Gennaio 2011 numero I
CRONACA E ATTUALITA’ Sulla torre : i migranti in alta quota alla conquista dei loro diritti Cittadinanza: un diritto che deve ancora nascere Il mio passaporto di che Rosso è? Strumentalizzazione mediatica Islam, uno spettro si aggira per l’Europa: Tariq Ramadan al Festival di Internazionale a Ferrara L integrazione fa la forza L ‘altra faccia di Roberto Saviano Strage Pakistan Marea Nera The global seed vault L’importanza della donazione del sangue nell’islam STORIE DI TERRE LONTANE Viaggio nella terra onesta “Impurità sta ai paria come inutilità sta alle donne..”: una proporzione improporzionale ABOUT ISLAM ‘id al Adha Poligamia e infedeltà Noi: tra dimenticanza e ricordo FOCUS: Abu Ayyub Al-Ansary, che Allah si compiaccia di lui GMI Parola al Presidente Convegno nazionale Giovani Musulmani d’ Italia.. QUALE MUSULMANO DOPO IL GIOVANE MUSULMANO? PALESTINA Perché scrivere di Palestina? Ti chiedo scusa... RIFLESSIONI Ma quanto mi piace il mio hijab? Care Meriem e Zena..
MI FIDO SOLO.. Mi fido [solo] di quel sentiero.. che conduce alla serenità alla tranquillità e alla pazienza.. a quella pace interiore depositata nel cuore, donatami da Dio, mi fido [solo] di Lui..Dio.. Colui che ascolta profondamente il mio cuore, Colui che Mi Comprende, Colui che Mi Protegge, Colui che Mi Perdona… E mi dà la forza per andare avanti.. Khadija Sahraoui
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Coordinatrici: Fatima Ismaeil, Meriem Finti
Hanno collaborato: Sara Abram, Zena Abram, Siham Amzil, Zainab Amzil, Sara Aslaoui, Mariam Bouchraa, Abdelhakim Bouchraa, Amina Bouchraa, Fatima Zara Boumrine, Sara Boumrine, Chiara Ceccon, Taned Demaj, Zahira Elaissi, Linda Elian, Alice Elliot, Mohamed Ektarabi, Amina Ennouri, Sara Emam, Chaimaa Fatihi , Omar Jibril, Amina Kotel, Senat Halilaj, Ibrahim Gabriele Iungo , Zeineb Naini, Chaimaa Nouim, Brahim Marrad, Hajer Messaoud, Mohamed Messaoud, Maroua Messaoud, Nadia Messaoud, Sabrina Mohamed, Davide Piccardo, Osama Qasim, Sarah Sadik, Khadija Sahraoui, Mohamed Davide Santoro, Gihad Samarli. Susan Sammak, Karima Sine Ilyas Zorgui
Impaginazione : Mahmoud Ismaeil; Linda Elian
Ê il 5 di novembre, cinque ragazzi, tra i venticinque ed i trent’anni, lavoratori, stranieri, stanchi di sopportare, stanchi di avere paura, si ribellano. Salgono su una ex ciminiera, la torre Carlo Erba in zona Maciachini a Milano, ed annunciano di non voler scendere fino a quando non constateranno una volontà reale di ascoltare le loro rivendicazioni. Facciamo un passo indietro, settembre del 2009, il governo emette un decreto che permette l’emersione dal lavoro nero per colf e badanti. Sono moltissimi i lavoratori immigrati che spinti dalla disperazione cercano comunque di rientrare nel processo di sanatoria, passando per collaboratori domestici anche quando lavorano come operai metalmeccanici, muratori o magazzinieri. Per farlo ci vuole un datore di lavoro che fa la richiesta, e se lavori in nero ed il tuo datore di lavoro non ne vuole sapere di metterti in regola, devi trovare qualcuno che ti faccia il favore. Ma il favore, non è gratis. Costretti, dunque, ad affidarsi a faccendieri, ad intermediari che chiedono cifre per loro esorbitanti, fino a 10.000 euro per presentare la richiesta. Pagano, il prezzo della
disperazione e della speranza, si indebitano, fanno sacrifici enormi, credendo di comprarsi una volta per tutte il diritto di lavorare e di sopravvivere. La domanda è presentata, ma le regole cambiano in corsa, la circolare Manganelli del 17 marzo stabilisce che gli stranieri che sono stati oggetto di espulsione e sono rimasti sul territorio italiano, non possono partecipare al processo di emersione e regolarizzazione. Almeno 50.000 persone che hanno già versato le tasse necessarie per la presentazione della domanda, si ritrovano più poveri di prima e sempre clandestini, il sogno svanisce di colpo. Clandestini e criminali, sì, perché la legge 94 del 15 luglio del 2009, istituisce il reato di immigrazione clandestina, lo straniero trovato in Italia senza documenti, diventa automaticamente un criminale. E così, succede che, queste persone non abbiano più niente da perdere, dopo mesi di lotte pacifiche, manifestazioni, scioperi e presidi, gli immigrati organizzati del Comitato Immigrati in Italia, scelgono di salire sulla gru a Brescia e sulla torre a Milano. I ragazzi del presidio permanente sono organizzati bene con un telone impermeabile,
con le tende, i sacchi a pelo, sotto c’è anche un angolo cottura e scorte di cibo ma i cinque sulla torre, tre egiziani, un marocchino ed un argentino possono ricevere solo cibo ed eventualmente medicinali, proibite anche le batterie per i cellulari che permetterebbero di restare collegati con il mondo. Ci tengono molto, loro, a far sapere che la lotta è per tutti quelli che, silenziosamente, da anni vivono e lavorano in Italia sfruttati e discriminati, per tutti quelli che vivono accompagnati dalla paura di essere fermati ed imprigionati in un CIE in attesa dell’espulsione. I ragazzi ripetono che non scenderanno fino a quando non si troverà una soluzione per tutti. Chiedono che venga rilasciato il permesso di soggiorno per chi ha subito la sanatoria truffa, per chi denuncia il lavoro nero o lo sfruttamento sul lavoro, per chi ha perso il lavoro. Chiedono una legge che garantisca il diritto di asilo, il diritto di voto amministrativo per chi vive in Italia da almeno cinque anni e la cittadinanza italiana per i bambini che nascono e crescono nel nostro paese. A chi gli chiede se non pensano che questo tipo di proteste possa creare antipatia per la causa tra i cittadini, rispondono che avrebbero volentieri fatto a meno di passare le notti al freddo, a quaranta metri d’altezza esposti alle piogge torrenziali di questo novembre ma che, sette mesi di lotte, cinque presidi, due manifestazioni , uno sciopero generale, tre incontri in Prefettura non solo non sono serviti a risolvere il problema, ma non sono riusciti nemmeno ad abbattere il muro dell'invisibilità. Invisibilità e sofferenza, nelle parole di uno dei leader della protesta, Najat giovane marocchina ci racconta dei lavoratori stranieri che lavorano e a volte muoiono sui cantieri per tre euro all’ora, che riescono a malapena a sopravvivere per poi chiudersi in casa la sera con addosso la paura di essere fermati dalla polizia. Quest’anno novembre è particolarmente freddo e piovoso e lassù si soffre, uno dei cinque è stato operato ad una gamba in passato e viene colpito da una febbre altissima, riesce a mettersi in contatto con un medico ed i suoi compagni giù pensano a come potrebbe scendere e curarsi, ma lui decide di tenere duro, di restare lassù e resistere.I migranti raccolgono la solidarietà dei cittadini milanesi, della curia , della CGIL, della comunità islamica, del Consiglio di
Zona, che si esprime con un’apposita mozione di sostegno, di tutti i candidati alle primarie del centro-sinistra a Milano, dei vari partiti della sinistra e di moltissime associazioni ed organizzazioni sociali. Il 14 di novembre due ragazzi egiziani stremati da dieci giorni di protesta, scendono dalla torre e fanno perdere le loro traccie, ma lunedì 15 novembre è il nono giorno di Dhul-Hijjah e la vigilia dell’Aid al Adha , due dei tre ragazzi rimasti su, digiunano e pregano Dio di concedere loro la forza di continuare a lottare. Marcelo giovane argentino assiste dall’alto alla festa di compleanno del figlio che compie un anno, vorrebbe scendere ma resta su e fa calare uno striscione che rappresenta il regalo più grande, la scritta dice: “Buon compleanno figlio mio, ti regalo un nuovo futuro”. Davide Piccardo
NOSTALGIA... In lontananza vedevo una striscia azzurrina...Vedevo il mare fondersi con il cielo, quasi fossero un solo orizzonte in cui era impossibile differenziare i confini dell'uno e dell’altro. Il traghetto sembrava andare lentissimo, quasi fermo, il profumo e il rumore del mare mi portavano a fantasticare su pensieri sempre più profondi e mi incantavano in modo sempre nuovo. Dopo poco tempo il traghetto si fermò e tutte le persone si avviarono verso l’uscita ansiosamente. Finalmente ero lì nella mia amatissima terra che da tempo non vedevo! L'effetto di vedere la bandiera del Marocco sventolare davanti ai miei occhi è impossibile da descrivere: un insieme di emozioni a cui non so dare espressione... Insomma ero finalmente a casa: i miei familiari erano pronti ad accogliermi a braccia aperte. Passai quella notte in mezzo ai miei cari, tra risate, battute e scambi di notizie: quella sera passò velocemente e piena di emozioni… “(Pubblicato anche nella Rivista Online “Piccole Parole” di Torino)” di Chaimaa Nouim
«Debbono cadere vecchi pregiudizi, occorre un clima di apertura e apprezzamento verso gli stranieri che si fanno italiani. In un clima siffatto possono avere successo le politiche volte a stabilire regole e a rendere possibile non solo la più feconda e pacifica convivenza con gli stranieri, ma anche l’accoglimento di un numero crescente di nuovi cittadini». Sono le parole del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante una cerimonia ufficiale al Quirinale. «Gli stranieri che diventano italiani sono un fattore di freschezza e di forza per la nazione italiana – continua Napolitano -. Danno l’opportunità al Paese di crescere». Intanto, a Montecitorio, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, continua la sua battaglia per il diritto di cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia: «E’ una questione di civiltà, capire l’importanza della cittadinanza per i bambini figli di immigrati – ha sottolineato più volte -. La vicenda della cittadinanza non può essere risolta con una battuta da comizio. Non è un problema
Lo sapevi che in Inghilterra in 12 diverse varianti, quasi 7600 bimbi nati nel 2009 si chiamano come il Profeta, pace e benedizioni su di lui? Per 14 anni il nome più diffuso è stato Jack, ora al terzo posto. di Karima Sine
elettorale e non è nemmeno un problema temporaneo anche se c’è qualcuno che non lo vuole affrontare». Queste parole hanno messo le basi per portare in aula una proposta di legge bipartisan, firmata dal finiano Fabio Granata e da Andrea Sarubbi del Pd. Puntualmente, dall’altra parte, arriva la bocciatura di Umberto Bossi, il leader della Lega Nord: «Il testo proposto da Fini è da accontanare – ha sentenziato -. Ci vogliono leggi più severe con gli immigrati». La proposta Sarubbi-Granata, approvata da cinquanta parlamentari di tutti i gruppi, esclusa naturalmente la Lega, ridurrebbe da dieci a cinque anni il periodo di tempo necessario a uno straniero per potere richiedere la cittadinanza e il passaggio dallo "ius sanguinis" allo "ius soli" per i figli di genitori legalmente soggiornanti e residenti in Italia da 5 anni. Ancora prima di essere discussa in parlamento, incassa però il no deciso del ministro degli interni, Roberto Maroni: «Con noi al Viminale, non passerà – ha dichiarato -. La cittadinanza non si può acquisire solo per il fatto di essere nati in Italia». E, nel mentre il numero di immigrati, o nuovi italiani, continua a crescere, facendo mutare la società, i politici continuano a essere impegnati nella loro partita infinita sui diritti e doveri di chi ha scelto l’Italia per costruire la propria vita. B.M.
L’assessore romano alla scuola, Laura Marsilio, in visita ad una scuola elementare ha dichiarato che i bambini nati in Italia da genitori stranieri non sono realmente italiani. A me, sinceramente, ha causato un attimo di ansia identitaria. Un genitore italiano basta per essere italiana? Qui c’è poco da scherzare. Qui si parla di me, della mia appartenenza. Qui, se si comincia a misurare l'italianità in rapporto ai genitori, potrei avere dei problemi pure io. Perché non solo mio padre non è italiano, ma io non sono neppure nata in Italia. Però ci ho vissuto 20 anni – vale qualcosa? Quanti punti ho nella scala da 0 a 100 dell'italianità pura? L'assessore Marsilio dice che i figli di stranieri in Italia sono stranieri. Mi sono guardata allo specchio e ho pensato – oddio, parlava di me? Poi, però, ho tirato un sospiro di sollievo. Io non sono di origine straniera straniera. Lo sono solo un pochino, sono solo un pochino straniera, perché mio padre non è Straniero ma straniero, un gioco di maiuscole e minuscole che può cambiare tutta una vita. Del resto l’Inghilterra non è veramente ‘straniera’. Certo è più lontana dall’Italia della Tunisia o dell’Albania però non è straniera straniera. Infatti io ne ho pagato le conseguenze. A me a scuola nessuno poneva domande esotiche e favolose sulle mie origini – non ero molto interessante, e a parte qualche domanda d’aiuto durante i compiti in classe d’inglese, la mia origine straniera era ignorata. Mi rendeva molto più esotica il fatto che non avessi la televisione a casa. In tutte le altre cose, io, ero italiana. Ma in che modo? In che modo io sono italiana più dei bambini delle elementari incontrati dalla Marsilio? Come si misura l’italianità? Dall’ “aria che si respira in casa”, rispondono sia la Marsilio che la preside della scuola elementare. Ed ecco che scattano di nuovo in me dubbi d'appartenenza. Come si misura l’aria che si respira a casa? In quale percentuale deve essere italiana l’aria respirata per mettere in circolo nel corpo l’essenza dell’italianità? Perché io son cresciuta in una casa un po’ stramba, e non sono sicura se l’aria che ho respirato negli ultimi 25 anni si possa considerare ‘italiana’. Esiste un rilevamento scientifico? Un rilevatore di qualità offerto dal Ministero dell’Interno per misurare in modo quantitativo di che nazionalità sia l’aria di una casa? Quanti
punti mi toglie nella scala d'italianità il fatto che tra le mura della casa della mia infanzia non circolasse solo l’italiano? Del resto ora l’inglese va di moda, ma sicuramente i signori misuratori d’identità converranno che la popolarità dell’inglese è solo il risultato di giochi di potere e moderno colonialismo linguistico e che quindi il fatto che questa lingua contaminasse l’aria della mia casa debba togliere molti punti alla misura della mia italianità. O siamo così meschini che chiudiamo un occhio quando la lingua altra che contamina la nostra è quella del più forte, del colonizzatore? Certo che no! Quanti punti toglie alla mia italianità il fatto che tornassi ogni anno, per tutta la mia infanzia ed adolescenza, al mio paese d’origine? Perché, se ho capito bene, è così che dovrei considerare l'Inghilterra. Così vale per i bambini in fila per entrare in classe che ha incontrato la Marsilio, quindi immagino valga così anche per me. Poco importa se i miei mi han portato via dal mio paese natale che avevo 3 settimane, se ho frequentato l’asilo, la materna, le elementari, le medie, le superiori in Italia, se i miei ‘ritorni’ all’isola britannica
li ho sempre considerati vacanza. Poco importa se in Inghilterra sorridevano al mio accento italiano e se sono sempre stata vista dai miei parenti là come la nipote italiana. Secondo le leggi astratte delle appartenenze, un bimbo con genitori marocchini portato in Italia a tre settimane d’età è marocchino e quando e se torna in Marocco d’estate torna ‘al suo paese d’origine’. Questo, a rigor di logica, dovrebbe valere anche per me. Quanti punti di italianità mi dà il fatto che a casa mia si festeggi il Natale con i tortellini? Ma quanti punti poi mi toglie il fatto che attorno al tavolo del pranzo di Natale ci sia seduto non solo un Inglese, mio padre, ma pure un Cinese, mio zio, il marito di mia zia, la sorella di mia madre? Certo l’aria che respiro fin da bambina non si può definire esattamente italiana. O forse sì? Del resto mentre si mangia si parla solo italiano perché questa è la lingua che tutti capiamo, e mio zio è in realtà cittadino italiano. Dal punto di vista burocratico, l’unico straniero a quel tavolo è mio padre. Che però mangia più tortellini di mia madre (cittadina italiana con genitori italiani e nonni italiani). Mi confondo sempre, quando si utilizza la parola cultura – cosa si intende per ‘cultura italiana’? Cantare l’inno? Essere bianchi? Andare in chiesa? Parlare italiano? Pagare le tasse? Non pagarle? Avere la madre casalinga? Avere la madre lavoratrice? Essere cattolici o almeno cristiani o a seconda del momento storico pure ebrei o pure atei, ma comunque non musulmani? Essere italiani vuol dire non essere musul-
mani? Mangiare i tortellini vale? Essere precari? Mammoni? Mafiosi? Sicuramente la cittadinanza non basta. La Marsilio non parla della cittadinanza dei bambini in fila fuori dalle elementari ma della loro 'cultura', della loro 'origine' – e probabilmente la sua scelta è stata azzeccata, avrebbe potuto creare delle incomprensioni se avesse parlato solo di bambini non cittadini italiani. Perché alcuni di quei bambini in fila per entrare in classe, etichettati dalla Marsilio come ‘stranieri’, probabilmente sono effettivamente cittadini italiani, figli di cittadini italiani. Per evitare disguidi, per evitare che questi bambini, cittadini italiani, si sentissero in un qualche modo esclusi dal suo discorso e non si sentissero abbastanza stranieri, la Marsilio ha sottolineato che “non è solo un fatto anagrafico, ma un fatto di cultura”. E ha ragione, la signora Marsilio, a dirlo a bambini di 6 anni, nei primi giorni di inserimento a scuola: che sia ben chiaro, nelle loro teste, che sono diversi da tutti gli altri. Nel caso in cui si confondessero o solo provassero un sentimento di appartenenza al Paese, alla città, alla scuola, al quartiere, le cose sono da subito messe in chiaro. E’ evidente dunque che anche la mia cittadinanza non basta come sicurezza, come prova della mia italianità – il discorso della Marsilio suggerisce che ci sono cittadini più cittadini di altri, più italiani di altri, con il passaporto più rosso degli altri. Date le mie circostanze, il mio passaporto di che rosso è? Se alcuni di quei bambini ‘stranieri’ della scuola elementare erano cittadini italiani, altri non lo erano, perché i loro genitori non possiedono la cittadinanza. Come mio padre, del resto. Che cosa, dunque, mi rende più italiana di questi bambini? Forse il fatto di non dover fare la fila periodicamente in Questura per richiedere il permesso di soggiornare un altro anno nella mia casa, nella mia città, nel Paese in cui sono cresciuta? Forse il fatto che, quando ho compiuto diciotto anni, non ho dovuto presentare una motivazione ‘valida’ per rimanere in Italia e non rischiare di diventare clandestina? Ma questa non è una questione di ‘cultura’, questa differenza tra me e quei bambini dipende solo dal fatto che possiedo i documenti giusti, che mi è andata bene con la burocrazia. E, se qui quello che conta è la cultura e non la burocrazia, l’appartenenza e non l’anagrafe, cosa mi rende, realmente, più italiana di una ragazza arrivata a tre settimane d'età dal Marocco? O da un ragazzo nato in Italia da genitori che un tempo vivevano in Tunisia? Certo, qualcuno potrebbe dirmi che la mia 'origine' è più 'europea' della loro. Quando si parla di “aria italiana respirata in casa” però, siamo veramente sicuri che l’aria inglese si avvicini di più all’aria ita
liana rispetto all' ‘aria albanese’, all' ‘aria marocchina’, all’ ‘aria cinese’? L’aria marocchina respirata in casa da bambini figli di Marocchini ‘inquina’ l’aria italiana che i bambini respirano più dell’aria inglese, americana, austriaca, svizzera respirata da bambini figli di inglesi, americani, austriaci, svizzeri che nascono e crescono in Italia? Forse il Ministero dell'Interno dovrebbe veramente distribuire degli efficaci rilevatori della qualità dell’aria ad ogni casa, roulotte, tenda in Italia. Così tutti potremmo dormire sonni più tranquilli. Perché finalmente sapremmo esattamente chi è italiano puro e chi no, chi è italiano solo per un terzo, chi per quattro quinti, chi per sette noni. Alice Elliot
Lo sapevi che in Italia lavorano 35 mila infermieri stranieri? “Il ruolo degli infermieri stranieri è oramai fondamentale per la tenuta del sistema sanitario stesso, e il loro ingresso è necessariamente caldeggiato dalle autorità sanitarie”, afferma il rapporto Amref sulla cooperazione sanitaria, presentato recentemente al Ministero degli Affari Esteri.
Il tuo ricordo.. Il giorno che ti lasciai, il tempo si fermò Ci regalò i profumi e i sapori che finchè avrò fiato, mai dimenticherò… Guardai i tuoi occhi, implorare il cielo che restassi Capi la paura che il tuo cuore bisbigliava Alzai la mano e ti promisi “tornerò” Però vidi le lacrime, la tristezza ti imprigionò Vidi quegli occhi affogati nella disperazione mormorare “Non promettere con le parole, ma col cuore Le parole sono sinonimo di menzogne Mentre il cuore è sinonimo di amore” Dimenticai il mondo e me stesso
Il mio sorriso nelle sue lacrime sprofondò Mi persi nel silenzio che non smetteva mai di parlare Nel dolore e nella nostalgia che brutalmente mi castigarono Il suo dolore, busserà sulle porte del cielo per l’eternità Svuoterà il mio cuore dalla gioia e dalla felicità Ma io me ne vado dolce tesoro È la vita che mi costringe, non la mia volontà Il diabolico mare scortava la mia anima verso la sofferenza Verso la solitudine, l’ipocrisia, e il gelido dell’indifferenza Dove, parlo e parlo ma non mi capiscono Dove c’è gente che si sente superiore invece è tanto debole e povera di cuore Gente, svestita di ogni sentimento amichevole Che a occhi bendati segue ogni pregiudizio irragionevole Comunque sia, non mi abbatterò mai continuerò a vivere la mia vita… by eMKey
fronti dei musulmani i quali sono i primi a dissociarsi in modo molto determinato da questi crimini, perché non fanno parte della cultura religiosa. Il profeta Muhammad (pace e benedizione su di lui) disse che chi uccide una persona è come se avesse ucciso l’intera La strumentalizzazione mediatica è all’ordine del gior- comunità. Questo per dirvi quanto siano gravissimi no, soprattutto quando si tratta di cronaca e il prota- tali atti dal punto di vista religioso. Non capisco per gonista di questa appartiene ad una cultura, religione, quale motivo si debba dire che Hina o Sanaa sono stanazione differente da quella in cui avvengono i fatti. te uccise perché volevano vivere all’occidentale. Cosa Pensiamo al caso di Sanaa, Hina e altre ragazze uccise s’intende per “occidentale”? Io vivo all’occidentale, dai padri o fratelli. Tutte le fonti d’informazione ureppure non mi vesto in minigonna, non bevo e non lano allo scandalo, alla barbarie e il fatto è oscefumo. Molti italiani, come me, non bevono, non no in sé, ma aggravato all'ennesima potenza, fumano e le ragazze non si mettono la minigonperché gli assassini sono originari di paesi a na. Vivere all’occidentale non significa questo, maggioranza musulmana. Ultimamente si è ma bensì acquisire valori poco presenti o asparlato molto del caso di Sarah Scazzi (a senti nei nostri paesi di origine. A mio avvimio parere, più del dovuto) ma nessuno so, chi vive in Occidente, conciliando la ha mai accusato lo zio di essere un cripropria mentalità, è ricco, perché ha minale perché testimone di Geova, e mille sfumature nei suoi pensieri, sendi aver ucciso perché, magari, la sua timenti, ideologie. Penso che sia imreligione glielo impone. E’ giusto portante e fondamentale iniziare che sia così!Mi chiedo per quale un lavoro di contro informazione motivo ad una persona che che tenga conto di questo. Inicommette un reato deve esziare la pubblicazione di un serle associato un fattore nuovo giornale è un passo che determina l’opinione davvero importante e lo pubblica e mediatica. diventerà ancor di più Nei giornali, nelle raquando prenderà vita e dio, nei telegiornali sarà letto da chi ci asspesso le vicende socia come musulmasubiscono una peni direttamente ai crisante strumentalizzazione e in questo modo si condi- minali. Non è un problema che tocca solo noi stessi, ziona l’intera opinione pubblica italiana e, di consema anche le prossime generazioni che vivranno in Itaguenza, la politica. Basti pensare alla Lega Nord ed lia. Dobbiamo coltivare il terreno per consegnarlo loro altri partiti che sfruttano questi casi per attuare cam- più fertile e accogliente, scevro dai problemi che viviapagne di propaganda elettorale. In questo modo si mo noi ogni giorno sulla nostra pelle. crea terrore, paura, si alimentano pregiudizi nei conChaimaa Fatihi
“Wilders: l’Islam è come il nazismo. Uno spettro si aggira per l’Europa. E’ lo spettro dell’islamizzazione.” (La Repubblica) “Moratti: Niente costruzione di moschee.” (Il Corriere) “Le impone il velo per nascondere i lividi...” ( Il Corriere).
Queste e tante altre le notizie dello stesso tipo troviamo sempre più spesso, riguardo all’Islam, nei giornali e nelle tv occidentali. Notizie che contribuiscono a creare la percezione negativa che si aleggia nei confronti dei musulmani. E con la lettura di questi titoli di giornale, Lilli Gruber, giornalista di La7, apre il dibattito da lei moderato, dal titolo “L'islam: uno spettro si aggira per l’Europa. I musulmani Europei e le guerre d’identità”.Una delle conferenza più attese dai partecipanti del Festival Internazionale, tenutosi nella famosa città delle biciclette. A confermarlo la lunga fila che già due ore prima dell’inizio dell’incontro, il 3 ottobre, si è formata davanti al teatro Comunale. Ospiti della conferenza: Ian Buruma ( saggista e giornalista olandese), Olivier Roy (politologo francese) e l’intellettuale svizzero Tariq Ramadan, uno dei massimi esperti di Islam in Europa. Al centro del dibattito la questione della separazione tra Chiesa e Stato, la percezione del musulmano europeo e le guerre d’identità. “Perché c’è paura nei confronti del
musulmano? Perché si percepisce negativamente l’immigrato musulmano?”Questa una delle principali domande posta dalla Gruber ai tre esperti. I tre ospiti concordano sul fatto che uno dei maggiori motivi che concorrono a creare questa percezione siano i media e le strumentalizzazioni politiche. Tariq Ramadan identifica le cause della percezione negativa nei confronti dei musulmani in tre fattori principali: innanzitutto quello storicoidentitario: “l’islam viene percepito come qualcosa di alieno, qualcosa di non europeo, non occidentale: è l’altro”. Poi nella nuova presenza, visibilità dei musulmani: “Gli immigrati delle prime generazioni venivano per lavorare, erano persone isolate, senza possibilità di auto-espressione; ora abbiamo giovani di seconde, terze, quarte generazioni, che escono dal ghetto e sono più visibili: richiedono le moschee, si abbigliano diversamente. Non si vogliono integrare? No, è il contrario essi si vestono così e richiedono le moschee proprio perché si sentono a casa propria, non più ospiti”. Ed infine, il terzo fattore risiede nella crisi identi-
taria europea: “L’Europa sta vivendo un difficile periodo di crisi non solo economica ma anche identitaria, c’è paura del presente e della nuova presenza degli immigrati, senza il cui afflusso, però, non ci sarebbe sopravvivenza economica per l’Europa.” Iam Buruma invece individua una delle cause dell’islamofobia nelle minacce e reazioni violente, da parte di alcuni musulmani, alle satire e caricature sulla religione da parte dell’Occidente, cosa inquietante a suo avviso per gli europei. Il concetto che sintetizza l’opinione di Roy è invece il seguente: “Si è confusi in Europa e si rischia di costruire un’identità comune solo perché ci si sente minacciati da un’altra più forte. Ed in merito alla questione della separazione tra Chiesa e Stato afferma ironico :”In Europa c’è l’idea che lo Stato debba controllare la religione. Si vuole promuovere una religione più progressista, vogliamo un Islam più liberale, democratico un po’ femminista, un po’ pro-gay, perché no? Ma la Chiesa è intoccabile, non si può liberalizzare. Non possiamo chiedere ai musulmani di comprarsi i valori non musulmani, devono rispettare le leggi come tutti, ma nella sfera individuale, di comunità, possono comportarsi secondo le norme della propria religione, compatibilmente con la tradizione europea delle separazione delle due sfere: civitas dei e civitas ominis.” Una conferenza interessante e coinvolgente, nonostante in certi momenti sembravano riproporsi alcune delle strategie adottate nei talk show televisivi: domande
puntigliose e contrastanti per creare l’effetto botta-risposta tra gli interlocutori, ed accendere gli animi del pubblico, diviso per fazioni. Un esempio di ciò è stata la domanda sull’omosessualità, rivolta provocatoriamente a Tariq Ramadan, sulla quale la moderatrice si è soffermata, contrapponendo la concezione dell’intellettuale musulmano a quella “più liberale ed occidentale” del giornalista Ian Buruma. E’ possibile non essere d’accordo su alcuni principi, ma questo non impedisce il rispetto reciproco: questo il messaggio che ha voluto dare Tariq
Ramadan.“L’omosessualità non è un atteggiamento giusto, poiché è contraria al progetto divino – ha affermato - ma rispetto ugualmente gli omosessuali, rispetto le persone”. L’ultima parte dell’incontro è stata dedicata ad dibattito aperto con il pubblico, parte che poteva essere una delle più interessanti se non fosse che il tempo ad esso concesso è stato davvero ristretto e non si sono potuti accogliere tutti le domande. Uno spettatore ha affermato: “Sono entrato abbastanza confuso ma esco altrettanto confuso”. Direi che sia un sentimento legittimo, soprattutto se si tratta di un argomento così delicato, di cui non si ha un’esperienza diretta. Il tema dell’incontro era senz’altro complesso e non affrontabile in una semplice conferenza di due ore, tema di cui sempre più spesso si discute e dibatte animatamente, ed attorno
al quale si creano giorno dopo giorno pregiudizi, false immagini e strumentalizzazioni politiche. D’altra parte, possiamo affermare che, grazie a Dio, c’è anche gente disposta a cercare la giusta informazione, rendendosi protagonista attiva di ciò che legge o sente, senza arrendersi alle influenze esterne ed alla paura dell’altro. Tra questi, certamente molti dei partecipanti a tale conferenza, moltissimi non musulmani e un numero non indifferente di giovani musulmani. È importante che il dialogo ed il confronto tra la cultura europea e l’universo di riferimento dell’Islam, del quale c’è indubbiamente un problema di scarsa conoscenza, venga costruttivamente incentivato, e non solo a livello intellettuale, con conferenze e dibattiti di questo tipo, ma soprattutto partendo dal basso, dal dialogo tra vicini, colleghi, compagni ecc.. Come ha affermato Tariq Ramadan in un’intervista successiva, il problema di conoscenza purtroppo c’è anche tra Islam ed i musulmani stessi, i quali non sanno abbastanza in merito alla propria religione, per potersi confrontare con le provocanti, puntigliose ma anche legittime domande da parte dei non musulmani, i quali hanno una visione spesso semplicistica dell’Islam. E per finire non poteva mancare, in occasione di una conferenza sull’Islam, la solita reazione xenofoba, manifestatasi attraverso una protesta anti-musulmana. Se ne legge il giorno dopo sui giornali locali. La contestazione si è tenuta all’esterno del teatro Comunale, durante l’incontro, con l’esibizione di uno striscione che sfoggiava lo slogan “Italia terra cristiana, mai musulmana”. Credo che i musulmani, alhamduLillah, abbiano ormai gli anticorpi giusti per affrontare e sorvolare su provocazioni di questo tipo, per cui non rimane che guardare avanti nella speranza di incontrare sulla nostra stra-
da e nel futuro dell’Europa gente meno disinformata ed aperta al dialogo ed al confronto costruttivo.., inshAlah.. Sara Aslaoui
Tre anni fa ho conosciuto mia sorella. È vero, di soliti certi incontri dovrebbero avvenire alla nascita, ma evidentemente Dio doveva avere una buona ragione per ritardarne uno così importante: dovevamo vivere almeno quel tanto da avere qualcosa da insegnare l’una all’altra. Se fossimo state sempre gomito a gomito fin dal primo giorno di vita, che cosa avremmo potuto mai condividere? Invece, se guardiamo proprio gli aspetti di base, non potremmo essere più diverse: origini diverse, famiglie diverse, aspetto esteriore decisamente diverso. Insomma, non siamo proprio di quelle ragazze che, se le vedi per strada, ti danno subito l’impressione di avere uno stretto grado di parentela. Ma io e mia sorella abbiamo voluto fare l’en plein: siamo addirittura di religione diversa! Quindi incontrare lei ha voluto inevitabilmente dire incontrare l’Islam: perché come ogni buon musulmano sa, la religione è una parte integrante della vita di ogni fedele. Forse è anche questo che ci spaventa, quando veniamo in contatto con questo universo sconosciuto: quanto il musulmano sia profondamente dedito al suo credo e imprescindibile dalle norme e consuetudini dell’Islam. “Da noi”, invece, anche in virtù della laicità dello Stato (che è stata direi indispensabile per lo sviluppo dell’Italia), è forse più diffuso riconoscersi come membri di una comunità in base ad uno stesso sistema di leggi, ad una fazione politica, ad una medesima professione, ma si è un po’ persa la percezione di far parte di una comunità più astratta e spirituale, o di una addirittura universale, quella dell’umanità. Amiamo, ad esempio, definirci cittadini del mondo, ma pochi di noi comprendono davvero cosa significhi. Per la mia esperienza personale, almeno, è raro trovare esempi positivi e costruttivi di queste unità “allargate”, che piuttosto degenerano in rivalità e chiusura. Occidente ed Oriente, per cominciare: questi due fantomatici poli sembrano allontanarsi sempre più l’uno dall’altro. Da una parte abbiamo la guerra, verbale ed effettiva, tra istituzioni, eserciti e capi di governo; ma dall’altra, davanti ai nostri occhi, abbiamo persone che si impegnano per favorire l’integrazione e il ialogo, senza rinunciare alle
rispettive culture e tradizioni. E questo, mi sembra, è anche l’obiettivo dei gm-ini: valorizzare la propria religione, non come elemento di esclusione ma di “coinvolgimento”. Per me il GMI è un po’ un “rivale”, dal momento che ormai occupa la maggior parte del tempo e dei pensieri di una persona a me tanto cara… soprattutto in periodo pre-convegno/ campeggio! Ma allo stesso tempo ero enormemente curiosa di conoscere questi miti viventi di cui sentivo continuamente parlare e di cui conoscevo ormai a memoria nomi e facce senza averli mai incontrati. E così, al Festival di Internazionale a Ferrara, armata di kefia e di buona volontà, mi sono preparata al grande incontro. All’inizio ero un po’ nervosa: e se non fossi andata d’accordo con la grande famiglia allargata di mia sorella? È una cosa che fa andare nel panico, no? Ma per fortuna direi che è andata bene. Ho conosciuto persone in gamba, disponibili; persone che si interessano di politica, di musica, di cultura; persone, insomma, non così diverse da me. Magari non sempre puntuali, ecco, e che non rispettano le file: ma se è per sentire Tariq Ramadan si può chiudere
un occhio. Persone che hanno delle responsabilità, ma hanno anche il diritto di vivere la propria fede come sentono e come ritengono giusto. A volte mi sono trovata in contrasto con mia sorella, perché mi sembrava che stesse rischiando di sacrificare la sua felicità per la sua religione, o meglio, per alcune regole che io non comprendo e non condivido. Le voglio bene e vorrei che fosse in tutto e per tutto libera di esprimersi. Ma mi sono accorta che quelli che per me sono sacrifici, sono sue scelte, e che giudicandola per questo non facevo altro che toglierle quella libertà che tanto volevo darle. Ho una grande stima di lei, e sarebbe stato come mancarle di rispetto impedirle di agire secondo la sua coscienza. Non condivido ciò che dici, ma sarei disposto a dare la vita affinché tu possa dirlo. Riguardo le foto di quella giornata, di quella Ferrara davvero internazionale, un po’ siriana, un po’ marocchina, un po’ italiana, e mi piace vedere che nello stesso scatto possano convivere tante realtà diverse. Mi è piaciuto accompagnare le ragazze a pregare e vedere la gente che mi guardava sorridendo mentre facevo il “palo”, come se capisse la preziosità di quel momento. Mi è piaciuto il fatto che, non appena ho pubblicato le foto su facebook, molti miei amici mi abbiano chiesto di quell’evento e chi fossero quelle persone con me. Riguardo le foto di quella giornata, la spontaneità, la naturalezza, e
mi chiedo perché il mondo sia così diviso in base alle religioni, che in realtà si fondano su valori universali e sentiti da qualsiasi uomo: amore, giustizia, uguaglianza, solidarietà, aiuto reciproco. Non sembra un po’ paradossale anche a voi che, a volte, proprio ciò che dovrebbe unirci e farci riconoscere come “simili” finisca per dividerci? Ma, sfortunatamente, questa capacità di mettersi nei panni dell’altro, del diverso, dello sconosciuto, è merce rara di questi tempi: non riusciamo a riconoscerci nell’altro, e soprattutto non riusciamo a riconoscere noi stessi nell’altro. È un momento quanto mai cruciale e delicato per il dialogo tra persone di nazionalità e credo differente: le misure contro l’immigrazione si fanno sempre più severe, i tempi della burocrazia si allungano a dismisura, la gente è divisa tra accoglienza e rifiuto, e chi aspetta per un permesso di soggiorno o per la cittadinanza…beh, continua ad aspettare. Sappiamo che è un momento di crisi, in cui tutti abbiamo bisogno di sentirci forti e al riparo da altri “attacchi” alla sicurezza della nostra vita: e come ha fatto giustamente e tristemente fatto notare Umberto Eco, un popolo spesso non è capace di trovare al proprio interno coesione e resistenza, ma deve identificare un nemico comune per sentirsi parte di un gruppo. E questa è l’era dei capri espiatori! Sarebbe senz’altro più utile cercare di venirsi incontro, riconoscendo che ciascuno ha qualcosa da imparare dall’altro e può arricchirsi con una reciproca conoscenza. Se avessimo il coraggio di avvicinarci all’altro, piuttosto che giudicarlo o allontanarlo per “proteggerci”, ci accorgeremmo di essere piuttosto simili al proprio “nemico”… siamo tutti esseri umani in fondo, no? E proprio
per questo abbiamo tutti le nostre debolezze, anche se forse le affrontiamo in modo diverso. È innegabile che, in ognuno di noi, risieda la paura dell’altro, perché è la paura dell’ignoto, di qualcosa che non conosciamo e che non possiamo controllare; ma al posto di divenire schiavi di questa paura, dovremmo ridimensionarla e provare a mettere il naso fuori dalla porta, non sbatterla in faccia a qualsiasi richiamo esterno. È un atteggiamento che purtroppo vedo in molte persone, terrorizzate all’idea che le loro certezze possano venire sconvolte: perché ammettere l’altro vuol dire metterci un po’ in discussione, riconoscere magari la nostra parte di errore. O abbiamo la memoria così corta da dimenticare che anche noi siamo stati degli immigrati in Paesi stranieri, e tuttora lo siamo anche se in maniera meno eclatante? La fuga di cervelli all’estero, la fuga di denaro verso i paradisi fiscali…ci siamo “evoluti”, ma la nostra tendenza all’espatrio non si è estinta. Proprio perché tutti siamo tanto vulnerabili e allo stesso tempo tanto simili, dovremmo riconoscere nell’unione la sola forza che ci aiuterà a portare avanti la nostra storia, nella condivisione di ideali profondi piuttosto che su elementi superficiali, “di contorno” che ci spingono ad arroccarci su posizioni di presunta superiorità rispetto all’altro. “La natura dice a tutti gli uomini: poiché siete deboli, aiutatevi reciprocamente; poiché siete ignoranti, reciprocamente illuminatevi, e sopportatevi”, affermava Voltaire. Duecentocinquanta anni dopo, siamo sicuri di aver imparato a farlo? Chiara Ceccon
Ormai tutti conoscono chi è Saviano, anche chi non è interessato ai fatti di mafia ne sente parlare. Potremo parlare di lui iniziando dalla sua biografia: Roberto Saviano è nato a Napoli, si è laureato in filosofia, ha iniziato la sua carriera bla bla bla... ma non è questo che ci interessa, chi è in realtà Saviano? E' l'uomo che combatte la mafia, la camorra, è stato definito come "Saviano, uomo solo nel mirino del potere", è l'uomo coraggioso costantemente minacciato dalla camorra costretto a vivere sotto scorta e a cambiare continuamente dimora per motivi di sicurezza stabiliti dallo Stato. Grazie al successo letterario conquistato, merito soprattutto del romanzo "Gomorra" (tradotto in 53 paesi diventa un bestseller con 2 milioni e mezzo di copie vendute in Italia e 4 milioni di copie vendute nel resto del mondo), gli sono stati assegnati svariati premi, e la Laurea Honoris Causa dell'Accademia di Belle Arti di Brera. Dalle continue minacce subite dal clan dei casalesi molti premi Nobel decidono di firmare a suo favore un appello di solidarietà. Viene pure invitato all'Accademia di Stoccolma, luogo in cui vengono assegnati i premi Nobel, per discutere di libertà di espressione.
Ma non solo in campo letterario si è fatto riconoscere, gli sono state dedicate puntate speciali a "Matrix", "L'era glaciale" , "Anno zero" e "Che tempo che fa", e ora per concludere conduce insieme a Fazio il programma "Vieni via con me", che ha conquistato un record di ascolti, la prima punta puntata è stata seguita da 7 milioni seicentomila spettatori e il 24,48% di share, è il programma più visto di Rai 3, ha battuto persino il Grande Fratello. Giusto per la cronaca vi informo che il programma è prodotto da Endemol (Endemol ---> Mediaset ---> Berlusconi) In molti lo vogliono in politica, lui è la voce della verità, la voce del popolo, che non ha paura di nessuno, che non ha peli sulla lingua, che si "sacrifica" per il bene della società. Che grande uomo questo Roberto Saviano, glielo dobbiamo riconoscere! Usciamo un attimo della realtà italiana, e sentiamo cosa ne pensa in proposito alla condanna di Sakineh: "Lapidarla signi ficherebbe lanciare un sasso contro ogni donna. Può sem brare retorico, scontato, persino falso, perché in fondo le donne da altre parti del mondo vivono come vogliono e forse nemmeno sanno chi è lei. Ma poiché queste sono parole è compito nostro trasformarle in sassi, colpendo chi l’ha condannata. In modo da riuscire ad essere in molti — e determinanti — nel dire, nel pretendere: “Nessuno levi la mano contro Sakineh” Sentiamo invece cosa dice Malek Ejdar Sharifi, un giudice che si è occupato del particolare caso giudiziario: ''Non possiamo rendere noti i dettagli dei crimini di Sakineh, per considerazioni di ordine morale ed umano. Se il modo in cui suo marito è stato assassinato fosse reso pubblico, la brutalità e la follia di questa donna verrebbero messe a nudo di fronte all’opinione pubblica. Il suo contributo all’omicidio è stato così crudele e agghiacciante che molti criminologi ritengono che sarebbe stato molto meglio se lei si fosse limitata a decapitare il marito''. Dalle parole di Saviano ci sembra abbia concentrato la sua attenzione sulla modalità d'esecuzione della condanna, vale a dire la lapidazione, ma fonti iraniane affermano che la condanna sarà eseguita per impiccagione, tenendo sempre in considerazione che la donna è ancora viva. Perché Saviano non ha lanciato appelli anche a
Teresa Lewis, donna condannata alla pena capitale per il ruolo svolto negli omicidi del marito e del figliastro, donna a cui è stato riscontrato un quoziente intellettuale al limite del ritardo mentale; o per tutte le altre condanne (spesso di persone innocenti) negli altri paesi del mondo? Oppure vogliamo parlare di cosa pensa Saviano del conflitto israelopalestinese, ad una manifestazione dal titolo "Per la verità, per Israele" lui afferma: "La mia verità su Israele è fatta soprattutto di immagini, di immagini che non vogliono essere soltanto quelle della guerra, ma sono immagini che hanno a che fare con lo sguardo a Tel Aviv, con la luce di Tel Aviv, la luce di Eilat e la meraviglia di Gerusalemme. Un centinaio di nazioni formano lo Stato israeliano, ebrei da ogni angolo della terra e non soltanto ebrei. Sono lì e lo vedi anche sul volto delle persone e delle nuove generazioni: ragazzi con la madre irakena e il padre della Repubblica Ceca, russi con spagnoli e argentini e tedeschi, ucraini, etiopi. Tel Aviv è una città che non dorme mai, piena di vita e soprattutto di tolleranza, una città che più di ogni altra riesce ad accogliere la comunità gay, a permettere alla comunità gay israeliana e soprattutto araba di poter gestire una vita libera e senza condizionamenti, frustrazioni, repressioni e peggio persecuzioni. Quando c’è stato il Gay Pride in Spagna, le associazioni gay israeliane
non sono state respinte, non accolte. Perché è stato un gesto doloroso? Perché le associazioni israeliane accolgono i gay dei paesi arabi che vengono perseguitati, condannati a morte, diffamati, non è possibile rinunciare a interloquire con queste associazioni se davvero si ha a cuore la pace in Medio Oriente. Farlo ha il sapore del pregiudizio. Ecco perché quando si parla di Israele bisogna dimettere questo pregiudizio. Bisogna raccontare come questa democrazia sotto assedio si sta costruendo, si è costruita, ha raggiunto degli obbiettivi importanti, anche sul piano dell’accoglienza. I profughi del Darfur, ad esempio, vengono accolti in Israele. Una religione perseguitata in Iran e in quasi tutti i paesi musulmani è stata accolta in Israele, Haifa è il suo centro più importante: la religione Bahai, nata proprio in Persia. Quindi tutto questo mio parlare è solo per cercare di sperare che in Italia, destra sinistra, centro, comunque la si pensi, si possa parlare con maggiore cognizione, profondità." Qui non c'è bisogno di aggiungere altro. Chi è in realtà Roberto Saviano? Un altro Travaglio? In proposito cito una sua frase: "Verità e potere non coincidono mai" Zena Abram
Se una statua rappresenta una persona su un cavallo che ha entrambe le zampe anteriori sollevate, significa che la persona in questione è morta in guerra. Se il cavallo ha solo una zampa anteriore sollevata, la persona è morta a seguito di una ferita riportata in guerra. Se il cavallo ha tutte le quattro zampe a terra, la persona è morta per cause naturali
Rivolta della natura ai primi d'agosto, nel Pakistan, piogge monsoniche insolitamente abbondanti provocano un'alluvione di proporzioni bibliche. Il disastro uccide 1700 persone e interessa circa 20 milioni di pakistani che hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni. Duramente danneggiate infrastrutture e l'agricoltura, comparto basilare del Pakistan. Dopo le grandi catastrofi naturali, terminata l'emergenza , ci si dimentica presto dei luoghi colpiti e delle persone rimaste coinvolte, abbandonandole a se stesse nella difficile e delicata fase della ricostruzione. Momento questo ancora più duro e dalle conseguenze più drammatiche se ad esserne vittima è uno dei paesi più poveri del mondo. Per fortuna però non sempre è così: Islamic Relief, infatti, continua a fornire assistenza d'emergenza ai sopravvissuti dando loro le basi per la sopravvivenza. I soccorsi sono resi difficili dalle continue piogge e tempeste, ma il lavoro di soccorso continua poiché è di vitale importanza al fine di prevenire altre morti. La storia è sempre la stessa: le catastrofi naturali esistono, ma sono aggravate infinitamente dalla nostra incapacità di tenere conto dei ri-
schi naturali ovvero trascurando la possibilità di studiarli molto bene e dal fare comunque finta di nulla per ignavia o avidità. O per l'assoluta mancanza di risorse e di memoria. Bisogna considerare che l'uomo è in parte causa di questi fenomeni che oggi avvengono più frequentemente che nel passato e stanno distruggendo un luogo fantastico e armonioso. Ogni giorno che passa c'è sempre meno verde e più grigio, il tasso d'inquinamento nell'aria è ormai critico. Tre sono i principali fattori di rischio: lo sviluppo urbano incontrollato, il degrado ambientale e i mutamenti del clima dovuti alle emissioni dei gas serra. Purtroppo l'uomo si pone in maniera sbagliata nei confronti della natura, pretendendo di poter comprendere tutto e riuscire a dare spiegazioni, ma la Terra è in continua evoluzione e l'uomo non riesce a stare dietro a tali cambiamenti. L'uomo se vuole continuare ad abitare su questo meraviglioso pianeta deve cercare di ridimensionarsi, ricordandosi che la Terra è la sua dimora e deve essere rispettata come tale, cercando di coesistere con terremoti e maremoti, magari evitando di costruire immense metropoli in luoghi considerati a "rischio". Amina Kotel
ِسبَتْ َأيْدِي الّنَاس َ ۞ ظَهَرَ الْ َفسَادُ فِي ا ْلبَرِ وَا ْل َبحْرِ بِمَا َك ۞ َِليُذِيقَهُمْ بَعْضَ الَذِي عَمِلُىا لَعَلَهُمْ يَ ْرجِعُىن "La corruzione è apparsa sulla terra e nel mare a causa di ciò che hanno commesso le mani degli uomini, affinché Iddio facesse gustare parte di quello che hanno fatto. Forse ritorneranno [sui loro passi]?" (XXX,41)
Alcuni commentatori hanno ritenuto che per "corruzione" (fasād) si intenda l'assassinio e la pirateria. Altri hanno piuttosto fatto riferimento ad un drastico mutamento delle condizioni ambientali, tale da compromettere la sussistenza e la sopravvivenza. Abu al-'Aliyah ha detto: "Chiunque disobbedisce a Dio sulla Terra, l'ha perciò corrotta, poiché la buona condizione della terra e dei cieli dipende dall'obbedienza a Dio". Ha riportato Abū Dawūd che il Profeta disse: "Ogni punizione prestabilita (hadd) che sia applicata sulla Terra è preferibile per la sua gente [per coloro che l'applicano] che se dovesse piovere quaranta giorni". L'applicazione della Legge rappresenta un argine alla disobbedienza e, dunque, al progressivo disfacimento fisico e spirituale della creazione nel suo complesso. E' riportato nel Sahīh: "Quando muore un malvagio, ciò è un sollievo per le persone, per il Paese, per gli alberi e per gli animali". Contestualmente, l'obbedienza a Dio giova alla creazione. L'Imam Ahmad Ibn Hanbal ha riferito che Abū Qahdham disse: "Al tempo di Ziyad o di suo figlio, un tale trovò un panno in cui erano avvolti dei chicchi di grano che erano grandi come la giustizia ha prevalso". Allo stesso modo, verrà un'epoca in cui interi gruppi di persone potranno sfamarsi con un melograno, ed il latte di una sola cammella gravida sarà sufficiente a dissetare molta gente: sarà l'epoca in cui Gesù, figlio di Maria - la Pace sia su entrambi - essendo tornato sulla Terra ed avendo sconfitto il falso Messia
(al-Masīh al-Dajjāl), giudicherà secondo la Legge di Dio. un tempo in cui
In definitiva, sussiste dunque una strutturale relazione di causa ed effetto, non solo entro un medesimo piano d'esistenza (causa materiale genera effetto materiale) ma anche tra piani d'esistenza differenti (causa spirituale genera effetto materiale). Laddove per la mentalità moderna risulta talora di difficile comprensione perfino il primo genere di rapporto (materiale-materiale), è d'altra parte proprio nel legame tra corporeo ed incorporeo, tra realtà sottili e dimensioni grossolane dell'esistenza, tra spirituale e materiale, che il credente riconosce un aspetto fondamentale della creazione ed una norma generale che ne determina le dinamiche essenziali. Nell'economia di questa relazione, i precetti della Legge sacra (al-Sharī'ah) si configurano come un medium sintetico e qualificato, ovvero un imprescindibile punto di riferimento per lo sviluppo di una coscienza integrale della natura umana e del suo destino ultraterreno. Ibrahim Gabriele Iungo
La salute dell’ambiente rivela, sistematicamente, la qualità dell’agire umano nel mondo, nonché la natura dell’ approccio dell’ individuo e delle collettività al Divino nel corso dei secoli; potremmo quasi pensare che i mondi, naturale e materiale, a noi circostanti, costituiscano una sorta di proiezione corporea e tangibile della nostra realtà spirituale. È come se quest’ultima estrinsechi se stessa nel mondo, traducendo la propria essenza nella pragmaticità e concretezza di ogni giorno; a un decadimento etico religioso corrisponde, in sintesi, un degrado dell’ecosistema in termini fisici, riscontrabili. Consapevole (perlomeno dal punto di vista prettamente materiale) della potenziale pericolosità del proprio operato, l’uomo ha preso, negli anni, provvedimenti contro se stesso: la creazione del Global Seed Vault, la Banca Mondiale del seme ( o Dommsday Vault, forziere del giorno del giudizio, come lo chiamano ormai in molti), costituisce un esempio lampante di misura precauzionale adottata; inaugurato nel febbraio del 2008, sotto il patrocinio del Global crop diversity trust (Fondo mondiale per la diversità delle colture), della Nordic gene bank e del governo norvegese, è stato
progettato allo scopo di salvaguardare il patrimonio alimentare umano, preservando la biodiversità vegetale e tutelando i raccolti, da sempre a rischio a causa dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento ambientale, e delle numerose guerre. Si tratta, in sostanza, di un complesso, formato da tre bunkermagazzini, localizzato all’interno di una montagna di arenaria, nelle profondità di una grotta dell’isola Spitsbergen, in Norvegia; attraverso un impianto di sicurezza idoneo a fronteggiare catastrofi di qualunque tipo, custodisce ermeticamente la raccolta di sementi più completa al mondo. La sua funzione? Tutelare le generazioni future dall’infausta eventualità di vedersi private di parte delle proprie risorse alimentari: laddove si verificasse la sciagurata perdita di una specie vegetale, infatti, il Global Seed Vault fornirà, alle banche del seme nazionali, gli esemplari necessari alla rinascita della coltura in questione. O uomo, qual è la tua direzione? Fatima Ismaeil
Allah (swt) dice nel nobile Corano: “Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l'umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l'umanità. I Nostri Messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra”. (V,32) La donazione del sangue è un atto molto importante sia per la religione islamica che per la società nella quale viviamo; sfortunatamente è un atto che molto spesso viene sottovalutato da noi musulmani, che, invece, ci permetterebbe di ottenere molte hasanat. Nell'Islam la donazione del sangue è un atto molto meritorio, poiché contribuisce attivamente a salvare la vita di una persona, sia essa musulmana o meno. A questo proposito possiamo citare la fatwa di Shaykh Yusuf al-Qaradawi: "Le virtù della donazione del sangue" dove possiamo leggere: "...La donazione di sangue è la migliore assistenza che un uomo possa offrire ad un paziente che ha bisogno di una trasfusione di sangue a causa della perdita del proprio sangue o di interventi chirurgici". "...Donare il proprio denaro è un atto molto importante nell'Islam, ma donare il sangue è un atto ancora più importante e premiato maggiormente delle donazioni di denaro, perché permette di salvare la vita di un essere umano. Il sangue, che è parte di un uomo, è più prezioso dei soldi. Il donatore di sangue dà parte del suo corpo ad un suo fratello o ad una sua sorella attraverso un atto di amore e di solidarietà". Inoltre, la donazione del sangue è così importante poiché il sangue non è riproducibile in laboratorio e molte regioni italiane non hanno ancora raggiunto l'autosufficienza ematica (hanno bisogno di più sangue di quanto riescono a raccoglierne con le donazioni). Donare il sangue è anche un ottimo modo per fare da'wah, veicolando ai non musulmani un'immagine molto positiva dell'Islam, oltre ad essere un modo di far parte attivamente della società in cui si vive, contribuendo a salvare vite umane. Il sangue è assolutamente indispensabile per gli ospedali, in particolare per trattare le seguenti patologie e situazioni:
-Malattie del sangue -Operazioni chirurgiche -Incidenti stradali Il sangue può essere donato da tutte quelle persone che abbiano compiuto 18 anni d'età, con un peso superiore ai 50 kg e che non soffrano di problemi di pressione o malattie varie; gli uomini possono donare il sangue 4 volte all'anno; le donne invece devono evitare le donazioni durante il periodo del ciclo mestruale e possono donarlo solamente due volte all'anno, se incinte non possono donarlo durante la gravidanza ed per un anno dopo il parto. In Italia l'unico sangue che viene usato è quello raccolto tramite le donazioni volontarie e non remunerate, quindi è importante il contributo di OGNUNO DI NOI a questa campagna. Contributo delle comunità islamiche nella raccolta del sangue: Bisogna proporre alle moschee che si frequentano di organizzare raccolte periodiche di sangue attraverso l'utilizzo di appositi mezzi chiamati autoemoteche, promuovendo la donazione del sangue tra i frequentatori della moschea/centro islamico, in particolare attraverso la khutba del venerdì. Il modo migliore per organizzare una raccolta di sangue è quello di contattare la propria AVIS ( http://www.avis.it ) comunale ( qui trovate l'elenco di tutte le AVIS Comunali:http://www.avis.it_view.php/ID=1403 ) dichiarando la volontà del centro islamico di organizzare una giornata dedicata alla donazione del sangue. Se la sede AVIS è particolarmente grande (Roma, Milano ecc...) è probabile disponga di proprie autoemoteche, questo rende molto più semplice il lavoro, mentre se la sede AVIS è di un piccolo centro, si deve contattarla per sapere quando è prevista la donazione di sangue collettiva ed aggregarsi a quella donazione. E' importante andare a donare a digiuno (è ammesso un thè con una o due fette biscottate, o un caffè poco zuccherato; sono assolutamente da evitare latte e latticini), la colazione verrà offerta, poi, dall'AVIS. La moschea/centro islamico può chiedere all'AVIS Comunale il materiale di cui ha bisogno per promuovere la donazione del sangue.
Mohammed-Davide Santoro - Giovane Musulmano donatore di sangue dell'AVIS di Roma
Subito dopo il giorno della Festa della rottura del digiuno del sacro mese di Ramadan, presi l'aereo per Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, per iniziare l'avventura dei “Jeunes Reporters Migrants” (JRM). E' stato uno scambio internazionale tra Italia, Francia, Senegal e Burkina Faso in cui tutti i giovani avrebbero dovuto andare nel Paese di un altro, ma ciò non è stato possibile per i giovani del Senegal e del Burkina perché non è stato concesso loro il visto per l'Europa nonostante l'iniziativa fosse stata interamente finanziata dalla UE. Durante lo scambio, abbiamo prodotto reportage sull'immigrazione che sono stati pubblicati nel sito del JRM e anche trasmessi da una nota radio del Burkina della città Ouahigouya dove si è svolto il nostro scambio! Qui ho avuto la possibilità di vedere come lavorano in tv e nella radio locale e devo dire che sono davvero organizzati, anche se non hanno gli stessi strumenti che possono avere gli occidentali! In otto giorni non posso dire di aver impara-
to abbastanza sui media, ma la cosa più importante, indimenticabile, unica ed emozionante è stato il pensiero di essere in Africa in mezzo alla pelle nera, al cuore sincero ed ospitale della gente, gente che usa spesso il termine francese "on partage" che sta a significare “condividiamo”... Cosa che fanno davvero con il cuore. Sono rimasta davvero incantata dal loro modo di fare e dal grande valore che danno alla fratellanza. Inoltre ho osservato la convivenza tra musulmani e cristiani: è difficile notare la differenza! Stanno tutti insieme, mescolando la parola Dieu e inshallah e molte altre.Quando ho spiegato ad alcuni le differenze e gli ostacoli che viviamo noi in Italia mi hanno guardato increduli di ciò... Ora ho davvero il mal d’Africa, non vedo l’ora di ritornare in quel continente, anche in un altro paese, magari Camerun o Senegal perché mi manca il profumo dell’Africa e il “Walouf”. Sapete che cos’è? Ve lo dico la prossima volta :)
nel-
la
reli-
gione
islamica è prevista la completa ugualianza tra gli uomini. Guardava con ostilità anche alcu Secondo la mitologia induista, Brahma, l'aspetto creatore di Dio, creò gli uomini traendoli dalle varie parti del suo corpo, generando così le caste, dai sacerdoti originati dalla bocca, ai servi, dai piedi. Nel corso del tempo però ognuna delle quattro caste si è divisa in una moltitudine spinta da ragioni geografiche, storiche, etniche, linguistiche. Variano da una regione all’altra dell’India. Ce ne sono migliaia. Esiste però un'altra categoria, così disagiata da non essere neanche considerata una casta; i paria, che furono originati dalla polvere che copriva i piedi di Brahma. Sono visti come “intoccabili”, nel vero senso della parola; infatti le caste impongono una serie assai complessa di regole, tra cui il divieto di contaminazione con i paria, attraverso rapporti sessuali (anche se frequenti sono poi gli abusi a scapito di donne intoccabili) o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande, l'usufruire di stesse fonti di acqua. La condizione degi paria è caratterizzata da estrema povertà, precarietà igienico-sanitaria e diffusa ignoranza. In genere, la tradizione imponeva loro di occuparsi di attività considerate degradanti, come la sepoltura dei morti, la pulizia dei bagni, o i ciabattini e lavandai, o i macellai, attività che a tutt’oggi la maggior parte delle famiglie paria si tramandano nell’India rurale. Tutti lavori considerati massimamente impuri. Impuri per l'eternità. L’intoccabilità, oltre a rappresentare una violazione dei diritti fondamentali, costituisce un ostacolo allo sviluppo ed alla realizzazione di una società veramente democratica. Nonostante le caste siano state formalmente abolite, il loro ruolo nella società continua infatti ad essere estremamente rilevante. Al sistema delle caste si opposero le grandi religioni nate in India sul tronco induista, dall’VI al XX secolo, dal buddhismo, ai sikh, sino ad alcune correnti riformiste. L’islam, penetrato con l’impero ottomano nel ‘500, non accettava il sistema castale, perché
ne pratiche indù come il sati, l'usanza di immolare le vedove sulla pira del marito defunto. Secondo le credenze induiste, la vedova si trova in uno stato di impurità rituale, da cui si può liberare solo immmolandosi insieme al cadavere del marito. L'affetto per il marito o la disperazione per la sua perdita non sarebbero però bastati a spingere la donna a sacrificarsi in modo così atroce: era la vita da vedova che l'avrebbe aspettata a spingerla maggiormente, una vita di grosse rinunce: mantenuta dai parenti del marito, non poteva ornarsi ma vestirsi a lutto perenne e radersi i capelli, doveva mangiare una sola volta al giorno ed era esclusa da ogni divertimento, anche dalle feste famigliari, non poteva più dormire su un letto, lavarsi i denti, tagliarsi le unghie, uscire di casa. Vietata nel 1829, quando l'India era colonia britannica, e poi ancora proibita con altre tre leggi tra il 1959 e il 1987, questa pratica non è mai scomparsa del tutto. Un altro problema ancora diffuso è la questione della dote: la donna infatti, una volta presa in sposa, deve consegnare dei beni alla famiglia dello sposo. La dote può essere una mucca, un televisore o una macchina, ma i suoceri diventano sempre più esigenti e reclamano continue aggiunte alla dote anche dopo il matrimonio, e le famiglie più povere arrivano ben presto a non riuscire ad accontentare le pressanti richieste. Cosa succede quando un padre smette di pagare il "debito" della figlia? Facile, i suoceri la uccidono. Solo così, infatti, il figlio potrà risposarsi con una donna più ricca. Sembra incredibile ma ogni giorno 17 ragazze vengono uccise per questo motivo; anche se il numero esatto delle donne assassinate sarà sempre approssimato, dato che la maggior parte dei delitti viene denunciato come "morte dovuta a incidenti domestici" (una tecnica molto diffusa consiste nel cospargere di benzina la giovane donna mentre è ai fornelli). Questo è il motivo per cui è molto più conveniente avere un figlio maschio che una femmi-
na…sempre che le permettano di nascere. Può succedere infatti che le indiane siano discriminate ancora prima di venire al mondo; con la diffusione dell'ecografia sono aumentati vertiginosamente gli aborti: "Meglio 500 rupie oggi (il prezzo di un'ecografia per conoscere il sesso del feto) che 5000 domani (costo medio di una dote) ".Oppure, vengono uccise appena nate, attraverso l'avvelenamento del latte dal seno delle madri, se non si possono permettere il prezzo dell'ecografia. Perchè lasciarle vivere? La donna non serve. Questa condizione però sta cambiando, a passi lenti: la concessione del voto alle donne, le leggi che permettono loro di divorziare, ereditare e risposarsi non sono giunte a legalizzare un contesto, ma piuttosto ad anticipare una situazione ancora non frequente, dato che nelle zone rurali permane la forte tradizione. Come accadde in uno stato al sud dell'India, teatro di una triste storia. La storia di Naveen Abhisar, che alla stessa ora del pomeriggio, nella stessa strada di quella cittadina, blocca il suo lavoro e si affaccia alla finestra. La confusione di quel viale è difficile anche da descrivere: le donne che trasportano i figlioletti disorientati, i mercanti che urlano i prezzi del pesce migliore del mondo, o che mostrano insistentemente scarpe di “inestimabile valore”, magari rubate dai turisti del Taj Mahal. La carne cruda esposta all'aperto, la sporcizia negli angoli delle strade e i materassi dei senzatetto. Tra quella folla, spunta una donna: Naveen la individua subito, come dotato di uno speciale radar. È sporca, con vestiti quasi consumati, ma tutto questo non gli importa. Ai suoi occhi è bellissima. Ha il tipico aspetto della donna indiana, grandi occhi neri, capelli lunghi, pelle un po’ scura. Non ha niente di più delle donne che corteggiano il commerciante Naveen se non le rupie nelle tasche, cose che Ankita, probabilmente, non ha. È
un’intoccabile, lo si capisce dalle sue vesti, e dai luoghi che frequenta, come quel mercato. Naveen, come fa ormai da mesi, prende la rosa che ha sul tavolo, e la lascia cadere dalla finestra. La rosa cade ai piedi di Ankita, che la raccoglie, e se la infila tra i capelli. Lei alza la testa, e i due si sorridono. Quel sorriso però è malinconico: lei è un'intoccabile, lui un commerciante delle caste più alte. Il loro è il cosiddetto "amore impossibile". Una regola principale castale è infatti l'endogamia, l’obbligo cioè di sposarsi solo all'interno della propria casta. Naveen per il suo lavoro viaggia spesso in India, anche nelle zone più povere, dove bevendo acqua non potabile, inquinata dal fiume Gange (il più contaminato del mondo), è stato infettato di colera. È malato, molto malato. L'unica distrazione è quella donna, e l'amore che nutre per lei. Passa la giornata a cercare di convincere la madre a fargli sposare quella ragazza, nonostante la sua situazione misera. Era però un'ambizione troppo fantasiosa per quella prestigiosa famiglia. Poi un giorno Naveen, per la prima volta, scende da quell'appartamento, e invece di lasciar cadere la rosa, gliela dà in mano, chiedendole di sposarlo. I due si sposano in segreto, ma ben presto la famiglia Abhisar se ne accorge, e la madre decide di invitare Ankita a casa sua, con l'intenzione di ucciderla, unica soluzione per far sposare al figlio un'altra donna più ricca, per ottenere una dote più meritevole. La morte di Ankita viene annunciata come incidente domestico, in cucina, dopo un incendio. Naveen capisce tutto, ma troppo tardi. Passa gli ultimi giorni della sua vita alla finestra, più morto che vivo. Ankita non passa mai. La immagina camminare per quella strada, e quando la sua ombra arriva sotto la sua finestra, lascia cadere la rosa; ma nessuno la raccoglie. Sara Abram
Nell'islam esistono due feste: la festa di fine del mese di Ramadan e la festa del sacrificio, 'id-al-Adha. La festa del sacrificio ha luogo nel decimo giorno del mese di Dhul-Hijja (ultimo mese del calendario lunare islamico); perciò le date per celebrare Aid-ul-Adha variano. Questa celebrazione prevede il sacrificio rituale di un animale per ricordare il sacrificio fatto da Abramo, pace su di lui, padre delle tre religioni monoteiste. Abramo, pace su di lui, era pronto a sacrificare suo figlio prima che venisse fermato da Dio e per questo Eid-ul-Adha è forse la festa che più sottolinea la totale fede e devozione che bisogna avere in Dio. Ci racconta il Corano, che Ibrahim (Abramo), pace su di lui, vide in sogno se stesso che sacrificava il beneamato figlio, egli allora si rivolse a lui con tutto l'amore e l'affezione di un padre chiedendogli il suo parere, il figlio forte nella fede accettò senza esitazione: “Poi, quando raggiunse l'età per accompagnare [suo padre questi] gli disse: “Figlio mio, mi sono visto in sogno, in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quel che ti è stato ordinato: se Allah vuole, sarò rassegnato”. (XXXVII,102) Nonostante le condizioni molto difficili e le prove, questa famiglia aveva un cuore orientato verso Allah e sottoposto alla sua volontà, poiché la vita era per loro è soltanto un bene transitorio… Satana (Shaitan) cercò di tentare Abramo, pace su di lui, ed indurlo a desistere dal sacrificio, ma invano. Abramo lapidò il tentatore tre volte con sette pietre ogni volta (e questo è all'origine del rito della lapidazione delle steli che fa parte integrante del grande pellegrinaggio). E Dio inviò un bello e grande montone per sostituire questo coraggioso giovane uomo...“Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a terra, Noi lo chiamammo: “O Abramo, hai realizzato il sogno. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene. Questa è davvero una prova evidente”. E lo riscattammo con un sacrificio generoso.” (XXXVII, 103-107) Da ciò prende origine la sunnah del sacrificio ed è un grande giorno di festa e di condivisione per tutti i musulmani. Nel giorno di Aid-ul-Adha , i musulmani sacrificano come Abramo un animale chiamato Udhia, che secondo la tradizione deve essere fisicamente integro, né troppo vecchio né trop-
po giovane, di almeno 4 anni di età e preferibilmente maschio. Inoltre la mattina della festa del sacrificio, i musulmani fanno il gusl (lavaggio integrale) che è sunna e si vestono con vestiti nuovi, poi si recano al luogo di preghiera, glorificando Allah con i takbir, continuando fino all'arrivo dell'imam: '' Allaahu akbar, Allaahu akbar, Allaahu akbar laa ilaaha illAllaah Allaahu akbar, Allaahu akbar wa liillaahil-hamd Allaahu akbar kabeera wal hamdu lillahi katheera wa sobhana allahi bokratan wa aseela laa ilaaha illAllaah Wahdah sadaqa wa’dah wa nasara abdah wa a’aza jondahu wa hazama alahzaba wahdah laa ilaaha illAllaah wala na’bodu illa iyah mokhliseen lahu aldeena wa law kariha al kafiroon allahomma salli ala sayyidina mohammad wa ala sayyidina mohammad wa ala aal sayyidina mohammad wa ala ashabi sayyidina mohammad wa ala ansari sayyidina mohammad wa ala azwaji sayyidina mohammad wa ala zoriyyati sayyidina mohammadin wa sallim taslimann kathera. Si conclude il canto del takbir quando l'imam fa il suo ingresso, allora i partecipanti alla preghiera si alzano e si mettono in fila. Questa preghiera non è preceduta dall' adhan e si compone di due raka'at. L'imam inizia la prima rak'aat ripetendo sette volte ''Allah Akbar'' compresa quella dell'entrata in preghiera, dietro di lui i preganti ripetono ciò che ha detto , dopo di che l'imam recita ad alta voce la sura Al Fatiha e Surat. Nella seconda rak'aat si dice sei volte Allah Akbar e si recita la sura Fatiha seguita da dei versetti. Finita la preghiera si inizia la Khutba (omelia). Conclusa questa ci si alza e si abbracciano gli altri musulmani, la famiglia, gli amici, augurando: ''Mabruk 'Îd”. Infine, si rientra a casa seguendo un percorso diverso da quello fatto nell'andata. L'immolazione deve avere luogo dunque dopo la preghiera della festa secondo un hadith nel quale è stato riportato che il profeta (pbsl) ha detto: ''Colui che immola prima della preghiera della festa, non avrà fatto che abbattere un animale per essere consumato, ma quello che immola dopo la preghiera, avrà offerto un sacrificio rituale.”Prima di sgozzare l'animale occorre pronunciare il nome di Dio Bismi Allah, Allah Akbar) , e poi lo si divide in tre parti, una delle quali va consumata subito tra i familiari, mentre la seconda va data ai vicini e la terza viene destinata ai poveri della comunità , che non hanno la possibilità economica per acquistarlo.
Spesso, chi sente parlare di Islam associa a questa religione il concetto di poligamia. Ma la poligamia è veramente lecita nell’Islam, e quale funzione può svolgere? Sì, nella cultura islamica la poligamia è praticabile, a certe condizioni, come lo è per i testi della religione ebraica e cristiana, Talmud e Vecchio Testamento più volte ne attestano la legalità. Il fatto che non sia applicata in questa società è dovuto a motivi di carattere legale e culturale. Nel Corano ci sono alcuni versetti che attestano la liceità della poligamia, sottoposta però ad alcune condizioni. “E se temete di essere ingiusti nei confronti degli orfani, sposate allora due o tre o quattro tra le donne che vi piacciono; ma se temete di essere ingiusti, allora sia una sola o le ancelle che le vostre destre possiedono, ciò è più atto ad evitare di essere ingiusti”.(IV,3) In questo versetto appare chiaro che il matrimonio monogamico è da preferire in quanto è più atto ad evitare l'ingiustizia. Dunque la poligamia non intende affatto sostituire il matrimonio monogamico e nello stesso versetto essa viene definita come un permesso dato per risolvere alcune situazioni della vita (qui tutela degli orfani), di ordine sociale o personale, ma sempre da sottoporsi all’esigenza di giustizia, per se stessi e per gli altri, e in primo luogo, per coloro che compongono il nucleo primigenio della coppia. Il Corano, sceso in una cul
tura in cui la poligamia era praticata senza limitazioni e garanzie per la donna, ha limitato il numero di mogli a 4. A tale proposito, quando un uomo di Thaqif, il quale aveva dieci mogli, si convertì all’Islam, il Profeta Muhammad (pbsl) gli ordinò di sceglierne quattro e divorziare le altre. Il Profeta (pbsl), è l’unico uomo nella storia dell’Islam a cui è stato permesso di avere nove mogli, che aveva sposato prima della discesa del versetto che ne limitava il numero. Inoltre anche al Profeta (pbsl) non fu più permesso, ad una certa fase della rivelazione, di sposare altre donne o cambiare quelle che aveva con altre, secondo le parole di Allah (swt): “D'ora in poi non ti è più permesso di prendere altre mogli e neppure di cambiare quelle che hai con altre; anche se ti affascina la loro bellezza.” (XXXIII, 52) Per quanto riguarda la famiglia del Profeta (pbsl) c’erano regole particolari, tra cui il divieto per le mogli di contrarre un nuovo matrimonio: “Non dovete mai offendere il Profeta e neppure sposare una delle sue mogli dopo di lui: sarebbe un'ignominia nei confronti di Allah…” (XXXIII, 53) Le donne del Profeta (pbsl) ebbero obblighi ma anche privilegi unici rispetto alle altre donne della Ummah, furono onorate infatti, con il grande riconoscimento di essere 'Madri dei Credenti'. A parte 'Aisha, figlia di Abu Bakr, tutte erano vedove di età non più giovanile, spesso con orfani da mantenere. La poligamia è data dunque nell'islam come rimedio, come risposta a particolari difficoltà non evase dalla normale vita di coppia e della società. Essa stessa, in tale ottica si presenta come soluzione complessa, proprio perché ha alla radice ha una mancanza personale o sociale che dovrebbe sanare. Richiede persone con più capacità d’amare, più capacità di fede e sacrificio. Ad esempio la poligamia può rappresentare una soluzione nei casi di sterilità, quando i coniugi non riescono a trovare il loro equilibrio in altri modi. Nelle spiegazioni classiche si evidenzia come nella maggior parte delle società le donne superino di gran numero gli uomini ed i dati riportano una crescita del numero delle donne rispetto a quello degli uomini (si calcola circa 130 milioni di donne in più rispetto agli
uomini nel mondo). In effetti, si tratta di un problema sociale, quali potrebbero essere le soluzioni? Le possibili soluzioni sono: a) Rimangono tutta la vita private delle gioie del matrimonio e della maternità (e questa sarebbe un’ingiustizia per loro) b) Rispondono alle loro esigenze con rapporti al di fuori del matrimonio: prostituzione, omosessualità, ecc.. (cadendo nel peccato e in una punizione nell’Aldilà) c) Applicando la poligamia mettendosi nella condizione di essere protette ed amate. In questi casi, la soluzione più adatta e più dignitosa sarebbe applicare la poligamia. Il problema dei rapporti numerici tra i due sessi diventa ancora più problematico durante la guerra, dove molti uomini perdono la vita. La poligamia può essere di vantaggio anche per la donna nel caso di vedovanza, in cui per lei, non più giovane, sarebbe difficile trovare un uomo ancora non sposato, ecco che potendo sposare un uomo già sposato essa preserva il benessere e la protezione sua e della famiglia. Infine bisogna aggiungere che la poligamia nell’Islam esige il consenso reciproco. Nessuno può forzare una donna a sposare un uomo già sposato. Inoltre, la donna ha il diritto di stipulare nel contratto di matrimonio che il marito non possa avere una seconda moglie. Bisogna notare che la percentuale dei matrimoni poligami nel mondo musulmano è inferiore ai rapporti extraconiugali in Occidente. Ecco che è importante parlare del fenomeno, sempre più comune dell’infedeltà. In Italia secondo le stime dell’Associazione avvocati matrimonialisti il 55% degli uomini e il 45% delle donne tradisce. Ovviamente questo compromette l’equilibrio e la serenità familiare. I paesi occidentali sono monogami per legge, ma a guardare le stime si nota che sono in maggioranza poligami di fatto, dato il ruolo fondamentale che svolgono le amanti. L’Islam quindi è una religione che permette di sposare una seconda moglie, in modo lecito, salvaguardando la moralità della Comunità. In Italia, come in altri paesi occidentali avere un’amante mantenendo ignara la moglie è perfettamente legittimo per legge, mentre essere poligami, anche con il consenso della moglie è un reato. Dove sta la coerente saggezza legale dietro ad una tale contraddizione? Il fine della
legge è ricompensare l’inganno e punire l’onestà? Ciò è uno dei paradossi del mondo civiizzato moderno. Gihad Samarli
L'uomo, nel tragitto della sua esistenza, oscilla sempre tra una condizione di dimenticanza e una di ricordo. Il nostro scordarci di Dio non significa che non abbiamo fede. Ciò è chiaro leggendo la storia di nostro padre Adamo, narrazione che tutti conosciamo. Insieme ad Eva è stato tentato e insieme hanno peccato, come leggiamo nella sura Al baqara, "Poi Iblîs li fece inciampare..."(II,36) l'errore non era certo dovuto ad una non conoscenza di Allah. Nonostante la sua vicinanza al Creatore, Adamo si dimenticò quindi cadde nell'errore. "Già imponemmo il patto ad Adamo, ma lo dimenticò, perché non ci fu in lui risolutezza". (XX,115) Dopo di che si pentì e fu perdonato. " Adamo ricevette parole dal suo Signore e Allah accolse il suo [pentimento]. In verità Egli è Colui Che accetta il pentimento, il Misericordioso". (II,37) Allah, ArRahmân, nella sua grandezza perdona Adamo, come perdona ad ogni uomo che si pente sinceramente. L'uomo è per definizione un essere che si distrae, bayna an-nissian wal dhikr, tra la dimenticanza e il ricordo. La storia di Adamo rappresenta la nostra esistenza. E inizia qua il nostro lavoro, un operare intimo, nel profondo di noi stessi, nel cuore. Questa parte di noi è come un terreno fertile seminato, quando viene innaffiato germogliano fiori e frutti. Ma se viene abbandonato diventa arido, freddo, rigido. E che mezzi ci aiutano nel riavvicinarci ad Allah? I segni. Le ayat
sono delle porte, che ci introducono alla luce divina. Porte fatte di parole sante della Scrittura, uno dei nomi del Corano è ad-dhikr, e porte fatte di elementi della creazione, attraverso le quali la nostra vista e il nostro udito, quello del cuore, percepiscono la grandezza del suo Creatore. Troviamo già in Abû Hâmid al-Ghazâlî profonde riflessioni sul «libro manifestato» (al-kitâb almanshûr), il Libro dell’Universo, che è lo specchio, sia teologico che fisico, del Corano, il «libro scritto» (al-kitâb almastûr). Il ricordo passa attraverso tutti e due questi tipi di ayat. Le ayat sono come stelle che illuminano i nostri momenti di buio interiore. Stelle che ci aiutano a riorientarci nel cammino della retta via. Ci rendono umili, saziano le nostre "affamate" domande. Dopo il ricordo, viene il pentimento, e ci riappare davanti a noi chiaro lo scopo dell'esistenza, la nostra natura, il Giorno del Giudizio. “Signore, non ci punire per le nostre dimenticanze e i nostri sbagli..." (II,286) Ancora il Corano ci ricorda: "Mostreremo loro i Nostri segni nell'universo e nelle loro stesse per-
" (LV,5-6) In ogni momento avviene la prosternazione ad Allah, del creato nel suo ritmo naturale. "I sette cieli e la
terra e tutto ciò che in essi si trova Lo glorificano, non c'è nulla che non Lo glorifichi, lodandoLo, ma voi non percepite la loro lode. Egli è indulgente, perdonatore". (XVII,43) I segni risvegliano in noi qual-
cosa che già esiste, poiché l'uomo tende naturalmente ad Allah (fitra). I figli di Adamo negano la loro natura nel momento in cui hanno cuori ciechi, cuori chiusi.
"Non percorrono dunque la terra? Non hanno cuori per capire e orecchi per sentire? Ché in verità non sono gli occhi ad essere ciechi, ma sono ciechi i cuori nei loro petti". (XXII,46) "Non hanno visto, sopra di loro, gli uccelli spiegare e ripiegare le ali? Non li sostiene altri che il Compassionevole. In verità Egli osserva ogni cosa".
(XIX,67) Questo dhikr interiore (del cuore) che si accompagna poi a quello esteriore (della lingua) fa sì che la nostra vita sia in armonia con la creazione e con chi ci sta intorno. Ci dà equilibrio, e ci allontana dalla tristezza e dalla disperazione. Una rigenerazione spirituale, luce su luce.
sone, finché non sia loro chiaro che questa è la Verità”..." (XLI,53)
Per il credente tutta la realtà a lui circostante richiama a Dio, e in tutto quindi vede dei segni, ayat che risvegliano il suo cuore. In questo modo il mondo intorno a noi diventa fondamentale. Rigenera la fede che si deteriora nelle occupazioni della vita terrena. Un hadith ci narra che Bilal mentre stava andando a fare l'adhan del Fajr trovò il Profeta* che piangeva e gli disse: "O Profeta* perchè piangi
se ti sono stati perdonati i peccati passati e quelli futuri? Rispose: "Non dovrei essere un servo riconoscente? È sceso questa notte un versetto, "wail" a coloro che lo recitano e non riflettono..." Era sceso questo versetto...... "In verità, nella creazione dei cieli e della terra e nell'alternarsi della notte e del giorno, ci sono certamente segni per coloro che hanno intelletto." (III,190)
Alla visione degli occhi si accompagna una visione del cuore. E' il cuore che percepisce l'esistenza di Allah vedendo e riflettendo sulla realtà circostante.
" Il sole e la luna [si muovono] secondo calcolo [preciso]. E si prosternano le stelle e gli alberi.
Abdel Hakim Bouchraa
Khalid ibn Zayd ibn Kulayb dei Banu Najjar fu uno dei grandi compagni del Profeta, a cui fu molto vicino. Era noto come Abu Ayyub (il padre di Ayyub) e godette di un privilegio cui molti Ansar (ausiliari) a Medina ambivano. Quando il Profeta, la pace e la benedizione di Dio su di lui, giunse a Medina in seguito alla sua Hijrah da Mecca, fu accolto con grande entusiasmo dagli Ansar di Medina. I loro cuori lo abbracciarono, i loro occhi lo seguirono con devozione e amore e vollero riservargli l'accoglienza più calorosa possibile. Il Profeta (pbsl) sostò dapprima a Quba', ai margini di Medina, dove rimase per alcuni giorni. La prima cosa che fece fu costruire una moschea che è descritta nel Corano come: “la moschea fondata sulla taqwa”.( IX,108) Il Profeta (pbsl) fece quindi il suo ingresso a Medina sul suo cammello. I dignitari della città lo attesero lungo il cammino, nella speranza di avere l'onore di ospitarlo presso di loro. L'uno dopo l'altro si pararono lungo il cammino del cammello implorandolo: “Stai con noi, o Rasulullah”. “Lasciate il cammello”,diceva il Profeta. “E' guidato”. Il cammello continuò ad avanzare, seguito attentamente dagli occhi e dai cuori della gente di Yathrib. Ogni volta che oltrepassava una casa, il proprietario si sentiva rattristato e abbattuto, mentre la speranza si risvegliava nei cuori di quelli che si trovavano lungo il cammino. Il cammello, seguito dalla folla, continuò a proseguire fino a che non esitò di fronte a uno spazio aperto prospiciente la casa di Abu Ayyub Al-Ansari. Ma il Profeta (pbsl), non discese dalla sua cavalcatura. Ben presto, il cammello riprese la sua marcia, essendo libero, avendo il Profeta abbandonato le briglie. Poco dopo, tuttavia, si voltò e,
fatto ritorno sui suoi passi, si fermò nello stesso luogo in cui aveva sostato in precedenza. Abu Ayyub, con il cuore di colmo di gioia, salutò il Profeta con grande entusiasmo. Prese i suoi bagagli e si sentì come se stesse trasportando il tesoro più prezioso del mondo. La casa di Abu Ayyub era su due piani. Svuotò il piano superiore dei suoi beni e di quelli della sua famiglia affinché il Profeta (pbsl) potesse accomodarsi. Ma il Profeta (pbsl), preferì restare al piano inferiore. Giunta la notte, il Profeta si ritirò. Abu Ayyub salì al piano superiore, ma, chiusa la porta, si rivolse a sua moglie e disse: “Guai a noi, cosa abbiamo fatto? Il Messaggero di Dio è sotto e noi siamo sopra di lui. Possiamo camminare sopra di lui? Siamo forse tra lui e la rivelazione (Wahy)? Se è così, allora siamo perduti”. La coppia fu molto allarmata non sapendo cosa fare. Ebbero pace solo quando si trasferirono in quella parte dell'edificio che non sovrastava direttamente il Profeta. Furono a tal punto attenti, da camminare ai lati della stanza evitando il mezzo. Al mattino, Abu Ayyub disse al Profeta (pbsl): “Per Dio, non abbiamo potuto chiudere occhio l'altra notte, né io né Umm Ayyub”. “Perché, Abu Ayyub?”, chiese il Profeta. Questi spiegò allora il suo imbarazzo per il fatto di trovarsi al di sopra del Profeta, nel timore che ciò potesse interrompere la Rivelazione. “Non ti preoccupare, Abu Ayyub”, disse il Profeta. “Noi preferiamo il piano inferiore per il gran numero di persone che viene a farci visita”. Più tardi, Abu Ayyub riferì:”Ci sottomettemmo ai desideri del Profeta, fino a che, una notte, una nostra giara si ruppe e l'acqua si sparse su tutto il piano. Umm Ayyub e io raccogliemmo l'acqua avevamo solo un pezzo di velluto che usavamo come coperta. Lo utilizzammo per asciugare nel timore che l'acqua potesse gocciolare sul Profeta. Al mattino mi recai da lui e dissi: “Non mi piace essere sopra di te e gli raccontai quindi quanto era accaduto. Accettò la mia richiesta e si trasferì al piano superiore”. Il Profeta (pbsl) rimase presso Abu Ayyub per quasi sette mesi fino a che la moschea non fu edificata sullo spazio aperto designato dal cammello. Si trasferì quindi nelle stanze co-
struite per lui e la sua famiglia al lato della moschea. Divenne così un vicino di Abu Ayyub. Che nobile vicino! Abu Ayyub continuò ad amare il Profeta (pbsl) con tutto il suo cuore e questi, a sua volta, contraccambiò tale sentimento. Non vi erano formalità tra loro. Il Profeta continuò a considerare la casa di Abu Ayyub come se fosse la sua. L'aneddoto seguente rivela la natura della loro relazione. Un giorno, Abu Bakr, che Allah sia soddisfatto di lui, uscì di casa in piena canicola e si diresse alla moschea. 'Umar lo vide e gli disse: “Abu Bakr, che cosa ti ha indotto a uscire a una tal ora?”. Abu Bakr spiegò di aver lasciato la sua abitazione in quanto si sentiva terribilmente affamato, al che 'Umar disse di essere uscito di casa per la stessa ragione. Il Profeta (pbsl) si fece loro incontro e chiese a sua volta: “Che cosa vi ha fatto uscire a quest'ora?” Alla loro risposta, disse: “Per Colui nelle Cui mani è la mia vita, solo la fame mi ha indotto a uscire. Ma, venite con me”. Si diressero allora alla casa di Abu Ayyub Al-Ansari. Sua moglie, aperta la porta, disse: “Benvenuto al Profeta e a chiunque sia con lui”. “Dov'è Abu Ayyub?”chiese il Profeta. Abu Ayyub, il quale stava lavorando in un vicino palmeto, udita la voce del Profeta (pbsl) accorse precipitosamente. “Benvenuto al Profeta e a chiunque sia con lui”. Aggiunse quindi: “O Profeta di Dio, questa non è l'ora solita della tua visita”. (Abu Ayyub soleva tenere da parte del cibo per il Profeta ogni giorno. Se il Profeta (pbsl) non si era presentato dopo una certa ora, lo dava alla sua famiglia). “Hai ragione”, disse il Profeta. Abu Ayyub uscì e colse un grappolo di datteri di cui alcuni erano maturi e altri mezzi maturi. “Non intendevo mangiare anche questi”, disse il Profeta. “Non potevi cogliere solo quelli maturi?” “O Rasulallah, ti prego, mangia dei maturi (rutab) e dei mezzi maturi(busr). Macellerò anche un animale per te”. “Se hai intenzione di farlo, non uccidere un animale da latte”, lo avvertì il Profeta. Abu Ayyub macellò una giovane capra, ne bollì una metà e arrostì alla griglia l'altra metà. Chiese inoltre a sua moglie di infornare del pane in quanto era più esperta di lui. Quando il cibo fu pronto, venne servito di fronte al Profeta (pbsl) e ai suoi due compagni. Il Profeta (pbsl) prese un pezzo di carne, lo pose in una pagnotta e disse: “Abu Ayyub, porta questo a Fatimah. Non
ha mangiato nulla di simile da molti giorni”. Terminato il pasto con soddisfazione, il Profeta (pbsl) disse pensoso: “Pane e carne, busr e rutab!”. Il volto bagnato di lacrime continuò: “Questa è una generosa benedizione sulla quale sarai interrogato nel Giorno del Giudizio. Se vi si offre qualcosa di simile, allungate le mani e dite 'bismillah'(in nome di Dio) e quando terminate: 'alhamdulillah alladhi huwa ashba' ana wa an'ama 'alayna' (Lode a Dio Che ci ha dato a sufficienza e Che ci ha dato accordato i Suoi benefici). Questa è la cosa migliore”. Ci sono pervenuti i resoconti di alcuni episodi della vita di Abu Ayyub in tempo di pace. Egli ebbe anche un' onorevole carriera militare. Spese la maggior parte del tempo combattendo fino a che si disse di lui: “Non mancò ad alcuna battaglia che i musulmani combatterono dal tempo del Profeta (pbsl) fino a quella di Mu'awiyah a meno che non fosse impegnato in un altro scontro”. L'ultima campagna cui prese parte fu quella preparata da Mu'awiyah e condotta da suo figlio Yazid contro Costantinopoli. A quell'epoca, Abu Ayyub era un uomo molto vecchio, di quasi ottant'anni. Ma ciò non gli impedì di unirsi all'esercito e di attraversare il mare come ghazi (combattente per la fede) nel cammino di Allah. Poco dopo l'inizio della battaglia, Abu Ayyub cadde malato e dovette ritirarsi. Yazid si recò a visitarlo e gli chiese: “Hai bisogno di qualcosa, Abu Ayyub?” “Dai i miei saluti agli eserciti musulmani e digli: “'Abu Ayyub vi esorta a penetrare in profondità nel territorio del nemico, il più lontano possibile, affinché possiate portarlo con voi e seppellirlo ai piedi delle mura di Costantinopoli”. Quindi spirò. Le armate musulmane accondiscesero al desiderio del compagno del Messaggero di Dio. Respinsero le forze nemiche con un attacco dopo l'altro fino a che non giunsero alle mura di Costantinopoli, dove lo seppellirono. (I musulmani assediarono la città per quattro anni, ma infine dovettero ritirarsi a causa delle pesanti perdite).
Fatima Zahra Boumrine
Assalamu alaikum care sorelle e cari fratelli, vorrei chiedervi di fermarmi per un momento. Abbiamo iniziato insieme, con molti di voi ci si incontra e ci si conosce da molto tempo, alhamdulillah, ringrazio Allah swt che ci ha permesso di costituire tutti insieme questo bellissimo gruppo, e di lavorare insieme per guadagnarci, con la misericordia di Allah swt, il Firdaus al A3la inchallah.Vorrei raccontarvi cosa c’è stato prima, per scoprire insieme cosa faremo poi, inchallah. Il GMI è nato circa 10 anni fa, era nell’aria, altre associazioni islamiche giovanili c’erano anche prima, ma erano più rivolte agli studenti, ad un gruppo o a quell’altro. Un giorno, alcuni genitori ed alcuni responsabili capirono che l’unico modo per permettere ai loro figli di crescere e maturare, di vivere la propria fede e di essere felici, era costituire una realtà in cui i figli stessi potessero esprimersi, impegnarsi in prima persona, trovare veri amici. Il GMI ha coinvolto alcuni giovani, una trentina circa, ed iniziò il suo cammino... dopo la fondazione ufficiale, altre realtà si unirono a quei primi giovani, Milano, Torino, Reggio Emilia, Sassuolo, Roma e così via. Il primo convegno nazionale del GMI era solo femminile, si tenne a Bagno di Romagna nel 2002, quante cose sono cambiate nel frattempo, mashallah. Da pochi giovani, ora siamo una delle 18 sezioni del GMI, oltre 2500 giovani coinvolti nelle varie realtà, un oceano di esperienze, emozioni, lacrime, iman, sorrisi, belle parole, buon comportamento, fratellanza, rispetto reciproco, aiuto e sostegno, determinazione, competenze. Chi cresce nel GMI, è garantito, inchallah Allah swt gli darà la possibilità di avere successo, in questa vita e nell’altra. Di una cosa non dobbiamo mai dimenticarci: noi SIAMO AL SERVIZIO DI ALLAH SWT. Nessuno di noi, responsabile, attivo o partecipante, è qui per diventare famoso, per andare in tv, per diventare ricco od importante. No. Noi siamo qui perchè Allah swt ce lo ha chiesto. Dopo il Rasul Mohammad (salla Allahu 3aleihi wa sallam) ogni donna, ogni uomo sulla terra è un messaggero, ha il compito di trasmettere il più bel messaggio che Allah swt abbia mai rivelato all’umanità: l’Islam. Come possiamo svolgere questo compito? In ogni nostra azione, con il buon comportamento, con l’educazione e la serietà, il rispetto e la gentilezza, raccogliendo una cartaccia per strada, facendo la salat,
aiutando la vecchietta ad attraversare la strada, studiando a scuola, aiutando la mamma in casa, evitando di dire parolacce o di offendere gli altri ecc... Quando chiesero ad ummuna 3aisha, la moglie del profeta, quale fosse il comportamento del messaggero di Allah swt, ella rispose: “Era un Corano che camminava”. Non possiamo pensare di essere musulmani solo a casa, o in moschea, noi lo siamo sempre. Ogni volta, prima di compiere qualsiasi gesto, prima di pronunciare qualsiasi parola, mi devo chiedere: “Sto per dire/fare una cosa giusta?Questa cosa mi avvicinerà al paradiso o all’inferno?”.Il GMI è prima di tutto un’associazione islamica, che ha l’obiettivo di avvicinarsi ad Allah swt. Il GMI è frutto dell’impegno di tantissime persone, e tutti, ma proprio tutti, hanno il dovere di attenersi ai principi dell’Islam, altrimenti non saremmo giovani musulmani, ma soltanto alcuni dei tanti giovani che ci sono in italia e nel mondo. Nel Corano, troviamo spesso scritto : ِ“اّلَذِينَ آمَنُوا وَعَمِلُوا اّلّصَاّلِحَاتColoro che credono e che compiono il bene”, questo perchè le 2 cose sono inscindibili, nell’Islam teoria e pratica vanno di pari passo, credere senza agire o agire senza credere vuol dire essere incompleti, non comprendere appieno la nostra fede. Una cosa importante: alcuni di voi potrebbero chiedersi : “Come si fa a diventare responsabili nel GMI?”. La risposta è molto semplice: “è un percorso”. Tutti ma proprio tutti i responsabili del GMI, hanno seguito questo percorso, ve lo spiego in tappe, anche se non è così schematico il processo con un esempio, il protagonista di questa storia si chiama omar 1. Omar, giovane musulmano diMmilano, conosce il GMI perchè ne sente parlare da un amico, ed un giorno si reca alla sezione di Milano. 2. Dopo la prima volta al GMI, Omar è contento, e pensa che ci ritornerà anche altre volte 3. Omar si affeziona al gruppo, conosce altri giovani musulmani come lui, si sente felice, impara tante cose nuove, non salta più un incontro di sezione 4. Uno dei/delle responsabili della sezione di Milano, nota che omar è sempre puntuale, molto interessato, serio, si comporta bene, decide di affidargli una piccola responsabilità 5. Omar è molto contento, è riuscito a svolgere il compito (per es. spiegare un hadith, o sistemare le sedie nella sala, o preparare un volantino), con un pò di difficoltà ma il responsabile di sezione lo ha aiutato, ed è soddisfatto di
lui! 6. Omar, dopo il primo compito, sente di avere la fiducia dei responsabili, e comincia a proporre alcune cose interessanti, ed ogni volta in cui i responsabili gli chiedono qualcosa, lui si impegna molto e sente di imparare e di crescere continuamente! 7. Sono passati ormai 2 anni ed Omar è uno dei ragazzi più attivi della sezione. Il nuovo responsabile di sezione gli chiede di far parte del nuovo direttivo, ed Omar accetta, chiedendo ad Allah swt di guidarlo e sostenerlo in questo suo importante cammino… 8. Ora Omar è uno dei responsabili, e nota che in sezione è arrivato un ragazzo nuovo si chiama Bilal e sembra molto interessato, chissà se un giorno Bilal potrà essere un responsabile! Sara compito di Omar conoscerlo, stargli vicino, affidargli piano piano delle responsabilità e farlo crescere, ed inchallah, con l’aiuto di Allah swt, anche bilal sarà un responsabile del GMI. Omar fa parte del GMI da 3 anni ormai, ed ha imparato ad essere paziente, a rispettare gli altri, ad essere gentile ed educato, ha conosciuto molte cose dell’Islam di cui prima non era a conoscenza, ha imparato a parlare in pubblico, sa rispondere alle domande che gli fanno a scuola sull’Islam, ed ha molti nuovi amici, con cui si diverte e fa salat, con loro gioca a calcio e con loro rompe il digiuno a Ramadan! Nessuno può saltare questo percor-
so, non esistono scorciatoie, è impensabile arrivare oggi o domani e dire: “Fermi tutti, faccio io il responsabile”. Questo è un lavoro per Allah swt, ed è Lui che sceglie le persone. Ci sono giovani che dopo un anno e mezzo possono già essere responsabili, altri che non potranno farlo neanche dopo 10 anni! Vorrei ora che ognuno di voi esprimesse inchallah, a voce o per iscritto, cosa pensa del GMI, se pensa che in questi mesi sia cresciuto spiritualmente, se ha imparato qualcosa, se è cambiato, se si sente più vicino ad Allah swt. Ma prima, per concludere, vorrei che tutti insieme rinnovassimo la nostra nejja, l’intenzione di incontrarci, di vederci, di lavorare per Allah swt, per Lui soltanto. Chiediamo ad Allah swt che ci doni il Firdaus al a3la, che ci allontani dal fuoco dell’inferno, che ci doni l’ikhlas (la sincerità assoluta) nel 3amal (nel nostro impegno/lavoro) che ci guidi sul sirat al mustaqim (il retto sentiero), che ci doni al lukhuwwa (la fratellanza), che ci mantenga uniti, Allahumma gia3alna min assalihin (i buoni) wa minal musallin (coloro che pregano), wa minal mu’minin (coloro che credono sinceramente), che ci doni il pentimento prima della morte, la shahada durante la morte, il perdono dopo la morte, walhamdulillahi rabbi al3alamin.
Puntualmente come tutti gli anni, dal 30 dicembre al 2 Gennaio 2011 a Lignano Sabbiadoro (UD). Ci sarà il Convegno Nazionale dell’Associazione Giovani Musulmani d’Italia intitolato “Quale musulmano dopo il giovane musulmano?Di chi si parla? perchè una domanda così particolare? Cosa o chi vogliamo che sia un musulmano dopo essere un giovane musulmano?é con questa domanda che vogliamo aprire quest'ultimo convegno del nostro mandato. In Italia i giovani musulmani, stanno sempre più prendendo coscienza del fondamentale ruolo ricoperto nella comunità islamica e nella società italiana. La consapevolezza del proprio ruolo sta ponendo i giovani musulmani di fronte a delle questioni centrali; partendo dall'analisi della situazione attuale, passando poi per i cambiamenti sociali dipesi dalle nuove dinamiche che la regolano, arrivando al fondamentale tema dei giovani musulmani e il loro futuro. Il futuro non solo in Italia , ma con una prospettiva ben più ampia e quindi al futuro a livello europeo. Il convegno nazionale come tutti gli anni si propone di essere un punto d'incontro tra le migliaia di giovani musulmani sparsi in tutta Italia, quale momento di unione e fratellanza. Inconfondibile il senso e il clima che si respira sempre in queste strepitose 4 giornate intense, piene di amore per Allah, di fiducia in un lavoro proficuo in Italia, colmo di emozioni uniche che solo il GMI sa regalarci ogni
volta. Probabilmente chi non ha mai vissuto un convegno o non ha mai conosciuto da vicino il gmi, potrebbe pensare che noi siamo dei matti megalomani che raccontano storie e favole sulla propria associazione, ma invito chiunque a presenziare e a condividere realmente 4 giornate di magica gioia. Una vetrina, chiunque voglia capire cosa sia il gmi e cosa fanno queste migliaia di giovani, sentirli parlare, vederli esprimersi attraverso diverse espressioni artistiche, capire come son ben radicati nel territorio in cui vivono, i loro sogni e le loro paure. Questo convegno come dicevamo prima, si proietta in una dimensione più europea, ed ecco che si avrà come ospite d'onore il dott. Tariq Ramadan, noto sociologo ed islamologo nato e cresciuto in Europa; diversi giovani musulmani leader europei che ci racconteranno le loro esperienza nei diversi paesi di provenienza. Ovviamente non mancherà nulla di ciò che chiamiamo divertimento, le diverse sezioni si sfideranno in torneo di calcetto maschile e femminile, le diverse recite, i vari video, gli ormai immancabili gadget dell'associazione; forse un articolo non potrebbe mai e dico mai descrivere quello che è e sarà il convegno nazionale Gmi. Un mix di fede, divertimento, gioia, fratellanza, spiritualità, sorrisi, relax concetrati in 4 giorni, che rimarranno sicuramente nelle menti di tutti coloro che vi parteciperanno. E per concludere? beh che dire.... volete capire Quale musulmano, dopo il giovane musulmano? partecipate numerosi inchAllah Sara Emam (responsabile convegno) Meriem Finti (vice responsabile convegno)
Ci alziamo la mattina e la nostra giornata comincia con una sostanziosa colazione all’inglese o un espresso dall’aroma arabico. Ci vestiamo e attraversiamo l’uscio di casa con la umana consapevolezza della nostra immortalità, tutte le nostre cellule hanno la certezza che quando calerà la notte riattraverseremo questo stesso confine tra il pubblico e il privato, forse con qualche disavventura o ammaccamento fisico e psicologico in più sulle spalle, ma saremo ancora qui; non moriremo, né oggi né tra un mese, forse tra 45 anni, ad un’età più accettabile... forse. Lui (a Nablus) si alza, quasi sorpreso che i suoi occhi si siano nuovamente aperti alla luce di un ennesimo giorno, si prepara e attraversa lo stesso nostro confine. Puntualmente si gira e, passando lo sguardo sui ricordi della sua breve vita, ha la innaturale consapevolezza della mortalità che lo circonda. Il mondo gli rammenta ad ogni respiro che è solo polvere sul progetto di grandezza di qualcun altro. In qualsiasi momento di questo giorno può venire spazzato via. Morirà: non tra 10 anni, non tra 2. Se ne andrà oggi... forse domani. La nostra storia, con le sue consapevolezze e i suoi 65 anni, potrebbe non contenere un solo giorno degno di essere ricordato, rispettato o fotografato. Ma la sua storia è la storia di un popolo, i suoi giorni contati sono i giorni che hanno fatto e che faranno la storia. Ogni suo passo verso la morte è un passo verso la vita di una nazione. Il tempo non ha interesse per lui e allo stesso modo lui ne ignora l’esistenza. Noi abbiamo la necessità di contarlo, rincorrerlo, pregarlo; lui no. Il tempo è solo d’intralcio alla sua lotta, alla sua missione. Sa che la sua vita è necessaria, come anche la sua morte. Morirà come ha vissuto: lottando affinché altri possano sentirsi immortali. La sua storia comincia e finisce in Palestina, non conosce il mondo come lo conosciamo noi; ma ha capito la vita più di quanto noi potremo mai capire. Vi racconterò la sua storia affinché possiate rendergli la vita nella vostra memoria… To be continued...
"dedicata alla Terra Santa e a quelle persone che ci hanno insegnato cosa significa coraggio e amore per la patria"
Perchè ci chiediamo sempre quando finisce la guerra e non facciamo nulla per contribuire alla sua fine? Perchè diciamo sempre " che Dio li assista " e non facciamo nulla per aiutarli? Mia cara Terra ti chiedo scusa.... Ti chiedo scusa per tutti questi anni di sofferenza, per l'amore trasformato in odio, per i sogni trasformati in incubi, per il bianco trasformato in nero. Per tutti gli olivi che ti sono stati strappati, per ogni goccia di sangue che ha appagato il desiderio di un occupante. Per tutte le case che sono state distrutte sulle vite dei tuoi abitanti. Ti chiedo scusa per ogni pezzo di muro costruito per isolarti dal mondo, per ogni lacrima innocente scesa sul viso di un bambino ingenuo, e per ogni ferita causatagli dal tempo. Per ogni braccio o gamba strappati ad un corpo, per ogni diritto violato, per ogni sorriso cancellato. Chiedo scusa per l'infanzia distrutta e per la gioventù perduta. Per il cielo che non è più blu e per le bombe che non hanno misericordia. Chiedo scusa per l'indifferenza degli uomini e soprattutto per il male che, ora, abita in te... Chiedo scusa se io vivo e tu muori....
Zeineb Naini Sabrina Mohamed A.
Parliamone.. quanto è bello portare il Hijab? Si parla spesso di ragazze musulmane con il velo. L’hanno forse costretta i genitori a portarlo? Non soffrono il caldo durante l’estate? Sotto al fazzoletto ci sono i capelli? Ci si ritrova spesso a rispondere a domande di questo tipo. Le domande a cui risponderò di seguito, inshaAllah, in questo mio piccolo monologo, sono: perché porto il Hijab? Perché lo amo e ne sono fiera? Disse Allah(swt) in alcuni versetti di surat An-Nur (la luce): “Dì ai credenti di abbassare il loro sguardo e di essere casti. Ciò è più puro per loro… Dì alle donne di abbassare i loro sguardi ed essere caste…e di non mostrare,dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciare scendere i loro khumur fin sul petto (khumur: da cui khimar, pezzo di stoffa che copre i capelli). Nel versetto 59 di surat AlAhzab, Allah impartisce un ordine al nostro Profeta, pace e benedizione su di lui: “O Profeta, di' alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro jalabib.” Il Hijab non è quindi coprirsi solo i capelli. La donna deve coprire, oltre ai capelli, le orecchie, il collo e tutte le altre parti del corpo, mani escluse. Deve usare un abbigliamento largo che non mostri la forma del proprio fisico. Jeans e maglietta, ad esempio, non sono parte di un vestiario corretto. La donna deve coprire tutto ciò che potrebbe creare attrazione da parte degli uomini. Ma questa..NON è DISCRIMINAZIONE O MASCHILISMO!! Anzi… si cerca in ogni modo di difendere la donna da sguardi e parole sgradevoli. Papà dice sempre che sono il suo fiorellino e io penso che, grazie al velo, il mio appassimento sia molto lontano! :D Mi sento protetta, ecco perché lo amo. Mi sento forte,
ecco perché lo amo! Mi sento piena, ecco perché lo amo! Mi sento… sottomessa all’Unico, il Grande.. ecco perché lo amo! Mi sento simbolo di una grande Ummah, una comunità…ECCO PERCHé LO AMO! Non bisogna farlo perché costretti da qualcuno, bisogna crederci. Ma non bisogna nemmeno temere il giudizio esteriore. Infondo siamo destinati a combattere ogni giorno in un mondo che apparentemente non ci appartiene, ma a cui apparteniamo pienamente! Non dobbiamo avere paura di essere prese in giro per il nostro Hijab, ma avere la forza e la capacità di spiegare i motivi per cui lo portiamo. Non dobbiamo farci mettere i piedi in testa e dobbiamo conoscere, riconoscere e sfruttare il diritto di utilizzare liberamente il tipico vestiario legato alla nostra religione. Dobbiamo essere forti e vedere questi insegnamenti e tutte le volte che camminiamo nel centro delle nostre città con i capelli coperti, come una jihad!! Hijab is love..Hijab is life! I love Hijab! Hajer Messaoud
Donna musulmana malvista da persone dalle idee ristrette i cui pregiudizi sono causati dalla mal informazione. Tu che riesci a donare cò tanto amore ai figli a trattare l'amato come un re Donna unica,splendida nel suo fare, profonda nel suo amare... Dedico a te questa mia poesia mio unico e piccolo strumento a disposizione nella speranza che sia degno della tua magnificienza. B Z.
salam alaikum, sono un ragazzo di 17 anni di Milano, ti scrivo per chiederti un consiglio..ho molti amici non musulmani, esco spesso con loro e nonostante le molte diversità, ci lega una grande amicizia... ma....troppo spesso parlando dell islam con loro..è come se provassi imbarazzo..è come se mi sentissi ridicolo...mi vergogno moltissimo di questo fatto inspiegabile e non so che fare! cosa posso fare per trasmettergli al 100% il fatto che sono realmente FIERO di essere musulmano? Risponde Zena… wa3lekom el salam fratello! Le amicizie influenzano tantissimo, sono giunta alla conclusione che esistono due tipi di amicizie.. Ci sono gli amici che ti vogliono bene, che ci tengono tantissimo alla tua amicizia, che condividono con te parte della loro vita, e sono curiosi di conoscere la tua realtà che è diversa dalla loro, e la rispettano. E un'altra tipologia, dove sempre ti vogliono bene, ci tengono tantissimo alla tua amicizia, condividono con te parte della loro vita, e pure loro sono curiosi di conoscere la tua realtà, ma la differenza dove sta? Questi pensano che tu hai torto, che il tuo mondo è sbagliato, perciò nel tentativo di "aiutarti" cercano di farti fare cose che non potremmo fare. Ed è proprio con questi che ti vergogni, c'è differenza quando una persona ti fa una domanda sull'islam con sincera curiosità (allora qui si è fieri di spiegare) oppure quando ti pone la domanda in maniera provocatoria.. Alla fine penso che se non riesci a mostrarti fiero al 100% è perchè ti trovi con questa seconda tipologia di amici, e forse anche perchè pure tu non sei convinto al 100%, altrimenti non ti faresti così condizionare.. Per esempio un interista è fiero di essere interista sia con gli interisti stessi, che con i milanisti, anzi in questo secondo caso difenderebbe la sua squadra del cuore a spada tratta senza farsi condizionare dalla accuse altrui. salam alaikum, sono un fratello di 15 anni.. mi impegno molto in sezione e porto a termine i compiti che il responsabile mi assegna ( sistemo la sala prima e dopo ogni incontro, distribuisco a tutti i fogli per gli appunti, distribuisco i piatti e i bicchieri quando spesso facciamo un bouffet)..però, mi sembrano cose troppo semplici..forse il mio responsabile non ha fiducia nelle mie capacità? forse pensa che sia in grado di fare solo questo? :( risp Risponde Zena Wa3lekom el salam wa rahmatullahu wa barakatu fratello.. Per prima cosa volevo evidenziarti che qualunque compito all'interno della sezione è importante, non ci sono funzioni migliori di altre, ogni minimo particolare aiuta alla buona riuscita dell'attività di sezione, pensa se non si facesse il tuo compito, le persone arriverebbero, non saprebbero dove mettersi e si lamenterebbero.. In caso non ti senta appagato dell'impegno che ti è stato assegnato, fatti notare, intervieni, fai considerazioni, se senti che c'è un problema cerca sempre di dire la tua. Il responsabile, anche se non sembra, si annota tutto, sicuramente lui vedrà il tuo impegno, e lo apprezzerà, tu abbi pazienza, e vedrai che questa verrà ricompensata inshAllah..
salam alaikum.. sono una sorella di 19 anni, vi scrivo per chiedervi un consiglio..sono al primo anno di università, fuori sede..già la situazione non è delle più rosee perchè non conosco nessuno e devo ambientarmi al clima di una nuova città...se poi ci aggiungiamo le frequenti frecciatine che professori e compagni universitari mi lanciano riguardo al mio hijab..! come posso fare per 1 sopportare questa situazione 2 far comprendere alle persone il reale significato del velo?
Risponde Meriem.. Salam aleikom carissima sorella, ti capisco perfettamente. Non deve sicuramente essere una situazione facile la tua. Penso che diverse sorelle e diversi fratelli vivano la medesima situazione (sicuramente i fratelli non per quanto riguarda il velo).Voglio essere molto sintetica e diretta nel risponderti: il primo problema è raggirabile in due modi, uno conseguente all'altro- 1 avvicinarti il più possibile a Dio, non vedo alternative "Vuoi che Dio ti parli? Leggi il Corano / Vuoi parlare con Dio? Prosternati in preghiera". Avvicinanoti a Dio, attraverso la preghiera, la lettura del Corano, le invocazioni e tanto altro farà si che la solitudine non sia più parte di te, non ne conoscerai più il significato. La conseguenza di questo sai cosa sarà? Che sentendoti bene con te stessa, riuscirai ad aprirti più facilmente alle persone e alla società in cui ti trovi. Come posso far comprendere alle persone il reale significato del velo? Ebbene, personalemnte penso che l'unica risposta sia il tuo comportamento. Affinchè tu possa dire al mondo che ti circonda il tuo velo quale importanza e significato abbia, devi SOLO ricordarti che il tuo velo è Hijab. Hijab, quella sorta di modo di parlare, camminare, atteggiamenti con gli altri' Sapore di umiltà, decenza in tutto quello che fai e che sei. Il perchè del tuo velo sarà spiegato attraverso di te. Le azioni spesso valgono molto più di mille parole sorella. Sorella tu, sei ambasciatrice dell'Islam, idossi quella che è la bandiera esplicita della tua fede. Nelle dificoltà e nei momenti in cui vivi una discriminazione, affidati ad Allah, convinciti che se c'ha ordinato il Hijab è sicuramente un bene per noi e per l'umanità.