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come yes man, simbolo di un atteggiamento positivo verso la vita, ovvero cogliere ogni sfida con audacia, sempre pronti a dire si. Y come il bivio che rappresenta la scelta che devi compiere prima di intraprendere il nostro viaggio. Una scelta che che si presenta innanzitutto come vincente. Y come WHY: anche se il nostro mondo non lascia spazio a dubbi, in questo magazine intendiamo spiegarti il “perchè” delle nostre scelte. Per far ciò abbiamo pensato al mondo di Bsa come ad un percorso suddiviso in tre differenti tappe: viaggi, strumenti, esperienze. Nella prima sezione vogliamo mostrarti i viaggi, siano essi fisici o metaforici, che potrai compiere con noi. Vedrai le nostre strade ed i nostri luoghi; potrai così scegliere se condividerne la bellezza e lo spirito che li anima dal profondo. Se sei arrivato alla seconda tappa hai abbracciato il nostro immaginario. Qui troverai alcuni strumenti che ti aiuteranno ad orientarti e a comprendere la filosofia che si cela dietro alle nostre azioni. Ora conosci il nostro mondo e sai come muoverti all’interno di esso. Perciò nell’ultima parte del percorso ti parliamo di persone che come te hanno scelto il modo Bsa, per dimostrarti come per noi Scelta sia sinonimo di Vincente.
Editoriale
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IRELAND • OCEANRACE • SIRIA • POLAROID • WOOD’D • NEWYORK • PININFARINA
Issue n° 0 Dicembre 2014 In copertina: photo by Jackson Melville - CrossRail WHY MAGAZINE è un progetto di BSA Motorcycles ltd. WHY MAGAZINE HQ Via Privata Simone Schiaffino 3 20126 MI Milano Italia
info@whymagazine.com | www.whymagazine.com THE TEAM Editore: Eleonora Cervi Editore: Giulia Bardelli Editore Senior: Ilaria Cherubini Direttore Creativo: Aldo Caprini Design: Davide Dismino Fashion Director: Cui Yi Contributi Scritti: Aldo Caprini, Giulia Bardelli, Eleonora Cervi, Ilaria Cherubini, Davide Disimino, Cui Yi Contributi Fotografici: Aldo Caprini, Giulia Bardelli, Eleonora Cervi, Ilaria Cherubini, Davide Disimino, Cui Yi 8
1 Viaggi
2 Strumenti
3 Esperienze
IRLANDA - Una terra da scoprire
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OCEAN RACE - Il tempo delle vele
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ALBERTO BOZAN
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OLTRE IL CONFINE - Scegliere di resistere
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CHASE YOUR ROAD
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SCATTO AUDACE - Da classic a cube
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THE BANK - Drive road restaurant
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PENPAL - Stroia di una passione postale
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PININFARINA - Fuoriserie
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GETTING OVER - La grande fuga da NY
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WOOD'D - Viaggio nella materia
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METTI UNA BICI IN SALITA
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PITS-STOP - Travel with taste
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1 Viaggi
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la gente spesso definisce impossibili le cose che semplicemente non ha mai visto
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Ecco il nostro mondo, ecco il mondo Bsa. Un uninverso fatto di luoghi da scoprire e di scelte da affrontare con audacia. Sei pronto a partire? 11
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iaggiare per l’Irlanda in auto o in motocicletta è un’esperienza unica. Assaporare panorami mozzafiato, trattenere il respiro prima di ogni curva per attendere un nuovo scorcio, gustare il piacere della strada e della scoperta. La bellezza di un viaggio on the road in Irlanda infatti si trova proprio nel lasciare le strade battute e abbandonarsi al caso, andando a stanare ed esplorare i luoghi più remoti, alla scoperta degli angoli nascosti alla vista dei turisti più frettolosi e disattenti. Come cantato in una nota canzone, “il cielo d’Irlanda ti annega di verde e ti ricopre di blu” e nessuna frase può risultare più vera. L’Irlanda è un paese magico, mistico, pieno di luci, colori e suoni. Un paese in cui sai dove inizia il mare ma non sai dove finisce, perché questo stesso mare si fonde con il verde in un insieme tanto unico quanto naturale. Un pieno di emozioni ancestrali per una coppia travolta dalla bellezza della vita. Le cose da fare e da vedere sono al limite dell’infinito e richiedono continui spostamenti per poter raggiungere le mete di vostro interesse. Tappa fondamentale è rappresentata dalle Cliffs of Mother, sulla costa occidentale dell’isola. Queste scogliere, lunghe circa 8 km, ad una prima occhiata vi potranno apparire semplici pietre a picco sul mare; ma lo spettacolo che protete ammirare sarà ben altro. Vi troverete completamente immersi in un mondo incontaminato, fatto di mare cielo e colline, a picco sull’Oceano Atlantico. L’anima irlandese non si esaurisce semplicemente in verdi paesaggi; non si deve dimenticare dei panorami rudi ed inesplorati. Questo è il caso della regione del Burren, 160 Km² di tavolato calcareo, senza alcun tipo di vegetazione, se non qualche fiore che, quasi come a voler sfidare l’ecosistema, sopravvive tra le spaccature delle pietre calcaree. Tra mare, colline e paesaggi spogli, tocca ora alle montagne con i loro boschi che hanno reso celebri i miti dell’Irlanda.
Irlanda Una terra da scoprire
Trattenere
il respiro, gustare il piacere della strada e della scoperta
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IRLANDA
Queste citate sono solo alcune delle innumerevoli esperienze che l’Irlanda vi offre; ognuna di esse racchiude un significato preciso ma diverso per ogni viaggiatore, che resterà più vivo che mai appena tornato a casa, quando sentirete che “il cielo d’Irlanda è dentro di te”. Se vi lascerete andare e guidare dall’istinto del momento, senza alcuna fretta, potrete andare in cerca di strade sconosciute: è così che questa terra saprà regalarvi piccoli scorci che solo voi potrete riportare a casa nei vostri ricordi. L’autonomia dello spostamento vi regala un altro immenso piacere: anche se la rete di mezzi pubblici è capillare e ben gestita, l’indipendenza di un proprio mezzo permette di fermarvi ove si vuole, senza vincoli di orari e di poter raggiungere i posti più sperduti.
Il Parco Nazionale del Connemara nell’Irlanda occidentale, precisamente nella contea di Galway è un’area protetta divisa in 4 diversi percorsi: il sentiero naturale del bosco di Hellis, quello del Sruffaunboy, quello basso e quello alto della collina di Diamond. Lungo questi sentieri incontrerete paesaggi diversi, praterie, boschi e colline e potrete ammirare una vegetazione a tratti aspra. Per vivere l’esperienza per eccellenza, se avrete deciso di trascorrere del tempo in questo paese, dovete spostarvi nell’Irlanda del Nord. È qui infatti che si trova il ponte di Carrick-a-Rede. Lungo circa 20 metri è il classico ponte a corda che può incutere un po’ di timore essendo del tutto sospeso. Ma per persone audaci come voi vale davvero la pena percorrere quei 20 metri. Sarete a pieno contatto con tutto ciò che vi circonda, sospesi tra cielo e mare.
(GB)
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OCEAN RACE
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a Volvo Ocean Race (ex Whitbread Round the World Race) è una gara di vela intorno al mondo, che si tiene ogni tre anni. Prende il nome dal suo attuale proprietario, Volvo. Al momento i Paesi Bassi detengono il record di vittorie assolute con tre successi. L’olandese Conny van Rietschoten è l’unico ad aver vinto la gara per due volte. La nuova Volvo Ocean Race 65 sarà vinta e persa solo dagli atleti, in mare aperto. Questo perché sono state introdotte nuove regole, con il fine di contenere i costi ma allo stesso tempo di favorire competizione, audacia e coraggio dei team; non c’è quindi modo da barare, ingegneristicamente parlando. Questo tipo di competizione si basa sulla combinazione di tre fattori: Gli organizzatori stilano la maggiora parte dei parametri definendo cose come la lunghezze dell’imbarcazione, il peso e la superficie delle vele. Fatto ciò il noto “manualone” viene consegnato al gruppo di design del team che prova a produrre la barca più veloce nell’ottemperanza di queste regole. «È un processo stupendo e audace» dice Alex Higby, sailmaker del team Abu Dhabi Ocean Racing, già vincitore di un America’s Cup con Team New Zealand nel 2012. Al team viene consegnato un faldone ricco di calcoli e norme, con atto quasi divino, e viene donata la conoscenza e conferito il compito di trasformare quei numeri in una specie di coltello capace di fendere le onde e resistere alle tempeste del pacifico. Una volta che il design è definito viene consegnato ai costruttori, 4 ufficiali in questo caso, i quali hanno l’ardua missione di costruire l’imbarcazione progettata dal team, la più leggera e la più resistente. Solo alla fine di questo processo il team nautico può entrare in contatto con la barca che li porterà a veleggiare attorno al globo. Ora ci si concentra su talento, resistenza, strategia e tecnica. Un concertato di audacia e fiducia.
Ocean Race Il tempo delle vele
Trasformare
quei numeri in
un coltello capace di fendere le
onde e resistere
alle tempeste del pacifico
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Il percorso prevede vecchie capitali già famose nella vela internazionale come Auckland, Newport, Lorient o Goteborg e città più nuove nel panorama dello yachting ma che investono sempre di più nella vela come Alicante o Lisbona. Anche il Brasile è stato capace di incrementare la sua presenza nella vela che conta. Citiamo, ovviamente la conferma di altri poli importanti per i nuovi mercati, come Abu Dhabi e Sanya (presenti nella scorsa edizione, come del resto lo era Auckland, Lisbona o Lorient). Dieci porti quindi dieci In-Port Races; più nove tappe offshore per un totale di 40.000 miglia e nove mesi di regata intorno al mondo. (AC) per approfondire: www.google.it
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Alberto Bolzan
lberto Bolzan, l’unico italiano in regata in questa Volvo Ocean Race a bordo di Team Alvimedica, ha concluso al quinto posto la sua prima tappa alle 3:07 della scorsa notte a Cape Town. 26 giorni, 13 ore, 7 minuti e 38 secondi dopo aver lasciato Alicante, che ormai si trova 6.500 miglia “a nord”, Alberto Bolzan appare sempre più un marinaio-velista, con quel subdolo virus della Volvo Ocean Race che pian piano inizia a scavare nel suo Dna di regatante mediterraneo con una voglia di imprese e grandi orizzonti. «Dopo 26 giorni di mare c’è una gran voglia di cose semplici, di rivedere le persone care o semplicemente anche di ritrovarsi in mezzo alla gente su una banchina perché la fuori, soprattutto nel Southern Ocean, fa freddo, è scomodo e vedi solo gli Albatros, quando ci sono… ma poi ti ricordi che sei in regata e vuoi fare sempre meglio»
Barba lunga di un mese da quello che vediamo, è stanco? Beh, barba di un mese fa… e anche doccia di un mese fa. Stanco non direi, non è stata una tappa con molto vento, se si eccettua una fase nel Southern Ocean, non è stata fisica più di tanto. E a livello mentale? Intensa, fino all’Equatore, dove non c’erano grandi insidie meteo di bonacce, siamo sempre stati tutti a vista nel giro di poche miglia e lì è stato molto bello, è un po’ come una grande regata a bastone che dura due settimane. Poi all’Equatore ci siamo parcheggiati, lì ognuno prende la sua nuvoletta che lo fa o fermare o partire e lì siamo stati particolarmente sfortunati a non agganciare il vento che ad esempio ha trovato Vestas che era dietro di noi e che ci ha dato 200 miglia in tre giorni. Lì è stata la chiave della regata, chi è riuscito a staccare l’Equatore prima degli altri poi è stato del tutto imprendibile. 22
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Quindi una conferma che siete tutti vicini? Sì, il One Design porta a questo. Era nelle nostre aspettative. Tutti spingono molto, chi era davanti lo ha fatto anche con il rischio di rompere. Noi lo abbiamo sempre fatto, tranne nelle ultime 24h dove abbiamo tirato un po’ il freno a mano perché non potevamo più riprendere quelli davanti e non potevano essere più ripresi da quelli dietro e quindi spingi un po’ meno, si fa per dire perché vai sempre a 20 nodi ma almeno non rischi di rompere e porti a casa la barca e il risultato. Adesso si pensa alla prossima tappa.
ci hanno organizzato la cerimonia, molto divertente che avrete visto online. E’ stata una cosa molto simpatica, che capita una volta nella vita e che di sicuro ricorderò. Poi vai avanti e pensi solo alla regata. Il Southern, è stata un’esperienza notevole, diversa. Fa freddo, c’è sempre onda, per uno a cui piace quel tipo di vela è un clima molto diverso dal nostro. Non ha nulla a che fare con il Mediterraneo ed è un po’ dura da digerire, fa freddo e sei sempre bagnato ma è anche bello, vai veloce, ci sono i famosi reaching a oltre 20 nodi, esperienze nuove che fanno parte della Volvo.
Per lei quindi è stata la prima volta all’Equatore e nel Southern Ocean. Ci racconta? Beh, il passaggio dell’Equatore era sì una grande novità per me, Charlie Enright e Mark Towill. Ovviamente i ragazzi esperti, quelli che l’avevano già fatto due o tre volte,
Abbiamo notato che tutte e sette le barche sono state prime almeno una volta e anche ultime. E’ davvero vSì, faccio un esempio, non appena lasciata la costa del Sahara eravamo primi grazie a delle notevoli strambate sui salti di vento; poi fai un errore e ti ritrovi cinque miglia indietro
ALBERTO BOLZAN alla sua prima edizione della gara 24
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mezzo all’oceano non si vedono le navi, non si vedono gli altri, niente che non sia un albatros o qualche balena. Anche arrivare a Cape Town è stato un feeling nuovo, arrivare e mettere i piedi a terra dopo tanto tempo e adesso sono contento di essere a terra. Alla fine stare in mare è bello, una passione che ci accomuna, però non si può dire che la cosa più bella della vita sia stare al freddo, tutti bagnati e senza dormire... Siamo qui perchè è bello fare questa regata. Ci sono tanti momenti in cui dici… «mammia mia ma cosa ci sto facendo qui», poi vedi che l’altro ti ha guadagnato due miglia e vuoi andare a riprenderlo, viene fuori la grinta e vai avanti. E poi i giorni passano veloci, prendi il ritmo e pensi solo alla regata.
e riprenderle è davvero dura, se nessuno fa errori. Quando ci si allarga dalla flotta ovviamente è facile sia perdere che guadagnare tanto, se qualcuno trova vento migliore. La differenza l’ha fatta comunque l’Equatore. Eravamo riusciti a riportarci sotto ma poi ci siamo ritrovati sotto una nuvola che ci ha parcheggiati per 12 ore e lì abbiamo perso tanto. Abbiamo recuperato poi un po’ al largo del Brasile ma ormai era tardi, si doveva andare solo dritto per dritto e non c’era nulla da fare. Ma veniamo all’uomo, A. Bolzan. Ventisei giorni di mare li aveva mai fatti? Sì, la parte umana è ricchissima. Io ho sempre navigato tanto, anche da piccolo con i miei genitori mi era capitato di stare un mese di fila in barca ma è ben diverso per regatare in oceano. Ventisei giorni senza mai toccare terra e scendere dalla barca non mi era mai capitato e quando sei in
La prima cosa che ha fatto a terra? E’ stato molto bello. Sfortunatamente la mia ragazza non è potuta venire a Cape Town, ma subito dopo essere arrivati all’ormeggio
OCEAN RACE Il comfort in gara non è una priorità 25
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mi hanno passato Skype in mano e mi ha emozionato vedere subito chi ti è più vicino appena messo piede a terra. E Alvimedica? Siete soddisfatti? Sì, abbiamo visto che quando eravamo vicini agli altri le prestazioni c’erano. Abbiamo fatto poi un paio di errori. Conta molto l’esperienza di chi l’ha già fatta, ricordarsi di come funzionano alcuni passaggi. Credo che siamo quelli che possono migliorare di più, a bordo c’è feeling e la velocità c’è. C’è ancora molta strada davanti. Ed invece gli altri? Ian Walker? La sorpresa Dongfeng? Secondo me Dongfeng è una delle barche più forti. Hanno velocità e se guardi chi hanno a bordo c’è molta esperienza, molti giri del mondo. Sono riusciti a fare un gran recupero e credo che siano loro i vincitori morali di questa tappa. Abu Dhabi, Brunel si sono confermati ma anche Vestas, Mapfre e le stesse ragazze di SCA sono veloci e tutto può accadere. Non vedo un favorito al cento per cento dopo la prima tappa. Ha già visto il Sahara, Capo Verde, qualche altra isoletta nel mezzo, dal punto di vista dell’avventura cosa ci racconta? E’ bellissimo. Approcciare Capo Verde, con un panorama mozzafiato, ti lascia a bocca aperta. Lo abbiamo passato con 25 nodi in poppa ed è stato bellissimo. Poi Fernando de Noronha, migliaia di splendidi delfini e flotte di incredibili balene. L’altro giorno ci siamo trovati a dover mollare le vele e a metterci in piedi dalla prua a dirci a vicenda orza-poggia per evitare le balene come se fossero delle alghe. Sono emozioni che per chi viene dalle regate inshore sono davvero indimenticabili.
Non ha nulla
a che fare con il Mediterraneo fa freddo e sei
sempre bagnato
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Syrian refugees are held by the Jordanians for questions regarding their identities at an unofficial crossing point at the border between Syria and Jordan at Sharjarh, Jordan, April 10, 2013. Thousands of Syirans are crossing into Jordan each day across unofficial border points between the two countries, as Syrians flee ongoing fighting i n t h e i r c o u n t r y. T h e U n i t e d Nations estimates that the number of Syrian refugees is currently over one million, most of whom are living in neighboring countries, straining the resources of host countries Ly n s e y A d d a r i o
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ella Siria dilaniata dalla guerra civile, all’incirca nove milioni di persone sono state costrette ad abbandonare i luoghi in cui vivevano. La maggior parte si è sistemata in aree meno travagliate del paese, ma circa uno su quattro è fuggito all’estero a causa della violenza, del caos e della penuria di cibo, di medicine e di altri beni di prima necessità. L’esodo incessante ha prodotto crisi umanitarie nei paesi vicini e si sta diffondendo in Europa e altrove. Ma la soluzione del conflitto, che a marzo è entrato nel suo quarto anno, non sembra vicina. La fotografa Lynsey Addario ha documentato le difficoltà degli sfollati in Siria e nei quattro paesi dove il flusso è stato maggiore, mettendo in risalto la perseveranza e la determinazione dei profughi nella volontà di non rinunciare alla vita.
Oltre il confine Scegliere di resistere
Nove milioni di persone
hanno dovuto abbandonare
i luoghi in cui vivevano
(EC)
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e 2
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1) Il Libano, a differenza di Giordania e Turchia, ha deciso di non allestire tendopoli per rifugiati.
2) È l’alba, approfittando della quiete una famiglia è in attesa del passaggio per oltrepassare il confine turco-siriano. 3) In Turchia c’è più di mezzo milione di profughi siriani, un terzo dei quali è ospite dei 21 campi allestiti nel paese. 4) Libano, nel giro di un anno il numero dei rifugiati in questo piccolo paese è passato da 100.000 a 800.000.
5) Confine tra Siria e Turchia, una famiglia cerca di varcare il confine turco evitando i blocchi delle guardi di frontiera. 6) I profughi spesso si mescolano alla gente del luogo e vanno a vivere in case in affitto o con i parenti. 33
CHASE YOUR ROAD
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Le Montagne Rocciose Canadesi come dice il loro nome, costituiscono il segmento canadese delle Montagne Rocciose. Il limite meridionale, nell’Alberta e nella Columbia Britannica confina con l’Idaho e il Montana negli Stati Uniti. La catena termina, a nord, nella Liard Plain sempre nella Columbia Britannica.
51°25’30.0”N 116°28’50.2”W
MONTAGNE ROCCIOSE
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La strada del Karakorum è la strada asfaltata internazionale più alta del mondo. Collega la Cina al Pakistan attraversando la catena montuosa del Karakorum, superando il passo Khunjerab ad un’altitudine, recentemente confermata, di 4.693 metriche ne fa di gran lunga la più alta via asfaltata del mondo che attraversi un confine internazionale.
34°10’04.9”N 73°13’28.1”E
KARAKORUM
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Il Transfăgărăşan o DN7C è la seconda strada asfaltato più alta in Romania. Conosciuto anche come Follia di Ceauşescu è stato costruito come un percorso strategico militare che si estende per 90 km collegando le regioni storiche della Transilvania e Valacchia e le città di Sibiu e Piteşti.
45°27’12.2”N 24°37’29.4”E
TRANSFAGARASAN
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Trollstigen (la scala dei troll) è una tratto di strada in Norvegia, nei pressi di Rauma. Costituisce un’importante attrazione turistica per la ripida pendenza e per gli undici stretti tornanti inaugurati il 31 luglio 1936 dopo 8 anni di lavoro.
62°27’36.2”N 7°40’13.8”E
TROLLSTIGEN
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2 Strumenti
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aspirare ad una meta non basta bisogna capire come raggiungerla
”
A cosa serve consocere il nostro mondo se non sai come muoverti all’interno di esso? Nelle prossime pagine troverari alcuni strumenti che potranno esserti utili nell’universo Bsa. 45
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Scatto audace Da classic a cube
Trattenere
il respiro, gustare il piacere della strada e della scoperta
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on una macchina fotografica digitale di qualsiasi tipo o uno smartphone oggi chiunque può improvvisarsi fotografo. Di foto ne scattiamo tante, in ogni momento della giornata e ovunque e se una viene male è facile realizzarne una migliore con un solo click. Con l’analogico invece le cose erano diverse. Scattare una fotografia richiedeva del tempo e della concentrazione, e bisognava dosare il numero degli scatti per evitare di finire il rullino. Ma gli appassionati di fotografia lo sanno bene: le emozioni date dall’analogico sono ben diverse da quelle delle fotografia digitale. Solo pochi fortunati, soprattutto tra gli anni ‘70 e ‘80, hanno potuto provare il brivido di usare una Polaroid, le mitiche macchinette istantanee che hanno ridefinito il mondo della fotografia. Con le Polaroid fare foto era un’esperienza unica. Vedere la fotografia appena scattata stamparsi sotto i propri occhi, scuoterla per qualche minuto ed aspettare il risultato, era una sensazione irripetibile. Quella della Polaroid è una storia particolare, fatta di periodi di successo e declino, di grandi innovazioni tecnologiche e di un ritrovato fascino vintage. Certo si tratta di una tappa fondamentale della storia della fotografia, anticipatrice a suo modo di uno stile di vita audace tutt’ora contemporaneo. Fu nel 1948 che apparve sul mercato grazie a Edwin Land, la prima istantanea, quella Land Camera che faceva uso di un rotolo di pellicola in bianco e nero. Bisogna arrivare per agli anni ‘70 per assistere al boom delle Polaroid, periodo in cui queste macchine erano rappresentanti di un vero e proprio status symbol, massima interprete degli attimi di una società in tumulto. In questo periodo ricordiamo anche la battaglia legale tra Polaroid e Kodak, in cui quest’ultima fu accusata di avere copiato il brevetto delle macchine istantanee e fu condannata ad un risarcimento milionario. La causa fu davvero molto utile alla Polaroid anche in termini
SCATTO AUDACE
pubblicitari; infatti proprio dal 1976, l’anno in cui il processo ebbe inizio, registrò un notevole aumento di vendite. Dagli anni ‘90 si è consumato un rapido declino del boom Polaroid, soppiantate dalla fotografia digitale e rivelatesi non più in grado di stare al passo con i tempi. Del 2008 è l’annuncio ufficiale della fine della produzione di pellicole per le classiche Polaroid e della chiusura dei relativi stabilimenti. Ma pensare che l’uso di queste sia oggigiorno del tutto scomparso sarebbe da considerarsi un gravissimo errore. Non solo gli appassionati di fotografia analogica, ma anche molti amanti del vintage sono dediti al recupero di questi ed altri oggetti di altri tempi, in maniera analoga alla riscoperta dei vinili nel mondo della musica. Ma se in tanti posseggono ancora queste macchine fotografiche d’epoca, la cosa più difficile resta recuperare le pellicole adatte, soprattutto dopo la cessazione della loro produzione da parte di Polaroid nel 2008. Ci hanno pensato alcuni degli ex-dipendenti dell’azienda, che già nel 2009 hanno rilevato lo stabilimento di Enschede, in Olanda, e hanno dato vita all’associazione The Impossible Project. Questo progetto si propone di mantenere vivo l’uso delle macchine istantanee, producendo le pellicole in versione riveduta e corretta. Ad oggi, Impossible rimane l’unico produttore di pellicole per i vecchi modelli in circolazione, e dal 2013 ha lanciato Instant Lab, che coniuga iPhone e fotografia analogica. Un’altra validissima proposta targata Polaroid è costituita dalla Polaroid Cube. Un minuscolo mattoncino colorato, grande circa 3,5 cm, privo di display e avvolto del tutto da una gommatura che ne garantisce resistenza a sollecitazioni e umidità: così si presenta questa nuovissima action camera Polaroid, che fa della semplicità e compattezza i suoi due punti di forza. Il suo funzionamento è gestito attraverso un unico pulsante posto sul lato posteriore: premendo per 3 secondi
Walker Evans’polaroid
Ansle Adams’polaroid 47
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Walker Evans’polaroid 48
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si accende e spegne, dopodichè con 1 solo click potrai fare le foto, mentre con 2 i video. Qualcuno ha mai visto un libretto delle istruzioni più semplice? La ricarica avviene tramite un cavo micro USB, mentre un piccolo vano posto sul retro e rimovibile permette di inserire schede micro SD fino a 32 GB. E se non volete riempire subito la memoria, l’unico pulsante rende anche possibile all’user di switchare a una qualità video inferiore.
Caratteristiche tecniche: Dimensioni: 35mm x 35mm x 35mm Camera: 6-megapixel con lente quadrangolare a 124° e risoluzione video fino a 1080 pixel HD Durata Batteria: 90 minuti circa di video Resistenza all ’acqua: fino a 2 metri di profondità Memoria: scheda micro SD da 32GB
(EC) per approfondire: www.polaroid.com/cube
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he Bank appare sulla scena dei Pits Stop nello scorso Agosto e riscuote un grande successo grazie alla sua particolare atmosfera e alla qualità dei suoi piatti esclusivamente a base di ottima carne. «The Bank è proprio come una banca», ci dice con enorme entusiasmo il proprietario Mr. Jason Messenger. «Un tempo non era niente meno che NorthBanco, Banca nazionale del nord dell’Inghilterra». Una delle particolarità del locale è la capacità di mantenere ancora oggi le fattezze di una volta. «Abbiamo ancora le porte blindate, perché abbiamo deciso di lasciare il locale praticamente uguale all’originale inserendo solo qualche tocco d’audacia. Con alcuni giovani designer abbiamo ritoccato alcune aree del locale come la parete dei penny; può sembrare strano ma abbiamo incollato una moneta alla volta! Sono questi dettagli che rendono il nostro unico nel suo genere». Aprire il locale è stata una vera avventura e la realizzazione di un sogno a detta di Jason,
The Bank Drive road restaurant
La particolarità del locale è che
mantiene ancora oggi le fattezze di una volta
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THE BANK
bar oppure fare una partita di biliardo con gli amici nel caveau.» La scelta audace del menù è sicuramente un’altro elemento caratterizzante: soli piatti a base di carne, ricchi, genuini e curati. «Non puoi non assaggiare il nostro bacon e verdure grigliate con uovo alla benedict. Ogni piatto che passa dalla mia cucina è di qualità e curato in ogni minimo dettaglio. Non deludo mai e poi mai i nostri clienti!», racconta lo chef John Mann. Una scelta azzardata, ma che sicuramente si è rivelata vincente visto il successo del locale in questi primi mesi. Il ristorante rimane aperto dal mercoledì alla domenica e Mr. Jason ci rivela il perché: «Quando vedo passare di qui le persone in viaggio provo una profonda invidia nei loro confronti, perciò ho deciso di tenere chiuso il ristorante alcuni giorni a settimana per poter dedicare un po’ di tempo alla mia motocicletta!».
«Era una mattina di primavera come altre e mentre stavo facendo un giro in moto per queste zone, ho visto la banca ormai chiusa e abbandonata e mi è scattata l’idea di riportare in vita quel posto. Sono una persona molto testarda e quando prendo una scelta anche se rischiosa persevero fino alla fine. Così dopo un sacco di problemi burocratici ho ottenuto il locale e mi sono messo a ristrutturalo.» Durante i lavori di trasformazione si è chiarito pian piano, anche il futuro stile, un luogo di passaggio portatore di gran carattere, per persone che viaggiano con passione e classe. «Vogliamo far provare al nostro cliente un’esperienza unica, qui le persone qui devono sentirsi a loro agio e devono essere libere di costruire la propria personale esperienza. Non hai bisogno di sederti, puoi stare in piedi oppure sdraiarti, vogliamo che la gente non ritenga questo ristorante solo come un “consuma e riparti”, ma come un vero momento di relax durante il loro viaggio. Finito di mangiare puoi prendere da bere al
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Pen Pal Storia di una passione postale
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lzi la mano chi non ha mai spedito una cartolina. Sicuramente, ponendo questa domanda in un qualsiasi lounge bar, le braccia alzate non sarebbero molto. D’altronde mandare messaggi o saluti su diversi cartoncini decorati o non, era un’ usanza già di epoca rinascimentale. Con la fine del Settecento, l’uso di lasciare su un cartoncino stampato e decorato dei complimenti o degli auguri si era diffuso in tutta Europa e anche in America; c’è chi vuole vedere in questi due fatti un possibile antenato della cartolina illustrata, ma i più qualificati esperti di cartofilia rifiutano questa ipotesi. Ciò detto, tutti riconoscono invece come sicura antenata della cartolina illustrata la cartolina postale che fu emessa dalle poste austriache il 1º ottobre 1869: la Correspondenz-Karte, inventata dal professore di economia Herrmann Emmanuel dell’accademia militare di Wiener Stadt, venne concepita con il primo intento di sostituire, per la breve corrispondenza, le lettere a tariffa più onerosa. Si trattava di un cartoncino color avorio: su un primo lato, destinato alla compilazione dell’indirizzo del destinatario, era impresso il francobollo, mentre l’altro, privo di fregi, conteneva il messaggio che non doveva superare le 20 parole. Le cartoline postali dell’epoca erano degli interi postali, cioè dei cartoncini pre-affrancati; solo successivamente comparirono le versioni con gli spazi per l’apposizione del francobollo. La storia delle cartoline postali è sicuramente densa di avvenimenti e oggetto d’ interesse da parte di molti. Gerard Dodd avrebbe sicuramente molto da dirci a proposito. In parte designer, in parte amante della buona cucina e della sua compagna, quest’uomo ha fatto della sua più grande passione, il viaggio, uno strumento di vita. Durante un viaggio a Portland, scrivendo come di consuetudine una cartolina 55
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ad un amico per raccontargli della serata passata, Gerard capì che quel gesto poteva diventare qualcosa di più di una semplice corrispondenza. Così il semplice mix tra la semplicità delle sue cartoline e l’amore sconfinato per l’avventura è diventato uno strumento di vita. Con l’incoraggiamento dell’affascinante compagna, Liza Lopes, le sue innumerevoli corrispondenze sono state raccolte e hanno dato vita ad una efficace e straordinaria testimonianza di vita. Ogni volta che viaggiava per il mondo Mr. Dodd mandava a casa, ad amici e parenti, numerose cartoline. «Questo è ciò che apprezzo di queste cartoline» ci racconta la moglie Liza «questi pezzi di carta parlano di lui come uomo e amante, ma soprattutto sono un elogio al viaggio». La moglie prevede l’intera pubblicazione di tutta quanta la corrispondenza tramite il suo stampatore personale. La pubblicazione sarà una via di mezzo tra un elogio alla bellezza del mondo e una raccolta d’arte. Troviamo dal luogo comune, all’eccentrico, passando per il bizzarro e il nostalgico, senza dimenticare l’effetto sorpresa. Mr. Dodd scrisse queste cartoline senza prevedere la fascinazione e la potenza comunicativa intrinseca in uno strumento così semplice. Aneddoti di incontri casuali nei parchi, cene condite da risate e vini, chilometri macinati con ogni possibile mezzo, traversate e corse folli sulle spiagge. Tutto questo è impresso nei ringraziamenti postali che Gerard Dodd usa per poter comunicare per il mondo. Ecco come uno strumento classico come una cartolina può divenire un mezzo artistico per raccontare di viaggi e passione.
Alzi la mano
chi non ha mai
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spedito
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Pininfarina Fuori Serie
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obria, classica ma anche hi-tech. La nuovissima bici firmata Pininfarina è una Fuoriserie di nome e di fatto, una serie limitatissima a 30 esemplari che stupisce senza ricorrere agli effetti speciali ma puntando su sostanza e design. Realizzata insieme ai ciclomilanesi di 43 Milano, ha uno stile retro che mira a richiamare da vicino lo stile di auto del primo dopoguerra, di quegli anni 30 sobri eleganti e scellerati. Proprio da qui nasce un telaio in acciaio cromo con saldature a microfusione eseguite a mano, il rivestimento in radica di noce che ricorda il cruscotto delle auto di lusso, il manubrio e la sella in pelle
intrecciata firmati da The Bridge: una chicca che ci riporta indietro di quasi ottant’anni a quella Lancia Astura Bocca del 1936 disegno e prodotto di Pininfarina. Se ci fermassimo all’estetica però questa sarebbe solo una bella bici non una Fuoriserie e non di certo hi-tech. Il richiamo alla tecnologia è chiaro nell’impianto di illuminazione a led basato su lampade ad alte prestazioni, nel Connect the plug che ricarica lo smartphone con la dinamo ma soprattutto nel sistema propulsivo Bike+ (Realizzato da ZeHus uno spin off del Politecnico di Milano) è un mini motore elettrico che viene installato intenamente al mozzo posteriore e non ha bisogno di ricarica, è in grado infatti 58
PININFARINA
di sfruttare tutta l’inerzia che si produce nella pedalata o in discesa e di restituirla quando ne abbiamo bisogno. A contorno di ciò troviamo altri elementi golosi come l’impianto frenante Campagnolo Veloce Xf-28c, gli pneumatici Panaracer Ribmo con rinforzi in Kevlar anti foratura e i cerchi H+Son in una nuova lega di alluminio. Ovviamente tanta bellezza e tecnologia si paga, infatti per avere uno di questi trenta esemplari si devono sborsare ben novemila euro, praticamente come una moto, ma chi non vuole il motore elettrico può risparmiare tremila euro. Praticamente come uno scooter.
Il richiamo
alla tecnologia è chiaro
nell’impianto
di illuminazione a led
(IC)
per approfondire: www.pininfarina.com
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WHY MAGAZINE
3 Esperienze
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qualunque cosa sogni di intraprendere cominciala! l’audacia ha del genio, del potere e della magia
”
Ora conosci i nostri luoghi e possiedi i nostri strumenti. Nel caso avessi ancora dubbi riguardo all’utilizzo, di seguito ti presentiamo alcuni esempi di persone che nella vita ne hanno fatto l’uso migliore, tornando vincenti. 61
WHY MAGAZINE
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GETTING OVER
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tay or leave? Frank Sinatra e la sua canzone «New York, New York» hanno moltissimo a cui posso rispondere, se me lo chiedete. Sembrerebbe come se egli avesse inserito nell’inconscio di un’intera nazione l’idea che vivere nella grande mela sia indispensabile per il proprio benessere e per mettere a frutto le proprie potenzialità. Così l’America degli anni ’60 era stata incantata da questo ideale. «If you can’t make it there, you won’t make it anywhere», così direbbe Sinatra. Questo modo di pensare, “esserci” e “far parte” di qualcosa di più grande, impone che non ci si possa muovere dalla città, oppure vorrebbe dire abbandonare quanto di divertente e civilizzata è possibile svolgere nelle 2,75 ore libere settimanali. «Un vero newyorkese pensa che New York sia l’unica città al mondo dove si può vivere», sosteneva Milton Glaser, lo storico graphic designer che contribuì a costruire l’immagine della città, fondando il New York Magazine nel ‘68 e inventandosi nove anni più tardi il logo “I Love New York”. Eppure nonostante quella promessa di amore eterno oggi la situazione non sembra così limpida. L’elevatissimo costo di beni e servizi sta mettendo a dura prova l’attaccamento dei newyorkesi alla loro città, provocando la fuga della classe media e di artisti, musicisti e creativi che per decenni hanno rappresentato l’essenza della metropoli. «New York non era solo una città. Era un’idea infinitamente romantica, il misterioso legame che teneva insieme tutto: amore, denaro e potere, il sogno stesso luminoso e deperibile», scriveva Joan Didion in un meraviglioso saggio intitolato “Addio città incantata”. Era il 1967 e appena dopo la metà del 900 la scrittrice californiana provava a spiegare perché aveva, già all’epoca, deciso di lasciare New York a 29 anni.
Getting over La grande fuga da NY
Partire o restare? Oggi
la situazione sembra
essersi ribaltata 63
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ANDREA, 28 « A New York puoi fare tutto ciò che vuoi ma il mio senso di libertà andava oltre i confini di una singola città » 64
GETTING OVER
MAX, 31 ÂŤ Quando ho deciso che era arrivato il momento di partire? Era una mattina come altre, ma guardando la mia compagna ho capito che la nostra doveva essere una vita on the road Âť 65
NOME ARTICOLO
CAROLINE, 24 « NewYork è la mia casa, ma serve avere il coraggio di osservare la propria casa e capire se il tetto che abbiamo sopra la testa rischia di crollarci addosso » 66
GETTING OVER
«Parte di ciò che voglio raccontarvi riguarda cosa significa essere giovani a New York, come sei mesi possano trasformarsi in otto anni con l’ingannevole facilità di una dissolvenza in un film», spiegava, «le fontane del Seagram Building che sfumano in fiocchi di neve, io che entro da una porta girevole a vent’anni e ne esco parecchio più vecchia, e su una strada diversa. Ma soprattutto voglio spiegare sia a voi che a me stessa, forse, strada facendo, perché non vivo più a New York». Già allora Joan Didion riteneva che New York fosse una città adatta solo ai molto ricchi o ai molto poveri, ma soprattutto «una città per giovanissimi». «Certo, non tutti se ne stanno andando, questa resta la città più popolosa d’America – ha continuato – ma i creativi, ormai, non possono più permettersi di vivere in una metropoli dove gli affitti si impennano mentre case editrici e librerie chiudono». Ma la sfumante eccitazione non sembra essere propria solo degli artisti. Partire o restare? Oggi la situazione sembra essersi ribaltata. Trovare la forza di staccarsi da una città come la grande mela sembra essere il passo decisivo. Camminando per strada le motivazioni che si possono raccogliere sono molteplici. Dagli affitti astronomici che impediscono di godersi le ragioni per cui un tempo ci si è stabiliti lì, alla sovrabbondanza di popolazione, qualsiasi ragione sembra buona per andarsene: clima migliore, persone più socievoli. New York non è più quella di una volta. Eppure partire non è affatto semplice. Scegliere di staccarsi dal seno di NY richiede un’audacia che, nella frenesia di questa città non è facile da trovare. Rompere gli schemi, partire per incominciare una nuova vita. Allargare i propri orizzonti in una prospettiva che va al di là della grande mela. Partire per arrivare. (DD&GB)
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AMARO MONTENEGRO
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OGNI MINUTO CHE PASSA È UN’OCCASIONE PER RIVOLUZIONARE TUTTO COMPLETAMENTE
Dal 1885 ad oggi. 100 anni di storia che hanno visto il successo di Amaro Montenegro crescere costantemente dietro ad un nome che rende omaggio alla casa regnante dell'epoca. La meravigliosa combinazione delle sue sostanze e l'accurato processo di fabbricazione fanno di questo amaro italiano un prodotto di successo e garanzia. www.montenegro.it
LA STORIA STANISLAO COBIANCHI Dal 1885 ad oggi. 100 anni di storia che hanno visto il successo di AMARO MONTENEGRO crescere costantemente dietro ad un nome che rende omaggio alla casa regnante dell'epoca. La meravigliosa combinazione delle sue sostanze e l'accurato processo di fabbricazione fanno di questo amaro italiano un prodotto di successo e garanzia a livello europeo. Il colore è ambrato, trasparente e una gradazione alcolica di 23°. In bocca ha un gusto dolce e vellutato, non troppo aggressivo, per questo piace molto anche alle donne. Solitamente viene consumato dopo i pasti come buon digestivo, ma la scelta è ampia: puro, nei moderni cocktails, con selzt e buccia di limone oppure ben caldo. Un nome che evoca un aroma ed una consistenza ben precisa. Ma com’è nato quello che il famoso poeta D'Annunzio definì “liquore delle virtudi” ? Il creatore dell’AMARO MONTENEGRO fu Stanislao Cobianchi, un nobil’uomo bolognese predestinato dalla sua famiglia alla carriera ecclesiastica. Per sottrarsi al suo destino egli fuggì da Bologna iniziando a girare per il mondo. Durante il suo soggiorno nel principato del Montenegro venne colpito dalle strepitose proprietà digestive di una bevanda detta Karik. Ritornato in Italia si impiegò in una liquoreria piemontese dove, imparato il mestiere, riuscì a riprodurre la ricetta della bevanda montenegrina, con una selezione di circa quaranta tipi di erbe diverse. Tornato a Bologna aprì prima una piccola bottega di liquoreria ed in seguito una distilleria per produrre l'AMARO MONTENEGRO, la cui ricetta rimane tutt’oggi immutata e segreta.
Limpido, dai caldi riflessi ambrati che conquistano al primo sguardo. «Lo riconosci subito», recitava uno dei primi spot
AMARO MONTENEGRO
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Amaro Montenegro nasce per merito delle lunghe appassionate sperimentazioni di un uomo che non si è accontentato, un uomo che ha voluto costruire il suo destino in nome di passione ed avventura. E tu? Che amaro scegli questa sera?
Un mezzo di Montenegro, un mezzo di Vodka ed una fetta di arancia
AMARO MONTENEGRO
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Amaro Montenegro, sapore vero.
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ood’d è un piccolo brand o forse per meglio dire uno stile di vita per chi fa dell’accessorio in legno qualcosa di importante. Fondato nel Gennaio 2012 dalla creatività e dalla produzione artigianale di due fratelli, Andrea e Stefano Schieri. «Sono Andrea Schieri e mi occupo di Design, distribuzione e vendita» così si raccontano i due fratelli, “Io invece sono Stefano Schieri e lavoro nella comunicazione Web e Social Media; assieme abbiamo fondato Wood’d. Ognuno tenta di trovare la propria strada, noi rifiutavamo l’idea di entrare a far parte dell’azienda di famiglia». Oggi dopo anni di esperienze diverse, sono ritornti dove tutto è cominciato. «Il legno è un materiale che io e mio fratello conosciamo: il fatto di essere cresciuti in una famiglia che lo lavora da 40 anni ci ha permesso di conoscerne bene i metodi di lavorazione e conoscerne pregi e difetti.» Questi due giovani fratelli hanno voluto dare vita a qualcosa di reale e concreto partendo dall’azienda della loro famiglia. «Abbiamo deciso di realizzare un'ampia collezione di oggettistica di design in legno e l’abbiamo presentata al MyChef di Milano: il riscontro ottenuto da buyers e stampa è stato ottimo e abbiamo deciso di proseguire questa nostra avventura». Il prodotto di punta di Wood’d sono le coverskin per Iphone: un tracciato in legno e biadesivo, applicate sul retro del dispositivo; questo connubio crea sensazione tattili tipiche e unica del legno. «Con Wood’d cerchiamo di combinare diversi metodologie di lavorazione passando da quelli più classici a quelli più innovativi. Il lasercut conferisce un tocco più contemporaneo, mentre la fase che precede la decorazione è fatta con metodi classici, come la carteggiatura». Wood’d mira con forza al mantenimento di una produzione interna, per riuscire ad avere un maggiore controllo su tutti i passaggi della produzione e mantenere un’immagine che sia coerente con i principi ricchi di passione (DD) del vero artigianato.
Wood’d Viaggio nella materia
Lavoriamo nello spazio in cui
nostro nonno ha prodotto
per 50 anni
stuzzicadenti 74
WOOD’D
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Metti una bici in salita Con Riccardo Barlaam, Albano Marcarini
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utte le salite del mondo di Riccardo Barlaam e Alti passi, grandi salite di Albano Marcarini partono da due presupposti diversi per parlare dello stesso argomento: la passione dell’andare in bicicletta in salita, dell’affrontare la montagna da vicino, dello spingersi oltre i propri confini, lottando contro se stessi. Il giornalista de Il Sole 24 Ore Riccardo Barlaam racconta le imprese e la fatica, la felicità e la volontà di intraprendere gare ai limiti. Al tempo frenetico di Internet, Barlaam, per dovere professionale, è sempre connesso col mondo. Ma anche se passa la maggior parte del suo tempo in redazione a seguire le notizie in tempo reale, è sempre riuscito nell’arco della giornata a ricavarsi qualche ora per lo sport. Sport come terapia, fisica e interiore. Un modo per ascoltarsi e mettere a posto i pezzi. Dopo la corsa e il nuoto, da alcuni anni ha riscoperto il piacere buono della fatica in sella a una bicicletta: pedalate su pedalate, i copertoni consumati dai troppi chilometri e il male alle gambe come compagno di viaggio, nel freddo che gela o nel caldo che spacca la testa. Tutte le salite del mondo è il racconto di un progetto che ha impegnato l’autore in nove sfide estreme, tra cui le tre granfondo di ciclismo più dure in assoluto, la Marmotte, la Charly Gaul Trento-Monte Bondone e la Oetztaler Radmarathon. Con tante salite in mezzo: Stelvio, Mortirolo, Mont, Ventoux, Monte Grappa, Cuvignone, Ghisallo, Mottarone, Pordoi... Le salite da conquistare su strada montando una bici, ma anche le salite che stanno dentro di noi, da affrontare e cercare di superare ogni giorno. Dall’altro lato abbiamo l’urbanista Albano Marcarini che narra e illustra con delle incredibili foto le più belle sfide ciclistiche sulle salite nelle Alpi di Lombardia. 76
METTI UNA BICI IN SALITA
Un libro di imprese audaci e sfide. 26 passi, 26 salite, 26 capitoli. Oltre 300 immagini, tra spettacolari foto a colori e d’archivio, disegni, carte storiche e una dettagliata cartografia, corredata da apposite tabelle altimetriche. Questo è un libro che invita 26 volte il lettore a sfidare se stesso sulle più belle e celebrate salite dell’arco alpino e prealpino, fra Lombardia, Canton Ticino e Grigioni italiani; una volta affrontate, sono le salite delle quali si parla con orgoglio agli amici infliggendo loro piccole invidie. Ma non è un libro di dati e di tecnica. Certo, come pretende uno scalatore ci sono tabelle, altimetrie e molte cartine dettagliatissime, chilometro per chilometro, ma c’è soprattutto il desiderio di dare ciò che altri libri di questo genere trascurano. Storie, ad esempio, perché ogni valico ne ha almeno una da raccontare; e poi immagini di qualità per documentare paesaggi e strade che l’avvolgono a spirale nelle nebbie o nel sole splendente delle alte quote. C’è l’invito ad alzare ogni tanto gli occhi dall’asfalto e a guardarsi attorno perché il bello di una salita non si misura solo in watt di potenza consumata nelle gambe ma anche in delizia di uno spirito audace ed incline all’avventura. In questo senso l’audacia è una forma forse meno seria di coraggio, forse più temeraria - ma perciò più brillante. L’audacia trasmette la sensazione dei muscoli nudi tesi (un po’ narcisi) in qualche salto o scalata pericolosa, di qualcuno non inconsapevole del rischio ma che lo accetta con manica larga, osando compiaciuto. Avere uno spirito audace porta in cima alla vetta dell’ardua salita della vita. D’altronde, come direbbe Helen Keller, la vita è una avventura da vivere audacemente, oppure è niente.
La fatica
e la volontà
di intraprendere gare ai limiti
Albano Marcarini
Riccardo Barlam
(GB)
per approfondire: www.bookcitymilano.it
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BSA Brand Magazine LABORATORIO DI METAPROGETTO - c1 Proff. Ciuccarelli Paolo, Piccolini Fabrizio a.a. 2014-2015 Cdl in Design Della Comunicazione Scuola Del Design - Politecnico Di Milano GRUPPO BR&co. COMPONENTI Bardelli Giulia - Caprini Aldo - Cervi Eleonora Cherubini Ilaria - Cui Yi - Disimino Davide MAGAZINE DESIGN BR&co. FONT UTILIZZATI Akzidenz-Grotesk Extended Adobe Caslon Pro Acta Poster
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