Agriturismo Cavazzone su CasAntica

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casantica Bimestrale Anno XIII N. 70 Marzo/Aprile 2016 www.casantica.net

Montenovo di Montiano (FC) Azzurro di Romagna Valtournenche (AO) Maison Le Cler, una storia di famiglia

Viano (RE) Abbraccio reggiano

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Pienza (SI) Utopia in Val d’Orcia

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casantica (Canton Ticino Fr. 12.80) Poste Italiane s.p.a. - Sped. in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Ferrara - Distribuzione: Pieroni Distribuzione Srl (MI)

€ 6.00 Italy

ristrutturare con pietra ferro legno e cotto


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In visita all’Azienda agricola e agrituristica Cavazzone, nel territorio di Viano (RE)

Abbraccio reggiano GLI ESTERNI, DALLE BIZZARRE FASCINAZIONI MITTELEUROPEE, SONO NATI ESATTAMENTE COSÌ. IL COMPLESSO FU EDIFICATO, A FINE OTTOCENTO, DAL RICCHISSIMO BARONE RAIMONDO FRANCHETTI. NEL 1919, FU RILEVATO DA EUGENIO TERRACHINI. E ANCOR OGGI È DI PROPRIETÀ DELLA FAMIGLIA. I FANTASIOSI PROSPETTI NASCONDONO AMBIENTI PIÙ CHE MAI IMPREGNATI DI CULTURA LOCALE. PENSIAMO ALLA STALLA-RISTORANTE, ALL’ACETAIA, ALLA GHIACCIAIA, ALLE CANTINE, AL “CASELLO”… “È UNA DICHIARAZIONE D’AMORE TRIBUTATA ALLA REGGIANITÀ”, CI HA RACCONTATO MARIACARLA di Antonio Bianchi - foto di Max Salani casantica

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Un paesaggio mozzafiato. Dall’Azienda agricola e agrituristica Cavazzone, lo sguardo abbraccia Alpi e Appennini. Osservando i prospetti, si direbbe un antico complesso trasfigurato da un decorativismo estraneo alla tradizione costruttiva italiana. Sorprende non poco, invece, scoprire che queste costruzioni sono nate così, alla fine dell’Ottocento. La proprietà del barone Franchetti si estendeva per 3000 ettari. Oggi, più ragionevolmente, sono circa 350. Nella corte, anticamente, si produceva frumento, fieno, si tagliava legna, c’erano allevamenti…

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n piccolo villaggio che coniuga atmosfere contadine, fascinazioni alpine mitteleuropee e mondo delle favole. Il prospetto principale della corte si caratterizza per un’austera volumetria non dissimile da altri complessi rurali del territorio. Ma il riferimento alla tradizione è bizzarramente destabilizzato dai balconcini lignei e, nello sporto di gronda, dall’acceso decorativismo di scossaline di legno sagomato e colorato, alternate con gusto policromo. Un dettaglio, questo, che abbraccia e raccorda idealmente quasi tutte le costruzioni del complesso. La dimora padronale, dall’altra parte della strada, è addirittura spiazzante: uno chalet che sembra estrapolato dalle pagine di un libro di fiabe. Scorgendolo casualmente sulle pagine di una rivista è lecito supporre possa trattarsi di un fantasioso borgo alpino. Ben più sorprendente, invece, scoprirlo nel meraviglioso paesaggio collinare reggiano (lo abbiamo scritto in più occasioni: l’Emilia è terra troppo virtuosa e opulenta per essere considerata, impunemente, anche tanto bella. Ma così è).

Ci troviamo nel territorio comunale di Viano, a 500 metri d’altitudine e ad appena un quarto d’ora di macchina da Reggio Emilia. Il Cavazzone – questo il nome della corte, oggi trasformata in azienda agricola e agrituristica – si direbbe un antico complesso trasfigurato, da proprietari fantasiosi, all’insegna di un decorativismo estraneo alla tradizione costruttiva italiana. Sorprende non poco, invece, scoprire che queste costruzioni sono nate così, alla fine dell’Ottocento. Anche i proprietari sono quanto di più lontano si possa immaginare dalle leziosità: Mariacarla, che ci ha accompagnato alla scoperta della struttura, è una signora di rara finezza, eleganza, cultura e garbo. Non è stata lei a bussare alla nostra porta, scrivendoci in redazione, come avviene per buona parte dei servizi di CasAntica. Non siamo stati neanche noi a contattarla, come accade con talune strutture d’eccezione. A raccontarci di questo scorcio è stata Angela Zaffignani, brillante divulgatrice e paesaggista, una cara amica di CasAntica e GiardinAntico. Ed è stata la stessa Angela a organizzare l’incontro. Non sape-


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La stalla Una stalla ospita l’enorme sala ristorante, dove si gustano le più tipiche specialità della cucina reggiana (gnocco fritto, salumi, tortelli di zucca, tortelli verdi, erbazzone – meglio ancora: erbazzone fritto, un’autentica curiosità anche per chi scrive, cresciuto a pochi chilometri di distanza – crema di Parmigiano Reggiano, flan di Parmigiano Reggiano…). C’è anche una seconda stalla, oggi diventata una sala convegni.

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vamo cosa avremmo trovato. E la sorpresa è stata forte. Perché di norma, i complessi contadini del passato – e noi ne abbiamo visitati tanti, tantissimi, in ogni regione d’Italia – si caratterizzano per un approccio diametralmente opposto: spartano, austero, asciutto, disadorno, impregnato di caratteri architettonici esclusivamente autoctoni. Il Cavazzone – questo il nome della struttura – rappresenta un unicum, scaturito dalla figura di un committente d’eccezione: il barone Raimondo Franchetti, banchiere, agricoltore, bonificatore e benefattore, probabilmente fra

gli uomini più ricchi dell’Italia di fine Ottocento. “Nel 1878, il barone arrivò a Reggio Emilia da Venezia per visitare queste colline – si legge sul sito www.cavazzone.it – Ne rimase affascinato e in breve tempo acquistò 3000 ettari di terreno nei comuni di Albinea, Viano e Vezzano, promuovendo imponenti lavori di bonifica, di dissodamento, di messa a coltura della parte boschiva, di sistemazione della strada”. Il complesso si sviluppa intorno a una corte con cantina, caseificio, forno, ghiacciaia, granai, magazzini, fienili, stalle, scuderie e case coloniche. Il barone fece edificare anche


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L’Acetaia Nell’ex-fienile, si trova l’acetaia che rappresenta, con ogni probabilità, il fiore all’occhiello del Cavazzone. Tutti hanno sentito parlare di aceto balsamico. Tanti lo associano a Modena, dimenticando Reggio (storicamente soverchiata dalle città confinanti, ma vero cuore pulsante della creatività emiliana. Aceto

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balsamico e Parmigiano Reggiano compresi). La differenza fra Modena e Reggio? “L’aceto modenese è più denso e dolce. Quello reggiano è un po’ meno denso e meno dolce, impreziosito dall’aroma delle botti di ginepro”, ci ha rivelato Mariacarla. Molti, presumibilmente, pensano che l’aceto

balsamico sia legato a metodi produttivi su ampia, se non amplissima scala. In realtà, l’aceto balsamico racconta storie di famiglie e di piccole acetaie domestiche. Nelle vecchie soffitte della zona, non è raro imbattersi in sequenze di botticelle - le cosiddette batterie - tramandate di padre in figlio. Erano

produzioni minuscole, addirittura esigue. Il nucleo originario dell’acetaia del Cavazzone è legato a quattro batterie, di oltre 200 anni, di proprietà delle famiglie di Mariacarla e del marito Luigi (una figura meravigliosa, cui abbiamo potuto stringere la mano a reportage concluso, ndr). Poi la

produzione è cresciuta. Sino alla commercializzazione. Oggi, nel fienile del Cavazzone, le batterie sono diventate 50, per un totale di 250 barili. L’Aceto balsamico del Cavazzone è molto apprezzato. Se ne producono circa mille bottigliette l’anno. C’è quello invecchiato oltre 25 anni (contras-


segnato in oro) e quello invecchiato oltre 12 anni (contrassegnato in rosso). Una precisazione terminologica doverosa: c’è l’Aceto balsamico tradizionale (tutelato dal marchio di denominazione di origine protetta), c’è l’Aceto balsamico generico (quello

comunemente esposto negli scaffali dei supermercati) e c’è l’Aceto balsamico del Cavazzone: “Questa è la nostra esatta denominazione – ci ha raccontato Mariacarla – Siamo usciti dal consorzio. Ma facciamo parte della Confraternita dell’Aceto Balsamico di Reggio Emilia”.

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Aceto balsamico, gocce di storia La produzione di aceto balsamico è una vera e propria arte. Dopo la raccolta e la pigiatura dell’uva, il mosto viene cotto a fuoco lentissimo, sino a ottenere la concentrazione zuccherina desiderata. Il mosto viene dapprima collocato in damigiane, dove ha luogo la fermentazione alcolica, e poi trasferito nelle cosiddette badesse, dove avviene la fermentazione acetica. A questo punto, il mosto acetificato viene trasferito nella

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batteria, costituita da cinque botticelle di diversa grandezza (dai 50 litri della più grande, quella dove comincia la maturazione, ai 15 della più piccina, dove il balsamico conclude il proprio affinamento). Le cinque botticelle di ogni batteria sono di legni differenti (di norma: rovere, frassino, gelso, acacia, ciliegio, ginepro, castagno). E, in ogni passaggio, il balsamico acquisisce aromi e caratteristiche peculiari (“Il castagno, ricco di

tannini, procura il colore bruno; il ciliegio esalta la dolcezza; il gelso agevola una più veloce concentrazione; il ginepro conferisce un aroma particolare”, si legge sul sito www.cavazzone.it). Aspetto fondamentale: il passaggio da una botticella all’altra della batteria avviene con minuziosa, bilanciatissima gradualità. Solo in autunno è possibile prelevare dalla botticella più piccola una quantità massima di 1/3 del


un asilo aziendale per i figli dei mezzadri. E per la moglie, Sara Luisa Rotschild, realizzò uno chalet di gusto nordico. “È la copia di un padiglione dell’Esposizione universale parigina del 1870 – ci ha rivelato Mariacarla – Fra Ottocento e Novecento è stato uno dei salotti dell’aristocrazia illuminata e della borghesia industriale della città”. Anche i figli di Sara Luisa e del barone Franchetti sono degni di menzione: Alberto fu compositore e musicista associato alla scuola “verista”; Edoardo scelse la carriera diplomatica; e Giorgio è il mecenate e collezionista cui si deve il restauro del palazzo della Ca’ d’Oro, a Venezia. Alberto, in particolare, trascorreva lunghi periodi al Cavazzone. Nella dimora padronale c’è ancora il suo pianoforte, lo stesso dove hanno preso forma le partiture delle sue opere più note: Cristoforo Colombo e Germania. È emozionante pensare che questo meraviglio-

contenuto, rincalzando il contenuto con l’aceto dal barile precedente. E così via, sino al barile più grande, nel quale si versa il contenuto delle badesse. Una progressione magica, considerando che ogni singola botte contiene aceto balsamico maturato per un tempo proporzionale all’età della botticelle. Immaginate, dunque, una batteria di oltre 200 anni. Un vero tesoro da grand gourmet. E un’arte affascinantissima.

so scorcio reggiano abbia ospitato figure come Giacomo Puccini, Pietro Mascagni, Umberto Giordano, il librettista Luigi Illica e l’editore musicale Giulio Ricordi, ospiti dell’amico Alberto, che, fra l’altro, è il padre di Raimondo (come il nonno), il più grande esploratore italiano di sempre. Fra il Cavazzone e gli attuali proprietari c’è un legame di lunghissima data. “Nel 1919, Eugenio Terrachini, prestigiosa figura del mondo imprenditoriale reggiano, acquistò la parte centrale della proprietà dagli eredi del barone e, negli anni fra le due guerre, vi fece trasferire il Belvedere, il gazebo in ferro e ghisa che il barone Franchetti aveva nel parco della sua villa di Reggio e dal quale soleva ammirare il suo Cavazzone”, si legge sul sito. Eugenio Terrachini era il nonno paterno di Mariacarla. “Lo ricordo come una figura straordinaria – ci ha raccontato – Era cresciuto in una

In basso, la bellissima scala a chiocciola che raccorda l’ex-fienile (oggi acetaia) e l’ex-stalla (oggi ristorante). Nella pagina seguente uno scorcio della Saletta dei Cacciatori, che qui si riunivano al termine delle loro battute, e delle camere per gli ospiti, realizzate negli antichi alloggi dei mezzadri. In queste stanze si respira la semplicità della tradizione, esaltata da vecchi arredi tipici.

Anche l’ambiente che ospita la lenta maturazione è importante. Deve essere ben arieggiato e ossigenato. Il foro sulla sommità di ogni barile (il “cocchiume”) è protetto da una garza contro polvere e insetti. In estate, le escursioni termiche agevolano l’evaporazione e la concentrazione zuccherina del liquido. In inverno, avviene la sedimentazione delle sostanze in sospensione, con chiarificazione del contenuto.

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famiglia di intellettuali e politici. Dopo il diploma di geometra, ha cominciato a lavorare nell’ambito delle costruzioni. Ha prefigurato le potenzialità del Cavazzone, rivitalizzando questo scorcio. Nel ’57, quando è mancato, il panorama agricolo stava mutando profondamente. La mezzadria andava scomparendo. Si stava affacciando una progressiva meccanizzazione. Mio padre, Paolo, ha preso le redini in questa fase, aggiornando i metodi di lavoro. E così il vecchio granaio è diventato un moderno mangimificio. A papà doveva succedere mio fratello, Eugenio. Mio papà puntava molto su di lui. Purtroppo, Eugenio è morto giovanissimo, a 16 anni, per complicanze legate al morbillo. Ed è così che sono subentrata io”. Pochi anni fa, Mariacarla e due dei quattro figli hanno pensato di trasformare parte della corte in azienda agrituristica. Un lavoro articolatissimo, condotto con finezza progettuale, di cui oggi tiene le redini Umberto, il quartogenito. “Umberto, come me, ama profondamente il proprio lavoro. Lo svolge infaticabilmente, animato da un grande entusiasmo”. In antitesi con l’approccio architettonicamente fantasioso degli esterni, varcando la soglia ci si ritrova al cospetto di ambienti che raccontano la tradizione locale con rara pertinenza. Negli interni si assapora un’emilianità – ancor meglio: una reggianità – all’ennesima potenza. Ed è il carattere più sorprendente. È come imbattersi in una figura dai tratti nordici e in costume alpino che prende improvvisamente a dialogare in dialetto emiliano. O ancora: è come uno scrigno ligneo, impreziosito da modanature e intagli alpini, che, una volta aperto, rivela profumi e sapori della più tipica tradizione reggiana. Il restauro è avvenuto con gradualità, all’insegna di una rifunzionalizzazione progressiva:

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“Al vèin e la vida”: la Cantina Le cantine del Cavazzone, in passato, avevano ingressi autonomi ed erano delimitate internamente da inferriate. In origine c’erano “la cantina dei Gianferrari”, “la cantina dei Gualtieri e dei Barbieri” e “la cantina

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di Renzo”. Oggi, tolte le inferriate che cingevano le singole cantine di famiglia, attraversando i vari settori è possibile ripercorrere il processo di vinificazione alla luce di strumenti e attrezzi carichi di storia: la scala

e le ceste per la raccolta dell’uva, la macchina per pigiatura meccanica, il vascone per la pigiatura a piedi, il tino con spina, i filtri per le impurità del vino, le botti per l’invecchiamento del vino, le damigiane…


La ghiacciaia La ghiacciaia, intatta, rappresenta, probabilmente, un unicum nella zona. Dall’alto, questa presenza era identificabile come una sorta di pozzo da cui, nei mesi freddi, la neve veniva calata e opportunamente compressa. Percorrendo un sentiero scosceso, si raggiunge l’ingresso vero e proprio, oggi “incorniciato” da una porta

trasfigurata dal tempo e dalle intemperie. L’interno della ghiacciaia si percorre con emozione, storditi dalla temperatura sorprendentemente fresca e dalla curiosa eco che si sviluppa all’interno di questo corridoio circolare. Percorrendolo, si scorge un varco, oggi murato, da cui era possibile prelevare il ghiaccio.

“Abbiamo cominciato con la sala convegni – ci ha raccontato Mariacarla – E poi con due camere per gli ospiti…”. Lo stato di conservazione della struttura, mai abbandonata, non ha posto particolari problemi: “I lavori più impegnativi hanno riguardato alcuni tetti”. Il recupero è stato curato direttamente dalla famiglia di Mariacarla: “Abbiamo collaborato con ottime maestranze. Ci sono figure straordinarie che lavorano con noi da tanto tempo”. Parlando di restauro, è inevitabile un riferimento ai materiali strutturali. Pareti e soffitti rivelano estrema accuratezza. Le stalle, per esempio, sono sovrastate da incantevoli volte in cotto e scandite verticalmente da colonnine in ghisa. Unica nota dissonante: alcuni pavimenti in cotto “industriale” - traslucidi, geometrici, cromaticamente compatti e visibilmente fuor di cronologia - compromettono la fragranza che questi ambienti avrebbero incarnato se rivisitati con le pianelle originali (che ancora si scorgono, qua e là, all’interno della struttura). In compenso, il Cavazzone ospita angoli dove la tradizione locale si dispiega con rara forza evocativa. Percorrendo gli esterni, lo sguardo è calamitato da un continuo gioco di rimandi ai nomi delle famiglie che, anticamente, popolavano la corte. C’è la “stalla dei Barbieri Ugoletti e Gianferrari”. C’è la “stalla dei Gualtieri”. C’è “la stalla degli Ovi”. C’è l’officina del fabbro (oggi utilizzata come zona pranzo raccolta e indipendente. Alle pareti, campeggiano immagini che ripercorrono la storia del luogo. Il pavimento, intatto, è in cotto della tradizione locale). C’è la bottega del falegname. Ma il vero tocco speciale è rappresentato da alcuni ambienti meravigliosamente ricreati, che Mariacarla reputa come una sorta di “dichiarazione d’amore per la reggianità”. Ci riferiamo in particolare al fienile, alla ghiacciaia, alle casantica

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“Al Casèl”: il Caseificio Una precisazione terminologica è doverosa: ai lettori di altre zone d’Italia, il termine “casello” evocherà, probabilmente, un semplice casello autostradale o ferroviario.

Diverso il caso di una buona fetta d’Emilia, dove il termine “casello” (italianizzazione di “Casèl”) indica – con impagabile fragranza affettiva – un caseificio.

E, nella terra di Parmigiano Reggiano, i “caselli” sono tanti, tantissimi. Quello del Cavazzone, ricreato in piccola scala all’interno di un’ex-

cantina, evoca le atmosfere tipiche dei vecchi caseifici, con tutti gli attrezzi che la gente del luogo ha cominciato a conoscere (con nomi tipicamente dialettali) sin

dall’infanzia: dal “cariolin” (o “cariolein”) alla “caldera”… C’è anche lo “scranein” (la seggiolina utilizzata nelle stalle per la mungitura). casantica

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“La Bugadéra”: la Lavanderia Il nome evocherà tanti ricordi in chi è nato in territorio emiliano. La bugadéra era la stanza del bucato, la stireria. Insomma: una sorta di lavanderia

ante-litteram. Vi si ammirano la caldaia a paiolo per la bollitura dell’acqua, mastelli, secchi, una macchina per cucire azionabile a pedale, il “prete” per

il letto, catini e vasi da notte. Fra le curiosità – decontestualizzata ma degna di interesse – c’è il semicupio appartenuto al barone Franchetti, rivestito di maioliche.

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cantine, alla lavanderia e ad altri ambienti che – un po’ per volta – stanno rinascendo e dove Mariacarla ha creato ambienti che raccontano la tradizione rurale locale. C’è la formidabile acetaia, nell’ex-fienile. Ci sono tre piccole cantine, originariamente delimitate da inferriate, disseminate di attrezzi tipici rigorosamente d’epoca. C’è un caseificio (meglio ancora: un “casello”, italianizzazione ricorrentissima fra gli emiliani Doc). Ogni singolo oggetto di questo percorso – quasi da museo etnografico – meriterebbe 118

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un’attenta disamina. Una curiosità: per questi ambienti sono stati creati cartelli esplicativi in tre lingue: italiano, inglese e… dialetto reggiano. Perché la nostra accezione d’antico – lo abbiamo sempre sottolineato – si esprime in dialetto. Quasi tutti i reperti tipici di una cultura locale hanno un corrispettivo italiano. Ma menzionarli in dialetto o nell’italianizzazione locale significa evocarli con una potenza formidabile. “Arrivano ospiti da tutto il mondo. Tedeschi, americani, sudafricani… E naturalmente anche tanti


italiani, appassionati di turismo gastronomico e cultori del mondo passato. Molti ci scoprono grazie al web. E tantissimi ci raggiungono per ammirare l’acetaia”. Al Cavazzone oggi lavorano nove persone fisse, senza trascurare i collaboratori che, specie in estate, sono chiamati a raccolta. A capo di tutti c’è Umberto, il figlio di Mariacarla. Il braccio destro è Federica, accompagnatrice turistica e reggiana Doc, che abbiamo avuto la possibilità di conoscere durante l’incontro. “È lei – ci ha raccontato Mariacarla - la fautrice dei

“La camra dal sèlli”: la Selleria Nella selleria, ubicata nello stallino originariamente destinato al toro, si

ammira ancora il calesse del barone Franchetti, utilizzato per girare l’azienda e la proprietà.

Alle pareti: selle inglesi, selle americane, portaselle, capezze, staffe, sottopancia…

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Le vecchie porcilaie Lungo il percorso si possono ammirare piccole porticine in sequenze di quattro: aprendole, si scoprono minuscole stalle per maiali sovrastate da pollai altrettanto piccini (“Ogni famiglia possedeva la propria piccola stalla con pollaio”). In una ex-porcilaia più

capiente si ammirano bilance, stadere e attrezzi di tutti i tipi: rastrelli e trivelle manuali, macchine per imballare il fieno, gabbie per uccelli e conigli, trappola per volpi, gabbia per maiali, carriole, carretti e un carriolino per il trasporto di piante.

cartelli esplicativi in tre lingue”. E ci sono due giovani famiglie rumene: “Le ragazze lavorano al ristorante. I ragazzi, invece, si occupano dell’azienda”. Sono loro le figure che, attualmente, popolano il Cavazzone, gli eredi dei mezzadri e degli artigiani che, in passato, popolavano la corte. “Ci sono famiglie che per due o tre generazioni hanno abitato e lavorato fra queste pareti - ci ha raccontato Mariacarla - Fra loro ci sono alcune figure formidabili. Penso a Renzo, oggi novantenne, che era il guardacaccia. È lui la memoria storica del Cavazzone. Ricorda tutto”. L’Azienda agricola e agrituristica Cavazzone si trova a Viano (RE), in via Cavazzone 4.

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Per chi volesse sapere qualcosa in più, c’è il sito web www.cavazzone.it


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