La materia del Costruire - Terme di Vals / Centro Di Biotecnologie Torino

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Politecnico di Torino FacoltĂ di Architettura Uno Saggio di Ricerca I Ottobre 2008

La materia del costruire Terme di Vals / Centro di Biotecnologie di Torino

Docente_____Pierre-Alain Croset

Studente________ Alberto Lessan


Indice

1_ Premessa 2_ Terme di Vals (Peter Zumthor 1996) Descrizione intervento, progetto 3_ Centro di Biotecnologie di Torino (Luciano Pia 2000) Descrizione intervento, progetto e cantierizzazione 4_ Confronto (vedi allegato Fotografico) . Pianta . Facciata . Spazi serviti/spazi serventi . Finestre/aperture . Materiale struttura . Ringhiere . Luce naturale/artificiale 5_ Bibliografia

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Premessa Il tempo è giudice della buona Architettura, quella buona rimane, l’altra si perde. Progettare con concetti solidi e forti, teorizzare come tentativo di ordinare il progetto in un metodo, creano terreno fertile per un buon procedimento di costruzione. La teoria genera un codice, un dettato di regole il quale non utilizzo comporta un difetto dell’esito. Solo creando delle regole l’errore appare chiaro. Essa può essere scritta o percepita nella materialità dell’oggetto costruito. Il suo affinamento è continuo. “Good buildings would produce marvellous ruins” (Louis Kahn). I concetti che cercherò di esprimere nel presente saggio appartengono ad un’idea che ho assimilato nel corso degli studi, che vorrei sintetizzare, esprimere nero su bianco per la prima volta. Guardandomi intorno, esplorando con curiosità non soltanto le città o le località al di fuori della quotidianità, ma soprattutto quelle che vivo giornalmente, viene davvero difficile comprendere il perché molte delle costruzioni che ci circondano siano cosi fragili, così volatili, soprattutto quelle costruite negli ultimi anni. Sto parlando di quelle costruzioni che occupano gran parte del territorio che traformano le città, le campagne, in maniera rapida e silenziosa. Molte di queste sono vistosamente frutto del matrimonio tra finanza e reale necessità abitativa o commerciale. Nelle realtà locali la vera teoria che dirige i metodi costruttivi, è il tramandarsi delle tecniche, originate dall’esperienza lavorativa troppo spesso diretta verso una semplificazione, verso il raggiungimento del risultato in tempi brevi e con un debole contributo, creando così un impoverimento e un’omogeneizzazione dello scenario globale. Non è una questione di forma, non è solo nel virtuosismo estetico che la costruzione assume un valore, sto parlando di costruzione, di dettaglio. La forma emerge dal progetto, le dà una connotazione tridimensionale e materiale. E Il progetto emerge da una necessità, che qualunque essa sia, porta con sé delle variabili quali la funzione, gli spazi serviti e spazi serventi, gli standard di comfort e di qualità adatti alle esigenze del periodo storico contemporaneo. Questi sono i fondamentali della composizione, che contaminano, o dovrebbero contaminare, in maniera imperativa il procedimento e le modalità di realizzazione. La scelta di una soluzione, presuppone la scelta di un materiale e di un utilizzo dello stesso, una struttura a traliccio con travi in legno non ha lo stesso sistema di un muro gettato in cls armato e garantisce condizioni diverse di percezione e fruizione. Non si disegna nello stesso modo e non si esegue nello stesso modo. Chi lo vive non prova le stesse sensazioni. Kahn sostiene: “L’ordine della costruzione rivela l’ordine del tempo”. Con questo intende la conoscenza delle regole che comandano il cantiere: le fasi di messa in opera, la specializzazione della manovalanza, il livello di industrializzazione, gli aiuti meccanici, i macchinari, i tempi, i costi.

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E’ importante dare il giusto valore a ciò che si costruisce, e al materiale che si usa. E’ fondamentale utilizzare al meglio le tecniche conosciute ed in alcuni casi pensare a nuovi metodi di assemblaggio a seconda dei casi. Ogni elemento della costruzione deve apparire per quello che è, non deve essere nascosto o rivestito, bisogna esaltarne la leggibilità. Questo è un buon modo per fare invecchiare bene gli edifici e Adolf Loos già nel 1908 l’aveva capito. La verità risiede nelle cose stesse, e all'atto della realizzazione, il trascorrere del tempo inizierà la sua lenta opera di modificazione; tanto nei dettagli quanto nelle parti invisibili della struttura. Il perenne alternarsi del ciclo solare ne evidenzierà colori, ombre, difetti e bellezze, coinvolgendo in modi diversi sensibilità e ragione; rispettando il processo della memoria. La struttura esprime cosi la giusta durabilità, il sistema di assemblaggio di ogni pezzo è chiaro, come chiaro è il ruolo statico degli elementi portati e portanti. Le parti leggere invece potranno essere anche meno durature, potranno essere pensate come annessioni, un qualcosa in più. Questa esplicita attrazione verso la matericità, verso la schiettezza e il benessere che ne deriva, non solo da un punto di vista dell’architetto, ma da semplice utente, ha fatto si che mi interessassi e che volessi approfondire la lettura di due edifici che fanno di questi concetti un’esemplare messa in scena. 1 Questi due interventi sono per loro nascita, funzione e creazione molto diversi, hanno poco in comune per quanto riguarda le realtà in cui sono collocati e i loro progettisti provengono e lavorano in situazioni non paragonabili. Racchiudono però in loro una paragonabile forza. Le Terme di Vals, (Peter Zumthor, 1996) sono un teatro d’acqua e pietra. E’ un edificio difficilmente databile e, per come è concepito, durerà per lungo tempo senza indebolire la sua presenza. Il centro di Biotecnologie di Torino (Luciano Pia, 2007) sta acquisendo la giusta gratificazione di essere uno degli edifici più interessanti della città. Nella descrizione delle due opere si potrà notare come l’uso di determinati termini verrà ripetuto. Essi riguardano tendenzialmente la parte costruttiva e possono essere quindi citati: il tessuto, resistenza nel tempo, latente pathos di pesantezza, monoliticià e struttura compatta, ricerca di armonia nelle proporzioni, chiarezza degli elementi, ordine e rigore, monumentalità, gerarchia tra gli spazi e uso di figure geometriche elementari.

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In seguito all’incontro con l’Architetto Pia, la quantità di materiale a mia disposizione è notevolmente maggiore per quanto riguarda il Centro di Biotecnologie, tutti i disegni esecutivi sono in mio possesso e grazie alle domande a lui poste, anche numerose informazioni riguardo la cantierizzazione e la realizzazione. Il materiale relativo alle terme di Vals invece, è derivante dalla sostanziosa bibliografia e da un sopralluogo in sito.

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1. Terme di Vals (1996) Le terme di Vals sono la prova inconsueta di come da un’idea architettonica, eseguita fino in fondo come da progetto, possa scaturire un risultato economicamente vantaggioso da un punto di vista turistico ed economico. "Non sono un architetto che parte dalla teoria, non sono uno che interviene nella storia dell'architettura a partire da una posizione teoricamente delineata; sono votato invece alla pratica vera e propria dell'architettura, al costruire, alla cosa realizzata nel modo più perfetto possibile". (Peter Zumthor) Questo edificio di estrema precisione ha necessitato di lunghi tempi di progettazione, i disegni esecutivi sono quelli più interessanti, sono precisi, esaustivi e obiettivi. "Sono destinati agli specialisti che danno corpo all'oggetto. Non tentano di convincere e avvincere come i disegni di progettazione. Sono chiari; rappresentano certezze e affidabilità. Vogliono dire: esattamente così sarà "(Peter Zumthor). Vals: un nucleo antico di case: situato a 1200 slm., raggruppato attorno alla seicentesca chiesa in muratura. Tracce di un primo turismo anni ‘60, e qualche vistosa costruzione del periodo, tra cui due torri di una decina di piani, fondamentalmente poco interessanti. Particolarmente interessante è l’approccio che l’architetto assume nella progettazione. Un oggetto di estrema semplicità formale che racchiude altissime qualità non solo architettoniche ma di tutte le discipline correlate. Si nota ampiamente non solo da occhi di persone del settore. Già nel momento in cui si entra nell’edifici, si percorrono i lunghi corridoi di accesso, è notabile come la poetica di progettazione è supportata da un grande sforzo di scelta dei materiali. L’accesso avviene da un lungo corridoio a ridosso della montagna, da un lato di calcestruzzo faccia a vista e dall’altro, quello a valle, già rivestito di gneiss. Nel lato del calcestruzzo, in questo cunicolo di accesso, a circa ogni 3 metri di distanza e ad una altezza di circa 1,5 metri, sgorga una sorgente d’acqua che si abbandona lentamente fino ad essere raccolta in una canalina di scolo. Quest’acqua dal contenuto altamente ferroso macchia i materiali, sia in alzato che sul pavimento ricoprendoli di una pellicola di ruggine, producendo disegni dall’atmosfera arcaica e primordiale. E’ il trapasso già da quel momento dall’artificialità della hall e della biglietteria, per lasciarsi andare totalmente ad un ambiente più meditativo e spirituale. Lungo questo corridoio, sul lato sinistro ci sono gli accessi agli spogliatoi per gli uomini e per le donne tutti dotati di arredamento in mogano che contrasta piacevolmente con la monocromaticità del grigio della pietra e del cls.

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Destinazioni d’uso dei vari ambienti

L’effetto della costruzione è quello di un ambiente arcaico, la costruzione è fortemente dominata dalla dimensione orizzontale. L’acqu a nel cui specchio si immergono le scalinate, disegna sottilissime linee orizzontali esattamente riprodotte dalle altrettante sottili lastre di pietra naturale e dalle fughe. L’intero intervento ha un forte carattere materico che lo fa apparire al di là del tempo. Non segue una moda o una tendenza, la ben espressa monoliticità formale ne garantisce durata in termini di resistenza e di ricchezza compositiva. Segue leggi progettuali ben collaudate che derivano da maestri quali Loos, Kahn e Le Corbusier, il rigore è costantemente definito dalla funzione, e la poetica è volta alla massima esaltazione emozionale dell’utente. E’ una costruzione dai caratteri sperimentali e innovativi ma nulla vuole apparire come espressione high-tech, anzi c’è una ricerca di austerità classica, quasi millenaria. Lo stesso architetto ama riconoscere che il suo edificio sembra più vecchio degli edifici preesistenti adiacenti.

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I muri sono frutto di una composizione di cls e pietra gneiss che aderiscono tra loro in maniera monolitica. Questa pietra è di colore verde-grigiastro ed è utilizzata nel cantone come pietra di coperture delle costruzioni tradizionali locali. I listelli si presentano come strisce sottili lievemente sfalstate e poste secondo un preciso disegno che ne conferisce il modulo. Questa orizzontalità e questo sfalsamento mirano, e ci riescono, a conferire alle pareti l’idea di tessuto. Poiché l’unione di pietra e cemento è percepibile ne deriva l’impressione tranquillizzante di resistenza. Nel 1987 la città comprò tutti gli alberghi e decise di costruire nuovo un centro termale per attrarre nuova clientela. I membri della commissione nominati dalla città di Vals valutarono tutti i progetti. La forma o l’aspetto non erano introdotti nel bando, l’unica fissa disposizione era il luogo: i terreni compresi tra gli hotel e gli edifici già esistenti. I membri della commissione molti dei quali operatori dell’economia locale: il gestore degli skilifts, lavoratori di fabbriche e artigiani locali, decisero di abbandonare il progetto di un noto ingegnere di Zurigo e di affidarsi a Zumthor il quale non aveva costruito molto fino a quel momento. Schema elementi di distribuzione

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Per evitare la copertura della vista sulle montagne dell’Hotel retrostante la commissione impedì al progettista di costruire in altezza, tale che la costruzione che ne risulta è “affogata” nella terra e la sua copertura è per la sua totalità formata da un manto erboso. Questo garantisce una totale fusione nell’ambiente circostante. Le facciate in pietra gneiss sono molto compatte e l’elemento murario è interrotto solamente dalla presenza delle vetrate e delle balconate. Non ci sono porte. Per entrare nell’edificio si passa attraverso un percorso sotterraneo che conduce all’hotel attraverso la montagna. L’edificio ha come nuclei centrali due grandi vasche dalla forma irregolare, una al coperto, una invece all’aria aperta. Il letto delle vasche è in continuità con i muri, la presenza di panche murarie fa percepire le vasche come naturali. Dalla vasca esterna si passa a quella interna attraverso un’apertura conferendo cosi un rapporto in continuità tra esterno ed interno. La facciata rivela la modalità di costruzione come un tuttuno. L’edificio è formato da 15 unità semplici. Parallelepipedi di pietra e sono tutte differenti.

Ognuna ha una larga sezione di copertura a sporto, garantito dall’utilizzo di cavi metallici che lavorando a trazione scaricano i carichi a terra.

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Questi cavi sono invisibili e sono affogati nella trave. Queste unità si uniscono tra di loro come un Puzzle che compone l’intera copertura. Queste compongono anche la facciata. Nessuna delle sezioni di ogni tetto tocca l’altra, sono separate da 8 cm.

Giunti in vetro proteggono l’edificio da ogni infiltrazione. All’interno dell’edificio questo crea degli effetti straordinari. Il soffitto

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sembra molto pesante ma queste fessure lo fanno apparire come flottante nell’aria. In ogni unità vi è una determinata funzione. Questo completa chiusura verso l’esterno fa assomigliare questi spazi a delle grotte. Ognuna di esse è unica come volume, spazio, colore e luce garantendo singole sensazioni in ogni blocco. L’utente ha la piena libertà di potere scegliere l’ordine con cui entrare nelle unità. Usando queste unità da 5m di altezza, la costruzione conferisce una percezione di essere fuori dalla scala umana. Questi grandi muri, non sono piatti e lisci ma sono composti da 60.000 listelli lunghi un metro e di altezze diverse, posizionati secondo uno specifico modulo. Dettagli costruttivi scostamento unità

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2. Centro di Biotecnologie di Torino (2007)

L’edificio di Luciano Pia è una struttura di circa 15.000 metri quadrati distribuiti su due e tre piani fuori terra ed un piano interrato, organizzata intorno a quattro corti, che corrispondono ai quattro cortili dei fabbricati rurali ottocenteschi sui quali era stata costruita la Facoltà di Veterinaria. Di questa superficie lorda di pavimento, circa 1350 mq sono risalgono al recupero di un edificio esistente; il resto dell’edificato è invece di nuova costruzione. L’accesso principale al complesso

avviene da via Nizza; attraverso un ampio cortile si accede all’atrio che funge da filtro tra la zona destinata alla didattica ed i laboratori di ricerca.

Di questa superficie lorda di pavimento, circa 1350 mq sono risalgono al recupero di un edificio esistente; il resto dell’edificato è invece di nuova costruzione. L’accesso principale al complesso avviene da via Nizza; attraverso un ampio cortile si accede all’atrio che

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funge da filtro tra la zona destinata alla didattica ed i laboratori di ricerca. La didattica ha a disposizione tre grandi aule da 234 posti, tre da 100 posti e due da 66 posti, oltre ai laboratori per studenti, attrezzati per esercitazioni di biologia, chimica ed informatica. Nei fabbricati storici recuperati, la manica del cortile Tonelli1 lato Nord, oltre agli uffici amministrativi, sono previste sale di lettura e di incontro, punti di informazione.

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Dall’atrio di distribuzione, a fianco del quale è situata la caffetteria, si accede alla zona laboratori; questi ultimi, organizzati intorno ad un giardino coperto da una struttura vetrata, sono strutturati in nuclei che comprendono spazi per ricerca, studio, attività pratiche degli studenti, un incubatore. Al piano interrato trovano posto parcheggi e locali tecnici di servizio, nonché un’ulteriore area di laboratori e di ricerca. Tra il primo e il secondo piano, è presente un piano di locali tecnici, che oltre a svolgere la sua funzione logistica, consente di ottenere la stessa altezza di piano tra l’edificio nuovo e quello esistente. Il rigore, la linearità, la chiarezza dell’intervento emergono con forza in mezzo ad un contesto urbano stratificato e caotico; la piazza alberata, chiusa su strada dalla grande vetrata, risulta come elemento di mediazione tra l’interno e l’esterno, luogo di contatto tra mondi diversi ed invito all’esplorazione degli spazi della ricerca scientifica. Una vetrata, mostra la città in continuo movimento e trasformazione, e dall’esterno espone uno degli spazi collettivi più interessanti dell’intervento, un luogo che pare vivere da se, con i propri ritmi e le proprie informazioni. Il Progetto dell’edificio in questione, per una serie di fattori, ha seguito una procedura anomala rispetto a quella convenzionale. E’ da notare come, in seguito al colloquio con il progettista, la parte di ideazione e di tutti gli elaborati, dalla fase preliminare alla fase esecutiva, siano stati interamente ed esclusivamente redatti dalla stessa persona. Gli elaborati della fase preliminare, sono coincisi con gli elaborati definitivi, in quanto consistevano in una completa e dettagliata relazione progettuale redatta nel 2000, in scala 1:100 che arrivava a definire in maniera esaustiva i costi dell’operazione. Il fattore economico è stato più volte sottolineato come voce basilare per la riuscita dell’operazione. L’attenzione nei confronti di questo tema ha fatto sì che i lavori si potessero concludere con un costo medio di 1.200 euro/mq, in perfetta sintonia con i prezzi medi locali ma con livelli di qualità estremamente maggiori. La fase progettuale ha avuto inizio alla fine dell’anno 2000 con una durata di 2 mesi, per poi ricominciare successivamente l’aggiudicazione dell’intervento, avvenuta nel Gennaio 2003. Il tempo che intercorre tra queste due date è da riferirsi alle complicazioni contrattuali avvenute a seguito del bando di concorso. Trattandosi di un intervento in Project Financing, eseguito quindi tramite una collaborazione pubblica-privata, i ritardi sono stati determinati dalla chiamata in causa di un’altra società partecipante esclusa dal bando. Il gruppo guidato dal progetto di Pia ha così dovuto attendere gli inizi del 2003 per legittimare l’assegnazione dei lavori. Le prime tavole vengono datate al 10 Dicembre 2003, il tempo che intercorre tra il Gennaio e Dicembre è stato dedicato alla costituzione della Società di Biotecnologie S.P.A. nel frattempo

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allargata con Sinloc S.P.A., e alla stipula della Convenzione che regolava la Concessione di Progettazione, Costruzione e Gestione. Le tavole in tal data, risultano coincidere con la data di Inizio Lavori, e trattandosi di elaborati Esecutivi contengono le informazioni necessarie per la cantierizzazione. La prima tavola risulta essere un tracciamento del fabbricato ed un rilievo degli edifici preesistenti, sottolineando come il perimetro del nuovo edificio segua le linee guida di quello vecchio, e il mantenimento delle corti originali e caratterizzanti il tessuto urbano delle aree circostanti. Il lavoro di progettazione continua con la stesura di elaborati in scala 1:200 contenenti la descrizione degli ambienti interni specialmente del piano terra. Fin dall’inizio del cantiere (novembre 2004) la concentrazione si è spostata sulla progettazione del “cassone2”, della relativa copertura vetrata e delle passerelle interne con elaborati in scala 1:100,1:50,1:25,1:10 (con la collaborazione dell’ing. Gianni Vercelli). Con l’inizio del 2005 si è passati alla progettazione in scala 1:50 dividendo l’edificio in diversi settori per consentire una progettazione più ordinata e in linea con il processo costruttivo. Nel Marzo 2005 si è arrivati a delineare la progettazione delle diverse aule didattiche con tavole in scala 1:100, e si è passati ad una scala di maggior dettaglio (1:25) per alcune delle aree prima citare (N1-N2). Risulta importante il mese di Novembre 2005 in quanto sono stati emessi il maggior numero di elaborati esecutivi. In tale data sono da sottolineare alcuni elaborati: . la planimetria in scala 1:400 con relativi conteggi degli standard urbanistici e delle diverse destinazioni d’uso . sezioni e prospetti in scala 1:100 . progetto fognature (con collaborazione dell’ing. Sandro Perrone) . dettagli (1:25 e scale minori) parapetti, mancorrenti, bagni, tende, arredi, impemeabilizzazioni, isolamenti . particolari delle finiture interne delle diverse zone scala 1:25 . particolari delle scale esterne su via Nizza e di quelle interne . abachi ed indicazioni in pianta di isolamenti, finiture interne, arredi, tende, cancelli, controsoffitti, muri interni, pavimenti, rivestimenti, serramenti esterni ed interni. Successivamente si è passati a definire più in dettaglio la facciata vetrata su via Nizza che fa da filtro tra il “cassone1” e la strada, prima con tavole in scala 1:50 ed infine nell’anno 2006 con dettagli costruttivi curati dall’ing. Gianni Vercelli in scala 1:10. Per concludere sono presenti elaborati in scala 1:10 con particolari per la progettazione delle cattedre e dell’accueil. Analizzando la tipologia delle tavole e la rispettiva scala di rappresentazione si è potuto considerare che lo studio delle piante e degli ambienti interni sia stato fatto principalmente in scala 1:50, per poi passare allo studio in scala 1:25 di alcune di queste aree come la

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N1, la N2, il cassone 1, il cassone 2 ed il prospetto dell’edificio esistente. La Cantierizzazione di questo intervento ha seguito una procedura assolutamente non convenzionale. Dati gli intenti della Società costruttrice e del progettista, l’operazione ha potuto godere di un’estrema cura del costruito in tempi ristretti. I lavori sono iniziati nel Novembre 2003 e si sono conclusi nell’Agosto 2006 con la posa dei pini nella corte del cassone 1, per una durata effettiva di 2 anni e 9 mesi. Per il carattere innovativo e per le scelte non convenzionali dell’intervento, il responsabile di cantiere Ing. Modesto Bertotti, e il progettista, hanno lavorato fianco a fianco sia sugli elaborati esecutivi che nella fase di attuazione. Analogamente alla fase di progettazione definitiva è stato opportuno coordinare l’esecuzione settorializzando il cantiere in diverse aree che hanno concesso una polarizzazione degli interventi con relativo cronoprogramma. Posizionata l’area di accesso nella corte centrale Cassone1 ed effettuato lo scavo, si è in primo luogo proceduti nella restrutturazione e riqualificazione dell’area esistente (settore B) posizionando la gru di braccio 60m e i servizi, nell’area adiacente al confine con l’esistente nord (Cortile Tonelli 1). In seguito si è proceduti nella costruzione dell’area Ovest dei laboratori. Questa fase è stata assai delicata, in quanto caratterizzata da questioni normative e relative applicazioni. Essendo in presenza di un edificato esistente, la totale demolizione della manica ovest, avrebbe sottoposto la società a doversi attenere alle norme di costruzione ex-novo, tale da dovere rispettare le distanze minime dagli edifici e dalle strade adiacenti ed aderenti, comportando una diminuzione della superficie coperta del costruito. L’impresa ha dovuto quindi demolire in fasi successive il costruito, tenendo eretta la parete di confine esistente, realizzando tratto per tratto fondazioni di rinforzo a micropali e setti strutturali di progetto (allegato tavola tracciamenti). I lavori sono poi proseguiti nell’area centrale (settore H) con relativa variante di sopraelevazione. Nella fase definitiva infatti, il progetto prevedeva l’attuazione di un solo piano fuori terra aumentato a due nella fase di costruzione. Un’altra fase delicata della costruzione, è avvenuta nel momento in cui la soprintendenza dei Lavori Pubblici ha bloccato i lavori per la presenza di un’esedra in pietra di presunto valore storico, che avrebbe dovuto essere mantenuta e riqualificata (allegato tavola tracciamenti). L’impresa ha agito, con notevole sforzo economico e di risorse, nell’”impacchettamento” del manufatto e nel trasporto in magazzino per un successivo riposizionamento, che in seguito non è avvenuto per la mancata legittimazione di valore.

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GRAFICO TEMPISTICHE DI CANTIERE Successivamente si è passati alla costruzione della zona L, per poi arrivare agli ultimi due settori N1 e N2 con i due elementi distributivi verticali prospicenti Via Nizza e della vetrata della corte (cassone 1). E’ da notare come tutto l’intervento strutturale sia in setti in calcestruzzo faccia a vista. Si tratta di calcestruzzo autocompattante SCC (Self Compacted Concrete) eseguito da Italcementi, effettuato in maniera sperimentale con getti di prova nel piano interrato, per trovare il mix design ottimale. Questi setti hanno quindi costituito i prototipi necessari per la successiva realizzazione del calcestruzzo faccia a vista dei piani fuori terra. Per questo genere di cls, data la sua conformazione superfluida e il suo elevato calore di idratazione, l’esecuzione ad arte predilige casseformi in acciaio, ma la direzione dei lavori ha preferito adottare un sistema di casseri in legno con tavolati da 12cm di larghezza: ogni cassero è stato utilizzato una volta sola. Questa scelta esecutiva alternativa, ha potuto conferire al manufatto un aspetto superficiale estremamente apprezzabile e rifinito.

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Si è presentato inoltre, il problema della scelta del giusto disarmante: numerose prove, anche in questo caso, hanno consentito di evitare la formazione di bolle in maniera da ottenere un’adeguata e programmata rifinitura superficiale del materiale finito. Le operazioni di getto in definitiva, sia per la vastità dell’intervento, che per la particolarità del tipo di getto, hanno portato l’impresa costruttrice a numerosi problemi di carattere logistico e pratico. Infatti questo genere di calcestruzzo non consente getti di ripresa ma ha bisogno di continuità di posa. In determinati casi inoltre il calcestruzzo pervenuto dalla centrale non è stato di qualità ottimale. Per quanto riguarda le scelte tecnologiche dell’involucro trasparente, sono stati utilizzati vetri di grandi dimensioni Extra-Clear di produzione InTerpane, Germania forniti dall’azienda lombarda Vetreria Bergamasca. I Parapetti invece, sono senza montanti in vetro stratificato, di spessore 40mm ciascuno con pellicola di polivinilbuttirale interposta tra le due lastre (extra-tempered). Nelle aule non ci sono rilevatori di fumo a vista: sono infatti stati posizionati tra l’intradosso della solaio e la controsoffittatura antiriverbero in pannelli. Questo sistema di rilevamento fumi consiste in una serie di canaline di materiale plastico con terminali di sezione circolare. Questo impianto di condotti è connesso ad una centralina, che con scansioni temporali costanti, avvia una modesta aspirazione dell’aria: in caso di presenza di fumi il segnale viene trasmesso ai relativi dispositivi antiincendio. Data la sperimentale e non certificata tecnologia, per questo sistema si è dovuto attendere un’omologazione apposita dall’organo competente dei Vigili del fuoco. Nelle due maniche dei laboratori ed in quella adibita ad uffici non sono presenti controsoffitti per la mascheratura degli impianti di adduzione di aria, acqua e gas: sono state installate delle speciali griglie ispezionabili dall’intradosso della soletta.

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Pianta Piano Interrato

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Pianta Piano Terra

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Pianta Piano Primo

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Analogie formali e costruttive delle opere analizzate ( vedi allegato fotografico).

Le seguenti righe sono da leggere consultando i disegni e l’allegato fotografico.

Pianta: nella lettura della pianta dell’edificio di Zumthor ciò che rimane subito impresso è la totale assenza di angoli acuti o ottusi. Ogni spigolo è controllato da angoli retti. Le stanze hanno dimensioni differenti ma sempre di forma regolate. Il ritmo e la disposizione dei percorsi è complessa. Non vi è un modulo predefinito, l’edificio è progettato per gerarchie di spazi. Quella principale è quella distributiva. L’intera composizione è uno spazio unico che al suo interno contiene degli ambienti differentemente dislocati. I corridoi e gli accessi avvolgono le vasche e le stanze con percorsi liberi. Il secondo ordine di gerarchia e dato dalle vasche. Quella interna assume una posizione centrale e ben visibile, quella esterna invece, è più grande e funge anche da collegamento tra l’interno e l’esterno. Il limite tra dentro e fuori è difficilmente percepibile dalla pianta, non vi è nessun cambio di linguaggio, anzi, vi è una ricerca di unione. Sia a livello compositivo che da un punto di vista di scelta dei materiali, è chiara la tendenza a creare un tuttuno. Lo spessore dei muri svolge un ruolo importante nella distinzione degli ambienti. Non ci sono tramezzi leggeri. Le pareti hanno spessori che raggiungono anche gli 80 cm e racchiudono spazi indipendenti conferendo austeri effetti acustici. Per quanto riguarda l’edificio di Luciano Pia invece, la pianta è caratterizzata dalla localizzazione in tessuto storico urbanizzato. Come detto precedentemente, la presenza delle preesistenze, ha enormemenre condizionato sia la fase di progettazione che la fase di costruzione. L’impianto creato dalle due cascine preesistenti è rispettato fedelmente e il vecchio e il nuovo dialogano sapientemente grazie ad un contrasto materico e cromatico. Anche qui sono presenti gerarchie visibili: principalmente per la parte di nuova costruzione, ci sono le corti, quella prospicente Via Nizza e quella interna. Queste corti ne rappresentano il fulcro. Sede degli incontri e della socialità del centro, favorisce scambi e comunicazione tra i diversi ricercatori e gruppi di lavoro. Attorno a queste corti si sviluppano gli ambienti e le loro funzioni. Anche in questo caso il linguaggio è determinato dall’uso di spazi

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regolari. Gli ambienti sono chiari e ordinatamente distribuiti. Nella corte interna, i corridoi prospettano verso l’interno tramite un sistema a ballatoio, tale da attivarne il movimento. La presenza di piante arboree e vegetazione favorite dall’effetto-serra della copertura vetrata, attiva questo spazio anche in pieno inverno.

Facciata: la composizione delle facciate che costituiscono i prospetti delle Terme di Zumthor hanno come fattore determinante l’utilizzo di forme semplici ed una ricerca di compattezza quasi ossessiva. (P n.1-3) Le aperture sono disposte non tanto per creare un disegno di prospetto ma sono posizionate a seconda dell’utilità degli spazi interni. Il volume è puro e non c’è distinzione tra basamento e corpo. Il coronamento invece è rappresentato dalla soletta di copertura in intonaco bianco che chiude l’edificio in altezza. Vi sono diverse tipologie di aperture. Le prime sono poste in corrispondenza delle sale di meditazione e sono a filo esterno. (P n.1-3) Non hanno telaio, fanno percepire interamente lo spessore del muro, non c’è davanzale, è assente ogni tipo di introspezione. Il materiale di facciata come detto precedentemente è esattamente quello interno, non vi è distinzione tra interno ed esterno. I listelli di pietra gneiss corrono lungo tutto l’edificio e gli angoli vengono risolti facendo girare i listelli come in un edificio in muratura. Zumthor dichiara così la diversa lunghezza e spessore. (P n.1-19-21) I pieni ed i vuoti di facciata si alternano tramite le aperture ad ordine gigante che mettono in risalto in alzato, e non solo in pianta, la composizione delle 15 unità precedentemente descritte. Gli 8 cm di distanza e il colpo d’ombra che esse definiscono sono percepibili anche a distanza. (P n.3) Il rapporto con il contesto naturale è abbastanza duro in alzato, non vi è ricerca di inserimento da un punto di vista visivo. Linee rette definiscono prospettive e visuali dichiaratamente artificiali. Cio’ che avvicina alla natura è l’uso dei materiali e la ricerca di un’espressione primordiale e materica. Nella copertura invece, ben visibile dagli hotel e dalle aree sovrastanti, l’edificio invece vuole mimetizzarsi nell’ambiente e scomparire nella terra. Il prato d’erba, elemento unificante di tutto il paesaggio si posa sulla copertura naturalmente, senza stacchi né gradini. Nell’edificio di Pia, trattandosi di un intervento in tessuto di completamento le uniche due facciate pure sono quella a Sud e ad Est. La ricerca di compattezza è ostentata e il vetro (parte leggera) dialoga con il materiale strutturale (parte pesante) limitandosi a

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tamponare le aperture. (P. n.2-12) L’intero volume è come una grande pietra. Lungo Via Nizza la corte è chiusa da una struttura in alluminio e vetro, funge da quinta scenica, crea un dentro e un fuori in estrema continuità visiva. Anche in questo caso la facciata è un grande volume dalle forme semplici, al quale viene sottratto materiale per fare spazio alle aperture. Sia nella facciata principale, sia in quelle laterali e interne l’edificio non sembra costruito per addizione ma per sottrazione, come se fosse scavato. (P. n.4) In entrambi i casi gli spigoli sono vivi, c’è una ricerca di orizzontalità e la copertura piana non è visibile dall’esterno. Le proporzioni sono ben dichiarate, vi sono elementi ad ordine semplice ed altri ad ordine gigante. Non vi è attacco a terra particolare: l’uso di materiali forti e durevoli ha fatto si che si adottasse un attacco a terra in continuità con i muri perimetrali, quasi come se l’edificio sorgesse spontaneamente dal terreno. Nella corte centrale del CtB l’attacco a terra è stato risolto creando uno scuretto di 20 cm circa, per garantire un facile posizionamento e pulizia della pavimentazione in porfido. Spazi Serviti e Serventi. La composizione si delinea partendo da due corti. Nel caso delle Terme sono la vasca interna e quella esterna. Esse sono il fulcro dell’edificio, attorno ad esse si sviluppano le unità sopra citate con le relative funzioni. Tutto il resto è spazio distributivo con lunghi corridoi e viste prospettiche. Gli utenti raggiungono i relativi ambienti tramite una trama di percorsi liberi, con tagli trasversali, stretti collegamenti o aree di disimpegno. La percezione è quella di camminare all’interno di cunicoli simili a delle grotte, dove la direzione è a discrezione di ogni utente. In determinati casi la meta viene rivelata sono alla fine del percorso. Gli spazi distributivi sono estremamente ramificati e la progettazione è complessa, gli ambienti invece sono regolari e dotati, tranne per gli spogliatoi, di uno solo accesso con funzione sia da ingresso che da uscita. Nel CdB tutto l’edificio si sviluppa attorno alle due corti centrali, quella prospiciente su Via Nizza e quella interna. I corridoi prospettano su queste corti e i percorsi si intersecano passando tra di esse. In tutti e due i casi è molto chiara l’attenzione ad uno sviluppo ortogonale, chiaro, e difficilmente disorientante. Gli spazi di gestione dei percorsi sono paragonabili sotto numerosi aspetti. Vi è una ricerca di monocromaticità tra muri e soffitti. I primi incontrano i secondi in maniera chiara e netta. In nessun caso vi è un utilizzo di controsoffittatura. La percezione di

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questi spazi è volumetrica. Le linee e le fughe sono sottolineate, le pareti e gli spigoli hanno la volontà di essere puri e netti. Curve non si intravedono e non vi è uso di nessun elemento ulteriore quali coronamenti o decorazioni. Gli spazi pieni evidenzano gli spazi vuoti e le uscite sono varchi a tutt’altezza e larghezza. (P. n.7-8) Finestre/Aperture: Nelle grandi aperture dei due edifici, il linguaggio utilizzato è molto simile. Ricerca di distinzione tra infisso e parte muraria. (P. n.11-12-13-14) Dialogo diretto tra l’interno e l’esterno. Le pareti murarie sembrano sbucare senza intersecare nessun altro elemento. Le grandi aperture appaiono come schermi, non sono a filo esterno e creano effetti d’ombra molto forti sui prospetti. Nei disegni in scala 1/25 dei 2 cassoni dell’edificio di Pia, nelle vetrate di P. n.12 prospettanti le vie adiacenti, si nota come mazzette di 6x6 cm vengano disposte sulle pareti e i telai incassati presumibilmente per una maggiore facilità di posa e purezza di prospetto. Le grandi vetrate che prospettano le corti interne smaterializzano le pareti perimetrali, illuminano i laboratori e con la loro trasparenza evidenziano la laboriosità del luogo. Le aperture, insieme al sistema di passerelle attivano questo spazio interno, lo animano come luogo di socialità e coinvolgimento. I telai sono in ferro, quasi delle stesse dimensioni in ambo gli edifici, e i pannelli di vetro sono in Glass Clear, massima trasparenza con notevoli dimensioni. Nelle Terme oltre alle aperture ad ordine gigante sono presenti delle aperture quadrate fortemente caratterizzanti i prospetti. Queste sono in corrispondenza di ognuna delle chaises longues delle sale da Riposo, e sono a filo esterno per garantire un effetto di totale annullamento dell’introspezione. Non hanno telaio e non sono apribili. (P. n.3) Scale: Sia le scale che percorrono le terme, dall’uscita degli spogliatoi a tutte quelle che accedono alle vasche interne, sia quelle del CdB hanno un linguaggio simile. Si trovano nella totalità dei casi tra due pareti puri, le pedate e le alzate sono dello stesso materiale e c’è ricerca di monocromaticità. Sono scale molto poco ripide con forti effetti prospettici. Nel caso del CtB, l’utilizzo (supposto) di scale prefabbricate in cls, ha fatto si che la loro corretta sede venisse garantita da uno scuretto nelle pareti verticali, creata dall’utilizzo di un controcassero rimosso nel momento del disarmo. I mancorrenti, sono nel caso delle terme degli elementi tubolari indipendenti in ottone, nel caso del CtB in ferro, e sono

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incassati in una nicchia a parete anch’essa creata da controcasseri. Nell’edificio di Zumthor è di particolare pregio l’annegarsi degli scalini all’interno delle vasche. Lungo la rampa di discesa, i piedi dell’utente raggiungono l’acqua e percorrono 4 scalini ulteriori all’interno di essa prima di raggiungere il pavimento. Non vi è nessun cambio di materiale.

Materiale struttura: Come detto in precedenza i muri portanti dell’opera di Zumthor sono costituiti dal cosiddetto “muro composito”. I listelli di pietra gneiss aderiscono al getto in calcestruzzo interno in maniera monolitica. La composizione è modulare, il pattern creato è unico. La pietra gneiss è facilemente reperibile nei dintorni del sito. La colorazione di diversa sfumatura di tutti i listelli conferisce un aspetto privo di monotonia, i chiari e gli scuri si alternano in linee orizzontali. Il taglio è eseguito magistralmente, e lo strato di malta è sottile e uniforme. Per il Centro di Biotecnologie l’approccio è simile. Come descritto già precedentemente vi è nuovamente l’utilizzo di un materiale materico come la pietra ma in questo caso la pietra è artificiale. La faccia a vista dell’Scc (Self Compacted Concrete) conferisce alla superficie, anche in questo caso, una texture estremamente riconoscibile grazie alla casseratura a listelli in legno di egual lunghezza. Ogni listello ha le medesime dimensioni in lunghezza e larghezza, il cls derivato restituisce esattamente la trama legnosa con le sue venature e nodi. La monoliticità ricercata è così espressa. Ringhiere: in questo caso l’approccio utilizzato è differente, anche se è analogo il linguaggio. Per quanto riguarda le ringhiere dei balconi e delle scale dell’edificio termale, si è deciso di utilizzare un semplice disegno a bande verticali in ottone. Il mancorrente è invece un piatto di larghezza di circa 10cm. La particolarità di questa ringhiera è l’attacco a terra. Invece di concludere i tondini su un altro piatto fissato puntualmente alla pietra, Zumthor ha preferito, con notevole sforzo costruttivo, terminare direttamente nella pietra uno a uno tutti i tondini, inserendoli nella pietra e rifinendo il foro con una rondella dello stesso materiale. L’effetto, anche in questo caso, è di estrema continuità del pavimento. Pia ha invece adottato un altro sistema per la protezione nelle scale e nei balconi. La leggerezza è la stessa, ma in questo caso essa è garantita dall’uso del vetro. Vetri stratificati di altezza 1.10m in un pezzo unico sono fissati alla base, tra due piatti in ferro. I

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pannelli non toccano mai in nessun punto i muri, rimanendo distanziati di pochi centimetri. Luce Naturale / artificiale: questo è forse l’aspetto che crea piu’ interesse all’interno dell’edificio di Zumthor. La presenza delle suddette indipendenti unità e il loro distacco di 8 cm in corrispondenza del soffitto crea queste lunghe feritoie che smaterializzano la copertura, conferiscono un aspetto mistico e soprattutto garantiscono illuminazione naturale costante. In taluni casi le finestre verticali fungono solamente da visione delle montagne esterne, ma non sono state progettate per illuminare. Gli effetti di luce e di ombra sono controllati maniacalmente. Sulla copertura della vasca interna sono posizionate delle aperture di luce zentihale dal vetro di colorazione blu. Il dettaglio costruttivo è di estrema raffinatezza: vi è dapprima un tamponamento leggero con il vetro colorato, in secondo luogo una seconda lastra di vetro, in questo caso con funzione isolante e di chiusura, infine un’ ulteriore lastra di vetro è posta all’altezza del manto erboso. Da questa stratificazione di piu’ pannelli di vetro la luce filtrante è estremamente gradevole. Per nulla abbagliante e molto delicata, questa luce naturale permette di potere illuminare lo spazio, dotando l’ambiente di ombre dall’intensità e colore unici. La luce artificiale all’interno degli spazi più che svolgere la funzione di illuminazione sembra indicare un percorso. Delle sottili aste in ottone scendono dal soffitto come stalattiti, terminando con lampade ad incandescenza intense ma puntuali. Queste luci sono poste lungo i percorsi interni in linea a distanza di circa 4 metri l’una dall’altra. Altre luci artificiali sono poste all’interno della vasca, sui muri perimetrali, illuminando così la il volume d’acqua che con il movimento delle persone assume caratteristiche continuamente diverse. Nell’edificio di Pia questo aspetto è più difficile da trovare. Essendo un edificio di utilizzo universitario e di ricerca si deve attenere alle restrittive norme italiane sull’ illuminazione dei locali scolastici. Con le aperture di notevoli dimensioni di vetro extraclear la luce naturale raggiunge tutti gli ambienti di distribuzione quali corridoi e atrii. Nella corte interna, la luce è schermata dalla copertura in alluminio e vetro. Questa tipologia di copertura garantisce un’ottima illuminazione mai abbagliante, ventilazione naturale e riparo dalla pioggia e neve. Le aperture, inoltre, in tutti i locali interni sono dotate di sistemi a schermatura meccanica in maniera da avere un controllo totale a seconda delle necessità. La luce artificiale è utilizzata in tutti gli ambienti ad uso di lettura, laboratori, aule, secondo gli standard di illuminamento medio previsto dalla normativa vigente, con particolare sensibilità al

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comfort visivo e riduzioni di abbagliamento. In particolare, nel caso delle aule da 234 posti ed in quelle da 100, da si puo’ notare il posizionamento delle lampade a fluorescenza ubicate in una stretta intercapedine tra il controsoffitto e il muro. Questa sorgente nascosta crea una fessura di luce diffusa sulla superficie rossa della parete illuminando i percorsi e smaterializzando la soletta, con un linguaggio analogo a quello adottato da Zumthor. E’ da notare, inoltre l’utilizzo dell’illluminazione artificiale negli atrii dell’edificio. All’uscita dall’ascensore, (P n.10) nei i corridoi dei blocchi distributivi sono illuminate con lampade posizionate all’interno di ampie nicchie tali da proiettare luce diffusa verso l’alto e verso il basso.

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Bibliografia • Zumthor P. (2003), Pensare Architettura, Milano, Mondadori Electa • Zumthor P. (2007), Atmosfere. Ambienti. Le cose che ci circondano, Milano, Mondadori Electa • Braghieri N.(2005), Buoni Edifici, Meravigliose rovine, Milano, Feltrinelli • Rosa J. (2007), KHAN, Koln, Taschen • Brownlee D. & De long D. (2000), Louis I. Khan: in the realm of Architecture, Milano, Rizzoli • Loos A. (1992), Parole nel vuoto, Adelphi • Hauser S. & Zumthor P.(2007), Peter Zumthor Therme Vals, Infolio Sarl Editions • Mostafavi M. & Zumthor P. (2000) Thermal Baths at Vals, Architectural Association • El Croquis, 1998, n. 88-89, pp.268-307 (Vals) • Domus, 1997, n. 798, pp. 27-35 (Vals) • Casabella, 1997, n. 56-75 (Vals) • Detail, 1\2001, p.20 (Vals) • Giornale dell’Architettura, 2007, Croset Pierre-Alain, Espressività del calcestruzzo e chiarezza insediativa, n.47 (CtB) • Casabella, 2007, De Magistris Alessandro, n°756, pp. 58-65 (CtB) • Industria delle costruzioni, 2007 Pia Luciano, Scuola di Biotecnologie di Torino, Italia, , n° 395, pp. 60-67. (CtB) • Detail, 2008, “Instutt fur Biotechnologie in Turin”, n°1-2, pp. 6670,124. (CtB) • Architecture d’ajourd’hui, 2007, De Magistris Alessandro, ècole des Biotechnologies de L’Universitè de Turin, Italie, , n° 370, pp. 1013. (CtB) • “Scuola di Biotecnologie dell’Università di Torino”, a cura del Paternariato pubblico-privato per le infrastrutture locali. Dicembre 2006. Torino. (CtB)

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