C'è futuro per il Cacc’e mmitte
Era il 1975 e il sistema di denominazione dei vini stava muovendo i primi passi. Tra i primi a cui si conobbe la Doc, un rosso pugliese dall’appellativo singolare, Cacc’e mmitte di Lucera. Si qualificava con questo nome un vino storicamente prodotto nei territori di Lucera, Biccari e Troia, elaborato secondo un tradizionale metodo di vinificazione. I proprietari dei palmenti, le masserie dell’Italia meridionale provviste di vasche per la pigiatura delle uve, solevano dare in affitto le attrezzature per la lavorazione. Le operazioni si dovevano completare entro la giornata per lasciare le strumentazioni disponibili per l’utilizzatore successivo. L’affittuario toglieva il mosto appena terminata la pigiatura (cacciare) per portarlo nelle proprie cantine, e un nuovo affittuario versava nelle vasche (mmittere) la propria uva da pigiare. Le due operazioni si svolgevano pressoché contemporaneamente: Cacc’e mmitte. Inoltre, 70
ottobre 2015
Foto: Consorzio di tutela Cacc'e Mitte
Sembrava si dovessero perdere le tracce di questo rosso nato dall’incontro tra uve diverse e dallo spirito di condivisione dei vignaioli pugliesi. Doc dal 1975, oggi, con sei cantine produttrici nel territorio di Lucera, sta invece vivendo un momento di grande rilancio
Il Cacc’e mmitte nasce storicamente dall'unione tra uva bianca e nera
Foto: Consorzio di tutela Cacc'e Mitte
di Riccardo Lagorio
Foto: Consorzio di tutela Cacc'e Mitte
la scoperta
poiché gli appezzamenti erano di ridotte dimensioni e ospitavano differenti tipologie di uva, il disciplinare di produzione prevedeva una mescolanza di uve nere (Nero di Troia tra il 35 e il 60%; e Montepulciano, Malvasia Nera di Brindisi o Sangiovese tra il 25 e il 35%) e bianche (Bombino bianco, Trebbiano toscano o Malvasia del Chianti tra il 15 e il 30%), che sta ancora alla base produttiva. Per circa trent’anni la Doc fu utilizzata esclusivamente dalla Cantina sociale di Lucera, cooperativa che raccoglieva tutte le uve del territorio atte a divenire vino Doc, ma l’assenza di un Consorzio di tutela rischiava che gli organi competenti revocassero il prestigioso riconoscimento. A seguito del fenomeno del ritorno alla campagna da parte di giovani neoagricoltori, le aziende che oggi producono Cacc’e mmitte sono 6 e nel marzo 2014 si è anche costituito il Consorzio di tutela. Ma ciò che rende ancor più rilevante questa rinascita è la presenza di tre donne che ricoprono ruoli fondamentali in altrettante società: Francesca Faccilongo, che si è fatta interprete della tradizione lucerina lanciando due versioni di Cacc’e mmitte bio; Valeria Pitta, che ha attinto alla passione familiare verso il design per progettare un’accattivante etichetta che campeggia sulle bottiglie di Gigolò; e Marika Maggi, che ha scovato profumi e aromi del tutto originali dal suo Cacc’e mmitte. Per tutte tre la responsabilità di rilanciare un vino che ha corso il rischio di essere cancellato dalle mappe dell’enologia italiana e che invece sa ancora regalare intense emozioni con zuppe di legumi, insaccati e piatti a base di carne. Il suo colore rubino che profuma di frutti rossi e ricorda, in finale, radici di liquirizia è d’obbligo con quei caci ovini di breve stagionatura che le campagne intorno alla città dauna ancora danno.