MILANO CORTINA 2026. Un progetto di disegno urbano per lo scalo di Porta Romana.

Page 1

MILANO CORTINA 2026 Un progetto di disegno urbano per lo scalo di Porta Romana

Alessandra Amico Alberto Gatti Paola Marras


“L’emergere delle relazioni tra le cose, più che le cose stesse, pone sempre nuovi significati.” (Rossi, A. 1981, Autobiografia scientifica)



POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Disegno Urbano Tesi di Laurea Magistrale di: Alessandra Amico 915006 | Alberto Gatti 916436 | Paola Marras 915774 Relatore: Prof.ssa Ilaria Valente | Correlatore: Prof. Michele Caja Anno Accademico 2019-2020 | Sessione Dicembre 2020


MILANO CORTINA 2026 Un progetto di disegno urbano per lo scalo di Porta Romana

An urban design for the Porta Romana railway yard


Immagine in copertina elaborazione grafica degli autori


INDICE ABSTRACT

07

PREMESSA

09

I. INQUADRAMENTO TEMATICO 1.1 Il villaggio olimpico nel PGT Milano 2030. 1.2 Milano e il sistema delle connessioni infrastrutturali 1.3 Milano Scali Ferroviari. 1.4 Cronologia.

15 20 42 48

II. STRATEGIE URBANE 2.1 Milano-Cortina 2026. Un’occasione per Milano. 2.2 Strategia olimpica. Il caso studio di Londra 2012. 2.3 Analisi comparativa. Tre casi studio.

57 61 65

III. TRAIETTORIE DEL DISEGNO URBANO 3.1 Progetto urbano. 3.1 Nove parchi per Milano. 3.2 Parchi urbani contemporanei. Tre casi studio.

83 92 98

IV. SCALO DI PORTA ROMANA. IL CARATTERE DEL LUOGO 4.1 Area studio. 4.2 Elementi primari. 4.3 Infrastrutture, suoli e reti. 4.4 Tessuto. 4.5 Trasformazioni in corso.

119 134 152 157 164

V. DALLA CITTA’ AL LUOGO 5.1 Strategia urbana. 5.2 Tipologia architettonica e morfologia urbana. 5.3 Urbanità e domesticità. 5.4 Tettonica e facciata.

APPENDICE ISTANTANEE BIBLIOGRAFIA REGESTO ICONOGRAFICO

173 175 188 197

201 253 267 275



ABSTRACT

Questo lavoro di tesi si riferisce all’area dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana a Milano, area in dismissione posta nel quadrante sudest della città.

This thesis refers to the area of Porta Romana’s former railway yard in Milan, an under disposal area located in the southeast quarter of the city.

Il progetto parte dal tema del villaggio olimpico per le olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026 e tiene conto delle indicazioni e richieste del Piano di Governo del Territorio vigente Milano 2030, inserendosi all’interno del macro progetto di rigenerazione degli scali ferroviari milanesi.

The project starts from the theme of the Olympic village for the Winter Olympics Milan-Cortina 2026 and takes into account the indications and requests made by the General Milan 2030 Development Master Plan, which has been included in the macro regeneration project of Milanese rail yards.

Questo lavoro ha lo scopo di dare un contributo alla discussione su un tema determinante e strategico, che potrà influire in maniera decisiva sui mutamenti della città di Milano nel futuro prossimo e sull’assetto delle sue relazioni a scala regionale e internazionale. Il progetto è un tentativo di interpretazione della domanda generata dalla città, non una risposta definitiva e assoluta. Pertanto questo lavoro di ricerca, progettuale e teorica, un discorso progettuale, fatto per mezzo di scritti e disegni, come presa di posizione sulla città, sulla sua configurazione e sulla sua morfologia.

This work is meant to contribute to the debate on a key and strategic argument, a theme that will have a decisive influence on the metamorphosis of the city in the near future and an impact on the structure of its relations on a regional and international scale. The project is an attempt to interpret the demand generated by the city, not a definitive and absolute answer. Therefore this design and theoretical research work, a design speech, made by means of writings and drawings, as the presentation of a standing point stance on the city, its configuration and morphology.

7



PREMESSA

La città di Milano è recentemente tornata al centro del dibattito architettonico e urbanistico grazie al completamento di alcuni progetti di impatto nel breve termine. Sta tornando a crescere grazie ad un modello fondato sulla concentrazione di servizi ed eccellenze, motori dei processi di trasformazione della città. Expo 2015, le trasformazioni per il completamento del Centro Direzionale a Garibaldi, il recupero fruitivo della Darsena, la realizzazione del progetto City Life, la costruzione a Porta Genova del Mudec, Fondazione Feltrinelli e Fondazione Prada, sono alcuni dei casi più importanti di questo ampio processo di rinnovamento. Tuttavia questi progetti, pure con la loro importanza, non riescono ancora a configurare quella linea d’azione che ha caratterizzato le grandi trasformazioni delle maggiori città europee dagli anni Ottanta, e ciò fa sì che questi fenomeni di modificazione appaiano - e l’incertezza sul dopo Expo è emblematica - come segnali limitati e puntuali rispetto a nuovi modelli di governo del territorio che faticano a trovare terreno fertile nell’ambito milanese. A ciò si aggiunge l’ambizione della città a ragionare alla scala della Città Metropolitana – nuovo livello di governo locale introdotto dal 2015 – con l’obiettivo di aumentare

l’attrattività e quindi la necessità di potenziare il trasporto pubblico e privato. Da qui si è generato un salto qualitativo del sistema dei trasporti con la realizzazione della linea M5 della metropolitana, la messa in funzione dell’autostrada BreBeMi, la realizzazione della Pedemontana e della Tangenziale Esterna. All’interno di questo più ampio contesto si inquadra il materiale di base di questo lavoro di tesi, ovvero la questione della rigenerazione degli scali ferroviari milanesi dismessi. Essi rappresentano un cospicuo patrimonio di aree ormai da tempo inutilizzate, collocate in zona sub-centrale e con una evidente funzione strategica in termini di trasformazione della città. Molte sono state le esercitazioni progettuali sul tema della rigenerazione degli scali ferroviari milanesi e delle aree dismesse, in particolare in ambito accademico, per indagare le potenzialità di questi lembi di città. Dal progetto di Vittorio Gregotti per lo scalo delle Ferrovie Nord Milano a Cadorna del 1984 al progetto “Nove parchi per Milano” del 1994 guidato da Cecchi, Lima, Nicolin e Trasversi; nel 2004 i “Cinque progetti per Milano” che coinvolsero tra gli altri Sergio Crotti e Antonio Monestiroli per le aree di Porta Genova, scalo Farini e Rogoredo/Porto di Mare; dal 2006 il tema degli

9


10

scali diventa tema unico dei Laboratori di progettazione urbanistica coordinati da Laura Montedoro e nel 2009 il workshop della Scuola di Architettura Civile del Politecnico di Milano “Milano scali ferroviari”, per arrivare al lavoro di ricerca del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani coordinato da Gabriele Pasqui presentato nel 2014. Si è poi giunti ad un’ulteriore fase di discussione su queste aree nel 2017 con la mostra a Porta Genova, durante il Fuorisalone, delle proposte progettuali elaborate per “Cinque scenari in mostra a Milano”, con i lavori dei team EMBT (guidato da Benedetta Tagliabue), Mecanoo (Francine Houben), studio SBA (Stefano Boeri), MAD Architects (Ma Yansong) e CZA (Cino Zucchi), con la presentazione dei loro progetti di possibili visioni di città. Infine nel 2019 la svolta su due dei sette scali: viene assegnato a OMA con Laboratorio Permanente la redazione del masterplan per l’area MIND allo Scalo Farini, e Milano ottiene la candidatura per ospitare le Olimpiadi invernali del 2026, individuando lo scalo di Porta Romana come area per la costruzione del villaggio olimpico. Quella delle Olimpiadi invernali può essere per Milano un’occasione fondamentale di rigenerazione e trasformazione delle area dismes-

se, in particolar modo per innescare il processo di trasformazione del sistema degli scali ferroviari, occasione che necessita di una strategia lungimirante sulla base degli esempi di altre grandi città europee. Questo lavoro di ricerca si occupa però non di fornire una strategia urbanistica, bensì di proporre un’ipotesi di progetto e tracciare una discussione sul ruolo del disegno urbano all’interno della città contemporanea, cogliendo quella del villaggio olimpico e della rigenerazione degli scali come mezzo.




capitolo primo INQUADRAMENTO TEMATICO



1.Elaborazione grafica degli autori, Milano sistema degli

IL VILLAGGIO OLIMPICO NEL PGT MILANO 2030

scali ferroviari e il loro intorno urbano.

Il tema del Villaggio Olimpico per il progetto di disegno urbano dell’area dello scalo ferroviario dismesso di Porta Romana a Milano, nasce dalla attribuzione della candidatura di Milano come città ospitante le Olimpiadi invernali del 2026. Milano-Cortina 2026 muove i suoi passi dall’Agenda 2020 del CIO e dalla New Norm, la riforma del 2018 che rende i Giochi Olimpici e Paralimpici un evento più sostenibile, flessibile ed efficiente, sia sotto il profilo operativo che finanziario, liberando al contempo più valore per le città ospitanti sull’orizzonte a lungo termine. Due città, Milano e Cortina, con il sostegno di quattro regioni: Lombardia, Veneto, Trento e Bolzano, che uniscono le loro forze per realizzare un’edizione dei Giochi volta a favorire una maggiore cooperazione nell’ambito dell’intera macro-regione alpina. In una Milano che sta tornando a crescere grazie ad un modello fondato sulla concentrazione di servizi ed eccellenze che stanno facendo da motore per i processi di trasformazione della città, il nuovo Piano di Governo del Territorio Milano 2030 pone tra gli obiettivi una città di nuova generazione, raggiungibile tramite l’accrescimento della qualità edilizia ed urbanistica, il potenziamento del mix funzionale e la presenza variegata di servizi pubblici e privati, la salvaguardia del commercio di vicinato, la valorizzazione della qualità dello spazio pubblico e il rafforzamento delle connessioni verdi, al fine di

accrescere lo sviluppo economico, sociale e culturale dei contesti più fragili. Il nuovo PGT mira a valorizzare il capitale fisso esistente, infrastrutture e servizi pubblici, con trasformazioni da attuarsi sempre di più tramite modalità di riuso, riciclo e rinnovamento. Per far ciò vengono riconosciuti specifici ambiti di rigenerazione, che intervengono anche sugli spazi aperti esistenti sostenendo interventi di riduzione dei suoli urbanizzati, di rinaturalizzazione e di ripristino di connessioni ecologiche, laddove esse siano interrotte da infrastrutture o insediamenti esistenti. Si prendono di seguito in analisi tre delle strategie messe in atto dal piano vigente: 1. Connettere luoghi e persone. I nodi come piattaforme di sviluppo. L’obiettivo è rendere la città altamente accessibile, quindi l’accesso ai nodi di trasporto pubblico su ferro rappresenta l’elemento base che determina le possibilità edificatorie nel PGT, favorendo gli ambiti prossimi alle stazioni rispetto a quelli meno serviti. La valorizzazione del capitale fisico esistente passa anche dalla rigenerazione dei luoghi che oggi hanno un carattere prevalentemente infrastrutturale per trasformarli in spazi urbani di rilievo, legando questi nodi alla valorizzazione delle infrastrutture esistenti con processi di integrazione funzionale, densificazione, ricucitura e riqualificazione dello spazio pubblico.

15


16

2. Trasformare, attrarre, eccellere. L’occasione dei vuoti urbani. Come si sottolineava precedentemente Milano sta tornando a crescere. Cresce l’università in termini spaziali, numeri e di competitività; cresce l’innovazione; si espande l’offerta legata alle scienze della vita e della salute integrate con strutture ospedaliere d’eccellenza; emerge il turismo; eccelle la cultura e vuole emergere l’offerta sportiva. La trasformazione dei grandi vuoti urbani non può quindi prescindere dal contribuire in maniera sostanziale all’evoluzione e alla crescita di questo modello, con l’identificazione di grandi funzione urbane che possano fare da traino tra le possibili funzioni attrattive emergono i nuovi parchi urbani, è infatti proprio a partire dai vuoti - e in particolare dalla dotazione di verde pubblico prevista per gli scali ferroviari - che il Piano fa emergere un’ulteriore funzione, ovvero quella naturale e paesistica, che mira allo sviluppo di un parco metropolitano unitario. 3. Fare spazio all’ambiente. Progetti per suolo e acque. Le ambizioni rigenerative riconoscono l’assoluta centralità del progetto di suolo e acque. Milano 2030 valorizza l’acqua come elemento per migliorare la sostenibilità urbana. Il Piano dovrà essere in grado di ridare spazio al reticolo idrografico al fine di migliorare la capacità di drenaggio delle acque meteoriche. Da qui la scelta di rafforzare le connessioni ecologiche tra le grandi dotazioni verdi di scala metropolitana, ora poco accessibili e in condizioni di trascuratezza, e la trama minuta e frammentata del verde

urbano esistente nelle parti più centrali della città. In questo senso, le dotazioni di verde pubblico previste all’interno dell’Accordo Scali rappresenteranno nuovi recapiti e capisaldi del progetto di rete ecologica comunale.

2.Elaborazione

Questi estratti dal nuovo Piano di Governo del Territorio sottolineano la volontà di guidare un processo di crescita che renda effettiva la denominazione di Milano come Città Metropolitana.

4.Elaborazione

“Milano 2030 è una metropoli che fa spazio all’ambiente, una città di nodi, che produce conoscenza, innovazione e inclusione, una città a misura d’uomo, una città di nuova generazione”

grafica degli autori, Milano nodi, luoghi e connessioni. 3.Elaborazione grafica degli autori, Milano sistema del verde e dei suoli.

grafica degli autori, Milano funzioni urbane.


17


18


19


MILANO E IL SISTEMA DELLE CONNESSIONI INFRASTRUTTURALI.

20

Prima di entrare nell’inquadramento tematico sugli scali ferroviari, occorre fermarsi brevemente a comprendere da un lato le aspirazioni verso cui tende la città di Milano, e dall’altro l’evoluzione della città, per poter comprendere la genesi e la trasformazione di questi luoghi. Dal 1 gennaio 2015 a Milano, dopo un lungo percorso istitutivo, è entrato in funzione il nuovo Ente Città Metropolitana, una riforma dall’elevata portata di cambiamento in termini di riordino delle forme di decentramento amministrativo. La riflessione attorno alla creazione di questo nuovo Ente non dovrebbe però essere solamente incentrata intorno alle mere questioni amministrative, di natura funzionale ed economica, ma la riforma in atto dovrebbe essere un mezzo per la formulazione di una vera e propria idea di città, con il rilancio della costruzione della città. Come del resto sostiene Vittorio Gregotti in “Architettura e Postmetropoli” (Gregotti, 2011) la globalizzazione della finanza e dei consumi ha trasformato con forza dirompente la nozione di città, ma sta all’architettura evitare di ridursi a puro rispecchiamento dell’ordine globale e recuperare una distanza critica nei confronti della postmetropoli, che consenta di disegnarla e progettarla in modo diverso. Gregotti parla più volte nei suoi testi di “possibile necessario”, come sostanza strutturale di ogni

progetto, con una fiducia proprio in questo atto di occuparsi della città, dei suoi elementi, della sua qualità e dei suoi spazi pubblici. La città metropolitana dovrebbe permettere di affrontare alcune questioni emergenti per implementare la città pubblica come fattore primario per la qualità urbana. All’interno di questo scenario, il comparto degli scali ferroviari si rivela come un ambito ottimale per un innalzamento qualitativo e quantitativo delle dotazioni pubbliche, e per ricercare un equilibrio tra la città consolidata e le fasce di espansione della città metropolitana. La Città Metropolitana dovrebbe configurare il capoluogo lombardo - come del resto già sostenevano nel 1995 all’interno del Laboratorio di progettazione urbana gli architetti Raffello Cecchi e Vincenza Lima, Pierluigi Nicolin, Pippo Traversi - secondo un’immagine, una prospettiva per la città, che è quella di Milano Capitale. Condizione che permetta di ottenere un quadro di riferimenti urbanistici all’altezza di una metropoli europea, a cui cerca di tendere il nuovo PGT, per una città capace di affrontare la competizione con le altre città di pari importanza, agendo sul piano della capacità di ideazione. “Milano capitale, infatti, non definisce uno status giuridico ma una forma mentis dei suo cittadini, dei suoi amministratori e anche dei suoi progettisti” (Cecchi, Lima, Nicolin, Traversi, 1995). Un modello di città che possa mettere in pratica la previsioni di un ambizioso disegno urbano della città, a partire dai luoghi dismessi,


tra cui appunto gli scali ferroviari. Una visione che sfrutti occasioni come quella delle Olimpiadi invernali, per uscire dalla lunga serie di insuccessi, mancate realizzazioni e occasioni perdute, che hanno caratterizzato la città negli anni Ottanta e Novanta, seguendo la nuova visione urbanistica e assecondando la vocazione implicita alla condizione di trasformazione della forma urbis. Diventa necessaria, per un progetto di trasformazione della città, una lettura morfologica della città per decifrarne la struttura interna, la configurazione urbana, per ricavare dalla storia evolutiva di Milano, così come da certi momenti di rottura o di rapida trasformazione, una cartografia dove si rappresentino i diversi strati, o livelli strutturali, della forma urbis.

Si osservano di seguito alcune delle fasi dello sviluppo della città di Milano che hanno portato alla genesi del sistema degli scali ferroviari. L’esame dello sviluppo della rete ferroviaria di Milano dall’Ottocento in avanti si rivela infatti una chiave di lettura particolarmente utile per indagare, attraverso la descrizione delle diverse fasi di trasformazione, l’adesione più o meno consapevole della città a progetti urbani di varia natura, il frequente prevalere di considerazioni di carattere tecnico e funzionale e, in alcuni casi, l’assenza di un criterio generale di coordinamento degli interventi. La descrizione dei caratteri morfologici degli insediamenti, unita all’analisi delle trasformazioni succedutesi nel tempo e alla comparazione tra

la situazione attuale e quelle precedenti, permette di individuare problemi tuttora irrisolti, che incidono sulla città e che inevitabilmente influenzeranno qualsiasi intervento futuro. Il ruolo affidato alla linea ferroviaria urbana e il disegno delle sue immediate pertinenze, tra cui appunto le aree dei sette ex scali ferroviari in via di dismissione, costituiscono nuovamente l’occasione per innescare trasformazioni con effetti sostanziali su tutta la struttura urbana, con l’obiettivo di renderle parti necessarie del disegno urbano e al contempo aprire alla città le aree chiuse che le appartengono.

21


22


5. Mirabella Roberti, M. 1984, Milano. Pianta della città con i

LA SOVRAPPOSIZIONE TRACCIATI

DEI

monumenti romani e le strade riconosciute.

La città è sempre interpretabile come il risultato di una continua sovrapposizione di tracciati diversi. Milano si presenta come un esempio singolare di città ortogonale, tracciata sui principi romani del cardo e del decumano, che nel corso dell’altro medioevo si trasforma gradualmente in città radiocentrica, producendo in questo modo un ambiente urbano particolarmente complesso, nel quale ancora oggi convivono due diversi tessuti urbani, quello della città romana e quello successivo della città mercantile. Nella rielaborazione di Mario Mirabella Roberti del 1984, “Milano. Pianta della città con i monumenti romani e le strade riconosciute”, si percepisce in quale misura la città contemporanea conservi ancora al proprio interno le forme della città originaria, ma anche in che modo si siano venuti sovrapponendo i segni dei tracciati più recenti, consolidatisi successivamente nella costruzione della città per isolati. La matrice cardo-decumanica è l’origine dell’organizzazione urbana, deformata dal tempo. La città si è ampliata per successivi inviluppi e ha dato origine ad una figura apparentemente radiocentrica; ma in realtà il sistema urbano porta la matrice ad assi ortogonali dell’impianto romano, forse assai più significativa delle forme assunte con i successivi perimetri murati.

23


24


6. Da Vinci, L. 1497 ca., Pianta e veduta prospettica di Milano,

L’AFFERMAZIONE DIOCENTRICITÀ

DELLA

RA-

disegno manoscritto ad inchiostro, mm. 210x285.

La maglia reticolare orientata da sud-est a nord-ovest legata alla fenomenologia del territorio, viene sostanzialmente mantenuta anche quando la città si amplia, ma con essa si scontra la giacitura liturgica est-ovest, che vi si sovrappone e dà origine ad un sistema in rapporto conflittuale con il preesistente. La rappresentazione della affermazione definitiva per Milano della radiocentricità sull’ortogonalità è legata alla proposizione di un possibile progetto di espansione, una raffigurazione di un’intenzione, che è la “Pianta e veduta prospettica di Milano” del 1497 del “Codice Atlantico” di Leonardo. In questo disegno la Milano già esistente non è quasi rappresentata, “due segni in croce rappresentano ciò che il Vinci reperiva del cardo e del decumano romani nella città dell’ultimo Quattrocento” (de Finetti, 2002), mentre sono raffigurati i nuovi dodici quartieri disposti secondo una corona circolare ed intersecata solo dai tracciati dei corsi d’acqua e delle principali infrastrutture. Questa mappa diagrammatica rappresenta forse la sintesi più potente di quella che da quel momento in poi sarà la forma urbis milanese.

25


26


7. Lafrery, A. du Pérac 1573, Pianta prospettica di Milano, incisione, mm.480x550.

MILANO CENTRIPETA Il modello radiocentrico leonardesco, aperto e tendenzialmente centrifugo, verrà in realtà capovolto e reso centripeto in età cinquecentesca dalla costruzione della cerchia delle mura spagnole. I bastioni prendono forma articolandosi in un grande anello esterno alla cerchia dei navigli e convergente sul Castello. Nella rappresentazione del Lafrery del 1573 “Pianta prospettica di Milano”, la città è raffigurata chiusa, alle sovrapposizioni complesse tra i tessuti romani e medievali prima descritte, si oppone ora l’indeterminatezza della fascia compresa tra i navigli e le nuove mura, che nasce dal fatto che la città non ha avuto il tempo per reinterpretare questo limite, come già avvenuto in passato, e si espande implodendo e generando una serie di incidenti di geometria urbana tra il perimetro poligonale dei bastioni e la forma radiocentrica della città. Fuori dalle mura, nel 1488, venne eretta da Lazzaro Palazzi una seconda fabbrica ospedaliera - nel frattempo dal 1456 era iniziata la costruzione dell’Ospedale Maggiore intra moenia - realizzata all’esterno della Porta Orientale, in aperta campagna, con al centro il tempietto eretto dal Borromeo. Con uno spazio centrale di 360 per 370 metri, il Lazzaretto, fu un perfetto organismo per l’isolamento dei contagiati ospitati nelle 288 celle. Luogo che, successivamente, le opere ferroviarie del 1857 sconvolgeranno notevolmente.

27


28


8. Commissione d’Ornato 1807, Pianta rappresentante

L’ILLUSIONE DELLA CITTÀ APERTA E L’IDEA DEL PARCO URBANO

i Progetti dei nuovi Rettifili, disegno colorato sulla pianta di Pinchetti, G., mm. 590x810.

La situazione della città a fine Settecento “si esprime con una compresenza di schemi” (Gentili Tedeschi, 1988), che vede soprattutto bloccata e chiusa dalla cerchia dei Navigli la parte interna della città, e la fascia tra il Naviglio e i Bastioni ancora in gran parte inedificata. Con il Piano del 1807 - che ha segnato una svolta profonda nella cultura della città, segno della dominazione napoleonica - nasce l’aspirazione della città a porsi come città capitale, mercantile e industriale, appare evidente e già la si vede nella pianta del Pinchetti “Pianta rappresentate i Progetti dei nuovi Rettifili” del 1801. L’effige viscontea si materializza nel progetto dell’Antolini - probabilmente influenzato dai modelli di Ledoux - di un grande spazio aperto - una prima idea di parco urbano - di forma circolare e disposto attorno al Castello, a lato del quale è accostata una folta selva. E’ significativo che il foro antoliniano non sia una forma residuale e derivata per negativo dalla forma del tessuto circostante, bensì di forma geometrica pura. Uno spazio teorico, quasi extra ubrano, un luogo di scambio tra la città e l’intorno, che si pone autonomamente al centro della città che verrà. Si rompe il tradizionale limite amministrativo tra città e non città, tra la città e il suo territorio. Abbattute le mura stellari del Castello, Milano si trova ad essere del tutto aperta verso il nord-ovest, direzione naturale del suo sviluppo. Fondamentale la scelta di realizzare il vettore

della strada del Sempione, verso Parigi, e la continuità di questo asse con quello della via Emilia, verso Roma. Il nuovo piano, di notevole forza ed intelligenza, ha una idea di base molto chiara: si ripropone il recupero della matrice strutturale della città in continuità con quella del suo territorio e in coerenza all’indirizzo politico napoleonico. L’elemento portante del Piano è formato da un asse orientato da sud-est a nord-ovest, sovrapposto al tracciato del Cardo romano e identificato per buona parte con quello del corso di Porta Romana, in prolungamento dunque alla via Emilia da un lato, con la direzione del Sempione dall’altro, ripristinando una continuità che era stata interrotta fin dal Medioevo. Si è quindi voluto riaffermare la continuità e l’unità della struttura territoriale come generatrice della struttura urbana, struttura urbana che - non realizzato il foro antoliniano, ma la nuova piazza d’armi - appare finalmente chiara e aperta e denuncia con evidenza assoluta le sue relazioni con il territorio e la gerarchia della strutture urbane della città. Ma la caduta dell’Impero napoleonico comporterà l’interruzione del piano e l’abbandono di ogni programma per la città di Milano, che con la restaurazione torna a bloccarsi nei vecchi confini amministrativi.

29


30


9. Brenna, G. e Angeli, V. 1833, Carta

IL PRIMO INSEDIAMENTO FERROVIARIO

topografica dei contorni di Milano. 10. Elaborazione grafica degli autori, Milano evoluzione degli scali ferroviari.

I rettifili diventano di fatto gli strumenti per una sensibile riorganizzazione del territorio milanese dopo la caduta dell’ancien régime, che si sovrappone con decisione all’armatura preesistente dei percorsi storici, romani e medievali e che si riflette anche all’esterno dei bastioni nel tracciamento del nuovo asse per Monza e dell’attuale corso Sempione. Si prepara un nuovo salto di scala della città che si consoliderà con la costruzione delle prime linee ferroviarie a lunga distanza. Per via di questa riorganizzazione la città è costretta presto a confrontarsi con la presenza di alcune nuove soglie, quali quelle poste dalla presenza della ferrovia e dal suo andamento, che talvolta lascia traccia - come nel caso del Lazzaretto - di evidenti conflitti. La prima ferrovia, inaugurata nel 1840, fu quella della linea Milano-Monza, con una stazione a schema di testa situata fuori dalla Porta Nuova, dove giunge il Naviglio della Martesana e da dove partiva l’antica Strada Postale per Sesto e Monza.

31


32


11. De Finetti, G. 1969, La prima cintura ferroviaria (1857-1931). 12. De Finetti, G. 1969, La cintura ferroviaria attuale.

La costruzione della rete ferroviaria è l’elemento più significativo di alterazione della forma della città. L’impianto ferroviario austriaco, studiato a Parigi dai tecnici della Paris-Lyon-Méditerranée, fu tracciato sulla base dei presupposti culturali dell’ingegneria ferroviaria francese, che concepiva la rete ferroviaria come strumento dell’unificazione delle città nello stato - contrariamente al metodo inglese che vedeva la ferrovia come strumento dell’espansione della città nella regione vicina e lontana - e che quindi “non teme di tormentar la città con cinture ferroviarie dannose allo sviluppo urbano” (de Finetti, 2002). L’organizzazione ferroviaria milanese sul modello francese partì nel 1857 e si sviluppo rapidamente: alla Stazione Centrale ed allo Scalo merci di Porta Garibaldi vennero collegati dopo pochi anni quattro scali e stazioni: lo Scalo merci di via Farini, lo Scalo di smistamento del Sempione, la Stazione Ticinese e lo scalo merci Porta Romana. Nel 1884 la città risultava circondata su tutto il perimetro dalle opere ferroviarie a piano di campagna o in rilevato. La costruzione di questa linea del ferro con la nota forma a C rovesciata, ignora completamente lo schema rappresentato dalla cerchia delle mura massimianee, dei Navigli, dei Bastioni, sia quello della continuità via Emilia-Corso Sempione, con i relativi decumani, integrato nel piano napoleonico; così come non ha saputo tener conto nemmeno delle allora recenti proposte di apertura della città al territorio contenute nei progetti neoclassici, in particolar modo nel Piano dei Rettifili di inizio Ottocento,

negando completamente l’esistenza delle strutture territoriali e urbane con le quali invece, logicamente, avrebbe dovuto integrarsi generando quella che de Finetti definisce come una “anticittà periferica”. La città si conforma ad una errata interpretazione concentrica affermando sempre più progressivamente lo schema radiocentrico e forzando tutte le strade, che avevano una natura ed un’origine legate allo schema territoriale risalente alla centuriazione romana, a convergere su Piazza Duomo e da tracciati anulari concentrici. Il disegno della ferrovia, come in maniera evidente fece notare de Finetti, non è stato in grado di innescare un rapporto virtuoso tra città e territorio; al contrario, la lenta realizzazione delle infrastrutture ferroviarie non fece altro che aggravare il dualismo territoriale tra la Città di Milano e il suo territorio, in origine dovuto alla distinzione tra il comune urbano interno al perimetro delle mura spagnole e il Comune dei Corpi Santi, successivamente confermato dalla realizzazione della cintura ferroviaria e dei vari anelli di circonvallazione.

33


34


13. Bignami Sormani, E. 1885, Carta topografica di Milano, litografia colorata, mm. 275x70

MILANO TECNICA Nel frattempo la città si trasforma proprio in funzione della presenza della ferrovia. Del resto essa aveva sciupato la veduta del bastione tra Porta Venezia e Porta Nuova, così come il vialone di Monza dal passaggio a livello di Sesto, l’ampio corso Lodi e il corso Sempione, così come aveva sventrato il Lazzaretto. Aree quali l’antico Lazzaretto appunto e quelle di Porta Genova sono oggetto di progetti di intensa espansione, alla luce dei quali si avverte la necessità di dotare Milano di un piano regolatore, il Piano del 1807 venne infatti presto dimenticato e non realizzato. Nella cosiddetta carta della “Milano tecnica”, ovvero la “Carta Topografica di Milano” del 1985 redatta da Bignami Sormani, la città accoglie la realizzazione di grandi interventi a scala urbana: nascono la nuova stazione Centrale sul progetto di Stacchini, il nuovo cimitero, il nuovo acquedotto, i mercati, il carcere e soprattutto viene dato corso al progetto mengoniano per la definizione di Piazza Duomo. Milano si espande, e lo fa per sei lustri senza mai seguire un piano regolatore, e tenta di avvicinarsi ai modelli tipici delle grandi città europee di fine Ottocento.

35


36


14. De Finetti, G. 1970, Il Piano Beruto (1889).

L’EVOLUZIONE DELLA FERROVIA NEI DUE PIANI REGOLATORI

15. De Finetti, G. 1970, Il Piano Masera.

Il Piano Beruto, 1884-1889, nasce essenzialmente come piano di ampliamento, opera poco in centro senza afferrare il vero problema della saldatura tra città storica e nuovi sviluppi territoriali. Propone l’abbattimento dei bastioni spagnoli e l’espansione oltre quegli antichi confini, ma senza una trasformazione in una struttura organica. Manca nel nuovo piano l’idea che la città possa essere sviluppata per zone funzionali e non è in grado di esprimere una cultura urbanistica adeguata ai problemi esistenti. Nel Piano Pavia-Masera 1909-1912, che adotta la logica per tracciati del Piano Beruto del 1884 - anche se la città moderna e intensamente urbanizzata sembra aver ormai superato l’idea dell’isolato definito da strade ed essersi orientata verso una differente organizzazione del costruito - mostra il sistema ferroviario disegnato secondo il nuovo modello, che alla stazione passante preferisce una nuova stazione di testa, la stazione Centrale. Questa soluzione pare quindi riaffermare la centralità della città. E’ proprio lo spostamento della stazione centrale l’elemento più vistoso di questo piano, il suo arretramento e la sua trasformazione da stazione passante a stazione di testa impongono infatti una pesante ristrutturazione delle linee ferroviarie che eliminano parte della vecchia cintura, sostituita da una specie di cuneo puntato verso la città. Anche il Piano Pavia-Masera si dimostra espressione di una cultura

decisamente arretrata e di un forte ritardo rispetto ad altre situazioni europee. I due piani hanno dato luogo ad una dilatazione della città appoggiata ai tessuti urbani esistenti, ma senza alcuna considerazione per quelle che erano le strutture di interesse territoriale. Lo sviluppo territoriale è avvenuto così lungo gli assi territoriali che convergono sulla città di Milano o ne lambiscono il territorio in tutto il settore nord, così come altro elemento di attrazione dell’industria verso la città è stata la presenza degli scali ferroviari che circondano la città ed assunsero in tal modo un ruolo di importanza primaria, anche per il rifornimento alimentare della popolazione.

37


38


16. Elaborazione grafica degli autori, Milano il primo passante ferroviario.

IL PASSANTE FERROVIARIO Le successive proposte e attuazioni di piani, dal Piano Portaluppi-Semenza al Piano Alberti, e dal Piano AR al PRG del 1953, non portarono grandi variazioni sul sistema ferroviario, continuando sempre nello stesso errore dell’assenza di relazioni con il territorio, forse eccetto per la rilettura cardo-decumanica del Piano AR, però non realizzato. Con l’entrata in servizio della nuova Centrale l’assetto ferroviario di Milano aveva ormai assunto una fisionomia non troppo diversa da quella attuale. Sul prolungamento dell’asse della vecchia stazione rimase, verso nord-ovest, il rilevato dei binari che raccoglievano gli arrivi delle linee locali per Novara, Gallarate e Varese, che andarono a costituire l’ultima modesta stazione di Porta Nuova, o delle Varesine, rimasta in funzione per altri trent’anni fino all’entrata in servizio, nel 1963, della nuova Stazione di Porta Garibaldi. Questa stazione, che fu realizzata arretrando di circa ottocento metri il precedente fronte delle Varesine, fu ampliata nel 1966 con l’attivazione di un tratto sotterraneo, la “Galleria Garibaldi”, lunga circa due chilometri, che spunta a nord di piazza Carbonari, al bivio di Mirabello, dove i binari si diramano verso Greco e verso Lambrate. Il riassetto ferroviario concluso negli anni Trenta, mise in ordine molte cose, ma privò la città di un collegamento ferroviario diretto fra le linee provenienti da sud-est e quelle dirette a nord-ovest. A questa carenza sopperirà, circa settantacinque anni dopo, il Passante Ferroviario. Questa grande opera

era stata progettato verso la fine degli anni Sessanta, anche se fu iniziata solo nel 1984. Il Passante, che segue la direttrice Garibaldi-Liberazione-Tunisia-Regina Giovanna - Dateo, non fa altro che ripercorre, in sotterranea, il tracciato della vecchia ferrovia per Venezia-Piacenza, soppressa agli inizi degli anni Trenta. Analogamente la già citata galleria Garibaldi segue il primo tratto della vecchia ferrovia per Monza-Como (anch’esso soppresso). Quello del passante è uno dei progetti più significativi perché stabilisce una continuità di strutture territoriali attraverso il nucleo della città. Esso è, in un certo senso, la ricostruzione di quel famoso asse da sud-est a nord-ovest che, con la via Emilia e la strada del Sempione, ha rappresentato la lontana matrice della città e del suo territorio, e che - intuito come centrale nel piano napoleonico - è stato perduto in ogni successiva fase della storia di Milano.

39


40 0


17. Elaborazione grafica degli autori, Milano aree in trasformazione, scali e quartieri.

CONSIDERAZIONI La linea del ferro diventò così progressivamente lo spartiacque tra due differenti modalità insediative, l’una definita dalla successione degli isolati berutiani e l’altra costituita dalle prime propaggini della campagna, occupate progressivamente da strutture produttive, residenze operaie e dalla giustapposizione dei quartieri razionalisti del Novecento. Un forte limite fisico che “assunse la città come un corpo tondeggiante da recingere e che produsse due città contrapposte” (Belloni, 2010). Milano sembra così non aver mai risolto del tutto i suoi conflitti strutturali; e oggi, in un quadro che offre la possibilità i riabilitare - tramite il progetto di rigenerazione degli scali - gli errori pianificatori e progettuali che furono compiuti a partire dalla metà dell’Ottocento e che vennero aggravati dalle difficoltà legate alle contingenze belliche, si intravede l’occasione per ridefinire le relazioni interrotte tra parti di città profondamente differenti e per riconsiderare il tema ferroviario all’interno di una nuova prospettiva territoriale. La dismissione degli scali e un loro oculato reintegro in un disegno urbano generale possono concorrere al miglioramento dei problemi tecnici e morfologici di cui ancora la città porta i segni, e possono rappresentare l’opportunità per risolvere problemi ancora aperti a scala sia urbana sia locale.

41


MILANO SCALI FERROVIARI

42

Nel sottocapitolo precedente si è messo in evidenza come la ferrovia e gli scali si sono evoluti in relazione alla città di Milano. Tale evoluzione è volta ad una fase conclusiva, terminale, che corrisponde alla dismissione degli scali, dovuta al processo di deindustrializzazione e decentramento della produzione della capoluogo lombardo. Fase che si definisce terminale proprio per evidenziare lo stato attuale di queste grandi aree dismesse all’interno della città, terminale perché esse si trovano in un limbo quasi dantesco, in sospensione, in attesa di comprendere quale sarà il loro futuro, in attesa di rigenerarle, riciclarle e integrarle all’interno del disegno della città. Gli scali ferroviari milanesi rappresentano un ingente patrimonio di aree da tempo sottoutilizzate, se non abbandonate, collocate in zone sub-centrali e con una indubbia funzione strategica, sia in termini infrastrutturali sia in termini di rigenerazione urbana. Infatti i sette scali in dismissione di Greco-Breda, Farini, Lambrate, Porta Romana, Rogoredo, Porta Genova e San Cristoforo, coprono una superficie superiore a 120 ettari e sono dislocati lungo la semi-corona ferroviaria che circonda la città consolidata. Il processo di contrattazione per la trasformazione di queste aree urbane ha avuto un iter lungo e complesso, iniziato nel 2005 quando fu sottoscritto un Accordo Quadro tra il Comune di Milano e Ferrovie dello Stato, per sancire la volontà di

trasformare gli scali e riqualificare il sistema ferroviario. Nel 2007 l’Accordo di Programma viene formalizzato con la partecipazione di Regione Lombardia e viene predisposta una variante urbanistica per accompagnare l’Accordo nel 2009. Nel 2012 il Piano di Governo del Territorio stabilisce che la trasformazione deve essere avviata con un Accordo di Programma unitario da cui si devono ricavare rilevanti benefici per la città e per i quartieri, nonché avviare un percorso di ascolto e dialogo con le comunità locali. Nel settembre 2016 la Commissione Urbanistica consiliare riavvia il dibattito sull’Accordo, a seguito della mancata ratifica dell’ipotesi sottoscritta il 18 novembre 2015. Il 14 novembre 2016 il Consiglio comunale approva le linee di indirizzo per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse. Il documento di iniziativa consiliare individua i temi prioritari e di interesse strategico per lo sviluppo sostenibile di tali rilevanti aree e del potenziamento del sistema ferroviario urbano e, attraverso la Commissione urbanistica avvia, un intenso confronto e dibattito con la cittadinanza, i Municipi, Città Metropolitana e i Comuni esterni. Un iter burocratico durato più di dieci anni e ad oggi, 2020, non ancora concluso, che da un lato sottolinea la complessità di gestione di un processo così articolato, dall’altro la criticità di questa vicenda all’interno del contesto milanese, con proposte e progetti che si sono succeduti per più di trent’anni sostanzialmente senza risultati. Nei decenni passati, a partire dagli


anni Ottanta, molte città europee hanno affrontato il problema di un rinnovato rapporto tra infrastrutture e città come occasione per un significativo innalzamento della qualità ambientale urbana. A Parigi, Londra, Barcellona, ma anche città come Amburgo, Amsterdam, Lione, Francoforte, Rotterdam, Stoccolma, Stoccarda e molte altre, la riorganizzazione dei servizi ferroviari ha determinato da un lato la realizzazione di interventi di adeguamento di linee e stazioni, e dall’altro la riconversione delle vaste aree occupate dagli scali merci e dagli impianti tecnologici connessi con processi di rinnovo funzionale e di riqualificazione ambientale estesi a intere parti di città, anche con l’insediamento di servizi ed attività nazionali e internazionali. Milano invece, come già precedentemente posto in evidenza, non ha saputo rispondere a queste problematiche ed occasioni, ha visto molteplici sforzi progettuali rimasti tali, fatti salvi gli interventi sulle stazioni di Centrale, Garibaldi e Lambrate. Nella prima metà degli anni Ottanta, la realizzazione del Passante Ferroviario si proponeva, da una parte, come intervento infrastrutturale del riassetto del trasporto pubblico urbano funzionale all’integrazione nella rete regionale e metropolitana, dall’altra come riordino del sistema della grandi infrastrutture urbane. Sono state ancorate al progetto Passante alcune fra le proposte più significative di recupero delle grandi aree industriali dismesse - si veda il “Documento Direttore delle aree dismesse” del Comune di Milano del 1985 - sviluppate poi

attraverso i Progetti d’Area per Garibaldi-Repubblica, Portello-Fiera, Porta Vittoria e Cadorna. Ma il passante entra in funzione soltanto nel 2004 e alcuni degli interventi, come Porta Vittoria e City Life, sono ancora oggi in corso o sono stati realizzati con strategie ed esiti completamente differenti rispetto a quanto originariamente previsto. Per lo scalo delle FNM Ferrovie Nor d Milano a Cadorna, si sono succeduti il progetto del Centro Studi PIM nel 1981, il progetto di Vittorio Gregotti nel 1884 che generò poi il Progetto d’Area Cadorna del 1985, il Concorso di Idee promosso dall’Associazione Frontisti Ferrovie Nord Milano nel 1994, per giungere infine al 2000 con il progetto ad opera di Gae Aulenti per il ridisegno della piazza e della stazione. Negli anni Novanta il progetto “Nove parchi per Milano” del Laboratorio di Progettazione urbana guidato da Raffaello Cecchi, Vincenza Lima, Pierluigi Nicolin e Pippo Traversi, sviluppato con il Comune di Milano nel 1994-1995, si rivela come una delle ricerche progettuali più interessanti, indirizzato all’individuazione di nuovi capisaldi in grado di riconfigurare l’intero sistema urbano periferico alla maniera inglese. Nel 2004 l’Associazione “Milano domani” propone “Cinque progetti per Milano”, con il coinvolgimento di alcuni massimi esponenti della cultura e dell’architettura Milanese, tra cui Massimo Cacciari, Sergio Crotti e Antonio Monestiroli, nella redazione di proposte di intervento

43


la formazione di un Polo della Cultura a Porta Genova, della Cittadella della Scienza a scalo Farini e del Parco dello Sport a Rogoredo-Porto di Mare.

44

Numerose anche le elebarazioni svolte dalla Scuola di Architettura del Politecnico di Milano, dove il tema degli scali già negli anni Ottanta divenne oggetto di sperimentazioni didattiche, tesi di laurea e ricerche di dottorato. Fino al 2014 con la ricerca del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani coordinata da Gabriele Pasqui, con la collaborazione dell’Agenzia Mobilità Ambiente Territorio e del Comune di Milano, relativa ad un percorso di ascolto e confronto su attese, esigenze e desideri dei soggetti locali in merito alla trasformazione di queste aree. L’ineffettualità di tre decenni di programmazione, di cui gli episodi sopra citati sono solo una parte, testimonia la complessità di questo vasto processo di riqualificazione, sotto i profili politico e socio-economico, ma anche per le implicazioni procedurali, ambientali e gestionali. Complessità che mettono in luce quanto la città come manufatto necessiti di molto tempo per un processo di evoluzione composito. Anche a valle del nuovo Accordo di Programma del 2015, la grande scala dell’intervento, la collocazione delle aree nella città e le conseguenti implicazioni sul sistema della mobilità, la compresenza di diversi attori e interessi nel processo, l’elevato rischio economico che un’operazione di questo tipo implica, prospettano infatti l’avvio

di un processo non semplice e certamente dilatato nel tempo. Molteplici sono gli interrogativi riguardo gli strumenti procedurali, le forme societarie e le modalità di cessione delle aree, gli operatori disponibili all’investimento e la consistenza della domanda reale; così come circa la flessibilità degli strumenti attuativi, i ruoli degli operatori pubblici e privati, e infine i tempi effettivi di restituzione alla città delle aree. Ad oggi gli scali costituiscono a tutti gli effetti delle vere e proprie cesure nella continuità morfologica della città, chiusi all’interno dei loro muri soffocano la città consolidata e negano relazioni dirette con la prima area urbana di espansione, continuando a perpetrare quella dicotomia e quel conflitto tra città e periferia che si porta avanti fin dalle origini dell’insediamento della rete ferroviaria a Milano. Il loro stato di abbandono provoca degrado ambientale e sociale, con la difficoltà di presidiare che porta ad occupazioni abusive e improprie delle aree. Le mutate condizioni di esercizio del trasporto di merci e persone consentono di “costruire un diverso rapporto tra ferrovia e spazio urbano” (Mussinelli, 2015), con una trasformazione che metta in primo piano l’interesse, il carattere e il valore pubblico di queste aree. Gli scali costituiscono in quest’ottica la risorsa spaziale più significativa dell’intera Città Metropolitana. A fronte di queste considerazioni però, sebbene la loro collocazione urbana sia una caratteristica


saliente, per il ruolo storico che hanno svolto nello sviluppo della città, per la loro ampia accessibilità e connessione con essa - che le rende di maggior pregio rispetto a molte aree industriali dismesse occorre tener conto che “si tratta di un fenomeno che non riguarda solo gli ambiti degli scali, ma l’intero processo di riqualificazione urbana” (Pasqui, 2015), che comprende la discussione sul futuro delle aree di Bovisa e Expo, così come il capitolo legato al recupero delle ex caserme. Questo scenario “restituisce l’immagine di una realtà estremamente dinamica, che nonostante la lentezza dell’avanzamento del processo decisionale, risulta interessata da una serie di cambiamenti che stanno modificando in modo sostanziale i caratteri dei contesti di riferimento”. (ibidem) Scenario che implica la necessità di una strategia di sistema per sfruttare queste occasioni, coerente alla differenti parti della città, alla loro forma, dimensione ed unicità, per mantenere l’omogeneità di una risposta al problema di disegnare un nuovo margine urbano e progettare la città alla scala urbana. Si presentano di seguito alcune considerazioni, riprese dal lavoro di ascolto ed analisi fatto dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani nel 2014, per evidenziare le differenti caratteristiche dei singoli scali nell’ottica che per progettare alla scala urbana entro una strategia di sistema occorre progettare la città attraverso il progetto dei luoghi. Gli scali sono presentati singolarmente o a coppia, laddove questi

presentano delle continuità fisiche, come nel caso di Porta Genova e San Cristoforo, o tematiche, come nel caso di Porta Romana e Rogoredo. Greco-Breda: obiettivo della trasformazione di questo scalo dovrebbe essere la ricucitura tra i quartieri storici che esso divide: Precotto, ricco di servizi e attività, e servito dalla linea metropolitana; e Bicocca, polo universitario che fatica a diventare spazio vitale per i nuovi residenti. La conformazione stretta e lunga dello scalo sollecita la sua trasformazione in funzione del miglioramento infrastrutturale dei quartieri da un lato, mentre dall’altro vede l’area come un potenziale luogo per l’estensione del sistema verde di scala territoriale. La sua localizzazione permetterebbe infatti di fare da cerniera tra i grandi sistemi ambientali del Parco Nord, Parco di Villa Finzi, Parco della Martesana e Parco Lambro. Lambrate: lo scalo si configura come opportunità per risolvere la questione del traffico in ingresso alla città dalla Tangenziale Est di Milano. Essendo la porta tra la città consolidata di formazione otto-novecentesca e la città industriale oggi in trasformazione, si mira a risolvere l’attraversamento in via Rombon e Rubattino, ma con l’idea di favorire una mobilità alternativa. Non emerge in questo caso la necessità di collegare i due quartieri storici divisi dalla ferrovia, Lambrate e Ortica, ma lo scalo posizionato ad est del rilevato ferroviario può essere opportunità

45


di miglioramento della fruibilità degli spazi e della loro interconnessione con percorsi verdi.

46

Porta Romana-Rogoredo: Lo scalo di Porta Romana, il secondo più grande dopo Farini, ha assunto nel tempo un ruolo di barriera tra la parte di città consolidata a nord e quella attualmente in forte trasformazione a sud; separazione rafforzata anche dal traffico di attraversamento su viale Isonzo, che rende lo scalo lontano dalla vita della città. Allo stesso modo lo scalo di Rogoredo si colloca in una porzione di città in continuo divenire, per la quale sua potenzialità di trasformazione non è ancora ben definita. Nel caso di Porta Romana il tema diventa il superamento dell’infrastruttura per connettere le zone nord e sud, e l’integrazione della fermata del passante ferroviario con la fermata della metropolitana di Lodi TIBB. La posizione dei due scali fa si che essi possano diventare elemento essenziale per avvicinare il verde urbano al sistema agricolo del Parco Sud. Porta Genova e San Cristoforo: Pur in differenti posizioni e potenzialità trasformative, essi rappresentano un sistema unitario di aree urbane da rigenerare. Per entrambi la vocazione è all’implementazione delle relazione tra i quartieri separati dalla ferrovia ed a diventare infrastrutture verdi che, innervando il tessuto insediativo circostante, possano valorizzare le risorse del territorio: l’acqua del Naviglio Grande, le aree agricole del Parco Sud, il sistema dei parchi urbani esistenti. Rispetto agli altri scali, in questo

caso emerge anche il tema della memoria e della conservazione del sistema ferroviario come segno della storicità e dell’identità del luogo. Farini: è lo scalo di maggiori dimensioni, circa 41 ettari, ed è sicuramente anche il più complesso e controverso. Potrebbe essere un incubatore di volumi generati da altri scali, o all’opposto l’ultimo spazio urbano libero da destinare a parco nella città. Il tema dei bordi e delle connessioni è abbastanza ampio e trasversale trattandosi di uno scalo che tocca un numero elevato di quartieri molto diversi tra loro, per i quali la trasformazione dello scalo potrebbe funzionare come elemento di riordino. La necessità dei collegamenti est-ovest è pregnante, poiché la sua vastità rende obbligatorio il suo attraversamento. Lo scalo potrebbe inoltre diventare un grande parco metropolitano che unisce le due parti di città con spazi naturali e attrezzati, con aree e piazze che ne permettano anche il costante presidio. A scala territoriale quindi gli scali sono visti essenzialmente come un’occasione per trattare quattro grandi temi: il soddisfacimento e l’adeguamento dei tessuti urbani contigui; la sperimentazione di nuove modalità di informazione pubblica; la realizzazione di connessioni territoriali; la tutela del passato anticipando il futuro.

18. Elaborazione grafica degli autori, Milano ambiti di trasformazione e sistemi di mobilità.


47


CRONOLOGIA 1981 Il Centro Studi PIM redige uno “Studio di fattibilità per un’autostazione in Milano-Cardona”

48

1984 Greggotti Associati, G14 Progettazione, Studio GPI elaborano il progetto: “Cardona-Pagano: un progetto per il centro di Milano”. Il Comune di Milano approva il “Documento Direttore del Progetto Passante”, che descrive le strategie d’azione dell’Amministrazione pubblica per la città e per l’area metropolitana. 1985 Il Comune di Milano, come strategie di azione del Progetto Passante, propone il recupero delle grandi aree dismesse attraverso i quattro Progetti d’Area “Garibaldi-Repubblica”, “Portello-Fiera”, “Porta Vittoria”, “Cadorna” e gli “Studi di Inquadramento sud-est e nord-ovest”. 1986 La XVII Triennale di Milano ospita la mostra “Le città immaginate. Viaggio in Italia. 9 progetti per 9 città”, pubblicandone il catalogo nel 1987. 1988 Il Comune di Milano approva il testo “Linee programmatiche per il Documento Direttore sulle aree dismesse o sottoutilizzate” che propone l’esigenza di pianificare il riuso di queste aree attraverso lo strumento dei Progetti d’Area, già presentati nel Documento Diretto-

del Progetto Passante, aggiungendovi le aree della Pirelli alla Bicocca (fino all’ex acciaieria Breda), l’area Montecatini a Morsenchio e l’area Redaelli a Rogoredo. 1988 Il Centro Studi PIM elabora il “Piano direttore territoriale provinciale” che contiene, per la città di Milano, i progetti: Garibaldi-Repubblica, Bovisa, Biococca Sesto San Giovanni, Vittoria, Rogoredo, San Donato, Milano A7 (Agrate). 1994 Il Laboratorio di Progettazione urbana organizzato per incarico dall’Assessorato all’Urbanistica del Comune di Milano e guidato da Raffaello Cecchi, Vincenza Lima, Pierluigi Nicolin e Pippo Traversi, sviluppa “Nove Parchi per Milano”, lavoro rivolto all’individuazione di nuovi capisaldi e al progetti di interventi puntuali volti a riconfigurare l’intero sistema urbano periferico della città di Milano. Nel 1995 verrà pubblicato il catalogo della mostra, ospitata dalla Triennale di Milano. Nel mese di maggio l’Associazione Frontisti Ferrovie Nord Milano, con il patrocinio delle Ferrovie Nord Milano, del Comune di Milano, della Regione Lombardia e della Facoltà di Architettura e Ingegneria del Politecnico di Milano, bandisce il concorso regionale di idee “Cadorna-Bovisa: un concorso per le Ferrovie Nord e la città”, per la trasformazione e la riqualificazione urbana delle aree occupate o attraversate dal tracciato tra Cadorna e Bovisa e della sede ferroviaria e


cittadina delle FNM Cadorna. Gli esiti del concorso vengono esposti alla Triennale di Milano nello stesso anno e pubblicati in un catalogo nel 1995. 2000 Gae Aulenti realizza le opere di arredo urbano di Piazzale Cadorna e di ridefinizione della facciata della sede delle Ferrovie Nord Milano. Nel mese di giugno il Comune di Milano pubblica “Ricostruire la Grande Milano. Strategie, politiche e regole. Documento di Inquadramento delle politiche urbanistiche comunali”, con lo scopo di definire gli obiettivi generali e gli indirizzi dell’azione amministrativa nell’ambito della programmazione integrata di intervento sull’intero territorio comunale. 2004 L’Associazione “Milano domani” propone il lavoro di “5 progetti per Milano”, relativo alla formazione di un Polo della Cultura a Porta Genova, della Cittadella della Scienza a Farini e del Parco dello Sport a Rogoredo/Porto di Mare. L’Unità di Ricerca “Governance, progetto e valorizzazione dell’ambiente costruito”, Dipartimento di Scienza e Tecnologia dell’Ambiente Costruito BEST del Politecnico di Milano elabora, per Ferrovie Nord Milano Ingegneria Srl, una proposta progettuale sulla base di “Studi e ricerche per la riqualificazione e valorizzazione ambientale e fruitiva della tratta ferroviaria compresa tra la Stazione delle FNM Cadorna e il Cavalcavia Bacula”, con il

coordinamento scientifico dei prof. Fabrizio Schiaffonati e Elena Mussinelli, e il loro gruppo di lavoro. Successivamente l’UdR elabora per conto di Ferrovie Nord un documento di sintesi che viene presentato al Comune di Milano. Nel mese di dicembre viene attivato il servizio suburbano “Linea S”. 2005 La legge n.12 del 2005 che introduce i Piani di Governo del Territorio viene approvata in Lombardia nel marzo 2005. Nel mese di luglio il Comune di Milano (giunta Albertini) e Ferrovie dello Stato siglano “Accordo di Programma con contenuto Variante urbanistica al Piano Regolatore Generale vigente per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse e in dismissione site nel comune di Milano”, con la definizione degli obiettivi di valorizzazione urbanistica dei sette scali FS, assumendo che l’intervento dovesse diventare fonte di finanziamento per una serie di interventi di miglioramento del servizio ferroviario milanese. 2007 Viene avviata la redazione del Piano di Governo del Territorio del Comune di Milano. L’UdR “Governance, progetto e valorizzazione dell’ambiente costruito” del dipartimento BEST del Politecnico di Milano, elabora per il Comune di Milano la ricerca “Infrastrutture ferroviarie e processi di riqualificazione nel contesto della città di Milano. Dinamiche in atto,

49


50

progetti, criticità e opportunità di valorizzazione”, con il coordinamento scientifico dei prof. Schiaffonati e Mussinelli. Nel mese di marzo la conferenza dei rappresentanti, insieme alla segreteria tecnica del Comune di Milano, avvia i lavori di redazione della Variante urbanistica dell’Accordo di Programma contenente obiettivi, principi e regole che consentano di riqualificare tali aree ferroviarie mediante l’assegnazione alle stesse di nuove destinazioni funzionali. Il nuovo quadro programmatico disciplina gli scali FS come Ambiti di Trasformazione Urbana ATU nel nuovo PGT. 2009 Nel mese di luglio la Giunta Comunale di Milano approva il Piano di Governo del Territorio. Nel mese di dicembre il Comune di Milano pubblica la Variante urbanistica dell’Accordo di Programma, contestualmente alla Valutazione Ambientale Strategica VAS, prevista per legge per i programmi di valenza territoriale. La programmazione temporale dell’AdP ipotizzava l’avvio delle trasformazioni delle aree disponibili nel dicembre stesso, ma mai avviate. 2010 Nel marzo 2010 l’Urban Center di Milano ospita la mostra “Milano scali ferroviari. Trasformazioni urbane, ruoli e dinamiche territoriali” per esporre gli esiti del workshop promosso dal Dipartimento di Progettazione dell’Architettura DpA del Politecnico di Milano, a seguito del seminario omonimo organizzato

in collaborazione con l’Assessorato allo Sviluppo del Territorio del Comune di Milano e Ferrovie dello Stato, in merito alla trasformazione delle aree disponibili degli scali ferroviari nell’ambito del territorio comunale. Nel mese di luglio il Consiglio Comunale adotta il nuovo PGT. 2011 Nel mese di luglio la Giunta Pisapia revoca la delibera di approvazione del PGT per la mancata condivisione delle linee di sviluppo previste dalla precedente amministrazione su temi relativi quali l’indifferenza funzionale, la perequazione e il destino degli ambiti urbani quali il Parco Agricolo Sud Milano e gli scali ferroviari. 2012 Nel mese di maggio la Giunta comunale approva il nuovo PGT, stralciando le previsioni sugli scali e riaprendo la negoziazione tra il Comune di Milano e FS, per la messa a punto di un nuovo AdP. Nel mese di novembre l’avviso di conclusione del PGT viene pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia, segnando l’entrata in vigore del nuovo strumento urbanistico. 2014 Il Dipartimento di Architettura e Studi Urbani DASTU del Politecnico di Milano, sviluppa, per il Comune di Milano, la ricerca “Trasformazione scali ferroviari milanesi: esiti di un confronto su attese, esigenze e desideri dei soggetti locali”,


coordinata dal prof. Gabriele Pasqui. Gli esiti della ricerca vengono presentati al Politecnico nel novembre dello stesso anno. 2015 Nel mese di aprile l’UdR “Governance, progetto e valorizzazione dell’ambiente costruito” del dipartimento Architettura Ingegneria e Costruzioni ABC del Politecnico di Milano, in collaborazione con il DASTU, organizza il convengo “Un progetto per gli scali ferroviari milanesi” presso il Politecnico, con il coordinamento scientifico della professoressa Mussinelli. 2016 Nel mese di settembre la Commissione Urbanistica consiliare riavvia il dibattito sull’Accordo, a seguito della mancata ratifica dell’ipotesi sottoscritta il 18 novembre 2015. Il 14 novembre il Consiglio comunale approva le linee di indirizzo per la trasformazione urbanistica delle aree ferroviarie dismesse (Deliberazione del C.C. n. 44/2016). Il documento di iniziativa consiliare individua i temi prioritari e di interesse strategico per lo sviluppo sostenibile di tali rilevanti aree e del potenziamento del sistema ferroviario urbano e, attraverso la Commissione urbanistica avvia, un intenso confronto e dibattito con la cittadinanza, i Municipi, Città Metropolitana e i Comuni esterni. Nel mese di dicembre presentato “Dagli scali la nuova città”, cinque tavoli tematici e gruppi di lavoro sugli scali. Parte il workshop internazionale con cinque proposte.

2017 Nel mese di febbraio viene presentato il report delle attività del Workshop “Scali Milano”, tenutosi nel mese di dicembre a scalo Farini. In aprile, in occasione del Salone Internazionale del Mobile e del Fuori Salone viene realizzata presso lo scalo di Porta Genova la mostra “Scali ferroviari. Cinque modi per immaginare la Milano di domani”. Presentati gli scenari realizzati dai team di architettura dopo il workshop di dicembre: verde pubblico, housing sociale e mobilità sostenibile i punti chiave dello sviluppo della città. Nel mese di giugno viene sottoscritto dal Comune di Milano, Regione Lombardia, FS, RFI e FS Sistemi Urbani con Savills Investement Management Sgr, presso lo scalo Farini, l’accordo per il grande piano di riqualificazione delle sette aree dismesse. Oltre 675mila m² di verde, 97 milioni di euro per la Circle Line, 32% delle volumetrie per funzioni non residenziali, 3.400 alloggi per le fasce sociali più deboli. Nel mese di luglio il Consiglio comunale di Milano ratifica l’AdP sottoscritto a giugno. In novembre il Comune di Milano ha individuato le linee di indirizzo per la convenzione per la disciplina dell’utilizzo temporaneo di Porta Genova sottoscritta tra FS Italiane, FS Sistemi Urbani e la stessa amministrazione. In dicembre viene firmata una lettera di intenti tra il Comune di

51


52

Milano, FS e l’Accademia di Brera per l’ampliamento dell’Accademia all’interno dell’ex scalo Farini a partire dal 2018. Soluzione che da un lato risponderà alle esigenze di espansione dell’Accademia e dall’altro consentirà di recuperare nel breve periodo parti dello scalo dismesso, restituendole alla fruizione pubblica con un progetto di elevato interesse culturale e sociale. 2018 In gennaio viene presentato alla Triennale di Milano il programma internazione “Reinventing Cities”, in cui rientra il bando per lo scalo Greco-Breda. Nel mese di febbraio viene sottoscritta tra Comune di Milano e FS Sistemi Urbani la convenzione per la disciplina dell’utilizzo temporaneo dello scalo di Porta Romana, in analogia a quanto già fatto per lo Scalo di Porta Genova. E nel mese di maggio viene firmata la convenzione per la disciplina dell’utilizzo temporaneo delle aree dell’ex scalo di Milano Farini. In luglio viene pubblicato il libro “Scali Milano. Progettare per la trasformazione. Il ruolo di FS Sistemi urbani”. “Reinventing cities”: selezionati i progetti finalisti per i cinque siti milanesi, tra cui lo scalo di Greco-Breda.Presentato il progetto “Agroscalo 2020”, vincitore della Manifestazione d’interesse indetta da FS Sistemi Urbani e Ferrovie dello Stato Italiane per l’uso temporaneo dello scalo di Porta Genova. In ottobre prende il via il “Concorso

Farini”, selezione internazionale per la redazione del masterplan di trasformazione e rigenerazione urbana degli scali ferroviari di Milano Farini e Milano San Cristoforo. Concorso promosso da FS Sistemi Urbani e da COIMA SGR. Il 20 dicembre, Concorso Farini: selezionati i cinque team finalisti per il Masterplan degli Scali Farini e San Cristoforo. 2019 Nel mese di maggio al via la consultazione pubblica sul Masterplan vincitore del concorso internazionale Scali Farini e San Cristoforo. Presentato il progetto vincitore di “Reinventing Cities” per lo scalo di Greco-Breda, il progetto vincitore (con l’offerta economica di oltre 4,8 milioni di euro) presentato dal team rappresentato da Fondo Immobiliare Lombardia (FIL) gestito da Investire sgr, con Fondazione Housing Sociale (FHS) come partner strategico, con Barreca & La Varra per il progetto architettonico e del paesaggio e con Arup Italia per il progetto urbanistico e ambientale. Il 25 Luglio avviene la presa d’atto masterplan Farini e San Cristoforo, e viene dato il via liberata alla fermata della circle line a Mind (Farini). A due anni esatti dall’approvazione dell’Accordo di programma per la riqualificazione degli scali ferroviari, il relativo Collegio di vigilanza ha preso atto del progetto “Agenti climatici” di Oma e Laboratorio permanente, vincitore del concorso internazionale indetto da FS Sistemi urbani e COIMA SGR


in collaborazione con il Comune di Milano. Lo Scalo Romana ospiterà il villaggio olimpico di Milano-Cortina 2026: una volta finiti i Giochi, le residenze degli atleti saranno trasformate in alloggi per studenti universitari come previsto dall’Accordo di programma. Ha già un masterplan e un investitore lo scalo di Greco grazie a Reinventing cities, il progetto promosso in collaborazione con C40 che ha previsto l’alienazione di aree inutilizzate a favore di progetti di elevata qualità ambientale. “L’innesto”, il progetto presentato da Investire SGR spa insieme ai progettisti Barreca & La varra, Arup Italia Srl. In dicembre viene presentato Milano “Reinventing Cities”: “da Loreto a Bovisa allo scalo di Lambrate”.Sette aree milanesi nel nuovo bando internazionale promosso con C40. Sono le sette aree con cui Milano partecipa alla seconda edizione di “Reinventing Cities”, tra cui l’area dello scalo Lambrate. 2020 nel mese di gennaio nello scalo di Porta Romana, si è tenuto l’incontro pubblico “Dagli scali la nuova città. Tre anni dopo”, patrocinato da Regione Lombardia e organizzato da FS Sistemi Urbani in collaborazione con il Comune di Milano. Nel corso dell’evento sono stati presentati i risultati delle attività avviate e gli scenari futuri dei progetti di rigenerazione urbana. Negli ex scali di San Cristoforo e Farini nasceranno due parchi rispettivamente di 14 e 25 ettari, quello di

Porta Romana ospiterà il villaggio olimpico di Milano-Cortina 2026, per Rogoredo e Porta Genova si svilupperanno procedure concorsuali per la stesura dei masterplan, i progetti degli scali di Greco-Breda e di Lambrate parteciperanno alla seconda edizione del bando internazionale “Reinventing Cities”, infine, è in fase di gara l’aggiudicazione dei lavori per la realizzazione della nuova stazione di Tibaldi della Circle line cittadina. L’11 novembre lo Scalo di Porta Romana a Milano viene venduto a Coima, Covivio e Prada per 180 milioni. L’area ex ferroviaria sarà occupata per la metà da un parco. Coima svilupperà il Villaggio Olimpico, che diventerà uno studentato, e la parte residenziale; Covivio gli uffici; Prada curerà il parco e un edificio a uso laboratorio. Ora il concorso per il masterplan.

53



capitolo secondo STRATEGIE URBANE



1. Elaborazione grafica degli autori, Milano sistema del verde e degli scali.

MILANO-CORTINA 2026: UN’OCCASIONE PER MILANO. Nel capitolo precedente si è evidenziato come in passato Milano abbia perso alcune grandi opportunità che avrebbero potuto ridarle energia e immetterla nel circuito di iniziative di altre importanti città europee. L’assenza di una visione urbanistica ha trasformato anche le migliori opportunità in oggetto di inquietudine da parte dei cittadini e ha reso impossibili le decisioni politiche: di fatto la città ha finito per chiudersi su se stessa. Nell’ultimo decennio però la città di Milano pare aver dato una svolta a questa inerzia, da una lato con l’avvio di alcuni progetti emblematici, come l’area di Garibaldi-Repubblica, e l’avvio di altrettanti progetti il cui iter risale a qualche decennio fa, come ad esempio il caso di City Life; dall’altro con una forte spinta data sia dall’Amministrazione comunale sia da Ferrovie dello Stato per la cessione delle aree degli scali ferroviari e un continuo lavoro di ricerca e confronto, con workshop e attività di progettazione. Con l’assegnazione di alcuni progetti fondamentali, primo tra tutti quello per scalo Farini, la situazione scali sembra essersi decisamente smossa dopo tre decenni di stallo, e in questo nuovo scenario si pone la grande occasione delle Olimpiadi invernali del 2026. Con le Olimpiadi, e la realizzazione del villaggio olimpico all’interno dello scalo di Porta Romana, la città di Milano, ha la possibilità di cogliere una grande opportunità che può innescare tutta una serie di processi

di modificazione della città, necessari da un lato a riportarla al pari delle altre grandi città europee, dall’altro a risolvere alcune importanti problematiche del disegno urbano, come appunto le aree degli scali ferroviari dismessi. Lo scalo di Porta Romana con la collocazione delle residenze per gli atleti, e lo scalo di Rogoredo, con la collazione del PalaItalia - struttura chiave di Milano-Cortina 2026 - e il completamento del quartiere di Santa Giulia, svolgeranno un ruolo di notevole importanza, insieme possono dare il via definitivo a tutto il processo completo di riqualificazione degli scali e aprire la città al territorio, e inoltre possono fare da input per tutte le trasformazioni urbane relative alle aree dismesse della Città. Ma per far sì che quella delle prossime olimpiadi invernali possa davvero essere un’occasione per Milano non si può prescindere da una strategia di sistema, come è stato in molte situazioni europee, da Barcellona ‘92 a Londra 2012. Quest’ultima rappresenta sicuramente il metodo più lungimirante fin’ora applicato, che ha portato grandi benefici sotto molteplici punti di vista per la capitale anglosassone. Si prova di seguito a costruire un ragionamento su una strategia di sistema, a partire da alcune considerazioni fatte da Cesare Macchi Cassia, in occasione del workshop “Milano Scali ferroviari” della Scuola di Architettura del Politecnico di Milano nel 2009; e da uno sguardo ad altri casi europei .

57


58

La dismissione dei sette scali ferroviari e le trasformazioni urbane che ne seguiranno per Milano, come si è detto, fanno parte di un processo più ampio, iniziato con la disponibilità di numerose aree produttive alcuni decenni fa, e destinato a proseguire con le caserme. Aree ed edifici dismessi occupano spazi strategici per la trasformazione urbana, il patrimonio delle dismissioni può essere visto come una eredità infrastrutturale per la riqualificazione della città contemporanea. “Riqualificare non significa soltanto dotare di servizi e strutture, quanto rinnovare il disegno strutturale. A questo fine è necessario operare secondo una strategia di sistema”. (Macchi Cassia, 2012). Le forme della città contemporanea vanno integrate con quelle della città storica e della città moderna, perché del resto da queste sono generate. Le aree dismesse infatti si sono costruite nello stesso momento in cui cresceva la città moderna - fine Ottocento e inizi Novecento - e oggi esse sono le uniche aree che potrebbero essere testimoni della contemporaneità attraverso un progetto e un disegno unitario, occasione unica per riqualificare la città, “per cambiare situazioni e aggiornare atteggiamenti” (ibidem). Perché quanto detto possa avvenire, alla base del progetto urbano degli scali ferroviari, occorre che ci siano chiari atteggiamenti metodologici, in primis occorre relazionarsi con tutti i processi di modificazione in corso nel territorio urbano della Città Metropolitana, e non solo con quelli legati al tema delle dismissio-

ni, leggendo quindi l’unitarietà territoriale di Milano. In secondo luogo è necessaria una presa di coscienza dell’opportunità rappresentata da una strategia di sistema capace di mettere a frutto la disponibilità di spazi disposti a corona tra la città compatta e il territorio urbano. Gli scali svolgono un ruolo fondamentale per la loro posizione nella città; posizione che fa si che la rete ferroviaria sia paragonabile ad un nuovo sistema murario per la città, ma che possono divenire tramite il processo di modificazione - elementi di giunzione tra la città compatta e la città aperta. Risulta metodologicamente corretto anche considerare i risultati del lavoro svolto dal Comune di Milano per giugnere alle Varianti Urbanistiche che hanno consentito di giungere all’utilizzo delle aree degli scali, oltre a tutte la attività di ascolto e analisi svolte in vent’anni di lavori di ricerca a riguardo dal Politecnico e da professionisti del settore. Infine sarebbe doveroso fare in modo che il progetto urbano sia prima di tutto un contributo di metodo generale. Milano deve essere in grado oggi di usare quest’occasione della dismissione degli scali e dei giochi olimpici attraverso una strategia di sistema che consideri storicità, forma e centralità, come valori e strumenti del progetto urbano nella città contemporanea. La strategia di sistema deve inoltre essere coerente con le differenti parti della città, ma anche secondo la loro forma, dimensione, unicità e sequenza del verde, per mantenere l’omogeneità di una risposta al

2. Elaborazione grafica degli autori, Milano riconoscimento dei sottosistemi degli scali.


Greco

Breda

59

Farini

Lambrate

Porta Genova Porta Romana

San Cristoforo Rogoredo


60

problema di disegnare un nuovo margine ai siti, un margine urbano e non infrastrutturale. Gli scali, infatti, presentano un confine preciso come definizione, ma casuale rispetto ad un intorno urbano che si è creato attorno ad essi senza poter entrare in contatto ambientale con la loro monofunzionalità. Il progetto si trova di fronte al tema del margine nell’istante in cui decide di abbattere quel muro e lo affronta definendo un nuovo margine della città da abitare, all’interno del preesistente, libero da ogni affiancamento con esso. La forma dei progetti emergerà poi tramite quelli che ne sono i materiali, ovvero il verde e il parco, ai quali applicare geometrie che costruiscano un margine urbano specifico; e il tessuto abitativo, al quale fornire delle regole e un rapporto con la città. Si afferma l’importanza di una strategia di sistema nel progettare alla scala urbana, nel progettare la città attraverso il progetto dei luoghi. Nel caso dell’area sud di Milano, all’interno della quale si colloca il futuro villaggio olimpico entro lo scalo di Porta Romana, si può parlare di un possibile piano d’area che leghi in unico grande disegno urbano, da ovest ad est, le potenzialità degli scali di San Cristoforo, Porta Genova, Porta Romana e Rogoredo - avamposti del Parco Sud in città che svolgono un ruolo di soglia e cerniera tra la Milano compatta e lo spazio aperto del Parco Agricolo - attorno al filo della ferrovia, riconsiderata nel suo ruolo urbano; e la ricomposizione dell’ingresso in Milano dalla storica via Emilia a fianco dello scalo di Rogoredo.

Il potenziale espresso dal riuso delle aree oggi poste in gioco dagli scali deve sapere quindi collocare l’individuazione di determinanti nella costruzione della dimensione e della forma della città futura, in rapporto alle direttrici e alle funzioni dei poli regionali che ne orientano il radicamento territoriale, all’interno di una visione dell’ineludibilità di uno stretto rapporto tra la riforma urbana del capoluogo lombardo e il riassetto insediativo territoriale, nell’ottica della matrice policentrica che contraddistingue la città di Milano, come sostennero - pur nelle loro differenti posizioni - Giuseppe de Finetti, Piero Bottoni e Lucio Stellario D’Angiolini.


STRATEGIA OLIMPICA. IL CASO STUDIO DI LONDRA 2012. Parlando di strategie, e in particolar modo di strategie legate alle olimpiadi, occorre soffermarsi sulla “The olympic strategy: London 2012 and the regeneration of the East End”. L’evento olimpico ha lasciato, nel caso di Londra, un’eredità materiale usata dagli inglesi per mettere in moto una trasformazione urbana pensata come momento attuativo di una strategia precedente, sulla stessa scia dei giochi olimpici di Barcellona ‘92, dove l’evento olimpico è stato gestito come innesco di un’ampia strategia urbana. Il 2012 rappresenta per Londra la sua terza Olimpiade, in precedenza era stata negli anni 1908 e 1948, ma in queste prime due edizioni Londra fu quasi costretta ad ospitare i Giochi Olimpici. Dopo il 1948 Londra candiderà più volte alcune città, tra cui Manchester e Birmingham, ma il Comitato Olimpico Internazionale richiese sempre la candidatura della capitale inglese. Solo negli anni Novanta si inizia a coltivare l’idea di candidare Londra alle Olimpiadi, grazie ai promoters Richard Sumray e Craig Reedie, ma per poter procedere serve l’accordo dello Stato come ultimo finanziatore dell’evento, la firma della dichiarazione di intenti da parte del governo locale e la volontà di partecipazione del Comitato Olimpico Nazionale. In una fase iniziale il Governo di Tony Blaire non sostiene la candidatura e la città di Londra era ancora una semplice municipalità, il che

escludeva il potere decisionale della città. Nel 2000 però avviene un cambiamento importante, il governo nazionale infatti consente nuovamente l’elezione del Sindaco di Londra, vinte dal candidato indipendente Ken Livingstone. Livingstone, uomo politico navigato e membro del Greather London Council, approva l’idea della candidatura alle Olimpiadi, purché avvenga per l’East End di Londra, ovvero per l’area più carente e necessitante di intervento all’interno della città, per far si che i Giochi Olimpici possano essere una leva per la trasformazione urbanistica di una parte di città. Livingstone aveva perfettamente chiaro quanto avvenuto a Barcellona a fine degli anni Ottanta, la città spagnola infatti aveva accolto l’occasione dei giochi per cambiare volto alla città e farla salire in cima alla lista delle destinazioni turistiche. I promoters affidano alla società ARUP il compito di presentare un piano dei costi, in una prima fase sottostimati (da 1,8 mld ai 9,3 mld finali). ARUP mette l’accento sul fatto che la progettazione degli impianti olimpici debba lasciare una legacy per la trasformazione dell’area di Stratford. L’atto di candidatura, composto da 17 capitoli, sottolinea subito nel capitolo iniziale un aspetto fondamentale: la legacy del villaggio olimpico è l’impatto sull’ambiente, che prevede un processo di riqualificazione di una parte importante di città attraverso il progetto olimpico. Londra vince la candidatura nel maggio 2004, di pochi sopra Parigi.

61


62

Il Parco Olimpico verrà creato a pochi minuti dal centro di Londra, riqualificando un’intera area urbana, all’interno di una visione strategica molto più ampia, denominata “London Plan 2004”, che immagina una trasformazione a cerchi concentrici, che prevede la rigenerazione della Lower Lea Valley, Stratford e l’East End di Londra. Nel key diagram del London Plan 2004 si determina che l’espansione e trasformazione di Londra dovrà rivolgersi verso nord-est, verso l’area di Stratford. Ricevuta la conferma dal CIO si parte all’esproprio, demolizioni e bonifiche per passare alla progettazione di strutture per il Parco Olimpico. Pianificazione che viene affidata all’Olympic Delivery Authority, e il masterplan alla EDAW, società internazionale di architettura del paesaggio. Poiché l’ODA dal 2008 assume il compito di portare a termine i lavori entro il 2012 nei costi stabiliti, nel 2009 viene costituito un nuovo soggetto che si occupa della legacy, un organismo pubblico chiamato Olympic Park Legacy Company, un’organizzazione a lungo termine per la gestione dell’area. Nel 2011 Livingstone viene sconfitto da Boris Johnson, il quale controlla l’operato delle Legacy Corporation affidandogli il compito di ampliare il Legacy Masterplan affinché avvenisse uno sviluppo edilizio nelle aree libere del parco con lo scopo di restituire al governo nazionale i fondi investiti nella prima fase.

L’area della Lower Lea Valley è stata scelta anche per permettere il collegamento del Parco Olimpico con la linea dell’alta velocità che passava dalla Manica. Anche se tuttavia alla fine dei Giochi il gestore dell’alta velocità ha deciso la soppressione della fermata di Stratfort perché poco distante dal capolinea di Kingscross. Nel documento urbanistico per la rigenerazione della Lower Lea Valley si immagina un effetto catalitico di processi di trasformazione ad induzione. L’obiettivo è infatti quello di costruire una continuità morfologica ed un paesaggio di parchi ad alta sostenibilità e linee d’acqua. Il Masterplan del Parco Olimpico viene pensato come area che si densifica progressivamente. L’obiettivo è vendere e densificare i lotti precedentemente espropriati. Il primo cantiere è il Chobham, dove avviene un processo di densificazione residenziale. L’effetto della rigenerazione si avverte entro i confini del parco, ma non ancora da fuori. Attualmente vi è poca rigenerazione spontanea, l’influsso degli investimenti per area si avverte solo all’interno del parco. Il Villaggio Olimpico sarebbe dovuto diventare social housing per volontà dell’Amministrazione comunale, ma essendo stato edificato con fondi statali si è dovuto procedere alla vendita ad un fondo privato, il quale ha messo in affitto parte dello stabile e solo una piccola parte è stata adibita a social housing.

3. Edaw 2010, Legacy Masterplan Framework London. Structural development of London Olympic Park after the Games of 2012.


63


L’ esito di questa operazione sul Villaggio Olimpico è comunque positivo, poiché gli edifici sono completamente abitati, sebbene non dalla stessa tipologia di utenti per cui lo si era pensato.

64

Il 2030 rappresenta infine il termine ideale per il completamento della densificazione dell’area. La trasformazione dell’East End di Londra è da immaginare come un lungo percorso, della durata di circa mezzo secolo, che parte dalla riqualificazione dei Docklands, dagli anni Ottanta, al Parco Olimpico dal 2004. Ecco allora che il caso di Londra diventa emblematico anche per Milano, la strategia adottata è stata lungimirante e ha guardato alla crescita di un intera parte di città, sfruttando l’occasione olimpica come mezzo per la rigenerazione di parti di città che necessitavano un intervento. La situazione di Milano non è così differente dal caso inglese, la scelta di collocare infatti il Villaggio Olimpico all’interno dell’area dello scalo di Porta Romana può permettere la ricucitura di due parti di città e la densificazione dell’area secondo le quantità stabilite dal PGT, e allo stesso tempo compensare i costi per le opere di bonifica e urbanizzazione, e soprattutto per la realizzazione di un grande parco urbano all’interno dell’area dello scalo. L’intervento sullo scalo di Porta Romana può quindi essere il motore per un intero processo di rigenerazione per tutte le aree degli scali e per la città di Milano, nella speranza che venga adottata una corretta strategia di sistema che giovi allo

sviluppo della città, non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto dal punto di vista urbano. Il caso di Londra si rivela significativo anche per la gestione del processo economico che si pone alla base di qualsiasi ragionamento e che avrebbe dovuto e ancora dovrebbe essere da riferimento per la gestione degli scali milanesi: l’Ordine degli Architetti di Milano, dopo la notizia della vendita dello scalo di Porta Romana a società private, si sta infatti battendo perché venga indetto un concorso di progetti per la rigenerazione dell’area, ma a fronte degli interessi capitalistici della nuova proprietà sorge spontanea la domanda “non sarà troppo tardi?”.


ANALISI COMPARATIVA. TRE CASI STUDIO. Osservando lo scenario dell’evoluzione delle città europee si può notare come nei paesi dell’Unione si segua uno sviluppo caratterizzato dalla compattezza e dall’alta densità, con la trasformazione delle città dal loro interno, con il recupero e la rigenerazione delle aree dismesse, con l’obiettivo di preservare i suoli vergini. Tra le differenti tipologie di aree urbane dismesse, in Europa assumono un ruolo di rilievo quelle ferroviarie. Esse giocano un ruolo importante per la loro collocazione nei pressi della città compatta, con aree accessibili e già infrastrutturate, e una vasta dimensione contraddistinta da un unico regime proprietario. Proprio per questo la trasformazione delle aree ferroviarie dismesse è stata alla base di molte delle più interessanti strategie di rinnovamento urbano portate a compimento negli ultimi anni. Le aree ferroviarie dismesse, per la loro dimensione e collocazione nel tessuto urbano, costituiscono un’opportunità per le città di risolvere le criticità intrinseche comportate da loro non utilizzo. In questo scenario, come si è visto in precedenza, il caso di Milano è una questione aperta, iniziata nel 2005 e ad oggi ancora in fase di definizione. Per tale motivo, sempre all’interno della comprensione delle strategie di sistema, si reputa interessante confrontarsi con tre casi studio europei che hanno saputo affrontare con strategie di successo il tema della rigenerazione delle aree ferroviarie urbane dismesse.

Vengono di seguito presi in analisi tre interventi che per quantità di suolo e obiettivi richiesti possono essere confrontarsi direttamente con l’area dello scalo di Porta Romana, oggetto di questo lavoro di ricerca. Si segue l’approccio metodologico adottato da una recente ricerca della ARUP proprio per gli scali ferroviari milanesi, fondata su quattro parametri - localizzazione, reperibilità di informazioni, aspetti quantitativi e qualitativi - che permettono di raccontare criticamente gli interventi selezionati, mettendo in luce obiettivi e strumenti che ne hanno permesso l’esito positivo. E tre livelli di analisi: inquadramento, per analizzare in contesto e il processo di rigenerazione; specificità per comprenderne obiettivi e peculiarità; effetti, ovvero i fattori chiave e i benefici ottenuti. I casi studio selezionati sono quelli di King’s Cross a Londra, Spoor Noord ad Anversa e Saint-Sauveur a Lille.

65


LONDRA, KING’S CROSS periodo di trasformazione: 2001-2020 (19 anni) area: 27 ettari

inediti cambiamenti macro-sistemici e dalla destandardizzazione dei percorsi di vita individuali.

cronologia: strategia: LONDON PLAN

66

Il London Plan è la strategia di sviluppo spaziale che il sindaco, i 32 borough di Londra e la Corporation of the City of London, redigono sulla base delle linee guida definite dal Greater London Authority Act del 1999. Si tratta di un documento strategico per la città, con un’ottica di lungo periodo (20-25 anni), che delinea un articolato quadro di riferimento, capace di integrare e coordinare questioni economiche, sociali, ambietali e trasportistiche. Le strategie disposte sono relative ai temi del trasporto, dello sviluppo economico, dell’housing, della cultura, dell’ambiente, delle politiche sociali e sanitarie. Il Piano intende rispondere ad alcune principali necessità: la continua crescita demografica, almeno nel corto-medio periodo; l’invecchiamento della popolazione; i mutamenti economici; povertà; cambiamenti climatici; uso efficiente delle risorse disponibili; miglioramento della qualità della vita. Il Piano individua, in particolare, alcune aree che necessitano di urgenti politiche di sviluppo urbano; tra queste identifica la zona a est di Londra, le opportunity areas e le areas for intensification. Per queste aree vengono predisposti dei progetti di rigenerazione urbana per la creazione di nuovi quartieri, capaci di offrire alti standard qualitativi e rispondere alla nuova domanda abitativa insorgente, plasmata da

1970 declino e abbandono delle attività. 1996 decisione di costruire il Channel Tunnel Rail Link . 2001 avvio del piano di sviluppo e gestione. 2006 approvazione del masterplan. 2011 apertura del Granary building, primo edificio realizzato. 2013 Google annuncia il suo trasferimento all’interno dell’area. 2020 data prevista per la conclusione dei lavori.

l’area: King’s Cross si trova nel London Borough di Camden, 4 km a nord di Charing Cross e 4,5 km a nord-ovest di Liverpool Street, dentro i confini della City of London. Lo scalo si caratterizza per una forma a lacrima ed è attraversato orizzontalmente dal Regent Canal che lo divide a metà. È collocato nelle adiacenze di Euston Road e alle stazioni ferroviarie di King’s Cross e St. Pancras International.

Dagli anni ’70, le attività industriali cominciano ad entrare in una fase di declino e le strutture subiscono un progressivo abbandono. L’area si caratterizza per un


forte stigma negativo che a partire dagli anni ’80 influisce sul mercato degli affitti, i più bassi nel centro di Londra, con uno stock commerciale invariato dal XIX secolo. La svolta si concretizza nel 1996 con la decisione di costruire un nuovo tunnel di collegamento dalla stazione di St Pancras al Tunnel della Manica: il Channel Tunnel Rail Link è un importante incentivo per la rigenerazione urbana di King’s Cross e un’occasione di rilancio per l’intero quartiere. Grazie all’intervento di rigenerazione, il nuovo sviluppo, che si completerà nel 2020, attirerà oltre 45.000 persone ogni giorno. La creazione di un nuovo hub ad uso misto e la valorizzazione degli spazi pubblici, sono considerati elementi prioritari per garantire un miglioramento della vita urbana e uno sviluppo economico dell’area.

obiettivi e principi: - ricercare identità attraverso il disegno urbano; - garantire l’accessibilità a tutta l’area e collegarla al resto della città; - promuovere multifunzionalità e flessibilità; - sfruttare il valore del patrimonio esistente; - garantire che i benefici derivanti dalla riqualificazione durino nel tempo; - promuovere l’idea di una città sicura e sostenibile. Tutto ciò per il raggiungimento dell’obiettivo principale del rilancio economico dell’area. Aspetto di grande innovazione del masterplan è stata la scelta di

definire la superficie in termini di total permissible land, garantendo a circa un 20% della slp una maggiore flessibilità, con funzioni definibili anche nel corso dello sviluppo del masterplan. Tale accorgimento ha reso il progetto più flessibile e adattabile ai cambiamenti del mercato e la sua implementazione più efficiente, pur lasciando fissi percorsi, altezze minime e massime, densità e scala degli elementi della trasformazione.

67


68


4. Allies and Morrison 2019, Pentaptych of King’s Cross Masterplan. 5. ARUP 2017, Londra King’s Cross. Dati del progetto.

69


ANVERSA, SPOOR NOORD periodo di trasformazione: 2000-2019 (19 anni) area: 24 ettari strategia: PIANO STRUTTURALE DI ANVERSA

70

Il Piano Strutturale di Anversa è un piano spaziale, strategico, risultato di tre anni di collaborazione tra lo studio italiano Secchi - Viganò e la Città. Il Piano introduce una strategia territoriale a tre livelli per promuovere una renovatio urbis, attraverso una serie di interventi puntuali negli spazi pubblici. A tale scopo, tre tipologie di policy sono state adottate: generiche, specifiche e di azione. Al primo livello delle politiche generiche sono state individuate 7 immagini, che raccontano la storia della città: la Città dell’Acqua, la Città Ecologica, la Citta Porto, la Città della Ferrovia, la Città Porosa, Villaggi e Metropoli, la Mega City. Al secondo livello delle politiche specifiche, vengono individuate 5 aree strategiche, base per lo sviluppo di programmi e progetti concreti per la promozione di una rigenerazione urbana sostenibile e coerente. La “Spina Rigida - Hard Spine” è l’insieme dei luoghi che struttura la città e il suo principale obiettivo è la valorizzazione del rapporto città-fiume. La “Spina Leggera - Soft Spine” è, invece, l’insieme degli spazi strategici in cui si enfatizza la presenza di un paesaggio e di un sistema ecologico coerente.Le altre strategie sono così definite: Green Singel, Lively Canal, Lower Network and Urban Centres. Infine, le politiche attuative o

progettuali si focalizzano sui siti, piazze, spazi verdi, strade ed edifci, ed intervengono da diverse prospettive.

cronologia: 1998 cessazione delle attività e cessione delle aree a parco. 2001 identificazione dell’area come zona di sviluppo urbano. 2002 concorso di progettazione. 2005 approvazione del piano e dei lavori di bonifica. 2009 apertura del parco. 2014 completamento delle torri residenziali. 2019 conclusione dei lavori.

l’area: Alla fine degli anni ’90, la compagnia ferroviaria nazionale belga, NMBS, ha deciso di dismettere le attività di smistamento che si svolgevano presso l’ex stazione “Antwerpen Dam”, a nord del centro, lasciando vacante un’area che dalla seconda metà dell’Ottocento costituiva un elemento di frattura per i quartieri limitrofi, Dam, Stuivenberg e Seefhoek. Nel 1998 l’area dall’inusuale forma allungata - 1,2 km di lunghezza - divisa a metà dal Viaduct Dam e attraversata sottoterra dalla linea ad Alta Velocità, viene strategicamente identificata come “zona di sviluppo urbano”.


Nello stesso periodo, una survey condotta nei quartieri limitrofi, individua la necessità di un aumento della dotazione di verde e di servizi pubblici. Nel 2001, la cessazione definitiva delle attività all’interno del sito, offre alla città l’opportunità di promuovere lo sviluppo di un nuovo grande parco urbano all’interno del sito. Nel Piano strutturale della città, redatto tra il 2003 e il 2006, l’area viene inserita nella “Soft Spine”, intervento strategico che coinvolge una sequenza di spazi aperti interconnessi, definiti da acqua e vegetazione, che si inseriscono nel tessuto costruito della città e costituiscono la base progettuale per lo sviluppo di un sistema di cinque parchi. L’accordo con NMBS viene raggiunto nel 2001: NMBS cede diciotto ettari del sito e delle strutture e degli edifici inerenti alla città per la cifra simbolica di un euro con la concessione da parte della città dei diritti edificatori per sei ettari del sito, localizzati nella punta ovest, per lo sviluppo di un denso insediamento misto, Kop Spoor Noord.

obiettivi e principi: - aumentare la dotazione di verde e servizi pubblici e riconnettere i territori limitrofi; - integrare scala locale e metropolitana; - concepire il parco come uno spazio sociale; - definire una connessione ecologica est-ovest; - integrazione del viadotto e degli edifici ferroviari per la creazione di un complesso multifunzionale; - concentrare e densificare lo

sviluppo urbano nella parte ovest del sito, così da massimizzare le superfici a verde. Tema chiave è il processo concertativo che ha portato l’amministrazione pubblica della città ad ottenere la realizzazione dei diciotto ettari di parco. L’area, di totale proprietà delle ferrovie statali, è stata concessa per la cifra simbolica di un euro alla città in cambio di un accordo che consentiva alle ferrovie di sviluppare un nuovo centro urbano misto, denso, nella punta ovest del sito. La capacità della città di attrarre finanziamenti pubblici da programmi europei e nazionali e di coinvolgere la popolazione nel processo di realizzazione del parco ha contribuito al successo.

71


72


6. Secchi, B. e Viganò, P. 2000, Spoor Noord Masterplan.

7. ARUP 2017, Anversa Spoor Noord. Dati del progetto.

73


LILLE, SAINT-SAUVEUR periodo di trasformazione: 2008-2030 (22 anni) area: 23 ettari strategia: STRUMENTO DI PIANIFICAZIONE LOCALE PER L’AREA METROPOLITANA DI LILLE

74

Il Plan Local d’Urbanisme (PLU) della Métropole Européenne de Lille (MEL) è il documento fondamentale che detta le politiche e le strategie per uno sviluppo sostenibile dell’intero territorio metropolitano. Si tratta di un documento che regolamenta l’uso del suolo ed ha un grande impatto sulla definizione dei progetti e delle concertazioni tra gli attori coinvolti. Ogni PLU è costituito da un quadro conoscitivo, da un progetto d’indirizzo per lo sviluppo sostenibile del territorio, da un regolamento, da un corredo di elaborati grafici ed una serie di allegati. Il PLU dell’area metropolitana di Lille è stato approvato nel 2004, e, a seguito delle profonde trasformazioni avvenute negli ultimi 10 anni, è in corso una sua completa revisione. A partire dal febbraio 2015, è stato dato avvio allo sviluppo di uno schema di coerenza territoriale che non solo deve essere compatibile con gli standard più elevati, ma deve definire le nuove ambizioni del territorio e calibrarle sulla base delle risorse e opportunità disponibili. La gestione del territorio metropolitano fa riferimento anche al Programma locale dell’Abitare (Programme local pour l’Habitat), che definisce le linee guida per il dimensionamento dell’attuale offerta di alloggi, con particolare

attenzione anche alle politiche di social housing.

cronologia: 1960 inizio saturazione dello scalo rispetto alle esigenze. 2001 costruzione di una nuova piattaforma esterna. 2003 chiusura della Gare Saint-Sauveur. 2004 Lille viene nominata città europea della Cultura. 2009 riuso degli spazi per gli eventi culturali (Lille 3000). 2012 studi preliminari di consultazione. 2013 concorso e selezione masterplan. 2017 inizio dei lavori.

l’area: A distanza di venti anni dalla nota trasformazione di Euralille, con il progetto Euralille 3000 la città vuole compiere un ulteriore passo in avanti nel proprio processo di rigenerazione. Il progetto abbraccia un’area di circa 250.000 mq con diversi programmi d’intervento. L’area è uno scalo merci dismesso dal 2003 a seguito della raggiunta soglia di saturazione dettata dalla scarsa dimensione del sito, conclusione di una parabola decrescente che ha avuto inizio già dagli anni 60’. L’area, dalla forma rettangolare, si trova nel distretto meridionale del centro di Lille.


L’elemento determinante, che ha portato alla definitiva delocalizzazione delle attività, è stata la costruzione di una nuova piattaforma internazionale, Delta 3, nei pressi di Dourges (Pas-de-Calais), iniziata nel 2001 e aperta nel 2003. Sulla scia della nomina di Lille Capitale europea della cultura, nel 2009, si è avuta una prima risposta rispetto alle discussioni sul futuro dell’area, scegliendo di ristrutturare le aree situate a nord del sito e denominate Les Halls, trasformandole in strutture culturali tra le più dinamiche della città. Da ostacolo fisico all’integrazione di alcuni dei quartieri più popolari della città, il progetto, ad opera del gruppo Gehl Architects, offre l’opportunità di ricucire il tessuto della città ripristinando connessioni e integrando nuovi servizi e strutture pubbliche per la città.

obiettivi e principi: - attenzione alla scala umana; - realizzazione di un nuovo quartiere residenziale accessibile e connesso; - presenza di un corridoio verde di connessione che attraversa il sito; - alta qualità architettonica e diversificazione dell’offerta edilizia; - presenza di spazi condivisi; - sviluppo di una mobilità sostenibile. L’aver intrapreso il processo di rigenerazione del sito attraverso la ristrutturazione parziale di una porzione ridotta dello scalo ha permesso di sperimentare e testare soluzioni temporanee. Inserita nel circuito del programma culturale

Lille 3000, Gare Saint-Sauveur è diventata una delle strutture più attrattive e visitate della città. Il successo dell’intervento viene infatti riconfermato nel masterplan proposto, in cui Les Halls, il settore a nord, mantiene la funzione di centro creativo culturale del quartiere e dell’intera città.

75


76


8. Ghel Architects 2008, Lille Saint Saveur Masterplan. 9. ARUP 2017, Lille Saint Saveur. Dati del progetto.

77


78


10. Elaborazione grafica degli autori, Catalogazione degli scali milanesi.

L’analisi dei tre casi studio mette in evidenza gli elementi di successo di ciascuna trasformazione, in tal modo queste esperienze rappresentano una interessante chiave di lettura qualitativa. L’attenzione sui focus permette di portare in evidenza quelle scelte e azioni che hanno contraddistinto, per innovazione o specificità, il processo di ciascuna trasformazione e ne hanno determinato la buona riuscita. Ogni focus è, infatti, specifico, in quanto legato a un caso studio, ma anche generalizzabile, in quanto, con dei limiti, potrebbe essere decontestualizzato e guidare la rigenerazione urbana di future aree ferroviarie dismesse. Se da un lato, i benefici delle trasformazioni analizzate sono evidenti, le modalità che portano al successo di una trasformazione, frutto di una serie di strategie politiche e progettuali - legate al superamento di insidie tempistiche, burocratiche e per la diversità e mutevolezza degli interessi in gioco - sono tutt’altro che scontate. Nella progettazione dei sette scali di Milano, e ancora di più nel caso dell’area studio dello scalo di Porta Romana, guardare all’Europa rappresenta un utile confronto per comprendere le potenzialità di questi particolari vuoti urbani, e consentono di muovere verso una determinazione di una strategia futura appropriata.

79



capitolo terzo TRAIETTORIE DEL DISEGNO URBANO


82


1. Cerdà, I. 1860, Proyecto reforma y ensanche de Barcelona.

PROGETTO URBANO La questione delle aree dismesse in Europa ha dilatato il proprio significato fino a coincidere con un nuovo modo di attuare la pianificazione urbana e territoriale, già a partire dalla fine degli anni Ottanta. Queste aree rappresentano “un nuovo stato di necessità, in grado di cogliere un’occasione storica di trasformazione concreta che non si presenterà più per molti anni a venire” (Gregotti, 1990). Si è portati dunque ad interrogarsi riguardo a quali regole deve sottostare il disegno di queste nuove parti di città, essendo settori dove si costruisce in mezzo al costruito, per ottenere un miglioramento che sia qualitativo e che si possa radicare nella identità strutturale della città. Ruolo rilevante nell’imposizione delle regole spetta sicuramente ai piani regolatori, ma nel caso di Milano, come già negli anni Settanta sottolineava Aldo Rossi, il bilancio di secoli di urbanistica ed architettura è negativo, anche rispetto ad altre città italiane, ma soprattutto rispetto ad altre città europee. “A Milano [...] il tempo sembra essersi fermato alle polemiche del Cattaneo sulla Piazza del Duomo e al controverso progetto mengoniano” (Rossi, 1978). Negli anni Ottanta e Novanta, nella scena della città europea, in particolar modo da città come Berlino, Barcellona, Amsterdam - territori di sperimentazione del progetto urbano- emerge la teoria che non deve essere tanto il piano urbanistico a progettare la città, quanto operazioni più mirate e in grado di generare una reazione a catena sulla

città. Da lì nasce la teoria che la città vada progettata attraverso quello che è il progetto dei luoghi, ovvero occorre progettare alla scala urbana. Questa deve essere la strategia alla base di un progetto di rigenerazione urbana, progetto che deve possedere una tensione verso un orizzonte, un’ipotesi di trasformazione generale di senso della città stessa. Il disegno urbano diventa una condizione di cui l’architettura assume la responsabilità del senso della modificazione, all’interno di una città - quella europea - che si presenta come la sintesi delle contraddizioni delle epoche recenti e della relativa crisi dell’architettura, ma anche condizione possibile del superamento di questa crisi. Ingnasi de Solà Morales, in un saggio intitolato “Territori” all’interno del numero 110 di Lotus, nel 2001, cercando di definire cosa si intenda oggi, nella contemporaneità, per architettura e città, parlando di territorio come “concetto perlimiare [...] che assume la problematica proposta oggi tanto dall’architettura quanto dalla città” (de Solà Morales, 2001), sostiene che il progetto urbano sia “un’occasione per dare luogo ad una parte di città” (ibidem). Teoria, quella dell’architetto e teorico catalano, che si inserisce all’interno di una riflessione più ampia sul disegno della città contemporanea ampiamente trattato sulle pagine di Casabella anche da Vittorio Gregotti, e che si pone il doveroso interrogativo su quali sia le proposte offerte dalla città e dalle architetture contemporanee alle domande e al sistema dei valori delle città contemporanee. Le grandi città, le grandi metropoli - parafrasando il titolo

83


84

del famoso testo di Hilberseimer del 1927 - le decidono i grandi professionisti e i grandi progetti particolari, coloro che per la risonanza delle loro proposte, il riconoscimento e l’ammirazione che suscitano, segnano i modi dell’edificazione della città anche nel competitivo mercato contemporaneo. Del resto è ben visibile agli occhi come la città contemporanea - Milano in primis - continui ad essere marcata da architetture emblematiche che seguono le mode, architetture già vecchie prima ancora di essere terminate. Architetture brillanti, seducenti, attraenti, che tuttavia dicono sulla città molto di più di quanto dicano i loro stessi autori; fari di stimolazione estetica nel grigio delle città che trasmettono l’individualismo della competitività per accaparrarsi l’attenzione più esclusiva, propri della nostra cultura. “Ma non è questa tutta l’architettura contemporanea, né l’unico modo di stabilire relazioni acritiche fra l’architettura, la città e i suoi modi di produzione, convenzionalmente accettati” (ibidem). Nella cornice europea, infatti, dagli anni Sessanta, architetti come Marcel Smets, Antoine Grumbach, Alvaro Siza, Albert Viaplana, Rafael Moneo, Manuel Solà Morales, Juan Navarro Baldeweg, Oriol Bohigas, Herzog e De Meuron, Lio Galfetti, Enric Mirales, Vittorio Gregotti e tanti altri, hanno fatto dei loro edifici soltanto una parte di una problematica più ampia, che è quella del progetto urbano secondo la teoria prima espressa con le parole di Ignasi de Solà Morales. In quest’ottica il progetto di architettura e i piani urbanistici sembrano cercarsi a vicenda,

perché non si può pensare il disegno urbano della città a prescindere dal piano, e allo stesso tempo non è possibile pensare ad un piano che non sia attuabile tramite singoli progetti dei luoghi. “Progetto urbano vuol dire che l’architettura parte da dati esistenti nella città, resti, memorie, frammenti, direttrici, scegliendoli in maniera selettiva quali vincoli al proprio progetto, nel momento in cui questo viene proposto come risposta e soluzione ad uno stato di cose che già in precedenza veniva sentito come incompiuto, spezzettato, irrisolto” (ibidem). La città viene interpretata come topografia e luogo concreto, come riferimento esistente, come tradizione e continuità. E in una situazione dove tanto la nozione di architettura quanto quella di città sono sottoposte a profonde trasformazioni di significato, è necessaria anche un’architettura che si confronti con la città, che con questa dialoghi, la interpreti, la rappresenti e la manipoli; come del resto ci testimoniano alcuni progetti europei di Peter Eisenman e i concetti teorizzati in modo dirompente da Rem Koolhaas. I grandi piani, come il Plan Cerdà di Barcellona, l’IBA di Berlino e i Docks di Amsterdam, insegnano che il progetto urbano è una pratica di ridefinizione della Città, di ricostruzione del lessico urbano, di approfondimento degli aspetti morfologici e tipologici della Città stessa. Elementi dimostrati anche attraverso alcune rigenerazioni di aree urbane dismesse con grandi progetti urbani, come nel caso dei grandi Parchi parigini della Villette,

2. Kleihues J.P., Rossi A., Grassi G. 1991, Berling Morgen, Proposte per le aree intorno a Wilhemstrasse/ Tiergarten a Berlino.


85


86


3. OMA 1989, Euralille.

Parc Citroen, la Zac di Bercy; e gli interventi dell’Euralille, della Casa da Musica a Porto e del Caixa Forum di Barcellona. Nel dibattito sugli scali ferroviari dismessi a Milano la responsabilità del progetto urbano, come definito nelle righe precedenti, è imprescindibile, soprattutto a fronte di certe posizioni, che hanno assunto anche un certo rilievo come alcune delle cinque proposte presentate nel 2017, che propongono una schematica contrapposizione tra la città tradizionale, consolidata, e la metropoli senza storia. Basta osservare anche le varie immagini pubblicate sui giornali e nelle riviste, che prefigurano nuovi paesaggi urbani con una tendenza alla spettacolarizzazione; si osservino ad esempio il progetto “un fiume verde per Milano” di Stefano Boeri, il progetto per la nuova torre A2A nello scalo di Porta Romana, o i progetti realizzati di City Life. Sembra esser stata messa in atto “una vera e propria mutazione del carattere della città” (Torricelli, 2012), dove la ricerca dell’immagine, l’esibizionismo tecnologico e la preminenza della griffe si pongono in contrasto al carattere introverso di Milano, a quella sequenza di spaziale di strade e corti, configurate come interni urbani che definiscono il tessuto della città consolidata, ed a quelle architetture che non si pongono nella città come episodio isolato, ma come occasione per costruire una parte di città, di quella città che è “un manufatto collettivo [...] a cui noi possiamo portare solo un contributo” (Bonfanti, 1981). Nel confronto tra diverse idee di città, il progetto urbano assume un

ruolo critico e propositivo rispetto alle condizioni materiali e culturali dei processi, ed emerge come la città per costruirsi abbia bisogno di tempi più distesi che consentano di definire progetti espressivi della loro necessità in relazione ai luoghi. Milano è da sempre una città di dimensioni contenute, ma mai dai rapporti territoriali estesi. Nel corso della sua storia, come in parte si è già visto nel primo capitolo, lo sviluppo urbano è stato caratterizzato da una dialettica del tutto originale, non solo tra centro e periferia, ma anche tra dimensioni molto differenti, alla scala della città e del territorio: dalla struttura multipolare dell’età romana, quando Milano si è precocemente configurata come città di città; alle profonde trasformazioni che in età moderna hanno avuto luogo nel comune di corona dei Corpi Santi, oggetto delle ben note prese di del già citato Carlo Cattaneo; agli addensamenti nei comuni contermini tra le due guerre e l’hinterland nel secondo dopo guerra; ai prolungamenti foranei lungo le direttrici nord-ovest e nord-est. Alla dimensione relativamente contenuta del centro consolidato entro il principio radiale accreditato dalla urbanistica otto-novecentesca, è sovrapposto un sistema di relazioni che agiscono entro dimensioni territoriali differenti, mentre alla scala del territorio persiste una matrice strutturante impostata sulle giaciture del sistema delle acque e del territorio agricolo produttivo che fa affiorare elementi apparentemente labili rispetto allo stereotipo del disegno radiocentrico dominante. Occorrerebbe dunque un contrasto

87


88

consapevole alle diffuse pratiche di mera descrizione dei fenomeni e di costruzione come forma di rispecchiamento, che “nei grandi progetti di rigenerazione urbana si è limitata a riprodurre ovunque la banalità dell’oggetto isolato autoreferenziale, la negazione di ogni ordine insediativo, l’inseguimento di modelli estranei” (ibidem). Il progetto urbano ha il compito di approfondire il valore non soltanto documentario, ma soprattutto costruttivo del processo di stratificazione di segni, geometrie, tracciati, trame, processi di trasformazione e forme ripetute, indagando nel contempo quella vera e propria funzione insediativa che non solo le preesistente materiali, ma anche le formulazioni teoriche hanno svolto nel costruirsi della città e del territorio. Osservando le aree dismesse degli scali milanesi, si può notare come la sovrapposizione del sistema ferroviario al corpo della città abbia introdotto un ulteriore livello nella stratificazione; nel corpo della città si sono formati grandi spazi mono funzionali nei quali le regole dell’urbano sono state soppresse. Oggi, venuta meno la funzione di queste grandi aree, il progetto urbano è chiamato a dare delle risposte, a leggerne il carattere e le risposte che questi territori attendono, ad individuare in questi luoghi nuovi sistemi, non solo di spazi e forme, ma anche di valori e significati, entro una prospettiva non nostalgica che superi l’approccio dell’archeologia industriale e la logica stridente del modello della indifferente metropoli globalizzata.

Si vuole qui ribadire l’accezione di progetto urbano in senso poietico, ovvero del progetto come sintesi interpretativa. Il progetto urbano “non si limita a presentare se stesso, ma si appropria dei luoghi, smonta le apparenti coerenze, isola e riconosce le parti e i frammenti, ricompone un’unità credibile, rende conoscibile allo stesso tempo l’architettura e la città” (ibidem). Il progetto urbano inoltre deve avere la capacità critica, di formulare un giudizio, anche storico, nella scelta dei quelli che sono gli elementi, le permanenze, monumenti, i “fatti urbani” (Rossi, 1966), come capisaldi di un ordine da contrapporre alla facile legittimazione della dispersione urbana. L’eterogeneità che caratterizza la città contemporanea, si manifesta con grande evidenza negli ambiti degli scali ferroviari, costituiti di addensamenti e ampi vuoti. In questi luoghi il ruolo del progetto e del disegno urbano dovrebbe essere quello di sperimentare un nuovo modo di intendere il paesaggio urbano, per contrapporre alternative concrete ai programmi che intendono queste aree come occasione fisica per l’espansione della città compatta, pur sempre in un’ottica della sostenibilità delle trasformazioni proposte che possano dar luogo a progetti che siano in grado di guidare il modificarsi del territorio, della città, degli spazi, dello loro forme, andando ben oltre le banali contrapposizioni tra verde e costruito, tra l’organismo della città compatta e l’autoreferenzialità dei grattacieli della metropoli, andando quindi verso un’idea di città in cui le


relazioni urbane definiscono la parte elementare di essa. Il giudizio sulla qualità e l’identità, sulla ricchezza delle relazioni di questi luoghi con la Città nel suo complesso, con i suoi luoghi monumentali e allo stesso tempo con i grandi spazi del paesaggio naturale, permettere alla città contemporanea di “avere una sua continuità formale, come era proprio della città antica” (Monestiroli, 2012), e di stabilire nuove relazioni fra le sue parti e la città compatta, che ne impediscano l’isolamento. Il progetto urbano “non rappresenta un luogo intermedio tra le scale, tra il progetto urbanistico e il progetto architettonico, tra ideazione e gestione” (Macchi Cassia, 2012). Il progetto urbano ha il compito di far emergere le potenzialità maggiori e più significative dei processi che sono in atto e l’occasione offerta dalla dismissione degli scali dovrebbe essere proprio questo per Milano. Il progetto urbano deve essere un discorso propositivo, deve dare un contributo metodologico alla discussione su come lavorare a Milano - soprattutto in occasioni di tale importanza - nella visione che il progetto è solo un tentativo di interpretazione, di esegesi di ciò che esiste da prima e ha una sua storia che mostra con la sua forma finale, quella che il progetto intende modificare, forma finale che è passata attraverso molte trasformazioni, di cui quella che un progetto può proporre è soltanto l’ultima . “Il progetto entra a far parte della storia del luogo, ed entrandone a far parte la riscrive. È questa la responsabilità del progetto” (Grassi, 1992).

Responsabilità che è anche la sua difficoltà, perché dimostra che “il progetto non potrà mai essere un gesto definitivo” (ibidem) e per poter entrare a far parte del luogo deve riuscire a vedere ciò che esso chiede, sembra offrire ed effettivamente può dare, ovvero il carattere del luogo, perché il luogo più che ispirare il progetto urbano “insegna, esige e alle volte decide” (idibidem). Si possono dare tre differenti letture alla trasformazione urbana degli scali milanesi, che hanno a che fare con la forma della città, con la forma delle aree dismesse e con la forma dei tessuti urbani che li affiancano. Il punto di partenza unitario sta nel significato peculiare di queste aree come vuoti all’interno del tessuto, e a partire da questi vuoti, letti come strumenti per una strategia di sistema, il progetto urbano può fornire uno scenario alla modificazione della città contemporanea. Strumento di questo scenario è la forma alle diverse scale e con i differenti obiettivi cui il progetto deve tendere, relativi alla struttura della città, alla conformazione delle sue parti, all’ambiente da vivere. “Il Materiale utile alla definizione delle forme attraverso le quali utilizzare i vuoti urbani è il verde. Esso rappresenta la centralità di una città trasformatasi in territorio urbano, il mezzo per contribuire alla sua struttura” (Macchi Cassia, 2012). Del resto il parco urbano nella città contemporanea ha sostituito la piazza come spazio collettivo - si guardino i grandi parchi parigini costruiti sule aree dismesse - ed è l’unico elemento urbano capace di

89


90

trasformare un vuoto come valore per l’intera città. Dunque “vuoto come occasione, forma come strumento, verde come materiale” (ibidem). Nel passato Milano ha saputo utilizzare queste occasioni in termini puntuali: la Piazza d’Armi divenuta il Parco Sempione, lo scalo di smistamento che ha dato spazio ai giardini di Mario Pagano, il mercato ortofrutticolo che si è trasformato nel giardino di Corso XXII Marzo. Con minor successo, invece, la città ha saputo sfruttare le occasioni strutturali: l’abbattimento dei bastioni ha dato luogo solo alcuni quartieri residenziali lungo viali di circonvallazione, la dismissione industriale venne studiata (si veda il sottocapitolo successivo e il progetto “Nove parchi per Milano”) e sfruttata economicamente, ma non utilizzata a sistema. Oggi la città di Milano, di fronte ad un’occasione strutturale come è quella degli scali, deve essere in grado di utilizzare storicità, forma e centralità come valori e strumenti di una riflessione progettuale sul disegno della città contemporanea.

4. Elaborazione grafica degli autori su: Macchi Cassia, C. 2012, Tre materiali: vuoto come occasione, forma come strumento, verde come centralità.


91


NOVE PARCHI PER MILANO

92

Nei capitoli precedenti si è parlato più volte di strategia e metodo per affrontare un tema progettuale complesso come è quello delle aree dismesse degli scali ferroviari milanesi. Per questo motivo si ritiene utile richiamare uno dei più importanti progetti strategici per Milano, fatto sul tema delle aree deindustrializzate dismesse, ovvero il progetto “Nove parchi per Milano”, sviluppato dal Laboratorio di progettazione urbana coordinato da Raffaello Cecchi, Vincenza Lima, Pierluigi Nicolin e Pippo Traversi, su incaico dell’assessorato all’urbanistica del Comune di Milano nel 1994, dall’allora assessore all’urbanistica Elisabetta Serri, durante la giunta Formentini. La scelta di soffermarsi su questo progetto non dipende tanto dagli esiti che esso ha avuto, bensì per evidenziare alcune questioni di metodo riguardanti le caratteristiche di questo lavoro e le risposte che vi si possono trovare sulle molte questioni poste dalla città contemporanea in relazione alla ricerca di nuove strategie architettoniche ed urbanistiche. In particolar modo si vuole porre l’accento sugli aspetti innovativi di questa proposta, abbastanza inedita nel contesto delle pratiche urbanistiche italiane, collegata ad esperienze condotte in altre città europee nel rinnovato clima di riflessione sulla trasformazione urbana di quegli anni, conferendo a questo lavoro su Milano una organicità singolare. Il progetto intende proporre alla città una strategia per le future

trasformazioni del territorio comunale e riapre una riflessione di ampio respiro sul disegno e sull’organizzazione urbanistica della città, ma anche su una riflessione urbanistica più generale, di cui si analizzano di seguito quattro punti. Azione locale e pensiero generale. “Nove parchi per Milano” ha cercato, in maniera evidente e dichiarata, di portare alle estreme conseguenze il proposito di ottenere, tramite una serie di azioni locali, una configurazione percepibile della nuova città, un disegno urbanistico che diventasse un riferimento condivisibile, valido per tutta la città di Milano. Ha operato per trasformare le opportunità offerte dalla mappa milanese delle aree industriali dismesse per ridisegnare i capisaldi di una città nuova e desiderabile. La ricerca di una forma per la città è un presupposto decisivo per l’intero progetto, così come la riscoperta della città stessa come risorsa da valorizzare. Il progetto infatti si fa largo nel vasto ventaglio delle aree industriali dismesse e propone nuove occasioni per la città, dimostrando la possibilità di individuare notevoli opportunità insediative, nella volontà di perseguire con chiarezza il superamento di una concezione soltanto radiocentrica della città, una premessa da cui consegue la necessità di superare un’interpretazione ristretta delle opportunità di intervento. Questa modalità sottolinea come un’azione coordinata in diversi punti della città possa portare a modificare la visione generale della città stessa, e al superamento della morfologia della città mercantile cresciuta a dismisura attorno al


suo nucleo centrale, cercando di rendere comprensibile il rapporto tra la parte e il tutto. I tempi dell’urbanistica. Il paradosso dell’urbanistica consiste da sempre nell’obbligo di rendere possibili azioni immediate e circostanziali legate alle necessità del presente, ai cicli economici e alle occasioni da sfruttare, con i tempi della lunga durata, dal momento che la città è un corpo sedimentario e le trasformazioni urbanistiche durano per secoli. Il progetto strategico messo in atto da Laboratorio di progettazione urbanistica di Cecchi, Lima, Nicolin e Traversi, legge proprio in questo paradosso la necessità di individuare nei tracciati - ovvero le azioni di suddivisione del suolo per l’urbanizzazione - un principio duraturo. Il tracciato diventa una regola che rende possibili un numero indefinito di sviluppi ed interpretazioni nel corso del tempo, sottraendosi alla sfera della negoziazione. Per cui il progetto strategico dei nove parchi si presenta come una estensione delle possibilità di intervento nella città. Ogni area, secondo l’idea del team, necessita per svilupparsi, di accordi programmatici tra l’amministrazione comunale e gli operatori, mentre delega ad altri i necessari coordinamenti tecnici, economici ed architettonici. Il parco come spazio pubblico. In risposta al caos della metropoli contemporanea, la scelta avanzata per i nove parchi è quella di impostare le nuove urbanizzazioni attorno ad un grande spazio centrale, destinato a parco, luogo di afferenza

per il territorio circostante. Il parco entra nella città, in particolar modo nella aleatorietà della città periferica, come elemento di identificazione, quasi si trattasse di una radura ricavata nella metaforica foresta della metropoli. L’idea del parco centrale ha il carattere di una scelta strategica. Demolire, ricostruire. Il progetto dei nove parchi per Milano interpreta una fase in cui l’intero ciclo della città industriale è giunto al suo esaurimento e necessita di una modificazione. La demolizione di un grande impianto industriale, ma così come per gli scali ferroviari, porta alla luce i segni delle varie epoche, le stratificazioni, e questo permette di riconciliare la forma della città con le strutture di un territorio agricolo antropizzato.

Il progetto. Sulla base di questi spunti, il progetto “Nove parchi per Milano” si propone di avviare il processo di riqualificazione urbana introducendo nel corpo della città una serie di progetti coordinati, dove la parte edificabile è organizzata attorno ai nuovi nove parchi urbani. Questi interventi sono integrati da tre promenade, progetti in cui i mezzi di trasporto pubblico, i percorsi nel verde e la viabilità urbana si strutturano in un insieme coordinato. La proposta, finalizzata ad avviare un processo di riqualificazione di tutta la città, trae la sua ragion d’essere dal convincimento che sia opportuno iniziare tale riqualificazione partendo da alcune aree scelte con particolare riguardo alla strategia

93


94

5. Elaborazione grafica degli autori su Nove parchi per Milano: le aree.


95

6. Elaborazione grafica degli autori su Nove parchi per Milano: i progetti.


96

complessiva, che implica il perseguimento di alcuni obiettivi fondamentali. In primis quello di offrire alla città una concreta visione del suo futuro. L’obiettivo di questi nove progetti, infatti, è produrre una rinnovata consapevolezza sulle possibilità di compiere un vero e proprio salto di qualità nel prefigurare concretamente il ruolo di Milano come città europea. Il secondo obiettivo, invece, è di natura metodologica, e riguarda la scelta, come già accennato, di non far riferimento agli strumenti ormai screditati dell’urbanistica tradizionale, fatta di piani regolatori e norme, ma di ricorrere alle risorse di un’urbanistica delle responsabilità, che privilegia i progetti rispetto ai piani, e ricerca la più alta qualità possibile a partire da ambiti strategici all’interno della città, nella convinzione che da essi possa prendere concretamente avvio un vero e proprio programma complessivo di riorganizzazione urbana, secondo quell’idea di progetto urbano di cui si parlava nel precedente sottocapitolo. È chiaro che la proposta dei “Nove parchi per Milano” ha un valore trascendentale rispetto alle singole aree individuate e si configura come proposta per l’intera città, tendendo a produrre una riconfigurazione urbanistica tramite l’introduzione di una pluralità di luoghi di sviluppo e nuovi punti focali. I singoli progetti prefigurano nel loro insieme un nuovo assetto per la città alla scala metropolitana, superando il modello radiocentrico, determinando un sistema redistributivo delle risorse aperto ad un recupero della

periferia e delle aree dismesse, dando forma a relazioni tra settori e quartieri che fino a quel momento non sono mai stati considerati. Il progetto cerca di rafforzare la centralità di Milano estendendo l’effetto città verso altre aree più periferiche, valorizzandone la loro effettiva dimensione e posizione nel quadro di una diversa concezione della città, configurando gli assetti morfologici e le condizioni procedurali affinché, a partire da queste aree, si possa avviare la realizzazione di nuove centralità urbane costituite da una armatura complessa di tracciati, spazi aperti e tessuti edilizi caratterizzati da una mixité funzionale. È possibile ritrovare in queste nove aree una analogia dimensionale alle piazze d’armi milanesi, spazi alla scala propria di una grande città europea, come affermato anche da Giuseppe de Finetti: “centro di figura non è più il nocciolo antico, non è più la piazza del Duomo, ma il parco, con il Castello e il Foro Bonaparte” (de Finetti, 2002). La proposta di organizzare la sostanza edilizia attorno ad ampi spazi aperti poi, non si limita a rispondere ad una generica domanda di standard urbanistici, ma vede il parco centrale come nuovo spazio pubblico adatto alle esigenze della vita urbana contemporanea. Laddove la città otto-novecentesca ha cercato di costruire i suoi spazi aperti urbani sottraendoli al costruito, il procedimento individuato agisce creando il tessuto urbano attorno allo spazio aperto. Ciascuno dei nove progetti stabilisce delle modalità di costruzione dello spazio urbano, attraverso la


formulazione di alcuni tipi di intervento e l’articolazione delle priorità. Fissate per ciascun ambito le superfici da destinare a parco urbano, sono state individuate le diverse modalità di attuazione della proposta: le zone di affaccio sul parco, strutturate per isolati, con la densità e la compattezza dell’edificazione su fronte strada; le zone in cui il tessuto si organizza per lotti, in una forma di edificazione più aperta, basata sulla morfologia della città giardino; le zone destinate al recupero e/o al completamento, dove esistono tessuti costituti da risanare; le zone particolari dove la soluzione di un problema specifico è affidata alla costruzione di un edificio. Se la logica dei tracciati ha carattere quasi prescrittivo, le modalità di costruzione dello spazio urbano assumono invece un carattere quasi iconico, cioè costituiscono un codice di riferimento, definiscono i campi di azione progettuale senza configurarsi come soluzioni definitive. I nove ambiti di intervento individuati sono: l’area Marelli-Naviglio della Martesana, l’area Maserati-Parco Lambro, l’area Porta Vittoria-Largo Marinai d’Italia, l’area Porta Romana-OM, l’area Porta Genova-Naviglio Grande; l’area Baggio-Piazza d’Armi, l’area San Sir-Ippodromo, l’area Bovisa-Quarto Oggiario, la nona area assunta a matrice dell’intero progetto è infine quella del Parco Sempione-Ferrovie Nord. Il progetto “Nove parchi per Milano” si pone a conclusione di un ciclo storico caratterizzato dalla centralità della produzione e della cultura

industriale, in cui la città di Milano si è trovata di fronte alla necessità di avviare una nuova fase, in cui i problemi e le difficoltà ereditate dal recente passato potessero essere tradotte in altrettante potenzialità di trasformazione e di rinnovamento. Un progetto che configura un contributo innovativo perché propone come traguardo una significativa azione di decentramento, fondata sulla creazione di nuovi luoghi urbani di alta qualità urbanistica, architettonica e ambientale. Quest’azione di decentramento si fonda sulla convinzione che la funzione del grande parco urbano poteva, e può essere ancora oggi, funzione privilegiata in grado di istituire nuove centralità nella città. Il progetto disegna una strategia complessa di trasformazione dell’ambiente fisico, basata su criteri di flessibilità e lungo periodo, dal momento che l’adozione di un disegno strategico così complesso impegna il futuro della città in un’ipotesi di lungo termine. Il progetto dei nove parchi si pone più come una proposta rivolta alla città, un’impegnativa ipotesi di sviluppo che merita ancora oggi, dopo venticinque anni dalla sua pubblicazione, di essere conosciuta, valutata e discussa, perché tratta di tematiche attuali e di aree ancora in attesa di risposta.

97


PARCHI URBANI CONTEMPORANEI. TRE CASI STUDIO.

98

Si è in precedenza parlato del parco urbano come elemento di centralità e di definizione nella città contemporanea. Il parco, quindi, come nuova piazza, come luogo pubblico della metropoli. La riscoperta del parco urbano come elemento di trasformazione della città nasce, in Europa e in particolar modo dall’esperienza parigina, con il Parc de la Villette, importante elemento di trasformazione del tessuto circostante e di aggregazione di una serie di attrezzature urbane; e i parchi Bercy e Citroen disegnati con l’obiettivo di riqualificare due aree periferiche, occupate dai depositi vinicoli a Bercy e da stabilimenti industriali nel caso Citroen. Le aree industriali dismesse costituiscono oggi un elemento strategico per il ridisegno della città. Esse possono offrire l’occasione per soluzioni tra loro molto differenti: da una parte parchi più tradizionali, come ad esempio il Parc Citroen, dall’altra paesaggi completamente nuovi in cui i resti degli stabilimenti o delle infrastrutture si integrano con gli elementi naturali, in cui gli impianti industriali sono anche in parte mantenuti con la proposta di utilizzarli come museo nel parco, come testimonianza della matrice industriale di quelle aree, come è ad esempio il Parco della Zac di Bercy. Le aree industriali dismesse, come appunto gli scali minalesi, si presentano come ciò che Gilles Clément definisce “residui” (Clément, 2004), ovvero aree in attesa di una

destinazione o dell’esecuzione di progetti sospesi per ragioni finanziarie o politiche, all’interno degli ambiti urbani. Residui urbani dove “gli sfasamenti temporali, spesso lunghi, permettono alle aree abbandonate di coprirsi di un manto forestale”. (ibidem). Nelle pagine successive si propone una analisi di sintetica dei parchi parigini la Villette, Citroen e Bercy, avendo essi fornito utili elementi di riflessione per la proposta di progetto sullo scalo di Porta Romana, e in quanto testimoni delle potenzialità del parco urbano per la trasformazione del contesto metropolitano. Il significato di questa comparazione non è tanto quello di suggerire precise citazioni di forme o stili particolari, quanto piuttosto consentire riferimenti precisi ad atteggiamenti progettuali od a combinazioni di più atteggiamenti. Strategie e tecniche che non vengono adottate per fornire soluzioni destinate ad accorciare il percorso progettuale od a sostituirsi ad esso, bensì come stimolo per una prosecuzione della ricerca sul parco urbano. Analogie che vengono esaminate per comprendere il modo migliore per tradurre gli atteggiamenti progettuali che esse sottendono all’interno della realtà milanese, in particolar modo quelle che possono implicare all’interno dei singoli scali. Nella tradizione sette-ottocentesca, da una lettura dei parchi europei più significativi emerge la presenza di una dimensione ricorrente, che approssimativamente corrisponde o è paragonabile a quella del Parco Sempione. La ragione di questa


dimensione ricorrente deriva probabilmente da motivi di ordine militare, infatti la matrice di questi parchi, così come quello milanese, è legata alla presenza di una piazza d’armi, ciò ha fatto si che questi parchi si costruissero su quella che è diventata una vera e propria unità di misura urbana. Questa particolarità produce una caratteristica di relativa invarianza dei parchi centrali, rispetto alle loro rispettive città, che spesso supera gli stilemi e i caratteri compositivi tipici delle due grandi correnti di pensiero cui quegli stessi parchi appartengono: la tradizione anglosassone, attenta alla naturalità del paesaggio, e quella franco-tedesca, cui si associano anche gli esempi italiani, meno romantica e più legata alla tradizione e alla cultura classica oltre che, per certi aspetti, più immediatamente riconoscibile nella sua artificialità. La città che circonda i parchi di tipo anglosassone sembra affacciarsi direttamente sullo spazio aperto, che risulta coinvolto e assorbito senza soluzione di continuità, mentre nel caso dei parchi di tipo classico questo rapporto è spesso mediato dalla presenza della strada, elemento di separazione e di filtro, ma anche di relazione tra l’ambiente costruito e quello aperto e verde. Infine un’osservazione che riguarda il momento fondativo di questi parchi, essi traggono quasi sempre la propria origine da un evento speciale, come fiere, esposizioni ed altre circostanze eccezionali. Da questo punto di vista il parco pare spesso concepito in antagonismo rispetto alla città esistente, ovvero dal formarsi in questi luoghi di una

concentrazione istantanea, a volte molto fugace, di qualità rappresentative del ruolo e del carattere dell’ambiente urbano circostante, in un gioco dialetto che sembra anticipare, e sperimentare, le caratteristiche che successivamente diverranno tipiche dell’intera città. Risulta invece quasi impossibile parlare di tradizioni per quanto riguarda i parchi urbani più recenti, perché non sembrano esistere categorie facilmente identificabili di parchi urbani contemporanei. Esiste però la possibilità di individuare alcune linee, degli atteggiamenti progettuali che si fondono e si integrano in giochi e mutazioni sempre differenti. Nel caso dei parchi che si prenderanno di seguito in analisi possiamo suddividerli in due tipologie: il parco tematico e il parco centrale classico. I parchi progettati con atteggiamento tematico sono progetti e realizzazioni che coniugano l’idea del divertimento e finalità di tipo informativo e istruttivo, dove i percorsi interni sono metafore, in qualche modo, di un percorso educativo, strumenti per lo svolgimento di una curiosità del visitatore che in questo modo riscopre l’ambiente urbano, inteso non più solo come supporto della propria esistenza, ma anche come stimolo per l’accrescimento delle proprie conoscenze. L’esempio d’obbligo per questo tipo di parco è il parco parigino della Villette, progettato da Bernard Tschumi con Jaques Deridda nel 1983 e terminato nel 1991. Il secondo tipo, ovvero quello dei parchi contemporanei che ripropongono, in forme e modi

99


100

contemporanei, il parco centrale classico, prima descritto come esito della tradizione sette-ottocentesca. In questo caso il parco, al di là delle funzioni e delle attività che può ospitare, diviene intrinsecamente significativo per se stesso, e deriva la propria autorità e significatività di luogo eccezionale dalla singolarità della propria forma e del proprio linguaggio, al pari di una piazza di particolare importanza. Anzi, è forse proprio questo esser piazza, ovvero una versione contemporanea di ciò che in altri tempi sarebbe stato uno spazio pubblico aperto e pavimentato, a trasformare questi spazi verdi in elementi per così dire sacri, anche se comunque fruibili, della città: luoghi di aggregazione, ma anche monumenti. In questo scenario si configurano i parchi Citroen e di Bercy, dove le serre o le piccole costruzioni conservate appaiono come simboli di un processo di riqualificazione delle parti più degradate della città che il parco stesso può indubbiamente contribuire ad avviare e ad accelerare.

7. Elaborazione grafica degli autori, Masterplan di Parc de la Villette, Parc Bercy e Parc Citroen.


101


PARC DE LA VILLETTE

102

211 Avenue Jean Jaurès, Parigi, Francia 1982-1998 Superficie: 55 ha Vincitore: Bernard Tschumi. Altri in concorso: Rem Koolhaas con OMA, Peter Eisenman, Bernard Tschumi. Il progetto nasce a seguito del concorso internazionale per l’Aménagement de l’est de Paris, vinto da Tschumi, il quale mette in atto la poetica dei layer, che aveva caratterizzato oltre alla sua proposta di progetto anche quelle di OMA e Eisenman Il parco si presenta come un contenitore di attività e funzioni legate non solo al divertimento, ma anche all’educazione, affermando dunque il concetto di “parco culturale”. Alcune delle più significative attrazioni del parco sono: la Cité des sciences et des industries (la Città delle scienze e delle industrie) di Adrien Fainsilber; la Géode, celebre sala di proiezione semisferica, progettata da Adrian Fainsilber e Gerard Chamayou; l’Argonaute, un sottomarino disarmato nel 1982; la Citè de la Musique (Città della Musica) di Christian de Portzamparc. Il parco de la Villette, realizzato anche in collaborazione con Jacques Derrida, rappresenta il manifesto programmatico della decostruzione architettonica, che vede l’architetto e il filosofo schierati l’uno affianco all’altro per definire le regole generali e i flussi generatori. Non si avrà più una forma pura e cristallizzata, bensì dei punti rossi chiamati Folies, i quali costituiscono una serie dissociata di “cellule generatrici”, le

cui trasformazioni non sono circoscrivibili. La conformazione dello spazio dato dalle Folies evidenzia un’idea che propone una condizione dell’uomo nel mondo, non più come soggetto fermo, stabile in un luogo certo, bensì come soggetto che si muove in uno spazio indeterminato e non definibile. L’opera di Tschumi, così come Derrida definisce è un’architettura dell’evento, che come proprio la decostruzione accade; le Folies decostruiscono lo spazio, ma non portano ad un grado zero di scrittura architettonica, priva di utilità e abitabilità. Oltre alle Folies, l’architetto baserà il suo progetto su altri due strati, le linee e le superfici. Il sistema delle linee è destinato invece alla circolazione ed individuato attraverso due assi rettilinei e ortogonali tra loro, sottolineati da pensiline ondulate, che si intersecano e congiungono i punti estremi di accesso al parco. A questi si aggiunge la Promenade Cinématique, un percorso sinuoso, che si articola attraverso numerosi episodi consecutivi come le sequenze di una pellicola cinematografica. Il sistema delle superfici si forma invece dallo spazio di risulta dovuto all’intersezione dei diversi percorsi ed è costituito da grandi estensioni destinate a prato. Solo tre anni dopo, nell’86 si affaccia sulla scena di Parigi Eisenman, il quale viene chiamato da Tschumi per progettare congiuntamente con Derrida, il giardino all’interno del Parco. L’iter di questo lavoro di gruppo, è illustrato dal filosofo nel saggio “Pourquoi Peter Eisenman ècrit de si bons livres” dove sono contenute anche alcune riflessioni di Eisenman. Il titolo del saggio è la parafrasi di una

8. Tschumi, B. 1982, Parc de la Villette, esploso assonometrico.


103


104


9. Tschumi, B. 1982, Points lines surfaces.

espressione tratta dal “Ecce homo” di Nietzsche. Il Parc de la Villette si rivela una riflessione sul tempo, sul passato, il presente il futuro ,e sui loro rapporti. Eisenman, ricerca attraverso lo scaling, analogie e relazioni nascoste tra le piante dell’area del Parc de la Villette in differenti momenti storici: la pianta del 1867, quando il sito era occupato da un mattatoio, la pianta del 1848, quando su questa area sorgevano le mura di Parigi, e infine la più recente pianta ideata da Tschumi per il concorso dell’83, vengono sovrapposte: mattatoio-luogo sacrificale; mura –canali; griglia di La Villette-Griglia di Cannareggio; Tschumi-Eisenman. È la creazione di uno spazio analogico. Lo scaling quindi permetterà ad Eisenman di negare due concezioni tradizionali, così come era stato per Derrida, che negava la metafisica platonica e Heidegger: lì antropocentrismo in architettura, ossia l’uomo al centro, e quindi il corpo umano come riferimento della scala; e l’idea di cosa in sé, intesa da lui stesso come il privilegio di uno specifico oggetto in una specifica scala. Risulta interessante andare ad osservare però anche gli altri due progetti concorrenti. Peter Eisenman parte per La Villette dalle stesse logiche che hanno guidato il progetto per Cannaregio a Venezia, ovvero da quell’idea di architettura che rimisura gli spazi, dove la finzione funge da annotazione e critica, lavorando sul dispositivo spaziale del vuoto per dare valore a tutto lo spazio circostante. Il parco viene interpretato come un grande spazio aperto dove vengono

posizionate delle funzioni e lavora sul tema del suolo, che spesso può essere scavato secondo lo schema di Cannaregio. Vari layer poi costituiscono il progetto, con una sovrapposizione di strati con i vari elementi della composizione urbana. La proposta di Rem Koolhaas parte anch’essa dalla sovrapposizione di diversi layers che poi vanno a comporre il layer finale. Il progetto è una foresta di strumenti sociali attrezzata con un minimo di elementi naturali, nell’idea del parco come infrastruttura. Koolhaas vuole stabilire per La Villette una congestione orizzontale, ovvero lavorare sullo spazio aperto in maniera densa, che costituisce il primo layer. Il secondo layer vede l’articolazione per fasce parallele est-ovest su cui si impiantano le zone corrispondenti alle principali categorie del programma, con una distribuzione in parte arbitraria e in parte dettata dalle caratteristiche del sito. Il terzo layer è costituito da elementi puntiformi che assicura la massima disponibilità di funzioni. Il quarto layer è costituito da accessi e sistemi di circolazione, e insieme ai precedenti costituisce il layer finale. Il progetto si compone di oggetti creati e trovati sul luogo, che per dimensioni e valori di pezzi unici non consento una distribuzione sistematica. I tre strati principali formano il contesto atto a conferire significato a questi elementi di grande scala, disposti secondo le direttrici del contesto e assorbiti dal parco secondo una logica retroattiva. Koolhaas mette qui in atto tattiche che riescono a mettere insieme misure e dimensioni differenti, e rapporti tra le parti.

105


106

10. OMA 1982, Parc de la Villette, illustrazione.


107

11. Eisenman, P. 1987, La Villette, disegno.


PARC CITROEN 2 Rue Cauchy, 75015 Parigi, Francia. 1985-1992 Superficie: 14 ha Vincitore: Patrick Berger, Gilles Clément,

108

Nel 1970 la città di Parigi acquista l’area dalla società Citroën per lo sviluppo di un piano ZAC, Zone d’aménagement concerie, Citroën-Cevennes. Il programma di urbanizzazione comprende un ospedale, uffici, diverse attività tra cui l’edificazione di alloggi, ove il progetto di un parco, di circa dodici ettari, viene a costituire il nucleo del quartiere. Esso verrà frazionato in tre unità: il parco vero e proprio disposto perpendicolarmente al fiume e le due piazze, una nera ed una bianca, racchiuse nel tessuto edilizio. Dopo la chiusura dello stabilimento produttivo nel 1972, la destinazione del luogo rimase imprecisata per alcuni anni, furono abbattute tutte le costruzioni esistenti, così da cancellare ogni testimonianza dell’operoso passato. Il concorso internazionale, bandito nel 1985, premiò due progetti: l’équipe di Provost con Jean Paul Viguier e quella formata da Gilles Clément e da Patrick Berger. Le due proposte avevano comuni aspirazioni formali: un grande spazio centrale disegnato ai lati da corsi d’acqua rettilinei, l’apertura verso l’asta fluviale, ma più importante è il fatto che entrambi attribuivano un valore decisivo al ruolo della natura nel definire il carattere del progetto: un’attenzione primaria agli elementi costitutivi del parco. I due gruppi di progettisti si sono infatti

ispirati alla tradizione dei vasti spazi aperti della capitale posti in ortogonalità alla Senna: Champs-de-Mars, il Jardin du Luxemburg e il Jardin des Plantes. Nonostante alcune affinità positive, il cuore del parco delle proposte concorsuali celebrava diverse idee di Natura. Venne così redatto un terzo progetto che, accettate le due proposte vincitrici, cercò di stabilire tra queste un compromesso. Fu così che il parco venne successivamente suddiviso in due parti, ognuna delle quali attribuita a un’equipe, con l’obbligo però di lavorare in continua collaborazione. Clément/Berger si dedicarono al giardino bianco e alle due serre, ai giardini seriali e verso la Senna, mentre Viguier/Provost progettarono il giardino nero, ed il vasto parterre centrale. La regola compositiva e il movimento sono le due idee fondamentali che caratterizzano il parco André-Citroën. La prima stabilisce un rapporto con la dimensione della capitale nell’osservare i modelli di spazi pubblici ortogonali alla Senna, nel recuperare da questi ragioni e proporzioni. Mentre l’idea di un giardino fondato sul movimento, non parla di un’alternanza di visioni lungo un percorso come nel passaggio dal giardino classico al giardino romantico, ma invece celebra un movimento legato alla stessa vita dei vegetali, nel senso strettamente biologico del termine: il giardiniere deve seguire, interpretare e orientare i cicli delle piante, variabili sempre in funzione delle specie e delle loro combinazioni. Il jardin en mouvement, ridotto di dimensioni e situato a nord-ovest rispetto al progetto di concorso, segue il movimento naturale e i cicli

12. Berger, P. e Clement, G. 1982, Parc Citroen.


109


110


13. Ortofoto satellitare, 2017, Parc Citroen.

vitali delle piante seminate, scelte per le loro capacità migratorie e di auto-riproduzione. Clément trasporta, così, i prati naturali della campagna tra la densa struttura edilizia cittadina. I giardini seriali sono articolati a tema: sette stanze, numerate e racchiuse da rampe. La composizione si basa sulla relazione di minerali e colori all’interno di un percorso caratterizzato dalla diversa quantità d’acqua. I giardini seriali divengono un systéme analogique di lettura dello spazio, in relazione al movimento dell’osservatore, basato sulle corrispondenze tra colori, numeri, pianeti e metalli; si rivelano come elementi di una narrazione, ove è la natura stessa il materiale costitutivo del parco. Il parco coniuga un insieme di stili che valorizzano la sua unicità: rimanda allo stile giapponese per la struttura e a quello francese per la regolarità delle forme ed è stato progettato per far in modo che il visitatore, passeggiando al suo interno, possa ritrovare caratteri tipici della campagna francese. Presenta inoltre un perfetto connubio tra vegetazione, acqua ed elementi strutturali in vetro e pietra, che enfatizzano l’immersione del visitatore nel proprio paesaggio artificiale. Tutto è stato progettato secondo un preciso schema: il parco infatti si organizza attorno ad un vasto spazio centrale, un rettangolo coltivato a prato, di 320 per 130 metri, circondato da un canale con passerelle pedonali, tagliato trasversalmente da un sentiero alberato. Dal grande prato centrale è possibile raggiungere la riva della Senna, dove, paralleli all’argine, sono stati realizzati due binari sopraelevati per il

passaggio della linea RER. All’estremità opposta del grande prato, un sagrato inclinato dotato di giochi d’acqua funge da basamento per due grandi serre vetrate, alte 15 metri e lunghe 45, delle quali una ospita un giardino mediterraneo. Il progetto del Parc Citroen si presenta, quindi, come un significativo intervento paesaggistico su una vasta area industriale dismessa e la ridisegna tramite un dispositivo molto classico come quello della esplanade, elemento classico del disegno della città parigina, costruendo sui bordi le case di abitazione per blocchi isolati. L’importanza di questo progetto è, infine, anche la messa in pratica dei principi teorizzati da Clément sul Terzo Paesaggio e sul Giardino Planetario.

111


PARC BERCY 128 Quai de Bercy, Parigi, Francia. 1988-1992 Superficie: 50 ha Vincitore: Jean Pierre Buffi con Fabrice Millet

112

Il quartiere di Bercy è situato nel XII arrondissement lungo la Senna ed occupa circa cinquanta ettari, di cui tre quarti costituiti dai vecchi depositi vinicoli, presenti nell’area da oltre un secolo. Fin dagli anni settanta questo settore è destinato dai piani urbanistici ad essere trasformato in un parco, circondato da un quartiere con residenze ed attività miste, accanto a grandi attrezzature pubbliche, in prossimità del Boulevard de Bercy. Nel 1988 il Consiglio Municipale di Parigi delibera la creazione della Zac Bercy. La forma rettangolare del parco determina la direzione principale e afferma l’identità del sito, bordato a nord dal ministero e dal Palais Omnisport, sottolineato dai lungosenna e dal disegno della Zac che, disposto parallelamente, ne accentua la tensione longitudinale. Gli edifici sono disposti in maniera continua al centro del parco e ospitano funzioni miste, residenze, attività, terziario, attrezzature di quartiere, coronate dal Centro culturale americano, opera dell’architetto F.O. Gehry. La rete stradale preesistente costituisce il canovaccio per tessere una trama rigorosa di spazi pubblici, articolati secondo due direzioni: quella ortogonale delle strade e quella obliqua e più stretta delle strade che una volta collegavano i depositi vinicoli. A partire dal 1988, Jean Pierre Buffi

lavora in stretta connessione con il direttore della Semaest per assicurare il massimo della coerenza dell’insieme urbano. A Buffi viene affidato il compito di garantire una coerenza d’insieme, pur consentendo soluzioni architettoniche differenziate, e a Muriel Pages, che faceva parte del gruppo vincitore del concorso del parco, viene chiesto di occuparsi dell’insieme degli spazi pubblici, affinché questi non siano più uno scampolo dell’edificato ma tornino ad essere di nuovo la struttura urbana portante attraverso cui la città si esprime. Uno degli obiettivi del Plan d’Amenagement de Zone per la ZAC di Bercy è la costruzione di un fronte urbano sul parco, caratterizzato da una regola compositiva unitaria. Ogni progettista, infatti, ha ricevuto l’incarico di realizzare un brano urbano con edifici disposti sia sul fronte del parco che sul filo stradale retrostante, in maniera tale da includere anche vuoti, i cortili, le cesure, i giardini semi-privati, rendendo possibile in tal modo la gestione di rapporti da facciata a facciata. L’unità d’insieme è rafforzata da alcune direttive molto dettagliate, come ad esempio, l’utilizzazione di un unico rivestimento per le facciate in pietra bianca, mentre l’autonomia dei singoli volumi è rigorosamente contenuta da alcuni orientamenti vincolanti, come i percorsi orizzontali per collegare i differenti edifici, i ballatoi al primo livello e le logge a quelli superiori. In totale si tratta di cinque isolati organizzati in forma di U, aperti sul parco e continui sulla strada. Accanto agli edifici in linea si innestano le palazzine, due

14. Huet, B. 1992, Parc Bercy.


113


114


15. Buffi, J.P. 1992, Parc Bercy, schema di composizione degl isolati.

per ogni isolato, che consentono di realizzare una grande fluidità tra gli spazi verdi privati, all’interno, e il loro prolungamento verso le piantumazioni del parco. Questi tagli tra gli edifici si richiamano ai principi del verde e della luce, sebbene i patii siano un po’ esigui nel rapporto tra superficie e altezza degli edifici, mentre la rivisitazione degli isolati discende direttamente dalla tradizione urbana parigina del XIX secolo. La costruzione di un fronte urbano è una situazione rara a Parigi, ma che diventa di attualità a Bercy, a la Villette e nel quartiere di Vaugirard, e Buffi trova appunto una risposta a questo problema urbano nella città di Parigi stessa. Due sono gli esempi di parchi urbani affacciati sulla Senna, la cui analisi dell’edificato che costituisce il fronte parco è un riferimento preciso per il progetto di Bercy. Il primo è il Giardino delle Tuilleries, lì la Rue de Rivoli sviluppa un fronte continuo ed omogeneo affacciato sul parco. I piani terra sono trattati con portici a doppia altezza, balconi continui e cornicioni che sottolineano le linee orizzontali e affermano visivamente la prospettiva della Rue de Rivoli. Frontalmente la facciata instaura uno scenario urbano che completa il parco, mentre in prospettiva ritma la sequenza della rue. Un modello questo che implica una regola architettonica molto rigorosa, che perderebbe forza unitaria sottoposta alla giustapposizione di diverse architetture. Il secondo è il Champ de Mars, lì una doppia fila di edifici, costituita da una serie di case private di 4/5

piani, un viale alberato e immoboli di abitazione da sette piani, costeggia il parco in tutta la sua lunghezza. I giardini non esclusivi occupano i piani terra delle case private ed estendono visivamente il parco oltre ai suoli limiti. Le vie traverse e le cesure danno invece accesso al parco attraverso questo doppio filtro edificato, generando prospettive sul parco. Qualità della profondità di campo e di trasparenza che Buffi riprende proprio per questo su intervento a Bercy, disegnando un fronte discontinuo e trasparente composto dall’alternarsi di pieni e vuoti, con loggiati continui che collegano i diversi blocchi abitativi e che reintroducono una serie ininterrotta di linee orizzontali. Il parco è stato ultimato tra il 1994 e il 1995, dopo essere stato ristrutturato e diviso in tre giardini, realizzati da uno staff di architetti e paesaggisti: Bernard Huet, Madeleine Ferrand, Jean-Pierre Feugas, Bernard Leroy, e i paesaggisti Ian Le Caisne e Philippe Raguin.

115



capitolo quarto IL CARATTERE DEL LUOGO PORTA ROMANA


118


1. Ortofoto satellitare 2020, L’area dello scalo di Porta Romana.

AREA STUDIO Considerando la lezione di Aldo Rossi della “città come manufatto” (Rossi, 1966), come architettura totale, nel momento in cui si va ad indagare l’area studio, ovvero una parte di città, una “astrazione rispetto allo spazio della città” (ibidem), occorre tener presente tre proposizioni. La prima è che lo sviluppo urbano è correlato in senso temporale, questo permette di riconoscere che lungo la coordinata temporale si stanno connettendo fenomeni che sono strettamente comparabili e per loro natura omogenei, il che permette di ricavare l’analisi degli elementi primari. La seconda riguarda la continuità spaziale della città, che permette di accettare come fatti di natura omogenea tutti quegli elementi che si riscontrano nell’intorno urbanizzato. La terza, infine, è la presa di coscienza che all’interno della struttura urbana vi sono alcuni elementi di natura particolare che hanno il potere di rallentare o accelerare il processo urbano e che per loro natura sono rilevanti, quegli elementi che Rossi definisce come “fatti urbani” (ibidem). Ora, entrando nello specifico dell’analisi di questa parte della città di Milano che corrisponde all’area di progetto di questo lavoro di tesi, ovvero l’area dello scalo ferroviario dismesso di Porta Romana, occorre da un lato fissare lo sguardo sulla porzione sud-est della città, ma dall’altro continuare un processo di allargamento e restringimento della lente attraverso cui avviene l’analisi.

È necessario, infatti, per una ricostruzione storica del paesaggio urbano di questo quadrante di città considerare i fatti storici che lo hanno determinato, siano essi architettonici o culturali: i vari piani urbanistici - in particolar modo il Piano Beruto e il piano Pavia Masera - che hanno contribuito a disegnare l’area; gli insediamenti produttivi che hanno determinato il carattere del luogo, la morfologia e la tipologia edilizia; l’insediamento della rete ferroviaria che ha stabilito la forma dello scalo e le relazioni della città con esso; e ancora le direttrici, i monumenti, il sistema delle acque e il sistema degli spazi aperti. Tutti questi elementi costituiscono l’armatura della città e si rivelano fondamentali alla lettura e comprensione dell’area-studio. L’area di progetto dello scalo di Porta Romana si inserisce a pieno nella tematica del recupero e della rigenerazione di ambiti urbani di grande rilevanza che caratterizzano la città di Milano; vengono definiti brownfield, ovvero aree derivanti dalle dinamiche di sviluppo post-industriale delle aree metropolitane (dismesso industriale, scali ferroviari, aree agricole intercluse, etc.). L’ambito si offre come una occasione unica e strategica per il ripensamento della intera area urbana del quartiere di Porta Romana, con un forte potenziale di impatto vista la vastità dell’intera area dello scalo, offrendo la possibilità di costruire scenari di rinnovo della città pubblica.

119


120

L’intorno urbano dello scalo di Porta Romana è contraddistinto da specifiche caratteristiche architettoniche e funzionali determinate dalle modalità di sviluppo urbano di questa parte di città, che permettono di identificarlo come un settore caratterizzato da una forte dicotomia tra la parte a nord e la parte a sud dello scalo. Indagando l’evoluzione storica di questa parte di città per poterne cogliere le specificità, si possono definire quattro categorie di paesaggio urbano, per cercare di restituire una lettura stratificata del luogo: il paesaggio della

ne denota la vocazione industriale; il paesaggio dello spazio pubblico, per comprenderne lo specifico sviluppo urbanistico;

produzione, che

il paesaggio dell’abitare, costituito dalla presenza di numerosi quartieri di edilizia residenziale pubblica; e infine il paesaggio figurativo, visto lo stretto legame intercorso tra questo comparto urbano e alcune esperienze artistiche figurative. Il paesaggio della produzione Si intende con questo termine l’esteso insieme di attività industriali e manifatturiere sviluppatesi in questo settore di Milano, in particolare durante tutto il Novecento. L’origine di questo paesaggio risale a fine Ottocento, quando cominciano a diffondersi in tutta la fascia esterna ai Bastioni Spagnoli una serie di piccole manifatture e impianti industriali di medio-grandi dimensioni, oltre all’insediamento dello scalo ferroviario stesso. Nel Piano Beruto, del 1884, lo scalo di Porta Romana è segnato quale polo merci e logistico per tutta l’area sud di Milano. L’integrazione

dello scalo con la cintura ferroviaria a “C” rovesciata viene realizzata a partire dall’attuazione del Piano Pavia-Masera del 1910-12. Tra la fine Ottocento e inizio Novecento, attorno allo scalo sorgono la Tecnomasio Brown Boveri, in piazzale Lodi, e le Officine Meccaniche, in prossimità di via Ripamonti. Accanto a questi macro-poli trovano localizzazione una serie di strutture industriali di dimensioni più ridotte, che hanno fortemente contribuito alla vocazione produttiva di quest’area. Elemento chiave del paesaggio industriale è rappresentato dalla centrale elettrica di piazzale Trento, realizzata nel 1905, costituita inizialmente da tre ciminiere, vasche di raffreddamento e depositi di carbone, elementi che connotavano fortemente l’edificato e il paesaggio dello scalo. La centrale, dal 1910 di proprietà della AEM, ora A2A, divenne negli anni Venti sottostazione dell’energia idroelettrica prodotta in Valtellina. Oggi essa si configura come sede di funzioni amministrative e culturali legate alla società A2A, con la collocazione dell’archivio storico della Fondazione AEM e il progetto in previsione di realizzazione della torre A2A, progettata da Antonio Citterio e Patricia Viel. Durante il secondo dopo guerra il paesaggio produttivo si amplia e si arricchisce di una serie di siti industriali anche nella fascia a sud dello scalo: depositi, capannoni, strutture manifatturiere e sedie aziendali che si collocano negli isolati tra via Brembo-Lorenzini, viale Ortles e via D’Argate-Quaranta. Vocazione produttiva che è rimasta invariata nella successione dei vari piani regolatori, attribuendo all’area una


destinazione industriale o a funzione mista, dal PRG del ‘53 e del ‘76, fino alle varianti di piano degli anni Ottanta. La pianificazione e programmazione degli anni Novanta inizia ad affrontare la questione della dismissione industriale, avviando alcuni progetti di riconversione e trasformazione funzionale, che interessano direttamente l’intorno urbano di Porta Romana, in particolare nell’area ex OM ed ex TIBB. Il PGT attuale individua tre aree di trasformazione urbana maggiori e ambiti di rinnovamento, e il nuovo PGT Milano 2030, prevede la disposizione in questo sito del villaggio olimpico Milano-Cortina 2026, prospettando cambiamenti funzionali e morfologici consistenti, che dovranno comunque confrontarsi con le specificità storiche e funzionali del luogo, per valorizzare le preesistenze. Il paesaggio dello spazio pubblico Lo scalo si colloca in una posizione mediana tra parti urbane profondamente diverse dal punto di vista del tessuto insediativo. La città consolidata a nord è figlia principalmente dei piani Beruto, Pavia-Masera e Albertini, e si basa su un disegno regolare di assi, viali e piazze attraverso cui si ricercano simmetrie e prospettive. La zona a sud, sviluppatasi in modo consistente a partire dal secondo dopoguerra, presenta una densità insediativa minore rispetto alle porzioni a nord, con una prevalente assenza di cortine edilizie continue, seppure entro una griglia viaria regolare. Per parlare della struttura urbana occorre fare riferimento ai piani regolatori succedutisi nel tempo fino

all’ultimo PGT. Dalla comparazione tra carte tecniche e piani si può osservare come lo sviluppo abbia a volte intrapreso direzioni differenti rispetto alle previsioni. Del piano Beruto sono stati realizzati alcuni assi radiali di espansione della città e la circonvallazione esterna, mentre altri elementi sono stati tralasciati durante la fase attuativa. Oltre i bastioni sono stati attuati sistemi strutturanti lo spazio pubblico, come quello di piazzale Libia, piazzale Lodi, con gli ampi viali alberati della circonvallazione. In questa fascia il Beruto prevedeva un vasto parco a servizio della città moderna: il Parco Ravizza. L’apporto del piano Pavia-Masera non è di particolare consistenza, mentre con il piano Albertini si registra un culmine delle aspettative speculative del regime immobiliare. Tale piano prevedeva infatti l’ampliamento della città con la realizzazione di nuove porzioni urbane disegnate e organizzate al fine di renderle immediatamente edificabili, interessando aree situate a sud dello scalo di Porta Romana. Elemento di rilievo che permane nei vari piani è il sistema di corso Lodi-viale Martini-piazzale Gabriele Rosa-viale Omero, un boulevard definito e funzionante con i paradigmi della città tradizionale costituita da viali alberati, piazza con verde pubblico e prospettive. Degno di nota il piano del 1976, che mostra elementi innovativi a livello di standard e servizi come la realizzazione di una green belt attorno alla città per limitare ulteriori espansioni, confermata nel 1990 con la nascita dell’Ente Parco Agricolo Sud Milano.

121


122

Infine con l’ultimo strumento urbanistico la zona sud-est costituisce un comparto in prospettiva in profonda trasformazione: lo scalo di Porta Romana, lo scalo Rogoredo, l’ambito Toffetti e quello di Porto di Mare; aree di notevole estensione territoriale, riconosciuti come ambiti di trasformazione che costituiscono rilevanti snodi per un riassetto complessivo del sistema degli spazi pubblici. Il paesaggio dell’abitare La zona sud-est di Milano è fortemente caratterizzata dalla presenza di diversi quartieri di edilizia residenziale pubblica. In particolare la zona Corvetto-piazzale Gabriele Rosa, come terminale dell’asse di corso Lodi, ma anche altri comparti su via Ripamonti e viale Tibaldi, costituiscono un unicum nel panorama milanese per sovrapposizione e stratificazione di interventi di edilizia popolare, che delineano un vero e proprio paesaggio dell’abitare. L’origine dell’esigenza abitativa si attesta verso fine Ottocento a fronte dell’industrializzazione dell’area, e le prime realizzazioni di quartieri di edilizia residenziale economica e popolare risalgono al primo decennio del Novecento. In questa fase nell’intorno dello scalo di Porta Romana sorgono i quartieri Ripamonti, Spaventa e Tibaldi. L’attuale previsione della realizzazione del villaggio olimpico nell’area dismessa dello scalo di Porta Romana denota ulteriormente questo paesaggio dell’abitare, soprattutto dell’abitare di vocazione economico-popolare con la previsione di convertire le residenze olimpiche in residenze per studenti.

Il paesaggio figurativo Dall’appartamento-studio di via Adige 23, tra il 1909 e il 1912, Umberto Boccioni, figura di spicco del Futurismo, ha potuto indirizzare il suo sguardo verso uno dei luoghi simbolo della città moderna: la centrale elettrica di piazzale Trento e lo scalo di Porta Romana. Nell’opera “Officine a Porta Romana” (190910), le emozioni e le atmosfere della Milano industriale d’inizio Novecento sono diffusamente percepibili e viene offerta una prospettiva inedita di tutto lo scalo ferroviario, rappresentando lo scenario di un nuovo settore urbano, a metà tra la città e la campagna. In quegli stessi anni la periferia industriale viene rappresentata più volte da Boccioni nelle opere “Autoritratto”(1907-1909), nella quale propone una città all’esterno dei bastioni in costruzione e cambiamento, e “Il mattino (strada di periferia)” (1909) in cui rappresenta l’atmosfera dello scalo di inizio Novecento, caratterizzata dai lavoratori e dalle ciminiere fumanti. Imprescindibile, anche se non direttamente incentrato sull’area di Porta Romana, è la vasta opera di Mario Sironi sul paesaggio urbano e sulle periferie milanesi, forme pure e monumentalismo tragico, sintesi espressiva della città industriale degli anni Venti e Trenta del Novecento. Fondamentale è anche il contributo fotografico che ha fatto dell’area industriale dello scalo e del suo contesto limitrofo il proprio oggetto, ovvero l’opera di Gabriele Basilico “Ritratti di fabbriche” (1979-1980), che ha ben cristallizzato il paesaggio dell’area sud-est nella fase di avvio del processo di


deindustrializzazione, sottolineando in particolar modo il degrado e l’abbandono di queste aree a seguito delle dismissioni. Basilico ne evidenzia il silenzio, oggetti senza persone, che li colloca in una condizione di sospensione del tempo. Essenziali anche le più recenti istantanee di Marco Introini e Francesco Radino. Il primo fissa nei suo scatti monocromatici l’immagine di una città in trasformazione, il secondo invece ne immortala la fissità dell’attesa. Le immagini di Introini proiettano l’osservatore dentro la città, con la scelta del punto di vista dal piano stradale, seguendo i tracciati pubblici senza mai entrare nelle aree degli scali o usare punti di vista alti e innaturali, con lo scopo di sottolineare la percezione dello spazio negato dalla cesura nella città creata da questi grandi vuoti e dagli ostacoli visivi dei lunghi muri di cinta, seguendo la suggestione sironiana, con lo sguardo discreto della tradizione vedutista, con la volontà di restituire uno sguardo non strumentale, ma interpretativo e rivelatore. Mentre le prese di Radino entrano fisicamente nel vuoto, descrivendo dinamiche lontane da quelle dell’esperienza urbana contemporanea. Questo orizzonte artistico permette di rimarcare una stratificazione di memorie e immagini che diventano testimonianza dell’evoluzione e trasformazione dei luoghi, memoria collettiva della città e dei suoi abitanti. Portare alla luce tutti questi elementi, significa far emergere un tratto identitario, imprescindibile per valutare la natura del comparto

e più in generale di tutto l’ambito sud-est della metropoli milanese. Oggi la possibilità di misurare tale complessità deve necessariamente raffrontarsi con la presenza del vuoto del sedime dello scalo, il cui carattere rimanda ad un complesso percettivo in cui il silenzio, l’assenza di movimento, la polverosità, l’abbandono rappresentano i tratti salienti. Lo scalo si afferma come vuoto, un’assenza, i cui elementi sono percepibili soltanto come momenti negativi all’interno di un intorno urbano segnato da caratteri opposti. Quanto descritto e quanto segue in questo capitolo cerca di dare una ricostruzione critica del carattere del luogo, perchè “una parte importante nella definizione del progetto spetta al luogo” (Grassi, 1992). Il luogo è l’oggetto del progetto, ciò che appare, ciò che prefigura, evidenza e virtù. La comprensione del luogo come dato razionale, elemento tecnico e pratico del progetto, è necessaria alla costruzione e verifica del progetto, poiché “il luogo attraverso le sue risposte [...] fa vedere i suoi problemi, quelli cui ha dato soluzione e quelli lasciati ancora aperti” (ibidem).

123


124

2. Boccioni, U. 1908, OďŹƒcine a Porta Romana, olio su tela, 145x75


125

3. Boccioni, U. 1907-09, Autoritratto, olio su tela, 70x100


126

4. Boccioni, U. 1909, Il mattino (strada di perfieria), olio su tela, 60x55


127

5. Sironi, M. 1952, Lo scalo, temperata su carta intelata.


128

6. Sironi, M. 1943-44, Il gasometro, olio su tela, 43x51,5.


129

7. Basilico, G. 1981, Ritratti di fabbriche.


130

8. Radino, F. 2018, Scalo di Porta Romana, fotografia da via Ripamonti.


131

9. Introini, M. 2018, Porta Romana, fotografia da Piazzale Lodi.


132

10. Introini, M. 2018, Porta Romana, fotografia da Largo Isarco.


133

11.Introini, M. 2018, Porta Romana, fotografia da via Lorenzini.


ELEMENTI PRIMARI

134

“Al concetto di area deve accompagnarsi anche quello di un insieme di elementi determinati che hanno funzionato come nuclei di aggregazione” (Rossi, 1966). Questi “elementi primari” (ibidem), sono elementi urbani di natura preminente che partecipano all’evoluzione della città nel tempo, in modo permanente, indentificandosi spesso con i fatti costituenti la città. Questi elementi unitamente alle aree costituiscono un insieme che è la struttura fisica della città. Gli elementi primari vanno considerati nel loro aspetto spaziale, indipendentemente dalla loro funzione, per comprendere la loro qualità di “fatti urbani” (ibidem) generatori della forma della città. Essi vanno intesti come “quegli elementi capaci di accelerare il processo di urbanizzazione di una città, [...] elementi caratterizzanti i processi di trasformazione spaziale del territorio” (ibidem). Secondo questa teoria di Aldo Rossi, si passa qui a prendere in analisi quelli che sono appunto i fatti urbani, gli elementi primari nella dinamica della città di Milano, in particolar modo del quadrante sudest, che con la loro qualità specifica hanno svolto un’azione precisa nel disegno della città. Per procedere in questo verso è necessario ampliare lo sguardo, e considerare il rapporto di questa porzione meridionale della città con il centro e la città consolidata. Ruolo fondamentale e fatto urbano preminente assume l’antica via Emilia, che dall’antico nucleo romano prosegue, come continuazione del

Decumanus Maximus, lungo il Corso di Porta Romana e poi Corso Lodi, in direzione sud-orientale. Questo asse è interpretabile come l’elemento generatore di un complesso sistema, lungo il cui tracciato si collocano alcuni elementi primari necessari alla comprensione del carattere del luogo, tra cui l’area dello scalo di Porta Romana. Si affrontano in prima analisi quei fatti urbani che hanno il valore di monumenti all’interno della città, ovvero: gli assi storici di collegamento tra la città e la regione, il nucleo romano, la Ca’ Granda del Filarete, la via porticata e il Borgo dritto con la Basilica Apostolorum ora San Nazaro in Brolo, il Bastione spagnolo di Porta Romana e Porta Vigentina, la Porta Romana. In seconda analisi invece si portano in rassegna quei fatti urbani dell’architettura moderna e contemporanea che hanno costituito, costituiscono e costituiranno il volto della città contemporanea, tra essi la Torre Velasca, la Torre di Porta Romana di Paolo Chiolini, Fondazione Prada e la futura torre A2A di Citterio e Viel, questi ultimi più legati all’area dello scalo che all’asse della via Emilia.

12. Elaborazione grafica degli autori, Gli elementi primari e l’area.


135


136


13. De Finetti, G. 2012, Quadrante meridionale oggigiorno.

Collegamenti tra città e regione. A sud della città esistono sei strade regionali di diversa importanza ed efficienza. Considerando i due cicli della trasformazione ferroviaria, corrispondenti alla prima e alla seconda cintura ferroviaria, non si ebbero in questo settore delle variazioni nella grande rete stradale, per il fatto che le opere ferroviarie qui variarono di poco. La Via Aemilia, oggi Corso di Porta Romana poi Corso Lodi, è la strada costruita dai Romani dopo il 187 a.C., di cui è nota la funzione determinante sugli sviluppi e sull’essenza formale della Milano Romana. È interessante porre in evidenza il fatto che a quest’arteria del lato sud-est spetta ancora oggi un primato per il modo con cui essa penetra fino alla zona cardiaca della città, con un tracciato più diretto ed evidente di ogni altra arteria radiale milanese. La Strada comunale di Chiaravalle, essa è un tramite locale che si venne fissando nel Medioevo, nell’epoca dei monaci cistercensi, sapientissimi fecondatori della piana circostante in ampio giro all’abbazia. Strada che oggi non ha più valenza comunale e che si addentra nei quartieri a sud dello scalo di Porta Romana, affiancando l’area di Porto di Mare e lambendo il Parco Agricolo Sud fino a giungere all’abbazia cistercense. La Strada di Vigentino, oggi via Rigamonti, è uno dei collegamenti tra Milano e Pavia. Analizzando la genesi del primo castrum romano, si nota come questo asse corrisponda al tracciato regionale che nella

prima romanità preveniva fino alla via Pantano ed alla porca urbica del Bottonuto. Altro tracciato di origine romana è l’asse di Corso San Gottardo, poi via Meda, che si addentra nei quartieri di Stadera, Chiesa Rossa, Gratosoglio, Quinto Stampi e Rozzano, per poi morire come strada campestre nel Parco Sud, poco distante dal castelletto visconteo di Cassino Scanasio. Un residuo di arteria regionale rilevante, trattandosi di un tracciato suburbano che penetra dritto fino al Carrobbio e fu dunque generatore di elementi urbanistici della tarda romanità e del Medioevo, nel quartiere urbano meridionale. Lungo questo asse si allineano le sedici colonne romane di San Lorenzo, unico dei pochi documenti della romanità della città di Milano. La Strada Pavese è l’asse che fece decadere ed atrofizzare del tutto l’antica via romana che correva esattamente da sud a nord. Il seguente tracciato è oggi un segmento della Strada statale dei Giovi ramo sud, ed è costeggiata dal Naviglio Pavese, canale navigabile iniziato nel XV secolo e completato soltanto nel 1819. Infine, la Strada provinciale Vigevanese, anticamente detta “Vigevanasca”, che corre parallelamente al Naviglio Grande. La strada valica il Ticino presso Vigevano e collega il Milanese con la Lomellina. Tra questi sei assi di collegamento tra la città e la regione a sud due, ovvero la Via Emilia e la Strada di Vigentino, sono le più rilevanti in quanto sono quelli entro cui si

137


138

determina l’area dello scalo di Porta Romana. Ma diventa necessario a questo punto andare ad indagare la genesi cardo decumanica della città romana i suoi mutamenti, essendo questi due assi da essa generati. Si può quindi ammettere che esista uno stretto rapporto tra l’area dello scalo e il suo intorno urbano, con il nucleo antico della città. Il nucleo romano. Città poligonale e città radiocentrica. Si delinea di seguito un’estrema sintesi di quello che è il nucleo di formazione romana e gli sviluppi successivi della forma urbis, in quanto questa tematica meriterebbe un approfondimento molto più completo, ma che esime da questa trattazione. Si pone l’attenzione in particolar modo alla genesi di alcuni elementi ed allineamenti, tra tutti il decumanus maximus, seguendo in particolar modo le letture date dal de Finetti e dal Mirabella Roberti. La cerchia delle mura medievali di Milano, il percorso del fossato antistante poi divenuto il Naviglio, le varie strade che di lì si diramano, hanno configurato la città in un impianto radiale. Ma osservano attentamente la parte limitata del circuito delle mura romane, in una pianta di città come può essere quella degli Astronomi di Brera del 1814, si possono notare gruppi di percorsi stradali che obbediscono ad una partizione regolare, anche se ora molto deformata. Certamente nel caso di Milano non si possono notare quella serie di strade e di insulae perfettamente allineate e quadrate che si vedono chiaramente per esempio a Pavia e Verona, olte che a Como, Aosta e Torino. Ma del resto Milano

fu vittima di tenaci ricostruzioni dopo gravi distruzioni, che hanno portato alla variazione di percorsi e tracciati. Tuttavia è ancor oggi possibile ricostruire un nocciolo urbano milanese a schema cruciale semplice, anche se risulta più facilmente rintracciabile nella carte della città del primo Ottocento, come in quella del Pinchetti del 1801. In queste carte si riesce meglio ad identificare il nocciolo della Mediolanum primitiva, la città castrense sorta dopo la conquista romana del 222 a.C. Ipotizzando per verosimiglianza le quattro porte principali di quella città, la porta sud-est appare con maggiore evidenza, preceduta dallo slargo del Bottonuto ed accogliente ed accogliente le due strade regionali reperibili nelle vie Pantano (asse della Strada di Vigentino) e Chiaravalle. È da sottolineare che probabilmente nel posizionare il loro castro accanto e non frammezzo al borgo insubrico, i Romani abbiano scelto una zona situata a monte e non a valle del villaggio esistente, per evitare malanni igenici. Tenendo conto di questa determinante si può quindi presumere la duplicità dell’abitato della prima romanità, caratterizzato in parte della norma geometrica latina e in parta dalla radialità e circolarità barbarica. Mentre a nordest le espansioni della città hanno poi mutato l’orientamento del suo primo impianto, verso sud-ovest la città ha confermato in molte fasi l’andamento del muro primitivo, come se i Romani lì abbiano man mano accettata sic et simpliciter l’ossatura del borgo e che la recinzione iniziale dei quartieri dei dominatori si sia cancellata fin dai primi anni.

14. Mirabella Roberti, M. 1984, Elaborazione grafica sulla carta degli Astronomi di Brera 1814.


139


140


15. De Finetti, G. 2012, La città quadrilatera. È rappresentato a tratteggio semplice il borgo insubrico, a tratteggio incrociato la città romana.

Rifacendosi all’epoca in cui avrebbe vissuto una Milano castrense circoscritta in così breve spazio, è verosimile che non tutti i traffici mercantili penetrassero nella città romana, e che molti fossero costretti a circuirla. Da qui nasce la giustificazione del fissarsi della strada sinuosa che dal nord-est si svolgeva senza interruzioni, passando dove sono ora via Mercanti, il Cordusio, le Cinque vie, sin presso la zona del Carobbio, con l’andamento di una circonvallazione a monte, di una carovaniera. Più tardi l’edilizia urbana avrebbe rispettato nella striscia del suburbio al nord-ovest l’andamento curvilineo di tale strada mercantile, seppur tuttavia non vi sia documentazione archeologica che ne documenti tale ipotesi. Anche per le mura romane rintracciate lungo i lati rettilinei individuati, non è agevole un’attribuzione cronologica; tuttavia la verosimiglianza delle nostre ipotesi sussiste in grado notevole. Nel noto schizzo, già citato nel primo capitolo, del Codice Atlantico di Leonardo appaiono due segni in croce che rappresentano sicuramente ciò che il Vinci reperiva del cardo e del decumano romano nella città del Quattrocento. La scoperta, nella seconda metà dell’Ottocento, di un selciato romano incrociato al quadrivio di via Torino-via Speronari e via Unione-via Torino e la posizione dei varchi principali nel percorso riconosciuto delle mura, hanno condotto a determinare nell’area centrale della città antica un’altra partizione, che si inquadra sul percorso di queste mura e che occupa l’incrocio fra una via da nord-ovest a sud-est (ora via Santa Maria Fulcorina-corso di

Porta Romana) e una da nord-est a sud-ovest (ora via Santa Margherita-via Nerino). Su queste direttrici, che possono essere definite come il decumanus e il cardo, si estende l’area del Foro fra piazza San Sepolcro e Piazza Pio XI (già della Rosa), e si distribuisce una serie di cinque insulae di 85x118 metri (in piedi romani circa 290x400) orientate nel senso nord-est - sud-ovest e di quattro nel senso nord-ovest - sud-est. Esse si sovrappongono nella zona centro-meridionale della precedente partizione. Della città castrense, organizzata sulla crociera precedentemente descritta, si può osare supporre anche la durate, rifacendosi agli avvenimenti che hanno modificato nel secondo secolo avanti Cristo la geografia regionale dell’area padana. Del 187 a.C. è la costruzione della Via Emilia da Rimini a Piacenza, di poco successiva dev’essere stata la sua prosecuzione sino a Milano. L’ambito della città unificata, dovendo includere l’antico borgo barbarico e le appendici edilizie fissatesi nell’immediato suburbio lungo le strade rurali divergenti e lungo la carovaniera, assume forma di pentagono. Ancor oggi l’andamento obliquo delle parcellazioni nel tratto più esterno del corso della Porta Romana palesa che quell’arteria fu incisa in un territorio già suddiviso in precedenza mediante una centuriazione diversamente orientata. Le strade secondarie al levante del corso, al di là dell’arco trionfale, attestano quale fosse l’orientazione originaria. Ma se queste sono le tracce della genesi di quella grande opera romana nel suburbio, ben più cospicui furono gli effetti da essa

141


142

Determinati nel corpo della città. Dalla nuova porta del sud-est, che già negli scritti di Sant’Agostino è detta Porta Romana, il cardo seguiva pressappoco il tracciato alquanto sinuoso della attuale via Unione, giungeva ad un nuovo foro aperto molti secoli più tardi dove sorse la chiesina di Santa Maria Betrade, e proseguiva al nord-ovest sino alla Porta Vercellina, quella che è ricordata dal toponimo di Santa Maria alla Porta. Un nuovo decumano, ruotando di alcuni gradi in confronto a quello primitivo, collegò la Porta Ticinese, avanzatisi verso sud-ovest fino oltre il Carrobbio, con una porta del nord-est che fu la prima Porta Nuova della città; il ricordo di quel decumano sussiste tutt’ora nella via Torino. La cinta murata del sud-est coincide per quasi tutto il suo sviluppo con elementi archeologici cospicui ritrovati in modo indubbio. L’angolo quasi retto disegnato dal muro al vertice più meridionale del perimetro è stato fedelmente riprodotto dalla topografia urbana medioevale e dura tutt’ora nelle vie Disciplini e Cornaggia. L’Ospedale Maggiore. Il dominio sforzesco a Milano durò meno di mezzo secolo, avendo Ludovico il Moro lasciato la città in balia del Re di Francia Luigi XII nel 1499, e potendosi trascurare i due ultimi duchi, Massimiliano e Francesco II Sforza, che al potere indipendente e sovrano sulla città e sul ducato non giunsero mai. Quei cinquant’anni di dominio sforzeco sono interessanti per il rinnovarsi di un’influenza del pensiero toscano in quella che era una metropoli

senza cultura autonoma. Ad un fiorentino infatti, Antonio Averulino detto il Filare, Francesco Sforza affidò nel 1456 un primo grande compito di edilizia civile: la creazione dell’Ospedale Maggiore. Il Filarete ne diresse per dieci anni i lavori, che furono poi continuati dai suoi successori, e portarono alla realizzazione di un grande ospedale che conservò la sua funzione per quasi cinque secoli. L’edificio fu realizzato in una vasta area tangente alla periferia urbana, col Naviglio che lambiva una spianta dietro al fabbricato, e di facile accesso dalla città, a pochi passi da Santo Stefano in Brolo e da San Nazaro alla Porta Romana. L’edificio unitario era incentrato su un grande cortile di 65x73 metri di lato, con otto cortili minori che isolavano i rami delle crociere dei degenti. Il cortile centrale si configurava effettivamente come una piazza, la sola che fosse mai nata da un pensiero architettonico unitario a Milano e che accolse persino un torneo in onore di Marianna d’Austria che andava in sposa a Filippo IV di Spagna; ma soprattutto la Festa del Perdono, in cui i benefattori offrivano oblazioni che arricchirono nei secoli l’istituzione. Al di la delle note storiche, ciò che più interessa alla seguente analisi è la posizione di questo grande fatto urbano, elemento primario entro il disegno della città. La Ca’ Granda si colloca, infatti, all’interno delle mura medievali, dietro la Basilica Apostolorum, oggi chiesa di San Nazaro in Brolo, con un orientamento che segue le tracce della città romana e attestandosi parallelamente all’asse di Corso di Porta Romana.

16. Rappresentazione anonima di epoca quattrocentesca, Ospedale Maggiore di Milano.


143


144


17. Mirabella Roberti, M. 1984, Pianta della Basilica degli Apostoli.

Basilica degli Apostoli. Mentre nel cimitero fuori dalla Porta Vercellina sorgeva la basilica che fu detta Ambrosiana, lungo la via di Corso di Porta Romana, ancora in zona cimiteriale, il vescovo Ambrogio nel 382 impostava un’altra basilica, che egli stesso chiamò Romana, dal nome della porta da cui usciva la via porticata. La via romana fu scelta perché la basilica fu dedicata agli apostoli, con le reliquie dei Santi Giovanni, Andrea e Tommaso, e fu consacrata nel 386. L’opera aveva originariamente la forma di croce latina, pianta del tutto nuova in Italia e in Europa, ripresa dalla grande basilica costantiniana di Constantinopoli, l’Apostoleion. La struttura muraria della basilica paleocristiana è conservata quasi ovunque all’altezza originaria nelle pareti laterali, dove si possono notare parti in opus spicatum. Il fondo dei bracci e della navata longitudinale era piano, ma quando Sant’Ambrogio ritrovò le ossa dei Santi Nazaro e Celso, volle che le reliquie di San Nazaro fossero accolte della basilica Apostolorum, e fece edificare l’abside semicircolare per accogliere le reliquie. La basilica, danneggiata in passato da incendi, ristrutturata in età romanica, ancora più volte rielaborata in età neoclassica, incendiata nel 1943 durante la guerra, è stata ampiamente restaurata negli anni Cinquanta e Sessanta, rendendo leggibili le strutture paleocristiane e quelle romaniche. La basilica degli Apostoli attesta nuovamente il ruolo fondamentale della via Emilia, come asse generatore di elementi primari che hanno determinato il carattere dell’area.

La via porticata e il borgo dritto. Si è volutamente parlato prima della basilica degli Apostoli, seppure di datazione più tarda, perché in stretta relazione con uno degli elementi della monumentalità romana, l’antica via porticata, che si posizionava proprio sulla via Emilia, come accesso monumentale alla città. Le indagini condotte da Alberto De Capitani d’Arzago, negli anni Quaranta, per riconoscere il percorso delle mura urbane, hanno portato alla scoperta di una serie di quattro muri paralleli situati all’inizio del corso di Porta Romana. Quattro fondazioni in conglomerato di ciottoli, profonde 180 centimetri e larghe 150, posizionate distanti tra loro costituendo con il loro spessore 29 metri di opera edilizia, cento piedi romani. Dalle indagini del De Capitani emerse che le due fondazioni estreme reggevano due muri continui, mentre quelle interne dovevano reggere colonne; questo ha permesso di dedurre che si definiva così una lunga via colonnata o porticata, che forse proseguiva fino alle sostruzioni di un arco quadrifronte, posto a seicento metri dalle mura. Due testimonianze rafforzano quest’ipotesi: quella della seconda metà dell’Ottocento del Giulini, il quale ricorda il nome di “Borgo dritto” dato al corso di Porta Romana nel Trecento; e una frase del quattordicesimo secolo di Galvano Fiamma che parla di un edificio frequentissimis columnis sustentatum. Il Giulini, illustrando la topografia di Porta Romana, nella sua opera “Delle mura di Milano” del 1857, ricorda appunto che quel tratto del Corso che inizia dall’antica Porta di San Vittorello e che dal Seveso si

145


146

18. De Capitani d’Arzago, A. 1942, Rilievo generale delle fondazioni antiche esistenti lungo il corso di Porta Romana tra il Seveso e il Naviglio, tavola I.


147


148

dirige fino al fossato del Naviglio, veniva chiamato “Borgo di Porta Romana dentro” o “Borgo dritto”, notizia che il Giulini sostiene di aver desunto da una pergamena del tredicesimo o quattordicesimo secolo della famiglia Capra. La denominazione era dunque viva nei secoli in cui, distrutta o rovinata la Via monumentale, le nuove case del Borgo erano sorte a poco a poco lungo i lati dell’importante arteria; e come sostiene il De Capitani d’Arzago “si deve perciò ammettere che queste case abbiano, nei primi secoli che seguirono alla distruzione, riprodotto fedelmente l’allineamento antico godendo mura e fondazioni e dando così luogo ad un Borgo assai singolare, date le bizzare planimetrie urbane di quei secoli” (De Capitani d’Arzago, 1942). Borgo tanto singolare per la rigida strutturazione da assumere la dicitura di “dritto” (Giulini, 1857), unica fra i borghi della città di Milano, e tale che difficilmente il Giulini si sarebbe potuto spiegare se la scoperta delle fondazioni dei due portici non ne rendesse chiara ed evidente la genesi. Non esisteva invece, neanche allo stato di rudere, quell’arco citato sopra, di cui si ha indicazione in alcuni testi dell’ottavo e undicesimo secolo, forse completamente distrutto dagli assedi. Il bastione spagnolo e la Porta Romana. Le mura di Ferrante Gonzaga, così dette dal nome del Governatore che ne decise la costruzione in nome di Filippo II di Spagna, sono state un’opera esclusivamente militare. Un’immensa fortificazione che

racchiudeva la città antica, i borghi e un buon tratto di terreno coltivato e di riserva, cioè quello che a quel tempo doveva apparire come l’avvenire della città. Come le mura medievali, anche quelle cinquecentesche si saldavano alle fortificazioni del Castello. Le porte, collocate lungo le strade storiche radiali, erano poco più di semplici interruzioni della cortina a scopo strettamente pratico. Nel 1596, per solennizzare l’ingresso di Margherita d’Austria, destinata sposa di Filippo II, sulla strada per Lodi, nella direzione dell’antica via porticata, fu costruita la Porta Romana, su progetto di Martino Bassi e Aurelio Trezzi, cui fecero da modello le porte del Sammicheli a Verona. Porta Romana rimase l’unico ingresso monumentale della città e lo rimase per due secoli, fino al 1787, con l’entrata di Milano nell’Impero Austriaco, quando iniziò la trasformazione della Porta Orientale, poi seguita dalla costruzione di altre cinque porte: Nuova, Ticinese, Vercellina, del Sempione e Comasina. Nel Cinquecento si ebbe una trasformazione del sestiere di Porta Romana, che abbandonò la sua vocazione di assistenza a pellegrini e bisognosi, in favore di un’immagine legata all’aristocrazia nobiliare milanese. Il Corso di Porta Romana rappresentò, quindi, il fulcro culturale ed urbanistico per l’intero rinnovamento urbano e sembrò recuperare parte del suo antico splendore che aveva probabilmente avuto con la scenografia della via porticata. A fine dell’Ottocento, con la messa in atto del Piano Beruto, gran parte del tracciato spagnolo venne

19. De Capitani d’Arzago, A. 1942, Rilievo delle fondazioni antiche sul Corso di Porta Romana, tavola V.


149


150

abbattuto e sostituito da quartieri residenziali, posti lungo la cerchia dei bastioni cinquecenteschi. Permangono ad oggi dei resti di questa parte del bastione in via Filippetti. Il ruolo delle mura spagnole è importante per comprendere lo sviluppo della parte sud-est della città di Milano, esse infatti per secoli hanno separato il comune di Milano dal comune dei Corpi Santi, ciò che era al di là del bastione era territorio agricolo che si estendeva verso la campagna a sud della città. Con il Piano Beruto viene disegnato con una griglia ortogonale l’ampliamento di questa parte di città, ampliamento che si estenderà fino a lambire i margini dello scalo ferroviario che, come visto nei capitoli precedenti, si instaura nel quartiere tra il 1857 e il 1884. La Torre Velasca e la Torre di Porta Romana. In epoca moderna e contemporanea la città di Milano volge lo sguardo verso il cielo, Milano inizia a salire verso l’alto con la costruzione di alcuni edifici a torre, due di questi si posizionano nei pressi della via Emilia: la Torre Velasca (1955-1957) dei BBPR e la Torre di Porta Romana (1962-1963) dell’architetto Paolo Chiolini. Le due torri con i loro rispettivi 106 e 89 metri di altezza, costituiscono gli unici due elementi che svettano nello skyline della città sud orientale di Milano. Il primo, a tutti noto, si posiziona all’inizio del corso di Porta Romana, poco sotto i resti della antica chiesa di San Giovanni in Conca, con una giacitura quasi parallela al Corso; mentre il secondo si posiziona a lato del bastione

Spagnolo, orientandosi ortogonalmente alla maglia del Beruto. La posizione di questi due elementi primari nella città è significativa, perchè è come se si ponessero a determinare i limiti, come baluardi, del corso di Porta Romana, che poi si addentra nel tessuto berutiano diventando corso Lodi. Lo Scalo, la Fondazione Prada e la torre A2A. La lettura radiocentrica della città, come si è visto in precedenza, ha portato a fine Ottocento, alla realizzazione di una rete ferroviaria sul modello franco-tedesco, che ha tracciato attorno alla città quella che potrebbe essere interpretata come una nuova cinta muraria, le mura difensive della città ottocentesca, che contengono la città compatta fino alle mura spagnole, la città in espansione che sarà poi quella pensata dal Beruto, e la dividono dalla città periferica e industriale che si sta sviluppando alle porte di Milano proprio grazie all’avvento della ferrovia. La ferrovia porta con se tutto il complesso sistema degli scali, squarci nel tessuto cittadino delimitati da muri, vuoti attraversati da binari e perimetrati da edifici di servizio. È emblematico, ma si può davvero attribuire allo scalo di Porta Romana il ruolo di fatto urbano all’interno di questa parte di città, poiché effettivamente esso è stato uno degli elementi cardine che hanno deciso lo sviluppo di questa porzione urbana. Elemento primario che ha cambiato funzione e che permane nella città, anche esso si posiziona sull’asse della antica via Emilia, rendendo ancora più appetibile la


posizione dello scalo ferroviario, nodo di interscambio per le merci dalla città al territorio e viceversa. Spostando lo sguardo all’interno dell’area dello scalo è necessario, infine, porre l’attenzione su due elementi primari che è forse improprio definire tali, poiché non sono lì da sempre, anzi uno ancora non è, ma che possono essere detti tali per il ruolo che giocano nella definizione dello scalo e di tutto il quadrante, ovvero la Fondazione Prada e il progetto per la futura torre A2A. Due elementi con i quali il progetto per l’area dello scalo deve necessariamente entrare in relazione, ma anche due elementi propulsori per lo sviluppo della città, che insieme allo scalo e all’asse di Corso Lodi possono diventare elementi che innescano un intero processo di ridefinizione del quadrante sud e della città in generale.

151


INFRASTRUTTURE, RETI

152

SUOLI

E

La nozione di rete è un concetto evidentemente fondamentale nella comprensione della struttura della città. La rete è una forma di modellazione, fatta di nodi ed aste, che stabilisce un sistema di relazioni atte a mettere in modo differenti connessioni. Si guardi ad esempio il Plan Cerdà di Barcellona, basato su una rete costituita sul principio di equipollenza, per il quale ogni punto equivale ad un altro. Le reti infrastrutturali costituiscono la forma dello spazio, il reticolo stradale è la rete primigenia, il tracciare percorsi è un processo archetipico, ma da esso si passa al concetto di infrastruttura che è un processo di artificializzazione. Nel concetto di rete si possono definire anche i termini di circolazione, connessione e interconnessione. Le implicazioni architettoniche che stanno dietro il concetto di rete sono riconducibili alla triade kandiskijana di punto, linea e superficie. Il punto rappresenta l’individualità del nodo; la linea i segmenti connettivi, la ripetitibilità e il rapporto con i paesaggi attraversati; la superficie la tipologia del suolo, sia esso naturale o artificializzato. Analizzando l’area dello scalo di Porta Romana è inevitabile parlare di infrastrutture, vista la presenza della linea ferroviaria e del suo scalo. Il ruolo che questa infrastruttura ha giocato nella definizione della città è già stato in parte trattato nei capitoli introduttivi e viene approfondito successivamente in relazione al tessuto urbano. Ma si possono

fare qui alcune considerazioni circa la sua presenza nella città. Esso è uno dei temi principali con cui il progetto di architettura necessariamente si confronta per lo scalo ferroviario, in quanto esso è un limite che necessita di essere attraversato. È concettualmente errato attribuire alla ferrovia, che è collegamento, il termine limite, ma nel momento della modificazione di queste squarci del tessuto urbano, demoliti i muri di cinta che li racchiudono, è necessario porsi un interrogativo sulle sorti della parte dura della ferrovia, i binari. Due sono le risposte probabilmente più consuete: interrare, facendo in modo che la città si possa ricucire, o conservare al livello del suolo urbano, lasciando che la città cresca il più vicino possibile all’infrastruttura. Una qualunque scelta non può però prescindere da una lettura più ampia, che consideri l’intera città e la sua struttura. Il ruolo dell’infrastruttura è, come detto sopra, quello di mettere in relazione le varie parti, ovvero i vari punti strategici della città e la città con il suo territorio. Ruolo che è assolto anche dalle infrastrutture stradali, si pensi appunto all’asse della via Emilia e al suo ruolo nella città, come già ampiamente trattato in precedenza. Nell’area dello scalo di Porta Romana convergono una serie di infrastrutture: il passante ferroviario con la futura circle line, la linea metropolitana nella fermata di Lodi TIBB, il sistema del trasporto pubblico suo ruota, la rete stradale che collega la città alla regione per mezzo di corso Lodi.

20. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud: la rete delle acque.


153


154


21. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud: la rete del verde.

L’area assume quindi un ruolo strategico, nodo urbano di un sistema di relazioni tra città e territorio, elementi che concorrono a rendere la rigenerazione di quest’area un possibile propulsore della trasformazione dell’intera città. Altro sistema di reti che disegna la forma e l’articolazione della città è il sistema delle acque. Già l’insediamento del castro romano era stato dettato dalla geografia del territorio, così come tutto il successivo sviluppo della città. La rete delle acque ha ricoperto una ruolo importante per Milano, sia per i commerci fluviali sia per la costruzione di parti di città, basti pensare al Duomo, ma anche per la sua conformazione morfologica. L’area dello scalo di Porta Romana lambisce due righe d’acqua, ad est il cavo del Redefossi, a sud-ovest la roggia della Vettabia. Il Cavo Redefossi è un canale artificale che nasce in zona Porta Nuova, all’altezza del ponte delle Gabelle dalle acque del Naviglio della Martesana e che sfocia nel Lambro a Melegnano. La sua conformazione è strettamente legata a quella del Seveso e del naviglio della Martesana di cui oggi convoglia le acque. In origine, infatti, il Seveso giungeva nel centro storico di Milano da nord est, seguendo l’attuale via dei Giardini, per poi piegare a sud est e poi ovest, fino all’altezza della Porta Romana medievale. Il Seveso continuava poi lungo il corso di Porta Romana e corso Lodi, fino ad intercettare il Cavo Redefossi all’altezza delle mura spagnole e continuare il suo alveo all’interno del canale artificiale interrato.

La Vettabia è, invece, un canale agricolo navigabile che nasce nel sottosuolo di Milano, all’incrocio tra via Santa Croce e via Vettabia, dall’unione del canale Molino delle Armi, del canale della Vetra e del Fugone del Magistrato, per poi sfociare all’altezza di San Giuliano Milanese nel Cavo Redefossi. La Vettabbia ricalca il tratto terminale dell’antico alveo naturale del Nirone, e venne creata con funzioni di trasporto di parte delle acque del Seveso deviato nel fossato delle mura romane, e delle acque del fontanile Mollia e di altri corsi minori; inoltre La Vettabbia trasporta anche le acque della Darsena, che riceve dal suo scolmatore Cavo Ticinello. Oggi la Vettabbia è un tranquillo canale irriguo che attraversa a cielo aperto la città per un lungo tratto, diventando il così il naviglio più lungo di Milano dopo il Naviglio Grande e il Naviglio Pavese. Appare con acque limpide in via Carlo Bazzi a Morivione, nel parco ex OM, costeggiando il quartiere e attraversando poi via Ripamonti per continuare nell’area a sud dello scalo fino ad estendersi nel Parco Agricolo, dove poi confluisce nel Redefossi. Nel PGT vigente emergono ambizioni di riconoscimento dell’assoluta centralità del sistema delle acque. Esso è necessario a contribuire al miglioramento della sostenibilità urbana e della qualità paesaggistica. Le scelte del nuovo Piano di Governo del Territorio consentono di rafforzare le connessioni ecologiche tra le grandi dotazioni verdi di scala metropolitana -i parchi agricoli- e la trama minuta e frammentata del verde urbano esistente nella città.

155


156

Le dotazioni di verde pubblico all’interno dell’Accordo di Programma degli Scali rappresenteranno i nuovi capisaldi del progetto delle rete ecologica comunale. Il terzo sistema di reti, infatti, è il sistema di reti e suoli che costituiscono il sistema del verde. Numerosi sono i parchi e i giardini che circondano lo scalo di Porta Romana. Ad ovest: Parco della Resistenza nel quartiere Tibaldi, il Parco Ravizza su viale Toscana e sotto di esso il Parco delle memorie industriali sull’area ex OM, il giardino Capponi. A sud la succesione di tre parchi di quartiere su via Calabiana e via Ortles, che indirizzano la rete del verde verso il grande bacino del Parco Agricolo Sud. Ad est il giardino Candia e il Parco Alessandrini. Un sistema degli spazi aperti frastagliato, con dimensioni notevoli, che rende trova ancora il suo centro, il suo nodo, nel vuoto dello scalo di Porta Romana. Secondo le richieste di progetto, derivate dai vari Accordi di Piano, esso dovrà infatti contenere un grande parco urbano, un polmone verde per la città. La futura presenza di questo grande suolo naturale potrà permettere la messa a sistema di tutta la rete dei parchi e rafforzarne il collegamento con il Parco Agricolo Sud.


TESSUTO Si è visto come l’asse di corso di Porta Romana - corso Lodi possa essere interpretato come un segno forte che permane nell’evoluzione morfologica di Milano, nelle diverse epoche della sua storia, dalla città romana a quella attuale. Lungo questo asse, caratterizzato dalla compattezza dei tessuti urbani, si possono leggere le soglie di edificazione previste dai diversi piani regolatori. Emergono da qui le diverse modalità di edificazione, le quali mostrano il persistere di una filosofia del progetto urbanistico orientata ad un’ampia assunzione del problema sociale della casa economica per ceti operai, artigiani e della piccola borghesia commerciale. L’origine di tale esigenza abitativa si attesa a fine Ottocento, a fronte dell’inserimento della rete ferroviaria e dello scalo merci, e la conseguente industrializzazione dell’area. Nelle carte “Carta topografica della città di Milano nei secoli bassi” del Giulini del 1760 e “Milano ne’ secoli bassi”, realizzata dall’Ufficio Tecnico del Comune di Milano nel 1878, si può leggere uno sviluppo urbano contenuto della città, che sostanzialmente rappresenta l’evoluzione della città all’interno del tracciato murario cinquecentesco Tra la Porta Romana e la Porta Tosa, nella fascia compresa tra i bastioni spagnoli e le mura medioevali, sono ancora presenti campi ed ortaglie con edifici sporadici. Mentre tra la Porta Romana e la Porta Ticinese il tessuto urbano inizia a prendere forma. Fuori dalla mura, nel Comune dei Corpi Santi, all’interno del

territorio agricolo, sorgono alcune chiese e costruzioni di carattere religioso. Nella carta attuativa del “Piano Beruto”, del 1889, viene individuata l’espansione di Milano, tracciando il vialone di corso Lodi, lungo il quale avverrà la trasformazione dell’area da agricola ad industriale. L’apertura dello scalo merci e la nascita dell’industria comporteranno in questo comparto di città un rilevante fabbisogno di case operaie. Fino al 1912 viene attuata una attività edilizia molto intensa, che vede la realizzazione di caseggiati ad altissima densità nelle aree lungo i bastioni e lungo corso lodi. La densificazione di quest’area, compresa tra i bastioni spagnoli e il circuito dei viali delle regioni, segue la maglia geometrica impostata dal Beruto, con tutto il sistema di buolevard e piazza, ripreso dal modello francese. L’ortogonalità della maglia caratterizza di più la parte tra Porta Romana e Porta Tosa, che tra Porta Romana e Porta Vigentina. Sono invece evidenti in questo quadrante, al di sopra dello scalo di Porta Romana, il sistema dei grandi viali e dei parchi, con il grande impianto del Parco Ravizza. Le prime realizzazioni nella zona di quartieri di edilizia economico-popolare risalgono al periodo 19101911, nascono in questo arco temporale i quartieri Ripamonti, Spaventa e Tibaldi. Nella carta del “Piano Pavia-Masera” del 1912, lo sviluppo urbano dell’area è legato alla realizzazione dei grandi viali di collegamento tra

157


nord e sud. Dalla seconda metà degli anni Venti vengono poi realizzati i complessi popolari dei quartieri Regina Elena, Giambologna, Bibbiena e il grande complesso Calvairate e Molise.

158

Nel piano PRG del 1953 viene prevista la costruzione in nuove aree periferiche di nuovi quartieri popolari, edificazione di cui sarà complice negli anni Sessanta il boom economico e demografico. In questi anni vengono realizzati i quartieri popolari Gabrio Rosa, Omero, Barzani e Gamboloita, caratterizzati dall’elevato rigore progettuale, con attenzione agli aspetti tipologici ed ambientali, esito del filone moderno dell’architettura milanese. La successione di questi tre Piani Regolatori costituisce sostanzialmente quella che è l’immagine contemporanea di questo comparto urbano, e consente di avanzare delle interpretazioni del tessuto urbano necessarie alla comprensione dell’area. Il luogo è esito di tutte queste stratificazioni sviluppatesi nel corso della storia, pur relativamente breve per questa parte di città, “ciò che è stato rappresenta il bordo rispetto al quale viene misurata la distanza dal nuovo che si costruisce, il terreno su cui il nuovo sorge” (Gregotti, 1986). L’analisi del tessuto è necessaria all’interpretazione del luogo e a comprendere i processi di trasformazione. “Il rapporto area-residenza ed elementi primari configura in modo concreto la città” (Rossi, 1966), rapporto che è quasi sempre riscontrabile nelle città che hanno

agito verso l’unificazione dei vari elementi, ma anche in quelle che hanno agito all’estremo opposto. La città del resto, come dice Rossi, è la somma di tutti questi fatti, è la sommatoria di varie tessere che messe insieme costituiscono il manufatto urbano, appunto la città. Nel tessuto è riconoscibile la trama che si costituisce tra le vari parti, e in questa trama “gli elementi primari hanno un’evidenza assoluta: essi si distinguono in base alla loro forma e in un certo senso in base alla loro eccezionalità nel tessuto urbano” (ibidem), questi appaiono come macchie nere, forme emergenti nel tessuto, basti pensare alla rappresentazione di Giambattista Nolli della “Nuova pianta di Roma”, del 1748. Elementi che contribuiscono alla costruzione del locus. Focalizzando lo sguardo sull’area in analisi, ovvero il sud-est di Milano, dai bastioni spagnoli verso il Parco Agricolo Sud, emerge con forza, anche ad una lettura superficiale, la dicotomia tra la parte a nord e la parte a sud dello scalo ferroviario. La parte nord, ovvero quella determinata dagli sviluppi della città coi Piani Beruto e Pavia-Masera, presenta un tessuto compatto, simile a quello della città consolidata, regolato dalla maglia ortogonale disegnata dal Beruto, dove l’isolato si costruisce alla maniera ottocentesca perimetrato dagli edifici. La parte a sud, invece, è l’esito della vocazione industriale dell’area e dell’assenza di un piano regolatore vero e proprio. Alla città compatta si contrappone la città aperta, e l’elemento di frapposizione tra queste due parti è lo scalo e la rete ferroviaria che fa

22. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud: il tessuto.


159


160


23. Elaborazione grafica degli autori, Dicotomie del tessuto intorno allo scalo di Porta Romana.

da cesura, come già visto in precedenza, ponendosi quasi come nuova cinta muraria che divide la città della residenza dalla città della produzione. La determinazione di questi fatti è insita proprio nel primo e nel secondo piano regolatore. Il processo ideologico porta il Beruto a vedere nell’espansione nulla più di uno sviluppo della città vecchia, procedente dall’interno verso l’esterno. Ne deriva logicamente un organismo pieno di passato anziché un organismo dotato di un’indole futura. La parte antica della città, nella visione berutiana, deve essere sottoposta a notevoli modifiche, imposte dall’ingrandimento, ma l’ingrandimento stesso è sviluppo e conseguenza della struttura monocentrica antica che si vuol rispettare e potenziare. L’estensione raggiunta dal corpo urbano aveva un raggio medio di 1604 metri, il Beruto traccia una nuova circonvallazione con un raggio medio di 2896 metri, precisando il centro virtuale del nuovo perimetro che risulta spostato di circa 500 metri verso nord-ovest in confronto a quella della compagine bastionale. Il piano regolatore disegna una rete di strade radiali e di strade circuenti o diagonali variamente intersecantesi. Ne risulta uno schema a ragnatela non uniforme, frammentato per le interferenze col sistema ferroviario, e soprattutto manchevole della connessione con le radici radiali esterne. La nuova struttura, che si aggrega al nocciolo antico, non ha indole aperta verso le direttrici di sviluppo fondamentali, non è orientata secondo gli assi dell’espansione naturale, ma è

avvolta su se stessa e si ricollega all’indole della città militare del passato, delimitata dal vallo. Il Beruto non inventa una forma urbana moderna, ma riprendere in nuova misura quella del passato, eleggendo dei margini giustificati solo da una tendenza mimetica. Il ciclo di validità del piano era fissato in venticinque anni, ma le condizioni di fatto della vita cittadina imposero dopo poco più di quindici anni lo studio di un nuovo piano. Studi che iniziarono nel 1906, ma vennero subito fermati in attesa di una soluzione di riordino ferroviario, in modo che il nuovo piano potesse avere una base sicura. Ciò palesa un fatto essenziale, ovvero che non la città indirizzava le opere ferroviarie, ma le ferrovie la città. Si ripete quindi il fenomeno già avvenuto nel 1857, quando le linee ferroviarie d’approccio e le stazioni vennero situate nella città secondo lo schema anulare che chiudeva la città. Il Piano Pavia-Masera non fa poi che confermare le soluzioni del Beruto. Lo schema geometrico del nuovo piano, che giunse all’approvazione nel 1912, non si differenzia per nulla dallo schema del precedente piano; la trama a ragnatela e lo sviluppo della compagine avviene mediante l’aggiunta di una fascia , che tende a riempire tutto lo spazio interposto tra la circonvallazione esterna e la nuova cintura ferroviaria. Il tessuto urbano è una struttura composta dalle relazioni che intercorrono tra tipologie di edifici confinanti differenti e tra questi e il sistema viario, prodotta dal corso del tempo, si prendano in analisi alcuni

isolati all’interno dell’intorno

161


162


24. Elaborazione grafica degli autori, Analisi pieni-vuoti di isolati campione dell’intorno urbano dello scalo di Porta Romana.

urbano dello scalo di Porta Romana, per osservare l’effettiva composizione di questi elementi urbani che insieme a strade, piazze e giardini, costituiscono la struttura consolidata della città. L’analisi di alcuni isolati campione, mette in evidenza tutto quanto è stato poc’anzi espresso. Indagando il rapporto positivo-negativo che permette la lettura dei pieni e vuoti degli isolati, si riescono a comprendere i caratteri insediativi delle due parti di città. Gli isolati che contraddistinguono la porzione sita a nord dello scalo, testimoniano lo sviluppo di una città tradizionale tipicamente sul modello ottocentesco, dove l’isolato è composto sul suo perimetro da varie tipologie architettoniche di edifici, prettamente a carattere residenziale, in stretta relazione di confine tra di loro. All’interno di questi isolati si inseriscono alcuni elementi di variazione che possono essere considerati fatti urbani di secondo grado, come chiese o edifici religiosi, che segnano una alterazione della struttura perimetrale. Ma emerge con forza un rapporto pieni-vuoti dove il vuoto è lo spazio residuale contenuto all’interno degli isolati, è l’esito del sistema di corti, cavedi, giardini interni che articolano internamente le varie tipologie edilizie. La maglia degli isolati della parte nord è per di più decisamente regolare, proprio secondo la concezione del Beruto che si rifa ai modelli haussmaniani, in cui la città è attraversata da grandi assi viari, filari alberati, piazze e parchi urbani, come succede nella porzione più a ovest, dove nel

tessuto si apre l’area verde del Parco Ravizza, su un modello di parco tipicamente ottocentesco. Forte è la divergenza con la porzione a sud dello scalo, dove il rapporto pieni-vuoti è completamente invertito. Il tessuto che compone questa parte di città è costituito da isolati a maglia decisamente più grande, il doppio o il triplo, rispetto a quelli residenziali posti a nord, questo per via della differente vocazione funzionale e tipologica dell’area, e anche per un disegno di piano meno rigido e non effettivamente messo in atto. Gli edifici all’interno degli isolati si dispongono qui in maniera quasi casuale, il concetto di cortina edilizia continua, che è il fondamento dell’isolato ottocentesco che compone la parte a nord dello scalo, qui è quasi completamente negato. L’isolato si compone, infatti, per elementi autonomi, tipologicamente indifferenti tra loro, senza relazioni dirette. Questo fa si che lo spazio del vuoto sia decisamente più ampio, ma non qualitativamente migliore. Si configurano quindi due bordi dello scalo molto differenti tra loro, elemento di cui qualunque progetto deve tenere in stretta considerazione. Si tratta infatti qui di comprendere il ruolo che lo scalo ora può assumere, per ridefinire un bordo urbano e comprendere dove finisce effettivamente la città consolidata e dove inizia la città aperta.

163


TRASFORMAZIONI IN CORSO

164

A valle della ricostruzione storica dell’intorno urbano dell’area dello scalo di Porta Romana, è opportuno delineare anche le trasformazioni in corso che caratterizzano l’area e la rendono ad oggi una delle più dinamiche della città di Milano. In particolare si possono individuare: la realizzazione del nuovo polo museale di Fondazione Prada, posto a sud in adiacenza allo scalo; il progetto Symbiosis sul retro di Fondazione Prada; il progetto Smart City Lab promosso dal Comune di Milano in via Ripamonti; il Campus IFOM Ieo in via Adamello; il centro co-working TAG Talent Garden in via Calabiana; il nuovo edificio di residenze per studenti dell’Università Bocconi in viale Isonzo e la nuova sede della Bocconi School of Management all’ex centrale del latte in viale Toscana; il progetto in previsione della torre uffici A2A in viale Isonzo, all’interno del perimetro dello scalo. Ampliando lo sguardo ad isolati più distanti, ma gravitanti sempre attorno allo scalo, si individuano: la Fondazione Filarete e la nuova sede di Smemoranda in viale Ortles; il progetto Lighthouse Smart Cities per il quartiere di Porta Romana-Vettabia. Si analizzano sinteticamente di seguito alcuni di questi nuovi scenari progettuali, per mettere a fuoco gli aspetti relativi alla trasformazione dell’ambiente costruito e le nuove funzioni che favoriscono la riattivazione del tessuto socio-economico del comparto urbano sud-est di Milano.

25. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud-est: trasformazioni in corso.


165


166

Fondazione Prada Il progetto di Rem Koolhaas e OMA per la Fondazione Prada, si caratterizza per la riconversione funzionale e architettonica dell’ex impianto per la distillazione della Società Italiana Spiriti in Largo Isarco. Un complesso composto da strutture industriali, capannoni e depositi organizzati attorno a una grande corte centrale. I corpi di fabbrica sono contraddistinti da caratteri tipici delle strutture produttive di inizio Novecento, quali ampie finestrature, scansione ritmica degli alzati e dei muri di delimitazione, rivestimenti in intonaco, caratterizzati anche da un’attenzione e cura nel trattamento delle facciate con pochi ma raffinati elementi decorativi. Questo complesso è stato trasformato nella nuova sede della Fondazione Prada: un polo espositivo in grado di presentare al grande pubblico le collezioni, e al contempo ospitare installazioni artistiche e attività culturali. Il progetto conserva il carattere industriale originario dell’edificio, mantenendo inalterati l’intonaco bianco delle facciate dei corpi di fabbrica più bassi, le capriate metalliche e le scansioni modulari delle strutture e delle aperture in modo tale da tutelare la memoria storica del luogo. Uno degli edifici conservarti è stato rivestito con un nuovo intonaco dorato. Le nuove addizioni volumetriche consistono in due corpi di fabbrica più bassi posti all’interno della corte ed una torre, si distinguono dalle preesistenze per i materiali usati e le scelte morfologiche adottate, pur cercando di mantenere la gerarchia del rapporto tra pieni e vuoti presente.

Progetto Symbiosis Il Progetto Symbiosis, sviluppato da Beni Stabili Siiq, riguarda la riqualificazione di un ampio comparto industriale per una superficie complessiva di circa 100000 mq, a sud di Fondazione Prada. Un insieme di tre aree che si sviluppano in direzione nord-sud tra le vie Adamello ed Orobia. Il progetto mira alla realizzazione di un centro per il terziario avanzato, un vero e proprio business park orientato allo smart working, contiguo al centro storico della città. Il progetto prevede la realizzazione di un complesso per uffici e produzione innovativa. Sono inoltre previsti servizi e spazi per attività culturali, ricreative e commerciali. Il masterplan complessivo dell’intervento è caratterizzato dalla disposizioni di otto blocchi con altezze, dimensioni e superfici differenti, che intercludono un percorso pedonale lineare che si snoda lungo tutto l’intervento. Lo spazio centrale, definito naviglio minerale, viene concepito come elemento connettivo tra le diverse parti e funzioni: dalla piazza delle Arti nella parte nord del sito fino alla vecchia ciminiera sul lato sud, in prossimità del Panificio Automatico Continuo di via Quaranta, riattivando connessioni e relazioni tra brani di città differenti. Il progetto è stato avviato nel 2016-2017 con la realizzazione del lotto adiacente a Fondazione Prada ed è tutt’ora in costruzione. Residenze Bocconi Nel 2014 l’Università Bocconi ha ampliato la sua offerta di spazi residenziali per studenti, attraverso la realizzazione di una nuova torre localizzata sul margine nord dello

26. OMA 2014, Fondazione Prada, Assonometria.


167


168


27. Sanaa 2019, Bocconi School of Management, modello.

dello Scalo di Porta Romana, in prossimità di viale Isonzo. Questa nuova residenza completa un portafoglio già consistente, caratterizzato anche da recenti realizzazioni nell’area delle ex OM, che comprendono le residenze Spadolini e Dublini. L’edificio, progettato dallo studio Costa Zanibelli, si caratterizza per un volume più basso, con alloggi, servizi per i residenti e spazi condivisi, e da una torre di dieci piani, nella quale sono contenuti altri alloggi. Bocconi School of Management Con il progetto dello studio giapponese SANAA (Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa), che prevede nuovi spazi per la didattica, uffici, un centro sportivo, residenze per studenti e ampi giardini, l’Università Bocconi punta a rafforzare ulteriormente l’idea di cittadella universitaria che insegue dagli anni Trenta del secolo scorso. Nel 1937 infatti l’architetto Giuseppe Pagano fu chiamato a disegnare l’ormai storica sede di via Sarfatti, ai margini meridionali della città, poco distante dall’area oggi interessata dai nuovi piani di ampliamento. Il progetto di SANAA è stato scelto come vincitore del concorso internazionale ad inviti bandito dalla Bocconi all’inizio del 2012, a cui hanno partecipato anche Rem Koolhaas, David Chipperfield, Thom Mayne, Massimiliano Fuksas, Mario Cucinella, Cino Zucchi, Sauerbruch & Hutton, Benedetta Tagliabue EMBT, Odile Decq. Il nuovo campus occupa l’area dell’ex Centrale del latte di Milano (circa 35.000mq), al limite della terza circonvallazione cittadina, dove

la forma urbis comincia a sfrangiarsi e a perdere omogeneità. Questa condizione, accentuata dalla forte presenza del parco Ravizza, con cui l’area confina a est, ha portato lo studio SANAA a creare un microcosmo di corpi di fabbrica liberamente collocati nel lotto a disposizione, negando qualsiasi riferimento diretto al tessuto urbano limitrofo o milanese in generale. Torre A2A Una torre di vetro di 28 piani, con 145 metri di altezza, è il progetto firmato da Antonio Citterio e Patricia Viel per la torre A2A, che sorgerà situata all’interno dello scalo di Porta Romana, a lato della sede storica della ex AEM su viale Isonzo. Un’alta ciminiera di cristallo posta davanti a piazza Trento, per ospitare 1500 dipendenti, che si configura come il primo grattacielo nel quadrante sud di Milano, superando di gran lunga l’altezza della torre Prada (60 metri). Il progetto recentemente approvato dalla Commissione Paesaggio del Comune di Milano e dal Municipio 5, dovrà per necessariamente tenere in considerazione anche il ridisegno dell’antistante piazza Trento e via Crema. Il progetto dovrebbe vedere l’avvio nel 2021.

169



capitolo quinto DALLA CITTÀ AL LUOGO UN’IDEA DI PROGETTO


172


1. Elaborazione grafica degli autori, Strategia di progetto.

STRATEGIA URBANA Il discorso teorico di analisi e interpretazione della tematica di rigenerazione degli scali ferroviari dismessi e il successivo focus sullo sviluppo urbano dell’area di Porta Romana, sono stati necessari per una lettura più consapevole dell’area di progetto. L’ex scalo di Porta Romana, come già evidenziato, rappresenta una grande opportunità di rigenerazione per l’area sudest di Milano e per tutta la città in generale, esso, infatti, risulta uno degli ambiti di intervento del Piano di Governo del Territorio “Milano 2030”. La stesura della strategia urbana di intervento fa i conti, oltre che con un’interpretazione del luogo, anche con le richieste contenute nel Piano. Esso prevede che su una superficie di estensione totale di 217207 metri quadrati, venga edificata una superficie lorda di pavimento pari a 187300 metri quadrati, di cui il 30% (56910 mq) dovrà essere occupata dal villaggio olimpico. Inoltre, così come in tutti i progetti di rigenerazione degli scali milanesi, lo Scalo dovrà ospitare un grande parco urbano. La lettura della cartografia storica evidenzia la tendenza alla radiocentricità della città di Milano - si vedano i capitoli primo e quarto - sempre rafforzata da un recinto: i muraglioni romani, le mura medievali, i bastioni spagnoli e infine la cinta ferroviaria a C rovescia. Ognuna di queste perimetrazioni ha lasciato un segno forte nella città, siano esse murarie o ferrate. Ma se i resti delle mura difensive sono

stati distrutti o integrati dallo sviluppo della città, i resti legati alla rete ferroviaria, ovvero gli scali dismessi, rappresentano ancora oggi delle pause all’interno delle tessuto della città. L’analogia della cinta ferroviaria alle cinte murarie deriva dal fatto che la ferrovia ha svolto nello sviluppo della città lo stesso ruolo dei tre sistemi difensivi, determinando lo sviluppo e la forma della città. La quota dello Scalo, più bassa rispetto alla quota stradale, e i suoi bordi chiusi entro alti muri, portano ad interpretare lo Scalo come un vallo, un bastione in negativo, un elemento di cesura che ha segnato la differenza tra cioè che è intra e ciò che extra moenia, provocando una forte divergenza nel tessuto urbano, nei rapporti tra pieno e vuoto, con una netta dicotomia tra cortine continue e discontinue, tra tessuto compatto e tessuto misto. Riflessioni che dirigono verso un’altra considerazione necessaria: cosa fare della ferrovia ancora in uso, di quella ferrovia che passa alla quota stradale. Altro elemento, infine, che consegue a questo carattere dello Scalo è il bordo, bordi che svolgono il ruolo di limiti. Gli scali sono circondati da un perimetro murario continuo che isolano il loro interno dalla città, come se fossero dei fortini invalicabili, muri che devono essere necessariamente abbattuti per ridefinire un bordo urbano che sia permeabile e permetta l’accessibilità dell’area dalla città. Si tengano poi presenti anche quelle che possono essere viste come opportunità: dalla rete infrastrutturale che converge sul nodo di

173


Piazzale Lodi, alla Fondazione Prada. Elementi che assumono una valenza positiva e di traino all’interno della ridefinizione di questo luogo.

174

Queste considerazioni, unite a quelle dei capitoli precedenti, portano alla redazione di una serie di obiettivi che disegnano la strategia urbana di intervento sull’area di progetto. Obiettivo trainante del progetto qui proposto per lo scalo di Porta Romana è la restituzione di questo brano di città alla città; il che non significa semplicemente demolire i muri che perimetrano l’area, ma analizzare il tessuto, i tracciati e la morfologia urbana per comprendere come poter reintegrare questo vuoto urbano alla città costruita. Si parla quindi delle tre R: rigenerazione, riciclo e resilienza. Termini che indicano un processo che va ben oltre la semplice modificazione e messa in atto delle richieste del Piano, che esprimono invece la capacità di adattamento di un luogo a delle trasformazioni verso una sostanziale re-invenzione. Il progetto del resto ha il compito di saper leggere nel luogo, da un lato, la sua disponibilità alla trasformazione, e dall’altro le risposte che il luogo stesso già sottende. Si è parlato di un’ampia diversità della morfologia urbana tra il bordo settentrionale e il bordo meridionale dello Scalo, la più banale delle prassi parlerebbe di ricucitura di questo strappo nel tessuto, ma si tengano in considerazione i tracciati del Beruto: essi evidenziano la loro inattualità e irreplicabilità, poiché rappresentano un modo

desueto di approccio alla città. Allo stesso tempo, da sud a nord, non sono presenti assi generatori sui quali poter attestare una vera e propria ricucitura. Il tentativo di giunzione delle due parti di città porta con se un forte stridore, segno di una evidente forzatura del processo. Mettere insieme due tipologie di tessuto urbano così diverse tra loro, morfologie opposte, rischierebbe di generare una insignificante via di mezzo che rafforzerebbe ancor di più l’attuale divisione tra le parti. Più che un ricucire il processo da mettere in atto sarà un rimettere in tensione le parti, perché la loro relazioni costituisca nuovamente un tutt’uno. Questo implica in primis la ridefinizione dei bordi, per comprendere quale sia il limite effettivo delle due parti di città, dove finisce una dove inizia l’altra e viceversa; in secondo luogo deve trovare un mezzo per mettere a sistema il rapporto tensionale, uno strumento di mediazione tra le parti, il parco urbano, il quale si sovrappone al sistema dei binari costituendo un legante. Un sistema di relazioni e di comunicazione che si vuole sviluppare in direzione ortogonale allo Scalo, e che considera i margini di levante e di ponente come limiti dell’area, frutto anche della forte differenza di quote del terreno tra l’interno e l’esterno dello vuoto in queste due frange. Infine occorre far sì che le potenzialità esterne diventino elemento partecipe di questo nuovo disegno urbano di tale porzione di città.


MORFOLOGIA URBANA E TIPOLOGIA ARCHITETTONICA L’analisi dei rapporti tra la tipologia edilizia e la morfologia urbana che costituiscono il tessuto di questo settore di città, permette di arrivare alla determinazione del masterplan di progetto, come elemento di definizione degli obiettivi di progetto emersi nell’impostazione strategica e soprattutto come documento che accorpa l’istanza dell’unità architettura-urbanistica, come sosteneva Samonà, e assume il compito di definizione dell’istanza formale della città. Lo studio delle forme delle “paesaggio urbano” (Chabot, 1948) insieme allo studio del carattere del luogo, ha condotto il progetto a ricercare proprio nel luogo le risposte e gli elementi di definizione di tale processo immaginativo. Il progetto parte innanzitutto da una linea guida teorica di approccio alla città, dato che non opera in un luogo asettico, bensì in un luogo che innanzitutto si può definire come “locus” (Rossi, 1966), carico di significato, risultato di segni e sovrapposizioni, depositario di una “memoria collettiva” (Halbwachs, 1968) della città. Il progetto evita con determinazione la soluzione della tabula rasa e della autoreferenzialità, poiché si ritiene che l’obiettivo generale dell’intervento sugli scali debba essere quello di restituire queste parti alla città, e proprio per questo occorre intervenire con un disegno che si relazioni alla città, che si inserisca in essa, e non che gli dia le spalle. Continuare la città interrotta, con le misure, le proporzioni, gli elementi della città

compatta, per ridefinire la forma della città e dei suoi limiti. Il principio urbano seguito è quello della ricostruzione critica, cercando di ricostruire i caratteri proprio della città di Milano. Un termine che mette in luce su diversi fronti le potenzialità insite nel patrimonio tramandato dalla storia urbana, ultimo caposaldo contro le tendenze antiurbane della città generica. Metodologia che guarda alla città storica e consolidata come un archivio, un repertorio di spazi, architetture e monumenti. Ricostruzione anche di un linguaggio collettivo, con un disegno degli spazi urbani formalizzati e chiaramente riconoscibili; e come coinvolgimento degli spazi urbani, integrando le preesistenze all’interno di un nuovo contesto urbano. La forma strutturale dell’intervento sullo scalo di Porta Romana si definisce rispetto alla morfologia dell’intorno urbano circostante e in relazione alla memoria storica del luogo. L’approccio critico si struttura anche in maniera enfatica nell’interpretazione del luogo. Si è visto come lo scalo divida in due parti la città, due parti con caratteri completamente differenti, da un lato la città di tipo compatto, tipicamente ottocentesca, dall’altro la città aperta tipica del moderno. Il progetto fa leva proprio su questa dualità, e la porta alle estreme conseguenze, con un processo che guida alla definizione dei nuovi margini urbani, e a comprendere i loro limiti, ovvero dove finisce la città compatta, la città del piano Beruto, e dove inizia la città aperta, la città senza piano, che costituisce il comparto sud.

175


176

La proposta progettuale si articola principalmente proprio sulla definizione di questi bordi, margini della nuova immagine della città: nella parte a nord dello scalo, dove vi è la presenza di una porzione di isolato rimasta incompleta, il progetto si pone l’obiettivo di ricostruzione dell’intero fronte urbano su viale Isonzo, completando così l’isolato rimasto incompiuto, e determinando il limite della città ottocentesca disegnata entro le maglie del Beruto. Sul fronte opposto, a sud, il progetto non trova alcun elemento di appoggio nella città frastagliata, e per tale motivo nella porzione meridionale dello scalo vengono inserite una serie di forme archetipiche, apparentemente senza un ordine e senza una gerarchia, come metafora del tessuto aperto. Elemento di connessione, di dialogo tra le parti, di definizione del luogo e del progetto, è il parco urbano. Il progetto lavora con tre materiali: il vuoto, come occasione, la forma come strumento, il verde come materiale e centralità. Il parco urbano diventa il cuore dello scalo, centralità di una città trasformatasi in territorio urbano; mezzo per contribuire alla costruzione della struttura della città; unico elemento in grado di trasformare un vuoto in valore per l’intera nuova città che si viene a definire col progetto. “Nell’atto cosciente di dimenticare, non si può fare a meno di ricordare” (Eisenmann, 1987), sosteneva Peter Eisenamm riguardo alla ricostruzione della città di Berlino dopo la riunificazione. Si è detto che il luogo dello scalo è depositario di una memoria collettiva della città, e

questo rappresenta un valore fondamentale per il progetto che deve essere in grado di rendere visibili queste specifiche memorie, ma dall’altro lato occorre riconoscere che quest’area non può rimanere cristallizzata nella sua memoria storica, e soprattutto che, all’analisi del ruolo non certo positivo svolto dagli scali nello sviluppo morfologico della città, non si può perpetrare il carattere introverso di questo luogo. Il concetto eisemanniano dell’anti-memoria usa l’atto del dimenticare, che non è cancellare e fare tabula rasa bensì la riduzione al primo modello, per arrivare ad una struttura, ad un ordine suo proprio. Memoria e anti-memoria lavorano in modi opposti ma in collisione, per produrre un oggetto sospeso, un frammento congelato di nessun passato e di nessun futuro, un oggetto che viene definito luogo, un oggetto che appartiene al suo tempo. Il progetto, quindi, è sempre ancorato alle specificità del luogo, ma procede senza nostalgia e senza sentimentalismo, cerca di seguire un’alternativa. Alternativa che suggerisce presenze ed assenze, che eleva la memoria al fine di permetterle di riconoscere le cancellature prodotte dell’anti-memoria, dove “i frammenti diventano un tutto e tutto diventa un frammento” (ibidem), nell’obiettivo di ricostruire una regola. I depositi ferroviari fotografati da Gabriele Basilico, il sedime dei binari, i resti dei vecchi edifici dello scalo sono i frammenti di una città che era e che ora non è più, ma che lasciano un segno indelebile nel vuoto che li accoglie. Sono baluardi,


i resti, i segni marcati di un ciclo finito. Lo Scalo ha terminato la propria funzione, il proprio ciclo di vita, e il progetto si trova a dover dare una risposta alla lecita domanda di come disegnare la città ora che anche queste mura sono crollate. La linea ferroviaria è stata letta come un limite, un valico da oltrepassare, per questo motivo, nella volontà di ricucire lo strappo, si è deciso l’interramento parziale della linea del ferro ancora funzionante che attraversa lo scalo tagliandolo orizzontalmente in due parti; parzialmente perché non si può cancellare un segno così forte, la cui presenza deve essere percepita. Con una operazione di camouflage urbano l’asse ferroviario interrato viene ricoperto da un parco urbano articolato in una grande lingua verde, una esplanade tipicamente parigina, che lo segna in negativo; mentre a sud il parco urbano si disegna per strisce orizzontali tra loro parallele che ricalcano il sedime dei binari dismessi. L’interramento parziale dei binari permette un lavoro di ricucitura e connessione, dove il parco diventa la nuova infrastruttura che traccia delle relazioni tra le parti. Lo scalo perde parte della sua evidente riconoscibilità formale, così come del resto ha perso la sua funzione, ma il vuoto trattato a parco ne vuole evocare la sua essenza.

con la città ai margini. Relazioni antiche, ovvero quelle che derivano dalla città consolidata: i tracciati del Beruto, gli assi antichi della Via Emilia, della Strada di Vigentino e della Strada per Chiaravalle, segni che il progetto reinterpreta e accoglie in maniera critica nella sua impostazione urbana. Tracciare relazioni, ridisegnare i bordi, ricucire e connettere, pure senza mai celare lo strappo. Il progetto parte dall’esigenza di collocare in quest’area il villaggio olimpico per i Giochi invernali del 2026, ma supera e va oltre questa richiesta, la sfrutta volutamente come occasione di ripensamento e ridefinizione di questo ambito urbano. Il disegno si proietta in una prospettiva di durata, guarda in avanti, non si limita a dare risposta ad una singola domanda, ma cerca di porre una risposta interpretativa alle domande poste da luogo. “Affermare la necessità della durata diviene sinonimo di rigore, di difesa dalla oscillazione delle mode, dell’autorialità e della preminenza dell’immagine” (Valente, 2016), del resto il progetto deve dare risposte a domande e tematiche che sono le stesse da sempre, e per questo occorre “far apparire le cose dell’architettura come se fossero state sempre là, inevitabili attori del luogo” (Gregotti, 2006).

Il progetto ricuce, colma il vuoto, tenta soprattutto di costruire relazioni che lo Scalo ha sottratto alla città, e lo fa tracciando relazioni nuove e riprendendo relazioni antiche. Relazioni nuove, ovvero quelle che la nuova griglia ordinatrice interna genera con i nuovi edifici e

Questi principi vengono sintetizzati nel masterplan con una modalità di stratificazione per layer, sovrapposizione di elementi che si intrecciano come fili a comporre la tessitura finale e raggiungere gli obiettivi del progetto. Livelli che possono essere così sintetizzati:

177


Layer 1 - ipotesi iniziale, porta con se le considerazioni generali del progetto, ovvero l’interramento della linea del ferro, la costruzione degli isolati e dei singoli edifici, regolati da una maglia ordinatrice interna.

178

Layer 2 - strips, ovvero strisce di verde che, ricalcando il sedime del tracciato ferroviario dismesso, disegnano il parco urbano e ne specificano i diversi trattamenti del suolo. Layer 3 - coriandoli e giocattoli, piccoli quadrati puntiformi e grandi figure geometriche elementari che vengono posizionate nell’area, le prime secondo l’orditura regolare del primo livello, le seconde in maniera apparentemente casuale segnando cambi di direzione ed orientamento degli assi. Layer 4 - sistema degli accessi e delle connessioni, disposti secondo una gerarchia degli assi proveniente dall’intorno urbano, di cui i principali diventano elementi imprescindibili del disegno del parco. Layer 5 - layer finale, esito di tutte le stratificazioni che costituisce il masterplan completo, dove si legge l’impostazione morfologica del progetto urbano. Si consideri ora l’aspetto tipologico, come quella ricerca delle forme che costituiscono insieme agli spazi aperti la morfologia urbana. Nel masterplan si sommano due elementi a costruire la nuova forma di questa parte di città: il parco urbano e l’edificato. Il parco urbano, come collante tra i margini nord

e sud dello Scalo, come materiale con cui si definisce il vuoto, volge lo sguardo ai parchi urbani francesi, in particolare a quelli di Parigi, dai giardini delle Tuilleries agli Champ de Mars, per arrivare ai progetti di rigenerazione urbana fatti su grandi aree dismesse negli anni Ottanta e Novanta: il Parc de la Villette, con la sua strutturazione per layer e la messa in campo di rapporti gerarchici inusuali; il Parc Citroen con la grande spianata cenrale perimetrata dai giardini tematici e verde non progettato, messa in opera dei principi teorici di Gilles Clément; il Parc de Bercy con la costruzione del fronte urbano sul parco. Il parco si articola sostanzialmente in tre settori. La parte centrale è una grande esplanade verde che copre in negativo l’interramento della ferrovia, questa lunga striscia è interrotta da alcuni camminamenti che rappresentano gli assi di accesso e attraversamento principale del parco. La parte a nord invece è costituita da una serie di giardini tematici, con trattamento e disegno del suolo differenti; la geometria di queste parti è determinata dalla griglia ordinatrice interna, la cui intersezione con gli assi principali genera delle piccole piazze davanti agli ingressi delle corti del villaggio olimpico. Sul lato nord inoltre si inseriscono due suoli artificiali che definiscono il sistema di ingresso al parco da viale Isonzo: uno tra il villaggio olimpico e gli edifici della A2A, viene trattato come vasca verde; mentre l’altro definisce il suolo attorno alla futura torre A2A con una grande piastra che ospita uno specchio d’acqua. L’elemento dell’acqua torna poi nella parte sud

2. Elaborazione grafica degli autori, Scomposizione dei layer. 3. Elaborazione grafica degli autori, Masterplan.


179


180


181


182

del parco - elemento che si inserisce nel progetto riprendendo le acque del Cavo Redefossi che scorre parallelo a corso Lodi - definendo il limite del parco trattato a strips, ovvero a fasce orizzontali di verde attrezzato, nella quale si inseriscono i padiglioni. Il parco diventa elemento di definizione del progetto: filari alberati, suoli artificiali, sequenze di spazi, disegnano lo spazio aperto. Il parco urbano diventa una nuova centralità nella città, elemento di relazione tra gli edifici che ne fanno parte e tra il sistema del verde che lo circonda. L’edificato, invece, trae la sua forma dall’intreccio di assi, giaciture, orientamenti e relazioni presenti nell’intorno urbano dello Scalo. A nord l’obiettivo primario è quello di completare, costruire un fronte urbano, che da un lato dà continuità alla cortina edilizia verso la città, su viale Isonzo, mentre dall’altro, costruendo il fronte sul parco, determina il bordo di questo materiale; questo perché il parco non entri nella città consolidata come un elemento di variazione anomalo, ma perché si inserisca nella città come elemento che le appartiene. La presenza di una porzione incompleta di isolato è stata la matrice generatrice della dimensione e dello spessore del suo completamento, andando a costituire un fronte compatto verso la città storica, ma allo stesso tempo permeabile, e definendo il lato mancante su Piazzale Lodi, operando per analogia all’esistente nell’articolazione di volumi, rapporti e altezze. Il progetto costruisce in particolar

modo il fronte nord-est dell’area, lì dove ora è labile, per dare forza all’asse storico della via Emilia, ovvero corso di Porta Romana - corso Lodi, mente interviene con una ricucitura sul margine occidentale entrando in dialogo con le preesistenze, lascia invece aperto il lato a sud, inserendo solo le geometrie pure dei padiglioni, aprendosi al Parco Agricolo Sud. Sul lato nord si posiziona il sistema di corti che costituisce il Villaggio Olimpico. Qui il progetto guarda in analogia ad un importante fatto urbano della città, ovvero alla Ca’ Granda del Filarete, leggendo questo elemento come espressivo del tema della corte e poterlo reinterpretare mediante un processo analogico. La corte come elemento tipico dell’architettura lombarda e milanese, elemento del tessuto urbano della città. L’organizzazione del complesso edilizio attorno alla corte è forse il più diffuso modo di occupazione in profondità dell’isolato milanese. La corte non nasce come elemento architettonico definitivo, bensì come elemento puramente funzionale e spazio di servizio che portava luce ed aria agli ambienti della casa mercantile. La corte, generalmente di forma rettangolare, si rivolge con un lato corto su strada in cui si colloca l’accesso, ma in realtà le corti rurali e le corti urbane più antiche si riconoscono per avere il corpo di fabbrica perpendicolare alla strada. Il tipo a corte può essere considerato il tipo edilizio che in misura maggiore ha partecipato alla formazione della città di Milano proprio per le sue caratteristiche: la conformazione


degli elementi basilari dell’abitazione costituisce un’unità intermedia fra spazio pubblico e privato, rappresentando nel contempo privatezza e partecipazione alla città. La corte, quindi, come edificio milanese per eccellenza, basti guardare alla Ca’ Brutta di Muzio, un blocco urbano, con una densità importante e la conseguente complessità che portano a scomporre il blocco in più corpi e una strada interna. La grande corte infine, che guarda agli esempi del Moderno, dagli Hofe agli impianti di Perret, Pouillon, Fisker, passando per le corti dei quartieri popolari dell’Umanitaria a Milano fino agli esempi del razionalismo tedesco. La grande corte urbana del Villaggio Olimpico si posiziona su viale Isonzo, continuando la cortina edilizia, andando a costruire un fronte duplice, sulla strada e sul parco. La grande corte si costituisce dall’articolazione di quattro corti minori, suddivise da degli edifici perpendicolari passanti al piano terra, che rendono comunque percorribile e attraversabile tutto il sistema in orizzontale. Le corti si compongono per rapporti di tensione tra tipologie di edifici differenti: case a blocco in linea, case a blocco in profondità, case a blocco accostato e case a blocco isolato. Definizioni tipologiche reinterpretate, così come reinterpretato è il concetto del tipo della corte. Il tipo è un concetto non univoco, il tipo non è una forma definita esprimibile con una misura, esso è semmai “un progetto di forma [...] che ha a che vedere con l’immaginazione” (Aris, 1990). Il tipo può al massimo essere l’idea di una forma.

L’articolazione di questi corpi di fabbrica nella composizione del volume della corte è volta a disegnare un edificio regolato da un processo simmetrico, che non differenzia la relazione con la strada e con il parco, i due fronti urbani si comportano allo stesso modo, da un lato per assecondare la lunghezza del corpo di fabbrica - circa 300 metri - dall’altra per fare in modo che esso sia si un margine, ma un margine attraversabile, penetrabile, percorribile, una porta di accesso al parco. Il processo di definizione del fronte parco prende a riferimento il progetto di Buffi a Bercy: da un lato infatti la facciata instaura un fronte completo sul parco, con una orizzontalità data dal disegno dei fronti, ritmando la sequenza della successione degli elementi con una regola architettonica rigorosa; dall’altro lato traverse e cesure nei piani terra e interruzioni della cortina continua in presenza dei blocchi isolati, permettono l’accesso al parco attraverso questo doppio filtro edificato della corte, generando prospettive e coni ottici dalla città verso il parco. A completare il fronte sul parco, si inseriscono ad ovest una serie di edifici che vanno a concludere il fronte frastagliato preesistente, in modo da definire quella porzione di isolato. Mentre sul fronte nordest si erge di fronte a piazzale Lodi una torre per uffici alta novanta metri, con un annesso corpo alto che riprende in maniera speculare la situazione preesistente sulla piazza e va a marcare corso Lodi. Tra la torre e la corte del Villaggio Olimpico si inserisce un edificio a padiglione, un corpo di ferro e

183


184


4. Elaborazione grafica degli autori, Composizione del villaggio olimpico.

vetro basso, una sorta di piazza coperta, che ospita al suo interno anche la risalita della fermata della metropolitana di Lodi TIBB. Frontalmente alla torre uffici, nel cuore del parco, si colloca la stazione del passante ferroviario, costituito da un’articolazione di volumi che contengono la stazione e uno spazio espositivo. Un discorso a se stante riguarda l’isolato di forma pseudo triangolare che si viene a creare sulla punta dello scalo ad est, determinato dal prolungamento entro lo scalo dell’antica strada per Chiaravalle. L’isolato, considerato come la possibile espansione dell’edificazione entro lo scalo secondo le quantità di costruito richieste dal Piano, si attesta, insieme al corpo uffici, lungo corso Lodi, rimarcando il ruolo di questo asse, con una serie di corti aperte, che tipologicamente sono riferibili agli immeuble villa ma che aprono verso il parco. Sul lato sud-ovest invece vengono mantenute le preesistenze dei depositi ferroviari, a testimonianza della storia del luogo e vengono inseriti due edifici terziari per dare ordine all’area e concludere il fronte frammentato.

185


186

5. Elaborazione grafica degli autori, Abaco tipologico.


187


URBANITA’ E DOMESTICITA’

188

“Nelle case milanesi si entra salendo sempre qualche gradino, in genere di marmo o di pietra: un primo segno del ruolo che l’ingresso ha avuto già nella città ottocentesca, impostata su grandi androni, basamenti in pietra e piani terra rialzati. Come è ormai noto, questa soglia tra urbanità e domesticità trova spesso nell’incontro tra la freddezza dei suoi marmi e il calore del legno, lo scuro linoleum e la trasparenza dei vetri, la sua sintesi” (Pierini, 2017). Poche convenzioni architettoniche sono così onnipresenti, e quindi così date per scontate, come quella della soglia. Se generalmente essa ha il ruolo di facilitare il passaggio tra interno ed esterno stabilendo una netta distinzione tra loro, si deve considerare però che la soglia, intesa come zona liminale, ha un carattere decisamente ambiguo. La soglia coniugando, e allo stesso tempo separando, i vari momenti del percorso, “genera uno spazio che non è né dentro né fuori, bensì partecipe di entrambi” (Sherer, 2017). La soglia sovverte quindi qualsiasi categoria che separi l’interno dall’esterno. Gli ingressi allora diventano ampie zone di transizione e luoghi di sperimentazione architettonica, sperimentazione di cui l’esperienza milanese è stata paradossale. Se si considerano le vari evoluzioni dell’architettura milanese del Novecento, emerge come lo spazio dell’ingresso nelle case milanesi abbia subito mutamenti e trasformazioni: da luogo rappresentativo a carattere autonomo nell’architettura moderna; dallo svuotamento

dei piani terra, che fa entrare lo spazio pubblico della strada nella casa, a volumi autonomi che scardinano la tipologia e la volumetria urbana; ma l’ingresso delle case milanesi mantiene sempre quel ruolo di spazio domestico dell’abitare. Il progetto della grande corte del Villaggio olimpico pensato per lo scalo di Porta Romana, volge lo sguardo alle case milanesi, ne indaga i rapporti tra l’edifico e la città, perché l’edifico sia pregno del modo milanese di abitare la soglia. Il progetto del Villaggio olimpico è costituito da una successione di quattro corti, la corte secondo il suo carattere tipologico si definisce come un’unità intermedia fra spazio pubblico e privato, rappresentando nel contempo privatezza e partecipazione alla città. Occorre soffermarsi sul ruolo che questa grande corte urbana assume all’interno della città: come si è detto poc’anzi spiegando le ragioni del progetto, questa successione di corti svolge il ruolo di filtro tra città e parco. Per tale motivo il progetto mira alla costruzione di un carattere di introversione verso la città, vuole dare importanza allo spazio domestico interno, allo spazio della corte, come spazio di relazione e condivisione, come interno urbano. Lo spazio della corte interna è costituito dalla tensione degli edifici che si affacciano su di essa, dove l’edifico a blocco isolato si scosta dalla cortina per spingersi verso l’interno e l’edificio a blocco in profondità, passante al piano terra, permette l’attraversabilità dell’edificato passando da una corte all’altra.


Ci si introduce nella corte dagli accessi principali disposti su viale Isonzo, i quali si presentano come dei grandi androni che aprono sullo spazio interno, mentre l’accesso ai singoli edifici avviene esclusivamente dal interno corte, fatta eccezione per gli edifici di testa, dove l’accesso è duplice. Le corti si trovano ad una quota più bassa rispetto al filo stradale, un piccolo salto di quota di mezzo metro, che ha portato il progetto a lavorare sulla scia della tradizione milanese giocando con un doppio livello del piano terra, per farsi che le due differenti quote vengano collegate. Sul fronte parco, invece, questo espediente permette di tenere rialzato il piano terreno, e costruire un margine tra interno ed esterno. L’accesso alle residenze avviene sempre volutamente per mezzo di sei gradini che definiscono la soglia, il limite tra l’interno e l’esterno, tra la corte e la casa, tra urbanità e domesticità. L’ingresso diventa un pronao contemporaneo, che anticipa lo spazio domestico dell’abitare, diventa luogo di mediazione, un confine da attraversare.

189


190

6. Elaborazione grafica degli autori, Sezione urbana.


191


192

7. Elaborazione grafica degli autori, Sezione urbana.


193


194

8. Elaborazione grafica degli autori, Attacco a terra di una corte tipo.


195

9. Elaborazione grafica degli autori, Porzione di prospetto di una corte tipo.


196

10. Elaborazione grafica degli autori, Sezione trasversale di una corte tipo.


TETTONICA E FACCIATA Il tema della corte guarda agli esempi dei palazzi milanesi quattro-seicenteschi e fa emergere l’attualità del palazzo, in rapporto al tema dell’isolato e alla idea di città compatta con spazi definiti da strade e piazze che esso sottende. Basti pensare all’isolato sulla Schutzenstrasse a Berlino di Rossi o l’isolato della Cassa di Risparmio di Firenze di Grassi, dove il palazzo è impiegato come modello, e dove vi è la ricerca di un isolato unitario a corte alludendo alla grande scala urbana. Gli elementi che costituiscono il palazzo sono il cortile, come spazio semipubblico incluso, e l’ingresso, come elemento di mediazione tra la strada e il cortile - come visto precedentemente - e infine la facciata come elemento rappresentativo e urbano. Portando il discorso nell’ambito del linguaggio architettonico della composizione della facciata, ci si può riferire a tre casi di riduzione che hanno portato dalla facciata muraria decorata alla struttura a telaio di travi e pilastri. Leon Battista Alberti riprende dall’architettura romana la muratura come fondamento costruttivo dell’architettura e il decoro come elemento rappresentativo del carattere di un edificio; decoro che non è semplice ornamento, ma strumento atto a rappresentare il carattere pubblico dell’edificio e a conferire, con il sistema della sovrapposizione degli ordini, una inedita rappresentatività e monumentalità urbana. Adolf Loos critica il fatto di impiegare gli elementi storici, riferendosi ai

palazzi sul Ring di Vienna, in senso ornamentale, in modo anti-costruttivo; Loos sostiene che compito dell’architetto sia infatti trovare le forme che sono strettamente legate alla natura stessa di un determinato materiale e giungere ad un nuovo linguaggio formale per il nuovo materiale, tutto il resto è imitazione. Infine Mies, il quale traduce il suo interesse per la storia in forme costruttive adeguate allo spirito dell’epoca, in forme contemporanee, riducendo la sua architettura ad una pura architettura pelle e ossa. Il classico, come sostiene Salvotre Settis, rivela oggi una sua rinnovata attualità, anche per l’idea di città che sottende e a cui dà forma, dimostrando che esso riguarda sempre non solo il passato, ma il presente e una visione del futuro. Riscoperta dell’architettura del passato che nasce nella storia dell’architettura moderna come reazione al veto modernista nei confronti della storia, basti ancora vedere una volta i progetti realizzati a Milano da Muzio, dove l’architettura è intessa come ordine architettonico. Colonna o pilastro perdono il loro carattere scenografico o dimostrativo e si convertono in elementi della costruzione, a dimostrare la continuità con la tettonica dell’architettura classica di contro all’arbitrarietà del linguaggio architettonico contemporaneo. Muzio intende la costruzione muraria quale elemento di caratterizzazione architettonica, e il riferimento al classico è più diretto e figurativo, nello sforzo effettivo di ricostruire la profondità

197


198


11. Elaborazione grafica degli autori, Dettaglio di facciata di un edificio tipo.

muraria dell’architettura storica. La Ca’ Brutta, l’ampliamento dell’Università Cattolica, il Palazzo dell’Arte e il complesso conventuale dell’Angelicum, danno una risposta esemplare per l’abilità di combinare continuità alla tradizione con una nuova scala urbana. Si è guardato proprio a Muzio per la sapienza nell’uso dei materiali e lo studio del dettaglio della facciata su più livelli. Come nel caso della Casa Bonaiti e Malaguni in Piazza della Repubblica, dove ne fanno da padrone il mattone e il marmo di Musso. Si è scelto, quindi, di costruire una facciata basata sulla tettonica e di comporla a partire dell’analogia individuata da Wittkower tra le regole della composizione musicale e i principi dell’architettura classica da Alberti a Palladio, semplificati e razionalizzati, per ordinare la facciata su principi compositivi ben determinati: una griglia costituita dal sistema trilitico trave-pilastro e il riempimento dei vuoti con elementi modulari che ritmano la facciata. Mattoni e cemento a vista caratterizzano l’espressività dei fronti, riferendosi alla tradizione lombarda e agli esempi dell’architettura laterizia della Germania del Nord. La facciata è stata costruita con attenzione al rapporto tra struttura muraria e aperture, giocando con la tecnica dello stiacciato e sulla profondità degli elementi in prospetto e sezione. Si è prestata ricerca nello studio del tamponamento dei vuoti, lavorando il più possibile con la luce e il suo rapporto sulla facciata: pieghe e disposizioni dei mattoni, gelosie,

rivestimenti in klinker. Quest’utlimo ripreso dagli edifici milanesi di Caccia Dominioni, Gardella, ma sopratutto da quelli di Gio Ponti, il palazzo Montedoria e gli edifici del Politecnico, anzitutto per la tridimensionalità degli elementi e il loro stretto rapporto con la luce. Ci si è riferiti alla tradizione milanese della costruzione e alla tradizione classica. Ogni facciata è tripartita, come nella facciata dei palazzi, come nelle colonne: basamento, fusto, coronamento. Il basamento è interamente in cemento armato, gettato con casseri metallici, a vista. Un marcapiano in basso rilievo segna poi la divisione tra basamento e fusto. Il fusto è caratterizzato da una griglia regolare e da un registro di variazione degli elementi di tamponamento e degli sfondati che da dinamicità alla facciata, pur entro la sua griglia geometrica. Il coronamento, più alto come il basamento, si articola con arretramenti, orizzontamenti e doppie altezze. Si è cercato quindi di instaurare una dialettica tra ordine architettonico e costruzione muraria, tra tettonica degli elementi e stereotomia volumetrica, componendo elementi di forma lineare, in un sistema più complesso e in se concluso, che costituisce una immagine scenografica a scala urbana.

199


“Si sono conservati esempi di opere dell’antichità, come teatri e templi, da cui, come da insegni maestri, molto si può prendere; e con grave sconforto ho notato che di giorno in giorno vanno in rovina. Vedendo altre si che gli architetti contemporanei si ispiravano novità sciocche e stravaganti anziché ai criteri già largamente sperimentati nelle opere migliori. In tal modo, per ammissione generale, in breve tempo quest’arte, che ha tanta importanza nella nostra vita e nella nostra cultura, sarebbe sicuramente scomparsa del tutto.” (Alberti, L.B. 1485, De re aedificatoria, VI, 1)


Appendice ANALOGIE CITAZIONI COLLEZIONE MEMORIE PARTI RACCOLTA RICORDI FRAMMENTI TRACCE


LAYERS

202

1. OMA, Concorso Parc de la Villette, Parigi, 1982.


203

2. Einsenman, P. 1987, La Villette, Parigi.


204

3. Tschumi, B. 1998, La Villette, Parigi.


205

4. Einsemann, P. 1978, Cannaregio town square, Venezia.


IMPIANTO URBANO

206

5. Pouillon, F. 1945, Résidence du Parc à Meudon-la-Forêt, Parigi.


207

6. Perret, H. 1945, Le Havre.


208

7. Magnano Lampugnani, V. 2000, Masterplan Campus Novartis, Basilea.


209

8. OMA 2014, Prince Bay, Shenzhen.


210

9. Moretti, L. 1949-55, Casa per abitazioni, uďŹƒci, negozi e autorimessa Corso Italia 13-17, Milano.


211

10. Moretti, L. 1946-51, Casa albergo in via Corridoni, Milano.


PARCO UBRANO

212

11. Berger, P. e Clement, G. 1992, Parc AndrĂŠ-Citroen, Parigi.


213

12. Buffi, J.P. 1994-2005, Zac Bercy, Parigi.


214

13. Corajoud, M. 2003, Le quaĂŹs jardines, Bordeaux.


215

14. Desvigne, M. 2000, Middelheim museum park, Anversa.


MARGINE

216

15. Monestiroli, A. 1979, concorso per il quartiere delle Halles, Parigi.


217

16. Grassi, G. 1991, Area Garibaldi Repubblica, Milano.


IMPIANTO TIPOLOGICO

218

17.Averluino, A. 1456, Ca’ Granda, Milano.


219

18. Vasari, G. 1581, Galleria degli UďŹƒzi, Firenze.


220

19. Broglio,G.1905-1906, Primo Quartiere della SocietĂ Umanitaria, Milano.


221

20. Broglio, G. 1908-1909, Secondo Quartiere della SocietĂ Umanitaria, Milano.


222

21. Le Corbusier 1922, Tours, immeubles-villas e bloques Ă redents de la Ville Contemporaine, Parigi.


223

22. Le Corbusier 1922, Immeubles-villas, Parigi.


224

23. Pouillon, F. 1957, Climate de France, Algeri.


225

24. Kolho, H. 1998-99, Residential Building KNSM, Amsterdam.


226

25. Le Corbusier 1960, Convento di Santa Maria della Tourette, Eveux.


227

26. Rossi, A. 1998, Isolato Schutznestrasse, Berlino


228

27. Zumthor, P. 1989-93, Casa per anziani, Coira.


229

28. Diener e Diener 1995-2001, Residential Buildings KNSM- and Java-Island, Amsterdam.


230

29. Bottoni, P. 1953-58, Palazzo INA in Corso Sempione, Milano.


231

30. Rossi, A. 1974, Complesso Monte Amiata al Gallaratese, Milano.


PADIGLIONE

232

31. Mies van der Rohe, L. 1968, Neue Nationalgalerie, Berlino.


233

32. Mies van der Rohe, L. 1964, Dominion Center, Toronto.


FOLIES

234

33. Gardella, I. 1934, Torre di Piazza Duomo, Milano.


235

34. Tschumi, B. 1998, Folies a La Villette, Parigi.


TORRE

236

35. Mies van der Rohe, L. 1950, Seagram Building, New York.


237

36. Mattioni, L., Soncini E. e E. 1950-55, Torre Breda, Milano.


238

37. Bacciocchi, M. 1936, Edificio in piazza della Repubblica, Milano.


239

38. Diener e Diener 2005-2009, Westkai Tower, Anversa.


FACCIATA

240

39. Alberti, L.B. 1446, Palazzo Rucellai, Firenze.


241

40. Loos, A. 1909, Looshaus in Michaelerplatz, Vienna.


242

41. Muzio, G. 1919-23, Ca’ Brutta, Milano.


243

42. Muzio, G. 1932-33, Palazzo dell’Arte, Milano.


244

43. Muzio, G. 1964-70, Casa Bonaiti Malugani, Milano.


245

44. Muzio, G. 1966-67, Isolato INA in Corso Sempione, Milano.


246

45. Ponti, G. 1961, Edificio Nave al Politecnico, Milano.


247

46. Ponti, G. 1964-70, Palazzo Montedoria, Milano.


248

47. Grassi, G. 1993, Concorso per il Neues Musem e completamento della Museumsinsel, Berlino.


249

48. Grassi, G. 1997-2002, Potsdamerplatz area ABB-Rolonad Ernst, Berlino.


250

49. Dudler, M. 2016, Schwabinger Tor, Monaco.


251

50. Sergison Bates 2016, Care home, Wingene.



ISTANTANEE


254

1. Istantanea degli autori, Binari, Scalo di Porta Romana da via Ripamonti.


255


256

2. Istantanea degli autori, Treni, Scalo di Porta Romana da via Ripamonti.


257

3. Istantanea degli autori, Binari, Scalo di Porta Romana dall’interno.


258

4. Istantanea degli autori, Panorami, Scalo di Porta Romana dall’interno di Fondazione Prada.


259

5. Istantanea degli autori, Panorami, Scalo di Porta Romana dall’interno di Fondazione Prada.


260

6. Istantanea degli autori, Muri, Scalo di Porta Romana da via Ripamonti.


261

7. Istantanea degli autori, Muri, Scalo di Porta Romana da Piazzale Lodi.


262

8. Istantanea degli autori, Vuoti, Scalo di Porta Romana da Via Isonzo.


263

9. Istantanea degli autori, Terzo Paesaggio, Scalo di Porta Romana dall’interno.


264

10. Istantanea degli autori, Terzo Paesaggio, Scalo di Porta Romana dall’interno.


265

11. Istantanea degli autori, Terzo Paesaggio, Scalo di Porta Romana dall’interno.



BIBLIOGRAFIA


CAPITOLO I Belloni, F. (2012), La nuova Milano: ferrovie, scali e struttura della città, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore. De Finetti, G. (2002), Le ferrovie, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.], Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli.

268 De Finetti, G. (2002), La ferrovia soffoca la città, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.], Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli. De Finetti, G. (2002), I difetti della Milano moderna, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.], Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli. Denti, G. e Mauri, A. (2000), Milano. L’ambiente, il territorio, la città, Firenze: Alinea. Fior, M. e Giudici, D. (2015), Le aspettative sociali, in AA.VV. [a cura di Castaldo, G. e Granato, A.] Un progetto per gli scali ferroviari milanesi, Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore. Gentili Tedeschi, E. [a cura di Calzà, G. e Savio, A.] (1988), Milano. I segni della storia, Firenze: Alinea. Gregotti, V. (2011), Architettura e Postmetropoli, Torino: Einaudi. Macchi Cassia, C. (2012), Strategie di sistema, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore. Mazza, L. (1995), Il progetto strategico, in AA.VV. [a cura di Cecchi, R., Lima, V., Nicolin, P., Traversi, P.], Nove parchi per Milano, Milano: Mondadori Electa. Montedoro, L. (2011), Un approccio sistemico. Progetti per i sette scali milanesi, in AA.VV. [a cura di Montedoro, L.], Una scelta per Milano. Scali ferroviari e trasformazioni della città, Macerata: Quodlibet. Montedoro, L. [a cura di] (2018), Le grandi trasformazioni urbane. Una ricerca e un dibattito per gli scali milanesi, Milano: Fondazione OAMi.


Mussinelli, E. (2015), La rilevanza ambientale degli scali ferroviari milanesi, in AA.VV. [a cura di Castaldo, G. e Granato, A.] Un progetto per gli scali ferroviari milanesi, Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore. Pasqui, G. (2015), Politiche e Strumenti per le trasformazioni, in AA.VV. [a cura di Castaldo, G. e Granato, A.] Un progetto per gli scali ferroviari milanesi, Santarcangelo di Romagna: Maggioli Editore.

DOCUMENTI CONSULTATI Comune di Milano (2019), Milano 2030 - Piano di Governo del Territorio. Regione Lombardia (2019), Milano-Cortina 2026. Candidate City Olympic Winter Games.

SITOGRAFIA www.comune.milano.it www.fssistemiurbani.it www.pgt.comune.milano.it www.scalimilano.vision

CAPITOLO II Macchi Cassia, C. (2012), Strategie di sistema, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore. Gaeta, L. (2013), Struttura e azione, in Gaeta L., Rivolin, U.J., Mazza, L., Governo del territorio e pianificazione spaziale, Milano: CittĂ Studi edizioni.

DOCUMENTI CONSULTATI AECOM (2016), Scali ferroviari. Benchmarking di rigenerazioni urbane di successo su aree ferroviarie dismesse. ARUP (2017), Scali ferroviari a Milano. Rigenerazione urbana. Casi studio.

269


CAPITOLO III Clément, G. (2005), Manifesto del Terzo paesaggio, Macerata: Quodlibet. Croset, P.A. (1990), La necessità della regola: conversazione con Jean-Pierre Buffi e Italo Rota, in “Casabella” nr.570. Da Solà Morales, I. (2001), Territori, in “Lotus International” nr. 110, pp-4449, Milano: Mondadori Electa.

270 Grassi, G. (1992), La ricostruzione del luogo, in Grassi, G. (2000), Scritti scelti 1965-1999, Milano: Franco Angeli. Gregotti, V. (1986), Il progetto del presente, in “Casabella” nr.528; poi in Gregotti, V. (2014), 96 ragioni critiche del progetto, Milano: Bur Rizzoli. Gregotti, V. (1990), Aree dismesse un primo bilancio, in “Casabella” nr.564; poi in Gregotti, V. (2014), 96 ragioni critiche del progetto, Milano: Bur Rizzoli. Gregotti, V. (1991), Un compito per il disegno urbano, in “Casabella” nr.584; poi in Gregotti, V. (2014), 96 ragioni critiche del progetto, Milano: Bur Rizzoli. Gregotti, V. (1992), Valore politico del disegno urbano, in “Casabella” nr.596; poi in Gregotti, V. (2014), 96 ragioni critiche del progetto, Milano: Bur Rizzoli. Gregotti, V. (2016), La città e le contraddizioni dei nostri anni, in Gregotti, V. (2016), Lezioni veneziane, Milano: Skira editore. Macchi Cassia, C. (2012), Strategie di sistema, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore. Monestiroli, A. (2012), Verso un’idea di città, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore. Rossi, A. (1966), Struttura dei fatti urbani, in Rossi, A., L’architettura della città, Padova: Marsilio Editore. Rossi, A. (1966), Individualità dei fatti urbani. L’architettura, in Rossi, A., L’architettura della città, Padova: Marsilio Editore. Torricelli, A. (2012), Scali ferroviari. Responsabilità e ruolo del progetto urbano, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore.


CAPITOLO IV Caja, M. (2017), Tipologia e città storica, in Caja, M., Ricostruzione critica come principio urbano e altri scritti, Firenze: Aion. Caniggia, G. (1984), Lettura di una città: Como, in AA.VV. [a cura di Caja, M., Landsberger, M., Malcovati, S.] (2012), Tipologia architettonica e morfologia urbana. Il dibattito italiano - antologia 1960-1980, Milano: Libraccio editore. Castaldo, G. (2017), Prospettive dello scalo di Porta Romana, in Schiaffonati, F., Castaldo, G., Mocchi, M., Il progetto di rigenerazione urbana. Proposte per lo scalo di Porta Romana a Milano, Santarcangelo di Romagna: Maggioli editore. De Capitani d’Arzago, A. (1942), La zona di Porta Romana. Dal Seveso all’arco romano, Milano: casa editrice Ceschina. De Finetti, G. (2002), I difetti della Milano moderna. La città poligonale, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.], Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli. De Finetti, G. (2002), Forma urbis. Il primo e il secondo piano regolatore, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.], Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli. Grassi, G. (1992), La ricostruzione del luogo, in Grassi, G. (2000), Scritti scelti 1965-1999, Milano: Franco Angeli. Gregotti, V. (1986), Questioni di architettura. Editoriali di Casabella, Torino: Einaudi. Introini, M. (2012), Milano scali ferroviari. Dentro la città, in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore. Mirabella Roberti, M. (1984), Milano Romana, Milano: Rusconi libri. Mocchi, M. (2017), Lo spazio della trasformazione, in Schiaffonati, F., Castaldo, G., Mocchi, M., Il progetto di rigenerazione urbana. Proposte per lo scalo di Porta Romana a Milano, Santarcangelo di Romagna: Maggioli editore. Rossi, A. (1966), Struttura dei fatti urbani, in Rossi, A., L’architettura della città, Padova: Marsilio Editore. Rossi, A. (1966), Individualità dei fatti urbani. L’architettura, in Rossi, A., L’architettura della città, Padova: Marsilio Editore.

271


Zanzottera, F., (1999), Le porte di Milano: storia, arte e tradizione, in Crippa, M.A. e Zanzottera, F., Le porte di Milano, Milano: Strenna dell’Istituto Gaetano Pini.

CAPITOLO V

272

Aris, M. (1990), L’idea di tipo come fondamento epistemiologico dell’architettura, in Aris, M., Le variazioni dell’identità. Il tipo in architettura, Milano: Clup. Caja, M. (2017), Ricostruzione critica, in Caja, M., Ricostruzione critica come principio urbano e altri scritti, Firenze: Aion. Caja, M. (2017), Tettonica e facciata, in Caja, M., Ricostruzione critica come principio urbano e altri scritti, Firenze: Aion. Eisenman, P. (1987), La città degli scavi artificiali, in Eisenman, P. [a cura di Rizzi, R.], La fine del classico, Milano: Cluva Città Studi. Frampton, K. (1999), Riflessioni sullo scopo della tettonica, in Frampton, Tettonica e architetura. Poetica della forma architettonica nel XIX e XX secolo, Milano: Skira editore. Grassi, G. (2007), La città antica. Insigni maestri, in Grassi, G., Leon Battista Alberti e l’architettura romana, Milano: Franco Angeli. Grassi, G. (1967), Il fondamento logico della progettazione: analiticità dell’architettura, manuali, elementi della composizione, in Grassi, G., La costruzione logica dell’architettura, Padova: Marsilio editori. Gregotti, V. (2006), L’architettura nell’epoca dell’incessante, Bari: Laterza. Halbwachs, M. (1949), La memoria collettiva, Milano: Unicopli. Koolhaas, R., (2001), Junkspace. Per un ripensamento radicale dello spazio urbano, Macerata: Quodlibet. Rossi, A. (1964), Considerazioni sulla morfologia urbana e la tipologia edilizia, in Rossi, A. [a cura di Bonicalzi, R.] (1978), Scritti scelti sull’architettura e la città 1956-1972, Milano: Città Studi. Rossi, A. (1981), Autobiografia scientifica, Parma: Pratiche editrice.


Sherer, D. (2017), Il fascino discreto della soglia. Architettura, arte e design negli ingressi milanesi, 1910-1970, in Kolbitz, K., Entryways of Milan. Ingressi di Milano, Colonia: Taschen. Pierini, O. S. (2017), Contrappunti urbani. L’abitare moderno incontra il pragmatismo lombardo, in Pierini, O.S. e Istasia, A., Case Milanesi. 19231973 cinquant’anni di architettura residenziale a Milano, Milano: Hoepli. Valente, I. (2016), Durata, in AA.VV. [a cura di Marini, S. e Corbellini, G.], Recycled Theory: Dizionario illustrato/Illustrated Dictionary, Macerata: Quodlibet. Zumthor, P. (1998), Pensare architettura, Milano: Electa.

273



REGESTO ICONOGRAFICO


CAPITOLO I 1. Elaborazione grafica degli autori, Milano sistema degli scali ferroviari e il loro intorno urbano, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/ 2. Elaborazione grafica degli autori, Milano nodi, luoghi e connessioni, su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https:// www.pgt.comune.milano.it/

276 3. Elaborazione grafica degli autori, Milano sistema del verde e dei suoli, su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https://www.pgt.comune.milano.it/ 4. Elaborazione grafica degli autori, Milano funzioni urbane, su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https://www.pgt. comune.milano.it/ 5. Mirabella Roberti, M. 1984, Milano. Pianta della città con i monumenti romani e le strade riconosciute, in Mirabella Roberti, R. (1984), Milano Romana, Milano: Rusconi libri, pp. 8-9. 6. Da Vinci, L. 1497 ca., Pianta e veduta prospettica di Milano, disegno manoscritto ad inchiostro, mm. 210x285, da <Codice Atlantico>, Milano, Biblioteca Ambrosiana, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp.38. 7. Lafrery, A. du Pérac 1573, Pianta prospettica di Milano, incisione, mm. 408x550, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp.46. 8. Commissione d’Ornato 1807, Pianta rappresentante i Progetti dei nuovi Rettifili, disegno colorato sulla pianta di Pinchetti, G., mm. 590x810, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp.92. 9. Brenna, G. e Angeli, V. 1833, Carta topografica dei contorni di Milano, Milano, Civica Raccolta di Stampe A. Bertarelli, in http://graficheincomune. comune.milano.it/GraficheInComune/scheda/Vol.+DD+12,+mappa+1833 10. Elaborazione grafica degli autori, Milano evoluzione della rete degli scali ferroviari, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https:// geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/


11. De Finetti, G. 1969, La prima cintura ferroviaria (1857-1931), in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.] (2002), Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli, pp. 145. 12. De Finetti, G. 1969, La cintura ferroviaria attuale, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.] (2002), Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli, pp. 146. 13. Bignami Sormani, E. 1885, Carta Topografica di Milano, litografia colorata, mm. 275x70, in Collegio degli Ingegneri e Architetti, Milano Tecnica dal 1859 al 1884, Milano, Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, in Vercelloni, V. (1999), Atlante storico di Milano, città in Lombardia, Milano: L’Archivolto, pp.128. 14. De Finetti, G. 1969, Il piano Beruto (1889), in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.] (2002), Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli, pp. 202. 15. De Finetti, G. 1969, Il piano Masera, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.] (2002), Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli, pp. 215. 16. Elaborazione grafica degli autori, Milano il primo passante ferroviario, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/ 17. Elaborazione grafica degli autori, Milano aree in trasformazione, scali e quartieri, su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https://www.pgt.comune.milano.it/ 18. Elaborazione grafica degli autori, Milano ambiti di trasformazione e sistemi di mobilità, su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https://www.pgt.comune.milano.it/

277


CAPITOLO II 1. Elaborazione grafica degli autori, Milano sistema del verde e degli scali, su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https://www.pgt.comune.milano.it/ 2. Elaborazione grafica degli autori, Milano riconoscimento dei sottoinsiemi degli scali, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https:// geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/

278 3. Edaw 2010, Legacy Masterplan Framework London. Structural development of London Olympic Park after the Games of 2012, in https://www.kcap.eu/en/ projects/v/legacy_masterplan_framework/ 4. Allies and Morrison 2019, Pentapytch of King’s Cross Masterplan, in https:// www.alliesandmorrison.com/models/kings-cross-1 5. ARUP, Londra King’s Cross. Dati del progetto, in ARUP (2017), Scali ferroviari a Milano. Rigenerazione urbana. Casi studio, pp.38. 6. Secchi, B. e Viganò, P. 2000, Spoor Nord Masterplan, in https://www. antwerpen.be/docs/Stad/Stadsvernieuwing/Bestemmingsplannen/ BPA_11002_224_10116_00001/BPA_11002_224_10116_00001_0000Document_tn.html 7. ARUP, Anversa Spoor Noord. Dati del progetto, in ARUP (2017), Scali ferroviari a Milano. Rigenerazione urbana. Casi studio, pp.52. 8. Ghel Architects 2008, Lille Saint Saveur Masterplan, in https://gehlpeople.com/projects/lille-masterplan/ 9. ARUP, Lille Saint Saveur. Dati del progetto, in ARUP (2017), Scali ferroviari a Milano. Rigenerazione urbana. Casi studio, pp.84. 10. Elaborazione grafica degli autori, Catalogazione degli scali milanesi, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/


CAPITOLO III 1. CerdĂ , I. 1860, Proyecto reforma y ensanche de Barcelona, in https://es.wikipedia.org/wiki/Plan_Cerd%C3%A1 2. Kleihues, J.P, Rossi, A., Grassi, G. 1991, Berling Morgen. Proposte per le aree intorno a WIlhemstrass/Tiergarten a Berlino, in Caja, M. (2017), Ricostruzione critica come principio urbano e altri scritti, Firenze: Aion, pp.14. 3. OMA 1989, Euralille, in https://oma.eu/projects/euralille 4. Elaborazione grafica degli autori su: Macchi Cassia, C. 2012, Tre materiali: vuoto come occasione, forma come strumento, verde come centralitĂ , in AA.VV. [a cura di Protasoni, S.], Milano scali ferroviari, Milano: Libraccio editore, pp. 31. 5. Elaborazione grafica degli autori su: Nove parchi per Milano: le aree, in AA.VV. [a cura di Cecchi, R., Lima, V., Nicolin, P., Traversi, P.], Nove parchi per Milano, Milano: Mondadori Electa, pp.19. 6. Elaborazione grafica degli autori su: Nove parchi per Milano: i progetti, in AA.VV. [a cura di Cecchi, R., Lima, V., Nicolin, P., Traversi, P.], Nove parchi per Milano, Milano: Mondadori Electa, pp.22-23. 7. Elaborazione grafica degli autori, Masterplan di Parc de la Villette, Parc Bercy e Parc Citroen, su: Parchi urbani contemporanei, in AA.VV. [a cura di Cecchi, R., Lima, V., Nicolin, P., Traversi, P.], Nove parchi per Milano, Milano: Mondadori Electa, pp.162-163. 8. Tschumi, B. 1982, Parc de la Villette, esploso assonometrico, in: http:// www.tschumi.com/projects/3/ 9. Tschumi, B. 1982, Points lines surfaces, in: http://www.tschumi.com/ projects/3/ 10. OMA 1982, Parc de la Villette, illustrazione, in: https://oma.eu/projects/ parc-de-la-villette 11. Eisenman, P. 1987, La Villette, disegno, in: https://eisenmanarchitects. com/La-Villette-1987 12. Berger, P. e Clement, G. 1982, Parc Citroen, in: http://www.archidiap. com/opera/parc-andre-citroen/ 13. Ortofoto satellitare 2017, Parc Citroen, in: http://recycledlandscapes.altervista.org/parc-andre-citroen-parigi-francia/

279


14. Huet, B. 1992, Parc Bercy, in: https://www.citedelarchitecture.fr/fr/bernard-huet 15. Buffi, J.P. 1992, Parc Bercy, in: http://www.buffi-associes.com/en/theprojects/93-1994-2005-bercy-park-front.html

CAPITOLO IV 280

1. Ortofoto satellitare 2020, L’area dello scalo di Porta Romana, in: http:// www.geoportale.regione.lombardia.it/ 2. Boccioni, U. 1908, Officine a Porta Romana, olio su tela, mm.1455x750, in: http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/schede/RL480-00055/ 3. Boccioni, U. 1907-1909, Autoritratto, olio su tela, mm. 700x1000, in: https://pinacotecabrera.org/restauri/autoritratto/ 4. Boccioni, U. 1909, Il mattino (strada di periferia), olio su tela, mm. 600x550, in: https://www.frammentiarte.it/2014/16-boccioni-il-mattino/ 5. Sironi, M. 1952, Lo scalo, tempera su carta intelaiata, in: https://www. katarte.it/2014/10/mario-sironi-risorge-dall-apocalisse-grande-maestro-del-novecento/sironi-lo-scalo/ 6. Sironi, M. 1943-44, Il gasometro, olio su tela, mm. 430x515, Mart Trento, in: http://www.mart.tn.it/UploadImgs/5296_105623_Mario_Sironi_Il_ gasometro.jpg 7. Basilico, G. 1981, Ritratti di fabbriche, in: https://www.archiviogabrielebasilico.it/it/scopri/lavori/milano-ritratti-di-fabbriche 8. Radino, F. 2018, Scalo di Porta Romana, in: http://www.francescoradino. it/ 9. Introini, M. 2018, Porta Romana, in: http://www.marcointroini.net/landscape/italy/milan/scali/portaromana/ 10. Introini, M. 2018, Porta Romana, in: http://www.marcointroini.net/ landscape/italy/milan/scali/portaromana/ 11. Introini, M. 2018, Porta Romana, in: http://www.marcointroini.net/landscape/italy/milan/scali/portaromana/


12. Elaborazione grafica degli autori, Gli elementi primari e l’area., su: Comune di Milano 2019, Piano di Governo del Territorio Milano 2030, in https:// www.pgt.comune.milano.it/ 13. De Finetti, G. 1969, Quadrante meridionale oggigiorno, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.] (2002), Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli, pp. 127. 14. Mirabella Roberti, M. 1984, Elaborazione grafica sulla carta degli Astronomi di Brera 1814, in Mirabella Roberti, R. (1984), Milano Romana, Milano: Rusconi libri, pp. 28. 15. De Finetti, G. 1969, La città quadrilatera, in De Finetti, G. [a cura di Cislaghi, G., De Benedetti, M., Marabelli, P.] (2002), Milano costruzione di una città, Milano: Editore Urlico Hoepli, pp. 6. 16. Rappresentazione anonima di epoca quattrocentesca, Ospedale Maggiore di Milano, in: https://c1.staticflickr.com/9/8216/8431805427_7e02c573ff_b. jpg 17. Mirabella Roberti, M. 1984, Pianta della Basilica degli Apostoli, in Mirabella Roberti, R. (1984), Milano Romana, Milano: Rusconi libri, pp. 126. 18. De Capitani d’Arzago 1942, Rilievo generale delle fondazioni antiche esistenti lungo il corso di Porta Romana tra il Seveso e il Naviglio, tav.I, in: De Capitani d’Arzago, A. (1942), La zona di Porta Romana. Dal Seveso all’arco romano, Milano: casa editrice Ceschina, appendice. 19. De Capitani d’Arzago 1942, Rilievo delle fondazioni antiche sul corso di Porta Romana, tav.V, in: De Capitani d’Arzago, A. (1942), La zona di Porta Romana. Dal Seveso all’arco romano, Milano: casa editrice Ceschina, appendice. 20. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud: la rete delle acque, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/ 21. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud: la rete del verde, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune. milano.it/sit/open-data/ 22. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud: il tessuto, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano. it/sit/open-data/

281


23. Elaborazione grafica degli autori, Dicotomie del tessuto intorno allo scalo di Porta Romana, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/open-data/ 24. Elaborazione grafica degli autori, Analisi dei pieni-vuoti di isolati campione dell’intorno urbano dello scalo di Porta Romana, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/ open-data/

282

25. Elaborazione grafica degli autori, Milano sud-estr: trasformazioni in corso, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale. comune.milano.it/sit/open-data/ 26. OMA 2014, Fondazione Prada, assonometria in: https://www.architectural-review.com/today/fondazione-prada-in-milan-by-oma 27. Sanaa 2019, Bocconi School of Management, maquette in: https://afasiaarchzine.com/wp-content/uploads/2019/11/SANAA-.-NEW-Campus-Bocconi-.-Milan-afasia-20.jpg

CAPITOLO V 1. Elaborazione grafica degli autori, Strategia di progetto, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/ sit/open-data/ 2. Elaborazione grafica degli autori, Scomposizione dei layer. 3. Elaborazione grafica degli autori, Masterplan, su: Comune di Milano 2016, Carta Tecnica Comunale, in https://geoportale.comune.milano.it/sit/ open-data/ 4. Elaborazione grafica degli autori, Composizione del villaggio olimpico. 5. Elaborazione grafica degli autori, Abaco tipologico. 6-7. Elaborazione grafica degli autori, Sezione urbana. 8. Elaborazione grafica degli autori, Attacco a terra di una corte tipo. 9. Elaborazione grafica degli autori, Porzione di prospetto di una corte tipo. 10. Elaborazione grafica degli autori, Sezione trasversale di una corte tipo. 11. Elaborazione grafica degli autori, Dettaglio di facciata di un edificio tipo.


APPENDICE 1. OMA 1982, Concorso Parc de la Villette, Parigi, in: https://oma.eu/projects/ parc-de-la-villette 2. Eisenman, P. 1987, La Villette, disegno, in: https://eisenmanarchitects. com/La-Villette-1987 3. Tschumi, B. 1982, Parc de la Villette, esploso assonometrico, in: http:// www.tschumi.com/projects/3/ 4. Einsemann, P. 1978, Cannaregio town square, Venezia. https://eisenmanarchitects.com/Cannaregio-Town-Square-1978 5. Pouillon, F. 1945, Résidence du Parc à Meudon-la-Forèt, in: https://flore.unifi.it/retrieve/handle/2158/1127391/335212/2018_NAPOLI_collotti_Catalogo%20Pouillon.pdf 6. Perret, A. 1945, Le Havre, in: http://unesco.lehavre.fr/en/understand/ the-overall-plan 7. Magnano Lampugnani, V. 2000, Masterplan Campus Novartis, Basilea, in: http://www.pwpla.com/projects/norvatis-st-johann-campus-landscape-master-plan 8. OMA 2014, Prince Bay, Shenzhen, in: https://oma.eu/projects/prince-bay 9. Moretti, L. 1949-55, Casa per abitazioni, uffici, negozi e autorimessa Corso Italia 13-17, Milano, in: http://architetturecontemporanee.beniculturali.it/ architetture/architettura_dettaglio_tab1.php?id=%2030314 10. Moretti, L. 1946-51, Casa albergo in via Corridoni, Milano, in: http://www. lombardiabeniculturali.it/architetture900/schede/p4010-00183/ 11. Berger, P. e Clement, G. 1982, Parc Citroen, Parigi, in: http://www.archidiap.com/opera/parc-andre-citroen/ 12. Buffi, J.P. 1992, Zac Bercy, Parigi, in: http://www.paquebot.eu/?p=3353 13. Corajoud, M. 2003, Le quaìs jardines, Bordeaux, in: http://corajoudmichel.nerim.net/Realisations/BordeauxBourse/ 14. Desvigne, M. 2000, Middelheim museum park, Anversa, in: http://micheldesvignepaysagiste.com/en/middelheim-museum-park

283


15. Monestiroli, A. 1979, concorso per il quartiere delle Halles, Parigi, in: http:// www.monestiroli.it/page109/index.html 16. Grassi, G. 1991, Area Garibaldi Repubblica, Milano, in: https://divisare. com/projects/338042-giorgio-grassi-area-garibaldi-repubblica-a-milano 17. Averluino, A. 1456, Ca’ Granda, Milano, in: https://www.researchgate.net/ figure/The-hospital-Ca-Granda-by-Filarete-Milan-1456_fig3_285345308

284

18. Vasari, G. 1581, Galleria degli Uffizi, Firenze, in: https://caruso.arch.ethz. ch/project/886 19. Broglio,G.1905-1906, Primo Quartiere della Società Umanitaria, Milano, in: https://archiviodelverbanocusioossola.com/tag/exposizione-1906/page/3/ 20. Broglio, G. 1908-1909, Secondo Quartiere della Società Umanitaria, Milano. in: https://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerari/edificio/682-secondo-quartiere-popolare-della-societa-umanitaria/20-la-casa-popolare 21. Le Corbusier 1922, Tours, immeubles-villas e bloques à redents de la Ville Contemporaine, Parigi, in: https://www.researchgate.net/figure/Figura-12Le-Corbusier-Torres-immeubles-villas-y-bloques-a-redents-de-la-Ville_ fig12_323229012 22. Le Corbusier 1922, Immeubles-villas, Parigi, in: https://artevitae.it/pavillon-esprit-nouveau-le-corbusier/immeuble-villa-02-plan-coupe-logis/ 23. Pouillon, F. 1957, Climate de France, Algeri, in: https://flore.unifi.it/retrieve/handle/2158/1164223/413304/collotti_fernand%20pouillon%202019.pdf 24. Kolhoff, H. 1998-99, Residential Building KNSM, Amsterdam, in: http://www.kollhoff.de/en/PROJECTS/Buildings/77/Apartment-Building-in-the-KNSM-Eiland-Residential-Building.html 25. Le Corbusier 1960, Convento di Santa Maria della Tourette, Eveux, in: https://tecnne.com/arquitectura/los-atributos-de-la-tourette/ 26. Rossi, A. 1998, Isolato Schutznestrasse, Berlino, in: https://divisare.com/ projects/340790-aldo-rossi-giuseppe-digiesi-mariangela-sforza-azzurra-acciani-davide-bertugno-aldo-rossi-quartier-schutzenstrasse#lg=1&slide=3 27. Zumthor, P. 1989-93, Casa per anziani, Coira, in: http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=420


28. Diener e Diener 1995-2001, Residential Buildings KNSM- and Java-Island, Amsterdam, in: http://www.dienerdiener.ch/en/project/residential-buildings-knsm-and-java-island 29. Bottoni, P. 1953-58, Palazzo INA in Corso Sempione, Milano, in: https:// www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerari/edificio/589-palazzo-ina-in-corso-sempione/40-piero-bottoni-la-dimensione-civile-della-bellezza 30. Rossi, A. 1974, Complesso Monte Amiata al Gallaratese, Milano, in: http:// maam.it/GALLERY/0/2009-03/0/1236877342.pdf 31. Mies van der Rohe, L. 1968, Neue Nationalgalerie, Berlino, in: https:// divisare.com/projects/297030-ludwig-mies-van-der-rohe-rory-gardiner-neue-nationalgalerie 32. Mies van der Rohe, L. 1964, Dominion Center, Toronto, in: https://www. moma.org/collection/works/87438 33. Gardella, I. 1934, Torre di Piazza Duomo, Milano, in: https://www.electa. it/prodotto/ignazio-gardella/ 34. Tschumi, B. 1998, Folies a La Villette, Parigi, in: http://www.tschumi.com/ projects/3/ 35. Mies van der Rohe, L. 1949-51, Lake Shore Drive Apartments, Chicago, in: https://www.moma.org/collection/works/107198 36. Mattioni, L., Soncini E. e E. 1950-55, Torre Breda, Milano, in: https:// www.mauriziomontagna.com/torri-milan-1930-2017 37. Bacciocchi, M. 1936, Edificio in piazza della Repubblica, Milano, in: https:// www.mauriziomontagna.com/torri-milan-1930-2017 38. Diener e Diener 2005-2009, Westkai Tower, Anversa, in: http://www.dienerdiener.ch/en/project/apartment-towers-westkaai-1-2 39. Alberti, L.B. 1446, Palazzo Rucellai, Firenze, in: elaborazione grafica degli autori. 40. Loos, A. 1909, Looshaus in Michaelerplatz, Vienna, in: https://divisare. com/projects/320195-adolf-loos-marco-pogacnik-yehuda-safran-15-biennale-di-venezia-adolf-loos-our-contemporary

285


41. Muzio, G. 1919-23, Ca’ Brutta, Milano, in: https://www.artribune.com/ progettazione/architettura/2018/12/mostra-case-milanesi-villa-necchi-campiglio/attachment/skm_c25818072408380/ 42. Muzio, G. 1932-33, Palazzo dell’Arte, Milano, in: elaborazione grafica degli autori. 43. Muzio, G. 1964-70, Casa Bonaiti Malugani, Milano, in: https://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerari/edificio/321/41-giovanni-muzio/

286

galleria 44. Muzio, G. 1966-67, Isolato INA in Corso Sempione, Milano, in: http://www. marcointroini.net/architecture/architects/architects_m_n/muzio/ina/ 45. Ponti, G. 1961, Edificio Nave al Politecnico, Milano, in: elaborazione grafica degli autori. 46. Ponti, G. 1964-70, Palazzo Montedoria, Milano, in: https://www.ordinearchitetti.mi.it/it/mappe/itinerari/edificio/592/46-gio-ponti/galleria 47. Grassi, G. 1993, Concorso per il Neues Musem e completamento della Museumsinsel, Berlino, in: https://divisare.com/projects/338047-giorgio-grassi-concorso-per-il-neues-museum-e-completamento-della-museumsinsel 48. Grassi, G. 1997-2002, Potsdamerplatz area ABB-Rolonad Ernst, Berlino, in: https://divisare.com/projects/338997-giorgio-grassi-potsdamerplatz-area-abb-roland-ernst-a-berlino 49. Dudler, M. 2016, Schwabinger Tor, Monaco, in: https://www.maxdudler. de/en/projects/schwabinger-tor/ 50. Sergison Bates 2016, Care home, Wingene, in: https://divisare.com/ projects/369228-sergison-bates-architects-kristien-daem-care-home




Grazie alla Professoressa Ilaria Valente e al Professor Michele Caja per averci guidato sapientemente in questo lavoro di tesi, perchĂŠ non rimanesse solo una riflessione acerba.

15 Dicembre 2020



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.