MILANO PORTA VOLTA. Due modi di disegnare la città.

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MILANO PORTA VOLTA due modi di disegnare la città

POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea in Progettazione dell’Architettura Tesi di Laurea Triennale Candidato: Alberto Gatti 825481 Relatore: prof. arch. Michele Giovanni Caja | Correlatore: arch. Ph.D. Sotirios Zaroulas Anno Accademico 2016-2017 | Sessione Febbraio 2018


Scuola di Architettura, Urbanistica e Ingeneria delle Costruzioni Corso di Laurea in Progettazione dell’Architettura L-17 a.a. 2016-2017 Immagine in copertina elaborazione grafica dell’autore


MILANO PORTA VOLTA due modi di disegnare la cittĂ (two ways to draw the city)

Tesi di Laurea Triennale a cura di Alberto Gatti Relatore: prof. arch. Michele Giovanni Caja Correlatore: arch. Ph.D. Sotirios Zaroulas



a mia nonna Maria



INDICE

Abstract

pag. 9

Premessa

pag. 11

Capitolo Primo (Sviluppo urbano dell’area di Porta Volta.)

pag. 15

Capitolo Secondo (Il disegno della città. Le problematiche della Milano contemporanea.)

pag. 39

Capitolo Terzo (Memoria e permanenza. Il muro.)

pag. 57

Capitolo Quarto (Uguale obiettivo, differente processo. Confronto tra i due progetti.)

pag. 71

Appendice

pag. 109

Bibliografia

pag. 151

Regesto iconografico

pag. 159

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ABSTRACT

La mia ricerca sull’area di Porta Volta e i relativi progetti di Grassi e Herzog & De Meuron si riferisce allo studio dell’architettura della città, intesa come opera di architettura, luogo della memoria collettiva. La scelta di indagare questo tema dell’area di Porta Volta a Milano è dovuta ad una mia ricerca personale riguardo i temi della città e del disegno urbano, legata alle figure di Aldo Rossi e Giorgio Grassi. Lo scopo della mia analisi è quindi ricercare come i due progetti affrontino le problematiche di questa parte di città, attraverso una lettura analitica comparata della città in questa sua porzione, il suo formarsi, i suoi fenomeni più importanti, la natura dei fatti urbani e le sue problematiche, secondo le teorie di Aldo Rossi e Giorgio Grassi. Per mezzo di uno studio delle cartografie dal Cinquecento ad oggi, una rilettura dei problemi del disegno urbano della città e del carattere del luogo, sono giunto ad un confronto tra i due progetti, tramite elaborati grafici e un confronto di immagini e analisi.

My research on the Porta Volta area and related projects by Grassi and Herzog & De Meuron refers to the study of the architecture of the city, intended as an architectural work, a place of collective memory. The choice to investigate this theme of the Porta Volta area in Milan is due to my personal research on the city and urban design themes, linked to Aldo Rossi and Giorgio Grassi figures. The aim of my analysis is therefore to investigate how the two projects tackle the problems of this part of the city, through a comparative analytical reading of the city in this part of it, its formation, its most important phenomena, the nature of urban events and the its problems, according to Aldo Rossi and Giorgio Grassi theories. Through a study of maps from the sixteenth century to today, a re-reading of the problems of urban design of the city and the character of the place, I came to a comparison between the two projects, through graphic drawings and a comparison of images and analysis.

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PREMESSA

Nel corso dei miei studi di architettura mi sono reso conto della necessità di una teoria come fondamento del fare architettura, e per questo mi sono avvicinato sempre di più alle teorie di due maestri dell’architettura italiana: Aldo Rossi e Giorgio Grassi, per un’adesione alle loro idee del fare architettura. Credo vivamente che la teoria, o meglio l’adesione ad una linea teorica, sia il momento più importante di ogni architettura, e non la razionalizzazione a posteriori di un processo progettuale. Il rifarsi a determinate teorie architettoniche, che si basano sulle teorie del passato e sulla storia dell’architettura, serve, a mio parere, a dare una giustificazione al processo architettonico, al dare una risposta al perché di una determinata scelta. La mia adesione alle teorie di Rossi e Grassi si è sviluppata soprattutto grazie al laboratorio di progettazione architettonica del terzo anno, nel quale ho avuto modo non solo di approfondire queste teorie, ma anche di metterle in pratica a livello

progettuale, grazie alla guida e al costante dialogo e confronto con il Professor Rosaldo Bonicalzi, che mi ha trasmesso l’interesse verso un determinato modo di affrontare la questione architettonica. L’idea di questa tesi è nata proprio da un dialogo con lui quando discutemmo del progetto di Herzog & De Meuron per Porta Volta e dal suo suggerimento di confrontarlo con quello fatto da Giorgio Grassi vent’anni prima. In secondo luogo per un mio personale e costante interrogarmi davanti alla città di oggi, in particolar modo la città di Milano, e alla sua architettura contemporanea che pare, a mio giudizio, inadeguata, rinunciataria e distratta davanti ai problemi della città, che sembra aggirare il problema cercando la soluzione in altro. Il fatto di studiare, cercare di comprendere ed aderire ancora oggi a queste teorie anagraficamente datate, non ritengo affatto sia una scelta nostalgica o passatista, tanto meno quella di rifugiarsi dentro una determinata corrente di pensiero, ma

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sono convinto che, come disse il filosofo greco Epicuro, “la stoltezza ha questo di proprio: ricomincia sempre da capo la vita”, ovvero che se queste teorie hanno prodotto esempi alti di architettura e sono riuscite a dare soluzioni alle problematiche della città, sia necessario continuare sul loro tracciato e non dissociarsi in voli pindarici come navigatori in mare aperto per spirito di originalità. Credo che Rossi e Grassi, come Palladio e Alberti, siano sempre attuali, perché hanno saputo leggere nella storia dell’architettura i suoi principi, principi che sono permanenti e necessari, che proprio in quanto fondamenti non hanno storia, sono fissi e immutabili, così come altrettanto lo sono i problemi che la città pone e i compiti dell’architettura deve assolvere. Per questo motivo ho deciso di basare la mia analisi sulle loro teorie. Penso che un testo come “L’architettura della città” di Rossi o “La costruzione logica dell’architettura” di Grassi siano più che mai attuali e necessari, e se già erano una dichiarazione di intenti sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso, tanto più lo sono adesso: se quegli anni, ricchi di idee nuove e tendenze positive, sono stati particolarmente convulsi per la cultura europea, dominati dalla sperimentazione più esasperata, dalla confusione e dal disorientamento, allo stesso modo l’epoca in cui viviamo lo è dal punto di vista architettonico.

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A quali riferimenti gli studenti di architettura del nuovo millennio devono rifarsi? A quelli della città-foresta o a quelli dell’architettura come design, oppure a quegli esempi che si rifanno ai principi dell’architettura senza doverli a tutti i costi distruggere, alterare o interpretare in chiave originale? In conclusione, il tema di questa ricerca è l’area dei bastioni di Porta Volta, un’area di Milano importante in quanto porta d’accesso al centro della città e luogo della memoria collettiva che conserva parte dei resti del bastione spagnolo, per molti anni rimasta incompiuta, in attesa di una soluzione; la scelta di studiare quest’area non è causale, in primis perché lo stesso Grassi ci lavorò per molti anni (ma per questo avrei potuto scegliere anche l’area del Centro Direzionale), ma soprattutto perché è un’area di cui poco si è parlato negli ultimi anni, nonostante la sua rilevanza, e una delle poche ad aver un progetto che, al di là di critiche soggettive e teoriche, a differenza di altre aree, ha cercato di porre una soluzione, pur con i suoi limiti, al problema di questa parte di città.




CAPITOLO PRIMO

SVILUPPO URBANO DELL’AREA DI PORTA VOLTA


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1. Da Vinci, L. 1497 ca., Pianta e veduta prospettica di Milano, disegno manoscritto ad inchiostro, mm. 210x285.

In questo primo capitolo cercherò di intraprendere una ricerca urbana sulla città di Milano, l’oggetto specifico della ricerca è l’area di Porta Volta, ovvero quella parte di città compresa tra il Cimitero Monumentale e Moscova, tra Porta Tenaglia e Porta Nuova, alla destra del Castello Sforzesco. Per svolgere tale ricerca mi baserò su una serie di carte storiche rielaborate, dalle epoche antiche ad oggi, selezionando le fasi storiche significative ed allargando e restringendo il campo di indagine in prossimità di certi periodi; in questo modo si potrà avere un quadro della crescita spaziale della città, assumendone la continuità degli elementi spaziali. Le tavole serviranno a chiarire quanto emergerà dal metodo della descrizione, al fine di dare una lettura della dinamica urbana e della forma di questa parte della città. Questo studio dello sviluppo urbano dell’area di Porta Volta parte dallo analisi del fenomeno urbano delle mura spagnole della città di Milano, dalla loro costruzione alla loro distruzione, considerando le trasformazioni dirette e riflesse che esse hanno generato sulla città. Lo studio delle mura ci presenta una problematica, che è quella della lunga durata, determinando un periodo che lo storico francese Jacques Le Goff (1989) definisce come il “lungo Medioevo”, che attraversa nella sua evoluzione l’insieme dei fenomeni storici dell’Occidente e che va in un certo senso dal tardo Antico al XIX secolo, per arrivare sino ad oggi.

Tale problematica scandisce la storia urbana per mezzo di periodi di costruzione, riparazione, ricostruzione, distruzione e sopravvivenza delle mura sotto forma di tracce. L’area di Porta Volta è in maniera evidente interessata dalla suddetta questione, la permanenza delle tracce del bastione spagnolo ci indirizza a ricostruire in modo regressivo il passato urbano di questa parte di città. Consideriamo un periodo storico ben limitato, legato alla storia della cinta muraria spagnola milanese, che va dal XVI secolo ai giorni nostri. 1. Gli elementi della trasformazione rinascimentale La città di Milano appare nelle carte cinquecentesche di Lafrery e di Clarici come un grande manufatto compatto, dal quale sembra essere esclusa ogni possibilità di espansione futura. Questo complesso manufatto si mostra completamente autonomo ed autosufficiente rispetto alla campagna che lo accoglie, raffigurata attraverso connotazioni simboliche: la realtà del territorio milanese e lombardo non sembra interessare la città chiusa in se stessa. Le mura delimitano la città storicamente consolidatasi per aggiunte, elisioni e sostituzioni: ma sono evidenti, nel disegno di Lafrery, le aree non ancora edificate dei numerosi giardini e delle ortaglie, che tali rimarranno fino a dopo l’Unità. Emergono da queste mappe come elementi costitutivi dell’impianto

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2. Elaborazione grafica dell’auture su: Lafrery, A. du Pérac, Pianta prospettica di Milano. 3. Elaborazione grafica dell’auture su: Clarici, G.B. (?), “Milano”.

rinascimentale della città ed in particolare della nostra area studio di Porta Volta: il Castello, la Tenaglia, i Bastioni, il Lazzaretto, i tracciati. IL CASTELLO In entrambe le rappresentazioni cartografiche il Castello, alla cui destra si trova l’area di Porta Volta, emerge come figura preminente e ne determina l’orientamento. Sotto il dominio spagnolo il Castello venne trasformato in caserma, luogo difensivo contro attacchi esterni e rivolte interne. Lo stesso disegno delle mura a foglia d’edera, che si mostra in fase di realizzazione in Lafrery, ne conferma il carattere di corpo estraneo alla città, che la Tenaglia difendeva dal Borgo degli Ortolani a nord-est. Funzione resa ancora più manifesta nel 1560 quando fu demolita la Tenaglia, dando inizio alla realizzazione di un nuovo sistema difensivo del Castello, che nel giro di qualche decennio lo avrebbe completamente circondato con una planimetria a stella. Il Castello durante il XVI secolo diventa quindi una fortezza all’interno della fortezza. LA TENAGLIA La Tenaglia difensiva, così chiamata per la terminazione biforcuta verso il baluardo di Porta Volta, già presente nel progetto dell’architetto Giunti, fu realizzata dal Cesariano tra il 1525 e il 1527 per volere del governatore di Milano Luigi Barbiano

di Belgioioso, per rafforzare le difese in attesa del completamento delle mura spagnole, poiché lo sviluppo del Borgo degli Ortolani e di Porta Vercellina aveva saturato i terreni ai lati del Castello. Essa sorgeva tra il Castello e il Borgo degli Ortolani, nel punto in cui il Nirone confluiva nel fossato, e costituiva una vasta spianata tutta circondata da un fossato e lunga più di cinquecento metri, si collegava alla cortina del Castello detta la Ghirlanda di fronte alla Torre del Piombo, un ponte stabiliva poi la comunicazione fra il Castello e la Tenaglia. Fu poi abbattuta nel 1560, a soli otto anni dal completamento della nuova cerchia bastionata. I BASTIONI Lo sviluppo continuo della città rese necessaria la progettazione di un nuovo sistema difensivo. Dopo la costruzione del Vallum nel 1157 e del Redefosso nel 1323, si giunse nel 1546 alla costruzione della cinta spagnola. Questa venne costruita per iniziativa di un governatore stratega, Ferrante Gonzaga, luogotenente del dominio asburgico a Milano, che intendeva probabilmente portare a compimento il progetto sforzesco di fare di Milano una capitale rinascimentale, di cui le mura dovevano identificarne la forma. Le ragioni che portarono alla costruzione di questa cintura furono plurime: una più sicura difesa della città, come misura protettiva

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contro le epidemie e per una più facile riscossione dei dazi, quest’ultima sicuramente la più influente. Il progetto del Giunti, portato avanti dal capitano di artiglieria Olgiati, definiva formalmente l’abitato separandolo dalla campagna e inoltre troncò lo sviluppo secondo le direttrici secolari, creando nuove zone di periferia. La città assunse quella configurazione planimetrica che non subirà per un secolo e mezzo alcuna modificazione. Le mura assunsero la tipologia del moderno ordinamento bastionato il cui organo principale era il baluardo con l’angolo acuto rivolto alla campagna, che nel caso di Porta Volta fu l’unico in tutta la cinta ad essere sventrato, per evitare i colpi perpendicolari delle artiglierie. La costruzione della nuova cinta fortificata definì le linee lungo le quali Milano avrebbe dovuto espandersi. IL LAZZARETTO Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, al di fuori di Porta Orientale, venne costruito il Lazzaretto come ricovero per i malati durante le epidemie di peste. Esso è l’unico elemento suburbano che viene rappresentato nelle cartografie del Cinquecento. I TRACCIATI Con la costruzione dei Bastioni spagnoli l’avvio della strada per Como fu spostato dalla Porta Tenaglia (Porta Cumana) alla Porta detta

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dell’Incoronato o della Fontana che assunse da tale momento il nome di Porta Comasina, oggi Porta Garibaldi, trascurando il tracciato dell’attuale via Varese-Maroncelli, alla destra di Porta Volta, che le nuove fortificazioni avevano interrotto, ma che nella pianta di Lafrery è ancora rappresentato.

2. Gli elementi della trasformazione controriformista Il cartografo milanese Barateri nella mappa “La gran città di Milano” del 1629, la più precisa sino ad allora disegnata e la prima orientata correttamente, ci mostra la situazione di Milano all’inizio del XVII secolo. Nella Milano della Controriforma si edificano alcuni edifici tipologicamente eccezionali, connessi alla formazione della classe dirigente, religiosa e laica. La carta di Barateri, dedicata al Cardinale Federico Borromeo, disegna ed elenca 256 edifici religiosi. Un secolo più tardi la mappa di Da Re del 1734 e le mappe del Catasto Teresiano del 1751 ci mostrano una situazione di per se simile a quella precedente. Emergono da queste mappe come elementi costitutivi dell’impianto della città ed in particolare della nostra area studio di Porta Volta: il Castello-Cittadella, il confine tra la città e il comune dei Corpi Santi, il Borgo degli Ortolani con la Parrocchia della SS. Trinità, il Borgo di Porta Comasina, i tracciati.

4. Elaborazione grafica dell’auture su: Barateri, M.A., La Gran Città di Milano. 5. Elaborazione grafica dell’auture su: Da Re, M.A., Città di Milano.


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IL CASTELLO – CITTADELLA Verso la fine del Cinquecento il progresso delle armi offensive rese insufficiente l’allora stato di difesa del Castello con la nuova cinta di mura e la Tenaglia, per questo si ritenne necessario il distacco completo del Castello dalle mura urbiche e la demolizione della Tenaglia e si progettò un grande recinto bastionato poligonale a forma di stella a sei punte, che verso il Settecento divennero dodici, con relativa Ghirlanda (cinta muraria, munita di due torri rotonde agli angoli e di una strada coperta, che difendeva il fronte settentrionale del Castello). I lavori iniziarono nel 1560, per volere di Filippo II, con la distruzione della Tenaglia del Gonzaga e una progressiva trasformazione del Castello in una vera e propria Cittadella. IL CONFINE TRA LA CITTA’ E IL COMUNE DEI CORPI SANTI Il territorio dell’area di Porta Volta rappresentato nelle tavole di Barateri e di Da Re si presenta attraversato dal sistema di fortificazioni urbane che lo divide in due parti: al suo interno la città e all’esterno il comune di Corpi Santi, istituito poi ufficialmente nel 1782 da Giuseppe II. Nell’area dei Corpi Santi, che si sviluppa a corona attorno alla città, si rileva una suddivisione non omogenea del suolo: sulla sinistra del Castello, dove non ci sono insediamenti, la partizione è a maglia larga, mentre dove si trova il

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Borgo degli Ortolani con gli insediamenti religiosi e rurali, la partizione è a trama fitta e complessa. IL BORGO DEGLI ORTOLANI Il Borgo degli Ortolani si sviluppa all’esterno dei Bastioni spagnoli, a destra dell’area di Porta Volta, lungo la strada per Varese, a partire dalla Piazza del Mercato in prossimità di Porta Tenaglia. La sua struttura presenta due punti nodali in corrispondenza degli incroci con le strade che conducono ai complessi religiosi di Sant’Ambrogio ad Nemus e della SS. Trinità. Il rapporto con la città di tale sistema insediativo appare, nella situazione settecentesca, come una soluzione di ripiego che recupera Porta Tenaglia attraverso un’improvvisa deviazione che lascia senza sbocco il tracciato originario. IL BORGO DI PORTA COMASINA Il Borgo di Porta Comasina si sviluppa all’interno dei Bastioni spagnoli, da Ponte Vetero, limite della città massimianea, attraverso le mura medievali segnate dalla fossa interna dei Navigli, sviluppandosi in quella che è l’area di Porta Volta, compresa tra Porta Comasina e Porta Tenaglia, quest’ultima, dopo l’abbattimento della Tenaglia, sorge al termine dello staccato che lega le mura al Castello e permette l’accesso alla strada di Varese e Novate. I TRACCIATI Fra i tracciati viari che attraversano


l’area del circondario di Porta Volta dai noi presa in analisi, emergono: - quelli che convergono sulla città attraversandone le linee fortificate, collegando Milano con altri territori, riferendoci alle porte Urbane sono: la strada per Como che attraversa Porta Comasina e dà luogo all’omonimo Borgo (oggi Corso Garibaldi); i tracciati convergenti su Porta Tenaglia (oggi Piazza Lega Lombarda); la strada postale per Varese che dà luogo al Borgo deli Ortolani (oggi via Canonica); la strada per Bovisa e Novate (oggi via Bramante) che si interrompe sulla Porta. - quelli che convergono sulla città, ma si interrompono all’esterno di essa sulle vie di fortificazione: la strada per Dergano (via Maroncelli), con tracciato parallelo alla strada per Novate, all’incrocio coi Bastioni confluisce nella strada che circonda le mura; la strada per Gallarate, interrotta nel suo andamento rettilineo dal Castello, anche essa confluisce nella strada attorno alle mura. - i tracciati anulari di circonvallazione esterni alle mura: il tracciato anulare a raccordo delle porte delle città, che nella nostra area collega Porta Comasina a Porta Tenaglia, lungo l’attuale via Pasubio-Montello; il tracciato anulare esterno, che si stacca dal precedente e prosegue verso Porta Vercellina. Fra i tracciati d’acqua invece seguono l’andamento dei tracciati viari il fontanile S.Carlo, che affianca per un tratto la Varesina e

la roggia Castello, che segue la linea delle fortificazioni tra il bastione e la circonvallazione esterna per raggiungere il Castello dal Naviglio della Martesana; mentre emergono in una loro specifica caratterizzazione la roggia Rigosella (torrente Nirone) e la roggia Peschiera.

3. Gli elementi della trasformazione neoclassica Le cartografie, risalenti alla prima metà dell’Ottocento, della Commissione d’Ornato e degli Astronomi di Brera ci mostrano come la città neoclassica e moderna nacque dalle riforme di Maria Teresa d’Austria e Giuseppe II, le quali dalla seconda metà del Settecento in pochi decenni smantellarono l’intera impalcatura controriformista. La pianta della Commissione d’Ornato, istituita nel 1807, mostra il progetto dei rettifili che avevano il compito di qualificare ed uniformare il valore collettivo della città. La carta degli Astronomi di Brera, invece, presenta con minuziosità il tessuto urbano, i giardini pubblici e le alberature. Emergono da queste mappe come elementi costitutivi dell’impianto della città ed in particolare della nostra area studio di Porta Volta: Corso Sempione, il Foro Bonaparte, la Piazza d’Armi, l’Arena, i passeggi pubblici, i confini urbani, la circonvallazione e i rettifili.

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6. Elaborazione grafica dell’auture su: Commissione d’Ornato, Pianta rappresentante i Progetti dei nuovi Rettifili. 7. Elaborazione grafica dell’auture su: Corpo degli Astronomi di Brera, Milano Capitale del Regno d’Italia - Pianta della città di Milano pubblicata dall’Amministrazione

CORSO SEMPIONE Il decreto napoleonico del 23 Giugno 1800 sancisce la decisione di Bonaparte di demolire le difese del Castello: nella primavera del 1801 Milano si trovò aperta verso quella che fu ed è la direzione naturale del suo sviluppo (nord-ovest). Abbattute le mura, appare nella città un nuovo elemento primario: il Corso Sempione, rettifilo di circa due chilometri, che riassume e indirizza alla città le antiche strade di Gallarate e Varese.

LA PIAZZA D’ARMI Accantonato il progetto di Antolini, davanti al Castello venne realizzata la piazza ellissoidale di Canonica, alle sue spalle, dopo l’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia nel 1805 e l’insediamento a Milano della nuova corte con esigenze di rappresentanza, venne realizzata la Piazza d’Armi, sempre su progetto di Canonica. Tutto l’organismo è allineato sull’asse del Sempione e si rivela come un piano di ampio respiro che, come dice De Finetti, “assume il tema della città come tutto”.

IL FORO BONAPARTE Al 13 Luglio 1800 risale la prima proposta di Canonica per l’apertura nell’area del Castello, rimasta libera dopo l’abbattimento delle difese stellari, di un quartiere per affari e abitazioni denominato “città Bonaparte”. L’anno successivo l’architetto bolognese Antolini presentò il progetto per il “Foro Bonaparte” attorno al Castello che, destinando l’intera superficie ad uso pubblico, si presentava come soluzione unitaria ed onnicomprensiva dei nuovi ruoli assegnati alla città illuminista. Sopra un basamento circolare di 500 metri di diametro il Castello e i servizi pubblici ed amministrativi della città, il cui ingresso era progettato in forma di propilei. Il progetto suscitò forte consenso, ma restò un progetto eminentemente simbolico paragonabile a quelli coevi di Boullée.

L’ARENA Si cominciò a lavorare alla realizzazione dell’anfiteatro, situato nell’area dove sorgeva la Tenaglia, nel Maggio 1806 e venne inaugurato un anno dopo. Un’opera di grande interesse che vede Canonica costruttore del monumento che più aderisce ai canoni dell’architettura dei tempi. Un’architettura non solo celebrativa, che si ispirava formalmente agli esempi dell’antichità, fondendo la tipologia del circo romano e dell’anfiteatro, in una nuova tipologia a pianta ellittica.

municipale.

I PASSEGGI PUBBLICI Nel 1783 Piermarini disegnò il piano dei Giardini Pubblici di Milano, che consisteva in un viale alberato, in duplice filare di ippocastani, per il passaggio dei pedoni ai lati e delle carrozze nella corsia centrale, sul tratto dei bastioni fra

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Porta Nuova e Porta Orientale. Nel 1807 il progetto di Canonica per il Foro Bonaparte prolungò la realizzazione della passeggiata pubblica, lunga più di tre chilometri, che si concludeva nella Piazza d’Armi. I CONFINI URBANI Con un editto del 1871 i Corpi Santi furono aggregati ai diversi rioni della città e dal 1897 non costituirono più confine amministrativo. Con la caduta del Regno Italico il Comune dei Corpi Santi venne però ricostruito dal governo austriaco nel 1816 per motivi fiscali. LA CIRCONVALLAZIONE Realizzata con il Piano stradale della città e Provincie dello Stato del 1778, la circonvallazione gira esternamente tutto intorno alla città e mette in comunicazione le sue porte. I RETTIFILI Compito della Commissione d’Ornato era rilevare un tipo generale delle strade interne della città per la sistemazione successiva delle medesime e fare progetti occorrenti per il miglioramento simmetrico dei fabbricati fronteggianti le strade e per l’allargamento rettifilo delle medesime, secondo la razionalità neoclassica della progettazione urbana. Nell’area di Porta Volta viene realizzato il rettifilo della strada di Porta Santa Teresa (oggi via Moscova), che terminava nello slargo di Porta Tenaglia.

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4. Gli elementi dell’impianto postunitario La tavola del Bignami Sormani della “Milano Tecnica” del 1885, ci indica in rosso l’edificazione tra il 1859 e il 1884, la città non è cresciuta molto in questi anni, ma le operazioni edilizie avvenute costituiscono interventi di grande significato ai fini del disegno urbano. L’Amministrazione Comunale nel 1884 incarica l’ingegnere comunale Beruto di redigere il primo vero e proprio Piano Regolatore della città. Egli progetta originariamente una proposta eclettica per Milano, con le suggestioni formali del rinnovamento viennese e berlinese. È interessante notare che le modifiche richieste dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici bocciarono le parti più avanzate del progetto e portarono all’attuazione, nel 1889, di un Piano di bassa cultura urbanistica. È una Milano che cambia volto, che distrugge la vecchia città e la sostituisce con una tutta diversa. Questo periodo della storia urbana di Milano è sicuramente il più importante per la comprensione di questa analisi dell’area di Porta Volta; la città subisce dei forti cambiamenti, si espanse oltre le mura del Giunti e disegnò un nuovo confine urbano, non più delimitato dalla cinta muraria, bensì dalla nuova Circonvallazione. Nuovi macro elementi vengono inseriti nella città nuova, “soffocata” – come dice De Finetti (2002) – dalla ferrovia, principale elemento della

8. Comune di Milano, 1880, Progetto di prolunguamento della nuova via Allesandro Volta per la comunicazione diretta delle vie Solferino, Palermo e Montebello con la nuova Barriera da costruirsi attraverso il Bastione di Porta Tenaglia, mm. 850x510.




9. Bignami Sormani, E. 1885, Carta Topografica di Milano, litografia colorata, mm. 275x70.

trasformazione tardo ottocentesca di Milano, fino ad arrivare all’apertura di un nuovo valico nel bastione che prende il nome di Porta Volta ed al tracciamento dell’omonimo asse viario, per l’urbanizzazione di un territorio ampio, rimasto fino ad allora male accessibile, virtualmente lontano dal centro della città. Emergono da queste mappe come elementi costitutivi dell’impianto della città ed in particolare della nostra area studio di Porta Volta: i nuovi confini urbani e la nuova Circonvallazione, la rete ferroviaria, i macro elementi: Sempione - nuova Piazza d’Armi – Cimitero Monumentale, via Volta e Porta Volta, i nuovi viali sull’area del Bastione, i sobborghi di Porta Tenaglia e di Porta Garibaldi, gli edifici scolastici.

I CONFINI URBANI E LA NUOVA CIRCONVALLAZIONE I Corpi Santi ospitavano quasi tutte le grandi fabbriche e servivano da deposito per il rifornimento e il commercio di Milano: essi diventarono sobborgo industriale, con una conseguente crescita vigorosa della loro popolazione. Vennero annessi al Comune di Milano per Regio Decreto l’8 Giugno 1873. L’estensione raggiunta dal corpo urbano aveva un raggio medio di circa un chilometro e mezzo, Beruto traccia la nuova circonvallazione con un raggio medio di quasi tre chilometri.

LA RETE FERROVIARIA La rete ferroviaria milanese circonda la città, un lungo asse ferrato taglia il Lazzaretto e percorre l’area a nord-est del sobborgo cittadino. Alla Stazione Centrale, collocata tra Porta Garibaldi e Porta Orientale (P.ta Venezia), e allo Scalo merci di Porta Garibaldi, sorti per primi, vennero collegati dopo pochi anni altri quattro scali e stazioni: lo Scalo merci Farini, lo Scalo di smistamento del Sempione, la Stazione Ticinese e lo Scalo merci di Porta Romana. Nel 1884 Milano risulta circondata su tutto il perimetro dalle opere ferroviarie. SEMPIONE – NUOVA PIAZZA D’ARMI - CIMITERO MONUMENTALE L’area attorno al Castello fu vittima di un intervento speculativo, in un primo momento era lo scambio di un’aliquota delle aree della Società Fondiaria milanese con quelle demaniali, poi il Comune conferì a Beruto l’incarico di inquadrare l’espansione urbana a nord-ovest, tenendo conto dei dati messi in campo dalla speculazione della Fondiaria. Nel 1886 quelle aree vennero vendute dal Comune al banchiere Marsiglia, mentre la vecchia Piazza d’Armi, evitata la lottizzazione, venne trasformata in parco. Per tale motivo Beruto dovette fissare la forma di una nuova Piazza d’Armi al di là della stazione di smistamento del Sempione.

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Il proposito dell’ingegnere comunale fu quello di creare con la nuova Piazza d’Armi una simmetria con il Cimitero Monumentale, intento che si precisa nel tracciato delle due grandi strade rettilinee che da quei due luoghi convergono al rondò del Sempione, che corre verso nord-ovest. Il Cimitero Monumentale fu una delle poche riforme urbane attuata durante i quarantacinque anni della dominazione austriaca a Milano. Al 1859 risale la scelta di posizionarlo a 350 metri dallo sperone del Bastione di quella che trent’anni più tardi divenne Porta Volta. VIA VOLTA E PORTA VOLTA Il piano regolatore della via Volta, presentato dagli ingegneri Caimi e Beruto, venne approvato dal Consiglio Comunale nel giorno 11 Settembre 1876. Il concetto di aprire un accesso diretto fra la città e il Cimitero si imponeva alla cittadinanza quale necessaria ubicazione del Cimitero stesso. La costruzione del Monumentale presupponeva una soluzione fondamentalmente prospettica delle vie di raccordo alla città e la nuova via non faceva che accentuare la direzione di penetrazione verso il centro, realizzando una percepibilità ed accessibilità più immediata del Cimitero nello spirito haussmaniano del culte de l’axe. La realizzazione della via presupponeva anche la conseguente apertura del bastione, per tale motivo il dibattito consiliare

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fu molto acceso, si valutarono tutte le ipotesi per evitarla: sovrappasso, sottopasso, apertura di una breccia a livello di campagna nel bastione stesso, con opposizioni che fecero postporre l’abbattimento di tre anni, poi eseguito nel 1880. Si provvide con l’abbattimento alla costruzione della Porta Volta, prospettante l’accesso al Cimitero. I lati della trincea furono coordinati in un declivio dolcemente praticabile con due ordini di scale, fiancheggiate da piante, il secondo delle quali faceva da elemento di raccordo con le passeggiate lungo i bastioni in direzione di Porta Tenaglia e Porta Comasina. Il progetto del Beruto addossò i due edifici gemelli dei casini daziari ai due lati del baluardo interrotto. I NUOVI VIALI SULL’AREA DEL BASTIONE Nella prima versione del Piano Beruto del 1884 al posto dei bastioni era previsto un doppio anello stradale con un’edificazione regolata da una apposita normativa, che prevedeva una zona di isolati disposta in parte a fabbricati e in parte a giardini, secondo ancora la forma voluta dal Piermarini in striscia paesaggistica sinuosa. L’immane opera di spianamento richiese più di mezzo secolo per essere compiuta. Nel 1947 scompare il tratto dei bastioni di Porta Volta e di Porta Comasina. La dicotomia tra città interna ed esterna alle mura, che si era creduto di eliminare con l’abbattimento dei

nelle pagine precedenti a sinistra: 10. Elaborazione grafica dell’auture su: Beruto, C., Progetto di Piano Regolatore generale della Città di Milano, cromolitografia, mm. 588x742. 11. Elaborazione grafica dell’auture su: Beruto, C., Piano Regolatore edilizio e di ampliamento della città di Milano, cromolitografia, mm 588x742. a destra: 12. Milano Tecnica, Barriera di Porta Volta.


bastioni, di fatto permane, rafforzata ancora di più dall’anello viario.

tuttavia non viene completato, lasciando solo esempi sporadici.

I SOBBORGHI DI PORTA TENAGLIA E DI PORTA GARIBALDI Il due sobborghi sono importanti per la nostra area di Porta Volta perché si sviluppano uno alla sua destra e l’altro alla sua sinistra, nella parte di città appena fuori il confine delle mura. Il Piano del sobborgo di Porta Tenaglia prevedeva, tra l’antica chiesa della SS. Trinità e via Sarpi, una maglia stradale di arterie ortogonali ritagliando isolati abbastanza grandi, atti all’edificazione di un tessuto misto di industria e residenza. Tale commistione si verificava anche nel sobborgo di Porta Garibaldi, la cui vicinanza allo Scalo merci fece sì che si realizzassero appartamenti, magazzini, botteghe ed opifici.

5. Gli elementi della trasformazione novecentesca Il Piano Generale Regolatore Edilizio e di Ampliamento, redatto dagli ingegneri Pavia e Masera nel 1911, affrontò problemi quantitativi e qualitativi della città. Dal punto di vista del disegno urbano il nuovo piano assume per l’espansione della città la forma prevista dal piano ottocentesco, ma con valori commisurati al suo reale ritmo di crescita, esso deve essere letto come la carta delle infrastrutture della città. Il successivo Piano Albertini del 1934 non presenta particolari caratteristiche, se non quella di concepire la città come un’area enorme per lottizzazioni. Non certo un piano rappresentativo del mito borghese-ambrosiano della capitale morale, ma una grande lottizzazione che vede la città solo entro i confini comunali e rende possibile ogni speculazione edilizia. Milano uscì dalla seconda guerra mondiale con un grande bagaglio di distruzioni, ma con spirito nuovo per essere stata la testa del movimento di liberazione, e nel 1946 l’amministrazione democratica bandisce un grande concorso urbanistico. Lasciò la sua impronta il piano A.R., cui collaborarono i maggiori architetti milanesi (Albini, Gardella, Rogers, Mucchi e Bottoni), interpreti delle correnti del C.I.A.M. Da qui si giunse

GLI EDIFICI SCOLASTICI Gli edifici scolastici fanno parte dell’ampio repertorio funzionale ai nuovi bisogni indotti dall’industrializzazione ottocentesca. Le scuole si dispongono come tessere nell’espansione radiale che cresce attraverso l’edificazione della cortina allineata al reticolo stradale berutiano. Nell’area dei bastioni di Porta Volta si sviluppa il Liceo Statale Carlo Tenca e sui bastioni di Porta Nuova l’Istituto Comprensivo Rossari Castiglioni. Il progetto della realizzazione degli edifici pubblici lungo l’area dei bastioni, che guarda al Piano di Vienna,

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poi al Piano Regolatore Generale del 1953, che però proseguì di pari passo con il Piano di Ricostruzione. Criteri generali del PRG furono la realizzazione di due assi attrezzati e la costituzione del Centro Direzionale. Emergono da queste mappe come elementi costitutivi dell’impianto della città ed in particolare della nostra area studio di Porta Volta: la riforma ferroviaria, gli assi attrezzati del PRG 1953, le unità quartiere, il Centro Direzionale. LA RIFORMA FERROVIARIA Negli studi per il Piano Regolatore del 1911 emerse come, abbattuti i bastioni, i nuovi “baluardi” fossero rappresentati dalla linea dei binari che dividevano in due parti la città, creando una vera e propria “cinta di ferro”. Si progettò la soppressione dell’anello ferroviario ad eccezione del suo tratto a sud della città, la localizzazione della nuova Stazione Centrale di testa, la costruzione di un nuovo scalo merci in via Farini in sostituzione a quello del Sempione, che trasformò la Stazione di Porta Genova in stazione di testa. GLI ASSI ATTREZZATI DEL PRG 1953 Sulle basi di alcune proposte del Piano A.R., uno dei punti fondanti del PRG del 1953 fu la realizzazione di due grandi assi attrezzati di penetrazione dalla Regione nell’aggregato urbano, accostando all’esistente complesso di arterie, convergenti,

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con andamento radiale al vecchio centro, un sistema di nuovi elementi viari destinato a modificare razionalmente la struttura della città, permettendo un traffico veloce e continuativo differenziato da quello locale. Il primo asse è dato dal tracciato di: viale Zara-viale Fulvio Testi, la congiungente il piazzale Lagosta con il piazzale Baimonti, esattemente di fronte a Porta Volta, e il nuovo tracciato tra il piazzale Baimonti, la via Cesariano, piazzale Sempione e via Pagano. L’area occupata dal secondo asse lambisce verso sud la linea ferroviaria delle Varesine e piazzale Baimonti, punto di particolare importanza del nuovo sistema. I due assi servivano entrambi il nuovo centro direzionale, spostato dalla Scalo Sempione alla zona compresa tra la Stazione Garibaldi e la Stazione Centrale. LE UNITA’ QUARTIERE Il PRG prevedeva nell’aggregato urbano la riorganizzazione del tessuto residenziale in unità quartiere maggiormente definite. Il risanamento di quartieri in cattive condizioni igieniche, come lo erano quello di via Canonica e dell’area di Garibaldi, doveva essere attuato attraverso le opere previste con la realizzazione dei grandi assi. IL CENTRO DIREZIONALE La sua realizzazione sembrava molto importante agli amministratori dell’epoca perché essa offriva la


possibilità di attuare quella teoria per cui tutti i mali venivano dal monocentrismo, che sempre era stata presente nell’urbanistica milanese. Si trattava di costruire un’alternativa con un centro più proteso verso le aree più popolose, a nord della città, in prossimità del nuovo Scalo Farini e della Stazione Garibaldi. 6. Gli elementi della trasformazione di fine Novecento Nel 1976 fu elaborato il piano di recupero di aree per i servizi pubblici e, poco dopo, venne adottata la Variante Generale al PRG del 1953, due momenti di un solo processo di pianificazione che le lotte urbane, iniziate attorno agli anni sessanta contro le demolizioni per la realizzazione della metropolitana, avevano reso non più rinviabile. Tra gli obiettivi del nuovo Piano la ristrutturazione delle aree degradate e la riqualificazione del tessuto urbano; il contenimento del fenomeno di diffusione delle attività terziarie e la ridefinizione degli insediamenti principali; l’aumento di dotazioni di servizi e di aree verdi; la valorizzazione delle zone centrali della città ed in particolare di quelle di valore storico. Il Piano si pose in linea con gli obiettivi del contenimento e del riequilibrio, limitando ogni tipo di espansione, puntando invece sulla ristrutturazione urbanistica ed edilizia. Il Piano perde però da questo momento i suoi connotati di disegno urbano della città, esso

diventa un “piano-processo”, ovvero definisce un quadro di obiettivi via via tradotti in scelte controllate dalla strumentazione urbanistica. Emergono da queste mappe come elementi costitutivi dell’impianto della città ed in particolare della nostra area studio di Porta Volta: il recupero della città storica, il progetto passante, la direttrice di via Farini. IL RECUPERO DELLA CITTA’ STORICA Le lotte degli abitanti del quartiere Garibaldi contro i progetti di demolizione e di allargamento stradale del corso per trasformarlo in asse commerciale-terziario, sono state il simbolo delle lotte alla speculazione immobiliare milanese. Ad inizio anni Settanta il Comune varò un Piano Integrativo di aree per l’edilizia popolare, noto come Piano Velluto, esso si poneva come strumento di riqualificazione urbanistica ed edilizia della residenza esistente, privilegiando la ristrutturazione del tessuto edificato e confermando l’insediamento residenziale a carattere popolare dell’area. La salvaguardia sociale e il risanamento abitativo dei vecchi quartieri popolari rappresentò il raggiungimento di obiettivi di pianificazione generale alternativi al meccanismo basato sullo sfruttamento privato della rendita urbana. IL PROGETTO PASSANTE Il Piano dei Trasporti, adottato

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dal Consiglio Comunale nel 1979, modificò profondamente il sistema della mobilità ipotizzato dalla Variante, tendendo a ribaltare la sua strategia introducendo la linea 3 della metropolitana e il Passante Ferroviario. Il Progetto Passante e i relativi progetti d’area portarono all’obiettivo di rilanciare il ruolo centrale di Milano con un processo di terziarizzazione, attraverso i grandi investimenti pubblici nel campo della viabilità e dei trasporti. Furono individuate tre zone della città direttamente interessante dal Passante Ferroviario e il primo e più importante Progetto di Area è quello di Garibaldi-Repubblica del 1985. Il sistema Garibaldi-Centrale-Repubblica diventò luogo compiutamente maturo per un insieme articolato di interventi che lo caratterizzano nell’impianto e nelle funzioni, come una nuova centralità urbana posta a rafforzare il ruolo di Milano nel suo ambito regionale. Il sistema considerato fu quello degli spazi liberi attorno alla Stazione Garibaldi e delle aree non utilizzate del centro direzionale e delle ex Varesine e del tessuto storico adiacente. Un sistema situato tra i settori storicamente più vivi e in posizione strategica per il recupero dei quartieri annessi all’area di Porta Volta, ovvero Garibaldi, Sarpi-Canonica e dell’Isola. LA DIRETTRICE DI VIA FARINI Il tracciato che faceva parte del

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primo asse attrezzato del PRG 1953, ovvero quello tra il piazzale Baimonti, la via Cesariano, piazzale Sempione e via Pagano, venne sostanzialmente a spostarsi sulla direttrice di Via Farini. La chiesa della SS. Trinità, posta su via Cesariano, venne sì abbattuta, ma non si riuscì a tracciare l’asse diretto con piazzale Baimonti. L’importanza assunta da via Farini e dell’area del nuovo Centro Direzionale fece in modo che l’asse che da viale Zara porta al Sempione si stabilisse sul tracciato che percorre via Farini, piazzale Baimonti, Via Montello.

in alto, da sinistra a destra: 13. Clarici, G.B. (?) 1580 ca., «Milano», disegno manoscritto ad inchiostro marrone e rosso su carta, mm. 975x1120 14 . Da Re, M.A. 1734, «Città di Milano», incisione, mm. 795x765 in basso, da sinistra a destra: 15. Comune di Milano, 1880, «Progetto di prolunguamento

1.7 Gli elementi della trasformazione attuale Come abbiamo visto nelle fasi precedenti, l’area attorno a Porta Volta assume sempre più una notevole importanza, proprio per la sua vicinanza all’area di Garibaldi-Repubblica, dove dagli anni duemila inizia a sorgere effettivamente il nuovo Centro Direzionale. L’area relativa al bastione di Porta Volta resta di per se invariata dalla fine dell’Ottocento, senza un progetto di ridefinizione, e soprattutto senza un piano ed un disegno urbano. Come precedentemente sottolineato, dagli anni Ottanta i piani regolatori perdono il loro carattere di disegno urbano della città e sono solo strumenti di controllo, forse il problema vero della nuova città è proprio questo? La chiarezza di un disegno urbano?

della nuova via Allesandro Volta per la comunicazione diretta delle vie Solferino, Palermo e Montebello con la nuova Barriera da costruirsi attraverso il Bastione di Porta Tenaglia», mm. 850x510 16. Comune di Milano, 2012, Carta Tecnica Comunale.


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CAPITOLO SECONDO

IL DISEGNO DELLA CITTÀ LE PROBLEMATICHE DELLA MILANO CONTEMPORANEA



1. Grassi, G. 1987, Planimetria generale progetto Milano/ Bovia per la XVII Triennale di Milano.

In questo secondo capitolo cercherò di mettere in luce le problematiche della Milano contemporanea, a partire da una riflessione critica sulla fragilità dei piani urbanistici, dall’Ottocento ad oggi, per evidenziare le problematiche urbane dell’area circuente Porta Volta, osservando alcune aree urbane trasformate e in trasformazione che stanno disegnando Milano, cercando di far emergere come il disegno della città dal dopo guerra ad ora non sia più chiaro. Per fare ciò mi soffermerò su un confronto con i casi europei e in particolare con il piano della città di Vienna, per comprendere come questi siano riusciti a risolvere problematiche simili a quelle milanesi, e infine utilizzerò il progetto di Giorgio Grassi per l'area di Garibaldi-Repubblica per comprendere cosa intendiamo per disegno della città. Dopo il piano napoleonico, Milano assume sempre più l’aspetto di capitale mancata, una delle problematiche ad essa connessa è sicuramente la logica del profitto sulle aree urbane, vero e proprio impedimento di qualsiasi importante soluzione urbana, ma per l’appunto questa è solo una delle questioni che hanno portato a tale disfacimento dei sogni di Milano come capitale morale. La causa principale credo possa essere ricondotta alla fragilità dei piani urbanistici proposti e messi in pratica dall’Ottocento in poi, privi di quella posizione impegnata che aveva caratterizzato il Piano Napoleonico, che caratterizzerà

poi soltanto il Piano A.R., e limitati al volere fare derivare da determinate impostazioni teoriche una precisa soluzione ai problemi pratici. In primis il Piano Beruto, fautore di una lettura errata e superficiale dello sviluppo storico urbano della città di Milano, preda di un atteggiamento romantico che lo portò ad un’interpretazione quasi poetica del tema, che guardò sì agli esempi europei, ma che non seppe trasferirli positivamente nell’ambiente milanese. Non di meno il Piano Albertini, che addirittura stabilì un artificio di forma, portando la città a crescere non preoccupandosi delle sue reali direttrici di espansione, del valore dei suoi contenuti e del suo sviluppo storico. Ma se Milano non ha ripetuto errori tali, non ha nemmeno saputo dar luogo concretamente alle speranze nate dalla Liberazione, come fu per l’appunto il Piano A.R., ma ha portato alla realizzazione del PRG del 1953, un piano “misterioso e che certamente è difficile riferire ad una proposta unitaria capace di indicare ed indirizzare la crescita della città” (Rossi, 1975, pg. 448). L’ idea della realizzazione del Centro Direzionale è stata una proposta interessante per lo sviluppo della città, ma inefficace così come fu pensato, strettamente vicino alla città storica si è subito amalgamato ad essa. La situazione è poi stata aggravata dai Piani particolareggiati attuati nel centro urbano, che Rossi definisce come

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in alto, da sinistra a destra: 2. Pinchetti, G. 1801, Pianta di Milano con il progetto del Foro Bonaparte di G.Antolini, disegno manoscritto a inchiostro, mm. 590x810 3. Beruto, C. 1885, Piano Regolatore edilizio e di ampliamento della città di Milano, cromolitografia, mm. 588x742 in basso, da sinistra a destra: 4. Albertini, C. 1933, Città di Milano - Piano Regolatore, incisione, mm. 435x410. 5. Gruppo A.R., 1945, Piano A.R., Schema di P.R.G.

“il punto più basso della storia urbanistica milanese”, per primo il piano della cosiddetta Racchetta, distruttore degli ultimi resti della Milano romana resistita ai bombardamenti. Rozzi planivolumetrici, architetture anonime e provinciali, un carattere frammentario e mediocre dato al centro storico e rispecchiato anche dalle zone periferiche, salvo alcuni elementi positivi eccezionali. Un bilancio negativo dell’urbanistica e dell’architettura meneghina, in cui “il tempo – continua Rossi – sembra essersi fermato alle polemiche del Cattaneo sulla Piazza del Duomo e al controverso progetto mengoniano”, rassegnato al fatto che la città non sia in grado di “costruirsi un’immagine propria”. Allora la domanda che sorge è perché una città come Milano, a fronte della sua storia urbana e della sua forma urbis, non riesce più a rappresentarsi attraverso il nuovo? I processi di riconversione industriale hanno determinato la messa a disposizione di una grande porzione di suolo cittadino, aree urbane che hanno offerto a Milano una possibilità di trasformazione, di evoluzione, occasioni che non sempre sono state colte. Soffermiamoci ad osservare la situazione dell’ultimo decennio, e prendiamo in analisi i casi di due aree emblematiche della città: l’area del Centro Direzionale di Garibaldi-Repubblica e quella dell’ex Piazza d’Armi poi diventata Fiera Milano e ora City Life.

Due aree, in particolar modo la prima, di forte interesse per i nostri studi sull’area di Porta Volta, che come essa sono rimaste indefinite fino all’avvento del nuovo millennio. I masterplan che hanno disegnato questa nuova immagine di Milano sembrano essere lontani da quella che Rossi intendeva come “immagine propria” della città, anzi paiono negare la presenza della città esistente e costruirne una nuova secondo chissà quali canoni internazionali, dimentichi degli studi urbani inaugurati da Rossi e delle riflessioni sull’unione tra storia e geografia della tradizione politecnica di Carlo Cattaneo, e altrettanto indifferenti a quei progetti, nati come dimostrazioni per modificare il piano regolatore, fatti dall’intellighenzia architettonica milanese come la proposta gregottiana per le Ferrovie nord (Cadorna e Pagano) o quella di Sergio Crotti per l’area Portello-Fiera, quella di Valle, Gabetti-Isola, Gregotti per Bicocca, o quelle di Rossi per un nuovo centro congressi nell’area ex Varesine e quelle di Grassi per la stessa area e Bovisa. Il nuovo skyline della città pare fare bella figura sullo sfondo delle Alpi, ma ciò che a noi interessa è cogliere come questi edifici si relazionino con la città e quindi viene da chiedersi quali nessi intercorrano tra la mole dell’Unicredit tower di Pelli, la noce di De Lucchi, il parallelepipedo di Cuccinella, l’edificio di Piuarch e la città.

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6. Comune di Milano, 1956, Il Piano Regolatore Generale 1953. 7. Masterplan Milano Porta Nuova, 2013.

La relazione che questi interventi instaurano con la città esistente è difficile da cogliere, anzi pare per certi versi negata e il disegno della città è talmente confusionario da sembrare inesistente. Allo stesso modo vale per le residenze del City Life, chiuse all’interno delle loro recinzioni facendosi forza, insieme alle tre torri, in una “fiera delle varietà” , non aprono a nessun legame con la città. Programmi che mettano in discussione l’assetto tradizionale della città e mostrano come l’architettura milanese nell’ultimo mezzo secolo abbia visto spegnersi progressivamente la luce della sua capacità di interpretare il divenire della città. Se esaminiamo il panorama delle architetture del dopo guerra, passando in rassegna le opere di Muzio, Ponti, Gardella, Moretti, Figini e Pollini, Albini, BBPR, notiamo come essi furono in grado di esprimere al meglio il tono della città e di interpretarne lo stile con una qualità intrinseca che poneva le radici in una cultura cittadina solida e con una qualità di committenti ed amministratori. Ma è proprio questo il punto: la qualità di committenti ed amministratori, questo è apparentemente il problema più grande della Milano moderna. Gli strumenti dell’amministrazione pubblica e del potere politico sono diventati inadeguati alla crescita della città e alle sue trasformazioni, i vecchi strumenti di pianificazione e gestione territoriale si sono rivelati

inutilizzabili. Milano sembra incontrare grande difficoltà a rappresentarsi attraverso il nuovo e da molto tempo non produce più una qualità architettonica degna della sua storia. Per di più Milano – dice Pierluigi Nicolin (1987) - sembra comunque essere stata riluttante alle trasformazioni, i grandi progetti sono sempre finiti per essere digeriti dal ventre della città stessa, che “ingrassa (o dimagrisce) ma che persevera, nonostante tutto, nel mantenersi entro i caratteri della sua struttura tradizionale, ad opporre la resistenza della sua forma urbis”. Come se la città storica cercasse di difendersi da quei mutamenti del concetto di piano urbanistico avvenuti verso gli anni Ottanta e gridasse a gran voce la necessità di un disegno urbano e soprattutto di un disegno urbano colto, che purtroppo sembra mancargli da più di un secolo. “Se la forma urbis milanese – continua il direttore di "Lotus International" – conferma la sua straordinaria durata, ciò si deve al fatto che essa è venuta a costituirsi come un intreccio solidale di tracciati urbani e infrastrutture (ciò che, come è noto, fu colto con chiarezza da Leonardo): grandi edifici e monumenti che non abbiano un legame diretto con questi due fattori sono destinati all’insuccesso”. E forse proprio per causa di questa sua riluttanza, ma anche per la succitata bassezza della cultura urbana dei vari piani, la città di Milano, cresciuta tipicamente per mezzo di piccole

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unità di intervento, sembra aver perso un’occasione, quella che invece è stata colta da altre città europee. Le grandi trasformazioni operate nella Parigi del secondo impero dal barone Haussmann, il piano per l’ampliamento di Amsterdam sud di Berlage, l’esempio di ricostruzione, o meglio di vera e propria creazione ex novo, della città di Le Havre ad opera di Auguste Perret, sono dimostrazioni di come la città moderna possa configurarsi solo attraverso interventi di ampio respiro, in cui determinate successioni di architetture consentono l’espansione della città in tutta la sua compagine, non dissociando mai il piano urbanistico da quello architettonico. Il caso più rappresentativo resta comunque quello della Vienna del XIX secolo. Attorno alle metà dell’Ottocento la città di Vienna si trova a dover operare su un assetto urbano che si era determinato in assenza di adeguati livelli di interpretazione culturale e di strumentazione tecnica, su un assetto urbano che manifestava profonde contraddizioni. Materiali che caratterizzavano anche altre situazioni urbane, come appunto Milano, e da cui traevano origine gli interventi di Haussmann a Parigi e quelli berlinesi degli anni cinquanta. A Vienna, per la prima volta nella civiltà urbana europea, si affrontava, in modo pianificato alla scala della grande città, il problema di una trasformazione profonda

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all’interno dell’assetto urbano esistente e non un problema di ricostruzione o di crescita per aggiunte, come invece avvenne a Milano con il piano Beruto e i successivi. Il porsi in un’ottica interna al dato fisico della città esistente ha permesso di individuare le contraddizioni che gli avvenimenti precedenti avevano mano a mano accumulato sul corpo della città, ciò ha permesso di commisurare e calibrare le trasformazioni ai nuovi bisogni insediativi e di organizzazione urbana della città. La realizzazione del Ring di Vienna nasce per sopperire alla domanda di residenze ed attrezzature pubbliche, secondo le esigenze della borghesia e dello Stato. L’intervento del Ring è il risultato del rapporto dialettico tra bisogni sociali di trasformazioni, strumentazione tecnico-culturale (piani e regolamenti) attraverso la quale quei bisogni trovano soddisfazione, meccanismi economici che rendono attuabile la trasformazione. La singolarità fortunata del caso viennese sta nel fatto che l’area del Glacis non solo costituiva una cerniera decisiva interna alla città, ma che essa era anche quasi integralmente di proprietà della Corona e quindi disponibile per un controllo unitario della trasformazione. Al Ring fu attribuito un ruolo complesso da svolgere nel futuro della città, nel loro insieme le aree per la residenza, il verde, le strade, le piazze e i monumenti costituiscono i materiali compositivi

8. Berlage, H. P. 1910, Piano della città di Amsterdam. 9. Perret, A. 1946, Le Plan Général, Le Havre.


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10. Stache F., Föster L., von der Nüll E., von Siccardsbur A. 1858, Ringstraße.

attraverso la quale viene proposta, non solo una soluzione specifica ed unitaria al problema del Glacis, ma anche la messa a punto di un’immagine nuova di città e la strumentazione tecnica con la quale tradurre in realtà questa immagine. Vienna riesce quindi a darsi a metà Ottocento, tramite un piano urbanistico di ampio respiro, un disegno urbano e conseguentemente una sua immagine propria. Attrezzatura pubblica e monumento diventano sinonimi nel Ring di Vienna, e la localizzazione di una qualsiasi attrezzatura pubblica, in un punto della città, è significativa della volontà progettuale di creare in quel punto un’emergenza monumentale. Localizzazione del monumento e localizzazione della funzione sono quindi due atti tra loro autonomi, il primo trova le sue regole all’interno della struttura morfologica della città, il secondo si adegua alle necessità della storia urbana. “L’unione di questi elementi (primari) - dice Rossi (1966) - con le aree in termini di localizzazione e di costruzione, di permanenze di piano e di permanenze di edifici, di fatti naturali o fatti costruiti, costituisce un insieme che è la struttura fisica della città”. Questa bontà del piano di Vienna è data da una rielaborazione compiuta di alcune esperienze positive di costruzione delle città europee nel XVIII secolo, tra cui Berlino, Lisbona e Trieste, ma soprattutto per il fatto che il livello di conoscenza

dei problemi posti dalla trasformazione della città e la dimensione in cui l’intervento del Ring veniva ponendosi non erano di certo provinciali. Provinciale e limitato è invece il progetto attuato a Milano negli stessi anni, ovvero quello del Piano Beruto, il piano urbanistico che più di tutti ha alterato la forma della città. “Il processo ideologico porta il Beruto – dice Definetti (2002) – a vedere nel piano dell’espansione nulla più di uno sviluppo della città vecchia, procedente dall’interno all’esterno. Ne deriva logicamente un organismo pieno di passato anziché un organismo dotato d’indole futura”. Per questo credo si possa davvero dire che Milano abbia perso nella sua storia urbana un’occasione, e questa perdita non ha fatto altro che generare continue problematiche che ancora oggi la città non riesce a risolvere. Del resto, diceva Bernardo di Chartres, “siamo nani sulle spalle dei giganti”, ma di giganti nella storia disegno urbano milanese non se ne sono mai visti. I piani di fine Ottocento e inizio Novecento hanno talmente influito sulla città di Milano da non permetterle l’assunzione di quella che Grassi, citando Werner Hegemann, definisce come “città di pietra”, ovvero la città gotica. “Assumere come riferimento la città di pietra - dice Grassi (1967) – significa assumerne i principi e i motivi stessi, quindi anzitutto la lunga esperienza. Significa indagarne le successive

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modificazioni e significa anche risalire a quella sua forma che ci sembra più definitiva, quella che ci appare comprensibile e più chiara nella sua motivazione” e significa, aggiungo io, riuscire a darle un disegno unitario, che attraverso tutte queste indagini, sia in grado di risolvere i problemi della città; purtroppo Milano non l’ha fatto. Questa relazione attraverso la storia è caratteristica delle città tedesche, per le quali la città gotico/mercantile diventa, sul piano razionale, il principale punto di riferimento della Großstadt, la grande città. Il problema dell’architettura della nuova città sta, secondo il pensiero razionalista, nel dare un ordine logico e formale al suo modo di crescere e di relazionarsi col territorio secondo un obiettivo di unità, obiettivo che sembra irrealizzabile soprattutto per quell’inadeguatezza tecnica che nel caso di Milano abbiamo visto. L’idea di città del razionalismo, quella effettivamente edificata con tracciati regolatori, quartieri ordinati, tipologie fondamentali, quella delle città di Amburgo, Berlino e Francoforte, è, per Grassi, in primo luogo “un’idea di architettura”. E questo idea di città del razionalismo la si può vedere nei progetti che Grassi realizzò attorno agli anni novanta per la XVII Triennale di Milano e per l’area Garibaldi-Repubblica. Consideriamo in modo particolare il progetto per l’area Garibaldi-Repubblica perché è quello

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che più interessa da vicino la nostra area studio, una zona fino agli anni sessanta tagliata fuori dal centro della città a causa di barriere diverse: la morsa delle due stazioni ferroviarie (Centrale e Varesine) e il naviglio della Martesana; situazione a cui poi il Piano Regolatore ha posto rimedio con due notevoli opere: il cavalcavia, che prolungando viale Zara, lo riallaccia direttamente a piazzale Baimonti e al Sempione, e il cavalcavia che ricongiunge via Farini al centro attraverso i bastioni di Porta Volta. L’area di forma rettangolare allungata, si presenta alla fine degli anni ottanta ancora vuota e oggetto di questo concorso a cui Grassi partecipò, corre parallela e poco distante dai bastioni spagnoli ed è interessata dalle radiali che, in corrispondenza di Porta Nuova e Porta Garibaldi-Comasina, attraversano quel tratto di bastione. Il punto di partenza del progetto di Grassi è che non si è mai stabilità negli anni alcuna relazione tra questi due elementi della città, neppure nei progetti, come se la ferrovia fosse ancora presente. Questo progetto dice Grassi “ha due obiettivi principali: vuole ricollegarsi con forza e in modo esplicito alla struttura architettonica della città storica”, cercando di stabilire una “condizione di necessità reciproca fra il sistema dei bastioni e l’area dell’ex scalo ferroviario”; secondariamente “vuole rendere più chiara, più leggibile, la forma tecnica del vuoto,

nelle pagine precedenti: 11. Grassi, G. 1987, Planimetria generale progetto Milano/ Bovia per la XVII Triennale di Milano. 12. Grassi, G. 1987, Planivolumetico progetto Milano/Bovia per la XVII Triennale di Milano. 13. Grassi, G. 1991, modello di studio progetto area Garibaldi-Repubblica a Milano. 14. Grassi, G. 1991, Planimetria generale progetto area Garibaldi-Repubblica a Milano.


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15. Comune di Milano, 2017, Mappa degli scali ferroviari dismessi. 16. Houben, F. Mecanoo, 2017, Schema del progetto della città.

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cioè la sua origine, lo scalo ferroviario, la sua ragione d’essere, appunto la sua forma in quel luogo, lasciandolo com’è, cioè vuoto: un lungo parco urbano interrotto soltanto dalla linea sghemba della Martesana-Melchiorre Gioia”. Il progetto di Grassi parte da questa grande porzione di città vuota, così come fa nel progetto che da Bovisa coinvolge anche lo scalo Farini, come una straordinaria occasione per la città. L’obiettivo del suo disegno è riallacciare questa parte di città alla città storica con cui direttamente si confronta, e lo fa anche riprendendo determinate figure, come quella del muro, per riprendere i bastioni, con cui costruisce i suoi blocchi di edifici o quella della Tenaglia che applica all’asse di via Restelli. Un continuo rimando agli elementi che disegnarono la città storica a testimonianza di come il disegno urbano, consapevole della storia e del valore della città esistente, sia fondamentale per dare alla città un sua nuova immagine, un suo nuovo disegno per risolvere le sue problematiche. Già a partire dal 2005 il Comune di Milano e le Ferrovie dello Stato hanno iniziato a definire gli obiettivi e il percorso per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse e per il potenziamento del sistema ferroviario milanese. Gli accordi siglati prevedevano una stretta relazione fra riqualificazione delle aree occupate dagli scali ferroviari

non più funzionali - presenti anche in zone semi-centrali della città - e le strategie per il miglioramento del servizio ferroviario milanese. In data 23 Giugno 2017 si è conclusa la sottoscrizione del programma di riqualificazione urbanistica dei sette scali ferroviari di: Farini, Porta Genova, Porta Romana, Lambrate, Greco, Rogoredo e San Cristoforo. Questo programma apre la strada a una nuova possibile trasformazione della città: gli ex scali merci dismessi, ricompresi nella città densa, potrebbero diventare nuovi quartieri. Un’operazione urbanistica tra le più importanti d’Europa, più estesa della stessa riconversione delle aree di Expo 2015. I progetti, presentati in una mostra allestita negli spazi di Porta Genova nell’Aprile 2017, durante il Fuorisalone milanese, rappresentano cinque differenti visioni della Milano dei prossimi decenni. Il fatto che le stazioni ferroviarie abbiano finito per ricalcare l’antica disposizione delle porte cittadine ha aggiunto nuove suggestioni all’ipotesi di confermre per quei luoghi il compito cruciale di farne dei punti di spicco di un “Ring” milanese. Della cintura ferroviaria milanese tutto è ora in discussione. Un immenso parco di aree centrali messo a disposizione per immaginare la città di domani. Una grande occasione a Milano per ridarsi un nuovo volto, per disegnare un’immagine della città al di fuori dalla confusione che fino ad oggi l’ha dominata.




CAPITOLO TERZO

MEMORIA E PERMANENZA IL MURO



1. Anonimo, raffigurazione di epoca medioevale, Mediolanum civitas Cisalpinae Galliae.

In questo capitolo cercherò di analizzare la questione delle mura come fatto urbano della città di Milano, per comprendere il loro legame con il luogo, attraverso un confronto con il caso di Francoforte di Ernst May e le teorie di Rossi e Grassi sul locus e la ricostruzione del luogo, per comprendere il perché le due soluzioni progettuali presentino una soluzione apparentemente molto simile. Come è emerso nel precedente capitolo il problema generale della città di Milano, che coinvolge direttamente anche l’area di Porta Volta, è l’assenza di un disegno propriamente chiaro della città. Ma entrando più nello specifico dell’area e dei due progetti in analisi, ovvero quello di Grassi e quello di Herzog & De Meuron, il tema che più emerge, essendo profondamente legato a questo luogo, è quello del muro, inteso come fatto urbano. “La città fortificata, che per secoli ha costituito in Occidente il modello urbano prevalente, si è presentata ai contemporanei e si presenta oggi agli storici come una struttura al tempo stesso materiale, urbanistica, sociale, politica e, al livello della rappresentazione, come un’immagine”. (Le Goff, 1987) Per lunghi secoli le città europee sono state delimitate da mura, ritmicamente scandite da porte che collegavano al contado circostante. Esse sono state il monumento che ha manifestato e tramandato ai posteri l’identità e la forza dell’organismo

urbano, quel monumento che ha incarnato l’inizio di un passato della città, che dapprima la rese sicura, ma che, da una certa epoca in poi, l’ha compressa e soffocata. Quasi ovunque quelle mura sono cadute, avendo perso l’originaria ragione difensiva e le successive funzioni, fiscale e simbolica, nella seconda metà del XIX secolo. Le modifiche urbane conseguenti, dopo un vorticoso periodo di crescita incontrollata, rispondono ora ad esigenze di riassetto interno, di ricomposizione delle sue parti secondo le coordinate di un nuovo sistema culturale. Il tema delle mura rimanda ad un’idea di insediamento urbano appartenente ad un momento storico che parrebbe completamente concluso e superato, ma l’interrogativo sul destino della città contemporanea rimette in moto un’attenzione viva per la storia e le tradizioni di un luogo. Si tratta di rendersi conto di cosa siano diventati i luoghi dove un tempo sorgevano le mura, di individuare i vincoli che le antiche presenze hanno potuto far pesare in quei luoghi, di cogliere la funzione, la natura e l’immagine dei nuovi elementi che hanno sostituito le mura; di vedere, infine, come questa trasformazione sia avvenuta. I resti delle mura spagnole sono testimoni della storia urbana di Milano, portatori della memoria storica della città, simbolo di un’immagine di città, la città murata dotata

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di un centro e di un perimetro tra loro in relazione, che appare oggi come ideale; una permanenza che genera una discrepanza tra città costruita e città immaginaria, tale da interrogare sia il presente sia il passato della città di Milano. Alle mura è connesso l’elemento della porta, che il fenomenologo francese Bachelard (1987) definisce come “tutto un cosmo del Socchiuso. E’ almeno una immagine princeps, l’origine stessa di una reverie in cui si accumulano desideri e tentazioni, la tentazione di aprire l’essere nel suo intimo, il desiderio di conquistare tutti gli esseri reticenti”, portando la riflessione di un tema prettamente architettonico-urbanistico sul piano psicologico, che nella storia europea ha avuto risonanze oscillanti tra il senso sacro della soglia e il luogo fisico che essa pone in essere. Ma, data l’importanza che la porta urbana, e quindi anche le mura, assume nella psiche umana, come percepisce l’uomo la città contemporanea, priva di confini e di punti di osmosi tra interno e esterno, in una visione illimitata del territorio? Non assumerò in questa analisi il compito di porre delle risposte a tale domanda, ma la utilizzerò come punto di partenza per una riflessione sulla tema della memoria e della permanenza delle mura, cercando di ricostruire il loro significato e il loro valore nella città di Milano e in particolare per l’area di Porta Volta. Come emerge anche nel primo capitolo, l’area di

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Porta Volta è un’area significativa per la città di Milano soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra città storica e città contemporanea, la presenza di alcuni resti del bastione spagnolo è testimone di un oggetto architettonico, di un “organismo vivo” – per citare Rogers (1958) – che gioca un ruolo fondamentale per la città. “Prima l’apertura della Porta Volta – scrive Grassi nella sua relazione di progetto nel 1990 - proprio nel vertice del vecchio baluardo e poi il definitivo spianamento dei bastioni, già trasformati in passeggiata alberata in età neoclassica, hanno del tutto falsato e reso irriconoscibile il segno della cinta muraria della città in questa sua parte. Un segno importante, se si considera che si tratta del punto in cui le mura cambiano bruscamente direzione per tornare a saldarsi col sistema fortificato del castello”. Come poi si vedrà nel capitolo successivo, sia il progetto di Grassi sia quello di Herzog & De Meuron, pur con due metodi e due risultati completamente differenti, sostanzialmente ricostruiscono il muro del bastione, non è una casualità, ma bensì una dimostrazione della memoria collettiva del luogo, che è l’oggetto del progetto. Penso che per comprendere meglio la questione possa essere interessante l’introduzione fatta da Giorgio Grassi all’edizione italiana da lui curata del “Das Neue Frankfurt” dell’architetto tedesco Ernst May.


La vicenda di Francoforte prende vita nella prospettiva della sua storia e May ne è, ad inizio Novecento, come Berlage per Amsterdam, il maggior interprete di una vicenda che è quella della città europea. May cerca una corrispondenza tra città e architettura e sviluppa un’adesione all’architettura che va oltre i limiti delle problematiche del momento. Nella rivista emerge continuamente questa attenzione alla città e alla sua storia, un legame, secondo Grassi, fondamentale per conoscere in modo più approfondito la costruzione della città moderna. La nuova Francoforte si confronta con la tradizione della città europea, dalla città gotico-mercantile verso la moderna metropoli. Il tema che ci permette di attuare un confronto con Milano emerge nel secondo paragrafo dell’introduzione di Grassi, “La città antica e il fiume: l’arginamento del Meno”. “Francoforte sul Meno, così oggi si chiama la nostra città. Che cosa rimane oggi – dice Ernst May (1928) – del legame fra la città e il fiume, implicito in tale denominazione?” Da questo interrogativo May propone una risoluzione tecnica del problema della parte più bassa della città, ovvero il centro storico, esposta frequentemente alle inondazioni del fiume Meno, una parte di città che è la più ricca di testimonianze storiche e artistiche, il suo cuore più antico e vitale. La problematica di base è dovuta ad una mancata soluzione

del problema durante l’espansione e la ricostruzione della città all’inizio del secolo, e ancora di più legata ad un totale disinteresse verso la questione delle continuità fra il nucleo antico e il fiume quando venne realizzata la linea ferroviaria, interposta tra la via alzaia e il fiume come ultimo e definitivo impedimento. Ciò che sostiene May è che il problema tecnico delle inondazioni periodiche del centro storico, non può essere separato da quello di restituire un legame concreto, fisico, tra questa parte della città e il fiume che le appartiene così intimamente; ogni elemento della vecchia città ricorda questo legame: negli eventi tramandati e nei toponimi, nella struttura edilizia e nella disposizione delle strade e delle antiche porte di accesso. L’azione a queste premesse teoriche si fonda poi sul principio che in una città l’arginamento del fiume è innanzitutto un problema di architettura, per questo motivo l’azione di May si ricollega nuovamente alla tradizione della città classica: l’argine di un fiume è un’architettura, quanto un edificio o una piazza, ha una sua dimensione architettonica, soprattutto perché si tratta di un argine nella città che stabilisce una continuità architettonica fra i diversi manufatti di questa. Anche gli acquedotti romani erano opere di ingegneria, ma questo non impedisce loro di rappresentare nella storia dell’architettura

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2. Delkeskamp, F.W. 1864, pianta di Francoforte: la ferrovia lungo il Meno in corrispondenza del centro storico. 3. Merian, M. il vecchio 1619, Francoforte vista da sud-est, incisione.

un risultato formale, un riferimento imprescindibile. Nelle immagini a noi note della città gotica il fiume è un elemento strettamente legato alla città da un rapporto di immediatezza, tuttavia è nell’età classica che le sponde dei fiumi diventano luogo pubblico con una destinazione e una regolamentazione edilizia precise, e quindi, parti costituenti della città. Francoforte guarda agli esempi della storia di ristrutturazione architettonica del fiume in luogo pubblico: Parigi con place Dauphine, i progetti per l’ile St. Louis e per la place Louis XV; il progetto per la place Bellecour a Lione o la place Royal di Bordeaux; gli esempi romani del porto di Ripetta e del porto Leonino. L’architettura del fiume diventa un elemento formale essenziale della città, immobile effige della sua bellezza nel tempo. Allora è proprio su questo punto che credo sia possibile stabilire una relazione tra il fiume, da Francoforte agli esempi citati, e le mura milanesi; è nella loro dimensione architettonica che sta il loro legame, sono un fatto urbano. Fiume e mura assumono nella città storica un ruolo preponderante, definiscono quello che Aldo Rossi chiama “locus”. Le mura spagnole sono per Milano generatrici di una “situazione”, di una serie di condizioni che sono necessarie alla comprensione dello sviluppo della città, poiché “all’idea di architettura partecipa anche il luogo come spazio

singolo e concreto” (Rossi 1966). “Se pensiamo alla piazze dei pittori del Rinascimento vediamo come il luogo dell’architettura acquisti un valore generale, di luogo e di memoria, perché – come dice Rossi (1966) – così fissato in un’ora singola, che è la nozione stessa di spazio che noi abbiamo della città italiane, nozioni legate alla nostra cultura storica”. Focillon ci parla di luoghi psicologici senza i quali il genio degli ambienti sarebbe opaco e inafferrabile, sostituendo alla nozione di paesaggio artistico quella di “arte come luogo”. In "Vie des formes" lo storico francese, citato da Rossi (1966), scrive: “Il paesaggio gotico, o piuttosto l’arte gotica come luogo, ha creato una Francia inedita, un’umanità francese, tali linee d’orizzonte, tali profili di città, insomma una poetica ch’esce da lei, e non dalla geologia o dalle istituzioni capetinge.” Questa definizione di “arte come luogo” porta la costruzione, il monumento e la città a diventare la cosa umana per eccellenza e quindi intimamente legate all’avvenimento originario, al primo segno, al suo costituirsi, al suo permanere ed al suo evolversi, all’arbitrio e alla tradizione, fissando l’individualità del luogo. Restando sempre nel Rinascimento, l’architettura – continua Rossi – “conformava una situazione; le sue stesse forme si mutavano nella mutazione più generale della situazione, esse costituivano un tutto e servivano ad un avvenimento costituendosi

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4. Gabriel, J. 1730, Bordeaux, Place Royale. 5. Sconosciuto,1480-90, Veduta di città ideale, tempera su tavola, mm. 803x2198.

esse stesse come avvenimento; solo così si può capire l’importanza di un obelisco, di una colonna e di una lapide”, e – aggiungo io – di un fiume e di una cinta muraria. L’individualità del fatto urbano comincia nell’avvenimento e nel segno che l’ha fissato; l’architettura, mentre da un lato rimette in discussione tutto il suo dominio, i suoi elementi e i suoi ideali, dall’altro tende ad indentificarsi col fatto. Le mura spagnole in Porta Volta, a mio parere, sono questo, un’evocazione che riporta qualcosa alla mente, alla memoria. Quella memoria che Rossi, riprendendo la tesi di Halbwachs, definisce come “il filo conduttore dell’intera e complessa struttura […] la coscienza della città”. Loos (1972) nel saggio "Architettura" dice: “Quando nella foresta troviamo un tumolo lungo sei piedi e largo tre, foggiato a piramide con la pala, diventiamo seri e qualcosa dice in noi: qui è sepolto qualcuno. Quella è architettura.” Il tumulo nel bosco è davvero una tomba? Loos non ce lo dice, ci parla di ciò che sembra, di uno stato d’animo, di un’evocazione. Così le mura spagnole non sono semplicemente un muro, anzi dei resti di un muro, ma sono elementi tangibili di una memoria collettiva legata alla storia urbana della città di Milano, fatti urbani che la città non può cancellare perché insiti nella sua forma, simbolo della permanenza della città storica, forme dal “carattere evocativo” (Grassi, 1967).

Le mura prima di tutto sono il carattere di quel luogo, quel luogo che per Grassi è, nella sua teoria della ricostruzione del luogo, l’oggetto del progetto, “la sola spiegazione della sua forma finale, la sua sola ragionevole spiegazione” (Grassi, 2000). Il progetto per Grassi inizia proprio da luogo fisico, poiché il progetto dice lui “è sempre e comunque una trasformazione di ciò che esiste da prima (luogo) e la relazione fra i due non può certo essere elusa”. Il luogo è ciò che ha già una forma, che contiene al suo interno la risposta, e il progetto è ciò che deve confrontarsi con esso. Il luogo è importante per Grassi perché esso ha una sua storia e la mostra con la sua forma finale, passata attraverso molte trasformazioni, di cui noi vediamo solo l’ultima fase. Questo per Grassi è ciò che lui definisce come “ricostruzione del luogo”. Da questo punto di vista possiamo capire il perché delle scelte di disegno urbano dei progetti di Grassi e Herzog & De Meuron: il progetto entrando a far parte della storia del luogo tenta di impadronirsi della sua “virtualità”, ovvero cerca di capire cosa il luogo chiede, cosa sembra offrire, cosa effettivamente può dare; e come dice Grassi “questo vuol dire che, più che suggerire o ispirare il nostro lavoro, in realtà il luogo insegna, esige e a volte decide per noi”. Per questo sembra che il luogo di Porta Volta esiga un’unica soluzione per quell’area, che è la ricostruzione del bastione,

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perché il suo frammento e i due edifici gemelli dei casini daziari mostrano in questa loro fase di “incompiutezza recuperata”, nel loro ruolo architettonico perso da tempo, il loro voler “essere di nuovo”, la loro volontà di recuperare e ritrovare la loro ragione d’essere come architettura secondo quello che è il carattere del locus. Questa “virtualità del luogo” si può presentare in due modi dice Grassi: o “espressa compiutamente già in passato ed essere andata consolidandosi nel tempo tanto da risultare una strada obbligata”, come accade nel suo progetto per la Biblioteca di Groningen, o “può essersi espressa compiutamente in passato e non essere più riconoscibile oggi”, come accade nel progetto del Teatro Romano di Sagunto e come accade nell’area di Porta Volta. In questo ultimo caso la soluzione, forse radicale, di Grassi è quella della ricostruzione dell’oggetto nella sua integrità, ovviamente con le forme e i mezzi dell’architettura contemporanea. Questo non per dire che la sua sia la strada da seguire perentoriamente, ma per comprendere come il luogo contenga già in se una risposta alla sua modificazione. Il rischio, lo mette in luce anche Grassi stesso, è di soffermarsi sull’aspetto nostalgico e sentimentale, guidati da un entusiasmo romantico, ma “il luogo è prima di tutto dato razionale”, una razionalità che permette all’architetto di attenersi all’oggetto

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pratico senza voli pindarici di ottocentesca memoria. Del resto l’obiettivo di entrambi i progetti non è la ricostruzione delle mura della città, questo sarebbe un processo passatista ed inutile, ma è quello di ricostruire una parte di città rifacendosi al carattere del luogo Queste considerazioni ci aiutano, a mio parere, a comprendere il perché di tutto questo discorso sulle mura, ma soprattutto a riprendere l’analisi dell’operazione attuata dal Piano Beruto nell’area di Porta Volta. Come abbiamo già visto, il progetto del piano Beruto-Caimi prevedeva l’apertura dell’attuale via Volta: un nuovo impianto urbano che metteva in evidenza come per quel piano particolareggiato i bastioni spagnoli fossero un ostacolo alla viabilità e allo sviluppo urbano. Un intervento che da subito aprì il dibattito sul superamento del bastione, ma ciò nonostante il Consiglio Comunale, il 26 dicembre 1879, deliberò l’apertura del varco. Nella disputa dell’epoca emersero problemi di dibattito concettuale. Si manifestò nella discussione anche la posizione di chi richiedeva un intervento meno dannoso per le memorie storiche e paesaggistiche della città. Lo stesso Camillo Boito intervenne nel dibattito, sostenendo l’inutilità di aprire una strada sull’asse del cimitero quando allo stesso tempo si voleva porre un ostacolo tra il cimitero e la nuova strada. Il piano Beruto appare quindi,

6. Anonimo, inizio '900, Bastione di Porta Volta, fotografia. 7. Anonimo, 1889, Mappa dell’area di Porta Volta in seguito all’apertura del bastione.


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8. Anonimo, inizio '900, Caselli daziari di Porta Volta, fotografia. 9. Anonimo, inizio '900, Area di Porta Volta-Cenisio, fotografia.

soprattutto per l’area di Porta Volta, come opera priva di un valore di cultura urbana, che anziché risolvere le problematiche urbane della città le ha portate alla deriva. Se si guardano le cartografie allegate a questo capitolo e anche quelle analizzate nel primo, si vede come l’apertura del bastione di Porta Volta non fosse giustificata né dalla maglia stradale né dalla forma della città, e come la sua apertura generi per l’area un indebolimento del tessuto storico e l’inesorabile distruzione ed eliminazione dei bastioni cittadini a causa dell’edificazione. Forse è retorica, e, visto quanto espresso prima, non è frutto di nostalgie, ma la domanda che mi pongo in ultima analisi è: a fronte di tutto ciò, l’apertura del bastione e il nuovo asse erano davvero necessari?

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CAPITOLO QUARTO

UGUALE OBIETTIVO, DIFFERENTE PROCESSO CONFRONTO TRA I DUE PROGETTI



1. Romano, F. 2016, Milano Centro Direzionale, fotografia aerea.

L’obiettivo di questo capitolo non sarà quello di dire quale sia il migliore dei due progetti, quello giusto per quest’area di Milano, dato che un progetto per quest’area è stato già realizzato ed è quello di Herzog & De Meuron; ma ciò che dovrà emergere da questa analisi è il carattere degli edifici per comprendere le cause e i limiti del progetto, cercando soprattutto di capire il perché di determinate scelte progettuali. Credo che il miglior punto di partenza per un’analisi comparata tra i due progetti, e per quanto possibile neutrale - sebbene la mia posizione penso sia chiara - , sia partire da una rilettura della lectio magistralis tenuta da Giorgio Grassi, in occasione dell’apertura dell’anno accademico 2003-2004, il 4 Dicembre 2003, presso la Facoltà di Architettura civile del Politecnico di Milano e raccolta in "Casabella 722" con il titolo di “Il carattere degli edifici”. Da una parte, perché riassuntiva di alcuni punti chiave della teoria architettonica grassiana, dall’altra perché considera un modello progettuale alternativo al suo, che è quello di Rafael Moneo. Non perché l’architetto spagnolo presenti delle analogie dirette con Herzog & De Meuron, ma perché esempio di un fare architettura più comune all’interno del quale, per certi versi, è riconducibile anche lo studio di Basilea. In questo nostro caso, i due lavori non sono neppure apparentemente analoghi, questo è emerso già nel

capitolo precedente, ma analogo è il tema che i due progetti affrontano, si misurano entrambi con il tema del muro. Sebbene la funzione sia simile, una biblioteca comunale e una fondazione di una casa editrice (anch’essa contiene libri, una biblioteca e una sala lettura), entrambi luoghi pubblici, le differenze sono molte ed evidenti, e sono “determinanti nella definizione del carattere dei due edifici. […] Differenze che riguardano soprattutto scelte di metodo, diciamo così, in vista di definitivi obiettivi generali e risultati espressivi” (Grassi, 2004). Nel caso del progetto di Herzog & De Meuron l’oggetto del progetto e l’oggetto dell’evocazione sono chiaramente distinti, in quello di Grassi invece, come sempre si verifica nei suoi progetti, l’oggetto del progetto (una biblioteca all’interno del bastione) e l’oggetto dell’evocazione (il bastione) coincidono, per lo meno hanno l’ambizione di essere la stessa cosa. Le differenze tra i due lavori provengono in gran parte da qui. Nel caso dell'edificio di HDM l’oggetto del progetto è una fondazione, quindi uno spazio di lavoro e di studio, mentre l’oggetto dell’evocazione è, o meglio dovrebbe essere a detta degli architetti, la semplicità e l’imponente scala delle architetture storiche milanesi, come se per caratterizzare l’edificio, per dimostrare la sua appartenenza alla città e la risposta ai problemi del luogo fosse condizione necessaria e sufficiente

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il giocare alla memoria dei monumenti milanesi. Questa dicotomia fa sì che da un lato il progetto di Grassi non abbia bisogno di alcuna descrizione per comprenderlo, parte dalla volontà di ricostruire il bastione e il risultato finale è un bastione dal carattere contemporaneo contenente una biblioteca, quindi parte da un punto e ad esso ritorna; dall’altro lato il progetto realizzato, quindi l’opera, di Herzog & De Meuron ha, a mio avviso, la necessità di essere descritto per capire come l’oggetto dell’evocazione si traduce nell’oggetto del progetto. Scala, struttura, ripetizione e trasparenza sono i principali temi della nuova architettura del duo svizzero, un prisma lungo e stretto, dove il tetto diventa un tutt’uno con la facciata dell’edificio. Un unico elemento strutturale, un arco rampante dalla sezione squadrata, è ripetuto in sequenza monotonamente per tutta la lunghezza dell’edificio. La ripetizione costante dei moduli costruisce una facciata uniforme e senza variazioni, caratterizzata da un’austera durezza. Questo è il risultato finale del progetto, alla sua origine la necessità di rendere quest’architettura milanese porta gli architetti a cercare un legame con quegli elementi primari che si impongono nel tessuto della città lombarda, a cercare di interpretarne la semplicità e la grandezza di scala, forse più che altro per porre una giustificazione alla monumentalità di quest’opera

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alta 32 metri e lunga 188. La sua forma quasi archetipica sembra però guardare il carattere architettonico di un edificio da loro non direttamente citato, che è il Duomo, la sua presenza forte e severa e il ritmo ossessivo dei pilastri in calcestruzzo echeggiano in modo evidente la cattedrale gotica. Tuttavia il Duomo è forse l’unico monumento di Milano ad essere meno di tutti emblema del carattere architettonico della città, quell’elemento più di tutti slegato dalla tradizione architettonica del luogo. Allo stesso modo il riferimento al Gallaratese di Aldo Rossi è un tentativo di cercare un oggetto dell’evocazione che però gioca a sfavore della “milanesità” della loro opera, poiché il Gallaratese oltre a non appartenere alla Milano storica come luogo geografico, non vi appartiene nemmeno come processo compositivo, in quanto frutto di un procedimento astratto, razionalista, più legato all’esperienza tedesca che a quella italiana. E infine la terza suggestione è quella della cascina lombarda, ripresa per il suo svilupparsi in linea, ma nuovamente un riferimento reso debole dal progetto, a lui inadatto, perché la cascina lombarda sì spesso si sviluppa in linea, ma pur sempre attorno ad una corte e inoltre è caratterizzata da un elemento porticato che l’edificio della Fondazione Feltrinelli non ha. Si è partiti da un punto, quello di mantenere un carattere milanese, per arrivare ad un

2. Brogi, G. 1870 ca., Milano. La cattedrale, fotografia. 3. Romano, F. 2016, Fondazione Feltrinelli cantiere, fotografia. 4. Yildirim, B. 1974, Gallaratese blocco D, fotografia. 5. Riolzi, P. 2017, Fondazione Feltrinelli, fotografia.


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6. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitiazione del teatro romano di Sagunto, sezioni e prospetto. 7. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, planivolumetrico. 8. Elaborazione grafica dell’autore, Pianta del progetto di Grassi. 9. Elaborazione Grafica dell’autore, Pianta del progetto di Herzog & De Meuron.

altro, ovvero la sua trasformazione, la sua minimalizzazione, e questo lo si può vedere chiaramente anche nel trattamento dell’elemento compositivo del tetto a falde trasfigurato in una nuova geometria cuspidale. L’oggetto dell’evocazione viene portato alle estreme conseguenze, viene esaltato, spettacolarizzato, un’evocazione visiva che cancella l’oggetto del progetto, che non tiene conto di cosa la grande scatola contiene. Il progetto di Grassi mostra anzitutto una distanza ideologica, non c’è niente di così favoloso e sofisticato nei suoi disegni di progetto, non c’è quel carattere esteriore e teatrale che invece spicca nella grande fabbrica di Herzog & De Meuron. Nella biblioteca di Grassi l’oggetto del progetto e quello dell’evocazione sono lo stesso oggetto, nulla li tiene lontani l’uno dall’altro se non i mezzi espressivi a disposizione, ciò gli elementi costruttivi e decorativi con cui vorrebbe essere messa in opera. Il processo progettuale in Porta Volta, come avviene in altri progetti di Grassi, e sicuramente in modo evidente nel suo progetto per il Teatro Romano di Sagunto, è un “processo di identificazione e confronto” condotto fino all’estreme conseguenze, non tanto con l’obiettivo di un risultato eccezionale, teatrale, sofisticato, ma con l’obiettivo di giungere all’autenticità vera e propria del progetto, cioè alla sua volontà espressiva vincolata al suo proprio tempo.

Se nel teatro di Sagunto Grassi vuole fare apparire solo ed esclusivamente l’architettura romana, allo stesso modo in Porta Volta egli cerca di fare apparire solo l’architettura del bastione, un volume semplice, elementare, che ricalca il perimetro del bastione spagnolo, un bastione a cui mancano dei pezzi, “pur di essere in ogni sua parte un’architettura contemporanea”. (Grassi con architettura contemporanea intende un’architettura che esprime con lucidità le condizioni dell’architettura oggi e che si misura con tali condizioni, non tanto con i risultati). Le differenze che vi sono tra i due progetti possono essere racchiuse in questo: l’edificio della Fondazione Feltrinelli afferma che il carattere dell’edificio consiste prevalentemente nel suo spettacolo, mentre il progetto per la Biblioteca comunale vorrebbe affermare che “il carattere di un edificio consiste esclusivamente nella sua realtà e che il suo spettacolo ne è soltanto una conseguenza” (Grassi, 2004). “Il carattere di un edificio – continua Grassi – deriva da ciò che questo esprime o evoca attraverso la sua forma, questa qualità espressiva è una qualità implicita di un’architettura, cioè appartiene alla sua forma già prima della sua apparizione ed è inscindibile da quella forma”, è una qualità specifica insita in ogni architettura, che ne esprime la sua tipicità ed unicità. Il fatto di agire sulla sua forma

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10. Elaborazione grafica dell’autore, Sovrapposizione planimetrica dei due progetti. 11. Elaborazione Grafica dell’autore, Sezioni urbane dei due progetti.

per farle assumere un carattere, vuol dire “distorcere e falsificare quel carattere che già appartiene a quella forma fin da prima”. Il filosofo ungherese György Lukàcs sostenne che “l’architettura crea uno spazio reale e adeguato, che evoca visivamente adeguatezza”, un’evocazione visiva legata a consuetudini e a cose possedute con sicurezza, a cose che sembrano essere lì da sempre e che rappresentano un’idea di vita collettiva ampiamente condivisa. Grassi ci dice che “l’adeguatezza evocata visivamente dall’architettura coincide quindi con l’adeguatezza del suo proprio oggetto”, quell’adeguatezza che per Lukàs è espressione del carattere dell’architettura. Adeguatezza che nel termine tedesco usato dal Lukàs Angemessenheit significa anche conformità, e conformità implica che ci sia un altro elemento con cui l’architettura deve confrontarsi, a cui essere conforme, e questo oggetto non è tanto la funzione, perché, per dirla alla Rossi, l’edificio resta la funzione muta, ma è prima di tutto il luogo, la città. Conforme, dal latino cum forma quindi tradotto con “che ha la stessa forma”, “rispondente”, implica per l’appunto un qualcosa a cui riferirsi, un qualcosa che già esiste e che possediamo con sicurezza, comporta una relazione diretta tra l’oggetto, quindi nel nostro caso l’architettura, e ciò a cui si conforma, per noi il luogo, la città, e per poter fare ciò l’oggetto

deve “includere, cioè rappresentare, anche ciò a cui si conforma, qualcosa che viene prima di lui e da cui lui stesso proviene” (Grassi, 2004), deve dichiarare una sua provenienza. Per Grassi il termine conforme è un affermazione di continuità, “significa il riconoscimento di principi validi e di vincoli qualificanti proprio in quanto tali, implica la reiterazione, significa in sostanza, per quanto riguarda la questione dell’evocazione, l’autoreferenzialità del suo oggetto”, quell’assioma grassiano che ha caratterizzato tutta la sua produzione che afferma che “una porta è una porta”. Per comprendere dunque il grado di adeguatezza, di conformità dei due edifici presi in analisi cerchiamo dunque in primis di comprendere come i due progetti si relazionino con il luogo, inteso non tanto come la città di Milano, ma quanto nello specifico l’area dei bastioni di Porta Volta. All’inizio di questa riflessione penso però sia fondamentale fare un passo indietro e introdurre prima il pensiero di Grassi sui termini di conservazione e trasformazione, per poter comprendere al meglio il suo parere sul restauro e la ricostruzione del luogo, il suo modo di operare sulle spoglie della città antica, per poter entrare nella logica progettuale da lui messa in atto nell’area di Porta Volta e, allo stesso modo, cercare di leggere il progetto di Herzog & De Meuron. Per Grassi questi due termini sono

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elementi dialettici della costruzione della città, ma come egli stesso ammise, la linea di pensiero che caratterizza il fare architettura, oggi come vent’anni fa, indica questi due termini antitetici e inconciliabili. “Conservazione – scrive Grassi (2000) - significa anzitutto tradizione, cioè realtà di ciò che è durevole, significa accettazione consapevole e deliberata di un’eredità da far fruttare, significa fedeltà ai principi, confronto con le regole, significa adesione ed emulazione nei confronti degli esempi della storia, continuità degli elementi del mestiere, e trasformazione, cioè progetto, significa esattamente la stessa cosa”. A tenere insieme i due termini, per l’architetto milanese, è il loro oggetto, ovvero la città come costruzione e come architettura nel tempo. Separare i due campi significherebbe “farle sopravvivere alla loro stessa vita” (dopo averne accettata e dichiarata la morte), farle sopravvivere come cimeli, come spoglie contemporanee da cui trarre edificazione e nutrimento spirituale e dall’altro lato consentire al processo di costruzione della città di liberarsi della responsabilità oggettiva nei confronti della città antica. Il rapporto con il luogo è per Grassi fondamentale, il luogo è l’oggetto del progetto, e questo giustifica la sua scelta progettuale di inserire il nuovo edificio nel luogo del vecchio baluardo e di ripetere esattamente il suo perimetro

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mistilineo, interrompendo lo sventramento post-unitario dell’asse di via Volta-viale Ceresio, con la conseguente chiusura di quella porta della città. Il progetto dell’architetto milanese inizia proprio da qui, il luogo fisico sommato al luogo del progetto, ciò che appare e ciò che prefigura. Il progetto entra a far parte della storia del luogo ed entrandone a farne parte in un certo senso la riscrive, e lo fa cercando di comprendere la virtualità del luogo, la sua incompiutezza recuperata, la sua disponibilità ad essere di nuovo di fronte a nuovi problemi ed opportunità, recuperando e ritrovando la sua ragione d’essere, “l’eredità preziosa che il luogo trasmette al progetto”. Nel caso dell’area di Porta Volta il filo tra passato e presente pare essere stato spezzato dall’apertura del bastioni con il Piano Beruto e dai bombardamenti della guerra, la virtualità del luogo sembra non essere più riconoscibile, eppure – come già dicevo nel precedente capitolo nel confronto con il caso del fiume Meno a Francoforte – la presenza del bastione è indiscutibile per le tracce che esso ha lasciato nella città, e per questo secondo Grassi c’è una sola possibilità, che è quella di “ricostruire l’oggetto nella sua integrità”. Non è una scelta nostalgica o romantica, ma anzi è una scelta razionale e critica: razionale perché il luogo è l’elemento tecnico e pratico del progetto; critica perché la posizione nella quale si pone Grassi


12. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: mura spagnole 1556. 13. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: caselli daziari 1880. 14. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: studio della geometria. 15. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: Masterplan. 16. Herzog & De Meuron, 2016, Vista virtuale del progetto. 17. Elaborazione Grafica dell’autore, Vista virtuale del progetto di Grassi.

è in netta antitesi con l’apertura del bastione in quella parte di città e quindi contraria alla situazione del luogo in questa sua ultima fase. “Il luogo – scrive Grassi (2000) - attraverso le sue risposte, mediante ciò che resta del sovrapporsi di tante risposte (la sua forma finale), fa vedere i suoi problemi, quelli cui ha dato soluzione e quelli lasciati ancora aperti”, da qui il progetto può cercare di trarre le sue risposte. Il luogo, e allo stesso modo il manufatto antico, è una presenza ingombrante che non offre alibi o garanzie per il progetto, ma anzi lo mette in crisi e diventa l’elemento verificatore del progetto. Questo ci permette di studiare anche il progetto di Herzog & De Meuron e comprenderne le sue scelte. Se nel progetto di Grassi la soluzione da lui adottata è chiara ed evidentemente ancorata al luogo, nel progetto dello studio svizzero questo legame con il luogo, così come lo intende Grassi, sembra venir meno. Il progetto realizzato dallo studio di Basilea si pone l’obiettivo di ridare forma ad una parte di città per anni rimasta assopita sotto le macerie della guerra, e lo fa con la costruzione di un Blockrand, ovvero un bordo, un confine, che semplicemente si allinea con il bordo della strada e, dice Jacques Herzog (2016), “serve a completare ciò che altrimenti si dissolverebbe, disintegrando la coerenza dell’isolato nel quartiere". I volumi degli edifici della

Fondazione Feltrinelli lungo viale Pasubio e di quello del Comune, ancora da costruire, lungo viale Montello, pongono in evidenza i due caselli daziari ottocenteschi ed esaltano l’asse viario berutiano. Se il progetto di Grassi – come si è messo in luce nel secondo capitolo - è la chiara testimonianza di una corrente di pensiero, che passando per Boito, De Finetti e Rossi, si pone in opposizione al piano urbanistico dell’ingegnere comunale Beruto; sull’altro fronte gli edifici di HDM sembrano addirittura rafforzarlo. Non solo, i due caselli daziari, che Grassi decide di demolire e usarne i fronti come ingressi del suo edificio, vengono presi dagli architetti svizzeri come assi generatori dell’orientamento dei fronti dei loro volumi. Non si può farne però un atto d’accusa ai due architetti d’oltralpe, ma si deve considerare che i due progetti viaggiano su due piani differenti: quello rimasto su carta è un progetto dimostrativo di una certa teoria dell’architettura, una dichiarazione di intenti, mentre quello realizzato è un progetto che sostituisce alla teoria la realtà. Tuttavia credo sia comunque lecito interrogarsi se tale soluzione risponda effettivamente al carattere del luogo. Riprendendo la teoria del restauro degli edifici e della ricostruzione del luogo di Grassi la risposta è negativa. Se il luogo, nel suo stato di incompiutezza e di abbandono, ridotto a frammento di fronte a

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nuove condizioni ritrova la sua ragione d’essere, benché sia il nuovo ad aggiungersi al vecchio, spesso accade il contrario, ovvero è il vecchio ad aggiungersi al nuovo per completarne la risposta, come accade ad esempio nella facciata di Santa Maria Novella o nel Tempio Malatestiano. Così il vecchio, ponendosi come il vero elemento nuovo del progetto, diventa lo strumento di paragone del progetto stesso, l’elemento verificatore. Se non c’è identificazione tra i due non si pone soluzione al problema. Sebbene la traccia lasciata dall’edificio della Feltrinelli sia perentoriamente urbana, fortemente scavata nella città, essa modifica profondamente il luogo e stabilisce sì un dialogo tra i lacerti sopravvissuti alle distruzioni, ma non gli ridà vita, anzi li imbalsama nel loro stato di rovine. Poiché il progetto deve fare vedere con la sua forma i problemi a cui ha dato risposta e quelli lasciati irrisolti, dato per certo che un progetto non può avere una risposta esaustiva a tutte le condizioni, il problema di fondo che il progetto di Herzog & De Meuron, o meglio il suo limite, mostra, secondo il mio punto di vista, è il fatto di non essersi posto il problema della virtualità del luogo, ma di aver fatto una scelta analogica, che sì riprende l’idea del muro del bastione, ma la porta ad essere altro e mutare profondamente il carattere del luogo. Mentre il progetto di Grassi, pur nel suo limite

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di fattibilità già evidenziato, si pone l’obiettivo di ritrovare la logica costruttiva del luogo riportandolo a come avrebbe dovuto essere anche se non era mai stato così, ponendosi in quel luogo con un carattere tale da evocare una sua appartenenza da sempre a quel luogo. Parimenti allarghiamo il nostro punto di vista ed osserviamo come i due progetti si relazionino con la città di Milano, intesa soprattutto come città storica. Credo sia necessario prima di tutto comprendere il significato del termine “monumento” per poter poi verificare come questi progetti si vadano effettivamente a confrontare con la città. Nella loro relazione di progetto Herzog & De Mueron dicono in maniera esplicita che “i nuovi edifici s’ispirano alla semplicità e all’imponente scala delle architetture che caratterizzano il tessuto storico milanese, costituite da esempi come l’Ospedale Maggiore, la Rotonda della Besana, il Lazzaretto e il Castello Sforzesco”. Il critico e storico dell’architettura Luca Molinari (2017) scrive sul metodo progettuale dello studio svizzero di HDM: “la lezione rossiana sull’idea di monumento come elemento urbano catalizzatore e come anomalia necessaria viene rielaborata criticamente da questa coppia di autori ed è stata occasione per una serie di opere che hanno spesso segnato in maniera efficace il dibattito architettonico

18. Alberti, L.B., 1458-78, Facciata di Santa Maria Novella, veduta parziale del fronte, fotografia anni '90. 19. Alberti, L.B., 1450, Tempio Malatesiano, particolare del fronte laterale, fotografia anni '90.


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20. Herzog & De Meuron, 2005, Tate Modern London. 21. Herzog & De Meuron, 2008, Fondazione Caixa Forum Madrid. 22. Herzog & De Meuron, 2015, Roche Building Basilea. 23. Herzog & De Meuron, 2016, Elbphilharmonie Amburgo.

contemporaneo”, ne sono una chiara testimonianza di ciò i progetti realizzati della Tate Modern di Londra, gli stadi di Monaco di Baviera, Basilea, Pechino e Bordeaux, la Fondazione Caixa Forum a Madrid, il Museum der Kulturen a Basilea e infine la nuova Fondazione Feltrinelli a Milano. Emerge una volontà esplicita dei due architetti di dare “una rilettura della nozione di monumento – continua Molinari – nella società contemporanea”. E’ innegabile l’attività dello studio elvetico sul tema del monumento, basti infatti guardare la loro produzione, soprattutto negli ultimi dieci anni, per comprendere il ruolo che l’edificio di carattere monumentale, quello che si pone come fatto primario nella città, abbia assunto un ruolo dominante nel loro fare architettura; non solo gli esempi già citati, ma anche altri come l’Elbphilharmonie ad Amburgo, il Roche Building a Basilea e il Museu Blau a Barcellona, partecipano a questo loro tematica. Ma in entrambi i progetti, sia quello di HDM si quello di Grassi, c’è la volontà di partecipare, in quanto architetture, alla costruzione della città come manufatto, e questo li porta necessariamente ad un confronto, oltre che con il luogo, con i monumenti della città, intesi come quegli elementi primari che emergono nel tessuto, quelle permanenze che “sono un passato che sperimentiamo ancora”

(Rossi, 1966, p. 52). Volontà che però non si limita solo ad un fattore di scala, più per quanto riguarda l’edificio di Grassi che per quello di HDM (basta osservare le sezioni urbane per comprendere la differenza di scala che intercorre tra i due), quanto piuttosto alla volontà di stabilire una relazione chiara con l’identità, la storia e le prospettive del luogo, seppur con due metodi differenti. La monumentalità è un bisogno eterno, come scrive lo storico e critico dell’architettura, non che ideatore e direttore dei CIAM, Siegfried Giedion (1958) nel secondo capitolo del suo “Breviario di architettura”: “La monumentalità nasce dall’eterno bisogno degli uomini di creare simboli per le loro gesta e il loro destino, per le loro convinzioni religiose e sociali. Ogni periodo sente il bisogno di erigere monumenti che, conformemente al significato latino della parola (monumentum, der. di moneo), sono qualcosa che fa ricordare, qualcosa che deve essere trasmesso alla generazioni successive. Questa esigenza di monumentalità non può, a lungo andare, venir repressa. In tutte le circostanze essa cerca sempre di manifestarsi”. E allo stesso modo, come sostiene Giorgio Grassi “l’architettura è monumentale per definizione”, la monumentalità è una caratteristica implicita dell’architettura. Allora sulla linea teorica di Rossi possiamo dire che i monumenti sono “fatti urbani persistenti”,

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elementi considerabili come propulsori, nel senso che il monumento non è tale solo per la permanenza della sua forma del passato, ma per il fatto che la sua forma fisica “ha assunto funzioni diverse e ha continuato a funzionare condizionando quell’intorno urbano e costituendone tuttora un fuoco importante”, a testimonianza della sua “vitalità” come direbbe Rossi o “virtualità” come direbbe Grassi, come del resto ci dimostrano quei monumenti citati da HDM, più di tutti sicuramente il Castello Sforzesco e l’Ospedale Maggiore, il primo oggi museo e il secondo sede dell’Università Statale di Milano. Questi monumenti, fatti urbani per eccellenza, sono parte insopprimibile della città poiché essi la costituiscono, per l’appunto partecipano alla sua costruzione come manufatto, come opera d’arte. E’ un fatto verificabile che “il processo dinamico della città tende più all’evoluzione che alla conservazione e che nell’evoluzione i monumenti si conservano e rappresentano dei fatti propulsori dello sviluppo stesso” (Rossi, 1966, p.54), non è la funzione a determinare la continuità del monumento, poiché essa è determinata dal tempo e dalla società che lo vive, sebbene il monumento nasca come espressione delle aspirazioni del popolo, ma ciò che lo fa continuare a vivere, il suo valore, è la sua forma, la quale è “intimamente partecipe della forma generale della città”.

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Allora a fronte di ciò dobbiamo capire come i due progetti si confrontino con il concetto di monumento. La teoria di Rossi diventa fondamentale per aiutarci a leggere come questi due edifici da noi considerati possano davvero poter essere elementi primari dal carattere decisivo nella formazione e costituzione della città di Milano e soprattutto per capire come HDM reinterpretino la sua teoria. Osserviamo la figura della “Tavola comparata dei principali monumenti di Milano” di Pietro Bertotti e Giuseppe Elena, del 1859, questi monumenti rappresentati, tra cui spiccano per la vicinanza alla nostra area di studio, il Castello, l’Anfiteatro, Porta Comasina e il Lazzaretto (prima del suo sventramento), questi elementi primari hanno partecipato alla costruzione della città di Milano, appartenenti ad epoche diverse, mai verrebbe in mente di poterli abbattere, perché è come se appartenessero da sempre alla città. È vero, Rossi dice esplicitamente che se consideriamo “gli elementi primari nel loro aspetto spaziale, indipendentemente dalla loro funzione; essi si identificano con la loro presenza nella città”, per tale motivo “i monumenti sono sempre degli elementi primari”, ma gli elementi primari sono anche “quegli elementi capaciti di accelerare il processo di urbanizzazione di una città” e hanno quindi un “ruolo effettivamente primario nella dinamica della città”.

24. Bertotti, P. e Elena, G. 1859, Tavola comparata dei principali monumenti di Milano, mm. 432x605.


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I monumenti sono quegli elementi primari propulsori della dinamica urbana e in quanto tali “hanno un’evidenza assoluta: essi si distinguono in base alla loro forma e in certo senso in base alla loro eccezionalità nel tessuto urbano. Essi sono caratterizzanti. […] Vi salteranno agli occhi, come macchie nere, queste forme emergenti” (Rossi, 1966, pp. 91-106). Ma Rossi con la sua teoria sui monumenti è andato oltre al considerare il monumento come l’elemento d’eccezione necessario per la città. Diventa centrale all’interno di questo lavoro di analisi comprendere come l’elemento primario si relazioni con l’area, quindi con la città. I monumenti, questi elementi di natura urbana preminente che Rossi chiama “elementi primari”, in quanto tali partecipano dell’evoluzione della città nel tempo in modo permanente, e tendono ad identificarsi con i fatti costituenti la città; unitamente con le aree, le permanenze, le “aree-residenza”, questi elementi costituiscono la “struttura fisica della città”. La forma di questi fatti, la loro architettura, emerge dalla dinamica della città, basti guardare gli esempi delle città romane citati da Rossi: l’anfiteatro di Nimes, il teatro di Arles, l’acquedotto di Segovia, il Pantheon o il Foro Romano. Il monumento sta al centro, è luogo di attrazione, ma è un elemento primario particolare, è un “fatto urbano tipico in quanto riassume tutte le questioni poste dalla città”.

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Allora penso che sia opportuno porsi la domanda se sia sufficiente guardare ai monumenti storici della città di Milano, attingere al loro apparato architettonico, giocare sulla memoria e l’analogia delle forme, per costruire un nuovo edificio che vuole porsi come monumento. La domanda è ovviamente retorica, del resto come rispose Grassi allo storico dell’architettura Luciano Patetta alle tre domande sulla monumentalità nel 1982, “la ricerca del monumento porta sempre, inevitabilmente, all’enfasi, al vistoso, cioè al troppo nel campo delle forme. La ricerca del monumento porta sempre, inevitabilmente, al monumentalismo. Che è giusto l’opposto di quel che cercavamo, cioè la mancanza di argomenti, la cartapesta. Il monumentalismo, cioè il disvelamento del vuoto che sta dietro alle forme cercate per se stesse”. Non è un volere accusare di monumentalismo l’opera di Herzog & De Meuron, ma è un volere cercare ancora di capire come questa successione di archi rampanti e vetro si leghi alla città cui appartiene. Credo non sia sufficiente riprendere la giacitura dei caselli daziari per dire che l’edificio si relazioni coerentemente con quella parte di città, perché allora il tanto citato taglio alla Rossi del Gallaratese forse non sarebbe dovuto essere lì dove è, ma sull’asse di via Maroncelli o di via Varese; e nemmeno dire che si rapporta con le altezze del contesto,


poiché le supera di gran lunga e sembra cercare un nesso più con le nuove costruzioni del centro direzionale che con la città storica in cui si inserisce. Contrariamente il progetto di Grassi nei suoi disegni sembra appartenere a quel luogo da sempre, del resto questo è un obiettivo dichiarato in tutti i suoi progetti. Il fatto di voler ricostruire il carattere del luogo lo porta a ricostruire il bastione, l’oggetto del progetto e quello dell’evocazione, come abbiamo già detto, coincidono, niente li tiene lontani se non i mezzi a disposizione. Disegna un’architettura contemporanea, che però cerca continuamente la relazione con la città cui appartiene, e lo esprime anche nel rapporto di altezza. A questo punto possiamo dire che il progetto di Grassi si pone con un maggior grado di conformità alla città cui appartiene rispetto a quello di Herzog & De Meuron, perché presuppone una relazione diretta e lineare fra edificio e città, rappresenta ciò a cui si conforma e da cui proviene, ovvero il bastione spagnolo, implica quella reiterazione grassiana del “una porta è una porta”, che in questo caso si traduce nel “un bastione è un bastione”. Analogamente credo che il progetto di Herzog & De Mueron sia più definibile con un altro termine, che Giorgio Grassi usa per il suo confronto con Moneo, che è il termine usato da Schinkel di Zweckmäßigkeit, che significa

più comunemente convenienza, opportunità, quasi un sinonimo del termine Angemessenheit, che abbiamo tradotto prima con adeguatezza e conformità. Un termine che presuppone secondo Grassi un giudizio e rimanda ad un’idea, a qualcosa che in ogni caso sta al di fuori dell’oggetto stesso, che “presuppone un soggetto che osserva e giudica” ed agisce con maggior libertà sull’oggetto e sul suo carattere, “fino a trasformare e perfino sostituire l’oggetto stesso dell’evocazione. È il soggetto che stabilisce il grado di convenienza e di opportunità dell’oggetto, rispetto all’idea a cui deve uniformarsi. Il che significa in questo caso una sostanziale predisposizione a rappresentare altro da sé del suo oggetto”. Per questo ritengo che, per quanto detto nelle righe precedenti, il progetto di HDM sia inquadrabile più nella sfera della convenienza che in quella della conformità nei confronti del luogo e della città. Allora tornando nuovamente sulla questione del carattere degli edifici vediamo chiaramente che nel caso di Grassi il solo riferimento per il carattere della sua architettura è l’oggetto del progetto e tale carattere si esprime principalmente in ciò che si ripete; mentre nel caso di Herzog & De Mueron il riferimento pare estraneo al suo oggetto e si esprime in ciò che si modifica, o meglio in ciò che si oppone alla sua ripetizione. Quindi nel primo caso il carattere

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è implicito, congenito alla forma, “espressione delle sua permanenza nel tempo” che fa sì che l’edificio incarni il carattere della città e sembri essere lì in quel luogo da sempre; nel secondo caso invece il carattere viene dopo, è “conseguente alla forma ed è espressione della disponibilità a modificarsi di quest’ultima”. Le differenze tra i due progetti derivano sostanzialmente da una differenza di metodo, poiché da una parte il fare progettuale di Grassi porta a mettere in opera la specificità dell’oggetto insieme alla sua storicità, con un agire teso al togliere per semplificare, per eliminare il superfluo e mettere in risalto ciò che c’è già, per esprime la tipicità, quindi il carattere della forma; dall’altra il fare progettuale di Herzog & De Meuron sembra più rivolto al risultato visivo di una volontà di trasformazione, cercando nuove relazioni, un sostituire più che un sottrarre. In questa opposizione troviamo da un lato un fare razionalista dell’architettura, che è quello di Grassi, dall’altro troviamo un fare pseudo minimalista, che è in qualche modo quello di Herzog & De Meuron. Il principio razionalista del fare architettura cui si rifà Grassi si basa su una relazione fra scelta razionale e logica. Il “carattere riferente” rispetto all’esperienza storica delle forme dell’architettura, ovvero il loro rimandare sul piano sintattico ad altre forme, e quindi la loro sostanziale

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“tautologicità”, indica la scelta prioritaria del considerare prima di tutto il senso delle forme, il loro reciproco legame, il ruolo nel procedimento. Il problema dell’architettura è per Grassi la considerazione della sua forma logica, cioè della successione logica delle scelte, il significato dell’architettura è tutto incluso nelle forme stesse, nei principi. Principi che sono inclusi nelle opere realizzate, che sono la definizione stessa di architettura, le regole si fondano su questi principi e vengono valutate in base alla loro corrispondenza. Al principio generale dell’architettura corrisponde la forma del procedimento, cioè “la successione logica delle scelte come norma fondamentale”. Il tradurre questa norma sul piano operativo rappresenta lo scopo ultimo di un’architettura che si pone in partenza il problema di un’indagine razionale dell’architettura stessa e dei suoi problemi. Grassi sostiene che “l’architettura sono le architetture”, per questo ogni teoria si basa sull’esperienza dell’architettura. Il progetto per Grassi è “tautologia” rispetto all’esperienza della storia, perché riprendendo la tesi di La Bruyère “tutto è già stato detto”, tautologia nel senso logico di una ripetizione che approfondisce il piano conoscitivo, di limite che è allo stesso tempo esaltazione di ogni limite, affermazione di libertà intellettuale e dell’esperienza individuale; per questo Grassi parla di un


“carattere riferente” dell’architettura rispetto all’esperienza storica, inteso nel senso che rimanda non ad un significato umano o emozionale, bensì ai tipi e all’ordine con cui essi si presentano nell’architettura. Il problema quindi si sposta sul “conoscere il senso delle forme e degli elementi”, ovvero la relazione reciproca che tra loro si innesca, un senso che è il radicamento delle forme nella storia che definiscono la scelta del razionalismo davanti al progetto. Il processo progettuale di Grassi si basa quindi sull’esperienza storica, guarda alle forme del passato per trarne i principi, come del resto più volte si è già detto i principi dell’architettura sono immutabili e le domande che il luogo pone all’architettura sono invariate nel tempo, per questo Grassi si attiene alle forme che da sempre hanno caratterizzato l’architettura, a quelle norme classiche contro cui il movimento moderno si era scagliato, quelle regole canoniche che hanno sempre tenuto insieme l’esperienza dell’architettura nel tempo, che rappresentano il suo elemento di unità per eccellenza, quello che per lui è “il solo valido punto di riferimento” per la caratteristica razionale e logica del processo di progetto; non una ripetizione pedissequa di questi caratteri dell’architettura, ma una loro lettura in chiave contemporanea, che necessitando di una sua costruzione logica non può certo pensare di partire

da zero. Dall’altro lato, Herzog & De Mueron nella prima fase della loro carriera professionale, di cui il Magazzino Ricola ne è sicuramente l’opera manifesto, basano proprio sulla ricerca dell’origine il loro metodo progettuale. Dopo l’intossicazione di riferimenti storicisti post-moderni, dopo l’incubo del decostruttivismo, le architetture del duo svizzero si pongono come un lampo di sobrietà e astrazione, manifesti minimalisti dal forte ermetismo e dall’estrema astrazione. Giunti alla fine della storia, consumato un modo di fare architettura, la soluzione individuata da HDM non è quella di ricorrere ai principi immutabili dell’architettura come fa Grassi, bensì quella di ricominciare da zero. La forma originale racchiude il significato primigenio dell’architettura, forme semplici e primordiali che nella loro condizione di archetipi sembrano incarnare il contenuto stesso e la motivazione umana dell’architettura. Una sorta di desiderio di rifondazione pervade le prime opere degli architetti di Basilea, un ricerca dell’origine che non si pone molto lontana dal mito della capanna di Laugier o l’immagine del transatlantico di Le Corbusier. La storia, “signora e padrona del XIX secolo” come dice Foucalt, viene ignorata per una conquista dell’originario e una semplificazione assoluta della forma, giungendo quasi ad un oblio dell’immagine che porta

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25. Herzog & De Meuron, 1990, Railway signal box a Basilea. 26. Herzog & De Meuron, 1992, Goetz Collection Gallery a Monaco di Baviera.

all’abbandono di ogni riferimento iconografico in favore di una celebrazione della materia, ottenendo come risultato un’architettura depositata in sobri volumi prismatici. È il caso dei loro edifici della Goetz Gallery a Monaco di Baviera o del Railway Signal Box di Basilea. HDM sembrano decisi, in questa loro prima parte della carriera, a sopprimere qualsiasi tentazione figurativa e qualsiasi espressione individuale. Sebbene sia un’architettura con radici nella tradizione moderna, il loro impegno nei confronti della costruzione è talmente esplicito da permettere di definire la loro architettura come elementare e primaria, con echi di arcaismo. Una volontà di risalire alla radice prima che fa sì che la loro architettura possa essere definita minimalista, con forti allusioni al plasticismo. Tuttavia questa tendenza al prisma minimo, capace di prescindere da ogni inflessione personale sembra essersi persa, così come l’intensità delle loro prime opere, subendo influssi esterni e concependo gli edifici più come macchine comunicative, partendo da dei tipi per finire a trasformali in altro. Il loro processo progettuale vira negli ultimi dieci anni verso quello che Grassi definirebbe come un “navigare a vista”, un modo diffuso di operare, facilmente riconoscibili anche nell’opera dei migliori. Il navigare a vista è “una scelta tecnica, una scelta pratica”, spinta da un lato dalla curiosità e dell’altro da un

tentativo di “originalità”, ma questo la porta ad essere, come sostiene Grassi, una “scelta fondamentalmente passiva”, quella decisione di scegliere volta per volta, di aspettare le scelte possibili che si presenteranno, in attesa di una suggestione, un’ispirazione che viene dal di fuori. Questo navigare a vista credo si possa bene vedere negli ultimi progetti di Herzog & De Mueron. Se nei progetti di Grassi possiamo leggere in maniera evidente un filo logico tra loro, nei progetti recenti dello studio svizzero pare che ogni occasione generi risultati differenti, se le opere di Grassi cercano fortemente di veicolare un messaggio, quelle di HDM sembrano invece recepire un messaggio che viene da fuori. La motivazione originale del progetto, la sua ragione pratica, in questo navigare a vista, pare non avere alcuna relazione con l’aspetto finale del progetto, con ciò che esso dirà alla fine, il punto di partenza e il punto di arrivo sono completamente differenti, come se l’origine del progetto venisse meno, trasfigurata e trasformata in corso d’opera, per arrivare ad una sua spettacolarizzazione. E questo si vede chiaramente nel progetto della Fondazione Feltrinelli, dove l’oggetto iniziale, quel lungo prisma orizzontale dalla scala monumentale, con la volontà di rifarsi agli edifici milanesi, viene meno a favore di un riduzione in parte minimalista delle forme, in parte plasticista, che porta alla

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rielaborazione, o anche forse alla distruzione, dei tipi, che parte dall’elemento archetipico per giungere ad una sua reinterpretazione formalista. La differenza con il progetto di Grassi sta anche in questo, il processo logico porta Grassi, partendo dall’oggetto per ritornare ad esso, a togliere, a rendere scarno il suo oggetto affinché esso mostri tutto il suo carattere intrinseco, mentre il progetto di HDM sembra prendere il carattere originario e sostituirlo. È una questione di scelta, dovuta alla soggettività dell’architetto, ma la scelta è ciò che determina la conformità, l’adeguatezza dell’architettura alla città, il carattere degli edifici è un qualcosa su cui non si può agire in modo diretto, perché questo porta solo allo spettacolo offerto dalla trasformazione della forma. La scelta di questa linea operativa, dice Grassi, è in realtà “la conseguenza di una rinuncia, consapevole e definitiva, a misurarsi con l’architettura come è sempre stata, una rinuncia a modo suo tragica”, fondata sulla sfiducia nei confronti dei mezzi espressivi a disposizione. “Una dichiarazione di sfiducia a che l’architettura possa essere ancora se stessa, cioè espressione autentica e motivata della sua ragione di essere oltre che della sua lunga esperienza”. Una dichiarazione di resa, di fallimento, già insita nel volere far sì che l’edificio debba darsi un carattere per poter apparire secondo le volontà del suo progettista,

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una dichiarazione di fallimento perché, continua Grassi, “il carattere di un edificio sta nella sua storia, è scritto nel lungo processo di definizione che ha condotto a quella forma che appare ogni volta come fosse la prima volta, ma che invece, come ben sappiamo, ne è soltanto l’ultima incarnazione, diciamo così, tanto più autorevole quanto più fedele a se stessa. […] Il carattere di un edificio sta nella sua lunga storia e in ciò che la sua forma è in grado di esprimere di quella storia nel suo costante e progressivo definirsi ed adattarsi alla vita quotidiana, fino a diventare essa stessa, quella forma, un elemento insostituibile della nostra stessa identità”. Questa riflessione ci permette quindi di comprendere come la scelta di un pensiero rispetto ad un altro dipenda dal significato che gli elementi dell’architettura assumono nella costruzione teorica, nel carattere che l’architettura acquisisce, riferente come nel caso di Grassi, e quindi il suo significato è incluso nelle forme stesse, nei principi, o evocativo, come nel caso di Herzog & De Mueron, dove il significato consiste nelle idee legate alla forma. Per cercare di comprendere la scelta che porta Grassi alla ricostruzione di un bastione per l’area di Porta Volta occorre, in ultima analisi, cercare di capire il rapporto che l’architetto milanese sviluppa con il concetto di tipo. Il tipo architettonico del castello ha segnato come riferimento la


carriera architettonica di Grassi, e ha portato alle estreme conseguenze questo discorso sul carattere degli edifici, un tipo che gli ha permesso di misurarsi da subito con quel confronto tra architettura contemporanea e architettura antica che ne caratterizza la sua ricerca architettonica. “Fin da quel primo castello di Abbiategrasso – dice Grassi (2004) – ho guardato a questo tema del castello come se fosse un tema come un altro, un tema attuale e necessario quanto un altro. Un castello oggi: un castello nella città di oggi e per la città di oggi”. Basti osservare i progetti di Fagnano Olona, Valmarina e Valencia, rispettivamente un castello, un monastero e una biblioteca, e poi i due castelli di Nimega e Deutschlandsberg; destinazioni d’uso funzionali diverse, ma con la forma inconfondibile di un castello, con tutti i suoi segnali di riconoscimento: torri, corte, mura, gerarchie precise, forme essenziali e disadorne, materiali poveri e durevoli. Un luogo diverso da tutti gli altri, un edificio speciale che s’impone all’attenzione. “Un castello che, come tutti i grandi tipi architettonici che hanno segnato la storia dell’architettura, non è altro che il risultato definitivo di un modo convenzionale di comporre fra loro delle parti, degli elementi tipizzati, sempre quelli, diventati canonici nel tempo, e di costruire gerarchie mediante l’uso ripetuto di particolari ed elementi costruttivi

anch’essi sempre uguali e diventati anche loro, col tempo, veri proprio segni araldici di quel tipo di edifici”. In Grassi emerge dunque la necessità di ricorrere ad un tipo architettonico per dare una soluzione logica al progetto. Quella tipologia che è il logico concetto che fonda l’architettura, il tipo, “quel qualcosa di permanente e complesso – scrive Rossi (1966, p. 31) – che sta prima della forma e che la costituisce”, il principio elementare, l’origine e la causa primitiva, la regola riscontrabile in tutti i fatti architettonici, il momento analitico dell’architettura, l’idea stessa e l’essenza dell’architettura. Quella tipologia che invece le opere di Herzog & De Meuron sembrano distruggere, portare altrove, a partire dall’esempio della Casa Rudin per giungere all’edificio della Fondazione Feltrinelli in Porta Volta a Milano, partendo da tipi conosciuti per giungere alla loro trasformazione. Grassi nei suoi progetti tratta quasi sempre di restituzione e riabilitazione di una rovina esistente, proprio come avviene per il progetto di Porta Volta, quasi sempre egli attua interventi di completamento compatibili con la rovina. Certo la domanda spontanea può essere che senso abbia la costruzione di un castello, o di una sua parte, cioè di un bastione come per Porta Volta, quando la rovina è ridotta a poco o niente, o quando è del tutto assente un riferimento, come fa per la biblioteca di Valencia.

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27 .Grassi, G. 1970, Restauro e riabilitazione del castello di Abbiategrasso come sede municipale, collage di studi. 28. Grassi, G. 1980, Restauro e riabilitazione del castello di Fagnano Olona come sede municipale, studi per i fronti e le sezioni della corte. 29. Grassi, G. 1997, Ricostruzione del castello di Valkhof a Nimega, planimetria e studio dei fronti.

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30. Herzog & De Meuron 1997, Casa Rudin a Leymen. 31. Herzog & De Meuron 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fronte su via Pasubio. 32. Grassi, G. 1990, Biblioteca per il Nou Campus universitario a Valencia, assonometria e spaccato assonometrico.

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La ragione è in parte spiegata nella citazione precedente di Grassi, e in parte la ragione della ricostruzione del bastione nell’area di Porta Volta è spiegata dalla giustificazione che ha la ricostruzione del castello di Nimega, dove i pochi resti presenti parlano soprattutto della distruzione del castello, e la ragione della sua ricostruzione è che “la forma della città lo esige, per essere di nuovo se stessa”, allo stesso modo in Porta Volta i pochi resti delle mura e i caselli daziari parlano dello sventramento del bastione, e il fatto che l’area sia restata per così tanto tempo architettonicamente irrisolta, e secondo certi punti di vista potrebbe ancora esserlo tutt’ora nonostante l’edificio di Herzog & De Meuron, è dovuta al fatto che la virtualità architettonica del luogo quasi esigesse di essere di nuovo un bastione. La seconda ragione è racchiusa nelle motivazioni sottostanti al progetto della biblioteca per il campus universitario di Valencia. Qui Grassi dice “il tipo architettonico del castello è la figura più prossima a ciò che il nuovo edificio vuole essere e che vuole affermare la sua presenza in mezzo agli altri edifici del campus. In questo senso il castello è la sola risposta possibile. E quella del castello la sola forma possibile". Certo è una scelta ideologia prima di tutto, perché la domanda posta al contrario del nostro ragionamento sui due progetti per Porta Volta potrebbe essere: perché costruire

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una biblioteca con quella forma, opponendosi alla forma finale della città, e non scegliere una soluzione come quella della realizzata Fondazione Feltrinelli? È una scelta ideologica appunto, una scelta legata all’ipotesi fatta sulle domande poste dal luogo, una condizione di necessità per il carattere del luogo. Come a Valencia, in Porta Volta, la biblioteca assume il ruolo di luogo deputato a costudire documenti destinati ad essere da sempre tramandati, come luogo che esiste solo per ciò che contiene, un luogo unico per il suo ruolo, che come tale ha delle somiglianze dirette con il castello. “I libri, che sono così umani nella loro fragilità materiale e nella loro capacità di sopravvivere malgrado tutto” (Grassi, 2004), sono come l’architettura che cerca di sopravvivere malgrado gli sforzi continui di annientarla e farla diventare altro da sé, per questo in maniera enfatica la biblioteca diventa un castello, un bastione, un baluardo, un fortilizio munito che dichiara la resistenza dei principi dell’architettura, l’oggetto dell’evocazione che ripete l’oggetto necessario senza sviare, che cerca di rispondere, senza deviare, alle domande poste dalla città.

33. Romano, F. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, fotografia da via Bonnet. 34. Romano, F. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia da via Maroncelli.


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APPENDICE



BIOGRAFIA E PROGETTI

GIORGIO GRASSI



1. Grassi, G. anni '90, ritratto fotografico.

Giorgio Grassi nasce a Milano il 27 Ottobre 1935. Si laurea in architettura al Politecnico di Milano nel 1960. Dal 1961 al 1964 è membro della redazione della rivista “Casabella-Continuità”, diretta da Ernesto Nathan Rogers, insieme ad Aldo Rossi e Vittorio Gregotti. Dal 1965 svolge sempre attività di insegnamento presso la Facoltà del Politecnico di Milano (dal 1977 come ordinario di Composizione architettonica). Insegna anche alla facoltà di Architettura di Pescara (1969-1976) e, come docente invitato, all’ETS di Valencia (1988-89), all’EPF di Losanna (1999-2000) e all’ETH di Zurigo (2000-2001). Si inserisce nel contesto culturale degli anni sessanta, che rappresentano per la ricerca teorico-progettuale italiana un momento di tensione culturale volto a rinnovare il linguaggio architettonico ed i suoi contenuti. La pulsione innovatrice del movimento moderno era ormai affievolita nelle maniere dell’International Style e la ricerca progettuale, non più univoca, incominciò a frammentarsi e dirigersi in più direzioni. Negli anni sessanta la cultura architettonica italiana ha contribuito all’esplosione internazionale di questo lunghissimo processo. In questo contesto culturale gli studi di Giorgio Grassi s’inseriscono parallelamente a quelli di Aldo Rossi (uniti per diversi anni dal lavoro e da studi comuni) nella

ricerca analitica dei caratteri fondanti dell’architettura, attraverso la costruzione di una genealogia dell’architettura stessa con lo studio di manuali e trattati storici, studi riassunti nel suo primo libro “La costruzione logica dell’architettura”. Grassi ha un approccio all’attività progettuale come analisi di quei tipi ed elementi architettonici espressione di una determinata cultura figurativa ed il progetto, interpretandoli, ne diventa una testimonianza (storica) ed una sintesi (formale) basata su un abaco linguistico ridotto (il portico, il basamento, la corte, etc.). L’analisi non è circoscritta al solo edificio ma si propone all’intera città con lo stesso approccio: interpretare l’insieme stratificato del tessuto urbano attraverso la sintesi dei suoi “Tipi storici”. SCRITTI Fra i suoi scritti: La costruzione logica dell’architettura (Padova, 1967); L’architettura come mestiere e altri scritti (Milano, 1980); Architettura lingua morta (Milano, 1988); Progetti per la città antica (Milano, 1995); I progetti, le opere, gli scritti (Milano, 1996); Scritti scelti 1965-1999 (Milano, 2000). Ha inoltre curato gli scritti: L. Hilberseimer, Un’idea di piano (Padova, 1966) e Architettura a Berlino negli anni ‘20 (Milano, 1979); H. Tessenow, Osservazioni elementari sul costruire (Milano, 1974) e l’antologia Das neue Frankfurt 1926-1931 (Bari, 1975).

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PROGETTI La carriera progettuale di Giorgio Grassi va dal 1960 al 2004, numerosi progetti, molti dei quali però rimasti su carta, questo in realtà cela una volontà dell’autore, un suo intento più dimostrativo che realizzativo, i suoi progetti sono didattici, servono ad insegnare qualcosa, ovvero la sua teoria progettuale. Ricordiamo tre tra i suoi progetti realizzati:

2. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto a Valencia, Pianta, prospetti, sezioni e spaccati assonometrici. 3. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto a Valencia. 3. Grassi, G. 1990, Biblioteca per il Nou

1985 Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto, Valencia, con M. Portaceli, J.L. Dujardin, L.Meyer, realizzazione 1990-92. 1990 Biblioteca per il Nou Campus universitario a Valencia, con J.J.Estellés, N. Dego, realizzazione 1996-98. 1993 Area ABB-Roland Ernst in Postdamerplatz a Berlino, concorso ad inviti, 1° premio, con N.Dego, E.Grassi, K.Accossato, A.Galli, S.Pierini, G.Zanella, realizzazione 1999-2001.

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Campus universitario a Valencia, planivolumetrico. 4. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto a Valencia. 5. Grassi, G. 1993, Area ABB-Roland Ernst in Postdamerplatz a Berlino, masterplan generale. 6. Grassi, G. 1993, Area ABB-Roland Ernst in Postdamerplatz a Berlino.


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RELAZIONE DI PROGETTO: BIBLIOTECA COMUNALE NEL SITO DI PORTA VOLTA A MILANO Questo progetto parte dall’ipotesi, già avanzata dall’amministrazione pubblica, di trasferire la biblioteca comunale Sormani nella zona del centro direzionale. L’area da noi individuata è quella dei suoli di proprietà comunale intorno alla Porta Volta. Aree strette e allungate nel luogo delle vecchie mura e delle fortificazioni della città che si sviluppano da un lato verso la Porta Garibaldi e dall’altro in direzione del castello. Prima l’apertura della Porta Volta, proprio nel vertice del vecchio baluardo, e poi il definitivo spianamento dei bastioni, già trasformati in passeggiata alberata in età neoclassica, hanno del tutto falsato e reso irriconoscibile il segno della cinta muraria della città in questa sua parte. Un segno importante, se si considera che si tratta del punto in cui le mura cambiano bruscamente direzione per tornare a saldarsi col sistema fortificato del castello. Abbiamo scelto di insediare il nuovo edificio pubblico nel luogo del vecchio baluardo e di ripetere esattamente il perimetro mistilineo di questo con un edificio compatto, di media altezza e completamente chiuso sulla sua faccia esterna. Il nuovo volume si troverà così a interrompere lo sventramento post-unitario dell’asse via Volta-viale Ceresio (con la conseguente

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chiusura di quell’assurda porta di città) e tornerà a indicare col suo angolo acuto la forma della fortificazione e il ripiegare delle mura in direzione del Castello nel luogo dell’antica “Tenaglia”. Dal viale Ceresio, il traffico di penetrazione e di collegamento con la circonvallazione dei bastioni che si svolgeva attraverso la Porta Volta continuerà a svolgersi, poco distante, sul viale Montello, all’altezza della via Giorgione. Il blocco della biblioteca vera e propria andrà a occupare l’area del vecchio baluardo, mentre i blocchi longitudinali che da questo si dipartono sul suolo delle vecchie mura saranno destinati, l’uno a servizi collettivi collegati alla biblioteca (centro convegni, sala di proiezione, conferenze ecc.), l’altro ad autorimessa pubblica (specialmente sviluppata nel sottosuolo: 700 posti auto). Questo nostro progetto di biblioteca è lo sviluppo di un impianto già sperimentato in altri progetti recenti, quello per la biblioteca universitaria del nuovo Politecnico alla Bovisa e quello per la biblioteca del Nou Campus di Valencia. Anche qui, pur trattandosi di una biblioteca pubblica non specializzata, la biblioteca è vista fondamentalmente come un deposito di libri facilmente e direttamente accessibili al pubblico. In questo senso, l’impianto tipologico adottato, senza essere in contrasto con il tradizionale funzionamento ad accesso chiuso, è


7. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Piante. 8. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Prospetti e sezioni. 9. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Assonometria. 10. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Masterplan.

predisposto in prevalenza per l’accesso cosiddetto libero. Anche qui si è cercato di mantenere la massima elasticità possibile fra il sistema ad accesso libero (con spazi di lettura adiacenti al deposito) e quello ad accesso chiuso (con distribuzione centralizzata e sala di lettura separata): di conseguenza il deposito si trova fra i due sistemi d’uso, e la porzione di esso da destinare all’uno o all’altro può essere facilmente variata spostando la linea di separazione nel deposito stesso. Questa decisione ha portato a un impianto con magazzino dei libri al centro e con spazi di lettura laterali o al piede di questo. Anche qui, come nelle biblioteche per il Politecnico e per il Campus di Valencia, si è voluto che nella costruzione della figura architettonica dell’edificio emergesse anzitutto il compito istituzionale; si è voluto che la biblioteca fosse immediatamente riconoscibile al visitatore nella sua specifica qualità, cioè che l’elemento architettonicamente dominante fossero i libri stessi. Da cui, appunto, la scelta di porre al centro della composizione il deposito dei libri e al centro di questo, a tutt’altezza, l’atrio, la sala schedari ecc., cioè l’elemento principale di distribuzione delle diverse parti, in modo che fosse immediatamente percepibile sia la destinazione dell’edificio, sia la quantità/qualità di ciò che è destinato a custodire. Anche qui, quindi, un edificio a

pianta grossomodo centrale, sviluppato intorno a un atrio a tutt’altezza, letteralmente tappezzato di libri e circondato, in particolare sui lati lunghi, dal deposito vero e proprio. Solo che, in questo caso, il condizionamento planimetrico imposto dalla geometria del vecchio baluardo ha determinato un adattamento particolare dello schema: adattamento che si conforma altresì alle particolari condizioni d’uso e di gestione di una biblioteca pubblica (la grande sala di lettura, le sezioni per materia, le condizioni del prestito, i servizi ausiliari ecc.). Nel presente progetto di massima, l’edificio è previsto a struttura mista e con murature perimetrali di mattoni faccia a vista. In corrispondenza dell’ingresso della biblioteca e del portale di attraversamento del corpo longitudinale, si è previsto, altresì, di rimontare i due fronti della vecchia porta Volta, i colonnati e le murature in pietra di ceppo. Giorgio Grassi

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BIOGRAFIA E PROGETTI

JACQUES HERZOG & PIERRE DE MEURON



11. Herzog, J e De Meuron, P. 2016, ritratto fotografico.

Jacques Herzog nasce a Basilea, Svizzera, il 19 Aprile 1950. Pierre De Meuron nasce a Basilea, Svizzera, l’8 Maggio 1950. I due si conoscono all’università dell’ETH di Zurigo dove frequentano i corsi di Lucius Burckhardt, Dolf Schnebli e Aldo Rossi. I primi anni di formazione universitaria seguono un indirizzo prevalentemente sociologico e filosofico, retaggio ideologico del ‘68, per passare negli ultimi anni, sotto la guida di Rossi, ad un autonomia disciplinare marcata e attenta alle immagini della memoria architettonica. Nel 1975 si laureano con una tesi urbanistica sulla città di Basilea unendo indissolubilmente la loro carriera professionale. Jacques Herzog e Pierre de Meuron hanno fondato il loro ufficio a Basilea nel 1978. Un team internazionale di cinque partner, circa 40 associati e 400 collaboratori lavora a progetti in tutta Europa, nelle Americhe e in Asia. Herzog & de Meuron hanno progettato una vasta gamma di progetti, dalla piccola scala di una casa privata alla grande scala del design urbano. Mentre molti dei loro progetti sono strutture pubbliche altamente riconosciute, come stadi e musei, hanno anche completato diversi progetti privati distinti tra cui condomini, uffici e fabbriche. Jacques Herzog e Pierre de Meuron hanno ricevuto numerosi premi

tra cui il Pritzker Architecture Prize (USA) nel 2001, il Praemium Imperiale (Giappone), entrambi nel 2007. Nel 2014, Herzog & de Meuron sono stati premiato con il Miesone Mesh Crown Hall Americas Prize (MCHAP) per 1111 Lincoln Road , Miami Beach. Hanno ricevuto a Londra la Royal Gold Medal 2007, quale riconoscimento per il contributo dato dai due progettisti alle città ed all’architettura di tutto il mondo, dai loro primi lavori condotti in Svizzera, a quelli eseguiti a Londra come la Tate Modern, fin alle più recenti opere di Barcellona e Tokyo. Il lavoro di Herzog e de Meuron si distingue per la ricerca basata sulla materialità e la costruzione architettonica. Herzog e de Meuron sono visiting professor all’Harvard University Graduate School of Design fin dal 1994 e sono professori agli ETH Studios in Basilea. SCRITTI A differenza di Grassi, Herzog & De Meuron non sono dei teorici dell’architettura, non si occupano di fare teoria, ma si dedicano completamente alla pratica progettuale. Si segnalano tra i testi loro riguardanti: “El Croquis” n. 84 e n. 152/153; “AV Monografias” n. 191/192; D’Onofrio, A. (2003), Herzog & De Meuron. Anomalie della norma, Roma; Moneo, R. (2005), Inquietudine teorica e strategia progettuale nell’opera di otto architetti contemporanei, Milano.

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PROGETTI La carriera progettuale di Herzog & De Meuron è densa di progetti, con uno stile severo e rigoroso, tipicamente svizzero, una grande attenzione ed esaltazione dei materiali, forme pure, un minimalismo plasticista che negli ultimi anni ha teso la mano ad influenze esterne al mondo architettonico. Ricordiamo tre tra i loro progetti realizzati:

12. Herzog & De Mueron, 1986, Magazzino Ricola a Laufen, Svizzera, Pianta. 13. Herzog & De Mueron, 1986, Magazzino Ricola a Laufen, Svizzera. 14. Herzog & De Mueron, 1994, Tate Gallery of Modern Art London, Pianta. 15. Herzog & De

1986 Magazzino Ricola, Laufen, Svizzera, realizzazione 1986-87.

Mueron, 1994, Tate Gallery of Modern Art London. 16. Herzog & De

1994 Tate Gallery of Modern Art, Londra, realizzazione prima parte 1995-98, realizzazione seconda parte 20042016. 2010 Nuovo stadio di Bordeaux, Bordeaux, realizzazione 2010-2015.

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Mueron, 2010, Nuovo stadio di Bordeaux, Pianta. 17. Herzog & De Mueron, 2010, Nuovo stadio di Bordeaux.


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RELAZIONE DI PROGETTO: FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI, MILANO PORTA VOLTA Il progetto Feltrinelli per Porta Volta, nel suo insieme, costituisce un importante intervento di valorizzazione dell'area a favore della città e dei suoi abitanti. Al suo interno trova la sua collocazione la nuova sede della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, centro di studio e ricerca, che ha individuato nella zona nord del nucleo storico di Milano l'ambito ideale per lo sviluppo delle sue diverse attività culturali. Insieme con l'edificio riservato alla Fondazione, il progetto urbanistico ha previsto altri due corpi di fabbrica destinati prevalentemente ad uffici e, inoltre, punti di ritrovo, ampi spazi verdi e piste ciclabili con percorsi pedonali. Le analisi storiche dell'area hanno rappresentato la base per lo sviluppo del progetto. La peculiarità del sito è rappresentata dalla sua localizzazione lungo il tracciato delle Mura spagnole: le antiche mura, risalenti al XVI secolo, sono le ultime di una serie di fortificazioni che, a partire dai tempi romani, hanno definito i confini della città. Con l'apertura dei Bastioni alla fine del XIX secolo, via Alessandro Volta ha segnato l'inizio dell'estensione di Milano al di fuori delle vecchie mura, rappresentando un nuovo asse di collegamento

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tra il centro storico e il Cimitero Monumentale. In confronto al denso tessuto urbano circostante, il vuoto dell'area su cui siamo intervenuti era ancora il risultato delle distruzioni subite durante la Seconda guerra mondiale. I caselli daziari di Porta Volta offrono un importante punto di riferimento nel tracciato urbanistico di Milano. La posizione dei nuovi corpi di fabbrica lungo viale Pasubio e quella dell'edificio del Comune, che sorgerà tra viale Montello e Porta Volta, sottolineano questa porta storica, deducendola dalla tradizione dei manufatti gemelli, come quelli realizzati in piazza Duomo, piazza Piemonte e piazza Duca d'Aosta. Oltre alla tutela dei resti delle Mura spagnole, il progetto ha previsto la realizzazione di un'ampia area verde pubblica, con boulevard e piste ciclabili, intesa come estensione e prolungamento dei viali esistenti. A livello stradale, i nuovi edifici ospitano caffetterie, ristoranti e negozi, restituendo ai cittadini un'area riqualificata e ben fruibile. Uno stretto passaggio separa la sede della Fondazione dall'edificio adiacente, esprimendo in questo modo la volontà specifica di realizzare due costruzioni autonome, ma nello stesso tempo parte di un unico progetto. Il piano terreno della Fondazione ospita una libreria e una caffetteria; al primo piano si trova uno spazio multifunzionale a doppia altezza, mentre il terzo e il quarto piano sono destinati agli


18. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Piante. 19. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Prospetti e sezione. 20. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Piante. 21. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Masterplan.

uffici. Nella sala lettura, situata all'ultimo piano, è offerta agli interessati la possibilità di consultare i documenti storici dell'importante archivio della Fondazione, custodito nei sotterranei del complesso. I nuovi edifici s'ispirano alla semplicità e all'imponente scala delle architettura che caratterizzano il tessuto storico milanese, costituite da esempi come l'Ospedale Maggiore, la Rotonda della Besana, il Lazzaretto e il Castello Sforzesco. S'ispirano anche al tratto lungo e lineare delle tipiche cascine della campagna lombarda, che già rappresentarono un importante punto di riferimento per Aldo Rossi e per il suo progetto al Gallaratese. Struttura e ripetizione sono i principali temi della nuova architettura, lunga e stretta, dove il tetto diventa un tutt'uno con la facciata dell'edificio. La struttura descrive le geometrie dell'area, con un adattamento dei suoi edifici al tracciato storico e con il giusto equilibrio tra trasparenza e definizione degli spazi. Il progetto rappresenta il risultato di una costante ricerca dei temi che nel corso della storia hanno definito la particolare architettura di Milano e hanno caratterizzato i progetti più emblematici della città. Herzog & De Meuron

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FOTOGRAFIA DEL PROGETTO

FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI



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BIBLIOGRAFIA



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REGESTO ICONOGRAFICO



Capitolo primo 1. Da Vinci, L. 1497 ca., Pianta e veduta prospettica di Milano, disegno manoscritto ad inchiostro, mm. 210x285, da «Codice Atlantico», Milano, Biblioteca Ambrosiana, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 38. 2. Elaborazione grafica dell’auture su: Lafrery, A. du Pérac 1573, «Pianta prospettica di Milano», incisione, mm. 408x550, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 46. 3. Elaborazione grafica dell’auture su: Clarici, G.B. (?) 1580 ca., «Milano», disegno manoscritto ad inchiostro marrone e rosso su carta, mm. 975x1120, Roma, Accademia di San Luca, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 54. 4. Elaborazione grafica dell’auture su: Barateri, M.A. 1629, «La Gran Città di Milano», incisione, mm. 750x800, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 64. 5. Elaborazione grafica dell’auture su: Da Re, M.A. 1734, «Città di Milano», incisione, mm. 795x765, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 76. 6. Elaborazione grafica dell’auture su: Commissione d’Ornato 1807, «Pianta rappresentante i Progetti dei nuovi Rettifili», disegno colorato sulla pianta di G. Pinchetti, mm. 590x810, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 92. 7. Elaborazione grafica dell’auture su: Corpo degli Astronomi di Brera, 1810, «Milano Capitale del Regno d’Italia - Pianta della città di Milano pubblicata dall’Amministrazione municipale», incisione, mm. 1350x1180, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 98.

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8. Comune di Milano, 1880, «Progetto di prolunguamento della nuova via Allesandro Volta per la comunicazione diretta delle vie Solferino, Palermo e Montebello con la nuova Barriera da costruirsi attraverso il Bastione di Porta Tenaglia», mm. 850x510, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.], Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 112. 9. Bignami Sormani, E. 1885, «Carta Topografica di Milano», litografia colorata, mm. 275x70. in Collegio degli Ingegneri e Architetti, Milano Tecnica dal 1859 al 1884, Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 128. 10. Elaborazione grafica dell’auture su: Beruto, C. 1884, «Progetto di Piano Regolatore generale della Città di Milano», cromolitografia, mm. 588x742, Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 130. 11. Elaborazione grafica dell’auture su: Beruto, C. 1885, «Piano Regolatore edilizio e di ampliamento della città di Milano», cromolitografia, mm. 588x742, Milano, Civica Raccolta delle stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 131. 12. Barriera di Porta Volta, in AA.VV. 1885, Milano tecnica dal 1859 al 1884, Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.], Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 113. 13. ivi 3 14. ivi 5 15. ivi 8 16. Comune di Milano, 2012, Carta Tecnica Comunale, disegno CAD, in https://geodata.polimi.it/opengeoportal/

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Capitolo secondo 1. Grassi, G. 1987, Planimetria generale progetto Milano/Bovia per la XVII Triennale di Milano, in Grassi, G. [a cura di Crespi, G. e Dego, N.] (2004), Giorgio Grassi opere e progetti, Milano: Mondadori Electa, pp. 224. 2. Pinchetti, G. 1801, «Pianta di Milano con il progetto del Foro Bonaparte di G.Antolini», ù, Milano, Civica Raccolta delle stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 85. 3. Beruto, C. 1885, «Piano Regolatore edilizio e di ampliamento della città di Milano», cromolitografia, mm. 588x742, Milano, Civica Raccolta delle stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 132. 4. Albertini, C. 1933, «Città di Milano - Piano Regolatore», incisione, mm. 435x410, Milano, Civica Raccolta delle stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 153. 5. Gruppo A.R., 1945, Piano A.R., Schema di P.R.G., da Bonfanti, E. e Porta, M. (1973), Città Museo e Architettura, Firenze, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp. 160. 6. Comune di Milano, 1956, Il Piano Regolatore Generale 1953, Planimetria del Centro Direzionale, Torino, INU Lombardia, in http://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerario/49-dall-idea-della-citta-alla-citta-costruita-l-area-di-garibaldi-repubblica/saggio 7. Masterplan Milano Porta Nuova, 2013, in http://www.porta-nuova.com/ area/masterplan/ 8. Berlage, H. P. 1910, Piano della città di Amsterdam, in http://www.cittasostenibili.it/urbana/urbana_L_11.htm 9. Perret, A. 1946, Le Plan Général, Le Havre, in http://unesco.lehavre.fr/fr/ comprendre/le-plan-general

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10. Stache F., Föster L., von der Nüll E., von Siccardsbur A. 1858, Ringstraße, Vienna, in http://www.cittasostenibili.it/industriale/industriale_ Scheda_2.htm 11. Grassi, G. 1987, Planimetria generale progetto Milano/Bovia per la XVII Triennale di Milano, in https://divisare.com/projects/338016-giorgio-grassi-progetto-milano-bovisa-per-la-xvii-triennale-di-milano 12. Grassi, G. 1987, Planivolumetico progetto Milano/Bovia per la XVII Triennale di Milano, in https://divisare.com/projects/338016-giorgio-grassi-progetto-milano-bovisa-per-la-xvii-triennale-di-milano 13. Grassi, G. 1991, modello di studio progetto area Garibaldi-Repubblica a Milano, in https://divisare.com/projects/338042-giorgio-grassi-area-garibaldi-repubblica-a-milano 14. Grassi, G. 1991, Planimetria generale progetto area Garibaldi-Repubblica a Milano, in https://divisare.com/projects/338042-giorgio-grassi-area-garibaldi-repubblica-a-milano 15. Comune di Milano, 2017, Mappa degli scali ferroviari dismessi, in http:// www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/servizi/territorio/pianificazione_urbanistica_attuativa/progetti_in_istruttoria/scali_ferroviari 16. Houben, F. - Mecanoo, 2017, Schema del progetto della città, in http://www. abitare.it/it/gallery/habitat/urban-design/milano-scali-ferroviari-proposte-architetti/?ref=292423&foto=77

Capitolo terzo 1. Anonimo, raffigurazione di epoca medioevale, Mediolanum civitas Cisalpinae Galliae, in Tettamanzi, L. e Pifferi, E. (1989), Milano le porte, Como: Enzo Pifferi. 2. Delkeskamp, F.W. 1864, pianta di Francoforte: la ferrovia lungo il Meno in corrispondenza del centro storico, in Grassi, G. [a cura di] (1975), Das neue Frankfurt 1926-1931, Bari: Dedalo Libri, pp. 27.

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http://www.abitare.it/it/gallery/habitat/urban-design/milano-scali-ferroviari-proposte-architetti/?ref=292423&foto=7 4. Gabriel, J. 1730, Bordeaux, Place Royale, in in Grassi, G. [a cura di] (1975), Das neue Frankfurt 1926-1931, Bari: Dedalo Libri, pp. 31. 5 .Sconosciuto,1480-90, Veduta di città ideale, tempera su tavola, mm. 803x2198, Walters Art Musem Baltimora, in https://www.arch2o.com/beautiful-intersection-art-architecture-renaissance-painting/ 6. Anonimo, inizio '900, Bastione di Porta Volta, fotografia in bianco e nero, Milano, Civico Archivio Fotografico, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 116. 7. Anonimo,1889, Mappa dell’area di Porta Volta in seguito all’apertura del bastione, Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, in https://vecchiamilano.wordpress.com/2010/09/23/i-bastioni-di-porta-volta/ 8. Anonimo, inizio '900, Caselli daziari di Porta Volta, fotografia in bianco e nero, Milano, Civico Archivio Fotografico, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.], Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 118. 9. Anonimo, inizio '900, Area di Porta Volta-Cenisio.fotografia in bianco e nero, Milano, Civico Archivio Fotografico, in http://raum.arch.rwth-aachen.de/module/m2-da-capo-porta-volta-mailand Capitolo quarto 1. Romano, F. 2016, Milano Centro Direzionale, fotografia aerea, in https:// divisare.com/projects/333617-herzog-de-meuron-filippo-romano-feltrinelli-porta-volta 2. Brogi, G. 1870 ca., Milano. La cattedrale, fotografia, in https://commons. wikimedia.org/wiki/File:Brogi,_Giacomo_(1822-1881)_-_4588_-_Milano_-_La_cattedrale.jpg 3. Romano, F. 2016, Fondazione Feltrinelli cantiere, fotografia, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano, Feltrinelli.

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4. Yildirim, B. 1974, Gallaratese blocco D, fotografia, in https://divisare.com/ projects/340795-aldo-rossi-burcin-yildirim-gallaratese-housing-d-block 5. Riolzi, P. 2017, Fondazione Feltrinelli, fotografia, in https://divisare.com/ projects/339069-herzog-de-meuron-paolo-riolzi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 6. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitiazione del teatro romano di Sagunto, sezioni e prospetto, in https://divisare.com/projects/317637-giorgio-grassi-chen-hao-sagunto-roman-theatre-1985-86-1990-93 7. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, planivolumetrico, in https://divisare.com/projects/338036-giorgio-grassi-biblioteca-comunale-nel-sito-di-porta-volta-a-milano 8. Elaborazione grafica dell’autore, Pianta del progetto di Grassi. 9. Elaborazione Grafica dell’autore, Pianta del progetto di Herzog & De Meuron. 10. Elaborazione grafica dell’autore, Sovrapposizione planimetrica dei due progetti. 11. Elaborazione Grafica dell’autore, Sezioni urbane dei due progetti. 12. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: mura spagnole 1556, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016) , Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 120. 13. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: caselli daziari 1880, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 120. 14. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: studio della geometria, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 121. 15. Herzog & De Meuron, 2016, Analisi: Masterplan, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 121.

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16. Herzog & De Meuron, 2016, Vista virtuale del progetto, in https://www. architetti.com/herzog-e-de-meuron-a-milano-fondazione-giangiacomo-feltrinelli.html 17. Elaborazione Grafica dell’autore, Vista virtuale del progetto di Grassi. 18. Alberti, L.B., 1458-78, Facciata di Santa Maria Novella, veduta parziale del fronte, fotografia anni '90, in Grassi, G. (2000), Leon Battista Alberti e l’architettura romana, Milano: Franco Angeli, pp. 70. 19. Alberti, L.B. 1450, Tempio Malatestiano, particolare del fronte laterale, fotografia anni '90, in Grassi, G. (2000), Leon Battista Alberti e l’architettura romana, Milano: Franco Angeli, pp. 33. 20. Herzog & De Meuron, 2005, Tate Modern London, in https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/126-150/126-tate-modern/image.html 21. Herzog & De Meuron, 2008, Fondazione Caixa Forum Madrid, in https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/201-225/201-caixaforum-madrid/image.html 22. Herzog & De Meuron, 2015, Roche Building Basilea, in https://www. herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/326-350/345-roche-building-1/image.htm 23. Herzog & De Meuron, 2016, Elbphilharmonie Amburgo, in https://www. herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/226-250/230-elbphilharmonie-hamburg/image.html 24. Bertotti, P. e Elena, G. 1859, Tavola comparata dei principali monumenti di Milano, Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano: Feltrinelli, pp. 96. 25. Herzog & De Meuron, 1990, Railway signal box a Basilea, in https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/101-125/119-central-signal-box/image.html 26. Herzog & De Meuron, 1992, Goetz Collection Gallery a Monaco di Baviera, in https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/051-075/056-goetz-collection.html

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27 .Grassi, G. 1970, Restauro e riabilitazione del castello di Abbiategrasso come sede municipale, collage di studi, in https://divisare.com/projects/337661-giorgio-grassi-restauro-e-riabilitazione-del-castello-di-abbiategrasso-come-sede-municipale 28. Grassi, G. 1980, Restauro e riabilitazione del castello di Fagnano Olona come sede municipale, studi per i fronti e le sezioni della corte, in https://divisare. com/projects/337894-giorgio-grassi-restauro-e-riabilitazione-del-castello-di-fagnano-olona-come-sede-municipale 29. Grassi, G. 1997, Ricostruzione del castello di Valkhof a Nimega, planimetria e studio dei fronti, in https://divisare.com/projects/342877-giorgio-grassi-ricostruzione-del-castello-di-valkhof-nimega 30. Herzog & De Meuron 1997, Casa Rudin a Leymen, in https://www.are. na/block/515279 31. Herzog & De Meuron 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fronte su via Pasubio, in https://divisare.com/projects/333617-herzog-de-meuron-filippo-romano-feltrinelli-porta-volta 32. Grassi, G. 1990, Biblioteca per il Nou Campus universitario a Valencia, assonometria e spaccato assonometrico, in https://divisare.com/projects/338041-giorgio-grassi-biblioteca-per-il-nuovo-campus-universitario 33. Romano, F. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, fotografia da via Bonnet, in https://divisare.com/projects/333617-herzog-de-meuron-filippo-romano-feltrinelli-porta-volta 34. Romano, F. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia da via Maroncelli, in https://divisare.com/projects/333617-herzog-de-meuron-filippo-romano-feltrinelli-porta-volta

Appendice 1. Grassi, G. anni '90, ritratto fotografico, in http://old.unipr.it/arpa/cittaemi/13_10/

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2. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto a Valencia, Pianta, prospetti, sezioni e spaccati assonometrici, in https://divisare.com/projects/317637-giorgio-grassi-chen-hao-sagunto-roman-theatre-1985-86-1990-93 3. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto a Valencia, in https://divisare.com/projects/317637-giorgio-grassi-chen-hao-sagunto-roman-theatre-1985-86-1990-93 3. Grassi, G. 1990, Biblioteca per il Nou Campus universitario a Valencia, planivolumetrico, in https://divisare.com/projects/338041-giorgio-grassi-biblioteca-per-il-nuovo-campus-universitario 4. Grassi, G. 1985, Restauro e riabilitazione del teatro romano di Sagunto a Valencia, in https://divisare.com/projects/338041-giorgio-grassi-biblioteca-per-il-nuovo-campus-universitario 5. Grassi, G. 1993, Area ABB-Roland Ernst in Postdamerplatz a Berlino, masterplan generale, in https://divisare.com/projects/338997-giorgio-grassi-potsdamerplatz-area-abb-roland-ernst-a-berlino 6. Grassi, G. 1993, Area ABB-Roland Ernst in Postdamerplatz a Berlino, in https://divisare.com/projects/338997-giorgio-grassi-potsdamerplatz-area-abb-roland-ernst-a-berlino 7. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Piante, in https://divisare.com/projects/338036-giorgio-grassi-biblioteca-comunale-nel-sito-di-porta-volta-a-milano 8. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Prospetti e sezioni, in https://divisare.com/projects/338036-giorgio-grassi-biblioteca-comunale-nel-sito-di-porta-volta-a-milano 9. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Assonometria, in https://divisare.com/projects/338036-giorgio-grassi-biblioteca-comunale-nel-sito-di-porta-volta-a-milano 10. Grassi, G. 1990, Biblioteca comunale nel sito di Porta Volta a Milano, Masterplan, in https://divisare.com/projects/338036-giorgio-grassi-biblioteca-comunale-nel-sito-di-porta-volta-a-milano

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11. Herzog, J e De Meuron, P. 2016, ritratto fotografico, in https://www. design-museum.de/en/about-design/videos/detailseiten/interview-herzog-de-meuron.html 12. Herzog & De Mueron, 1986, Magazzino Ricola a Laufen, Svizzera, Pianta, in http://didattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/148556/24_ridotto.pdf

13. Herzog & De Mueron, 1986, Magazzino Ricola a Laufen, Svizzera, in https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/026-050/038-ricola-storage-building/image.html 14. Herzog & De Mueron, 1994, Tate Gallery of Modern Art London, Pianta, in https://www.architecture.com/awards-and-competitions-landing-page/ awards/riba-regional-awards/riba-london-award-winners/2017/tate-modern-switch-house 15. Herzog & De Mueron, 1994, Tate Gallery of Modern Art London, in https://www.herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/251275/263-the-tate-modern-project/image.html 16. Herzog & De Mueron, 2010, Nuovo stadio di Bordeaux, Pianta, in "AV Monografia", n. 191-192, 2017, pp. 150. 17. Herzog & De Mueron, 2010, Nuovo stadio di Bordeaux, in https://www. herzogdemeuron.com/index/projects/complete-works/351-375/367-nouveau-stade-de-bordeaux/image.html 18. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Piante, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano, Feltrinelli, pp. 126-131. 19. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Prospetti e sezione, in AA.VV. [a cura di Molinari, L.] (2016), Milano Porta Volta. Luogo dell’utopia possibile, Milano, Feltrinelli, pp. 126-131. 20. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Piante, in http://www.skyscrapercity.com/showthread.php?t=1256707&page=127

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21. Herzog & De Mueron, 2017, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, Masterplan, in http://www.skyscrapercity.com/showthread. php?t=1256707&page=127 22. Herzog & De Mueron, 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia dalla sala lettura della Fondazione, http://www.milanotoday. it/cultura/feltrinelli.html 23. Romano, F. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia da via Paolo Sarpi, in https://divisare.com/projects/333617-herzog-de-meuron-filippo-romano-feltrinelli-porta-volta 24. 25. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia aerea, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 26. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del prospetto sui caselli daziari, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 27. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del prospetto su via Crispi, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 28. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del dettaglio del taglio tra i due edifici, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 29. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del dettaglio del taglio tra i due edifici, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 30. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del fronte su via Crispi, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli

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31. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del dettaglio del taglio tra i due edifici a livello dela copertura, in https:// divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 32. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del dettaglio della copertura, in https://divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli 33. Menghi, M. 2016, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano, fotografia del dettaglio del fronte su via Pasubio a livello della copertura, in https:// divisare.com/projects/365326-herzog-de-meuron-marco-menghi-fondazione-giangiacomo-feltrinelli

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Grazie al Prof. Michele Giovanni Caja e all’Arch. Sotirios Zaroulas per avermi guidato in questa tesi, perchè non rimanesse solo una riflessione acerba. Grazie ad Isabella e Gianmarco, con i quali la discussione e la riflessione su questi temi è intensa e costante.



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