Per Ammar
Agostino Ridone
al-Qalam
Le forme delle lettere arabe Tesi di Laurea Triennale Anno Accademico 2013/14 Luglio 2014 Design e Comunicazione Visiva Politecnico di Torino Relatore: Prof. Michele Cafarelli Stampato presso in data
INDICE CAPITOLO I .Introduzione .Storia ed istituzioni del mondo islamico .Alfabeto .Numeri .Il valore della scrittura .I teorici della calligrafia .Stili Calligrafici .Cufico .Naskh .Thuluth . Ruqa .Nastaliq .Diwani .Calligrammi
CAPITOLO III 4 4 9 16 19 24 30 34 37 39 39 40 44 46
.Tipografia contemporanea .Premessa .L'eccezione persiana .Qual è il futuro della tipografia araba? .Corrente funzionale .Corrente calligrafica .Corrente espressiva
82 83 90
.Bibliografia .Sitografia
158 160
LEGENDA per le note
CAPITOLO II .Storia della stampa in arabo .Origini e primi esperimenti in Italia .Tipographia Medicea .Nell'Impero Ottomano .Inizio del XX Secolo .Stampa nel XX Secolo .Da analogico a digitale
*In rosso sono annotate le 52 52 61 65 70 74 80
citazioni da altri volumi
*In blu sono annotati
gli approfondimenti riguardanti un personaggio
*In verde sono annotati i rimandi ad altri volumi per maggiori approfondimenti *In rosa sono annotati gli approfondimenti generali
99 100 128 138
CAPITOLO I
INTRODUZIONE
a fronte
Architetto Sinan
Interno del Mausoleo di Solimano il Magnifico, Istanbul, 1566
David Talbot Rice, Islamic Art, Thames and Hudson, London, 1975
storia ed istituzioni del mondo islamico
Ka’ba, La Mecca, 1906
David Talbot Rice, Islamic Art, Thames and Hudson, London, 1975
L
a religione islamica è la più recente fra le grandi fedi monoteistiche rivelate. Il Corano, testo sacro per i Musulmani, increato ed eterno, viene rivelato al profeta Maometto nelle sue sure e nei suoi versetti, dettati da Dio tramite l’Arcangelo Gabriele. Il Profeta nasce nel 570 alla Mecca ed i primi quarant’anni della sua vita li dedica ai viaggi ed al commercio, venendo probabilmente a contatto con ambienti ebraici e cristiani. Date fondamentali della vita di Maometto sono il 622 a.C. , anno dell’Egira, ovvero lo spostamento dalla Mecca a Medina, ed il 632, anno della morte. Ma è nel 615, più precisamente nella notte tra il 26 e il 27 del mese di ramadan, che scende sul Profeta il primo versetto coranico, segnando l’inizio dell’età islamica. Alla base dell’Islam vi è il Corano, formato da centoquattordici sure (capitoli) di lunghezza ineguale: non una trattazione coerente ed organica, ma un insieme di precetti e parabole rivelati in periodi temporali diversi fra la Mecca e Medina. 5
Corte centrale della Moschea del Venerdì, Isfahan, 1088
David Talbot Rice, Islamic Art,Thames and Hudson, London, 1975
Questo insieme di dettami forma la sharia, la legge islamica, di cui i Califfi, i successori del Profeta alla guida della vita politica e spirituale della comunità islamica, erano i garanti ed applicatori. Il Corano viene tuttora recitato, anzi salmodiato, e finché visse Maometto la sua trasmissione fu principalmente orale, e le sure venivano scritte singolarmente. Così fu per una trentina di anni circa: nel 650 infatti il Califfo Uthman ne commissionò la redazione completa per iscritto. Da quella data, il Corano non è mai stato più rivisto o modificato nel contenuto, ma tramandato fedelmente versetto per versetto. Il mondo islamico non va visto però come un entità immutabile, priva di correnti o divisioni. Fin dagli inizi si assistette ad una frattura importante fra coloro che sosteneva una successione al califfato per via elettiva e coloro che che appoggiavano il diritto ereditario, che favoriva la stirpe di Ali, genero di Maometto: queste due correnti sono dette rispettivamente sunnita e sciita. La prima corrente si diffuse maggiormente nei territori conquistati in Occidente, mentre la Persia è storicamente sciita. L’espansione musulmana a partire dall’Arabia fu rapidissima, favorita dalla contemporanea debolezza dell’Impero Romano d’Oriente e dell’Impero Persiano, impegnati tra loro da secoli di logoranti guerre. Si trattava inoltre di imperi enormi, senza coesione interna a livello etnico e soprattutto religioso; dal canto loro, gli arabi avevano strutture militari assai agili e l’uso di concedere libertà di culto alle tribù dei territori conquistate militarmente, favorendo fiscalmente chi si fosse convertito al culto islamico. Sicuramente i conquistatori arabi ebbero un atteggiamento più tollerante verso i popoli monoteisti cui entrarono in contatto, mentre il politeismo non veniva tollerato: per le popolazioni politeiste era obbligatoria la conversione, altrimenti sarebbero “passati a fil di spada”. 6
Moschea della Roccia, Gerusalemme, 691
Maurice Dimand, L’Arte dell’Islam, Sansoni Editore, Firenze, 1972, pag 36 La Moschea della Roccia costituisce il terzo sito più sacro del mondo islamico dopo la Ka’ba e la Moschea del Profeta di Medina. Completata nel 691 da artisti e maestranze bizantine, secondo alcuni sarebbe l’edificio islamico più antico del mondo ancora oggi esistente.
Mappa dell’espansione dell’Islam dal 612 al 750 a.C
www.historyofinformation.com
Dal punto di vista politico, gli arabi erano soliti non modificare le strutture statali ed amministrative esistenti prima del loro avvento, limitandosi a affiancar loro un presidio militare: così facendo, riuscirono a mantenere inalterato (in molti casi addirittura a migliorare) il livello di vita dei popoli sottomessi al potere musulmano. Molte comunità, venute a contatto con i maomettani, si convertirono di propria volontà, considerando di trarre profitto dalla protezione araba. Già nel 711, meno di un secolo dopo la Rivelazione, la fede islamica si professa in Spagna, Maghreb, Egitto, Anatolia, Arabia, Persia, Afghanistan, Nord-Ovest dell’India, sino al confine con la Cina. Si può parlare di Impero islamico in un arco di tempo che va dall’espansione del Settimo Secolo, durante il regno dei primi quattro califfi di Medina ( Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali ), figure sacre per l’Islam quasi al pari del Profeta. Successivamente, la dinastia Omayyade spostò la capitale dell’Impero musulmano a Damasco, fino all’anno 750. Successivamente, dal 750 fino al 7
1258, la corte Omayyade si stanziò a Baghdad, fino al brusco arrivo dei Mongoli che posero fine alla dinastia. Da quella data il califfato continuò ufficiosamente sotto la dinastia Abbaside, con capitale al Cairo. L’ultima dinastia fu quella Ottomana, che ebbe come capitale Istanbul, che durò dal 1517 al 1924. Dall’anno della caduta dell’Impero Ottomano non si può più parlare di una unità politica per i popoli musulmani, ma l’unità religiosa e linguistica resta ancora molto forte. La struttura di potere musulmano si basa sulle città: i mercati cittadini, i bazar, sono i centri in cui si incontrano uomini da tutto il mondo, in viaggio lungo gli itinerari del commercio, ed il cosmopolitismo sarà uno dei tratti più originali dell’Islam. L’economia si bilancia tra la stanzialità dei produttori di merci nei centri urbani e il movimento dei mercanti. Le strutture architettoniche di cui si dota la città islamica sono poche ed estremamente funzionali. La prima in assoluto è la moschea: un recinto con corte, munito di un porticato su tre lati, mentre il quarto e più profondo è coperto da un tetto. Lo spazio chiuso è dedicato ai rituali della preghiera, che va eseguita in direzione di un abside indicante la Mecca. Gli arabi erano soliti convertire in moschea edifici originariamente appartenenti a culti precedenti*, affiancando alla costruzione uno o più minareti, le torri sulle quali sale il muezzin, annunciatore dell’ora della preghiera. Un’altra struttura tipica è la madrasa, la scuola nella quale viene praticato l’insegnamento coranico, volto alla formazione dei dotti in questioni teologiche e giuridiche. In ultimo luogo, rammentiamo l’hammam*, ovvero il bagno pubblico, strutturalmente simile alle terme romane, dove principalmente il fedele compie le abluzione purificatorie necessarie prima di recarsi in moschea, e il rabat, struttura fortificata di difesa interna alla città, comune soprattutto nel Nord Africa. 8
Palazzo dell’Alcazar, Particolare della Decorazione Azulejos, Siviglia, 820 c.a.
Fotografia personale, 12/06/2011
Per la più importante fra queste trasformazioni, quella di Santa Sofia ad Istanbul, cfr.: Maria Luigia Fobelli, Un tempio per Giustiniano: Santa Sofia di Costantinopoli e la Descrizione di Paolo Silenziario, Viella Arte, Biella, 2005 ”... Allora Abu Sir se ne andò al palazzo reale e disse al re: “Sono uno straniero, di mestiere bagnino. Quando sono entrato nella tua città, ho voluto andare al hammam. Ma non ne ho visto neanche uno! Com’è possibile che in una città bella come la vostra non ci sia un hammam, che è una delle migliori delizie di questo mondo?”“Che cos’è un hammam?”, chiese il re. Abu Sir si mise a descriverglielo e alla fine gli disse: “La tua sarà una città perfetta solo quando ci sarà un hammam” [...]” da “Le Mille e una notte, Storia di Abu Qir e Abu Sir” in Le mille e una notte (edizione integrale), Einaudi tascabili, Torino, 2013)
Esempi di scrittura araba pre-islamica , III - V
Maurice Dimand, L’Arte dell’Islam, Sansoni Editore, Firenze, 1972 Queste tipologie di scrittura erano diffuse in tutta la penisola arabica, e trovavano applicazione nella iscrizione su roccia e nella corrispondenza su pergamena.
alfabeto
I
ntrodurre, seppur brevemente, elementi della religione islamica è assolutamente necessario per poter parlare della lingua araba. L’arabo* è infatti in primis la lingua del Corano, quella con cui Dio ha parlato a Maometto, ed è dunque considerato l’unico idioma capace della massima fedeltà alla tradizione religiosa. Di conseguenza la diffusione della sua scrittura va intesa come strettamente connessa alla diffusione del culto. Ad oggi è la quinta lingua più parlata al mondo, dal momento che è idioma ufficiale in Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Mauritania, Marocco, Oman, Qatar, Sudan, Siria, Tunisia, Autorità Nazionale Palestinese, Sahara Occidentale, Yemen, mentre in altri paesi, come Israele, è presente come lingua di minoranza. L’arabo appartiene alla famiglia delle lingue semitiche, derivata da una forma tarda dell’aramaico sviluppata prevalentemente dai Nabatei, tribù’ della Palestina meridionale, la cui capitale era la leggendaria Petra.
La prima attestazione di un popolo chiamato “arabo” si trova in un’iscrizione sumerica dell’853 a.C. Probabilmente il nome deriva dal termine di origini egiziane Ara-Bar, “vagabondi delle sabbie”. Questo termine avrebbe dato origine ai vari vocaboli biblici Aram, Eber e Haribu. Nel ben più tardo uso linguistico arabo, il nome Arab è sinonimo, infatti, di “nomadi” arabi che assunse poi una valenza etnica a tutta la popolazione della penisola.
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Pagina del Corano di Uthman, La Mecca, 651
Gabriel Mandel Khan, Alfabeto Arabo, Mondadori, 2010, Milano Oggi conservato a Samarcanda, in Uzbekistan, questo è il più antico esemplare di Corano completo arrivato fino ai giorni nostri, scritto in uno stile lineare, denominato poi cufico, e dalle spaziature regolari. Si può notare la completa assenza di segni diacrici.
L’arabo delle origini si differenziava dalle altre scritture arcaiche ( fenicio, greco ed ebraico) in quanto le lettere, non più isolate le une dalle altre, venivano unite da tratti continui, come succede nelle moderne scritture corsive. Tra Siria, Giordania e Nord dell’Arabia Saudita, sono state ritrovate iscrizioni che testimoniano della scrittura araba pre-islamica del Terzo e Quarto Secolo dopo Cristo, in varie lingue di ceppo aramaico ( siriaco, safaitico e nabateo). Fra queste, si possono considerare le più importanti le iscrizioni parietali ritrovate nei pressi di Aleppo, in Siria: presentano infatti lo stesso testo in tre lingue affiancate, siriano, greco e arabo, e, risalendo agli anni 512513 d.C., costituiscono le più antiche testimonianze mai scoperte di scrittura araba affiancata da traduzione. Un’altra iscrizione nabatea, ritrovata nella città di Umm Al-Jimal, nella Giordania settentrionale, risalente alla metà del Sesto Secolo, reca un alfabeto molto prossimo a quello arabo-islamico delle origini. Questo alfabeto fu introdotto, dalle regioni del nord della penisola arabica alla Mecca, dal sovrano Abd Al-Malik nella seconda metà del Settimo Secolo: nel 697 circa venne decretata lingua ufficiale per la stesura di tutti i documenti amministrativi. Va ricordato che solo cinquant’anni prima il Califfo Uthman aveva codificato l’arabo coranico: necessità di chiarezza verbale, sia in campo amministrativo che religioso, spinsero i grammatici arabi del Settimo ed Ottavo Secolo a stabilire precise regole grammaticali che definiscono tuttora l’arabo*.
Fu solo nel 786 che il grammatico al-Farahidi stabilì definitivamente il sistema alfabetico arabico nel suo ordine ed in tutti i suoi simboli. E’ notevole come, assieme alla rapidissima diffusione religiosa in Asia, Africa ed Europa dei primi secoli dell’era islamica, si ebbe un utilizzo dell’alfabeto arabo ben oltre la lingua araba stessa. L’arabo scalzò scritture precedenti, divenendo la grafia di vari idiomi, quale il turco, l’iraniano, lo slavo della Bosnia, lo spagnolo andaluso e di molte altre lingue parlate nel mondo antico.
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Pietra tombale con inscrizione in cufico Giordania, 877
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010
ALFABETO LE LETTERE E LE LORO FORME
LETTERA LETTERA
ALIF BA TA THA JEEM HA KHA DAL THAL RA ZANI SEEN SHEEN SOD DOD TA ZA AYN GHAYN FA QAL KAF LAM MEEM
isolata
ٱ ٺ ٺ ٽ ڄ ڄ ڂ ڈ ڌ ڒ ڗ � � ڝ ڞ ڟ ڟ ڠ ڠ
ڣ ڤ ک ڶ ݥ
iniziale
mediana
finale
corpo centrale dei glifi
aggiunta punti diacritici
aggiunta segni vocalici
aggiunta diacritici decorativi
L’alfabeto arabo è detto, in arabo, abjad, dal nome della sequenza delle prime quattro lettere. L’arabo classico si scrive da destra verso sinistra, non ha lettere maiuscole e non spezza una parola in fine di linea mandandone a capo una parte, ma porta tutta la parola sulla linea successiva. A regola, nella scrittura coranica, sono assenti segni di interpunzione, che vengono sostituiti da formule letterarie. Ad ogni carattere dell’alfabeto corrisponde un suono. L’alfabeto canonico stabilisce ventotto lettere: tre vocali lunghe e venticinque consonanti. Si aggiungono alla lista 6 lettere suppletive, necessarie per trascrivere i suoni delle lingue non arabe, ed una sola lettera composta da due suoni, il lam-alef. Si può notare come l’alfabeto sia effettivamente composto da diciannove forme di base, che modificano però il suono in base all’aggiunta di uno o più punti diacritici, puntiformi o romboidali, a seconda dello stile di scrittura, posti in assoluta vicinanza del carattere, in posizione variabile. Inoltre l’alfabeto conta tre vocali brevi rappresentate con segni simili ad accenti, posti sopra o sotto una lettera, e nove segni diacritici, anch’essi a forma di accenti, modificanti la pronuncia della lettera alla quale si pongono sopra o sotto. Questo insieme di punti e segni diacritici, il cui corpo è staccato da quello centrale del carattere, differenzia la scrittura araba dalla sua antenata aramaica-nabatea, e sono il frutto più evidente del tentativo di perfezionamento comunicativo attuato nei primi anni dell’era islamica. I segni diacritici nascono con l’esigenza di eliminare le ambiguità fra la lingua parlata e la tradizione contenuta nello scritto coranico, che potevano sorgere con l’incontro di popolazioni poco familiari ai fonemi arabi. 13
1) Lettera Alif - forma isolata
5) Diacritico del Lam
2) Diacritico dell’Alif
6) Diacritico vocalico indicante vocale breve di suono A seguente al Lam cui sta sopra
3) Lettera Lam - forma iniziale 4) Lettera Lam - forma mediana
7) Lettera Ha - forma finale
Due modi tipografici equivalenti di scrivere la parola makhah
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Struttura grammaticale della parola Allah Santa Sofia, Istanbul.
Fotografia personale, 03/02/2013 Vediamo qui comparata la scritta tra modo tipografico ( Naskh Font) e modo calligrafico ( stile Thuluth). Si possono notare le differenze nella forma della lettera finale Ha, cosi come del segno diactrico vocalico sopra la Lam di foma mediana.
L’arabo è una scrittura corsiva, ciò vuol dire che le lettere sono legate tra loro e che modificano l’aspetto in base alla posizione nel testo. Per quanto riguarda le legature, ne esiste di un solo tipo, orizzontale e posta su un’ideale linea di terra. Questo vale indubbiamente per la tipografia analogica e digitale, mentre vedremo più avanti come la calligrafia si prenda la libertà di legare le lettere in maniera estremamente variabile. Riguardo alla variazione dei caratteri, le lettere comunemente hanno quattro forme variabili, a seconda che siano scritte come grafema iniziale, mediano, finale o isolato. Sette lettere ammettono invece solo due figure, quella isolata e quella finale. Se addizioniamo tutte queste informazioni, si realizza come l’arabo conti un minimo di centotrenta glifi fonemici, un numero decisamente elevato se comparato con l’alfabeto latino, cirillico ed ebraico.
Pagina di Corano scritta in Cufico, Baghdad, IX - X Secolo
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 Uno dei piu antichi esempi di scrittura con segni diacrici. Notiamo solo due tipologie di segno: il punto giallo o rosso; il segno svolazzante giallo. La cornice d’oro fu aggiunta al manoscritto in perido Ottomano, probabilmente nel XXVIII Secolo.
numeri Cifre mediorientali e le corrispondenti occindentali
È
opinione comune che il sistema di numerazione decimale sia arrivato nell’Europa cristiana grazie agli insegnamenti degli astronomi e dei matematici mediorientali: tanto che in Occidente i glifi numerici odierni sono detti numeri arabi. In arabo invece i numeri vengono detti indiani, in quanto a loro volta giunti in Medio Oriente dall’Asia Occidentale, a seguito della già citata espansione islamica del Nono Secolo avanti Cristo. Lo scienziato persiano Al-Khwarizmi scrisse nell’825 il trattato Sul calcolo con i numeri hindi, che fu tradotto in latino nel Dodicesimo Secolo, così come pure Algoritmi de numero Indorum, il cui titolo tradotto significherebbe “Algoritmi sui numeri degli indiani”, dove “Algoritmi” era la versione tradotta del nome dell’autore; ma i lettori per sbaglio intesero Algoritmi come il plurale latino dell’ipotetico termine Algoritmo e questo portò a coniare il termine algoritmo (dal latino algorithmus) che venne ad acquisire il significato di “metodo di calcolo”. Leonardo Fibonacci*, matematico italiano che aveva studiato a Bugia, in Algeria, promosse il sistema numerico arabo in Europa con il suo testo Liber Abaci, che fu scritto nel 1202, e che ancora descriveva i numeri come “indiani” anziché “arabi”. Leonardo Pisano (Fibonacci) (Pisa 1170 ca – Pisa 1250 ca) noto con il nome di Fibonacci, nacque a Pisa intorno al 1170 dalla famiglia Bonacci, figlio di Guilielmo (Fibonacci sta infatti per fi[lius] Bonacci), rappresentante dei mercanti della Repubblica di Pisa presso Bugia, all’epoca importante porto sul mediterraneo nella regione della Cabilia, nell’attuale nord-est dell’Algeria. La formazione di Fibonacci prese avvio a Bugia, sotto la guida di un maestro musulmano, e proseguì in Egitto, Siria, Grecia, luoghi che egli visitò col padre lungo le rotte commerciali, prima di fare ritorno stabilmente a Pisa a partire dall’anno 1200 circa dove si dedicò alla stesura di manoscritti di argomento matematico: di questi, sono giunti fino ai tempi nostri il Liber Abaci (1202), la Practica Geometriae (1220), Flos (1225) e il Liber Quadratorum (1225). Il titolo del Liber Abaci, anche se letteralmente,significa “libro dell’abaco”, è però fuorviante: nel testo non si parla dell’abaco, strumento usato fino a quel tempo per far di conto usando la notazione romana; ma, principalmente, della descrizione delle tecniche di utilizzo dei numerali arabi. Si apre con l’introduzione delle “9 figure indiane” per denotare le cifre, assieme al numero 0, chiamato inizialmente “zefiro” (dall’arabo sifr, da cui derivano i termini zero e cifra), e contiene, oltre ad un gran numero di problemi di natura commerciale, alcuni che ebbero una grandissima influenza anche sugli gli autori posteriori fra cui quello famosissimo che recita: “Quante coppie di conigli verranno prodotte in un anno, a partire da un’unica coppia, se ogni mese ciascuna coppia dà alla luce una nuova coppia che diventa produttiva a partire dal secondo mese?”. La soluzione a questo problema è la celeberrima “successione di Fibonacci” (tutt’ora esiste una rivista, il Fibonacci Quarterly, interamente dedicata ad argomenti ad essa correlati).
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Gli arabi, per il loro sistema decimale, utilizzano glifi differenti rispetto a quelli utilizzati in Occidente. Da notare che, al contrario della scrittura, che procede da destra a sinistra, in senso inverso rispetto al senso dell’alfabeto latino, le cifre si scrivono invece al modo latino, con la posizione a destra per le unità di ordine minore e a sinistra quelle di ordine superiore. Certamente gli arabi trasmisero in Europa il numero zero, inesistente nella numerazione romana. Questo sistema numerico decimale però era utilizzato, quasi fino ai giorni nostri, soltanto in ambito matematico. I mercanti ed i religiosi infatti utilizzavano il cosiddetto sistema abjad, in base al quale ad ognuna delle ventotto lettere canoniche dell’alfabeto corrisponde un numero: le prime nove lettere rappresentano i valori unitari dall’1 al 9, poi i valori delle decine (da 10 a 90), poi le centinaia (da 100 a 900) ed infine, l’ultima lettera, le migliaia. Questo sistema trova enormi somiglianze con quello ebraico, detto Ghimatria ed utilizzato nella Kabbala*. Anche i mistici islamici assegnarono ad ogni lettera, oltre al valore numerico, un valore simbolico ed esoterico.
La cabala, qabbaláh, kabbalah o cabbala è il termine usato per indicare quegli insegnamenti esoterici e mistici propri dell’ebraismo già diffusi a partire dal XII secolo. In ebraico Qabbaláh è l’atto di ricevere la tradizione (la parola ebraica designa anche la ricevuta, ad esempio in una transazione commerciale, e la funzione di ingresso del sabato, la maggiore festa ebraica); secondo questi insegnamenti essa rappresenta il livello più elevato e profondo dell’ebreo poi manifesto nel metodo d’interpretazione esegetica della Torah, definito in ebraico Sod, segreto. La cabala ebraica non va quindi confusa con la cabala o le cabale di tradizione occidentale, anche se queste sono ad essa direttamente ispirate.) Dettaglio di pagina di studi matematici di Al-Khwarizmi del libro Sul calcolo con i numeri hindi , 825.
Autori Vari, Le Vie delle Lettere, Mandragora, Firenze, 2012
Questa versione manoscritta del trattato, di autore ignoto, fu calligrafata ad Istanbul nel XVII Secolo.
il valore della scrittura
A
l contrario del mondo cristiano, nell’Islam il mezzo favorito per rappresentare l’onnicomprensiva varietà dell’opera divina non fu la pittura, ma la scrittura: è nei suoi diversi stili calligrafici e nelle sue decorazioni geometriche che la teologia musulmana trova la sua identità visiva. Nell’arte islamica scrittura e ornamento sono tutt’uno: esprimono in linguaggi differenti lo stesso messaggio di perfezione sovrannaturale ed atemporale. Nella cultura islamica è la calligrafia l’arte più nobile perchè conferisce visibilità alla Parola rivelata* , ma ciò non avviene con funzione iconico-rappresentativa, come nel caso cinese e giapponese: infatti queste scritture conservano una arcaica radice pittografica. La scrittura araba, invece, è strettamente fonetica, dunque puramente funzionale alla riproduzione scritta della parola. La totalità delle espressioni estetiche e creative delle civiltà musulmane è indirizzata verso l’esterno: si tratta di un’arte dell’ambiente e dell’educazione, squisitamente sociale, pubblica, funzionale a creare
a fronte
Frammento di telo riportante scritta in stile Thuluth, Bursa, XVIII sec.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 Questi teli in seta verde ( il verde è il colore sacro all’Islam) venivano prodotti in Tuchia e successivamente inviati a Medina a ricoprire la tomba del Profeta e i cenotaff dei suoi compagni.Grande effetto ornamentale è dato dalla impostazione a zig-zag delle linee di testo.
La notte tra il 26 e il 27 di ramadhan dell’anno gregoriano 612, “notte del destino” , scese sul Profeta Maometto il primo versetto coranico (Sûra âlcalaq, 96ª, 1-5): «Leggi, nel nome del Signore, che ha creato; che ha creato l’essere umano da un grumo di sangue. Leggi!, poiché il Signore, il Nobilissimo [âlÂkramu], ha insegnato con il càlamo».)
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nei popoli una coesione religiosa e filosofica, oltre che di linguaggio. Il canto del muezzin insinua i suoni dell’arabo nelle vie della città, le iscrizioni calligrafiche poste sugli usci delle case e sulle facciate delle moschee ci ricordano che ogni opera umana esiste come tale solo perchè Dio lo permette.
Husein Qasiqcizad
Esercizio preparatorio in stile naskh, Istanbul, 1877 c.a.
www.islamic-arts.com
Le forme della scrittura manuale islamica sono condizionate non dalla natura, ma dalla funzione che hanno nel comunicare: sono ordinate, maestose, belle e sovrannaturali. Con pia umiltà chi scrive prova ad associare alla scrittura le qualità del Dio. Dio non si è palesato a Maometto, ma gli ha parlato e gli ha ordinato di scrivere la sua parola, a mano, in arabo, con la sacra penna. È la parola, la sua scrittura e il suo canto, la rappresentazione di Dio per i musulmani. Fin dagli inizi dell’era islamica, insieme al canto religioso, la calligrafia si impone come arte maggiore, e con la musica condivide da subito le necessità matematiche di proporzione e di ritmo. Dal rispetto delle geometrie perfette nasce la potenza estetica della calligrafia, capace di gratificare l’animo di chi ne fruisce, isolandolo nella contemplazione, innalzandone lo spirito. La stessa pratica della scrittura manuale è un operazione mistica, simile alla pratica della meditazione: i movimenti della mano del calligrafo devono essere lenti ma ininterrotti, la mente pura e sgombra, il ritmo cardiaco rilassato e stabile. 20
Miniatura persiana con lepri e alberi, scritte in stile naskh, Persia,1420 c.a.
David Talbot Rice, Islamic Art, Thames and Hudson, London, 1975
sotto
Matrimonio di un principe, Persia, XV sec.
David Talbot Rice, Islamic Art, Thames and Hudson, London, 1975 Nelle mniature persiane sono assenti i concetti di chiaroscurio e di prospettiva.
L’iconoclastia musulmana* è la causa fondamentale dello sviluppo di stili calligrafici astratti, che rifiutano di assomigliare a forme naturali realistiche. Il Corano non proibisce esplicitamente l’utilizzo della rappresentazione figurativa nei contesti religiosi, ma consiglia di evitarla: la raffigurazione di animali e uomini costituisce una forma di empia imitazione del potere di crear la vita, e questo potere spetta solo a Dio. All’interno di una moschea non è dato pertanto di trovare una singola immagine realistica. Nel mondo islamico peraltro la rappresentazione realistica esiste– la miniatura libraria ne è la forma più diffusa, ma essa è piatta, non-allusiva, antiplastica, e sicuramente trova maggiori affinità con la tradizione pittorica dell’Estremo Oriente che non con quella cristiana. Il disegno dal vero è dunque un’arte profana tutt’ora osteggiata dalle autorità religiose. È interessante qui notare come attraverso la calligrafia venga recuperata la possibilità di rappresentare soggetti naturalistici, in immagini che fondono lettere e figura dette calligrammi, di cui vedremo alcuni esempi più avanti. Il Corano non ne parla, vi si trovano solo dei riferimenti all’idolatria. Ma sono famosi alcuni passi degli Hadith, testi in cui si raccolgano parole e detti di Maometto, in particolar modo nella quarantottesima sura del libro degli abiti di Abu Daud si legge “Gli angeli non entreranno in una casa ove ci sia una figura o un cane” (versetto 4152) oppure “Coloro che saranno più severamente puniti il Giorno del Giudizio sono l’assassino di un Profeta [...] e un artefice di immagini o figure”.Non essendo comunque presente nei testi sacri un chiaro divieto nei confronti della rappresentazione, nel corso della storia e ancora oggi non sono mancate occasioni in cui questa regola è stata trasgredita. Califfi e principi vivevano in sontuosi palazzi in cui dipinti o mosaici raffiguravano corpi umani. Un esempio in tempi più recenti è l’Egitto dei decenni tra il XIX e il XX secolo. In quel periodo una fatwa dell’imam dell’importantissima università sannita di Al Ahar, si espresse a favore della libertà creativa, escludendo comunque la rappresentazione dei profeti e di Dio.
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Iscrizione a mosaico in cufico rettangolare sulla moschea di Isfahan.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 L’effetto ornamentale del cufico era di frequente utilizzato nella decorazione di moschee nell’architettura medioevale persiana.
a fronte
Arazzo di Ashura, Iran, 1825.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 Questo arazzo decorato riporta du leoni speculari, il cui corpo è decorato con iscrizioni religiose sciite. Questi drappi venivano esposti all’esterno della moschee persiane nei giorni del mese sacro sciita del Muharram.
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La scrittura calligrafica non riguarda solo la redazione del libro coranico su pergamena o su carta, supporto conosciuto dagli arabi fin dalla conquista di Samarcanda del 751. L’utilizzo decorativo migra fin da subito su supporti diversificati: ceramiche e suppellettili, tessuti ed indumenti fino ad arrivare alla decorazione architettonica, con lettere composte con mattoni e mosaici sia di ceramica che di pietra. I testi riportano sempre versetti coranici ed ammonimenti del Profeta, ma soprattutto agli occhi degli occidentali, questo utilizzo decorativo allontana chi guarda dalla logica del binomio scrittura-lettura. Molti testi non ci sembrano esistere per essere letti, ma più che altro per creare un’ atmosfera omogenea, un linguaggio visivo nel quale la lettera si mimetizza ovunque, diventando ornamento, messaggio, pattern, tappeto, ciotola e tutto ciò che è creazione umana.
I TEORICI DELLA CALLIGRAFIA
A
bbiamo osservato come la scrittura araba si fosse diffusa contemporaneamente alla religione islamica in un’enorme area geografica. È logico pensare che la scrittura abbia trovato forme grafiche differenti e, sebbene grammaticalmente omogenea, non potesse esserlo anche visivamente. Nei primi secoli dell’Islam, sorse un enorme quantitativo di stili calligrafici diversi, detti mani calligrafiche, che vengono racchiusi in due principali correnti: lo stile “allungato e dritto” e quello “curvo e tondo”. La prima corrente trovò applicazione principalmente nella trascrizione del Corano e in generale nella scrittura dai contenuti religiosi, sia su carta che monumentale. Questo stile risulta quello più chiaramente ricollegabile all’antenato nabateo e siriaco dell’arabo, mentre la seconda corrente veniva utilizzata nella corrispondenza e nell’ammistrazione, essendo più rapida ed agile da eseguire.
a fronte
Muhammad Bin Muqla
Trattato sulla scrittura ben proporzionata, Pagine tratte dalla copia del calligrafo Yaqut al-Mustasimi, Baghdad, 1260 c.a.
I manoscritti originali di Muqla sono andati tutti perduti: rimangono copie tramandate dai calligrafi della scuola di Baghdad.
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SEI VARIAZIONI DI MUQLA
Muhaqqaq
Thuluth
Rayhani
Naskh
Tawqi
Ruqa
Nell’ottavo secolo i calligrafi Bin Jilani e Bin Hamad disegnarono e codificarono dodici mani differenti e nel Maghreb l’amanuense Ibrahim Timimi scrisse uno dei primi trattati sulla calligrafia. Ma la figura più importante nella scena teorica della calligrafia araba fu certamente Muhammad Bin Muqla. I dati sulla sua vita entrano nella leggenda: nato a Baghdad nel 885, fu principalmente un uomo politico al servizio del califfo al-Moqtader, passando l’esistenza tra intrighi politici, assassinii e lunghe prigionie, durante le quali gli fu prima amputata la mano destra, con la quale scriveva divinamente, e poi la lingua. Durante una delle sue prigionie, scrisse, con la mano sinistra, il suo Trattato sulla scrittura ben proporzionata, che è ad oggi l’opera di riferimento per ogni calligrafo che voglia scrivere l’arabo. Muqla stabilì i nomi e le regole delle sei variazioni classiche della scrittura corsiva, quelle che ogni calligrafo deve essere in grado di tracciare correttamente. Questi stili vennero codificati nelle loro forme e proporzioni, mettendo in relazione l’altezza dei caratteri allo spessore del corpo e stabilendo che la lettera alif fosse alla base del disegno per tutte le altre lettere. Il cerchio avente come diametro la lunghezza dell’alif è infatti la matrice di proporzione dell’intero alfabeto. Precisiamo che il canone di Muqla riguarda solo stili corsivi, curvi e tondi: gli stili geometrici infatti non furono mai, nè da Muqla nè da altri, regolamentati. 26
PROPORZIONI DI MUQLA
Lettere costruite sulla base del diametro della lettera Alif
Misura delle parti sulla base del calibro della penna
Corrispondenza tra parti uguali
Muqla dettò i quattro principi di base per il buon disegno del carattere: il rispetto degli elementi, vale a dire la precisa suddivisione tra tratti verticali, orizzontali e di rientro; la proporzione, cioè il fatto che elementi uguali tra loro devono essere di ugual dimensione nelle loro parti in ogni contesto; la composizione, cioè le regole per un layout armonico, le regole di simmetria e di bilanciamento, e la regolamentazione degli allungamenti estetici che una lettera può presentare; la seduta, cioè la posizione e la direzione della lettera e della parola rispetto alla linea di terra del rigo. Il fine era quello di conferire dignità alla scrittura in modo che fosse un piacere la lettura e che il segno non risultasse mai monotono e stancante per il lettore. 27
Sempre secondo il Trattato, per una chiara comprensione delle differenze dei vari stili vanno tenuti in mente i seguenti punti: la misura dell’alif; la particolare forma di ogni lettera, che sia isolata o legata, e la leggibilità della stessa; la lunghezza degli allungamenti; il rapporto da segno e spazio bianco. A noi non è arrivato nessun manoscritto di Muqla, ma le sue regole ci sono state tramandate dal suo allievo al-Bawwab*, il quale ampliò il canone del maestro regolando la strumentazione calligrafica e le misure per l’impaginazione dello scritto. È conservato alla Chester Beatty Library di Dublino un Corano calligrafato da Al-Bawwab, realizzato con molta probabilità nella sua scuola di Baghdad: questa scuola fu il più importante centro per lo sviluppo dell’arte calligrafica nel mondo islamico dal Nono alla metà del Dodicesimo Secolo, quando Baghdad cadde in mano mongola.
in alto
Composizione estetica riguardo i canoni di Muqla, Turchia, 1941.
www.islamic-arts.com Gli esercizi di misurazione dei tratti sono tutt’oggi alla base dello studio della calligrafia araba, e, per gli stili classici, i canoni sono rimasti invariati rispetto al X Secolo.
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Ibn al-Bawwab (950 c.a. - 1030 c.a., Baghdad) fu un calligrafo iracheno, reputato il maestro del corsivo rayhani e dello stile muhaqqaq e responasabile del perfezionamento di numerosi stili teorizzati da Bin Muqla un secolo prima, specialmente lo stile naskh ed il tawqi, collezionando e tramandando numerosi scritti del maestro per gli studenti della scuola di Baghdad. Di umili origini, il suo cognome significa letterelmente “figlio del portinaio”, si applicò per frequentare la scuola di Giurisprudenza e brillo negli studi teologici, sostenendo di conoscere a memoria il Corano. L’interesse di Bawwab per la calligrafia gli fu ispirato da Muhammad Ibn Asad e fu educato successivamente da Muhammad Ibn Samsamani, entrambi discepoli di Muqla. Si attribuisce al lavoro di Bawwab la redazione di 64 copie del Corano, uno dei quali, calligrafato in stile rayhani, si trova oggi alla Moschea Laleli di Istanbul, dove giunse come dono per il sultano Selim I nel nel 1470.
Luca Pacioli, Incisione (probabilmente realizzata da Leonardo Da Vinci) dal Divina Proportione, 1497
www.granada-design.com
Paco Fernandez dello studio Granada Design, in un post sul sito www.granada-design.com del 06/03/2008, ipotizza una suggestiva influenza araba sulle origini della tipografia latina del Rinascimento.
Gli studi di Muqla stabiliscono il punto di svolta per la calligrafia araba: il suo manuale ha stabilito un canone che non ha ancora conosciuto revisione, e ciò si può notare dal fatto che le scritte presenti sulla facciata del Taj Mahal in India siano formalmente identiche a quelle dei medaglioni della moschea di Santa Sofia a Istanbul. Tale fu l’impatto di questo canone nel mondo islamico, che si può ritenere che possa aver influenzato anche gli studi di disegno del carattere che avvennero in occidente cinque secoli più tardi *. Durante il Rinascimento, l’italiano Luca Pacioli (Borgo Sansepolcro, 1445 ca.Roma, 19 giugno 1517) con il suo Divina Proportione e il tedesco Albrecht Duerer (Norimberga, 21 maggio 1471 – Norimberga, 6 aprile 1528) con il suo Underweysung der Messung formularono principi per la proporzione delle lettere latine fondati sul rapporto tra la lettera I maiuscola ( la cui forma rassomiglia l’alif) ed il cerchio costruito sulla stessa, con una formula che trova buona similitudine con quella di Muqla. Questa teoria è molto suggestiva, anche se ad oggi non si è trovato esplicito riscontro in alcun documento dell’epoca. Anche nel testo del Duerer Della Simmetria del Corpo Umano infatti si potrebbe rintracciare un collegamento con le regole calligrafiche arabe, per cui il corpo è l’I maiuscola e il cerchio che vi viene costruito intorno il suo elemento di riferimento. Per approfondire vd. Della simmetria dei corpi humani. Libri quattro nuovamente tradotti [...] da M. Gio. Paolo Gallucci [..],In Venetia: presso Domenico Nicolini, 1591.
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STILI CALLIGRAFICI Analisi delle mani, ovvero gli stili calligrafici maggiormente ricorrenti nell’arte islamica e che hanno avuto maggior influenza sulla tipografia antica e contemporanea.
cufico
L
o stile cufico prende il nome dalla città irachena di Kufi. Questa è la mano più antica e la più direttamente simile agli scritti nabatei, e si può considerare l’esponente più importante della famiglia degli stili dritti ed allungati. I Corani più antichi arrivati fino ai giorni nostri sono calligrafati in cufico, così che, fino all’avvento del Trattato di Muqla, questa fu considerata la mano preferita per la scrittura religiosa. I testi su pergamena più antichi sono del tutto spogli di segni diacritici, e, ad eccezione dei punti indicanti le diverse lettere, imprevedibilmente di forma rotonda e colorati, la scrittura presenta nel suo complesso un aspetto molto sobrio. L’altezza dei tratti verticali è omogenea, cosi come la spaziatura tra le parole. Le prime pagine scritte in cufico non presentano decorazioni, nè geometriche nè floreali, o cornici d’impaginazione: tutta l’attenzione è focalizzata sul messaggio contenuto nella parola, relegando l’estetica ad un ruolo secondario.
a fronte
Due esempi di cufico applicato alla decorazione architettonica, esterno (sopra) e interno (sotto) della moschea An-Nasir Hasan, Cairo, XII sec.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 Annemarie Schimmel afferma che il cufico “è la scittura liturgica per eccellenza” ( Deciphering the Signs of God: A Phenomenological Approach to Islam, Glifford Lectures, Londra, 1999)
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Bottiglia per acqua alle rose, Iran, XIII sec.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010
Un forte effetto grafico è comunque assicurato dal ritmo creato dalle linee ortogonali e dagli occhielli e dagli ascendenti curvi, oltre che dal netto contrasto tra i segni neri e lo spazio bianco della pagina. Dato il suo carattere maestoso ed imponente, il cufico resta ad oggi uno degli stili preferiti per le decorazioni geometriche, ravvisabili in gran quantità nell’architettura e nell’arte ceramica. Soprattutto nella decorazione architettonica il cufico trovò in seguito la possibilità di arricchire il suo repertorio inserendo decorazioni di carattere naturalistico. Il cufico è la mano geometrica per eccellenza, ed è l’unica a presentare angoli retti nel disegno delle lettere, mentre lo spessore del corpo costante tende a mascherare la sua origine corsiva. Alcune scritte cufiche risultano composte solamente da stecche e da angoli retti, come tessere di un mosaico nel quale le lettere capitano una accanto all’altra senza logica di continuità. Se la leggibilità è quasi ridotta a zero, la potenza decorativa rende la scritta simile alla rappresentazione di un affascinante pattern labirintico. 32
Pagina di Corano scritta in Cufico Nordafricano Marocco, 1107
www.islamic-arts.com Il cufico maghrebino si differenzia dal cufico iracheno per le le forme arrontondate di ascendenti e discendenti: questo è dovuto all’utilizzo del calamo maghrebino dalla punta a V ( differente dal calamo classico dalla punta tronca).
naskh
L in alto
Esercizi preparatori di scrittura naskh, Izmir, 1791 c.a.
David Talbot Rice, Islamic Art, Thames and Hudson, London, 1975
a fronte
Copertina di Corano, Iran, XVI sec.
Maurice Dimand, L’Arte dell’Islam, Sansoni Editore, Firenze, 1972 La copertina in oro riporta sui bordi esterni un versetto coranico in stile naskh, mentre il centro è decorato con un motivo arabesco.
a mano naskh, lo stile più antico appartenente alla famiglia dei corsivi curvi e tondi, prende il nome dal verbo nasakh, che vuol dire copiare. Il naskh infatti permetteva di copiare il Corano molto più velocemente rispetto al cufico. Fino al decimo secolo, questo stile, probabilmente nato in Persia, era il corsivo utilizzato per la corrispondenza e per la scrittura di carattere profano. Da quando Muqla ne stabilì forme e proporzioni, perfezionandolo e catalogandolo in sei variazioni diverse, il naskh divenne utilizzabile anche nella scrittura religiosa, soppiantando, in breve tempo e quasi completamente, il cufico per la scrittura su carta. Il naskh classico di Muqla ha un corpo sottile ed i tratti sono longilinei ad affilati, e viene realizzato dal calligrafo ruotando il polso durante il tratto, modificando così l’inclinazione del pennino ed armonizzando il contrasto del carattere. 35
Ali Bin Ali Talib Versetto coranico con annotazioni personali, India, 1625.
www.islamicmanuscripts.com
Possiamo notare come all’interno della lettera siano assenti tratti filiformi, ma allo stesso tempo come il corpo delle lettere sia continuamente soggetto a variazioni, seppur in misura millimetrica. Caratteristiche del naskh calligrafico sono: la presenza di grazie appuntite sulla alif iniziale o isolata; tratti verticali più sottili dei tratti orizzontali che invece si ingrossano a circa due terzi della loro lunghezza, dove il corpo equipara la larghezza del calamo; la compresenza di varie linee di terra sulle quali poggiano le lettere, che sembrano fluttuare nello spazio bianco; l’utilizzo sistematico di allungamenti per i tratti orizzontali a scopo estetico e ritmico. Con lo stile naskh usato in contesti religiosi, appaiono i punti diacritici di forma romboidale ed in generale si diffonde l’utilizzo dei diacritici vocalici, che, riempiendo di piccolo segni lo spazio bianco, ne bilanciano la predominanza dovuta alla snellezza del tratto. Il carattere estetico e fluente del naskh lo porta ad essere spesso inserito in cornici geometriche, necessarie per non creare confusione in pagine con molte righe di testo. Il naskh infatti è una mano che fa della proporzione e del giusto bilanciamento tra i contrasti le sue caratteristiche di forza. Inoltre, la sua insuperabile leggibilità lo ha portato ad essere, con opportune variazioni, la mano antica più adatta per l’editoria contemporanea. 36
Decorazione e scritte in stile thuluth sopra la porta principale della moschea di Multan, Pakistan, XVII sec.
www.islamic-arts.com Le moschee di tutto il mondo islamico sono decorate con pannelli ceramici di colore azzurri sulle quali vengono dipinte i motivi arabeschi decorativi; per quanto riguarda le iscrizioni, esse sono di ceramica bianca e vengono incastonate nella mattonella, risaltando maggiormente in tutto l’insieme decorativo.
in fondo
Composizione circolare per la cupola della moschea Selemiye, Istanbul, 1957.
Gabriel Mandel Khan, Alfabeto Arabo, Mondadori, 2010, Milano.
thuluth
D
elle sei varianti classiche del corsivo dettate da Muqla, è doveroso approfondire quella detta thuluth, data la sua enorme diffusione. Il suo nome significa un terzo, e deriva dal fatto che Muqla indicò che “due terzi delle parti ( che compongono la lettera) sono dritti ed un terzo curvi”, definendone così, come per il naskh, il bilanciamento dei segni. Il thuluth è la variazione del naskh utilizzata per le iscrizioni monumentali di grande dimensione ed è lo stile corsivo più utilizzato nella decorazione delle moschee in tutto il mondo. È, per esempio, lo stile delle scritte presenti sui citati Taj Mahal e sui medaglioni di Santa Sofia. Le caratteristiche principali del thuluth non riguardano la forma della lettera, che condivide completamente con quelle, sopra illustrate, del naskh, ma piuttosto riguardano il come le lettere vadano posizionate nel rigo. Nel thuluth la 37
Pagine decorativa con poema religioso scritto in stile thuluth Iran, XVI sec.
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distanza tra le lettere è molto ridotta rispetto al naskh, e in molti casi si possono trovare lettere poste sotto un’ altra, ma che appartengono concettualmente allo stesso rigo. In molti casi, una lettera che grammaticalmente non si lega alla sua precedente, viene posta sotto di essa, duplicando la direzione di lettura della frase: sia da destra verso sinistra, sia dall’alto verso il basso. Inoltre il thuluth, che sia incorniciato oppure no, è pregno di segni diacritici, il cui corpo è di spessore rilevante, ed inoltre si dota frequentemente di segni decorativi per riempire gli spazi bianchi. Il risultato visivo è una serie di blocchi, rettangolari o ellittici, densissimi di scrittura, dall’aspetto imponente e maestoso, adatti appunto alle inscrizioni monumentali o ai titoli e alle copertine di libri. Questa estrema duttilità di layout lo rende inoltre lo stile più adatto per la realizzazione dei calligrammi. 38
ruqa
C
ontemporaneamente all’affermazione del naskh come stile principale per la scrittura religiosa, si sviluppò, probabilmente in Iraq, la scrittura corsiva detta ruqa. Questa mano era in assoluta la più rapida da eseguire, grazie alla scarsa ampiezza dei tratti, e dunque la più utilizzata per la scrittura di appunti e corrispondenza personale: ruqa significa brandello di tessuto, prendendo così il nome dai supporti non nobili sui quali veniva eseguita la scrittura. Essendo una versione semplificata del naskh, non presenta variazioni di inclinazione del pennino nè proporzioni complicate, ed inoltre permette di legare lettere che grammaticalmente non permetterebbero legature. I segni diacritici, a parte i necessari punti, anche se quasi sempre del tutto assenti non ne compromettono la leggibilità, che risulta molto alta. Questa scrittura non ha pretesa artistica, ed infatti è difficile rintracciarla nei manoscritti antichi, trovando invece molteplici utilizzi nel mondo moderno per la scrittura di testi lunghi.
Pagina da manuale scolastico, Egitto, 1890 c.a.
www.calligraphyqalam.com La scrittura ruqa non è considerata nobile e non viene utilizzata negli scritti religiosi, ma trova ampia applicazione in contesti scolastici giovanili per la facile comprensibilità di questo stile.
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a fronte
Poema d’amore scritto in stile nastaliq, periodo Mughal, India, XVIII sec.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010
Manoscritto su pergamena, Teheran, 1642 c.a.
www. islamic-arts.com
nastaliq
Q
uando il ruqa arrivò in Persia nel Tredicesimo Secolo fu eletto come mano principale per la scrittura della poesia profana e per la corrispondenza ufficiale. Vi fu un enorme miglioramento estetico di questo stile, che si modificò in modo tale da cambiare anche nome, divenendo il nastaliq. Il nome è una combinazione tra naskh, al quale si equiparava in bellezza, e taliq, che era il nome persiano del ruqa. Il nastaliq fu canonizzata nelle sue forme da Ali Tabrizi nell’anno 1446 d.C., e divenne lo stile più rappresentativo e utilizzato nel mondo islamico orientale. Del ruqa condivide la semplicità delle forme e l’assenza di grazie, oltre che l’andamento discendente delle legature. Ma la caratteristica tipica del nastaliq è la scrittura con l’inclinazione del pennino quasi verticale: questo crea un enorme contrasto tra segni verticali (molto fini) e orizzontali (estremamente spessi). Altri tratti caratteristici di questa mano sono: la brevità dell’alif; gli allungamenti esasperati dei tratti orizzontali e l’ampiezza dei tratti ricurvi; l’ampia spaziatura tra le lettere e tra le righe di testo, che rendono la lettura agevole e di ampio respiro; la prevalenza di spazio bianco sul foglio rispetto al segno scritto. Come già detto, questa mano trovò principale utilizzo nella poesia profana, specialmente quella a tema amoroso. Infatti i manoscritti di nastaliq persiani sono spesso decorati con motivi floreali graziosi e colorati, dall’aspetto più realistico se comparati con gli arabeschi geometrici, tipici dell’Islam occidentale. Il nastaliq, data la sua straordinaria bellezza, dal quindicesimo secolo in poi, fu adottato anche per gli scritti religiosi: è infatti la mano più frequentemente visibile, dopo il thuluth, nelle moschee di epoca ottomana. 41
Miniature persiane riportanti testi descrittivi in stile nastaliq, Iran, XVIII sec.
David Talbot Rice, Islamic Art,Thames and Hudson, London, 1975 La scrittura nastaliq si affianca spesso a miniature a tema profano, come quello amoroso (sinistra) o quotidiano (destra). assecondando le necessitĂ di tradizione della antichissima civiltĂ persiana.
a fronte
SAID FAZL ALLAH
Pagina decorativa con versi e massime persiane, Iran, XVIII sec.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 Questa pagina contiene scritte in shikasta, variazione assai complicata e poco leggibile del nastaliq. Questa variante era utilizzata nella corrispondenza personale, negli scritti di poesia e filosofia.
in alto
Composizione estetica riguardo i canoni di Muqla, Turchia, 1941.
Gli esercizi di misurazione dei tratti sono tutt’oggi alla base dello studio della calligrafia araba, e, per gli stili classici, i canoni sono rimasti invariati rispetto al X Secolo.
- a destra Esempi di stile diwani nella sua variante maggiormente diffusa, il jali. Istanbul, XX sec. a fronte
Fotografie personali www.calligraqphyqalam.com
diwani
T
ra le mani antiche, menzioniamo in ultimo luogo il diwani. Questo stile nasce all’inizio dell’era ottomana, e, disegnato per la prima volta da Housam Roumi nel 1507, raggiungerà la sua massima popolarità durante il regno di Solimano il Magnifico. Diwani in turco significa “della cancelleria”: era infatti la mano utilizzata per la stesura di documenti amministrativi e burocratici. è caratterizzato dalla predominanza di forme ricurve rispetto a quelle ortogonali, e dell’inclinazione all’indietro -vale a dire tendenti verso destra- delle aste verticali. Le grazie dell’ alif puntano verticalmente verso i basso e sono poste a sinistra rispetto al corpo della lettera, al contrario che nel naskh e nel thuluth, mentre i tratti ricurvi presentano code lunghe e filiformi. La sua versione più raffinata, detta jali, è densissima di segni diacritici e decorativi di corpo ridotto, ed è caratterizzata da un alto valore estetico, a discapito della leggibilità dello scritto. Tipico del jali è la tendenza della fine del rigo a salire verso l’alto, conferendo al blocco di scrittura una forma appuntita a sciabola. I campioni di stile diwani di piccola dimensione sono comunemente considerati più eleganti di quelli di grandi dimensioni: per questo è raro trovare traccia di questa mano all’interno di moschee o nelle inscrizioni monumentali, ed in generale questo stile non viene praticato su altro supporto che non sia cartaceo. Ancora oggi questa mano viene pricipalmente utilizzata nella corrispondenza ufficiale tra principi, re e presidenti, oltre che per la realizzazione di inviti, per cerimonie e per i biglietti di auguri. 45
a fronte
Basmala a forma di falco, Turchia, 1892.
David Talbot Rice, Islamic Art, Thames and Hudson, London, 1975
a destra in alto
Shah Mahmud Calligramma a forma di leone Iran, 1480 c.a.
Gabriel Mandel Khan, Alfabeto Arabo, Mondadori, 2010, Milano a destra in basso
Gabriel Mandel Khan Calligrammi a forma di pesce Afghanistan, 1946.
Gabriel Mandel Khan, Alfabeto Arabo, Mondadori, 2010, Milano
calligrammi
F
orse l’unico modo per eludere le regole coraniche di iconoclastia era disegnare con la scrittura. I calligrammi sono disegni figurativi realizzati con lettere modificate nelle forme e contenute in contorni di una figura. Solitamente il disegno è realizzato inscrivendoci una basmala, cioè la formula con la quale inizia ogni sura del Corano. I soggetti dei calligrammi possono essere forme zoomorfe, antropomorfe, architettoniche, floreali. Nonostante il grande fascino e la squisita bellezza, i calligrammi non furono mai considerati dai calligrafi alla pari della parola scritta, ma piuttosto come un semplice gioco, e la creazione di questi manufatti fu destinata alla vendita al popolo, e mai vennero esposti in contesti ufficiali politici e religiosi, in quanto considerati di scarso valore artistico e morale. In Persia, la grande diffusione della poesia profana permise un utilizzo poetico del calligramma, là dove si voleva aggiungere valore al testo, individuando somiglianze tra il suo contenuto ed una particolare forma naturale. Questo avveniva anche in un contesto scolastico infantile, per semplificare l’apprendimento dell’alfabeto da parte dei giovanissimi discepoli. Al giorno d’oggi, il calligramma si adatta perfettamente al concetto di logo, trovando larghissimo utilizzo nella grafica commerciale mediorientale. 47
Calligramma a forma di pera, Istanbul, 1912
www.sawat-al-khatt.com
a fronte
Calligramma a forma di albero della vita, Turchia, 1897 c.a.
Autori Vari, The Aura of Alif, Prestel, Munich, 2010 Il testo di questa composizione è specchiato, come è solito notare nei lavori dei calligrafi appartenenti alle congregazioni sufi turche.
Calligramma a forma di moschea, Istanbul, 1919 c.a.
www.sawat-al-khatt.com Opera attribuita alla congregazione sufi dei dervisci Bektashi, nata in Anatolia tra il XIV ed il XV secolo.
HASSAN MASSOUDI Prima frase della Carta dei Diritti Umani “Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali” in dieci stili differenti. Dall’alto verso il basso: CUFICO QARMATICO CUFICO MODERNO CUFICO MAGHREBINO NASKH THULUTH DIWANI NASTALIQ DIWANI JALI IJAZA RUQA
Gabriel Mandel Khan, Alfabeto Arabo, Mondadori, 2010, Milano
Collezione di tipi metallici arabi della stamperia al-Zakher, Libano, 1734
www.29letters.wordpress.com In Medio Oriente, per motivazioni religiose, la stampa a caretteri mobili si sviluppò con un discreto ritardo rispetto all’Europa. La stamperia cristiana del monaco Abdullah al-Zakher fu la prima tipografia attiva in Libano: qui si stampavano in arabo libri cristani, necessari per lo studio dei monaci e per i costanti tentativi di conversione dei maomettani al culto cristiano.
CAPITOLO II
STORIA DELLA STAMPA IN ARABO origini e primi esperimenti in italia
N
el Quindicesimo Secolo l’invenzione di Gutenberg della stampa a caratteri mobili non sortì nel mondo islamico lo stesso effetto rivoluzionario che ebbe in Occidente. Le primissime stampe di libri in arabo vennero prodotte in Europa dal momento che nel mondo islamico la produzione di testi rimase strettamente vincolata alla tecnica manoscritta fino all’apertura, nel Diciottesimo Secolo, dell’impero Ottomano nei confronti della meccanizzazione. È sicuro tuttavia che gli arabi fossero a conoscenza di metodi di stampa prima ancora dell’invenzione dei caratteri mobili: la stampa a blocchi, detta tars, viene usata in Medio Oriente a partire dal Decimo Secolo- circa cento anni dopo la comparsa dei primi libri stampati in Estremo Oriente con la tecnica delle matrici di legno. La tars consisteva nella realizzazione di scritte su foglio ricavate da un unico blocco di legno inciso a bassorilievo in negativo (tecnica analoga alla xilografia). La tars veniva principalmente usato per la creazione di amuleti portafortuna per i fedeli, costituiti da lunghe strisce di carta su cui erano stampate citazioni di versetti coranici. Sulla caduta in disuso di questa tecnica, Richard W. Bulliet, gli studiosi propongono due ipotesi: “una ne attribuisce la scomparsa alla Medieval Arabic resistenza di una potente classe elitaria di scribi, l’altra allo svilimento, percepito Tarsh, Columbia University, Journal come tale dalle autorità religiose, che il testo sacro subiva attraverso la of the Oriental riproduzione a stampa, che di fatto ebbe vita breve, ben presto vietata American Society, 1987, New York dall’autorità religiosa “*.Il tars quindi, non per motivi di praticità o di carattere tecnico, non riuscì ad evolversi in una tecnica di stampa a caratteri mobili. 53
Amuleti stampati su pergamena con la tecnica tars, Medina, XVIII-IX sec.
Richard W. Bulliet, Medieval Arabic Tarsh, Columbia University, Journal of the Oriental American Society, 1987, New York Conservati presso Madina Collection, New York City
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Erhard Reuwich Tabella con alfabeto arabo, 1486, Mainz.
www.coptist.wordpress.com
Il primo libro stampato contenente scrittura araba in una qualsiasi forma fu il Diaro di un viaggio in Palestina di Bernhard von Breydenbach, pubblicato in latino a Manz nel 1486. Questa stampa include una tabella riportante l’alfabeto arabo, affiancata da mappe ed altre illustrazioni, incise e stampate dall’artista Erhard Reuwich, che accompagnò Breydenbach nel suo viaggio. Reuwich disegnò le lettere in modo separato e solo nella loro forma isolata, senza tentativo di rappresentarle anche nelle loro variazioni, e la lettera legata lam-alif è segnata come un normale carattere a sè stante. La stampa sembra contenere anche un tentativo di disegno di una parola completa, probabilmente wàl salam o fàl salam, ma alcune lettere sembrano mancanti e complessivamente risulta illeggibile. Reuwich era un artista affermato ed è ricordato per essere stato il primo ad aver fatto un’illustrazione accurata per un libro stampato. Si può solo supporre quale sia stata la sua fonte per il disegno di queste lettere arabe: probabilmente uno scriba arabo cristiano disegnò per lui le lettere e ne scrisse i rispettivi nomi. Ma l’aspetto delle lettere è chiaramente influenzato dallo stile calligrafico gotico, tipico di quell’epoca in Europa, e dalle sue grazie ed angolarità, così che la lettera alif rassomiglia moltissimo ad una i maiuscola gotica. E’ poco probabile che questa tabella sia stata disegnata con l’intenzione di aiutare i viaggiatori a comprendere la lingua araba, piuttosto è probabile che sia stata inserita nel libro a scopo d’intrattenimento e curiosità, come un’immagine dal gusto esotico da affiancare alle altre illustrazioni del libro riportanti popoli, usi e costumi della Palestina. Nonostante ciò, l’alfabeto di Breydenbach fu trascritto dai filologi fino alla metà del Diciassettesimo Secolo. 55
Angelo Piemontese Illustazione dal Hypnerotomachia Poliphili,1499, Venezia.
Eros Baldissera, Corano: primo tentativo di stampa Venezia 1538,The Venice International Foundation, 2001,Venezia
Juan Varela Tabella con alfabeto arabo, 1505, Granada.
Eros Baldissera, Corano: primo tentativo di stampa Venezia 1538,The Venice International Foundation, 2001,Venezia
Il primo libro a contenere parole complete e riconoscibili in arabo compare alla fine del Quindicesimo Secolo. Aldo Manuzio, celebre pioniere della tipografia italiana, stampò a Venezia nel 1499 il libro Hypnerotomachia Poliphili, il quale conteneva due illustrazioni riportanti parole in arabo calligrafate. Il probabile autore di queste illustrazioni fu lo studioso Angelo Piemontese, ispirato da iscrizoni monumentali, e sebbene l’aspetto della scritta sia accettabilmente realistico, il contenuto è assai dubbio dal punto di vista grammaticale: infatti si riportano errori nell’assegnazione dei punti diacritici alle lettere e nelle traduzioni in greco ed ebraico, là dove sono presenti. E’ interessante notare come, mentre le scritte in latino ed in ebraico erano realizzate con tipi mobili in metallo, la scritta in arabo fu intagliata nel legno come pezzo unico: questo dimostra come, nonostante Manunzio fosse il miglior disegnatore di tipi della sua epoca, non fosse stato in grado di disegnarne di adatti per i testi arabi data la loro estrema difficoltà di riproduzione a mezzo stampa. 56
Un altro esempio di alfabeto arabo apparve all’inizio del Sedicesimo Secolo in Spagna, in un volume intitolato Arte para ligeramente saber la lengua araviga, scritto in spagnolo dal monaco Pedro de Alcala e stampato da Juan Varela a Granada nel 1505. Chiaramente più corretta di quello di Reuwich, la tabella alfabetica del De Alcala aveva la funzione di insegnare ai preti cristiani le basi della lingua araba al fine di poter meglio convertire i musulmani dell’Andalusia. Lo stile deriva dalle mani calligrafiche maghrebine e lo si può notare sia dalle forme delle lettere che dalla posizione dei punti diacritici. Ma l’autore non fu in grado di procedere oltre l’incisione di quest’alfabeto e di realizzare parole o testi completi. pagine successive
Gregorio De Gregori pagine dal Libro degli Orari di Preghiera, Fano, 1514.
Stefania Cantu’ e Paolo Del Corda, La scrittura araba e il Progetto Decotype, Sedizioni, Milano, 2013
Dalla scomparsa della tars il primo libro contenente frasi intere stampate in lingua araba fu il Libro degli orari di preghiera che venne edito in Italia nel 1514. Questa raccolta di preghiere stampata in caratteri mobili fu commissionata da Papa Leone X per la sua distribuzione tra gli arabi cristiani del Medio Oriente e, come recita il colofon, “terminato da Maestro Gregorio nella città di Venezia e completato nella città di Fano per ordine di Sua Santità il Papa Leone”. Di questo libro rimangono solo otto copie, ed in verità è ancora difficile attribuire con certezza autore e luogo di stampa di questi volumi. Nel 1516 Agostino Giustiniani ( 1470-1536) vescovo di Nebbio in Corsica e noto geografo e professore di lingue, fu l’autore del Psalterium. Quest’ opera è riconosciuta come la seconda testimonianza di stampa tipografica in lingua araba ed è, come la prima, una raccolta multilingue di salmi. Se risulta ancora incerta l’origine veneziana del Libro degli orari di preghiera, fu invece sicuramente a Venezia che venne stampato per la prima volta il Corano in arabo nell’officina dei Paganini tra il 1537 e il 1538. Il tipografo Alessando Paganino era uno tra gli editori più in vista del suo tempo e anche titolare, presso l’Università di Padova, della cattedra di Diritto canonico e civile. Il volume di questa prima edizione del Corano è composto da 232 carte contenenti unicamente testi in arabo e non presenta traccia né di proprietà né di uso, e prima del ritrovamento di una singola copia e della sua certa attribuzione al Paganino, questa edizione sembrava andata dispersa. 57
pagine precedenti
Alessandro Paganino pagine dal Corano di Venezia, Venezia, 1537-1538.
Stefania Cantu’ e Paolo Del Corda, La scrittura araba e il Progetto Decotype, Sedizioni, Milano, 2013
Stefania Cantu’ e Paolo Del Corda, La scrittura araba e il Progetto Decotype, Sedizioni, Milano, 2013.
Molte ipotesi sono state avanzate riguardo al destino di questa pubblicazione, dal totale fallimento editoriale europeo per la presunta mancanza di eruditi in grado di accedere ad un’edizione totalmente in arabo, alla distruzione per ordine pontificio. L’analisi dell’unico volume ritrovato presso la biblioteca dei Frati Minori di S. Michele a Venezia, suggerisce più complesse soluzioni. La carta pregiata dello stampato e l’indiscussa capacità imprenditoriale di Alessandro Paganino fanno pensare ad “un’ardita operazione editoriale di sfondamento del mercato musulmano. In un mercato già fortemente competitivo come quello dei libri a stampa del Sedicesimo Secolo, il ritardo nell’accogliere le possibilità offerte dalla tecnologia tipografica in arabo da parte delle autorità islamiche, dovette far sembrare il progetto un’operazione vincente, grazie al numero di potenziali acquirenti musulmani, anche tenendo conto della già grande tradizione tipografica diffusa ad Istanbul nelle comunità cristiane ed ebraiche.”*
La stampa in caratteri arabi presentò ancora problemi ben superiori a quella in caratteri latini o ebraici, e questo porta ad ipotizzare una stretta collaborazione tra i Paganini e alcuni intellettuali arabi o turchi: Venezia all’epoca era molto frequentata da commercianti musulmani e trovare collaboratori all’altezza del compito non era arduo, più difficile invece era reperire manoscritti di buona qualità per il disegno delle matrici. Nonostante gli sforzi dell’autore per ricreare una presentazione tradizionale attraverso ampi margini atti ad ospitare le cornici geometriche decorative ed in generale il rispetto degli spazi di layout tipici dei manoscritti arabi, si può constatare come l’aspetto delle lettere risulti più semplificato e meno elegante, oltre che irrispettoso dei canoni di proporzione e quindi non riconducibile a nessuna mano classica. In un universo ben regolamentato come quello della calligrafia araba, un testo cosi poco aggraziato dovette semplicemente sembrare brutto e probabilmente offensivo per i gusti sofisticati dei clienti musulmani del Paganino. A tutto ciò va aggiunto il fatto che la stampa del Corano era sostanzialmente illegale. Il progetto editoriale si rivelò un fallimento: ne è prova il fatto che tutte le copie stampate, tranne la sola ritrovata in Italia, ebbero come destino di finire distrutte o disperse. 60
tipographia medicea
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a stampa in caratteri arabi, dopo la prima stampa di Fano e il Corano di Paganino, vide l’opera del tipografo francese Robert Granjon che disegnò tipi in arabo a Roma dal 1585 in quattro taglie differenti, usati principalmente dalla Tipographia Medicea* che in quegli anni operava a Roma. Questi tipi erano chiaramente basati sullo stile delle mani calligrafiche classiche, i cui modelli furono procurati da Giambattista Raimondi, collezionista di manoscritti islamici. Granjon mostrò grande talento nel disegno dei caratteri e soprattutto comprese la necessità di progettare ed incorporare le legature nelle loro varietà, al fine di una migliore resa grammaticale ed estetica. Altri eventi significativi per lo svluppo della tipografia araba furono l’impegno dell’arcivescovo di Oxford Laud per l’acquisto nel 1637 di stampi di produzione olandese per la rinomata universita’ locale ed i primi stampi di produzione inglese di William Caslon nel 1720. In ogni caso, i tentativi europei di creare un’accettabile ed economico sistema di tipi si rivelarono ancora inadatti a rendere correttamente la complessita’ della grammatica araba e la varieta’ della sue figure. La Stamperia Orientale de’ Medici ( anche conosciuta come Tipographia Medicea) fu fondata da ferdinando de’ Medici nel XVI Secolo, e rimase attiva tra il 1584 e il 1614. la stamperia in primo luogo beneficio’, per i propri modelli tipografici, di manoscritti forniti da Ignazio Nemet Allah I, Patriarca della Chiesa Siriaca Ortodossa di Antiochia, che si trovava in esilio a Roma. Il Papa conferì alla Typographia Medicea il monopolio di stampa di libri in lingua straniera: la Typographia pubblicò numerosi testi cristiani in lingue orientali, tra i quali i Vangeli, che furono stampati in arabo nel 1591, ovviamente con l’obbiettivo di convertire i musulmani; viceversa, da questa stamperia uscirono inoltre libri scentifici di origine araba tradotti in latino, ad uso degli scienziati europei. Robert Granjon, che era stato in passato impiegato presso la Typographia Vaticana, lavorò presso la Typographia Medicea ome disegnatore di tipi orientali, mentre Giovan Battista Raimondi da Cremona fu nominato direttore della stamperia.
pagine successive
Robert Granjon Pagina dal Liber Tasriphi riportante testo in stile nastaliq, stampato presso la Typographia Mediacea,1610, Roma. Pagina dal Sanctum Dei Evangelium, Stampa bilingue Arabo-Latino, stampato presso la Typographia Medicea, 1591, Roma
Autori Vari, Le Vie delle Lettere, Mandragora, Firenze, 2012
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pagina precedente
Giambattista Bodoni Pagina dal Manuale Tipografico riportante testo stampato in alfabeto arabo, variante detta “persiano”, 1818, Parma.
Fussel-Stephan, Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni, Taschen, 2010, Colonia Anche Bodoni si cimentò nel disegno tipografico dei caratteri arabi. Nonostante gli eleganti risultati, si nota come il tipografo di Parma non riesca ad emulare correttamente lo stile calligrafico naskh, al quale questa pagina di “persiano” palesemente si ispira, probabilmente perché ignaro delle necessità proporzionali di questo stile di scrittura. Un’altra ipotesi sostiene che Bodoni non ebbe mai accesso a manoscritti arabi originali: sono infatti grandi le similitudini tra il “persiano” bodoniano e l’arabo del Libro degli Orari di Preghiera del maestro De Gregori.
nell’impero ottomano
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el Medio Oriente le stamperie a fusione vennero introdotte solo nel Diciottesimo Secolo. L’introduzione della stampa tipografica araba in Siria e Libano fu opera dei religiosi cristiani lì residenti: dapprima ad Aleppo, intorno al 1706, su iniziativa del patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Athanase Dabbas; successivamente a Choueir, nel 1734, nel monastero libanese di Mar Yuhanna (San Giovanni Battista), noto anche come “stamperia Zakhir”, dal nome del cattolico di Aleppo Abdallah Zakhir, considerato il primo stampatore arabo. L’introduzione della tipografia contribuì a rafforzare la diffusione dell’arabo come lingua di trasmissione del sapere negli ambienti cristiani, pressoché unici depositari, fino al Diciottesimo Secolo, della produzione di opere a stampa. La prima tipografia di Beirut, installata nel convento greco-ortodosso di San Georgios, nel 1751 pubblicò la sua prima opera, un libro di Salmi. Un secolo dopo, nel 1855, Damasco ebbe la sua prima vera e propria tipografia, dedita anch’essa alla produzione di libri religiosi cristiani scritti in arabo. Si dovrà comunque attendere il secolo successivo per vedere sorgere le due più importanti tipografie del Libano che svolgeranno un ruolo di rilievo nel rinnovamento della cultura e della lingua arabe e daranno vita, a Beirut, nel 1834 alla Tipografia americana e, nel 1848, alla Tipografia Cattolica. 65
Tipi metallici e strumenti per la stampa appartenenti alla stamperia al-Zakher, Libano, XVIII-XIX sec.
www.29letters.wordpress.com Nell’immagine in fondo alla pagina si nota come per le titolature grandi fossero utilizzate matrici in legno, assai piÚ comode per il disegno di stili complessi come il thuluth. I tipi metallici erano invece utilizzati nella stesura della parte testuale, dove venivano a mancare i segni diacritici vocalici e di intonazione creando un versione semplificata dell’arabo, retaggio delle esperienzae tipografiche europee.
ibrahim muteferrika
Pagine da La Storia delle Indie Occidentali, Istanbul, 1727.
Stefania Cantu’ e Paolo Del Corda, La scrittura araba e il Progetto Decotype, Sedizioni, Milano, 2013 *Fu il Sultano Ahmed III ad acconsentire all’installazione della prima tipografia, nel suo tentativo di attuare rifome che avrebbero portato l’Impero ad un livello culturale ed amministrativo molto vicino a quello delle potenze europee. Favorì la presenza di insegnanti di filosofia e di scienza provenienti dall’Europa e inviò ambasciatori nei più vivaci centri di cultura europei affinché apprendessero e riportassero nell’Impero le nuove dottrine umanistiche e scientifiche che andavano diffondendosi in quel periodo. Furono inoltre costruite numerose biblioteche in tutto l’Impero, fra cui una nello stesso palazzo di Topkapi di Istanbul, che ancora oggi porta il nome di Ahmed III.
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Nel 1727* viene stampato a Istanbul il primo libro arabo non-cristiano. Ovviamente non fu un testo religioso: La storia delle Indie Occidentali. Questo testo, meglio noto come Summario, in quanto si propone come riduzione dell’originale, è composto da 91 pagine, include quattro mappe ed è la versione stampata di un manoscritto nato centocinquanta anni prima. Il nome dell’autore del libro è sconosciuto, ma è noto che a stampare questo primo volume fu Ibrahim Muteferrika, un musulmano ungherese che convinse il Sultano ottomano che solamente grazie ad una maggiore diffusione della conoscenza tecnologica europea tra i popoli musulmani si sarebbe potuto contrastare il declino dell’Impero. In virtù del permesso del Sultano, Muteferrika potè accedere ai migliori manoscritti e creare dei tipi che rispettassero le regole e l’estetica degli stili calligrafici esistenti, in particolare il naskh, oltre che le regole grammaticali e la correttezza delle legature.
A partire dalle edizioni a stampa di Muteferrika, l’Impero Ottomano crebbe in capacità tecnica divenendo la maggior fonte di tipografia in lingua araba. La messa a punto delle regole tipografiche raggiunse il suo apice nel 1860, quando il tipografo armeno Ohanis Muhendisoglu gettò le basi del disegno del naskh moderno, prendendo come modello la calligrafia di Mustafa Izzet, Visir dell’Impero Ottomano e massima autorità in campo calligrafico. In Egitto invece le prime macchine da stampa arrivarono nel 1798 con l’esercito francese, e furono reimbarcate per la Francia dopo la disfatta di Bonaparte, nel 1801*.
Bonaparte, che ben comprese il ruolo della stampa come propaganda, si premurò di portarsi tre diversi set di tipi, latino per rivolgersi alle truppe, arabo per la popolazione occupata, greco per gli studiosi che l’accompagnavano nella spedizione. Le due pubblicazioni, il Courrier d’Égypte e la Décade Égyptienne segneranno nel giro di tre anni il debutto della stampa in Egitto e soprattutto di quella francofona, colpendo l’immaginazione dei contemporanei, così come dimostrano le parole del letterato Djabarti, meravigliato che i Francesi: « raccolgono quotidianamente informazioni che vengono stampate e successivamente distribuite in diverse copie all’interno del loro esercito, in tutto il paese, per diffondere informazioni della vigilia fra i più degni come fra i più miserabili dei soldati ».
Se si esclude l’edizione di un’opera in arabo, Amthal Luqman (I proverbi di Luqman), queste servirono a stampare proclami e dichiarazioni ufficiali dell’occupante, ma anche i primi giornali pubblicati nel paese: il Courrier de l’Egypte e La Décade Egyptienne, entrambi redatti in francese. Sempre in Egitto si stamparono i primi libri scolastici in lingua araba, a seguito della apertura, negli anni trenta del Diciannovesimo Secolo, di istituti di medicina, di farmacia, di chimica e di scuole militari. E’ interessante notare come il primo libro egiziano stampato in una tipografia egiziana sia stato un dizionario italiano-arabo: quest’evento fu legato all’invio, nel 1815, di una missione egiziana in Italia allo scopo di apprendere l’arte tipografica; ne faceva parte il siriano Nicolas al-Masabiki, primo direttore della tipografia Bulaq del Cairo. I borsisti egiziani, inviati in Francia nel 1826 e tornati in Egitto nel 1832, ebbero in seguito l’obbligo di tradurre in arabo le opere studiate nei loro corsi e queste traduzioni furono pubblicate sempre dalla tipografia Bulaq. 69
Tipografia Bulaq in una foto d’epoca (sopra) e pagine dal Dizionario Italiano - Arabo, primo testo stampato presso la Tipografia Bulaq (a destra), Cairo, 1815
www.islamicmanuscripits.info
inizio del xx secolo
Pagina (sopra) e Dettaglio (a sinistra) dal Corano del Re Fuad, Cairo, 1924.
Stefania Cantu’ e Paolo Del Corda, La scrittura araba e il Progetto Decotype, Sedizioni, Milano, 2013
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a tradizione tipografica egiziana culmina nella realizzazione di uno dei più preziosi esempi di tipografia araba moderna: il Corano composto ed impaginato al Cairo nel 1924 per commissione del Re Fuad. Le matrici originali in metallo usate per questa stampa coranica, che rappresenta l’apice della stampa a caratteri mobili in arabo, sono andate perdute, ma questo scritto è divenuto lo standard dell’Ortografia Coranica Contemporanea ( CQO) per la sua piena correttezza grammaticale e per la ricchezza di segni che favoriscono la giusta lettura del Libro, per la prima volta mettendo d’accordo tradizione calligrafica e nuove tecnologie. 71
Mustafa Kemal “Atatürk” insegna il nuovo alfabeto turco, Ulku, 1937.
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In Turchia, nel 1928, Mustafa Kemal detto Atatürk, ovvero ‘Padre dei turchi’, abolì l’alfabeto arabo per sostituirlo con quello latino, parzialmente modificato e integrato per adattarlo alle esigenze fonetiche della lingua turca abolendo di fatto lo studio della calligrafia*.
Non abolì solo l’alfabeto: il suo intento era la modernizzazione del paese e la sua liberazione dalle influenze straniere e, a questo scopo, ritenne necessario prendere le distanze dall’Islam, proclamando uno stato laico, promuovendo il voto alle donne e il suffragio universale (parecchi anni prima che in Italia), mettendo fuori legge la poligamia, eliminando le lingue, l’abbigliamento e gli usi non strettamente turchi, in un misto di nazionalismo e progressismo non esente da contraddizioni. Da un lato, infatti, Atatürk, che nutriva un’ambigua ammirazione sia per il sistema socialista sovietico che per il fascismo italiano, portò la Turchia sulla strada della modernità e della democrazia; dall’altro fece piazza pulita, oltre che del copricapo tradizionale e della religione di stato, anche di qualunque opposizione e dei gruppi etnici, come i curdi, che non si riconoscevano nella nazione turca.)
Si racconta che gli esperti linguisti abbiano chiesto ad Atatürk cinque anni per definire un alfabeto, lui concesse solo tre mesi. I calligrafi turchi, in quel 1928, sono annichiliti: è loro proibito di tracciare l’antica scrittura e di elaborare pagine del Corano, si chiede loro di convertirsi a segni banali e staccati, monotoni e incapaci di esprimere alcunché, che procedono incomprensibilmente da sinistra a destra (allontanandosi dal cuore); diventano inutili, perché il nuovo Stato entra entusiasticamente nella mondo della stampa e il loro mestiere – o, come essi lo intendono, il loro sacro ministero – finisce per sempre. A Istanbul la gente scenderà a manifestare in piazza portando per protesta bare piene di calami. 72
Posters cinematografici riportanti testi in francese, turco in alfabeto arabo e turco in alfabeto latino
www.gettyimages.com Dal 1928 al 1929, in Turchia fu permessa la stampa di testi in lingua turca sia in alfabeto arabo che in alfabeto latino, per facilitare la transizione dal vecchio alfabeto al nuovo.
Per lungo tempo, fino agli Trenta del Novecento, la tipografia non si emancipò dalla calligrafia, cercando comunque di riprodurre le forme degli stili classici, ed inevitabilmente risultando incapace di emulare appieno l’estetica e la varietà della scrittura manuale. Se consideriamo il fatto che le migliori botteghe di copisti di Beirut, Istanbul, Baghdad e del Cairo erano in grado di redigere a mano in media dodici libri da centosessanta pagine al giorno, possiamo capire come abbia prevalso per lungo tempo, sul vantaggio tecnicoeconomico e la rapidità tipografica, l’elemento estetico e la potenza religiosa e culturale della calligrafia. L’inizio della stampa commerciale, delle riviste e dei giornali quotidiani impose tuttavia, agli inizi del Novecento, la necessità inevitabile di una semplificazione della comunicazione per iscritto. Nel 1911 fu prodotta una macchina Linotype che conteneva 180 tasti ed altrettanti glifi arabi, ed i testi incominciarono a spogliarsi dei segni diacritici vocalici e decorativi, delle cornici e dei layout geometrici, degli allungamenti estetici e di tutte le legature particolari che potevano presentarsi nell’accostamento di due lettere: insomma tutte le libertà estetiche che la mano concedeva alla scrittura. Le leggi economiche occidentali che legano i costi e la velocità in rapporto ai benefici allontanarono gradualmente la scrittura araba dal suo valore religioso ed atemporale, arrendendosi infine alle necessità della comunicazione di massa. 73
Olivetti Lettera 32 Portable Manual Typewriter - Arabic version, 1965.
www.retrotechgeneva.net Questa macchina da scrivere usa una delle prime versioni di arabo semplificato: invece di avere quattro forme variabili per ogni lettera, ne ha solo due, quella isolata e quella finale, con il tasto Shift che permette di scegliere tra le due. In fondo alla pagina, un campione di scrittura della macchina, tratto un frame del film di David Cronenberg Naked Lunch del 1991.
stampa nel xx secolo
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el 1936, all’Accademia della Lingua Araba del Cairo si tenne una conferenza riguardo al proposito di standardizzare la scrittura in arabo dei fonemi non-arabi, al fine di rendere più efficace la traduzione dalle lingue straniere, soprattutto francese ed inglese. Nel 1945 l’Accademia promosse un concorso internazionale per riformare e semplificare la lingua araba al fine di renderne più facile l’apprendimento, la scrittura e la comprensione. Così tra il 1947 ed il 1958 molte proposte vennero sottoposte all’attenzione dell’Accademia, ma nessuna di queste venne accettata. Tra il 1955 e il 1959, L’Accademia ripropose il concorso, ma anche questa volta il risultato fu fallimentare. La commissione dunque decise di limitare i campi da riformare o semplificare, indicando le tre regole tipografiche basilari che dovevano essere al centro del progetto: la standardizzazione delle lettere addizionali che rappresentano suoni nonarabi; il disegno obbligatorio dei segni diacritici vocalici, necessari nei libri di testo grammaticali per gli studenti della lingua; la riduzione del numero di glifi arabi da 300 a 169, vale a dire solo il numero delle variazioni fondamentali della lettera e di alcune legature indispensabili. Fu durante il periodo che seguì la fine della Seconda Guerra Mondiale, nel quale la maggioranza di nazioni arabofone si erano rese indipendenti dalle potenze coloniali e si trovavano alle prese con la costruzione di proprie infrastrutture, che l’Accademia della Lingua Araba iniziò a riflettere sullo sviluppo educativo, sociale e tecnologico che le neonate nazioni si preparavano ad affrontare. La necessità di una scrittura semplificata sorgeva insieme alla necessità di adattarsi alle nuove tecnologie tipografiche, che all’epoca erano ancora essenzialmente rappresentate dalla macchina Linotype, rinunciando ai ritmi lenti ed alla complessità grammaticale della calligrafia. L’Accademia divise i progetti ricevuti in tre categorie: progetti che rompevano completamente le regole della scrittura araba, sostituendola con le lettere latine; progetti che convertivano i diacritici vocalici in lettere indipendenti; progetti che proponevano per ogni lettera un singolo glifo, eliminando le legature corsive, adattandosi così alle caratteristiche del tipo mobile.
Una linea di composizione Linotype recuperata nella tipografia di al-Sidawi a Damasco, Siria.
Mostriamo qui le proposte più interessanti presentate durante il concorso, che peraltro non ebbe alcun vincitore ufficiale pur costituendo uno snodo cruciale nella storia della tipografia in arabo: immagini da www.29letters.wordpress.com
Il progetto Unified Arabic del libanese Nasri Khattar (1911-1998) fu presentato nel 1947. Khattar era un architetto, type designer, inventore, pittore, scultore e poeta. Dopo aver concluso i suoi studi in architettura negli Stati Uniti, fu apprendista nello studio di Frank Lloyd Wright. Lavorò come consulente per la lingua araba presso la IBM negli anni Cinquanta, e come architetto e designer per la compagnia petrolifera arabo-americana Aramco a New York City dal 1950 al 1957. Durante questo periodo, realizzò molti lavori calligrafici per questa azienda, e nel 1958 ricevette una borsa dalla Ford Foundation per lo studio e la realizzazione del suo progetto di Arabo Semplificato. Il sistema di Khattar mirava a semplificare la stampa e l’insegnamento della lingua araba, persiana e urdu, e tutte quelle utilizzanti l’alfabeto arabo. Quattro sono le caratteristiche fondamentali di questo unico progetto: un singolo glifo per lettera, slegato ed indipendente; ogni lettera si differenzia dalle altre mantenendo le forme dell’alfabeto tradizionale; i caratteri sono lineari ed ampi per facilitare la leggibilità specialmente in piccole dimensioni; i tipi furono disegnati su una matrice quadrata, con spazio regolamentato per ascendenti e discendenti. Il progetto di Yaya Bouthemene del 1952 consisteva in una latinizzazione dello scritto arabo: suggeriva cioè l’eliminazione di qualsiasi legatura e che il tipo fosse costruito su una struttura di altezza x, con ascendenti e discendenti regolamentati, cosi come la spaziatura ed il kerning. Era un progetto di completa rottura con la tradizione araba e la tradizione calligrafica. Il progetto di Ali al-Gharim del 1952 proponeva il disegno di lettere aggiuntive al posto dei diacritici vocalici. 76
Il progetto Yakout per Linotype di Mahrib Jaroudi del 1956 proponeva un ridotto numero di forme basilari delle lettere per rappresentare l’alfabeto per intero. Le forme iniziali e mediane della lettera furono unificate in un solo glifo, così come le forme finali ed isolate, con l’eccezione di alcune lettere dove le varie forme furono mantenute diversificate. Questo permetteva una grandissima riduzione del numero di tipi necessari per scrivere, da trecento ad un centinaio. Questo tipo fu progettato per la realizzazione di stampi in metallo utili in particolar modo per la stampa di giornali quotidiani. Il progetto, del 1958, ASV-CODAR ( Arab Standard Voyelle - Codage Arabe) del marocchino Lakhdar Ghazal, benchè fosse stato scartato dall’Accademia del Cairo, fu adottato dal Governo marocchino all’interno del progetto di realizzazione dell’Istituto per lo Studio e la Ricerca per l’Arabizzazione del 1960. Il progetto di Ghazal trovò l’approvazione governativa poichè semplificava la scrittura, mantendo però le forme e lo spirito dell’arabo classico. Le principali caratteristiche sono: forma unica per i glifi, però mantenendo le legature per le lettere; il disegno di code applicabili ad ogni lettera, quando essa sia in posizione finale; i segni diacritici vocali sono disegnati indipendentemente e trovano posizione dopo la lettera che modificano, non sopra o sotto, creando segni e tipi separati. Il progetto Libanese Type di Said Akl del 1960 prendeva spunto dal disegno del carattere Times, mosso dal desiderio di affrancare l’alfabeto arabo dalla tradizione islamica. Il progetto prevedeva l’eliminazione dei punti diacritici, degli accenti e dei segni vocalici e l’uniformità dimensionale tra le varie lettere; le lettere vennero slegate a presentare una sola unica forma, e le vocali brevi furono rappresentate con un glifo indipendente. 77
Nasri Khattar
Brevetto per il carattere Unified Arabic corpo 36 punti New York, 1952
www.arabictype.com
a fronte
Nasri Khattar
Carattere Unified Arabic in tre pesi differenti
www.arabictype.com
La grande rivoluzione di Khattar fu il separare la scrittura araba dalla sua natura corsiva: ogni carattere disponeva di un solo glifo indipendente, dalla forma semplice e leggibile. Khattar aveva studiato la tipografia occidentale presso la Columbia University di New York, ed il suo progetto si può definire a buon merito come il primo cosciente tentativo di latinizzazione della scrittura araba.
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da analogico a digitale
Tabella Unicode per la scrittura araba, 1991.
www.technet.com
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ai primi anni Sessanta alla fine degli Ottanta del secolo scorso, durante la transizione da tecnologie analogiche a quelle computerizzate, la scrittura araba digitale dovette affrontare vari problemi quali la connessione tra le lettere, la limitazione dei set di caratteri e la direzione di scrittura. Non erano i limiti di programmazione dei computer la causa di questi problemi, i quali sussistevano, come abbiamo visto, anche nella composizione analogica. Certamente il computer dell’epoca presentavano diversi limiti legati alla visualizzazione del progetto su display ed alle tecnologie di stampa, ma Thomas Milo dello studio grafico olandese Decotype identificò il vero problema nella “mancanza di conoscenza e curiosità delle compagnie informatiche occidentali riguardo alla necessità del sistema di scrittura arabo. Questa è Thomas Milo, Arabic Script Tutorial for Unicode la ragione per cui l’arabo ha un costante bisogno di Implementation - 2005-2012, Saggio, 2012, Amsterdam semplificazione”*. Consistenti miglioramenti si ebbero con la definizione di uno standard Unicode dell’arabo. Unicode è un sistema di codifica che assegna un numero univoco ad ogni carattere usato per la scrittura di testi, in maniera indipendente dalla lingua, dalla piattaforma informatica e dal programma utilizzato. Unicode è stato compilato e viene aggiornato e pubblicizzato dall’ Unicode Consortium, un consorzio internazionale di aziende interessate alla inter-operabilità nel trattamento informatico dei testi in lingue diverse. Unicode per l’arabo definisce un sistema semplificato di rapporto numero-lettera, ma non risolve problemi tipografici, sebbene comprenda alcune parole legate, provenienti da contesti liturgici, che sono rappresentate da un unico glifo caratteristico (come la parola , Allah). Successivamente alla codifica Unicode, la diffusione dei software di type-design come OpenType Font che supportano il sistema arabo su Mac OSX e Windows, ha permesso un facile accesso alla progettazione di font ed al loro utilizzo nei software di grafica. Oggi dunque è possibile progettare digitalmente sistemi di caratteri estremamente diversificati, e la cultura del type design arabo è enormemente diffusa ed insegnata presso le Università ed Accademie di paesi che ad oggi utilizzano l’alfabeto arabo.
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CAPITOLO III
TIPOGRAFIA CONTEMPORANEA
premessa
I
n che modo il lettering e la tipografia stanno cambiando la realtà del mondo arabo di oggi? Il tradizionale repertorio di immagini della cultura araba sta evolvendosi, dal punto di vista politico, sociale ed espressivo: allo stesso tempo la tradizione grafica sta voltando pagina, allontanandosi dalla sua estetica coranica e dal contenuto religioso, invadendo la vita civile e laica, le strade e la comunicazione in ogni ambito. Fino a poco tempo fa, la calligrafia era la tra le forme d’arte la più venerata, mentre la tipografia era considerata la sua “cugina povera”, poco curata e sottosviluppata, percepita come il risultato del lavoro di artigiani scadenti, privo di valore estetico e culturale, rimarcando una differenza concettuale tra la calligrafia, mirata all’estetica ed eseguita dalla mano, e la tipografia, mirata alla funzione ed eseguita dalla macchina capace di dare vita ad una moltitudine di copie. Quando il libro stampato fu introdotto nel Medio Oriente, i caratteri furono disegnati per rassomigliare il più possibile agli stili calligrafici popolari della tradizione, e per molto tempo i tipi, che fossero disegnati da cristiani o da musulmani, non si emanciparono dalle forme antiche. 83
Nonostante i tentativi di modernizzazione avvenuti degli anni Trenta del Novecento in avanti, l’ identità visiva dell’arabo non riuscì a mutare nella pratica e nel pensiero comune, anche in quanto gli unici produttori di macchine tipografiche erano industrie occidentali sicuramente poco coscienti della lingua e della cultura dei paesi arabi, assolutamente non in grado di sperimentare ed innovarne la scrittura.
a fronte
Trasferibili Letraset di carattere Naskhi, edizione del 1977.
Gabriel Mandel Khan, Alfabeto Arabo, Mondadori, 2010, Milano
Un primo miglioramento si ebbe con l’invenzione dei trasferibili Lestraset, che, dato il basso prezzo, attirarono l’attenzione dei designers arabi intenzionati a disegnare e produrre caratteri trasferibili dalle forme moderne e dal gusto contemporaneo. Successivamente, seppur con un significativo ritardo rispetto al mondo occidentale, l’informatizzazione e il type-design digitale hanno aperto un’infinita’ di nuove possibilità di progettazione per i grafici mediorientali, nordafricani, persiani, afghani e di tutto il mondo arabo in generale. Il processo di globalizzazione ormai in atto, a cui si deve l’ incontro tra la tecnologia industriale occidentale e la concezione dell’arte propria del mondo islamico, potrebbe generare esiti non del tutto positivi. Se è indubbio che i contatti e gli scambi tra diverse civiltà storicamente hanno portato a considerevoli arricchimenti culturale, resta alto il rischio di un appiattimento e svilimento della tradizione: sarà compito dei designers arabi proteggere e coltivare la tradizione e l’identità della propria cultura, sia essa grafica o visiva, cercando di adattarla alle esigenze di un mercato globalizzato e allo stesso tempo “contaminandola” con le nuove tendenze. Internet ha offerto la possibilità di comunicare globalmente in tempo reale, e se in rete lo scambio di immagini è vertiginoso, la scrittura – intesa adesso come composizione digitale- è in continuo dialogo con le immagini ed è tornata a giocare un ruolo di medium fondamentale per la comunicazione*. Vedi Fiormonte Domenico, Scrittura e filologia nell’era digitale, Bollati Boringhieri, Torino, 2003. Sulle caratteristiche presenti della scrittura elettronica, partendo dai generi sviluppatisi grazie a Internet, tali scritture han rivitalizzato discipline in crisi come la composizione e fatto nascerne altre come la web usability e la net semiology. Lorenzo de Carli aggiunge che nel protocollo di comunicazione digitale c’è un’inclinazione all’interazione condivisa. Berners Lee sottolinea tale abilità del web di collegare e giungere a tutto con facilità. Gli elementi che distinguono la rete sono dunque il principio di condivisione e la presenza di una conoscenza dialogica (conoscenza come incontro tra persone, il cui oggetto è attivo). In tale contesto dialogano universi semiotici spesso tenuti separati come immagine e scrittura.
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Raccolta di insegne commerciali ed indicazioni stradali della cittĂ di Marrakech, Marocco, 2011. fonte: fotografia personale
Poster dell'ambasciata iraniana a Washington D.C., dedicato al primo anniversario della Rivoluzione Islamica in Iran, 1980.
PhD research by student Elizabeth Rauh, University of Chicago. www.lib.uchicago.edu
In questo contesto di sviluppo sociale, tecnologico e di cambiamento economico, particolare interesse riveste l’arte pubblica e quella di strada: i graffiti, i poster, i volantini e tutto ciò che i designers progettano per comunicare con efficacia ad un livello popolare. Dall'inizio delle cosidette primavere arabe, il concetto tradizionale di lettering si e’ chiaramente allontanato dalla sua funzione estetica, invadendo le strade come un agente di resistenza e di protesta contro politiche governative dei vari stai nordafricani e mediorientali. Le proteste per le strade sono il palcoscenico per un nuovo e creativo uso del lettering, come nel caso degli studenti che formano la scritta Free Tunisia con il loro corpi durante un sit-in, come le scritte realizzate con candele durante le proteste in Siria e soprattutto gli slogan di protesta pitturati su teli o sui muri con spray o vernice. La scrittura araba dunque, proprio in questi ultimi anni, è riuscita a rompere la barriera concettuale che separava arte “alta” da arte “bassa”, e la tipografia si é guadagnata l’attenzione, il rispetto e l’impegno delle nuove generazioni. 87
a fronte
Poster con logo Coca Cola Company, Libano (?), anni '70.
fotografia personale. Questo poster d'annata è stato rinvenuto in un negozio di antichità nel quartiere Beyoglu di Istanbul. Ritrae un logo Coca Cola dipinto a mano, probabilemente su parete, che dunque risulta "scrostato". La datazione e l'origine sono incerte.
in alto
Nermin Moufti Mirror of love is blind, Siria, 2010.
Studio EPS51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
a destra
Ganzeer Poster per il festival culturale Farah el-Bahr, Alessandria, Egitto, 2009.
Studio EPS51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
l’eccezione persiana
A
bbiamo sempre sottointeso, nella nostra esposizione, che il mondo arabo sia un insieme omogeneo dal punto di vista di produzione grafica e, piu’ generalemente visiva. Non abbiamo fino ad ora quasi mai differenziato la produzione, per esempio, egiziana da quella libanese. Le motivazioni di ciò sono l’effettiva compattezza del blocco islamico dal punto di vista teologico e successivamente grafico: una compattezza che è stata in grado, attraverso i secoli, di fare tra collante tra popoli sicuramente differenti tra loro, e tutto ciò imponendo una lingua, una scrittura ed un libro sacro, ovvero tre media fondamentali di comunicazione visiva ( linguaggio, segno-scrittura ed editoria). Un’altro fatto notevole riguardo alla storia della grafica in arabo é che gli stili calligrafici, che abbiamo analizzato nel primo capitolo, siano diffusi in modo eguale in tutto il mondo islamico senza distinzione di origine nazionale ( a mio avviso l’unica eccezione resta il cufico maghrebino, praticato esclusivamente nella zona del maghreb); inoltre nessuno stile ha, nel susseguirsi dei secoli, in qualche modo prevalso su di un altro ed allo stesso tempo nessuno stile è mai completamente caduto in disuso, continuando a mantenere inalterate le forme ed addirittura le stesse funzionalità per le quali era stato codificato in origine. Analogamente nella storia della tipografia, che ha subito un lunghissimo processo di perfezionamento per tentare di equiparare la calligrafia, non si trovano momenti di straordinario allontanamento dalle norme tradizionali ed assolutamente nessuna tendenza grafica regionale. Tutte queste considerazioni ci permettono di dedurre che attraverso i secoli il blocco islamico abbia conservato un’identità grafica nitida ed omogenea nella storia dell’arte edi conseguenza nell’immaginario occidentale. 90
Copertina della rivista iraniana Ettelaat, 1971.
www.behzadgolpayegani.com
Queste considerazioni trovano però un eccezione indiscutibile: la Persia. L’arte visiva persiana è sempre stata, per motivazioni religiose e culturali, una mosca bianca nella storia dell’Islam, in quanto sciita e comunque fondata su di una tradizione antichissima sulla quale la religione islamica non ha potuto esercitare la stessa influenza totalizzante che si attuò nella conquiste del Nord Africa e del Vicino Oriente. La Persia fu la patria del nastaliq, tra tutti lo stile calligrafico più leggiadro, e la sua produzione di poesie amorose e miniature librarie a carattere profano creano l’unico caso regionale in cui la scrittura araba si allontana drasticamente dalla sua estetica e contenuto religiosa: la grafica persiana nasce con prerogative differenti rispetto al resto della grafica islamica e sviluppa in una direzione laica ed indipendente. 91
Behzad Golpayegani Copertine di libri (in alto) e di rivista (a fronte) Iran, 1968-1975.
www.behzadgolpayegani.com Behzad Golpayegan è considerato il fondatore della moderna tipografia iraniana. Dopo avere studiato pittura all'Accademia di Teheran, si impose come tipografo, sperimentando soprattutto una nuova visione del Naskh. I suoi caratteri sono sproporzionati e gonfi rispetto ai canoni classici, ma sono perfettamente leggibili anche dalla distanza e permettono combinazioni grafiche giocose e leggere che poggiano su campiture in colori neautri e layout ortogonali.
92
Poster cinematorafici, Iran, anni '60.
www.mubi.com
A testimonianza di questo spirito libero, gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento furono per la grafica persiana un momento di totale sperimentazione: erano gli anni dell’autarchia dello Scia’, che trova l’appoggio economico degli Stati Uniti e nessuna ostilita’ dal blocco sovietico. L’influenza della produzione grafica americana permette alla monarchica e laica Persia di innovare i caratteri grafici dell’editoria, dei poster dei lungometraggi, delle confezioni dei dischi Long Playing e di tutti i prodotti “alla moda” che arrivarono copiosamente dall’Occidente. Fu un momento straordinario per sviluppo dei diritti civili, dell’educazione superiore e di innovazione in campo artistico. 94
Copertina di Lp del 1961 di Faramarz Payvar Ensemble, orchestra di musica tradizionale persiana, Istanbul, 2013.
fotografia personale
Copertine di Lp di artisti rock persiani anni '60 e '70.
www.dustgrooves.com
Poster cinematografici, Iran, anni'70.
www.mubi.com
a fronte
Pubblicità Iraniana, 1974.
www.gohubizo.ir
pagina successiva
Mostafa Asadollahi Poster per la quinta edizione del Biennial of Iranian Graphic Designer,s, 1996.
www.artreact.blogspot.com
Le grafiche persiane di quegl’anni sono uniche per libertà compositiva e tipografica: le scritture manuali sono storte e colorate e dal carattere fortemente cartoon, i caratteri tipografici sono irregolari e le legature tra le lettere sono molto spesso spezzate, per un effetto di imprecisione dovuto alla tecnica dei trasferibili. Molto spesso la scrittura si affianca alla fotografia, fatto che dobbiamo considerare assolutamente inusuale per il mondo arabo, dove il concetto di iconoclastia osteggia fortemente la produzione fotografica dove il soggetto sia rappresentato in modo disonorevole. Questi anni di pura sperimentazione e di fortissima influenza occidentale trovarono un brusco stop in seguito alla Rivoluzione Islamica dell’Ayatollah Khomeini del 1979, che ripristinò il mondo della produzione visiva ad uno standard assai piu’ conservatore ed in linea con il resto della teologia islamica. L’Iran fino ad oggi non ha perso il suo carattere eccezionale nel mondo della produzione grafica e visiva, restando in assoluto la società più attiva nell’innovazione grafica della scrittura araba: dal 1992 a Teheran si svolge la più antica Biennale di Graphic Design del mondo islamico. Non ci soprende che lo Studio Eps51 abbia sottotitolato il suo libro Arabesque con Graphic Design from the Arab World and Persia, rimarcando l’unicità del carattere della produzione grafica persiana. 97
qual è il futuro della tipografia araba?
La domanda fu posta nell’Aprile del 2005 durante la conferenza TypoGraphic Beirut, svoltasi nella capitale libanese alla Lebanese American University. Risponde Huda Smitshuijzen-Abifares. “Ci sono tre principali correnti oggi nel mondo del disegno tipografico arabo. La prima è rappresentata dai designers e tipografi che lavorano per semplificare la scrittura e non solamente per renderla in corsivo, ma anche slegata, più simile al concetto occidentale di font. Le necessità pragmatiche di comunicazione digitali richiedono nuovi font altamente comprensibili adatti alla lettura su schermi tv, siti web, telefoni e smartphone. Inoltre c’è sempre più richiesta di progetti tipografici dual-script, cioè bilingui, dove i font presentano sia caratteri latini che arabi che devono combaciare in proporzioni e dettagli visivi. Questi progetti sono pensati per giornali, libri scolastici, riviste, packaging, branding e design di informazione. La seconda è quella dei designers potremmo dire più “conservatori”, che, legati profondamente alla tradizione, ritengono che l’arabo non abbia bisogno di tali semplificazioni, dal momento che le moderne tecnologie permettono una facile riproducibilità anche dei complessi stili calligrafici tradizionali. Questi font hanno un utilizzo limitato all’editoria di prestigio ed il loro disegno richiede molto tempo e conoscenza approfondita della tradizione visiva calligrafica. La terza corrente è costituita dai progetti tipografici mirati a creare un linguaggio di coesione sociale e di protesta, in ambito di attivismo politico. Rispondendo alle necessità di utenti sempre più giovani e globalizzati, alla loro cultura ed alle ultime tendenze, si creano lettering dal gusto illustrativo e realizzati a mano, in uno stile ricco di colori, texture e complessità, prestando particolare attenzione all’individualità del designer ed all’unicità della sua mano. Questa corrente, derivante dall’arte di strada e dei graffiti, comprende lavori di tipografi e artisti desiderosi non solo di creare immagini potenti, ma anche di rappresentare in maniera responsabile e trasparente la realtà sociale e gli ambienti urbani delle loro città. Qualunque sia la direzione o l’intenzione che sta dietro la creazione di un font arabo, è necessario constatare come la richiesta di tali servizi grafici stia crescendo esponenzialmente.Al giorno d’oggi, l’industria tipografia incontra un momento estremamente favorevole che si suppone possa durare ancora a lungo. Nel mondo arabo, il livello di rispetto e conoscenza della tipografia sta crescendo, così come il numero di designers impegnati in tali progetti”.
CORRENTE FUNZIONALE
C
on il temine "corrente funzionale" individuiamo un insieme di progetti tipografici contemporanei principalmente mirati all'editoria, alla pubblicità ed all'informazione. Il disegno di caratteri leggibili, adatti a testi lunghi, che funzionino su diversi supporti, anche affiancati da testi in carattere latino è l'obiettivo di una considerevole fetta di grafici arabofoni. Poiché questa è la richiesta più frequente delle aziende che, avendo guardato ai modelli d'impresa occidentale, hanno compreso che creare un immagine unica ed univoca per il proprio prodotto è uno delle necessità fondamentali per una comunicazione di successo. Questa corrente è, tra le tre, il risultato più evidente della fusione di culture, e non ci sorprende scoprire come una grandissima parte di studi che lavorano a questi progetti tipografici siano situati in Nord Europa, specialmente in Olanda e in Inghilterra, paesi storicamente di forte immigrazione e quindi interessati ad accogliere ed integrare professionisti grafici - e di altri settori culturali limitrofi- arabi, nordafricani ed orientali arabofoni. Gli studi grafici misti sono diretti figli di queste politiche governative di integrazione, e questo clima vivace di scambio in co-working ha creato lo scenario adatto alle più interessanti sperimentazioni grafiche e comunicative. In questi studi europei vengono prodotti lavori commissionati sia da privati esteri, che ricercano la qualità del design europeo, sia da privati o uffici pubblici locali interessati a comunicare con le comunità arabofone, spesso molto popolose, presenti sul territorio: in quest'ultimo caso, la scelta di pubblicazioni bilingui ha sia scopo informativo che didattico, poiché attraverso la traduzione presente a fronte, le nuove generazioni di immigrati hanno la possibilità di prendere dimestichezza con la lingua locale, in situazioni esterne ai corsi scolatici, e per immigrati di seconda generazione di riavvicinarsi alla lingua e alle culture di provenienza. a fronte
Tarek Atrissi Font Standard Arabic e layout grafico per BBC Pharsi (Iran), Olanda, 2010.
www.atrissi.com
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29Letters Logotipo per Abu Dhabi Film Festival, Egitto, 2009
www.29lt.com
La creazione di pubblicazioni bilingui in latino e arabo immediatamente fa risaltare un problema: l'opposta direzione di scrittura. Nella necessità di dare egual peso ad entrambi gli idiomi, in modo che nessun lettore possa sentirsi discriminato, sarà compito dei designers trovare soluzioni sofisticate che però non rinuncino alla qualità estetica del progetto, partendo dalla scelta di caratteri compatibili, di layout flessibili e da una composizione di massimo equilibrio. Il designer Khajag Apelian è un grafico e type designer libanese e ad oggi lavora a Beirut nel suo studio Maajoun dopo tre anni di esperienza lavorativa all'Aja in Olanda. Il suo lavoro si concentra sul disegno di caratteri tipografici e su progetti editoriali, e qui Apelian ci parla delle problematiche che sorgono durante la creazione di pubblicazioni bilingui: "Una delle sfide più interessanti della tipografia è come rappresentare gerarchicamente le informazioni. In una pubblicazione bilingue questa sfida è amplificata e rende necessario decidere all'inizio del progetto se si vuole dare stessa importanza ai due linguaggi o se uno deve prevalere sull'altro: da questo punto di partenza, il designer deve impostare il layout tenendo conto le necessità del lettore, che in tutta probabilità sarà interessato ( o capace di leggere) ad uno solo dei linguaggi. Bisogna anche tenere conto delle specificità degli alfabeti utilizzati: arabo e latino, per esempio, sono estremamente differenti; ognuno ha la proprie convenzione e regole tipografiche, ed è necessario che questi due mondi non vengano confusi, poiché renderebbe incomprensibili ambedue le scritture. 102
EPS51 Indicated by Signs, Germania, 2010.
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Khatt Foundation Typographic Matchmaking in the City, Olanda, 2009.
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Un'altra differenza da tenere in considerazione è la direzione di scrittura dei due sistemi, poiché questa influisce sulla struttura della pubblicazione, che deve decidere se scorrere da sinistra verso destra o viceversa, oppure se essere divisa in due parti distinte con inizio e fine a sé stanti. Ma se le due scritture voglio condividere le stesse pagine, questo come influenzerà l'immagine della pagina? La necessità del progetto è quella di essere bilanciato e per fare ciò è necessario incastrare i blocchi di testi, giustificandoli con la possibilità si spezzare le parole in latino per mandarle a capo od in arabo ricorrendo agli allungamenti estetici. Infine, il modo in cui si può enfatizzare o differenziare parti del discorso differisce tra le due scritture: in latino si può usare il grassetto ed il corsivo, mentre in arabo la differenziazione può avvenire tramite colori oppure alternando caratteri calligrafici diversi, come avveniva anche nelle composizioni manuali.
questa pagina e a fronte
Khajag Apelian Progetto Noord, Olanda, 2010.
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Nel caso del progetto Noord, l'obiettivo era di progettare la prima guida turistica dell'Olanda in arabo. Dunque il testo in olandese veniva secondo nella gerarchia, servendo quasi come sottotitolo al testo principale in arabo, ed in generale tutta la pubblicazione era concepita per essere letta da destra verso sinistra. Ironicamente, questa guida fu distribuita all'inizio come allegato ad un giornale olandese, e si notò che i lettori europei la maneggiavano al contrario fino a che non si accorgevano del loro errore."
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Yanone Posters ed applicazioni del font Amman, GermaniaGiordania, 2009.
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Il designer Yanone, nato a Dresda, è un tipografo e web designer che geneticamente non ha nulla a che fare con il mondo arabo. Ha disegnato come progetto di tesi il font arabo Amman e continua a progettare font arabi nonostante lui fondamentalmente non comprenda la lingua. Yanone sostiene che "non è necessario conoscere la lingua per disegnarne un carattere tipografico: non vedo particolari differenza con la progettazione di font latini ed utilizzo gli stessi software di disegno per ambedue gli alfabeti". Yanone ha svolto un tirocinio ad Amman, capitale della Giordania, presso lo studio SYNTAX del designer Ahmad Humeid, e durante questo periodo ha disegnato un font che prendeva ispirazione dal paesaggio urbano ( "ero molto affascinato dai tetti piatti delle case della città e dalle colline basse che la circondavano") e dallo stile Naskh che dominava come carattere di comunicazione nelle vie cittadine. La sfida più grande durante la progettazione è stata anche per lui il disegno delle legature e della possibilità di aggiunta, lasciata a discrezione dell'utente, dei segni diacritici vocalici e del loro posizionamento rispetto alla lettera. 107
Lo studio grafico Eps51 ha sede a Berlino e opera nel campo della tipografia e pubblicazioni editoria bilingui, lavorando per clienti di tutto il mondo. Eps51 ha lavorato a numerosi progetti interculturali, e nel 2008 e nel 2011 ha pubblicato le due edizione del libro Arabesque - Graphic Design from the Arab World and Persia, come risultato di una lunga ed intensa ricerca riguardante la grafica contemporanea del Medio Oriente. Nel 2012 lo studio ha organizzato il progetto RIGHT-TO-LEFT, una mostra delle realtà grafiche mediorientali negli anni delle "primavere" arabe, esponendo fotografie di lavori di street art in Egitto, Iran, Libano e Siria e dei poster realizzati per supportare tali manifestazioni. In questo capitolo non analizzeremo i contenuti della mostra, ma ci interessa l'immagine coordinata dell'evento: sui poster e sulla copertina del catalogo troviamo infatti un interessante combinazione tra tipografia lineare latina ed un carattere naskh moderno arabo, che nonostante l'evidente sproporzione a favore del latino, risulta molto gradevole nell'accostamento. Le scritte si appoggiano su un fondale multicolore che suggerisce una versione moderna ed appuntita dei tradizionali pattern geometrici islamici. All'interno del catalogo i testi sono in tedesco e inglese: purtroppo il bilinguismo tra latino e arabo è limitato alle copertine ed alle informazione di data, luogo ed argomento della mostra, indicando che il fruitore sarà prevalentemente europeo. E qui si mette in scena una delle non facilmente risolvibili ambiguità che ancora dovranno essere sciolte da designers maggiormente attenti alle identità culturali.
questa pagina e a fronte
Pascal Zoghbi Poster ed design del font Damasq, Libano, 2009.
www.29lt.com Pascal Zoghbi è uno tra i più fecondi typedesigners mediorientali ed ha lavorato per alcune tra le più grandi aziende multinazionali del mondo, tra cui Google e Pepsi, ed alcuni grandi centri museali, tra cui l'Arab Museum of Modern Art di Doha in Qatar. é considerato uno dei più influenti esperti e conoscitori della storia della tipografia araba: il suo blog 29letters (che prende il nome dal numero delle lettere dell'alfabeto arabo) è il più ricco e completo repertorio di immagini storiche e contemporanee riguardanti il mondo del design in arabo.
a fronte
Tarek Atrissi Tipografia per Jeem Tv.
www.atrissi.com Questo font blingue nasce per essere estremamente leggibile, essend Jeem Tv un canale tematico dedicato ai bambini. Lo stile lineare con le legature che combaciano con il piano di terra viene generalmente chiamato Neo Cufico a causa dell'ortogonalità che era in passato distintiva della mano cufica. Solitamente di trova asscociato a font latini lineari.
Tarek Atrissi, nato in Libano, è a capo del Tarek Atrissi Design, uno studio grafico multidisciplinare specializzato nella creazione di tipografia e comunicazione in lingua araba, sia finalizzata alla stampa che al web. Lo studio, fondato nel 2000, ha lasciato una visibile impronta sul branding ed il type design in lingua araba, avendo lavorato per clienti del calibro di MTV Arabia, il Governo del Qatar e l'Arab Museum of Modern Art. Lo studio ha base ha sede ad Amsterdam, ed Atrissi ci spiega quali sono i vantaggi di avere una sede in Europa, nonostante egli lavori principalmente per clienti mediorientali: "Fare base in Olanda favorisce il mio atteggiamento di designer multiculturale, avendo un doppio vantaggio: da una parte, mi permette di essere informato con le ultime tendenze di un paese all'avanguardia dal punto di vista grafico come l'Olanda; dall'altra parte, dal momento che il mondo arabo è vastissimo e molto diversificato, abitarne fuori mi permette di averne un'idea più oggettiva e meno campanilistica. Mi sento fortunato per il fatto di essere un arabo che ha una prospettiva da straniero del proprio mondo. Sono convinto che la qualità dei miei progetti grafici ha raggiunto degli standard elevati grazie alla concorrenza olandese, molto numerosa e capace, e la mescolanza di culture mi ha permesso di realizzare progetti dal gusto particolare, che mi hanno permesso di ritagliarmi una fetta tutta mia nel mercato grafico internazionale." 112
Tarek Atrissi Progetto editoriale Sudan, 2008
www.atrissi.com
Tarek Atrissi Proposte tipografiche per il CrossCultural Festival di Beirut, 2006.
www.atrissi.com
Tarek Atrissi Copertina del catalogo FIKR 11, Dubai, 2012
www.atrissi.com
Continua Atrissi :"Il mondo arabo ha assistito ad un boom negli ultima decade, sia dal punto di vista politico che del design: un maggiore interesse per questa disciplina, combinato con la grande passione delle nuove generazioni di studenti ed una rapida crescita economica, ha contribuito ad alzare gli standard dei grafici professionisti di tutta la regione. Tutto ciò ovviamente si è riflettuto nel cliente arabo: le grandi aziende, che hanno attentamente osservano le mode e gli sviluppi del mondo grafico, sono diventate meno disposte ad accettare soluzioni grafiche mediocri per le loro richieste. I clienti hanno compreso la forza di una migliore comunicazione. sia in contesto commerciale sia in un contesto sociale, incoraggiando la nascita studi grafici più piccoli, più competitivi ed agguerriti delle grandi compagnie pubblicitarie che per decenni hanno prodotto lavori di livello assai scadente. Per quanto riguarda i progetti tipografici, c'è ancora tanto lavoro da fare per migliorare e diversificare i font, ma sono proprio i clienti ad incoraggiare questi miglioramenti che le loro richieste ed aspettative molto alte. All'inizio di questo millennio è cresciuta in particolare la richiesta di nuovi font: a seguito dei primi esperimenti, felici ed innovativi, è venuta a crearsi una tendenza di gusto che ha ingolfato il processo creativo, poiché i font venivano progettati tutti in maniera molto simile, seguendo le stesse fonti e le stesse strategie. Questa tendenza ha portato me ed il mio studio a cercare una ulteriore e maggiore sperimentazione di combinazione di mani calligrafiche con necessità moderne, ed in egual modo a sperimentare con le combinazione di font arabo-latine, cercando nuove soluzioni di progetto". 117
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Tarek Atrissi Font Atrissi Sans e applicazione bilingue
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Tarek Atrissi Processi e studi tipografici
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Abbiamo inoltre chiesto ad Atrissi quali fossero le principali differenze di disegno tra un carattere arabo ed uno latino. Il designer ha risposto che "ogni progetto ha le proprie caratteristiche, le proprie sfide che necessitano un approccio differente. Per quanto riguarda i font arabi, un problema sorge con il grande numero di glifi da disegnare: specialmente i caratteri di influenza calligrafica richiedono un attentissimo progetto delle legature. Essendo la tipografia araba ancora sottosviluppata rispetto a quella in latino, non ci sono tanti esempi da poter seguire e bisogna lavorare molto pi첫 di immaginazione che di metodo, rendendo la progettazione sicuramente pi첫 lunga in termini temporali e di costo." Intervista a Tarek Atrissi realizzata tra il 10 e il 16 Dicembre 2013.
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Nelle pagine seguenti in ordine: AMMAN SERIF di Yanone, GermaniaGiordania, 2009 DROID NASKH di Pascal Zoghbi, Libano, 2010, progettato per Google Chrome速 NEUE HELVETICA ARABIC di Lynotipe Design Studio, Germania, 2007 PALATINO SANS ARABIC di Nadine Chahine, Libano, e Hermann Zapf, Germania, 2009 BASEET di Pascal Zoghbi, Libano, 2011 BUKRA EXTRA BOLD di Pascal Zoghbi, Libano, 2010
immagini da Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
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Supreme Clothing Berretto e maglietta Supreme, 2012
www.supremenewyork.com La casa di abbigliamento americana Supreme nel 2013 h a proposto una linea di abbigliamento nella quale il logo Supreme veniva tradotto in un font Naskh Bold. Il logo Supreme non è tradotto letteramente, riscrevendo la parola con caratteri arabi: invece la scritta riporta la parola Subhan, che può essere tradotta come "gloria".
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CORRENTE CALLIGRAFICA
N
el mondo contemporaneo, nell'era della tipografia digitale, la scrittura manuale guadagna sempre più valore in primis per la sua difficoltà di esecuzione, in secondo luogo per la sua capacità maggiore di veicolare le emozioni e la personalità del progettista. Nella concezione artistica occidentale, la calligrafia evoca la nostalgia di un'età classica della grafica: i retaggi della scrittura medievale sono temporalmente molto lontani dai giorni nostri, nei quali la calligrafia è considerata una pratica di lusso a causa dei lunghi tempi di esecuzione e della irriproducibilità meccanizzata. Per quanto riguarda la tradizione visiva grafica dei paesi di maggioranza musulmana, il ricordo e la presenza della calligrafia nella vita quotidiana è assai più recente e diffuso. Abbiamo visto come la tradizione calligrafica abbia sempre influenzato pesantemente l'evoluzione tecnica della grafica in arabo: non dobbiamo quindi considerare l'utilizzo della calligrafia come un ritorno alla tradizione in questo contesto, piuttosto come una continuità della tradizione. La fusione tra tecnologia ed espressione manuale ha caratterizzato gli anni dell'era della digitalizzazione, e la calligrafia araba contemporanea sfrutta i moderni strumenti per poter meglio parlare un linguaggio contemporaneo o, in alcuni casi, per non lasciare che i vantaggi della tipografia digitale cancellino quindici secoli di dedizione a questa arte della perfezione.
a fronte
Mouneer al-Shaarani The Wider the Vision, The narrower the Phrase, Siria, 2006
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
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1 Logotipi
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011 1 Emblem, Logo per Mr. Mashal Al Abdool, 2012 2 Tajaliat, Logo per una galleria d'arte, Damasco, 2007 3 Ahmad & Sarah, Logo per un matrimonio, Libano, 2006
4 Mouneer al-Shaarani Logo per una galleria d'arte, Damasco, 2009 5 Visual Dhkir Logo per collana editoriale Nun wa al-Qalam, 2007
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Mehdi Saeedi Copertina per band musicale Talaye Sabze Sahand, Iran, 2009
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Sono praticamente infinite le tendenze calligrafiche contemporanee: sono tante quante sono le mani che tracciano i segni su carta. È difficile tratteggiare delle correnti di gusto o di tecnica ma si può comunque notare come il rispetto per le mani calligrafiche classiche non sia perduto, ma di come il loro utilizzo non si leghi più solamente a messaggi di contenuto religioso. I designers mediorientali sembrano proprio cercare l'emancipazione della scrittura dalla religione, raramente essendo trasgressivi o violenti o politicamente scorretti, ma rispettando la dignità della tradizione, attuando una rivoluzione graduale che riesca a coinvolgere tutti gli strati delle nuove società islamiche. Il linguista Thomas Milo è capo dello studio multidisciplinare Decotype che nel 2008 ha lanciato sul mercato Tasmeem, un software progettato in collaborazione con WinSoft. Tasmeem è sostanzialmente un plug-in per Adobe InDesign che permette di riprodurre la complessità e la varietà della calligrafia coranica in scrittura digitale. Il punto di partenza di Milo è stato il rendersi conto, essendo lui linguista, come la lingua araba si fosse, prima con la tipografia a caratteri mobili poi con quella digitale, semplificata ed abbrutita per potersi adattare ad uno standard occidentale costruito sulle necessità della tipografia in alfabeto latino. L'arabo coranico, come quello del Corano egiziano del Re Fuad del 1924 ( il testo-guida del progetto Tasmeem ) conosce davvero moltissime regole e moltissime eventuale eccezioni ad esse. Le legature tra due lettere possono presentarsi in una infinità di variazioni e di costruzioni grafiche diversificate, ed è in proprio in questa elegante varietà che sta l'eleganza della scrittura araba, che riusciva ad essere mal emulata dalla stampa a caratteri e mobili e molto faticosamente da quella digitale. Tasmeem fornisce all'utente un numero limitato di font, che corrispondono alle mani classiche ed in loro minime variazioni formali, che possono essere modificati in ogni loro singola parte: dalla posizione rispetto alla linea di terra, alla legatura con la lettera precedente e successiva, all'aggiunta di tutti i segni diacritici esistenti nella grammatica dell'arabo classico. 132
Thomas Milo Immagini tratte dalla brochure di Tasmeem, Olanda, 2003
www.decotype.com Stefania Cantu’ e Paolo Del Corda, La scrittura araba e il Progetto Decotype, Sedizioni, Milano, 2013 In alto viene illustrato come il carattere Tasmeem Naskh sia ispirato dai tipi metallici utilizzati per stampare il Corano di Re Fuad a Giza, Egitto, nel 1924.In alto a destra, vengono esplicate alcune funzioni del programma, atte a creare allungamenti estetici ed applicare e spostare i segni diactrici classici, generalmente in disuso nella grafica araba contemporanea.
Il concept di Milo è "far si che le tecnologie si adattino alla complessità della scrittura, non che la scrittura debba adattarsi alle complessità della tecnologia, come fino ad ora è successo per l'arabo". Tasmeem si dimostra particolarmente pregevole nella scrittura di testi brevi, titolature e poster, ma il lungo tempo di lavoro che comunque richiede l'elaborazione della scrittura digitale lo rende poco adatto all'editoria, con esclusione dei testi preziosi e delle tirature limitate. 133
Thomas Milo Immagini tratte dalla brochure di Tasmeem, Olanda, 2003
www.decotype.com
Thomas Milo Composizioni con Tasmeem Naskh, Olanda, 2003
www.decotype.com
Iman Raad Shadow, poster per un'esposizione collettiva di illustrazione, Iran, 2008
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Nato a Mashan in Iran, Iman Raad è considerato uno dei più importanti ed influenti grafici persiani, che ha guidato la grafica iraniana nel passaggio tra tradizione calligrafica e tendenze contemporanee. Prendendo spunto dal folclore persiano, dalla calligrafia laica e dalle decorazioni della ceramica, Raad crea lettering che incrocia la tradizione visiva locale ora con l'illustrazione e la tipografia, ora con influenze naif e fumettistiche ( riconoscibile è il suo tratto semplice e morbido e l'utilizzo della bicromia bianco-nero), ora con l'elaborazione e la modifica digitale, prediligendo sempre, per motivazioni di visibilità internazionale, l'approccio bilingue nei suoi progetti. Straordinaria è la varietà concettuale della sua produzione, che sembra virare su tutte le possibilità di combinazione offerte dalla tecnologia digitale, partendo sempre da un approccio manuale al progetto grafico.
Iman Raad The Smell of a Joke, Iran, 2009
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Iman Raad Particolare di poster per un'esposizione personale al Isfahan Museum of Contemporary Art, Iran, 2010
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Iman Raad The Birth of Typography out of the Spirit of Calligraphy, Iran, 2006
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
CORRENTE ESPRESSIVA
C
on il termine corrente espressiva tentiamo di riunire i lavori grafici ed i lettering creati in contesti non commerciali. In che modo le nuove generazioni parlano di loro stesse? L'esplosione in Occidente, dagli anni Settanta in poi, della street art ha toccato anche il Medio Oriente, e negli ultimi anni le scritte sociali e di protesta hanno invaso le metropoli arabe. Sappiamo che la scrittura religiosa è un tratto caratteristico della cultura urbana araba, ma la necessità di allontanarsi dalla tradizione e di esprimere la propria individualità è esplosa negli anni delle "primavere". Mentre prima si potevano osservare graffitari arabi solo nelle comunità di immigrati arabi residenti nelle metropoli europee (dove solitamente però erano preferiti lettering latini), nei centri urbani e le periferie delle grandi città arabe e persiane gli artisti sfidano le istituzione e leggi locali esprimendo le loro esigenze comunicative. Appropriarsi degli spazi cittadini, rivendicarne la funzione sociale di aggregazione: la street art ed il suo lettering fantasioso e colorato sono l'espressione di necessità e desideri di giovani che non riescono a trovare parola ed ascolto in altri mezzi di comunicazione. I lettering che scaturiscono da questi esperimenti sono sicuramente più liberi dalla tradizione grafica, più sperimentali, anche quando emulano le scritture calligrafiche le risolvono con composizioni del tutto moderne, quasi sempre in contrasto culturale con la tradizione religiosa.
a fronte
Ayad Alkadhi Structure of a Iraqi Woman, U.S.A.-Iraq, 2008
www.barjeelartfoundation.org
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Poster con il volto del martire Ahmed Bouazizi, Tunisia, 2011
www.aljazeera.com
Giovani seduti compongono la scritta Tunis Libera
www.demworks.com
Queste valutazioni non valgono solamente per i graffiti. Dalla body art, ai tatuaggi, alla grafica bidimensionale autoprodotta, alle installazioni artistiche in gallerie: dove si vuole esprimere nuove esigenze e nuovi messaggi, naturalmente sorgono nuovi forme grafiche per esprimerli.
el Seed è un artista franco-tunisino che fonde la tradizione calligrafica araba con i graffiti. Nel 2011 ha partecipato alla rivoluzione tunisina, sostenendo che "la rivoluzione ha spinto gli artisti tunisini a essere più creativi, poiché prima erano spaventati dalle istituzioni, ed ora invece sono più liberi". Nel 2012 ha disegnato a Kerouan il primo murales di grandi dimensioni, nel quale era dipinta una frase contro la tirannia e l'ingiustizia pronunciata dal poeta tunisino Abu Al-Qasim. Il suo progetto più celebre è la decorazione del minareto della moschea di Jara nella città tunisina di Gabes, nel quale ha calligrafato con uno stile moderno un versetto del Corano, rompendo la tradizione che voleva solo le mani classiche ed il cufico come possibili lettering religiosi ufficiali. Il progetto è stato approvato dal governatore di Gabes e dall'imam della moschea, mostrando una sempre maggiore aperture da parte dell'istituzione alle nuove correnti artistiche. eL Seed è nato e cresciuto in Francia ed è sempre stato più familiare con i font latini. Le sue origini arabe l'hanno spinto a comunicare con la lingua della sua terra d'origine familiare: le forme del suo lettering sono dunque completamente estranee da un contesto di correttezza formale, ed hanno un aspetto molto decorativo ed astratto, lontano dalle forme classiche del corretto arabo grammaticale. eL Seed crea un lettering ibrido tra calligrafia ottomana (molta influenza hanno su di lui le tughra, le firme dei Sultani ottomani) e le forme appuntite e futuristiche degli stili graffitari. Seed Murale a Tunis, Tunisia, 2012 el
www.thestreetartblog.net
Native & Zen Two Living Room, France, 2008
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011 La Francia è stato il primo paese europeo in cui si è presentata una massiccia presenza di Street Art araba. La cultura Hip Hop, della quale i graffiti sono parte integrante, ha trovato molti proseliti soprattutto nelle periferie di Parigi e Marsiglia, storicamente popolate da famiglie di origine maghrebina.
Atlas Don't Lose the North, France, 2008
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
Seed Murale sul minareto di Gabes, Tunisia, 2012 el
www.elseed-art.com
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Pascal Zoghbi Poster per la conferenza K Boom, Libano, 2008
www.lt29.com In Medio Oriente la discussione legata alla legittimità e valore artistico dell'arte di strada è potuta venire alla luce finalmente negli anni dei moti sociali, quando prima era considerata deprecabile e "minante la pace pubblica" ( Pascal Zoghbi, Estratto della conferenza K Boom di Beirut, 2012)
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Parastou Forouhar Chamber, Germania, 2009
www.flickr.com
L'artista persiana Parastou Forouhar è dovuta scappare dall'Iran in Germania per motivi politici, dopo che entrambi i suoi genitori, leader di un partito di opposizione, sono stati misteriosamente assassinati. Forouhar lavora con decalcomanie riportanti testi di denuncia in carattere nastaliq, ricoprendo intere stanze ora con discorsi contro il governo iraniano, ora con molti nomi di dissidenti politici iraniani ammazzati negli ultimi decenni. Utilizzando un elemento classico dell'arte persiana, appunto la calligrafia in mano nastaliq, si scaglia contro le ingiustizie del governo del suo paese, dal quale si è esiliata. Usare decalcomanie adesive, disegnate da lei al computer e stampate industrialmente, le permette di ricoprire ampi spazi pubblici o intere gallerie con questi segni, in un tempo relativamente breve e poi di poterli rimuovere. Forouhar è ha conoscenze del fatto che in Europa in pochi leggono l'arabo: il suoi lavori di grandi dimensioni permettono un coinvolgimento emotivo anche di un lettore ignorante di lingua persiana, sfruttando la potenza decorativa delle scritte in nastaliq, solitamente nere su sfondo bianco, e ambientando nelle sue "stanze calligrafate" sessioni di danze tradizionali persiane. 146
Parastou Forouhar Message, Germania, 2009
www.flickr.com
Parastou Forouhar Copertina del catalogo della mostra Sharazade's Sisters, Germania, 2006
sopra e a fronte
Shirin Neshat Immagini dalla mostra fotografia Donne di Allah, New York, 1997
Hans Werner Holzwarth, 1000 Contemporary Artist A-Z,Taschen,Munich, 2003
L'artista iranania Shirin Neshat lavora sull'immagine del mondo islamico e come essa viene percepita dall'Occidente. La condizione della donna, l'uomo martire, l'onnipresenza della religione e della violenza: che siano reali od incompresi, questi cliches trovano una rappresentazione critica nell'opera di Neshat, e la calligrafia, rappresentante l'identità linguistica e visiva della comunità, é un elemento assai ricorrente. Il binomio parola-corpo si introduce nella corrente di scrittura sul corpo, tecnica di comunicazione di una protesta che reclama il diritto delle donne ad avere piene facoltà di possesso e responsabilità sulla propria persona e sulla propria immagine. 148
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sopra e a fronte
Shahrzad Changalvaee Immagini dalla serie The Wall, Iran, 2012
www.canvasguide.net
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Shahrzad Changalvaee Immagini dalla serie fotografica Body Composition remaining Within Limited Domains, Iran, 2011
Studio Eps51, Arabesque 2, Gestalten, Munich, 2011
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Shahrzad Changalvaee In the State of Weightlessness, Poster per la mostra Right-to-Left, Iran, 2011
www.right-to-left.net/
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in questa pagina e a fronte
Wahja Grafica per un barbiere di Amman, Giordania, 2014
www.facebook.com Il collettivo giordano Wahja ha come obiettivo quello di riqualificare le grafiche di imprese e negozi locali. Non chiedono soldi loro stessi, ma invitano i proprietari dei negozi a pagare gli artigiani (pittori, scultori, incisori anch'essi locali) che realizzerano il progetto di Wahja. Per impedire un'abbrutimento continuo del paesaggio urbano causato da un massiccio uso di grafiche dal disegno e dalla realizzazione scadente,Wahja unisce un design filoeuropeo e multilingue a tecniche artistiche locali o a tecniche di comunicazione a basso costo, per esempio utilizzando pitture murarie o spray e stencils.
Ringrazio per i preziosi consigli: Ammar Hamoui; Claudia Morini; Massimo Vitalone; Rachele Jesurum; Vivia Paravicini.
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Agostino Ridone
al-Qalam
Le forme delle lettere arabe Tesi di Laurea Triennale Anno Accademico 2013/14 Luglio 2014 Design e Comunicazione Visiva Politecnico di Torino Relatore: Prof. Michele Cafarelli Stampato presso in data