UNESCO, la sfida di Ivrea “Città industriale del XX Secolo”
In compagnia di Patrizia Bonifazio, Fondazione Adriano Olivetti, alla scoperta del modello di comunità tra architetture e narrazione
La sfida di Ivrea
Ivrea e la candidatura UNESCO
La memoria olivettiana e il rilancio di un territorio “La città di Ivrea rappresenta la realizzazione di
un modello di città industriale, promosso dalla Olivetti, basato su un sistema sociale e produttivo ispirato dalla comunità e alternativo a quello proposto dallo sviluppo industriale del XX secolo”. Questo è il perno su cui ruota la candidatura di Ivrea a sito UNESCO, un’opportunità non solo per il territorio canavesano ma per l’Italia intera che non ha ancora iscritto, nella lista del patrimonio, siti rappresentanti storie industriali novecentesche. Patrizia Bonifazi ha in mente la chiave su cui si deve puntare per mostrare l’eccellenza eporediese in questo campo: “Nel secondo dopoguerra, quando si sviluppa il modello comunitario, Ivrea e la Olivetti propongono un nuovo modello di Capitalismo industriale. Lavorare sulle caratteristiche, sociali e innovative, di questo modello dev’essere il centro della nostra candidatura. In caso contrario saremmo simili a tanti altri centri industriali presenti in Europa che, come noi, possiedono un’architettura, una visione urbanistica e un sistema industriale moderni. Noi siamo originali nel momento in cui, condividendo questa radice industriale comune, siamo in grado di identificare e mettere in evidenza il progetto innovativo olivettiano basato sull’idea di comunità”. La candidatura, ufficializzata nel 2012, è il risultato di un lavoro di ricerca e valorizzazione avviato nel 2008 con il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della Società Olivetti. Entrare a far parte dell’Unesco è un’obiettivo importante per il futuro di Ivrea e del Canavese ma già porre una profonda riflessione sulla valorizzazione, sensibilizzazione e conoscenza del territorio potrebbe innescare dei processi di rinascita oggi necessari più che mai. Ma quali sono le condizioni poste dall’UNESCO? “Innanzitutto” risponde Patrizia “la valutazione della candidatura gira intorno a un tema che per noi sarà: Ivrea, città industriale del ventesimo secolo. In accompagnamento chiede un piano di gestione, ovvero la presentazione di un programma in cui si dichiara come si vuol gestire il sito e, su
questo bisogna chiarire un punto: non è detto che la vocazione dev’essere per forza di natura turistica, ogni sito decide autonomamente la propria. Quella di Ivrea, ad esempio, sarà un po’ incentrata sull’aspetto turistico e un po’ dedicata alla produttività e all’industria. Questo piano viene poi monitorato dall’UNESCO ogni sei anni e, per fare ciò, bisogna installare un ufficio di gestione dedicato. In generale, si stringe un patto per cui la città s’impegna a garantire nel corso degli anni il mantenimento di questi valori”. Attualmente Ivrea è stata inserita nella tentative list, l’elenco di tutti quei siti particolarmente degni d’attenzione che gli Stati ritengono papabili per il riconoscimento a patrimonoio dell’Umanità. Nonostante una frenata burocratica-politica la marcia della cittadina piemontese continua. Il passo successivo è la consegna del progetto: “La scadenza che ci siamo dati, e che speriamo di rispettare, è quella di dicembre 2014 dato che vorremmo gareggiare per l’anno successivo. Siamo consapevoli di dover accelerare ma rimaniamo fiduciosi”. Per fare ciò sarà necessaria una maggiore sensibilizzazione degli abitanti, ancora poco informati sulla possibilità di entrare a far parte di questa prestigioso ed elitario club: “Costruire una visione futuristica che parta con l’UNESCO non è comunque facile. Il piano di gestione che potrebbe venir fuori deve essere partecipato anche dai cittadini che, invece, ancora non sono stati chiamati a rappresentare questo ruolo. Manca ancora una vera comunicazione sulla candidatura. Alcune volte è troppo associata al nome di Adriano Olivetti e quindi con una natura troppo commemorativa; altre volte è troppo incentrata sull’architettura moderna diventando un’operazione che, agli occhi della gente, può riguardare un gruppo di persone troppo esclusivo. La percezione è che, tentativi come questo,vengano completamente regolati dall’alto, dalle leggi urbanistiche e dallo Stato. In realtà la gestione dello spazio dev’essere frutto di una collaborazione collettiva e speriamo, nei prossimi mesi, di riuscire a far passare questo messaggio”.
Patrimonio UNESCO
La sfida di Ivrea
Anche Ivrea ha la sua via Gluck Si chiama via Jervis e un tempo era costellata
da alcuni degli edifici più importanti della Olivetti, una delle punte di diamante dell’industria novecentesca italiana. Palazzi che, negli anni ’30-’40, ospitavano grandi banconi dove poggiavano le catene di produzione, uffici dove si amministrava un’azienda ricca e fiorente, spazi sociali in cui gli operai interagivano attraverso attività culturali, proposte o imposte dai vertici. Tutti elementi che andavano a comporre la visione futuristica iniziata da Camillo Olivetti e realizzata dal figlio Adriano. Insomma, l’erba verde di una città in cui prosperava la creatività progettuale, l’innovazione e un’anima corporativa illuminata. Ora, in un’atmosfera di grigia stagnazione, ci sono i call center delle maggiori aziende di telecomunicazione: Vodafone, Wind, Olidata, Telecom. Gli impiegati provengono in grande maggioranza, come allora, dal bacino che circonda il canavese ma l’umore e le condizioni sono mutate: contratti di lavoro svantaggiosi, precarietà, diritti minimi, prospettive inesistenti. La Vodafone ha addirittura rafforzato i criteri di sicurezza costruendo scale alte e chiuse, vetrate blindate e circondate da antiestetiche inferriate: “precauzioni contro i suicidi” ci spiega Patrizia “preoccupazioni che mai avrebbero sfiorato la quotidianità olivettiana”. A meta degli anni ’50, con l’aumento della produzione e una parziale delocalizzazione delle fabbriche, i palazzi si trasformano in veri e propri uffici amministrativi occupati da chi aveva il compito di gestire ogni aspetto dell’azienda. Anche lo stesso Adriano aveva scelto di collocare uno dei suoi tre uffici all’interno di queste strutture. Alcuni spazi, oggi tristemente vuoti e quasi abbandonati, accoglievano i laboratori in cui i ricercatori si dedicavano a temi specifici che avrebbero contribuito a eleggere la Olivetti come una delle realtà più avanguardiste del tempo. Via Jervis è una lunga strada, piena di declivi e inclinazioni, che non nasconde affatto la sua natura industriale frammentaria. Volgendo lo sguardo, sia a destra che a sinistra, si può ancora intuire l’operosità di un luogo d’eccellenza che, in ogni
parte univa design e funzionalità. Un patrimonio tenuto insieme fino al 1997 quando, durante la prima OPA (offerta pubblica d’acquisto) e la gestione Colaninno, gli edifici hanno iniziato a modificare la loro natura, pur mantenendo il nome storico dell’azienda. Anche la nascita dell’ Associazione Archivio Storico Olivetti, avvenuta nel 1998, si inseriva in un contesto di salvaguardia: tra i suoi obiettivi primari c’è, infatti, quello di evitare che l’insieme architettonico venga disperso nel passaggio eventuale a nuovi proprietari. La Telecom attualmente detiene alcune parti di questo patrimonio, come la mensa storica della Olivetti edificata dall’architetto Gardella. Altri palazzi e magazzini sono stati invece ceduti alla gestione di fondi immobiliari che, lavorando come una società finanziaria, hanno un relativo interesse affinchè vengano occupati: l’immobile dà ricchezza anche solo per il fatto di esistere e questo non incentiva la vendita, la trasformazione e un nuovo utilizzo. Tutte operazioni che, invece, dovrebbero occupare i pensieri di chi vorrebbe appartenere ad una città che pensa a un’orizzonte diverso e che si proietta verso una possibile rinascita. Patrizia sa che questo è un elemento cruciale per il futuro di Ivrea: “Quando si arriva in città e difficile pensare all’UNESCO ma questa è la nostra sfida più grande. Le modalità e i valori unici che hanno determinato la costruzione di questa fabbrica, da metà
Via Jervis degli anni ’20 in poi, rappresentano una rivoluzione incentrata sulla trasformazione territoriale che ha come perno il motore dell’industria, ieri come oggi.” Adriano Olivetti aveva in mente un’idea ben precisa di città funzionale che, il più delle volte, non coincideva con quella degli architetti più famosi del tempo. A metà degli anni ’30 Le Corbusier arriva ad Ivrea per proporre il suo progetto di ammodernamento ma, in poco tempo, si rende conto delle difficoltà per realizzarlo: il patrimonio olivettiano è vasto, poco amalgamato e poco connesso con il centro storico della cittadina piemontese. Per l’architetto svizzero-francese, il vero ostacolo è l’assenza di dialogo tra passato e futuro, tradizione e innovazione, tra l’antica Ivrea e il futuro di un’industria in espansione continua. Una frattura destinata a non rimarginarsi mai. L’idea lecorbusiana, tempo dopo, troverà più facile adattamento in realtà come quella di Bata nell’attuale Repubblica Ceca. Adriano ha una visione taylorista della sua creatura. In quegli anni è impegnato, con altre autorità, nella stesura di un piano regolatore che rivoluzionerà i territori della Valle d’Aosta e del Canavese: la collocazione di una nuova possibile Provincia, il traforo del Monte Bianco, il perfezionamento di una rete stradale che possa favorire la comunicazione con l’esterno. Il piano, nelle intenzioni di Olivetti, dev’essere arricchito da uno studio, fatto attraverso il sindacato fascista degli ingegneri, che avesse come obiettivo l’analisi delle vocazioni delle diverse componenti presenti nel territorio: Ivrea con le sue fabbriche e una naturale inclinazione per l’industria meccanica; la Valle d’Aosta, con le sue bellezze, calamita per il turismo di massa. Una prospettiva di gestione del territorio, come ricorda Patrizia, che prevaricava i tempi e che legava fortemente insieme l’economia e la politica: “Olivetti al tempo produce dei progetti corporativi rivoluzionari, anche se quest’affermazione solitamente provoca delle sommosse popolari perché si lega sempre il termine corporativo ad un’ideologia ben precisa. Ma in quella stagione felice che, in Italia, va dal’31 al ’38, tutti s’interrogano sul rapporto tra Stato ed economia. Per ingegneri come Olivetti non è importante che l’applicazione dell’organizzazione scientifica del lavoro venga fatta all’interno del New Deal o nel piano quinquennale sovietico. Adriano fa parte di quella schiera di tecnici che riflettono sui risultati, sulle possibilità future, sul territorio, sull’industria. In più si corre verso la guerra e questi progetti, catalizzatori di discussione e importantissimi per alimentare
Principali edifici olivettiani con relativi architetti
- Servizi Sociali (Figini-Pollini) 1959 - Palazzo Uffici Olivetti (Bernasconi, Fiocchi, Nizzoli) 1964 - Officine ICO, mattoni rossi (C. Olivetti) e relativi ampliamenti successivi (Figini, Pollini, Boschetti, Fiaschi) 1896 -1939-1942-19491958/62. - Mensa e Circolo Ricreativo, (Gardella)1961 - Centrale Termoelettrica, (Vittoria) 1959 - Centro Studi ed Esperienze Olivetti, (Vittoria) 1955 - Casa a Borgo Olivetti, (Figini, Pollini) 1941 - Asilo Nido a Borgo Olivetti, (Figini, Pollini)1942 - Casa famiglie numerose, (Figini, Pollini, Castellamonte) 1942 - Casa unifamiliare dirigenti, (Nizzoli, Oliveri, Castellamonte) 1948 - Casa a 4 alloggi, (Nizzoli, Oliveri, Castellamonte) 1951 - Edificio a 18 alloggi, (Nizzoli, Oliveri, Castellamonte)1955
riflessioni sul mondo del lavoro, divengono presto ideologici per l’avanzare inesorabile della Storia. Olivetti apre a tutte le possibilità di crescita: incontra, ad esempio, il direttore del piano quinquennale, Kaganovich, perché crede che il giudizio politico non possa influenzare il tipo di proposta che viene fatta dal punto di vista tecnico-produttivo. Sono anni decisivi e affascinanti perché il dibattito culturale-architettonico-economico è ampio, di grande respiro, con posizioni ricchissime e bellissime”. Bellissime come le architetture olivettiane, frutto di una visione piena di fascino e intuizione.
La sfida di Ivrea
Il Consiglio di Gestione All’interno della fabbrica Olivetti, il Con-
siglio di gestione è uno degli esempi più chiari di come venisse coltivato il senso di comunità e appartenenza. Al suo interno vi sono rappresentanti della direzione, degli operai e degli impiegati che si confrontano continuamente in un ambiente di dibattito e compensazione: “Negli atti ci sono moltissime richieste avanzate da tutte le parti sedute intorno a quel tavolo, dalle più semplici a quelle più importanti. Ad esempio sono state conservate le varie discussioni riguardo la mensa: dall’elargizione del cibo alla gestione della struttura”, ricorda Patrizia. Il Consiglio discute di tutte quelle necessità di cui gli abitanti dell’ecosistema Olivetti possano aver bisogno, come le case e la loro distribuzione: “I Servizi sociali vengono gestiti durante quegli incontri: quante colonie servono, chi e per quanto tempo ha accesso alle case, come viene formata la graduatoria per distribuirle. Camillo, e soprattutto Adriano, capiscono che dev’essere la fabbrica ad occuparsi dei propri operai: questo tipo di servizi diventano così il fiore all’occhiello della gestione olivettiana, con un modello di compensazione e compromesso che mira a soddisfare gli interessi di tutte le parti in causa”. Adriano Olivetti rivoluziona completamente le modalità di gestione del personale. Le varie figure scelte come intermediarie tra i vertici dell’azienda e i lavoratori, possiedono una certa cultura e sono professionisti del sociale. Individui che non possiedono un ufficio proprio ma girano all’interno dei vari edifici occupandosi, contemporaneamente, di produzione industriale e ascolto degli operai. Le schede di ciascun lavoratore non raccontavano solamente la specifica occupazione all’interno della fabbrica ma riportavano tutte quelle caratteristiche opportune per delineare il profilo della persona: famiglia, malattie, piccole biografie, eventi ritenuti fondanti lo sviluppo esistenziale. In questo modo, gli intermediari, avevano tutte le informazioni necessarie per poter svolgere al meglio il compito assegnato. Parallelamente è presente anche un servizio di sociologi che studiava ciò che avveniva all’interno della fabbrica e analizzava come venissero recepiti eventuali
La sfida di Adriano Olivetti so
La gestione della fabbrica, il rapport
cambiamenti strutturali da parte degli operai (orari, turni, modalità di produzione…): “Quando Olivetti introduce la giostra (ogni unità lavorativa e ogni persona al suo interno sa svolgere lo stesso lavoro, eliminando così gerarchie e consequenzialità, con tempi molto stretti per chi deve produrre, ndr) c’è tutto un meccanismo di valutazione e lavoro con gli operai che trasforma e modifica funzionalmente questo sistema. Sono regolamentazioni che riguardano direttamente il lavoro umano e che riducono al minimo gli attriti.” Una tipologia amministrativa che Adriano Olivetti voleva rafforzare ancor più con la nascita della Fondazione, processo completatosi frettolosamente per la sua morte improvvisa, avvenuta il 27 febbraio del 1960, sul treno Milano-Losanna, per un’emorragia celebrale: “C’è la famosa storia legata alla morte di Adriano: nella sua giacca fu ritrovato un foglio con il progetto di nascita di questa fondazione: metteva insieme la famiglia Olivetti, i massimi istituti della ricerca e innovazione olivettiana, gli operai. Tutti quelle entità che, in fondo, gestiscono e rappresentano in toto la fabbrica. Un’idea geniale per il tempo, capace di descrivere ancor più l’intelligenza imprenditoriale del suo creatore.”
Il senso di “Comunità”
otto il segno della “Comunità”
to con gli operai, la discesa in politica
Il Movimento Comunità
Nel 1947 Adriano Olivetti decide di impegnarsi attiva-
mente in politica, trasformando il Movimento Comunità che, fino ad allora, aveva avuto un’anima soprattutto culturale. Il manifesto programmatico fu reso pubblico, a Roma, nel gennaio del 1953 e non celava affatto l’intenzione di smarcarsi dal panorama partitico del tempo: “Le definizioni che del Movimento Comunità si possono dare, secondo il linguaggio politico corrente, sono insufficienti. Il Movimento Comunità è antifascista, repubblicano, democratico, federalista, cristiano e laico, socialista e personalista: ma tali caratterizzazioni, se possono servire a situarlo in un settore dello schieramento culturale e politico italiano, ne indicano la realtà solo in modo generico.” Il Movimento, alle elezioni di quell’anno, si presenta con Olivetti capolista in tre collegi piemontesi: Torino Centro, Biella e Ivrea. Ottiene 39.912 voti pari circa al 10%. Una quantità insufficiente per potersi sedere nei banchi di Palazzo Madama. Nel 1958, presentatosi alle elezioni nazionali insieme ad altri partiti legati al mondo operaio e contadino, ottiene circa 170.000 voti alla Camera, (0,60%) e 140.000 al Senato (0,55%).
Olivetti, però, diventa deputato per aver ricevuto 18.923 preferenze. La campagna elettorale del Movimento era centrata sull’eliminazione del conflitto a tutti i livelli e, anticipando i tempi, parlava di gioventù bruciata: “Dovunque ci sia conflitto, per esempio, tra la macchina e l’uomo, tra lo stato e un ente territoriale locale, tra la tecnica e la cultura, tra la burocrazia e il cittadino, tra l’economia del profitto e l’economia del bisogno, tra l’automatismo e il piano, tra il mero piano economico e il piano urbanistico, tra la città elefantiaca e l’insediamento a misura d’uomo, e infine tra l’ipotetico idillio di una società avvenire e la reale angoscia delle «generazioni bruciate», - noi sapremo immediatamente qual è la nostra parte”. All’interno della fabbrica non era presente un indottrinamento filosofico o partitico: chiunque poteva presentarsi e fare volantinaggio per la corrente di pensiero che andava rappresentando; i sindacati non venivano visti come nemici del profitto ma come una realtà con cui dialogare per migliorare la vita dell’ecosistema industriale: “Il Movimento Comunità crede invece nella possibilità di rinascita di un sindacalismo non solo apartitico, ma profondamente autonomo e al tempo stesso non chiuso nell’esclusivo meccanismo della richiesta di aumenti di salari, ma profondamente inserito nel processo economico produttivo; e ciò con la creazione delle Comunità di azienda, corresponsabili dei servizi sociali e della gestione economica”. Libertà, cultura e rapporto tra Stato ed economia sono parole chiave che risuonano continuamente all’interno del documento. La dimensione italiana e quella internazionale si rapportano in quasi tutti gli ambiti di discussione: da una parte si sottolinea la necessità di combattere la depressione locale con piani di rinascita e dall’altra si riflette sul ruolo dell’Europa a livello globale. Dopo la morte di Adriano tutto è destinato a cessare: il 10 settembre 1961, 18 mesi dopo la sua scomparsa, il Comitato Centrale del Movimento Comunità, riunitosi a Milano, approva la “rinuncia alla lotta politica elettorale attraverso una propria organizzazione.”
La sfida di Ivrea
MaAM
L’architettura Olivetti in un museo a cielo aperto
Il MaAM, ovvero il museo a cielo aperto
dell’architettura moderna, è una delle realtà più originali nate e sviluppatesi a Ivrea intorno al mondo olivettiano. Inaugurato nel 2001, si estende per un percorso lungo circa due chilometri attraversando tutti i luoghi simboli di un passato glorioso (quelli citati negli articoli precedenti e riportati nelle mappe della pagina accanto). Lungo i percorsi pedonali pubblici, costruiti per collegare assieme i vari edifici, si trovano sette stazioni tematiche in cui si possono trovare tutte le informazioni su ciò che si sta osservando nonché la biografia degli architetti e dei vari membri della famiglia Olivetti. L’intero progetto ha come obiettivo finale quello di illustrare l’impegno globale della fabbrica nel campo dell’architettura, dell’urbanistica, del disegno industriale e della grafica pubblicitaria.
Tre sono le azioni che il museo persegue: catalogazione e schedatura degli edifici; conservazione e salvaguardia del patrimonio con coinvolgimento e responsabilizzazione dei nuovi proprietari; fruizione dei visitatori attraverso il sito internet, le visite guidate e la pubblicazione di specifiche mappe. Tutto ciò serve per poter valorizzare un patrimonio, quello olivettiano, frutto di un lavoro a cui hanno contribuito architetti, designer e ingegneri dalle molteplici visioni e che si è svolto in periodi temporali lunghi e complessi. Un progetto che vuole esaltare l’anima profonda di una cittadina che, nonostante le difficoltà del presente, vuole ripartire dai propri simboli fisici, osservati da punti di vista personali e suggestivi.
La sfida di Ivrea
Il Convento di San Bernardino La casa di Camillo Olivetti
Camillo Olivetti comprò nel 1907 il complesso
conventuale di San Bernardino di Ivrea, edificato nel quindicesimo secolo. L’ingegnere decise di adattarne la struttura e di trasformarla in una residenza dove vivere con la propria famiglia. Ci restò fino al momento della sua morte, avvenuta nel 1943, in esilio per la guerra a Biella. Nei territori adiacenti al Convento sviluppò l’azienda che poi si sarebbe diffusa per tutto il perimetro della cittadina piemontese, contribuendo alle sue trasformazioni e al suo allargamento. Il complesso, oltre la Chiesa, prevedeva numerosi fabbricati che si sviluppavano attorno al chiostro, diviso in due corti gemelle. Completavano la struttura un piccolo cimitero e uno spazio dedicato alla meditazione dei frati. L’atmosfera che il visitatore sente è quella di un senso d’amenità dovuta anche alla regolarità e alla semplicità dello stile architettonico. A partire dal diciannovesimo secolo, il degrado inizia a colpire l’attività ecclesiastica. Il trascorrere del tempo, l’abbandono da parte dei frati e le ripetute occupazioni di truppe militari decretarono la fine della sua natura spirituale.
L’intera zona passa in mano ai privati nel 1805. Ad osservare la quiete del luogo non si fa nessuna fatica a capire perché Camillo decise di stabilire in quegli spazi la propria residenza e l’inizio della sua avventura industriale. Tra il 1955 e il 1958, con l’approvazione di Adriano, furono fatti lavori per modificare ulteriormente la natura del sito: non più abitazione privata ma sede dei servizi sociali della ditta. La Chiesa ospita uno dei più importanti autori piemontesi del tempo, Gian Martino Spanzotti, che vi dipinse il ciclo pittorico della Vita e Passione di Cristo. L’opera, come riporta il sito del Comune di Ivrea, è formata da venti scene collocate attorno al grande riquadro della Crocifissione; le pitture dello Spanzotti si completano nei due pennacchi centrali raffiguranti il giudizio universale e l’inferno, nei pilastri sottostanti dipinti con le immagini di San Bernardino da Siena rappresentato secondo l’iconografia tradizionale e di Cristo inteso quale “Imago Pietatis” e nei due semipennacchi laterali riproducenti la cacciata dal paradiso terrestre e il purgatorio. Opere restaurate e conservate accuratamente dall’intera famiglia Olivetti: un’ulteriore esempio dell’amore e dell’attenzione che per l’arte e la cultura. Valori che assumono una rilevanza preponderante nella storia di Ivrea e dei suoi imprenditori più importanti.
Camillo Olivetti
Associazione Spille d’Oro 10.000 soci che tengono in vita la comunità Olivetti
Nell’autunno del 1939, Camillo Olivetti decise
di premiare gli operai, gli impiegati e i dirigenti più anziani della fabbrica donando una spilla d’oro che potesse riconoscere la loro fedeltà. La scelta di questo particolare oggetto risale al dono che fece lo stesso ingegnere alla moglie per festeggiare il millesimo esemplare di macchina da scrivere prodotto dall’azienda. Un distintivo che, con onore e gratitudine, identificava coloro che avessero raggiunto i 25 anni di lavoro alla Olivetti. Un attestato, tra i primi in Italia, di ringraziamento ufficiale per il lavoro svolto. Nel dicembre del 1946, per un’iniziativa interna, venne fondata l’Associazione “Spille d’oro” della Olivetti. Alla vigilia della seconda guerra mondiale gli insigniti di questo premio erano 35. Nel 1948, Adriano Olivetti, da dieci anni subentrato al padre alla guida della società, lo conferì ad altri 116 anziani. Per i 50 anni della Olivetti, nel 1958, vennero coniate anche le prime “medaglie d’oro” da assegnare ai lavoratori che avevano compiuto 35 anni di attività nell’azienda. Nel 1959 veniva istituita la “Spilla d’oro azzurra” da assegnare ai dipendenti con 25 anni dì servizio presso i concessionari e agenti della Olivetti. L’Associazione, nonostante i fatti recenti che hanno investito l’azienda, rimane un punto di riferimento per chi ha contribuito a scrivere la Storia di una delle realtà più importanti dell’industria italiana. Gli iscritti, attualmente, sono più di 10.000, sparsi in tutta Italia. L’Associazione, come si legge sul sito, da diversi anni è molto cambiata: “si è trasformata da un aggregato in larga parte finanziato e gestito dall’Azienda, in un sodalizio autogestito (25 € l’anno ndr) nel quale alle attività ricreative e di tempo libero, che continuano a rappresentare una parte cospicua delle sue iniziative, si affiancano importanti attività di solidarietà e culturali che coinvolgono un numero sempre maggiore di soci volontari”.
Cosa significa oggi far parte dell’Associazione? Oltre all’orgoglio, al senso di appartenenza e alla possibilità di mantenere saldi i contatti e legami con i colleghi, ci sono dei vantaggi più che notevoli: la partecipazione ad un ricco programma di gite in Italia e all’estero a prezzi contenuti e con alberghi convenzionati; usufruire di alcune convenzioni con esercizi commerciali, assicurazioni, case editrici e banche; affermare concretamente la propria presenza in un territorio e rappresentare un punto di riferimento per tutti i lavoratori anziani del canavese. In più, compito dei soci eporediesi, è la gestione delle visite al Convento di San Bernardino, ogni prima e terza domenica del mese. Questi diritti e doveri possono essere usufruiti anche dai nuovi soci: i dipendenti e gli ex dipendenti della Olivetti e delle Società da essa controllate appartenenti al Gruppo, che non hanno raggiunto i 25 anni di anzianità di lavoro; i coniugi superstiti, i famigliari, i simpatizzanti, che partecipano alle attività e che condividono i valori Olivetti.
Storify d’Archivio
Adriano Olivetti riemerge dalle pagine de “La Stampa”
“Le pianificazioni particolari di determinati settori di attività debbono essere selezionate ed armonizzate nell’interesse dell’economia generale: il piano regionale assume il carattere di piano di tutti i piani, nel quale i singoli programmi sono composti in un unico quadro. Lo scopo del piano regionale è di consentire il raggiungimento di un equilibrio tra popolazione, economia e territorio” (22/02/1953)
“L’audacia ispira tutt a l’opera di Adrian o Olivetti e dei collaborato ri: dalla co suoi str dei comple ssi urbanis uzione tici, degli stabilimen ti e delle m acchine ch vi si produ e cono, al p erfetto equ librio tipo igrafico de lle sue pub blicazioni, a tutto ciò ch marca dell a società d e porta la i Ivrea. Le leggi d ell’architett u ra che presiedon o og Adriano O ni attività di livetti son o la miglio garanzia d re i sviluppo della nostr civiltà” (12 a /06/1956)
“Possiamo annunciare che è stato ufficialmente creato l’Istituto per il rinnovamento urbano e rurale del Canavese. Esso sta già realizzando due prime iniziative economiche: una ad Ivrea, per la confezione di abiti per bambini; una a Vidracco, per la fabbricazione di valigette” (08/02/1955)
“Il piano rappresenta una novità per l’Italia essendo ispirato a criteri modernissimi, esperimentati con successo nei paesi scandinavi e in Inghilterra!” (18/09/1953)
“Il canavese è una zona depressa: 3.000-4.000 disoccupati attendono di trovare lavoro. Noi lotteremo contro la disoccupazione e la miseria perseguendo alla Olivetti un coraggioso piano di sviluppo di cui sono prova le recenti assunzioni di mano d’opera. Ma bisognerà pensare anche agli altri centri del Canavese, specialmente quelli lontani, dove esistono fabbriche, ricercando capitali perché esse rifioriscano” (Stampa Sera, 30/05/1955)
oponiamo r p i c , o in r “Qui, a To osa sono e quale re c e re di discut sono reca s o p o t u contrib ra società t s o n a ll e d all’assetto omunali. Il tema erc t ti i Piani in rare a talu e b m e s e b invec potreb tecnico e e t n e m a citare strett ale da sus t è o s s e oproprio “Si tratta di una normale o e medot ic r o e t o p in cam pegnativa im dichiarazione di austerità nel e a t s a v a logico un ” campo amministrativo, in tica a problem relazione alla vera e propria 56) (19/10/19 crisi di crescenza alla quale abbiamo assistito negli ultimi anni. Questa maggiore severità è la causa di taluni allarmi che sono arrivati sino alla voce, totalmente infondata, di licenziamenti massicci” (12/10/1958)