in corsivo i nomi degli autori di attribuzione incerta)
1856 Zannoni Ugo, Michele Sanmicheli, busto n. 66
Cristani Romeo, Antonio Cagnoli, medaglione n. 34 Fraccaroli Inncenzo, Domenico Morone, erma n. 3 Fraccaroli Innocenzo, Francesco Bianchini, busto n. 54 Franceschetti Gaetano, Giuseppe Torelli, medaglione n. 35 Grigolli Giacomo, Vitruvio Cerdone, busto n. 64 Marai Luigi, Bartolomeo Cipolla, busto n. 50 Poli Giuseppe e Cesare, Matteo Pasti, medaglione n. 36 Poli Giuseppe, Adamo Fumani, medaglione n. 11 Spazzi Grazioso, Scipione Maffei, medaglione n. 21 Spazzi Grazioso, Girolamo Fracastoro, medaglione n. 22 Troiani Gian Battista, Emilio Macro, busto n. 49 Turrini Giovanni, San Zeno, busto n. 58
1872 Grigolli Giacomo, Giambettino Cignaroli, medaglione n. 45 Spazzi Grazioso, Giovanni Cotta, medaglione n. 13 Spazzi Grazioso, Anton Maria Lorgna, busto n. 55 Spazzi Grazioso, Ciro Pollini, busto n. 61 1873 Fraccaroli Innocenzo, Paolo Caliari detto Veronese, busto n. 68 Poli Giuseppe, Onofrio Panvinio, busto n. 51 Troiani Gian Battista, Fra Giovanni Giocondo, busto n. 65 1874 Bordini Pietro, Arcidiacono Pacifico, medaglione n. 6 Grigolli Giacomo, Alberto I della Scala, busto n. 59 Grigolli Giacomo, Antonio Rizzo, busto n. 67 Spazzi Carlo, Paolo Morando, busto n. 71 Spazzi Grazioso, Torello Saraina, medaglione n. 14 Spazzi Grazioso e Attilio, Antonio Cesari, medaglione n. 26 Spazzi Grazioso e Carlo, Cangrande I della Scala, busto n. 59 Spazzi Grazioso, Giovanni Francesco Caroto, medaglione n. 40 Troiani Gian Battista, Vittore Pisano detto Pisanello, erma n. 1
1880 Bordini Pietro, Giovanni Battista Da Monte, busto n. 63 Cristani Romeo, Ippolito Pindemonte, busto n. 52 Pegrassi Francesco, Isotta Nogarola, medaglione n. 12 1891 Pegrassi Francesco, Gidino da Sommacampagna, medaglione n. 7 Spazzi Carlo, Bartolomeo Lorenzi, medaglione n. 33 1892 Spazzi Attilio, Guglielmo da Pastrengo, medaglione n. 9 Cristani Romeo, Nicola Giolfino, erma n. 5 Spazzi Attilio, Francesco Calzolari, medaglione n. 32
1875 Bordini Pietro, Domizio Calderini, medaglione n. 10 Grigolli Giacomo, Giulio Cesare Bordoni, medaglione n. 15 Pegrassi Angelo, Guarino Veronese, medaglione n. 20 Pegrassi Salesio, Francesco Morone, medaglione n. 39 Poli Giuseppe, Girolamo Sanmicheli, medaglione n. 43 Spazzi Grazioso, Giovan Battista Spolverini, medaglione n. 27 Spazzi Grazioso, Stefano da Zevio, medaglione n. 38 Troiani Gian Battista, Altichiero, erma n. 2 Troiani Gian Battista, Giovanni Maria Falconetto, medaglione n. 37
1894 Spazzi Carlo, Paolo Farinati, busto n. 70 1895 Bordini Pietro, Giovanbattista Biancolini, medaglione n. 18 Spazzi Attilio, Girolamo Pompei, medaglione n. 44 1895-1898 Pegrassi Francesco, Ludovico Canossa, medaglione n. 16
1875-1876 Spazzi Grazioso, Paride da Cerea, medaglione n. 8
1898 Bordini Pietro, Giuseppe Zamboni, busto n. 56 Bordini Pietro, Giovanni Pindemonte, medaglione n. 29 Bordini Pietro, Giuseppe Barbieri, busto n. 72 Montini Tullio, Girolamo Ballerini, medaglione n. 17 Montini Tullio, Benedetto Del Bene, medaglione n. 28 Montini Tullio, Antonio Badile, medaglione n. 41 Spazzi Attilio, Pietro Ballerini, medaglione n. 19 Spazzi Attilio, Alessandro Carli, medaglione n. 30 Spazzi Attilio, Giuseppe Venturi, medaglione n. 31 Spazzi Attilio, Girolamo Campagna, medaglione n. 42 Scultore veronese anonimo, Alessandro Pompei, medaglione n. 46
1876 Del Negro Pietro, Catullo, busto n. 48 Troiani Gian Battista, Frà Giovanni da Verona, erma n. 4 Troiani Gian Battista, Girolamo Dai Libri, busto n. 69 Zannoni Ugo, Cornelio Nepote, busto n. 47 1877 Marai Luigi, Mastino I della Scala, medaglione n. 24 Marai Luigi, Bartolomeo I della Scala, medaglione n. 25 Spazzi Grazioso e Carlo, Abramo Massalongo, busto n. 62 Zannoni Ugo, Caterina Bon Brenzoni, busto n. 53
1899 Poli Cesare, Gian Matteo Giberti, busto n. 57
1878 Bordini Pietro, Enrico Noris, medaglione n. 23
Rilievo della Protomoteca alla Loggia del Consiglio 1937 (Biblioteca Civica di Verona)
Entrata e campate laterali
Prime campate a sinistra dell’entrata
Ultime campate a sinistra dell’entrata e parete ovest
Prime campate a destra dell’entrata
Ultime campate a destra dell’entrata e parete est
I numeri inseriti in neretto fanno riferimento alle schede di catalogo dei ritratti.
CATALOGO DEI RITRATTI
ERME, MEDAGLIONI, BUSTI DELLA PROTOMOTECA
RIFERIMENTI PER LA LETTURA DELLE SCHEDE • La numerazione delle schede segue l’ordine di collocazione delle opere nella loro attuale sistemazione con andamento orario, da destra verso sinistra, a partire dalla porta di entrata. • I ritratti sono a loro volta suddivisi in tre gruppi: erme, medaglioni e busti. Per le erme e i medaglioni la numerazione parte e procede per ogni campata dall’alto verso il basso, sempre in direzione oraria. • Il numero e la lettera fra parentesi fanno riferimento alla posizione dell’illustre all’interno degli elenchi B o C delle onorificenze allegati alle Norme del 1870. • Per comodità di lettura la collocazione storica nel testo è indicata muovendo da una visione frontale della Loggia secondo le coordinate suggerite dalla griglia architettonica entro cui le opere furono collocate. Le pareti sono state quindi suddivise in campate numerate tenendo come riferimento la porta di accesso all’edificio (I campata di destra, II campata di sinistra ecc. vedi figg. 3-7). • Le schede seguono il seguente schema:
- Numero nelle liste B o C delle Norme (messo tra parentesi, riferimento alla lista in minuscolo)
- Nome dell’“illustre” effigiato
- Breve profilo biografico, con riferimento bio-bibliografico (tra parentesi)
- Nome dell’estensore della biografia nella Protomoteca Veronese di Giulio Sartori (Verona 1881-1887), con il numero del fascicolo, il mese e l’anno di edizione [voce presente solo per i busti collocati fino al 1887].
- Nome dello scultore
- Iscrizione identificativa
- Firma dello scultore (se presente)
- Data dell’onorificenza
- Testo di commento
- Bibliografia nella quale è menzionata l’opera.
ERMA: l’erma della Protomoteca è una scultura con la sola testa a mezzo busto, senza braccia, che rimanda al prototipo classico del pilastro quadrangolare sormontato da una testa barbuta, raffigurante in origine il dio Ermete, per i Greci, e il dio Mercurio per i Romani, collocato nei luoghi pubblici, compresi templi, biblioteche e tombe. Quando perse il significato sacro l’erma fu usata per effigiare e celebrare personaggi degni di fama. MEDAGLIONE: bassorilievo in forma tonda che contiene il ritratto di una persona, più spesso di profilo, derivato dal modello di origine antica della medaglia celebrativa. BUSTO: scultura che rappresenta una figura umana dalla testa al petto, in prevalenza senza braccia, destinata principalmente a celebrare e/o commemorare un personaggio.
[39b] ERME
VITTORE PISANO detto PISANELLO (ante 1395-1455)
Pisanello fu tra i massimi esponenti della raffinatissima cultura figurativa del periodo tardogotico. Sappiamo che nacque in una famiglia di origini pisane trasferitasi a Verona dove l’artista realizzò le sue prime opere importanti. La più antica a lui attribuita è la famosa Madonna della qua-
glia (Verona, Museo di Castelvecchio), datata 1420 circa, cui seguì la decorazione del Monumento Brenzoni nella chiesa dei Santi Fermo e Rustico con l’Annunciazione (1426). Alla metà degli anni Trenta risale la decorazione della cappella Pellegrini a Santa Anastasia raffigurante San Giorgio e la Principessa, uno dei capolavori del tardogotico italiano. Dopo l’ultima impresa veronese la sua presenza è segnalata presso le più importanti corti della Penisola da Mantova, a Ferrara a Napoli. A lui sono concordemente attribuiti la Visione di S. Eustacchio (Londra, Nationa Gallery), Ritratto di una principessa (Parigi, Louvre), e il Ritratto di Lionello d’Este (Bergamo, Accademia di Carrara). A lui si deve inoltre lo sviluppo dell’arte della medaglistica che iniziò a praticare a partire dal 1438, anno a cui risale la prima fusione dedicata all’imperatore Giovanni Paleologo (Cordellier 1995; Pisanello 1996). In Sartori 1881-1887: Luigi Adriano Milani, fasc. XXII, gennaio 1886.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845-1927)
Il ritratto di Pisanello è il primo di sette (cat. 2, 4, 37, 49, 65, 69) che Troiani eseguirà su commissione municipale per la Protomoteca. Le sembianze immortalate dallo scultore derivano dalla presunta effige del pittore raffigurata in una delle medaglie a lui attribuite (Gasparotto 1996, n. 75, pp. 364-365). Come nel notissimo profilo, il pittore è descritto con il caratteristico copricapo e con un elegante abito in tessuto broccato, richiamato nel marmo in forme stilizzate.
Marmo, 1874 65 x 35 x 26 cm «PISANELLO» «G.B. Trojani. F.e» Onorificenza: 22/12/1873
Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 754-756; Sartori 1881-1887; Marini 1996, p. 19.
PAR E T E D’ I NGR E S S O
1
ERME
PAR E T E D’ I NGR E S S O
2
[40b]
ALTICHIERO (attivo nella seconda metà del XIV sec. )
Nativo di Zevio, è documentato a Verona e Padova dal 1369 al 1384. Fu tra i grandi pittori che contribuirono al rinnovamento della maniera di Giotto nella seconda metà del Trecento. Il suo nome è legato a due importanti cicli di affreschi padovani: Storie di S. Giacomo, nella basilica di Sant’Antonio, e la mirabile decorazione per oratorio di S. Giorgio con le Storie di Cristo, S.Giorgio, S. Lucia e S. Caterina. Prima di allora a Verona, su commissione di Cansignorio della Scala, lavorò alla decorazione del palazzo scaligero (post 1364), ora corrispondente al palazzo della Provincia, di cui si conservano i sottarchi con ritratti imperiali (Verona, Museo degli affreschi «G.B. Cavalcaselle»). Della sua attività veronese rimangono inoltre gli affreschi della cappella Cavalli in Santa Anastasia, che i documenti collocano attorno al 1369 (Richards 2000; Guarnieri 2004). In Sartori 1881-1887: Luigi Polfranceseschi, fasc. XVIII, agosto 1884.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845-1927)
In mancanza di una fonte iconografica riconosciuta, come nel caso di Pisanello (cat. 1), Troiani inventa un ritratto di fantasia ispirato all’immaginario medievale proprio della sua epoca, realizzando un ritratto di foggia incongruentemente quattrocentesca, ispirato ai busti del primo rinascimento toscano. La posizione dell’erma sotto la Loggia, tra la seconda e la terza campata a sinistra dell’entrata all’edificio, in corrispondenza dell’incrocio della parasta con il cornicione, suggerisce che l’opera fu eseguita nell’anno nel quale fu votata l’onorificenza al pittore e collocata entro il 1876.
Marmo, 1875 63 x 35 x 25 cm «ALTICHIERO / pittore» «G.B. Trojani» Onorificenza: 14/05/1875
Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Sartori 1881-1887.
[33b] ERME
DOMENICO MORONE (1442 ca. - post 1518)
Pittore e miniatore fu probabilmente allievo di Francesco Benaglio ed animatore di una fiorente bottega da cui presero le mosse il figlio Francesco e Girolamo Dai Libri. Dipinse soprattutto grandi decorazioni a fresco testimoniate dai cicli realizzati per le chiese cittadine di San Bernardino, Santa Maria in Organo e dei Santi Nazzaro e Celso, mentre si discute ancora l’attribuzione a Morone della Libreria Sagramoso nello stesso convento di San Bernardino, datata 1503. (Lucco 1990; Zamperini 2013, pp. 119-125). In Sartori 1881-1887: Pietro Caliari, fasc. XXIV, aprile 1886.
INNOCENZO FRACCAROLI (1805-1882) Marmo, 1878 67 x 37,5 x 24 cm «D. MORONE / pittore» Onorificenza: 12/08/1876 Attribuita da Sartori a Giovanbattista Troiani, l’erma fu in realtà eseguita da Innocenzo Fraccaroli come dimostra il catalogo dell’esposizione veronese del 1878 alla quale lo scultore partecipò presentando anche il busto di Francesco Bianchini (cat. 54). Entrambe le sculture, come segnalato nel catalogo, erano state eseguite «per commissione del Municipio di Verona, da collocarsi
nella Protomoteca». La collocazione dell’erma, dunque, risale ad almeno due anni più tardi la votazione dell’onorificenza. Di questo ritardo si trova indirettamente conferma nella posizione dell’erma sotto la Loggia in cui compariva tra la seconda e la terza campata di destra rispetto all’entrata, in corrispondenza dell’incrocio della parasta col cornicione, tra opere commissionate a seguito delle onorificenze votate nel 1878. Il ritratto inventato da Fraccaroli è giovanile e inespressivo, lo scultore propone l’immagine generica di un pittore in tenuta da lavoro, forse più ottocentesca che rinascimentale, lasciando al dettaglio dell’acconciatura un richiamo alla moda del periodo in cui visse l’artista. Bibliografia: Resoconti 1876, pp. 126-127; Catalogo della Esposizione 1878, n. 140 p. 18; Sartori 1881-1887.
PAR E T E D’ I NGR E S S O
3
ERME
PAR E T E D’ I NGR E S S O
4
[38b]
FRA GIOVANNI DA VERONA (1457/1458-1525)
Architetto, scultore, divenne famoso come autore di tarsie e intagli. Nel 1474 entrò nella congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto e dal 1491 fu presente a Verona nel convento di Santa Maria in Organo. A questo primo soggiorno risalgono il grande candelabro pasquale, il coro ed il suo monumentale leggio, e la cornice dell’altare maggiore. Contemporaneamente gli venne affidata la progettazione del campanile della chiesa i cui lavori si protrassero fino al 1533. Nel 1501 lasciò Verona per un lungo periodo durante il quale realizzò altri importanti capolavori: per Monte Oliveto a Napoli l’armadio dei corali, un candelabro ed il grande coro ligneo; per la stanza della Segnatura in Vaticano un complesso di scranni e pannelli (distrutti); per la chiesa di San Benedetto a Siena il coro ligneo. Nel 1518 fu nuovamente nella città natale ove realizzò l’opera più importante della sua maturità: la sacrestia della chiesa di Santa Maria in Organo (1499-1505). La sua ultima opera documentata, rimasta incompleta ed in parte dispersa, fu il coro per la chiesa dei Santi Angelo e Nicolò di Villanova Sillaro a Lodi (Zamperini 2013, pp. 69-83). In Sartori 1881-1887: Giacomo Franco, fasc. XVII, maggio 1884.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845-1927)
69), presentato da Troiani all’esposizione cittadina del 1876, ed all’epoca del documento già collocato sotto a Loggia del Consiglio. La realizzazione dell’opera risalirebbe dunque al 1876, ossia a tre anni dopo il conferimento dell’onorificenza all’artista rinascimentale. La fonte iconografica utilizzata da Troiani per il volto dell’olivetano è il ritratto ad affresco eseguito da Giovanni Caroto nel 1530 sopra la porta della sacrestia di Santa Maria in Organo (fig. 8). Lo scultore reinterpreta i lineamenti del frate accentuandone i connotati e conferendo al personaggio un’espressione austera.
Marmo, 1876 60 x 36,5 x 25 cm «FRA GIOVANNI / intagliatore» «G.B. TROIANI» Onorificenza: 20/12/1873
Da una minuta non datata indirizzata dall’Amministrazione allo scultore si evince che l’erma, ancora in attesa del necessario “collaudo”, era stata collocata in Protomoteca poco dopo il busto di Girolamo Dai Libri (cat.
Bibliografia: ASVR, Comune di Verona, b. XXII/16, minuta; Resoconti 1873, pp. 754-756; Sartori 1881-1887.
[25c] ERME
NICOLA GIOLFINO (1476-1555)
Discendente di una famiglia di intagliatori, fu allievo di Liberale da Verona di cui perpetrò la tradizione tardo quattrocentesca. Alle novità del classicismo preferì i modelli proposti dall’arte nordica come traspare nelle sue prime opere certe: la Madonna dei Gelsomini (Verona, Museo di Castelvecchio) e la Pentecoste di Santa Anastasia (1518). Caratteristiche della sua produzione più matura sono un progressivo schiarimento della tavolozza ed una spiccata propensione al racconto che costituirono la peculiarità ed il limite del suo linguaggio. Rivelatrici di questa nuovo indirizzo sono le Storie di S. Francesco in San Bernardino (1522) e le Storie di S. Agata (Verona, Museo di Castelvecchio). Fu anche frescante ed apprezzato decoratore di fronti di cassoni (Repetto Contaldo 1990; Ericani 1999, p. 1293).
ROMEO CRISTANI (1855-1920)
il Palazzo del Consiglio, antica sede della Galleria comunale. L’immagine creata da Cristani si mostra fortemente caratterizzata da elementi tratti dalla moda tardo cinquecentesca, quali il folto pizzetto e la ricca gorgera a cornice del volto, che affascinano lo spettatore per la forza formale con la quale sono modellati e per la capacità di evocare un immaginario rinascimentale, ma che non corrispondono alla moda del periodo nel quale veramente visse il pittore.
marmo, 1892 66,5 x 35 x 26 cm «NIC. GIOLFINO / pittore» Onorificenza: 08/05/1891 La scultura presenta sul lato destro della base un’incisione, forse una firma, non identificabile. Dalle cronache dedicate all’esposizione veronese del 1892 risulta che lo scultore Cristani espose in quell’occasione un ritratto di Giolfino definito «per la Pinacoteca», ossia
Bibliografia: Resoconti 1891, pp. 284-287; Di Monceltralte 1892; Meneghello 1986, p. 58.
PAR E T E D’ I NGR E S S O
5
P R I MA C AMPATA
M EDAG LI O N I
6
[6b]
ARCIDIACONO PACIFICO (VII-IX secolo)
Arcidiacono della cattedrale documentato nel secolo IX (il testamento è datato 844), fu protagonista nella seconda età carolingia del rinnovamento della chiesa veronese. Si distinse come scrittore in greco e latino, e come scienziato e inventore. Nella tradizione, Pacifico viene considerato il fondatore di diversi edifici sacri di Verona (La Rocca 1995; Marchi 2002, pp. 379-392; Marchi 2012, pp. 355-380). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. XVIII, agosto 1884.
PIETRO BORDINI (1856-1922) Marmo, 1874 Ø 80 cm «ARCIDIACONO PACIFICO POLISTORE N. 778 M. 846» «P. Bordini 1874» Onorificenza: 20/12/1873 Ascrivibile tra le prove d’esordio del giovanissimo artista, la medaglia è la prima di una serie di opere che lo scultore realizzerà per la Protomoteca tra il 1874 ed il 1898 (cat. 10, 18, 23, 63, 72). Lo scultore prescinde dalla limitata tradizione ritrattistica di origine basso medievale e sceglie una figura di pura invenzione nella quale mette a frutto la lezione del suo maestro di accademia, Giuseppe Poli, ritagliando
una figura proporzionata e appariscente, caratterizzata dal virtuosismo del dettaglio, in particolare nella ciocca di capelli del retro. Ne risulta un ritratto giovanile e inatteso rispetto all’immaginario del diacono saggio, colto e committente di chiese. La stola diaconale mostra una decorazione figurativa che alterna un quadrante con un santo vescovo benedicente, a sua volta contenuto in una cornice ottagonale, e una con cinque tondi contenti altrettanti simboli zodicali (ariete, scorpione, sagittario, vergine, cancro). Mentre per la prima figura si può ipotizzare un richiamo al vescovo Ratoldo, di cui fu il principale collaboratore, il riferimento allo zodiaco evoca i suoi studi di astronomia che, secondo il testo del suo epitaffio funebre, lo condussero all’invenzione dell’horologium nocturnum. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 754-756; Sartori 1881-1887
[3c]
GIDINO DA SOMMACAMPAGNA (1320-1330 / ante 1400)
Il poeta Gidino nacque a Verona da una famiglia di umili origini emigrata dalla vicina Sommacampagna. Svolse probabilmente studi giuridici che gli permisero di intraprendere una carriera pubblica nell’ambito della corte scaligera. La sua ascesa politica avvenne durante la signoria di Cangrande II (1351-1359), dopo la cui caduta attraversò un lungo periodo di sventura segnato dalla condanna al carcere che durò fino al 1362. Tornato libero divenne precettore dei figli di Cansignorio della Scala, Bartolomeo ed Antonio, i quali, subentrati al padre, gli garantirono l’ascesa alle massime cariche della Signoria. A questi anni risale la composizione del Trattato e arte deli rithimi volgari (1381-1384) che, dedicato ad Antonio della Scala, descrive i diversi generi metrici esemplificati da componimenti dello stesso Gidino (Milan 2000, pp. 633-637).
FRANCESCO PEGRASSI (1838-1899)
dalla presunta effige del poeta in una lettera miniata del codice CDXLIV della Biblioteca Capitolare di Verona del tardo Trecento (Minazzato 2011, pp. 66-67). Il volto maturo e severo è coperto da una cuffia su cui poggia una berretta evocativa della moda del secondo Trecento, che sembra voler ricordare un mazzocchio posto a tenere un mantelletto, detto fozia, ritorto e rimboccato da un lato. Le spalle mostrano una mantella con cappuccio, chiusa da una fila regolare di bottoni, che lascia intravedere, a sua volta, il soggolo di una camicia.
Marmo Ø 80 cm «GIDINO DA SOMMACAMPAGNA / N. E M. NEL SEC. XIV» «F. Pegrassi 1891» Onorificenza: 08/05/1891
Unica opera firmata e datata dello scultore in Protomoteca, il medaglione fu realizzato con il contributo di cinquanta lire da parte del Comune di Sommacampagna. Pegrassi si rifugiò in un finto ritratto medievale, guardando con qualche coerenza all’arte scaligera del XIV secolo, forse genericamente indirizzato, se ne ebbe contezza (i codici erano stati oggetto di studio recente da parte del bibliotecario Giambattista Carlo Giuliari),
Bibliografia: Resoconti 1891, pp. 284-287.
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7
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8
[1c]
PARIDE DA CEREA (1200 ca.-1277)
Paride da Cerea fu un notaio veronese del Duecento. Scrisse una Cronaca dei fatti di Verona dall’anno 1115 all’anno 1260, che ancora costituisce una delle fonti principali per la storia medievale della città (Il Chronicon 2014). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. XII, agosto 1883.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1875-1876 Ø 80 cm
Il profilo del cronista dal volto irsuto e con perentorio naso aquilino è coperto dal cappuccio di un mantello, con un becchetto che ricade sul retro, in realtà desueto nel XIII secolo e più tipico della metà del Trecento. Nel municipio di Cerea si conserva una replica del tondo.
«PARIDE DA CEREA CRONISTA N. E M. NEL SECOLO XIII»
Bibliografia: Resoconto morale 1878, p. 179; Sartori 1881-1887; Resoconti 1891, p. 285; Chronicon 2014, s.p.
Il medaglione fu donato dal Comune di Cerea al quale si deve anche la scelta dello scultore. L’attribuzione deriva da Sartori che inserisce l’opera tra quelle eseguite da «Spazzi Grazioso e figli». Non potendo contare in questo caso su un riferimento cronologico certo quale la votazione dell’onorificenza, come per le commissioni gestite direttamente dalla municipalità scaligera, la data di esecuzione dell’opera è deducibile dalla sua collocazione sotto la Loggia, nella seconda campata a sinistra rispetto alla porta d’entrata al palazzo, tra i medaglioni risalenti al 1875 ed al 1876.
[2c]
GUGLIELMO DA PASTRENGO (1290 ca.-1362)
Notaio e giurista di corte durante la signoria di Mastino II della Scala, Guglielmo deriva il suo appellativo dall’investitura del feudo di Pastrengo che la famiglia paterna ricevette nel 1223. Fu amico di Petrarca con il quale intrattenne una lunga corrispondenza, documentata nell’epistolario del poeta (Epistulae metricae), che gli assicurò la fama di erudito ed umanista. Scrisse il De viris illustribus, con biografie di personaggi illustri della storia e del suo tempo, e il De originibus, un repertorio di conoscenze che tratta delle città del mondo e dei loro fondatori, dell’origine di alcuni nomi geografici, di antropologia e dell’illustrazione di piante e pietre (Cerroni 2003, pp. 17-22).
ATTILIO SPAZZI ? (1859-1915)
un viso adulto, ma ancora giovane, con berretta caratterizzata da un ricasco frontale detto fozia. Sulle spalle porta una mantellina di pelliccia di vaio piuttosto frequente nell’abbigliamento signorile del Trecento.
Marmo, 1892 Ø 80 cm
Bibliografia: Resoconti 1892, pp. 492-493.
«GUGLIELMO DA PASTRENGO» Onorificenza: 27/06/1892
Il ritratto non è firmato e la sua ordinata esecuzione manca di motivi su cui stringere un’attribuzione, anche se le modalità di tornitura del volto e la modanatura della cornice del clipeo rimandano una serie di altri medaglioni anonimi (cat. 19, 30, 31, 32, 42), riferibili ad un’unica mano. La maniera di ricavare il profilo e di intagliare i dettagli ci inducono a sospettare possa trattarsi Attilio Spazzi, anche se il dignitoso approccio accademico a questi medaglioni non facilita il riconoscimento. In mancanza di prototipi, lo scultore inventa
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[8b]
DOMIZIO CALDERINI (1446-1478)
Letterato e filologo, si recò giovanissimo a Roma dove partecipò al circolo del cardinale Bessarione, insegnò presso lo Studio romano e fu nominato segretario apostolico. Nella sua breve esistenza diede alle stampe un ricco corpus di commenti ai classici tra cui Marziale, Giovenale, Virgilio e Stazio. Lui stesso fu scrittore di carmi latini (Perosa 1973, pp. 597605; Campanelli 2001). In Sartori 1881-1887: Giuseppe Biadego, fasc. X, maggio 1883.
PIETRO BORDINI (1856-1922) Marmo Ø 80 cm «DOMIZIO CALDERINI FILOLOGO N. 1445 M. 1477» «P. Bordini 1875» Onorificenza: 14/05/1875
Lo scultore intaglia con bravura il ritratto di un giovane, dallo sguardo acuto, immaginando che Domizio Calderini, morto a 32 anni, avesse delle sembianze addolcite, con i cappelli ancora vivaci e mossi. Il profilo rimanda alla ritrattistica quattrocentesca, anche se la morbida berretta e la veste rispondono ad un’esigenza più evocativa che filologica. Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Sartori 1881-1887
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[44b]
ADAMO FUMANI (1505 ca. - 1587)
Sotto la guida del vescovo Matteo Giberti, fu parroco di Villafranca e poi, dal 1544, canonico della chiesa cattedrale. Per il vescovo riformatore compose l’orazione funebre e l’epitaffio della cattedrale. Con il successore Navagerio, sotto il pontificato di Paolo IV, Fumani venne scelto come Segretario al Concilio tridentino. Fu inoltre traduttore e poeta: tra le sue opere sono fondamentali la traduzione dal greco delle opere morali ed ascetiche di San Basilio, pubblicate a Lione nel 1540, e il poema in esametri Logices Libri quinque, edito solamente nel 1739 (Maffei, 1731, IV, pp. 194-195; Benterle 1989-1990). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. XVI, marzo 1884.
GIUSEPPE POLI (1830 - post 1894) Marmo, 1878 Ø 80 cm «FUMANI ADAMO POETA N. E M. SEC. XVI» Onorificenza: 04/05/1878 Il profilo mostra Adamo Fumani nelle vesti di canonico della cattedrale, secondo una foggia più adatta al XVII secolo che all’epoca in cui visse, con l’aspetto di un uomo di mezza età, caratterizzato da baffi e pizzetto, mentre aggrotta la fronte accentuando lo sguardo austero. La tornitura dell’orecchio, il movimento degli zigomi e delle ciglia, la capigliatura mossa lasciano apprezzare la buona tecnica accademica di Giuseppe Poli. Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887; Magani 1997, n. 22, p. 200.
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[43b]
ISOTTA NOGAROLA (1418-1466)
Educata alla cultura umanistica da Martino Rizzoni, allievo prediletto di Guarino, Isotta coltivò lo studio dei classici che la coinvolse nei circoli umanistici veronesi e veneti. Dopo il 1441 si dedicò alla teologia ed alle pratiche religiose. Della sua opera, rimangono qualche lettera, delle orazioni ed un dialogo sul peccato originale (King 1991; Nogarola 2004) In Sartori 1881-1887: Isabella Scopoli Biasi, fasc. IX, aprile 1883.
FRANCESCO PEGRASSI ? (1838-1899) Marmo Ø 80 cm «ISOTTA NOGAROLA LETTERATA SECOLO XV» «CA» Onorificenza: 05/01/1880
Sartori aveva attribuito il tondo a Cesare Poli, leggendo forse come «CP» le lettere «CA» incise sotto il bassorilievo, non riconducibili, però, alla firma di uno scultore veronese conosciuto del periodo e, forse, non riferibili affatto a una sottoscrizione, ma a qualche altro rimando di cui ci sfugge il significato. I dettagli di stile e la sagomatura della cornice sembrano rimandare, piuttosto, a Francesco Pegrassi, presente in Protomoteca con i medaglioni di Gidino da Sommacampagna (firmato e
con il bordo di un marmo cromaticamente più scuro, cat. 7) e di Ludovico di Canossa (cat. 16). Il ritratto proposto dallo scultore si ispira a quelli comunemente noti della poetessa la quale, immortalata nel suo ieratico profilo velato, si trova raffigurata già in una medaglia veronese di epoca rinascimentale (Murari, 1993, n. 26, p. 49) e nell’opera di Giacomo Filippo Tommasini (Elogia virorum Literis et Sapientia illustrium ad vivum espressi imaginibus exornata, Padova 1644, p. 339). Da questi modelli discesero tutti i successivi ritratti della Nogarola fino ai più tardi repertori biografici ottocenteschi (Gamba 1826, vedi fig. 9). Bibliografia: Resoconti 1880, pp. 28-35; Sartori 1881-1887.
[7c]
GIOVANNI COTTA (1480 ca. - 1510)
Scrittore e poeta, nacque a Legnago nel 1480 circa. Fu al servizio del generale dell’esercito veneziano Bartolomeo D’Alviano ed entrò nella sua cerchia di letterati. Cotta ci ha lasciato carmi ed epigrammi (Ricciardi 1984; Giovanni Cotta 2000). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. VIII, febbraio 1883.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1872 Ø 80 cm «GIOVANNI COTTA POETA / N. 1479 M. 1510»
L’attribuzione deriva dall’indicazione di Sartori che inserisce l’opera tra il folto gruppo realizzato da «Grazioso Spazzi e figli». Assieme al medaglione dedicato a Cignaroli (cat. 45), il ritratto proposto da Spazzi è tra le primissime opere ad essere collocate nella Protomoteca. La scultura fu offerta dal Comune di Legnago in memoria dell’insigne concittadino, rispondendo all’invito inoltrato dal Comune di Verona all’indomani della inaugurazione della Protomoteca. Da una lettera del giugno del 1872, scritta dal Sindaco di Legnago a quello di Verona, si evince che il medaglione, pur non ancora ultimato, sarebbe stato conservato dalla stessa amministrazione in attesa di collocarlo sotto
la Loggia del Consiglio. Ultimato il progetto di allestimento della Protomoteca nel dicembre dell’anno successivo, il medaglione fu inserito nella prima campata a sinistra dell’entrata del palazzo, sopra quello coevo dedicato al pittore settecentesco. Il ritratto del poeta è stato tramandato in diverse forme (Murari 1993, n. 56 p. 79; Giovanni Cotta 2010), ma quello più corrispondente all’effige proposta da Spazzi si trova tradotto a stampa nell’antiporta dell’edizione colognese dei Carmina dell’autore (1760). L’immagine riproduce le sembianze del legnaghese dipinte nel 1573 (fig. 10) dal pittore Giovanni Ermanno Ligozzi (Giovanni Cotta 2010, p. 16). Come nel medaglione, Cotta è rappresentato in età giovanile, con i capelli a caschetto, lineamenti gentili e la testa coronata d’alloro quale richiamo alla sua attività di poeta. L’opera di Spazzi si caratterizza per un interpretazione sintetica ed essenziale dell’originale che acquisisce, nel marmo, un’austerità del tutto nuova e d’intonazione squisitamente neoclassica. Bibliografia: ASVr, Comune di Verona, b. XXII/12, lettera del Comune di Legnago del 13 giugno 1872; Resoconti 1873, p. 267; Resoconto morale 1878, p. 179; Sartori 1881-1887.
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[14b]
TORELLO SARAINA (1475-1550)
Di professione notaio, fu tra i primi storici delle antichità veronesi. A lui si devono due opere fondamentali per la storia della città: il dialogo De origine et amplitudine civitatis Veronae (Verona, 1540), dedicato al vescovo riformatore Gian Matteo Giberti ed illustrato da disegni di Giovanni Caroto, e Le historie, e fatti de’ veronesi nei tempi del popolo, e signori Scaligeri. (Verona, 1542) che ricostruiscono, in lingua volgare, le vicende storiche della città al tempo degli Scaligeri (Carpané1988,p.559;Cenni-Coppari 1990,pp.70-72;Napione 2009, pp. 449-453). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. IV, gennaio 1882.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1874 Ø 80 cm «TORELLO SARAINA STORICO / N. SEC. XV M. SEC. XVI» Onorificenza: 22/12/1873 L’attribuzione deriva dalla fonte di Sartori che inserisce l’opera tra quelle eseguite da «Grazioso Spazzi e figli». Il ritratto proposto da Spazzi, elaborato e semplificato in chiave ancora neoclassica, deriva dal profilo calcografico di Saraina inserito nel De origine et amplitudine civitatis Veronae, edito a Verona nel 1540 (fig. 11) ed affine ad una medaglia rinascimentale segnalata in collezione Moscardo (Murari 1993, n. 32, p. 55). Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 754-756; Sartori 1881-1887.
[10b]
GIULIO CESARE BORDONI detto LO SCALIGERO (1484-1558)
Scienziato, filosofo ed erudito si definì nei suoi scritti Scaligero in ricordo di una millantata discendenza dai Della Scala. In realtà nacque a Padova dove compì gli studi laureandosi nel 1519. Nel 1524 lasciò l’Italia al seguito di Antonio Della Rovere, allora vescovo di Agen, stabilendosi definitivamente in Francia. Fu nel paese transalpino che costruì la sua notorietà dedicandosi all’insegnamento della medicina, partecipando con i suoi scritti a dispute letterarie e scientifiche, pubblicando le sue ricerche linguistiche e componendo versi. Tra le opere che segnarono la sua fama ricordiamo la raccolta di poesie Heroes (1539) ed i trattati De causis linguae Latinae libri tredicim (1540) e Poetices libri septem (1561), che contribuirono alla genesi del classicismo francese (Patrizi 1989). In Sartori 1881-1887: Giuseppe Fraccaroli, fasc. VI, gennaio 1882.
GIACOMO GRIGOLLI (1852-1906)
Protomoteca. Si ritrovano le stesse caratteristiche del volto, in particolare il naso, l’attaccatura dei capelli e la tipica folta barba, nonché il medesimo abbigliamento, richiamato nel medaglione dall’ampio bavero della sopraveste.
Marmo, 1875 Ø 80 cm «GIULIO CESARE BORDONI DETTO LO SCALIGERO POLISTORE N. 1484 M. 1588» «Grigoli G.»
Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Sartori 1881-1887.
Onorificenza: 14/05/1875
Tra i ritratti noti dello Scaligero (Meloni Trkulja 1980, Ic 402 p. 654 per quello di ignoto fiorentino del XVII secolo nella collezione iconografica degli Uffizi; e Murari 1993, n. 39 p. 62), è stato possibile identificare nell’incisione di Theodor de Bry (1528-1598, fig. 12), realizzata per la monumentale Bibliotheca calcographica di J.J. Boissard (Francoforte 1652-1669), il modello più somigliante al profilo scolpito da Grigolli per la
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LODOVICO CANOSSA (1475-1532)
Fu considerato uno tra i più abili e capaci diplomatici della sua epoca. Fu da principio al servizio di Guidobaldo duca d’Urbino e, successivamente, di Papa Giulio II che lo nominò vescovo di Tricarico (1511). Con Leone X venne nominato nunzio pontificio in Francia, dove riuscì a conciliare Luigi XII con Enrico XVIII, e nel 1516 fu consacrato vescovo di Bayeux. Fu ambasciatore del re di Francia a Venezia e, assieme al conterraneo Giberti, operò a sostegno della politica antimperiale che si concluse con la fallimentare impresa della Lega di Cognac. Uomo colto, raffinato collezionista, fu amico di letterati ed artisti, tra i quali Ariosto e Castiglione che lo inserì tra i personaggi del suo Cortegiano. A lui si deve l’edificazione del veronese Palazzo Canossa, opera di Michele Sanmicheli (Clough 1975; Conforti 2001).
FRANCESCO PEGRASSI ? (1838-1899) Marmo, 1895-1898 Ø 80 cm «LOD. DI CANOSSA VESC. DI BAYEUX»
Considerando che il personaggio faceva parte della seconda lista di illustri, ossia di quelli per i quali si auspicava un contributo privato, e non essendo stata rintracciata alcuna documentazione relativa al voto consiliare per l’onorificenza all’insigne prelato, è verosimile che il medaglione sia stato donato alla Protomoteca dalla nobile famiglia veronese dei Canossa dalla quale dipese, probabilmente, anche la scelta dell’anonimo scultore. Su base stilistica si può avanzare l’ipotesi che si tratti di Francesco Pegrassi, già autore dei tondi con Gidino da Sommacampagna (cat. 7) e con Isotta Nogarola (cat. 12), per il modo di staccare la figura dal piano e per la stret
ta vicinanza dei particolari morelliani, come la definizione delle palpebre dell’occhio. Anche la modanatura della cornice del clipeo è identica. La collocazione sotto la Loggia, sulla parete laterale sinistra, suggerisce che l’opera sia stata eseguita tra il 1895 ed il 1898, date entro le quali furono votate le onorificenze per i medaglioni inseriti nella medesima parete. Il profilo scolpito nel marmo richiama le sembianze tramandate dal ritratto del prelato conservato nel veronese Palazzo Canossa (fig. 13), a sua volta copia ottocentesca di quello più antico della Bibliothèque de la Ville de Bayeux (riprodotto in Miglioranzi 1907; cfr. Clough 1975, p. 191).
[8c]
GIROLAMO BALLERINI (1702-1781)
Fu sacerdote come il più celebre fratello Pietro con il quale collaborò tutta la vita alla stesura di un repertorio vastissimo di opere tra cui l’edizione Sancti Zenonis episcopi Veronensis Sermones (1739) e dell’Opera omnia di Enrico Noris (17291732), di Gian Matteo Giberti (1732), di Raterio (1765) e di Leone Magno (1753-57). Importante, inoltre, il suo contributo alla pubblicazione Museum musellianum, relativo alla raccolta di medaglie del museo Muselli di Verona (Simoni 1995).
TULLIO MONTINI (1878-1964)
ad escludere che l’effige fosse di pura fantasia. Forse lo scultore vide il dipinto settecentesco, o una sua derivazione.
Marmo, 1898 Ø 80 cm
Bibliografia: Resoconti 1898.
«N. 1702 GIROLAMO BALLERINI . LETT . 1781» «Montini» Onorificenza: 28/06/1898
Anche per Girolamo, come per Pietro Ballerini (cat. 19), Luigi Federici (Elogi istorici de’ più illustri ecclesiastici Veronesi, III, Verona 1819; cfr. Simoni, 1995, p. 228) annota l’esistenza di un ritratto su tela fatto eseguire a Girolamo Tommasi (1748-1796), di cui oggi si ignora la collocazione. Non abbiamo rintracciato altra fonte iconografica che giustifichi il volto scolpito da Montini. I tratti del volto, molto caratterizzati, inducono, tuttavia,
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[24c]
GIOVANBATTISTA BIANCOLINI (1697-1780)
Fu un ricco commerciante di seta appassionato di storia e cultura antiquaria. Dalla sua dilettantesca e erudita dedizione agli studi nacquero importanti pubblicazioni, ancor oggi tra le principali fonti della storiografia veronese: Cronica della città di Verona descritta da Pier Zagata, 1745-1749, Notizie storiche delle chiese di Verona, 1749-1771 e Dei vescovi e dei governatori di Verona, 1757 (Petrucci 1968; Simoni 1983, pp. 7-46).
PIETRO BORDINI (1856-1922)
mentre la capigliatura lunga sul retro, mostra un ciuffo acconciato sopra l’orecchio e un fiocco a legare la coda.
Marmo Ø 80 cm
Bibliografia: Resoconti 1895, pp. 168; Allegati 1897, n. 16 pp. 112113.
«G.B. BIANCOLINI N. 1697 M. 1770» «P. Bordini» Onorificenza: 01/03/1895
Firmata direttamente all’interno del clipeo, l’opera si presenta tra le meno riuscite dell’autore, che nelle altre sculture eseguite in Protomoteca (cat. 6, 10, 23, 63, 72) ha una tenuta di tecnica e di invenzione molto più originale. La ricerca non è giunta a identificare il modello usato per il ritratto, ma il volto con il naso aquilino e lo sguardo indagatore sembrerebbe caratterizzato. L’abbigliamento borghese del XVIII secolo si distingue per la camicia di sobria eleganza dal collo pronunciato,
[9c]
PIETRO BALLERINI (1698-1769)
Pietro Ballerini fu nominato sacerdote nel 1722 ed assieme al più giovane fratello Girolamo, sacerdote anch’egli, si dedicò agli studi teologici documentati da un vastissimo repertorio di opere, molti delle quali composte assieme. Tra queste l’edizione Sancti Zenonis episcopi Veronensis Sermones (1739), l’Opera omnia di Enrico Noris (1729-1732), di Gian Matteo Giberti (1732), di Raterio (1765) e di Leone Magno (1753-57). Partecipò al dibattito tra propabilisti e probabilioristi sollevato dal suo scritto Il metodo di S. Agostino (1724) e contro l’usura tenne una celebre disputa con Scipione Maffei che portò alla stesura del De iure et naturali circa usuram libri sex (1747), costituendo la prima organizzazione sistematica della controversa materia in Italia. Importanti furono pure i suoi contributi contro il febronanismo incentrati sul problema del primato e dell’infallibilità del papa (Capitani 1963; Simoni 1995).
ATTILIO SPAZZI ? (1859-1915) Marmo, 1898 Ø 80 cm «PIETRO BALLARINI TEOLOGO SEC. XVIII.» Onorificenza: 28/06/1898
L’onorificenza per l’effigiato fu votata nell’ultima seduta consiliare dedicata al completamento della Protomoteca, svoltasi nel giugno del 1898. Da questa dipese la commissione di un gruppo di medaglioni (cat. 9, 30, 31, 32, 42) privi di firma ma accomunati da affinità stilistiche tali da ipotizzare la mano di un unico autore, forse identificabile con Attilio Spazzi (vedi cat. 9). Per quanto attiene al possibile prototipo per il medaglione, sappiamo attraverso Luigi Federici (Elogi istorici de’ più illustri ecclesiastici Veronesi, III, Verona 1819;
cfr. P. Simoni, 1995, p. 227) che di Ballerini esisteva un ritratto fatto eseguire a Giambettino Cignaroli (17061770), di cui oggi si sono perse le tracce. L’unica immagine reperita del sacerdote è quella litografica pubblicata da Bartolomeo Gamba (fig. 14) nella sua Galleria dei letterati ed artisti illustri delle Provincie Veneziane nel secolo Decimottavo, (Venezia 1824, II volume), forse una derivazione dal ritratto settecentesco. L’esatta corrispondenza tra la stampa ed il ritratto scultoreo, lascia pensare che all’epoca dell’esecuzione del medaglione la pubblicazione di Gamba fosse già l’unica fonte di riferimento per il volto del sacerdote. Bibliografia: Resoconti 1898.
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GUARINO VERONESE (1374-1460)
Dopo la formazione trascorsa tra Padova e Costantinopoli, praticò l’insegnamento delle lettere classiche a Firenze, Venezia e Verona. Nel 1429 il Marchese d’Este lo volle alla sua corte dove divenne precettore del figlio Leonello, esercitando un influsso determinante sullo sviluppo della cultura umanistica della corte ferrarese. Fu inoltre nominato oratore ufficiale e, dal 1436, insegnante pubblico nello Studio di Ferrara. Elaborò trattati di filologia e grammatica per la sua attività didattica (Regulae grammaticales, 1470), fu appassionato ricercatore di codici, scrisse orazioni, tradusse e curò edizioni dei classici (Pistilli 2003). La voce biografica in Sartori 1881-1887 (vedi sotto) fu intitolata Guarino Guarini (tale era il nome del casato), ma con questo appellativo si identifica ormai, di primo acchito, il noto architetto modenese Camillo Guarino Guarini (16241683), mentre il nostro rimane conosciuto come Guarino Veronese. In Sartori 1881-1887: Francesco Trevisan, fasc. XV, febbraio 1884.
ANGELO PEGRASSI (1845-1931) Marmo, 1875 Ø 80 cm «GUARINO LETTERATO N. 1370 M. 1460» Onorificenza: 14/05/1875
L’opera non è firmata e l’attribuzione ad Angelo Pegrassi discende unicamente dalla testimonianza di Sartori. Il medaglione presenta, in effetti, caratteri stilistici affini a quelli del clipeo di Francesco Morone (cat. 39), che lo stesso Sartori dice eseguito da Salesio Pegrassi, padre di Angelo. I due clipei, peraltro, hanno una cornice identica. Il ritratto è d’invenzione e sembra curiosamente ispirato all’uomo di profilo con capigliatura liscia e uniforme che tiene la brocca nel dipinto La lavanda dei Piedi dello
stesso Francesco Morone (dipinto che nel XIX secolo si attribuiva anche a Paolo Morando, vedi Peretti 2010, pp. 272-273). Ciò appare singolare se si considera che il volto del letterato è stato tramandato da una medaglia attribuita a Matteo De’ Pasti, che Scipione Maffei aveva pubblicato nella Verona Illustrata (1731, II, p. 131). In questa Guarino è presentato di profilo, dimostra un’età matura ed un ha corpo robusto, porta i capelli corti ed è privo di barba. Anche volendo immaginare la scelta dello scultore di rappresentare il letterato volutamente più giovane, non è ravvisabile alcuna corrispondenza tra i lineamenti delineati nel marmo e quelli tramandati dalla medaglia. Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Sartori 1881-1887.
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SCIPIONE MAFFEI (1675-1755)
Nobile erudito, protagonista della cultura illuministica europea, viaggiò a lungo in Italia e all’estero entrando in contatto con i più importanti pensatori del tempo. Studiò i classici , da cui prese origine il suo pensiero illuminato e trasse ispirazione per la sua attività di tragediografo, di cui si ricorda la sua più nota composizione: Merope del 1713. Delle molte opere, nelle quali si occupò dei più svariati argomenti, vanno ricordate Istoria diplomatica (Mantova 1727), pietra miliare degli studi paleografici, Istoria teologica (Trento, 1742), contro la dottrina giansenista della grazia, e Dell’impegno del denaro (Verona, 1744), una provocatoria disquisizione a favore del prestito d’interesse. Appassionato di archeologia ed epigrafia, tra il 1716 ed 1720 iniziò a formare e a studiare la collezione epigrafica oggi confluita nel Museo Maffeiano, che completò nel 1749 con il catalogo descrittivo Museum Veronense. Contestualmente compose la sua opera più famosa ed importante per la storiografia locale: Verona illustrata (1731-1732), frutto delle sue decennali ricerche storiche ed antiquarie (Romagnani 2006; Marchi 2013). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. XIII, agosto 1883.
CARLO SPAZZI (1854-1936)
Tra i diversi ritratti esistenti del celebre illuminista, Spazzi sembra aver privilegiato quelli che presentano Maffei di profilo, come le medaglie a lui dedicate e, in particolare, quella a stampa di Charles Nicolas Cochin jr. (fig. 15, vedi Marinelli 1982, figg. 56 e 58 p. 97; 60 p. 98; Murari 1993, n. 36 p. 59). La maestria messa in campo per questo medaglione si apprezza anche per la fedeltà del ritratto, che non ha perso, nella sua traduzione in marmo, l’intensità espressiva del prototipo.
Marmo, 1878 Ø 80 cm «MAFFEI SCIPIONE STOR. E LETT. N. 1675 M. 1755» Onorificenza: 04/05/1878
Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887.
L’opera è annoverata da Sartori tra quelle eseguite da «Spazzi Grazioso e Figli». Il medaglione si distingue per un buon livello qualitativo, che trova espressione nell’accuratezza dei molti dettagli offerti dalle notazioni di costume e dalla ricca acconciatura. Nello specifico sembra attribuibile a Carlo Spazzi: ha l’apparenza di una prova giovanile di approssimazione al più vivace e “scapigliato” medaglione di Bartolomeo Lorenzi della maturità (cat. 33), di cui condivide anche la modanatura della cornice.
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PAR E T E OP P OS TA A QUE L L A D’ I NGR E S S O
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[12b]
GIROLAMO FRACASTORO (1476 / 1478-1553)
Medico umanista, si laureò a Padova ove seguì i corsi di Pietro Pomponazzi. Risiedette stabilmente a Verona dove nel 1505 fu ammesso al Collegio dei medici. Fondamentale fu la sua amicizia con il vescovo Giberti di cui divenne il medico personale. Nel 1545 fu nominato medico ufficiale del Concilio di Trento e assieme Balduino de’ Balduini consigliò il suo trasferimento a Bologna a causa dell’imperversare di un epidemia di tifo. Fu sepolto nella chiesa di Sant’Eufemia e già nel 1555 il Consiglio della città approvò l’erezione di una statua in suo onore nell’attuale Piazza dei Signori. Scrisse vari testi di argomento astronomico, religioso, filosofico e medico, tra i quali il De contagione et contagiosis morbis et curatione (Venezia 1546), che rimane la sua opera fondamentale. Fu anche poeta e compose dei Carmina e il poema Syphilis, sive de morbo gallico, pubblicato a Verona nel 1530 (Cenni- Coppari 1990, pp. 64-66; Peruzzi 1997). In Sartori 1881-1887: Antonio Agostini, fasc. XI, giugno 1883.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) CARLO SPAZZI (1854-1936) Marmo, 1878 Ø 80 cm «FRACASTORO GIROLAMO POETA MED. ASTR. N. 1483 M. 1553» Onorificenza: 04/05/1878 L’attribuzione del medaglione dipende da Sartori che lo inserisce nel generico elenco di opere realizzate da «Spazzi Grazioso e figli». L’interpretazione del ritratto e la resa plastica di alcuni dettagli suggeriscono il coinvolgimento peculiare di Carlo (si veda la medaglia di Scipione Maffei, cat. 21, dello stesso anno). L’iconografia scelta dallo scultore per la rappresentazione del personaggio è particolarmente interessante perché denota, da una parte, la volontà della committenza di perseguire un piano iconografico rispettoso della veridicità storica - riscontrata in tutte le opere di cui è stato possibile rintracciare il modello - dall’altra di attingere alle fonti iconografiche offerte dalla cultura e
dal contesto locale. Non dunque il Fracastoro in sfarzosi abiti rinascimentali, con pelliccia e copricapo, tramandato dalla ricchissima tradizione calcografica, ma il Fracastoro anziano ed austero, così come fu immortalato anche nella statua che la città di Verona eresse in suo onore nel 1559 in Piazza dei Signori (fig. 16). Una interpretazione simile compare anche nell’antiporta del volume Hieronymi Fracastorii veronensis opera omnia… seconda editio (Venezia, 1574). Nel ritratto realizzato per la Protomoteca si trovano elementi derivanti da entrambe i modelli: mentre i lineamenti sono quasi una fedele replica del volto di Piazza dei Signori, l’ampia stempiatura e la linea ondulata dei capelli sembrano citare direttamente l’esemplare a stampa. Cambia invece nell’interpretazione di Spazzi l’abbigliamento: non più la tunica romana, presente nei prototipi cinquecenteschi, ma una semplice giacca abbottonata dalla quale fuoriesce il collo di una camicia, molto simile a quello del ritratto di Fracastoro inserito nella Bibliotheca calcographica di Jean Jacques Boissard (Francoforte 1652-1669). Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887.
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[17b]
ENRICO NORIS (1631-1704)
Teologo, cardinale agostiniano fu tra i maggiori eruditi del XVII secolo. Cosimo III lo volle teologo del Granducato di Toscana, lo nominò precettore del figlio Gian Gastone e professore di Storia ecclesiastica all’Università di Pisa. Nel 1692 divenne primo custode della Biblioteca vaticana e, nel 1695, fu ordinato vescovo. L’opera che lo rese celebre fu Historia Pelagiana (Padova, 1673) con la quale approfondì lo studio del pensiero di S. Agostino sulla grazia, destando non poche polemiche. In Francia non venne permessa la pubblicazione dell’opera ed in Spagna fu condannata dall’Inquisizione. I suoi numerosi scritti furono raccolti nei volumi dell’Opera omnia da Girolamo e Pietro Ballerini, tra il 1729 ed il 1732 (Bolla 1931). In Sartori 1881-1887: Luigi Gaiter, fasc. I, ottobre 1881.
PIETRO BORDINI (1856-1922) Marmo, 1878 Ø 80 cm «NORIS ENRICO CARDINALE STORICO N. 1631 M. 1704» «Bordini 1878» Onorificenza: 04/05/1878 Assieme ad altri artisti coinvolti nell’impresa della Protomoteca, Bordini presenta l’opera destinata alla Loggia del Consiglio all’esposizione veronese del 1878. Nel catalogo della mostra, come per tutte le opere aventi la stessa destinazione, si precisa che il lavoro fu eseguito «per commissione del Municipio di Verona». Il volto del celebre cardinale è stato tramandato da un folto numero di immagini sia dipinte (un ritratto attribuito ad Amadio Foz del 1696, Firenze, Uffizi; cfr. Meloni Trkulja 1980, Ic 1030, p. 757) che calcografiche (si segnalano quella incisa da Benoît Farjat – B.C.Vr, Stampe, 10 b 301 - e quella nell’antiporta dell’edizione
dell’Historia Pelagiana edita a Bassano nel 1766). Ci sono anche la medaglia di Giuseppe Ortolani (inizio XVIII sec., Verona, Museo di Castelvecchio, inv. NU 73344; cfr. Modonesi 2010, p. 79, vedi fig. 17) e il busto di Francesco Maratti alla Biblioteca Angelica di Roma (1704 circa). A Verona, Domenico Aglio scolpì il monumento con effige marmorea nella cattedrale (1696) e la statua del prelato, prima a Sant’Eufemia e ora sull’arco appoggiato al Palazzo della Ragione, che accede a Piazza dei Signori. Bordini non utilizza un modello preciso, non guarda nemmeno alle statue veronesi. Si ispira solo vagamente alla medaglia di Ortolani, nella quale il cardinale è raffigurato di profilo ma, diversamente dal medaglione, si rivolge a destra e indossa abito e copricapo cardinalizi. Bordini mise lo zucchetto in testa al suo Noris, probabilmente per meglio risaltare il volto nello spazio del clipeo. Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Catalogo della Esposizione 1878, n. 134 p. 17; Sartori 1881-1887.
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MASTINO I DELLA SCALA (1230 / 1240-1277)
Nel 1262, Leonardino della Scala, detto Mastino, divenne Capitano del popolo a Verona decretando di fatto la supremazia della famiglia scaligera. Fu assassinato nel 1277 a seguito di una congiura ordita dalla vecchia aristocrazia urbana (Varanini 1989). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. XIX, settembre 1884.
LUIGI MARAI Marmo, 1877 Ø 80 cm «MASTINO I DELLA SCALA N... M. 1277» «L. Marai F.e» Onorificenza: 12/08/1876 La cronaca locale riferisce che il medaglione fu collocato sotto la loggia del Palazzo del Consiglio il 24 luglio 1877, assieme a quello raffigurante Bartolomeo I Della Scala, anch’esso opera di Marai (cat. 25). Non potendo contare su un ritratto originale del signore scaligero, lo scultore inventò un’immagine che potesse ugualmente evocare, anche solo attraverso i dettagli del costume, l’epoca nella quale visse il personaggio storico. Per la rappresentazione delle sue sembianze la scelta cadde, volutamente o inconsciamente,
ma ugualmente senza alcuna attinenza cronologica, sul repertorio iconografico offerto dalle opere di Altichiero, considerate la più alta espressione artistica del medioevo locale. Il volto del condottiero scaligero sembra infatti ispirato dalle tante figure virili con il caratteristico copricapo a cappuccio che affollano le opere del pittore trecentesco, in particolare quelle padovane della cappella di San Giacomo. Sorprendente è pure la somiglianza col profilo maschile sotto l’affresco altichieresco della tomba di Aventino Fracastoro (vedi Ericani 2010, n. 39.2, pp. 76-77), rinvenuto però solo nella metà del Novecento (fig. 18). Bibliografia: Resoconti 1876, pp. 126-127; Protomoteca 1877; Sartori 1881-1887; Arduini 2007, p. 104.
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[48b]
BARTOLOMEO I DELLA SCALA (1270 ca.)
Primogenito di Alberto I e di Verde da Salizzole e fratello maggiore di Alboino e Cangrande, fu signore di Verona tra il 1301 e il 1304. È lui il «gran lombardo» di cui parla Dante Alighieri nel XVII canto del Paradiso (Soldi Rondinini. 1989). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. XIX, settembre 1884.
LUIGI MARAI
re con la somiglianza il legame dinastico.
Marmo, 1877 Ø 80 cm
Bibliografia: Resoconti 1876, pp. 126-127; Protomoteca 1877; Sartori 1881-1887.
«BARTOLOMEO I DELLA SCALA N… M. 1304» «L. Marai. F.e» Onorificenza: 12/08/1876 La cronaca locale riferisce che il medaglione fu posto sotto la loggia del Palazzo del Consiglio 24 luglio 1877, assieme a quello raffigurante Mastino I Della Scala, anch’esso opera di Marai (cat. 24). Come per l’altro ritratto scaligero, non essendo disponibile un modello, Marai si limitò a proporre una figura ispirata ai prototipi maschili offerti dalle pitture altichieresche. In questo caso lo scultore sembra aver voluto riproporre volutamente un profilo simile a quello del predecessore (e zio) Mastino I, come a voler sottolinea
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[25b]
ANTONIO CESARI (1760-1828)
Figlio di un mercante di seta di origine lucchese, compì i primi studi nel seminario vescovile di Verona e nel 1777 fu accolto nella Congregazione dei Padri dell’oratorio di S. Filippo Neri. Scrisse opere letterarie, sia novelle che rime, tradusse testi di età classica e cristiana, notevoli furono anche le opere a carattere religioso. La fama di C. rimane però legata ai suoi interessi linguistici e letterari rivolti allo studio dell’italiano antico, in particolare quello trecentesco, che lo videro tra i maggiori sostenitori del “purismo” linguistico. Capolavori della sua battaglia contro la contaminazione della lingua italiana, che determinarono un aperto contrasto con Vincenzo Monti, furono il Vocabolario dell’Accademia della Crusca (Verona, 1806-1811) e la Dissertazione sopra lo stato presente della lingua italiana, pubblicata a Verona nel 1810 (Timpanaro 1980). In Sartori 1881-1887: Luigi Gaiter, fasc. V, gennaio 1882.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) ATTILIO SPAZZI (1856-1915) Marmo, 1874 Ø 80 cm «ANTONIO CESARI LETTERATO / N. 1760 M. 1828» Onorificenza: 20/12/1873 L’attribuzione deriva da Sartori che segnala l’opera tra quelle di «Spazzi Grazioso e figli». Come per altri casi (cat. 21, 22, 27), la qualità del medaglione, e, in particolare, la puntuale e delicata resa dei lineamenti, suggerisce di assegnare la realizzazione dell’opera di Grazioso, aiutato forse dal giovanissimo Attilio. Il primo busto marmoreo di Cesari fu eseguito da Giuseppe De Fabris nel 1822, quando il prelato era vivo (per essere poi riproposto nel 1831 come erma alla Protomoteca Capitolina). Una copia in gesso venne consegnata agli eredi del letterato a Beccacivetta, oggi custodita nell’Istituto Scolastico “Antonio Cesari” di Castel d’Azzano. Altri ritratti scultorei del letterato furono compiuti a partire dalle sembianze tramandate dalla sua maschera funeraria. Il primo di questi fu il busto scolpito da Gaetano Mon
ti (1776-1847) nel 1832 (Ravenna, Biblioteca Classense), mentre un medaglione fu intagliato da Enrico Pazzi nel 1853 per la lapide monumentale sulla tomba del letterato a Ravenna, oggi nella Cattedrale della stessa città (Frinzi -Frinzi 1977, p. 31). Lo stesso Grazioso Spazzi aveva realizzato con gusto ancora neoclassico, nel 1848, l’effige del letterato per il cenotafio nella Cattedrale di Verona, mentre un busto in gesso firmato «A. Spazzi» (probabilmente di Attilio, figlio di Grazioso) si trova nella Casa veronese dei Padri Filippini (fig. 19, vedi Gattoli 2014). La genesi di questa immagine prodotta dagli Spazzi suscita più di un interrogativo, ma sembra collegata al profilo del medaglione da apporre nella Loggia del Consiglio. Non è certo quale dei due venga prima (forse il clipeo), ma gli Spazzi (e Grazioso in primis) non vollero riprendere il modello eseguito per la cattedrale, preferendo temperare nelle due effigi il ritratto nervoso e espressionista di De Fabris, per consegnare un’immagine più paludata e più conforme, ad esempio, a quella di un piccolo e delizioso tondo dipinto da Agostino Ugolini nei primi anni Venti del XIX secolo (Samadelli 2014, pp.137-138), ripreso poi, con poche modifiche, dai numerosi ritratti a stampa. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 754-756; Sartori 1881-1887; Frinzi Frinzi 1977, p. 32; Gattoli 2014, pp. 158-159.
[20b]
GIOVANNI BATTISTA SPOLVERINI (1695-1763)
Di nobile estrazione, svolse incarichi pubblici, fu provveditore, vicario della Casa dei mercanti e capitano del lago di Garda. La sua notorietà è legata al poemetto didascalico La Coltivazione del riso (o Riseide), in quattro canti, edito per la prima volta a Venezia nel 1758. L’opera costò vent’anni di lavoro e ricerca che l’autore svolse anche a stretto contatto con i coltivatori da cui apprese le tecniche ed il lessico (Spolverini 2007). In Sartori 1881-1887: Luigi Gelmetti, fasc. VII, novembre 1882.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1875 Ø 80 cm «GIO. BATTA. SPOLVERINI POETA N. 1695 M. 1763» Collocazione: Anche per quest’opera l’attribuzione deriva da Sartori che la inserisce tra quelle eseguite da «Spazzi Grazioso e figli». Il medaglione fu donato dal Conte Giovan Battista Buri, pronipote dell’effigiato, e collocato nella seconda campata di destra della Loggia presumibilmente nel 1875. Lo stesso Buri, nel 1857, era stato committente di un busto del proprio celebre antenato eseguito dal veronese Giuseppe Poli nel 1861 per il Pantheon veneto di Palazzo Ducale (Magani 1997, n. 22, p. 200). Mentre per quest’ultima opera l’autore, o il committente, preferì orientarsi verso la realizzazione di un ritratto ideale, per il medaglione della Protomoteca prevalse la scelta del ritratto storico che Spazzi probabilmente derivò dal disegno di Agostino Ugolini (inciso poi da De Bernar
dis) premesso all’edizione Giuliari della Coltivazione del riso, edita a Verona nel 1797 (fig. 20). Da questa immagine è tratto fedelmente l’abbigliamento, con i particolari del tessuto broccato della giacca e la forma della cravatta, e la tipica acconciatura dell’epoca, trattenuta da un ricco doppio nastro sulla nuca. Del volto tramandato dall’Ugolini, inoltre, si ritrovano tutte le caratteristiche salienti, il naso importante, l’ampia fronte e le labbra carnose, che lo scultore tradusse abilmente nel marmo, virandole però verso un’età più avanzata. Come già indicato per altri casi (cat. 21, 22, 26), la qualità del ritratto suggerisce di restringere la generica attribuzione di Sartori al solo Grazioso Spazzi. Bibliografia: Resoconti morali 1878, p. 179; Sartori 1881-1887; Magani 1997, n. 22 p. 200.
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[19c]
BENEDETTO DEL BENE (1749-1825)
Letterato ed agronomo. Dopo gli studi giuridici divenne notaio senza mai praticare la professione. Fu coinvolto nella vita delle maggiori istituzioni cittadine ma fu grazie alla sua passione per la lingua e la letteratura latina e la ricerca agronomica che egli sarà ricordato ed apprezzato. Dallo studio della filologia latina discesero componimenti encomiastici e traduzioni tra le quali quelli del De Agricoltura di Columella, stampato a Verona nel 1808, e delle Georgiche di Virgilio edito postumo nel 1850. Molti anche gli scritti dedicati alle scienze agronomiche che gli valsero la stima e l’apprezzamento dei contemporanei. Di particolare interesse storico anche il diario privato (Giornale 1883), che l’autore compilò per quasi un trentennio tra 1770 ed il 1796 (Adorno 1988).
TULLIO MONTINI (1878-1964) Marmo, 1898 Ø 80 cm «BENEDETTO DEL BENE LETTERATO 1749 1825» «Montini» Onorificenza: 28/06/1898
Il ritratto proposto da Montini deriva dal dipinto di Saverio Dalla Rosa (Verona, Galleria d’Arte Moderna), tradotto e diffuso attraverso numerose versioni calcografiche (fig. 21). Lo scultore riporta fedelmente l’abbigliamento costituito da una giacca con risvolto a coda di rondine ed una ricca cravatta in tessuto plissettato che sfrutta, e volutamente esalta, per animare il contrasto tra le diverse superfici. Differenti rispetto al prototi
po appaiono, invece, i lineamenti del letterato tanto da far ipotizzare, come accaduto per altri casi, l’esistenza di un secondo modello. Questa discrepanza si riscontra apparentemente anche per l’erma che, nel 1848, l’Accademia di Agricoltura Scienze, Lettere ed Arti di Verona aveva commissionato a Grazioso Spazzi per l’atrio d’ingresso, dove è ancora collocata (l’Accademia conserva anche il modello in gesso, vedi Busti 2011, p. 7). Montini tenne a distanza anche Spazzi, che pure nei dettagli del volto traeva dal ritratto settecentesco degli elementi identificativi, quali il labbro inferiore pronunciato, la posizione delle rughe, la piega dei capelli sopra l’orecchio. Mantenendo un rapporto molto mediato coi precedenti, intrisi di spirito neoclassico, Montini riuscì a creare un’immagine formalmente più moderna e vivace, puntualizzata dalla ciglia folta sull’occhio intelligente e curioso. Bibliografia: Resoconti 1898.
[18c]
GIOVANNI PINDEMONTE (1751-1812)
Letterato e autore drammatico, fratello maggiore del più celebre Ippolito assieme al quale si formò a Modena. Per i suoi incarichi pubblici visse quasi sempre lontano da Verona: fu membro del Maggior Consiglio, podestà di Vicenza (1789) e svolse diversi incarichi per la Repubblica Cisalpina. Tradusse Rimedi d’amore di Ovidio (1791) e scrisse dodici tragedie che ebbero molta fortuna tra i contemporanei e furono raccolte in Componimenti teatrali, editi a Milano nel 1804-05 e preceduti da Discorso sul teatro italiano. Per i suoi componimenti si ispirò alle opere di Alfieri, Racine ed al teatro inglese e spagnolo. Tra i titoli della raccolta Mastino I della Scala, I Coloni di Candia (1785), Ginevra di Scozia (1795), Donna Caritea regina di Scozia (1795), Agrippina e Cianippo (1804) e la più famosa I Baccanali, del 1788. Convinto sostenitore della causa rivoluzionaria fu autore anche di liriche patriottiche: La Repubblica Cisalpina e il poemetto in terza rima Le ombre napoletane composto per i martiri del 1799 (Pindemonte Giovanni 1967).
PIETRO BORDINI ? (1854-1922) Marmo, 1898 Ø 80 cm «GIOVANNI PINDEMONTE LETTERATO SEC. XVIII» Onorificenza: 28/06/1898 Tra le famiglie invitate dal sindaco Camuzzoni a donare il ritratto del proprio antenato per la formazione della Protomoteca vi era anche quella dei Pindemonte Rezzonico, rappresentata dagli illustri Ippolito (cat. 52) e Giovanni Pindemonte. I discendenti dei letterati non dovettero però manifestare alcun segnale d’interessamento al progetto municipale, tant’è che entrambe le onorificenze furono poi tardivamente votate dal Consiglio Comunale il 5 gennaio 1880, a conclusione della prima fase costituiva della Protomoteca, ed il 28 giugno 1898, in occasione dell’ultima seduta consiliare dedicata al completamento del programma. Il silenzio della famiglia, confermato anche dall’assenza nell’archivio comunale
di un documento di risposta alla missiva del Sindaco, impose alla municipalità, come già accaduto per molti altri personaggi appartenenti alla lista C, di farsi carico dell’onere di entrambe i ritratti. Il medaglione non è firmato e ha un modellato un po’ frettoloso che non aiuta l’attribuzione, come spesso accade per le onorificenze votate nel 1898, poi concluse da ritratti mediocri e senza autografia. A guardare la forma della cornice del tondo e la sagoma del rilievo, più sottile lungo il profilo e un po’ più alto sui capelli (come se fosse obliquo), viene il sospetto che si tratti di un opera poco riuscita di Pietro Bordini (vedi specialmente il confronto con il medaglione di Gian Battista Biancolini, cat. 18), forse per l’intervento di qualche suo aiutante. L’effigie deriva dalla calcografia pubblicata nei Componimenti teatrali di Giovanni Pindemonte veronese (Milano, 1804-1805), firmata da Saverio Dalla Rosa e incisa da Giovanni Boggi (fig. 22). La versione marmorea sposta sul profilo il modello originale di trequarti, ma riproducendo fedelmente la capigliatura e ogni dettaglio dell’abbigliamento. Bibliografia: A.S.Vr, Archivio Pindemonte Rezzonico, b. 436: lettera del sindaco Camuzzoni del 28 dicembre 1870; Resoconti 1898.
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[23c]
ALESSANDRO CARLI (1740-1814)
Nobile erudito, autore di tragedie e storico. Frequentò ed intrattenne rapporti epistolari con Voltaire dai quali discese la sua fervida passione per il teatro. Dalla conoscenza delle opera teatrali del filosofo francese nacquero le tragedie Telone ed Ermelinda (1769), primo componimento italiano dedicato al tema nazionale e medievale, I Longobardi (1796) e Ariarato (1773). Esaurito l’interesse per l’arte drammatica, Carli tornò ad interessarsi di storia ricevendo l’incarico pubblico di compilare una cronaca della città che verrà pubblicata a Verona nel 1796 in diversi volumi col titolo di Istoria della città di Verona sino all’anno MDXVIII divisa in undici epoche (Preto 1988).
ATTILIO SPAZZI ? (1859-1912)
della Istoria della città di Verona, pubblicato a Verona nel 1796 (fig. 23; anche in B.C.Vr, Stampe, 10 b 32). Da questo prototipo lo scultore ha estrapolato i caratteri salienti del volto, l’acconciatura, con l’ampia stempiatura, e l’abbigliamento. La versione in gesso del medaglione si trova esposta nell’atrio del palazzo al numero 8 di vicolo Chiodo a Verona, assieme a quello di Francesco Calzolari.
Marmo, 1898 Ø 80 cm «ALESSANDRO CARLI N. 1740 M. 1814» Onorificenza: 28/06/1898
Bibliografia: Resoconti 1898.
L’opera presenta affinità stilistiche con una serie di medaglioni risalenti alla medesima serie di onorificenze del 1898 (cat. 9, 19, 31, 32, 42), per la quale è ipotizzabile l’opera di un unico autore, forse identificabile con Attilio Spazzi (vedi cat. 9). Il volto di Alessandro Carli, di cui esiste in collezione privata un ritratto dipinto da Francesco Lorenzi, datato intorno al 1782 (Delorenzi 2011, pp. 197-198), è ricavato piuttosto da quello disegnato da Agostino Ugolini ed inciso da Cristoforo Dall’Acqua per l’antiporta
[22c]
GIUSEPPE VENTURI (1766-1841)
Ecclesiastico, erudito e collezionista d’antichità, tra i principali esponenti della cultura veronese tra Sette-Ottocento. Nel 1783 divenne chierico della cattedrale e già nel 1805 acquisì il titolo onorifico di abate. In gioventù fu massone e sostenitore della politica filo francese, scelta che lo costrinse, a seguito del trattato di Campoformio, ad un lungo esilio all’estero. Tornato in patria, assieme a don Pietro Leonardi, istituì una scuola per sordomuti basata sul metodo dell’abate Sicard che darà origine all’odierno Istituto veronese intitolato al santo prete Antonio Provolo. Nel 1807 divenne preside del liceo cittadino e l’anno successivo membro della Commissione d’ornato, che lo vide tra i più attivi difensori del patrimonio archeologico cittadino. Particolare menzione merita anche il suo coinvolgimento, nel 1808, in qualità di storico e paleografo, nella scelta delle pergamene e dei manoscritti veronesi destinati, a seguito dei decreti di soppressione, a confluire nell’erigendo Archivio diplomatico milanese. Grazie alla sua opposizione i materiali non arrivarono mai a destinazione. A lui si deve inoltre la sistemazione, nel 1826, delle lapidi del Museo Maffeiano di cui scrisse un’importante Guida (Verona 1827-1828). Nel 1835, infine, fu eletto membro della Commissione preposta alla Biblioteca Civica, carica che mantenne fino alla morte. Dallo sconfinato ambito dei suoi interessi discesero diverse pubblicazioni tra le quali Cronologia storica di quelli che hanno posseduto Verona (1807), Saggio di un dizionario veronese-italiano (Verona, 1810), e il più importante Compendio della storia sacra e profana di Verona, edita nel 1820 (Marchini 1972, pp. 61-72; Simoni 1990).
ATTILIO SPAZZI ? (1859-1912)
La goffa figura immortalata nel medaglione ricalca pressoché fedelmente l’immagine dell’abate tramandata da una litografia realizzata da Pietro Nanin (18081889) per monsignor Giuseppe Maria Belloni, «Canonico Arciprete della Chiesa veronese e Vicario generale Capitolare» (fig. 24; B.C.Vr, Stampe, 11 c 766).
Marmo, 1898 Ø 80 cm «GIUSEPPE VENTURI STORICO SEC. XIX»
Bibliografia: Resoconti 1898.
Onorificenza: 28/06/1898
Il medaglione presenta affinità stilistiche con una serie di ritratti (cat. 19, 30, 31, 32, 42) risalente alle ultime onorificenze del 1898 ed attribuibile alla mano di un unico scultore, forse Attilio Spazzi (vedi cat. 9).
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[6c]
FRANCESCO CALZOLARI (1522-1609)
Francesco Calceolari o Calzolari fu speziale all’insegna della Campana d’oro in piazza delle Erbe a Verona, si interessò di botanica, raccolse e catalogò oggetti naturali che collezionò per il proprio museo, costituendo una delle raccolte naturalistiche più importanti della seconda metà del XVI secolo. Dalle sue esplorazioni scientifiche nelle Prealpi Venete nacque Il viaggio di Monte Baldo, edita a Venezia nel 1566 (Cenni-Coppari 1990, pp. 62-64; Sandrini 2007, pp. 65-121).
ATTILIO SPAZZI ? (1859-1912) Marmo, 1892 Ø 80 cm «FRANC. CALCEOLARI NATURALISTA SEC. XIV» Onorificenza: 27/06/1892
L’opera presenta affinità stilistiche con un gruppo di medaglioni, anch’essi anonimi, risalenti alle ultime onorificenze del 1898 (cat. 9, 19, 30, 31, 32, 42) e si può attribuire al medesimo autore, forse Attilio Spazzi (vedi cat. 9). Di Francesco Calzolari sono noti almeno tre ritratti: quello a stampa nel volume De reconditis, et praecipuis collectaneis ab honestissimo, et solertiss.mo Fran
cisco Calceolario Veronensi di Giovanni Battista Oliva (Verona, 1593, fig. 25); quello su pietra di paragone di Marcantonio Bassetti inserito nel monumento dedicato al Calzolari nella chiesa veronese di San Fermo, del 1609 (Brenzoni 2004, p. 241, fig. 170); quello dello stesso Marcantonio Bassetti, ad olio su tela, del 1613 circa, in collezione privata (Marinelli 1988, n. 70, pp. 374-377). Dal modello più antico a stampa sembra derivare il profilo del medaglione, in cui Cartolari è raffigurato in età decisamente più giovanile rispetto ai dipinti, dai quali però sono tratti i dettagli dell’abbigliamento. La versione in gesso del medaglione si trova esposta nell’atrio del palazzo al numero 8 di vicolo Chiodo a Verona assieme a quello di Alessandro Carli. Bibliografia: Resoconti 1892, pp. 492-493.
[21c]
BARTOLOMEO LORENZI (1732-1822)
Nacque nel veronese da una famiglia benestante, suoi fratelli furono Francesco e Giandomenico, noti rispettivamente come pittore e incisore. Studiò teologia e filosofia nel seminario cittadino dove fu ordinato sacerdote e nel 1753 divenne professore di retorica. In breve tempo la sua fama di stimato predicatore ed eccellente oratore latino gli consentì, nel 1765, di istituire a Verona una scuola privata di lettere a cui accedevano i rampolli delle migliori famiglie cittadine e non solo. Agli stessi anni risale la sua vocazione per la poesia espressa nell’esercizio estemporaneo in versi che diede origine ad una serie di componimenti confluiti in gran parte nella silloge Versi dell’abate Bartolomeo Lorenzi poeta estemporaneo (Verona 1804). Come precettore soggiornò tra Padova e Venezia ove poté accostarsi allo studio delle scienze naturali da cui discesero numerosi scritti d’argomento agricolo tra i quali, del 1778, il poemetto in ottave Della coltivazione de’ monti, opera lodata dai contemporanei e più volte ristampata. Nel 1789 divenne padre spirituale del Collegio Militare della Serenissima nel Castelvecchio di Verona e, nel 1808, entrò nel Collegio dei dotti del Regno Italico. In quest’ultima fase della vita, pur non abbandonando la pratica della poesia, si dedicò interamente allo studio delle scienze e dell’agronomia che lo portarono alla pubblicazione di una notevole quantità di scritti tra i quali De’ pregi dell’agricoltura, Del tempo migliore di letamare, pubblicato nel 1812, e Del Pastino di Columella nel 1818 (Allegri 2006).
CARLO SPAZZI (1854-1936)
di Paolo Farinati (cat. 70), l’approdo ad un linguaggio maturo, personale ed ormai pienamente verista. Il profilo del medaglione deriva dal ritratto dipinto da Saverio Dalla Rosa (Verona, Museo di Castelvecchio), che divenne da subito il prototipo di riferimento per tutte le successive versioni calcografiche del soggetto (fig. 26), mentre solo generica è la memoria del busto di Gaetano Muttoni, scolpito nel 1828 per l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona (Busti 2011, p. 11).
Marmo, 1891 Ø 80 cm «BARTOLOMEO LORENZI N. 1732 M. 1822» «Spazzi» Onorificenza: 08/05/1891
Bibliografia: Resoconti 1891, pp. 284-287.
Attribuibile a Carlo Spazzi, figlio di Grazioso, il medaglione fu realizzato con il contributo di 25 lire da parte del Comune di Fumane. Erano trascorsi quasi vent’anni dal busto di Paolo Morando (cat. 71) degli esordi, così ancora fortemente dominati dall’insegnamento paterno, da rendere quasi stridente l’accostamento con questo ritratto che testimonia, assieme al coevo busto
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ANTONIO CAGNOLI (1753-1816)
Astronomo e matematico, nacque a Zante da nobili veronesi. Intraprese presto la carriera nell’amministrazione della Serenissima che lo condusse a Parigi dove dal 1780 iniziò ad interessarsi delle scienze. Abbandonata la carriera diplomatica, si trasferì a Verona dove allestì un osservatorio costruito a proprie spese. Nel 1796 fu eletto presidente della Società italiana per il progresso delle scienze e, due anni più tardi, gli fu assegnata la cattedra di analisi matematica alla neonata Scuola militare cisalpina di Modena dove insegnò fino al 1807, quando si ritirò definitivamente a Verona. Tra le sue opere maggiori vanno ricordate: Trigonometria piana e sferica, pubblicato in italiano a Parigi nel 1786, Trattato delle sezioni coniche (Modena 1801) e numerosi scritti di soggetto astronomico tra cui, del 1792, Nuovo e sicuro mezzo per riconoscere la figura della Terra (Baldini 1973). In Sartori 1881-1887: Ignazio Zenti, fasc. III, gennaio 1882.
ROMEO CRISTANI (1855-1920) Marmo, 1878 Ø 80 cm «CAGNOLI ANTONIO ASTR. N. 1743 M. 1816» Onorificenza: 04/05/1878
Un ritratto di Cagnoli (Palermo, Osservatorio astronomico “G.S. Vaiana”) è attribuito al siciliano Giuseppe Velasco (1750-1827). Da quest’opera discesero diverse versioni a stampa tra cui quella del 1805 disegnata da Giuseppe Vecchi e incisa da Giuseppe Asioli (fig. 27; Biblioteca Civica Verona, Stampe 10 a 122; Museo di Castelvecchio, Gabinetto Disegni e Stampe). In queste immagini Cagnoli è raffigurato di profilo entro un tondo marmoreo appoggiato su un piedistallo con
un’iscrizione. Tra questa tradizione iconografica ed il ritratto in Protomoteca, attribuito da Sartori a Romeo Cristani, non c’è però un’esatta corrispondenza. Sia il dipinto che la stampa, infatti, immortalano l’astronomo in età matura, ma non ancora anziana, e con un abbigliamento diverso e più semplice. Si può ipotizzare l’esistenza di un prototipo più tardo rispetto a quello siciliano oppure, semplicemente, che lo scultore scelse di reinterpretare il soggetto conferendogli un’età più avanzata (appesantendo le forme del volto, con un po’ di sottomento) e vestendo Cagnoli di abiti più chiaramente rappresentativi dell’epoca in cui visse. Nessun contatto, invece, è percepibile con il busto dell’astronomo scolpito da Gaetano Muttoni nel 1828 per il monumento epigrafico nel cortile dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona (Busti 2011, p. 3). Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887.
[30b]
GIUSEPPE TORELLI (1721-1781)
Frequentò i collegio dei Somaschi a San Zeno di Montagna, fu allievo dei Ballerini e concluse gli studi presso lo Studio di Padova. Si interessò di critica letteraria, di poesia, di idraulica e di geometria. Tra i suoi scritti più noti, tutti editi postumi, De nihilo geometrico, un’edizione critica di Archiemede, e le postille alla Divina Commedia. Intensa fu soprattutto la sua opera di traduttore di classici tra cui Virgilio, Catullo, Plauto e Teocrito, che fu raccolta e pubblicata nel 1781 dal suo discepolo Ippolito Pindemonte all’indomani della sua morte. Ma la traduzione che lo rese maggiormente famoso in vita fu quella dell’elegia di Thomas Gray sopra un cimitero di campagna, pubblicata a Verona nel 1776 e ristampata successivamente varie volte anche a Londra. Donò la sua ricchissima biblioteca al Capitolo canonicale e fu sepolto nella chiesa di Santa Anastasia, dove gli eredi gli innalzarono un monumento (Materassi 1985). In Sartori 1881-1887: Giuseppe Biadego, fasc. II, gennaio 1882.
GAETANO FRANCESCHETTI (1862-1883) Marmo, 1878 Ø 80 cm «TORELLI GIUSEPPE MATEM. E LETTER. N. 1721 M. 1781» «G. Franceschetti 1878» Onorificenza: 04/05/1878 Assieme ad altri artisti coinvolti nell’impresa della Protomoteca, il giovanissimo Franceschetti presentò il medaglione all’esposizione veronese del 1878, ma, per quanto si può ricostruire, guidato dal padre, pure di nome Gaetano, lapicida più ordinario della Valpolicella, orgoglioso del talento del sedicenne Gaetano junior, poi morto precocemente a 21 anni (vedi il paragrafo sugli scultori nel capitolo introduttivo). Si spie
gherebbe così la didascalia nel catalogo espositivo del 1878 («Franceschetti Gaetano e figlio»), accompagnata dalla precisazione che il lavoro fu eseguito «per commissione del Municipio di Verona, da collocarsi nella Protomoteca», a cui seguì, però, la firma univoca «G. Franceschetti» sul tondo, da riferire al solo Gaetano jr. Il volto immortalato dallo scultore, con stile dignitoso, non lontano da quello di Giuseppe Poli, è ispirato ai ritratti noti del personaggio tra cui, in particolare, quello in ovale disegnato da Saverio Dalla Rosa e inciso da Innocenzo Alessandri (1741-1803), usato nel volume Iosephi Torelli elementorum prospectivae libri II (Verona 1788, fig. 28). Il ritratto dell’incisione è molto simile a quello del busto sul monumento che l’erede di Torelli, Alberto Albertini, volle erigere in sua memoria nella chiesa veronese di Santa Anastasia, opera di Francesco Zoppi (1781 o poco dopo). Bibliografia Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887; Catalogo della Esposizione 1878, n. 142, p. 18.
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MATTEO DE’ PASTI (1412 ca. - 1468)
Medaglista, miniatore e architetto, si formò forse nella bottega di Pisanello dal quale apprese l’arte della medaglia per cui l’artista rimase noto. Le notizie sulla sua vita e sulle sue opere sono estremamente scarne. Lavorò per Pietro di Cosimo de Medici, probabilmente per la decorazione di un codice, fu poi alla corte ferrarese di Leonello d’Este, per il quale realizzò delle miniature che rimangono ad oggi l’unica testimonianza certa della sua attività di miniatore. Nel 1449 lasciò definitivamente Verona per trasferirsi a Rimini alla corte di Sigismondo Malatesta dove lavorò con Leon Battista Alberti ed Agostino di Duccio per il restauro del Tempio Malatestiano ed eseguì gran parte della sua produzione medaglistica. Tra i personaggi effigiati nelle sue medaglie vi furono, oltre a Sigismondo Malatesta e la sua sposa Isotta degli Atti, Leon Battista Alberti e l’umanista veronese Guarino (Medica 2004) In Sartori 1881-1887: Luigi Polfranceschi, fasc. XVI, marzo 1884.
GIUSEPPE POLI (1830 - post 1894) CESARE POLI (1852 - ante 1906) Marmo, 1878 Ø 80 cm «PASTI MATTEO SCULT. E PITT. N. E M. NEL SEC. XV» «G. Poli» Onorificenza: 04/05/1878
Come altri artisti coinvolti nell’impresa della Protomoteca, Giuseppe Poli presenta la propria opera all’esposizione veronese del 1878. Nel catalogo della mostra il medaglione, eseguito «per commissione del Municipio di Verona», è attribuito anche a Cesare Poli, figlio dello scultore, anche lui successivamente coinvolto nell’impresa comunale (cat. 57). Per ovviare alla mancanza di un ritratto del celebre
medaglista, lo scultore mette in pratica un escamotage assolutamente originale, adottando come modello di riferimento l’effige di Benedetto De’ Pasti immortalata dallo stesso Matteo, suo fratello, per la medaglia a lui dedicata (1445-1446; Castiglioni 2006, n. 154 p. 421). Dalla fisionomia grassoccia e severa tramandata nel bronzo, lo scultore estrapola i tratti salienti del volto, quali la mascella pronunciata e la fronte segnata da una prominente arcata sopraccigliare, e li declina, ingentilendoli, in un viso più giovanile, ma del tutto somigliante al prototipo di partenza. Il richiamo all’immagine della medaglia è invece esplicito per il copricapo che per Benedetto, canonico del capitolo della Cattedrale nonché vicario generale del vescovo di Verona, era segno di dignità prelatizia. Molto simile, ma non identico, è invece l’abito, qui arricchito da una fila di bottoni. Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Catalogo della Esposizione 1878, n. 141 p. 18; Sartori 1881-1887; Magani 1997, n. 22 p. 200.
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GIOVANNI MARIA FALCONETTO (1448 ca. - 1535)
Pittore e architetto, fu il più famoso rappresentante di una dinastia di artisti. Fondamentale per la sua fortunata carriera fu, come tramandato da Vasari, il suo soggiorno romano da cui derivò la conoscenza dell’antico e l’influsso della pittura centro italiana e romana del tardo Quattrocento. A Verona si collocano le opere pittoriche della sua prima fase di attività: gli affreschi della cappella di San Biagio nella chiesa di Santi Nazaro e Celso (1497-1499), gli affreschi della cappella Maffei al Duomo (1500), i dipinti attorno all’altare Calcasoli (1503). Sempre come frescante decorò la facciata della casa Trevisani-Lonardi in vicolo San Marco in Foro e la parete orientale della chiesetta di Pietro martire. Capolavoro della sua attività pittorica furono gli affreschi con i Mesi e lo Zodiaco di palazzo d’Arco a Mantova (1517). Dopo il 1521 lasciò definitivamente Verona per stabilirsi a Padova ove, sotto la guida di Alvise Cornaro, si dedicò prevalentemente all’architettura divenendo uno dei maggiori architetti del suo tempo. Per il palazzo dell’importante mecenate progettò la Loggia (1524) e l’Odeo (1530) che costituiscono la prima testimonianza in Veneto del classicismo romano. Nella stessa città realizzò le porte San Giorgio (1528), Savonarola (1530), ristrutturò il piano superiore del Monte di Pietà (1530), rifece il portale del Palazzo del Capitanio (1531-1532) e portò a termine la costruzione della cappella del Santo nella basilica di Sant’Antonio (1533). Tra gli incarichi più importanti anche la costruzione di Villa dei Vescovi a Luvigliano (Guzzo 1994; Zavatta 2013). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. XXII, gennaio 1886.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845-1927)
di modelli, è quella di un uomo anziano caratterizzato solamente da una lunga folta barba, con la notazione di costume del copricapo di foggia genericamente rinascimentale.
Marmo, 1875 Ø 80 cm
Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Resoconti morali 1878, p. 179; Sartori 1881-1887.
«GIO. MARIA FALCONETTO PITTORE. N. 1458 M. 1534» «G.B.T» Onorificenza: 14/05/1875 Attribuito erroneamente a Cesare Poli da Sartori, il medaglione presenta sotto la spalla sinistra dell’effigiato un incisione con le tre lettere iniziali di Gian Battista Troiani. Il ritratto proposto dallo scultore, in assenza
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STEFANO DA ZEVIO (1375 ca. - post 1438)
Unanimemente riconosciuto tra i maestri del tardogotico, Stefano godette di una costante fortuna critica alimentata dal mistero, ancora in parte insoluto, sulla sua vicenda biografica che da sempre condiziona il riconoscimento delle sua produzione. Da Vasari fu denominato “da Verona”, mentre all’agostiniano Onofrio Panvinio spetta l’ipotesi di una sua provenienza “da Zevio”, da cui il famoso appellativo che tutt’ora perdura. Solo durante il Novecento inoltrato è stato possibile identificare nel pittore il figlio di Jean d’Arbois, artista noto alla corte di Filippo l’Ardito, da cui la moderna denominazione di Stefano di Giovanni. Svelate le origini francesi ed i legami con la cultura lombarda, entro cui il padre si mosse ed il figlio si formò, rimane ad oggi insoluto il problema del suo catalogo. La sua presenza è documentata a Mantova, Padova, Treviso, ma fu indiscutibilmente Verona il luogo dove operò maggiormente. Esistono tre opere firmate: la rovinatissima Gloria di Sant’Agostino nella chiesa di Santa Eufemia a Verona, un Angelo nelle collezioni dei musei civici di Verona (frammento di un affresco già sulla casa Maffei Gozzi, in via XX Settembre) e l’Adorazione dei Magi, datata 1435 (Milano, Pinacoteca di Brera). Si attribuiscono al pittore anche altri affreschi veronesi staccati: gli Angeli nella chiesa dei Santi Fermo e Rustico, e la Madonna con il Bambino e un devoto dall’ospizio dei santi Cosma e Damiano (ora al Museo di Castelvecchio). All’artista è ascritta anche la Madonna col Bambino in collezione Colonna a Roma. Di Stefano rimane inoltre un corpus grafico sparso tra diverse istituzioni museali europee (Karet 2002). In Sartori 1881-1887: Pietro Caliari, fasc. XIV, gennaio 1884.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1875 Ø 80 cm «STEFANO DA ZEVIO PITTORE secolo xv» Il medaglione fu donato dal Comune di Zevio probabilmente nel 1875 come suggerisce la collocazione dell’opera in Protomoteca, nella seconda campata a sinistra della porta d’ingresso al Palazzo del Consiglio, tra opere risalenti allo stesso periodo. L’attribuzione allo scultore deriva unicamente dal testo di Sartori che inserisce il ritratto tra quelli generica
mente eseguiti da «Spazzi Grazioso e figli», ma i dati di stile, lo sbalzo del profilo, quasi ad altorilievo, e la scelta della cornice confermano l’assegnazione a Grazioso. L’immagine dell’artista inventata dallo scultore non presenta caratteristiche salienti: il volto è parzialmente nascosto da una fitta barba e il profilo che ne emerge risulta fermo e senza alcuna particolare caratterizzazione. Bibliografia: Resoconto morale (1878), p. 179; Sartori (1881-1887).
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[34b]
FRANCESCO MORONE (1471-1529)
Si formò nella bottega del padre Domenico e fu protagonista, assieme a Michele da Verona, Girolamo Dai Libri e Paolo Morando, della stagione post-mantegnesca veronese. Tra i capolavori dell’artista la pala d’altare di Santa Maria in Organo (1503) e gli affreschi per la sagrestia della stessa chiesa (1505-1507) raffiguranti personaggi dell’ordine benedettino olivetano (Ericani 1999, III, p. 1310). In Sartori 1881-1887: Pietro Caliari, fasc. XIV, giugno 1886.
SALESIO PEGRASSI (1812-1879)
zare che l’anziano Salesio fosse stato aiutato dal figlio Angelo, per le similitudini compositive con il tondo di Guarino (cat. 20).
Marmo Ø 80 cm
Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Sartori 1881-1887.
«MORONE FRANCESCO PITTORE. N. 1474 M. 1529» Onorificenza: 14/05/1875
Secondo l’indicazione fornita da Sartori questo medaglione è l’unica opera in Protomoteca eseguita da Salesio Pegrassi, lo scultore veronese elogiato da Camillo Boito e operoso anche per committenti inglesi. Mancando di un’immagine di riferimento di Francesco Morone, Pegrassi si rifugiò in un profilo inventato, un volto maturo e anatomicamente ben delineato, ma semplice e caratterizzato soltanto da copricapo quattrocentesco con cappuccio sottostante. Si può ipotiz
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GIOVANNI FRANCESCO CAROTO (1480 ca. - 1555)
Dopo l’iniziale formazione presso Liberale da Verona, il pittore lasciò la sua città natale per risiedere a lungo a Milano dove subì l’influsso di Bramantino e dei leonardeschi riscontrabile in opere quali il Ritratto di Bernardo di Sella del Louvre, e la Sofonisba del Museo di Castelvecchio. Nella stessa città conobbe ed approfondì il classicismo raffaellesco espresso in importanti opere veronesi quali la Madonna in gloria e Santi di San Fermo (1528), l’affresco con Storie bibliche di Santa Maria in Organo, e la tarda Sant’Orsola di San Giorgio in Braida (1545). Agli anni Trenta risalgono invece le opere della sua maturità, tra le quali Sacra famiglia (1530) e leTentazioni di Cristo, entrambe nei musei civici veronesi, nelle quali l’artista dimostra di aver recepito la forza innovativa delle opere mantovane di Giulio Romano. Vasari lo ricorda nelle Vite per la sua maestria nella pittura di paesaggio che ancora oggi è possibile ammirare nelle ambientazioni naturalistiche della sua vasta produzione pittorica (Ericani 1999, III, p. 1279; Zamperini 2013).
GRAZIOSO SPAZZI ? (1816-1892) Marmo, 1874 Ø 80 cm «FRANCESCO CAROTTO PITTORE / N. 1470 M. 1546» Onorificenza: 20/12/1873
La data del 20 dicembre 1873, nella quale il Consiglio Comunale decretò l’onorificenza al pittore, è l’unica informazione disponibile su quest’opera. Sartori non menziona il medaglione, benché al tempo della sua pubblicazione i personaggi appartenenti alla lista B allegata alle Norme, che includeva anche Caroto, fossero già stati tutti rappresentati in Protomoteca da un ritratto.
La collocazione del medaglione sotto la Loggia, nella prima campata laterale a destra della porta di entrata al Palazzo del Consiglio, conferma che il medaglione fu realizzato verosimilmente entro il 1874. Lo scultore è quasi sicuramente Grazioso Spazzi: corrispondono il modo intagliare il profilo quasi ad altorilievo, lo stile esecutivo e la forma della cornice (basti il confronto con il tondo di Torello Saraina del 1873, cat. 14). L’autore si inventa un ritratto di età matura, dall’espressione ferma ed austera, pressoché spoglio di particolari che possano evocare l’epoca in cui il personaggio visse. Anche l’esecuzione, d’altronde, è piuttosto ordinaria e priva di articolari connotazioni stilistiche. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 754-756.
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ANTONIO BADILE (1518 / 1522-1560)
Erede di una famiglia di pittori ed intagliatori, fu allievo di Giovanni Caroto e maestro del celebre Paolo Veronese, di pochi anni più giovane. Di Antonio, infatti, fu a lungo sostenuta la nascita attorno al 1480 poi posticipata grazie ad un’iscrizione apposta dallo stesso pittore sulla pala per la chiesa dei Santi Nazaro e Celso (1543). Fu apprezzato ritrattista e pittore di pale d’altare nelle quali è più evidente il tentativo di adeguare il proprio stile alle incalzanti novità della pittura veneziana di Tiziano, Tintoretto e del suo promettente allievo. Rappresentative della sua produzione matura sono la Madonna di Piazza dei Signori (1544), già in Santo Spirito, ed ora nel Museo di Castelvecchio, e la Resurrezione di Lazzaro (1546) nella chiesa di San Bernardino (Ericani 1999, III, p. 1267).
TULLIO MONTINI (1878-1964)
volto molto caratterizzato sia nei lineamenti che nella descrizione dei segni dell’età, tanto da suggerire che lo scultore si sia avvalso di un prototipo, un modello ritenuto coerente con la rappresentazione che si voleva dare del soggetto. A partire da questa ipotesi il primo esempio calzante con l’idea di artista anziano è offerto dal celebre autoritratto di Tiziano (Madrid, Prado). Le somiglianze tra i due volti non mancano: corrispondono, con poche variazioni, il naso adunco, le guance scavate dalla linea dello zigomo ed anche la barba, lunga ed appena arricciata nella parte terminale. Anche l’abbigliamento, impoverito di elementi sfarzosi, richiama la medesima fonte. Se veramente Montini prese a modello la famosa tela, la scelta dovette essere giustificata da una semplice associazione cronologica derivante dall’erronea convinzione che Badile fosse vissuto negli stessi anni di Tiziano (1480/1485-1576). Il celebre autoritratto poteva quindi offrire un plausibile prototipo sia storico che iconografico.
Marmo, 1898 Ø 80 cm «ANTONIO BADILE PITTORE 1480» «T. Montini» Onorificenza: 28/06/1898 La caratteristica saliente del ritratto proposto da Montini è quella di rappresentare il pittore, maestro del più celebre Paolo Veronese, in età molto avanzata e certamente superiore a quella a cui effettivamente giunse. Questa scelta dovette essere motivata dal fatto che allora la data di nascita di Badile era fissata al 1480, così da generare l’idea di un artista molto longevo. Montini non conosceva l’autoritratto del pittore datato 1552 (Marinelli 1988, p. 289). Il medaglione raffigura un
Bibliografia: Resoconti 1898.
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GIROLAMO CAMPAGNA (1549-1625 ca.)
Di nascita veronese abbandonò prestissimo la città natale per entrare nella bottega veneziana di Danese Cattaneo che lo introdusse nell’ambiente artistico lagunare. A Venezia svolse la sua fortunatissima carriera di scultore che lo vide protagonista, a partire dall’ottavo decennio del secolo, di molte committenze pubbliche ed ecclesiastiche. Nella sua produzione prevalsero sculture di grande formato, altari e monumenti funebri, mentre limitata fu realizzazione di busti e ritratti. Fu interprete, in scultura, del manierismo sviluppato sull’esempio michelangiolesco e mediato dalla lezione di Tintoretto, al quale frequentemente si ispirò per le ardite scelte compositive ed iconografiche. Tra i suoi capolavori veneziani le statue per l’altar maggiore della chiesa del Redentore (1589-90), il gruppo bronzeo per la chiesa di San Giorgio Maggiore (1592) e il S. Antonio abate per la Scuola degli orefici in San Giacometto di Rialto (1605), considerato l’apice della sua capacità creativa. Lavorò inoltre a Padova, ove si attestano le sue prime opere nella Basilica del Santo, poi a Bologna e a Verona. Per la sua città natale eseguì una statua marmorea della Madonna, per una nicchia della Casa dei Mercanti, e il gruppo bronzeo dell’Annunciazione (160910), per la facciata del Palazzo del Consiglio, oggi conservato nei musei civici veronesi (Timofiewitsch 1974).
ATTILIO SPAZZI ? (1859-1912) Marmo, 1898 Ø 80 cm «GIROLAMO CAMPAGNA SCULTORE N. 1552 M. 1633» Onorificenza: 28/06/1898 L’opera presenta affinità stilistiche con una serie di medaglioni commissionati a seguito delle ultime onorificenze del 1898 (cat. 9, 19, 30, 31, 32, 42; vedi e per la quale è ipotizzabile un unico anonimo autore, forse Attilio Spazzi (cat. 9). Il ritratto non presenta caratteristiche salienti e appare come una generica derivazione da prototipi maschili cinquecenteschi. Bibliografia: Resoconti 1898.
[16b]
GIAN GIROLAMO SANMICHELI (1510 ca. - 1559)
Creduto a lungo zio del più famoso Michele, fu in realtà nipote e allievo del maestro. Al suo fianco collaborò nell’opera di fortificazione di Verona e Legnago avviandosi ad una carriera di architetto militare che lo vide, come Michele, coinvolto nel rilevamento e nella progettazione delle fabbriche militari dell’entroterra e del Levante al servizio della Serenissima. La sua attività rimase esclusivamente nell’ambito dell’ingegneria e dell’architettura militate ed a lui si devono la porta di Terraferma e la cisterna di San Luca a Zara, la fortezza di San Nicolò a Sebenico e le fortificazioni di Famagosta e di Limisso (Puppi 1988, II, pp. 200-204). In Sartori 1881-1887: Antonio Bertoldi, fasc. XXV, giugno 1886.
GIUSEPPE POLI (1830 - post 1894)
Ciò non impedì allo scultore di realizzare un ritratto verosimile, ricco di particolari e notazioni di costume, sfruttate abilmente per animare la superficie con virtuosismi tecnici. Così la capigliatura è descritta fitta e ricciuta, la barba folta e crespa, e la gorgiera in ogni sua piega e balza. L’accenno di un mantello sulla spalla chiude la composizione, aggiungendo un dettaglio di eleganza al costume.
Marmo, 1875 Ø 80 cm «GIO. GIROLAMO SANMICHELI ARCHITETTO N. CIRCA. 1513 M. 1559» «Poli G.»
Bibliografia: Resoconti 1875, pp. 164-165; Sartori 1881-1887; Magani 1997, n. 22 p. 200.
Onorificenza: 14/05/1875
Attribuito da Sartori a Cesare Poli, il medaglione fu in realtà eseguito dal padre Giuseppe, come chiaramente documenta la firma apposta sotto la spalla dell’effigiato, anche se Cesare, allora ventiduenne, poteva aver aiutato il genitore. L’immagine creata da Poli non sembra avere all’origine un modello preciso, ma è svolta con un generico richiamo alla ritrattistica del Cinquecento.
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GIROLAMO POMPEI (1731-1788)
Di nobile origine, fu tra gli intellettuali che animarono la cultura veronese del XVIII secolo. Fu traduttore, tragediografo e poeta. Assunse la carica di Cancelliere dell’ufficio di Sanità e di segretario perpetuo della locale Accademia di Pittura e Scultura. Fece parte degli Occulti di Roma e degli Arcadi e diventò membro delle società veronesi degli Aletofili e dei Filarmonici. Nel 1785 gli fu offerta da Giuseppe II la nomina di Precettore nell’Università di Pavia che però rifiutò come prima aveva fatto per l’offerta della cattedra di eloquenza a Parma. Tra i suoi più illustri scolari vi furono Ippolito Pindemonte e Silvia Curtoni Verza. Scrisse componimenti lirici (Canzoni pastorali, del 1764 e del 1799; Rime diverse e Rime sacre, pubblicate postume), tragedie ispirate al classicismo francese (Ipermestra del 1766, Calliroe del 1769 e Tamira del 1773-1779), discorsi e dissertazioni. La sua fama resta però indissolubilmente legata all’intensa attività di traduttore, da cui discese la sua impresa più famosa: la volgarizzazione dal greco delle Vite di Plutarco, pubblicate a Verona nel 1772-73 (Fiodo 1919).
CARLO SPAZZI ? (1850-1936) Marmo, 1895 Ø 80 cm «GIROLAMO POMPEI N. 1731 M. 1788» Onorificenza: 01/03/1895
Alla scomparsa dell’illustre letterato le principali istituzioni cittadine di cui fu membro lo vollero ricordare con la realizzazione di un ritratto. Il primo agosto 1790, l’Accademia di Pittura e Scultura commemorò Pompei decretando l’esecuzione di un ritratto su tela, commissionato al pittore Giovanni Benini, attualmente conservato al Museo di Castelvecchio (Giffi, L’Occaso 2012, p. 75). L’anno seguente venne ricordato con un busto in marmo dello scultore Francesco Zoppi (1733-1799)
nella chiesa cittadina dei Santi Nazaro e Celso (Fiodo, 1919, pp. 13-14). Prima di questa serie commemorativa di ritratti, il volto di Girolamo Pompei era stato immortalato anche in immagini a stampa tra cui una realizzata su disegno di Saverio Dalla Rosa (B.C.Vr, Stampe 10 b 52), un’altra incisa da Dionisio Valesi (B.C.Vr, Stampe X, 4, 11) ed un’ultima, la più tarda e nota, allegata alla biografia di Bartolomeo Gamba (Galleria dei Letterati ed Artisti Illustri delle Province Veneziane nel secolo Decimottavo, II, Venezia 1824). Il medaglione della Protomoteca trova maggiore corrispondenza iconografica nel dipinto commemorativo di Benini. Nel profilo marmoreo, però, la figura viene arricchita da dettagli quali l’acconciatura, raccolta secondo la moda dell’epoca, e l’abbigliamento, giacca con cravattino, tralasciato invece nel prototipo di gusto neoclassico. Bibliografia: Resoconti 1895, p. 168.
[28c]
GIAMBETTINO CIGNAROLI (1706-1770)
Pittore di larga fama, scrittore di cose d’arte e poeta dilettante. Si formò alla scuola di Santo Prunato ed a stretto contatto con i pittori Dorigny, Balestra e Brentana dei quali subì l’influsso continuando la tradizione classicistica di matrice bolognese e romana. Svolse la sua carriera prevalentemente a Verona che abbandonò solamente per brevi periodi. La prima grande commissione lo vide coinvolto nella decorazione di Palazzo Labia a Venezia (1735-1738) a cui seguì la pala per il Duomo di Chioggia, raffigurante il Martirio dei Santi Felice e Fortunato, che suscitò l’ammirazione dei contemporanei. Tornato ad operare nella città natale si dedicò ad un numero ragguardevole di committenze sia private che religiose: dalle prime dipesero gli affreschi di villa Perez Pompei a Illasi (1741) e di casa Fattori (1748); dalle seconde una serie innumerevole di tele tra cui Sant’Elena adora la Croce (1741 ca.), per la chiesa di Santa Croce dei Cappuccini, la Trasfigurazione (1749), per Santa Anastasia, S. Gaetano (1751), per i Santi Siro e Libera, e Verona implora la Vergine (1756), conservata al Museo di Castelvecchio. Molte sue opere si trovano inoltre a Bergamo, Brescia, Mantova, Trento, Torino ed in Emilia Romagna, dove il pittore operò occasionalmente. Raggiunse larga fama, anche a livello internazionale, tanto da essere conteso dalle corti di Parma, Madrid e Vienna e pubblicamente ammirato da Giuseppe II d’Austria, che lo definì il primo pittore d’Europa. Nel 1764 fu eletto direttore della locale Accademia di Pittura e Scultura (Accademia di Belle Arti), che contribuì a fondare e che ancora oggi porta il suo nome. Parallelamente alla sua attività di pittore non secondaria fu quella dedita alla storiografia artistica da cui discesero La serie dei pittori veronesi, Postille inedite alle Vite di B. Dal Pozzo e Lettera sul colorire del 1765 (Tomezzoli 2011). In Sartori 1881-1887: Giuseppe Biadego, fasc. XIV, giugno 1886.
L’Accademia di Pittura e Scultura di Verona fu, assieme al Comune di Legnago (cat. 13), tra le primissime istituzioni a rispondere positivamente alla proposta della Municipalità scaligera di contribuire attivamente alla formazione della Protomoteca commissionando l’effige del proprio fondatore. Nell’aprile del 1872 il corpo accademico indisse un concorso per la realizzazione del medaglione, a cui partecipò un unico concorrente, il giovane allievo Giacomo Grigolli, al quale, col plauso dei commissa-
GIACOMO GRIGOLLI (1852-1906) Marmo, 1872 Ø 80 cm «GIAMBETTINO CIGNAROLI PITT. / N. 1706 M. 1770» «G. Grigoli»
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ri, fu assegnato il premio in denaro. Egli aveva presentato due elaborati di diversa dimensione di cui uno in terra cotta. Per le sembianze del pittore si era ispirato alle immagini tramandate dai disegni di Francesco Lorenzi e di Saverio Dalla Rosa (fig. 30) pubblicate nelle Memorie della vita di Giambettino Cignaroli eccellente dipintor veronese di Ippolito Bevilacqua (Verona, 1771; Collezione di stampe 1985, n. 302, p. 150; n. 366 pp. 182184) dalle quali era stato in precedenza ricavato anche il volto per il busto scolpito da Diomiro Cignaroli (1718-1783; Verona, Palazzo Verità-Montanari). Il più piccolo dei due elaborati presentati da Grigolli fu prescelto per diventare il modello per la medaglia in marmo da collocare nella Protomoteca, mentre il più grande, in terra cotta, descritto come altrettanto ben eseguito, fu offerto dall’Accademia al Comune per la facciata della casa appartenuta all’illustre pittore. Il Sindaco Camuzzoni rispose favorevolmente alla proposta e già nel 1872 l’amministrazione provvide
al pagamento dell’artista. Nello stesso anno Grigolli presentò la versione in marmo alla locale esposizione artistica, ricevendo il favore della critica e, anche in questa occasione, un premio in denaro. Portato a termine il progetto di allestimento della Protomoteca nel dicembre del 1873, il medaglione fu inserito nella prima campata a sinistra della porta d’ingresso del Palazzo, vicino a quello dedicato a Giovanni Cotta (cat. 31) offerto dalla municipalità legnaghese. Il medaglione in terra cotta trovò invece effettivamente collocazione sulla facciata della casa del pittore in via Roma, dove è tutt’oggi visibile. Bibliografia: Atti dell’Accademia (23 aprile 1871; 14 maggio 1871; 22 settembre 1871); A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXII/12, lettera di Grigoli al Sindaco di Verona del 23 settembre 1872; minuta della Giunta Municipale a Grigoli del 25 settembre 1872; Gaspari 1872; Resoconti 1873, p. 267; Resoconto morale 1878, p. 179; Meneghello 1986, p. 87.
G. Grigolli, Ritratto di Giambettino Cignaroli, medaglione in terracotta sulla facciata della casa del pittore (Verona, via Roma n. 6).
[16c]
ALESSANDRO POMPEI (1705-1772)
Rampollo di una delle più illustri casate veronesi, fu pittore, architetto e trattatista. Praticò la pittura sotto la guida di Antonio Balestra, ma fu con l’attività di architetto che raggiunse la fama divenendo l’artefice ed il protagonista della svolta classicistica dell’architettura veronese del XVIII secolo. Presupposto teorico a tale rinnovamento fu l’opera Li cinque ordini dell’architettura civile di Michele Sanmicheli, pubblicata a Verona nel 1735, che riproponeva, in funzione antibarocca, la trattazione e la sintesi dei precetti e delle regole classiche. Apprezzato da Maffei, che lo considerava interprete della sua auspicata renovatio della città, egli si cimentò in costruzioni sia residenziali che pubbliche. Tra le prime vi sono la villa di famiglia ad Illasi (1731-37), villa Giuliari a Settimo di Gallese (1739-43), il prospetto ed il giardino del palazzo Spolverini (1740) e della villa Pindemonte a Isola della Scala (1742). Fu però con le fabbriche civili che riuscì ad esprimere pienamente la sua concezione classicistica dell’architettura rappresentata nel Museo Maffeiano (1739-1745) e nella Dogana di terra a San Fermo (1745-1746). A lui si devono inoltre alcuni edifici religiosi quali il tempietto di Sanguinetto (1746), le chiese urbane di San Giacomo Maggiore e di San Paolo in Campo Marzio. Parallelamente a questa intensa attività di architetto, mantenne importanti impegni civili che lo videro, tra l’altro, eletto presidente dell’Accademia di Pittura e Scultura nel 1766 (Sandrini, 1988, II, pp. 287-302).
SCULTORE VERONESE
(Illasi, collezione privata; Marinelli 1982, fig. 66 p. 105), in cui Pompei è raffigurato con alle spalle il palazzo della Dogana (fig. 31). Lo scultore riprende addirittura il motivo a borchie della leggera corazza che copre il busto di Pompei nel quadro.
Marmo, 1898 Ø 80 cm «ALESSANDRO POMPEI ARCHIT. N. 1705 M. 1772»
Bibliografia: Resoconti 1898.
Onorificenza: 28/06/1898
Il medaglione fa parte del gruppo di opere risalenti alle ultime onorificenze votate nella seduta consiliare del 1898. Nella resa del volto ha la stessa generica qualità dei tondi attribuiti a Attilio Spazzi, ma si distingue per l’espediente della spalla ‘spezzata’ e per l’unicità della modanatura della cornice, tra gole, listelli e linee incise. In mancanza di una firma e di altri documenti è difficile ipotizzare il nome dello scultore, che si presenta, comunque, con uno stile vicino a Romeo Cristani. Il profilo dell’architetto deriva dall’autoritratto del 1771
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CORNELIO NEPOTE (99 a.C. ca. - 24 a.C. ca.)
Scrittore dell’età ciceroniana e augustea, nacque a Ostiglia, nella Gallia Cisalpina, allora vicus Veronensium. Considerato dalla storiografia a tutti gli effetti veronese, fu amico del conterraneo Catullo, che gli dedicò una raccolta di versi. La sua fama è principalmente legata allo scritto De viris illustribus che, pubblicato tra il 35 ed il 32 a.C, costituisce la prima opera biografica a noi pervenuta col nome dell’autore. La caratteristica saliente introdotta da Cornelio fu quella di contrapporre, in chiave moralistica, le vite di personaggi romani a quelle di protagonisti stranieri. Note invece solo dalle fonti la sua Chronica, una storia universale in tre libri, gli Exempla e le Vite di Catone e di Cicerone (Orizzonti culturali di Cornelio Nepote, 2013). In Sartori 1881-1887: Francesco Cipolla, fasc. II, gennaio 1882.
UGO ZANNONI (1836-1919) Marmo, 1876 87 x 69 x 43 cm «UGO / ZANNONI / 1877» sulla targa: «CORNELIO NEPOTE / storico» Onorificenza: 12/08/1876
Lo scrittore latino rappresenta, assieme a Catullo, Emilio Macro e Vitruvio Cerdone, una delle glorie della Verona di età romana che la città volle ricordare in Protomoteca replicando quanto già fatto quasi quattro secoli prima con le statue poste a coronamento della Loggia
del Consiglio (Newman 1980, pp. 122-123). Per la sua opera, però, Zannoni non prese ispirazione da questo antico precedente, ma dalla statua di Cornelio Nepote, allora certamente più celebre, che solo qualche anno prima, nel 1868, lo scultore Pasquale Miglioretti (1822-1881) aveva eseguito su commissione del comune di Ostiglia per la piazza cittadina (Ostiglia 1868-1968, 1969). Da quest’opera derivano i tratti salienti dell’effigie proposta da Zannoni: l’ampia fronte, la calvizie che concentra ai lati della testa ciocche di capelli ricciuti, come pure la stessa espressione seria ed assorta con lo sguardo rivolto verso il basso. Analogo anche l’abbigliamento, composto da una tunica dall’ampio scollo coperta dal mantello, che nel busto circonda l’effigiato segnando il confine del ritratto. Bibliografia: Resoconti 1876, pp. 126-127; Sartori 1881-1887; De vincenti 2001, p. 179.
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CATULLO (84 a.C. ca. - 54 a.C. ca.)
Poeta latino, Gaio Valerio Catullo nacque a Verona, nella Gallia Cisalpina, da una ricca famiglia nobile e giovanissimo si trasferì a Roma dove si affermò e trascorse la sua breve esistenza. Sporadici nei suoi scritti i riferimenti alla città natale alla quale preferì spesso l’amata villa di Sirmione. Nella capitale divenne l’amante di una donna sposata, identificata in Clodia, moglie di Q. Metello Celere, che il poeta chiamò Lesbia nei venticinque famosissimi carmi a lei dedicati. La sua opera fu raccolta in un Liber tramandato in diverse trascrizioni, tra cui il codice della Biblioteca Capitolare di Verona che divenne archetipo di riferimento per lo sviluppo della tradizione scritta (Caviglia 1995). In Sartori 1881-1887: Gregorio Segala, fasc. V, gennaio 1882.
PIETRO DAL NEGRO (1824-1880) Marmo, 1876 88 x 62 x 40 cm «PIETRO DAL NEGRO / MILANO 1877» sulla targa: «CATULLO / poeta» Onorificenza: 12/08/1876 Come Cornelio Nepote, Emilio Macro e Vitruvio Cerdone, anche Catullo, tra tutti questi certamente il più noto ed illustre personaggio della Verona di epoca romana, fu rappresentato in una delle scultura poste a coronamento della Loggia del Consiglio sul finire del XVI secolo (Newman 1980, pp. 122-123). Dal Negro però, come
Zannoni per Cornelio Nepote, non si ispirò alle fattezze immortalate quattro secoli prima, peraltro ancorate alla tradizione iconografica catulliana (che vuole il poeta rappresentato come un giovinetto), ma diede a Catullo il volto di un uomo adulto, già quasi stempiato e dai lineamenti realistici, derivato, con gli opportuni adattamenti, dal diffuso modello classico del busto laureato dell’imperatore Ottaviano Augusto. Catullo ha, così, il capo cinto d’alloro secondo la tradizione per i poeti e in questa forma compare anche in una medaglia disegnata da Saverio Dalla Rosa e coniata da Francesco Putinati nel 1806 (Marini 2011, p. 24). Si segnala che in occasione delle celebrazioni per il bimillenario dalla morte del poeta, fissate per il 1949, la neonata Repubblica italiana emise un francobollo raffigurante il profilo di Catullo con sullo sfondo i monumenti veronesi di epoca romana. Questa immagine del poeta, divenuta ufficiale per la filatelia, è ispirata al ritratto della Protomoteca.
Bibliografia: Resoconti 1876, pp. 126-127; Sartori 1881-1887; De Vincenti 2001, p. 179.
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EMILIO MACRO (I secolo d.C.)
Poeta di età augustea. Dei suoi componimenti didascalici, intitolati Ornithogonia, Theriaca e De Herbis, rimangono pochi frammenti, ma fu autore di fama tanto da essere ricordato da Quintilliano quale predecessore, con Lucrezio, del più celebre Virgilio (Pighi 1975). In Sartori 1881-1887: Francesco Cipolla, fasc. II, gennaio 1882.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845 - 1927)
e Cornelio Nepote. L’immagine barbuta del XV secolo ispira allo scultore il busto anziano e severo di un uomo con lo sguardo frontale intenso, la fronte aggrottata, il capo calvo e una barba folta e curata, che ripesca anche da prototipi iconografici romani, qualcosa sul tipo del Bruto Capitolino. La clamide su una spalla identifica l’antichità dell’effigiato. Troiani intaglia in modo accurato, con buona tecnica, e rimedia alla genericità del modello attribuendo al ritratto un naturalismo efficace, come se il personaggio fosse stato ripreso dal vero.
Marmo, 1878 82 x 60 x 35 cm «1878 / GB. Trojani» sulla targa: «EMILIO MACRO / naturalista» Onorificenza: 04/05/1878
Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887.
L’unica rappresentazione conosciuta dello scrittore latino, precedente al busto della Protomoteca, è la statua quattrocentesca posta sopra la Loggia del Consiglio assieme a quelle dedicate ai personaggi celebri della Verona di età classica, tra cui Catullo, Vitruvio Cerdone
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BARTOLOMEO CIPOLLA (1420 ca. - 1475)
Formatosi tra Bologna e Padova, fu tra i giuristi più insigni del XV secolo. La sua fortunata carriera di docente iniziò nello Studio di Ferrara e lo portò a divenire, nel 1458, professore di diritto canonico nello Studio di Padova. Collaborò alla redazione degli statuti cittadini di Verona (promulgati nel 1450), fu nominato avvocato concistoriale presso la Curia romana, fu insignito dei titoli di cavaliere e conte palatino (1470) e fu scelto quale ambasciatore per il governo veneziano alla Dieta di Ratisbona (1471). A partire dal 1461 occupò la prima cattedra patavina di diritto civile. Dalla sua attività di docenza discesero molti scritti in particolare il Tractatus (1473-1474) sulle servitù prediali urbane al quale è legata la sua fama (Ruffino 1981; Giurista veronese 2004). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. XIX, settembre 1884.
LUIGI MARAI
sponsorum (Verona, 1589) ed in un foglio sciolto nella raccolta iconografica della Biblioteca Civica di Verona (fig. 32; Stampe, 11 c 164). In entrambi, le sembianze di Cipolla si ripetono con poche varianti e con uguale abbigliamento. Marai segue con più diligenza il prototipo tramandato dalla seconda stampa, in cui il viso è senza baffi e segnato dalla fitta puntinatura della barba, dettaglio che lo scultore ripropone scrupolosamente nel marmo.
Marmo, 1878 87,5 x 56,5 x 30 cm «L. Marai. f.e» sulla targa: «BARTOLOMEO CIPOLLA / giurista» Onorificenza: 04/05/1878
Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887.
Attribuito da Sartori a Gian Battista Troiani, il busto è in realtà opera di Luigi Marai, come documenta la firma apposta dallo scultore sotto la spalla dell’effigiato. Le sembianze del giurista sono note attraverso i ritratti a stampa associati ai suoi scritti. Due di questi esemplari sono stati reperiti nell’opera Consiliorum sive re
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ONOFRIO PANVINIO (1530-1568)
Fu storico ed erudito. Nacque in una famiglia nobile di origine cremonese e già nel 1544 entrò nell’ordine degli Eremitani di Sant’ Agostino presso il convento cittadino di Santa Eufemia. A Roma compì i suoi studi teologici, entrò alla corte del cardinale Alessandro Farnese ed iniziò a dedicarsi allo studio delle antichità romane acquisendo grande fama tra i suoi contemporanei, fino ad essere nominato da Pio VII revisore alla Biblioteca Vaticana. A lui va il merito di aver trattato la storia basandosi esclusivamente sui documenti e sulle iscrizioni, per la prima volta interpretate come fonti storiche. Le sue opere più notevoli furono i Commentarii ai Fasti (1558), Commentarii ai Trionfi, i Comizi Imperiali, le Antichità Veronesi (incompiuta) ed una ricchissima silloge di epigrafi. Incompleta ed inedita rimase invece la sua monumentale Storia universale della Chiesa cattolica (Cenni - Coppari 1990, pp. 72-73; Panvinio 2007). In Sartori 1881-1887: Luigi Gaiter, fasc. XIII, agosto 1883.
GIUSEPPE POLI (1830 - post 1894) Marmo, 1873 82 x 62 x 34 cm «G. Poli» Sulla targa: «O. PANVINIO / storico» Onorificenza: 12/03/1873 Esistono vari ritratti di Panvinio, ma tutti abbastanza diversi tra loro. Tra questi si ricordano un dipinto della Galleria Colonna attribuito a Jacopo Tintoretto (15191594), un ritratto appartenente alla serie iconografica degli Uffizi (Ignoto fiorentino del XVII secolo, olio su tela, vedi Meloni Trkulja 1980, Ic 356 p. 648) e le immagini cal
cografiche inserite nei suoi scritti a stampa (tra le quali quelle in De ludis circensibus e in Antiquitates veronenses, edite a Padova rispettivamente nel 1642 e nel 1648). Da queste ultime, in particolare, sembrano discendere l’effigie tramandata da una medaglia (vedi l’esempio al Museo Canonicale di Verona, Murari 1993, n. 13, p. 34) e il busto posto sulla sommità del monumento sepolcrale di Panvinio nella chiesa romana di Sant’Agostino (1758 circa; Guerrieri Borsoi 2002, p. 154), dello scultore Gaspare Sibilla (morto nel 1782). L’opera in Protomoteca si presenta come una vera e propria copia del marmo settecentesco (fig. 33) del quale riprende fedelmente non solo le sembianze del personaggio ma anche la postura del busto, con il capo leggermente rivolto a sinistra, e il panneggio della veste. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 266-269, 755; Sartori 1881-1887; Magani 1997, n. 22 p. 200.
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IPPOLITO PINDEMONTE (1753-1828)
Letterato, scrittore e poeta fra i più rappresentativi del Settecento italiano. Agli anni giovanili risalgono alcune traduzioni dai classici, tra cui Orazio e Luciano, ed un primo componimento tragico dedicato ad Ulisse, del 1777. L’approccio alla lirica avviene con le opere Le stanze (1779), Gibilterra salvata (1782, poi ripudiata), e Fata Morgana (1784). Dal 1784 dimorò stabilmente nella residenza di Avesa dove compose Poesie campestri (1788) e Prose campestri, queste ultime edite soltanto nel 1817. Tra 1788 ed il 1791 viaggiò a lungo in Europa tra Parigi, Londra, Berlino e Vienna, esperienza dalla quale scaturì il romanzo, tra il satirico e l’autobiografico, intitolato Abaritte (1790). Nella capitale francese fu in stretto contatto con Alfieri ed aderì inizialmente al pensiero rivoluzionario che celebrò nel poemetto La Francia (1789). Nel 1805 iniziò l’opera che forse più dei suoi scritti poetici lo rese popolare: la traduzione dell’Odissea che, ultimata solamente nel 1815, fu accolta con favore da Ugo Foscolo, il quale, già nel 1807, aveva dedicato al Pindemonte i suoi Sepolcri. Il pubblico riconoscimento di stima spinse il poeta veronese a lasciare incompiuto il poemetto I cimiteri. Tra le sue molte opere vanno ricordate le Epistole del 1805 e gli scritti teorici quali Dissertazione delle favole nella poesia, Discorso sul gusto presente della belle lettere in Italia ed il copioso carteggio privato (Montanari 2003). In Sartori 1881-1887: Pietro Sgulmero, fasc. IV, gennaio 1882.
ROMEO CRISTANI (1855-1920) Marmo, 1880 87 x 58 x 39 cm Sulla targa: «I. PINDEMONTE / letterato e poeta» Onorificenza: 05/01/1880 Come già ricordato per il medaglione di Giovanni Pindemonte (cat. 28), la realizzazione del busto di Ippolito Pindemonte rimase a carico della Municipalità la quale, con l’onorificenza conferita al poeta veronese il 5 gennaio 1880, prese atto del disinteressamento dei discendenti Pindemonte Rezzonico al progetto della Protomoteca. All’invito del sindaco Camuzzoni, infatti, formulato nella missiva del 28 dicembre 1870, non
era seguita alcuna risposta. Una spiegazione di tale noncuranza può essere ricercata nella mancata messa in atto da parte della municipalità, al tempo ancora sotto il dominio austriaco, del voto consiliare che, nel 1829, aveva decretato di dedicare un monumento pubblico al celeberrimo poeta veronese. Tale mancanza non fu colmata neppure cinquant’anni più tardi, quando, dopo l’inaugurazione della Protomoteca, il Comune era tornato a discutere la necessità di onorare il Pindemonte con una scultura da porre sulla sua tomba (1878). Anche quest’opera però, come ricorda amareggiato Pietro Sgulmero nella biografia del poeta redatta per l’opera di Sartori, non era ancora arrivata a compimento. La realizzazione del busto su commissione del Comune, dunque, è rimasta l’unica attestazione onorifica tributata dalla città al suo insigne concittadino. Si ag-
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giunga che dei tre busti noti del Pindemonte, quello della Protomoteca rimane l’unico attualmente conservato (Luzzitelli 2005, p. 426). Allo stesso studioso si deve un dettagliato excursus sull’iconografia di Ippolito Pindemonte comprensivo anche dell’analisi dell’opera di Cristani. L’autore del saggio ritiene che alla sua origine vi fosse stata una commistione di modelli individuati nel dipinto di Giovanni Battista Da Persico (Verona, Biblioteca civica 1805-1810), reso pubblico nel 1871 e perciò considerato fonte iconografica principale, e nei disegni calcografici di Teodoro Matteini e di Eugenio Silvestri, dai quali deriverebbero l’acconciatura ed i tratti giovanili del volto. A questa triade si aggiungerebbe un ritratto spurio scolpito da Francesco Bosa e tramandato da un’incisione (Luzzitelli 2005, p. 408-412; p. 426; pp. 434, 436; p. 463). Rimandando al testo di Luzzitelli per ripercorrere più compiutamente il filo del ragionamento, si vuole qui proporre, a partire proprio dall’ampia casistica di ritratti a corredo del saggio, un’ipotesi diversa che si basa su una differente interpretazione delle somiglianze fisionomiche e iconografiche. L’analisi dello studioso muove, a mio avviso, da un presupposto forviante: del ritratto del Pindemonte eseguito da Cristani, Luzzitelli non considera l’originale in marmo, ma la copia approssimativa tradotta litograficamente da Sartori per la sua opera documentaria (di cui pubblica l’immagine), edulcorata rispetto alla versione dello scultore. Prendendo come riferimento la stampa (fig. 53) e non l’opera scolpita, l’autore avanza delle ipotesi e dei confronti che risultano meno plausibili guardando all’originale marmoreo, oltre che
eccessivamente complicati rispetto al modus operandi degli scultori attivi per la Protomoteca. Osservando e confrontando il ricco corredo iconografico pubblicato, è possibile riconoscere la fonte principale da cui Cristani trasse le sembianze del volto nel ritratto spurio di Jacopo Tumicelli (1778-1825), realizzato per la prima edizione dell’Odissea (Verona, 1822; vedi fig. 34). Oltre alla medesima posizione di trequarti, si ritrovano tutte le marcate deformazioni fisionomiche tramandate dall’infelice opera del Tumicelli, quali le orbite eccessivamente marcate, le occhiaie pronunciate e la folta capigliatura disordinata. Cambia invece l’abbigliamento, sostituito con una tenuta pubblica conforme alla moda del tempo e somigliante a quelle già rappresentate in altri ritratti del letterato. La scelta di questo modello spurio, peraltro criticato dallo stesso Pindemonte all’epoca della sua realizzazione, dipende, verosimilmente, dal successo commerciale dell’opera letteraria alla quale il ritratto fu associato e che determinò, paradossalmente, l’affermazione pubblica dell’immagine meno realistica e somigliante del poeta (Luzzitelli 2005, pp. 417-423). La necessità di rendere immediatamente riconoscibile l’effigiato, di cui si era persa o attenuata la memoria delle sembianze, giustifica la scelta operata da Cristani al quale, involontariamente, va anche il “merito” di aver contribuito a prolungare nel tempo la fortuna dell’infelice ritratto di Tumicelli. Bibliografia: ASVr, Archivio Pindemonte Rezzonico, b. 436: lettera del sindaco Camuzzoni del 28 dicembre 1870; Resoconti 1878, p. 139; Resoconti 1880, pp. 28-35; Sartori 1881-1887; Luzzitelli 2005, pp. 374, 426, 430-434, 463.
J. Tumicelli, Ritratto di Ippolito Pindemonte, inciso da G. Boggi per Odissea, Verona 1882. Verona, Biblioteca Civica.
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[29b] B U S TI
CATERINA BON BRENZONI (1813-1856)
Poetessa e benefattrice, nacque dal matrimonio tra il Conte Alberto Bon e la Marchesa Marianna Spolverini. Ricevette un’educazione consona alla sua posizione ed all’età di diciotto anni si sposò con il Conte Paolo Brenzoni. Visse un’esistenza segnata da una salute precaria e dal succedersi di eventi dolorosi culminati con la perdita dell’unico figlio. Da questa difficile esistenza discese un rinnovato interesse per lo studio dei classici e in particolare dell’opera dantesca, che usò ripetutamente come fonte d’ispirazione. Dal 1841 cominciò a creare i primi componimenti, inizialmente dedicati ad amici e conoscenti, fino ad elaborare soggetti sempre più complessi frutto di una matura ed autonoma ispirazione. A questa fase appartengono il carme I Celi, il più noto ed apprezzato tra i suoi contemporanei, ed i versi dedicati alla storie di Dante e Beatrice, di Isabella e Colombo e di Guseppina Buonaparte, ispirati alle più tipiche tematiche storiche del Romanticismo. All’ultima fase della sua produzione appartengono invece i versi di carattere più esplicitamente religioso tra i quali Suore di Carità, Elisabetta d’Ungheria, La Verità, La Terra e Le missioni. All’indomani della sua scomparsa i suoi scritti furono raccolti in un’unica pubblicazione edita a Firenze nel 1857 ed introdotta dalla biografia della poetessa scritta da Angelo Messedaglia (Bozzini 1952). In Sartori 1881-1887: Gaetano Leone Patuzzi, fasc. III, gennaio 1882.
UGO ZANNONI (1836-1919) Marmo, 1877 87 x 62 x 40 cm «UGO / ZANNONI / 1877» Sulla targa: «C. BON BRENZONI / poetessa» Onorificenza: 12/08/1876
La famiglia Brenzoni fu tra le prime alle quali la Municipalità si rivolse, nel dicembre 1870, per chiedere di aderire alla nobile causa della Protomoteca donando un ritratto della propria illustre antenata, in questo
caso un busto marmoreo già in possesso della famiglia. Alla missiva del Sindaco Camuzzoni rispose, in data 4 febbraio 1871, Antonia Brenzoni, cognata della poetessa e madre del suo erede Gherardo Brenzoni. Quest’ultimo, secondo la scrivente, «non sarebbe lontano dall’aderire alla gentile […] domanda, ma prima di sprovedersi di detto Busto desidererebbe farne estrarre una copia». Ricerche condotte presso i discendenti della famiglia hanno permesso di appurare che del busto citato nella lettera non esiste più traccia, perciò non è possibile attualmente stabilire se la scultura di Zannoni nacque come copia del precedente o come opera originale. Lo scultore ricavò un’immagine idealizzata, con tratti asciutti e austeri, dall’effigie più conosciuta ed attendibile della poetessa, l’incisione-ritratto di Filippo Livy (fig. 35)
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pubblicata all’indomani della sua morte (Poesie di Caterina Bon Brenzoni, Firenze 1857). Si ha notizia di un altro ritratto della scrittrice dipinto da Antonio Zona (1814-1892), che fu depositato dalla famiglia alla Galleria d’Arte Moderna di Verona tra il 1943 e il 1948, quando venne definitivamente ritirato da Marianna Brenzoni (A.M.C., busta 1947-1949, lettera del Sindaco datata 22 ottobre 1948). Il quadro, che misurava cm 122 x 90, non è stato ritracciato, né nell’archivio del museo se ne conserva una fotografia. La cronaca riferisce che il busto scolpito da Zannoni fu collocato sotto Loggia il 24 luglio 1877, assieme ai due medaglioni di Luigi Marai dedicati a Bartolomeo I e Mastino I della Scala (cat. 24, 25). Secondo la documentazione fotografica esistente e il rilievo svolto all’epoca del trasferimento della Protomoteca, il ritratto della Bon Brenzoni occupava una delle sedi più rilevanti dell’allestimento ottocentesco: in linea con la seconda parasta di destra rispetto all’entrata del palazzo e sopraelevata rispetto agli altri busti da un piedistallo, poi non riusato nell’attuale collocazione.
[18b]
FRANCESCO BIANCHINI (1662-1729)
Bibliografia: Resoconti 1876, pp. 126-127; Protomoteca 1877; Sartori 1881-1887; De Vincenti 2001, p. 179.
Astronomo, storico ed archeologo, fu tra gli eruditi più fecondi della sua epoca. Iniziato alle scienze astronomiche a Bologna, compì poi studi teologici a Padova ed a Roma divenne avvocato. Sotto la protezione di Alessandro VIII fu nominato custode della biblioteca Ottoboniana di cui redasse l’indice. Dalla consultazione della ricchissima biblioteca nacque la sua prima fondamentale opera: Storia universale (Roma 1697). Con l’avvento di papa Clemente XI divenne cameriere d’onore e, grazie agli incarichi che gli furono affidati, poté ritornare ad occuparsi degli studi astronomici. Partecipò alla riforma del calendario, di cui era prefetto il concittadino Enrico Noris, e gli fu commissionato l’erezione di una meridiana nella chiesa di Santa Maria degli Angeli. Dagli studi di cronologia astronomica e di calcolo, ai quali si dedicò in questi anni, discese De Kalendario (Roma, 1705). Nel 1703 fu nominato dal pontefice presidente delle antichità romane, carica per la quale svolse un’attività altamente meritoria prodigandosi per la
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tutela del patrimonio archeologico. Encomiabile fu inoltre la sua opera di salvataggio di rarissimi pezzi antichi, tra i quali la celeberrima tavola marmorea raffigurante la pianta di Roma antica. Sotto la sua direzione si svolsero importanti scavi archeologici sull’Aventino e sul Palatino che portarono alla scoperta delle sale della Domus Flavia da lui stesso disegnate nell’opera postuma Del palazzo dei Cesari. Dalle indagini condotte nella via Appia nacque la sua principale opera antiquaria intitolata Camera ed iscrizioni sepulcrali de’ liberti, servi ed ufficiali della casa d’ Augusto (Roma, 1727). Nel 1705, sotto la sua direzione, fu trasportata ed issata la colonna antoniana nella piazza di Montecitorio. Fondamentale per la ripresa degli studi scientifici e delle osservazioni astronomiche fu il viaggio in Inghilterra intrapreso nel 1713 dove entrò in contatto con Newton e, tramite lui, con la Royal Society, contribuendo alla diffusione in Italia delle opere e delle innovative esperienze scientifiche inglesi. Parallelamente continuò ad applicarsi nella ricerca storica e filologica che portò alla realizzazione di scritti sulla storia della Chiesa ed alla più grande impresa filologica della sua vita: la ristampa Liber pontificalis (Uglietti 1986). In Sartori 1881-1887: Luigi Gaiter, fasc. XXIII, aprile 1886. P. Rotari, Ritratto di Francesco Bianchini, incisione, 1729, da A. Mazzoleni, Vita di monsignor Francesco Bianchini veronese, Verona 1735.
INNOCENZO FRACCAROLI (1805-1882)
nicipio di Verona, da collocarsi nella Protomoteca». Le sembianze dell’effigiato sono ispirate al ritratto disegnato da Pietro Rotari subito dopo la morte del Bianchini e inserito nel libro di Alessandro Mazzoleni dal titolo Vita di monsignor Francesco Bianchini Veronese (Verona 1735). Fraccaroli non prese, invece, particolare ispirazione dal busto posto alla sommità del cenotafio di Bianchini nella Cattedrale di Verona (1729), opera di Giuseppe Antonio Schiavi.
Marmo, 1878 81,5 x 60 x 34,5 cm sulla targa: «F. BIANCHINI / archeologo» Onorificenza: 09/03/1877
Attribuito da Sartori a Grazioso Spazzi, il busto fu in realtà eseguito da Innocenzo Fraccaroli come documenta il catalogo dell’esposizione veronese del 1878 alla quale lo scultore partecipò presentando sia il ritratto di Bianchini che l’erma di Domenico Morone (cat. 3), entrambi eseguiti «per commissione del Mu
Bibliografia: Resoconti 1877, pp. 282-242; Catalogo della Esposizione 1878, n. 139 p. 18; Sartori 1881-1887.
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[28b]
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ANTON MARIA LORGNA (1735-1796)
Matematico ed ingegnere, nacque e visse tutta la sua brillante carriera a Verona. Cominciò ad interessarsi di studi idraulici dopo una missione a seguito del padre, ufficiale di cavalleria dell’esercito veneto in Dalmazia, ove conobbe Alvise Contarini, provveditore generale della regione, che lo incentivò a seguire gli studi scientifici e lo volle come segretario. Nel 1759 si iscrisse all’università senza però concludere gli studi per tornare in Dalmazia, dove si arruolò nell’esercito. Già nel 1763 fu chiamato ad insegnare matematica nel Collegio militare di Castelvecchio di cui divenne anche direttore contribuendo alla crescita ed alla fama dell’istituto. Al servizio della Serenissima compì molti viaggi per ispezionare le strutture idrauliche e controllare le opere di bonifica ed ingegneria, scrisse un’ottantina di opere di meteorologia, matematica, idraulica, topografia, tra cui diversi manuali per la sua scuola e molti inediti, oggi conservati nella Biblioteca Civica di Verona. Si interessò anche della pittura e fu lui stesso collezionista di una importante raccolta di tele successivamente in gran parte dispersa. Fu socio delle più importanti accademie italiane ed estere, e a lui va il merito di aver istituito, con l’appoggio dei più importanti scienziati dell’epoca, l’Accademia dei XL, oggi nota col nome di Accademia nazionale delle scienze (Curi 2006). In Sartori 1881-1887: Gianluigi Panighetti, fasc. XX, settembre 1884.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1872 81 x 40 x 24 cm sulla targa: «A. M. LORGNA / idraulico»
La vicenda del busto di Anton Maria Lorgna è congiunta a quella del ritratto marmoreo di Ciro Pollini (cat. 61), entrambi commissionati per la Protomoteca dall’Accademia di Agricoltura, Scienze Lettere e Arti di Verona. Al 28 dicembre 1870 risale la lettera con la quale il sindaco Camuzzoni invitava l’istituzione a partecipare alla formazione del pantheon cittadino donando o
facendo eseguire i ritratti dei suoi due illustri rappresentanti. L’assemblea accademica discusse la proposta un anno più tardi, in occasione delle sedute del 14 e del 21 dicembre 1871. Approvata la partecipazione dell’istituzione al progetto municipale e la spesa necessaria, gli accademici stabilirono che i ritratti dovevano essere compiuti entro il 1872 e decisero di costituire una commissione incaricata di seguire la loro realizzazione. I componenti furono Pietro Paolo Martinati, già coinvolto nella commissione municipale incaricata di redigere le Norme per la Protomoteca, Antonio Pompei e Antonio Bertoldi. In un documento del 30 aprile 1872, successivamente presentato all’assemblea accademica (3 maggio 1872), la commissione redisse un piano dettagliato per la realizzazione dei ritratti. Questi avrebbero dovuti essere in forma di busto e sarebbero stati scolpiti da Grazioso Spazzi «il quale già
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aveva fatto in argomento a questa accademia alcune proposte», presentando «il modello dei due Busti che ci parvero da approvarsi pur dal lato della rassomiglianza». Per questi, continua il documento, «egli studiò, sì del Lorgna che del Pollini, que’ ritratti e busti che ad essi furon fatti o viventi o subito dopo la loro morte». Le opere sarebbero state realizzate in marmo di Carrara ed il compenso per lo scultore sarebbe stato di cinquecento lire. A questa cifra, coerentemente con quanto stabilito per i ritratti della stessa tipologia della Protomoteca, si sarebbe aggiunta una gratificazione aggiuntiva sollecitata dallo stesso scultore un anno più tardi. Al 1872, quindi, secondo quanto indicato dai documenti, risalgono sia i modelli in gesso, tutt’oggi conservati a palazzo Erbisti, che i busti in marmo poi collocati nella seconda campata a sinistra della porta di entrata al Palazzo del Consiglio. L’indicazione fornita dai commissari sulla veridicità
A. Ugolini, Ritratto di Anton Maria Lorgna, olio su tela, 1791 circa. Verona, Accademia Cignaroli.
dei volti rappresentati da Spazzi trova conferma per il busto di Lorgna nel ricorso al modello fornito dal dipinto di Agostino Ugolini, realizzato nel 1791 per l’Accademia di Pittura e Scultura a Palazzo Montanari (fig. 37; cfr. Anton Maria Lorgna 1937), con citazione puntuale anche della giacca. Rimase, invece, estranea all’ispirazione, l’effigie di Lorgna, come eroe a petto nudo, scolpita nel 1797 da Francesco Zoppi per il monumento epigrafico nell’atrio d’ingresso della stessa Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona, evidentemente ormai estranea al gusto del periodo. Bibliografia: A.A.S.L.A., lettera del sindaco Camuzzoni del 28 dicembre 1870; Relazione della Commissione del 30 aprile 1872; minuta del Segretario ai membri della Commissione del 3 maggio 1872; lettera di G. Spazzi del 24 aprile 1873; Ibidem, verso, minuta della Commissione; Atti dell’Accademia 1872, pp. 460, 463-464; Ibidem 1873, p. 391; Resoconti 1873, p. 269; Resoconto morale 1878, p. 179; Sartori 1881-1887; Busti 2011, pp. 13-14.
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[17c]
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GIUSEPPE ZAMBONI (1776-1846)
Fisico ed inventore, nacque ad Arbizzano, ai piedi delle colline veronesi. Intraprese studi di filosofia e teologia e a soli ventitré anni fu nominato abate. Divenne insegnante di filosofia nella scuola comunale di San Sebastiano e nel 1805 ottenne la cattedra di Fisica sperimentale e matematica applicata nel liceo cittadino. Si occupò di questioni connesse allo studio dell’elettricità ed in particolare della “pila a secco” il cui funzionamento fu oggetto in quegli anni di numerosi studi. A seguito delle sue sperimentazioni, nel 1812, inventò una pila a secco di lunga durata per la quale rimarrà noto e che lui stesso illustrò nello scritto Della pila elettrica a secco (Verona, 1812). Servendosi della sua pila più tardi mise a punto un nuovo elettroscopio e un orologio perpetuo anticipando, con quest’ultima invenzione, i successivi tentativi di applicare la corrente elettrica agli orologi. Le invenzioni dallo scienziato sono conservate al liceo “Scipione Maffei” (Dragoni, Bergia, Gottardi 1999).
PIETRO BORDINI ? (1954-1922) Marmo, 1898 76,5 x 59 x 32 cm sulla targa: «G. ZAMBONI / scienziato» Onorificenza: 28/06/1898 Il busto non è firmato, ma alcune caratteristiche stilistiche e compositive suggeriscono un’attribuzione a Pietro Bordini. Lo scultore è presente in Protomoteca con altre opere (cat. 6, 10, 18, 23, 63, 72) tra cui il busto di Giuseppe Barbieri (cat. 72) con il quale il ritratto di Zamboni presenta somiglianze significative sia per il modo con cui è tracciata la fisionomia dell’effigiato sia, in generale, per la tecnica di lavorazione. In entrambe le opere i lineamenti dei personaggi sono definiti da un plasticismo insistito che solca ed evidenzia la morfologia del volto alla ricerca della resa il più veridica possibile di un chiaroscuro espressivo, ancora figlio della scapigliatura lom
barda. Si ritrovano il dettaglio delle pupille concave, la stessa lavorazione volutamente scabra delle superfici e la forma digradante del busto, cadenzata dalle pieghe del panneggio. I modelli di Bordini furono il ritratto firmato dal litografo Joseph Atzinger (collezione privata, vedi fig. 38) e l’erma scolpita da Grazioso Spazzi nel 1847 per l’ingresso dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, specialmente la più intensa versione in gesso (che ancora si conserva, vedi Busti 2011, p. 37). Dalla stampa e dal precedente di Spazzi, Pietro Bordini derivò, senza ricalcarle fedelmente, le connotazioni salienti del volto, come la forma allungata, gli zigomi pronunciati e le orbite ben delineate. La folta cornice di capelli ringiovanisce ed attenua l’espressione scavata ed austera tramandata dal ritratto a stampa, mentre l’eliminazione dello zucchetto prelatizio laicizza la figura del religioso, ancora sottolineata da Spazzi. Lo Zamboni di Bordini è solo uno scienziato inquieto, che ha smesso i panni del sacerdote. Bibliografia: Resoconti 1898.
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[4c] B U S TI
GIAN MATTEO GIBERTI (1495-1543)
Nato a Palermo da un commerciante genovese, Giberti fu nominato vescovo di Verona nel 1524 dopo aver svolto un’intensa carriera politica e diplomatica nella Curia romana ove fu attivamente coinvolto nelle vicende belliche della Lega di Cognac, della quale fu il principale sostenitore. A Verona si insediò stabilmente nel 1528 iniziando un programma di riforma radicale delle istituzioni religiose, dalle parrocchie ai monasteri, che costituì un modello di riferimento per i successivi canoni tridentini. Testamento della sua opera riformatrice furono le Constitutiones, edite a Verona nel 1542 (Turchini 2000).
CESARE POLI (1816 - post 1894) Marmo, 1899 75 x 63 x 32,5 cm sulla targa: «G. M. GIBERTI / VESCOVO» Onorificenza: 28/06/1898 Privo di firma dell’autore, il busto è attribuibile a Cesare Poli grazie alla nota di pagamento reperita tra le spese sostenute dal Comune nell’anno 1899, in cui si legge che lo scultore è stato liquidato per l’«esecuzione di un busto in marmo rappresentante il Vescovo Giberti». Quanto all’immagine restituita da Poli, questa non si ispira ai ritratti più noti del Vescovo, che lo ritraggono sovente in età ancora relativamente giovanile (per i repertori si vedano gli atti del convegno Gian Matteo Giberti (1524-1543) del 2012), ma a un mediazione tra l’effige memoriale ad affresco di Domenico Brusasorci
nel palazzo vescovile (1566) e quella riprodotta a stampa per la prima e la seconda edizione delle opere del presule curata dai fratelli Ballerini nel 1733 (Jo. Matthaei Giberti … Opera, Verona 1733, vedi fig. 39), già ritenuta impropriamente un testimone del perduto ritratto del vescovo eseguito da Antonio Badile, intorno o poco dopo il 1539 (Guzzo 2012, p. 122). In quest’ultima immagine, contrariamente a tutte le altre, il prelato è raffigurato frontalmente e ad una età decisamente più matura: ha lineamenti nervosi, il volto solcato dai segni del tempo ed un’espressione austera e dura. Poli ripropone l’abbigliamento vescovile, sostituendo però l’ingombrante copricapo con un più contenuto zucchetto, e interpreta le sembianze tramandate dalla stampa attenuando le asprezze e conferendo così al prelato un volto più mite ed indulgente, che recupera in parte l’espressione moderata del modello ritrattistico di Brusasorci. Bibliografia: Resoconti, 1898; Relazione della Giunta, 1902; Orlandi 1989, p. 16; Guzzo 2012, p. 123.
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[5b]
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SAN ZENO (362-380 ca.)
Vescovo e Padre della Chiesa. Fu dal 362 l’ottavo vescovo di Verona, dove avviò l’opera di evangelizzazione, documentata nei suoi Sermones. Si narra che visse semplicemente, cibandosi dei pesci dell’Adige e per questo fu eletto a patrono dei pescatori d’acqua dolce e suoi attributi divennero la lenza ed il pesce. Quando morì fu sepolto lungo la via Gallica ove fu eretta la prima chiesa a lui dedicata che, più volte ricostruita nel corso dei secoli, vi accolse le sue spoglie il 21 maggio 807. La sua festa liturgica cade il 12 aprile, ma la città di Verona lo ricorda nel giorno di maggio in cui si svolse la traslazione delle reliquie (Amore 1969). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. VIII, febbraio 1883.
GIOVANNI TURINI (1841-1899) Marmo, 1878 86 x 66 x 34 cm «G. Turini. Sculpì / 1878» sulla targa: «S. ZENO» Onorificenza: 04/05/1878 Nel folto carteggio di Ettore Scipione Righi, che fu anche membro della Commissione per le Norme della Protomoteca, è presente una raccolta di appunti dedicati allo scultore Turini ed alle sue opere tra cui la scultura dedicata al santo patrono. A proposito di questa scrisse: «busto in marmo rappresentante un ritratto ideale del Vescovo S. Zeno, testa mitrata a tipo africano, eseguita a Verona nel 1878 per quella Protomoteca». Benché non sia immediato intravvedere nel ritratto una fisionomia di tipo africano, se non grazie al suggerimento offerto dall’autografo, la notazione risulta ugualmente significativa se messa in re
lazione con la tradizione iconografia zenoniana (Segala 1988), che già a partire dal XIV secolo aveva abbandonato qualsiasi riferimento all’origine africana (Napione 2011, pp. 25-26), testimoniata visivamente dalla statua duecentesca di San Zeno nell’eponima basilica, famosa per il suo sorriso (Napione 2009, pp. 99-100). Nei secoli a seguire l’immagine più comune del santo era diventata quella di un uomo bianco, anziano e con una folta barba bianca. Secondo quanto suggerito da Righi, dunque, lo scultore avrebbe fuso assieme elementi tratti dalle diverse tradizioni iconografiche: da una parte i presunti connotati africani, riscontrabili forse nella capigliatura ricciuta, e l’aspetto giovane (come nella statua medievale del San Zen che ride), dall’altra la barba, che richiama invece l’immagine più diffusa del santo. Il compromesso risulta un po’ goffo e un po’ irriverente, come se il santo fosse ebbro. La qualità modesta del rilievo fa il resto. Bibliografia: Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887; B.C.Vr, E. S. Righi, Notizie sullo scultore G. Turrini, b. 626/13, 24 ottobre 1893; De Vincenti 2001, p. 179; Bertoni 2001, p. 300; Panzetta 2003, II, p. 913.
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[47b] B U S TI
CANGRANDE I DELLA SCALA (1291-1329)
Can Francesco della Scala, conosciuto come Cangrande, figlio terzogenito di Alberto I e Verde da Salizzole, unico signore di Verona dal 1311, condusse i veronesi alla conquista della marca trevigiana. Morì il 22 luglio 1329, dopo aver preso Treviso, in circostanze ancora misteriose. La sua fama nella letteratura si deve, come noto, all’amicizia di Dante Alighieri, che ne profetizzò le imprese nel XVII canto del Paradiso e gli inviò una lettera dedicatoria dell’intera cantica (Varanini 1989, pp. 393-406). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. XII, settembre 1884.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) CARLO SPAZZI (1850-1836) Marmo, 1874 84 x 42 x 31 cm sulla targa: «CANGRANDE DELLA SCALA» Onorificenza: 12/03/1873
Nel resoconto della seduta consiliare del 22 dicembre 1873 si legge che l’autore impegnato nell’esecuzione dell’opera è Grazioso Spazzi. La stessa fonte comunica che il figlio Carlo, allora «allievo della scuola di plastica», stava realizzando il ritratto di Paolo Morando (cat. 71). La possibilità offerta dal documento di poter
distinguere con maggiore certezza le diverse personalità artistiche, genericamente unite da Sartori sotto la dicitura «Spazzi Grazioso e figli», comprendendo così forse anche il meno noto Attilio, permette di avanzare qualche riserva sull’effettivo intervento di Grazioso per il busto in esame. In questo, infatti, come nel già citato Paolo Morando e nel successivo Abramo Massalongo (cat. 62) si riscontrano delle incertezze nella definizione delle proporzioni fisiche, come la tendenza ad ingrandire eccessivamente il capo dell’effigiato, ingigantendone i lineamenti. La restituzione del celebre sorriso del signore scaligero attenua solo in parte l’espressione ferma e quasi assente ritrovabile negli altri due busti. Muovendo dall’attribuzione a Carlo Spazzi del Morando e, per via stilistica, anche del Massalongo (almeno come compartecipazione con Grazioso), è possibile avanzare l’ipotesi che anche il Cangrande I,
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benché documentato quale scultura di Grazioso, possa essere in realtà stato eseguito dal figlio Carlo o, secondo una plausibile logica di bottega, frutto di una stretta collaborazione tra padre ed figlio. Se qualitativamente l’opera non rientra certamente tra le migliori presenti in protomoteca, a prescindere dal problema attributivo, il busto rappresenta comunque un caso storicamente interessante per l’iconografia ottocentesca del signore scaligero. Il volto immortalato dallo scultore è la fedele riproposizione del ritratto di Cangrande così come venne elaborato fin dall’epoca rinascimentale, a partire dall’immagine tramandata dal gisant posto sull’arca di Santa Maria Antica Antica (Marini 2004, n. 15 pp. 278-279; Napione 2009, pp. 180-185). Conformemente a questa tradizione iconografica (fig. 40), il Cangrande della Protomoteca non è raffigurato in vesti civili, come sulla sua tomba, ma in abiti militareschi con una cotta di maglie metalliche ed una sopraveste senza maniche
con sul petto l’insegna scaligera. Dettaglio saliente di quest’ultimo elemento araldico, assente invece nelle altre immagini conosciute del condottiero, è la presenza dell’aquila imperiale che sormonta la scala quale esplicito richiamo alla famosissima terzina dantesca in cui si annunciava al poeta l’esilio veronese: «Lo tuo primo rifugio e il primo ostello / sarà la cortesia del gran Lombardo / che in su la scala porta il santo uccello» (Paradiso, XVII, vv. 70-72). A prescindere dalle dispute araldiche che ne seguirono (Napione, 2009 pp. 486-491), dipendenti dal riconoscimento o meno di Cangrande nel «gran Lombardo» (identificabile piuttosto con il fratello maggiore Bartolomeo), la citazione dantesca inserita da Spazzi rispecchia indirettamente il perdurare del culto nazionalistico di Dante nel corso di tutto l’Ottocento che a Verona, città che lo accolse e che gli dedicò un monumento, divenne a sua volta il tramite per il mito romantico di Cangrande, riconosciuto simbolo d’indipendenza civica. Da qui, dunque, la sua presenza in Protomoteca non solo quale testimonianza della storia cittadina ma anche, e forse soprattutto, come contributo alla storia nazionale. Solo in questa prospettiva squisitamente ottocentesca si può allora comprendere a pieno la motivazione espressa dall’assessore Turella per l’onorificenza del signore scaligero «chiamato il Grande […] perché tentò di ridurre ad unità l’Italia sotto la scorta di quel divino Alighieri, che egli ospitò bandito e dal quale ebbe nome immortale colla dedica della seconda delle eterne cantiche». Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 266-269, 755; Sartori 1881-1887; Mellini 1961, p.18, nota 9 p. 26; Marini 2004, p. 278.
Anonimo, Ritratto di Cangrande della Scala, olio su tela, XVIII secolo. Verona, Musei Civici.
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[45b] B U S TI
ALBERTO I DELLA SCALA (1245 ca. - 1301)
Nel 1277, dopo l’omicidio di Mastino I, divenne capitano del popolo di perpetuo, dando inizio alla signoria degli Scaligeri su Verona (Varanini 1989, pp. 366-370). In Sartori 1881-1887: Carlo Cipolla, fasc. XV, febbraio 1884.
GIACOMO GRIGOLLI (1852-1906) Marmo, 1874 90 x 67 x 37 cm «Grigoli G.» sulla targa: «ALBERTO DELLA SCALA» Onorificenza: 20/12/1873
Nello sforzo, comune a tutti gli scultori coinvolti nell’impresa della Protomoteca, di conferire agli illustri effigiati sembianze veritiere o quantomeno coerenti con il costume storico, il busto creato da Grigolli rappresenta certamente un caso emblematico, pur nella sua infondatezza storica. Secondo lo scultore, o chi per lui scelse l’immagine da realizzare, l’identificazione
dell’effigiato in Alberto della Scala trovava riscontro più che nei tratti del volto - caratterizzati ma di pura invenzione - nell’abbigliamento signorile meticolosamente descritto nel marmo fino risultare visivamente preponderante. Il modello iconografico preso a riferimento viene infatti dalla presunta arca sepolcrale del signore scaligero riconosciuta poi essere, in realtà, la prima tomba destinata al suo terzogenito, Cangrande I della Scala (Napione, 2009, pp. 136-139). Dal rilievo raffigurante Cangrande offerente (fig. 41) è tratto il sontuoso abbigliamento composto dalla cappa di pelliccia con code di ermellino, mentre da quello in cui lo stesso personaggio è in veste di cavaliere (fig. 42), posto sul lato opposto della tomba, è desunta la caratteristica berretta ricadente di lato e trattenuta da una fascia. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 754-756; Sartori 1881-1887.
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[24b]
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CIRO POLLINI (1782-1833)
Nacque ad Alagna (Pavia), si laureò in medicina e si dedicò agli studi botanici, in particolare floristica, raccogliendo un ricchissimo erbario. Fu professore di botanica e agricoltura nel liceo di Verona (1808). Numerosi i suoi scritti in materia tra i quali: Elementi di botanica compilata (Verona 1810-11), Discorso storico sulla botanica (ivi, 1812), Sulle alghe nelle terme Euganee (Milano 1817) e Flora veronensis quam in Prodromum Florae Italie septentrionalis exhibet (Verona, 1822-24). (Ruffo-Curi 2005, pp. 31-32). In Sartori 1881-1887: Angelo Garbini, fasc. XX, settembre 1884.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) Marmo, 1872 83 x 40 x 30,5 cm sulla targa: «C. POLLINI / botanico» La vicenda del busto di Ciro Pollini è congiunta a quella già tracciata per il ritratto marmoreo di Anton Maria Lorgna (cat. 55), entrambi commissionati per la Protomoteca dall’Accademia di Agricoltura, Scienze Lettere e Arti. Secondo il documento redatto dalla commissione accademica incaricata di seguire e gestire la realizzazione dei due busti, datato 3 maggio 1872, Spazzi aveva già presentato al committente i due modelli in gesso, tutt’oggi conservati a palazzo Erbisti (fig. 43), ispirandosi per le sembianza «sì del Lorgna che del Pollini, a que’ ritratti e busti che ad essi furon fatti o viventi o subito dopo la loro morte». In base alle direttive imposte dalla Commissione, inoltre, l’opera doveva essere realizzata in marmo
di Carrara e consegnata entro in 1872. Non molto tempo dopo, quindi, il ritratto del Pollini, assieme a quello dell’insigne matematico, furono collocati nella seconda campata di sinistra rispetto alla porta d’entrata al Palazzo del Consiglio. Per le sembianze ritrattistiche di Pollini, Spazzi si ispirò all’erma eseguita per la stessa Accademia da Innocenzo Fraccaroli nel 1835 (nel cortile interno, vedi De Vincenti 2001, p. 151, 169), ma temperando nel realismo il volto, idealizzato sul nudo petto eroico, di Fraccaroli e adottando un abbigliamento moderno (giacca e fazzoletto allacciato alla gola), secondo modalità espressive non dissimili a quelle del busto di Benedetto Del Bene (scolpito da Grazioso per palazzo Erbisti nel 1848). Bibliografia: A.A.S.L.A., lettera del sindaco Camuzzoni del 28 dicembre 1870; Relazione della Commissione del 30 aprile 1872; minuta del Segretario ai membri della Commissione del 3 maggio 1872; lettera di G. Spazzi del 24 aprile 1873; Ibidem, verso, minuta della Commissione; Atti dell’Accademia 1872, pp. 460, 463-464; Ibidem 1873, p. 391; Resoconti 1873, p. 269; Resoconto morale 1878, p. 179; Sartori 1881-1887; Busti 2011, pp. 30-31.
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[27b] B U S TI
ABRAMO MASSALONGO (1824-1860)
L’insigne naturalista nacque a Tregnago da una ricca famiglia borghese originaria di San Mauro di Saline. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ateneo patavino, abbracciò lo studio delle scienze naturali supportato ed incentivato dall’amico Roberto De Visiani, allora direttore dell’orto botanico di Padova. La sua attività scientifica si concentrò in particolare sullo studio della fauna e della flora fossile reperibile nei giacimenti veneti a cui dedicò un vastissimo repertorio di scritti che gli conferirono fama europea (Massalongo. 2008; Abramo Massalongo 2011). In Sartori 1881-1887: Leopoldo Stegagnini, fasc. VII, novembre 1882.
GRAZIOSO SPAZZI (1816-1892) CARLO SPAZZI (1850-1936) Marmo, 1877 81 x 43,5 x 37 cm sulla targa: «A. MASSALONGO / naturalista» Onorificenza: 09/03/1877
Anche per questo caso l’attribuzione su base documentaria dipende da Sartori che inserisce l’opera tra quelle eseguite da «Spazzi Grazioso e figli». Nel 1861 Grazioso Spazzi aveva realizzato per l’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona un’erma raffigurante il ritratto di Massalongo ancora presente nel cortile di Palazzo Erbisti, di cui l’Accademia conserva anche la versione in gesso. Forse grazie a questo precedente ricevette l’incarico per il busto della Proto
moteca, che condivide con l’erma del 1860 la fonte iconografica d’ispirazione, rintracciabile in una fotografia di Moritz Lotze (Marinelli 2001 p. 249), replicata e diffusa anche litograficamente (fig. 44; B.C.Vr, Stampe, 12 a 115). Nell’opera di commissione civica si ritrovano le medesime incertezze e sproporzioni riscontrabili in altre realizzazioni attribuite al gruppo familiare degli Spazzi, in particolare nel Paolo Morando (cat. 71) e nel Cangrande I della Scala (cat. 59), entrambe commissionate nel 1873. Le fonti coeve attribuiscono a Carlo la prima e a Grazioso la seconda, ma non si può escludere che, nell’ambito della bottega, anche quella affidata al padre sia stata poi realmente eseguita dal figlio. Il confronto tra questo busto e l’erma di Grazioso dell’Accademia sembra avvalorare l’ipotesi che il vero autore del busto di Massalongo per la Protomoteca sia in realtà, ancora una volta, il giovane figlio Carlo. Bibliografia: Resoconti 1877, pp. 282-242; Sartori 1881-1887; Busti 2011, pp. 18-19.
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[11b]
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GIOVANNI BATTISTA DA MONTE (1489-1551)
Medico, filosofo e letterato, studiò medicina a Padova, praticò la professione e dal 1539 ottenne una cattedra all’università patavina dove insegnò per i corsi medicina pratica e teorica introducendo la prassi della medicina clinica. La sua vasta opera scientifica, per la quale si garantì la fama, fu pubblicata postuma dai suoi allievi e rappresentò una delle principali fonti di studio e consultazione per generazioni di medici. Apprezzata fu anche la sua attività letteraria, di cui però rimangono solamente i titoli (Mucillo 1986). In Sartori 1881-1887: Antonio Agostini, fasc. I, ottobre 1881.
PIETRO BORDINI (1856-1922)
e l’abbigliamento, modificato solo in alcuni dettagli. Anche per quest’opera Bordini si distingue per essere tra gli scultori più capaci della Protomoteca, non solo per l’indiscussa perizia tecnica di cui dà prova, ma anche per il talento che dimostra nell’interpretare in maniera originale il modello, creando un ritratto vivace e dall’espressività intensa.
Marmo, 1880 83,5 x 60 x 38 cm sulla targa: «G. B. DA MONTE / filosofo e medico»
Bibliografia: Resoconti 1873, p. 268; Resoconti 1880, pp. 28-35; Sartori 1881-1887.
Onorificenza: 05/01/1880
Una fonte iconografica possibile per la scultura di Bordini è il ritratto di Da Monte inserito nel volume Icones vetterum aliquot ac recertium Medicorum Philosophorumque Ioannes Sambucus (Leida, 1574) di Giovanni Sambuco (Johann Sambucus, ossia János Zsámboky). Dell’immagine calcografica (fig. 45), in cui il filosofo è ritratto di trequarti entro un clipeo riccamente decorato, si ritrova nel marmo la caratteristica barba bipartita, che lo scultore riporta con pregevole maestria tecnica,
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[4b] B U S TI
VITRUVIO CERDONE (I secolo d.C.)
Fu l’architetto dell’arco dei Gavi edificato nel I secolo d.C. in onore dell’omonima famiglia. La doppia iscrizione apposta sul monumento (L. VITRVVIVS L. CERDO / ARCHITECTUS) suggerì fino al Cinquecento inoltrato l’identificazione dell’architetto in Marco Vitruvio Pollione, autore del celebre trattato De Architectura. L’erronea interpretazione alimentò la credenza quattrocentesca di una sua origine veronese e contribuì alla fortuna critica del monumento più volte studiato e documentato dai trattatisti di ogni epoca. Fu Sebastiano Serlio, nel Terzo libro (Venezia, 1540), a proporre una diversa attribuzione del monumento successivamente ricondotto, in base ad una più attenta interpretazione epigrafica, a «Lucio Vitruvio, libero di Lucio, Cerdone», discepolo del più famoso architetto dal quale ereditò il nome. Se per tutto il XV secolo Vitruvio fu considerato di nascita veronese, tanto da dedicargli una statua sul Palazzo del Consiglio assieme agli altri presunti personaggi della Verona romana, nelle epoche successive la diversa attribuzione non intaccò la comune ammirazione per l’arco dei Gavi tanto che esso divenne a sua volta testimonianza dell’attività di un architetto che, seppure sconosciuto, contribuì alla fama della città. Per questo motivo Scipione Maffei nella sua Verona Illustrata, ove trattò ampiamente dell’arco, inserì a pieno titolo il liberto tra gli illustri dell’antichità veronese (Beltramini 2006). In Sartori 1881-1887: Francesco Cipolla, fasc. XI, giugno 1883.
GIACOMO GRIGOLLI (1852-1906) Marmo, 1878 77 x 55 x 34 cm «G. Grigoli» sulla targa: «VITRUVIO / architetto» Onorificenza: 04/05/1878 Considerata la particolare vicenda legata al nome dell’architetto, si segnala che nella seduta in cui venne discussa la lista degli illustri allegata alle Norme della Protomoteca, fu messa in discussione la sua identificazione appellandosi alla presunta attribuzione dell’arco dei Gavi al celeberrimo Vitruvio Pollione. Alla proposta di inserire il nome di quest’ultimo al posto del meno noto Cerdone, Ettore Scipione Righi, membro della commissione per la definizione delle Norme, ricordava che «è controverso se il Pollione sia veronese. Il Cerdone lo è certo, e, come autore dell’arco dei Gavii, ha
una celebrità assicurata». A sostegno di questa interpretazione intervenne anche il collega Ottavio Canossa il quale soggiunse «che nei casi dubbi la Commissione s’è appoggiata alla opinione validissima di Scipione Maffei» (quindi Vitruvio Cerdone). Più tardi Francesco Cipolla, nella breve biografia allegata alla raccolta litografica di Sartori, si attenne all’interpretazione moderna chiamando l’effigiato Vitruvio Cerdone. Un’immagine scultorea del Vitruvio veronese era comparsa già da quasi quattro secoli sopra la Loggia del Consiglio tra le statue di altri illustri della Verona romana, tra cui Emilio Macro, Cornelio Nepote ed il celebre Catullo (Newman 1980, pp. 122-123). Il busto in Protomoteca è però chiaramente frutto d’invenzione benché si possa intravvedere la volontà di Grigolli di creare un’opera che, più agli occhi dei suoi contemporanei che ai nostri, potesse evocare la ritrattistica romana di età imperiale. Bibliografia: Resoconti 1870, p. 454; Resoconti 1878, pp. 138-141; Sartori 1881-1887.
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[9b]
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FRA GIOVANNI GIOCONDO (1433 ca. - 1515)
Appartenne all’ordine francescano, fu architetto, trattatista ed appassionato raccoglitore di epigrafi antiche. Trascorse la sua giovinezza a Roma, lavorò a Napoli e soggiornò a lungo in Francia dove probabilmente eseguì il progetto per il castello di Gaillon (1500, ora distrutto) e per il ponte di Nôtre Dame a Parigi. Tornato in patria, nel 1506, fu nominato architetto militare della Repubblica e da tale incarico risale l’opera di fortificazione della città di Treviso. Presentò un progetto per la ricostruzione di Rialto e si interessò di idraulica applicata alla protezione di Venezia dalla Laguna. Di notevole importanza storica fu pure la sua attività di editore soprattutto per la pubblicazione della prima edizione illustrata dei Dieci libri dell’Architettura di Vitruvio (1511). Nel 1513 fu nominato architetto di San Pietro e, dopo la morte di Bramante, amministratore e coadiutore assieme a Raffaello. In questa circostanza, secondo Vasari, si dedicò al consolidamento dei pilastri della cupola ed a lui è attribuita la cosiddetta “Nicchia di fra Giocondo” posta tra i pilastri di sud-ovest della cupola. A lui fu a lungo attribuita la Loggia del Palazzo del Consiglio a Verona, denominata popolarmente “di fra Giocondo”. Benché poco rimanga oggi della sua opera, egli fu tra i precursori del Rinascimento aprendo la strada ad architetti quali Falconetto, Sanmicheli e Palladio (Pagliara 2001; Zumiani 2013). In Sartori 1881-1887: Giambattista Carlo Giuliari, fasc. XVII, maggio 1884.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845-1927) Marmo, 1873 83 x 60 x 37 cm «G. B. TROIANI» sulla targa: «FRA GIOCONDO / architetto» Onorificenza: 12/03/1873 L’opera di Troiani fa parte del primo gruppo di ritratti commissionati dalla Municipalità a seguito delle onorificenze votate il 12 marzo 1873. Il resoconto della successiva seduta consiliare, svoltasi il 22 dicembre, informa che il busto era allora già stato ultimato e consegnato. La sistemazione in Protomoteca non avvenne molto più
tardi, tant’è che l’opera fu collocata nella prima posizione a sinistra della porta d’ingresso alla Loggia. In posizione opposta venne inserito il Paolo Caliari di Innocenzo Fraccaroli (cat. 68), anch’esso realizzato entro il 1873. Il personaggio creato da Troiani è il frutto di una libera interpretazione, secondo lo stile neoquattrocentesco proprio della sua formazione fiorentina, ricavato in parte dal presunto ritratto di fra Giocondo scolpito a rilievo nel cantone della stessa Loggia del Consiglio (fig. 46), rivelatosi poi essere, in realtà, quello di Plinio il Giovane (vedi Newman 1980, pp. 122-123). Segnaliamo che questo bassorilievo servì da modello anche per il monumento a fra Giocondo realizzato nel 1907 ad Altivole (TV) dallo scultore Francesco Sartor da Cavaso (Da Re 1908, p. 109). Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 266-269, 755; Sartori 1881-1887; Arduini 2007, p. 130.
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[15b] B U S TI
MICHELE SANMICHELI (1486 / 88-1559)
Dopo una prima formazione nella bottega del padre Giovanni, lapicida, nel 1505 si recò a Roma dove poté studiare l’antichità e recepire le invenzioni dei maggiori architetti del rinascimento romano. A Orvieto assume i primi incarichi, tra cui quello per la Cappella Petrucci in San Domenico, mentre su richiesta di papa Clemente VII si occupò della perlustrazione delle fortificazioni dello stato pontificio assieme ad Antonio da San Gallo il Giovane. Tornato in patria fu nominato ingegnere militare della Serenissima e responsabile delle fortificazioni della città di Verona. Qui realizzò le porte Nuova (1532), San Zeno (1541), del Palio (1547) e i bastioni Barbarigo (1531), Falier, San Bernardino (1535), San Zeno (1541), San Francesco (1546), e di Spagna (1547). A Padova progettò i bastioni Cornaro (1537) e Santa Croce (1548), mentre per la difesa di Venezia progettò l’imponente forte Sant’Andrea. Per il suo incarico pubblico viaggiò nei territori di Levante spostandosi in Dalmazia, Zara, Sebenico, Corfù e Creta ove fu affiancato dal nipote e discepolo Girolamo. Parallelamente a questa intensa attività ingegneristica, per la quale seppe coniugare le esigenze difensive con la solennità della sua ricerca formale, continuò ad assolvere incarichi civili tra cui si ricordano a Verona i Palazzi Canossa, Bevilacqua (primi anni Cinquanta), Pompei (1540) e Honorij (15531554). Per Alvise Soranzo progettò la villa di Treville che, oggi distrutta, costituirà un riferimento per l’architettura di Andrea Palladio. A Venezia i Palazzi Cornaro (1548) e Grimani (1557-59), il suo ultimo capolavoro. Morì nella città natale e fu sepolto nella chiesa di San Tommaso Cantuariense (Davies, Hemsoll 2004). In Sartori 1881-1887: Antonio Bertoldi, fasc. IX, aprile 1883.
UGO ZANNONI (1836-1919) Marmo, 1856 84 x 61 x 36 cm «ZANNONI UGO / F.» Sulla targa: «M. SANMICHELI / architetto»
Secondo la documentazione prodotta dal Consiglio Comunale il ritratto di Michele Sanmicheli risulta essere la scultura più antica della Protomoteca. Essa fu realizzata nel 1856 da un giovanissimo Ugo Zannoni e presentata nello stesso anno all’esposizione artistica
cittadina. In quell’occasione il busto venne acquisito dalla Municipalità e collocato nel Museo di Palazzo Pompei ove rimase fino alla sua definitiva sistemazione sotto la Loggia del Consiglio. L’acquisto però avvenne formalmente solo dieci anni più tardi dopo una lunga vicenda amministrativa più volte interrotta dal susseguirsi dei rivolgimenti storici. Nel 1865, in occasione della morte della madre dell’artista, il padre dello scultore propose di pervenire ad una soluzione del pagamento operando uno scambio che permettesse, con la somma dovuta al figlio (di lire 1500 pari a 525 fiorini), l’acquisto di un intercolunnio nel cimitero cittadino. La proposta fu accolta dal Consiglio senza però giungere alla formalizzazione dell’atto di compravendita. Due anni più tardi il Consiglio
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Comunale tornò sull’annosa vicenda divenuta però nel frattempo oggetto di pubblica polemica per l’intervento sulle pagine dell’Adige dello scultore Grazioso Spazzi. Questi, a sostegno della vedova del fratello, proponeva l’acquisto anche della «statua al naturale» del Sanmicheli eseguita dallo scomparso Giovanni Spazzi (1824-1866) e già favorevolmente valutata dalla Commissione d’Ornato. Secondo lo Spazzi l’eventuale preferenza per la scultura del fratello si sarebbe dovuta fondare sulla maturità artistica raggiunta da Giovanni al tempo della realizzazione della statua, valutazione non sostenibile per Zannoni, ritenuto invece «affatto principiante» all’epoca dell’esecuzione del busto. L’istanza di Spazzi, che non ebbe poi alcun seguito, prendeva origine dall’animata contesa tra lo stesso Grazioso ed il Fraccaroli per l’incarico del monumento Sanmicheli che avrebbe poi realizzato Gian Battista Troiani (Bertoni 2001, p. 283). L’acquisizione del busto fu alla fine di fatto confermata ma, proprio in base alla valutazione espressa dallo Spazzi, il Consiglio cittadino, su suggerimento di alcuni consiglieri, deliberò che «che lo scultore Ugo Zan-
noni debba ritoccare il busto secondo le cognizioni che ha acquistate in questi ultimi anni». Non è chiaro se poi questi avesse ritoccato il rilievo, di certo l’opera si confronta bene con la maniera di impronta neoclassica del giovane artista, sussidiaria di Innocenzo Fraccaroli, ancora ben rappresentata in Protomoteca dal busto di Veronese dello stesso Fraccaroli, pur datato 1873 (cat. 68). Nel 1873, appena ultimato il progetto di allestimento della Protomoteca, il busto del Sanmicheli trovò collocazione sotto la Loggia assieme ai primi due medaglioni di Giovanni Cotta (cat. 13) e Giambettino Cignaroli (cat. 45). Le sembianze dell’effigiato, simili a quelle della più tarda statua di Troiani (era pronta nel 1872, fu inaugurata nel 1874), sono ispirate alle effigi note dell’architetto quali il dipinto già in collezione Giuliari, presunta derivazione da un ritratto perduto realizzato da Paolo Farinati (1550 ca.) e la xilografia di Cristoforo Coriolano commissionata da Vasari per l’edizione delle sue Vite del 1568 (Brenzoni 1960, pp. 171-177, fig. 2), dalle quali derivarono le successive interpretazioni del soggetto (fig. 47; vedi Svalduz 2005, p. 41). Segnaliamo che Ugo Zannoni nel 1881 collocò un nuovo busto di Michele Sanmicheli, eseguito secondo la sua maniera più matura, sopra il cenotafio nella chiesa di San Tommaso a Verona. Bibliografia: Catalogo degli oggetti esposti 1856, n. 85 p. 35; Resoconti 1867, pp. 26-29; Resoconti 1873, pp. 267, 755; Sartori 18811887; De Vincenti 2001, p. 179.
A. Balestra, Frontespizio all’opera Li cinque ordini dell’architettura civile di Michel Sanmicheli rilevati dalle sue fabriche, e descritti e publicati con quelli di Vitruvio, Alberti, Palladio, Scamozzi, Serlio, e Vignola dal co. Alessandro Pompei, Verona, 1735.
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[31b] B U S TI
ANTONIO RIZZO (ante 1440-1499 ca.)
Fu scultore ed architetto tra i maggiori operanti a Venezia nel Quattrocento. Scarsissime le notizie sulla sua biografia, che tradizionalmente lo dicono nato a Verona. Si formò probabilmente nella bottega del lombardo Andrea Bregno e fu attivo in laguna tra il 1466 ed il 1498 dove operò per importanti commissioni tra cui i monumenti per Vittore Cappello (m. 1467), sulla porta della chiesa di Sant’Elena, e per Niccolò Tron (m. 1473), in Santa Maria dei Frari, ed altri purtroppo distrutti. L’opera più impegnativa ed importante della sua carriera fu certamente quella realizzata per Palazzo Ducale di cui divenne proto dal 1483. Da questo incarico discesero i suoi maggiori capolavori: le statue di Adamo ed Eva per l’Arco Foscari e la Scala dei Giganti (Schulz 1983). In Sartori 1881-1887: Francesco Dalfabbro, fasc. XXV, giugno 1886.
GIACOMO GRIGOLLI (1852-1906) Marmo, 1874 85 x 60 x 35 cm «G. GRIGOLI.» sulla targa: «A. RIZZO / architetto» Onorificenza: 12/03/1873 Il busto fa parte del gruppo di opere commissionate dalla Municipalità a seguito della seduta consiliare del 12 marzo 1873, durante quale furono conferite le prime sei onorificenze per la Protomoteca. Nel dicembre successivo, in base al resoconto della riunione, l’opera risultava ancora in fase di esecuzione. Il busto fu quindi collocato sotto la Loggia nel corso dell’anno seguente, tra i ritratti di Paolo Veronese (cat. 68) ed Alberto I della Scala (cat. 60), all’interno della prima campata a destra dell’entrata al Pa
lazzo. Non potendo contare su una fonte iconografica, Grigolli, imitando un po’ la maniera di Troiani, elaborò un ritratto ispirato a personaggi del repertorio figurativo quattrocentesco, dal quale attinse anche gli elementi del costume, in particolare il copricapo, ricorrente nella ritrattistica dell’epoca. Ciò che è rilevante sottolineare di quest’opera è il suo significato storico in relazione alla riscoperta critica di Rizzo da parte della storiografia ottocentesca. Ad una citazione nella Verona Illustrata del Maffei, che costituì la prima importante tappa per la sua valorizzazione, seguì solamente nel 1868 l’attribuzione per via documentaria dei lavori di Palazzo Ducale a Venezia, che sancì il pieno riconoscimento della sua personalità artistica. Pochi anni dopo, Verona, la sua presunta città natale, decise di inserire Rizzo tra i propri illustri, tributandogli così l’onore del ritratto. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 266-269, 755; Sartori 1881-1887.
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PAOLO CALIARI detto VERONESE (1528-1588)
dipinse una delle cosiddette grandi Cene (Nozze di Cana). A queste il pittore diede una personalissima interpretazione incentrata sulla descrizione mondana ed esuberante dell’evento sacro che gli costò, nel 1573, la condanna da parte del Tribunale dell’Inquisizione per l’Ultima cena del refettorio della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, titolata poi, a seguito della vicenda giudiziaria, Cena in casa Levi (Venezia, Galleria dell’Accademia). L’ultima grande incarico pubblico lo vide impegnato, assieme a Tintoretto, nel rifacimento della decorazione di Palazzo Ducale, compromessa dagli incendi del 1574 e 1577. Tra gli ultimi documenti della sua vasta produzione, che comprese anche il genere ritrattistico, vanno ricordati Martirio di Santa Lucia (Washington, National Gallery) ed il San Pantalon per l’omonima chiesa veneziana, estremo capolavoro del pittore (Paolo Veronese 2014). In Sartori 1881-1887: Pietro Caliari, fasc. XXI, settembre 1884.
Nacque dal lapicida Gabriele di Pietro spezaprea ma fu presto avviato alla pratica della pittura nella bottega di Antonio Badile. La sua prima produzione giovanile è documentata a Verona con la Pala Bevilacqua Lazise (1548 ca., Verona, Museo di Castelvecchio). Nel 1553 si trasferìce a Venezia, dove fu coinvolto nella decorazione di Palazzo Ducale, che costituisce la prima di una fortunata serie di commissioni pubbliche. Tra queste si ricordano quella per la Biblioteca Marciana (dal 1556) e per l’imponente decorazione della chiesa di San Sebastiano, completata nel 1567. Divenuto artista di fama, tornò saltuariamente a Verona dove, nel 1565, sposò Elena Badile, figlia del suo primo maestro, e realizzò le sue opere veronesi più note: la Pala Marogna, nella chiesa di San Paolo, e il Martirio di San Giorgio per l’omonima chiesa cittadina. Al settimo decennio risalgono le imprese pittoriche nelle architetture palladiane di Villa Barbaro a Maser, tra le più importanti testimonianze dell’arte veneta, e nel refettorio della chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia per il quale
Marmo, 1873 85 x 46 x 35 cm sulla targa: «PAOLO VERONESE / pittore» Onorificenza: 12/03/1873
A confermare l’attribuzione del busto a Fraccaroli tramandata da Sartori, fonte rivelatasi essere in taluni casi inattendibile, concorre quanto trascritto in occasione della seduta consiliare del 22 dicembre del 1873, durante la quale si fa esplicito riferimento sia all’opera, allora già ultimata e consegnata, che al suo autore. L’onorificenza stabilita nelle Norme e la conseguente commissione pubblica del busto, sancita il 12 marzo 1873, rappresentarono a tutti gli effetti il primo riconoscimento civico tributato al celebre pittore veronese. Solo nel 1888, infatti, anno in cui cadeva il terzo centenario dalla sua morte, arrivò a compimento il controverso progetto per il monumento cittadino eseguito da Romeo Cristani sul modello di Torquato Della Torre del 1853 (De Vincenti 2001, pp. 179-180; Bertoni 2001, p. 307). Anche Venezia, patria adottiva del maestro cinquecentesco, aveva partecipato alla celebrazione inserendo nel Pantheon Veneto di Palazzo Ducale un busto in sua memoria scolpito da Augusto Benvenuti (1839-1899, vedi Magani 1997, n. 56 p. 225). Ricostruendo la complessa vicenda dell’iconografia veronesiana si può giungere ad individuare quattro fonti di riferimento dalle quali discesero tutte le interpretazioni successive del soggetto, siano esse semplici copie o, come per i casi ottocenteschi, frutto, nella maggior parte dei casi, della commistione di più modelli. L’archetipo di riferimento rimane a tutt’oggi l’autoritratto del pittore inserito, secondo Anton Maria Zanetti (Della Pittura Veneziana libri cinque 1771), nel telero raffigurante le Nozze di Cana del 1563 dipinte per il refettorio di San Giorgio Maggiore a Venezia (oggi Parigi, Louvre). A seguire, in ordine di attendibilità, c’è il presunto autoritratto degli Uffizi, copia già attribuita a Palma il Giovane (Prinz 1980, A661 p. 949, A994 p. 1033), reso celebre nella versione a stampa dal testo biografico di Carlo Ridolfi (1648). In quest’ultimo il pittore compare già anziano e con al collo la catena onorifica donata dai Procuratori di San Marco. Ultima fonte ritenuta attendibile per le sembianze
del pittore è l’immagine postuma scolpita da Matteo Carneri per il monumento funerario di Veronese nella chiesa veneziana di San Sebasiano (1588, fig. 48). A questa triade si aggiunse, almeno per tutto il XIX secolo, il Ritratto di uomo a figura intera della collezione Moscardo (Malibu, Getty Museum; Pignatti-Pedrocco 1995, n. 125 pp. 228-229; Rearick 1988, n. 61 pp.118-119), riprodotto da Gaetano Zancon (1802) e pubblicato da Pietro Caliari come autoritratto del pittore (1888). Per l’opera di Fraccaroli il principale riferimento fu certamente la scultura funeraria di Carnieri. Del modello veneziano ritroviamo parte dell’abbigliamento, con l’ampio collo ripiegato sopra una giacca abbottonata, e in generale i caratteri del volto, ad eccezione del naso, aquilino e pronunciato come si osserva solamente nel ritratto della collezione Moscardo. La fortuna ottocentesca di questo ritratto si riscontra nel busto neo manierista di Benvenuti per il Pantheon veneziano, che propone l’immagine del pittore in abiti cinquecenteschi, con la gorgiera ed il drappo sulla spalla sinistra, ed in parte anche nelle opere di Della Torre e Cristani per il monumento veronese. Entrambe gli artisti, in realtà, propongono per le loro opere una commistione tra il dipinto di Malibu ed il ritratto tramandato da Ridolfi: mentre Della Torre per il suo gesso sembra guardare al dipinto Moscardo ed al volto scolpito da Carneri, soprattutto per l’età giovanile ed i tratti del volto, per la versione in marmo Cristani si rivolge all’immagine più anziana tramandata da Ridolfi, mantenendo però il richiamo all’abbigliamento cinquecentesco descritto nella tela Moscardo. In questa intricata evoluzione ottocentesca dell’iconografia veronesiana, l’opera di Fraccaroli si presenta forse come la più fedele e austera interpretazione del soggetto, tesa alla resa il più possibile autentica (e fredda) dell’immagine storica del più celebre pittore veronese. Bibliografia: Resoconti 1873, pp. 266-269, 755; Sartori 1881-1887; Trecca 1940, p. 81.
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INNOCENZO FRACCAROLI (1805-1882)
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GIROLAMO DAI LIBRI (1474 / 1475-1555)
Figlio del miniatore Francesco, fu introdotto all’arte dal padre e, probabilmente, da Domenico Morone. Vasari lo descrisse come uno dei migliori miniatori del tempo, seppure altrettanto importante fu la sua produzione pittorica di grande formato che espresse sempre la sua originaria predisposizione all’arte miniatoria. Capolavoro della sua prima produzione di grande formato fu il Presepio dei conigli per Santa Maria in Organo (1500 ca., Verona, Museo di Castelvecchio) nella quale è ancora evidente l’adesione ai moduli mantegneschi che solo più tardi l’autore arricchirà con un dolce patetismo di ascendenza peruginesca. A questa successiva fase risalgono le ante di Santa Maria in Organo e la pala con Sant’Anna con la Vergine e il Bimbo per la chiesa di Santa Maria della Scala, databile al 1518 (Londra, National Gallery). Al 1530 risale un altro capolavoro dell’artista, la Madonna dell’ombrello per la chiesa di Santa Maria della Vittoria Nuova (Verona Museo di Castelvecchio), in cui l’autore raggiunse i massimi vertici nella trattazione del paesaggio. Nell’ultima fase della vita la sua attività si concentrò maggiormente sulla decorazione libraria di cui fu indiscusso e riconosciuto maestro lavorando per i maggiori istituti conventuali della città e del Veneto. La raccolta più consistente delle sue miniature è conservata presso il Museo di Castelvecchio (Girolamo Dai Libri 2008; Molteni 2013). In Sartori 1881-1887: Pietro Caliari, fasc. XII, agosto 1883.
GIAN BATTISTA TROIANI (1845-1927) Marmo, 1876 80 x 55 x 36 cm «G. B. TROIANI» sulla targa: «G. DAI LIBRI / pittore» Onorificenza: 20/12/1873 Tre anni dopo il conferimento dell’onorificenza all’illustre pittore, votata il 20 dicembre 1873, un articolo segnalava che Troiani aveva presentato all’esposizione d’arte cittadina un busto di Girolamo Dai Libri, verosimilmente lo stesso poi entrato a far parte della Protomoteca. L’immagine inventata dallo scultore risulta assolutamente originale ed inaspettata. Forse ispirandosi alla longevità del pittore, Troiani propose l’effige di un uomo molto anziano, di cui descrive con scrupo
losa dovizia ogni segno dell’età. Ne risulta un ritratto dal verismo impietoso e quasi imbarazzante rispetto al tenore delle altre opere in Protomoteca, tanto da far supporre che lo scultore si fosse avvalso di un modello tratto dal vero, mediato dal ricordo di opere del primo Rinascimento toscano (per esempio il ritratto di Cosimo dei Medici di Pontormo). Altro elemento caratterizzante dell’opera è certamente l’abbigliamento, anch’esso, descritto con grande cura del dettaglio ma indubbiamente più consono ad un vecchio signore del XIX secolo che ad un uomo vissuto all’epoca del pittore. Un busto di Girolamo dei Libri di Troiani, che si ha ragione di ritenere fosse il modello di quello della Protomoteca, vinse un premio all’Esposizione regionale fiorentina del 1876 (Vicario 1994, p. 1057; Bertoni 2001, p. 298). Bibliografia: A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXII/16, minuta; Resoconti 1873, pp. 754-756; Artisti veronesi 1876; Sartori 1881-1887.
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PAOLO FARINATI (1524-1606)
Pittore, incisore, abilissimo disegnatore, fu a capo di una fiorente bottega alla quale più tardi collaborarono i figli Giovanbattista ed Orazio, quest’ultimo continuatore dell’opera del padre. Operò prevalentemente a Verona e nell’immediata provincia e, secondo la fonte vasariana, si formò al seguito del conterraneo Nicola Giolfino benché la sua opera riveli fin dall’inizio un preciso orientamento manierista verso i modelli centro italiani. Particolarmente evidente l’apporto della cultura michelangiolesca nel San Martino del Duomo di Mantova (1552) e nel ciclo di Santa Maria in Organo (15561558), elaborata ed arricchita dalla conoscenza dell’opera di Veronese. A questa fase risalgono gli affreschi del presbiterio della chiesa dei Santi Nazaro e Celso, considerato tra i capolavori dell’artista. Negli anni seguenti si collocano le opere della maturità quali il Cristo mostrato al popolo del Museo di Castelvecchio (1562), la decorazione della cappella Marogna in San Paolo (1565), il Battesimo di Cristo in San Giovanni in Fonte (1568) e la pala in San Tommaso Cantuariense (1569). Oltre alla vastissima produzione di opere a carattere sacro, prevalentemente rappresentate da pale d’altare, fu attivo anche sul fronte della decorazione per ville e palazzi: L’incoronazione di Carlo V in casa Quaranta (1582), il fregio con Storia di Ester in palazzo Sebastiani (1581), e gli affreschi nella villa Della Torre a Mezzane e Nichesola a Ponton realizzati con l’aiuto dei figli (Paolo Farinati 2005).
CARLO SPAZZI (1850-1936) Marmo, 1894 75 x 65 x 40 cm sulla targa: «P. FARINATI / pittore» Onorificenza: 02/12/1891
Collocato nell’attuale sede espositiva a fianco del più antico Paolo Morando, il busto del pittore cinquecentesco palesa, assieme al coevo medaglione dedicato a Bartolomeo Lorenzi (cat. n. 33), l’evoluzione stilistica raggiunta dallo scultore nella fase matura della sua carriera, caratterizzata da una piena adesione al linguaggio verista e, in parte, scapigliato. L’onorificenza a Paolo Farinati fu votata in Consiglio comunale il 2 dicembre 1891, ma l’opera non fu collo
cata in Protomoteca prima del 1894, anno a cui risale l’esposizione cittadina alla quale Spazzi presentò la scultura. Del Farinati sono noti due ritratti: il primo, più famoso e certamente noto allo scultore, è tramandato dalla stampa inserita ne Le maraviglie dell’arte di Carlo Ridolfi (Venezia 1648, II, vedi la derivazione settecentesca in fig. 49), il secondo compare di profilo in una medaglia del XVIII secolo (Modonesi, 2010 n. 92 p. 46). Entrambe propongono il pittore in età avanzata, in abbigliamento dell’epoca e con una folta e lunga barba. Con l’originalità propria di un artista ormai maturo, Spazzi creò un’immagine del pittore del tutto nuova, senza aderire ad un preciso modello, se non per il suggerimento dell’età e della barba. Tralasciò completamente anche le indicazioni sull’abbigliamento, sfruttate invece di sovente dagli altri scultori per ambientare storicamente i ritratti, vestendo l’artista con semplici abiti da lavoro. Il busto ha il capo ruotato leggermente verso sinistra, le spalle ad una
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diversa altezza e l’estremità inferiore irregolare, apparentemente incompiuta. L’energico modellato delle vesti e della barba, che alterna diversi ed irregolari piani di riflessione della luce, accompagnano il movimento impresso al busto dalla posizione, suggerendo l’immediatezza del gesto di volgersi. Ciò che risulta è un’opera del tutto inusuale per la Protomoteca perché incentrata più sulla ricerca formale che sulla mera funzione ritrattistica.
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PAOLO MORANDO detto CAVAZZOLA (1486 / 1488 ca. - 1522)
Bibliografia: Resoconti 1891, pp. 1007-1008; Meneghello 1986, p. 163.
Fu allievo di Francesco Morone che lo introdusse nel clima post mantegnesco tipico dell’arte veronese del primo decennio del XVI secolo. Significativo per la maturazione del suo stile fu l’interesse per la pittura lombarda ed emiliana da cui discesero i capolavori dell’età matura quali le Scene della Passione (ultimate entro il 1517) per la Compagnia della Croce in San Bernardino (Verona, Museo di Castelvecchio), in cui l’autore, secondo la fonte vasariana, avrebbe inserito il proprio ritratto in veste di Nicodemo. Nelle opere che precedono la sua scomparsa si riscontra un diverso orientamento che presuppone la precoce conoscenza delle novità raffaellesche e romane. Tra queste la pala d’altare per la famiglia Sacchi a San Bernardino (1522, Verona Museo di Castelvecchio), realizzata assieme a Francesco Morone (Ericani 1999, III, pp. 1308-1309; Peretti 2013). In Sartori 1881-1887: Pietro Caliari, fasc. X, maggio 1883.
Marmo, 1874 ? 98 x 37,5 x 31,5 cm sulla targa: «P. MORANDO / IL CAVAZOLA / pittore» Onorificenza: 12/03/1873
In data 5 maggio 1873, a due mesi di distanza dal conferimento delle prime sei onorificenze della Protomoteca, il giovane Carlo Spazzi, allora «allievo della scuola di plastica», scrisse alla Giunta municipale chiedendo di essere coinvolto nella realizzazione delle sei sculture appena commissionate. Benché dalla minuta di risposta parrebbe non aprirsi alcuna immediata possibilità per il giovane artista, l’opera in questione prova che egli fu effettivamente coinvolto a breve nell’impresa e, probabilmente, non solo per il ritratto di Morando. L’opera non è firmata e Sartori la inserisce nel generico elenco delle sculture attribuibili a «Spazzi Grazioso e figli». La certa attribuzione al giovane artista è fornita dal resoconto della seduta consiliare del 22 dicembre 1873 in cui si fa esplicito riferimento al busto, allora ancora in fase di esecuzione, ed al suo autore. La mancanza delle firma per tutte le opere del prolifi-
co gruppo familiare e la genericità delle attribuzioni di Sartori inducono a ipotizzare che il Paolo Morando possa non essere l’unica opera in Protomoteca assegnabile al periodo giovanile di Carlo. Tra le opere genericamente attribuite che presentono evidenti affinità, ancora frutto di un’immaturità artistica, si possono certamente annoverare i busti di Cangrande I (cat. 59) e di Abramo Massalongo (cat. 62). In questi come nel busto in analisi si riscontra una evidente sproporzione tra la testa e il corpo, e una comune espressione ferma, priva della minima caratterizzazione. Per quanto concerne la fonte iconografica, invece, il confronto proviene direttamente da Vasari il quale, a proposito della scena della Deposizione di Cristo dalla Croce del Polittico della Passione, allora nella cappella della Croce in San Bernardino (ora al Museo di Castelvecchio, fig. 50), scrive che Morando «ritrasse se stesso tanto bene che par vivissimo, in una figura che è vicina al legno della croce [ossia Nicodemo], giovane, con barba rossa e con uno scuffiotto in capo, come allora si costumava di portare». I caratteri fisionomici e di abbigliamento del ritratto di Spazzi sono pressoché identici. Bibliografia: A.S.Vr, Comune di Verona, b. XXII/13: lettera autografa datata 5 maggio 1873 e minuta di risposta; Resoconti 1873, pp. 266-269, 755; Sartori 1881-1887.
P. Morando, Autoritratto da Deposizione di Cristo dalla Croce del Polittico della Passione, olio su tavola, 1517. Verona, Museo di Castelvecchio.
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CARLO SPAZZI (1850-1936)
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GIUSEPPE BARBIERI (1777-1838)
Si formò con Luigi Trezza e Bartolomeo Giuliari dai quali apprese il linguaggio neoclassico di cui fu interprete locale. Nel 1800 ottenne il diploma di ingegnere e architetto, nel 1807 divenne disegnatore della civica Commissione d’Ornato e già nel 1810 fu nominato ingegnere municipale, ufficio che mantenne fino alla sua scomparsa. Tra i lavori più rappresentativi che realizzò in ambito pubblico vi sono il completamento della Gran Guardia (1818-19), a cui aggiunse la monumentale gradinata (1822), il nuovo Cimitero, edificato tra il 1828 ed il 1844, e la Gran Guardia Nuova, l’attuale Palazzo Barbieri, anch’esso terminato ben oltre la morte del progettista (1843). Per la committenza privata realizzò numerosi palazzi cittadini tra i quali palazzo Beretta (via Cappello 35), Palmarini (Stradone S. Fermo 12), Zeni (piazzetta S. Stefano), Novaroni (via Madonna del Terraglio 8), Fedrigoni (corso Porta Nuova 39) e Rosina (via Garibaldi 17). In campo ecclesiastico provvide al completamento della facciata di San Sebastiano (poi trasferita a San Nicolò) e progettò le Parrocchiali di Poiano (1823-30), di Marcellise e di Caldiero (1831-1836) (Conforti 1994).
leria comunale. L’opera esposta era dunque il modello proposto al Comune prima dell’esecuzione in marmo. Le sembianze dell’ingegnere municipale immortalate da Bordini sono tratte dal ritratto ad olio su tela di Francesco Personi (Verona, Galleria d’Arte Moderna, fig. 51), poi tradotto litograficamente da Gaspari per il volume intitolato Cimitero della regia città di Verona dell’ing. architetto municipale Giuseppe Barbieri (Verona 1833).
PIETRO BORDINI (1856-1922) Marmo, 1892 80 x 42 x 63 cm sulla targa: «G. BARBIERI / architetto» Onorificenza: 08/05/1891
Bibliografia: Resoconti 1891, pp. 284-287; Di Montceltrate 1892; Meneghello 1986, p. 158.
Un articolo pubblicato in occasione dell’esposizione veronese del 1892 ricorda che Bordini presentò in quell’occasione un busto in gesso raffigurante Giuseppe Barbieri, segnalato quale opera destinata alla Pinacoteca, ossia il Palazzo del Consiglio, antica sede della gal
APPENDICE ICONOGRAFICA
1. Loggia del Consiglio, fotografia, ante 1890. Verona, Museo di Castelvecchio.
2. Portale d’ingresso del Palazzo del Consiglio, fotografia, ante 1917. Verona, Biblioteca Civica.
3. Rilievo della Protomoteca, entrata e campate laterali, 1937. Verona, Biblioteca Civica.
4. Rilievo della Protomoteca, prime campate a sinistra dell’entrata, 1937. Verona, Biblioteca Civica.
5. Rilievo della Protomoteca, ultime campate a sinistra dell’entrata e parete ovest, 1937. Verona, Biblioteca Civica.
6. Rilievo della Protomoteca, prime campate a destra dell’entrata, 1937. Verona, Biblioteca Civica.
7. Rilievo della Protomoteca, ultime campate a destra dell’entrata e parete est, 1937. Verona, Biblioteca Civica.
8. G. Caroto, Ritratto di fra Giovanni, affresco, Verona, Sacrestia di Santa Maria in Organo.
9. Ritratto di Isotta Nogarola da B. Gamba, Alcuni ritratti di donne illustri delle province veneziane, Venezia 1826.
10. G. E. Ligozzi, Ritratto di Giovanni Cotta, 1573, da Joannis Cotta Carmina, Cologna Veneta 1760.
11. Ritratto di Torello Saraina da Torelli Saraynae Veronensis de origine et amplitudine civitatis Veronae, Verona 1540.
12. T. De Bry, Ritratto di Giulio Cesare Bordoni, da J.J. Boissard, Bibliotheca chalcographica, Francoforte 1652-1669.
13. Ritratto di Ludovico Canossa, olio su tela, XIX secolo. Verona, Palazzo Canossa.
14. Ritratto di Pietro Ballerini da B. Gamba, Galleria dei letterati ed artisti illustri delle Provincie Veneziane nel secolo Decimottavo, Venezia 1824.
15. C.N. Cochin junior, Ritratto di Scipione Maffei, incisione, 1750.
16. D. Cattaneo, Statua di Girolamo Fracastoro, pietra tenera, 1559. Verona, Piazza dei Signori.
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17. G. Ortolani, Enrico Noris, medaglia in bronzo dorato, XVIII secolo. Verona, Museo di Castelvecchio.
18. Altichiero da Zevio, Ritratto maschile, pittura murale staccata dalla Tomba Aventino Fracastoro, 1385 circa. Verona, Museo di Castelvecchio.
19. A. Spazzi, Antonio Cesari, busto in gesso, terzo quarto del XIX secolo. Verona, Casa dei Padri Filippini.
20. A. Ugolini, Ritratto di Giovan Battista Spolverini, inciso da A. De Bernardis per G.B. Spolverini, La coltivazione del riso, Verona 1797. Verona, Biblioteca Civica.
21. S. Dalla Rosa, Ritratto di Benedetto Del Bene, olio su tela. Verona, Galleria d’Arte Moderna.
22. S. Dalla Rosa, Ritratto di Giovanni Pindemonte, inciso da G. Boggi per Componimenti teatrali di Giovanni Pindemonte veronese, Milano 1804-1805.
23. A. Ugolini, Ritratto di Alessandro Carli, inciso da C. Dall’Acqua per Istoria della città di Verona sino all’anno MDXVII divisa in varie epoche, Verona 1796.
24. P. Nanin, Ritratto di Giuseppe Venturi, litografia, XIX secolo, prima metà.
25. G. Matham, Ritratto di Francesco Calzolari, incisione, da De reconditis, et praecipuis collectaneis ab honestissimo, et solertissimo Francisco Calceolario, Verona 1593.
26. S. Dalla Rosa, Ritratto di Bartolomeo Lorenzi, olio su tela, 1812. Verona, Museo di Castelvecchio.
27. G. Vecchi, Ritratto di Antonio Cagnoli, inciso da G. Asioli. Verona, Biblioteca Civica.
28. S. Dalla Rosa, Ritratto di Giuseppe Torelli, inciso da I. Alessandri per Iosephi Torelli elementorum prospectivae libri II, Verona 1788.
29. G. Benini, Girolamo Pompei, olio su tela, 1790. Verona, Museo di Castelvecchio
30. S. Dalla Rosa, Ritratto di Giambettino Cignaroli, inciso da A. Baratta per Memorie della vita di Giambettino Cignaroli eccellente dipintor veronese, Verona 1771.
31. A. Pompei, Autoritratto, olio su tela, 1771. Collezione privata.
32. Ritratto di Bartolomeo Cipolla, incisione, 1466. Verona, Biblioteca Civica.
33. G. Sibilla, Onofrio Panvinio, busto in marmo, 1758 ca. Roma, chiesa di Sant’Agostino.
34. J. Tumicelli, Ritratto di Ippolito Pindemonte, inciso da G. Boggi per Odissea, Verona 1882. Verona, Biblioteca Civica.
35. F. Livy, Ritratto di Caterina Bon Brenzoni, da Poesie di Caterina Bon Brenzoni, Firenze 1857.
36. P. Rotari, Ritratto di Francesco Bianchini, incisione, 1729, da A. Mazzoleni, Vita di monsignor Francesco Bianchini veronese, Verona 1735.
37. A. Ugolini, Ritratto di Anton Maria Lorgna, olio su tela, 1791 circa. Verona, Accademia Cignaroli.
38. J. Atzinger, Ritratto di Giuseppe Zamboni, incisione, XIX secolo. Collezione privata.
39. G. Filosi, Ritratto di Gian Matteo Giberti, incisione, da Jo. Matthaei Giberti Opera, Verona 1733.
40. Anonimo, Ritratto di Cangrande della Scala, olio su tela, XVIII secolo. Verona, Musei Civici.
42. Maestro dell’arca Dussaimi e bottega del Maestro di Sant’Anastasia, prima arca di Cangrande I della Scala, lato con Cangrande cavaliere. Verona, recinto delle Arche Scaligere.
41. Maestro dell’arca Dussaimi e bottega del Maestro di Sant’Anastasia, prima arca di Cangrande I della Scala, lato con Cangrande offerente. Verona, recinto delle Arche Scaligere.
43. G. Spazzi, Ciro Pollini, busto in gesso, 1872. Verona, Accademia di Agricoltura, Scienze, Lettere.
44. Ritratto di Abramo Massalongo, incisione, XIX secolo, seconda metà. Verona, Biblioteca Civica.
45. J. Sambucus (János Zsámboky., Ritratto di Giovan Battista Da Monte, incisione, da Icones veterum aliquota ac recentium Medicorum Philosophorumque J. Sabuci, Leida 1574.
46. Ritratto di Plinio il Giovane (presunto ritratto di Fra Giovanni Giocondo), bassorilievo, fine XV secolo. Verona, Loggia del Consiglio.
47. A. Balestra, Frontespizio all’opera Li cinque ordini dell’architettura civile di Michel Sanmicheli rilevati dalle sue fabriche, e descritti e publicati con quelli di Vitruvio, Alberti, Palladio, Scamozzi, Serlio, e Vignola dal co. Alessandro Pompei, Verona, 1735.
48. M. Carneri, Paolo Veronese, busto in marmo, 1588. Venezia, chiesa di San Sebastiano.
49. Ritratto di Paolo Farinati, da Serie degli uomini più illustri italiani nella pittura, scultura e architettura, VII, Firenze 1773.
50. P. Morando, Autoritratto da Deposizione di Cristo dalla Croce del Polittico della Passione, olio su tavola, 1517. Verona, Museo di Castelvecchio.
51. F. Personi, Ritratto di Giuseppe Barbieri, XIX secolo. Verona, Galleria d’Arte Moderna.
52. G. Sartori, Protomoteca Veronese, frontespizio, litografia, Verona 1881.
53. G. Sartori, Protomoteca Veronese, Ippolito Pindemonte, litografia, Verona 1882.
54. G. Sartori, Protomoteca Veronese, Fra Giovanni intagliatore, litografia, Verona 1884.
55. G. Sartori, Protomoteca Veronese, Giambettino Cignaroli, litografia Verona 1886.
56. Atrio della Biblioteca Civica di Verona.
57. Atrio della biblioteca Civica di Verona.
BIBLIOGRAFIA
ABBREVIAZIONI
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Referenze fotografiche
Le fotografie dei busti, delle erme e dei medaglioni sono state eseguite da Stefano Saccomani nel novembre 2005 grazie al finanziamento dalla Fondazione Cariverona. Le fotografie in appendice al testo sono state fornite dalla Biblioteca Civica di Padova (n. 9.); dalla Biblioteca Civica di Verona (nn. 3, 4, 5, 6, 7, 23, 24, 25, 27, 28, 30, 32, 34, 35, 39, 44, 49); dal Museo di Castelvecchio (nn. 8, 10, 13, 15, 17, 18, 21, 26, 41, 42, 46, 50); dalla Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere (nn. 22, 36, 43, 47).
Finito di stampare da Grafiche Antiga spa Crocetta del Montello (TV) 2014