Bergamo2035

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Università degli Studi di Bergamo

i.150 Italcementi

Fondazione Italcementi Cav. Lav. Carlo Pesenti

in collaborazione con

Harvard University Graduate School of Design

REAL|Responsive Environments & Artifacts Lab

ISBN 978-88-89555-36-1

Bergamo 2.035 A New Urban Concept

Bergamo 2.035 A New Urban Concept

è un progetto di:

–designed by

A New Urban Concept

A New Urban Concept

Bergamo 2.035 mira a espandere il concetto di Smart City per definire un modello in cui tecnologie e soluzioni innovative si sviluppino in parallelo con nuovi modelli sociali inclusivi, dove i cittadini siano agenti attivi di cambiamento.

BG 2.035

BG 2.035

Tra le lezioni cruciali degli ultimi anni di crisi c'è l’inconsistenza di scelte di breve periodo e con orizzonti geografici limitati. Occorre elaborare una visione che abbracci scenari complessi e di ampio respiro temporale, recuperando la centralità delle nuove generazioni come elemento chiave per la crescita della società civile e imprenditoriale.


Bergamo 2.035 A New Urban Concept


Un progetto di:

Bergamo 2.035

A New Urban Concept

Bergamo 2.035 In collaborazione con:

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Bergamo 2.035 La città verso il futuro prossimo

La lezione forse più importante degli ultimi anni di crisi è l’inconsistenza di scelte di breve periodo e con orizzonti geografici limitati, e quindi la necessità di elaborare una visione capace di guardare a uno scenario complesso e di lungo periodo, recuperando la centralità delle nuove generazioni, non solo nella fase di formazione, ma come elementi imprescindibili per la crescita della società civile e imprenditoriale. In occasione del 150° anniversario di Italcementi, la comune volontà di proporre alla città una visione ambiziosa, capace di essere di stimolo per le grandi potenzialità di un territorio unico, è stata all’origine di «Bergamo 2.035»: un progetto interdisciplinare che vede l’Università degli Studi di Bergamo protagonista, con la collaborazione di Harvard University. Il lavoro si pone l’obiettivo di elaborare un articolato progetto basato sull’analisi dei trend più incisivi che in un prossimo futuro coinvolgeranno le città, i cittadini e i loro rispettivi territori e di promuoverne lo sviluppo concreto nel «caso-Bergamo». La Fondazione Italcementi — sempre attenta a sostenere iniziative legate a un «fare impresa» volto a creare valore, dove qualità e innovazione sappiano riaffermare la competitività del Paese — si pone dunque ancora una volta come promotore di un progetto rivolto agli stakeholder della città, anche con l’ambizione di proporre Bergamo come caso di studio internazionale per sviluppare strategie, modelli e soluzioni con l’obiettivo di realizzare un «prototipo di realtà intelligente» che possa diventare di riferimento per altri contesti urbani. 5


Carlo Pesenti Consigliere Delegato Italcementi

Bergamo 2.035

Introduzione

«Bergamo 2.035 – La città verso il futuro prossimo» mira dunque a espandere il concetto attuale di smart cities, definendo un contesto nel quale le tecnologie e le soluzioni innovative si sviluppino in parallelo con nuovi modelli sociali d’inclusività, dove i cittadini — «smarter citizens» — diventano agenti attivi di cambiamento per il miglioramento dell’ambiente urbano. L’unicità del progetto di ricerca — con il coinvolgimento della Harvard University e degli attori del territorio che saranno i protagonisti dell’evoluzione della città nei prossimi decenni — è un segno della capacità dell’Università degli Studi di Bergamo di proporsi sia come elemento di formazione e di collegamento con il territorio e l’impresa, sia come fattore di valorizzazione di una prospettiva internazionale.

Stefano Paleari Rettore Università degli Studi di Bergamo

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Indice introduzione _p. 11

01 Bergamo 2.035 La visione e il percorso _p. 14

02 Le tendenze evolutive dei sistemi urbani Creatività, responsabilità, accessibilità, inclusività _p. 26

03 Bergamo Creativa La conoscenza come motore di innovazione per l’economia e la società _p. 44

04 Bergamo Salute Benessere, cura e stili di vita _p. 72

05 Bergamo Mobile La gestione integrata della mobilità urbana sostenibile _p. 106

07 Bergamo Consum-attore Valorizzare e promuovere un sistema locale del cibo _p. 172

06 Bergamo Logistica La mobilità urbana delle merci _p. 136

09 Bergamo Tecnologica Il ritorno della Fabbrica Urbana _p. 236

11 Governance e partecipazione attiva I meccanismi di un'innovazione condivisa _p. 280

08 Bergamo Responsabile Il ruolo sociale dell’impresa nella comunità locale _p. 202

10 Dalla concezione alla progettazione Il Bergamo 2.035 Innovation Lab _p. 252

Bibliografia _p. 294 Autori _p. 306


Introduzione Mai come oggi il futuro è aperto. Date le incertezze che connotano la sfera tecnologica, politica, economica e demografica, immaginare scenari futuri apparirebbe pertanto un esercizio complicato e, al limite, velleitario. Nondimeno si può cercare di creare una visione del futuro possibile attraverso un’analisi più attenta del presente, e partendo dai vincoli e dalle opportunità che gli sviluppi correnti presentano. Bergamo 2.035 rappresenta appunto un caso specifico di applicazione di questa logica a un territorio circoscritto ove si tiene conto delle caratteristiche peculiari assunte dalla città, delle sue dimensioni e interrelazioni con le aree circostanti, delle sue vocazioni produttive e culturali; in breve di tutti quegli aspetti che fanno di ogni singolo territorio un «unicum» irripetibile.

Bergamo 2.035

Il programma di ricerca qui sviluppato ha come obiettivo ultimo l’innalzamento della qualità della vita di una comunità urbana. Può sembrare invero un obiettivo anacronistico in una fase di economia stagnante e di prospettive generali di sviluppo di medio-lungo termine assai contenute. In realtà la contraddizione risulta solo parziale quando si consideri che la nozione di benessere ingloba elementi che hanno a che fare con aspetti di equilibrio sociale e di sostenibilità ambientale, con temi di ordine etico e persino estetico. Tutti elementi che risultano favorevolmente influenzati da un contesto di sostenuta crescita del reddito ma che in una certa misura ne possono anche prescindere o, addirittura, in situazioni di crisi evocano il ricorso a valori ancor più imprescindibili. Pur nelle incertezze delle evoluzioni globali, nei diversi capitoli della ricerca sono stati esaminati quegli aspetti tecnologici, ambientali, sociali ed economici che, partendo dall’oggi e circoscrivendo il campo al territorio orobico, sono stati ritenuti presentare un più alto «contenuto di futuro». Non un astratto esercizio di futurologia insomma, ma una realistica considerazione di tendenze già osservabili che permetta di fare leva sulle ricchezze del territorio più promettenti e disponibili e, al contempo, minimizzare i rischi di evoluzioni indesiderate. Negli eterogenei filoni di indagine approfonditi nella ricerca vi è un tratto comune che viene immediatamente in evidenza e che mette in10

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La sfida raccolta in questo progetto è stata inoltre quella di non intravedere nella leva tecnologica l’elemento decisivo per la soluzione dei problemi di una comunità. Viceversa la tecnologia è stata considerata, al pari di altri fattori di natura più soft, solo come uno degli elementi che opportunamente integrati permettono di comprendere le reali esigenze dei cittadini, di costruire insieme a loro un percorso comune di crescita e di apprendimento, di co-progettare soluzioni che, adeguatamente abilitate dalle tecnologie, risultino pervasivamente fruibili dalle diverse fasce sociali e generazionali e non rimangano appannaggio di gruppi ristretti. Questi concetti hanno del resto costituito il punto di partenza e informato la visione complessiva dell’intero progetto. Per dirlo con uno slogan, si è pensato a «una città la cui comunità è in grado di apprendere, adattarsi e innovare»: con questo approccio i cittadini non sono considerati alla stre12

Bergamo 2.035

gua di meri fruitori passivi di soluzioni concepite e sviluppate top-down, ma come parte attiva, consapevole, motore di innovazione al pari dei soggetti tradizionalmente preposti a questo ruolo. In sintesi, la città del futuro abilita i cittadini a essere protagonisti dei processi di cambiamento desiderati, favorendo la loro capacità di esprimere bisogni, implementare azioni di cambiamento ed essere attori diretti dell’innovazione. Come si può dedurre dalla sua lettura, l’ambizione di questo volume è quella di delineare una piattaforma concettuale e metodologica sulla quale costruire i pilastri della Bergamo del futuro con il concorso dei numerosi attori del territorio che hanno contribuito alla sua creazione. È, insomma, esattamente il contrario di uno studio volto a immaginare il futuro di una città e a delinearne esigenze e priorità, lasciando poi ad altri l’incombenza di tradurli in progetti. In tal senso, come si discute più a fondo nella parte finale del libro, è apparso opportuno identificare adeguati meccanismi di governance, tali da rendere sostenibile il processo evitando in particolare la sua frammentazione in tante proposte progettuali tra loro incoerenti o semplicemente ridondanti, a detrimento di una visione sistemica. Da ultimo si può rimarcare che le ricerche condotte nell’ambito del progetto non possono e non vogliono costituire un menù di ricette e di soluzioni «chiavi in mano» facilmente applicabili e trasferibili ad altri contesti. Tuttavia, per quanto largamente «city-specific», le indicazioni di metodo qui elaborate potrebbero anche assumere valenza più generale e rappresentare quantomeno un utile piano di confronto per analoghe esperienze sviluppate da altri territori. Non ci sfugge infine che le proposte e la discussione generatasi nei tavoli di lavoro attivati in seno al progetto costituiscono solo il primo passo di un lungo percorso e ci auguriamo naturalmente che a partire da qui si metta in moto un processo virtuoso capace di convogliare l’interesse e la partecipazione dell'intera comunità. Avvertiamo l’esistenza di una diffusa domanda di cambiamento nel territorio e constatiamo d’altro canto come esistano al suo interno le risorse per soddisfare tale domanda. Ora si può azzardare che vi sia anche un metodo per affrontare le sfide del futuro con accresciute possibilità di successo.

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Introduzione

sieme tematiche, processi, metodologie apparentemente slegate. Questo tratto comune è costituito dalla necessità di gestire la complessità di un sistema, quale è un ambiente urbano, che trova la sua ragion d’essere nelle diverse parti — sociali, economiche, culturali — che lo costituiscono. Una complessità che può tradursi in valore e forza propulsiva collettiva solo se le diverse prospettive, esperienze e azioni non rimangono espressione di singole componenti tra loro indipendenti, ma si compenetrano e vengono finalizzate all’interno di un disegno comune. È altresì opportuno sottolineare che gli ambiti tematici affrontati nel corso della ricerca non intendono dare risposta a tutte le problematiche che attualmente affliggono o, in prospettiva, potranno caratterizzare la Bergamo dei prossimi anni. D’altro canto questo volume non va inteso come un manuale per la «buona amministrazione» di una città, da sfogliare e in cui selezionare la voce di interesse trovando le adeguate risposte e soluzioni. Non va nemmeno inteso come una sorta di decalogo di cosa il territorio debba fare. Piuttosto, esso testimonia di un metodo di lavoro che ha caratterizzato l’intero progetto. In esso, espressioni come partecipazione, coinvolgimento, condivisione delle proposte si sono materialmente concretizzate nei diversi tavoli di lavoro che hanno animato la discussione sia all’interno della componente universitaria di ricerca, sia, soprattutto, attraverso il supporto di una vasta platea di attori del territorio (gli stakeholder) portatori dei diversi interessi e delle diverse sensibilità, propositività e progettualità.


01 Le motivazioni dello studio _p. 17

02 La visione di Bergamo 2.035 _p. 20

03 Le fasi del programma di ricerca _p. 22


La visione e il percorso

Bergamo 2.035 cap. 01

Gli ambienti urbani hanno sperimentato una profonda evoluzione negli ultimi decenni: da siti ad alta intensità industriale, cresciuti nel secondo dopoguerra spesso a dismisura in quanto poli di attrazione di manodopera per le comunità rurali, a luoghi di consumo, dove la creazione di valore si concentra principalmente sulla distribuzione di beni e servizi. I fenomeni di globalizzazione e l'avvento di Internet, che hanno caratterizzato il passaggio nel nuovo secolo, hanno ulteriormente enfatizzato la rottura spazio-temporale di qualsiasi barriera geografica, non soltanto permettendo uno scambio di merci, dati e informazioni in tempo pressoché reale, ma contribuendo anche a un radicale cambiamento della relazione tra individuo e territorio, secondo forme più liquide e meno stabili. La mobilità veloce, facilmente accessibile e low cost genera opportunità inimmaginabili fino a qualche anno fa, permettendoci di cogliere possibilità di crescita professionale, vivere esperienze culturali, mantenere «in remoto» ogni genere di relazione. Tuttavia, rimane sempre l'esigenza di mantenere, o ricreare nei nuovi contesti adottivi, un legame sociale con una comunità di persone nella quale potersi identificare e con la quale condividere valori, bisogni e progetti comuni. La scelta del «dove vivere» diventa quindi altrettanto importante rispetto alla scelta del «per chi lavorare» [1]. Se guardiamo alle nuove generazioni, quelle dei cosiddetti Millennials nati alla fine del secolo scorso, è evidente che, anche per effetto della recente e perdurante crisi economica, esse sono sempre più attratte da luoghi o territori diversi rispetto ai luoghi di nascita e appartenenza, in funzione delle opportunità che questi territori offrono. Si parla della Silicon Valley in California, del polo biotecnologico a Houston, dei quartieri bohémien di Porto Alegre, dei poli medicali di Boston o di Pittsburgh, per non parlare delle città universitarie, prime tra tutte le storiche Cambridge e Oxford. Accanto alla standardizzazione e all’omologazione culturale, frutto dei fenomeni di globalizzazione, sono presenti controtendenze che puntano a un’eterogeneità culturale [2]. Secondo Allen Scott, nella riconoscibilità delle specificità locali nei prodotti e servizi le città stanno riscopren-

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Bergamo 2.035

Bergamo 2.035

01 Le motivazioni dello studio


Date queste dinamiche evoluti- Il disegno della città futura ve, come disegnare la città del futuro? Storicamente, fin dalla prima delle visioni urbane — la Città Ideale nel Rinascimento, la componente tecnologica ha sempre svolto un ruolo fondamentale nella concezione e rappresentazione della città. Le innovazioni tecnologiche del tempo, reali o plausibili, sembrano essere proprio gli stimoli principali nella creazione di questi scenari urbani alternativi da parte di architetti, urbanisti o filosofi. Seguendo questo filone di pensiero, il concetto di Smart City emerge come un nuovo modello di «città del futuro» originato dalla forte spinta tecnologica del ventunesimo secolo: dispositivi digitali, big data e sistemi ICT (Information and Communications Technology). Il termine è ormai invalso nel linguaggio comune, anche se risale solo al 2005 quando alcune aziende del mondo ICT (in primis Cisco, IBM e Siemens) iniziarono a proporre soluzioni informatiche per integrare le attività gestionali di sistemi infrastrutturali e di servizi urbani, come i trasporti, la distribuzione elettrica e idrica, il facility management di edifici e impianti d'illuminazione urbana. Da allora il termine è stato esteso per indicare qualsiasi innovazione a base tecnologica, hardware o software, che possa avere un impatto su un ambiente urbano. È evidente che la suggestione tecnologica legata alla disponibilità di dispositivi a costo sempre più basso, unita all'esigenza da parte delle aziende commerciali di trovare nuovi mercati di riferimento per i propri 18

prodotti, abbia fatto maturare l'idea che con qualche app si possa gestire e ottimizzare ogni singolo istante della nostra quotidianità. Una visione di smart city di questo tipo è suscettibile di una serie di critiche, riassumibili nei seguenti punti: – le soluzioni di smart city sono prevalentemente a forte matrice tecnologica piuttosto che di innovazione sociale; – non ci sono soluzioni di smart city standard, disponibili «a scaffale»; – la smart city è pensata per uno spazio generico e non tiene conto dei valori culturali intrinseci di una città; – le soluzioni di smart city devono partire dalla city piuttosto che dalla smartness; – l’impatto positivo di soluzioni disponibili di smart city non è stato ancora adeguatamente dimostrato, anche a causa della mancanza di business model evoluti riproducibili e trasferibili; – la smart city tende a enfatizzare il divario digitale, in quanto spesso disconosce il differente livello culturale e di accesso alle tecnologie da parte di classi sociali e di generazioni diverse. Nonostante oggigiorno l'attenzione continui a incentrarsi sulla capacità della città di intercettare e soddisfare la domanda degli individui, si sta operando un riposizionamento della riflessione verso una maggior inclusione e un più diretto coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali e nella governance urbana, per renderli partecipi e coscienti di essere parte attiva di una comunità, fibre di uno stesso tessuto sociale che la tecnologia, paradossalmente, rischia invece di sfaldare. Non quindi smart cities ma, per mantenere una forma anglofona, smart communities. Questo approccio mira a connettere in maniera diretta l’individuo con informazioni sullo spazio urbano circostante, a interagire con i processi decisionali e di sviluppo, a stimolare la partecipazione nel segnalare condizioni urbane negative e nell’attivare meccanismi di reazione politica. Le nuove tecnologie digitali e i sistemi di connessione consentono l’instaurarsi di processi organizzativi che rendono possibili determinate azioni promosse dai cittadini, acquisendo a tutti gli effetti la capacità di confrontarsi con i meccanismi di governo urbano più tradizionali.

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Bergamo 2.035 cap. 01

do un ruolo sempre più rilevante nella competizione globale, sviluppando programmi innovativi [3]. Il grado di attrattività di un territorio si basa sulla capacità o meno di incentivare e valorizzare la creatività delle persone [1]. Il capitale umano è decisivo per il successo di un'istituzione o un luogo, e diventa fondamentale anche per il sistema economico favorendo l'attrazione e lo sviluppo d'imprese che intendano beneficiare delle esternalità positive derivanti dalla presenza di una comunità di persone ad alto potenziale. Come riportato nell'Agenda Europea 2020 di Lisbona, è necessario spostare i paradigmi urbani verso un nuovo capitolo della loro evoluzione storica, in cui l’economia sia basata sulla conoscenza: una conoscenza che dovrebbe emergere dal continuo sforzo d’inclusione sociale e di interazione collettiva di tutti gli attori portatori d’interesse (i cosiddetti stakeholder) che operano all’interno di un ambiente urbano, non quindi limitata alle singole eccellenze individuali.


02 La visione di Bergamo 2.035

La ricerca non mira a perseguire un pensiero visionario della città del futuro partendo da un foglio bianco, come è il caso delle pop-up town tipiche di alcune recenti esperienze di città sorte nella penisola araba o in Estremo Oriente, in ambienti desertici o su preesistenti zone agricole. Al contrario, l’obiettivo è capitalizzare al meglio non solo il patrimonio economico-industriale, ma anche quello culturale e sociale, che è dotazione storica di una città millenaria e che costituisce una risorsa da valorizzare per costruire il futuro. La retrospettiva storica non è tesa a cristallizzare l’organizzazione sociale ereditata dal secolo scorso: vuole ripensarla per arrivare a un modello di città concepito, oltre che per soddisfare le esigenze correnti dei propri cittadini, anche per rappresentare il contesto nel quale le nuove e future generazioni possano trovare la loro massima espressione. Proprio per evitare una deriva futuristica e per certi versi utopica, una base di partenza importante del progetto è rappresentata dalle esperienze, dai casi di successo e di insuccesso di altri progetti simili realizzati in ambito nazionale e internazionale, concentrando l'attenzione sui cittadini di oggi: persone pienamente consapevoli del proprio ruolo nella società, come parti attive e partecipative all'interno dei diversi sistemi sociali nei quali esse operano.

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Caratteristica distintiva di Bergamo 2.035 è l'adozione di un approccio multiprospettico e multidisciplinare che coinvolge una pluralità di soggetti i quali mettono a fattore comune la loro progettualità, la loro visione, le loro sensibilità e interessi. Una città è un sistema di sistemi che deriva dall'integrazione di prospettive complementari e dall’interazione di componenti istituzionali, socioeconomiche e tecnologiche. L’interazione di queste componenti permette di rompere quei «sili di conoscenza» che ostacolano la creazione di un capitale sociale comune. Per tale ragione, il programma fa leva su un forte coinvolgimento dei principali attori del territorio, portatori dei diversi interessi e interpreti delle principali barriere o opportunità che possono limitare o catalizzare l'adozione di pratiche e soluzioni che dovessero emergere. Il loro contributo si è dimostrato molto rilevante, in virtù della necessità di analizzare, valutare e applicare soluzioni in un contesto urbano specifico che non può trascurare o rinnegare gli attuali problemi e criticità, parte dei quali evidenziamo qui di seguito.

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Bergamo 2.035

Bergamo 2.035 cap. 01

Coerentemente con questa visione, il programma Bergamo 2.035 intende mettere al centro dello studio i cittadini del futuro, evitando il rischio di concentrarsi sull’idea di una cyber-city in cui la tecnologia rappresenti l'elemento pervasivo, e per certi versi invasivo, nella vita quotidiana di una comunità, condizionandone fortemente le abitudini, azioni e capacità decisionali. Bergamo 2.035 si concentra principalmente su un contesto urbano e territoriale che è tipico di una città di medie dimensioni, all’interno di un vasto territorio fortemente caratterizzato da un tessuto industriale e commerciale rilevante, ma che ha anche conservato un notevole potenziale di sviluppo dell’economia rurale.

Nella visione di Bergamo 2.035, I cittadini al centro i cittadini sono parte integrante di una classe creativa consapevole del proprio ruolo nella società, testimoni di un processo evolutivo continuo, capaci, riprendendo una nota espressione di Poincaré, di unire elementi esistenti con connessioni nuove e utili. Persone in grado di imparare continuamente, adattandosi ai nuovi contesti, cogliendo le sfide del futuro, traducendole in opportunità di innovazione. Prendendo come riferimento alcuni studi recenti ([4] [5] [6]), l'obiettivo è costruire «una città la cui comunità è in grado di apprendere, adattarsi e innovare»: un territorio con un'elevata capacità di apprendimento e di innovazione, fondata sulla creatività della popolazione, sulle istituzioni deputate alla produzione di conoscenza, sulle infrastrutture di comunicazione tradizionali e moderne, perseguendo una crescita economica sostenibile, attraverso una governance partecipativa e una responsabilizzazione attiva dei cittadini.


VANTAGGI E CRITICITÀ – Crescente invecchiamento della popolazione – Mancanza di una visione multiculturale – Basso livello medio di formazione – Mancanza di una visione e di una politica di sistema – Carenza di infrastrutture ICT e di mobilità

I principali punti di forza e debolezza del territorio bergamasco

03 Le fasi del programma di ricerca Bergamo 2.035 è un programma di ricerca che, coerentemente con la propria visione, ha una prospettiva temporale di lungo periodo. Il coinvolgimento di una comunità di persone, la necessità di tutelare e valorizzare le diverse esigenze, un modo diverso di proiettare il futuro della propria città, la capacità di operare una sintesi che non sia riduttiva o polarizzata su specifici interessi, e non da ultimo la traduzione in progetti di innovazione sociale, richiedono una piattaforma di ricerca basata su un'adeguata complementarietà di metodologie e su una pianificazione del programma di lavoro il cui sviluppo temporale non può certamente esaurirsi nel breve periodo. In questo primo biennio di attività, il programma si è articolato in tre fasi principali: 1. Una fase iniziale di Analisi (nel periodo gennaio-settembre 2013) nel corso della quale i ricercatori del team Bergamo 2.035, prove22

2. Una fase di Discussione (ottobre-dicembre 2013) si è esplicitata attraverso una serie di incontri con i principali stakeholder, profondi conoscitori del territorio e portatori dei diversi interessi e bisogni della comunità urbana. In particolare, non potendo coinvolgere i singoli cittadini, si è volutamente scelto di fare tesoro delle competenze, delle esperienze e della progettualità delle numerose associazioni non profit che operano sul territorio, reale mezzo trasmissivo della voice of the citizen. Nel corso di questi workshop sono state condivise le principali evidenze emerse nel corso della prima fase di Analisi, discutendone la contestualizzazione nella realtà urbana di Bergamo e del suo territorio. Sempre nel capitolo 2 è riportato l'esito di questa prima serie di incontri svolti con gli attori del territorio. 3. Una fase di Proposizione (gennaio–giugno 2014) ha caratterizzato l’ultimo semestre del programma del ricerca, nel corso del quale i singoli gruppi di lavoro, organizzati per aree tematiche, hanno elaborato alcune idee progettuali, sottoponendole al vaglio degli stessi stakeholder attraverso incontri mirati e la somministrazione di questionari, identificando anche, dove possibile, piani di azione che caratterizzeranno i progetti futuri da attivare a valle di questa prima fase del programma di ricerca. I capitoli dal 3 al 9 riportano le principali evidenze di questa fase in relazione alle specifiche aree tematiche.

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Bergamo 2.035

Bergamo 2.035 cap. 01

– Localizzato in Lombardia, uno dei quattro «motori» regionali europei – Rilevante patrimonio storico, culturale e naturale – Solida vocazione industriale e forte etica del lavoro – Basso tasso di disoccupazione – Alto tasso di imprenditorialità – Presenza dell’Università e di centri di ricerca – Elevata densità di associazioni non-profit – Presenza di un hub aeroportuale ad alto potenziale

nienti da ambiti disciplinari molto eterogenei, hanno condiviso la piattaforma di ricerca comune sulla quale lavorare e identificato le principali tendenze evolutive dei contesti urbani. Per evitare il rischio di rimanere ancorati alle problematiche contingenti della realtà bergamasca, per quanto rilevanti, lo sforzo principale durante questa prima fase è stato quello di operare un'analisi di strategic intelligence che potesse portare alla definizione di trend generali non specificatamente legati al contesto di Bergamo, ma basata su concettualizzazioni, ricerche, pratiche ed esperienze legate a realtà urbane simili: città medio-grandi europee con un contesto sociale, economico e culturale ben connotato. Le evidenze di questa fase sono riportate nel capitolo 2.


Le fasi principali del programma Bergamo 2.035

Che cosa faremo? – Istituzione di tavoli di lavoro tematici con gli stakeholder – Valutazione delle possibili priorità di intervento

Che cosa è possibile fare? – Creazione di una visione sistemica e interdisciplinare – Esplorazione dello stato dell'arte e delle buone pratiche – Identificazione di trend evolutivi

DISCUSSIONE

Come lo faremo? – Elaborazione e condivisione di linee guida e proposte progettuali – Attivazione di progetti pilota nel territorio

ANALISI

PROPOSIZIONE


01 L'avvio di un'analisi _p. 29

02 I trend evolutivi di una cittĂ di medie dimensioni _p. 30

03 I trend come motore per i progetti tematici _p. 41


Creatività, responsabilità, accessibilità, inclusività

Le tendenze evolutive dei sistemi urbani 28

Una visione rappresenta un ampio orizzonte che indirizza un cammino di ricerca e di azione di lungo periodo. Dati i suoi confini, che inizialmente hanno contorni sfumati, è evidente che diversi possono essere i percorsi di avvicinamento, e non sempre in coerenza tra di loro in mancanza di una reale condivisione dei valori, degli obiettivi e della strada da intraprendere. Per questo motivo, il primo semestre del programma è stato dedicato a un foresight study con sessioni di lavoro che hanno animato la discussione tra i ricercatori per trovare un consenso sulle tendenze più rilevanti che potranno influenzare positivamente gli stili di vita di una comunità di cittadini attivi nel contesto di un centro di medie dimensioni. Al fine di stimolare un pensiero creativo, ulteriormente enfatizzato dalla natura interdisciplinare del team di ricerca, abbiamo evitato di ragionare sin da subito sulle specificità locali del contesto bergamasco, che avrebbero irrimediabilmente portato a dibattere e a proporre soluzioni miopi nello spazio e nel tempo, non coerenti con le aspettative di questo progetto. Nel corso delle sessioni di lavoro sono state inizialmente proposte più di trenta idee, frutto delle sensibilità, competenze ed esperienze di ricerca dei singoli ricercatori del team. Successivamente si è operata una loro aggregazione in trend evolutivi attraverso una condivisione progressiva delle loro determinanti, dei bisogni correnti e futuri, dei fattori abilitanti e ostativi e, non ultime, delle pratiche e iniziative di ricerca che già si rilevano nel panorama nazionale e internazionale. Successivamente, nel secondo semestre del progetto, abbiamo aperto il confronto di idee con gli stakeholder, insieme ai quali abbiamo valutato la rispondenza reale di questi trend al contesto bergamasco. Gli stakeholder sono stati identificati mediante un’analisi estesa del territorio volta a coinvolgere tutti coloro che hanno avuto, hanno o avranno un ruolo nella progettazione e attuazione di interventi sul territorio. L’obiettivo è stato delineare con loro degli scenari evolutivi che rappresentassero una piattaforma comune, a partire dalla quale dar vita a progetti tematici capaci di dare concretezza e insieme coerenza ai percorsi di avvicinamento alla vision di progetto.

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Le tendenze evolutive dei sistemi urbani

Bergamo 2.035 cap. 02

01 L’avvio di un’analisi


02 I trend evolutivi di una città di medie dimensioni Abbiamo posto sotto la lente della ricerca quattro linee evolutive principali, portandole in discussione con rappresentanti del mondo associativo, economico, culturale e istituzionale della Bergamasca. Le esaminiamo singolarmente anche se, come già chiarito, originano da un percorso comune condiviso tra tutti i ricercatori.

Creatività

Accessibilità

– Coerenza nella progettazione e organizzazione urbana – Ambiente strutturato e sensibile – Integrazione dei gruppi etnici e culturali – Preservazione della coesione sociale – Gap di conoscenza per le giovani generazioni

– Stimolazione dei processi democratici – Comprensione del significato di spazi, territori e relazioni multiscalari – Una nuova accezione di «ecologia urbana» – Potenziamento del riconoscimento dei valori territoriali e ambientali

Responsabilità

Inclusività

– Maggiore consapevolezza da parte dei consumatori – Dimensione sociale ed economica della sostenibilità – Carenza di elementi infrastrutturali e strutturali

– Stili di vita scorretti, invecchiamento della popolazione e incremento della diffusione di malattie croniche – Una società multigenerazionale – Nuove forme di assistenzialismo – Pervasività e disponibilità di tecnologie a basso costo

I trend e le principali evidenze emerse nella discussione con gli stakeholder

Le città moderne sono carat- I) Creatività: vivremo in una terizzate da ampie zone di degrado società ad alta intensità di umano e urbano, conseguenze dei conoscenza cambiamenti drammatici nei rapporti sociali ed economici che la città non riesce sempre ad assorbire in modo fisiologico. Le relazioni possono essere fragili e dispersive: i contatti tendono a essere impersonali, superficiali e transitori. 30

Dalla discussione sono emerse le seguenti evidenze: – la qualità della vita come conseguenza di una progettazione e organizzazione urbana coerente, in grado di mettere a sistema la progettualità e le azioni delle diverse agenzie culturali e di formazione, incentivando e tutelando la mobilità sostenibile (p. es. attraverso percorsi ciclabili e pedonali), riconciliando l’ambiente urbano e la biodiversità (protezione di ecosistemi, giardini urbani, aree verdi di alta qualità ecc.) per salvaguardare l’ecosistema ambientale e promuovere uno stile di vita salutare del cittadino; – la città come ambiente strutturato e sensibile: nella città la conoscenza materiale — vale a dire quella resa tangibile nel tempo e nello spazio attraverso, ad esempio, artefatti, beni pubblici e paesaggi urbani che testimoniano l’accumulo di strati di 31

Le tendenze evolutive dei sistemi urbani

Bergamo 2.035 cap. 02

QUATTRO LINEE EVOLUTIVE PRINCIPALI

Il pensiero critico, la partecipazione, la capacità di immaginare scenari futuri, un accesso libero e condiviso alla conoscenza sono elementi essenziali del cambiamento sociale necessario per orientarsi verso un’idea più intelligente di città: un’idea di città nella quale una nuova società impara come utilizzare al meglio le risorse disponibili per soddisfare le sue esigenze e risolvere i suoi problemi. Le città si misureranno sempre di più sulla loro capacità di essere fonte di innovazione sociale e di attrarre capitale creativo. Ciò sarà possibile solo investendo in una economia basata sulla conoscenza e sui saperi multidisciplinari, mettendo a sistema i diversi attori culturali operanti in un contesto urbano (tra gli altri università, istruzione primaria e secondaria, associazioni culturali, musei). «La conoscenza e l’apprendimento sono strumenti necessari per operare un’innovazione sociale e tecnologica. Ma quale conoscenza è necessaria, e per quale modello di società?» Inoltre, «Coerentemente con la vision di Bergamo 2.035, quali sono le politiche più idonee che educhino il cittadino a un suo ruolo attivo, come soggetto che non solo apprende e si adatta ai fenomeni evolutivi in atto ma che si pone anche nel ruolo di promotore di creatività e innovazione?». Questi sono stati i due quesiti principali sollevati nel corso dei primi incontri con gli stakeholder del territorio, aventi l’obiettivo di identificare i possibili scenari che animeranno la vita della società bergamasca.


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Bergamo 2.035 cap. 02

competenze, non identificano gli specifici bisogni di formazione e training del personale né creano relazioni stabili con il sistema scolastico e universitario; – il divario di conoscenza per le giovani generazioni: contrariamente a quanto spesso si pensi, i giovani non sono tutti «nativi digitali». Per evitare l’emergere di una nuova forma di analfabetismo moderno, c’è bisogno di aprire i laboratori scolastici anche negli orari tardo-pomeridiani e serali e sfruttare la conoscenza e le competenze di coloro che invece vantano una piena padronanza delle tecnologie digitali. Un’altra fonte di gap culturale è legata al minore utilizzo delle opportunità culturali (musei, teatri, cinema) in accompagnamento al percorso formativo, dalle scuole primarie all’università. La quota maggiore di persone che frequentano i musei è infatti composta da anziani e stranieri. Le aree urbane sono ecosistemi (II) Responsabilità: una di innovazione e di creazione di capa- produzione e un consumo cità collettive delle comunità di cittadini. veramente sostenibili Gli individui sono entità indipendenti che mirano a soddisfare i propri bisogni ed esprimono i propri desideri attraverso i modelli di consumo e la domanda che rivolgono al sistema produttivo, orientando sempre più le loro scelte verso prodotti e imprese che si rendano interpreti di valori etici, ambientali e sociali. Oltre alle preferenze individuali, diverse forme di collaborazione stanno già emergendo nei processi di acquisto e consumo. Il successo di iniziative di condivisione come il bike sharing, il car sharing, o persino di spazi domestici testimoniano la crescente esigenza di condivisione di spazi e valori tra gli individui. Le città del futuro vedranno quindi sempre di più un ruolo attivo da parte dei consumatori non soltanto nell’utilizzo dei beni e servizi, ma anche nella loro produzione ed erogazione. Il neologismo «pro-sumatore» (dall’inglese prosumer) identifica un soggetto che interagisce con l’ecosistema nel quale opera non solo nel suo ruolo di consumatore che riceve e utilizza una soluzione offerta da un fornitore, ma come protagonista di nuove forme attive di partecipazione alla vita socioeconomica di una città, attraverso la coprogettazione, la coproduzione e lo scambio di beni e servizi, interpretando al tempo stesso il ruolo di consumatore e fornitore. Esempio tipico è la diffusione dei sistemi distribuiti di 33

Le tendenze evolutive dei sistemi urbani

conoscenza prodotti da generazioni successive — è insieme una memoria e un progetto. Una città della conoscenza è in pratica una città capace di mettere a sistema tutte le risorse materiali di conoscenza, presente e futura, all’interno di uno stesso quadro. Vi è la necessità di «finestre temporali» e luoghi in cui l’educazione informale possa esprimersi, dove le competenze e gli strumenti possano essere configurati e sviluppati attraverso esperienze appropriate; – l’integrazione di gruppi etnici e culturali: gli immigrati (specie se di seconda o terza generazione) sono una risorsa per la società, in quanto parlano più lingue, viaggiano di più, sono espressione del multiculturalismo, detengono conoscenze e preservano le tradizioni tipiche dei paesi in cui i loro parenti vivono, utilizzano le tecnologie della comunicazione sin da una tenera età. Non è quindi un caso che essi figurino in prima linea nella creazione di nuove attività imprenditoriali (come evidenziato dalle recenti statistiche fornite dalle Camere di Commercio) e risultino tra i principali visitatori dei musei locali; – la coesione sociale: dai «nuovi poveri» (l’ex classe media che negli ultimi anni sta soffrendo la crisi economica) ai detenuti, c’è una vasta platea di persone escluse dalla città della conoscenza, che vanno incluse in questo percorso per non accentuare ulteriormente il divario sociale. Le agenzie di formazione dovrebbero unire ulteriormente gli sforzi per gestire le problematiche connesse alla legalità, alla reintegrazione dei detenuti nella società, all’obiettivo di rendere la conoscenza accessibile alle persone emarginate; – conoscenza e aziende: le aziende sono per definizione protese verso il futuro; esse devono essere più che mai promotrici di un nuovo tipo di conoscenza, inclini alla riduzione dell’impatto ambientale e all’uso parsimonioso delle risorse, parti attive di un ciclo virtuoso di opportunità derivanti dall’adeguata valorizzazione dei beni prodotti dall’economia della conoscenza. Tuttavia, spesso non sono consapevoli del patrimonio di conoscenza ed esperienza che potrebbero esprimere, del loro potenziale come erogatrici — e non solo destinatarie — di attività di formazione. La conoscenza delle aziende, in particolare in quelle piccole e medie, è in genere tacita: esse non hanno coscienza dei benefici che potrebbero derivare da una codifica, valutazione e diffusione delle proprie


In questo contesto in continua evoluzione, in cui i cittadini consumatori manifestano esigenze sempre più pressanti, anche le aziende cercano nuove direzioni per generare valore. Inoltre, le comunità urbane hanno innalzato nel tempo le proprie aspettative riguardo all’importanza del ruolo sociale delle imprese e all’impatto delle loro strategie sul territorio circostante attraverso politiche di responsabilità sociale. Per responsabilità sociale si intendono non solo le responsabilità operative relative all'impatto sociale e ambientale diretto delle attività industriali e commerciali (vale a dire salute e sicurezza degli operatori, sicurezza dei prodotti e protezione ambientale), ma anche la «responsabilità di cittadinanza», relativa al ruolo preminente che un’azienda può esercitare su questioni sociali ampie e complesse, come il benessere della comunità, la giustizia sociale, la lotta all’emarginazione e alla povertà e la tutela dei diritti umani. La capacità delle aziende di dare una risposta a queste istanze espresse da parte di una comunità è importante per la legittimazione e accettazione sociale. Può generare anche benefici economici e competitivi, se le principali parti interessate — clienti e investitori — prendono decisioni di acquisto e di investimento sulla base di valutazioni riguardanti le politiche sociali delle imprese e la loro reale capacità di incorporarle all’interno dei processi strategici e di business. Una piena integrazione di tecniche avanzate di riciclaggio in flussi urbani materiali e l’uso integrato di sistemi cosiddetti cradle-to-cradle per la produzione e il consumo saranno un imperativo per la città sostenibile di domani. Questo implica anche innovazioni nel design e progettazione di prodotto, con la più alta percentuale possibile di materiali biodegradabili o soluzioni di prodotti riciclabili. Infine, un trend emergente interessante è la diffusione di iniziative imprenditoriali finalizzate alla creazione di valore sociale. Imprenditori sociali cercano di contribuire alla soluzione di un problema attraverso una iniziativa imprenditoriale il cui scopo principale è quello di massimizzare l’impat34

to sociale. Esempi di imprenditorialità sociale sono quelle organizzazioni che operano strutturando e valorizzando il lavoro di persone svantaggiate, come i disabili, detenuti o ex-detenuti, senzatetto, ex tossicodipendenti. Queste tendenze sono state condivise nel dibattito con gli stakeholder del territorio che ha portato ad alcune evidenze: – maggiore consapevolezza da parte dei consumatori: se da un lato vi è l’effettiva percezione di un incremento del numero di consumatori consapevoli e attenti alle questioni di sostenibilità, dall’altro lato assistiamo a un letterale crollo del consumo pro capite dovuto alla perdurante crisi economica; il risultato è una stazionarietà dei consumi complessivi di prodotti selezionati sulla base di criteri socio-ambientali; – dimensione sociale ed economica della sostenibilità: per quanto concerne il ruolo delle aziende nel promuovere comportamenti di sostenibilità sociale e ambientale, emerge una situazione eterogenea, caratterizzata da percezioni differenti riguardo alle responsabilità delle aziende e delle istanze degli stakeholder; alcuni dei partecipanti al dibattito percepiscono un trade-off tra obiettivi sociali ed economici, almeno nel breve periodo, mentre altri identificano una sinergia potenziale tra le due dimensioni legata alla sensibilità a questi temi da parte di alcuni consumatori; – carenza di elementi infrastrutturali e strutturali: permangono una serie di ostacoli che possono limitare questo quadro evolutivo; tra queste, la presenza di barriere culturali tra aziende, così come una generale difficoltà a «fare rete»; la necessità di un quadro legislativo più chiaro ed efficace; la carenza di meccanismi informativi e di certificazione in grado di alimentare ulteriormente il legame e la fiducia tra cittadino e produttore; il bisogno di incrementare la cultura della sostenibilità attraverso un’azione formativa ai vari livelli del percorso educativo, dalle scuole all’università.

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microgenerazione di energia, che permettono a una comunità di cittadini di mettere a fattor comune le singole risorse produttive installate per uso domestico. Questo comporterà anche il ritorno della produzione all’interno delle città, creando nuove forme di industrializzazione e di artigianato evoluto.


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I percorsi di mobilità soggiaciono a diversi profili ed esigenze che possiamo tradurre in quattro dimensioni tra loro complementari: la dimensione lavorativa o turistica, che porta a coprire anche lunghe distanze per giungere a un luogo di destinazione, per motivi di lavoro, commerciali o turistici; la dimensione informativa, educativa e di conoscenza, legata alle nuove pratiche di comunicazione e di ricerca, al consolidarsi di reti accademiche e scientifiche sovranazionali generatrici di una alta mobilità di studenti e ricercatori; la dimensione economica e finanziaria, che caratterizza sia i pattern di mobilità di una società terziaria globalizzata, sia i flussi logistici transnazionali, generati dalle aziende manifatturiere e dai loro canali distributivi, che trovano poi una loro dimensione locale legata alla gestione dell’ultimo miglio di fornitura al consumatore finale; la dimensione energetica, che si sostanzia attraverso le reti di gas e il trasporto di combustibili, la cui importanza sta costantemente crescendo, unitamente alla consapevolezza del depauperamento delle risorse energetiche non rinnovabili.

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Dalla discussione con gli attori del territorio sono emerse alcune evidenze ed elementi di riflessione per il proseguimento della ricerca: – la mobilità è sintomatica dell’organizzazione di una città e della relazione tra la città e il suo territorio; nella rete dei trasporti terrestri, Bergamo è nodo di una linea ferroviaria secondaria e «in appoggio» nelle connessioni ai nodi di Brescia e Milano; il collegamento autostradale la vede sempre più integrata in una regione urbana (con un’autostrada A4 sempre più «urbana», anche a fronte delle dinamiche attivate dal raccordo Brebemi). Di converso, la presenza di uno scalo aereo di primo piano rappresenta un punto di forza straordinario per le relazioni nazionali e continentali. Il ruolo dello scalo aereo, così come le potenzialità di qualificazione delle connessioni ferroviarie delle città pedemontane padane, offre uno scenario auspicabile di non subordinazione, anche nella rete dei trasporti, alla centralità della città metropolitana di Milano. Si profila un’interazione paritaria tra realtà regionali nei loro diversi ranghi e con le loro distinte specificità di ruolo; – stante l’organizzazione territoriale multipolare (che in parte ha carattere di «città diffusa»), i percorsi di mobilità tendono a diventare sempre più frammentati e mutevoli, quindi meno prevedibili e meno convenientemente servibili con linee di trasporto collettive; il ruolo delle tecnologie della comunicazione diventa sempre più rilevante per tracciare e comprendere gli stili di mobilità delle persone e per corrispondere in modo dinamico con l’offerta di trasporto; – le automobili rappresentano ancora per molti nel contesto nazionale e lombardo uno status symbol: infrastrutture e sistemi di gestione della mobilità urbana sono ancora troppo auto-centrici; la città dovrebbe essere invece ridisegnata con maggiore libertà, assumendo nelle unità di progettazione come requisito una pressione minore delle automobili (in movimento e soprattutto in sosta); lo sharing dei mezzi individuali (automobili e in secondo luogo biciclette) registra un grande successo in questa fase e presenta potenzialità interessanti anche nel contesto bergamasco. La tendenza riguarda il passaggio da un modello culturale basato sulla proprietà dell’automobile a un modello che ne privilegia la disponibilità;

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La ricerca sui sistemi di mobilità (III) Accessibilità: una futuri muove dalle tendenze globali che mobilità a misura di cittadino attraversano questa fase della storia: lo sviluppo socioeconomico porta a un modello dell’abitare sempre più urbano, producendo nuove città nei paesi emergenti, e a un incremento delle aree urbane, sempre più complesse ed estese nei territori più urbanisticamente densi e maturi (come è quello lombardo). Questo fenomeno si intreccia con la mobilità degli individui, che registra un forte incremento dei flussi migratori di cittadini poveri verso i paesi più agiati. Una chiave fondamentale per leggere la complessità di queste traiettorie è la visione multiscalare, che abbraccia diversi gradi di ampiezza delle relazioni spaziali individuali, ma che considera anche la rete informativa in cui siamo immersi in ogni momento. In questa fase storica di rinnovata attenzione alla città, la mobilità urbana rappresenta un ambito privilegiato di sperimentazione per conciliare le esigenze di un ambiente urbano dinamico e di qualità con una rinnovata sensibilità per l’inclusione sociale. Il futuro va nella direzione di uno sviluppo in cui le opportunità offerte dalle tecnologie di comunicazione favoriscono una mobilità di beni, persone e informazioni armonica, alla luce di principi di sostenibilità ambientale e sociale.


Come risultato di questa intensa discussione, sono state individuate quattro direzioni future di sviluppo: – stimolare processi democratici per sperimentare nuove idee in modo da poter contare su delle «intelligenze attive» nella comunità di cittadini, grazie a un ruolo di catalizzatore svolto da parte dell’Università; – comprendere il significato di spazi, territori e relazioni multiscalari, e mettere a fattor comune idee per un «territorio delle relazioni» nel quale individuare strategie, programmi e una nuova governance; occorre gestire meglio la relazione tra la città e il territorio circostante, così da sviluppare politiche efficaci per un utilizzo intelligente degli spazi nei tempi, e dei tempi negli spazi della città; – definire una nuova accezione di «ecologia urbana», ricercando il giusto bilanciamento tra una realtà urbana molto densa e che ha problemi nei servizi e un contesto suburbano confuso, frammentato e fratturato da una infrastrutturazione paesaggistica di qualità spesso modesta, ma con spazi aperti (a volte residuali) che rappresentano una potenzialità di qualificazione paesaggistica dell’area urbana. Il territorio bergamasco rappresenta un giacimento culturale straordinario che ha dimostrato in alcune traiettorie di valorizzazione (come il Parco del Colli di Bergamo, i Parchi agricoli o fluviali, alcune vie d’acqua) la capacità di dare vita a processi di rigenerazione territoriale meritevoli di sostegno e dedizione continui; – potenziare il riconoscimento dei valori territoriali e ambientali del territorio attraverso un’infrastrutturazione tecnologica che valorizzi le possibilità offerte dalle tecnologie ICT, 38

sia nell’informazione per la mobilità delle persone e delle merci (infomobilità), sia nel rinnovamento degli strumenti di fruizione territoriale con modalità più confortevoli. Nel mondo, le sfide nate negli (IV) Inclusività: il cittadino ultimi decenni dalla ricerca di migliori attivo a ogni età, in una condizioni di benessere dei cittadini società multigenerazionale hanno registrato un forte aumento di eterogeneità, scala e complessità. Nelle città, il progressivo invecchiamento della popolazione, l’aumento del tasso di obesità, stili di vita non salutari presentano nuove sfide per un sistema sanitario e assistenzialistico che attualmente non è adeguatamente preparato a raccoglierle. Oltre a essere un luogo di attrazione economico, culturale e sociale, la città può diventare soggetto promotore di un migliore benessere e salute della propria comunità di cittadini. Sotto questo punto di vista, la città è un fenomeno insolito: è spesso vista come l’ambiente più malsano in cui vivere, ma allo stesso tempo c’è anche chi attribuisce merito al fatto di potersi facilmente spostare a piedi al suo interno e chi parla delle migliori relazioni sociali che la maggiore densità umana degli ambienti urbani rende possibili. Dalla discussione con gli attori del territorio tipicamente coinvolti nel trattamento della salute (come ASL, ospedali ecc.) e di attori che potenzialmente possono giocare un ruolo attivo nel creare una migliore cultura, una maggiore sensibilità e migliori pratiche relativamente alla salute (associazioni, aziende operanti nel settore benessere e salute) sono emerse queste tendenze: – stili di vita scorretti: in questi ultimi decenni, con l’aumentare del benessere economico esteso all’intera popolazione, abbiamo assistito a un cambiamento dei rischi connessi alla salute, da quelli più legati alla povertà, quali malnutrizione e assenza di igiene, a quelli più legati a scorretti stili di vita (obesità, fumo di tabacco, scarsa attività fisica); – invecchiamento della popolazione e incremento della diffusione di malattie croniche: la maggiore possibilità di accesso alle cure e il progresso delle scienze mediche hanno portato a un aumento generale dell’aspettativa di vita; assistiamo oggi 39

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– l’alleggerimento della pressione da traffico, generata anche dal car sharing, fa emergere un punto chiave connesso con la mobilità urbana: il modo in cui i cittadini vivono il rapporto con gli spazi della propria città; in questo senso, anche l’idea emergente dell’«urbanismo temporaneo» rappresenta una modalità fertile per utilizzare in modo flessibile e adattivo gli spazi urbani, a partire dagli organismi architettonici che a Bergamo saranno investiti da processi di riqualificazione e rifunzionalizzazione.


a un importante fenomeno d’invecchiamento della popolazione bergamasca e a uno spostamento del bisogno sanitario verso le

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Dalla discussione su come affrontare queste nuove sfide è emersa come tema fondamentale la necessità di coinvolgere l’intera comunità: nonostante le molteplici offerte del territorio in termini di strumenti, iniziative, mezzi per il miglioramento della salute, appare evidente come i punti chiave per l’avvio di un processo positivo che porti a una vera prevenzione delle malattie e a un miglioramento degli stili di vita siano legati a una partecipazione attiva dei cittadini, al loro empowerment e soprattutto alla costruzione di una comunità resiliente, in grado cioè di adattarsi alle rapide variazioni del contesto in cui vive. È fondamentale che ogni cittadino, di ogni genere e età, si senta coinvolto nel processo e dia il proprio apporto. Devono essere potenziate la solidarietà tra le generazioni e la valorizzazione delle persone nell’arco di tutta la vita in quanto risorse per la società. Le nuove tecnologie possono giocare un ruolo fondamentale. Negli ultimi anni, grazie alla pervasività e disponibilità di tecnologie a basso costo, si stanno creando delle opportunità uniche per il mondo della ricerca e innovazione. Una disponibilità di dati senza precedenti potrebbe portare a sistemi sanitari più agili e scelte più consapevoli dello stile di vita del singolo cittadino. I progressi nelle tecnologie di monitoraggio e di rilevamento delle condizioni di salute, in particolare per la popolazione anziana, potrebbero consentire una più profonda compren40

03 I trend evolutivi come motore per i progetti tematici Sulla base di quanto emerso nel corso di questi incontri, sono stati organizzati, di concerto con gli stessi stakeholder, tavoli di lavoro articolati per aree tematiche. Nonostante la segmentazione tematica di ogni area, necessaria per procedere a una più puntuale e concreta articolazione per singoli percorsi progettuali, la condivisione dei trend tra tutti i ricercatori ha permesso di mantenere coerenza e connessione tra i vari progetti, in virtù di una visione e di un sentire comune delle principali linee evolutive, delle relative opportunità, criticità e sfide da cogliere. Sono stati costituiti sette gruppi di lavoro, ciascuno orientato a approfondire una specifica area tematica. Queste aree progettuali non intendono essere sette diverse visioni di Bergamo, né sette semplici soluzioni. Costituiscono ambiti di azione coerenti, che declinano in contesti più circostanziati l’interpretazione della visione prima delineata. La Bergamo del futuro sarà l’insieme di queste aree, che si svilupperanno anche in funzione della capacità dei diversi stakeholder del territorio di essere realmente attori fattivi del percorso qui descritto.

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malattie croniche; – una società multigenerazionale: con l’allungamento dell’aspettativa di vita, il rischio è avere un maggior divario tra le generazioni; in realtà occorre tradurre questo fenomeno in un’opportunità, rendendo ciascuna delle fasce anagrafiche della popolazione parte attiva all’interno di una comunità, ognuna per il proprio ruolo e per il valore che può conferire; – nuove forme di assistenzialismo: le nuove sfide della salute riguardano da un lato il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria di lunga durata (Long Term Care), dall’altro la prevenzione del decadimento determinato dall’invecchiamento e dalle malattie croniche a esso correlate.

sione del comportamento umano. Le implicazioni di questi sviluppi vanno ben oltre le mura dell’ambiente ospedaliero, coinvolgendo una pluralità di spazi urbani. Si tratta di sfide e opportunità che vanno colte riunendo competenze diverse: dai designer, impegnati nella progettazione di spazi, oggetti e sistemi user-centred, agli attori che operano nel sistema sanitario, alle aziende che producono nuove tecnologie e soprattutto alla popolazione che deve essere messa al centro di questo processo e parteciparvi attivamente per arrivare a soluzioni che rispecchino le effettive esigenze del territorio e che trovino un ambiente favorevole alla loro realizzazione.


Un lavoro articolato per aree tematiche

Bergamo Creativa Bergamo Salute

Visione

Bergamo Mobile

Inclusività Creatività

TREND EVOLUTIVI

Aree Progettuali

Bergamo Logistica

Accessibilità Responsabilità

Bergamo Consum-attore

Bergamo Responsabile Bergamo Tecnologica


01 Città della conoscenza e Smart City _p. 47

02 Che cos’è la società della conoscenza? _p. 48

03 La conoscenza: bene comune e strumento di cittadinanza _p. 50 05 Città della conoscenza, una città educativa _p. 53

04 Governare la società della conoscenza _p. 51

06 La città della conoscenza educa al futuro _p. 56

07 La città della conoscenza come città creativa _p. 58

08 Bergamo come città della conoscenza. Le criticità e le proposte _p. 60


La conoscenza è un motore di innovazione, per l’economia e per la società

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L’approccio allo sviluppo urbano è un tema sempre più importante. Il pensiero critico, la partecipazione, la capacità di immaginare scenari futuri e condivisi, così come l’accesso libero alla conoscenza, sono elementi essenziali per il necessario cambiamento sociale verso la costruzione di un’idea di città più «smart»: un’idea di città in cui la nuova società impara a utilizzare meglio le risorse disponibili per soddisfare i suoi bisogni e risolvere i suoi problemi. Un’idea di città che permetta di esercitare una cittadinanza più consapevole e attiva, partecipativa e democratica, improntata a una profonda etica delle nostre relazioni con la natura e con gli esseri umani. Come possono gli individui trovare nuove forme di azione, aiutando, con un atteggiamento attivo e critico, le città a diventare comunità consapevoli, luoghi di piena espressione dei diritti umani, civili e sociali? È possibile immaginare la città come un luogo dove vivere meglio? Il percorso verso l’identificazione delle dimensioni rilevanti della città come veicolo della conoscenza deve partire da una riflessione sul tipo di società che oggi abita le città della conoscenza. In particolare dovremo analizzare la natura della conoscenza che caratterizza società e città attuali, nella sua accezione di bene comune e strumento di cittadinanza. Dovremo poi considerare come tutte le componenti della società — individui e loro organizzazione, ma anche i governanti — siano coinvolti dalle dinamiche della città della conoscenza, rendendo la città un motore educativo e creativo. Queste dimensioni, qui prima affrontate in un’ottica prospettica generale, sono alla base dell’analisi del contesto bergamasco. L’obiettivo è evidenziarne i limiti e presentare le proposte emerse dal confronto con i portatori d’interesse del territorio.

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01 Città della conoscenza e Smart City


razione dell’industria della moda, di quella musicale, dell’arredamento o della bellezza corporea [4]. Le dinamiche della società della conoscenza si intrecciano con quelle dei mutati rapporti tra aree geografiche. Nata in Europa con la scienza moderna, la conoscenza sta cambiando le sue mappe. La geopolitica della ricerca scientifica sta cambiando: nel 2012 l’Asia era ormai prima per investimenti in ricerca e sviluppo, con 519 miliardi di dollari (il 36% del totale mondiale); al secondo posto, con 495 miliardi di dollari, troviamo le Americhe (il 34% del totale mondiale) e solo terza, nettamente staccata, l’Europa, con 347 miliardi di dollari (pari al 24% del totale mondiale) [5].

Viviamo in una società della conoscenza. Anche se non è misurata nel PIL (il Prodotto Interno Lordo, al quale da decenni si cerca, finora con scarsi risultati, di sostituire altri indicatori), la conoscenza è alla base della nostra vita. Certo occorre intendersi sul significato che diamo al concetto di conoscenza. Potremmo dire, per esempio, che l’industria e la grande distribuzione ci «conoscono» benissimo: la società della conoscenza è anche una società dell’informazione (anche se è bene sottolineare che le due cose non coincidono), e una massa enorme di dati, in crescita esponenziale, ci circonda (e spesso ci disorienta). Quasi il 100% dei dati esistenti è trasformato in una massa di dati digitali (i cosiddetti «Big Data») per un ammontare di 1.200 miliardi di miliardi di byte a testa [1]. Per esempio, analizzando e incrociando le pagine visitate su Internet, l’uso di bancomat e della carta di credito e la fidelity card del supermercato (che mentre ci carica punti premio scheda i nostri acquisti) il marketing può mirare con estrema precisione target differenti nella massa di miliardi di rappresentanti del genere «homo consumens» (per citare il sociologo Zygmunt Bauman [2]). In questo senso, siamo «conosciuti» da coloro che ci inseguono. Con «società della conoscenza», però, si intende soprattutto economia della conoscenza, globalizzata e delocalizzata, alimentata da grandi gruppi e centri di ricerca in cui operano migliaia o decine di migliaia di analisti e studiosi, magari in rete tra loro nei cinque continenti.

Infine, la conoscenza è un eleGreen economy mento fondamentale dell’economia ecologica (la «green economy»), che si prospetta come la principale, se non l’unica, vera novità di questo secolo. Quella più foriera di innovazione, portatrice di occupazione, equità e qualità della vita; cioè, per usare l’espressione scelta da ISTAT e CNEL, di un «benessere equo e sostenibile» (BES). La conoscenza, da questo punto di vista, è un modo sia per smaterializzare i consumi (spostandone una parte verso beni culturali, relazionali e spirituali), sia per intervenire a fondo sui modelli di produzione e consumo, riducendo il fabbisogno di materia e di energia lungo tutto il ciclo di vita del prodotto e adeguando le conoscenze e competenze dei lavoratori (generali e specifiche, tecniche, organizzative e relazionali). Pensiamo, per esempio, all’ecodesign e a tutte le vie che portano verso un’ecologia industriale e un’agroecologia.

Il valore aggiunto delle merci e dei servizi è dato sempre più dal contenuto progettuale e (come avviene nel turismo, per esempio) «esperienziale», che può essere anche solo simbolico (si acquistano delle emozioni e degli status symbol, sotto l’influsso delle mode e la pressione della pubblicità ma anche della curiosità personale e del desiderio di arricchimento culturale). Non per nulla, l’economia globalizzata vede la crescita prorompente di una rete di marchi [3], che da un lato attingono largamente al patrimonio di biodiversità accumulato dall’evoluzione naturale in miliardi di anni e, dall’altro, al patrimonio di diversità culturale dei popoli di tutto il mondo, da cui giungono nuove idee ad alimentare continuamente l’ispi-

I programmi di ricerca e di formazione e di ri-formazione saranno un elemento fondamentale delle politiche industriali e di quelle per il mercato del lavoro [6]. Solo così avremo soluzioni innovative e creative, che nascono da nuovi modi di pensare e da nuovi atteggiamenti delle persone di tutte le età, in tutti i percorsi di vita. L’apprendimento in tutte le età della vita (il cosiddetto lifelong learning) diventa uno strumento essenziale per consentire ai cittadini di tutte le generazioni di avere la conoscenza, le abilità e gli atteggiamenti necessari alla società del futuro [7].

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02 Che cos’è la società della conoscenza?


Per affrontare le sfide epocali del cambiamento climatico, del cibo, dell’acqua, delle risorse energetiche, della perdita di biodiversità occorrono inoltre nuove conoscenze delle interazioni tra sistemi umani e naturali e dei molti fattori di stress socioambientale, anche se la complessità dei sistemi viventi sfuggirà alla nostra piena comprensione. Queste sono interazioni che tutte le discipline stanno approfondendo, convergendo verso un’unica scienza della sostenibilità.

Guardiamo il problema da un altro punto di vista. Il ruolo centrale della conoscenza rende sempre più importante comprenderne il ruolo, i meccanismi attraverso i quali essa si costruisce in modo situato nello spazio e nel tempo, la sua trasmissione attraverso canali sempre più vari (a carattere formale, non formale e informale), i processi di insegnamento e di apprendimento — la cui crescita non sottostà ai limiti fisici della crescita materiale. Molti ormai percepiscono la conoscenza come uno dei nuovi beni comuni che si forma dall’intreccio di sapere esperto, saperi locali ed esperienziali, ciberspazio, patrimonio culturale e artistico, creatività. La conoscenza è oggi fondamentale per il diritto di cittadinanza e per la costruzione comune di un futuro più vivibile e desiderabile. La complessità del mondo contemporaneo — così piccolo, così interconnesso, così veloce nei suoi ritmi vitali — richiede a ogni persona strumenti più sofisticati di un tempo per comprendere e interpretare la realtà che ci circonda, per partecipare, per esercitare consapevolmente i propri diritti (a partire da quello di voto), per essere cittadini attivi e, possibilmente, protagonisti e non vittime del cambiamento. Parlare di conoscenza significa dunque chiedersi: quale conoscenza per quale progetto di società? Come nasce? Come si diffonde? A chi serve? Non tutta la conoscenza è valida e affidabile: sappiamo che essa è storicamente determinata, socialmente costruita, limitata, soggetta 50

Abbiamo bisogno di una conoscenza basata sui principi di responsabilità e di precauzione, di etica appropriata alle diverse situazioni e calibrata sulle sfide che l’umanità deve affrontare. Emerge, ad esempio, una nuova sensibilità etica verso soggetti lontani nel tempo e nello spazio (la solidarietà intra e intergenerazionale) e verso soggetti «muti» (la natura, gli altri esseri viventi, gli elementi abiotici). Anche le tecnologie, che discendono dalla conoscenza, devono essere adatte ai diversi contesti, alla portata delle comunità locali, controllabili dai diretti interessati, di filiera corta. È, insomma, a partire da una serie di riflessioni che possiamo costruire una «città della conoscenza» dentro città che stanno crescendo e cambiando.

04 Governare la società della conoscenza Non solo le persone sono dei soggetti che apprendono concetti, temi e strategie per le sfide del XXI secolo. Di fronte alla complessità delle sfide, diventano più complessi anche il compito dei decisori e il modello di governance. Perché i decisori del XXI secolo possano affrontare le nuove sfide, sempre più serve che le strutture di governance si trasformino in sistemi che apprendono. Da un lato, i decisori hanno più bisogno di apprendere nuovi modelli e quindi più bisogno di trasferimento di conoscenze verticale e orizzontale. Dall’altro, la governance partecipativa si pone in termini nuovi, non solo di tecnologie della partecipazione (metodi per favorire processi decisionali inclusivi) ma anche di co-apprendimento dei governanti e dei governati, un co-apprendimento che possiamo definire come il processo di trasferimento reciproco della conoscenza e delle capacità, 51

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03 La conoscenza: bene comune e strumento di cittadinanza

al dubbio ed esposta all’errore. E non tutta la conoscenza è eticamente accettabile o utile all’umanità: c’è molto di terribile e molto di superfluo o non appropriato nel mondo sterminato della conoscenza.


per migliorare le capacità di entrambe le parti. Occorrono un trasferimento di conoscenza tra decisori politici e grandi flussi di comunicazione all’interno delle istituzioni e tra istituzioni, società civile, imprese, a ogni livello.

essere colmato. Tuttavia, «solo meccanismi molto flessibili possono fare da ponte conducendo a un ordinamento politico informato e a una società preparata» [8]. È innanzitutto una governance inclusiva che non può essere affidata solo alle tecnologie informatiche, alle piattaforme web e ai social network. Ci sono molte esperienze di e-government; ma perché davvero funzionino occorre, da un lato, una reale volontà del potere pubblico di affrontare processi partecipativi e, dall’altro, la capacità dei cittadini di avvalersene. Ciò riguarda non solo la dimestichezza con le tecnologie (una delle forme di «digital divide») ma anche la cultura politica del cittadino medio. Molti cittadini oggi usano disinvoltamente i social network o organizzano via internet dei flash mob, ma perché la partecipazione funzioni davvero occorre una scuola di politica per tutti: un’educazione alla cittadinanza. Potremmo definire questa come una governance in cui la tecnologia (i social network, per esempio) non si sostituisce alla partecipazione fisica, ma la sostiene e la facilita. Su scala territoriale, il capitale sociale resta fondamentale: relazioni interpersonali, fiducia, impegno sono la chiave di una comunità attiva e coesa e il brodo di coltura dell’innovazione sociale. Tutte le strategie per la sostenibilità sono strategie basate sulla comunità, in cui l’educazione gioca un ruolo fondamentale nell’attribuire ai cittadini delle effettive capacità di agire. Educare alla sostenibilità ha indubbiamente un valore economico, perché orienta e motiva le persone alla ricerca tecnologica, all’innovazione, stimolando allo stesso tempo il mercato e tutta la società.

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La città della conoscenza sarà necessariamente, quindi, una città «educativa». I processi di insegnamento e apprendimento vi giocheranno un ruolo fondamentale. Apprendono, si è visto, anche le organizzazioni (istituzioni, imprese, associazioni, gruppi, comunità religiose ecc.), così come apprendono i singoli cittadini. Ma come è possibile migliorare la capacità di apprendere delle organizzazioni e degli abitanti di una città? La strada è senz’altro quella della messa a sistema, o come si suol dire «in rete», di tutte le risorse educative, nel giusto equilibrio tra globale e locale. Oggi l’apprendimento è irreversibilmente un apprendimento globale, perché siamo interconnessi fisicamente (viaggiamo molto, anche per studio, per periodi brevi o anche piuttosto lunghi) e tecnologicamente dalle reti di telecomunicazione, con o senza fili: know global potrebbe essere il motto. L’economia e la società globalizzate ci costringono a scambiare e contaminare saperi, diffondendo ricerca e produzione in ogni angolo del mondo. Allo stesso tempo, le comunità saranno resilienti se troveranno ciascuna una propria strada allo sviluppo, endogena e autocentrata. Ciò richiede, come abbiamo accennato, anche un apprendimento di conoscenze, abilità, competenze, strategie appropriate alla situazione locale. Ma perché una comunità apprenda occorrono degli elementi: le occasioni di apprendimento, le sedi adeguate, gli strumenti di apprendimento. Tutto questo implica un progetto educativo da parte della società, ovvero: – un filo comune e riconoscibile che percorra tutti i luoghi dell’educazione formale, non formale e informale, rendendo espliciti un obiettivo e una visione condivisi; – un legame sia virtuale (Internet) sia fisico (trasporti, percorsi pedonali e ciclabili); – una praticabilità degli spazi pubblici come luoghi della socialità, dello scambio e della pratica culturale. Apprendiamo, infatti, 53

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Sia a livello globale, sia a livelPerché la lo di stati nazionali, i governi si stanpartecipazione funzioni no evolvendo per vincere le sfide del mondo di oggi; ma il gap fra governanti e società ha urgente bisogno di

05 Città della conoscenza, una città educativa


tramite vari canali, formali, non formali e informali: tra questi canali devono esserci interazione e sinergia.

La città deve rappresentare un Un luogo in cui ambiente strutturato e dotato la conoscenza si respiri di senso: nella città, la conoscenza oggettivata storicamente e nello spazio (cioè costituita dagli oggetti, dai beni e dai luoghi che sono la sedimentazione della conoscenza e del lavoro delle generazioni precedenti) è insieme memoria e progetto; ciò rende le città un luogo dove la conoscenza «si respira» (così come accade nei paesaggi agrari, dove è possibile vedere sapienza e lungimiranza). La città della conoscenza, insomma, è una città capace di mettere a sistema tutte le conoscenze oggettivate, attuali e in divenire. Più in generale, occorrono delle finestre temporali e dei luoghi in cui offrire situazioni di apprendimento informale, con una condivisione di competenze o strumenti. Possono essere le scuole aperte nel pomeriggio; ma anche le biblioteche e i musei potrebbero dare un grande apporto, così come lo potrebbero dare professionisti in pensione messi in grado di formare i giovani e dialogare con loro. Anche le aziende devono partecipare a una catena virtuosa di opportunità di conoscenza. A legare i mille rivoli della trasmissione di conoscenza che attraversano una città, arrivano sempre più in soccorso le tecnologie informatiche e le reti wi-fi, che moltiplicano la velocità e la quantità di dati cui accedere con il pc tradizionale come con un tablet, uno smartphone o un pannello installato in uno spazio pubblico. Nella città che impara È necessario creare sistemi di conoscenza che favoriscano lo scambio di informazioni e di competenze, sviluppando comunità di prassi e piattaforme di comunicazione; che come dei gangli si diramino attraverso il tessuto sociale e geografico e raggiungano, in maniera personale o 54

Questa idea di città educativa non è senza rapporto con la qualità del vivere come frutto di un’organizzazione urbana capace di unire anche fisicamente i luoghi della cultura e dell’educazione con percorsi di mobilità sostenibile (ad es. percorsi ciclopedonali); di conciliare ambiente urbano e biodiversità (rispetto degli ecosistemi, corridoi ecologici, orti urbani, verde pubblico di alta qualità ecc.); di aprire l’ambiente urbano all’esperienza (uso dei cinque sensi, manualità ecc.); di assicurare un’aria e un’acqua sicure e pulite; di promuovere l’attività fisica; di potenziare la prevenzione. Concludendo, la città educativa, o città che impara, è un luogo «in cui i singoli e le organizzazioni sono incoraggiati ad apprendere a proposito delle dinamiche del luogo in cui vivono e di come questo sta cambiando; un luogo che su questa base cambia il modo di apprendere a comprendere le opportunità nel lavoro e nel tempo libero, nel sistema formale e in quello informale; un luogo in cui tutti i suoi membri sono incoraggiati ad apprendere; infine, ed è forse la cosa più importante, un luogo che può apprendere a cambiare le condizioni del suo apprendere in modo democratico» [9]. Sempre più, insomma, ci sarà bisogno di imparare ad «applicare la creatività umana alla nostra abilità di vivere in un mondo plurale, per creare mondi in un tempo in cui un’univoca e omogenea comprensione del mondo non è più realizzabile. E sarà anche necessario proprio per quella solidarietà che vedrà gli esseri umani insieme, piuttosto che come 55

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Inoltre, una città educativa educa innanzi tutto sé stessa. È necessaria anche un’educazione all’ambiente urbano, alle sue dinamiche, alle sue forme di vita, alle sue relazioni, alla sua storia, alla sua rappresentazione letteraria, alla sua psicologia e così via.

telematica, tutti. L’utilizzo delle nuove possibilità offerte alla comunicazione e all’informazione apre nuove prospettive a quegli attori, come l’università, che storicamente sono stati preposti alla formalizzazione e alla sistematizzazione del sapere. Le nuove opportunità preparano il campo a un ruolo rinnovato dell’università nella creazione culturale. A questo si affianca il compito di facilitare l’accesso a tale conoscenza da parte dell’intera cittadinanza, organizzando e potenziando anche gli scambi di competenze, conoscenze e informazioni che avvengono in maniera informale. Una sfida cui la città della conoscenza deve prepararsi, perché sta per esplodere, è per esempio la rivoluzione portata anche dalla tecnologia nel campo della salute, in modo analogo a quanto già accaduto con lo stravolgimento prodotto dalle nuove tecnologie nella socializzazione e nella comunicazione.


frammenti di un’opposizione infinita» [10]. Entrano così in gioco due concetti fondamentali per la città della conoscenza: il futuro e la creatività.

Costruire una città della conoscenza significa anche educare al futuro (cioè a scegliere un futuro più desiderabile tra vari futuri possibili, e a saperlo costruire), alla resilienza e all’adattamento di fronte all’inerzia dei cambiamenti in corso, il cui impatto si protrarrà per alcune migliaia di anni. L’educazione al futuro, ovviamente, non significa studiare il futuro, ma avere una prospettiva sui futuri: a livello personale, locale, nazionale e mondiale. Uomini e donne, occidentali e non occidentali, gruppi diversi hanno immagini diverse del futuro. Si tratta di capire quali alternative esistono e come le nostre idee di futuro influenzino le azioni che lo condizionano. Per futures envisioning si intende l’elaborazione, confronto ed eventuale condivisione di immagini di un mondo futuro per il quale agire. Significa chiedersi: «Come il comportamento umano (su scala locale, nazionale, globale) toccherà l’ambiente? Qual è l’impatto delle politiche urbane su biodiversità, qualità dell’aria, consumo e inquinamento dell’acqua, ambiente costruito, infrastrutture, servizi, spazi aperti, spazio pubblico? In quali modi i cambiamenti toccheranno fasce di popolazione diverse? Quale adattamento sarà necessario?».

Le scuole, l’università e i sistemi formativi in generale — ha osservato Richard Slaughter (uno dei padri della «futures education») — sembrano basarsi su un’idea di stabilità e non di cambiamento, mentre il mondo intorno a loro sta cambiando davvero in fretta [11]. Ogni area del curriculum formativo dovrebbe quindi incorporare la prospettiva dei «futuri». Un tempo, per usare un’espressione di Aurelio Peccei, il presente e il futuro si somigliavano «come due gocce d’acqua» ([12], p. 21). Oggi viviamo in un’epoca di trasformazioni che galoppano con crescita esponenziale. I sistemi di governo, il pensiero, le coscienze non riescono a tenere il passo; spesso, nemmeno vogliono farlo. Ecco dunque la necessità di fronteggiare un futuro (o, appunto, i tanti diversi eventuali futuri) che arriva a velocità maggiore di prima e che ha biforcazioni ben più grandi che in passato. Alla fine degli anni Sessanta, il visionario e futurologo Alvin Toffler [13] parlava di «shock da futuro» (future shock) e curava un libro sull’educazione al futuro [8]. Il presente, ricorda Slaughter (impegnato in un programma di educazione al futuro in Australia), è il trampolino dei prossimi cento anni [14].

L’educazione al futuro, insomImmagini del futuro ma, abitua a pensare più criticamente e creativamente a ciò che ci aspetta e, in particolare: – mette in grado di comprendere i legami tra le nostre vite nel presente e quelle degli altri nel passato e nel futuro; – accresce la comprensione delle influenze sociali, economiche, politiche e culturali che condizionano le percezioni dei diversi futuri 56

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06 La città della conoscenza educa al futuro

a livello personale, locale e globale; sviluppa abilità, atteggiamenti e valori che incoraggiano a guardare avanti e a identificare futuri probabili e preferibili; – aiuta a muovere verso un futuro più giusto e sostenibile, in cui il benessere dell’umanità e quello del pianeta abbiano pari importanza.


Se accettiamo un approccio attivo all’ambiente urbano, la creatività diviene necessaria allo sviluppo di un pensiero critico e costituisce una strategia appropriata per affrontare le sfide nel XXI secolo all’interno delle nostre città. Trattare il concetto di creatività, che è abbastanza recente (è nato nel XIX secolo, ma è stato studiato solo nel XX secolo [15]), richiede in primo luogo di sgombrare il campo da possibili equivoci e di superare gli stereotipi. Il primo da cui fuggire è che la creatività sia un fenomeno elitario, un’espressione di genio solitario [10]. Il talento creativo, se agisce isolato, non costituisce massa critica e non permette la messa a sistema di innovazioni. Ma esiste anche una «creatività di gruppo» ([10], p. 43) che si esprime tanto nelle reti di ricerca quanto in molte forme artistiche, dal jazz al cinema e oltre. La creatività può rappresentare un bene collettivo e non un dono individuale; si parla di creatività diffusa quando vari fattori sociali, economici, geografici la rendono possibile. Applicata alle organizzazioni, la creatività diffusa richiede nuove forme di autorità e controllo, di rapporti non rigidamente gerarchici ma flessibili e a rete. L’atto creativo non è dunque un atto solipsistico. Per essere motore di un’effettiva trasformazione, deve essere aperto alla comunicazione intersoggettiva. In effetti, nel processo creativo l’individuo ci mette del suo, attinge a risorse interne e mette in gioco la propria sensibilità e il proprio originale modo di vivere e intendere la realtà urbana. Ciò sfocia in un processo e in un risultato condivisibile, che arricchisce non soltanto la persona che lo consegue ma anche il mondo che la circonda, perché effettivamente è venuto alla luce qualcosa di nuovo e che si può condividere. Si tratta della creatività di un homo civicus [2] che proprio grazie a una forte individualità intrattiene rapporti frequenti e profondi di interdipendenza con i propri simili e la storia collettiva. È una persona che sa abbracciare più ampi spazi temporali ([2], p. 166), compiendo scelte autonome e responsabili ([2], p. 236). 58

La creatività di cui parliamo Un’esplosione non è insomma la creatività di tanti di creatività globale manuali che pretendono di insegnarla come chiave del successo personale. Non è nemmeno lo strumento del marketing che intende per innovazione la capacità di competizione dell’impresa capitalistica, indipendentemente dal contesto e da giudizi di valore e da una responsabilità sociale e ambientale. Essa assomiglia piuttosto all’azione sociale responsabile che Cesareo e Vaccarini definiscono «gioco serio» ([2], pp. 236-237): un’azione che è creativa come un gioco e seria come ogni azione che riguarda la vita collettiva. Certo, è vero che la pubblicità vende, più che un prodotto, un’identità; ma ciò accade anche perché il marketing sfrutta il crescente desiderio di creare sé stessi. In tutto il mondo, esiste oggi un maggiore desiderio di soddisfazione personale, di autocreazione individuale, così come un’enorme esplosione di creatività globale dovuta alle interazioni culturali e che si esprime «nei cibi che mangiamo, nei libri che leggiamo, nei film che vediamo, negli abiti che indossiamo, nelle modalità curative che scegliamo, nei pensieri che pensiamo e nelle tradizioni spirituali che seguiamo» ([17], p. 37) e che viene ormai da tutti i continenti. Nelle città, ormai diventate spesso — per le classi più agiate, ma anche per quelle meno agiate che tendono a imitarle — dei centri di consumo alienato, «…compriamo abiti, oggetti di arredamento, elettrodomestici, telefonini, automobili, non in base a reali necessità o a un effettivo piacere nel loro uso, ma unicamente per il fine ultimo di comperare, possedere e mostrare agli altri questo possesso. […] ecco quindi l’altro pericolo e cioè un consumo di energia non rinnovabile e di materie prime essenziali (pensiamo per esempio agli idrocarburi e al legname) senza fine con gravi pericoli connessi alla distruzione dell’ambiente, all’inquinamento e, in ultima analisi, con un rischio terribile per lo sviluppo sostenibile del pianeta» ([18], p. 28). La costruzione di un’alternativa, di nuove realtà socio-ecologiche, passa anche attraverso un diverso rapporto con gli oggetti: tanto quelli materiali, la cui richiesta da parte del mercato oggi è apparentemente infinita (ma destinata a scontrarsi con la finitezza del pianeta Terra), quanto quelli immateriali (gli artefatti costituiti da comunità, ideologie, istituzioni, sistemi politici ecc.). 59

Bergamo creativa

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07 La città della conoscenza come città creativa


Bergamo 2.035 cap. 03

08 Bergamo come città della conoscenza. Le criticità e le proposte Nel pianificare il futuro di una città come Bergamo, nell’immaginarla come una città della conoscenza, occorre rispondere a questi numerosi e articolati bisogni di transizione verso un futuro più vivibile. Lo sforzo non è certo semplice. Diversi fattori, generali e specifici, rendono il compito più complesso. Ne abbiamo discusso con molti attori della conoscenza bergamasca, che hanno evidenziato luci e ombre dell’area urbana e hanno suggerito molte proposte. Quanto ai fattori che, non solo a Bergamo, ostacolano o rallentano l’avanzata della società della conoscenza e politiche integrate ed efficaci, il primo da citare è senz’altro la crisi economico-finanziaria, morale, sociale, ecologica, non solo italiana. Alcune di queste crisi (come quella 60

ecologica) sono evidenti da decenni. Altre sono più recenti (o sono riesplose dopo periodi di aberrazione: si pensi al mondo della prima metà del Novecento). In particolare, la prima delle crisi citate ha causato tagli dolorosi alla cultura, all’istruzione e alla ricerca, e ha portato i decisori e l’opinione pubblica a concentrarsi sul breve termine. A tutto questo si affianca il fenomeno, comune a molti paesi, di un graduale invecchiamento della popolazione (gli over 65 sono passati a Bergamo dal 23 al 25% tra il 2003 e il 2013) e un diradamento della fascia (tra i 25 e i 44 anni) di chi ha terminato gli studi ed è entrata, o vorrebbe entrare, nel mondo del lavoro. Anche senza il «mal passo» in Nuove forme cui si trova una parte ragguardevole di capitale sociale dell’umanità, la stessa complessità del mondo è un tema duro da affrontare, cui non corrisponde un sistema di insegnamento e apprendimento adeguato; perché questo è ancora caratterizzato dalla compartimentazione disciplinare, dalla separazione tra linguaggio della tecnologia da un lato e quello delle scienze umane e sociali dall’altro, dalla mancanza di un approccio integrato nelle e tra agenzie educative formali, non formali e informali, da un diffuso analfabetismo in campo ambientale e scientifico. In compenso, vediamo emergere anche a Bergamo nuovi stili di vita e forme di capitale sociale in cui lo scambio di conoscenze riveste un ruolo importante. Assistiamo al profilarsi di una rivalutazione dello spazio pubblico come spazio di conoscenza e relazione, e del sapere come bene comune. Constatiamo la forza creativa di mille iniziative di innovazione sociale, che hanno ricadute sull’economia e sull’innovazione tecnologica, come vedremo nei capitoli successivi. A ostacolare questi processi, secondo molti degli attori riuniti in focus group o intervistati nel corso della ricerca svolta nell’ambito del progetto Bergamo 2.035, sono alcune criticità bergamasche, che variano in base ai diversi punti di vista. In generale, emerge come Bergamo sia una città ricca di iniziative, di spunti, di risorse conoscitive e culturali, ma allo stesso tempo appaia fragile dal punto di vista della capacità di metterle in rete. Si avverte sul territorio un’esigenza di comunicazione fra parti diverse del sistema, che hanno bisogno di accesso comune alla conoscenza. 61

Bergamo creativa

È la prospettiva di sottrarsi alla febbre del consumo con un uso autonomo e creativo, autodeterminato e consapevole, delle cose, fondato sulle relazioni, sull’attenzione, sulla responsabilità globale [18]. Si tratta di imparare «a pensare in maniera diversa, creativa, tale da permetterci di vedere oltre le cose, oltre la separazione e l’identità, oltre le parti frammentate, entro un tutto creativo e vivente» ([19], p. 63). Perché la creatività possa diffondersi ed essere una forza critica e trasformatrice, occorre però che sia promossa e favorita come dimensione non strumentale, collettiva, volta a un futuro diverso e migliore; e che la città, tutta la città diventi, appunto, educativa, che è ben diverso da una città «beneducata». Nella creatività devono credere anche le istituzioni e i decisori: senza strumentalizzarla e senza pretendere di canalizzarla, ma dimostrando capacità di ascolto e di apertura alle idee nuove e ai processi dal basso, predisponendo risorse sufficienti per garantire una piena partecipazione dei cittadini alla vita delle loro comunità e al modo in cui queste sono governate.


Secondo le istituzioni scolastiche, il mondo della scuola ha forti rapporti con le istituzioni (in primis Università, Comune, Provincia, Camera di Commercio, ASL, corpi di polizia) e con il settore privato, profit (come Confindustria) e non profit (come le parrocchie). Se ci sono ritardi, questi dipenderebbero da uno scarso ricambio generazionale tra docenti: i progetti proposti alle scuole passano per gli insegnanti, che spesso fanno resistenza. In generale, a detta dei responsabili, è piuttosto debole a Bergamo la triangolazione musei-scuole-quartieri (biblioteche, parrocchie, altri centri di aggregazione). Questa debolezza si traduce in un’incapacità di fare leva sulle fonti di conoscenza oggettivata di cui è invece particolarmente ricca la città. I musei, per esempio, manifestano la sofferenza del sentirsi ignorati da alcune componenti del mondo scolastico. Mentre, a dire dei loro responsabili, le scuole dell’infanzia e la scuola primaria ne sono buone fruitrici, il distacco si accentua nei livelli superiori. Soprattutto, man mano che si passa alle scuole secondarie e all’università, pare diminuire (nonostante gli sforzi dell’istituzione scolastica, che a Bergamo è all’avanguardia in molti campi, dalla trasversalità dei curricoli all’alfabetizzazione informatica all’apertura al territorio) il tasso di fruizione delle opportunità culturali (musei, teatro, cinema), a conferma dei dati del questionario prima riportati. Il pubblico più numeroso dei musei, infatti, risulta costituito da persone già più mature, dalla terza età e dai migranti. Alcuni sforzi per riconciliare il rapporto fra i cittadini e i musei, per non farne dei meri salotti della borghesia, sono già in corso. Per esempio, l’attivazione di servizi di asilo nido, destinati all’accoglienza delle mamme, è fra quelli che meritano di essere citati.

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Di qui la possibilità di fare leva La leva della tecnologia sulla tecnologia per creare un rapporto nuovo tra spazi della cultura e città, in cui la città stessa diventa luogo attivo della cultura: le opere d’arte e gli altri contenuti dei musei escono da questi luoghi, permettendo un approccio trans-temporale e diffuso attraverso la presenza capillare dei mezzi di comunicazione interpersonale. Questo consente di far uscire il patrimonio culturale dall’isolamento nei centri storici cittadini, permettendogli di raggiungere le periferie urbane sempre più grandi. Ancora una volta, innovazione tecnologica e innovazione sociale possono andare insieme: migliori strumenti, più versatili e potenti, a disposizione dell’inventiva degli attori sociali interessati. Vivono un’analoga condizione di semiisolamento alcuni gioielli del territorio, come gli orti botanici, trascurati dalle stesse fasce della popolazione che dichiarano il desiderio di riconsiderare gli spazi di città come alternative ai «non luoghi» (i centri commerciali, tipicamente, che ormai sono destinazione prediletta di chi cerca forme di intrattenimento generiche per riempire il tempo libero). Bergamo, con Trieste, Lucca e Salerno, è una delle poche città italiane con un Orto botanico civico. È necessario combattere un’idea stereotipata dei giardini e dal verde, per approfittare di una risorsa locale che educa alla bellezza: basti pensare che più del 90% dei frequentatori non ha conoscenze botaniche, né si tratta di agronomi o specialisti. Lo stesso discorso vale per altri rapporti, per esempio per quello tra agenzie educative e imprese. Le imprese — in particolare quelle medio-piccole, che più difficilmente accedono all’aggiornamento, alla ricerca e all’informazione — sono però spesso in possesso inconsapevole di una conoscenza che è frutto dell’esperienza accumulata. Questa conoscenza rimane implicita; le imprese non sono in grado di codificarla, valorizzarla e diffonderla, ciò che permetterebbe loro di essere anche fonte, e non solo fruitrici, di conoscenza. D’altra parte, alle imprese risulta difficile individuare i propri bisogni formativi o interagire efficacemente con la scuola e l’università. Le occasioni di collaborazione e scambio oggi esistono, ma si basano su forme di relazione non strutturali, spesso lasciate alla disponibilità e allo spirito d’iniziativa dei singoli.

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Bergamo creativa

Bergamo 2.035 cap. 03

In una città di media dimensione come Bergamo, gli attori sono vicini tra loro fisicamente (ma non sufficientemente connessi da servizi e infrastrutture), tuttavia spesso lontani «processualmente». Occorre lavorare proprio sull’intreccio tra i processi, così come sull’inclusione di fasce più ampie di cittadini, che — una volta coinvolti — si rivelano reattivi e interessati. Gli stessi studenti universitari, secondo i dati di un questionario a loro somministrato all’interno delle attività del progetto, non sono certo consumatori forti di opportunità culturali.


I consumi culturali

Concerto

Utilizzo delle opportunità culturali da parte degli studenti dell’Università di Bergamo (numero di volte in un mese)

Museo

1-2

427

91%

3-4

37

7%

5-6

7

2%

7-8

1

1%

>8

0

0%

Cinema

Teatro

32

1-2

427

90%

3-4

37

8%

5-6

7

1%

7-8

1

1%

>8

3

0%

1-2

378

81%

3-4

51

11%

5-6

27

6%

7-8

8

2%

>8

3

1%

1-2

315

55%

3-4

179

31%

5-6

48

8%

7-8

19

3%

>8

8

1%


Stranieri in città (2011)

Bergamo Totale: 14581

della popolazione complessiva

Albania Bolivia Cina India Marocco Romania Senegal Ucraina Altri paesi

Vista da molti soprattutto come motivo di disagio, la presenza di immigrati è potenzialmente una delle risorse culturali più attraenti e inesplorate del contesto cittadino. Il caso di via Quarenghi è eclatante. Dopo aver attirato per decenni i flussi migratori cittadini, oggi è vista dalla gran parte dei cittadini bergamaschi come un vero e proprio ghetto, dove la lingua italiana è utilizzata come lingua franca da una popolazione che rappresenta tre quarti del mondo in piccola scala. Eppure il quartiere al suo interno nasconde frammenti di cultura eterogenea, con possibilità di interazione e apprendimento reciproco che meritano un’esplorazione. Anche Bergamo, come moltissime città europee e non solo, è una città di migranti, giunti da ogni parte del continente e del resto del mondo, che nel 2011 rappresentavano il 12,7%. Erano il 8,1%» nel 2007. L’integrazione delle culture e dei gruppi etnici è dunque un’altra delle sfide della città di Bergamo. I migranti, specie quelli di seconda o terza generazione, sembrano avere «una marcia in più» (parlano più lingue; hanno viaggiato e conoscono il mondo in cui vivono, sparsi, i loro parenti; usano abitualmente le tecnologie informatiche per collegarsi con paesi lontani), tanto da figurare in prima fila tra i creatori di nuove imprese (solo grazie a loro i numeri delle imprese iscritte alla Camera di Commercio si mantengono stabili) e come si è accennato anche tra i fruitori dei musei cittadini. Attraverso la piena valorizzazione della loro presenza e il loro inserimento nel sistema cittadino, meritano di essere individuati come risorsa dall’alto potenziale. Anche altre forme di disagio invisibile si nascondono fra le pieghe della società bergamasca: diversamente abili fisici, psichici e psico-fisici; 67

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12,7%

Oltre alla lacuna nel mettere a Le sfide dell’integrazione rete le risorse, il secondo «filo rosso» individuabile fra le testimonianze raccolte riguarda la fragilità della città nel gestire i rapporti fra le componenti tradizionali della società e le nuove forme di povertà. Il tema che probabilmente richiama in maniera più diretta gli interessi della popolazione è il rapporto con l’immigrazione, con la trasformazione della presenza umana nella città.


Dietro ogni criticità si nascondoOrizzonti e raccomandazioni no in realtà risorse spesso inesplorate. È possibile quindi affermare che in futuro Bergamo potrà contare su molti punti di forza, purché sappia investire sulla moltiplicazione delle relazioni. Volendo fare una sintesi, inevitabilmente forzata, le raccomandazioni sono chiare. La prima missione è mettere meglio in rete le iniziative esistenti (attraverso piattaforme tecnologiche di conservazione e condivisione della conoscenza, ma non solo). Da questo punto di vista, a dire di molti dei partecipanti al tavolo di lavoro di Bergamo 2.035, la città è fragile per capacità di fare sistema e di essere «città educativa». Occorre poi creare più ponti tra mondi che, pur essendo molto vicini tra loro, comunicano e si conoscono poco. 68

Bergamo 2.035 cap. 03

Il gruppo di ricerca di Bergamo 2.035 ha costruito una prima Mappa virtuale delle relazioni, la «Mappa della Conoscenza»QR. Informativa, dinamica e interattiva, mette in evidenza in modo chiaro e stimolante le iniziative dei vari attori del territorio e ne individua le connessioni esistenti o possibili, per facilitare la nascita di nuovi partenariati e l’inserimento di nuove proposte. La navigazione all’interno della mappa è organizzata per macroaree, titolo, promotore, committente o finanziatore e partner. Per ogni attività si trova un riMappa della assunto, la data di inizio e di eventuale fine, il sito Interconoscenza net, i link ai social network e le indicazioni necessarie a contattare i promotori. In secondo luogo è importante La formazione arricchire l’apprendimento fore l’amministrazione male, nutrendolo di tutti gli elementi della conoscenza oggettivata e della cultura immateriale o materiale (musei, parchi, imprese, paesaggi ecc.). La città è un libro in via di continua scrittura e riscrittura, fatto di agenzie educative (scuole, corsi professionali, agenzie di formazione…) ma anche di infinite risorse e opportunità che, come abbiamo detto più volte, vanno messe a sistema. L’Università, che unisce funzioni di ricerca e di alta formazione, è chiamata a svolgere un ruolo propulsivo anche in questo campo. Può diventare il luogo aperto allo scambio con la città e tra i cittadini, favorendo — anche grazie alla sua diffusione fisica all’interno del territorio — il dialogo, l’interazione e lo scambio di conoscenza. Infine, ma è un aspetto cruciale, è necessario coinvolgere i decisori: solo la piena assunzione di responsabilità da parte di chi amministra la città può avviare lo spirito d’iniziativa e le risorse che abbiamo descritto in questa sezione su un percorso di trasformazione di Bergamo in una vera e propria Città della Conoscenza. Una visione politica e le politiche conseguenti sono il necessario corollario di un processo in cui energie della società civile, spinte provenienti dal basso, entusiasmo e intelligenza degli «addetti ai lavori», lungimiranza delle imprese non bastano. 69

Bergamo creativa

detenuti; senzatetto; emarginati. L’inclusione sociale, dai «nuovi poveri» (le classi medio-basse impoverite dalle crescenti disuguaglianze) ai carcerati, deve essere prioritaria. La conoscenza permette di agire nei confronti dell’ampia area di disagio presente nella città. Da un lato, per esempio, le agenzie formative devono affrontare i temi della legalità, del reinserimento dei carcerati nella società tramite misure alternative alla detenzione, dell’accesso alla conoscenza anche per i più svantaggiati. Dall’altro, l’economia della conoscenza può offrire opportunità di lavoro a chi lo ha perso e a chi lo cerca. Inoltre, in una fase di crisi non breve e non lieve, le istituzioni culturali assumono anche funzioni nuove e responsabilità maggiori: diventano letteralmente casa temporanea per molti (succede per esempio nelle biblioteche) e devono offrire opportunità di integrazione e riscatto, sia ai nuovi cittadini provenienti dal resto del mondo, sia ai vecchi cittadini impoveriti dalla crisi. Non dimentichiamo poi le criticità che esistono — anche in contesti apparentemente più sereni, negli spazi protetti della società tradizionale — per incapacità di convivere con le sfide poste dalle nuove forme di comunicazione, che generano dei gap di conoscenze anche fra i giovani. Contrariamente a quanto spesso si pensa, non tutti i giovani sono dei «nativi digitali»: anche da qui discende la necessità di aprire i laboratori delle scuole anche di pomeriggio e di sera e di mettere a frutto le competenze e l’esperienza degli adulti.


Bergamo creativa

Bergamo 2.035 cap. 03

Il tavolo di lavoro creato all’interno del progetto è un primo strumento in questa direzione, volto non solo a favorire la rete di relazioni, ma anche a portare di fronte agli attori del territorio temi su cui tutti devono impegnarsi ad agire.

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01 La cittĂ della salute: principi e obiettivi _p. 75

02 Il contesto di partenza _p. 82

Bergamo 2.035 cap. 04

03 Alcune iniziative benchmark, in Italia e nel mondo _p. 95

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04 Le prospettive e un piano d’azione _p. 99


Benessere, cura e stili di vita

Bergamo salute

Nel campo della salute, il concetto di smart si associa spesso all’utilizzo in ambito sanitario delle tecnologie. Per esempio, si parla spesso di sanità elettronica e per definire il sistema-salute di una città smart si utilizzano indici come la diffusione del fascicolo elettronico digitale e la possibilità di utilizzare il web per operazioni come prenotazione, pagamento ticket, ritiro referti, scelta del medico [1]. Questo concetto è però molto riduttivo. Considerare il sistema salute solo nella sua accezione di sanità e sistema sanitario non tiene conto di tutti gli aspetti coinvolti. Nella 1° Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, organizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1986, la salute viene definita come «stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia». Una prima concretizzazione di quella conferenza è stato il progetto «Healthy Cities» (Città Sane), nato per sviluppare le politiche locali per la salute e i programmi sanitari, prevenire e superare le minacce e i rischi, anticipare le sfide future. È un concetto che va oltre il sistema sanitario e la sanità in genere, per aprire l’orizzonte alla città: luogo che più facilmente può stimolare la partecipazione e aprirsi ai contributi della società civile, delle associazioni e dei cittadini. Da questo progetto si è sviluppato il movimento delle Città Sane [2], presente in tutti i continenti. In Europa oggi più di 1400 città lavorano l’una a fianco all’altra a progetti che fanno riferimento alle priorità proposte dall’OMS. Intorno a questo tema c’è stata anche una notevole produzione scientifica, concentrata però soprattutto sulla progettazione urbanistica e sul governo della città [3-7].

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75

Bergamo salute

Bergamo 2.035 cap. 04

01 La città della salute: principi e obiettivi


Bergamo 2.035 cap. 04

psichico delle persone, si incoraggia il loro empowerment (inteso come incremento dell’autostima, autoefficacia e autodeterminazione facendo emergere risorse latenti e portando l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale) e si favoriscono la fruibilità dei servizi e un comportamento proattivo dei cittadini. Una simile città è un sistema integrato costituito da elementi chiave come conoscenza, tecnologia, strutturazione degli ambienti che portano allo sviluppo di una cultura della salute all’interno dell’intera comunità urbana. L’introduzione di nuove tecnologie non porta di per sé un vantaggio per l’intera collettività, se non si associa alla capacità di chiunque di utilizzarle; in quel caso genera anzi un health divide, vale a dire una divisione sociale ancora più marcata tra chi ha dimestichezza nell’uso delle tecnologie (molti giovani, per esempio) e chi ha per queste una sorta di timore o diffidenza (gli anziani e le fasce sociali più deboli della popolazione). Contestualmente all’introduzione di nuove tecnologie deve avvenire un maggiore scambio e condivisione di informazioni per sviluppare le competenze e le conoscenze e farne un uso proficuo. L’accesso alla conoscenza può essere molto semplificato e accelerato grazie alle nuove tecnologie di comunicazione [15,16]. Le conseguenze saranno una maggiore consapevolezza e un pensiero critico che renderanno il cittadino capace di scegliere stili di vita più sani, misure di prevenzione del rischio e sicurezza, comportamenti rispettosi dell’ambiente, consentendogli allo stesso tempo di utilizzare nuovi strumenti tecnologici. La coscienza e la sensibilità per i temi della salute incoraggeranno anche la collaborazione tra cittadini e istituzioni, fra associazioni e aziende del settore.

Con queste premesse, possiamo definire il concetto di Città della Salute come «una città in cui ogni cittadino partecipa attivamente alla promozione della salute attraverso un sistema integrato di conoscenza, tecnologia e strutturazione degli ambienti». Una città che promuove salute è una città in cui si stimolano la prevenzione delle malattie e il rallentamento del deterioramento fisico e 76

77

Bergamo salute

Nel concetto di sistema salute La città sana smart non possiamo negare comunque e le nuove tecnologie che la tecnologia ha un ruolo fondamentale. La diffusione dell’informatica negli ospedali ha trasformato il lavoro di medici e ricercatori, che oggi possono accedere con estrema facilità a quantità enormi di dati e condividerli [8-10]. Il cambiamento più grande avviene forse fuori dalle mura degli ospedali: riguarda la possibilità, grazie ai dispositivi mobili, di accedere alle proprie informazioni mediche ovunque ci si trovi, ricercare e condividere informazioni sul web, monitorare i propri parametri clinici grazie alla tecnologia indossabile, fare test clinici e una serie di altre attività direttamente da casa [11-12]. In particolare, Eric Topol nel suo libro «The creative destruction of medicine» [13] sottolinea come la medicina stia entrando in un’epoca di democratizzazione, con uno spostamento dei rapporti di potere da chi fornisce il servizio di cura (ospedali, dottori, infermieri) a chi lo riceve (i pazienti). Il concetto di salute si espande sempre più in termini di significato (il completo benessere della persona), di spazi (dai luoghi di cura all’intera città), di attori coinvolti (non più solo i classici operatori di salute, ma tutta la popolazione) e di risorse e strumenti (tecnologici e non solo). Un documento dell’Institute for the Future che delinea i cambiamenti nel sistema salute nel prossimo decennio introduce il concetto di «città terapeutica», intesa come sistema di infrastrutture, persone e servizi che promuove uno stile di vita sano e sostenibile [14]. Sebbene il termine «terapeutico» richiami un sistema curativo piuttosto che un’idea di benessere totale della persona, la definizione ha il pregio di riferirsi a un sistema costituito da infrastrutture, conoscenze, strumenti e servizi. Un sistema olistico, quindi, costituito da diversi elementi che cooperano per la promozione della salute in città.


La Città del Sole

La Città della Salute

La galassia degli elementi e dei fattori chiave

Aumento delle conoscenze

Sviluppo delle scienze mediche

Sinergie e collaborazioni

Riadattamento dei servizi socio-sanitari Accessibilità e diffusione della tecnologia

Miglioramento dello stato di salute

Attività fisica quotidiana

Scambio di informazioni Città della Salute

Maggiore attrattività della città

Incremento dell’uso della mobilità dolce Inclusione sociale Cittadinanza attiva

Progettazione urbana secondo criteri di salute


L’alfabetizzazione alla salute e lo sviluppo di una comunità attiva capace, poiché formata e consapevole, di attuare scelte partecipate che promuovano la salute e il benessere di tutta la comunità. Attuando l’alfabetizzazione alla salute, la comunità sarà co-produttrice della propria salute e facilitatrice dell’evoluzione delle scienze mediche. La creazione di nuove sinergie in ambito medico-sanitario, attraverso lo sviluppo di reti di collaborazione dei diversi attori (istituzionali, sociali, pubblici e privati) coinvolti nel processo di promozione della salute. Queste reti rafforzeranno il processo di partecipazione alla promozione della salute dell’intera comunità urbana.

Un riadattamento dei servizi socio-sanitari, in particolare le cure primarie domiciliari, i servizi per i lavoratori e per i gruppi all’interno della comunità, rendendoli realmente accessibili a tutti, soprattutto alle categorie più fragili (disabili, immigrati, anziani), per garantire una vera inclusione sociale. Questo riadattamento potrà essere attuato anche grazie a una maggiore informazione sulle caratteristiche degli utenti, che consentirà una migliore programmazione dei servizi. Una comunità consapevole nell’uso dei mezzi di trasporto. L’obiettivo è attivare un circolo virtuoso in cui consapevolezza collettiva e presenza di incentivi e facilitazioni favoriscano la mobilità sostenibile e rendano quotidiano l’esercizio fisico e l’utilizzo degli spazi aperti della città, riducendo il rischio di incidenti, lo stress e l’inquinamento acustico e intensificando la vita sociale. Una città ricca di ambienti sani che inverta il fenomeno attuale di «rischio svuotamento»: il miglioramento costante delle condizioni di vita nei luoghi in cui le persone vivono, lavorano e giocano (abitazioni, scuole, luoghi di lavoro e del tempo libero, strutture ospedaliere, residenze per anziani) renderà sempre più attraente e desiderabile vivere in città.

La migliore accessibilità e la maggiore conoscenza e informazione sui vantaggi dell’uso della tecnologia, e soprattutto la maggiore predisposizione al suo utilizzo da tutte le fasce della popolazione, per una sua diffusione capillare in ambito medico e non solo. Una pianificazione e una progettazione urbana concepite secondo criteri di salute, con l’obiettivo di instaurare una consapevolezza per cui la qualità delle abitazioni, la progettazione dei quartieri, la densità e l’allocazione del suolo, l’accesso agli spazi verdi e alle infrastrutture, le aree ricreative, le piste ciclabili, la qualità dell’aria, l’inquinamento acustico, l’esposizione a sostanze inquinanti diventino elementi determinanti nella progettazione delle città.

80

81

Bergamo salute

Bergamo 2.035 cap. 04

Un altro elemento chiave della Spazi della città Città della Salute è la strutturazione e iniziative visibili di spazi e ambienti perché questi diventino «promotori di salute». È nello spazio fisico che il cittadino e la comunità vivono, si muovono e prendono decisioni. Gli spazi urbani devono aumentare la visibilità degli strumenti e delle iniziative, rendere semplice il reperimento di informazioni e di conoscenza, semplificare i comportamenti virtuosi e le cosiddette «buone pratiche». Una città simile sarà un terreno fertile affinché nel lungo periodo si possano attuare i seguenti obiettivi:


2013 2011 2009 2008 2007

8,8%

2006

8,1%

2005

8,0%

4° capitolo

0

20.000

40.000

60.000

80.000

100.000

120.000

140.000

4,1%

2003

5,3%

2004

7,3%

Le differenze tra città di Bergamo e provincia riguardano anche l’origine delle comunità di stranieri insediate: nel comune di Bergamo, le due comunità più numerose sono la boliviana e la rumena; in provincia, la prima è quella marocchina, con la rumena nuovamente al secondo posto.

82

2010

12,7% 11,1% 9,9%

Il Trend demografico della città di Bergamo

È un valore più alto rispetto a quello provinciale (10,9%) e alla media italiana (7,4%). In provincia di Bergamo, in particolare nella parte sud-orientale, ci sono peraltro zone in cui il fenomeno immigratorio è stato molto più importante. I comuni con la percentuale più elevata di stranieri residenti sono Telgate (27.7%) e Verdellino (25.8%); nelle valli, al contrario, si scende notevolmente sotto la media provinciale. Gli immigrati si sono stanziati perlopiù nelle zone con un mercato del lavoro più dinamico e nei comuni in generale più attrattivi.

Oltre a una maggiore presenza Molte etnie, di stranieri, la popolazione del capodiverse generazioni luogo in proporzione è più vecchia di quella della provincia: il peso degli ultra sessantacinquenni è pari a 24,6% nel comune contro il 18,7% della provincia. Il dato è del tutto simile a quello degli altri centri storici del Nord, in cui la popolazione giovane tende ad andare a vivere nella cintura urbana per diverse ragioni (in particolare di matrice economica). Va inoltre sottolineato che gli stranieri sono mediamente molto meno

2012

13,8% 13,3%

Per progettare una Città della Salute è innanzitutto fondamentale partire da un’analisi attenta e precisa del contesto demografico, sociale, e sanitario, analizzando i servizi offerti, evidenziando i punti di forza e di debolezza, le potenzialità e le minacce per poi pianificare le azioni. Dal 2004 a oggi la popolazione residente a Bergamo è cresciuta, con un aumento dovuto soprattutto a un ampliamento della popolazione immigrata. Nel 2004 gli stranieri erano il 5,3%; nel 2013 sono arrivati a costituire il 13,8% [17-19].

Bergamo 2.035 cap. 04

stranieri

residenti

02 Il contesto di partenza


maschi

femmine

2,1% 3,5%

0,6% 1,8%

4,8%

3,2%

5,4%

4,3%

6,2%

5,4%

6,0%

5,4%

6,3%

6,0%

6,2%

6,4%

7,2%

7,8% 8,8%

8,3% 7,5%

8,0% 6,9%

6,4%

5,8%

La piramide dell’età di Bergamo

5,1%

4,9%

4,4%

5,0%

4,2% 4,3%

5,0%

4,1%

5,0%

4,1%

4,8% 4,8%

3,9%

6000

4000

2000

0

6000

4000

2000

0


86

5%

33%

anziano solo

3%

anziano con convivente/i

7%

anziano con figli

40%

Con chi vivono gli over 65

In provincia il fenomeno è molto più contenuto (29,5%, secondo i dati del censimento 2011), soprattutto per la particolare concentrazione di anziani nei capoluoghi di provincia. Per questa ragione aumenta la probabilità di trovare famiglie di un componente. A fronte delle caratteristiche demografiche e sociali del territorio, è fondamentale che la Città della Salute riesca a valorizzare il ruolo della popolazione anziana e straniera, facendone un punto di forza e non un problema. L’analisi dei dati epidemiologiIl bisogno di salute ci della provincia di Bergamo [21-22] si sposta verso mostra una riduzione della mortalità le malattie croniche dovuta all’aumento dell’aspettativa di vita, anche se va sottolineata un’elevata incidenza della mortalità per cause tumorali che risulta significativamente superiore al dato regionale. Particolare rilevanza è assunta dai tumori dell’apparato gastroenterico, pancreas e fegato.

anziano in istituto /casa di cura

12%

anziano con coniuge e figli anziano con coniuge

La maggioranza della popolazione anziana è costituita da donne: fra gli ultrasessantacinquenni queste hanno un’incidenza del 28,0%, contro il 20,7% degli uomini, che diviene più marcata se si considerano gli over 80 (10,6% contro 5,4%). Questo fenomeno si spiega in generale con la maggior longevità delle donne.  Anche la composizione familiare è fortemente cambiata negli ultimi anni. Il 42% dei nuclei familiari è costituito da famiglie unipersonali (considerando i residenti, la quota di chi vive da solo è pari al 22%). In un decennio è molto cresciuta la componente di famiglie unipersonali, soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione: tra il 2001 e il 2011 è passata dal 34% al 41,6%. In particolare, nel 2013 la percentuale di anziani che vivono da soli è pari al 33% del totale degli ultrasessantacinquenni di Bergamo [20].

4° capitolo

Bergamo 2.035 cap. 04

anziani degli italiani. Nel 2013 la proporzione di italiani ultrasessantacinquenni nel Comune di Bergamo era del 28,2%, contro il 2,1% degli stranieri. Il peso degli stranieri va aumentando soprattutto tra i giovani, in ragione di un più elevato livello di fecondità delle donne straniere rispetto a quelle italiane.


Il fenomeno si evidenzia anche nell’utilizzo sempre maggiore delle strutture di lungo-degenza come le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Queste assumono sempre più una funzione di «intervento attivo» come alternativa al contesto familiare, anche solo di «sollievo», soprattutto quando la gestione di alcune patologie (le demenze soprattutto) diventa improponibile in un contesto domiciliare. Dal 2008 al 2013, il numero di utenti delle RSA è passato da 7270 a 7751. Di questi, il 56,7% ha una demenza. L’età media dell’utente inoltre rispecchia il fenomeno dell’invecchiamento: si è passati da un’età media di 75 anni nel 2004 ai 84,3 nel 2013. Le persone in lista d’attesa alla fine del 2013 erano 3419 [23]. A fronte di un forte aumento di utenti delle RSA, si assiste invece a una diminuzione di ricoveri ospedalieri nel tempo: i ricoveri per 100 residenti sono scesi da 18,2 nel 2008 a 14,9 nel 2012 [24]. Questa tendenza, presente quasi ovunque in Italia, è un riflesso dell’attività di de-ospedalizza88

Bergamo 2.035 cap. 04

zione e razionalizzazione delle attività di cura e assistenza. Questo ha una ripercussione rilevante sulla Città della Salute, che deve saper rispondere ai nuovi paradigmi di complessità fra bisogno sanitario e bisogno sociale, del paziente, del caregiver (chi presta assistenza al malato) e della famiglia, attraverso una forte integrazione dei percorsi e dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali. Il sistema ospedaliero della proUn'offerta ampia vincia di Bergamo è costituito da nove di servizi e strutture strutture pubbliche, raggruppate in tre aziende ospedaliere, e nove strutture di diritto privato (di cui due fanno capo alla stessa azienda) e tre con associazione in partecipazione di soggetti privati. È un sistema omogeneamente distribuito sul territorio, senza particolari concentrazioni in aree specifiche rispetto alla presenza di popolazione, con una buona proporzione tra attività ospedaliera pubblica (2/3) e attività ospedaliera accreditata (1/3) [25]. Per quanto riguarda l’efficienza e le prestazioni del sistema sanitario della provincia, all’interno del sistema ospedaliero regionale — che è uno dei migliori in Italia — la provincia di Bergamo rappresenta il 10% in termini di posti letto e numero di ricoveri. Considerando altri indicatori di performance ed efficienza (tasso di ospedalizzazione standardizzato, peso medio), gli ospedali di Bergamo sono sempre allineati ai valori regionali. A fronte di una mobilità intraregionale sostanzialmente «in parità» (cioè con un saldo neutro tra pazienti che escono dal sistema sanitario provinciale ASL e pazienti che vi entrano), il sistema sanitario provinciale registra invece un’attrattività interregionale doppia rispetto alla fuga: se sono circa 2.800 i bergamaschi che escono dalla regione per farsi curare, circa 4500 persone residenti fuori dalla Lombardia scelgono per questo la provincia bergamasca. Le cifre sono ancora più significative se consideriamo che Bergamo, situata nel centro della Lombardia, non è interessata dalla mobilità transfrontaliera fisiologica tipica delle province confinanti con altre regioni [25]. Oltre agli ospedali, nella provincia di Bergamo sono presenti ben 197 strutture socio-sanitarie che coprono le tre aree anziani, disabili, dipendenze, minori e famiglia. Per quanto riguarda l’assistenza agli anziani, 89

Bergamo salute

Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione porta con sé un incremento della prevalenza di patologie cronico-degenerative. Le demenze sono in forte aumento e si concentrano maggiormente in città e nelle valli, rispecchiando nella provincia l’indice di vecchiaia (l’incidenza nel distretto ASL di Bergamo è di 87,1 per 10000 ab., contro il 65,1 della provincia). Il cambiamento repentino del contesto sociale-demografico porta con sé notevoli sfide per il sistema-salute di Bergamo. L’evoluzione delle scienze mediche e della tecnologia ha consentito un superamento sempre più frequente delle fasi critiche in patologie particolarmente acute, aumentando l’aspettativa di vita; parallelamente, però, ha fatto aumentare la prevalenza del numero di soggetti adulti e anziani affetti da patologie croniche e a lungo termine, con una crescita della fragilità legata alla perdita di abilità fisiche, psicologiche e sociali. Assistiamo a un forte spostamento del bisogno di salute verso le malattie cronico-degenerative e le malattie stabilmente cronicizzate, che portano con sé un carico in termini di costi anche economici, ma soprattutto espressi in termini di impatto sociale e familiare. L’aumento delle famiglie unipersonali di ultrasessantacinquenni, inoltre, aggrava ulteriormente il problema dell’assistenza nel momento di perdita dell’autonomia di questi soggetti, non essendoci un contesto familiare di sostegno.


La sedentarietà è il quarto prinStili di vita scorretti cipale fattore di rischio di mortalità globale e causa ogni anno di 3,2 milioni di decessi. In Italia, è la ragione del 9% delle malattie cardiovascolari, dell’11% del diabete di tipo II, del 16% dei tumori al seno, del 16% dei tumori al colon e del 15% delle morti premature [26]. Di contro, ci sono forti evidenze di come lo svolgere un’attività fisica comporti una riduzione della mortalità per tutte le cause [26], oltre a contrastare il fenomeno in continuo aumento dell’obesità [27] e a portare un miglioramento della salute mentale [28]. La sedentarietà è quindi un importante problema di sanità pubblica, che va tenuto sotto controllo così come altri stili di vita scorretti legati all’alimentazione, al consumo di bevande alcoliche e al tabagismo. Ecco perché due progetti di ricerca — lo studio Passi e lo studio Okkio alla Salute condotti dall’ASL in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità — hanno analizzato e monitorato i comportamenti della popolazione italiana, il primo considerando gli adulti (18-69 anni), il secondo i bambini di 8-9 anni. I risultati dello studio Passi riferiti alla provincia di Bergamo hanno evidenziato che circa il 19,6% dei cittadini è sedentario, mentre il 45,2% pratica attività fisica in quantità inferiore rispetto a quanto raccomandato. La sedentarietà cresce con l’aumentare dell’età ed è più diffusa nelle persone con basso livello di istruzione e con maggiori difficoltà economi90

che. Circa il 34,8% è in eccesso ponderale; di questi, l’8,4% in stato di obesità. È diffuso il consumo di frutta e verdura, ma solo il 15% ne consuma la dose giornaliera consigliata. Il 60% dei bergamaschi fa uso quotidiano di bevande alcoliche, e la percentuale cresce al 70% nella fascia d’età 18-34; i fumatori sono il 26,1% della popolazione [21]. Lo studio Okkio alla Salute ha mostrato una minor prevalenza di obesità e sovrappeso dei bambini bergamaschi rispetto al dato nazionale. Tuttavia è ancora elevato il numero di bambini in eccesso ponderale e con abitudini alimentari e di vita non salutari (rispettivamente 22% e 32%). Le abitudini alimentari mostrano un’assenza o inadeguatezza della colazione (per ben il 70%), scarsissimo consumo di verdura (il 50% dei bambini non ne mangia quasi mai o mai) e di frutta (il 31% non ne mangia o ne consuma solo saltuariamente). Inoltre molti genitori, in particolare di bambini sovrappeso o obesi, non sembrano valutare correttamente la quantità di cibo assunta dai figli e sottostimano il loro stato ponderale. Per quanto riguarda l’attività fisica, il 18% dei bambini non pratica più di un’ora di sport la settimana; soltanto il 27% va a scuola a piedi o in bicicletta; il 36% trascorre più di due ore al giorno in compagnia di tv o videogiochi [22]. Partendo da questi dati, una prima riflessione riguarda gli anziani. I dati mostrano una sedentarietà che aumenta con l’età, un fenomeno molto preoccupante in un contesto di forte aumento dell’invecchiamento della popolazione. Un’attività fisica, anche limitata, non solo permette di mantenere la forza indispensabile per ritardare la perdita di autonomia negli anziani, ma è il presupposto per mantenere un’autonomia nelle attività domestiche la cui perdita può indurre situazioni di bassa autostima o di depressione. Entrambi gli studi evidenziano un forte legame tra stili di vita scorretti e condizioni economiche e basso livello di istruzione. Alla luce del cambiamento socio-demografico in atto e della forte presenza di bambini immigrati, è il caso di interrogarsi sulla possibilità di operare un’integrazione culturale anche delle buone pratiche della salute, incentivando i buoni comportamenti presenti nelle diverse culture anziché scoraggiarli. Insomma, nella Città della Salute l’integrazione culturale e sociale avviene anche nelle buone pratiche per uno stile di vita sano.

91

Bergamo salute

Bergamo 2.035 cap. 04

nella sola città di Bergamo troviamo cinque RSA (per un totale di 62 su tutta la provincia) e ventinove Centri Diurni Integrati (CDI). Dal punto di vista dell’offerta di strutture sanitarie, quindi, ci sono punti di eccellenza e innovazione molteplici e differenziati, in città come in provincia. Potrebbe aumentare le loro potenzialità una visione più ampia e integrata, che porterebbe a sviluppare sinergie e collaborazioni tra le diverse strutture e a garantire un servizio sempre più efficiente. Per esempio, un punto critico rimane una certa fatica del sistema nel rapporto di continuità tra gli ospedali e il territorio, tra medici ospedalieri e medici di continuità assistenziale [25]. La Città della Salute deve saper sfruttare le opportunità date dalla presenza di molti centri di eccellenza e garantire la giusta continuità nell’assistenza anche al di fuori delle strutture ospedaliere.


Inoltre Bergamo stessa ha una particolare struttura morfologica, con l’altimetria variabile che ha caratterizzato e condizionato il sistema infrastrutturale interno della città. Nella connessione ciclopedonale ciò ha impedito la continuità tra gli elementi della rete di mobilità dolce, creando ostacoli di attraversamento alle piste ciclabili a causa dell’incrocio con infrastrutture stradali (sia a elevato scorrimento che di quartiere) [29]. In generale, la compresenza del sistema traffico e dell’altimetria condizionano l’utilizzo della mobilità dolce, in genere relegata a un uso sporadico (nel week-end o nelle vacanze) e non vissuta quotidianamente, a causa di questi vincoli territoriali. È raro in città vedere persone che si recano al lavoro in bicicletta o a piedi; molto più spesso si trovano ciclisti e persone che passeggiano in Città Alta la domenica o durante eventi particolari. Da queste evidenze deriva che la Città della Salute deve rendere facili e quotidiane le scelte salutari. Un altro elemento che caratterizL'impegno sociale za il territorio è un buon attivismo sociale. In provincia sono attive 5547 istituzioni non profit. Rispetto a dieci anni prima, il numero è salito del 34,8%, con un numero di volontari cresciuto del 17,9%, da 88.534 a 104.356 (dati del Censimento ISTAT 2001-2011). Bergamo conta 662 organizzazioni di volontariato, di cui un buon 92

30% nel campo della sanità [30]. Molte attività nell’ambito di promozione della salute avvengono grazie ad associazioni che collaborano con ASL e comuni. È il caso dei «Gruppi di Cammino». Nella provincia ve ne sono a oggi 230; nella città di Bergamo sono presenti nei quartieri di Valtesse, San Colombano, Borgo Santa Caterina, Boccaleone, Loreto, oltre che a Longuelo, Borgo Palazzo e Malpensata. Un’altra iniziativa per incoraggiare i bambini a muoversi di più, andando a scuola a piedi, è il Piedibus [21]. Questo attivismo dimostra una partecipazione e un interesse della popolazione verso il tema della salute, con la ricerca di soluzioni efficienti e condivise. L’alto coinvolgimento della popolazione è un dato molto positivo, che nella sua modalità spontanea di diffusione tende però a una frammentazione quasi fisiologica. La sfida è mantenere questo alto grado di iniziativa e partecipazione dei singoli integrandola sempre più in una visione univoca e sinergica, nel campo delle risorse in primis. La pervasività e la bontà di azioni diffuse sul territorio potrebbe aumentare con l’uso della tecnologia, che può svolgere un ruolo fondamentale per la Città della Salute: facilitando la comunicazione e l’integrazione delle diverse iniziative, valorizzando e rendendo efficiente il coinvolgimento dei cittadini. Negli ultimi decenni, la tecnoTecnologia e salute: nuove logia ha cambiato la medicina più che opportunità, nuove sfide negli ultimi due secoli. I cambiamenti hanno investito il sistema sanitario nel suo complesso: nuove attrezzature sanitarie, dispositivi medici, farmaci, sistemi diagnostici, procedure mediche e chirurgiche [31], percorsi assistenziali e assetti strutturali, organizzativi, manageriali attraverso i quali viene erogata l’assistenza sanitaria. La disponibilità di una quantità enorme di dati, il cosiddetto fenomeno del Big Data, consente una comprensione sempre migliore delle patologie. La frontiera dell’innovazione sembra inarrestabile, come testimonia lo sviluppo da parte di IBM di Watson, un sistema di intelligenza artificiale che nell’applicazione in ambito medico potrebbe aiutare il clinico nella fase di diagnosi, analizzando e incrociando milioni di dati e di casi studio [32]. Anche nel campo assistenziale, l’utilizzo della tecnologia crea nuovi scenari, come la possibilità di fare riabilitazione a casa propria 93

Bergamo salute

Bergamo 2.035 cap. 04

Bergamo si trova all’interno di I vincoli della struttura una provincia molto vasta. urbanistica e morfologica A nord c’è la fascia montana, dalla Val Brembana alla Val Cavallina, nella quale la mobilità presenta i problemi, tipici dell’ambiente montano, di dipendenza delle attività economiche e di servizio localizzate nei centri principali del capoluogo. A sud c’è la fascia pedecollinare e della pianura, in cui si situano Bergamo e il suo hinterland e la cui rete infrastrutturale è costituita da percorsi radiali storici. Un traffico significativo gravita sulla città, con origine principalmente dalla provincia (per l’80,7%). È aumentato nel tempo, concentrandosi in particolare sulle radiali esterne (dal 1991 al 2006 è aumentato del 39%) ma ancora più sulle circonvallazioni (in quella di Pompiniano, che si sovrappone all’asse interurbano a sud, l’incremento in quel periodo è stato del 139%) [29].


Va però sottolineato che il fenomeno riguarda solo una parte della popolazione. Le famiglie con almeno un minorenne sono le più tecnologiche: l’87,8% possiede un personal computer, l’85,7% ha accesso a Internet da casa. All’estremo opposto si collocano le famiglie di soli anziani di 65 anni e più: appena il 14,8% di esse possiede il personal computer e solo il 12,7% dispone di una connessione a Internet [35]. Anche le condizioni economiche contano. Se si confronta la disponibilità di personal computer e di un accesso a Internet da casa, il divario tra le famiglie in cui il capofamiglia è un operaio e quelle in cui è un dirigente, imprenditore o libero professionista risulta di circa 19 punti percentuali. La distanza nel possesso di un cellulare abilitato alla connessione a Internet è ancora più ampia, circa 23 punti [35]. Nell’accesso alle tecnologie e nel loro uso vi sono dunque un divario generazionale e un divario sociale. Nella Città della Salute tutti devono essere messi in grado di utilizzare le nuove tecnologie e deve essere favorita la solidarietà fra le generazioni. La situazione di Bergamo nel campo della salute può essere fatta emergere in forma sintetica, efficacemente, attraverso l’analisi SWOT. Questo strumento classico ha messo in luce i seguenti punti di forza, debolezze, opportunità e minacce nel contesto analizzato:

94

PUNTI DI FORZA

PUNTI DI DEBOLEZZA

Città media

Forte invecchiamento della popolazione

Volontariato e associazionismo diffusi

Sedentarietà

Strutture socio-sanitarie

Cattive abitudini alimentari

efficienti e capillari

Frammentazione delle iniziative

Iniziative molteplici

Insufficienza di piste ciclabili ; traffico intenso

OPPORTUNITÀ

MINACCE

Informatica e telematica

Difficoltà nell’integrazione culturale

Tecnologia wearable

Svuotamento della città

Big Data

Divario generazionale Divario sociale

Expo 2015

Aumento delle cronicità

03 Alcune iniziative benchmark, in Italia e nel mondo Nel contesto internazionale proliferano le iniziative e i nuovi approcci ai temi emergenti nel campo salute, soprattutto a quello dell’invecchiamento della popolazione, grazie in particolare a un utilizzo sempre più pervasivo delle nuove tecnologie. Molte sono le iniziative progettuali attive anche in Italia; Federanziani ha attivato programmi per favorire l’alfabetizzazione informatica dei cittadini senior; il Ministero della Ricerca e dell’Università ha finanziato due iniziative nell’ambito dei progetti Smart Cities volte a favorire un invecchiamento attivo, e una vede come riferimento proprio l’area di 95

Bergamo salute

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attraverso la realtà virtuale e la robotica [33-34]. Si affianca a questa evoluzione tecnologica che potremmo definire strettamente medica — cioè che migliora la capacità di diagnosi e cura professionale — un’evoluzione tecnologica in ambito sanitario che riguarda i singoli. C’è un forte incremento dell’uso di Internet per la ricerca di informazioni sanitarie (dal 45,1% del 2011 al 49,6% del 2013) [35]. La tecnologia legata alla salute diventa sempre più personale grazie ai dispositivi wearable e alle moltissime app degli smartphone che consentono di quantificare dati clinici e parametri fisici in modo semplice e immediato.


Vi è un particolare focus sugli ambienti e sulla domotica, con la promozione di un consorzio di imprese denominato Homelab per lo sviluppo di tecnologie assistive in ambito domestico. Alcune aree del nostro paese sono poi divenute oggetto di studi specifici su variabili genetiche e ambientali in quanto registrano tassi di longevità significativamente elevati. Se la Città della Salute «smart» usufruisce al meglio delle opzioni derivanti dalle nuove tecnologie, possiamo inquadrare il panorama delle iniziative e soluzioni disponibili rispetto alla finalità con cui le tecnologie vengono impiegate. In particolare, possiamo individuare quattro gruppi principali: – Health data visualisation; – Living Health Lab; – Assisted living and social robotics; – Quantified self. La quantità enorme di dati a cui Health data visualisation oggi si può accedere, molto spesso in tempo reale, può servire a promuovere stili di vita sani, influenzare scelte e migliorare così le condizioni di salute. Il modo in cui i dati vengono veicolati e presentati è di grande importanza. L’informazione deve essere chiara, immediata, coerente e affidabile. A questo proposito si è fortemente sviluppato il tema del data visualisation, che riguarda appunto la presentazione visiva più efficace dei dati attraverso tecniche grafiche statiche Mappa delle (infografica) e dinamicheQR. allerte per virus e malattie nel mondo

Patients Like Me

Oltre a ciò, vi è l’opportunità di una condivisione di informazioni mediche e sanitarie attraverso la Rete. È il caso di Patients Like Me [36] QR, che permette di creare un network di persone che hanno la stessa patologia e di personale medico e operatori che se ne occupano, creando un ponte per lo scambio di informazioni e di conoscenza. 96

Living Health Lab Il termine «Living Lab» è stato usato probabilmente per la prima volta da Bill Mitchell del MIT nel 2010, in un contesto di pianificazione urbana. La sua diffusione in Europa si deve all’impulso proveniente dalle regioni nordiche — in particolare all’iniziativa (2006) della presidenza di turno finlandese dell’Unione Europea — seguito poi fino a oggi dalle altre presidenze, che hanno promosso la nascita e la diffusione di queste esperienze in pressoché tutti gli stati membri e in un campo estremamente ampio e variegato di temi. La rete europea dei Living Labs (ENoLL, [37])QR, che oggi conta 274

membri, li definisce «ambienti di innovazione aperta, in situazioni di vita reale, nei quali il coinvolgimento attivo degli utenti finali permette di realizzare percorsi di co-creazione di nuovi servizi, prodotti e infrastrutture sociali». L’obiettivo dei Living Lab è facilitare la valutazione della usabilità delle soluzioni favorendo il coinvolgimento dell’utente anche nella fase di progettazione. Nell’ambito della salute, un esempio molto importante è l’Health Lab di Amsterdam, i cui obiettivi principali sono l’inclusione del sistema sociale nella definizione dei bisogni e nella progettazione delle soluzioni e la creazione negli ambienti educativi di nuovi curriculum formativi e figure professionali focalizzati all’implementazione di queste soluzioni. Il traguardo che il gruppo di ricerca si prefigge è che nel 2025 ogni cittadino di Amsterdam sia in grado di controllare e gestire i propri bisogni di salute. Il focus è la popolazione anziana che, come in tutta Europa, sta aumentando; l’obiettivo è consentirle una vita autonoma e indipendente il più a lungo possibile anche grazie all’uso delle tecnologie. Diversi ambienti in cui gli anziani vivono abitualmente sono quindi stati considerati come «Living Lab», con l’attuazione di diversi progetti. Nella vicina città di Almere è stato sperimentato e studiato, insieme ai cittadini anziani, l’uso online di servizi per partecipare a un coro digitale nel quale, pur restando nelle proprie abitazioni, molti possano cantare insieme in sincronia sentendosi partecipi di una comunità e quindi meno soli. Un altro esempio molto interessante proviene da cinquanta studenti di informatica che hanno lavorato in istituti di cura sviluppando con gli anziani presenti giochi interattivi pensati per incoraggiare l’attività La rete europea dei Living Labs fisica e l’interazione sociale. 97

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Bergamo e Brescia e le sue Università. Particolarmente attiva è anche la Regione Marche, dove sono in corso sperimentazioni legate a progetti europei, nazionali e regionali.


La robotica consente di sopperire e replicare in modo sempre più preciso a funzionalità o abilità sensoriali. Soluzioni di questo tipo nascono per portare sostegno in situazioni di disabilità con deficit importanti e spesso rimangono confinate all’interno di spazi limitati, come la casa. Tuttavia, progressivamente, miniaturizLa robotica per zazione e tecnologie mobili tendono a favorire nuove l'assisted living soluzioni (tipicamente meno invasive) che si ampliano agli spazi aperti e che sono fruibili anche nelle situazioni di fragilità meno invalidanti. Una nuova frontiera è la robotica sociale, che vede l’impiego dei robot con funzioni paragonabili a quelle di un animale da compagnia, per stimolare le persone sul piano emotivo. I robot sono utilizzati, per esempio, con persone affette da demenze nelle case di cura, apportando un beneficio paragonabile alla terapia con gli animali attraverso una diminuzione dello stress dei pazienti e dei caregiver. Il termine «Quantified self» inQuantified self dica l’utilizzo di oggetti smart anche indossabili, connessi a smartphone o altri dispositivi per l’acquisizione di dati e parametri personali, che consentono di monitorare i propri parametri cliniciQR (come il battito cardiaco), l’attività fisica, lo stato emotivo. I grandi produttori di tecnologia mobile (in primis Apple e Samsung) hanno ormai espressamente indiviUn gioco duato nel settore delle attività di monitoraggio dell’attiinterattivo per incrementare vità fisica la nuova frontiera di servizi sui quali puntare l’attività fisica per un’ulteriore fase di penetrazione degli smartphone. dei bambini 98

Ciò conferma che queste tecnologie (già oggi gli smartphone sono dotati di sensori e accelerometri che consentono di stimare diversi parametri), opportunamente integrate a sensori indossabiliQR, offrono potenzialità mediche enormi: da un lato la possibilità di monitorare costantemente le patologie, dall’altro nuove strategie che impieghino queste tecnologie per aumentare la consapevolezza del proprio stato di salute, promuovendo uno stile di vita sano e scelte più salutariQR. La sfida tecnologica delle smart cities future è favorire un’integrazione tra variabili ambientali e dati personali.

Una maglia e un dispositivo che rilevano parametri clinici e fisici

Un braccialetto e un’app per osservare i progressi sportivi

04 Le prospettive e un piano di azione Dopo aver definito cosa intendiamo per Città della Salute e analizzato il contesto in cui ci troviamo e le esperienze internazionali, vedremo come si può rendere Bergamo una Città della Salute. Alcuni aspetti in particolare tracciano il percorso: – Valorizzare la popolazione anziana e quella straniera all’interno della collettività; – Aumentare l’integrazione dei percorsi e dei servizi sanitari, socio-sanitari e sociali; – Sfruttare la presenza di eccellenze sanitarie massimizzandone le ricadute sul territorio; – Realizzare un’integrazione culturale e sociale anche nelle scelte per uno stile di vita salutare; – Rendere facili e quotidiane le scelte salutari nel contesto cittadino; – Rendere semplice l’utilizzo delle tecnologie per tutti; – Incentivare la solidarietà fra generazioni. Quello descritto nei paragrafi precedenti è un processo virtuoso, che innesca una spirale positiva. Tipicamente, uno degli elementi più ardui 99

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L’assisted living (abitare assistiAssisted living to) consiste nell’introduzione della tece social robotics nologia — in particolare della robotica — per fornire assistenza a disabili e persone anziane, permettendo loro di vivere una vita il più possibile autonoma nella propria abitazione, svolgendo azioni meccaniche come prendere oggetti [38], vestire la persona [39], alimentarla [40]: gesti di cui altrimenti dovrebbe occuparsi un caregiverQR.


Nella casistica descritta, in particolare nell’esempio di Amsterdam, un pilastro che favorisce lo sviluppo di comportamenti virtuosi e nuove soluzioni tecnologiche è la creazione di iniziative che aiutino a condividere bisogni e obiettivi anche in termini di usabilità delle tecnologie attraverso meccanismi permanenti di confronto e sperimentazione. Un esempio sono gli home/living lab, iniziative basate sulla co-creazione di soluzioni con un’innovazione guidata dagli utenti stessi per ottenere risultati (nuovi prodotti e servizi) più conformi ai bisogni reali, con uno scambio di conoscenza e la possibilità per i processi di innovazione di radicarsi durevolmente nel tessuto sociale. L’home lab favorisce contemporaneamente la consapevolezza sociale sia nello stile di vita, sia nella capacità di usare le soluzioni tecnologiche esistenti. L’introduzione delle tecnologie riguarda anche e soprattutto tutti gli aspetti collaterali alle patologie, comprese tutte le attività non strettamente mediche e quelle relative al modo in cui i cittadini si rapportano al sistema sanitario (per esempio, dal modo di ricevere una prescrizione medica al modo di sostenerla). Sono cioè comprese nelle soluzioni sperimentate in home lab anche quelle che favoriscono l’innovazione dei processi quotidiani di interazione tra strutture e operatori medici, e tra queste e la popolazione. Così come il gruppo di ricerca di Amsterdam ha per obiettivo far sì che nel 2025 ogni cittadino possa controllare e gestire i suoi bisogni di salute, anche noi potremmo avviare un percorso che nel prossimo futuro porti Bergamo e suoi cittadini a gestire le esigenze in quest’ambito con consapevolezza e autonomia. L’home lab è anche elemento attivatore di percorsi virtuosi rispetto al mondo della conoscenza e dell’innovazione favorendo, come nel caso delle Marche, iniziative congiunte e coordinate del sistema imprenditoriale oltre a un aumento della ricerca applicata con approccio multidisciplinare.

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Per raggiungere questi obietBergamo Longeva tivi, il punto di partenza può essere e HomeLab Bergamo considerare alcune iniziative già presenti sul territorio (per esempio quelle che interessano gli anziani), cercando di metterle a sistema. Bergamo Longeva è un’iniziativa di riferimento. È un progetto a cui partecipano il Comune (direzione Servizi Sociali ed Educativi), la Diocesi vescovile, l’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri, l’ASL e l’Università di Bergamo, con l’obiettivo di definire e adottare linee di indirizzo per un invecchiamento attivo, la solidarietà tra generazioni e la costruzione di buone prassi. Bergamo Longeva punta a coordinare le iniziative nell’ambito dell’invecchiamento preesistenti — evitando che si sovrappongano o si contrastino reciprocamente — e a favorire iniziative congiunte. All’interno delle attività di Bergamo Longeva è in corso di valutazione e avviamento un home lab. Il progetto nasce da una collaborazione con il Georgia Tech HomeLab, che dal 2012 conduce sperimentazioni di successo nella città di Atlanta negli Stati Uniti. L’HomeLab riunisce una comunità di anziani che hanno acconsentito a partecipare alla ricerca, un gruppo multidisciplinare di ricercatori scientifici, le aziende del territorio interessate a rendere i propri prodotti sempre più appropriati per l’utente finale. Ha l’obiettivo di svolgere all’interno delle abitazioni sperimentazioni che sostengano lo sviluppo di tecnologie innovative per la salute, il benessere e l’indipendenza degli anziani, valutando la sicurezza, efficacia, usabilità e accessibilità delle soluzioni. Un’ulteriore finalità è attuare studi longitudinali per capire le tendenze di lungo periodo nell’ambito della salute e del benessere degli anziani. La realizzazione di HomeLab Bergamo avverrà in maniera graduale, sfruttando le reti sociali presenti nella città, integrandole e collegandole fra loro. Il «contenitore» più ampio, Bergamo Longeva, ha il ruolo di: – favorire, per esempio, il coinvolgimento dell’ASL nella mappatura epidemiologica del territorio e nell’inserimento delle tecnologie rispetto alle iniziative di prevenzione già attivate; – attraverso l’Ordine dei Medici, portare il contributo e il punto di vista degli operatori di medicina generale, figure di fiducia e di riferimento per i pazienti (in particolare quelli anziani). 101

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è garantire i meccanismi di innesco e lo sfruttamento delle sinergie che potenzialmente vengono a crearsi. Per favorire l’avvio di questo percorso la tecnologia può dare un apporto fondamentale, ma è necessario che essa sia «messa a sistema», integrata nel contesto urbano, considerandone i limiti e le specificità. È inoltre necessaria la partecipazione attiva dei cittadini, per portare a soluzioni condivise e apprezzate dall’intera collettività.


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Il secondo elemento di svilupCoinvolgere po è integrare il coinvolgimento degli la popolazione, attori sociali già presenti in Bergamo catalizzare le risorse Longeva con il mondo industriale, per alimentare le attività dell’home lab anche sotto il profilo della crescita tecnologica e della produzione di soluzioni. HomeLab Bergamo dovrebbe essere il contenitore e la modalità di interazione che catalizza gli attori del territorio in modo sistematico, organizzato e sinergico, contando sul background tecnologico-scientifico e sulle numerose collaborazioni locali e internazionali dei partner aderenti. A titolo di esempio, possiamo citare due progetti in cui la sperimentazione prevede il coinvolgimento della popolazione: 1. «Smart Ageing»: progetto finanziato dal bando MIUR Smart Cities da luglio 2013 a dicembre 2015. L’obiettivo di Smart Ageing 102

è impiegare le tecnologie più moderne per migliorare la qualità della vita degli anziani, aumentare il benessere dei cittadini, assisterli e motivarli per accrescerne l’autonomia, stimolarli al mantenimento dello stato di salute. Per ottenere questi risultati, il progetto svilupperà e sperimenterà una piattaforma di raccolta e condivisione di dati personali, alimentata da sensori e dispositivi, collegata a un sistema centralizzato di elaborazione delle informazioni. L’analisi dei dati servirà a sviluppare applicativi software capaci di svolgere funzioni specifiche, comunicando con il cittadino attraverso dispositivi mobili (smartphone, tablet, smart TV). L’obiettivo è tenere sotto osservazione la condizione fisica degli anziani, guidarli e motivarli a intraprendere e mantenere stili di vita salutari. 2. «La medicina predittiva nella valutazione del rischio di perdita dell’autonomia»: progetto finanziato dal ministero della Salute e diretto dall’ASL con la partecipazione del Centro Studi Don Orione e dell’Università degli Studi di Bergamo, con l’obiettivo principale di creare una rete di intervento per la riduzione del rischio di perdita di autonomia nella popolazione ultrasessantacinquenne. A questo fine, un servizio operativo di medicina predittiva a cura del Don Orione si occuperà di valutare le condizioni cliniche e psicosociali degli utenti, prescrivere corretti stili di vita e un’attività fisica adattata (AFA), facilitare l’inclusione sociale degli utenti. Per entrambi i progetti, HomeLab Bergamo è un ambiente ideale di sperimentazione di prodotti e servizi. Più in generale, l’ampio spettro di tecnologie che quotidianamente possono sostenere gli anziani ricomprende: – tecnologie volte a sostenere l’anziano in ambito medico-sanitario, come per esempio i dispositivi di aderenza terapeutica nel progetto Smart Ageing; – tecnologie di comunicazione, per esempio smartphone adattati alle esigenze degli anziani; – tecnologie volte all’empowerment e alla prevenzione, ad esempio per favorire l’attività motoria adattata (come nel caso del progetto di medicina predittiva). 103

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Il primo obiettivo delle attività di HomeLab Bergamo è creare un tessuto sociale consapevole direttamente coinvolto nella ricerca, attraverso il suo feedback, nello sviluppo e test di nuove soluzioni. Il coinvolgimento della popolazione può avvenire con l’adesione al programma, che implica la compilazione di questionari dettagliati per valutare le caratteristiche specifiche dell’anziano e degli ambienti di vita: elementi essenziali per capire le ragioni dei riscontri positivi o negativi forniti dagli anziani nelle sperimentazioni successive. Queste ultime sono avviate «ad hoc» su temi specifici. La partecipazione dei cittadini avviene anche attraverso il feedback fornito rispetto all’uso occasionale o continuativo, nei propri ambienti di vita, di nuove soluzioni, per individuare i bisogni relativi ai problemi ritenuti più rilevanti. Per abbattere la normale diffidenza iniziale, sono stati previsti l’individuazione e lo sviluppo di esempi di progettualità applicata che siano visibili all’interno della città, con un contenuto di tecnologia, così da generare un primo avvicinamento della popolazione alle tecnologie e al sociale. Questi progetti pilota favoriranno la realizzazione di progetti ulteriori, ma soprattutto indicheranno come rendere gli interventi successivi ancora più pervasivi nel tessuto sociale.


LE FASI OPERATIVE DEL PROGETTO

Fasi:

Obiettivi:

CREAZIONE BERGAMO LONGEVA Allineamento e coordinamento delle varie iniziative

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CREAZIONE E STRUTTURAZIONE HOME LAB Favorire la co-creazione dei prodotti/servizi ACCORDO CON GEORGIA TECH Favorire i rapporti internazionali per contaminazione/disseminazione COINVOLGIMENTO TESSUTO SOCIALE

Creare una base per la ricerca con informazioni più complete e rispondenti alle effettive necessità e favorire la partecipazione attiva dei cittadini

COINVOLGIMENTO TESSUTO INDUSTRIALE Individuazione sperimentazioni e prototipi da testare

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01 Un diverso approccio alla mobilità urbana _p. 109

02 Dai Piani Urbani a una gestione integrata _p. 110

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03 Potenzialità e criticità dei modelli europei _p. 115 05 La cartografia interattiva del Mobility Mapping _p. 125 07 Le conclusioni _p. 133

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04 Il «capitale spaziale» e la governance per l’accessibilità _p. 120

06 Le proposte _p. 130


La gestione integrata della mobilità urbana sostenibile

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Una nuova definizione di mobilità, fortemente legata all’accessibilità dei luoghi più che al movimento nello spazio di individui, beni materiali e immateriali [1; 2] è lo scenario di lavoro per il futuro. Fondando la pianificazione sui bisogni dei cittadini rispetto all’accessibilità di luoghi e servizi, si possono immaginare nuove soluzioni di mobilità, così come delle alternative allo spostamento stesso e all’incremento d’infrastrutture di trasporto. Questa prospettiva permette di evidenziare un nuovo approccio all’urbanità che supera la tradizionale contrapposizione centro/periferia, mettendo in luce le connessioni tra urbano e periurbano e dando un ruolo inedito e una nuova centralità alle tradizionali aree decentrate [3]. Abbandonando la prospettiva L’intelligenza dell’urbano smart fondata esclusivamente sull’ampliamento, l’implementazione e la diffusione delle soluzioni informatiche e telematiche, si può riflettere sulla «intelligenza dell’urbano» [4] con scenari che coinvolgono i vari attori territoriali (istituzionali, associativi, privati) in ogni fase della ricerca. Il progetto Bergamo Mobile ha un obiettivo duplice: analizzare gli strumenti di gestione smart della mobilità e comprendere le esigenze degli abitanti mediante tecniche partecipative. La ricerca si articola in due ambiti integrati e di contaminazione reciproca: Smart Mobility Planning: per costruire strumenti di pianificazione intelligente della mobilità. Muovendo da casi di studio virtuosi a scala internazionale, si sviluppa una visione del contesto urbano bergamasco che evidenzia la transcalarità delle connessioni, a partire dalla relazione tra sistema urbano ed extra-urbano; Spatial Capital/Governance: per individuare il «capitale spaziale», inteso quale insieme di competenze ed esperienze che qualunque individuo — abitante o city user — possiede rispetto ai luoghi in cui si muove. Questo capitale può essere recuperato e valorizzato come patrimonio nella governance territoriale, attraverso processi e sistemi cartografici partecipativi. 109

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01 Un diverso approccio alla mobilità urbana


Questo capitolo illustra i principali risultati della ricerca, che si è mossa dall’analisi degli strumenti di pianificazione nel contesto locale e dal confronto con esperienze internazionali, per procedere poi al recupero del capitale spaziale e alla realizzazione di un sistema di mapping funzionale alla progettazione integrata della mobilità.

La sfida posta dallo sviluppo sostenibile nelle zone urbane è immensa: si tratta di conciliare, da un lato, lo sviluppo economico delle città e l’accessibilità del loro territorio e, dall’altro, la qualità di vita e la tutela ambientale. Di fronte a queste problematiche dalle molteplici implicazioni, occorre uno sforzo comune per incentivare la ricerca di soluzioni innovative e ambiziose in materia di trasporto urbano che permettano di rendere le nostre città più agibili, più accessibili, più sicure e meno inquinate. Insieme, dobbiamo trovare i mezzi per conseguire una migliore mobilità urbana e periurbana, una mobilità sostenibile, una mobilità al servizio di tutti i cittadini europei, ma che consenta anche agli operatori economici di sentirsi a loro agio in città [5]. La strategia comune europea in materia di mobilità (Libro Bianco e Libro Verde dell’Unione Europea, [6] e [5]) si colloca entro il quadro più ampio delle politiche di sviluppo spaziale e territoriale. Si può articolare in modo coerente secondo le linee della sostenibilità economica, sociale e ambientale enunciate nei principi guida: – sostenibilità economica: usare le risorse efficientemente per massimizzare il bilancio costi/benefici di un’azione; – sostenibilità sociale: garantire a tutti i cittadini, con particolare riferimento ai soggetti più deboli, il pieno diritto a una buona accessibilità dei servizi e delle funzioni della vita associata [7]; – sostenibilità ambientale: contenere gli impatti negativi della mobilità facendo calare le emissioni inquinanti e riducendo al minimo le pressioni sull’ambiente urbano e l’incidentalità stradale. 110

La vision per la mobilità del futuro non può prescindere dal considerare alcuni trend globali: crescita della popolazione urbana, movimenti migratori, crescente longevità della popolazione, reti di distribuzione sempre più connesse, modificazione delle capacità di spesa e degli status della mobilità, diffusione pervasiva della connettività di rete, importanti segnali di propensione alla condivisione. Una strategia credibile per la mobilità urbana [8] deve coniugare capacità di visione — a breve e a medio termine — con una programmazione chiara, dai tempi ben definiti, delle progettualità e delle azioni connesse. La programmazione si fonda su una lettura della «linea di base» dell’offerta di partenza e su un set di obiettivi prestazionali, definiti e misurabili. Il raggiungimento di questi obiettivi, tesi a qualificare il sistema della mobilità dal punto di vista qualitativo, della sicurezza e della sostenibilità, si fonda su una traiettoria duplice [9]: Favorire l’evoluzione di una domanda di mobilità meno opulenta in linea con gli orientamenti di diversi paesi, in particolare nordeuropei, in merito a infrastrutture e forme di protezione per la mobilità lenta, grado di utilizzo del trasporto pubblico locale (TPL), gestione delle politiche temporali urbane, agenda digitale per i servizi ecc. In un contesto simile, i dispositivi tecnologici possono aiutare ad alzare il livello di informazione e relazione. Il loro uso può anche essere orientato ad aumentare l’appetibilità dei modi e dei sistemi di trasporto. L’infomobilità e i sistemi di e-ticketing integrati nel TPL sono importanti campi di opportunità di innovazione, anche rispetto alla capacità di incidere sulle percezioni e sugli equilibri delle preferenze individuali. 111

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02 Dai Piani Urbani a una gestione integrata

Rispetto alle azioni di promozione della mobilità sostenibile da parte della UE, è particolarmente significativo lo slogan dell’edizione 2014 della Settimana Europea della Mobilità, promossa dalla Commissione Europea per incoraggiare i cittadini a usare mezzi di trasporto alternativi: «Our Streets, Our Choice». L’obiettivo è sensibilizzare la cittadinanza sul legame tra le proprie scelte di mobilità, il traffico motorizzato e l’inquinamento atmosferico nelle aree urbane, e su una migliore fruizione degli spazi urbani.


Trasporto collettivo intermodale

Il territorio e le Bergamo ha specificità territoriali di rilievo riguardo all’organizzainfrastrutture zione del sistema della mobilità: – un capoluogo che riveste un ruolo forte nell’erogazione di servizi, ma ha un peso (demografico e territoriale) relativamente modesto rispetto all’area urbana di riferimento; – le energie di rilievo che caratterizzano il sistema collinare sul quale sorge il centro storico principale e che hanno condizionato il funzionamento dell’area urbana densa che si è strutturata cingendo il colle; – le polarità del commercio, della salute, della produzione e dello scambio organizzate sulla scala dell’area urbana allargata.

Sharing

Informatica e telematica come motori, non come obiettivi, della riqualificazione del sistema della mobilità

Mobilità dolce

Una pianificazione della mobilità urbana fondata sul paradigma di sostenibilità sopra delineato si configura su tre diversi piani di azione: – interventi strategici: definiti con una logica selettiva, per configurare un assetto durevole del sistema della mobilità; – interventi diffusi: finalizzati a risolvere le questioni ricorrenti (nodi di congestione, punti deboli per sicurezza ecc.); – programma di gestione: per un uso efficace delle risorse disponibili nell’attuazione degli interventi.

Rispetto alla dotazione infrastrutturale, tre tratti significativi sono: la presenza dello scalo aereo di Orio al Serio, porta principale di relazione con il contesto continentale; un profilo di servizio della rete ferroviaria non adeguato, sia nella relazione con la polarità e con lo snodo di Milano, sia nel ventaglio di relazioni regionali e interregionali. L’accessibilità del territorio nazionale da Bergamo attraverso la rete ferroviaria sconta la collocazione su una direttrice secondaria, che si appoggia alla rete «forte» attraverso i nodi di Milano, Brescia e (verso sud) TreviglioQR; 113

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La tecnologia al servizio di una mobilità migliore

Migliorare l’efficienza dei sistemi di offerta di mobilità con progetti a basso impiego di capitale, orientando gli sforzi in particolare su dispositivi «leggeri» che innalzino il livello di informazione e di sicurezza dei servizi, con particolare riferimento alla mobilità lenta («autostrade ciclabili») e al TPL.


Considerando gli obiettivi di un Piano Urbano di Mobilità Sostenibile e le politiche e misure comunitarie in atto, possiamo ipotizzare tre tipi di progettualità nel territorio bergamasco. La sperimentazione di forme di sharing che rispecchiano la tendenza emergente di iniziative di condivisione di mezzi di trasporto come biciclette e autoveicoli. In particolare, il confronto con i diversi soggetti del territorio rivela un interesse significativo per un car sharing di quartiere che riduca la pressione del traffico e che sia un preludio alla definizione graduale di aree residenziali pilota per la mobilità sostenibile. Un sistema portante di trasporto, articolato sia in una qualificazione in chiave metropolitana della rete ferroviaria per le tratte dell’area urbana (con un’estensione verso lo scalo di Orio al Serio), sia nel collegamento ovest-est dell’area urbana verso le direttrici delle valli Brembana e Seriana, peraltro già ampiamente previsto in forma di sistema tramviario nella pianificazione territoriale vigente. Un sistema di alto livello di servizio su questa linea (che attraversa il centro cittadino e connette polarità importanti come il complesso ospedaliero S. Giovanni XXIII), raggiungibile anche con interventi graduali, sarebbe un investimento a lungo termine per innescare una qualificazione degli spazi pubblici urbani. Una valorizzazione della rete dei percorsi di mobilità dolce che rafforzi un contesto costruito di pregevole valore paesaggistico nella condizione distintiva di città storica integrata con un colle/parcoQR.

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Le possibilità di sviluppo per il sistema di Bergamo

03 Potenzialità e criticità dei modelli europei Tali progettualità derivano dalle indicazioni e dalle strategie elaborate a scala comunitaria per la gestione sostenibile e innovativa della mobilità in ambito urbano. L’Unione Europea si è posta l’ambizioso obiettivo di dimezzare entro il 2030 il numero di auto ad alimentazione convenzionale nel trasporto urbano, per escluderle gradualmente dalle città entro il 2050 [10]. A questo fine, ha avviato strumenti per condividere le buone pratiche, con una serie di campagne di sensibilizzazione, e indirizzato i finanziamenti verso azioni che incentivano la mobilità sostenibile: iniziative e progetti che, oltre a determinare un minore impatto ambientale ed economico, puntano a realizzare uno sviluppo equilibrato e una migliore integrazione dei diversi mezzi di trasporto. Poiché la mobilità urbana riguarda in primo luogo le persone, la sostenibilità di queste iniziative esige la partecipazione di abitanti e city users [11; 12]. La riduzione dell’inquinamento e il risparmio energetico nei sistemi di mobilità urbana sono anche gli obiettivi principali delle iniziative di molte città europee. Queste smart mobility solutions, per essere efficaci, devono essere progettate in maniera coerente con i Piani di Gestione della Mobilità Sostenibile: così mette in luce il recente rapporto Mapping Smart Cities in the EU, che descrive i tipi di azione per una smart mobility [13]: – sistemi di trasporto e logistica integrati e sostenuti da soluzioni informatiche e telematiche; – soluzioni green possibilmente non motorizzate; – informazioni in tempo reale per il monitoraggio e per la riduzione dei costi e delle emissioni inquinanti, mettendo in rete i gestori, migliorando i servizi e aggiornando i cittadini. L’Unione Europea promuove portali web e iniziative di condivisione e messa in rete delle esperienze: per esempio il portale della mobilità urbana ELTIS [14], l’iniziativa della Commissione Europea di condivisione di iniziative dimostrative e di best practice CIVITAS [15], la Settimana Europea della Mobilità Sostenibile [16], la campagna Do the Right Mix [17]. 115

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Tempi di accesso ferroviario dalla zona corrispondente all’area urbana di Bergamo (Fonte: Andrea Debernardi, Emanuele Ferrara, Studio META, Monza)

la connessione diretta con l’autostrada A4 che, specialmente nel tratto Milano-Brescia, ha sempre più il carattere di una «autostrada urbana» e che vede potenzialmente modificare il suo ruolo anche per il riassetto determinato dall’apertura della «direttissima» autostradale BreBeMi.


La forte attenzione volta a Progettare la città insieme connettere la progettazione della mobialla mobilità lità alla pianificazione urbana nel suo complesso è evidente anche dalle caratteristiche che, secondo la stessa Commissione Europea [11], deve avere un sistema di trasporti urbani strutturato in modo sostenibile.

– è accessibile e soddisfa le esigenze basilari di mobilità di tutti gli utenti; – risponde in modo equilibrato alle diverse richieste di mobilità e trasporto dei cittadini, delle imprese e dell’industria; – fornisce un orientamento per sviluppare in modo equilibrato e integrare meglio i differenti modi di trasporto; – soddisfa i requisiti di sostenibilità, con un equilibrio tra le esigenze di redditività economica, equità sociale, salute e qualità dell’ambiente; – ottimizza l’efficienza e il rapporto costi-efficacia; – utilizza meglio gli spazi urbani e le infrastrutture e i servizi di trasporto esistenti.

Alcune città europee sperimentano nuove tecnologie legate alla cosiddetta Internet of (Every)Things: con progetti a scala locale di dettaglio, come il boulevard interconnesso di Nizza, o in maniera più estesa alla città intera, come i progetti di smart parking e city sensing di Barcellona e SantanderQR.

Alcune buone pratiche di Smart Mobility in Europa

Altre città, come Copenaghen, Parigi e Londra, si sono indirizzate verso la promozione e l’innovazione della mobilità alternativa, con progetti di cycle sharing e smart card per biciclette e veicoli elettrici. E ancora Copenaghen e Londra, così come Helsinki, Glasgow e Bordeaux, offrono servizi di trasporto multimodale affiancati a sistemi innovativi di infomobilità, travel information e routing.

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Alcune definizioni di servizi e tecnologie caratteristici della Smart Mobility: – Car pooling: condivisione di automobili private da parte di un gruppo di persone, in maniera autoorganizzata o mediata da un servizio. – Car sharing e bike sharing: servizio di noleggio che permette agli iscritti di spostarsi con automobili o biciclette fornite dall’erogatore del servizio. – City sensing: reti innovative, composte da molteplici sensori connessi tra di loro, che permettono l’acquisizione di dati e informazioni e un monitoraggio continuo e dinamico della città e delle sue componenti. – Codici QR: codici a risposta veloce, a barra bidimensionale. Infomobilità: tecnologie dell’informazione e della comunicazione a sostegno della mobilità e degli spostamenti di persone e merci. – Internet of Things: un’evoluzione dell’uso della Rete che permette di dare a qualsiasi oggetto la capacità di comunicare e ricevere informazioni da altri oggetti. – Smart parking: applicazione delle tecnologie di city sensing per una gestione più efficiente dei parcheggi. – Smart card: tessere dotate di microchip che elaborano e memorizzano informazioni, dialogando con terminali di lettura. Sono utilizzate principalmente per il riconoscimento degli utenti e le transazione elettroniche. – Travel information e routing: servizi di elaborazione di informazioni relative a percorsi, traffico e mezzi di trasporto utili per la gestione efficiente degli spostamenti di persone e per il trasporto merci. – Tecnologia NFC: tecnologia di comunicazione virtuale a corto raggio tra due dispositivi, utilizzata ad esempio per trasferire informazioni o per la bigliettazione elettronica.

Ogni città affronta condizioni differenti, ma vi sono temi e tendenze di sviluppo comuni. La condivisione e la messa in rete delle esperienze possono essere quindi preziose, come dimostra il progetto europeo PUMAS (Planning Sustainable Regional/Urban Mobility in the Alpine Space) [18] finanziato dal programma UE Spazio Alpino.

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LE CARATTERISTICHE DI UN SISTEMA DI TRASPORTI URBANI SOSTENIBILE

L’ABC DELLA MOBILITÀ SMART


Avviato nel 2010 dall’Università di Cantabria in collaborazione con l’amministrazione locale, con Telefónica e con altri sedici partner internazionali, il progetto ha trasformato Santander in un laboratorio permanente su scala urbana e in una piattaforma di sperimentazione di nuove tecnologie. Grazie al finanziamento europeo, Santander ha installato numerosi sensori che permettono di monitorare e gestire diversi aspetti della vita della città: dai parametri ambientali al traffico, dai parcheggi alle informazioni culturali e turistiche [20]. Il progetto ha affrontato in primo luogo la gestione del traffico e dei parcheggi, posizionando quasi quattrocento sensori che rilevano la disponibilità dei posteggi e dieci pannelli informativi, collegati ai sensori, montati ai principali incroci di accesso al centro cittadino. Per migliorare la gestione del traffico privato su gomma, sessanta sensori posti lungo le 118

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principali arterie stradali di ingresso in città permettono di misurare parametri legati al traffico e fornire informazioni in tempo reale. Un diverso tipo di azioni è legato al participatory sensing. Attraverso un’applicazione, El Pulso El Pulso de la Ciudad, sito web de la Ciudad, dei sensori all’interno degli smartphoper la gestione ne inviano dati al sistema, che li rielabora integrandoli del traffico di Santander, con quelli provenienti dai sensori fissi. L’applicazione in Spagna [21] visualizza anche segnalazioni che gli utenti inseriscono volontariamente. A tutto questo si aggiungono le notizie provenienti dal Comune e dal quotidiano locale, che sul suo sito web ospita la pagina dedicata a questa piattaforma informativaQR. Un’altra applicazione per smartphone, Santander RA, usa la «realtà aumentata» per diffondere informazioni relative a cultura, commercio, trasporti pubblici e altro. Presso ogni pensilina degli autobus, museo o negozio segnalato all’interno della realtà aumentata si trova anche una targhetta con codice QR e banda NFC, tecnologie che permettono di accedere velocemente alle informazioni evitando l’installazione di pannelli informativi elettronici costosi e invasivi. L’esperienza di Santander può essere un modello per la progettazione e l’implementazione di una rete di sensori e piattaforme per gestire e condividere dati in tempo reale. Tuttavia, è utile sottolineare due criticità. La prima riguarda il fatto che il progetto SmartSantander ha affrontato quasi esclusivamente la mobilità privata su gomma, integrandosi poco con il Piano della Mobilità Sostenibile realizzato negli stessi anni; la seconda è relativa invece alla difficoltà di coinvolgere la cittadinanza nell’uso effettivo delle applicazioni. Entrambe le debolezze si possono ricondurre alla stessa ragione. Le iniziative di Santander si concentrano sulle tecnologie smart senza approfondire ciò che qui chiamiamo «l’intelligenza dell’urbano» [4]: hanno privilegiato l’innovazione tecnologica nella gestione della mobilità a scapito del riequilibrio della ripartizione modale e della dimensione socioculturale delle scelte individuali di mobilità [22].

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Bergamo mobile

Il progetto promuove la mobilità Mobilità sostenibile sostenibile in sei città europee (Venee «polso» del traffico zia, Torino, Monaco di Baviera, Nova Gorica, Vienna, Lione), sperimentando Piani Urbani di Mobilità Sostenibile (PUMS) basati sulla partecipazione, l’integrazione, la valutazione, l’internalizzazione dei costi. Gli altri membri del progetto (l’associazione dei trasporti di Monaco MVV, la FERN University di Hagen, il centro di ricerca CEIT Alanova in Austria, l’istituto UIRS in Slovenia) svolgono un ruolo essenziale nello sviluppo, nel mantenimento della comunità e nella comunicazione e diffusione delle informazioni all’interno dello Spazio Alpino. All’interno del Progetto Mobilità Urbana di Bergamo, il gruppo di ricerca ha approfondito il caso di Santander, una delle città europee pioniere della progettualità urbana smart, selezionata perché paragonabile a Bergamo grazie ad alcune caratteristiche comuni: quantità demografica; vicinanza a un’area metropolitana (Bilbao); presenza di un’Università, di un centro di rilievo storico e di un aeroporto con forte presenza di linee low cost. Santander, inoltre, è una città cluster coinvolta nel progetto di ateneo «Centralità dei Territori: verso la rigenerazione di Bergamo in un network europeo», promosso dal CST — Laboratorio Cartografico Diathesis, che ha reso possibile effettuare una missione di ricerca volta ad approfondire il progetto SmartSantander [19].


Pensare all’intelligenza dell’urbano in ambito di mobilità non significa solo concentrarsi sulle potenzialità offerte dalle tecnologie. Richiede anche di superare l’approccio tradizionale che vede nello spostamento e nell’aumento di infrastrutture la chiave per risolvere i problemi di mobilità. La nuova prospettiva si basa sull’accessibilità dei luoghi dell’abitare, del lavoro, dei servizi, dello svago, nonché sui bisogni individuali di spostamento. Cittadini e city users (residenti, migranti, turisti, pendolari…) diventano i soggetti attorno ai quali ruotano le proposte di mobilità sostenibile nella città intelligente. L’accessibilità è ripensata come l’insieme delle possibilità effettive che ciascuno ha per raggiungere i luoghi che desidera, rivalutando i percorsi in modo efficiente, con risparmi di tempo, costi e risorse. Quindi l’accessibilità non è data solamente dal potenziale di infrastrutture: è correlata ad altri fattori come la posizione, il costo, le condizioni di manutenzione, vale a dire le variabili che incidono sulle scelte di mobilità degli individui. Queste variabili possono essere evidenziate facilmente in base al «capitale spaziale»: un concetto nato in ambito geografico per definire l’insieme di conoscenze e competenze dell’individuo utili a gestire i passaggi tra le diverse scale geografiche, da quella locale a quella internazionale, dal «qui» all’«altrove» [23]. Fare leva sul concetto di capitale spaziale permette di recuperare le competenze di un individuo e di metterle in relazione con quelle di altri, per tradurle in bene comune [4]. È un capitale di conoscenze che ciascuno — cittadino o city user —ha in relazione ai luoghi che frequenta, attraversa, raggiunge. Può essere valorizzato per mettere in luce le criticità della mobilità quotidiana (per esempio l’obsolescenza o la mancanza di infrastrutture, il loro grado di sicurezza, la presenza di incroci pericolosi e percorsi pedonali a rischio) e le potenzialità dell’accessibilità (percorsi preferenziali, perché più sicuri e più veloci, o soluzioni adottate in seguito alla segnalazione degli utenti).

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Il governo della città difficilmente può rispondere ai bisogni individuali

Partire dai bisogni condivisi di spostamento

di cittadini e city users (per esempio, predisporre un mezzo pubblico che passi all’orario richiesto dal singolo); ma può sfruttare il capitale spaziale per ragionare su bisogni collettivi legati a fattori temporali, di costo, di distanza che siano condivisi da un alto numero di persone che frequentano lo stesso luogo o lo stesso percorso, per creare un sistema di mobilità intelligente. Il capitale spaziale ha una duplice rilevanza: permette di identificare bisogni condivisi e consente di far emergere strategie risolutive comuni rispetto ai problemi di mobilità. Il progetto Bergamo Mobile ha applicato la metodologia di ricerca partecipativa «Strategia SIGAP» (Sistemi Informativi Geografici Azioni Partecipate) [24], per attivare processi partecipativi ed elaborare strumenti che aiutino a capire le esigenze, le criticità e le strategie dei diversi attori che a vario titolo si occupano di mobilità urbana a Bergamo. In particolare, un’inchiesta partecipativa ha puntato a recuperare il capitale spaziale mediante interviste a interlocutori privilegiati (a cui è seguita la creazione di un «Tavolo della Mobilità Bergamo 2.035»); una survey online rivolta agli studenti universitari; e un focus group che ha coinvolto associazioni locali. Il team di ricerca ha incontrato

Il Tavolo della Mobilità

diverse categorie di attori istituzionali, Bergamo 2.035 fornitori di servizi, associazioni e comitati, per mettere in evidenza temi di confronto, bisogni e strategie, avanzando ipotesi di progetti-pilota. Da questo passaggio è emersa la varietà delle sensibilità presenti nel territorio urbano e delle iniziative per la mobilità sostenibile, così come la necessità di ricorrere a un sistema dei trasporti alternativo a quello privato su ruota, a partire da proposte e idee capaci di affrontare i temi dello sharing, delle tecnologie smart e di una nuova governance della mobilità, tenendo conto dei fattori abilitanti e inibenti. Un esito del confronto è stata l’organizzazione di un Tavolo della Mobilità Bergamo 2.035 che ha permesso di creare una rete tra interlocutori iniziando un processo di dialogo e collaborazione. 121

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04 Il «capitale spaziale» e la governance per l’accessibilità


Alcune best practice della mobilità a Bergamo: – Esistono 160 «Gruppi di cammino» dell’ASL, distribuiti in tutta la provincia, che pongono particolare attenzione non solo all’aspetto sanitario del camminare ma anche alla qualità dei territori. – Un gruppo di pendolari bergamaschi da molti anni riunisce soggetti che gravitano attorno alla ferrovia, assumendo un ruolo decisamente rilevante dall’entrata in vigore della legge regionale n. 6 del 4 aprile 2012 che istituisce la «Conferenza regionale del trasporto pubblico locale». – Il gruppo di professionisti «Habitans» studia da alcuni anni la «rete del ferro» del territorio bergamasco, ripensando lo sviluppo delle linee tramviarie come elemento che può permeare il tessuto urbano, rigenerando territori percepiti come barriere o fratture urbane. – Diverse associazioni, come Pedalopolis e A.Ri.Bi., stanno elaborando soluzioni che sollecitano e favoriscono l’uso e la cultura della bicicletta come strumento di svago, di locomozione alternativa urbana ed extraurbana. – ATB ha recentemente realizzato una applicazione per smartphone dedicata al trasporto pubblico locale, ai servizi di sosta e al bike sharing. – La Bergamasca ospita aziende leader nel campo dei sistemi integrati di approvvigionamento energetico di fonti rinnovabili (solare, eolico, termico) e della realizzazione di impianti di uso civile e industriale, per esempio impianti fotovoltaici con ricarica per auto elettriche. – Esistono 4 punti di car-sharing in città, realizzati da eVai-Trenord e SEMS, dove noleggiare auto totalmente elettriche che, attraverso l’integrazione con la rete ferroviaria regionale, realizzano un sistema di trasporto intermodale alternativo all’uso del mezzo privato. – La mobilità non è solo su ruota: in molte scuole elementari, i genitori hanno organizzato il Piedibus per accompagnare i figli a scuola a piedi, educandoli a vivere gli spostamenti pedonali in modo sicuro e sostenibile.

Il team Bergamo Mobile ha L’accessibilità delle sedi realizzato sul web una survey parteciuniversitarie pata per indagare l’accessibilità delle sedi dell’Università di Bergamo, ricostruire la rete dei percorsi casa-università 122

e monitorare le scelte di mobilità effettuate dagli studenti. Oltre a richiedere alcune informazioni generali sul profilo dello studente, l’area di partenza, le sedi di destinazione e i percorsi, l’inchiesta insiste su mezzi, tempi e scelte per gli spostamenti casa-università (distanza, tempo impiegato, mezzi privati e pubblici, costi affrontati), indagando lo stato delle aree di sosta (parcheggi abituali, costi, aree di interscambio) per poi comprendere la disponibilità e la propensione degli studenti all’uso di mezzi alternativi (trasporto di gruppo, maggiore uso della bicicletta, sharing…). Grazie all’inchiesta è possibile tracciare il profilo dello studente medio che frequenta l’Università di Bergamo: vive con i genitori, in nucleo familiare di quattro persone, e ha in media a disposizione due automobili e tre biciclette. È uno studente a tempo pieno che tuttavia svolge qualche lavoro saltuario. Si reca in università circa tre/quattro volte a settimana, percorrendo, tra andata e ritorno, cinquanta chilometri in due ore. I mezzi di trasporto che più utilizza sono l’autobus urbano, con una spesa di 70 euro al mese per l’abbonamento, e l’automobile privata, con una spesa mensile di circa 150 euro che include carburante, parcheggio, assicurazione e bollo. Autonomia del movimento, durata e comodità del viaggio sono i motivi principali che spingono gli studenti a scegliere l’automobile, mentre chi sceglie il mezzo pubblico lo fa per assenza di quello privato o per difficoltà di parcheggio. Emerge inoltre una carenza di forme di trasporto condiviso e intermodale: il 74% dei partecipanti al sondaggio viaggiano da soli, una quota simile (il 78%) non usa i parcheggi di interscambio a disposizione. Tra i maggiori problemi percepiti vi sono il tempo impiegato per gli spostamenti casa-università, la carenza di parcheggi presso le sedi universitarie, il loro costo eccessivo quando invece i parcheggi ci sono. La principale soluzione auspicata dagli studenti è l’aumento di spazi per la sosta, gratuiti o convenzionati: una soluzione che rimane entro i confini di una mobilità individuale su ruota. In un quadro di abitudini così poco sostenibili, le due note positive sono che il 70% degli studenti si dichiara disponibile a partecipare ad altre forme di trasporto collettivo organizzate dall’Università e che la seconda soluzione più votata è l’aumento della frequenza delle corse del trasporto pubblico. La consultazione è utile non solo per conoscere i bisogni e gli atteg123

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I GERMOGLI DI UNA MOBILITÀ SOSTENIBILE


giamenti degli studenti e per individuare soluzioni intelligenti per una mobilità urbana sostenibile, ma anche per ipotizzare strategie di comunicazione e sensibilizzazione che contribuiscano a far emergere l’insostenibilità di soluzioni apparentemente positive.

Le criticità sono in particolare: – il rapporto tra edificato e mobilità urbana, con interventi edilizi che non tengono conto dell’impatto generato sulla mobilità; – la presenza di fratture e interruzioni degli spazi pubblici in corrispondenza degli assi interurbani di penetrazione: i cittadini usano le metafore del muro, della frattura, della rottura per descrivere gli effetti delle strade ad alta percorrenza; – la mancanza di tutela per la mobilità lenta soprattutto nei confronti degli attori più sensibili (anziani, bambini, diversamente abili…); l’inadeguatezza dei percorsi pedonali in corrispondenza di attività commerciali e servizi; – l’identificazione delle aree di sosta come di spazi rubati al verde e alla socialità che potrebbero essere spostati in aree sotterranee. Tra le soluzioni locali ci sono: – il rafforzamento dei trasporti pubblici in corrispondenza di grandi poli di servizi: scolastici, sanitari, della mobilità (aeroporto), sportivi; – l’aumento della sicurezza nei quartieri, tutelando gli attraversamenti pedonali, gli incroci, le aree di uscita delle scuole; – la segnalazione di soluzioni alternative per la mobilità nel quartiere basandosi anche sui suggerimenti e le proposte degli abitanti: per esempio percorsi pedonali, attraversamenti e zone a 124

La mappa della mobilità realizzata con il Coordinamento Comitati e Associazioni dei Quartieri di Bergamo

In linea con i principi cardine del Piano della Mobilità Sostenibile della Commissione Europea, il cui motto è «Planning for People» [12], le tre iniziative dell’inchiesta partecipativa mostrano l’importanza del capitale spaziale nell’analisi dell’accessibilità. Creare un dialogo tra gli attori può facilitare percorsi decisionali integrati e più efficaci nella risoluzione dei problemi: se non per intervenire in ogni singola situazione, almeno per identificare le priorità di intervento secondo la gravità e pericolosità del caso, tracciando un quadro della situazione che comprenda anche i quartieri periferici, altrettanto strategici di quelli centrali nel quadro della mobilità urbana.

05 La cartografia interattiva del Mobility Mapping Oltre al processo partecipativo attivato con gli stakeholder, per lo studio della mobilità a Bergamo è risultato imprescindibile creare strumenti cartografici di conoscenza come basi per coinvolgere gli stessi stakeholder nelle fasi di indagine e progettazione territoriale [24]. Il gruppo di ricerca ha realizzato un mobility mapping di Bergamo: un sistema cartografico interattivo, costruito presso il Laboratorio Cartografico Le infrastrutture Diathesis, ha costituito la fase conclusiva della metodolodella mobilità gia partecipativa, fungendo da strumento di capitalizzain provincia di Bergamo zione dei risultati della ricerca. 125

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I comitati e le associazioni La collaborazione con il Coordinamento dei Comitati e delle Assodei quartieri ciazioni dei Quartieri di Bergamo ha permesso di identificare nella mobilità una problematica comune e di grande interesse nelle diverse aree della città. Una mappatura partecipativa sul web ha messo in luce la diffusione di criticità di ordine locale così come di questioni di interesse globale per tutto il territorio urbanoQR.

30 km/h, diversi percorsi dell’autobus all’interno del quartiere; – l’identificazione delle aree in cui si concentrano servizi pubblici, luoghi di interesse culturale e attività commerciali dove incrementare il trasporto pubblico e la creazione di parcheggi esterni per ridurre e controllare i flussi dei mezzi privati in entrata.


Bergamo Mobility Mapping

Regione Lombardia Provincia di Bergamo Rete ferroviaria

Sondrio

Tempi minimi di percorrenza Fino a 30 minuti 30-60 minuti 1-2 ore Più di 2 ore

Lecco

Como

Bergamo

Varese Monza

Treviglio

Milano

Villa d’Almè Almè

Pavia

Ranica Villa Torre di Serio Boldone Scanzorosciate

Valbrembo Mozzo

Gorle

Bergamo

Padrengo

Brescia

Orio al Serio

Treviolo Lallio

Cremona

Mantova

Dalmine

Torre de’ Roveri Albano S. Alessandro

Curno

Crema Lodi

Ponteranica

Paladina

Ponte San Pietro

Alzano Lombardo

Sorisole

Azzano San Paolo Stezzano

Seriate

Grassobbio

Osio Sopra

Numero abbonamenti ATB 101-1000 1001- 4500

Frequenza

(numero di treni al giorno) Meno di 20 20 -40 Più di 40

Area urbana di Bergamo Confini comunali


Il Mobility Mapping su Google Earth

Il Mobility Mapping è un sistema cartografico interattivo via web che si appoggia alla piattaforma Google Earth e consente di visualizzare e interrogare in maniera dinamica i dati di localizzazione delle infrastrutture di mobilità nel territorio bergamascoQR, così come la loro

La prima è servita a identificaLe scale territoriali re l’estensione del territorio di analisi e visualizzazione dei dati, con particolare riguardo alla definizione di un’area intermedia tra lo spazio comunale e quello provinciale di Bergamo. La mobilità interessa diversi livelli territoriali, creando una reticolarità interna alla Provincia, dal momento che l’area urbana oltrepassa i confini del capoluogo (comprendendo una trentina di comuni specificati nel Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale e interessati dai percorsi del sistema di trasporto pubblico su ruota gestito dall’Azienda Trasporti Bergamo, ATB). Si tratta di una corona circolare che cinge il capoluogo di provincia ed è abitata da circa 320.000 residenti. Per i flussi dei pendolari, costituisce la principale area di compenetrazione tra l’urbano e il periurbano. Sotto il profilo grafico, dunque, il Mobility Mapping identifica tre scale territoriali attraverso altrettanti livelli del medesimo cromatismo: la più interna e la più esterna visualizzano le aree amministrative istituzionali, rispettivamente del Comune e della Provincia di Bergamo; quella intermedia definisce l’area di estensione del territorio periurbano. Questi livelli costituiscono quindi un «fondo carta» che non solo non ostacola la visualizzazione dei dati, ma ne permette un’esplorazione tridimensionale e paesistica particolarmente suggestiva in un territorio pedemontano come quello bergamasco. Con lo zoom out, il quadro viene connesso con un livello territoriale 128

La seconda fase ha localizzato Le infrastrutture il sistema delle infrastrutture locali, con della mobilità particolare attenzione alla mobilità sostenibile. Una volta analizzati gli attuali strumenti istituzionali di pianificazione della mobilità — in particolare il Piano Urbano della Mobilità (PUM) di Bergamo — l’obiettivo è stato visualizzare la distribuzione dei luoghi della mobilità. Questi ultimi vedono protagonisti sia gli attori fornitori di servizi su strada (come ATB) e su rotaia (Trenord), sia altri attori pubblici o privati. Oltre alla presenza dell’Aeroporto internazionale «Il Caravaggio», che permette l’accesso al contesto bergamasco per via aerea, la mobilità su ferrovia è garantita dalle stazioni e dai percorsi ferroviari lombardi, così come da quelli della Tramvie Elettriche Bergamasche (TEB) con la tramvia della Valle Seriana (che riutilizza il sedime del vecchio percorso del «treno delle valli») e da quelli delle funicolari cittadine. La mobilità su gomma concerne l’insieme delle strade urbane e provinciali così come l’autostrada. Anche in questo caso si crea una reticolarità interprovinciale, che comprende anche le linee e le fermate del trasporto pubblico locale e le stazioni di car sharing, queste ultime di particolare rilievo per l’analisi della mobilità sostenibile alla luce dei trend delineati precedentemente. In questa direzione vanno poi anche i percorsi ciclopedonali visualizzati con l’intreccio articolato di piste ciclabili e stazioni di bike sharing. La terza fase inserisce i flussi I movimenti di cittadini e city users, con la delle persone visualizzazione dei dati forniti da alcuni stakeholder — istituzioni, ma anche associazioni — contattati nel corso della ricerca. Analizzando i dati della mobilità su ferrovia emerge tra l’altro che, a fronte di distanze chilometriche molto simili, i diversi punti del territorio non sono ugualmente accessibili: Milano e Monza sono raggiungibili in tempi paragonabili, mentre Crema richiede tempi di percorrenza assai ampi. 129

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fruizione da parte di cittadini e city users di passaggio. Il contesto grafico di riferimento è tridimensionale e permette non solo di attivare funzioni di pan, zoom in e zoom out che rendono possibili passaggi di scala con viste d’insieme e un alto dettaglio dell’informazione, ma anche di alternare la visione zenitale a quella prospettica restituendo, in quest’ultimo caso, il senso del paesaggioQR. La mappatura ha richiesto una riflessione articolata in tre fasi.

più elevato — quello regionale — utile a visualizzare l’accessibilità via strada e via rotaia dei principali centri urbani limitrofi.


Anche la frequenza dei treni mostra grandi variazioni: per esempio, di nuovo, tra la frequenza relativamente buona dei collegamenti per Milano e Monza e quella più debole per Crema.

Il processo così avviato prospetta la realizzazione di una piattaforma di condivisione e raccolta di dati che sia la base di una pianificazione inclusiva volta alla diffusione e alla trasparenza dei dati e all’interazione tra squadra di ricerca, istituzioni e cittadini.

06 Le proposte Il Tavolo della Mobilità Bergamo 2.035 ha fatto emergere proposte che affrontano alcune criticità chiave della mobilità a Bergamo. Queste possono essere sintetizzate in tre ambiti: – istituzionale: la scarsa incisività delle scelte politiche e gestionali; – comunicativo e progettuale: l’insostenibilità delle scelte di mobilità tradizionali, con la necessità di un «cambio di mentalità»; – infrastrutturale: la frammentazione dei percorsi ciclopedonali, la congestione, la scarsa intermodalità. Il gruppo di ricerca, non potendo fornire una risposta univoca e definitiva per la mobilità sostenibile ma con l’obiettivo di tradurre la riflessione in azioni concrete, ha proposto alcune linee di intervento, che considerano le iniziative avanzate dai diversi stakeholder negli ultimi anni e fanno tesoro del loro capitale spaziale: 130

Sul piano dell’infomobilità, più L’ambito comunicativo parti segnalano la necessità di adottae progettuale: i dispositivi re sistemi di gestione, comunicazione «smart» per le mappe e sostegno alla decisione (individuale e di infomobilità collettiva) di tipo interattivo e multimediale che, come il mobility mapping, aiutino la conoscenza ma anche l’intervento nell’ambito della mobilità. Sistemi innovativi per la gestione del traffico che integrino segnalazioni e proposte degli stakeholder possono rendere gli spostamenti urbani più veloci, più affidabili e più efficienti, nonché passenger-friendly. Il percorso verso l’adozione di sistemi di infomobilità è già in atto. Lo dimostra l’applicazione sviluppata da ATB per la consultazione di informazioni sulle linee del trasporto pubblico, sul bike sharing, sulle ZTL 131

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Quanto alla mobilità su strada, sulla base del numero di abbonamenti e dell’origine e destinazione dei percorsi abituali dichiarati dagli abbonati si rileva che, nel contesto di una mobilità capillare nell’Area Urbana (non solo diretta verso il capoluogo ma anche intercomunale), emergono i comuni più popolosi come Seriate, Dalmine, Stezzano, interessati dai flussi più consistenti, insieme a quelli più vicini a Bergamo: Mozzo, Curno, Treviolo, Gorle, Torre Boldone.

La prima proposta mira a rendeL’ambito istituzionale: re permanente, ampliare ad altri attori l’adesione alla conferenza e istituzionalizzare il ruolo del Tavolo locale del TPL della Mobilità, per proseguire il confronto sia a scala locale sia europea. La Regione Lombardia, con la riforma del trasporto pubblico locale (L.R. 6/2012), prevede l’istituzione di organi consultivi permanenti regionali e locali che favoriscano l’integrazione tra le diverse richieste delle istituzioni economiche e sociali e il confronto enti pubblici locali, operatori del settore, sindacati, utenti, pendolari e comitati. La legge impone (all’art. 7, comma 13, lettera m) alle agenzie per il trasporto pubblico locale di istituire conferenze locali e di consultarle. Queste saranno composte da rappresentanti dei viaggiatori, associazioni dei consumatori e degli utenti (riconosciute dalla Regione ai sensi della L.R. 6/2003), mobility manager, organizzazioni dei lavoratori, imprese di trasporto pubblico e loro associazioni. Sebbene la Conferenza sia dedicata alla consultazione in merito al trasporto pubblico, è auspicabile che a essa partecipino anche soggetti che non sono coinvolti nel settore direttamente ma che, in un’ottica di analisi e gestione integrata della mobilità, possono contribuire a un suo sviluppo multimodale, condiviso dagli utenti e dalle associazioni e imprese locali.


Sul piano infrastrutturale, l’obietAmbito infrastrutturale: tivo è ricucire le fratture urbane progetti pilota e aumentare gli spazi di socialità di mobilità sostenibile partendo dalla centralità dei quartieri; promuovere alternative all’automobile privata con incentivi all’uso di tecnologie pulite e alla condivisione dei mezzi di trasporto; infine, adottare iniziative di respiro europeo che contribuiscano a fare di Bergamo un modello, nel contesto nazionale e internazionale, per altre città di dimensioni simili. Progetti-pilota di mobilità sostenibile possono essere attivati nel contesto locale, rigenerando spazi già urbanizzati, evitando di costruire o ricostruire quartieri che rischiano di isolarsi dal resto della città e diventare luoghi di residenza di un’élite sconnessa dal resto del tessuto sociale. Il progetto-pilota dev’essere diffuso e multiforme, con soluzioni che rispondano alle esigenze emerse dal confronto con le associazioni locali e dall’analisi delle opportunità legate alla struttura e alla vocazione di ciascun quartiere. Tra le proposte emerse nel corso della ricerca vi sono: – sistemi su piccola scala di condivisione delle automobili: car sharing elettrico per spostamenti occasionali e brevi, con colonnine e parcheggi dedicati diffusi nel quartiere; sistemi di car pooling per i residenti o legati a particolari servizi (sanitari, educativi o commerciali); – azioni di promozione e difesa della mobilità lenta e per la riappropriazione degli spazi pubblici: sovrappassi pedonali lungo le principali arterie del traffico cittadino, per connettere zone isolate; aree pedonali e ciclabili più ampie, sicure e 132

connesse fra loro; rigenerazione degli spazi inutilizzati o degradati; – strategie integrate: l’adozione di un approccio attento all’impatto che qualsiasi intervento di regolamentazione o pianificazione urbano ed extraurbano ha sulla mobilità. Per esempio, si propone di modificare gli «standard a parcheggio» imposti come dotazione obbligatoria per ogni attività insediata; di puntare verso il «bilancio ecologico positivo» per i progetti di rigenerazione e densificazione urbana, evitando ulteriori carichi nel livello di congestione e di rumorosità; e di studiare la distribuzione delle aree di sosta in modo adeguato ai bisogni e ai servizi presenti nel quartiere, in un’ottica sistemica con gli altri quartieri della città.

07 Conclusioni Noi, i cittadini, creiamo e ricreiamo le nostre città con ogni passo che facciamo, ogni conversazione che abbiamo, ogni cenno a un vicino di casa, ogni spazio in cui viviamo, ogni struttura che innalziamo, ogni transazione che facciamo. Una città intelligente dovrebbe aiutarci ad aumentare queste connessioni fortuite. Dovrebbe attivamente e consapevolmente permetterci di contribuire alla produzione di dati, piuttosto che considerarci come semplici consumatori di dati, e incoraggiarci a utilizzare al meglio le informazioni che sono già intorno a noi (U. Haque, «Surely there’s a smarter approach to smart cities?» [26]). Queste proposte, rafforzate dal ricco contributo offerto dagli attori territoriali che hanno interagito col progetto, costituiscono parte di un percorso di discussione fondato sulla promozione di una mobilità sostenibile che sia componente portante della qualità della vita urbana, in un quadro territoriale articolato e dinamico com’è quello bergamasco. La creazione del Tavolo della Mobilità Bergamo 2.035 apre la possibilità di coniugare la ricerca con la progettualità della città del futuro. Il confronto fertile tra i diversi attori è un segnale forte di condivisione indispensabile per una nuova prospettiva della mobilità: una visione fondata 133

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e sulla sosta, che consente anche l’acquisto dei biglietti via smartphone. Per favorire uno sviluppo integrato di questi strumenti, si propone di proseguire con la raccolta e la condivisione dei dati, consolidando i processi partecipativi; di realizzare una rete di sensori, fissi e mobili, per il monitoraggio della mobilità e dell’accessibilità dei servizi; infine, di sviluppare il mobility mapping come piattaforma cartografica di open data per diffondere e raccogliere informazioni in tempo reale e per approfondire il punto di vista degli attori locali.


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sull’accessibilità dei luoghi e dei servizi secondo i bisogni dei cittadini e dei city users, con un’attenzione meno «specialistica» e più rivolta alla sicurezza e alla qualità della mobilità, in termini di tempi, costi e socialità. Le metodologie e gli strumenti analitici proposti dal progetto Bergamo Mobile con la collaborazione degli stakeholder sono una base di partenza per attivare ulteriori sinergie nel quadro di una progettazione urbana sostenibile che guardi alla «intelligenza dell’urbano» più che alla smartness tecnologica.

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01 City Logistics: come si muovono le merci in cittĂ _p. 139

02 I trend principali _p. 144

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03 Bergamo Logistica: gli obiettivi e le sfide _p. 149

05 Ipotesi di sviluppo futuro _p. 165

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04 I progetti nazionali e internazionali in corso _p. 156


La mobilità urbana delle merci

Bergamo logistica 138

Il 34,75% del PIL nazionale è prodotto nelle aree metropolitane [1]. Qui sono presenti industrie, aziende manifatturiere, centri commerciali, negozi al dettaglio, bar e ristoranti, che hanno bisogno di essere riforniti quotidianamente di materie prime e beni di consumo. Questa necessità si traduce in genere in un numero consistente di mezzi che trasportano merci viaggiando da e per la città. Nonostante la rilevanza di questi movimenti, il trasporto di merci nei centri urbani non è sempre percepito dalla società come una problematica migliorabile, né come un’emergenza da risolvere. A differenza della mobilità delle persone, quella delle merci è un trasporto passivo: «I container in coda non si lamentano». Tuttavia i camion in coda nelle vie del centro possono avere un impatto maggiore di quanto comunemente si percepisca, per la congestione del traffico, i livelli di inquinamento acustico e ambientale, le vibrazioni, l’incidentalità e l’occupazione del suolo [2]. Per far fronte a questi problemi, spesso considerati ineludibili o vissuti come un male necessario, da diversi anni diversi progetti nazionali e internazionali puntano a realizzare un trasporto delle merci in area urbana che sia sostenibile dal punto di vista ambientale, sociale ed economico e che, grazie alle nuove tecnologie, riduca l’impatto sulla vita dei cittadini e migliori la qualità del servizio. Il termine city logistics raggruppa tutte queste iniziative di miglioramento del trasporto urbano, spesso identificato anche come trasporto sull’ultimo miglio; più precisamente, l’espressione definisce «il processo di ottimizzazione delle attività di trasporto e logistica effettuate nelle aree urbane prendendo in considerazione le condizioni di traffico, la congestione, il consumo di carburante e puntando a ridurre il numero di veicoli presenti in città attraverso una razionalizzazione delle operazioni» [3].

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Bergamo logistica

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01 City Logistics: come si muovono le merci in città


Le sfide della City Logistics

Bergamo 2.035 cap. 06

I progetti di city logistics Gli obiettivi e gli interventi comprendono diversi tipi di intervento: per esempio, tutte le azioni che modificano l’infrastruttura e l’organizzazione della distribuzione urbana delle merci, così come tutte le misure mirate a massimizzare il riempimento dei mezzi riducendo al minimo il numero di veicoli in circolazione. Questi interventi devono sempre tenere in conto gli obiettivi e i vincoli espressi dalle varie categorie di attori coinvolti, esigenza che rappresenta una delle sfide maggiori. Sotto molti punti di vista, i progetti di city logistics hanno come obiettivo principale una migliore qualità della vita per i cittadini. Tuttavia, una distribuzione merci più efficiente e regolare può avvantaggiare anche gli operatori commerciali — in particolar modo quelli dei centri storici, spesso difficilmente accessibili e soggetti a regolamentazioni ad hoc [4]. Anche i corrieri e i distributori possono trarre beneficio dalla city logistics, grazie a una riduzione dei costi e a un servizio migliore per i clienti. Per raggiungere i suoi fini la city logistics fa leva su tre aspetti: – la riduzione della congestione del traffico e dell’interferenza con la mobilità delle persone; – la riduzione dei fattori di inquinamento connessi alla distribuzione delle merci, principalmente (ma non solo) tramite l’uso di mezzi a bassa emissione; – la riduzione dei costi indiretti della distribuzione delle merci, per esempio diminuendo il rischio di incidenti grazie al calo del numero di mezzi circolanti.

CITY LOGISTICS

Riduzione della congestione del traffico e dell’interferenza con la mobilità delle persone

Riduzione dei fattori di inquinamento connessi alla distribuzione delle merci

MIGLIORE QUALITÀ DELLA VITA

140

Riduzione dei costi diretti e indiretti legati alla distribuzione delle merci


L’evoluzione del trasporto merci in città

Concentrazione della popolazione in aree urbane

AUMENTO DELLA CONGESTIONE DEL TRAFFICO E DELL’OCCUPAZIONE DEL SUOLO

Incremento e frammentazione della domanda

Riduzione dei tempi e aumento della frequenza di distribuzione

AUMENTO DEI FATTORI DI INQUINAMENTO Aumento della domanda di trasporto merci in area urbana

Numero ed eterogeneità degli attori coinvolti

AUMENTO DEL COSTO DI DISTRIBUZIONE


02 I trend principali

Un primo trend è il costante aumento della popolazione urbana. Pur a ritmi molto differenti nelle diverse aree geografiche, la concentrazione della popolazione in città è una tendenza pervasiva. Si stima che intorno al 2030, quando la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere gli otto miliardi, cinque miliardi di persone risiederanno in città; in Italia, entro il 2050 quasi il 79% della popolazione risiederà in un centro urbano, con un aumento di oltre dieci punti percentuali rispetto al 2011) [5]. Questo trend porta con sé una concentrazione della domanda di beni di consumo, quindi una maggior richiesta di trasporto verso aree limitate, spesso già congestionate dalla mobilità delle persone. Un secondo importante trend evidenzia un potenziale paradosso: la domanda è concentrata in un’area limitata (per quanto grande), ma frammentata su un numero molto alto di soggetti (dalle singole attività commerciali ai singoli cittadini). La frammentazione della domanda frammenta a sua volta il settore dei trasporti: oggi sono presenti trasportatori in conto terzi di grandi e piccole dimensioni, trasportatori in conto proprio e corrieri che operano in modo indipendente gli uni dagli altri. La frammentazione implica che spesso i mezzi non viaggino a pieno carico, aggravando la perdita di efficienza economica, energetica e ambientale. Quanto alla frammentazione Una domanda della domanda, va anche evidenziata frammentata l’evoluzione recente dell’e-commerce: è stato stimato sulla base di dati nazionali [6; 7; 8; 9] che il numero complessivo degli acquisti online di merci fisiche (escludendo quindi biglietti per concerti, eventi, prenotazioni vacanze ecc.) a Bergamo sia circa 175.000 all’anno, pari a 1,5 acquisti per residente, per un totale di circa 800 consegne al giorno. Tutto questo ha comportato un aumento del traffico del 20-25% (si 144

Un terzo trend fa riferimento alla riduzione dei tempi e all’aumento della frequenza di consegna. La dinamica del mercato e la contrazione dei consumi hanno portato molti canali e punti di distribuzione a rivedere le logiche di gestione dello stock e degli approvvigionamenti, intensificando le frequenze e riducendo di conseguenza le quantità ordinate. Inoltre, la grande attenzione per l’aspetto del «servizio» nel trasporto ha implicato un aumento delle consegne richieste e realizzate nello stesso giorno in cui il cliente ha emesso l’ordine. Un ulteriore elemento è dato da finestre orarie di lavoro più strette e meno flessibili, diretta conseguenza dei minori stock gestiti all’ultimo livello della catena logistica e della crescente attenzione dei clienti ai costi (finestre di consegna ampie sono sinonimo di «non appuntamento» e di assenza di coordinamento tra le attività di chi consegna e chi riceve, con evidenti ripercussioni sui costi). Queste evoluzioni hanno proiettato su molte catene logistiche dirette o indirette (terziarizzate) condizioni operative nuove, mai sperimentate prima. Non va dimenticato infine il forte contributo alla frammentazione derivante dall’alto numero di operatori, in proprio o in conto terzi. Il quarto e ultimo trend rilevante ai fini del nostro lavoro è l’aumento degli attori (stakeholder) nel settore, con un’evoluzione del loro ruolo e dei loro obiettivi [11]. 145

Bergamo logistica

Bergamo 2.035 cap. 06

L’osservazione delle dinamiche evolutive dei centri urbani (tra cui Bergamo) e delle attività a essi connesse ha portato a identificare alcune tendenze marcate che caratterizzano il contesto nel quale si sviluppano i progetti di city logistics.

stima che i mezzi adibiti al trasporto merci siano circa il 20% del traffico veicolare urbano totale), con un aumento del 40% di emissioni inquinanti e un conseguente aumento del rischio di incidenti [1]. Le analisi su scala nazionale stimano il traffico merci urbano come il 30% del traffico totale, composto per il 70% da veicoli di piccole dimensioni, con coefficienti medi di riempimento intorno al 30% [10]. Inoltre il trasporto merci urbano è composto per il 78% dal trasporto in conto proprio e per il restante 22% da trasporto conto terzi, trasporto strumentale e trasporti relativi ai pubblici servizi. Per quanto riguarda l’inquinamento, il traffico merci urbano produce il 31% di emissioni CO2, il 37% di emissioni NOx, il 12% di emissioni di composti volatili (NMVOC) e il 40% di PM10 rispetto al totale delle emissioni di inquinanti nei centri urbani.


Oltre all’eterogeneità degli attori coinvolti, occorre considerare l’eterogeneità dei carichi trasportati per destinazione, per categoria merceologica, per necessità specifiche della catena di approvvigionamento. In aggiunta agli aspetti già citati, molti studi indicano che il trasporto merci urbano dipende anche da fattori come le caratteristiche della popolazione, le attività economiche presenti sul territorio, le peculiarità del centro urbano dal punto di vista geografico, urbanistico, e architettonico. Un altro ostacolo alla ricerca di soluzioni concertate proviene dal fatto che non solo 146

2013 Fonte: Netcomm, febbraio 2013

Gli attori principali del trasporto di merci in città

2012

Associazioni di categoria

8

Attività produttive locali

9

Produttori

10

Spedizionieri Corrieri Associazioni di categoria

11

Grossisti Distributori Operatori logistici

incremento in un anno

Operatori trasporto

+55%

Artigiani Associazioni di categoria

12

Commercianti Consumatori Cittadini

13

Utenti

14

Gestori infrastrutture Enti di gestione del traffico e dell'ambiente Pubblica Amministrazione

Il trend acquirenti online

Amministrazione

Acquirenti online attivi nei tre mesi precedenti il mese di rilevazione (in milioni)

Bergamo 2.035 cap. 06

GLI STAKEHOLDER DELLA LOGISTICA

2011

Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb

La presenza di tanti attori molto eterogenei impone un forte coordinamento, che spesso invece è assente o molto limitato. La mancanza di coordinamento tra le parti ha come prima conseguenza l’imposizione da parte delle amministrazioni locali di misure restrittive per l’accesso al centro urbano, spesso già poco accessibile per la conformazione di molte città italiane. Inoltre, le infrastrutture spesso non sono adeguate. Per esempio, il numero di piazzole di carico e scarico nei centri urbani è normalmente considerato insufficiente. Ciò contribuisce a un ulteriore incremento del trasporto in conto proprio, i cui costi vengono stimati circa quattro volte superiori a quelli del trasporto in conto terzi [1].


Traffico merci e inquinamento in città

i cittadini, ma anche gli operatori, spesso sono poco informati sugli impatti negativi del trasporto delle merci in città. Tutti i trend sopra descritti sono riscontrabili — seppur in diversa misura — anche a Bergamo. È quindi necessario identificare soluzioni specifiche al contesto della città, con le sue peculiarità e caratteristiche.

03 Bergamo Logistica: gli obiettivi e le sfide

30%

del traffico urbano generato dal trasporto merci

31%

CO2

Il progetto ha poi individuato e condiviso con gli attori del territorio alcune direzioni di sviluppo per un sistema integrato, partecipato e sostenibile.

40%

PM10

37%

NOx

La distribuzione sull’«ultimo Il problema miglio» presenta problematiche che si dell’ultimo miglio differenziano in modo significativo da quelle del trasporto su lunghe distanze. Con il raggiungimento diretto del consumatore finale (addirittura nella singola abitazione), una considerevole frammentazione della domanda è data dalla variabilità e dall’elevato numero dei punti di consegna. Questo scenario è particolarmente critico in città italiane come Bergamo. La presenza di vincoli architettonici, di ZTL e di aree sensibili legate per esempio a monumenti o scuole ha reso inevitabili la sovrapposizione e le interferenze tra i diversi flussi di mobilità di persone e merci. I problemi sono aggravati ulteriormente da un parco veicoli mediamente vecchio e da carenze infrastrutturali come la mancanza di corsie dedicate e piazzole di sosta. 149

Bergamo logistica

Bergamo Logistica è un progetto di city logistics che mira a ridurre le criticità del trasporto merci in città. La sua prima fase ha comportato un’analisi esplorativa critica sul tema, per censire le iniziative in corso e quelle già concluse, i punti di forza e le difficoltà della logistica delle merci in area urbana e gli elementi che ostacolano o abilitano la logistica delle merci.


Le conseguenze sono sempre più evidenti per tutte le categorie di soggetti nella filiera, che hanno differenti obiettivi:

Una raccolta di dati effettuata in I commercianti collaborazione con ASCOM si è basata su un questionario rivolto ai diversi punti vendita (bar, ristoranti, negozi al dettaglio) di varie zone della città (città alta, città bassa e fuori ZTL). Da questo lavoro è emerso che la maggior parte degli esercizi commerciali riceve la merce direttamente dal produttore o da un centro distributivo, anche se circa il 22% degli intervistati dichiara di occuparsi personalmente del suo ritiro. Il dato è in linea con quello nazionale, in base al quale il trasporto in proprio sarebbe circa un quarto del trasporto di merce nei centri urbani [1]. Anche per quanto riguarda la frammentazione della domanda, i commercianti di Bergamo sembrano in linea con il trend nazionale: quasi tutti gli intervistati dichiarano di avere più di dieci fornitori. La frequenza e l’orario di consegna sono perlopiù concordati con i fornitori e tendenzialmente in linea con gli orari previsti dai regolamenti di accesso al centro. Il problema principale riscontrato dai negozianti nel momento della consegna riguarda la sosta dei mezzi. Le consegne hanno durata variabile (tra i 10 e i 30 minuti) e le aree di carico e scarico merci non bastano: i trasportatori sono spesso costretti a sostare anche lontano dal negozio, lungo i marciapiedi, su passi carrabili e questo in casi frequenti si traduce in ritardi, multe, disagi per clienti e residenti. 150

Le risposte fornite dai trasportatori sono coerenti con i dati raccolti sui commercianti: gli orari e le frequenze di consegna sono stabiliti di comune accordo, si effettua un alto numero di consegne al giorno (anche di dimensioni contenute), i tempi di scarico variano tra i 10 e i 30 minuti, gli orari di consegna rispettano gli orari di accesso alle zone ZTL (anche se per molte aziende una parte della flotta è costituita da mezzi a basso consumo per accedere alle ZTL senza limitazioni). Anche in questo caso, è emersa fra le criticità la scarsa presenza di piazzole di carico e scarico. Inoltre, mentre nel trasporto di beni durevoli non esiste una giornata di picco di consegne all’interno della settimana, per il «fresco» il venerdì è identificato come giorno di punta, a causa delle attività di ristorazione che operano durante il fine settimana e in quei giorni non possono ricevere approvvigionamenti. Dall’analisi è poi emerso, come prevedibile, che le aziende riversano una grande attenzione ai livelli di congestione del traffico, alla frammentazione della domanda (che comporta un alto numero di consegne, quindi di soste, con un innalzamento dei costi), alle ZTL e agli spazi di sosta. Minore interesse rivestono i temi ambientali (inquinamento, mezzi a basso consumo, possibili limitazioni dovute al tasso di inquinamento del mezzo). L’ultimo passo per valutare le criticità reali, i trend, le emergenze, le possibili soluzioni e i passi futuri per 151

Il confronto diretto con gli stakeholder

Bergamo logistica

Bergamo 2.035 cap. 06

– cittadini e consumatori: meno inquinamento, meno traffico, merce sempre disponibile; – operatori del trasporto: meno costi, migliore pianificazione; – governance e amministrazione: migliore pianificazione, gestione sistemica, interventi congruenti e integrati; – proprietari di attività commerciali: finestre di consegna sincronizzate con gli orari di apertura, elevata frequenza di consegna. È quindi importante, nel progettare possibili interventi, tenere conto di tutti questi attori, con i loro obiettivi e i loro vincoli.

Un’altra raccolta di dati ha inteI trasportatori ressato le principali aziende di trasporto della provincia di Bergamo, con un campione iniziale di 135, concentrandosi solo su aziende che fossero site nell’area e che effettuassero consegne nel territorio del Comune. Dalla rilevazione è emerso che solo un numero esiguo di aziende di trasporto bergamasche effettua regolarmente consegne all’interno del comune di Bergamo: la maggior parte trasporta materiale edile ed effettua consegne soltanto in presenza di cantieri. Le altre imprese che non effettuano consegne all’interno del comune operano nella provincia, sulla tratta Milano–Bergamo–Brescia, si occupano di consegne internazionali oppure si affidano a corrieri specializzati.


50 40

Non stupisce che prenda il primo posto il problema delle ZTL: a quanto riporta il Conto Nazionale delle Infrastrutture, Bergamo ha il primato dell’estensione delle aree ad accesso limitato (12,8 km² per 100 km² di superficie comunale). Inoltre, spesso manca una continuità spaziale e temporale tra le diverse zone. Emerge poi la necessità di regole coerenti per le flotte e dei relativi standard tecnici richiesti.

Sicurezza, furti

Prospettiva del cittadino

Struttura della città

Policy

Infrastrutture

Traffico

Mancanza di dati e di interazioni

Molteplicità degli attori

ZTL

0

10

È chiara l’esigenza di maggioFare circolare re concertazione e condivisione delle le informazioni informazioni e delle diverse esigenze degli attori: non basta creare regole, occorre anche farle conoscere, ascoltando i diversi punti di vista e creando un «gruppo di interesse» sul trasporto merci che possa presentare le proprie istanze alla Pubblica Amministrazione.

153

Bergamo logistica

20

30

I problemi principali secondo gli stakeholder

far sì che queste soluzioni diventino effettive è stato l’interazione diretta con gli operatori del territorio. I problemi prioritari riguardano la gestione delle zone a traffico limitato, la molteplicità di attori con interessi spesso contrastanti, la carenza di dati sul trasporto e le infrastrutture (accompagnata dalla mancanza di un’integrazione reale tra le varie informazioni da parte di chi ne ha).


LE LINEE GUIDA DELLA REGIONE Misure di regolazione

Misure di restrizione degli accessi – Zone a traffico limitato (ZTL) – Finestre orarie – Divieti e limitazioni per dimensioni dei veicoli – Divieti e limitazioni per tipologia di alimentazione dei veicoli

Bergamo 2.035 cap. 06

Misure tecnologiche

– Pedaggio selettivo (road pricing) e tariffe d'ingresso (congestion charge) – Strade multifunzione – Organizzazione di consegne fuori orario e notturne Misure infrastrutturali

– Sistemi automatici di controllo e pagamento e multicanalità per la gestione dei permessi di accesso alle ZTL – Sistemi di teleprenotazione e controllo delle piazzole di carico e scarico – Utilizzo di veicoli a basso impatto ambientale – Utilizzo di veicoli multimodali – Sistemi ITS per la gestione delle consegne

– Realizzazione di Centri di Distribuzione Urbana (CDU) – Tempi di utilizzo delle piazzole di carico e scarico – Corsie preferenziali – Sistemi di stoccaggio temporaneo – Soluzioni intermodali

IL GIUDIZIO SULLE GUIDELINES DELLA REGIONE Totale del punteggio per tutti e tre i parametri (efficienza, costi, impatto ambientale) Misure di restrizione

Finestre orarie Limitazioni per alimentazione ZTL Limitazioni per dimensioni

Misure di regolazione 57 47 38 38

Misure tecnologiche

Sistemi di teleprenotazione piazzole Sistemi automatici di controllo ZTL Veicoli a basso impatto Sistemi ITS consegne

Strade multifunzione Road pricing Consegne notturne

42 33 33

Misure infrastrutturali 52 47 45 36

Corsie preferenziali CDU Regolamentazione piazzole Sistemi di stoccaggio temporaneo

59 41 41 39

Dal punto di vista dell'ambiente, invece, sono state giudicate migliori le seguenti soluzioni:

Le soluzioni proposte della Regione Lombardia per il trasporto merci in ambito urbano [12]

Misure di restrizione

Il modo in cui gli operatori valutano le linee-guida regionali per il trasporto merci in ambito urbano [12], dal punto di vista dell’efficienza al costo e dell’impatto ambientale delle soluzioni proposte, permette di comprendere le priorità su cui agire. Le soluzioni giudicate migliori sono l’ottimizzazione delle finestre negli orari di accesso alle ZTL, l’accesso alle corsie riservate ai mezzi pubblici anche per i mezzi di trasporto merce, la possibilità di prenotare le piazzole di carico e scarico, l’uso di sistemi automatici per il controllo delle ZTL. Ovviamente la valutazione rispetto al solo impatto ambientale tende a prediligere le soluzioni legate ai veicoli a basso impatto e l’uso delle corsie riservate al trasporto pubblico.

154

Finestre orarie Limitazioni per alimentazione ZTL Limitazioni per dimensioni

Misure di regolazione 19 14 14 13

Misure tecnologiche

Sistemi di teleprenotazione piazzole Sistemi automatici di controllo ZTL Veicoli a basso impatto Sistemi ITS consegne

Strade multifunzione Road pricing Consegne notturne

15 12 9

Misure infrastrutturali 23 15 12 10

Corsie preferenziali CDU Regolamentazione piazzole Sistemi di stoccaggio temporaneo

19 15 14 12

I punteggi assegnati dagli operatori alle soluzioni proposte dalla Regione Lombardia


– la necessità di comprendere gli interessi degli interlocutori, per elaborare strategie integrate con le istituzioni e gli stakeholder; – l’Università, percepita come istituzione «terza» capace di portare avanti una proposta (piattaforma che nasce dal territorio, modello che agisce in collaborazione con il territorio, consulente «super partes»); –il necessario coinvolgimento degli artigiani (almeno come associazione di categoria) e dei commercianti; – il possibile coinvolgimento di un grosso operatore di e-commerce per comprendere meglio le caratteristiche del settore, le sue necessità e gli sviluppi potenziali; – il coinvolgimento degli assessorati comunali che operano nel settore; – una consulenza tecnologica sullo stato dell’arte dei mezzi; – i sistemi informatici usati dai differenti corrieri e trasportatori.

04 I progetti nazionali e internazionali in corso L’idea della logistica urbana come disciplina è nata alla fine degli anni Novanta. Da quindici anni circa, quindi, sono nate e si sono sviluppate diverse iniziative volte a studiare, comprendere, applicare e realizzare un’ottimizzazione del trasporto merci su scala urbana che sia funzionale alle necessità del territorio e sostenibile in termini sociali, ambientali ed economici per tutti gli attori [13]. Le soluzioni prese in esame e già esplorate e sperimentate a livello europeo e nazionale sono di vario tipo: infrastrutturale, gestionale, tecnologico. Qui prenderemo in esame gli esempi più significativi.

156

Per avere una visione completa Un quadro dei progetti delle best practice europee è stata effeteuropei tuata un’estesa raccolta di informazioni sui principali progetti europei di city logistics, pubblici e privati. Le informazioni sono state inserite in una mappa interattiva: un archivio in continua evoluzione che tenga traccia delle iniziative per la logistica urbana, consultabile sul sito www.bergamo2035.it.

I progetti di city logistics in Italia e in Europa

I progetti variano notevolmente per tipo e per efficacia, a seconda di caratteristiche locali come la morfologia del territorio o la dimensione della città. Tuttavia, alcune misure si sono rivelate efficaci a prescindere da queste specificità [14].

Le zone a traffico limitato Solitamente, la realizzazione di zone a traffico limitato (ZTL) è il primo passo verso una nuova concezione di spazio urbano come risorsa limitata, da salvaguardare. Non a caso, dove le ZTL sono presenti da tempo si trova anche una maggiore predisposizione ad avviare progetti di city logistics. Quando nella logistica si parla di zone a traffico limitato, il riferimento non è unicamente a zone in cui l’accesso è riservato ai residenti, ma anche ad aree in cui ci sono limitazioni di orario per i veicoli commerciali o in cui c’è l’obbligo di pagare un pedaggio per l’ingresso.

Londra è stata la prima grande capitale europea ad adottare una zona a traffico limitato con pagamento per l’accesso senza distinzione di orario, concedendo agevolazioni a chi utilizza per l’ultimo miglio veicoli a basso consumo energetico. Il limite delle ZTL sta nella sua natura di misura restrittiva che impone vincoli rilevanti a diverse categorie di attori come i trasportatori e i punti vendita. Risulta particolarmente critica la situazione di centri urbani vicini che hanno orari di ZTL non coordinati, o di città con diverse ZTL al loro interno. Questi vincoli rendono difficile ottimizzare le consegne, con un conseguente aggravio dei costi e un aumento delle probabilità di disservizio.

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Bergamo logistica

Bergamo 2.035 cap. 06

I punti salienti su cui risulta necessario agire per realizzare un sistema di trasporto urbano riguardano:


Spesso associato alla presenza L’uso di mezzi elettrici di un CDU, ancorché in maniera non o a basso impatto esclusiva, l’utilizzo di mezzi elettrici o ambientale a basso impatto ambientale ha visto negli ultimi anni un interesse crescente, con il lancio di progetti interamente dedicati. Normalmente, un’amministrazione locale offre incentivi per l’affitto o l’acquisto di questi mezzi, ne consente l’ingresso nelle zone a traffico limitato senza restrizioni o prevede sgravi fiscali.

Di regola, la gestione dei CDU può seguire tre diversi modelli: – gestione affidata a un consorzio di autotrasportatori che aderiscono su base volontaria; – gestione affidata a un ente terzo; – gestione direttamente controllata dalla pubblica amministrazione.

La città svedese di Malmö, per esempio, incentiva l’uso di mezzi a basso consumo e ha creato una piattaforma web con tecnologia GPS che fornisce in tempo reale agli autisti informazioni sul traffico e i livelli di inquinamento. Agli autisti, inoltre, viene offerto gratuitamente un corso di «guida ecologica» in cui si imparano le buone pratiche di guida (e sosta) che consentono di inquinare meno. La città norvegese di Stavanger si è invece proposta come città pilota per l’uso intensivo di mezzi elettrici (mezzi per il trasporto pubblico, auto private, mezzi per la consegna delle merci) per capire quali potrebbero essere i problemi più frequenti per ciascuna categoria (durata delle batterie, capacità di carico e percorsi in pendenza).

La soluzione di un CDU che usa mezzi elettrici, a metano o comunque a basso impatto per le consegne verso il centro città è senza ombra di dubbio la più diffusa in Europa (Besançon, Brema, Bristol, Burgos, Colonia, Cordova, Cracovia, Friburgo, Kassel, La Rochelle, Leida, Lione, Norimberga, Monaco di Baviera, Strasburgo, Tolosa). In alcuni casi è presente più di un centro, a servizio delle diverse zone della città (Basilea); in altri casi, i CDU sono multimodali, cioè raggiunti anche dalla rete ferroviaria (Berlino) o fluviale (Amsterdam e Utrecht). La principale difficoltà per i CDU, soprattutto nelle città medio-piccole, riguarda la sostenibilità economica dell’iniziativa una volta terminati i contributi pubblici o comunitari. Anche nei casi di città grandi, l’esaurirsi delle risorse pubbliche prima che l’attività avesse raggiunto una scala minima per la piena copertura dei costi ha causato il fallimento dell’iniziativa.

Una soluzione particolarmente La flessibilità delle biciclette adatta per la consegna di piccoli colli specialmente nei vicoli stretti dei centri storici con una morfologia tendenzialmente pianeggiante è l’uso della bicicletta, tradizionale o elettrica. In Europa, da diversi anni questa soluzione è adottata anche su larga scala: per esempio ad Amsterdam, a Cambridge e a Nancy da anni i principali corrieri effettuano le consegne in questo modo all’interno del centro. A Burgdorf in Svizzera, i clienti di alcune catene di supermercati possono fare la spesa e lasciare gli acquisti nel supermercato per poi riceverli entro tre ore con consegna diretta al loro appartamento tramite corrieri in bicicletta. Di particolare interesse è il progetto Recicleta a Bucarest. Grazie all’uso di biciclette da trasporto, delle persone svantaggiate (con difficoltà finanziarie, in famiglie numerose, disoccupate) possono avere un lavoro

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Bergamo logistica

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I Centri di Distribuzione Urbana I Centri di Distribuzione (CDU) mirano a mitigare il problema Urbana della frammentazione dei flussi aggregando questi ultimi prima dell’ingresso nell’area urbana. Possono assumere diverse denominazioni e forme organizzative: dai depositi pubblici per la distribuzione delle merci ai centri di consolidamento urbano (CCU), dalle piattaforme merci ai sistemi cooperativi per le consegne. Più in generale, per CDU si intende una struttura logistica relativamente vicina all’area che deve servire (centro cittadino, città, distretto ecc.), nella quale si consolidano i carichi per la consegna finale utilizzando un minor numero di mezzi. Al suo interno, il CDU può anche fornire ulteriori servizi a valore aggiunto, come il magazzinaggio, l’instradamento dinamico dei veicoli, la prenotazione delle piazzole di sosta.


ecologico: raccogliere i rifiuti cartacei delle piccole aziende di Bucarest e trasportarli alle agenzie per il riciclaggio.

Zurigo usa il tram per il trasporto di rifiuti: sfruttando il vecchio materiale rotabile, è stato costituito un convoglio composto da una vettura e da carri adibiti al trasporto di container. Tramite vari studi sono state individuate potenziali aree di raccolta ed è stato costruito nella zona ovest della città un nuovo centro di riciclaggio raccordato alla rete tranviaria.

I punti di vendita situati all’interno della città sono riforniti da autoarticolati che compiono consegne multiple. Il processo di distribuzione è organizzato direttamente dalla stessa catena distributiva, evitando qualsiasi problema di coordinamento con soggetti diversi. La misura è stata accompagnata da investimenti in materiali e mezzi a basso impatto sonoro (pneumatici che riducono la rumorosità, tappeti isolanti da posizionare sulla strada e all’interno del semirimorchio, unità di refrigerazione insonorizzate, unità di carico quali roll container plastificati). In seguito hanno adottato questa soluzione altre città spagnole (San Sebastian e Bilbao) e la capitale portoghese, Lisbona.

A Groningen (Olanda), durante gli orari di distribuzione nell’area interdetta al traffico (tra le 5 e le 11 e tra le 18 e le 20) i veicoli merci possono usare le corsie riservate ai mezzi pubblici.

Una grande percentuale delle Soluzioni miste città, anche alcune di quelle già citate, ha adottato strategie integrate, miste, che contemplano la presenza di più soluzioni: per esempio un CDU associato alla possibilità di prenotare con un’applicazione le piazzole di carico e scarico, oppure un CDU con le corsie riservate o la consegna con biciclette sull’ultimo miglio. Ålborg, in Danimarca, ha istituito zone di attraversamento del centro in base a un accordo tra i negozianti e i distributori di merce, così da lasciare ai distributori più spazio per le manovre; in più, sono state allestite zone comuni di scarico, così che un negozio può diventare zona di scarico per altri negozi circostanti. Questo ha consentito di eliminare le consegne di merci nella zona pedonale per negozi che aprono più tardi. Il tutto è stato accompagnato da una misura burocratica, la «lettera di vettura comune», che ha consentito alle società di trasporto partecipanti di consegnare pacchi, senza costi supplementari per gli utenti, a un’altra società di trasporti che deve effettuare consegne nella zona a traffico limitato.

Alcune città della Spagna, Consegna notturna dove gli orari serali di apertura delle attività commerciali sono più estesi che in Italia, hanno adottato la soluzione della consegna notturna di merce, soprattutto per quanto riguarda i grandi centri commerciali.

Bilbao, in Spagna, ha invece combinato la realizzazione di un CDU, corsie multiuso per trasporto pubblico locale e trasporto merci, allocazione dinamica delle piazzole individuali di carico e scarico, consegna notturna delle merci. Graz ha realizzato un sistema di trasporto di merci integrato anche con processi di reverse logistics: esiste oggi un centro di

Molta attenzione negli anni è Piazzole di sosta stata posta anche a interventi volti a e corsie riservate ottimizzare le infrastrutture stradali esistenti: in particolare, quelli per la collocazione spaziale e la gestione delle piazzole di carico e scarico merci (Bordeaux, Copenaghen) e per l’introduzione di corsie riservate al traffico merci in alcune ore della giornata.

160

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Bergamo logistica

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La rete tranviaria può sembrare I molti usi dei tram una modalità di trasporto troppo rigida e vincolante per il trasporto di merci e le sue consegne capillari, ma è impiegata da diversi anni e con successo in alcune città europee. A Parigi il tram è usato in combinazione con mezzi a basso consumo per distribuire le merci dei CDU. A Vienna è in fase di implementazione. Il caso di maggiore successo è Dresda, dove il servizio è gestito dalla stessa azienda di trasporto pubblico locale che gestisce il trasporto di persone ed è usato dalla Volkswagen per trasferire i carichi da una fabbrica della periferia verso il centro logistico, situato sempre in periferia ma dalla parte opposta della città.

Questa soluzione è stata messa in pratica per la prima volta a Barcellona, dando la possibilità agli operatori di effettuare la distribuzione presso i negozi della Grande Distribuzione nella fascia oraria dalle 23 alle 6.


Bergamo 2.035 cap. 06

La caratteristica principale del progetto Cityporto di Padova [15] è che il servizio è nato subito attraverso una concertazione tra Regione, Provincia, Comune, trasportatori e commercianti. La partecipazione degli operatori è su base volontaria.

Per quanto riguarda i progetti e I progetti nazionali le iniziative sviluppate in Italia, la spinta maggiore è stata nel biennio 1996/1997, quando il ministero dei Trasporti e il ministero dell’Ambiente hanno stanziato i primi fondi per il trasporto sostenibile delle merci in area urbana. Anche in Italia sono state adottate, seppure con un po’ di ritardo, le stesse soluzioni illustrate in precedenza; in particolare, ha avuto molto successo l’idea di centro urbano come spazio che deve essere vissuto dai cittadini. In molti comuni sono ormai presenti zone a traffico limitato. In alcuni, l’introduzione delle ZTL e di una regolamentazione rigida ha portato a buoni risultati, soprattutto dal punto di vista ambientale: ha avuto particolare successo l’Area C istituita a Milano, nella quale possono transitare liberamente solo i residenti, con varchi gestiti in un modo analogo alla tecnologia del telepass e con corsie riservate ai mezzi pubblici e molte aree pedonali. Già molti altri comuni stanno adottando soluzioni simili: Firenze, Lecco, Piacenza, Pisa, Roma, Treviso, Verona.

La chiave del successo dell’iniziativa è certamente la presenza di una realtà consolidata da anni come l’Interporto di Padova, che possiede una posizione strategica (6 km dal centro), permette minori costi di gestione poiché non ha richiesto di istituire consorzi ex novo, vede già la presenza di spazi da adibire a CDU e infine può garantire un rapporto di neutralità nei confronti degli attori coinvolti (informazioni concorrenziali) e fornire supporto tecnologico e organizzativo (tracciabilità mezzi con GPS). Queste caratteristiche hanno permesso al progetto Cityporto di estendere il servizio anche ai corrieri, a partire dal 2011. Per il futuro si pensa invece di estendere il progetto anche al trasporto di fresco (alimentare) e alla logistica inversa.

Anche le altre soluzioni viste in precedenza sono state attuate anche in Italia: piattaforma web (Bologna, Siena), teleprenotazione di piazzole di carico e scarico (Cremona, Palermo, Reggio Emilia), uso di mezzi a basso consumo (Rovigo), soluzioni che comprendono una zona più ampia della città (Napoli, Reggio Calabria). Una soluzione sperimentata più volte anche in Italia è il Centro di Distribuzione Urbana (Brescia, Ferrara, Frosinone, Genova, Lucca, Modena, Padova, Parma, Torino, Venezia, Vicenza). È un servizio attivo di consegna Cityporto di Padova delle merci in ambito urbano con mezzi a basso impatto ambientale (a metano), che raggruppa le consegne dei diversi operatori del trasporto, diminuendo il traffico dei veicoli per il trasporto merci. 162

Anche a Bergamo sono già Le iniziative di Bergamo emerse proposte innovative in ambito di trasporto merci in area urbana. Il progetto Trasporto Merci Città Vivibile (Comune di Bergamo e ATB Mobilità), nato nel 2006 in seguito allo stanziamento di fondi ministeriali, si basava inizialmente sulla definizione di due aree ZTL con sistema telematico di monitoraggio e riconoscimento di targa ai varchi. Nella prima formulazione del progetto, l’ingresso alle ZTL era definito in accordo con i trasportatori ed era previsto un monitoraggio GPS dei veicoli. Nella fase successiva, attualmente in corso, il progetto prevede un sistema telematico di riconoscimento attivo e l’ipotesi di incentivi per il noleggio o l’acquisto di mezzi elettrici per il trasporto di merci. Dal 2002 le associazioni di trasportatori chiedono un cambiamento delle regole di accesso al centro urbano anche con misure innovative (possibile interporto Montello o Calcinate) e incentivi per veicoli a basso consumo. La ASCOM (Associazione Commercianti) ha effettuato una convenzione con un’azienda locale che trasporta colli di piccole e medie dimensioni tramite cargobike. La convenzione è stata stipulata per incentivare le consegne a impatto zero. 163

Bergamo logistica

distribuzione fuori città, con trasporto efficiente della merce in container fino ai grandi magazzini cittadini. I container sono poi utilizzati per trasportare fuori città i materiali di scarto. Le attività di distribuzione nelle strette vie del centro ricorrono invece a veicoli elettrici.


Uno degli obiettivi principali del progetto è realizzare una piattaforma web che permetta ai decisori pubblici e privati di valutare ex ante le politiche di ottimizzazione della logistica urbana. La piattaforma sarà sviluppata come un simulatore di scenari che permetterà di confrontare le diverse strategie di distribuzione delle merci attraverso un’interfaccia di tipo WEBGIS (dati Openstreetmap e database strade). La piattaforma è uno strumento di sostegno alle decisioni: non calcola un’unica soluzione ottimale, ma una combinazione di soluzioni soddisfacenti delle quali sono messi in evidenza i vantaggi e i punti deboli. Analogamente, il centro di ricerca pubblico Tudor a Lussemburgo [17] sta sviluppando una piattaforma web per l’analisi e la valutazione di interventi di city logistics. La piattaforma sarà creata all’interno di un progetto europeo che vede coinvolte numerose capitali unite per la sperimentazione 164

Bergamo 2.035 cap. 06

di soluzioni di logistica dell’ultimo miglioQR. Sono già in commercio alcuni veicoli elettrici per il trasporto merci, anche se al momento non forniscono sufficiente flessibilità né un rapporto costo/efficienza tale da essere attraenti per i trasportatori. In parallelo, il centro collabora al progetto V-Feather [18], un nuovo veicolo elettrico per il trasporto di piccoli e medi colli. A differenza dell’impostazione «one size fits all» legato ai metodi di consegna tradizionali, il nuovo veicolo si basa su un concetto modulare che utilizza un’architettura strutturale adattiva (ADAPTecture): i veicoli sono costituiti da moduli collegati di diverse dimensioni e tipo (celle frigorifere, stoccaggio merci pericolose ecc) che possono essere aggiunti o Il Lamilo project rimossi per aumentare la capacità o migliorare l’agilità, per la logistica dell’ultimo miglio in base ai requisiti di consegna, in tempo reale.

05 Ipotesi di sviluppo futuro Vista la novità di questo tema per Bergamo, l’attenzione si è concentrata sulle proposte potenzialmente più concrete e realizzabili in un orizzonte temporale di medio termine, anche se studi di fattibilità più specifici dovranno fornire maggiori dettagli. Queste proposte rappresentano i primi passi necessari perché Bergamo possa arrivare ad adottare le soluzioni più avanzate di miglioramento della qualità della vita dei cittadini e di ottimizzazione del servizio e delle condizioni lavorative per trasportatori, corrieri e commercianti. Un elemento emerso con regoUn confronto permanente larità nel corso delle attività di ricerca sulla logistica urbana è la carenza di condivisione delle informazioni e delle decisioni in merito alla logistica urbana. Per questo, una prima ipotesi di sviluppo futuro consiste nell’istituzione a Bergamo di un tavolo di lavoro permanente sulla logistica urbana che coinvolga in modo continuativo i diversi stakeholder. In molti paesi europei questo è già stato fatto non solo sui temi della city logistics, ma più in genera165

Bergamo logistica

Il ruolo Come visto in precedenza, il ruolo della tecnologia è fondamentadella tecnologia le per le iniziative di city logistics: la possibilità di avere un dispositivo GPS a bordo di un mezzo, la creazione di piattaforme decisionali per far comprendere meglio le caratteristiche dei diversi progetti per il trasporto urbano di merce, la possibilità di calcolare i percorsi ottimali per effettuare le consegne a partire da un CDU, applicazioni che consentano di prenotare le piazzole di carico e scarico sono solo alcune delle possibili applicazioni tecnologiche nel campo della city logistics. Per sostenere le strategie e definire gli interventi, molte città hanno creato piattaforme web di supporto decisionale, così che sia gli attori coinvolti, sia la cittadinanza potessero meglio comprendere la situazione e gli effetti dei diversi tipi d’intervento (Lubiana, Bruxelles, Siviglia). Una volta terminata la fase di analisi e iniziata la fase di attuazione del progetto, la piattaforma può diventare un sito informativo e di gestione della soluzione attuata. Nel settore tecnologico rientrano anche i mezzi a basso consumo energetico: a GPL, a metano ed elettrici. Un’esperienza sul fronte dell’utilizzo della tecnologia è il progetto Annona [16] a Saint-Étienne dove, nonostante sia già presente un CDU, l’amministrazione locale in collaborazione con l’École Des Mines sta pensando a come ottimizzare il trasporto urbano di merci con un approccio integrato e sistemico.


urbana in Europa, che sostiene inoltre la creazione di sistemi di trasporto urbano che utilizzano meno energia e producono meno emissioni, migliorando la competitività delle aree urbane e la mobilità e la qualità della vita dei suoi cittadini. Creato più di dieci anni fa, Eltis oggi è il principale portale europeo per la mobilità urbana.

Per favorire la presenza di tutti i punti di vista, il tavolo di lavoro dovrebbe coinvolgere le istituzioni, le principali aziende del settore presenti sul territorio, gli stakeholder più rilevanti (rappresentanti dei cittadini, commercianti ecc.), centri di ricerca e Università. Anche durante il workshop con gli stakeholder è emerso come l’Università di Bergamo possa avere un ruolo importante nel tenerli aggiornati, favorire la condivisione di dati e di know-how e, soprattutto, cercare soluzioni integrate e concertate che considerino gli interessi e obiettivi, spesso conflittuali, dei diversi attori.

generale, della sosta dei veicoli

L’adesione ai network Sarebbe limitativo pensare a nazionali e internazionali Bergamo senza tenere in conto le ormai tante esperienze di altre città italiane ed europee. Non può che essere fonte di ispirazione la partecipazione di Bergamo a iniziative volte allo scambio di informazioni ed esperienze. A titolo di esempio, a livello europeo possiamo citare le reti Eltis [19] QR e Civitas [20] QR per lo scambio

Eltis

Civitas

e condivisione di pratiche sul tema della mobilità e della logistica sostenibile. L’adesione a queste due reti è una proposta emersa anche nel corso dello studio e del tavolo di lavoro sulla Mobilità Urbana. Civitas è un programma che consente alle città di imparare le une dalle altre, facilitando lo scambio d’idee. Eltis invece è un portale per lo scambio d’informazioni, conoscenze ed esperienze nel campo della mobilità 166

Un’altra esigenza emersa dal confronto con gli stakeholder, soprattutto trasportatori e commercianti, è il miglioramento delle piazzole dedicate al carico e scarico dei mezzi e, più in durante le operazioni.

Un nuovo sistema di piazzole di carico e scarico in centro

Con il termine «miglioramento» si intende: – aumento del numero di piazzole disponibili, ove possibile; – ricollocazione strategica delle piazzole (esistenti e nuove) in modo da ridurre i problemi legati alla sosta e alle operazioni di carico e scarico. Solitamente le piazzole sono in numero esiguo, spesso già occupate da altri mezzi o da mezzi impropri (durante l’orario lavorativo le autovetture private non possono parcheggiare sulle piazzole di carico e scarico). Questa carenza infrastrutturale comporta un problema sia per chi effettua le consegne, sia per i commerciantiQR.

La sosta in città alta

Chi effettua la consegna rischia di incorrere in sanzioni nel momento in cui abbandona il mezzo sulle zone non adibite alla sosta: passi carrabili, marciapiedi, parcheggi per vetture.

Un altro rischio corso dal trasportatore è il furto di materiale: un’eventualità piuttosto frequente, stando a quanto emerso dalle nostre interviste. Se il mezzo è parcheggiato più lontano dal punto vendita, sarà maggiore lo spazio da percorrere portando la merce a piedi e quindi il tempo in cui il mezzo rimane incustodito. Per evitare questo problema, spesso i lavoratori dei punti vendita assistono il trasportatore aiutandolo nelle operazioni di carico e scarico o sorvegliando il mezzo durante la consegna, lasciando quindi a loro volta incustodito il negozio e rallentando le operazioni di vendita. Considerando 167

Bergamo logistica

Bergamo 2.035 cap. 06

le sui diversi temi indicati dall’Unione Europea come pilastri della Smart City. Oltre all’obiettivo di discutere e progettare interventi in modo concertato, un tavolo di lavoro ha anche lo scopo di aggiornare gli stakeholder sulle innovazioni raggiunte dalla ricerca sui temi trattati, nonché di favorire la partecipazione ai bandi europei che richiedono la collaborazione tra pubblico e privato. Come dimostrato dalle esperienze internazionali (Saint Étienne, La Rochelle, Bilbao), la presenza dell’Università come soggetto terzo e super partes nel coordinamento e supporto delle attività del tavolo di lavoro può essere un fattore chiave di successo.


Innanzitutto, sarebbero necessari un aumento del numero delle piazzole in città e una loro migliore collocazione, così che un’unica piazzola possa servire più negozi. Inoltre, il sistema delle piazzole potrebbe essere integrato con un sistema di teleprenotazione, permettendo a ogni trasportatore di organizzare il giro di consegna a seconda dei momenti in cui è disponibile la piazzola (sistema già esistente a Imola, per esempio). Questo sistema tuttavia richiederebbe anche un controllo più rigido, per evitare che le piazzole siano occupate da chi non le ha prenotate. Un ulteriore elemento di criticità è la necessità di concordare l’orario delle consegne tra trasportatori e punti vendita; laddove ciò non sia possibile, una soluzione potrebbe essere quella applicata ad Ålborg, in cui un punto vendita adiacente che dispone di magazzino tiene in consegna momentaneamente la merce appartenente a uno dei negozi limitrofi. Chiaramente, questa soluzione richiede regole precise, condivise e concordate. Un ulteriore problema emerso Razionalizzare le ZTL unanimemente dalla ricerca riguarda le zone a traffico limitato. Bergamo possiede otto differenti zone, che variano per estensioni e per giornate e orari di accesso. Secondo le linee guida della Regione Lombardia, il primo passo da compiere è una razionalizzazione delle ZTL per non creare confusione nei trasportatori che rischiano di incorrere in sanzioni. Sarebbe opportuno anche accordarsi con i comuni limitrofi, uniformando gli orari di accesso così che le aziende di trasporto possano pianificare più semplicemente i giri di consegna risparmiando sui tempi, sui costi e di conseguenza sul consumo di energia e sulle emissioni d’inquinanti, evitando i giri di consegna contorti legati al tentativo di rispettare le normative. Andrebbe non solo razionalizzato il numero, la tipologia e la regolamentazione per l’accesso alla zona a traffico limitato (per esempio consentendo l’accesso gratuito 24 ore su 24 ai veicoli elettrici e a metano), ma anche riviste le finestre orarie di accesso libero. È emerso dai questionari che in Città Alta le finestre temporali per la consegna delle merci 168

(7-10 e 15-16) non sono funzionali per chi opera nel settore della ristorazione. I ristoranti sono solitamente chiusi durante questi intervalli; chi possiede un’attività di questo tipo è costretto ad aprire prima (con costi aggiuntivi) e i trasportatori (prevalentemente quelli di alimentari freschi) devono effettuare un doppio giro di consegna (mattutino e pomeridiano) per servire tutti. Le telecamere per l’accesso ai varchi delle ZTL di Bergamo potrebbero essere usate per rendere più efficiente il controllo, l’accreditamento e l’eventuale pagamento di una tassa d’ingresso. Data la presenza di numeroUna piattaforma si attori, uno dei principali problemi web per raccogliere riscontrati è la frammentazione o la e condividere dati totale mancanza dei dati sulla logistica urbana a Bergamo: in particolare sul parco mezzi, il flusso di traffico e l’inquinamento. Inoltre, sarebbe utile poter integrare i dati relativi agli incentivi europei, nazionali e locali per le imprese che adottano particolari iniziative a sostegno dell’ambiente come l’acquisto di mezzi a basso consumo, mezzi elettrici o software per l’ottimizzazione dei carichi e dei percorsi. Sarebbero altrettanto utili strumenti per stimare l’impatto delle diverse iniziative di city logistics in termini, per esempio, di riduzione dei flussi o dei livelli d’inquinamento. L’ideale in questo caso sarebbe integrare tutti i dati e strumenti in un’unica piattaforma accessibile via Internet anche dalle aziende e dai cittadini. L’esempio potrebbe provenire da Saint-Étienne, o da LussemburgoQR, per una piattaforma web che permetta a tutti gli attori coinvolti di visualizzare le iniziative in atto, la situazione del settore, le misure adottabili, valutando quali potrebbero risultare più vantaggiose La piattaforma e quali sarebbero inadatte alla città: una piattaforma iGUESS che sia anche strumento di condivisione di dati e buone pratiche per gli attori locali, ma anche per gli stakeholder nazionali e internazionali.

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Bergamo logistica

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che il tempo di consegna può raggiungere anche i trenta minuti, è evidente che potenziare il sistema delle piazzole di sosta consentirebbe di ridurre diverse criticità in modo rilevante.


Naturalmente, prima di poter decidere se la soluzione relativa al CDU è concretamente applicabile a Bergamo vanno compiute analisi dei flussi effettivi di merci, della fattibilità economica e della reale partecipazione all’iniziativa da parte dei commercianti e dei trasportatori.

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Bergamo logistica

Bergamo 2.035 cap. 06

Infine, abbiamo rilevato come Un CDU urbano la Città Alta presenti criticità a sé, per la Città Alta come l’elevato valore storico-artistico, la presenza di turisti, i vincoli architettonici per i mezzi (strade e porte strette), la difficoltà a essere raggiunta e la presenza di numerosi esercizi commerciali al dettaglio. Per questo motivo, più che in altre zone potrebbe essere interessante ipotizzare la realizzazione di un piccolo CDU appena fuori dalla Città Alta. Un esempio di riferimento potrebbe essere Utrecht, dove un CDU posto al di fuori del centro è servito da un trenino elettrico composto da moduli componibili di dimensioni contenute, che può così accedere anche a vicoli di dimensioni ridotte, limitando l’impatto su abitanti e turisti. Un ulteriore vantaggio del trenino è che può trasportare anche vagoncini refrigerati.

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01 Consumiamo troppo (e male) _p. 175

02 La situazione nazionale e internazionale _p. 178

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03 Analisi del contesto locale: limiti e potenzialità del sistema agroalimentare locale _p. 184 05 Un piano d’azione _p. 198

172

04 Proposta per un modello applicabile a Bergamo _p. 194


Valorizzare e promuovere un sistema locale del cibo

Bergamo consum-attore

Gli ambiti della produzione e del consumo sono strettamente connessi sia al sistema economico, sia a quello sociale e ambientale. L’impatto ecologico delle nostre abitudini di consumo e dei modi di produrre è divenuto via via più insostenibile nel corso del Novecento, specie dalla seconda metà. I paesi del «Nord del mondo» consumano in modo opulento, anche se ultimamente con qualche piccola contrazione dovuta in particolare alla crisi economica del 2008 e alla crescente assunzione di responsabilità da parte sia dei consumatori sia delle imprese. Tali abitudini di consumo, indotte da un più diffuso benessere ma soprattutto da un sistema economico fondato sulla crescita illimitata e sull’aumento dei consumi, si stanno diffondendo anche in vari paesi a economia emergente, generando pressioni ambientali sempre nuove unite a nuove dispute per le risorse naturali.

PRESENZA DEI PRINCIPALI GAS CLIMALTERANTI IN ATMOSFERA Epoca preindustriale (1750)

2011

Crescita dal 2011 rispetto al 1750

CO2 Anidride carbonica in atmosfera (ppm)

280

390,9

140%

CH4 Metano in atmosfera (ppb)

700

1813

259%

N2O Ossido di azoto (ppb)

270

324,2

120%

ppm = parti per milione ppb = parti per miliardo Fonte: WMO, 2013 [1].

Il livello medio degli oceani si è innalzato di 20 cm dal 1880 al 2011, mentre le temperature continuano a salire: si stima che durante il secolo scorso la temperatura media è aumentata di 0,6 °C. il decennio 2001-2010 è stato il più caldo da 160 anni a questa parte, ovvero da 174

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Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

01 Consumiamo troppo (e male)


quando strumenti più moderni hanno permesso di effettuare misurazioni di questo tipo. (WMO, 2013) [1]. Un terzo della produzione di cibo globale (1,3 miliardi di tonnellate/anno) viene sprecata. Nel processo di produzione superflua si generano 3,3 miliardi di tonnellate di gas climalteranti all’anno (UNEP, 2013) [2].

La responsabilità nel consumo e nella produzione è fondamentale per gli obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica enunciati fin dal 1987 dalla Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo nel rapporto Brundtland Our Common Future del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), ma mai pienamente raggiunti e anzi vanificati dall’espansione dei consumi e dalla priorità data alla crescita economica. Proprio per porre rimedio a questa inerzia, da più parti si sostiene la necessità di dare un’organizzazione più razionale ai consumi, sia individuali sia collettivi — per esempio attraverso il Green Procurement pubblico e privato, per gli «acquisti verdi» di pubbliche amministrazioni e imprese. Il progetto Bergamo Consum-attore nasce all’interno di questa prospettiva, con l’obiettivo di individuare i meccanismi e favorire i processi che possono incentivare le pratiche di sostenibilità sia nel consumo che nella produzione, partendo da quel settore che forse non a caso è definito «primario»: la filiera agroalimentare che, proprio per l’importanza che ha nella vita quotidiana di ognuno, può rappresentare il fulcro di uno sviluppo economico locale integrato di Bergamo e della sua provincia. Le aree urbane sono quelle che Come consumano le città hanno maggior bisogno di importare risorse dall’esterno: incidere sui loro consumi è una sfida-chiave della sostenibilità a scala globale. 176

Queste problematiche alimentano la sensibilità della cittadinanza per le produzioni di cibo di qualità e la valorizzazione culturale, l’inclusione sociale e la protezione dell’ambiente e del paesaggio che questo tema riconnette. Questa crescente attenzione si esplicita dapprima attraverso una 177

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Bergamo 2.035 cap. 07

La biodiversità si sta riducendo a un ritmo da 100 a 1000 volte più elevato rispetto a quello «naturale». Questo fa ritenere che siamo di fronte a un’estinzione delle specie superiore a quella che la Terra ha vissuto negli ultimi 65 milioni di anni, perfino a quella che ha segnato la fine dei dinosauri. (Ispra, sito web, 8/2014) [3].

L’idea-forza del progetto è rafforzare il sistema agroalimentare locale in un’ottica territoriale, capace di integrare i tre ambiti classici della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) e settori diversi dell’economia locale come l’agricoltura, l’industria di trasformazione, la ristorazione, il turismo, l’artigianato. La promozione di un sistema locale del cibo, all’interno di un obiettivo più generale di sostenibilità ambientale e sociale, risponde a una crescente attenzione verso i temi della salubrità degli alimenti, legata all’aumento dei problemi di salute tipici dei paesi industrializzati (come obesità, ipertensione, malattie cardiovascolari, diabete, carie dentale, cancro) e al timore crescente verso le sofisticazioni e le truffe alimentari di cui periodicamente si sente l’eco nei media. Il processo di modernizzazione nella produzione di cibo ha inizialmente garantito la sicurezza alimentare per la grande maggioranza delle persone nei paesi occidentali. Nel lungo termine, tuttavia, ha generato diversi tipi di problemi, che possiamo schematizzare così nei tre ambiti della sostenibilità: – ambientali: coltivazioni e zootecnia intensiva, rilascio nell’ambiente di fertilizzanti e pesticidi, salinizzazione dei suoli e depauperamento delle falde acquifere, con un forte impatto sulla stabilità degli ecosistemi; – sociali: sicurezza e sovranità alimentare, salubrità degli alimenti, separazione dei luoghi di consumo da quelli della produzione, crescita del metabolismo urbano, benessere degli animali; – economici: riguardano sia i consumatori, sia i produttori. La globalizzazione del commercio, la grande distribuzione e in generale gli intermediari spingono i produttori a una forte competizione sui prezzi che induce a produrre in maniera più intensiva. Ciò da un lato mette in difficoltà i produttori non industrializzati e standardizzati, dall’altro rischia di fornire al mercato prodotti di qualità inferiore o meno salubri.([4]; [5, cap. 7]).


02 La situazione nazionale e internazionale Questi trend, che mostrano un forte attivismo dal basso e che si addensano spesso intorno a movimenti di livello sia locale, sia globale (come i Seed Savers o Via Campesina) assumono spesso la forma di vere reti di innovazione sociale, dette anche Alternative Food Network (AFN). Sin dalla fine degli anni Novanta, gli AFN sono stati individuati come nicchie emergenti di mercato in cui relazioni diverse e più strette tra produzione e consumo hanno aperto nuove strade rispetto a quelle del complesso agroindustriale convenzionale. Descritte in letteratura come produzioni marginali ma di alta qualità, tipiche dei paesi del Nord del mondo, le reti alternative si basano sulla prossimità spaziale tra produttori e consumatori di cibo e sull’impegno per una sostenibilità basata su una filiera quanto più corta possibile e riconnessa con il territorio e con i consumatori ([7], p. 1).

DIFFERENZE TRA SISTEMA AGROALIMENTARE CONVENZIONALE E AFN Relazioni con lo spazio

Sistema agroalimentare convenzionale (delocalizzazione)

Alternative Food Network (rilocalizzazione)

Relazioni di produzione

Produzione intensiva, concorrenza e riduzione dei prezzi al produttore; grandi quantitativi dai produttori ai trasformatori e distributori

Accento sulla qualità; i produttori cercano strategie per ottenere valore aggiunto; nuove associazioni di produttori

Relazioni di consumo

Assenza di riferimenti alla provenienza dei prodotti; assenza di stimolo a conoscere la provenienza del prodotto; prodotti “a-spaziali”

Conoscenza dei prodotti e dei luoghi di provenienza; acquisti con relazioni sia faccia-a-faccia, sia a distanza; nuove associazioni tra consumatori

Trasformazione e vendita

Assenza di trasparenza sulla tracciabilità; standardizzazione

Trasformazione e commercio locale/regionale; trasparenza, tracciabilità, alta variabilità

Quadro istituzionale

Norme altamente burocratizzate; standardizzazione e normative igieniche che la rafforzano

Sviluppo regionale sostenuto da autorità locali

Sistema di relazioni

Relazioni tecnocratiche e a distanza, commerciali, a-spaziali; assenza di fiducia e di conoscenza del territorio

Relazioni basate sulla fiducia; locale; a rete; sistema competitivo, ma in alcune occasioni collaborativo

Relazioni tra attori sociali

Riadattamento della tabella da Worlds of Food [8, pag 72]

A livello internazionale vi sono almeno due interpretazioni degli AFN. Gli studiosi europei le considerano più in linea con la Politica Agricola Comunitaria (PAC) e con la necessità delle imprese agricole di crearsi nicchie di mercato per sopravvivere in uno scenario di crescente competitività dell’impresa. Effettivamente è la stessa Politica Agricola Comunitaria (PAC) che punta sulla multifunzionalità dell’impresa agricola come occasione di differenziazione e creazione di nuovi sbocchi di mercato per le aziende. La multifunzionalità è un modo di gestione che permette alle aziende agricole di incrociare altri settori economici come il turismo, l’educazione e la cultura, l’impresa sociale. È diversa la lettura degli studiosi nordamericani: questi tendono ad associare gli AFN alle esperienze politiche e di attivismo sociale dei movimenti che si oppongono agli effetti negativi del sistema agroalimentare industriale basato sulle grandi imprese multinazionali ([7], p. 309). Che siano orientati al cambiamento della filiera agroalimentare verso uno sviluppo più sostenibile, o alla sopravvivenza delle imprese,

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ricerca individuale di cibo sano, che interessa soprattutto le fasce economicamente e culturalmente più elevate della popolazione e che favorisce una iniziale espansione del mercato del biologico. In un secondo momento, sono soprattutto le associazioni della società civile — come, nel nostro Paese, Slow Food e altre iniziative «dal basso» quali i gruppi di acquisto solidale (GAS) — ad aggregare queste nuove istanze e a sperimentare iniziative come quelle dei mercati territoriali e delle filiere agroalimentari locali, sollecitando un ripensamento più ampio sulla produzione e consumo di cibo in un’ottica locale, con l’obiettivo di ridurre la distanza tra produzione, distribuzione e consumo [6].


Alcuni Food Policy Council nel Nord del mondo AMSTERDAM 2014 – Prototipo di Food Policy Council in corso – Modello: Toronto

ROTTERDAM – Supporto a iniziative dal basso – Tavoli di discussione per coinvolgere produttori e consumatori

SEATTLE FOOD ACTION PLAN 2012 – Cibo salutare per tutti – Sviluppo dellʼeconomia locale – Prevenzione degli sprechi

LONDON FOOD BOARD –Coinvolgimento di scuole e quartieri – Fair food – Pesca sostenibile

TORONTO FOOD POLICY COUNCIL 1991 – Salute e ambiente – Agricoltura urbana – Greater Toronto Area – Giovani – Local Food Act 2012

BRISTOL FOOD POLICY COUNCIL GOOD FOOD PLAN 2013 – Festival maggio 2014 Bristol food connection


Bergamo 2.035 cap. 07

All’interno del FPC di Rotterdam, il Comune sostiene le iniziative dei gruppi che già promuovono: – programmi di educazione su cibo sano e giardinaggio; – stimolo alla creazione di nuovi orti comunitari in distretti urbani ad alta densità; – messa in rete delle scuole che gestiscono orti; – mappatura degli spazi urbani vuoti; – informazioni su opportunità e regole per creare un orto comunitario; – stimolo alla creazione di orti sui tetti del centro città; – premiazione per la migliore iniziativa di agricoltura urbana dei cittadini.

Alcune importanti città hanno I Food Policy Council adottato tavoli permanenti di discussione tra consumatori, produttori e altri soggetti intermedi che si occupano di cibo: i Food Policy Council (FPC) sono un modello interessante per «mettere a sistema» tutte le esperienze dal basso che, col sostegno delle istituzioni locali, moltiplicano gli effetti della loro azione verso fasce di popolazione sempre più ampie, con positive ricadute economiche, sociali e ambientali a livello locale. Temi ricorrenti dei FPC sono l’attenzione alla salute attraverso la salubrità del cibo e la consapevolezza dei cittadini riguardo al loro ambiente, per esempio con iniziative di agricoltura urbana, progetti educativi nelle scuole legati ad attività concrete (orti didattici, laboratori sul cibo ecc.). Da un lato, queste attività tendono a stimolare una domanda sempre più consapevole. Dall’altro, mirano a costruire luoghi di incontro tra produttori locali (urbani, periurbani, regionali) e cittadini-consumatori, per riconnettere i diversi attori del territorio e ricreare economie su una scala locale.

In generale, i FPC si danno l’obiettivo di sviluppare un sistema locale del cibo che sia sostenibile anche economicamente: per esempio attraverso iniziative che stimolano uno sviluppo economico durevole, come – promozione del cibo regionale e dei farmer’s market; – organizzazione di tavoli di discussione di incontri regionali per connettere i produttori delle zone urbane e periurbane ai potenziali acquirenti della città; – utilizzo di prodotti agroalimentari locali per le attività di catering; – messa a disposizione di terreni demaniali per favorire l’agricoltura urbana, con una riorganizzazione delle normative di pianificazione urbana.

Nei FPC si percepisce un ruolo importante delle amministrazioni locali, ma li sostiene una forte presenza di iniziative dal basso connesse all’agricoltura urbana e al tema del cibo che coinvolgono cittadini, agricoltori, imprenditori, progetti sociali, commerciali o semicommerciali.

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Anche in Italia troviamo buone pratiche legate al tema del cibo. Si tratta, però, nella maggior parte dei casi, di sperimentazioni locali attivate dal basso da forme più o meno organizzate di «Sustainable Community Movements» [9], come i Gruppi di Acquisto Solidale, le Reti e i Distretti di Economia Solidale o i vari movimenti legati al tema del cibo come Slow Food o Genuino Clandestino. Sono invece meno numerosi i casi di food policy council, e in generale più limitato lo sviluppo di «piani locali del cibo»; anche se alcuni progetti in questa direzione iniziano a coinvolgere province e comuni, tra cui Pisa (Piano del Cibo per la provincia di Pisa) e Milano (Food Policy di Milano).

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Bergamo consum-attore

agli AFN si riconosce generalmente la capacità di ricostruire le relazioni di fiducia tra consumatori e produttori e tra la città e le aree periurbane. In definitiva, si evidenzia il loro ruolo di facilitatori del difficile compito di connettere la sostenibilità economica a quella socio-ambientale. Rispetto a quanto avviene negli Stati Uniti, in Europa (e soprattutto nel Nord Europa) c’è spesso un sostegno più strutturato degli enti locali alle esperienze dal basso. Sono diversi gli esempi di città le cui politiche del cibo coinvolgono l’amministrazione comunale e la cittadinanza, sostenendo le esperienze di agricoltura urbana, i produttori periurbani e regionali e i cittadini come fruitori (consumatori, alunni inseriti in progetti di educazione nelle scuole, partecipanti a orti urbani, sociali e scolastici ecc.).


L’esame delle caratteristiche del sistema agroalimentare bergamasco mette in evidenza luci e ombre, ma fa intravedere la possibilità di una maggiore diffusione delle buone pratiche esistenti. Un sistema locale del cibo potrebbe essere modulato seguendo l’esempio di alcune esperienze internazionali significative.

Nella provincia di Bergamo, l’agricoltura rappresenta una percentuale bassa in termini occupazionali ed economici, come è vero in generale per le regioni più industrializzate e terziarizzate. Al tempo stesso, ha un’importante valenza territoriale e sociale, oltre a vantare numerose produzioni di eccellenza. La percentuale di occupati in agricoltura è del 1,6% (1,4% in Lombardia, 3,7% in Italia) rispetto al 46,5% dell’industria e al 51,8% delle altre attività (in Lombardia: 34% e 64,6%; in Italia: 27,8% e 68,5%) [10], elaborazione su dati Istat 2013. Secondo i documenti istituzionali, il settore agricolo bergamasco ha tradizionalmente un ruolo strategico nel quadro dell’economia provinciale, perché «attorno al comparto primario ruotano tutta l’industria di trasformazione agroalimentare provinciale, gran parte dell’economia delle zone svantaggiate montane (che da sole ricoprono il 63,5% della superficie territoriale) e l’intero sistema socioeconomico delle zone rurali» [11]. La provincia conta 6622 aziende agricole in totale, di cui la maggior parte è situata in pianura.

Area

Totale aziende agricole

1. Val Brembana settentrionale

61

2. Val Seriana settentrionale

137

3. Val Brembana meridionale

362

4. Val Seriana meridionale

448

5. Montagna del lago d’Iseo

359

6. Colline di Bergamo

652

7. Colline del Medio Cherio

867

8. Pianura dell’Isola

290

9. Pianura occidentale

1830

10. Pianura orientale

1616

Macroaree

Numero di aziende per macroaree provincia di Bergamo

Superficie della provincia di Bergamo e popolazione residente per area

Montagna

1367

kmq 1735,6 Popolazione residente: 220.022

Collina

1519

kmq 324,7 Popolazione residente: 348.408

Pianura

3736

kmq 685,7

Totali

6622

kmq 2.745,9 Pop. 1.094.062

Fonti: il numero di aziende, dati forniti dalla Provincia di Bergamo su elaborazione SIARL (2014) [12]; le superfici e la popolazione: Annuario statistico provinciale (2012) [13].

184

185

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Bergamo 2.035 cap. 07

03 Analisi del contesto locale: limiti e potenzialità del sistema agroalimentare locale

NUMERO DI AZIENDE AGRICOLE PER AREA IN PROVINCIA DI BERGAMO


AZIENDE AGRICOLE CON TITOLARI «UNDER 40»

NUMERO DI AZIENDE AGRICOLE IN PROVINCIA DI BERGAMO DIVISE PER ETÀ DEL CONDUTTORE Totale aziende

Giovani <40 anni

Medi 40-60 anni

Anziani >65 anni

% giovani

% medi

% anziani

1. Val Brembana settentrionale

61

12

34

15

19,7

55,7

24,6

2. Val Seriana settentrionale

137

38

87

12

27,7

63,5

8,8

3. Val Brembana meridionale

362

93

201

68

25,7

55,5

18,8

4. Val Seriana meridionale

448

125

255

68

27,9

56,9

15,2

5. Montagna del lago d’Iseo

359

100

197

62

27,9

54,9

17,3

6. Colline di Bergamo

652

91

360

201

14

55,2

30,8

7. Colline del Medio Cherio

867

187

489

191

21,6

56,4

22

8. Pianura dell’Isola

290

46

169

75

15,9

58,3

25,9

9. Pianura occidentale

1830

340

1067

423

18,6

58,3

23,1

10. Pianura orientale

1616

304

880

432

18,8

54,5

27,7

Totali

6622

1336

3739

1547

20,2

56,5

23,4

Fonte: dati forniti dalla Provincia di Bergamo su elaborazione SIARL 2013 [12].

Il 20,2% delle aziende della provincia sono guidate da titolari sotto i 40 anni, quota vicina a quella degli anziani, che è lievemente superiore: il 23,4% di aziende ha titolari con più di 65 anni; 186

Area

n. di giovani

% di giovani

n. di aziende

% di aziende

Montagna

368

27,5

326

30,5

Collina

278

20,8

234

21,9

Pianura

690

51,6

510

47,7

Totale

1.336

1.070

Fonte: dati forniti dalla Provincia di Bergamo su elaborazione SIARL 2013 [12].

Le peculiarità morfologiche della provincia, separata in tre fasce, montagna (63,5%), collina (11,8%) e pianura (24,7%), si riflette anche sul sistema socioeconomico. Nel settore agricolo, se la pianura è in maggioranza occupata da produzioni agroindustriali (zootecnia, cerealicoltura e orticoltura in tunnel), le altre aree sono più interessate da produzioni tipiche, che non si distinguono per quantità ma sono da tenere in considerazione sia per la loro importanza nel garantire sicurezza alimentare e ambientale [14], sia per l’alto numero di produzioni tipiche: il presidente della Coldiretti provinciale segnala nove DOP europee per la produzione dei formaggi, due DOC per i vini (la Valcalepio e la DOCG Moscato di Scanzo). Questo sostiene una forte connotazione identitaria territoriale, basata sull’alta qualità delle sue produzioni. Per analizzare il contesto locale, anche in base alla percezione e ai suggerimenti di coloro che sono coinvolti nel sistema agroalimentare, un’indagine condotta con interviste e tavoli di discussione ha coinvolto più di quaranta tra rappresentanti delle associazioni di consumatori, di quelle dei produttori e delle istituzioni locali. Le interviste hanno messo in luce svariate esperienze e iniziative che valorizzano la filiera agroalimentare locale. Restano diversi limiti: in particolare, queste buone pratiche raramente «fanno sistema». Il mondo agricolo bergamasco è ben organizzato nella produzione, 187

Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

Area


ma meno attento alla promozione e ai vantaggi che deriverebbero da una cooperazione interna o con altri settori, come si è sperimentato in province e regioni vicine. La mancanza di una visione comune determina una frammentazione che ostacola i risultati. Il confronto con gli attori locali ha evidenziato i punti di forza e di debolezza della filiera agroalimentare bergamasca, dando indicazioni per valutare le opportunità e i limiti di un progetto di valorizzazione di uno sviluppo locale più sostenibile e integrato, a partire dal tema comune del cibo.

Formaggi DOP

Vini

Bitto

Valcalepio (DOC)

Formai de Mut dell’alta Valle Brembana

Terre del Colleoni (DOC)

Taleggio

Moscato di Scanzo (DOCG)

Quartirolo lombardo Grana Padano

Altri prodotti DOP Gorgonzola Salamini italiani alla cacciatora

Provolone Valpadana Salva Cremasco

Olio extravergine di oliva dei laghi lombardi Sebino

Strachitunt

Il settore agricolo bergamasco I punti di forza mostra un forte dinamismo. Nelle zone di montagna e di collina, per le peculiarità del territorio e per la necessità di differenziare produzioni e servizi, si sta sviluppando un’agricoltura multi188

Diverse altre iniziative si ripropongono di avvicinare al produttore il cittadino, per innalzarne la consapevolezza, con l’idea che un consumatore cosciente sosterrà produttori più responsabili. La vendita diretta o la raccolta diretta in azienda sono modi per accorciare la filiera: già nel 2003 la Provincia aveva censito più di 350 aziende che aprono le porte ai clienti [16]. I mercati con prodotti locali o «a km zero» promossi da Coldiretti, Slow Food, Mercato & Cittadinanza, Confagricoltura coinvolgono periodicamente piccoli e medi produttori della provincia nelle piazze di Bergamo e di comuni della provincia come Albino, Corna Imagna, Gandino, Lovere, Solza. Si contano inoltre 243 aziende che trasformano il latte direttamente, e 34 che hanno un distributore automatico del latte fresco in sede (dati del 2013). Bergamo vanta poi molte iniziative di orticoltura urbana, che — come mostrano le esperienze internazionali — sono un modo per aiutare sia gli alunni delle scuole, sia gli adulti a comprendere meglio il rapporto tra terra, natura e cibo. Se ne contano più di una decina tra quelle gestite dal Comune, quelle organizzate nelle scuole e quelle informali. In particolare, sono fruttuose le iniziative in cui l’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia – Ambito Territoriale di Bergamo collabora con l’Orto Botanico di Bergamo L. Rota: gli orti scolastici del programma «Orti e giardini per le scuole che crescono: coltiviamo progetti e seminiamo conoscenza», che fa parte del più ampio «CAN EAT – Cultura Agricoltura 189

Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

PRODOTTI AGROALIMENTARI BERGAMASCHI TIPICI E ALTRE PRODUZIONI DELLA PROVINCIA DI BERGAMO

funzionale. Aziende agricole e contadini integrano la produzione con altri servizi per il territorio, come turismo enogastronomico, iniziative culturali, progetti di educazione, spesso interagendo con le istituzioni educative locali. Questo accade in particolare con le fattorie didattiche, di cui vi è una buona rappresentanza nelle fasce collinari e montane (il Progetto Fattorie Didattiche della Provincia di Bergamo ne mette in rete più di settanta): «aziende agricole che integrano il proprio reddito con attività di tipo divulgativo e pedagogico, volte a far conoscere il mondo rurale e le filiere agroalimentari, nonché educare a un consumo consapevole e al rispetto dell’ambiente» [15]. Insomma, esistono già dei presìdi istituzionalmente riconosciuti di diffusione della consapevolezza sul tema del progetto. Un’altra forma di differenziazione delle attività agricole sono le attività di agriturismo (144 al 2013). Il settore è dinamico e in crescita (+8% dal 2011 al 2012).


Natura Expo Alimentazione Territorio» e ha ottenuto il riconoscimento di Expo 2015. L’Orto Botanico è un centro di visite di istruzione per scolaresche ma fornisce anche consulenza direttamente presso le scuole che partecipano al progetto, integrando nell’istruzione i temi alimentari.

Orti circoscrizione 1

via Pizzo Redorta (Celadina)

Orti circoscrizione 2

via Morali (Grumello) via Azzanella (Colognola) via Cavalli – Cave (Zona Trucca) via Caravana via San Pietro ai Campi (Colognola)

Orti circoscrizione 3

via Pescaria (Conca Fiorita) via Pescaria ex Lavatoio (Conca Fiorita) Nuovo parco del Quintino (Monterosso)

Sono molto interessanti, nell’ottica di sviluppare un sistema locale del cibo, alcuni progetti che mettono in rete i tre attori fondamentali della società locale: le istituzioni, i gruppi di consumatori (responsabili) e i gruppi di produttori (responsabili): Il progetto educativo «Mangio locale e penso universale», attivo dal 2011, collega le mense scolastiche con produttori di alimenti del territorio, associati in Coldiretti. La collaborazione tra i Servizi Sociali ed Educativi del Comune di Bergamo, Coldiretti e gli enti gestori delle mense scolastiche (Bergamo Servizi per il Comune e Sercar come privato appaltatore) ha permesso di portare una volta al mese nelle scuole un menù a Km 0, valorizzando e pubblicizzando la filiera corta locale sia con i bambini, direttamente coinvolti, sia con le loro famiglie. Il progetto prevede connessioni anche con l’aspetto didattico ed educativo (laboratori sul cibo, visita a fattorie didattiche, orti scolastici) e stimola gli alunni attraverso un concorso a premi e la mostra degli elaborati. 190

Oltre al progetto di Gandino, sono davvero numerose le iniziative legate a un maggiore attivismo dei cittadini come «consum-attori»: espressione che indica la capacità di stimolare il settore produttivo a venire incontro a richieste di maggior trasparenza, garanzia e attenzione alla sostenibilità espresse dalle scelte di consumo [17]. Nella provincia bergamasca, già ricca di organizzazioni di volontariato e realtà cooperative, crescono in modo significativo le nuove forme di partecipazione legate a nuovi stili di vita e di consumo. In modo simile a quanto avvenuto in molte province e regioni italiane, anche nella zona di Bergamo negli ultimi anni si è osservata una diffusione capillare dei Gruppi di Acquisto Solidale. Oggi oltre settanta sono riuniti in una rete provinciale. Questi gruppi — formati, come è noto, da persone che decidono di incontrarsi per acquistare insieme e ridistribuire tra loro prodotti alimentari e di uso comune che rispettano criteri ecologici e sociali — rappresentano una novità importante: aggregando la domanda di certi tipi di prodotto costituiscono spesso quel «pro-motore» o massa critica iniziale che è fondamentale per attivare processi di ricostruzione e valorizzazione della filiera agroalimentare locale. Una ricerca dell’Osservatorio CORES dell’Università di Bergamo ha evidenziato che ogni GAS coinvolge mediamente una ventina di famiglie. Attraverso un rapporto diretto con i piccoli e medi produttori locali che attuano pratiche di produzione sostenibile, i GAS ne garantiscono la sopravvivenza. I produttori in molti casi non riuscirebbero a mantenere la sostenibilità economica nel mercato convenzionale, o in alternativa non 191

Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

LOTTI DI ORTI URBANI ASSEGNATI TRAMITE BANDO DEL COMUNE DI BERGAMO

Il progetto del Mais spinato di Gandino è un’altra interessante iniziativa di valorizzazione integrata della filiera agroalimentare locale. Riguarda una comunità territoriale ben definita, le «Cinque Terre di Gandino», e pone al centro della ricostruzione della filiera agroalimentare locale il recupero della coltivazione di una varietà di mais storicamente legata al territorio, lo «spinato». Grazie al lavoro di un gruppo di cittadini e al sostegno delle istituzioni locali (Comune, Pro loco, l’ente di ricerca sul mais Cra-Mac), la valorizzazione di una produzione di mais e derivati di quantità non elevata, ma di qualità particolare, ha permesso di attivare interessanti progetti di ricostruzione territoriale della filiera agroalimentare che mirano a integrare il turismo con la gastronomia e la cultura del luogo.


I piccoli produttori locali e biologici stanno avviando esperienze per mettere in rete le forze. Con azioni come la vendita o la raccolta diretta GAS in provincia di in azienda, la creazione di un rapporto di fiducia con i Bergamo Elaborazione «consum-attori» e i GAS, e lo scambio materiale e immaCST dati CORES 2013 teriale (esperienze, competenze, prodotti in eccedenza), reti informali come Orobiebio e Agrimagna sperimentano forme di «resilienza sociale» e di sopravvivenza economica. Alcune di queste realtà, come le cooperative sociali, sono anche occasioni di inserimento lavorativo per i soggetti più deboli della società: in Agrimagna, il progetto è stato stimolato dall’Ambito Sociale Locale dei comuni della Valle Imagna. In mancanza di un tavolo istituzionale, queste istanze hanno trovato un punto d’incontro informale permanente nella Rete di Economia Solidale della bergamasca «Cittadinanza Sostenibile»: un’iniziativa nata nel 2007 cui partecipano molte organizzazioni del territorio che promuovono stili di consumo e risparmio socialmente orientati, cooperative di consumo come Il sole e la terra, cooperative di consumo e produzione come Biplano e Aretè [19]. I progetti avviati da soggetti che si sono messi in rete e le buone pratiche territoriali censite sono un’ottima base da cui partire per stimolare e aiutare a tessere le relazioni utili a costruire un sistema locale del cibo. Qualche punto debole Numerosi aspetti critici frenano la diffusione delle pur molte buone pratiche presenti nel territorio. In primo luogo, i terreni agricoli utilizzabili sono limitati, e le terre lasciate incolte dall’agroindustria poche e marginali. Nonostante il forte calo del numero di aziende agricole rilevato tra gli ultimi due censimenti (-32%, in linea col dato nazionale, tra il 2000 e il 2010), è cresciuta in modo altrettanto netto la concentrazione delle superfici aziendali: un processo considerato «fisiologico» e in linea con le tendenze dell’agricoltura professionalizzata nordeuropea [20]. Superiore alla media è invece il consumo di suolo. Dal 1955 al 2007 192

Carta dell’uso e copertura del suolo

sono andati persi oltre 37mila ettari di superficie agricola [21], mentre, tra i due ultimi censimenti, la superficie agricola totale è calata del 24% [22]. Il consumo abitativo «opulento», unito alla costruzione di infrastrutture e capannoni industriali che oggi in buona parte sono inutilizzati, ha ridotto fortemente l’estensione di superfici agricole che in gran parte erano di pregio [23] QR.

A livello organizzativo, tutti gli incontri e le interviste svolte hanno messo in luce l’importante questione della frammentazione e della scarsa collaborazione in agricoltura. Il problema viene attribuito sia a un retaggio storico di isolamento, sia a una diffusa ritrosia culturale alla collaborazione. Il mondo agricolo è considerato ricco di capacità e competenze riguardanti la produzione, ma povero di possibilità di sviluppare forme cooperative che spesso aiuterebbero i produttori a promuovere e distribuire meglio i frutti del loro lavoro. Emerge anche lo scarso ruolo di coordinamento delle istituzioni locali. Questo pesa soprattutto per le nuove esperienze, poco strutturate, di collaborazione tra produttori ispirate all’idea di sviluppare un sistema del cibo locale. I rappresentanti di un’associazione di piccoli e medi produttori biologici, Orobiebio, hanno sottolineato che non si sente tanto la necessità di un aiuto economico o di un sostegno alla produzione, ma di un contributo per promozione, formazione, assistenza tecnica, logistica: tutto ciò che i singoli produttori o i nuovi gruppi attenti alla sostenibilità, alle prese con la quotidianità, non riescono a sviluppare da soli. Un’altra criticità importante è l’impatto della grande distribuzione organizzata (GDO), sia sul commercio di prossimità che sui produttori agricoli. La GDO attua, ribadiscono gli intervistati, una concorrenza spietata, che abbassa i prezzi al consumo ma riduce anche la qualità del prodotto, costringendo molti a utilizzare tecniche di produzione sempre più avanzate ma spesso molto intensive e poco rispettose della natura. Secondo un rappresentante di Confagricoltura, la GDO, che oggi è un attore fondamentale, tende a comprimere nei due sensi sia i redditi, sia l’operatività. Coinvolgere la GDO può essere utile, ma stando in guardia contro eventuali rischi di trasformazione delle scelte sostenibili in 193

Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

potrebbero garantire l’elevata qualità delle loro produzioni, perlopiù biologiche anche quando non hanno la certificazione ufficiale [18] QR.


04 Proposta per un modello applicabile a Bergamo All’interno dell’agenda mondiale per la sicurezza alimentare, i modelli di produzione e consumo responsabile hanno assunto importanza crescente. Rappresentano un’alternativa sempre più credibile di fronte alle difficoltà nate dalla globalizzazione commerciale. Tuttavia, proporre e sostenere questi modelli di produzione e consumo resta difficile. Diversi osservatori suggeriscono che i cambiamenti nei consumi e negli stili di vita possono stimolare una maggiore sostenibilità nella produzione, ma è necessario riconoscere che gli atteggiamenti di consumo tendono a essere «resistenti»; tanto più lo sono in momenti di crisi economica, che riducono il potere d’acquisto dei consumatori spingendoli spesso all’acquisto di beni «a basso costo» (spesso a scapito dei lavoratori, dell’ambiente e della salute dei cittadini). Anche per questo motivo recentemente, soprattutto in seguito alla crisi economica, i paesi del Nord Europa e del Nord America hanno iniziato a guardare con interesse ai sistemi alimentari locali. Un sistema più sostenibile, si sostiene, non può che svilupparsi a partire dai territori, rilocalizzando almeno parte della filiera agroalimentare.

194

Da una diversa politica del cibo e dalla relativa educazione alimentare e ai consumi possono discendere risultati significativi di salute pubblica, protezione ambientale, salvaguardia del paesaggio e delle risorse naturali, corretta gestione del territorio, coesione sociale e — un aspetto cruciale per il resto degli obiettivi — un reddito più adeguato per gli agricoltori. Quest’ultimo è un elemento messo sempre più in discussione dai mercati globalizzati e da una parte delle stesse politiche agricole degli ultimi decenni. Un sistema locale del cibo è un insieme di iniziative, pratiche, collaborazioni sostenute — almeno inizialmente — da una domanda di nicchia; anzi, da varie nicchie di domanda che, a giudicare dagli ultimi trend, si differenziano e si espandono, appoggiando così un’economia locale crescente. La salubrità del cibo e il rinsaldarsi dei rapporti tra città e campagna motivano la scelta di tante città dei paesi occidentali di puntare sulla costruzione di sistemi alimentari locali per migliorare le condizioni di vita oltre all’equilibrio e all’economia del territorio. Anche in termini di valore aggiunto quest’economia può restare minoritaria rispetto all’agricoltura convenzionale, ma è importante a livello socioambientale: rientra nell’idea di «agricoltura multifunzionale» sviluppata anche dalla Politica Agricola Comunitaria, che mira a favorire, l’occupazione nelle aree marginali per limitare le conseguenze del loro progressivo spopolamento, che le destinerebbe al degrado. La ricerca svolta ha portato a discutere i diversi modelli di sistema agroalimentare locale (da quello convenzionale a quello integrato, «a sviluppo circolare», degli AFN) con i diversi attori territoriali che, con ruoli diversi, partecipano alla filiera del cibo, dal produttore al consumatore. In base ai problemi rilevati, Creare un immaginario il progetto ha cercato di stimolare un comune «immaginario comune», valutato come necessario a migliorare la capacità di collaborazione, verso un obiettivo condiviso: accrescere la produzione e il consumo locale responsabile che, come la stessa ricerca ha chiarito, è un desiderio della maggioranza dei soggetti coinvolti. In un sistema come questo, gli stessi attori coinvolti nella filiera agroalimentare hanno segnalato diverse opportunità per la sopravvivenza economica di realtà produttive locali — piccole e medie, ma anche più grandi — e

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Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

«etica griffata»: una sorta di riadattamento o svuotamento del progetto in base a logiche di profitto che non sono certo in linea con il progetto di cui stiamo trattando. Alcuni intervistati, d’altra parte, segnalano che la «filiera corta» appare sopravvalutata dai media, e che lo sviluppo di un progetto di questo tipo richiede una buona consapevolezza dei limiti importanti connessi alla superficie agricola, la logistica, la sostenibilità economica: si può ben agire, riassumono, ma occorre tenere presente che le produzioni locali non potranno sostituire, se non solo in parte, quelle del sistema agroalimentare attuale.


196

Bergamo 2.035 cap. 07

que «responsabili» hanno la forma della cooperativa sociale, in cui l’inclusione di soggetti svantaggiati è prioritaria. Valorizzando persone con minori opportunità, si tagliano tra l’altro costi sociali che ricadrebbero altrimenti sugli enti pubblici. Stimolando le giuste connessioni tra gli attori di un territorio, i sistemi locali del cibo possono facilitare la formazione delle cosiddette «masse critiche»: un numero adeguato di attori sociali e di connessioni tra attori che rende un sistema autosufficiente, sebbene inizialmente con carattere «di nicchia». Come anche le forme meno istituzionalizzate di AFN hanno dimostrato, le reti comunitarie caratterizzate da prossimità territoriale e da un’organizzazione sociale orientata alla condivisione possono rappresentare importanti innovazioni sociali, capaci di sostenere progetti e nuove dinamiche di sviluppo socioeconomico. Nel nostro paese, le ricerche condotte sui GAS hanno messo in evidenza per esempio come già questi gruppi rappresentino importanti fonti di innovazione sociale, capaci di suggerire soluzioni efficaci ai problemi di insostenibilità dei sistemi agroindustriali dominanti [24; 25; 26]. I GAS permettono a gruppi di famiglie di aggregarsi per acquistare insieme beni (non solo alimentari) da produttori selezionati in accordo con alcuni principi fondamentali come il rispetto dell’ambiente e delle persone e la solidarietà [27]. In questa ottica, l’avvio di un processo per la costituzione di un sistema locale del cibo della città di Bergamo rappresenterebbe innanzitutto un’occasione di riflessione politica e culturale coordinata sul tema alimentare e sulle implicazioni e connessioni con molti aspetti della vita delle persone e del benessere delle nostre comunità.

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Bergamo consum-attore

in generale per il benessere individuale e collettivo della loro comunità. Anche a Bergamo, lo sviluppo di un sistema alimentare locale volto a conoscere, socializzare e formare, trasformando la cultura dell’approvvigionamento e del rapporto con il cibo, può essere facilitato dall’evidente tendenza alla diversificazione della domanda che, nonostante la crisi che per molti ha ridotto la capacità di spesa, vede crescere iniziative come i Gruppi di Acquisto Solidale. Perché il numero dei consum-attori cresca, è necessario tuttavia da un lato aumentare l’informazione e la sensibilizzazione sulle conseguenze sociali e ambientali della produzione e del consumo individuale e collettivo; dall’altro facilitare l’accesso a prodotti agricoli locali e di qualità, individuando strategie che creino alternative al consumo di massa, che devono nascere da una stretta collaborazione tra i diversi soggetti territoriali. Un obiettivo chiave dei sistemi locali del cibo consiste proprio nel generare e mantenere la partecipazione e la collaborazione tra i diversi attori di un territorio, di ogni ceto e settore economico o amministrativo, promuovendo attività per il coinvolgimento attivo di tutti gli interessati al tema. D’altra parte, se c’è una visione integrata un sistema alimentare riterritorializzato aiuta le amministrazioni locali ad attuare diverse politiche territoriali: – sostegno alla salute: l’accesso a cibo più sano può portare a una diminuzione delle malattie dovute all’alimentazione scorretta e a una riduzione della spesa sanitaria; – politiche di sviluppo economico: dal sostegno alla produzione alimentare conseguono opportunità di occupazione locale (per esempio riorientando la ristorazione pubblica: mense di ospedali, scuole, università, carceri ecc.); inoltre, un sistema che favorisce la multifunzionalità dell’agricoltura aiuta a sviluppare altri settori connessi al cibo, come il turismo locale ed enogastronomico; – politiche per l’ambiente: in particolare, garantire la sopravvivenza di forme di agricoltura sostenibile protegge l’ambiente locale e lo mantiene vivo; mentre migliori abitudini alimentari comportano maggiore attenzione allo spreco di cibo, riducendo l’impatto della produzione e gli scarti alimentari — la cui gestione è sempre problematica, specialmente in ambito urbano; – politiche sociali: varie realtà agroalimentari biologiche o comun-


05 Un piano d’azione

Diversi strumenti facilitano la comunicazione tra i vari attori che sviluppano buone pratiche: vanno dalle semplici mailing list ai siti e piattaforme online con cui produttori e acquirenti provano a gestire al meglio ordinativi, spazi e logistica, fino ad applicazioni per smartphone che aiutano a ricevere maggiori informazioni sui prodotti e sui territori di provenienza (per esempio attraverso la lettura dei codici a barre). I GAS della provincia usano una piattaforma creata appositamente per gestire collettivamente gli ordini dei produttori conosciuti, mentre gruppi di scambio e prestito di oggetti (come Regalo e Presto) usano una semplice mailing list. Non sembrano essere state sviluppate tecnologie particolari; questo è dovuto, secondo gli intervistati, anche a una conoscenza limitata degli strumenti informatici da parte di produttori e «consum-attori». D’altro canto, bisogna sempre tenere in considerazione, come già è stato messo in evidenza ([5], cap. 6), che se manca la partecipazione, gli sforzi finanziari affrontati nello sviluppo di progetti e tecnologie smart sono facilmente vanificati da risultati non all’altezza dell’investimento. Con queste premesse, l’obiettiFar crescere vo di Bergamo Consum-attore è rafforla consapevolezza zare la consapevolezza su alcuni temi chiave dello sviluppo, a partire da una riflessione sui sistemi agroalimentari alternativi (gli Alternative Food Network, «AFN») come soluzioni locali che emergono dal basso. 198

Il risultato atteso è la creazione sul territorio bergamasco di un organismo simile ai Food Policy Council, con il coinvolgimento attivo della cittadinanza. Alcune attività proposte, per il prosieguo delle attività, a chi è stato coinvolto nella ricerca sono: – Valutazione delle competenze di partenza e bisogni formativi dei diversi attori; – Realizzazione di eventi a livello territoriale; Realizzazione di strumenti web per la condivisione dei materiali e la facilitazione delle relazioni tra attori nel territorio; – Realizzazione di una mappa e di percorsi turistici per valorizzare i soggetti della filiera agroalimentare locale, stimolando le connessioni con iniziative dalle finalità analoghe sul territorio (nuovo turismo delle comunità viaggianti, turismo enogastronomico ecc.). Partendo dalle esigenze e dalle difficoltà esplicitate nelle interviste, come la frammentarietà delle buone pratiche e gli sforzi necessari a gestire una rete di collaborazioni, queste attività possono essere implementate attraverso diversi tipi di sostegno: – un sostegno formativo per chi avvia attività innovative, che può nascere anche da collaborazioni tra le associazioni di produzione; un sostegno nel trovare spazi adatti allo scambio tra produttori e 199

Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

Questo progetto ha portato a individuare, esplorare e discutere con gli attori del territorio bergamasco alcune tendenze significative, attraverso una strategia di ricerca volta a censire le esperienze e i progetti, ma anche a identificare le diverse visioni degli attori territoriali sulla necessità di un piano locale di produzione, distribuzione e consumo alimentare. Lo sviluppo di tecnologie di punta è uno degli obiettivi dei progetti «smart». La ricerca ha messo in evidenza come nella realizzazione di progetti simili le tecnologie dell’informazione abbiano ora (e avranno sempre più) un ruolo importante nel mettere in rete le iniziative esistenti e gli attori sociali che vi partecipano o che sono interessati a crearne di nuove.

Dopo la fase iniziale di monitoraggio e messa in rete dei soggetti principali, il progetto mira a realizzare le condizioni per stimolare l’apprendimento reciproco, la comprensione critica e l’impegno attivo di soggetti e attori chiave del sistema agroalimentare bergamasco a base comunitaria. Per questo un passaggio sarà la costruzione di un tavolo permanente, già in parte avviato durante la ricerca, per coinvolgere i seguenti soggetti: – Produttori agricoli su piccola scala, partendo da quei soggetti già in rete tra loro e che hanno già dimostrato interesse per la filiera corta; – Associazioni e gruppi di consumatori che promuovono il consumo responsabile (ad esempio i GAS) – Staff e amministratori degli enti locali; – Organizzazioni della società civile, ONG, ecc.


Lo sviluppo del turismo indipendente e responsabile degli ultimi anni può essere un ulteriore strumento per unire l’esigenza di un’alimentazione più sana alla conoscenza, tutela e valorizzazione del territorio. La mappatura delle buone pratiche può interagire con la promozione dei tanti itinerari turistici specifici (enogastronomici, paesaggistici, sportivi…) che le nuove «comunità viaggianti» — viaggiatori indipendenti alla ricerca di incontri faccia a faccia con le identità locali — cercano spesso nelle «aree fragili» [28], come quelle montane, dove le iniziative sul tema del cibo sono fondamentali per la riscoperta della cultura, delle tradizioni e delle identità.

200

Bergamo consum-attore

Bergamo 2.035 cap. 07

«consum-attori»: molto spesso le piccole aziende agricole locali e biologiche trovano difficoltà nel tenere corta la filiera, così come i consumatori hanno poco accesso alle fonti di cibo locale e sostenibile. La collaborazione con le amministrazioni locali potrebbe rivitalizzare quartieri e aree, utilizzando per esempio spazi in disuso, piazze o altri luoghi per organizzare mercati a filiera corta. Anche la collaborazione con i negozianti potrebbe ridare impulso sia al commercio, sia alla produzione di prossimità; – un sostegno per l’uso delle tecnologie informatiche, che permetta di scoprirne le potenzialità e le possibili applicazioni

201


01 SostenibilitĂ , territorio e imprese _p. 205

02 Il territorio di Bergamo _p. 209

Bergamo 2.035 cap. 08

03 Le politiche di CSR per il territorio _p. 214

05 Esperienze italiane e internazionali di collaborazione e supporto _p. 224

202

04 Collaborazione tra imprese e supporto alle imprese per la sostenibilitĂ _p. 220

06 Presente e futuro _p. 230


Il ruolo sociale dell’impresa nella comunità locale

Bergamo responsabile

Fra gli elementi centrali per lo sviluppo di un territorio vi sono l’attività imprenditoriale e il ruolo delle imprese. A questi sono legati i livelli di produzione, occupazione e benessere di un’area locale. Proprio in ragione della loro centralità nei sistemi economici, le imprese sono attori fondamentali per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile. Nella misura in cui si ritiene che la sostenibilità sia un obiettivo chiave per costruire la Bergamo del futuro, è necessario prendere in considerazione il ruolo delle imprese del territorio bergamasco, soprattutto, quello che potranno avere in futuro nel perseguire quest’obiettivo. Lo «sviluppo sostenibile» è stato definito come sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri [1]; uno sviluppo che corrisponde non solo e non tanto alla crescita economica, quanto al miglioramento delle condizioni di vita attuali e future. In particolare, la sostenibilità dello sviluppo consiste nella capacità di conciliare tre dimensioni fondamentali: economica, ambientale e sociale. Uno sviluppo sostenibile per il territorio richiede la capacità di creare valore economico secondo modalità che consentono di preservare l’ambiente naturale e di perseguire obiettivi di equità sociale [2]. La dimensione ambientale è quella più comunemente associata al concetto di sviluppo sostenibile. Riguarda gli obiettivi di tutela dell’ambiente naturale, a beneficio di chi lo abita attualmente e delle generazioni future. Temi centrali riguardano, da un lato, lo sforzo di minimizzare l’impatto inquinante delle attività e, dall’altro, l’attenzione all’utilizzo di risorse naturali scarse. La sostenibilità dello sviluppo riguarda però anche la dimensione sociale: il perseguimento di obiettivi di equità, giustizia e inclusione. La crescita economica in sé non garantisce l’equità sociale; al contrario, in alcuni casi può realizzarsi a beneficio di alcune fasce della popolazione e a discapito di altre. Gli obiettivi dell’equità e dell’inclusione sociale

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Bergamo 2.035 cap. 08

01 Sostenibilità, territorio e imprese


dovrebbero invece essere perseguiti in un percorso di sviluppo sostenibile, in quanto condizioni indispensabili perché la creazione di valore economico si accompagni a un miglioramento diffuso delle condizioni di vita.

Il Libro Verde della CommisChe cos’è la Corporate sione Europea ha definito la responSocial Responsibility sabilità sociale d’impresa come «l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate» [5]. Sono socialmente responsabili le imprese che non si limitano al rispetto delle norme di legge, ma si pongono ulteriori obiettivi di miglioramento del proprio impatto ambientale e sociale [6; 7; 8]. Un altro tratto distintivo di queste politiche richiamato dalla definizione della Comunità Europea riguarda la loro integrazione con la gestione aziendale: il perseguimento di obiettivi sociali e ambientali non dev’essere inteso come qualcosa di estraneo o aggiuntivo rispetto alle attività produttive e commerciali dell’impresa, dovrebbe invece essere un fattore determinante nelle scelte relative al modo in cui realizzarle [9]. L’impatto ambientale e sociale di un’impresa è principalmente legato alle caratteristiche dei suoi prodotti, alle modalità di realizzazione dei processi produttivi e al tipo di relazioni instaurate con i diversi stakeholder aziendali (lavoratori, clienti, fornitori, comunità locali ecc.). In questa prospettiva, anche nello studio dello sviluppo di una specifica area territoriale quale quella bergamasca, risulta centrale cercare di comprendere il ruolo che le imprese possono avere nel favorire condizioni di sostenibilità dello sviluppo. In questo progetto uno degli ambiti di approfondimento è stato dedicato proprio all’analisi di questo tema. Poiché l’oggetto della presente ricerca è il futuro di Bergamo, nell’impostazione del lavoro ci siamo posti l’obiettivo di declinare il tema del rapporto 206

In merito al primo aspetto, ci siamo posti l’obiettivo di identificare gli ambiti della corporate social responsibility che hanno un impatto diretto sul contesto locale, cercando di capire quali siano la sensibilità e le pratiche già adottate dalle imprese del territorio. Il secondo aspetto fa invece riferimento a un trend identificato nella prima fase del programma di ricerca Bergamo 2.035. È emerso come sul tema della sostenibilità tendano a diffondersi forme di collaborazione tra diversi attori: tra consumatori, tra imprese, tra imprese e consumatori, tra attori pubblici e privati. Ciò nasce da un lato dalla condivisione dei valori e degli obiettivi della sostenibilità; dall’altro dalla consapevolezza che il perseguimento di obiettivi di tale portata richiede uno sforzo congiunto di soggetti molteplici. Abbiamo scelto, quindi, di indagare anche la diffusione nel contesto bergamasco d’iniziative di collaborazione che coinvolgano le imprese locali sui temi della sostenibilità. Poiché la capacità di «fare rete» e di collaborare a livello locale emerge come esigenza centrale anche nella prospettiva dello sviluppo del territorio e della diffusione di pratiche di responsabilità sociale, riguardo alle collaborazioni tra imprese e alle forme di supporto alle pratiche di sostenibilità, abbiamo effettuato anche un’analisi nazionale e internazionale per identificare iniziative di successo che — insieme all’analisi delle esperienze già maturate a Bergamo — possano dare indicazioni per un comune percorso futuro delle imprese locali.

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Bergamo 2.035 cap. 08

Allo sviluppo sostenibile contribuiscono diversi attori, pubblici e privati, singoli e organizzazioni. Giocano certamente un ruolo di primo piano le imprese, che oltre ad essere motore dello sviluppo economico possono incidere significativamente sulla dimensione sociale e su quella ambientale attraverso il modo di gestire l’attività e le proprie politiche di responsabilità sociale (corporate social responsibility, CSR, a cui corrisponde la formula italiana «responsabilità sociale d’impresa», RSI) [3; 4].

tra imprese e sostenibilità con riferimento al contesto locale. Ciò ha portato a concentrare l’attenzione su due ambiti d’indagine: – le pratiche di responsabilità sociale adottate dalle imprese del territorio che hanno un impatto sul contesto locale; – le forme di collaborazione tra imprese del territorio e le forme di supporto da parte di altri attori locali per promuovere e favorire la sostenibilità.


21,60%

2,01% Servizi di informazione e comunicazione

2,18% Attività finanziarie e assicurative

2,36% Noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto

2,54% altro

2,67% Trasporto e magazzinaggio

3,74% Attività professionali, scientifiche e tecniche

4,14% Imprese non classificate

4,47% Altre attività di servizi

5,48% Agricoltura, silvicoltura pesca

6,36% Attività dei servizi alloggio e ristorazione

Attività immobiliari

Attività manifatturiere

Commercio allʼingrosso e al dettaglio

Costruzioni

7,09%

13,19%

22,16%

Il territorio della provincia di Bergamo è caratterizzato dalla presenza di imprese di piccole o medie dimensioni (il 92,96% ha meno di 9 addetti), per la maggior parte attive nei settori del commercio (30,63%), costruzioni (22,16%) e manifatturiero (13,68%). I dati sono indice di una elevata frammentazione del tessuto produttivo: le imprese bergamasche sono molte e in gran parte di piccole dimensioni. Il loro ruolo sociale non può non essere studiato alla luce di questi dati che suggeriscono criticità possibili come, ad esempio, la scarsa disponibilità di risorse da investire per perseguire obiettivi di responsabilità sociale. È interessante inoltre notare che, accanto a imprese particolarmente longeve (circa il 10% ha più di trent’anni), la metà delle aziende bergamasche è nata dopo il 2000. La presenza significativa di imprese relativamente giovani è sicuramente un punto di forza del territorio. I tratti tipici delle imprese di nascita più recente — maggiore innovatività, flessibilità e proattività — possono essere strumenti preziosi nel guidare le imprese bergamasche verso un futuro più sostenibile. L’alta frammentazione è controbilanciata da una elevata centralità non solo geografica ma anche economica del comune di Bergamo. Per analizzare lo stato dell’arte a Bergamo, concentrandosi sugli aspetti già evidenziati — pratiche di responsabilità sociale per il territorio e forme di collaborazione e/o supporto alle imprese sul tema della sostenibilità — abbiamo effettuato: – analisi di dati secondari di fonte pubblica; – interviste con rappresentanti di imprese locali e con figure di riferimento delle iniziative di supporto alle pratiche di sostenibilità identificate; – due workshop con attori del territorio (che hanno rispettivamente preceduto e seguito la fase della ricerca in cui sono state realizzate le interviste).

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Costruzioni e commercio davanti agli altri settori Distribuzione per settori delle imprese in Provincia di Bergamo

02 Il territorio di Bergamo


8° capitolo

211

4,23%

92,96%

50%

10%

24%

16%

Le imprese longeve e le «nuove arrivate»

Molte piccole e medie imprese

Distribuzione per dimensione ed età delle imprese in Provincia di Bergamo

1999

dal 1990 al

dal 2000 in poi

1989

dal 1980 al

0,91%

addetti e oltre

prima del 1980

1,90%

50

20 - 49 addetti

10 -19 addetti

1 - 9 addetti


Numero unità locali nella Provincia di Bergamo

Numero società di capitali nella Provincia di Bergamo

Zogno Alzano Lombardo

Alzano Lombardo Clusone

Clusone Albano Sant’Alessandro

Albano Sant’Alessandro

Costa Volpino

Brembate di Sopra

Brembate di Sopra Ponte San Pietro Nembro

Calusco d’Adda

Calusco d’Adda

Gorle

Albino Trescore Balneario

Bergamo Curno Treviolo Dalmine Osio Sotto

Treviglio Caravaggio

Urgnano Cologno al Serio Martinengo Romano di Lombardia

Costa Volpino

Pedrengo

Seriate

Bergamo Sarnico Villongo Castelli Calepio Grumello del Monte Azzano San Paolo Grassobbio Stezzano Zanica

Numero Unità Locali

5 - 300 301 - 700 701 - 1000 1001 - 3500 3501 - 16850

Nembro

Curno Treviolo Dalmine Osio Sotto Ciserano

Treviglio Caravaggio

Urgnano Cologno al Serio Martinengo Romano di Lombardia

Albino Trescore Balneario San Paolo d’Argon Gorlago Sarnico Seriate Castelli Calepio Grumello del Monte Azzano San Paolo Grassobbio Stezzano Zanica

Numero società di capitali

0 1 - 40 11 - 100 101 - 200 201 - 1000 1001 - 4000


Le imprese sono state coinvolte in ragione della loro partecipazione ad alcune delle forme di collaborazione o iniziative di supporto esaminate nel corso della ricerca o per il ruolo che svolgono nel territorio per dimensioni e/o localizzazione.

per legge, come la sicurezza sul luogo di lavoro e il pronto e primo soccorso, sono affiorate altre pratiche volontarie; per esempio la creazione di uno sportello aziendale d’ascolto per il benessere psicofisico. Anche il riconoscimento dell’impegno scolastico e del lavoro aziendale, attraverso borse di studio e premi alle anzianità aziendali, è un tema ricorrente.

L’analisi della responsabilità sociale delle imprese del territorio si è concentrata sulle pratiche con impatto diretto sul contesto locale. Abbiamo identificato tre ambiti fondamentali: le politiche per i lavoratori, le politiche ambientali (con particolare riferimento alla gestione degli impatti sul contesto locale) e le politiche per la comunità locale. Per quanto concerne i lavoratoI lavoratori ri, sono emerse azioni di responsabilità sociale che coprono diverse aree. Una di queste riguarda la conciliazione famiglia-lavoro, che prevede diversi accorgimenti da parte dell’azienda per coniugare al meglio tempi lavorativi ed esigenze familiari. Alcuni esempi riguardano la flessibilità degli orari di lavoro e il supporto alla leadership femminile, con un’organizzazione aziendale innovativa che permetta alle donne di combinare famiglia e lavoro. Le piattaforme aziendali in cui il dipendente trova agevolazioni presso attività commerciali (per esempio la palestra o la farmacia), ma anche soluzioni per necessità quotidiane come la spesa a domicilio o la cena take-away preparata dalla mensa aziendale, sono altri esempi di pratiche per la conciliazione. Un problema fortemente sentito è l’incompatibilità tra le vacanze scolastiche e quelle aziendali: una soluzione è stata realizzare un centro ricreativo aziendale aperto a tutti i figli dei dipendenti di età tra i tre e i dieci anni. Un altro tema emerso è la valorizzazione della salute, non solo in azienda ma anche nella quotidianità. Oltre alle prassi obbligatorie 214

Riguardo all’etica e alla buona condotta, molte aziende fanno sottoscrivere un codice ai propri stakeholder (in particolare ai fornitori, ma anche ai dipendenti al momento dell’assunzione), con conseguente riferimento al codice disciplinare per coloro che lo infrangono. Altre prassi riguardano eventi per la socializzazione tra i dipendenti, per esempio escursioni o vacanze estive, e premi per nuove idee suggerite dai dipendenti per l’innovazione e l’eccellenza di prodotti e processi. Nell’area della sostenibilità L'ambiente ambientale, le pratiche emerse spaziano dal rispetto degli obblighi di legge ad azioni volontarie che mirano all’allineamento a standard internazionali; da azioni che mirano all’aumento della competitività ad altre pratiche orientate a ridurre l’inquinamento. Alcune delle buone prassi volontarie mirano ad adattare processi e prodotti aziendali a standard internazionali: – misurazione della performance ambientale di prodotti e servizi attraverso il Carbon and Water Footprint o mediante le linee guida OEF (Organization Environmental Footprint) e PEF (Product Environmental Footprint) [14]; – adesione al sistema internazionale EPD (Environmental Product Declaration, Dichiarazione Ambientale di Prodotto) per la condivisione di informazioni rilevanti; – adozione della metodologia LCA (Life Cycle Assessment, Valutazione del Ciclo di Vita) regolamentata dalle norme ISO 14040 per la valutazione dei carichi energetici e degli impatti ambientali associati a un prodotto, processo o attività lungo l’intero ciclo di vita, dall’acquisizione delle materie prime al fine vita del prodotto [15]; 215

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03 Le politiche di CSR per il territorio


volezza e responsabilità ambientale. Inoltre, queste pratiche danno l’opportunità ai dipendenti di fare gruppo, sviluppando un ambiente lavorativo più amichevole e familiare.

Le attività sopraindicate sono degli esempi di come le scelte organizzative delle aziende intervistate possano incrementare la sostenibilità ambientale delle imprese bergamasche.

Le azioni più esplicitamente mirate ad aumentare la competitività riguardano invece sia aspetti che migliorano la performance aziendale, come la ricerca e sviluppo di nuove tecnologie e prodotti dalle maggiori prestazioni, l’uso di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico, geotermico, fotovoltaico ecc.), un minor consumo delle risorse, il riciclaggio di materiali (scarti, contenitori e pallet), sistemi di recupero e depurazione delle acque e degli scarichi; sia aspetti che migliorano la reputazione dell’azienda agli occhi degli stakeholder, come il conseguimento di certificazioni ambientali internazionali (gruppo certificati ISO 14000, EMAS ecc.).

Nella maggior parte dei casi, le attività sono frutto di scelte strategiche guidate dalla necessità di adeguarsi agli standard internazionali. In ogni caso, a prescindere dal fatto che l’adozione di tali pratiche derivi da istanze competitive, da imposizioni di legge o da un approccio proattivo, un impatto positivo sul territorio è evidente. La scelta di fare sistema per condividere informazioni sull’impatto ambientale delle proprie attività produttive facilita, sia pure in modo indiretto, il progresso organizzativo e culturale delle aziende del nostro territorio: un progresso sicuramente propedeutico alla creazione di un tessuto industriale avanzato ed effettivamente environment friendly. Altre azioni spontanee riguardano la mobilità sostenibile: per esempio, l’organizzazione di programmi aziendali di car pooling o car sharing, la presenza di auto e bici elettriche a disposizione dei dipendenti per gli spostamenti in città, le collaborazioni e convenzioni con la società locale di trasporti ATB per istituire fermate di fronte alla portineria dell’azienda e far aumentare le corse negli orari di entrata e di uscita, il costo dell’abbonamento sovvenzionato dall’azienda per incentivare l’utilizzo del trasporto pubblico. Queste azioni incidono positivamente sulla comunità bergamasca su due fronti: da una parte sull’ambiente per le minori emissioni di CO2, dall’altra sui cittadini-lavoratori perché accrescono la loro consape216

Altri interventi incidono direttamente sulle emissioni di CO2 e sull’inquinamento acustico: per esempio l’allineamento agli obiettivi del protocollo di Kyoto riguardo all’ammodernamento del parco macchine aziendale (vetture Euro 4) e l’utilizzo di sistemi per la riduzione del rumore. Questi accorgimenti fanno anche sì che la comunità accetti di buon grado l’esistenza e l’operatività di un’azienda.

I benefici di queste pratiche sulla comunità locale, che vanno osservati non solo nel breve ma soprattutto nel medio-lungo periodo, sono legati a un minore impatto delle attività produttive sull’ambiente e rendono possibile costruire un futuro sostenibile e migliore per la comunità locale futura. La comunità locale Riguardo alla comunità locale sono state individuate diverse azioni. Un gruppo di queste riguarda la partecipazione economica delle aziende a iniziative territoriali come fondazioni per il recupero di edifici storici (per esempio il Teatro Donizetti), sponsorizzazione di eventi culturali (come Bergamo Scienza) e aggregazioni sportive (squadre di calcio, tennis ecc.), donazioni a enti e associazioni non profit.

Un’altra buona pratica è mettere a disposizione la propria struttura aziendale (come i laboratori, gli uffici o gli showroom) per open day, visite 217

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– adesione al programma Responsible Care, un progetto volontario dell’industria chimica mondiale basato su principi e comportamenti per la sicurezza e la salute dei dipendenti e la protezione ambientale [16]; – attuazione di processi di sustainable procurement, controllo della filiera produttiva attraverso la sottoscrizione di codici ambientali e compilazione di questionari di autovalutazione riguardo alla dimensione sociale, all’ambiente, alla subfornitura, con la relativa creazione di apposite piattaforme (ad esempio Server Sustainability Initiative).


scolastiche e guidate, convegni e conferenze. Altre azioni comprendono l’intervento nelle scuole, con sponsorizzazioni e donazioni di strumentazione (computer, materiale scolastico, apparecchiatura tecnica specifica ecc.), ma anche con testimonianze e approcci educativi, come iniziative ludico-didattiche che portano maggiore consapevolezza riguardo a un’alimentazione sana e corretta nelle scuole materne, primarie e secondarie di primo livello.

Le stesse imprese che hanno dichiarato di aver attuato queste pratiche hanno anche evidenziato come in alcuni casi l’implementazione comporti difficoltà derivanti, per esempio, dalla limitata sensibilità del cittadino riguardo alla sostenibilità ambientale e sociale, che ha distorto la percezione di alcune prassi. Anche la crisi economica ha causato uno spostamento di risorse da settori non prettamente strategici per l’attività aziendale a reparti in difficoltà o più strettamente legati al core business. Un altro problema riscontrato è la mancanza di strutturazione e sistematizzazione delle informazioni e delle azioni riguardanti la responsabilità sociale messe in atto dall’azienda, che causa perdita di tempo e risorse, elementi fondamentali per l’attività aziendale. D’altra parte vengono però riscontrati molti benefici: dalla maggior efficienza all’aumento della performance aziendale, che non deriva solo dal risparmio energetico e dal riciclo dei materiali ma anche da un minor assenteismo e da una maggior produttività dei dipendenti. Un altro vantaggio è il miglioramento dell’immagine, che porta a una maggior fidelizzazione dei clienti e a vantaggi competitivi. L’analisi ha riguardato solo alcune esperienze aziendali, ma il quadro emerso dalle interviste e dal tavolo di lavoro che le ha seguite è decisamente eterogeneo. Risulta una specificità delle politiche per il territorio adottate dalle singole imprese, che dipende innanzitutto dalle loro caratteristiche in termini di dimensione, settore di attività, cultura aziendale ecc. 218

Le interviste rivelano comunque il ruolo centrale della cultura aziendale e dei valori che orientano l’azione di imprenditori e manager. In particolare, sia nelle piccole sia nelle grandi imprese, l’imprenditore (insieme, dove presente, alla famiglia di controllo) ha un ruolo centrale e decisivo anche nel determinare l’impegno per la responsabilità sociale e il territorio e la direzione in cui questo si concretizza. Altre differenze nelle politiche di responsabilità sociale derivano dal settore di appartenenza, che determina problemi socioambientali diversi da affrontare, nonché stimoli diversi provenienti da istanze e comportamenti dei clienti, fornitori, concorrenti, associazioni di categoria. A questo aspetto è legato anche la centralità del rapporto con gli stakeholder nel percorso verso la sostenibilità. In alcuni casi, le imprese hanno trovato uno stimolo fondamentale allo sviluppo di pratiche di responsabilità sociale nelle istanze dei propri stakeholder: primi tra tutti i clienti che, con le loro aspettative di sostenibilità, rendono le pratiche di responsabilità sociale un elemento rilevante per la competitività dell’impresa. In altri casi, invece, le imprese stesse si sono attivate per favorire la sensibilizzazione sui temi della sostenibilità e quindi per dare visibilità e valorizzare quanto fatto. Questo è un tema centrale: la possibilità per le imprese di conciliare obiettivi economici e competitivi con obiettivi sociali e ambientali è sicuramente condizionata dalla sensibilità dei diversi interlocutori aziendali verso questi temi e dal valore che questi stakeholder attribuiscono alle politiche di responsabilità sociale nei rapporti con le imprese. Appare importante che il cammino verso la sostenibilità veda coinvolte contemporaneamente sia le imprese, sia altre componenti della comunità locale.

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Infine, altre buone prassi mirano a promuovere sul territorio eventi che accrescono la cultura generale e la sensibilizzazione della comunità sui temi del benessere, della salute e della sostenibilità ambientale.

La dimensione è sicuramente una prima discriminante fondamentale. Le piccole imprese, anche in presenza di una sensibilità alle problematiche sociali e ambientali, hanno minori risorse a disposizione e tendono a incontrare maggiori difficoltà nell’adottare un approccio strutturato e organizzato alla corporate social responsibility e alla sua comunicazione.


04 Collaborazione tra imprese e supporto alle imprese per la sostenibilità

Le collaborazioni tra aziende locali analizzate sono costituite sotto forma di consorzio (COMPERE) o rete d’impresa (R.I.S.E.E.). Le motivazioni principali che hanno portato alla loro nascita sono state, da un lato, la necessità di aggregazione tra imprese per superare le difficoltà di mercato derivanti anche dalla congiuntura economica; dall’altro, l’impulso della normativa italiana riguardo alle energie rinnovabili. Queste cooperazioni non solo fanno da incubatore a progetti e iniziative ideati dalle imprese, ma forniscono anche diversi servizi, come il monitoraggio di opportunità per bandi e appalti nazionali o europei e la creazione di linee-guida che aiutano le aziende a essere sempre più sostenibili (per esempio ridurre gli sprechi di materie prime, riutilizzare materiali di scarto, aumentare la sicurezza sul luogo di lavoro, incentivare lo sport tra i dipendenti ecc.). Inoltre, attraverso queste aggregazioni, le imprese sono in grado di offrire ai propri clienti un servizio specializzato a 360 gradi. Le difficoltà nel portare avanti queste collaborazioni esistono, e riguardano soprattutto la difficoltà di trovare una strategia comune e una leadership condivisa o di riuscire a mantenere l’agilità di decisione e operatività di una PMI; ma i benefici riscontrati dalle aziende sono comunque importanti e degni di nota, e comprendono l’opportunità di confronto tra imprenditori, la partnership con aziende originariamente concorrenti, la specializzazione del proprio core business e la maggior acquisizione di ordini.

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Consorzio volto a favorire e sostenere le aggregazioni tra imprese del settore delle energie rinnovabili, aiutando la crescita culturale, economica e occupazionale del territorio attraverso l’unione di competenze ed esperienze nel campo della ricerca, della progettazione e dello sviluppo in questo campo.

R.I.S.E.E. (Rete Impresa Specialisti Efficienza Energetica)

Collaborazione tra imprese di settori complementari volta a offrire soluzioni di efficienza energetica. Attraverso questa rete, le imprese possono valorizzare le potenzialità, aumentando massa critica e forza sul mercato perseguendo una strategia comune, e al contempo offrire un servizio specializzato.

Per quanto riguarda le forme di supporto promosse da altri attori, come Bergamo Sviluppo (Family Friendly e Sono Sostenibile) e ASL con Confindustria Bergamo (Rete WHP), la risposta a una nuova esigenza di consumatori, imprenditori e commercianti riguardo alla sostenibilità ambientale e sociale, e la necessità di trovare un modo efficace per coinvolgere i cittadini (soprattutto adulti) su temi riguardanti la salute, sono stati i motivi principali della nascita di queste iniziative. Diversa è l’iniziativa di ASPAN (Associazione Panificatori Artigiani della Provincia di Bergamo) che ha creato non solo una forma di supporto in campo contabile e fiscale per i suoi associati, ma ha anche ideato progetti per favorire la salute, l’ambiente e la comunità locale. Con l’obiettivo di aiutare le aziende a implementare, far emergere e dare visibilità alle buone prassi (per esempio attraverso un marchio di qualità), i progetti danno a commercianti e aziende suggerimenti, indicazioni (anche mediante ore di formazione e consulenza) e strumenti così che anche un’azienda priva di personale specializzato possa attuare buone pratiche.

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La mappatura delle forme di collaborazione già sviluppate a Bergamo sui temi della sostenibilità ha portato a individuare diversi tipi di aggregazione: – forme di collaborazione tra aziende il cui core business è legato alla sostenibilità (ambientale); – forme di supporto e incentivo alle politiche di sostenibilità sviluppate da attori del territorio a favore delle imprese locali.

COMPERE (Consorzio Materie Prime Energie Rinnovabili Ecosostenibili)


SONO SOSTENIBILE

È un’iniziativa di Bergamo Sviluppo per dare alle imprese artigianali alimentari e commerciali di Bergamo e provincia suggerimenti e indicazioni (con attività di formazione e consulenza) per migliorare la sostenibilità ambientale dell'attività.

RETE WHP

È una forma di sostegno promossa da ASL e Confindustria che prevede un percorso triennale di iniziative per la promozione della salute e del benessere dei dipendenti all’interno delle imprese. Il progetto fornisce il supporto metodologico e scientifico e il coordinamento della rete, con un continuo monitoraggio dei risultati ottenuti in termini di salute e di minori assenze per malattia.

ASPAN

Associazione di categoria che sostiene iniziative a favore della salute, dell’ambiente e della comunità, come Capitan Pan Pan per l’educazione alimentare nelle scuole; Guadagnare Salute per la riduzione del sale nel pane; Bergamo, la mia Terra, il suo Pane per la produzione di pane con grano coltivato localmente.

Promuovendo le tematiche di La diffusione delle buone sostenibilità, dalla salute all’ambiente, abitudini tra i dipendenti, è possibile che queste buone abitudini si diffondano anche al di fuori dell’azienda, per esempio tra familiari e amici, ampliando le occasioni di sensibilizzazione della cittadinanza e della clientela. Anche per questi progetti abbiamo rilevato diverse difficoltà, riguardanti principalmente i seguenti aspetti: – Comunicazione e coinvolgimento: comunicare in modo efficace i progetti proposti e raggiungere tutte le aziende interessate è molto complesso. Gli attori economici del territorio sono sottoposti a un forte flusso di comunicazioni e diventa sempre più difficile

222

trovare un canale di comunicazione valido. Oltretutto, non è facile raggiungere tutte le aziende interessate a causa del tempo e delle risorse necessarie a un contatto diretto. – Approccio verso la visibilità: in diversi casi l’imprenditore o commerciante bergamasco non vuole rendere pubbliche le proprie buone pratiche, non per riservatezza ma perché alcune di esse sono ritenute di semplice buon senso e quindi indegne di valorizzazione o di speciale attenzione. Al contrario, dare visibilità anche a pratiche «comuni» o di realizzazione «semplice» sarebbe uno stimolo particolarmente utile per le realtà imprenditoriali che non le hanno ancora messe in pratica o che vorrebbero attuarle ma non sanno come fare. – Diversificazione e interventi «ad hoc»: lavorare con la Pubblica Amministrazione è diverso che collaborare con le imprese. La prima prevede tempi più lunghi perché richiede l’esecuzione di procedure particolari, mentre le PMI hanno bisogno di risposte rapide e immediate. Sono richieste quindi disponibilità e agilità maggiori. Riuscire a diversificare la modalità d’approccio in base all’utente con cui si interagisce è un’importante sfida per il futuro. – Formazione: rispondere a richieste ed esigenze specifiche delle aziende implica una formazione degli operatori interni che va al di là della routine lavorativa (la gestione dei siti internet è un esempio). – Sensibilizzazione dei cittadini e della comunità locale: molte pratiche aziendali, sia all’interno dell’azienda sia al di fuori sul territorio, non sono adeguatamente riconosciute perché non tutta la comunità è sensibile all’argomento sostenibilità. È necessario migliorare la sensibilizzazione per avere una popolazione culturalmente preparata e attenta a questi temi, così da poter apprezzare le buone prassi adottate dalle aziende. – Sovrapposizione di iniziative: l’assenza di sistematizzazione delle iniziative sul territorio porta immancabilmente allo sviluppo di progetti simili da parte di attori differenti. Pur trovando interessanti più d’una iniziativa, le imprese si trovano a dover scegliere tra l’una o l’altra per ragioni di tempo e di risorse. Un criterio di scelta emerso è optare per iniziative che, oltre a un riconoscimento, garantiscano strumenti e metodi per implementare le buone prassi.

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FAMILY FRIENDLY

È un premio istituito da Bergamo Sviluppo per valorizzare, dare visibilità e diffondere le azioni di pari opportunità e di conciliazione vita/famiglia/lavoro avviate dalle imprese bergamasche a favore dei dipendenti.


I benefici derivanti da queste iniziative sono comunque molti, sia per le aziende esperte sia per quelle nuove alle tematiche di sostenibilità. Per le prime, i benefici citati comprendono l’aumento della produttività aziendale, grazie a un ambiente più salutare, e il miglioramento dell’immagine agli occhi degli stakeholder (fornitori e clienti), soprattutto internazionali, grazie ai marchi di qualità.

05 Esperienze italiane e internazionali di collaborazione e supporto Proprio per l’importanza che la collaborazione tra attori assume nei percorsi di sostenibilità e per l’esigenza di supporto che le imprese piccole e grandi manifestano riguardo a questi temi, all’analisi della situazione bergamasca abbiamo affiancato l’esame di alcune esperienze nazionali e internazionali.

Sempre in Inghilterra, il National Industrial Symbiosis Program (NISP) è nato come un «mediatore indipendente» per aiutare aziende di diverse dimensioni e di settori differenti a unirsi per trovare modalità di riutilizzo del materiale di scarto. I benefici per le aziende si concretizzano in minori costi di smaltimento; nuove opportunità commerciali; possibilità di condividere materiali, risorse, logistica e competenze [21].

L’obiettivo non è tanto censire le esperienze esistenti in modo esaustivo, ma piuttosto identificare alcune tendenze in atto per delineare i possibili sviluppi futuri sul territorio bergamasco. A livello internazionale abbiamo identificato quattro esperienze maturate in contesti differenti: in Danimarca, Inghilterra e Illinois (USA)QR.

La mappa delle iniziative di sostenibilità analizzate

Il Danish Council for Corporate Responsibility è composto dagli attori più importanti della società danese, come la Camera di Commercio, la Federazione delle Piccole-Medie Imprese, la Confederazione degli Industriali, oltre ad aziende, sindacati e ONG. 224

Diversamente, l’UK Small Business Consortium è composto da una serie di attori provenienti dal mondo economico, produttivo e sociale. La sua pubblicazione, il Better Business Journey, dà alle piccole e medie imprese suggerimenti e consigli per migliorare la gestione della responsabilità sociale (promuovendo un ambiente di lavoro salutare, offrendo esperienze formative di lavoro agli studenti locali, adottando una flessibilità lavorativa ecc.) e incrementare così la competitività [20]. Esempi interessanti riportati dal consorzio inglese riguardano la possibilità di ridurre le tasse sui rifiuti (grazie all’incremento della sostenibilità ambientale delle aziende), ampliare il portafoglio clienti (grazie a una maggiore visibilità ottenuta dopo l’implementazione di pratiche sostenibili) e aumentare la produttività [20].

Lo Small Business Health Care Consortium dell’Illinois, nato dalla campagna Better Health Care, vuole educare e coinvolgere le piccole imprese, gli imprenditori e le ONG nella promozione delle riforme per la salute. Attraverso incontri faccia a faccia o seminari web, le aziende hanno l’opportunità di aggiornarsi sulle riforme della sanità e i benefici che ne derivano, trovare informazioni e strumenti utili, utilizzare i media per esprimere il loro punto di vista [22]. 225

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Inoltre, poter godere di attività di formazione e consulenza fa sì che anche queste aziende possano implementare pratiche di responsabilità sia sociale che ambientale.

Questo comitato ha l’obiettivo di dare consigli e raccomandazioni sulla corporate social responsibility, contribuire e valorizzare al dibattito sul tema [17], sviluppare iniziative tra cui quelle descritte nel piano d’azione governativo Responsible Growth [18]. Alcune di queste iniziative riguardano il rispetto di principi internazionali, la crescita responsabile attraverso partnership (per esempio aiutando le piccole/medie imprese a lavorare sulla responsabilità sociale e sulla protezione ambientale), l’aumento della trasparenza delle proprie azioni (per esempio redigendo rapporti sulle condizioni di lavoro in azienda e il rispetto dell’ambiente) [19].


È utile evidenziare alcuni tratti distintivi di queste esperienze: – in primis esse presentano un coinvolgimento sinergico di attori che provengono sia dal settore privato (aziende, imprenditori e cittadini), sia dal settore pubblico; – inoltre, il coinvolgimento attivo di questi soggetti ha favorito la nascita di azioni bottom-up che, partendo appunto «dal basso» e dalle necessità specifiche del territorio di riferimento, hanno generato soluzioni concrete e mirate a beneficio di tutti gli attori coinvolti.

IL CLUB IMPRESE MODENESI PER LA CSR Promotori È una partnership pubblico-privata. L’idea progettuale è nata da un soggetto esterno e promossa dal comune di Modena, con la partecipazione di otto associazioni di categorie imprenditoriali. Imprese coinvolte Grandi, piccole e medie imprese; cooperative Attività e modalità di lavoro Ogni anno il Club svolge attività facilitate nel corso di otto incontri, uno al mese circa, Le attività prevedono: ­– incontri itineranti ospitati «a rotazione» presso le imprese del Club. ­– visite formative ­– testimonianze di pratiche d’impresa ed esperti durante gli incontri progetti comuni di CSR ­– workshop di progettazione tematici durante ogni incontro del Laboratorio ­– supporto informativo periodico con vari canali

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dei quali sette di lavoro tematico e uno finale di rendicontazione dei lavori svolti durante l’anno.

Crediamo quindi che questi possano essere modelli concreti per Bergamo, in riferimento sia ai processi, sia ai risultati. Va notato che i casi presi in considerazione nascono e hanno un impatto concreto su territori geograficamente più estesi del nostro. Tuttavia riteniamo che essi possano costituire esempi validi per comprendere l’importanza di azioni mirate e organizzate coinvolgendo in modo diretto i destinatari.

Contenuti

Sono diversi gli esempi seleAlcuni modelli dall’Italia zionati per l’ambito nazionale; qui i progetti sono sempre sostenuti da Comune, Provincia, Camera di Commercio o associazioni di categoria, ma l’idea di CSR si sviluppa in tavoli e gruppi di lavoro permanenti, i «Laboratori di CSR», nei quali le aziende si incontrano periodicamente per discutere di responsabilità sociale e sostenibilità, trovando così un’occasione di condividere e scambiare idee, competenze ed esperienze di responsabilità [23]. Alcune esperienze particolarmente significative sono maturate nelle città di Modena (Club Imprese Modenesi per la CSR) e di Genova (EticLab), in alcuni comuni del Piemonte (CSRPiemonte) e in Veneto (Veneto Responsabile).

Sono affrontati, approfonditi e progettati interventi su: ­– qualità del lavoro e del welfare aziendale ­– gestione ambientale e innovazione green di prodotti ­– bilanci di sostenibilità sociale e ambientale ­– progetti per il territorio ­– competitività territoriale Fonte: Vademecum per la progettazione e l’organizzazione di un Laboratorio CSR [23].

L’ETICLAB DI GENOVA Promotori È costituito da organizzazioni eterogenee per profilo dimensionale, di mercato e di storia, che tuttavia condividono una visione strategica: le azioni delle imprese devono basarsi sui valori della sostenibilità economica, sociale e ambientale. La Camera di Commercio di Genova è stata un prezioso partner istituzionale nella fase di avvio perché capace di rispondere concretamente alla volontà di promuovere un modello di impresa responsabile sotto ogni aspetto.

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continua

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Associati

Le finalità dei laboratori sono promuovere nuove attività all’interno di ogni impresa, stimolare

Sedici organizzazioni tra cui imprese, consorzi, Confcooperative Liguria, Confindustria Genova.

riflessioni sulla filiera produttiva, creare relazioni peer to peer tra imprenditori e generare

Attività

valore grazie all’interazione e alla coprogettazione tra imprese diverse per dimensione, settore

Nel triennio 2010-2012, le attività di EticLab si sono sviluppate in tre macro-ambiti:

merceologico e ambiti di intervento [24].

­– Sostenibilità e successo: convegno annuale aperto al territorio e dedicato di anno in anno all’approfondimento di temi diversi: CSR e strategia d’impresa, Corporate Family Responsibility, CSR e premialità;

­– Green Drinks: conoscere esperienze significative di aziende innovative e sostenibili

I TAVOLI TECNICI «RSI: GUARDIAMOCI DENTRO» DI VENETO RESPONSABILE

­– Laboratori interaziendali tematici finalizzati a introdurre nelle singole aziende strumenti

Veneto Responsabile è una rete regionale che riunisce gli attori economici, sociali e

e modelli per sviluppare operativamente l’orientamento strategico «responsabile»:

istituzionali che credono nello sviluppo sostenibile. Nata nel 2003, promuove

­– Codice Etico e Carta dei Valori: confronto su metodologie e risultati ­– Accountability: esplicitazione della visione di sistema della CSR, evidenziando le aree

la Responsabilità Sociale d’Impresa e di Territorio, diffondendo buone pratiche e favorendo la

da presidiare e gli indicatori da costruire per creare un sistema di autovalutazione

locali [28].

­– Verso il «reporting di sostenibilità»: stesura di un rapporto per le singole aziende

I Tavoli Tecnici, su temi specifici riguardanti la responsabilità sociale, sono una delle iniziative

e per l’associazione.

promosse dall’associazione. Tra i tavoli attivati troviamo:

creazione di relazioni durature all’interno delle imprese, delle organizzazioni e delle comunità

– Redazione di un vademecum sulle modalità di creazione e sviluppo della CSR nelle società Fonte: Vademecum per la progettazione e l’organizzazione di un Laboratorio CSR [23].

di consulenza e servizi di piccole/medie dimensioni; – Promozione di aggregazioni pubblico-private nelle comunità, anche attraverso strumenti legislativi emanati a livello locale (Regioni, Province, Comuni ecc.);

IL LABORATORIO CSR PIEMONTE

– Sviluppo di un modello di rendicontazione economico, sociale e ambientale riferito a un preciso territorio (Bilancio sociale territoriale) e studio delle best practice di responsabilità sociale attuate

Il Laboratorio CSR fa parte del progetto CSRPiemonte, avviato nel 2009 con lo scopo

dalle aziende venete [28].

di trasmettere agli imprenditori l’urgenza di modificare la propria cultura aziendale in ottica di responsabilità sociale [24]. Il progetto è rivolto alle imprese con sede legale in Piemonte registrate presso il Registro delle imprese [25]. È stato promosso da Unioncamere Piemonte e da Regione Piemonte, in collaborazione con le Camere di Commercio dei territori che ospitano i laboratori (nel 2014 Alessandria, Asti, Cuneo, Torino e Vercelli) [26]. Le Camere di Commercio locali, con l’aiuto di un facilitatore esperto in CSR e sostenibilità, stimolano le imprese a collaborare per raggiungere un obiettivo comune [24]. Questi laboratori offrono alle imprese, soprattutto alle PMI, strumenti utili per avviare e

migliorare il loro percorso verso la sostenibilità, anche mediante mezzi pratici messi a disposizione da AlpCoRe (Alpi Competitive e Responsabili, progetto transfrontaliero per la diffusione della CSR) come il web tool di autovalutazione, e le venti schede tecniche di approfondimento CSR suddivise su quattro aree chiave (strategie, dipendenti, clienti e fornitori) [27]. continua

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Un altro esempio di collaborazione è il progetto «percoRSI» di Rimini, che oltre ad avere al suo interno un percorso di responsabilità sociale organizzato per tavoli e gruppi di lavoro ha anche proposto il QUINC, una rete economica di scambio tra imprese (prodotti e servizi acquistati e venduti in parte in euro e in parte in unità di conto, del valore di un euro ciascuna), e VERSO, un programma che aiuta le PMI a realizzare uno strumento di rendicontazione più semplice rispetto al bilancio sociale [23]. L’obiettivo è rendere il territorio un Distretto Economico Responsabile [23].

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in un ambiente informale capace di facilitare il dialogo;


06 Presente e futuro La ricerca condotta sulle imprese bergamasche fa emergere un’idea di responsabilità sociale fortemente connessa ai temi della sostenibilità e dei valori d’impresa. Numerose imprese del territorio sono aziende familiari e molti dei valori d’impresa coincidono con quelli delle famiglie che le governano. Questa caratteristica, che a prima vista può sembrare scontata, ha implicazioni profonde. Da un lato, per quanto molte imprese operino in contesti internazionali e siano perfettamente consapevoli della complessità di alcuni temi globali, la residenza della famiglia nello stesso ambiente in cui l’azienda ha sede consolida un legame molto forte con il territorio più strettamente «locale». Il territorio (o la comunità, locale e non) ha aspettative molto forti verso le aziende, anche se spesso i cittadini e le amministrazioni locali faticano a conoscere e capire tutte le iniziative avviate dalle imprese e il beneficio socio-ambientale che un’azione collaborativa sui temi della sostenibilità potrebbe fornire.

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L’interazione tra impresa e territorio si esaurisce spesso nella semplice richiesta di contributi o sponsorizzazioni. Questo ruolo filantropico, pur molto importante, non sembra soddisfare le esigenze delle aziende. In più occasioni viene sottolineato come la beneficenza non abbia nulla a che vedere con l’idea di responsabilità sociale e di sostenibilità. È un tema molto discusso anche in letteratura. Nei primi lavori sistematici sul tema, della fine degli anni Settanta, la filantropia è considerata un aspetto fondamentale perché l’impresa possa essere considerata «un buon cittadino» (si veda a tal proposito la «piramide» proposta da Carroll nel 1979, poi rivista nel 1991) [31]. Studi più recenti hanno invece evidenziato come la filantropia sia considerata dai leader di piccole/ medie imprese europee (tra cui un campione di imprese bergamasche) un aspetto non strettamente legato ai temi dell’etica o della responsabilità sociale d’impresa, ma piuttosto una scelta da delegare alla sfera privata dell’imprenditore o della famiglia [32]. La nostra ricerca tende a confermare quest’ultima interpretazione. Esiste però una dimensione sociale che va oltre la beneficenza. Il legame con il territorio offre all’impresa la possibilità di far leva sulle proprie abilità distintive, sulle proprie conoscenze specifiche, ma anche sulle proprie esigenze, per creare relazioni sinergiche tra diversi attori. Questo tipo di «donazione» distingue la filantropia d’impresa da altre azioni benefiche che un qualsiasi donatore potrebbe effettuare con la stessa efficacia [33]. Le imprese hanno conoscenze, esperienze, sensibilità, visioni che altri attori non hanno o hanno sviluppato in modo differente. Mettere queste specificità al servizio del territorio potrebbe creare le condizioni per una sostenibilità (aziendale ma anche di sistema) di lungo periodo. Per mettere in comune le esperienze è però fondamentale comprendere quali siano i punti di forza, o gli obiettivi già raggiunti, che potrebbero essere messi a disposizione di altri; e quali invece le criticità su cui sarebbe più fruttuoso ricevere un supporto esterno. A questo proposito è utile richiamare il secondo aspetto, legato alla dimensione valoriale delle imprese contattate.

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Esempio differente è quello nato a Varese, la Rete Giunca: dieci aziende di settori manifatturieri diversi si sono unite in una rete d’impresa per migliorare il welfare aziendale, inteso come benessere e formazione dei dipendenti, mantenendo come obiettivo primario l’aumento della competitività delle aziende partecipanti [29]. Le azioni riguardano per esempio convenzioni con diversi attori del territorio come banche (prestiti, conti correnti agevolati) e assicurazioni, mense (per cibo d’asporto), librerie (materiale scolastico a prezzi agevolati), carrozzerie (cambio gomme invernale), cliniche ospedaliere (agevolazioni per visite e accertamenti sanitari); mobilità territoriale come l’organizzazione di car sharing e car pooling tra i dipendenti per risparmiare tempo e denaro; promozione del benessere psicofisico dei dipendenti con l’adesione alla rete WHP [30].


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Una proposta che avanziamo, Una proposta per il futuro dunque, come possibile strumento per favorire la collaborazione tra attori del territorio sul tema della sostenibilità è la creazione un tavolo di lavoro strutturato: un laboratorio all’interno del quale le imprese possano in primo luogo capire come «fare sistema» su questi aspetti e in seconda battuta avviare processi concreti di collaborazione interaziendale e collaborazione tra imprese e altri attori locali.

Questa è un’esigenza che spesso attori esterni (per esempio i clienti) stimolano soprattutto nelle imprese di dimensioni medio-grandi, che quindi nel tempo si sono dotate di sistemi di gestione e rendicontazione della propria responsabilità sociale molto strutturati. È però una grande opportunità che anche le piccole/medie imprese possono cogliere. Diventa sempre più importante comunicare la propria idea di responsabilità sociale e del modo in cui a essa si è adempiuto; lo stimolo, soprattutto motivazionale, può essere grande per gli attori che in vario modo interagiscono con l’azienda [34]. Uno sguardo rivolto esclusivamente su sé stessi aumenta invece il rischio di autoreferenzialità e quello di radicarsi su posizioni autodefinite, magari lontane dalla realtà.

Un laboratorio permanente di CSR volto a progettare e sviluppare insieme iniziative di responsabilità sociale e ambientale richiede un alto livello di interazione e partecipazione, un diffuso scambio di esperienze e una continua possibilità di confronto tra gli attori partecipanti.

Inoltre, l’intero processo di rendicontazione sociale è un processo relazionale per natura: non assume un ruolo separato rispetto all’organizzazione, ma riflette le relazioni tra i diversi attori [35]. Un sistema di gestione e rendicontazione della responsabilità sociale privo di uno sguardo sulla comunità (o sull’ambiente di riferimento) sarebbe miope [36]. La responsabilità delle imprese non può esimerle dall’imparare dal passato per tenere i piedi ben saldi nel presente e guardare al futuro. Il concetto di sostenibilità include tutte e tre queste dimensioni temporali. Pensare a una responsabilità o sostenibilità dell’impresa per e con il territorio significa non percorrere questo cammino da soli, ma in sinergia con altri attori. La presenza di luoghi e spazi in cui le imprese possano portare le proprie esperienze, gli obiettivi già raggiunti, le domande ancora aperte, i dubbi in cerca di soluzioni, i desideri e le visioni per il futuro può essere quindi una concreta opportunità per la costruzione di una responsabilità territoriale condivisa e sostenibile.

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Per costituire un laboratorio di questo tipo occorre anzitutto rilevare i bisogni del territorio, individuando cosa sia necessario per costruire, rafforzare o sviluppare i temi della responsabilità sociale in quello specifico contesto. Per quanto riguarda il territorio bergamasco, il tessuto industriale manifatturiero e la presenza preponderante di piccole/medie imprese sarebbero due aspetti fondamentali da prendere in considerazione. L’individuazione e il coinvolgimento di attori strategici costituiscono un’altra fase critica, ma essenziale: permettono di costruire la visione di sostenibilità del territorio, valutare di quali stakeholder sollecitare prioritariamente una partecipazione diretta, rilevare le pratiche sommerse di CSR e definire le aspettative per le attività svolte nel laboratorio. La presenza delle istituzioni pubbliche locali è cruciale. A questi attori locali potrebbe essere delegato il ruolo di facilitatori o coordinatori super partes che, con l’obiettivo di favorire la creazione di valore sociale sul territorio di loro competenza, agiscano in base a una prospettiva di lungo periodo. I temi da trattare si definiscono in base alle esigenze del territorio e dei partecipanti. Un laboratorio di CSR prevede un maggior impegno per gli attori che vi partecipano, una maggiore disponibilità e un’attenzione costante per contribuire a realizzare interventi concreti e tangibili [23].

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È emerso che la famiglia o gli individui che governano l’impresa portano valori talmente radicati nel modo di essere e di fare impresa, che spesso non trovano motivo di essere comunicati. Esiste cioè una ricchezza di valori, tradizioni, sensibilità che spesso rimane «sommersa». Per mettersi in rete e costruire sinergicamente una relazione è necessario «scoprirsi»: far emergere ciò che già si sta facendo e ciò che si ritiene sia importante per il proprio modo di fare impresa.


Anche sulla base di esperienze maturate in altri contesti, che abbiamo presentato in precedenza, è possibile strutturare un piano di lavoro definito che preveda poi obiettivi intermedi e finali. Passi centrali per questo tavolo di lavoro o laboratorio sono: ­– identificare le esigenze che le imprese e gli altri attori del territorio avanzano riguardo ai vari aspetti della sostenibilità; ­– individuare risorse e competenze che le stesse imprese e gli altri attori del territorio possono mettere in campo per rispondere a queste esigenze; ­– organizzare occasioni di lavoro strutturate per implementare forme di collaborazione e supporto su specifici temi.

LO SCHEMA DEL PROCESSO DI GESTIONE DI UN LABORATORIO CSR Rivelazione da parte dei promotori dei bisogni delle imprese per realizzare iniziative di CSR su scala territoriale Individuazione delle imprese del territorio da coinvolgere e comunicazione iniziale Costituzione formale del laboratorio CSR territoriale; budget e staff Progettazione del programma delle attività e contenuti CSR in vari incontri

In ultima istanza, crediamo che questa modalità di lavoro permetta di perseguire quattro ordini di obiettivi: ­– ottenere forme di condivisione della conoscenza tra imprese riguardo alle pratiche di sostenibilità (con trasferimento di informazioni e know-how sia dalle grandi verso le piccole e medie imprese, sia tra un’impresa e l’altra — piccole e grandi — in diversi settori); ­– identificare gli ambiti possibili di collaborazione operativa tra imprese per implementare pratiche di responsabilità sociale (per esempio investimenti congiunti per ottimizzare la gestione della logistica o della mobilità dei dipendenti); ­– identificare esigenze di supporto condivise da parte delle aziende e avviare un dialogo con altri attori locali per una progettazione congiunta di soluzioni in risposta a queste esigenze; ­– sensibilizzare e coinvolgere maggiormente cittadini e istituzioni sulla sostenibilità e su quanto le imprese stanno già sviluppando in quest’ambito.

Fonte: Vademecum per la progettazione e l’organizzazione di un Laboratorio CSR [23].

SCHEMA DELLE FASI DI GESTIONE DI UN INCONTRO IN UN LABORATORIO CSR Sessione plenaria introduttiva sul tema da parte di un referente locale o esperto o testimonianza d’impresa Analisi, in gruppi, delle implicazioni dell’«Innovazione Green» (pro/contro) Definizione di idee e possibili iniziative per singole imprese o iniziative interaziendali (in sottogruppi o in plenaria) Presentazione delle attività del lavoro dal gruppo o da più sottogruppi tematici green (discussione in plenaria) Impegni per l’incontro successivo per sviluppare il progetto CSR «Innovazione Green» da realizzare

Esempio riferito all’innovazione «green» di prodotto. Fonte: Vademecum per la progettazione e l’organizzazione di un Laboratorio CSR [23]

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Gestione/facilitazione degli incontri del laboratorio


01 Le strade aperte dall’Open Source _p. 239

02 La Fabbrica Urbana: esperienze nazionali e internazionali _p. 240

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03 La tecnologia come fattore abilitante per la Fabbrica Urbana _p. 244 05 La situazione del territorio bergamasco _p. 248

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04 La dimensione economica e gestionale della fabbrica urbana _p. 246

06 Un piano di azione per lo sviluppo di un artigianato tecnologico a Bergamo _p. 249


Il ritorno della Fabbrica Urbana

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Negli ultimi anni abbiamo assistito a uno sviluppo prorompente di nuove tecnologie e di modelli di adozione tecnologica potenzialmente capaci di stravolgere le attività industriali e artigianali tradizionali. Le barriere all’ingresso sono abbattute sempre più rapidamente. Sempre più attori hanno la possibilità di entrare in un mondo nel quale, invece di acquistare, è possibile produrre da sé. Il paradigma dell’Open Source Manufacturing (OSM) sta riscuotendo un particolare interesse. Consiste nel tentativo di trasporre le metodologie di sviluppo tipiche del contesto open source del software nel mondo manifatturiero [1]. Questo paradigma ha portato allo sviluppo di interessanti innovazioni, come la piattaforma Arduino: un esempio di open source hardware che chiunque può non solo usare per realizzare i propri progetti, ma anche modificare e rivendere [2]. Un altro esempio è costituito dalle Open Source Appropriate Technologies (OSAT), tecnologie orientate allo sviluppo sostenibile ed elaborate sempre secondo i criteri dell’open source [3]. Questi sistemi open mostraNuovi modelli no possibilità interessanti per nella produzione esplorare nuovi modelli di gestione di attività produttive, che potrebbero avere un impatto positivo anche su piccole imprese industriali e commerciali, che non si basino sulla produzione di alti volumi e che siano orientate a realizzare e commercializzare prodotti a elevata personalizzazione. Altre tecnologie, non necessariamente «aperte» ma sicuramente altrettanto innovative dal punto di vista delle opportunità che offrono, si stanno affacciando prepotentemente sul panorama mondiale: in particolar modo l’additive manufacturing, di cui probabilmente la stampa 3D è l’esempio più evidente e dalla diffusione più rapida. L’applicazione di queste tecnologie, open o meno che siano, all’in239

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01 Le strade aperte dall’Open Source


02 La Fabbrica Urbana: esperienze nazionali e internazionali Nel passato recente, le attività produttive si sono spostate gradualmente al di fuori del contesto cittadino, con una separazione marcata delle aree dedicate alla crescita urbana e a quella industriale. Questo ha portato a una progressiva riduzione delle attività artigiane, fortemente radicate nelle città dove sono nate e cresciute. La crescita economica moderna si è sempre più concentrata su una produzione tendenzialmente standardizzata, legata solo in parte alla tradizione locale. In questo ambito nasce l’idea di Fabbrica Urbana, che mira a riportare le attività manifatturiere all’interno della città attraverso la definizione di processi produttivi coerenti con il contesto urbano e la tradizione locale. Ciò è possibile solo grazie a nuove tecnologie e competenze di alto livello che permettano di sviluppare attività a valore aggiunto in un contesto dinamico e in forte crescita, ma al contempo caratterizzato da numerosi vincoli di varia natura, come la città. Grazie allo sviluppo di un nuovo paradigma produttivo è possibile 240

nuovamente porre al centro delle attività manifatturiere sia la tradizione dell’artigianato, sia lo sviluppo di nuovi modelli di business, capaci di crescere nel contesto urbano e di contribuire a un suo sviluppo sostenibile. A fianco della riscoperta e della rivisitazione delle competenze artigiane attraverso la tecnologia, lo spostamento delle attività produttive nella città genererebbe benefici anche alla cittadinanza. In particolare, l’adozione del modello di Fabbrica Urbana permetterebbe una riduzione dell’inquinamento atmosferico, una minor congestione stradale e minori emissioni di gas serra. Questi aspetti sono legati essenzialmente alla riduzione dei trasporti dai centri di produzione ai centri di consumo e alla maggiore accessibilità al trasporto pubblico che facilita lo spostamento del personale aziendale senza usare mezzi di trasporto privati. Sono cambiamenti che renderebbero la città un luogo adatto sia alla vita familiare sia a quella lavorativa, nonché un’area capace di catalizzare sinergie essenziali per lo sviluppo dell’innovazione e del progresso tecnologico [4]. Un ulteriore aspetto che rende la Fabbrica Urbana particolarmente interessante è la sua capacità di mantenere e sviluppare i cluster industriali presenti nelle diverse economie nazionali. Lo confermano anche evidenze provenienti da oltreoceano, dove lo sviluppo di piccole attività produttive a New York e Los Angeles è stato un elemento di successo per i settori dell’intrattenimento e del fashion, nonché un fattore di sviluppo rilevante. Un altro esempio viene da Seattle, dove da tempo un cluster di aziende collabora con Boeing, la multinazionale produttrice di aeromobili, fornendo materiali e componenti ad alto valore e contenuto tecnologico [5]. Tuttavia, se alcune nazioni hanno già sperimentato i benefici di una crescente manifattura urbana, nel nostro paese, e nello specifico nel contesto bergamasco, il concetto di «fabbrica di quartiere» è ancora poco sviluppato e diffuso. Pochi esempi di artigianato tecnologico possono essere considerati significativi. Probabilmente il più rilevante giunge dal settore orafo che, da qualche anno a questa parte, ha scoperto un nuovo approccio alla produzione, capace di mantenere uno strettissimo legame con la tradizione pur avvalendosi di tecnologie avanzate come la stampa 3D. L’interesse crescente dell’oreficeria per i nuovi modelli di prototi241

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terno di imprese artigiane e commerciali appare interessante e potenzialmente foriera di nuovi modelli di business, che potrebbero da un lato integrarsi con sistemi esistenti e dall’altro abilitare nuove iniziative, innescando esigenze inedite del mercato. Basti pensare all’esperienza delle cosiddette «fabbriche di quartiere», già in corso in Italia e in altri paesi: a titolo di esempio, ricambisti che stampano parti di ricambio in modalità digital printing evitando quindi di tenere in magazzino componenti a bassa rotazione, oppure botteghe orafe che usano stampanti 3D come strumenti di prototipazione rapida di gioielli, una possibilità fino a pochi anni fa accessibile solo alle grandi aziende. Date le enormi potenzialità e l’effetto positivo che queste tecnologie potrebbero avere sull’economia artigiana locale, affronteremo il tema esemplificando casi internazionali e nazionali per comprendere le aree potenziali di applicabilità e i principali fattori che abilitano l’introduzione delle tecnologie in un nuovo contesto di «fabbrica urbana».


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I Fab Lab Ciò può avvenire solo grazie a luoghi e laboratori localizzati nel contesto urbano, dove chiunque possa apprendere l’utilizzo di tecnologie più o meno moderne e possa confrontarsi e condividere idee. I fab labs (fabrication laboratories) sono l’esempio che meglio rappresenta quest’idea di luogo di produzione urbana nel quale sperimentare, usare tecnologie avanzate e condividere conoscenze, per realizzare prodotti unici ed in alcuni casi ad alto contenuto tecnologico. Il primo «Fab Lab» fu inaugurato nel 2003 all’interno del Massachusetts Institute of Technology (MIT), a seguito dell’intuizione di Neil Gershenfeld che identificava nella «fabbricazione personale» la prossima rivoluzione digitale. Grazie a tecnologie sia tradizionali che moderne, il cittadino sarebbe stato in grado di ideare, progettare e realizzare oggetti senza l’ausilio dei tradizionali processi industriali. Come riportato da Fab Foundation, associazione non profit fondata nel 2009 per sostenere lo sviluppo di nuovi laboratori di fabbricazione urbana creando un network internazionale che li riunisse, a partire dal 2003 si sono sviluppati oltre 250 fab lab 242

sparsi in tutto il mondo, indipendentemente dallo sviluppo economico delle diverse nazioni [7]. Questi centri si impegnano in attività di formazione per giovani e meno giovani che vogliono apprendere l’uso di nuove tecnologie; fungono però anche da stimolo al sistema imprenditoriale locale, attraverso il coaching e un affiancamento nello sviluppo di nuove idee. Negli ultimi anni, i fab lab hanno preso piede anche in Italia, con la loro proliferazione in diverse città. Tipicamente questi luoghi sono aperti grazie all’iniziativa di gruppi di giovani affascinati dalla possibilità di riscoprire l’arte della produzione manuale declinata in un contesto moderno e tecnologico. Come censito da Wired, sul territorio nazionale ci sono oggi quarantatré laboratori urbani, con dimensioni e attività differenti [8]. Alcune città, come Torino e Roma, ospitano laboratori di dimensioni notevoli in cui l’utilizzatore trova molteplici tecnologie per realizzare le sue idee. Un altro esempio interessante è il Metropolitan Works di Londra [9]. Realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Arte e Design della London Metropolitan University, consente a progettisti, a professionisti di vario genere e a semplici cittadini di creare nuovi prodotti grazie all’accesso a tecnologie come stampanti 3D, laser cutter o plotter. Inoltre, il laboratorio ospita convegni e corsi su tematiche specifiche ma anche di carattere generale. Dietro pagamento di una piccola quota di associazione, l’utilizzatore accede a un ambiente tecnologico aperto all’innovazione e dinamico che facilita lo sviluppo di idee, il tutto immerso nel contesto urbano. Sul fronte dello sviluppo collaborativo e della possibilità di condividere le risorse disponibili, molto interessante è il fenomeno dei 3D hub, che nascono quando dei privati cittadini mettono a disposizione la propria stampante 3D per l’uso da parte di altri cittadini, professionisti o artigiani. Sul sito 3dhubs.com, per esempio, i proprietari di sistemi 3D offrono l’utilizzo della propria stampante a chiunque sia interessato, dietro compenso. Tramite il sito, il cliente trova la stampante più vicina e il dettaglio dei prezzi per il servizio richiesto. 3dhubs.com permette di mettersi in contatto con il proprietario e ricevere una prima offerta economica per la realizzazione del proprio oggetto. Scelto l’hub, il cliente può inviare al proprietario il file 3D dell’oggetto da realizzare che, una volta prodotto, è direttamente spedito al suo domicilio.

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pazione e produzione si è concretizzato anche attraverso un’ampia esposizione di sistemi di stampa 3D nei maggiori eventi fieristici nazionali di oreficeria. Un’azienda che ha adottato nuovi sistemi di stampa 3D per la produzione di gioielli è HSL, con il suo brand .bijouets. HSL è un’impresa di Trento che opera nella progettazione, sviluppo e realizzazione di prodotti industriali in plastica. Da alcuni anni si è concentrata sulla produzione di gioielli e bijoux in materiali plastici, realizzati mediante digital printing. Facendo leva sia su competenze tradizionali nell’ambito delle plastiche, sia su tecnologie di concezione più recente, HSL ha potuto produrre oggetti dal design unico che vengono venduti tramite i canali tradizionali, quali gioiellerie e negozi di bigiotteria, ma anche attraverso la piattaforma e-commerce aziendale [6]. Il modello di Fabbrica Urbana, tuttavia, non si prefigge solo di creare nelle città di versioni «in scala ridotta» delle aziende tradizionali, né solo di far digitalizzare le attività artigiane. Il suo obiettivo è scoprire nuovi modelli di fare impresa attraverso la cooperazione e lo sviluppo congiunto delle competenze di consumatori, artigiani e professionisti di diverso genere.


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la realizzazione di prodotti altamente personalizzati, basati sulle necessità e richieste del cliente pur sfruttando economie tipiche della produzione di massa [11].

Molte attività artigiane si basano su metodi e approcci produttivi consolidati nel tempo, ma è innegabile che il cambiamento verso un modello di Fabbrica Urbana è possibile solo attraverso l’adozione di tecnologie di nuova concezione. La spinta principale alla generazione di un’idea diversa e più moderna di artigianato è stata data dalla disponibilità di sistemi di stampa 3D a prezzi contenuti. Questa tecnologia, nota anche con il termine anglosassone di 3D printing o additive manufacturing technology, stravolge l’approccio tradizionale alla realizzazione di prodotti. Il punto di partenza dell’intero processo di stampa 3D è un disegno tridimensionale dell’oggetto che si vuole realizzare. Questo disegno, generato utilizzando comuni programmi di progettazione grafica, viene automaticamente suddiviso in sottili strati dal software della stampante che definisce, in completa autonomia, il percorso di stampa necessario alla realizzazione del prodotto. Una volta creato il tracciato, il principio base della produzione è la realizzazione «strato dopo strato» dell’oggetto, tramite il continuo deposito del materiale.

L’elevata flessibilità produttiva Un uso versatile in della stampa 3D e la sua capacità di artigianato e manifattura sopperire ad alcune limitazioni tecniche delle tecnologie tradizionali la rendono adatta all’uso in diverse attività manifatturiere e artigianali. Alcune delle applicazioni prin-

Quest’ultimo, inizialmente posato sul piano di lavoro, viene solidificato mediante laser, collanti o semplicemente attraverso la cristallizzazione dovuta al raffreddamento. L’oggetto prende quindi forma attraverso una continua stratificazione del materiale, che viene depositato seguendo il percorso predeterminato. Oggi sono in commercio soluzioni per diversi tipi di stampa, che operano con materiali e con tecnologie differenti e permettono di realizzare prodotti di diversa natura. Tra le tecnologie più note ci sono Fused Deposition Modeling (FDM), 3D binder jetting, stereolitografia (SLA) e Selective Laser Sintering (SLS) [10]. Originariamente, la stampa 3D era utilizzata per realizzare prototipi. Grazie al miglioramento delle prestazioni, oggi si adopera anche per creare prodotti pronti alla commercializzazione. È utilizzata nel bridge manufacturing, la realizzazione di prodotti nell’attesa che i processi produttivi tradizionali siano pronti per la produzione; nella realizzazione di prodotti on demand a bassa rotazione; e in attività di mass customisation, 244

cipali riguardano la realizzazione di oggettistica per la casa, la moda, il settore biomedico e quello aerospaziale. Negli ultimi anni, il progresso tecnologico ha permesso di realizzare stampanti 3D sempre più precise, a costo contenuto e con dimensioni ridotte. Questo ha portato a una diffusione sempre maggiore e a un crescente interesse per il loro utilizzo nelle micro e piccole attività manifatturiere. Ci sono molte affinità tra le condizioni di applicabilità della stampa 3D e le attività artigiane tradizionali. La convenienza dell’utilizzo della tecnologia di stampa 3D è funzione dei volumi realizzati, della complessità e delle dimensioni dell’oggetto e del materiale utilizzato [11]. In generale, il 3D è conveniente solo per una produzione dai volumi ridotti che richieda un’elevata personalizzazione del prodotto. Uno dei punti di forza maggiori della tecnologia 3D printing è la possibilità di realizzare oggetti dall’elevata complessità geometrica, difficilmente realizzabili con tecnologie più tradizionali, come le lavorazioni meccaniche. Queste caratteristiche si sposano particolarmente bene con le attività artigiane che prevedono prodotti altamente personalizzati, realizzati in piccole serie o addirittura singole unità. La stampa 3D non è l’unica tecnologia che abilita il modello di Fabbrica Urbana. Tra gli altri sistemi ci sono per esempio i macchinari per il taglio laser. Questa tecnologia, solitamente utilizzata in contesti industriali, ha sperimentato recentemente una forte evoluzione che ha portato alla realizzazione di sistemi dalle dimensioni ridotte e utilizzabili anche in ambienti artigiani. Come nel caso dei macchinari industriali, anche i sistemi di taglio laser compatibili con il contesto artigiano incidono il mate245

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03 La tecnologia come fattore abilitante per la Fabbrica Urbana


riale seguendo un percorso determinato, grazie a programmi facilmente installabili su personal computer. Altri sistemi interessanti per la creazione di modelli di Fabbrica Urbana sono gli scanner 3D, recentemente diventati di facile utilizzo, con dimensioni contenute e precisione notevole. Questa tecnologia permette di costruire un’immagine virtuale 3D dell’oggetto sottoposto a scansione, che può essere utilizzata per varie attività. Basti pensare alla possibilità di realizzare protesi o strumenti medicali costruiti ad hoc sulle caratteristiche biometriche di un paziente partendo da un suo modello digitale.

Da un punto di vista prettamente tecnico è evidente che le tecnologie che abbiamo analizzato sono abilitanti per lo sviluppo della Fabbrica Urbana. Non è ancora del tutto chiaro se anche le loro caratteristiche economiche e gestionali sono in grado di sostenere il cambiamento in modo sostenibile. L’assenza di casi di studio significativi di artigianato tecnologico limita fortemente le considerazioni di natura economica, riducendole a osservazioni di carattere generale che dovrebbero essere declinate per ogni specifico caso. In termini generali, le tecnologie analizzate dovrebbero avere un impatto positivo sulla configurazione tradizionale della filiera produttiva. Come abbiamo già messo in luce, la proliferazione di attività manifatturiere nel contesto urbano dovrebbe ridurre le distanze tra i centri di produzione e di consumo, con un risparmio in termini di trasporti e di inquinamento atmosferico [12].

finale del prodotto è forte, nonostante questi sistemi usino meno materiale rispetto alle tecnologie tradizionali [11]. Inoltre, non vi sono evidenze di una migliore efficienza energetica da parte delle tecnologie utilizzabili nelle fabbriche urbane: sia le stampanti 3D, sia i sistemi a taglio laser richiedono apporti di energia paragonabili alle tecnologie tradizionali [12]. Un'attività sostenibile? L’evidente difficoltà nell’identificazione di una risposta univoca sulla sostenibilità economica delle attività di Fabbrica Urbana porta necessariamente a una loro analisi case-based. Sono molte le possibilità di business abilitate dalle tecnologie considerate. Nel più semplice dei casi, possono affiancare le attività tradizionali o addirittura sostituire in toto parti del processo produttivo. Per esempio, la stampa 3D può sostituire le tecniche tradizionali nella creazione dei modelli per la fusione «a cera persa» dei gioielli. Questo può portare a una maggior efficienza del processo senza ridurre la qualità del prodotto.

Altro caso invece è quello dell’utilizzo della tecnologia per la realizzazione di prodotti nuovi e innovativi basati sulle specifiche richieste del cliente. In questo caso entrano in gioco dinamiche diverse: si presuppone la creazione di un nuovo mercato, per certi versi parallelo a quello dei prodotti tradizionali. Pertanto, date le peculiarità di ciascun modello di business è difficile e rischioso affermare in modo netto la sostenibilità economica dalla Fabbrica Urbana. Un’analisi di dettaglio dei diversi casi permetterà di comprenderne appieno le dinamiche e promuovere iniziative di successo.

L’accorciamento della filiera e la riduzione nel consumo di carburante si tradurrebbero in una diminuzione del prezzo finale a vantaggio del consumatore. Tuttavia, a causa dell’investimento iniziale e soprattutto del costo dei materiali di fabbricazione, la riduzione attesa non è certa. 246

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Bergamo tecnologica

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04 La dimensione economica e gestionale della fabbrica urbana

I materiali utilizzabili nella stampa 3D hanno un costo da dieci a cento volte superiori rispetto a quelli tradizionali. L’impatto sul prezzo


05 La situazione del territorio bergamasco

Il territorio bergamasco conta oltre 32mila Piccole e Medie Imprese (PMI) in molti settori artigianali e non, come l’edilizia, il tessile, la lavorazione di materie plastiche e la meccanica di precisione. Oltre alle forti attività commerciali, Bergamo vanta una stretta collaborazione con la sua Università, che contribuisce attivamente allo sviluppo delle attività economiche e delle dinamiche sociali del territorio. Tuttavia la città, pur avendo le premesse per una transizione proficua verso un artigianato tecnologico, attualmente non brilla nel panorama nazionale. Non conta particolari attività di artigianato tecnologico, né fabbriche di quartiere di nuova concezione. Ciononostante, Bergamo è una delle poche città in Lombardia a vantare la presenza di un fab lab urbano. Il laboratorio, ospitato nelle strutture del Patronato HUB, si definisce come «un laboratorio aperto, che pone l’etica e la condivisione come la base di un nuovo modello di lavoro e di pensiero» [13]. I principi fondativi del laboratoUn Fab Lab in città rio sono la centralità della formazione e dello scambio di conoscenze come mezzo di crescita, la valorizzazione e la promozione di fabbricazione locale, l’attenzione alle esigenze dell’utente. Il Fablab Bergamo mira a valorizzare metodi produttivi attenti all’impatto ambientale e non massificati. Attraverso il suo operato, il laboratorio ha l’obiettivo di promuovere e valorizzare le attività proposte dai soci, ma anche di divulgare l’uso di 248

06 Un piano di azione per lo sviluppo di un artigianato tecnologico a Bergamo Date le potenzialità del modello di Fabbrica Urbana e la carenza di attività a suo sostegno nella città di Bergamo, è utile identificare un piano di azione che indichi le fasi, gli attori e le attività necessarie per facilitare la transizione verso un modello di artigianato tecnologico. Come abbiamo già descritto, sebbene si parli moltissimo delle potenzialità di sistemi di produzione digitale e ci siano già esempi della loro adozione in contesti urbani è ancora difficile capire quanto queste tecnologie possano affermarsi in modo strutturato, permanente e a costi accessibili anche nel mondo dell’artigianato. Inoltre, il loro sviluppo è rallentato o in alcuni casi bloccato da una generale difficoltà delle imprese a comprendere l’esistenza delle possibilità legate all’uso di questi sistemi, principalmente per la scarsa alfabetizzazione su queste tecnologie. Per queste ragioni, Bergamo Tecnologica propone un progetto di ricerca e formazione tecnico-gestionale che risponda a quesiti fondamentali per valutare la sostenibilità della Fabbrica Urbana nella nostra città. In particolare, è centrale capire quali tecnologie sono di potenziale interesse per abilitare modelli produttivi innovativi per le aziende artigiane, 249

Bergamo tecnologica

Bergamo 2.035 cap. 09

La Fabbrica Urbana è un fenomeno concreto che, presumibilmente, nel prossimo futuro prenderà sempre più piede grazie ai benefici che può generare. Anche nel contesto territoriale di Bergamo occorre considerare il potenziale impatto di queste nuove dinamiche evolutive dei modelli di produzione. Bergamo è un’area di particolare interesse per la loro promozione grazie al suo forte spirito imprenditoriale e alla presenza di una tradizione artigianale di vecchia data.

mezzi di prototipazione digitale e di design aperto; oltre a ciò, si propone come luogo di scambio e di creazione, capace di incoraggiare la ricerca scientifica su vari livelli. Attraverso l’utilizzo dei macchinari, il Fablab ambisce a sostenere le attività di «creativi indipendenti» che intendano realizzare progetti propri in modo autonomo o con il sostegno di altri professionisti. Il laboratorio può affiancare aziende e professionisti nella realizzazione di nuovi prodotti, assistendoli dalle fase di progettazione e design fino alla realizzazione finale di prototipi e piccole serie. Infine, in coerenza con i principi costitutivi dei fab lab urbani, ospita numerosi corsi e laboratori didattici indirizzati ad allievi di scuole di ogni ordine e grado e a studenti universitari.


Rispondere a queste domande è un compito complesso a fronte della relativa novità dei fenomeni descritti. Per questo il progetto non punta solo a condurre una ricerca esplorativa, importante per una prima analisi critica del fenomeno della Fabbrica Urbana, ma anche a sostenere pragmaticamente e fattivamente lo sviluppo di nuovi modelli di business e di produzione, sperimentando e sviluppando nuove idee imprenditoriali con la creazione di un laboratorio sperimentale e di un Centro di Competenze. Data la complessità del tema, è richiesta una presenza complementare di conoscenze di natura tecnologica, economico-gestionale e sociologica. Solo attraverso la messa a sistema delle competenze ed esperienze dei diversi attori sul territorio si potranno conseguire i risultati desiderati. In particolare, il primo tipo Le competenze di competenze richieste è di natura e le esperienze tecnica: riguarda le tecnologie disponibili, le potenziali applicazioni e i modelli di business realizzabili. Questa conoscenza potrebbe essere sviluppata dai gruppi di ricerca in ambito universitario, in particolare nelle aree di ricerca della progettazione prodotto, sistemi di produzione, ICT, economia e gestione imprenditoriale. Il loro ruolo è condurre una ricerca esplorativa, dare sostegno tecnologico attraverso i propri laboratori e le attrezzature messe a disposizione da enti partner, elaborare un piano di formazione tecnico-gestionale. Il secondo tipo di competenze necessarie è di natura applicativa, vale a dire di conoscenza specifica, tecnica e di utilizzo delle tecnologie in iniziative di Fabbrica Urbana. Ad esempio, la partecipazione di fornitori di macchinari per la stampa 3D, di produttori di attrezzature e di materiali per tecnologie open source, nonché fornitori di soluzioni tecnologiche avanzate potrebbe essere particolarmente utile al successo dell’iniziativa. In questo ambito, il Fablab di Bergamo potrebbe rivelarsi un valido partner di progetto grazie alla sua profonda conoscenza delle tecnologie. L’ultimo tipo di competenze richieste è di tipo istituzionale, per la promulgazione e sponsorizzazione delle attività. Quest’area potreb250

be essere presidiata da associazioni professionali come Confartigianato Bergamo e la Camera di Commercio di Bergamo. Grazie al contatto con le realtà manifatturiere del territorio, questi enti sono fondamentali nella progettazione congiunta delle attività di ricerca e formazione, nella disseminazione dell’iniziativa verso i propri associati, nella valutazione delle opportunità tecnologiche e di business nonché nell’individuazione di possibili casi pilota. Solo tramite la cooperazione di questi diversi attori e l’integrazione delle loro competenze si può immaginare un’azione forte e duratura per la creazione di un modello sostenibile di artigianato tecnologico. Per sviluppare opportunamente iniziative di Fabbrica Urbana, oltre alle competenze è anche necessario agire sulle tecnologie e sui sistemi di progettazione. La creazione di un centro di competenze permetterebbe anche di rendere accessibili a più soggetti tecnologie complesse e in alcuni casi onerose, consentendo di valutarne i reali ambiti di applicazione. A oggi, l’applicazione di alcuni sistemi in contesti come quelli descritti è ancora in stato embrionale. È necessario identificare con chiarezza tutte le tecnologie abilitanti il fenomeno della fabbrica urbana, i loro vincoli di natura tecnico-produttiva (materiali lavorabili, dimensioni di produzione, tolleranze realizzabili ecc.), come pure l’impatto sui materiali lavorati, sulle caratteristiche fisiche dei prodotti, sul processo di progettazione. Da ultimo è necessario fornire supporto verso la definizione di nuovi modelli di business e sistemi organizzativo-gestionali estesi, in cui non vi sia un unico attore a detenere tutti gli asset strategici, ma che siano condivisi all’interno del territorio e accessibili in modo efficace a tutti. La presenza nella stessa area urbana di un centro come il Fablab, dell’Università, di incubatori e parchi scientifici, oltre che di imprese tecnologicamente all’avanguardia, richiede la definizione di un sistema integrato per la condivisione di risorse che già oggi il territorio possiede.

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Bergamo tecnologica

Bergamo 2.035 cap. 09

commerciali e industriali di piccola dimensione. Inoltre è necessario identificare le soluzioni di mercato che queste tecnologie abilitano, nonché le risorse e le competenze necessarie per il loro uso in un contesto produttivo. Infine, occorre capire come sviluppare le competenze d’uso.


01 Un laboratorio di innovazione _p. 255

02 L’analisi strategica del contesto _p. 257

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03 La definizione del problema _p. 258

04 Design brainstorming _p. 262

05 Bergamo Ecosistema Salute e Tecnologia _p. 263 06 Bergamo Hub della Cultura e della Conoscenza _p. 270 07 Lo sviluppo del progetto di innovazione complessivo _p. 277

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Il Bergamo 2.035 Innovation Lab

Dalla concezione alla progettazione 254

Bergamo 2.035 non mira solo ad analizzare e valutare sulla carta le potenzialità delle proposte emerse dai tavoli di lavoro tematici. Vorremmo andare oltre, traducendo le proposte in progetti per la realizzazione di prototipi urbani, che a loro volta consentano di produrre soluzioni realmente fruibili per la comunità. Vogliamo immaginare Bergamo come un laboratorio vivente aperto dove ideare, sperimentare e valutare i risultati principali del progetto, facendolo diventare anche un modello per altre città di medie dimensioni con le stesse caratteristiche urbane. La partnership strategica di ricerca con la Graduate School of Design (GSD) della Harvard University si è tradotta nell’istituzione di un laboratorio progettuale congiunto, REAL Cities | Bergamo 2.035, dimostrandosi molto importante per una prima valutazione degli approcci metodologici più efficaci nel passaggio dalla fase di concezione di una proposta condivisa a una sua applicazione e fruibilità sul campo. Come abbiamo evidenziato più volte, la natura di questi progetti rivolti a una collettività (che richiedono quindi un forte coinvolgimento della cittadinanza e dei diversi stakeholder nel recepire i potenziali benefici e nel coprogettare le soluzioni applicative) non può certo essere assimilata a quella relativa allo sviluppo e realizzazione di prodotti e servizi per il singolo consumatore, per certi versi più consolidata. Nel primo anno di vita, le attività del laboratorio si sono indirizzate principalmente verso due aree tematiche pilota investigate dal progetto Bergamo 2.035, Bergamo Creativa e Bergamo Salute, con l’obiettivo di farne terreno di esperienza per la messa a punto di approcci metodologici da trasferire poi anche sugli altri gruppi tematici. La progettazione di queste soluzioni ha visto il coinvolgimento di un team esteso di attori aprendo il gruppo di ricerca alla collaborazione con il Responsive Environments and Artifacts Lab (REAL) di Harvard GSD. Il laboratorio congiunto si è avvalso anche dell’apporto di una squadra di dodici studenti dell’Università di Bergamo e dodici della Harvard University. Oltre a essere una esperienza comune di ricerca, 255

Dalla concezione alla progettazione

Bergamo 2.035 cap. 10

01 Un laboratorio di innovazione


Il processo di indagine appli- Dal design al progetto: le fasi cato alle due aree tematiche pilota investigate in questo primo anno di attività è articolato nelle seguenti fasi logico-temporali: – Definizione di un framework concettuale: articolazione del modello teorico di riferimento e dell’ambito di indagine. – Analisi strategica del contesto: comprensione del contesto locale in cui il processo di indagine si inserisce. – Definizione del problema: sintesi dell’analisi del contesto e identificazione dell’ambito di intervento. – Design brainstorming: generazione creativa e partecipativa di idee progettuali che agiscano sui problemi identificati. – Definizione dei design concept: elaborazione di concept progettuali. – Sviluppo del progetto: creazione di soluzioni che declinino in modo fattivo i concept generati. – Sviluppo di prototipi: realizzazione di artefatti fisici di tipo prototipale per testare e sperimentare i concept realizzati. – Validazione delle soluzioni: realizzazione di urban demo su scala limitata e controllata per validare e comunicare la proposta progettuale. – Trasferimento e implementazione delle soluzioni: realizzazione della soluzione progettuale. Data la loro rilevanza e la necessità di traguardarle su un orizzonte temporale pluriennale, le attività sinora avviate non hanno permesso di coprire tutte le fasi. Da una parte, la definizione del framework concettuale è ben strutturata attraverso il percorso di analisi, discussione e proposizione che ha animato le attività di ricerca e di interazione con il territorio durante le attività di Bergamo 2.035 e le cui evidenze sono state ampiamente ripor256

tate, per singola area tematica, nei capitoli procedenti. In particolare, con riferimento ai temi della conoscenza e della salute rimandiamo alla lettura dei capitoli 3 e 4 per comprendere meglio quanto emerso da questa fase. Dall’altra parte, le fasi finali di prototipazione e di implementazione sono, allo stato attuale, in avviamento ma non altrettanto consolidate. Le sezioni successive riportano le principali evidenze delle esperienze sinora acquisite, a partire dalla seconda fase di analisi strategica del contesto.

02 L’analisi strategica del contesto Il punto di attacco fondamentale per un intervento sulla città e sul territorio è la sua comprensione. Occorre una percezione chiara ed esaustiva di ciò che caratterizza il territorio da diversi punti di vista: demografico, orografico, sociale, culturale, tecnologico ed economico. Si possono adottare vari metodi per sostenere questa fase di analisi, valutando e analizzando i differenti aspetti che caratterizzano un territorio; ne riportiamo qui qualche esempio. Landscape Mapping. Questa mappatura si concentra sulla rappresentazione e valutazione critica degli ambienti urbani e delle dinamiche sociali all’interno delle comunità cittadine. Le tecniche applicate sono quelle tipiche della cartografia e dell’analisi dei territoriQR. Urban Mapping. Mediante tecniche di analisi urbana, si identificano in città i punti chiave riferiti agli specifici ambiti di indagine del progetto. La mappatura si concentra quindi su un filtraggio dei contenuti logico-spaziali che renda evidenti elementi chiave dell’analisiQR. Experiential Mapping. Mediante una ricerca 257

Un esempio di mappatura della città

Un esempio di mappatura di Bergamo con gli spazi di interesse messi in evidenza

Dalla concezione alla progettazione

Bergamo 2.035 cap. 10

quindi, il progetto REAL Cities | Bergamo 2.035 è anche una piattaforma formativa interdisciplinare che mira a creare nuove competenze per profili professionali che saranno sempre più richiesti nel mondo aziendale, istituzionale e sociale per gestire progetti complessi relativi a sistemi urbani.


diretta sul campo, questo metodo valuta la qualità degli ambienti urbani cercando di calarsi direttamente nei panni dell’utente e del cittadino, per esperire il modo in cui l’ambiente urbano interagisce con l’individuo e le comunitàQR. Strumenti tipici di questo tipo di analisi sono video, interviste e analisi etnografiche, usati per creare visioni soggettive riguardo a come determinate categorie di attori vivono un ambiente urbano.

Bergamo 2.035 cap. 10

Data Mapping. All’interno di questa analisi sono considerate le descrizioni sintetiche di un territorio e della sua evoluzione, a partire da dati demografici. L’analisi demografica e statistica offre un supporto analitico che completa e sostiene le evidenze emerse attraverso altri metodiQR.

Mappatura degli spazi così come sono percepiti da uno studente universitario a Bergamo

Un’intervista con attori del territorio

Un esempio di mappatura quantitativa

03 La definizione del problema La mappatura del territorio è un punto chiave per identificare le criticità e gli ambiti di intervento. Da questa derivano l’analisi e l’individuazione dei problemi e delle opportunità che si decide di affrontare. È necessaria un’interlocuzione diretta e continua con il territorio per verificare l’effettiva rilevanza di questi ambiti e poter costruire azioni concrete. Devono essere create aree analitiche specifiche, affrontabili in modo distinto ma coordinato. Coerentemente con quanto abbiamo descritto nei capitoli 3 e 4, e anche grazie ai tavoli di lavoro istituiti durante lo sviluppo del progetto 258

1. Ihealth: l’io quantificato Bergamo Salute La misurazione di parametri fisiologici è un campo emergente di indagine in cui la tecnologia aiuta le persone a misurare e a dare significato ai propri dati personali. Tale attività può contribuire ad aumentare la consapevolezza della propria salute e dei propri comportamenti, favorire lo sviluppo di stili di vita salutari e stimolare scelte che giovano al benessere psico-fisico. La misurazione e la tracciabilità poggiano tipicamente sull’utilizzo di apparati che rilevano, interpretano e condividono i parametri misurati. Si possono valutare parametri molto eterogenei, elaborati a partire da dati clinici, da dati relativi ai comportamenti adottati (p. es. tempo passato in determinate posizioni o ambienti) o da dati riferiti ad attività svolte (p. es. fitness). L’attenzione qui è rivolta non solo a valutare strumenti differenti per la misura di parametri fisici, ma soprattutto a identificare parametri che vadano oltre ai dati clinici. Facendo leva su tecnologie interattive, c’è una possibilità concreta di sviluppare sistemi coinvolgenti capaci di stimolare naturalmente l’adozione di comportamenti positivi per la salute. 2. Aging with grace: inclusività sociale La presenza di una proporzione significativa di popolazione anziana è un fenomeno importante a livello globale. Le Nazioni Unite prevedono che nel 2030 più del 30% della popolazione in regioni sviluppate avrà un’età superiore ai 60 anni. Questo cambiamento demografico presenta sfide che richiedono di spostare l’attenzione da modelli di intervento medico a modelli di promozione della salute e di prevenzione delle malattie. Per favorire questa prospettiva sono necessari il coinvolgimento e l’accessibilità ad ambiti non ancora esplorati, in particolare per tutti coloro che presentano qualsiasi forma di limitazione al movimento o all’azione in generale. È necessario agire attraverso un uso congiunto e coordinato di innovazione tecnologica e innovazione sociale. Il modello dei «living lab», ad esempio, permette di creare ambiti sperimentali in cui produttori 259

Dalla concezione alla progettazione

Social Mapping. L’attenzione in questa analisi si volge principalmente a un’interazione diretta con gli individui e le organizzazioni. Interviste, questionari e conversazioni informali permettono di rendere espliciti i problemi critici e i bisogni dei cittadiniQR.

e prima descritti, gli ambiti Bergamo Creativa e Bergamo Salute sono stati declinati identificando diversi punti di intervento su cui concentrare la riflessione.


3. Wellbeing hubs: incentivazione di stili di vita sani Un’alimentazione di scarsa qualità, una mobilità limitata e ambienti urbani alienanti sono alla base di numerosi problemi di salute come l’obesità e stili di vita autodistruttivi. Occorre una profonda conoscenza del comportamento degli individui, ottenuta attraverso nuovi modelli organizzativi e tecnologie avanzate, per progettare e creare ambienti e spazi che favoriscano la salute. La progettazione urbana combinata con la promozione di stili di vita corretti può aiutare lo stato di benessere individuale. Promuovere, per gli spostamenti, la scelta di camminare o di usare una bicicletta può contribuire al miglioramento della forma fisica oltre che alla riduzione dell’inquinamento cittadino. L’obiettivo è individuare meccanismi che stimolino stili di vita costruttivi e attività fisiche all’interno della città facendo leva sulla morfologia urbana e sulle aree verdi, promuovendo abitudini alimentari corrette e favorendo la mobilità. Bergamo Creativa 1. L’università come hub di innovazione e conoscenza La produzione, disseminazione e assorbimento di conoscenza avvengono in diversi ambienti e attraverso diversi mezzi all’interno di una città. Strutture come i centri di ricerca, gli istituti di educazione superiore, i parchi tecnologici, gli incubatori, le camere di commercio, le associazioni, i musei contribuiscono a un sistema distribuito di conoscenza e innovazione. L’Università può agire come uno hub della conoscenza, facilitando la promozione del sapere e sviluppando collaborazioni e relazioni tra differenti entità. Facendo leva sulle proprie capacità di ricerca e promozione dell’innovazione, l’Università può stimolare lo sviluppo di conoscenza condivisa, contaminazione reciproca delle competenze e apprendimento continuo. 260

L’obiettivo finale è sviluppare la cultura della conoscenza, la creatività, l’innovazione in ambito sociale, politico ed economico all’interno della città. 2. L’università senza confini: l’[inter]nazionalizzazione Lo sviluppo di strategie di smartness richiede di agire sia a livello nazionale sia internazionale. L’Università, in stretto collegamento con l’area in cui è inserita, dovrebbe avere una visione sistemica che evidenzi il suo ruolo all’interno di un network globale integrato. Perseguendo un obiettivo di democratizzazione della conoscenza, può agire come piattaforma per la creazione di opportunità educative, occasioni di scambio di sapere, sviluppo di creatività, favorendo l’innovazione a tutti i livelli. Affinché ciò accada, l’Università deve fare leva sulla propria immagine e sulla propria attrattività anche mediante attività di comunicazione. Favorendo la creazione e diffusione della conoscenza sia localmente sia globalmente, l’Università può favorire il miglioramento dell’immagine della città stessa, diventando un modello di riferimento anche per altre istituzioni nel mondo. 3. Lo sviluppo delle competenze transdisciplinari Le complesse dinamiche sociali odierne richiedono una base comune di incontro, un linguaggio condiviso e sistemi di collegamento tra le diverse discipline. L’Università può essere lo strumento più efficace per creare interazioni tra discipline e favorire la produzione e collezione di conoscenza. Integrando efficacemente entità spaziali, sociali, fisiche e virtuali, può diventare un agente di cambiamento per il trasferimento di attività di ricerca verso prodotti, servizi e sistemi innovativi. Gli obiettivi sono lo sviluppo di connessioni tecniche, sociali ed economiche e la creazione di opportune interfacce tra membri dell’accademia, cittadini, imprese, istituzioni, così da creare una rete di conoscenza sostenuta dall’Università come parte integrante della città.

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Dalla concezione alla progettazione

Bergamo 2.035 cap. 10

e consumatori collaborano alla co-creazione di innovazioni da sperimentare in tempo reale. All’interno di un living lab il paziente e la persona anziana non rappresentano semplicemente il cliente finale: sono soggetti attivi nel processo di ricerca per la creazione di cicli virtuosi. L’obiettivo ultimo è la creazione di nuovi ambienti o apparati che consentano ai cittadini di essere attivamente coinvolti nel promuovere la salute propria e quella degli altri.


La cornice della ricerca e l’analisi strategica del territorio sono serviti come base strumentale per la generazione di soluzioni progettuali. A tal fine, workshop intensivi di design brainstorming hanno consentito sia di definire in maniera accurata gli ambiti di indagine, sia di produrre idee, mappe concettuali e prime proposte progettuali grazie all’implementazione di diverse strategie di design thinking: quell’approccio mentale che consente di acquisire, elaborare e riformulare conoscenza e informazioni. Più precisamente, il design thinking può essere visto come un’attività che combina sensibilità ed abilità, facendo leva su strumenti chiave del processo progettuale. Come scrive Roger Martin, «La sensibilità è la capacità di distinguere tra diverse condizioni simili tra loro ma non esattamente uguali. [...] L’abilità è invece la capacità di portare a termine un’attività al fine di produrre i risultati aspettati.» ([1], pp. 155-156) Nel corso delle sessioni di brainstorming sono stati applicati i tre strumenti principali del design thinking ([1], pp. 161-163): osservazione, ovvero la capacità di «vedere oltre» attraverso un approccio incentrato sull’utente; immaginazione, utilizzata come strumento per combinare i dati a disposizione al fine di creare diversi scenari; configurazione, cioè la trasformazione di un’idea in un sistema attivo per la generazione dei risultati aspettati. Il design thinking è stato quindi utilizzato come motore attivo di un processo progettuale creativo per generare soluzioni alternative per le problematiche di Bergamo in esame. Possiamo riassumere il processo ordinandolo in base a queste fasi [2]: – Scoperta: studiare il problema, strutturare la ricerca, cogliere ispirazioni. – Interpretazione: creare narrazioni, ricercare i significati, individuare le opportunità. – Ideazione: generare idee, raffinare concept. – Sperimentazione: generare prototipi, analizzare i feedback. – Evoluzione: apportare modifiche, sviluppare il progetto.

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Lo sviluppo dell’analisi e l’elaborazione dei concept hanno portato a identificare due sistemi che si misurano con i problemi evidenziati. Attraverso di essi sono stati declinati sette progetti di azione concreta. Questi non esauriscono le aree analizzate, ma affrontano alcuni temi cercando di agire in modo concreto su problemi e opportunità specifiche. In particolare, Bergamo Ecosistema Salute e Tecnologia nasce come risposta all’attenzione al benessere delle persone e a favorire uno stato continuo di attività e di indipendenza. Bergamo Hub della Cultura e della Conoscenza vuole invece fornire un modello utile a ogni cittadino per l’interazione continua nella città, sia con gli altri cittadini sia con le istituzioni che contribuiscono a creare e diffondere cultura e conoscenza.

05 Bergamo Ecosistema Salute e Tecnologia L’obiettivo principale di questo primo sistema progettuale è investigare come la promozione di benessere, attività fisica e alimentazione sana si possa inserire nelle complesse dinamiche quotidiane delle città contemporanee. La finalità è creare un ambiente urbano migliore che favorisca le condizioni di salute dei cittadini, aumentando la loro capacità di apprendere (per il target bambini), le performance sul posto di lavoro (per quanto riguarda gli adulti) e il loro livello di attività e coinvolgimento (per gli anziani). Il sistema progettuale propone nuovi modelli di benessere diffuso che beneficino della combinazione di: – valorizzazione di risorse e attività locali; – promozione di un senso condiviso di comunità e di interazione sociale; – consapevolezza dell’importanza di stili di vita salutari; – adattamento delle soluzioni progettuali al contesto e alla morfologia urbana; – sviluppo di sistemi e servizi innovativi di benessere e salute

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04 Design brainstorming


– uso congiunto di tecnologie interattive e immersive con strumenti semplici e a basso impatto tecnologico.

Il progetto espande il concetto di wellness e fitness a livello della città, promuovendo l’attività fisica quotidiana e il comportamento alimentare sano per ogni persona, ogni giorno, in ogni luogo, all’interno di «palestre urbane invisibili». Il progetto vuole rendere Bergamo un ecosistema urbano della salute, mettendo insieme: – persone: cittadini di ogni età e ogni estrazione sociale; – istituzioni: dal Comune ai musei; – imprese: creando opportunità di partnership tra pubblico e privato; – infrastrutture: sia fisiche (strade, sistemi di trasporto ecc.), sia digitali (reti, piattaforme ecc.); – spazi: aree urbane ed edifici. Bergamo Ecosistema Salute e Tecnologia è il risultato dell’integrazione di differenti componenti: – Wellness paths: percorsi all’interno della città che gli utenti possono seguire per svolgere attività fisica; sono attentamente integrati all’interno del contesto urbano di Bergamo e distribuiti in modo da venire incontro ai bisogni di tutti i tipi di utenti. – Wellbeing hubs: nodi posti lungo i wellness paths che fungono da punti di incontro e stazioni di esercizio, dotati di strumenti per il fitness da esterno. Il loro posizionamento è volto anche a favorire le attività commerciali locali e a valorizzare aree critiche o sottoutilizzate. – Digital platforms: gli utenti possono registrarsi attraverso una piattaforma online gestita mediante sito web e applicazione mobile. Il sistema permette il monitoraggio delle differenti attività 264

Diversi elementi vanno a costituire l’ecosistema delineato e possono essere integrati in modo modulare all’interno di esso. Durante lo sviluppo del progetto sono state declinate tre idee progettuali specifiche che costituiscono elementi integrabili all’interno del modello descritto: da queste prendono l’avvio le iniziative Age is not a #, GROWin Bergamo, UBfit. In che modo definiamo gli anzia- Age is not a # ni nella nostra società? La qualifica di «anziano» è solitamente attribuita alle persone di età superiore ai 65 anni. Eppure la quantificazione dell’età è solo un tratto cronologico che definisce il numero di anni trascorsi in vita da una persona. L’età effettiva non è determinata solo dal numero di anni che un individuo ha vissuto ma include anche altre caratteristiche, come la salute, il livello cognitivo e il grado di disabilità. 265

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La combinazione di attività fisica e alimentazione sana è una soluzione alternativa per mediare le dinamiche febbrili delle città moderne, favorendo il coinvolgimento dei cittadini all’interno della vita urbana, promuovendo le attività sociali ed economiche locali e creando comunità attive.

svolte e la gestione delle sessioni di esercizio, offrendo la possibilità di creare e unirsi a gruppi di utenti. – Infood kiosks: localizzati in prossimità di nodi chiave lungo i wellness paths, i chioschi offrono differenti funzionalità. Permettono l’acquisto di preparazioni alimentari di alta qualità, prodotte con alimenti locali; consentono di registrarsi al sistema; forniscono informazioni sugli eventi della città. – Mobility shuttles: autobus del sistema di trasporto pubblico che collegano nodi chiave del percorso permettendo agli utenti di raggiungere le attività preferite da differenti aree della città. – Green areas: i wellness paths si snodano lungo e attraverso le aree verdi della città, aumentandone il valore pubblico e offrendo opportunità di riqualificazione urbana. – Health data: gli utenti possono aderire al servizio a condizioni particolarmente favorevoli se consentono al sistema di utilizzare dati personali per analisi di mercato e ricerche legate ai temi della salute. Il sistema può commercializzare analisi realizzate a partire dai dati raccolti, per l’uso da parte di istituzioni pubbliche e organizzazioni private. – Business network: il sistema può creare opportunità di business per attività commerciali locali (ristoranti bar, ecc.) oltre a favorire eventi cittadini.


Bergamo Ecosistema Salute e Tecnologia

Bergamo Hub della Cultura e della Conoscenza

Wellness Paths

Wellbeing Hubs

Cultural Paths

Knowledge Map

Business Network

Digital Platform

Knowledge Network

Digital Platform

Health Data

Infood Kiosks

University Embeddedness

Knowledge Hotspot

Green Areas

Mobility Shuttles

Talking Places

Knowledge Shuttles


Il punto di forza del progetto, peraltro, è la rete sociale che si verrebbe a creare. Tramite funzioni presenti e interazioni tra i vari dispositivi del sistema, l’anziano è incoraggiato a partecipare ad attività sociali organizzate all’interno della città, per esempio usufruendo dell’ampia rete di centri diurni o partecipando a camminate di gruppo e altre attività che permettono di entrare in contatto con nuovi amici nella più totale sicurezzaQR. Gli obiettivi del progetto sono: – Capire e mostrare parametri nascosti del benessere fisico e psicologico di un anziano che vanno oltre ai meri dati clinici o basati su semplici indicatori. – Migliorare la qualità della vita degli anziani e renderli partecipi alle iniziative cittadine, favorendo attività sociali e mantenendoli attivi più a lungo possibile.

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GROWin Bergamo è un proget- GROWin Bergamo to a sostegno della salute fisica e della sostenibilità ambientale, pensato per migliorare la connessione tra i cittadini e le attività che le organizzazioni locali svolgono sul tema del cibo di qualità, facilitando la partecipazione e l’interazione con l’agricoltura urbana di Bergamo. I benefici per la salute e l’economia di cibo locale e di alta qualità sono stati promossi recentemente a livello europeo, nazionale e provinciale. Le organizzazioni locali, inoltre, hanno sostenuto sia i vantaggi ecologici e nutrizionali, sia le opportunità il video di rafforzare le connessioni sociali all’interno di BergaGROWin Bergamo mo. Questi gruppi hanno sviluppato i loro diversi approcci verso l’agricoltura urbana includendo, organizzando mercati, mappando i beni prodotti a livello locale, costruendo giardini urbani in aree non pienamente utilizzate, sviluppando reti di fattorie locali e pubblicizzandone le attività. Nonostante il successo di questo lavoro, gli stakeholder hanno sottolineato il bisogno di collaborare, sfruttare opportunità e coinvolgere soggetti pubblici in misura ancora maggiore, per massimizzare i vantaggi per la salute, l’ecologia e l’economiaQR. UBfit è un sistema progettato UBfit interamente per la città di Bergamo, che sfrutta le caratteristiche del territorio per promuovere il benessere dei cittadini e uno stile di vita più corretto. Si tratta di un sistema integrato nel paesaggio storico e naturale della città, che offre la possibilità di stare bene con sé stessi e con gli altri. A differenza dei dispositivi attualmente utilizzati per fare attività fisica, che consentono di monitorare diversi parametri personali in modo quantitativo, UBfit offre un sistema di integrazione, aggregazione e socializzazione, incentivando i cittadini a fare attività fisica insieme e nella propria città. Il sistema UBfit ruota attorno all’idea del wellness path, un percorso di fitness situato lungo le mura della Città Alta che i cittadini possono utilizzare in diversi modi per fare attività fisica, rilassarsi e socializzare. Il wellness path offre la possibilità di stare bene e in forma, sfruttando la bellezza naturale del paesaggio di Città Alta e dei suoi dintorni.

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«Age is not a #»: l’età non è un numero, piuttosto è un semplice tratto che caratterizza una persona. Altri tratti significativi — il livello cognitivo, l’esperienza, le caratteristiche biologiche e le prestazioni fisiche e mentali — definiscono l’età meglio della data di nascita. il video Capire e riconoscere la differenza tra i due concetti Age is not a # di età può migliorare il modo in cui gli anziani sono trattati dagli altri, oltre al giudizio che hanno di sé stessi. Bergamo è una città italiana con un tasso di crescita della popolazione anziana in rapido aumento: è importante, oggi più che mai, capire meglio il processo dell’invecchiamento. Gli anziani trascorrono più del 55% del tempo in cui sono svegli guardando la tv, che accompagna costantemente le loro attività giornaliere. Forte di questo dato, il progetto ambisce a presentare un nuovo concetto di televisione: uno strumento che possa aiutare l’anziano ad essere più indipendente e meno solo quando è in casa, ma che soprattutto lo invogli a uscire e a coltivare le proprie passioni tramite avvisi personalizzati. Il sistema è attualmente composto da una smart box (un dispositivo da collegare alla tv che permette la connessione di tutti gli strumenti e la raccolta dati), un telecomando universale, un portachiavi e, infine, da una applicazione dedicata ai parenti dell’anziano. Tramite l’app i familiari potranno avere una visione più completa dei parametri dell’anziano senza essere invadenti o oppressivi.


Queste sono solo tre delle possibili componenti: il sistema UBfit offre la possibilità di integrare molti altri elementi, con lo scopo di promuovere il benessere e trasformare la città in una «palestra invisibile». Gli obiettivi di UBfit sono: – Promuovere il benessere attraverso interventi specifici sul territorio accessibili a tutti, che valorizzino la qualità delle relazioni umane e la socializzazione. – Contrastare la sedentarietà crescente con soluzioni personalizzate e socialmente coinvolgenti, a livello sia fisico sia mentaleQR. il video UBfit

06 Bergamo Hub della Cultura e della Conoscenza Questo secondo sistema progettuale mira a fornire un modello di interazione continua, nella città, di ogni cittadino con gli altri e con le istituzioni che contribuiscono alla creazione e diffusione della cultura e della conoscenza. L’obiettivo principale è investigare come tutti gli attori che contribuiscono a creare e diffondere conoscenza possono essere integrati e valorizzati congiuntamente, grazie alla realizzazione e promozione di una rete della cultura e della conoscenza. Questa integrazione renderà accessibile a tutti, in ogni luogo e in ogni momento, il bagaglio culturale 270

della città e degli attori che vi partecipano, favorendo l’attivazione anche di singoli individui e di piccole comunità. Il progetto suggerisce un nuovo modello di interazione culturale che nasce della combinazione di: – valorizzazione di risorse e istituzioni locali; – promozione di un senso condiviso di comunità e di interazione sociale; – consapevolezza dell’accessibilità continua alla cultura e alla conoscenza; – adattamento delle soluzioni progettuali al contesto e alla morfologia urbana; – sviluppo di sistemi e servizi innovativi di promozione del territorio e delle istituzioni; – uso congiunto di tecnologie interattive e immersive con strumenti semplici e a basso impatto tecnologico. La cultura si trasferisce non solo attraverso i singoli attori che operano all’interno di un territorio, ma anche direttamente all’interno delle città, sfruttandone i luoghi di ogni sorta. Una città come Bergamo ha punti di fruizione culturale in ogni angolo e in ogni piazza; ogni edificio e ogni località hanno una storia da raccontare. La città è un tessuto complesso di storie e conoscenze che nessun individuo è in grado di vedere in tutta la sua complessità. Ogni persona, infatti, rivede in ogni spazio solo una parte, in base alla storia che conosce, alle sue competenze, al suo ruolo. Il progetto vuole rendere la città un centro della conoscenza a cielo aperto, accessibile da tutti in ogni momento, in cui la città è attivamente portata a parlare di sé ai propri cittadini. Il progetto punta a rendere Bergamo un ecosistema urbano della conoscenza, mettendo insieme e valorizzando: – persone: cittadini di ogni età ed estrazione sociale, valorizzando le loro differenze culturali e linguistiche; – istituzioni: dal Comune ai musei, dall’Università e dai centri di ricerca fino a ogni altro luogo della cultura e della conoscenza; – imprese: creando occasioni di partnership tra il pubblico e il privato; 271

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Gli activity locker sono un’altra componente importante di UBfit: si tratta di pratici contenitori per fitness integrati non solo nel path, ma in tutta la città. Possono essere utilizzati per contenere attrezzi sportivi o come armadietti per riporre gli effetti personali. Le aziende e le società sportive possono fornire gli attrezzi e utilizzare gli activity locker per attività promozionali. Il terzo componente di UBfit è LaBigi Retrofit, un sistema che migliora il servizio di bike sharing già presente a Bergamo rendendolo accessibile a tutti, fornendo informazioni ai cittadini in tempo reale e aumentando la sicurezza.


Bergamo Hub della Cultura e della Conoscenza è il risultato dell’integrazione di differenti componenti: – Knowledge network: una rete tra attori della conoscenza, per realizzare eventi e progetti congiunti e condivisi. La rete prevede che gli spazi della cultura siano utilizzati per ospitare eventi trans-istituzionali e che si crei un tavolo di coordinamento delle iniziative. – Cultural Paths: costruzione di percorsi tematici all’interno della città per scoprire i centri della cultura e della conoscenza. I percorsi permettono a target diversi (per esempio scuole, turisti, esperti) di muoversi in modo guidato verso la conoscenza degli spazi, ma anche verso la conoscenza delle istituzioni. – Knowledge Hot Spots: artefatti posti all’interno della città che consentano due funzioni principali, percezione e accessibilità. La percezione si riferisce al rendere evidente e tangibile l’appartenenza dello spazio in cui ci si trova alla rete della conoscenza. L’accessibilità comporta il poter accedere a funzionalità e servizi tramite l’interazione con l’artefatto (per esempio accesso wi-fi, consultazione della storia del luogo in cui ci si trova, informazioni sugli eventi). – Talking Places: alcuni spazi e luoghi della città sono mappati in forma digitale permettendo un’esperienza di realtà aumentata che consente di capire la loro storia, la loro morfologia, le caratteristiche architettoniche e sociali. Tramite una applicazione di questo tipo, chiunque può trasformare uno spazio in un museo a cielo aperto. – University Embeddedness: l’Università è il luogo centrale della conoscenza e tramite la sua diffusione anche territoriale diventa un tutt’uno con la città permeandone gli spazi. Le aree sottoutilizzate durante le ore della giornata diventano accessibili liberamente da parte degli studenti e dei ricercatori diventando parte del «sistema Università». – Knowledge Shuttles: un sistema di trasporto tra i diversi nodi della rete della conoscenza consente lo spostamento e il proseguimento di percorsi culturali, nonché l’accesso a parti differenti del sistema. – Knowledge Map: consente la visualizzazione dei progetti legati 272

alla creazione di conoscenza sviluppati sul territorio, l’analisi delle competenze possedute dai diversi attori e l’analisi delle relazioni e collaborazioni in atto. – Digital Platform: gli utenti possono registrarsi attraverso una piattaforma online gestita mediante sito web e applicazione mobile. Il sistema permette l’accesso alle funzioni del sistema e la possibilità di creare e gestire gruppi di utenti. Diversi elementi vanno a costituire l’ecosistema delineato e possono essere integrati in modo modulare all’interno di esso. Durante lo sviluppo del progetto sono state declinate quattro idee progettuali specifiche che costituiscono elementi integrabili all’interno del modello descritto: Come to Quarenghi, [Hi]story Telling, One [Univer]City e T-Swap. Come to Quarenghi è un proget- Come to Quarenghi to volto alla riqualificazione di via Quarenghi, una delle arterie più centrali della città, che ha una forte presenza di immigrati e sulla quale grava un forte stigma. Questo pregiudizio limita drammaticamente il rapporto fra via Quarenghi e il resto del tessuto urbano. Grazie alla posizione centralissima e alla varietà dei servizi offerti, la via ha il potenziale per diventare un centro culturale e un simbolo di cambiamento. Questo progetto ha l’intento di cambiare la percezione della cittadinanza bergamasca su via Quarenghi e la sua comunità, eliminando paure e pregiudizi per renderla ciò che può e deve diventare un’area dinamica e sfaccettata nel cuore della città. Come to Quarenghi è una Call for Proposals e una chiamata all’azione volta a: – riqualificare via Quarenghi e la sua comunità; – riallacciare un rapporto sano fra la via e il resto della città; – creare nuove e migliori opportunità per i commercianti della via; – diffondere una campagna contro lo stigma di cui la via è vittima; – offrire agli immigrati maggiori possibilità di integrazione. La call for proposals è rivolta a tutta la cittadinanza per stimolare la raccolta e selezione di proposte artistiche, culturali, sociali o commerciali da implementare lungo la via insieme alla comunità locale e con l’aiuto di 273

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– infrastrutture: fisiche, come le strade e i sistemi di trasporto, o digitali, come reti e piattaforme; – spazi: aree urbane e singoli edifici.


il video Come to Quarenghi

Che cos’è un museo? È un luogo [Hi]story Telling dove vengono conservati ed esposti oggetti di interesse artistico, culturale, storico o scientifico: una serie di spazi che consentono alle persone di esplorare le collezioni apprendendo e ispirandosi. Ma è necessario trovarsi in una scatola chiusa per vivere l’esperienza del museo? O è possibile per il museo andare oltre i propri muri, integrandosi nel contesto più ampio che gli sta intorno? Perché non è possibile per la Città diventare il Museo? Le pareti e gli spazi all’interno dei quali collezioniamo ed educhiamo le persone possono essere aperti e ridefiniti, per formare un «Museo senza confini». Forse la città stessa — con le sue vie, i suoi parchi, le sue piazze, i suoi quartieri... — può diventare il museo vero e proprio. Si possono sperimentare gli aspetti storici, architettonici, culturali e fenomenologici della città, dove l’architettura rappresenta l’artefatto, l’esperienza rappreil video senta le installazioni, cornici e momenti rappresentano i [Hi]story Telling dipinti, la cultura rappresenta la performance, attraverso esperienze interattive e tecnologiaQR. Bergamo si compone di due parti essenzialmente diverse ma collegate, non solo dalla storia ma anche da una fitta rete di strade, vicoli e scalinate. Eppure, nonostante un ricco e variegato patrimonio culturale, si registra una diminuzione del numero di persone — sia tra i residenti, sia tra i turisti — che visitano i siti culturali della città. Il patrimonio di Bergamo ha un grande potenziale non sfruttato. I musei, inoltre, non si sono ancora adeguati alle potenzialità delle nuove tecnologie e tendenze.

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Gli obiettivi sono quindi: – rappresentare la città come Museo; – rigenerare e riattivare l’attuale esperienza dei visitatori dei musei; – creare una comunità associata con una rete di tutti i musei; – aumentare le attività sociali e le interazioni nei musei; – rendere i musei accessibili alle persone di tutte le età; – educare il popolo attraverso l’esplorazione e la scoperta della città; – utilizzare la tecnologia e la gamification per aumentare l’interazione e la curiosità; – creare consapevolezza attraverso informazioni curate. Con l’emergere delle innova- One [Univer]City zioni tecnologiche e con l’incremento dell’istruzione in formati open source, le università si trovano ad affrontare la sfida della democratizzazione della conoscenza: stanno perdendo rilevanza sociale perché non rappresentano più il solo fornitore di sapere. Tuttavia, con la produzione, la diffusione e l’assimilazione di conoscenza in ambienti diversi e tramite varie modalità di funzionamento la città può creare sistemi distributivi alternativi di informazione e innovazione. L’Università può agire come mediatore centrale della conoscenza, favorendone la promozione insieme alla diffusione di collaborazioni significative. Facendo leva sulla sua forte dimensione comunicativa, l’Università può avviare i motori della conoscenza collettiva, delle competenze differenziate e del rapido apprendimento, per promuovere una città della ricerca e dell’innovazioneQR . L’Università di Bergamo è una grande struttura universitaria incorporata nella città, sia socialmente sia fisicamente. Indirizzando le questioni appena citate alla situazione attuale di segregazione degli edifici dell’Università e all’assenza di una forte identità con l’immagine della città, One [Univer]City è una proposta per la città di Bergamo. Il progetto prevede la realizzazione di una piattaforma e di infrastrutture che permettano all’Università di

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il video One [Univer]City

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partner nazionali e internazionaliQR. Alcune proposte da sviluppare e da trasformare in un evento a cadenza annuale in via Quarenghi sono ad esempio: – esposizioni artistiche e fotografiche; – rappresentazioni teatrali; – concerti con musicisti locali; – serate di cinema all’aperto.


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servizio sms che consentono alle persone di cercare ciò che vogliono e le collegano ai singoli potenziali fruitori, selezionati in base a fattori come il rating, la vicinanza e la disponibilità di tempo. Inoltre, il sistema fornisce informazioni in tempo reale sugli eventi, le opportunità, i servizi e l’eventuale possibilità di scambi di apprendimento. Un utente può accedere all’applicazione o al sito web o semplicemente inviare un sms, per ottenere dati di geomappatura in tempo reale delle attività della città. Una funzione aggiuntiva permette ai professionisti del settore di ottenere servizi produttivi per ottimizzare il loro tempo, fornendo una mappatura degli spazi liberi disponibili. Le ore guadagnate offrendo servizi possono essere inoltre spese in futuro. T-swap vuole colmare alcune lacune urbane e contribuire alla visione di Bergamo come una comunità coesa culturalmente ricca e connessa, mettendo in il video T-swap evidenza un’idea di città come connected communityQR.

Come possiamo comprare le T-swap cose di cui abbiamo bisogno? Solitamente usiamo denaro o carte di credito come metodo di pagamento. Ma questo non è l’unico mezzo utilizzato nel passato: per molti anni le persone hanno utilizzato il sistema del baratto. Questo sistema non ha perso la sua importanza oggi: possiamo utilizzare il concetto di baratto del tempo, in cui il tempo di ogni persona è considerato importante e scambiabile. Come può questo sistema tradizionale essere utilizzato a favore di Bergamo, una città con una popolazione molto varia e composta da molti gruppi diversi, con un aumento costante di anziani, immigrati, disoccupati e studenti? Questi gruppi funzionano solo come microcosmi.

La definizione delle idee progettuali sopra descritte e il loro trasferimento verso il territorio passano attraverso la creazione di prototipi e artefatti utili per sperimentare sul campo le proposte sviluppate. I prototipi permetteranno di affinare le specifiche dei prodotti e servizi sviluppati mediante un processo iterativo con il territorio.

Qui può intervenire T-swap: un sistema che fornisce a Bergamo una piattaforma per lo scambio di tempo, abilità ed esperienza. Essa consente di insegnare e imparare, dare e ottenere aiuto, fornire e ottenere servizi indipendentemente dalla condizione economica, dall’età e dall’etnia. L’idea di base è che ogni individuo è un bene. Il progetto permette a ciascuno di contribuire alla sua società, condividendo i propri beni unici: tempo, capacità, competenze, prodotti di scarto o spazi. Il sistema integra un’applicazione mobile, un sito web e un

L’attività prende forma anche grazie alla creazione del BG 2.035 Exhibition Lab, uno spazio espositivo e laboratorio di idee che mette in mostra gli esiti della ricerca del progetto Bergamo 2.035. Lo spazio espositivo ha il duplice scopo di rendere evidenti i progetti di ricerca sviluppati attraverso strumenti di rappresentazione complementari (poster, video e proiezioni) e di promuovere una serie di eventi incentrati attorno ai temi di ricerca

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07 Lo sviluppo del progetto di innovazione complessivo

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sviluppo del progetto

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Bergamo di essere centro culturale e snodo di diffusione di conoscenza; inoltre, vuole trasformare la città in una rete interconnessa, rendendola un ecosistema per l’innovazione e la capitalizzazione di reti urbane. Il fine ultimo è collegare tra loro cittadini, studenti e turisti. Gli obiettivi sono: – Collegare l’università alla città attraverso una rete di hotspot (UNIBG Wi-Fi). – Creare una rete di poli culturali, oltre a una rete di caffetterie, ristoranti e edifici istituzionali come luoghi di produzione, consumo o intermediazione di conoscenza. – Ripensare l’immagine e il branding dell’Università di Bergamo. Lo scopo unitario finale è creare un modello di riferimento che promuova la cultura della conoscenza, la creatività e l’innovazione nei contesti sociali, politici e commerciali della città.


affrontati dal programma Bergamo 2.035QR. L’obiettivo principale dell’iniziativa è condividere il lavoro sviluppato da Bergamo 2.035 con tutti i cittadini e visitatori della città, consentendo loro di interagire con i ricercatori del team, promuovere dibattiti ed eventualmente essere coinvolti nello sviluppo futuro dei progetti proposti.

L’ultima fase del progetto prevede lo sviluppo delle soluzioni progettuali all’interno di prototipi funzionanti o urban demo. Prototipi funzionanti: un prototipo funzionante implementa le funzionalità di un prodotto o servizio per consentirne la sperimentazione e la validazione. Consente la simulazione di quanto sviluppato e la revisione dell’interazione con gli utenti e con l’ambiente in cui è inserito. Urban demo: una urban demo è una versione in scala di un sistema prototipale funzionante. Può consistere in diversi prototipi integrati in un unico sistema operante su una scala urbana limitata per un tempo definito. Può essere installato in un contesto urbano predefinito, per essere utilizzato da cittadini e stakeholder affinché interagiscano con il sistema in tempo reale. Una urban demo può anche essere il punto di partenza di un processo di trasferimento tecnologico e di un’analisi di mercato più approfondita.

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08 Validazione e trasferimento delle soluzioni

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01 Dalla visione al governo dei processi _p. 283

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I meccanismi di un’innovazione condivisa

Governance e partecipazione attiva 282

Il percorso di ricerca intrapreso dal programma Bergamo 2.035 mette in luce come non sia sufficiente condividere una visione e una progettualità ragionata e articolata su diverse aree tematiche. I progetti possono produrre risultati rilevanti solo se, oltre a solide competenze tecniche, a un rigore metodologico e alla produzione di artefatti, vi è alla base una chiara definizione dei meccanismi di governance dei processi realizzativi sottostanti. In quest’ultimo capitolo vogliamo soffermarci proprio sui meccanismi che permettono di dare seguito al senso di propositività diffusa e condivisa emerso nel corso della ricerca. Il rischio è quello di avere identificato una serie di esigenze, animato un’intensa discussione con il territorio, elaborato una pluralità di proposte, ma di non essere in grado di darvi il giusto seguito in assenza di un’adeguata definizione e condivisione del modus operandi. Una suggestione che possiamo desumere da questo ciclo di ricerche è che al centro di tutto va rimesso il territorio. Va rimesso al centro dell’analisi, ma soprattutto dell’azione di policy. Sin dalla sua visione, lo studio ha posto l’accento sulla capacità di una comunità di essere motore attivo del cambiamento economico, sociale e culturale del proprio territorio. Essere in grado di rispettare e valorizzare il proprio passato, di comprendere e adattarsi ai fenomeni evolutivi di trasformazione dei modelli sociali, di rigenerarsi continuamente facendo leva sulla propria capacità innovativa. Per essere innovatori, tuttavia, non basta essere lungimiranti visionari o progettisti competenti. Occorre anche dotarsi degli opportuni metodi e strumenti per gestire efficacemente i processi di innovazione. Non è nostra intenzione in queste righe operare una trattazione sistematica dei concetti, modelli e strumenti che sottendono alla gestione dei processi di innovazione. Tuttavia, occorre sottolineare che gran parte degli studi e delle esperienze condotte nel campo dell’innovazione ha sinora riguardato lo sviluppo e la commercializzazione di asset o beni di consumo. Innovazioni spesso a matrice tecnologica che vengono incorporate in prodotti, 283

Governance e partecipazione attiva

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01 Dalla visione al governo dei processi


Se facciamo invece riferimento Innovazione sociale a un sistema urbano, occorre qualificare e specificare meglio il concetto di innovazione; considerando che il soggetto e fruitore principale in questo caso è una comunità di persone, imprese e istituzioni che pur operando all’interno di uno stesso contesto spaziale coltivano interessi, manifestano bisogni, mostrano aspettative, propongono soluzioni spesso tra loro differenti e distoniche. L’innovazione dev’essere applicata a una società di persone per far sì che il risultato di un processo innovativo non vada solo a beneficio di alcuni gruppi di consumatori o utenti. Non è un caso che ultimamente si sia posto l’accento, spesso anche in modo improprio, sui progetti di innovazione sociale, intesi come innovazioni rivolte esplicitamente al bene pubblico e sociale. Al di là delle molteplici definizioni e accezioni formulate, emergono in modo evidente alcuni tratti caratteristici sottostanti alla natura sociale di un progetto di innovazione: l’ideazione, concezione e sviluppo di soluzioni innovative per rispondere a bisogni ed emergenze sociali ancora non risolte, l’imprescindibilità di una collaborazione tra parti che sono espressione del pubblico, del privato e del mondo non-profit, la necessità di contemperare la pluralità degli obiettivi degli attori coinvolti. In un progetto di innovazione sociale, si tratta di partire non dai bisogni espliciti o latenti dei singoli individui (quelli che nel gergo chiamiamo consumatori), ma dai bisogni di una intera comunità. Data la natura sociale del valore creato, è evidente l’importanza di una ridefinizione della catena del valore innescata da un processo di innovazione sociale — quella che Porter e Kramer [1] hanno ben definito con il termine «shared value chain» — dove non sono più solo l’amministrazione pubblica, il terzo settore o l’attività filantropica di attori del mondo economico ad avere la prerogativa di ergersi a motore preferenziale di innovazione ma, pur nel rispetto delle singole missioni e ruoli, vanno previsti un adeguato coinvolgimento e una complementarietà dei singoli attori. Come sottolinea un recente libro bianco del NESTA (National Endowment for Science, Technology and the Arts) [2] commissionato dal 284

governo britannico, l’innovazione sociale presenta caratteristiche distintive sia nei suoi risultati sia nelle sue relazioni, nelle nuove forme di cooperazione e collaborazione che essa produce. I processi, i modelli, le metriche, i metodi usati per l’innovazione in campo commerciale o tecnologico non sono sempre direttamente applicabili all’innovazione sociale. Seppur parzialmente, lo stesso rapporto cerca di fornire risposte proponendo un modello decisionale strutturato secondo una logica a spirale e costituito da sei fasi che portano l’idea dal nascere al suo effettivo svilupparsi. Non sempre un processo di innovazione sociale segue infatti una logica e una tempistica prettamente sequenziali: in alcuni casi è possibile avere dei veri e propri balzi o dei loop di riciclo alle fasi precedenti. Parlare di progetti di innovazione sociale, tuttavia, non è di per sé sufficiente per contribuire al miglioramento della qualità della vita di una comunità e degli individui che vi appartengono, se questi non sono parte di un progetto più organico e condiviso. Il rischio è generare una molteplicità di azioni sul territorio che, seppur singolarmente indirizzate a una specifica categoria di cittadini, risultano slegate o sovrapposte o, in alcuni casi, persino incoerenti tra loro, come hanno dimostrato alcune esperienze riportate nei tavoli di lavoro di Bergamo 2.035. È evidente come si renda necessaria un’adeguata governance dei processi considerati, vale a dire identificare e mettere in atto sistemi e strutture manageriali capaci di operare una gestione dell’innovazione necessaria a conseguire i risultati attesi. In progetti di cambiamento come quelli auspicati, i meccanismi di governance sono molto più complessi e meno standardizzabili perché richiedono un’interazione a diversi livelli di intensità e pluralità di connessioni tra una costellazione ampia di forze sociali, culturali, politiche ed economiche che operano con differenti pattern organizzativi e, soprattutto, con diverse finalità e orientamento alla produzione di valore.

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Governance e partecipazione attiva

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o anche processi, per accrescerne le funzionalità o migliorarne la fruizione ed esecuzione. Innovazioni in cui il beneficiario è ben definito e univoco, che si tratti di un consumatore, di un’impresa o di un’istituzione.


Innovazione condivisa Il modello proposto dal rapporto iCITY della Commissione Europea, per un processo che coinvolge pi첫 attori

Place

Inspiring

iCITY

Innovation System

People

Inclusing

Public

Interactive

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Private

Innovative


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Non si tratta di immaginare nuove istituzioni, procedure complesse e rigide; in breve, vincoli aggiuntivi rispetto a quelli esistenti. Al contrario, l’obiettivo dovrebbe essere mobilitare i diversi attori del cambiamento per renderne più fluida l’azione e massimizzare le sinergie possibili. Ragionando per similitudini, come nel caso delle tecnologie l’innovazione si muove nel senso di accrescere l’importanza di quelle leggere e di carattere custom-oriented, così sul piano della governance l’informalità, l’individuazione di percorsi ad hoc per raggiungere un obiettivo, la leggerezza procedurale dovrebbero costituire i principi empirici di riferimento cui attenersi, puntando a realizzare il massimo livello possibile di partecipazione e condivisione delle scelte compatibilmente con l’efficacia e la tempestività dei processi decisionali. Se, da un lato, i decisori istituzionali necessitano di nuovi modelli per migliorare il trasferimento verticale e orizzontale di conoscenza all’interno di una comunità, dall’altro lato una governance partecipativa mira a proporre un nuovo modello di partecipazione basato su un processo di «co-apprendimento», attraverso un trasferimento per osmosi di conoscenza e competenze che valorizzi le capacità progettuali di tutti gli attori coinvolti. Le tecnologie possono diventare un elemento di sostegno e catalisi molto importante di coinvolgimento ed empowerment del capitale sociale, che non è certo sostitutivo di una partecipazione fisica dei cittadini: le re288

lazioni interpersonali, la fiducia reciproca, l’empatia rimangono il collante principale di una comunità e rappresentano il substrato fondamentale che è alla base di qualsiasi progetto di innovazione sociale. Tuttavia, schemi di questo tipo rischiano di apparire superficiali e generici se non specificano e declinano i meccanismi relazionali che permettono ai singoli attori di apportare il proprio contributo nel rispetto delle competenze e dei rispettivi ruoli decisionali. La proposizione di questi schemi è — occorre ammettere, almeno in Italia — ancora in uno stadio molto embrionale. Un esempio, anche vicino geograficamente e culturalmente alla realtà del territorio bergamasco, è quello di Torino: città che da tempo ha profuso diversi sforzi e mostrato una progettualità vivace, promuovendo progetti di innovazione sociale anche ad alto contenuto tecnologico. Nell’ambito delle iniziative recentemente promosse nel capoluogo piemontese, si segnala Torino Social Innovation (in breve TSI), che letteralmente si presenta come «un set di strategie e strumenti per sostenere la nascita di imprese di giovani, capaci di rispondere a bisogni sociali emergenti in campi diversi e trasformare idee innovative in servizi, prodotti, soluzioni che sappiano creare al tempo stesso valore economico e valore sociale per il territorio e la comunità» [4]. TSI si basa su un network di partner pubblici e privati che rappresentano l’ecosistema dell’innovazione sociale a Torino, riunendo competenze ed esperienze con lo scopo di diffondere la cultura dell’innovazione sociale e promuovere un nuovo modo di innovare sul territorio. La governance dell’ecosistema di TSI prevede un modello con la presenza di numerosi attori rappresentativi delle diverse realtà del territorio, secondo ruoli ben definiti e tra loro complementari. Bergamo non ha bisogno solo Quali azioni future per di progetti di innovazione sociale, che Bergamo 2.035? peraltro già esistono sul territorio attraverso diverse esperienze e progetti attivi. Ha bisogno di innovazioni condivise basate su una governance partecipativa che sia espressione di un modo comune di vedere il futuro della città. Una innovazione è condivisa solo se: – genera un beneficio diffuso sulla comunità, che può riguardare aspetti economici, ambientali o sociali; 289

Governance e partecipazione attiva

Molte innovazioni sono gover- Governance partecipativa nate da singole istituzioni che al proprio interno realizzano tutto quanto è necessario per disegnare e produrre un nuovo prodotto o servizio. Sempre più frequentemente, però, le innovazioni avvengono attraverso un percorso permeabile, secondo modalità cosiddette di open innovation, in cui il processo innovativo entra ed esce dai singoli confini aziendali coinvolgendo più attori e istituzioni. In questa accezione, come dichiara anche un recente report della Commissione Europea [3], si aprono spazi interessanti per una nuova visione della città come luogo di innovazione sistemica aperta nella quale applicare schemi di governance del tipo Public-Private-People-Partnership che consentono allo stesso tempo di soddisfare la domanda di allargamento della partecipazione dei cittadini, di finalizzare e canalizzare i programmi della Pubblica Amministrazione, di contemperare le esigenze di profitto delle imprese con quelle della sostenibilità ambientale e sociale.


Grazie al numero e alla qualità dei potenziali attori coinvolti, nonché alla concretezza dei progetti elaborati, Bergamo 2.035 ha evidenziato come sia possibile liberarsi dagli apparenti stereotipi sul settore pubblico come luogo dell’inefficienza e della burocrazia, e sul privato, per converso, come limitato al mero obiettivo del profitto individuale. Inoltre, la presenza di un’Università diffusa sul territorio può costituire un valore aggiunto significativo in ragione del suo riconosciuto carattere di terzietà e indipendenza nonché per il ruolo di promotore e disseminatore delle attività di ricerca svolto anche in partnership con la sfera privata e in particolare con il Terzo Settore. La proposta che qui formuliamo è quella del Bergamo 2.035 Lab: un laboratorio permanente che costituisca il terreno comune nel quale tutti gli attori del territorio si possono ritrovare per realizzare progetti di innovazione condivisa. Bergamo 2.035 Lab si prefigge il compito di rendere il territorio uno spazio attivo e propositivo in cui i confini tra istituzioni e cittadini diventino più labili. Nel breve periodo, Bergamo 2.035 Lab si pone alcuni obiettivi strumentali al ruolo che vuole assumere: – coinvolgere il massimo numero possibile di stakeholder (imprese e loro rappresentanze, consorzi, cooperative, reti del volontariato e dell’associazionismo, gruppi di acquisto ecc.); – mantenere aperti tavoli di ascolto e condivisione dei diversi punti di vista su ciascuna area tematica; – assicurare la definizione di assi programmatici di medio termine (p. es. in tema di mobilità e di riduzione del traffico automobilistico), suscettibili di aggiustamenti in itinere ma non di stravolgimenti una volta che sia stata assunta una direzione di marcia; – in ultima analisi, instaurare un clima di collaborazione (nel senso etimologico di lavorare insieme) che permetta di superare 290

contrapposizioni radicate (p. es. città versus territorio esteso, industria versus servizi, produzione versus consumo). In particolare, con riferimento Un laboratorio permanente all’ultimo punto e sulla base di quanto e la catena del valore argomentato in quest’ultima sezione del volume, è necessario pensare alla configurazione di quella che possiamo con un po’ di enfasi definire la catena del valore di Bergamo 2.035, all’interno della quale conferire un ruolo ben definito a chi intenda apportare un contributo fattivo all’ideazione, progettazione, sviluppo e gestione di progetti a base sociale.

IN BERGAMO 2.035 LAB DOVRANNO CONFLUIRE CINQUE CATEGORIE PRINCIPALI DI ATTORI: – I pianificatori delle politiche e dei programmi di sviluppo del territorio: il loro ruolo è favorire la visione a 360° delle esigenze del territorio e promuovere un’agenda programmatica di breve e medio periodo che identifichi le priorità principali. – I creatori di innovazione: rappresentati dai motori di innovazione come i centri di ricerca e l’Università, in grado di sviluppare innovazione in coerenza con le politiche e i programmi sviluppati dai pianificatori, e dai fornitori e sviluppatori di nuove tecnologie, che sostengono il processo di prototipazione e realizzazione di soluzioni applicative. – Gli abilitatori di innovazione: rappresentati dagli istituti bancari e dagli organismi pubblici o privati a livello locale, nazionale o europeo — per esempio le Fondazioni, i cluster regionali o nazionali, il programma-quadro europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020 — il cui ruolo è identificare e agevolare possibili fonti di finanziamento creando le condizioni per una sostenibilità anche economica delle iniziative di innovazione condivisa. – Gli attori del cambiamento: costituiti sia da chi materialmente è chiamato a eseguire il cambiamento, per esempio imprese e integratori di sistema, sia dagli agenti che favoriscono il cambiamento come le associazioni non-profit, i parchi tecnologici, gli enti di formazione. L’operato di questi attori è fondamentale per garantire l’applicabilità e fruibilità reale delle soluzioni concepite per una comunità. – I soggetti del cambiamento: rappresentati dagli attori che più sono influenzati dal cambiamento stesso e a favore dei quali l’innovazione è stata sviluppata: cittadini e city users. Il loro ruolo, oltre che di utenti finali, è quello di raccogliere istanze ed esigenze, dialogando con gli altri attori per indirizzare le azioni.

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Governance e partecipazione attiva

Bergamo 2.035 cap. 11

– si basa su un processo continuo di condivisione delle decisioni e delle azioni, senza avere un decisore unico e definitivo ma facendo leva su un processo decisionale diffuso; – ricerca costantemente la partecipazione attiva dei beneficiari dell’innovazione stessa.


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Bergamo 2.035 cap. 11

Governance e partecipazione attiva

Nel corso di questi primi due anni di attività, Bergamo 2.035 ha dato prova della possibilità di creare un percorso di innovazione condiviso coinvolgendo nei diversi tavoli di lavoro sinora attivati una pluralità di attori che sono espressione delle diverse categorie qui identificate. Progetti come la Mappa della Conoscenza mostrano come sia necessario in primo luogo stabilire una rete di relazioni tra gli attori del territorio che funga da tessuto connettivo, fondamentale per identificare quanto già si è fatto, chi sono le forze propulsive che possono animare il cambiamento, il loro ruolo nella catena del valore, e successivamente procedere, nel rispetto dei diversi ruoli, alla promozione di iniziative che abbiano un reale impatto sulla società. La presenza di un laboratorio di innovazione sociale, come si prefigge di essere Bergamo 2.035 Lab, permetterebbe l’aggregazione delle diverse competenze presenti sul territorio, evitando parallelismi o discontinuità tra le diverse iniziative, operando anche come garante — in virtù di un processo di innovazione condiviso — del reale valore e del contributo concreto delle iniziative promosse nel territorio.

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CAPITOLO 1– BERGAMO 2.035: VISIONE E PERCORSO

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305


Autori


CAPITOLO 1 BERGAMO 2.035: VISIONE E PERCORSO Il capitolo è frutto dell’elaborazione congiunta da parte dei ricercatori del programma di ricerca. CAPITOLO 2 LE TENDENZE EVOLUTIVE DEI SISTEMI URBANI Il capitolo è frutto dell’elaborazione congiunta da parte dei ricercatori del programma di ricerca.

CAPITOLO 4 BERGAMO SALUTE Il capitolo è stato pensato e scritto congiuntamente da Katia Passera e Paolo Malighetti. CAPITOLO 5 BERGAMO MOBILE Il contributo è frutto di una ricerca svolta congiuntamente. Ai fini dell'attribuzione, Fulvio Adobati ha redatto la sezione 2; Margherita Cisani la sezione 3; Federica Burini la sezione 4; Alessandra Ghisalberti la sezione 5. Le sezioni 1, 6 e 7 sono frutto di un lavoro di redazione congiunto. CAPITOLO 6 BERGAMO LOGISTICA Il capitolo è stato pensato e scritto congiuntamente da Roberto Pinto, Ruggero Golini e Alexandra Lagorio. CAPITOLO 7 BERGAMO CONSUM-ATTORE Seppur frutto di un lavoro di elaborazione comune, le sezioni 2 e 3 del capitolo vanno attribuite a Simon Maurano, mentre le sezioni 4 e 5 vanno attribuite a Francesca Forno. La sezione 308

CAPITOLO 8 BERGAMO RESPONSABILE Il capitolo è stato pensato e scritto congiuntamente da Barbara Del Bosco, Cristina Bettinelli, Silvana Signori e Silvia Zanotti. CAPITOLO 9 BERGAMO TECNOLOGICA Il capitolo è stato pensato e scritto congiuntamente da Matteo Kalchschmidt, Roberto Pinto, Sergio Cavalieri e Antonio Bonacina. CAPITOLO 10 DALLA CONCEZIONE ALLA PROGETTAZIONE Il capitolo è stato scritto congiuntamente da Sergio Cavalieri, Matteo Kalchschmidt e Stefano Andreani. I progetti sono stati realizzati all'interno del programma Smart[er] Citizens in collaborazione con Harvard University Graduate School of Design. Responsabili e organizzatori del programma per l'Università degli Studi di Bergamo sono Matteo Kalchschmidt, Cristina Grasseni, Paolo Malighetti, Federico De Musso, Katia Passera. Per GSD Harvard, il programma è stato svolto all'interno del corso Smart[er] Cities (Spring 2014, docenti: Nashid Nabian, Stefano Andreani, Allen Sayegh). Per quanto riguarda l’elaborazione dei singoli progetti riportati all’interno del capitolo: Age is not a # L’idea progettuale è stata elaborata da Christine Min (GSD), Cristina Bassi (UNIBG), Moreno Gambirasi (UNIBG) e Elena Vari (UNIBG). GROWin Bergamo L’idea progettuale è stata elaborata da Ryan Bouma (GSD), Zhehuam Xu (GSD), Roberta Allevi (UNIBG) e Elisa Saccenti (UNIBG).

UBfit L’idea progettuale è stata elaborata da Zachery Lemel (GSD), Georgia Williams (GSD) e Susanna Rossi (UNIBG). Come to Quarenghi L’idea progettuale è stata elaborata da My Tam H. Nguyen (GSD), Davide Garlini (UNIBG) e Paola Riccardi (UNIBG).

COMITATO DI DIREZIONE Stefano Paleari Carlo Pesenti Sergio Cavalieri Laura Viganò

One [Univer]city L’idea progettuale è stata elaborata da Yatian Li (GSD), Frederick Kim (GSD), Egle Carobbio (UNIBG), Stefano Terranova (UNIBG) e Maria Luisa Cannas Da Silva (ISTUTL).

COMITATO SCIENTIFICO Gianluca Bocchi Rossana Bonadei Paola Briata Emanuela Casti Sergio Cavalieri Andrea Cerroni Annalisa Cristini Claudio Fortuna Giulio Maternini Stefano Paraboschi Maria Rosa Ronzoni Anna Maria Testaverde Laura Viganò

T-Swap L’idea progettuale è stata elaborata da Nida Mian (GSD), Malika Singh (GSD), Chang Xiang (GSD) e Angela Garbelli (UNIBG).

COMITATO DI GESTIONE Lorenzo Colombo Stefania Danzi Matteo Kalchschmidt Dario Massi

CAPITOLO 11 GOVERNANCE E PARTECIPAZIONE ATTIVA COME MECCANISMI DI INNOVAZIONE CONDIVISA Il capitolo è stato scritto da Sergio Cavalieri e Matteo Kalchschmidt con il contributo scientifico del dott. Claudio Fortuna del Centro Studi di Italcementi e dei ricercatori del programma di ricerca.

GRUPPO DI RICERCA Maria Felicia Della Valle Giuseppe Franchini Fabio Previdi

[Hi]story telling L’idea progettuale è stata elaborata da Saurabh Mhatre (GSD), Milva Sadek (UNIBG) e Matteo Zanini (UNIBG).

Bergamo Consum-attore Francesca Forno Simon Maurano Bergamo Creativa Stefano Andreani Federico De Musso Cristina Grasseni Michele Meoli Mario Salomone Bergamo Logistica Ruggero Golini Alexandra Lagorio Roberto Pinto

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Autori

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CAPITOLO 3 BERGAMO CREATIVA Il capitolo è stato pensato e scritto congiuntamente da Mario Salomone, Michele Meoli e Federico De Musso. La Knowledge Map è stata concepita e ideata da Katia Passera e Stefano Andreani. L’ideazione e la realizzazione della visualizzazione grafica sono state realizzate da Orobix srl.

1 è stata redatta congiuntamente dai due autori.


Bergamo Mobile Fulvio Adobati Federica Burini Margherita Cisani Alessandra Ghisalberti Bergamo Responsabile Cristina Bettinelli Barbara Del Bosco Silvana Signori Silvia Zanotti Bergamo Salute Stefano Andreani Paolo Malighetti Katia Passera

STAKEHOLDER COINVOLTI NEL PROGETTO ABB spa Acli Terra Adiconsum Aesys spa Agrimagna AICAI (Associazione Italiana dei Corrieri Aerei Internazionali) A.Ri.Bi (Associazione per il Rilancio della Bicicletta) ASCO (Ass.ne Spedizionieri, Corrieri e Autotrasportatori Orobici) ASCOM BERGAMO (Associazione Commercianti Bergamo) ASL Bergamo ASPAN (Associazione Panificatori Artigiani della Provincia di Bergamo) Associazione Amici del Giardino Comunitario Associazione Opera Pia Bonomelli onlus Associazione Pediatri Bergamo Associazione Quarenghi ATB (Azienda Trasporti Bergamo) 310

Fondazione Filarete Fondazione MIA FrescoElle srl GAMeC (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo) Gli Armadilli — Laboratorio di Ecologia Pratica GLS (General Logistics Systems Italy spa) Gruppo Amici dell’Isolotto Gruppo Habitans Humanitas Gavazzeni IBM Corp. Il Quarto Paesaggio Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Instituto Superior Técnico de Lisboa Italcementi spa Italia Nostra (Bergamo) Lab80 film Lamberti spa La Ponte Sampietrina di Rovelli L. & C. snc Mais spinato di Gandino Mercato & Cittadinanza Naturalbio snc Officina del Tempo (Coordinamento delle Banche del Tempo di Bergamo e provincia) OMCeO (Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) di Bergamo Oro-Bici Logistica srl OrobieBio (Coordinamento Agricoltori Biologici Bergamaschi) Orobix srl Orto Botanico di Bergamo Lorenzo Rota Ospedale Papa Giovanni XXIII Bergamo Parco Regionale dei Colli di Bergamo Pedalopolis Provincia di Bergamo Qui Pro Quarenghi Radici Group Regalo e Presto Ressolar srl Rete GAS (Gruppi di Acquisto Solidale) di Bergamo Rete Provinciale dei Gruppi di

Cammino di Bergamo RISEE (Rete Impresa Specialisti Efficienza Energetica) SACBO spa (Società per l'Aeroporto Civile di Bergamo-Orio al Serio) SerCar spa Ristorazione collettiva SIAD spa Sindacato Pensionati Italiani — CGIL Slow Food (Lombardia, Bergamo e Valli Orobiche) Società Italiana Pediatria STMicroelectronics srl TAG (Talent Garden) Technogym spa The Blank IT Ufficio Scolastico Provinciale Università degli Studi di Milano Bicocca UPS Italia (United Parcel Service Italia) Vimar spa

Autori

Bergamo 2.035

Bergamo Tecnologica Antonio Bonacina Sergio Cavalieri Matteo Kalchschmidt Roberto Pinto

AUSER Bergamo Banca Popolare Etica Bergamo Servizi Pubblici srl Bergamo Sviluppo (Azienda Speciale della Camera di Commercio) Bergamo Scienza Bg Report Brembo spa Camera di Commercio di Bergamo CARITAS CEA (Centro di Etica Ambientale) CEEA (Centro di Etica e di Educazione Ambientale) Centro Studi Don Orione Circolo della Decrescita Felice di Bergamo Circolo Legambiente Bergamo Cittadinanza Sostenibile Civiltà Contadina Coldiretti Bergamo Comitato Civico Altra Ponte Comitato PAE (Parco Agricolo Ecologico della cintura verde di Bergamo) Comitato Pendolari Bergamaschi Consorzio COMPERE (Consorzio Materie Prime Energie Rinnovabili) Comune di Bergamo Confagricoltura Bergamo Confcooperative Bergamo Confindustria Bergamo Contemporary Locus Cooperativa Il Seme Coordinamento Comitati e Associazioni dei quartieri di Bergamo Covenant of Mayors (Patto dei Sindaci) CRIEN snc CRA-MAC (Unità di ricerca per la maiscoltura Bergamo) CRS Impianti srl Ditta Gamba srl E-vai Sems Gruppo FNM Fablab Bergamo FAI (Federazione Autotrasportatori Italiani) FCS Group srl Federconsumatori Fondazione Bergamo nella Storia

311


窶電esigned by Printed in Italy Velaweb srl Binasco (MI)


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