“Tutti sanno contare le mele una volta cresciute ma ... Come conoscere le radici?� Leif Edvisson, Promotore del capitale intellettuale e del bilancio intangibile nelle aziende
Introduzione Conclusioni Bibliografia Sitografia
3.1. 3.2.
2.1. Se la conosci, non la eviti 2.2. Interconnessioni 2.3. Breaking the law 2.4. Augmented Communication 2.4.1. In principio era Internet 2.4.2. Web 2.0 2.4.3. Target: informazione 2.5. Il SISTAN 2.5.1. Diamo i numeri 2.5.2. Il censimento
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I canali dell’Innovazione La tesi come sperimentazione: Il mind mapping 3.3. How advertising works 3.3.1. Gli attori del mercato della comunicazione 3.3.2. Il piano di comunicazione 3.4. Radici nel futuro: l’agricoltura cambia, ma come? 3.4.1. Above the line 3.4.2. Below the line
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59 60 64 71 72 73 78 80 81 82
1.1 Genesi di uno tsunami 1.1.1. La situazione italiana 1.2. Il settore agricolo 1.3. Una pianta dalle molteplici radici 1.3.1. I sostegni al settore 1.3.2. Il contributo europeo 1.4. Agribusiness 1.4.1. Sviluppi 1.4.2. Reazioni (a catena) 1.4.3. Made in Italy 1.4.4. Road to innovation
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Introduzione
Se avete in mano questa tesi e la state guardando, suppongo sorpresi e magari un po’ incuriositi, innanzitutto vi ringrazio. Vi invito a leggere queste poche pagine di introduzione che, spero, vi chiariscano com’è nata questa tesi, il percorso e lo studio che ci sono dietro, la metodologia con la quale è stata realizzata e, domanda forse che preme ancor di più, perché questa tesi è orizzontale. Precisiamo subito che non è stato un tragico errore di stampa del tipografo, è stata una scelta assolutamente voluta e frutto degli ultimi due anni di studio accademico che mi hanno permesso di entrare in contatto non solo con nozioni, com’è ovvio, ma con Persone che mi hanno fatto crescere moltissimo, mi hanno insegnato molto e che rimando alle ultime pagine per ringraziarli come si deve.
Questa tesi è costellata, qui e là, di strani disegni. Sono mappe mentali e sono la “causa” del layout grafico. Per una breve spiegazione di cosa sono le mappe mentali vi rimando al capitolo 3. Qui posso anticiparvi che le mappe mentali sono un metodo di organizzazione e realizzazione grafica del pensiero che cambia la prospettiva con la quale ci avviciniamo alle cose. Infatti, un foglio “verticale” è limitato rispetto al nostro occhio, che vede ben oltre i margini fisici del foglio. Ci costringe a sfogliare pagine su pagine, a fare continui rimandi con frecce e asterischi perché, una volta che abbiamo scritto una frase ma proseguiamo con la lettura, non possiamo più inserire altri riferimenti creando un nostro ordine personale che ci aiuta ad assimilare i concetti. Dobbiamo assolutamente attenerci all’ordine prestabilito da chi scrive il libro che stiamo riassumendo, o dal flusso delle parole del docente che parla mentre noi prendiamo appunti. In entrambi i casi, ci dobbiamo attenere a un ordine imposto da altri che, non sempre, è razionale e funzionale all’apprendimento. Quante volte, parlando, si fanno divagazioni o si cambia bruscamente discorso? Quante volte, specie in libri scritti da più autori, i concetti sono ripresi in più
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parti o sono ridondanti? Ecco, e se volessimo modificare o integrare siamo costretti a fare rimandi in altri punti del nostro quaderno, con uno sforzo mentale considerevole e uno spreco di tempo e risorse. La prospettiva verticale ci viene insegnata da sempre, è praticamente l’unico metodo che noi conosciamo per scrivere, prendere appunti, ragionare. Ma cosa succede se, invece, giriamo il foglio di 90°? Beh, si apre un altro mondo. Il mondo della creatività, di uno spazio maggiore sul quale scrivere, lo spazio della creatività e dell’immaginazione. Perché è quello che usano i bambini quando, con colori e fantasia, iniziano a pasticciare e disegnare. Le mappe mentali recuperano questa dimensione orizzontale, fatta di gioco e creatività, ma si
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uniscono alla concretezza pratica e razionale. Non ci fanno mai perdere il filo del discorso perché il topic è ben ancorato proprio lì, al centro del nostro foglio. Un foglio bianco, senza righe o quadretti, perché non dobbiamo rimanere in qualche modo “incastrati” da logiche spaziali. Il foglio bianco è libero di diventare ciò che noi preferiamo che sia. Non senza razionalità o praticità, ovviamente : prendere appunti in maniera radiale è semplicissi mo, perché aiuta la sintesi; dal topic centrale dipartono i rami, ognuno con un sub-topic e ognuno di un colore diverso dall’altro. Su ogni ramo c’è una parola chiave, magari accompagnata da un piccolo disegno, o un simbolo che ci aiuta a
fissare il concetto e stimola la nostra capacità di interpretazione, astrazione, sintesi e pungola la fantasia. E dal centro verso la periferia del foglio è un fluire libero di pensieri, che si associano in forme e modi che prima non avremmo pensato. Il dispiegarsi dei rami crea percorsi mentali inaspettati, veri e propri viaggi nella conoscenza dove basta seguire i rami per avere sempre la traccia del percorso della scrittura. Le mappe si leggono partendo dall’angolo in alto a destra e procedendo in senso orario fino all’angolo opposto. Ogni ramo si legge in modo centrifugo, partendo dal centro e proseguendo poi verso l’esterno del foglio. Ogni ramo deve esser dedicato ad un sottoargomento specifico e il colore serve ad evidenziare questa differenza, quindi a capire qual è l’articolazione dell’argomento centrale senza però perdere la visione d’insieme. Inoltre, differenziare i colori non solo stimola l’emisfero destro del cervello ma aiuta anche a memorizzare.
Da idea nasce idea
Coi rami fermiamo delle idee ma le lasciamo libere di esprimersi ed evolversi, di associarsi le une con le altre e di cambiare: ecco perché, secondo me, è importante fare le mappe a matita la prima volta, e passare il colore solo nell’ultima fase quando la mappa è definitiva. Prima, ci deve essere la ricerca delle associazioni e l’aggiunta, se necessaria, di altri rami. Utile appunto se si riassume un libro o si prendono appunti durante un discorso: possiamo tornare su punti già trattati inserendo altri piccoli rametti e avendo così una composizione organica, personale e memorizzabile più facilmente perché segue il nostro percorso di apprendimento. Con le mappe usciamo fuori dalla precostituita gabbia dell’impaginazione, che ci costringe agli schemi fissi ed esploriamo nuovi confini e spazialità. Una mappa, disegnata in brainstorming con idee in libertà, consente di fermare le idee dalle quali possiamo procedere per riorganizzazioni successive e quindi rendere lineare i nostri “schizzi” mentali. La struttura di una mappa diventa simile a quella dei nostri neuroni, con un centro e rami che gli si dispiegano intorno. Impossibile, altrimenti, fermare le idee in altro modo con la stessa capacità di rappresentazione e intuitività del percorso mentale effettuato senza che questo diventi un
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groviglio inesplicabile di parole da cui è impossibile risalire a ciò che le ha generate. Ci aiuta a capire che i testi non sono necessariamente susseguirsi di parole ferme, ma che le parole sono esseri viventi e in movimento. E di conseguenza, lo sono anche i nostri pensieri. Se i nostri pensieri non si evolvessero, probabilmente saremmo delle pietre e non certo esseri umani!
Γνῶθι ζεαυηόν (conosci te stesso)
… o Nosce te ipsum, se non mastichiamo il greco ma solo un po’ di latino. È l’iscrizione sulla porta dell’oracolo di Delfi dove la Pizia comunicava i responsi che gli dèi mandavano agli uomini. È anche il riassunto di quanto diceva il filosofo Socrate durante le sue lezioni maieutiche. La maieutica è l’operazione delle mappe. Le associazioni ci fanno entrare in profondo contatto con noi stessi, ci spingono a trovare significati profondi in noi stessi e a spiegarli esternandoli, ci pongono dei limiti ma ci incitano a superarli. Il primo è proprio quello di girare il foglio. La prima volta sembra molto molto strano ma…provate a fare una mappa con un foglio in verticale: non verrà proprio
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bene. Provate a fare qualche piccolo “esercizio di stile”. Dopo le prime mappe tutto verrà molto naturale e sarà difficile poi tornare alla prospettiva verticale e alfabetocentrica senza avvertire un senso di “perdita dell’informazione”. Le mappe ci spingono oltre i confini della normale conoscenza e ci fanno entrare in un sapere “a tre dimensioni”, che strizza l’occhio all’innovazione della forma e del contenuto, alla continua ricerca e al Kaizen, il miglioramento continuo. Kai, cambiamento; Zen, migliore. Lo zen è l’arte di
approcciarsi al mondo.
Lo Switch off mentale Le mappe diventano delle metafore digitali su carta. A piccoli passi anche nel mondo esterno qualcosa sta cambiando. Sarà un caso che l’I Pad, uno dei fenomeni del momento, si legge anche in orizzontale? Si richiede sempre il passaggio dalla linearità, analogica, al digitale, cioè radiale. Quello che otteniamo è la costruzione di una trama ricca, “lucente”, fatta di elementi di raccordo e di rimandi continui. Da questo processo ne usciamo decisamente arricchiti e le nostre conoscenze e idee irrobustite. Lo stesso risultato non può ottenersi con la scrittura lineare, dove è difficile rendere e visualizzare le idee e le correlazioni tra gli elementi, soprattutto se in punti diversi del testo. Invece, è proprio per questo che i punti sulla mappa “brillano”, perché sono solo punti di partenza e non di arrivo. Perché la costruzione della conoscenza non ha un inizio e una fine, ma solo piccoli approdi da cui ripartire. Ogni ramo di una mappa può essere il central topic di un’altra mappa, con altre associazioni, idee, pensieri, concetti. Un circolo, appunto. Lo stesso che
recupera il significato del termine enciclopedia: ἐγκύκλος παιδεία, enkyklos paideia. La conoscenza enciclopedica descritta anche da Umberto Eco, in grado di toccare ogni ambito del sapere e costruire percorsi grazie a quelli che nel web sono i link e nelle mappe sono i rami. L’esempio più grande e meglio riuscito di enciclopedia tecnologica, che collega tutti tramite rete e link, è proprio Wikipedia: un vero fenomeno tecnologico e cibernetico che ha contribuito a modificare l’approccio alla conoscenza. Basta un click e la collaborazione degli utenti; Wikipedia, infatti, non è solo on line ma è soprattutto creata in modalità open source, grazie a volontari che arricchiscono le sue voci. È l’esempio perfetto di enciclopedia moderna, che ha saputo ammodernare il concetto di enciclopedia e coniugarlo al presente: niente più tomi enormi e pesanti, di difficile consultazione e limitati nel tempo1 e nello spazio 2 ma l’infinità della conoscenza accessibile col proprio mouse. Wikipedia non poteva non lasciare una traccia di sé nella storia; il suo simbolo è un puzzle, dove ogni tassello aggiunge qualcosa alla sfera dello scibile. Come
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Alcune informazioni infatti sono deperibili: la mia enciclopedia riporta ancora l’assetto della Germania divisa dal muro di Berlino…. 2 I tomi sono difficili da trasportare e, di certo, non si possono portare con sé tutti insieme.
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fanno i rami di una mappa, che aggiungono e spiegano qualcosa dell’argomento principale.
Finally Gli elementi grafici sono un tutt’uno con i significati trasmessi perché, in fondo, fare una tesi in comunicazione significa fare un’opera sincretica e di comunicazione integrata. Questo è stato lo spirito guida di tutta la tesi: abbracciare gli argomenti, cercando connessioni anche impensate e redigere una trama, piena di hub, di aggregatori di temi e significati, tradotti in forma grafica. Un’opera che vuole trasmettere un’identità reale, nuova concreta all’Istat. Per questo, nel capitolo 3 c’è una proposta d’identità da applicare in tutte le occasioni, ufficiali e promozionali, in cui saranno divulgati contenuti inerenti il censimento delle imprese agricole. Dato che le comunicazioni e informazioni si moltiplicano esponenzialmente, c’è bisogno di riportare tutto alla sinteticità e unità. E sappiamo che un’immagine comunica più di mille parole; per questo, è stato creato un sistema identitario e un logo apposito: per riportare tutti i multipli significati all’unità e univocità verso tutti i soggetti coinvolti ed interessati. Un logo che sappia assumere su di sé il peso del passato e le aspettative e aspirazioni del
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futuro. Ma non mi sono limitata a questo: nella tesi ho unito molti degli ambiti disciplinari e degli argomenti trattati durante gli anni della laurea magistrale e anche della laurea triennale, a sottolineare le mille ramificazioni della comunicazione e, appunto, per rappresentare la summa di un percorso di apprendimento caratterizzato dalla flessibilità e multidisciplinarietà. Per questo, all’interno della tesi troviamo disseminate argomentazioni di stampo socio-economico, quali la globalizzazione, la new economy, la crisi economica; di sociologia dell’organizzazione, come l’impresa-rete anche alla luce di un approfondimento maturato durante un’esperienza di stage nell’ambito del crowdsourcing e dell’innovazione organizzativa; di stampo più prettamente tecnologico, come la delineazione dei confini e la spiegazione delle caratteristiche del web, della sua evoluzione e dei paradigmi dell’1.0, 2.0 e 3.0; impossibile poi tralasciare il fenomeno dei social media e social web, senza trascurare la tecnica pubblicitaria, l’analisi dei vari media e del piano di comunicazione che sottende le strategie aziendali.
Abbiamo quindi anche tracciato i contorni del nostro scenario di riferimento, fatto di internazionalità, multimedialità, globalizzazione e, sullo sfondo, la crisi economica che ha cambiato i connotati degli attuali assetti economici, finanziari, sociali, politici e tecnologici. Non si può infatti pensare alla comunicazione pubblicitaria senza inserirla nel più vasto panorama sociale ed economico. La pubblicità è definita “settima arte” poiché è una compenetrazione armonica di competenze di varia natura, che esulano dalla semplice tecnica per sfociare anche nel marketing. Si è cercato di portare in questa tesi lo stesso taglio trasversale e multidisciplinare avuto durante gli anni di studio e che a ragione convergono nella pubblicità. Una pubblicità che comunque si evolve e supera i suoi confini, muta e sue forme e i suoi contenuti, si adatta ai contesti esterni e da questi ne viene influenzata. L’output finale è un media plan, cioè una pianificazione dei mass media da utilizzare per la campagna pubblicitaria del censimento delle imprese agricole dell’ISTAT. Il significato profondo di ciò che volevo mostrare era la centralità e indispensabilità della comunicazione, di un approccio professionale ad essa. Ho voluto fare
vedere come tutti gli argomenti qui esposti – globalizzazione, crisi economica, agricoltura nel 1° capitolo; la rete, l’impresa rete, il web 2.0 e la tecnologia nel 2° capitolo e infine la tecnica pubblicitaria – abbiano come fil rouge proprio la comunicazione, la necessità di un rapporto con l’esterno nel quale si trasmettano i significati, i valori, l’identità interni. Ed è quello che poi converge – la convergenza è un leit motiv – nel sistema d’identità e nella comunicazione. Quello che ho fatto è stato provare a immaginare gli sviluppi futuri delle imprese agricole e quindi del censimento e dei risultati che può fornire per preparare un media plan che avesse come oggetto le imprese agricole e gli imprenditori del futuro, avvezzi a internet e alle tecnologie. Ecco perché il media plan, oltre a sfruttare i canali di comunicazione più “tradizionali” descritti nel terzo capitolo, ha un approccio critico e strategico che, alla luce del target, cerca di raggiungerlo attraverso quelli che oggi chiamiamo i new media. Per cui, ecco perché nel 2° capitolo si è scelto di trattare l’evoluzione dei media e di parlare diffusamente della nascita e delle tendenze del web 2.0, le modificazioni che ha apportato e il suo influsso sulla rete d’impresa. Una rete d’impresa descritta come occasione di rilancio e di sviluppo futuro per le imprese agricole, così fortemente parcellizzate sia sul territorio che nell’essenza. Il tessuto imprenditoriale italiano è caratterizzato, nell’agricoltura come nell’industria, dalla frammentazione delle attività imprenditoriali e dalla loro dimensione. In altre parole, la quasi totalità
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delle imprese attive sul territorio nazionale è rappresentato dalle oltre 4milioni di piccole e medie imprese, e oltre 2milioni sono solo le piccole e medie imprese agricole che hanno nella territorialità, nella frammentazione, nella chiusura verso l’esterno i loro principali lati negativi, che possono essere facilmente abbattuti qualora l’impresa agricola si lanciasse con e sulla rete: una rete d’impresa, interconnettendosi alle altre imprese agricole, e una rete web che la lanciasse nel cyberspazio, smantellandone i confini fisici che ne rallentano lo sviluppo e l’internazionalizzazione. Un ultimo cenno va fatto riguardo il nome dei capitoli. Scorrendo l’indice, infatti, si vede che i nomi sono di fatto una metafora agricola che rappresenta, poi, il trait d’union con i contenuti stessi. Seminare, irrigare, raccogliere: seminiamo le basi della situazione economica mondiale che fa da contesto all’agricoltura; irrighiamo i nostri campi arati con la linfa data dalla tecnologia, dalla flessibilità e dalla comunicazione che riescono a trasformare – così come fa un corso d’acqua, quello necessario a innaffiare i campi seminati – le cose da uno stato ad un altro e che quindi ci permette di raccogliere i frutti del lavoro precedentemente svolto,
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rendendoli concreti e quindi mettendoci in grado di utilizzarli. Il panorama entro cui ci si muove è instabile e mutevole. Ecco perché questa tesi è anche una metafora liquida, che parla degli elementi distintivi della società postmoderna, sfuggente e incerta, in cui adeguarsi al cambiamento diventa l’imperativo, la comunicazione il mezzo, la tecnologia lo strumento, l’innovazione lo scopo.
CAPITOLO 1: SEMINARE 1.1. Genesi di uno tsunami La bolla è scoppiata. Il velo è stato sollevato. La crisi è uscita alla scoperto e ha mostrato il suo volto da Medusa, capace di immobilizzare col suo sguardo prima che Perseo potesse ripararsi dallo sguardo pietrificante con lo specchio. La crisi economica è arrivata nel 2008 ed è ancora in corso, predetta da molti sociologi ma prevista da pochi economisti, in un momento (dis)atteso per l'economia globale e prima che qualcuno riuscisse a correre ai ripari. Chi l'aveva annunciata, come Cassandra, non è stato creduto; chi la teneva nascosta, sperando di farla franca, ha pagato pesanti conseguenze. Quella del biennio 2008-2009 è stata la peggior recessione dal 1929 e anzi, anche peggiore di quel “venerdì nero per Wall Street”. Forse, solo Gordon Gekko ne sarebbe uscito parzialmente illeso.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: tagli indiscriminati e forsennati, licenziamenti, banche al collasso, difficoltà ad accedere ai prestiti e ai mutui, stagnazione di ogni mercato e settore produttivo, aumento della disoccupazione, inflazione alle stelle, difficoltà a (ri)collocarsi di molti professionisti, giovani e laureati. Alimentando, di conseguenza, un circolo vizioso che impedisce una risoluzione positiva. Nel 2008 abbiamo assistito ad un vero e proprio crollo della macchina capitalistica, accartocciata su se stessa e inerme di fronte a ciò che essa stessa aveva creato. A due anni dall'inizio della crisi i governi di tutto il mondo continuano a mettere sul tavolo delle decisioni soluzioni anti-crisi, provvedimenti d'emergenza e last minute. La soluzione migliore era agire a monte del problema ma, a questo punto, inutile pensare a “ciò che sarebbe potuto
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PAROLE CHIAVE DELLA CRISI
essere e non è stato” e, meglio di niente, adottare i provvedimenti dettati dall'apprensione. Nelle intuizioni ed ipotesi fatte dagli esperti (di economia, finanza internazionale, ecc.) nel momento in cui non è stato più possibile nascondere lo stato d'emergenza in cui versava l'economia mondiale, le previsioni fatte (e ottimisticamente accolte) parlavano di una cessazione di tale stato proprio nell'anno 2010. Insomma, il 2010 doveva essere l'anno del risanamento e della •mutui & prodotti derivati rinascita. Ottimisticamente, •subprime molti ci hanno creduto. •cartolarizzazione Realisticamente, è più •Lehman Brothers •Federal Researve difficile. Chi osserva il •Borsa mondo con occhi •Economia disincantati e un po' cinici vede che si continua a faticare, tagliare fondi, disinvestire, risparmiare, licenziare. Si continua insomma a vivere e sentire la crisi. Ma andiamo con ordine: come si è generata questa crisi economica? Originariamente, nel 1997, Robert C. Merton fu insignito del Premio Nobel per l’economia perché, insieme ai suoi colleghi Black e Scholes, creò un modello di portfolii apparentemente e – come si è mostrato, solo
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virtualmente - privi di rischi finanziari. Prodotti complicatissimi, ovviamente, che in sintesi estrema prevedevano la distribuzione – in gergo tecnico si dice cartolarizzazione - delle risorse economiche su più prodotti e fra più soggetti, per attenuare i rischi derivanti dal fallimento di uno di essi. Insomma, erano i “derivati” di cui Wall Street, dopo l’iniziale titubanza, aveva iniziato a fare incetta dato che rendevano commissioni molto buone. Si è generato così un circolo vizioso: era possibile accendere mutui a basso costo e (ricordandosi la redditività dei derivati) per larghe fasce di popolazione, ottenere facilmente soldi in prestito, giocare in Borsa riducendo i rischi…situazione che ben presto ha lasciato i caveau delle banche svuotati. I subprime concessi senza regole praticamente a larghissime fasce di cittadini americani ha aggravato l’equilibro finanziario delle banche, che prestavano soldi senza vederli ritornare È stata la Federal Researve a intervenire, così, per salvare gli istituti bancari. Prima di tutti, Lehman Brothers mentre istituti semipubblici come Fannie Mae e Freddie Mac – due grandi agenzie di mutui, che avrebbero
dovuto salvare il mercato e invece sono a loro volta salvate - vengono nazionalizzate; questo è costato molto al sistema finanziario americano, che ha speso circa 1.500 miliardi di dollari in tre anni, come ha pronosticato il Nobel dell'economia Joseph Eugene Stiglitz: uno sforzo imponente per dare ossigeno all’economia più forte del mondo. A pesare, poi, è stata una regolamentazione giuridica assente, lacunosa o addirittura errata. Un vero e proprio tsunami ha travolto tutto il sistema bancario mondiale, quando il prezzo delle case si abbassa e in molti si trovano un mutuo che vale più dell’immobile stesso. Le case infatti dovevano servire per rimborsare i mutui, mentre si trovavano così in forte svalutazione. Molti, poi, non restituisco no i Focus Origine Crisi prestiti. economica: Incominci 1. Crisi immobiliare ano le 2. Crisi banche 3. Aumento prezzi perdite. I 4. Insolvenza mutui subprime titoli 5. Maladistribuzione redditi crollano e 6. Legislazione diventano 7. Interventi governativi carta straccia. Per
fermare la catastrofe sono dovuti intervenire i governi centrali, che hanno immesso liquidità, e che hanno stabilito un nuovo sistema di regole per frenare la finanza e farla tornare al servizio dell’economia. Lo tsunami così si è allargato a macchia d’olio non solo in tutti gli Stati Uniti, dove ha avuto origine, ma in tutto il mondo occidentale, lambendo ovviamente anche l’Italia. Nel nostro Paese la crisi si è sommata a specifiche difficoltà interne, come una crescita ormai da vent’anni tra le più basse dei Paesi appartenenti all’Unione Europea e l’aumento del costo delle materie prime. La recessione economica in Italia ha causato una perdita del prodotto interno lordo del 5% che non sembra non essersi arrestata dato che anche il quarto trimestre del 2009 – come esplicato nella Seduta n. 320 del 12 maggio 2010 della Camera dei Deputati - si è chiuso con un altro segno negativo.
1.1.1 La situazione italiana A differenza però di altri Paesi, in Italia il sistema non è rovinosamente precipitato – eufemisticamente, ha parzialmente resistito – per una
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serie di motivi: a livello “micro”, relativo alle operazioni più direttamente a contatto con il pubblico, per un sistema bancario legato ad un modello “tradizionale” in cui prevale la componente commerciale e non quella distributiva. In Italia i subprime sono una soluzione economica non certo tra le più diffuse. Non perché non ci siano istituti bancari che non ne le banche accolgono le novità in termini di prodotti finanziari anche con cinque anni di ritardo rispetto alle banche americane e anglosassoni. Anche il mercato immobiliare è diverso: mentre in USA si cambia casa con più facilità ed è molto elevato il numero di affittuari, in Italia circa il 70% della popolazione è titolare della casa in cui vive e solitamente questa è anche la prima casa. Le banche italiane, al contrario di quelle statunitensi, hanno l’emergenza della solvibilità, cioè di un accumulo di titoli e del conseguente deterioramento del portafoglio di crediti dovuto a questo ristagno. Per controbilanciare questa situazione, l’Italia ha conferito alle banche maggiori poteri, le ha rafforzate e le ha messe nella condizione di elargire in maniera controllata e oculata credito alle piccole e medie imprese, che rappresentano il vero tessuto produttivo del Paese. In caso di insolvenza, così, a rimetterci non erano grandi gruppi e multinazionali – costretti a migliaia di licenziamenti e tagli pesanti - ma cittadini privati e singoli che si
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trovavano strozzati e inghiottiti dalla macchina bancaria e che, paradossalmente, avevano molto più da perdere. A mancare è stata però la fiducia nei mercati stessi, nel sistema interbancario e nelle garanzie offerte. A livello finanziario, molte banche italiane hanno resistito perché sono intervenuti colossi esteri che hanno acquisito il loro debito, diventando di fatto proprietari degli istituti bancari stessi. Lo stesso, in fondo, che è avvenuto in Gran Bretagna: in entrambi i casi, a emergere è stata una bontà dei sistemi ovviamente falsata da queste acquisizioni. Inoltre, l’Italia ha resistito per la difficoltà di molti scambi con l’estero, grazie - o per colpa - a un euro forte sul dollaro, per il tipo di import/export che l’Italia intrattiene con gli altri Stati, per i rapporti commerciali con gli USA, come vediamo dal seguente grafico basato sulle stime della Banca d’Italia. In sostanza, l’impatto della crisi in Italia è stato relativamente mite perché la finanza non ha vinto sull’economia reale. Ciò non ha comunque impedito la recessione e il Prodotto Interno Lordo, secondo le stime della Banca d’Italia, è in ogni caso notevolmente sceso, come evidenziato dai seguenti grafici:
Figura 1: Variazione % import\export in Italia, dal 2006 a oggi. Fonte: Banca d’Italia 25
20 15 10 Export
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Import
0 -5 -10 -15 -20
Sostanzialmente le nostre banche si sono salvate per la loro arretratezza e per il diverso scenario economico in cui operano. La crisi economico-finanziaria ha messo in evidenza le molte debolezze dell'attuale sistema e ha rilevato
PIL Italia 2 1 0 -1
PIL ITALIA
-2 -3 -4 -5
la necessità di adottare misure e politiche in ambito fiscale e finanziario capaci di stabilizzare il sistema bancario, rilanciare l'economia reale e coprire i costi della crisi. Ma la recessione è stata avvertita anche nei paesi in via di sviluppo, dove la crisi finanziaria arriva subito dopo quella agricola, quella alimentare e quella climatica del biennio 20072008. Fino ad oggi, ogni provvedimento preso per arginare la crisi globale appaiono inadeguato e insufficiente. E anche gli operatori finanziari – in una certa misura responsabili della crisi - devono farsi carico, anche solo parzialmente, dei costi della ripresa – ed è per questo che è stata avanzata la proposta di una tassa sulle transazioni finanziarie (Financial Transaction Act - FTT), soprattutto quelle a breve termine, più inclini a manovre speculative. Questa ipotesi, se realizzata in modo adeguato, contribuirebbe a parte del risarcimento dei costi, considerando che rappresenterebbe un'efficace misura per frenare le attività speculative senza alcun intervento sull'economia reale e anzi sarebbe utile per trovare risorse da destinare allo sviluppo. Questo intervento richiederebbe una manovra di concerto da parte di più nazioni e ovviamente un adeguato piano di implementazione sopranazionale. Tale compito, durante il G20 del 2009 a Pittsburgh, è stato demandato al FMI, Fondo Monetario Internazionale. Per ora, nell’ambito dell’eurozona
Figura 2: Variazione % PIL in Italia dal 2006 a oggi. Fonte: Banca d’Italia
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i primi ad accogliere le direttive del FMI sono stati Francia, Belgio, Germania e Austria. L’Italia, invece, è ancora in ritardo e questo genera molta ansi per l’FMI. Ma quindi, come uscire dalla crisi? Secondo Andrea Boltho, professore anglo-italiano di Economia al Magdalen College di Oxford, le strade che si prospettarono allora erano tre: il recesso, la resistenza e lo sviluppo. Sembra che in tutto il mondo ad attuarsi sia stata la prima soluzione, anche perché i governi mondiali non avevano leve e risorse- più di quelle giù utilizzate – per attuare altre politiche di sostenimento dell’economia, monetarie e fiscali di espansione. Sappiamo infatti che, nel nostro Paese specialmente, il debito pubblico è molto elevato e i continui “tagli” a tutti i settori – come ci mostrano le ultime leggi finanziarie - sono un prolungamento di questo stato di emergenza fiscale e rende difficile azionare le leve del bilancio. Questa situazione, troppo spesso, è diventata anche alibi per giustificare l’immobilismo e i disinvestimenti, mentre le stesse politiche di bilancio, se utilizzate in modo meno dogmatico, potrebbero attenuare la crisi almeno a livello sociale.
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Crisi italiana •immobilismo •solvibilità •sistema politico •arretratezza •disinvestimenti
Uscire dalla crisi •ricerca •innovazione •ottica lungo periodo •investimenti •tecnologia
Un aiuto importante per uscire dalla crisi sta proprio nell’innovazione, nella ricerca, nella tecnologia: chi investe in questi settori ha la chiave per il successo nel futuro, poiché avrà un margine di sicurezza maggiore per prevedere quello che potrà accadere un domani nei nostri mercati. È chi ha idee innovative e ha il coraggio di realizzarle che esce irrobustito e trasformato dalle crisi. Ma è tutto il sistema che ne guadagna, pur diventando più complesso e, in un secondo momento, anche più competitivo. Occorre ragionare in termini di lungo periodo per programmare al meglio le risorse e gli interventi da attuare. In questo modo, tenendo ben presenti i dati e gli errori commessi nel passato, si può modificare la rotta, pianificare e programmare
un piano di sviluppo che, nel lungo periodo, dia i suoi ottimi risultati, non senza il coraggio di rischiare. Insomma, la crisi può rappresentare anche un’opportunità se si ha il coraggio di fare scelte che, al momento, possono sembrare azzardate e folli. Quello che si ottiene dalla crisi è la consapevolezza degli sbagli fatti e la possibilità di non ripetere gli stessi errori. Si possono avviare processi di ristrutturazione interni che abbiano come obiettivo la qualità, il servizio, una maggiore presenza nei mercati, negli scenari istituzionali e nella vita delle persone. Dopotutto, non si può risolvere un problema con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo utilizzato per crearlo: è per questo che si deve pensare creativamente, in modo innovativo e soprattutto, passare all’azione.
1.2. Il settore agricolo L'agricoltura è definita come l'attività economica che consiste nella coltivazione di specie vegetali e delle piante, siano esse arboree o erbacee, l'allevamento degli animali e lo sfruttamento delle foreste. La finalità dell'agricoltura è, da una parte, l’ottenimento e sfruttamento delle risorse vegetali a fini non esclusivamente alimentari e senza che sia necessariamente indispensabile l’asportazione della pianta, mentre l'allevamento, inteso come lo sfruttamento delle risorse di origine animale, è ritenuto l'opposto, rispecchiando la storica antinomia pastore-contadino. Per il Codice Civile 3 è imprenditore agricolo chi esercita una o più delle seguenti attività: Coltivazione del fondo; Selvicoltura; Allevamento di animali; Altre attività connesse: si definiscono tali le attività, esercitate dall’imprenditore agricolo, che hanno come fine la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di:
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Ai sensi dell’art. 2135 C.C., come modificato dal D. Lgs. 228/2001.
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Prodotti ottenuti coltivazione del dall’allevamento;
invece quelli costituiti da:
prevalentemente dalla fondo, del bosco o
Attività agrituristica - quando un imprenditore agricolo offre nei propri fondi vitto e alloggio a eventuali turisti, utilizzando prevalentemente prodotti propri e organizzando talvolta attività ricreative o culturali; questa è considerata agricola se è secondaria rispetto all’attività principale e di carattere stagionale; Vendita di prodotti agricoli oltre il luogo di produzione: può svolgersi solo previa richiesta al Comune competente per territorio. La richiesta non implica necessariamente l’acquisizione della natura di imprenditore commerciale anziché agricolo, perché l’inquadramento nell’una o nell’altra categoria si determina in base alla prevalenza del reddito commerciale o agricolo.
Fornitura di beni o servizi attraverso l’uso prioritario di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate 4 nell’attività agricola esercitata .
Esempi di attività connesse possono essere5 la produzione e vendita diretta di olio, vino, miele, funghi, formaggi, ecc. Due casi particolari sono
Valle d'Aosta Trentino-…
Secondo i risultati del 5° Censimento generale dell’agricoltura, svolto dall’Istat nel 2000, esistono in Italia 2.611.580 aziende agricole, forestali e zootecniche, con una diminuzione di 411.764 unità rispetto alla situazione accertata con il precedente censimento del 1990. Lo vediamo meglio nei due seguenti grafici.
Sicilia Puglia Molise Lombardia
2000 1990
Lazio Emilia… Calabria 4
Figura 3: Distribuzione per area geografica aziende agricole, anni 1990-2000. Fonte: Istat
Sono qui comprese le attività di valorizzazione del territorio e del Abruzzo patrimonio rurale e forestale, in altre parole di ricezione ed ospitalità. Cfr. d.lgs. n. 228/2001. 0 100000 200000 300000 400000 500000 5 Cfr. manuale Istruzioni per la rilevazione
24
Agricoltura ed allevamento hanno, rispetto al Consistenza imprese settore secondario e terziario, un attive peso marginale nella produzione della ricchezza e risentono di difficoltà di organizzazione. Attualmente, i settori 1% 22% Primario sono distribuiti come nel grafico a fianco.
Variazione % diminuzione aziende agricole Nord Ovest
Nord Est
8%
Centro
Sud
Isole
10%
Secondario
47%
11%
Nonostante50%alcuni
24%
Figura 4: Variazione negativa (-n) numero aziende agricole per distribuzione geografica. Fonte: Istat 1990-2000
1400000 1200000 1000000 800000
1990
600000
2000
400000 200000
risultati positivi, per esempio Terziario 27% uva da vino Non nella coltivazione di olivi, edclassificato ortaggi, l'Italia importa ancora molte derrate agricole. Figura 6: Fonte: Infocamere/Movimprese. Dati relativi al 2009. Nell'allevamento prevalgono ovini e caprini, specie sull'area appenninica; nelle regioni del Nord si allevano anche bovini e suini. Il suo apporto al Prodotto Interno Lordo si attesta a meno del 3%6, come ci spiegano i grafici. Per esempio, sono scesi – così come già detto da alcune stime7 dell'Eurostat – i redditi di coloro che lavorano nel settore primario: l'ufficio statistico dell'Unione europea ha rilevato come il reddito agricolo nel 2009 in Italia sia calato del 14%. Il tracollo dei redditi, secondo gli agricoltori, è imputabile al crollo dei prezzi e alla scarsa attenzione al settore. Dietro l’Italia, confermano i dati Eurostat, ci sono solo gli ungheresi che hanno visto scendere il loro reddito del 35%. Ecco perché l’agricoltura italiana, pur avendo numerose certificazioni DOP, IGP, STG e un’immagine di freschezza e bontà,
0 Nord Nord Est Centro Ovest
Sud
Isole
6 7
Lo stesso contributo che danno gli investimenti pubblicitari. Rapporto Eurostat relativo all’anno 2009.
Figura 5: Numero aziende agricole nel territorio, anni 1990-2000. Fonte: Istat
25
PIL III° trimestre 2009 2,52% 21,22%
Agricoltura
19,69% 5,26%
27,68%
Industria
23,63% Costruzioni
Figura 7: Distribuzione Prodotto Interno Lordo nel terzo trimestre 2009. Fonte: Istat
fatica a stare galla: ancora oggi i prezzi di vendita all’ingrosso sono bassi, in ogni caso insufficienti a coprire le spese e lontani dal dare un reddito agli agricoltori, nonostante le produzioni continuino ad essere di ottima qualità e soprattutto riconosciuta. La qualità infatti si paga: delocalizzare e produrre in Spagna, Marocco, Olanda ed Egitto costa molto meno che produrre qui, compresi i costi di trasporto, e i prezzi di vendita sono molto più competitivi dei nostri8 che subiscono un forte ricarico quando arrivano alla GDO. Gli agricoltori si sentono soli, senza aiuti dallo Stato e anzi con limitazioni pesanti, come le quote latte. Quello che fino ad ora è certo è che l’agricoltura, nonostante 8
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Quando solitamente i prezzi in Italia sono più alti nella stagione invernale.
abbia accusato meglio di altri settori il colpo sferzato dalla crisi economica, sta vivendo un momento di difficoltà e molte misure adottate sono insufficienti o inefficaci . Soprattutto, per colpa della crisi, a calare sono stati gli investimenti nel settore (e sono continuati a scendere negli ultimi due anni). E sempre per una scarsa attenzione a questo settore produttivo che, ricordiamolo, è definito primario e quindi a rigor di logica dovrebbe essere oggetto di particolari attenzioni. È nel settore primario, dopotutto, che si creano le basi per l’alimentazione grazie alle coltivazioni e agli allevamenti e quindi dei prodotti alimentari derivati. Tutte queste difficoltà hanno causato dei cambiamenti anche nella gestione delle aziende agricole. I cambiamenti sono evidenti se si osservano le modificazioni nei tipi di coltivazione e allevamenti che vengono prodotti dalle aziende. Lo evidenziamo con la seguente tabella, basata sui dati prodotti dall’Istat nel corso del 5° censimento dell’agricoltura effettuato nel 2000:
Tabella 1: Distribuzione percentuale per regione delle aziende secondo l’uso dei terreni, anno 2000. Fonte: Istat
REGIONI
Abruzzo Basilicata Calabria Campania EmiliaRomagna FriuliaVenezia Giulia Lazio Liguria
Semin ativi
Coltivazi oni
61 63,5 36,8 55,0
Perm.nti 80,2 68,5 83,8 75,2
73,6
56,1
Prati Pascoli
Boschi
Alberi da Legno
6,2 6,2 2,6 3,5
5,0 26,9 11,2 7,1
26,4 24,2 17,4 22,2
2,5 1,2 1,4 1,1
17,4
4,2
28,9
2,7
Perm.nti
82,4
37,7
27,6
1,9
30,8
6,7
38,0 38,4
75,9 72,6
20,8 22,9
10,9 6,4
20,7 50,1
1,2 0,5
Dalla tabella emerge che le coltivazioni seminative e permanenti sono le più diffuse lungo tutta la penisola, favorita dalla conformazione geografica del territorio nazionale a prevalenza collinare, che si presta a questi tipi di coltivazione. La forma di coltivazione permanente più diffusa è prevalentemente la vite, l’olivo ed alberi da frutta, particolarmente diffusa tra le aziende meridionali, delle isole e regioni del Centro Italia. Al Nord fa eccezione la Liguria. Rispetto alla situazione rilevata dal censimento effettuato nel 1990, nel 2000 si vede un calo delle aziende che praticano coltivazioni permanenti, pari in media al 15%
Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana TrentinoAlto Adige
64,7 80,0 73,2 53,5 33,3 43,7 43,3 43,8
28,0 66,9 75,9 49,0 85,8 72,2 78,4 75,1
37,6 9,1 9,4 41,5 0,4 3,1 1,5 20,2
7,1 7,9 15,7 5,8 2,2 27,7 12,1 9,3
31,6 34,4 47,6 56,9 2,3 24,1 4,6 43,9
5,5 3,9 1,3 11,0 0,1 7,8 0,3 2,3
14,2
46,6
43,8
14,4
65,3
0,2
Umbria
61,5
73,1
13,7
13,9
39,6
2,5
34,8
52,8
85,7
42,7
73,9
0,7
69,0
46,7
27,6
2,3
21,7
2,8
49.4
70.6
12,7
9,3
22,9
2,2
Valle d’Aosta Veneto ITALIA
circa. La tabella evidenzia anche un discreto utilizzo dei boschi ma non con lo scopo di ottenere legname. Un calo maggiore interessa le aziende che utilizzano terreni come seminativi: sono poco meno della metà del totale censito ma rispetto a dieci anni prima sono diminuite in misura più rilevante (-25,9%). Anche queste sono più numerose nelle regioni meridionali, dove rappresentano il 35,5% del totale nazionale. Appare evidente la maggiore diffusione relativa delle aziende con boschi nel Nord-ovest (48,5%), mentre la diffusione è più moderata nel Meridione (15,6%) e nelle Isole (9,2%). I cambiamenti
27
appena visti sono un altro sintomo della crisi, perché indicano una diffusa tendenza alla specializzazione in un minor numero di forme di utilizzazione dei terreni. Il fenomeno sembra accomunare tutte le zone geografiche, anche se con differente intensità: appare infatti più rilevante nel Nord-ovest, dove alla diminuzione complessiva delle aziende pari al 39%, quelle con pascoli sono diminuite del 50%, quelle con colture permanenti del 47%, quelle con boschi del 45%, quelle con prati permanenti del 43% e quelle con seminativi del 42%. Vediamo sinteticamente i dati nei seguenti grafici:
Italia… Isole Sud Centro Nord Est Nord Ovest 2000
0
1000000
2000000
3000000
1990 Figura 8: Aziende in complesso, per Superficie agricola Utilizzata (SAU). Fonte: Istat, 1990-2000
28
1500000 1000000 500000
1990 2000
0
Figura 9: Aziende, per distribuzione geografica, con allevamenti. Fonte: Istat 19902000
La tendenza alla diminuzione delle aziende agricole viene confermata anche per le unità che praticano l’allevamento del bestiame. Nel 1990 esse erano più di 1 milione, mentre nel 2000 si sono ridotte a 640 mila, con una variazione negativa pari al 38,6%. Le maggiori riduzioni hanno riguardato l’allevamento di bovini e/o bufalini e quello di suini: le aziende allevatrici sono diminuite nel primo caso di 149 mila unità (46,6%) e nel secondo caso di 175 mila unità (49,0%). Il Veneto e la Campania restano le regioni con maggior numero di allevamenti, con quote percentuali sul totale nazionale rispettivamente pari al 12,9% e al 10,8%. Il Piemonte ha subito una diminuzione sostanziosa del numero di
aziende (-59,6%). Anche il Friuli-Venezia Giulia, la Liguria e la Lombardia perdono posizioni a seguito di rilevanti riduzioni del numero di aziende con allevamenti, in misura rispettivamente pari al 63,2%, al 59,3% e al 53,2%. Al contrario meno accentuata rispetto alla media nazionale è stata la riduzione di aziende nelle regioni centrali: in particolare, Umbria e Marche hanno visto diminuire il numero di aziende in misura significativamente inferiore al tasso di variazione registrato a livello nazionale. Nel Mezzogiorno sono la Sardegna e la Campania ad aver registrato la più contenuta riduzione del numero di aziende, in misura rispettivamente pari al 26,9% e al 28,0%. Nelle regioni settentrionali solo nella Provincia di Bolzano la riduzione è stata nettamente inferiore a quella media nazionale, pari al 12,2%. Il censimento del 2000 ha così rilevato che esiste una sostanziale parità nella distribuzione delle aziende allevatrici lungo il territorio nazionale, localizzate comunque soprattutto Nord-est e a seguire nel Centro e nel Sud, mentre il Nord-ovest ne comprende il 13% e le isole una quota pari a poco meno del 7%9.
9
Cfr. dati 5° censimento generale dell’agricoltura, Istat.
Variazione % diminuzione aziende con allevamenti Isole 18%
Nord Ovest 29%
Sud 17%
Centro 16%
Nord Est 20%
Media Italia: 38,6% Figura 11: Variazione percentuale della diminuzione aziende con allevamenti. Fonte: Istat, 1990-2000.
L’ultima componente ha carattere nazionale: si diffonde l’integrazione del settore primario con l’agroindustria10 e con un sistema distributivo moderno. L’agricoltura entra sempre più nei disegni di sviluppo dei sistemi locali mentre il quadro istituzionale di riferimento si arricchisce e si complica man mano che crescono le autonomie locali.
10
L’agroindustria è un tipo di agricoltura intensiva e moderna, fatta con macchinari e tecniche di coltivazione avanzate, sfruttando le concimazioni e i sistemi di protezione contro parassiti e funghi. E' tesa alla massima produzione possibile. Per questo è una sorta di "industria", perché sfrutta la meccanizzazione e le tecnologie applicata all'agricoltura.
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crisi alimentare e una crisi energetica, a causa dell’aumento dei prezzi derivante dalla speculazione; Una crisi ecologica, quest’ultima forse la peggiore delle tre, che va a inficiare direttamente l’ambiente e scatena reazioni a catena con tutti gli altri settori economici e politici; richiede risorse e azioni decise, attenzione e riguardi, e genera reazioni a catena con le altre crisi: per fare un esempio, i disastri ambientali richiedono misure d’emergenza, causano l’aumento dei prezzi dei beni di consumo e dei generi alimentari, con seguente difficoltà di accesso per alcune fasce di popolazione più indigente.
1.3. Una pianta dalle molteplici radici Viviamo in un mondo flagellato al contempo da tre crisi: Una crisi sociale, che vede una forte disparità tra paesi ricchi e paesi eufemisticamente chiamati “in via di sviluppo”, un aumento della povertà e delle disuguaglianze. Non mancano poi le crisi sociali interne ad ogni stato, quali le disparità salariali, le discriminazioni, la disoccupazione, l’assenza o la scarsità di politiche di welfare a sostegno degli individui, ecc.; La crisi economico-finanziara, alla quale – oltre quanto già visto – è da imputare anche una
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Crisi che si nelle aree l’ambiente tecnologie
rinforzano a vicenda: basti pensare che più povere si è portati a sfruttare in misura maggiore e con tecniche e più arretrate (quando non esistenti). La crisi economica non si è limitata a inficiare la forza delle economie mondiali, delle imprese e degli istituti bancari, ma ha colpito anche un settore considerato anticiclico come l’agricoltura, che proprio grazie a questa sua caratteristica è riuscita a contenerne parzialmente gli effetti, nonostante la già grave situazione di partenza del comparto produttivo e le difficoltà strutturali. La crisi economica e finanziaria – pur meno di altri comparti produttivi - ha proporzioni ugualmente drammatiche per l’agricoltura italiana
perché ne alimenta le già gravi difficoltà strutturali. È l’agricoltura delle regioni meridionali, in particolare, a soffrire ancora di più a causa della debolezza finanziaria delle aziende. I recenti dati pubblicati dall’Istat nel 2009 mettono in evidenza una disparità del 30% del valore aggiunto per addetto nel settore rispetto alle aree del Nord, compensato dal dato apparentemente positivo relativo all’occupazione.
120 miliardi di euro, pari all’anno precedente. Possiamo leggere questo dato come un altro segno della difficoltà del settore e in genere di una quadratura economica non certo delle migliori. In particolare, proprio nell’ultimo anno è venuta meno la spinta propulsiva delle esportazioni, mentre negli anni precedenti queste avevano contribuito in modo determinante alla crescita del fatturato agricolo. Osservando gli ultimi nel loro insieme, ad esempio, si evidenzia la tendenza all’instabilità dei mercati agricoli e una progressiva perdita di competitività, nonostante la qualità e le certificazioni delle produzioni. Le imprese agricole Dati questi presupposti emerge la necessità di rivelano la loro dipendenza alle materie prime iniziare una riflessione che, partendo dalle industriali ed emergenze contingenti della crisi energetiche: La crisi in agricoltura: economica, dia l’occasione per realizzare risorse instabili le un piano di rilancio della produzione cui oscillazioni sono Esportazioni agricola per intraprendere le azioni più Prezzi amplificate dagli efficaci per contenere il dilatamento della Diminuzione numero aziende strumenti finanziari Competitività crisi a tutti i settori, ma che nel frattempo e mettono in Margine di filiera lanci le basi per una riforma agraria discussione la Redditi agricoltori necessaria per via della debolezza natura anticiclica Fatturato intrinseca del settore. Un altro dato del settore. Frammentazione annesso alla crisi è il fatturato Infine, a S.A.U. in diminuzione dell’industria alimentare diretta completare questo Territorialità discendente di quella agricola - italiana quadro a tinte che nel 2009, secondo le stime di fosche c’è da Federalimentare, è rimasto all'incirca di
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annotare che la Superficie Agricola Utilizzata (SAU) va progressivamente riducendosi e gli addetti all’agricoltura sono sempre in diminuzione, indici anch’essi di difficoltà strutturali e scarsa incentivazione del settore a favore di altri settori produttivi. I tre effetti principali della crisi in agricoltura sono così riscontrabili nella: Diminuzione dei prezzi agricoli e del fatturato delle imprese; Peggioramento del margine di filiera; Allargamento della forbice tra prezzi al consumo e prezzi agricoli alla produzione e diminuzione dei redditi.
Il valore aggiunto11 del settore è diminuito del 5% per via della contrazione della produzione agricola e di una riduzione dei prezzi all'origine. I prezzi agricoli sono difatti diminuiti circa del 16% nel 2008 e circa del 6% nel 200912. La diminuzione dei prezzi e di conseguenza del fatturato e dei redditi è stata aggravata dallo sgonfiamento della «bolla» agricola del 2008, e la crisi economica ha appesantito la situazione delle imprese agricole. 11
Il valore aggiunto è la differenza tra il valore dei beni prodotti e il valore dei beni usati per produrli. Misura l'incremento lordo del valore di un bene ottenuto dall'attività produttiva. 12 Fonte: Istat, Eurostat, Agrinews, ZootecNews; statistiche riferite alla produzione e al fatturato agricolo nel 2008 e nel 2009.
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Come abbiamo rilevato già nel “Rapporto sullo Sfide dell’agricoltura: Stato Impatto ambientale dell’Agricoltura Aumento domanda del 2009”, la Efficienza energetica salita dei Contraffazione prezzi agricoli Qualità Prezzi si è sviluppata Progetti a lungo contemporane termie amente a quella del petrolio e degli altri prodotti energetici, nonché di tutte le materie prime. A ciò
si aggiunge sia una crescente competizione a livello europeo e mondiale, frutto della liberalizzazione degli scambi e della diminuzione dei costi di trasporto che hanno avuto un ruolo considerevole nella diminuzione dei prezzi agricoli sia il margine di filiera, cioè della differenza tra i prezzi al consumo e quelli all'azienda. Le sfide che accompagneranno l’evoluzione dei sistemi agricoli internazionali nei prossimi anni sono molteplici, certamente non facili ma non impossibili. Dalla necessità di soddisfare una domanda di cibo in aumento, fino a quella di contribuire alla sostenibilità dei processi di crescita incrementando il livello delle prestazioni ambientali fornite dagli agricoltori in termini di lotta al cambiamento climatico, risparmio idrico, produzione di energia rinnovabile, salvaguardia della biodiversità e degli ecosistemi in generale. In questo scenario, i prezzi dei prodotti agricoli stanno diventando sempre più fonte di preoccupazione e di disparità. La necessità di pesanti interventi nell’agricoltura si evidenzia allorquando le imprese agricole nostrane, per mantenere il mercato delle esportazioni, hanno usato la leva dei prezzi. Non senza un sacrificio non indifferente per gli utili. La leva dei prezzi bassi, quindi, è sembrata essere nell’immediato lo strumento più efficace per penetrare nei mercati esteri e mantenere un
mercato agro-alimentare che con difficoltà contiene la debolezza della domanda interna. Inoltre, nell’agricoltura italiana esiste un fenomeno irrisolto e peculiare del nostro sistema: quello della frammentazione del settore, delle piccole dimensioni delle aziende, della difficoltà a raccogliere fasce critiche di prodotti, a organizzare e organizzarsi per il mercato e, di conseguenza, a raggiungere mercati lontani che comportano salti qualitativi inaccessibili per la quasi totalità degli imprenditori agricoli. Da questi segnali e dati deve provenire anche un’altra riflessione: nessuna soluzione produttiva e organizzativa è sufficiente, se isolata, a soddisfare le esigenze di un’agricoltura complessa, “diversa”, fortemente geografizzata quando non 13 “personalizzata territorialmente” come quella italiana. Non basta una politica agroalimentare “qualsiasi” per questa agricoltura, perché c’è bisogno di una politica di progetto e una diversificazione più mirata per cogliere le diverse espressioni del territorio. Serve un ventaglio di opzioni, sperimentazione, soluzioni anche in antitesi fra loro, ma convergenti su un unico 13
Questo non è da intendere necessariamente e unicamente come un aspetto negativo dell’agricoltura italiana: la territorialità è caratteristica fondante della qualità e dell’immagine che i nostri prodotti hanno nei mercati nazionali, europei e internazionali, grazie alle associazioni forti e favorevoli che si hanno con l’idea del Made in Italy.
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obiettivo: mantenimento delle aziende sul territorio e del loro reddito, che ne è la condizione necessaria e sufficiente. Già durante il G8 dell’agricoltura, organizzato da Coldiretti, sono state avanzate proposte per ridimensionare gli effetti della crisi riversatisi sul settore agricolo che, in quanto garante del bisogno di cibo, dovrebbe essere un mercato a parte e meritevole di particolari garanzie. Le proposte erano dirette a incrementare la sovranità del settore, garantendo l’approvvigionamento e un’offerta in linea con le richieste di cibo. Le soluzioni da approntare riguardano anche la creazione di standard internazionali riguardo la sicurezza alimentare, la tracciabilità, la creazione di stoccaggi per disporre sempre di scorte e un’ottimizzazione di quelle esistenti. Occorre sostanzialmente intervenire per una riorganizzazione complessiva del settore. Per far questo, innanzitutto, gli obiettivi produttivi vanno connessi alle possibilità offerte dal mercato, con una ricerca che apra i propri orizzonti oltre confini consolidati e senza appoggiare interessi lobbistici. L'agricoltura è stata a lungo ingiustamente trascurata, mentre si affermano oggi le necessità di rivalutare l’attività primaria, inscindibilmente legata alla garanzia del cibo, l’adeguamento dei redditi degli agricoltori a quelli degli altri settori (commercio, terziario, artigianale) e di fare leva
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sulla ricerca scientifica (soprattutto genetica) e sull’innovazione tecnica per incrementare le produzioni unitarie. Ma soprattutto necessita di politiche strutturali e di imprese che facciano scelte strategiche e coraggiose, in grado di rilanciare la competitività e la produttività del comparto con scelte imprenditoriali basate su nuove strategie che mettano al centro la ricerca e l'innovazione.Con i dovuti investimenti ed una consapevole azione politica, una nuova agricoltura è dunque possibile.
1.3.1. I sostegni al settore È certo che il 2010, pur con alcune differenze, non mostra di scostarsi dall’incertezza legata agli eventi negativi legati al biennio 20082009 e che potrebbero quindi riemergere nel prossimo futuro. Il contesto economico mostra una situazione molto confusa che si riflette in tutti i contesti produttivi e quindi anche nel contesto agricolo. A confermarcelo è il Rapporto sullo Stato dell’Agricoltura14 del 2010 il quale analizza lo status quo della politica per il settore agricolo. Il sostegno al settore primario nel nostro Paese si articola su diversi livelli di competenze e responsabilità, e utilizza strumenti finanziari e regolativi molto differenti tra loro sia in termini di disponibilità di risorse sia per obiettivi e finalità. E non sempre gli interventi sono positivi: basti pensare alle multe che le aziende agricole sono costrette a pagare per esempio con le “quote latte” qualora queste vengano superate. Non è certo un incentivo alla produttività e all’aumento dei profitti di settore. Le azioni del legislatore e del decisore politico devono essere invece proiettate allo sviluppo e portate avanti – e simultaneamente – su più fronti. Innanzitutto, occorre sensibilizzare
il legislatore e il decisore politico a integrare obiettivi, interessi e calibrare le decisioni in un’ottica di lungo periodo; solo così, con la lungimiranza, si possono programmare adeguate politiche per il risanamento che diano risultati non solo nel breve termine. È infatti una prerogativa peculiare del decisore italiano quella di attuare “politiche dell’immediato” e “politiche dell’emergenza”, solo in situazioni che le richiedano ad hoc e che necessitino poi di continui aggiustamenti nel tempo15 piuttosto che adottare visioni a lungo termine e di prospettiva che snelliscano le procedure di ammodernamento. Inoltre, è opportuno favorire l’accesso al credito per le imprese in difficoltà, stabilendo anche incentivi per le imprese agricole che fanno innovazione, che massimizzano l’efficienza produttiva, che si rendono energeticamente efficienti o autosufficienti e pertanto a basso impatto ambientale. Nell’immediato, sul tavolo del decisore deve esserci però un pacchetto di politiche di intervento pubbliche per l'agricoltura e l'agroalimentare che garantiscano un quadro di regole condiviso da tutti gli operatori del settore e tutti gli stakeholder. Questo pacchetto di interventi deve permettere a tutti gli agenti della 15
14
Pubblicato da INEA.
Con notevole dispendio di tempo, risorse monetarie, lungaggini burocratiche che rallentano e appesantiscono i progetti di rinnovamento.
35
filiera agroindustriale di competitiva, attraverso:
operare
in
maniera
Il potenziamento dei controlli per il miglioramento del funzionamento dei mercati; Una maggiore trasparenza attraverso la sanzione degli abusi di posizione dominante e di posizioni speculative; Un intervento del Governo finalizzato alla definizione di un patto interprofessionale, il quale deve coinvolgere per intero le filiere agroalimentari per stabilizzare i rapporti professionali ed economici dal produttore alla GDO; La previsione e realizzazione di un piano di gestione per il settore che consenta alle imprese ed agli operatori del comparto di far fronte ai nuovi obblighi comunitari, tutelando allo stesso tempo le specificità e le tradizioni del nostro Paese attraverso investimenti rivolti alla ristrutturazione, l'ammodernamento, l'organizzazione di piani di gestione locale, la diversificazione delle attività e delle coltivazioni; Lo stanziamento di aiuti economici da parte dello Stato, autorizzati dall'Unione Europea, fino a 15.000 euro per impresa agricola, per aiutare le imprese agricole maggiormente danneggiate dalla crisi economica16. L’accesso al credito, il risanamento finanziario delle imprese agricole, 16
36
Seduta n. 320 del 12/5/2010 della Camera dei Deputati.
con l’allungamento del tempo di restituzione dei prestiti e condizioni favorevoli per evitare l’insolvenza; Agevolazioni fiscali per imprese agricole che operano in territori svantaggiati dal punti di vista climatico e ambientale; Una maggiore efficienza dei sistemi di certificazione, etichettatura e controllo della qualità e dell'origine dei prodotti.
USCIRE DALLA CRISI AGRICOLA aiuti economici
•accesso al credito •agevolazioni fiscali •allungamento tempi restituzione prestiti certificazioni •qualità e potenziamento controlli •lotta alla contraffazione del Made in Italy •etichettatura •tutela specificità territoriali gestione •programmazione azioni e gestione finanziaria •politica nazionale •ammodernamento e diversificazione attività
L’obiettivo deve essere la realizzazione di una politica interterritoriale la quale, nell'ambito di un piano nazionale d’intervento, fornisca regole, condizioni e tempi certi per uno sviluppo che tenga
conto della compatibilità17 e della salvaguardia del sistema agricolo nazionale, senza intaccarne le specificità ma non richiudendosi su di esse come unico baluardo dell’autenticità e della qualità. L’agricoltura poi ha la necessità di confrontarsi con un mercato non più solo locale ma internazionale e competitivo, dove è importante programmare gli scambi e pianificare le azioni di business; deve porsi più seriamente la sfida dell’internazionalizzazione e della competitività, puntando sulla qualità del Made in Italy per rilanciare le esportazioni.
1.3.2. Il contributo europeo I mercati agricoli mondiali sono alla ricerca di un equilibrio dopo l’aumento dei prezzi ma faticano a trovare stabilità. Gli aumenti nei mercati internazionali non 17
Alla luce della frammentazione del settore.
sono insoliti, ma sembrano tali agli agricoltori italiani ed europei solo perché, in precedenti occasioni, erano rimasti immuni dagli sbalzi grazie alla protezione offerta dalla PAC. La Politica Agricola Comunitaria (PAC) ha costituito sin dalle origini uno degli strumenti principali per la costruzione dell’Unione Europea18. Nata come riforma della politica agricola europea e delle politiche ambientali, è ancora un’opportunità unica per migliorare la qualità di vita dei cittadini europei a condizione di una produzione agricola efficiente e moderna. Oggi, a circa cinquant’anni dal suo avvio, è innegabile il ruolo della PAC come fattore accelerante nei processi di integrazione economica e sociale nei Paesi dell’Unione. I continui processi di revisione degli strumenti economici a disposizione della PAC sono stati accompagnati da modifiche finanziarie che hanno sostanzialmente ridotto il suo budget a disposizione, passando dall’89% di peso nel bilancio comunitario (comprensivo delle spese dello sviluppo rurale) del 1970 al 44% dell’attuale quadro finanziario. L’Italia, dal 1995 al 2009, ha in 18
Già dal 1957, col trattato di Roma.
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media ricevuto l’11% delle risorse. L’UE stabilisce tra le priorità della nuova PAC. Ruolo attivo sarà anche degli stanziamenti per finanziare il settore dato all'informazione, la quale dovrà (dovrebbe) agricolo. In media, gli aiuti per interventi sui comunicare ai consumatori le potenzialità, i rischi mercati agricoli si affermano su una quota del 10% delle nuove tecnologie e innalzare il livello del budget complessivo; in Italia questi conoscitivo della società. La divulgazione e la rappresentano quasi il 20% formazione si stanno affermando nelle per la numerosità e normative comunitarie in materia La PAC specificità del settore. Ad ambientale come strategie indispensabili innalzare tale quota vi sono per il raggiungimento degli scopi economici, Strumento di gli interventi in favore politici e sociali. La Pac, inoltre, intende programmazione dell’UE dell’ortofrutta e del settore promuovere una “connettività” che vada Acceleratore vitivinicolo, che – stando al di là delle reti telematiche, bensì nelle all’ultimo Rapporto di reti di impresa, di scambio di informazioni, dell’integrazione 19 Inea(2010) rispetto di aggregazione di soggetti imprenditoriali e economica all’Unione, assorbono in di ricerca diversi. Queste trovano già media il doppio della quota applicazione in molti settori, dove il modello Ruolo protettivo verso le comunitaria. organizzativo a rete si è mostrato l'unico in economie dei Paesi grado di garantire un efficace trasferimento La PAC sarà riformata: nel delle conoscenze e delle tecnologie anche ai membri 2013 scade l’attuale politica e dal 2011 ci sarà in piccoli imprenditori. cantiere quella nuova. Il problema che si pone è di che tipo sarà la nuova politica agricola e come si Una riformulazione della PAC votata all’apertura, presenteranno le aziende nel 2013. L'innovazione, alla modernità e all’alleggerimento delle pratiche. la conoscenza e il trasferimento tecnologico sono Semplificare sì, ma senza rimuovere gli strumenti oggi a disposizione della politica agricola 19 comunitaria, che anche dopo la riforma del 2013 Istituto Nazionale di Economia Agraria, nato nel 1928 è un ente pubblico di ricerca sottoposto alla vigilanza del Ministero per le Politiche Agricole, dovrà articolarsi su aiuti di mercato (livello macro) Alimentari e Forestali; svolge attività di ricerca, di rilevazione, analisi e e linee di sviluppo rurale (livello micro). Sostegni previsione nel campo strutturale e socio-economico del settore agroche si auspica non potranno essere inferiori a industriale, forestale e della pesca.
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quelli ora previsti, previo tracollo dell’intero comparto, e che dovranno essere indirizzati agli agricoltori professionali per valorizzare i molteplici ruoli sociali dell'agricoltura, dalla difesa dell'occupazione alla tutela dell'ambiente. Una riforma della PAC che potrebbe però nascondere alcune insidie. La prima, proprio la riduzione del budget destinato all'agricoltura dei paesi Ue (oltre 57 miliardi di euro) perché bisogna considerare dopo l’allargamento dell’Unione Europea a 27 membri – una redistribuzione delle risorse e quindi un possibile spostamento di queste verso i paesi dell'Est. Tradotto: una penalizzazione per i “paesi storici” dell’Ue, l'Italia Cosa fa la PAC fra questi.
Promuove semplificazione Soluzioni per valorizzare le
In imprese agricole conclusione, la crisi agricola Sensibilizzare opinione va affrontata pubblica una Incentiva la connettività e lo prospettiva più ampia sviluppo della “rete” fornita anche dalla PAC: la competitività e la crescita produttiva sono la sfida dell’Europa, perciò l’uso delle terre e delle materie
prime deve essere più appropriato e più efficiente. La PAC infine darà un contributo significativo anche alla riduzione dell’inquinamento causato dall’anidride carbonica responsabili dell’effetto serra e più in generale dei cambiamenti climatici. La nuova Pac ha pertanto l’occasione di: Cambiare l’attuale status quo stabilendo un supporto finanziario a livelli comparabili con i capitali impiegati per la ricerca e lo sviluppo da altri Paesi concorrenti; Promuovere un sistema che incentivi l’occupazione nel comparto ambiente anche attraverso il potenziamento della ricerca pubblica e privata; Approntare soluzioni appropriate perché le aziende agricole traducano le innovazioni in adeguamenti reali dell’impresa; Sensibilizzare l’opinione pubblica in merito ai risultati raggiunti dallo sviluppo tecnologico.
Timothy Hall, a capo dell’Unità per l'Agricoltura della Direzione generale della ricerca dell’UE, ha detto - durante un’intervista concessa a OPERA che il futuro del pianeta dipende dalla volontà di adottare strategie di lungo termine dove la scienza e i principi di precauzione e prevenzione abbiano una posizione rilevante nelle decisioni politiche europee. La competitività del settore si gioca sulla funzione assunta per la protezione delle risorse naturali, l’incentivazione della ricerca,
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investimenti in tecnologia e un migliore accesso al credito. Questi sono in sintesi i propositi alla base di quella che la Commissione europea ha definito, per la strategia economica prevista entro il 2020, la “crescita intelligente”. In realtà le risorse disponibili sono limitate a causa dell’insufficiente supporto dato in Europa ad altri strumenti quali la R&S, Ricerca e Sviluppo, asset fondamentali per il progresso tecnologico e scientifico del settore che non può certo prescindere dagli studi atti al miglioramento. La crescita intelligente dovrebbe essere supportata dalla trasmissione del sapere, mentre nella PAC questo modus operandi non è ancora a regime. Produzione e sostenibilità sono i motori della futura agricoltura europea. Perché essa proceda nella direzione prospettata, tutti i soggetti coinvolti nella Pac dovranno collaborare a creare un’appropriata strategia di comunicazione per rafforzare l’interazione con la società ancora poco informata sui servizi e i benefici che il mondo rurale può offrire.L’agricoltura europea ha dunque molteplici obiettivi che la rendono un settore “multifunzionale”: risponde alla funzione primaria di
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produrre cibo ma anche di preservare il paesaggio, così importante ai fini turistici e ambientali; di produrre biocombustibili, di regolazione delle economie rurali e di scala più ampia. La multifunzionalità deve essere realmente espressa, pena la riduzione della capacità competitiva sui mercati esteri; la stessa opinione pubblica deve essere più presente sui temi della sicurezza alimentare e della PAC; le attività di ricerca devono essere supportate e soprattutto applicate nella realtà. Infine tutti questi obiettivi devono essere sostenuti da fondi economici adeguati20.
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Questo significa che per mantenere gli stanziamenti almeno uguali ai precedenti occorre aumentare il budget da destinare al sostegno delle politiche agricole, in vista di una distribuzione dei fondi tra un maggior numero di Paesi membri dell’UE rispetto al passato.
1.4 Agribusiness (come uscire dalla crisi agricola) Già da molti anni le imprese agroalimentari si sono dovute rimboccare le maniche e trovare modi alternativi per sfruttare le risorse di cui sono in possesso. Non mancano nel business esempi che convincono che le idee e l'innovazione siano lo strumento sul quale far crescere gli affari dell'agricoltura; in altre parole, oggi l’agricoltura ha bisogno di un approccio multifunzionale e intersettoriale che tenga conto delle interconnessioni che esistono con la tutela dell'ambiente e la salvaguardia del territorio, con la sicurezza alimentare e la tutela della salute dei cittadini. A tutt'oggi manca un disegno organico di rilancio e sviluppo del settore agroindustriale, a differenza degli altri Paesi europei - in particolare Francia, Spagna e Germania che hanno predisposto una pianificazione strategica nazionale e hanno
stanziato ingenti risorse per sostenere il settore agricolo. Dal quarto Rapporto dell'Osservatorio Agri 2000 emerge un quadro di poca innovazione e scarsi investimenti nel settore da parte della politica21. Inoltre, negli ultimi anni si affacciato un nuovo e insolito fenomeno, ossia il land grabbing, una sorta di feudalesimo del Terzo Millennio e latifondismo moderno: per soddisfare la richiesta alimentare interna si coltivano terreni extra europei. Questi terreni vengono affittati o acquistati fuori dai confini europei sia da Stati (Cina soprattutto) sia da imprenditori privati e il fenomeno è così consistente che ha creato un mercato a sé stante, il “virtual agricultural land trade”, dove l’aggettivo “virtual” ci descrive la superficie impiegata per la produzione. Le imprese, in questo modo, esulano dai conteggi nazionali, sfuggono alle maglie fiscali ma soprattutto creano un’agricoltura in outsourcing, delocalizzata. L’origine non è solo fiscale, ma risponde a un più ampio bisogno di spazio che trova scarsa accoglienza negli Stati moderni, dove è la metropoli a guadagnare e 21
L'indagine è stata condotta su un campione di 1200 aziende.
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letteralmente erodere terreno con la sua espansione. L’urbanizzazione sottrae spazio e l’agricoltura, per trovarne e rispondere al deficit di aree coltivabili, è costretta a guardare ben oltre i confini nazionali. Anche il land grabbing, nel prossimo futuro, potrebbe entrare prepotentemente negli ordini del giorno del legislatore. Attualmente manca una disciplina in merito ne questo non fa che generare caos e indurre a far passare sottotraccia anche traffici illeciti22. Il mondo agricolo occidentale, per come noi lo conosciamo, subirà sicuramente cambiamenti nel futuro. Perché? Perché il clima, da cui l’agricoltura dipende così strettamente, subisce forti cambiamenti e, necessariamente, questi si ripercuoteranno sui raccolti e l’allevamento, costringendo anche a modificarli. Perché anche la crisi energetica, sorta in seguito al rialzo del prezzo del greggio, richiederà un investimento in energie rinnovabili che modificheranno la 22
A discapito poi dell’immagine dei prodotti stessi. Pensiamo per esempio al Made in Italy, che è motivo di vanto e certezza di qualità per i prodotti italiani, i quali resistono alla sfida dell’internazionalizzazione proprio grazie ad esso e alle percezioni positive che si hanno.
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fisionomia e l’essenza delle fattorie. E infine, perché anche il consumatore è cambiato: sono più informati e consapevoli, attenti nella gestione dei loro soldi e attenti alla qualità dei prodotti. Il futuro dell’agricoltura passa non solo attraverso la ricerca del nuovo, ma anche attraverso il miglioramento di ciò che già esiste e che può esser perfezionato e arricchito. Fatta salda la necessità di innovazione, il punto di vista qui proposto consegna il futuro dell’agricoltura (e l’agricoltura del futuro) a sviluppi e reazioni. Sviluppi, perché parliamo di fenomeni ed eventi già presenti che, nel tempo, hanno subito mutamenti e miglioramenti. Reazioni, perché l’agricoltura ha fatto di necessità virtù e ha trovato escamotages per sollevarsi dalla situazione di stallo e incertezza davanti a istituzioni assopite nei confronti dell’intervento, del cambiamento e della politica del fare.
1.4.1. Reazioni (a catena) Una delle sfide del futuro prossimo dell’agricoltura è quella originata dai progressi scientifici che si uniscono alla funzione principale cui risponde l’agricoltura, ossia l’alimentazione. Per rispondere alla sfida ai cambiamenti climatici, alle richieste alimentari della popolazione in crescita, ai danni – in aumento – causati da fattori abiotici (perturbazioni atmosferiche) e biotici 23 (insetti) sono necessarie una maggiore efficienza produttiva, adattabilità e resistenza agli stress ambientali. La soluzione a questi problemi si trova nelle biotecnologie, o meglio biotecnologie integrate avanzate. Queste sono sviluppate grazie al contributo congiunto della chimica e della biologia. Sono biotecnologie funzionali alla nuova agricoltura sostenibile che solo laboratori internazionali di avanguardia sono finora in grado di realizzare, non senza inquinare a loro volta. Le sostanze chimiche utilizzate in agricoltura, in special modo i fertilizzanti (principale causa dei
gas serra) e gli agro farmaci devono essere in futuro prodotti in formato “green”. In altre parole, vanno ridotti al minimo i costi energetici e gli impatti ambientali generati dalla produzione delle tecnologie chimiche, compresi i componenti dei formulati e le emissioni di gas, e monitorati durante tutto il loro ciclo di vita24. I costi per lo sviluppo e l’autorizzazione di queste tecnologie devono trovare un riscontro di mercato che troppo spesso manca per via di politiche interne restrittive, di scorrette politiche agrarie e di un mercato poco trasparente, traballante ed incerto. L’agricoltura deve essere sostenibile e la chimica è protagonista della rivoluzione agraria che, in questo periodo storico, ha ruolo centrale per risolvere i nuovi problemi di sviluppo sostenibile a livello mondiale. È un’esigenza sociale ma anche imprenditoriale: gli investimenti in biotecnologie oggi partono soprattutto dalle grandi imprese private chimiche e di biotechnology, ma anche dalla politica e
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Ad esempio nuovi parassiti, carenza di acqua e fenomeni di desertificazione.
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Comprensivo di trasporto, uso e gestione dei residui.
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dall’economia reale devono aprirsi strade verso gli investimenti per guidare lo sviluppo sostenibile del Pianeta. Utilizzando una vision di “agribusiness”, di business che ha come cardine e obiettivo l’agricoltura, di ricerca mirata per il miglioramento del settore è possibile l’innovazione necessaria a fare un salto di qualità. La ricerca biotecnologica applicata all’alimentazione lavora su due direttrici principali: il miglioramento della qualità degli alimenti e il loro arricchimento dal punto di vista nutrizionale. In tutto il mondo, le biotecnologie rappresentano una straordinaria opportunità di sviluppo e, con le loro potenzialità, anche di progresso sociale. Inoltre, l’ingegneria genetica permette di adattare le piante all’ambiente nel quale sono coltivate e non utilizzare coltivazioni solo in base al clima o alla stagione e in sostanza a una stretta dipendenza dall’ambiente. La genetica applicata alle coltivazioni applicherebbe nuovi attributi funzionali ai prodotti delle aziende agricole, creando per esempio prodotti resistenti alle intemperie che condizionano l’esito di raccolti e allevamenti, con conseguenti (forti) oscillazioni dei prezzi nella GDO, o prodotti ad alto contenuto nutritivo, o ancora modelli vegetali immuni da malattie microbiche. L’attesa è che l’incremento delle rese ottenuto grazie alla ricerca possa contribuire al 70% del previsto aumento delle
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Agrobiotecnologie produzioni25.Lo PRO: scopo è quello di Adeguamento ambiente rispondere al a colture crescente bisogno Resistenza ad agenti di cibo che atmosferici & biologici Soddisfacimento accompagna la domanda cibo crescita Massimizzazione demografica ma produttività terreno che è inversamente CONTRO: proporzionale alla Incertezza disponibilità di terre Scarsa informazione da destinare Mancanza investimenti all’agricoltura. Altri Previsione della le considerano una biodiversità Resistenza culturale scommessa piena di incognite e incertezze. Tra queste due posizioni, opposte, trova spazio una categoria ben più numerosa composta dalla stragrande maggioranza dei cittadini che assistono con difficoltà a polemiche, non sempre di facile comprensione, su temi che, sebbene li riguardano direttamente - come la sicurezza alimentare, l’ambiente, la qualità della vita – sembrano distanti proprio per la forma in cui vengono affrontati. Queste difficoltà sono del tutto giustificati e 25
Come da ricerche dell’OECD, 2007 e della FAO, 2010.
giustificabili. Molto spesso, il modo con il quale si è affrontato il tema delle biotecnologie, ed in particolare quello degli organismi geneticamente modificati, non ha contribuito per nulla ad aumentare il livello di informazione e di consapevolezza nel grande pubblico. In altre parole, si può affermare che, all’impegno profuso nel confrontare opinioni sulle agrobiotecnologie, non è collegato un eguale impegno nello spiegare che cosa esse realmente siano, rappresentino e quali possano essere le applicazioni e gli sviluppi futuri. Il tema delle biotecnologie - come del resto ogni altro tema scientifico e tecnologico - è di per sé ampio e complesso e non ammette facili semplificazioni: chi se ne lascia sia il suo scopo, non offre un buon servizio alla comunicazione né alla collettività. È invece un dovere informare con completezza e imparzialità, fornendo tutti gli elementi utili a una valutazione obiettiva e offrendo anche, se necessario, strumenti interpretativi di base e definizioni essenziali per orientarsi in informazioni di carattere scientifico e tecnico su cui spesso vigono pregiudizi. La scarsa familiarità con questo tipo di informazioni ha probabilmente contribuito a condizionare non poco la comprensione e la stessa accettazione delle biotecnologie con conseguenze negative, in particolare in Italia, sulle prospettive di sviluppo di un settore scientifico e tecnologico dai risvolti
promettenti in termini economici e scientifici e capace di offrire benefici alla società, all’alimentazione, alla salute, all’ambiente. La paura della sofisticazione dovrebbe cadere nel momento in cui si comprende quanto e come le biotecnologie alimentari possono avere ampie garanzie di sicurezza, sottoposte come sono a rigidi controlli. Quella sulla sicurezza alimentare insomma è una battaglia su più fronti. La genetica è parte fondante del futuro e delle innovazioni dell’agricoltura e dell’avanzamento scientifico, ma il timore per la sofisticazione e per “non sapere cosa stai mangiando” è un grosso freno per la ricerca (oltre agli investimenti in ricerca, ovviamente). Questo è decisamente un possibile scenario delle agricolture del futuro, ma prima sono da pianificare le azioni necessarie per raggiungere la sostenibilità delle pratiche agricole: queste oltre che sostenibili dovranno essere intensive. Si presenta pertanto anche il problema della riqualificazione delle terre e della sostenibilità ambientale e la necessità che le nuove varietà o le nuove specie resistano agli stress. Un lato invece negativo delle biotecnologie è che queste necessitano della preservazione della biodiversità, perché fonte di geni.
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1.4.2. Made in Italy Nessuno, in Italia, vorrebbe fare il contadino. Eppure la nostra terra nasconde mille risorse e tesori ancora da scoprire. Il “made in Italy” è diventato col tempo sinonimo dell’eccellenza produttiva italiana. L’interesse verso il settore agroalimentare è in aumento e ha avuto effetti rilevanti sul panorama normativo. L’apposizione della dicitura “made in” permette di identificare il luogo di fabbricazione di un determinato prodotto ed è pertanto riconducibile all’accertamento dell’origine dello stesso. Altra questione26 è la tutela dei prodotti “a denominazioni d’origine”, elemento imprescindibile per la tutela del patrimonio agroalimentare italiano. È la caratteristica di territorialità intrinsecamente connessa coi prodotti che deve essere in qualche modo comunicata e trasmessa per potenziare quello che possiamo definire “valore di brand”. Negli ultimi anni, infatti, la comunicazione ha esaltato il valore della salubrità dei prodotti alimentari, tuttavia è ormai necessario considerare anche la sicurezza alimentare come fattore cardine della qualità, inoltre è altrettanto importante evidenziare il ruolo centrale dell’agricoltura per la conservazione e la protezione del paesaggio. Dopo 26
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Aperta già dai congressi di Confagricoltura.
la perdita di competitività a causa dei prezzi e dell’economia instabile, si teme la riduzione del sostegno all’agricoltura da parte dell’Europa (mediante PAC e politiche agronome generalizzanti) e l’apertura delle porte a prodotti d’importazione, senza alcuna tutela per l’export dei prodotti di maggiore qualità. Sarebbe una sconfitta, non solo per gli agricoltori, ma anche per tutti coloro che hanno indicato la via della qualità come l’unica soluzione percorribile per avere prospettive future. La politica di rilancio del Made in Italy deve coinvolgere così l’intero territorio e non soffermarsi a livello locale, spesso nemmeno recepito all’estero. Nel mercato estero sono pochi i casi in cui effettivamente si conosce una produzione locale, mentre la denominazione “Made in Italy” favorisce certamente associazioni positive condivise. Una politica di pianificazione di “riconoscibilità di brand” deve dapprima garantire la base di favore più ampia possibile al territorio nazionale per superare la frammentazione che è invece la caratteristica del settore. In altre parole, piuttosto che puntare a poco consociute eccellenze territoriali, per rilanciare le esportazioni meglio puntare sulle eccellenze nazionali. Senza che, di
nuovo, basti l’etichetta tricolore a garantire la qualità in default. Un’altra emergenza importante è contrastare i falsificatori del Made in Italy, battere l’arretramento, la debolezza dei consumi, incentivare lo sviluppo locale e soprattutto l’aggregazione delle piccole realtà territorializzate. E questo si fa con il sostegno ai lavoratori di ogni ordine e grado del settore, la sua valorizzazione, favorendo una cultura “positiva” del settore agricolo, più estesa, più conosciuta, più in Spesso ci si cela dietro le denominazioni territoriali come se queste fossero automaticamente indicatore di qualità. In Italia, l’agricoltura è un “Paese per vecchi”: abbiamo un impiegato giovane, under 30, ogni 12 che sono over 65. Questo perché l’agricoltura ha mestieri duri e in pochi si sentono
di scommettere sul settore; di conseguenza non si potenziano i mille risvolti di una produzione senza eguali. L'agricoltura italiana di qualità non può, non deve e soprattutto non vuole diventare "un paese per vecchi": se si desse valore all'entusiasmo che in tanti – e specialmente i giovani, che hanno il coraggio di rischiare e osare soluzioni innovative per gestire questo ”agribusiness”, si potrebbe considerare il comparto come uno dei più sani e potenti mezzi per reagire alla crisi. Anche così il made in Italy eviterà di diventare un'etichetta inutile e vuota, e sarà sempre meno facile imitarlo.
1.4.3 Sviluppi L’Italia rispetto al resto d'Europa, è arretrata per tecnologia informatica, posizionandosi a fianco di Bulgaria e Romania. La delocalizzazione di una parte, negli anni scorsi, del nostro sistema industriale per ora non ha favorito come si sperava
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la penetrazione dei nostri prodotti in altri Paesi 27. La sfida che si presenta è: aumentare il reddito e avere servizi finanziari all’altezza, migliorando l'accesso al credito per investire in agricoltura altrimenti la modernizzazione del settore non può avvenire. Ma non è questo il solo punto di arretratezza o di difficoltà del nostro sistema agricolo. L'attuale stasi produttiva e la limitata disponibilità di terre coltivabili28 porterà probabilmente ad una nuova crisi dei prezzi e della disponibilità alimentare su scala globale. Considerando queste prospettive la Commissione europea ha proposto la conversione dell'Europa entro il 2020 alla “bio-economy”, un’economia economicamente e biologicamente sostenibile la quale rappresenta allo stesso tempo un cambiamento concreto che tutela l’economia reale di mercato e un sistema sostenibile che impieghi efficacemente le risorse biologiche e rinnovabili.
Recenti stime dell'OPERA29 prospettano per la bioeconomy un mercato potenziale superiore a 1500 miliardi di euro in Europa e un numero di posti di lavoro oltre i 22 milioni. Un'economia agricola “verde” potrà contribuire allo sviluppo costiero, rurale e alla soluzione di problemi quali la sicurezza alimentare, i cambiamenti climatici e la riduzione delle risorse disponibili. L'Europa ne trarrebbe beneficio, per di più, uscendo dallo stato di importatore di derrate alimentari, migliorando la propria posizione nel campo delle ricerche e innovazioni biologiche 30 che, almeno in Italia, non rappresentano una priorità del decisore, delle tecnologie e nel contesto economico globale. Un altro punto riguarda la filiera agroalimentare e i rapporti che si sviluppano tra gli operatori in essa inseriti: nel corso degli ultimi anni il tema della filiera è tornato ad attirare le attenzioni degli operatori di settore. È già in atto 31 la convenienza a trasformare le specie agrarie annuali in perenni, o comunque pluriennali e tali da occupare il terreno agrario per periodi temporali molto lunghi. Questo comporta nel breve tempo una riduzione dei costi, specializzazione produttiva
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Fatto salvo per il settore vitivinicolo e caseario, da sempre punta di diamante del nostro export, in cui è evidente l’indispensabile contributo del nostro “Made in Italy”, associazione positiva che innegabilmente si presta a salvare una piccola parte della nostra economia. 28 Come abbiamo già visto, questo bisogno di terra si esprime con il land grabbing.
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OPERA - European Observatory on Pesticide Risk Analysis. Le stime sono del 2009 30 Favorendo opportunamente la ricerca. 31 Come abbiamo visto dai dati precedenti relativi alle tipologie di colture e alla loro diffusione.
ma, in caso di cattiva riuscita del raccolto o dell’allevamento (per via di malattie o fattori climatici) un tracollo di un’intera produzione. Un’equa ripartizione del valore tra gli attori economici, la moltiplicazione dei prezzi dalla fase agricola alla vendita finale, la valorizzazione delle produzioni nazionali rappresentano tutti risvolti della stessa medaglia: l’efficienza della filiera agroalimentare, o meglio, delle molteplici filiere agroalimentari che compongono il settore primario. Una filiera efficiente permette maggior competitività del prodotto: questa fa da base a una giusta suddivisione del valore aggiunto tra i vari settori e, di conseguenza, aiuta la sostenibilità economica delle imprese. Un’altra proposta, avanzata già da Coldiretti, riguarda l’istituzione di una filiera “tutta italiana”, che trasferisca direttamente dal produttore al consumatore tutti i valori di genuinità e freschezza del prodotto italiano e riducendo i costi per i molteplici passaggi dal produttore alla GDO, invertendo la tendenza di lievitazione dei prezzi. In
parte, se non in maniera istituzionale, una cosa simile già avviene: sono aumentati i consumatori che acquistano direttamente da piccoli coltivatori locali, perché sono consapevoli di comprare ad un costo inferiore e con una qualità indiscutibile. La conseguenza diretta è la ricerca di nuove modalità di vendita che consentano la riduzione del divario tra il prezzo del prodotto nelle prime fasi della filiera e il prezzo al consumo. I farmers’ markets, o mercati degli agricoltori, sono esempi di vendita diretta dal produttore al consumatore che rispecchiano i principi della “filiera corta”. Essi nascono e si sviluppano per contrapporsi alla cosiddetta “filiera lunga”, nella quale, in termini generali, il prodotto agricolo è intermediato da uno o più operatori. La filiera corta si sta oggi riscoprendo per l’importanza del rapporto diretto tra chi produce e chi acquista. I mercati degli agricoltori, nati per motivi non solo di ordine economico ma anche sociale, si prefiggono principalmente di: Incrementare la produzione agricola a livello locale, facendo nascere nuove aziende e promuovendo i prodotti locali; Dare agli agricoltori una via alternativa di commercializzazione;
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Permettere agli agricoltori e ai consumatori di trattare gli uni con gli altri, consolidando il rapporto di fiducia ed evitando intermediari; Fornire un forum di istruzione ai consumatori, insegnando loro, ad esempio, cosa è la certificazione del prodotto e come si ottengono i prodotti.
Tre sono le figure che caratterizzano i farmers’ markets: il venditore, il manager del mercato e il consumatore. Gli agricoltori che desiderano partecipare a un mercato agricolo devono possedere determinati requisiti, quali: L’azienda deve essere situata all’interno dell’area geografica in cui si realizza il mercato per assicurare ai consumatori un prodotto di origine locale e favorire le aziende del loco e non altre; Almeno il 75% dei prodotti deve essere prodotto dall’agricoltore/ venditore, o sotto la sua diretta supervisione; L’agricoltore può essere direttamente venditore o delegare uno o più dei suoi familiari per la vendita; Per diventare venditore, l’agricoltore deve compilare un modulo e pagare una tassa per la vendita diretta, oltre a sottostare ai controlli sanitari delle strutture competenti; La domanda di partecipazione al mercato agricolo verrà valutata ed eventualmente accettata dal manager del mercato;
Infine, la violazione dei regolamenti comunali ed interni al mercato comporta sanzioni di tipo pecuniario
Una seconda figura importante del mercato agricolo è il manager, il quale incarna il pilastro portante del mercato, infatti su di lui gravano diverse responsabilità tra cui:
I
La selezione e registrazione32 dei venditori; farmer’s market: L’assegnazion Esempi di vendita diretta e degli spazi; Migliorano i rapporti tra La raccolta e il produttori e pagamento di tasse produttori\consumatori e contributi; Incrementano produzione L’amministrazi agricola one delle finanze del mercato; Riducono i prezzi al La dettaglio somministrazione di Promuovono un consumo ammende per chi responsabile e di qualità non rispetta norme regole; Rispondere alle domande e ai reclami sia dei venditori che dei consumatori; Pubblicizzare il mercato contattato i media locali.
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Giornaliera e stagionale.
L’ultima figura, non meno importante, è quella del consumatore. Le principali aspettative del consumatore tipico sono quelle di poter acquistare un prodotto qualitativamente migliore rispetto agli altri unti vendita e a prezzi relativamente più bassi. In genere, gli acquirenti utilizzano il farmers’ market soprattutto per consumare prodotti freschi, ma anche per usi alternativi quali congelamento e confezionamento. Anche in Italia, così come in altri paesi europei e non, sono state prese in considerazione le opportunità offerte dalla filiera corta. L’intento dei farmer’s market è quello di promuovere e sostenere quell’insieme di attività che prevedono un rapporto più diretto tra produttori agricoli ed utilizzatori finali dei prodotti e che il consumatore sia più informato e consapevole. A ciò si può aggiungere una motivazione a carattere ambientale, prodotta dalla riduzione dei trasporti dei prodotti venduti nei mercati e dalla conseguente minore incidenza dell’inquinamento e dei prezzi sul carburante nel prezzo finale. Da sempre ci si è avvalsi di macchinari – rudimentali o avanzati – per agevolarsi nel lavoro agricolo, sia esso relativo alla coltivazione o
all'allevamento. Col progresso tecnologico e l'adozione di moderne – soprattutto per la coltivazione – tecniche di semina, irrigazione e raccolta i macchinari si sono via via resi più complessi. Questo, se da una parte ha provocato un aumento della produttività e soprattutto un miglioramento della gestione delle procedure, ha causato progressivamente anche la perdita di posti di lavoro. Non possiamo però pensare a un'agricoltura moderna e competitiva che però non utilizzi e migliori le proprie attrezzature agricole e zootecniche. Nel futuro dell'agricoltura, parallelamente ai processi di R&S, deve esser portata avanti un'innovazione tecnologica che coinvolga anche gli strumenti di lavoro, non solo l'output. La tendenza all'aumento di attrezzature e al loro impiego è evidente. Eppure, paradossalmente, se ne vendono sempre meno. Il motivo – anzi, i motivi – di questo calo sono due: dapprima, la qualità dei macchinari che fa sì che questi durino per molto tempo; poi, la situazione economicamente instabile delle aziende agricole che, a scapito dell'innovazione e del miglioramento produttivo, si vede costretta a utilizzare attrezzature di seconda mano – alimentando il
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mercato dell'usato – o semplicemente a tenere per più tempo del dovuto gli stessi macchinari. Abbiamo la certezza confrontando i dati relativi al primo semestre 2010, rispetto all’analogo periodo del 2009: in Europa le vendite dei trattori sono calate del 17,8 %, quelle dei mietitrebbia del 31,9 %, e quelle delle macchine per la fienagione del 17,2%.
Decisamente diversa si presenta la situazione in Nord America, dove i trattori sono in crescita del 21%, le mietitrebbia dello 0,5% e solo la fienagione è in calo del 6,5%: dati che confermano quanto lo stato più potente del mondo abbia voglia di svegliarsi dal torpore, riprendersi l’egemonia economica pre-crisi e innovare per esser ancor più produttivo e competitivo, sanando il gap creato in questi 3 anni di instabilità. Figura 10: Variazione % vendite attrezzature agricole in USA nel biennio 20092010. Fonte: Rapporto Inea 2010
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15
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Mietitrebbia
Fienagione
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Figura 11: Variazione % vendite attrezzature agricole (-n) nel biennio 2009-2010 in Italia. Fonte: Rapporto Inea 2010
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Trattori
Mietritrebbia
Fienagione
-10
C’è anche da considerare che, investendo forti somme in R&S, le attrezzature sono d’avanguardia. Vuol dire, ad esempio, che la nuova meccanizzazione a basse emissioni, poco inquinanti, più sicura, fisicamente meno invasiva per gli operatori non entra nelle aziende agricole europee, e di conseguenza l’agricoltura subirà un
ritardo tecnologico, destinato a pesare su competitività e costi, che si aggiungeranno a tutti gli altri problemi già delineati. In Italia, poi, sono pochi le aziende agricole che stanno sperimentando nuove strumentazioni a basso impatto, per esempio alimentate a olio di colza; per incentivarne l’utilizzo, si dovrebbero approntare incentivi per l’acquisto di macchinari tecnologici e “verdi”, come è già successo per le automobili e gli elettrodomestici. D’altra parte, si dovrebbe fare come molto tempo fa, quando l'agricoltore coltivava l'avena per i cavalli che tiravano gli attrezzi. Quello che preoccupa l’agricoltore e l’imprenditore agricolo è sostanzialmente il costo iniziale di produzione, dovendo destinare parte della terra alla coltivazione di biocarburante e l’aumento di produzione di biomasse da utilizzare anche a fini energetici. Un risparmio di suolo agrario può compiersi evitando la messa in coltura di nuove terre e, quindi, privilegiando l’intensificazione delle colture già impiantate. Crisi energetica, costo dei carburanti di origine fossile, inquinamento e cambiamento climatico legato all'emissione nell’atmosfera di gas serra favoriscono l’interessamento per le fonti
energetiche rinnovabili. Tra queste, le biomasse agro-forestali (legno, scarti delle imprese agroalimentari, residui delle potatura, delle deiezioni zootecniche, ecc.) possono risultare decisive per ridurre il consumo di fonti energetiche fossili non rinnovabili e dai costi sempre più elevati. A differenza delle altre fonti energetiche della numerosa famiglia delle rinnovabili, le bioenergie esprimono una più profonda relazione con il territorio e non necessitano di nuovi impianti (come fotovoltaico o eolico). La produzione e il rifornimento delle materie prime coinvolgono le imprese agricole e forestali che possono contribuire alla creazione di filiere bioenergetiche, dalle quali trarre opportunità di reddito. Basta riconvertire parte delle proprie coltivazioni, anche se ciò è più facile per le imprese agricole più grandi: ancora una volta, le piccole dimensioni delle aziende agricole rappresentano una difficoltà da sommare a tutte le altre mentre si percorre la via dello sviluppo. Non è finita qui: cosa hanno in comune un impianto fotovoltaico e un uliveto secolare? Apparentemente niente. In realtà è in fase di start up un progetto che accoppia l'installazione di impianti fotovoltaici e la coltivazione di prodotti agricoli; l'idea di base è quella di creare
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un connubio tra territorio, riqualificazione ambientale, tradizione locale e produzione di energia pulita. Il fotovoltaico sta diventando un grande business sul quale investire in vista del risparmio economico oltre che energetico e, per il futuro, un investimento a lungo termine per la salvaguardia del pianeta che sposa in pieno i principi della green economy. In effetti, l'installazione di impianti fotovoltaici stanno aumentando a ritmo serrato, e se in passato occupavano porzioni di terra che avrebbero potuto esser destinate a usi agricoli e zootecnici…perché non unire le due cose? Sono attività che possono esistere in simbiosi e anzi, massimizzano l’efficacia e l’efficienza di una fattoria limitandone i costi non solo sul medio-lungo periodo. Biomasse e fotovoltaico sono solo due esempi del panorama del futuro per le imprese agricole, che si avviano sulla strada dell’autosufficienza energetica. Le fattorie del futuro abbracceranno i principi dell’ambientalismo e della green economy, saranno energeticamente autosufficienti e meno inquinanti e produrranno
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autonomamente i watt necessari per le loro attività. E anzi, l’avere spazio destinato agli allevamenti potrebbe solo rappresentare un canale in più di produzione di energia, tramite i gas o la raccolta e lavorazione dei prodotti di scarto biologici di origine alimentare animale. Un’altra via percorribile per riciclare e utilizzare risorse già presenti nelle imprese agricole (che altrimenti andrebbero gettati, inquinando) a scopo energetico sono i residui di lavorazione del legno, attualmente impiegati soprattutto per il riscaldamento domestico, per il quale esiste già un adeguato piano di incentivi e sgravi fiscali33. Nel futuro prossimo l’emergenza ambientale sarà imprescindibile e la svolta verde per l’energia elettrica delle imprese agricole diverrà prassi quotidiana.
1.4.4. Road to Innovation La parola chiave per far rinascere le imprese agricole è innovazione. Innovazione ovunque, in ogni elemento e 33
A livello domestico, per esempio, chi utilizza stufe a pellet riceve sgravi fiscali per il basso impatto ambientale del riscaldamento.
soggetto dell’impresa. Soprattutto, fare innovazione concretamente. Troppo spesso, infatti, si dice di voler fare innovazione ma poi, all’atto pratico, si preferisce tornare su vie già battute che, a conti fatti, hanno portato anche le gravi situazioni di instabilità che viviamo oggi. E, se l’innovazione non parte dal basso, spetta ai dirigenti concretizzarla. In altre aree del mondo si verifica un contrarsi del numero delle aziende agricole, ma contemporaneamente vi è una richiesta di innovazione diretta e introdotta in aziende più grandi ed efficienti. Questo non avviene in Europa, a giudicare dai dati che emergono; ed è questa la grande preoccupazione. Una contrazione che indebolisce quantitativamente, strutturalmente, culturalmente le aziende agricole. È fuor di dubbio che nel futuro delle imprese del settore primario deve esserci un approccio positivo. Non bisogna preoccuparsi della scadenza del 2013 che molti vedono con incertezza per il cambiamento (la fine?) del sistema legato ai sostegni comunitari. L’innovazione, la tecnologia, è cultura d’impresa; se questo non avviene perché il
reddito degli agricoltori è basso, o per difficoltà a interpretare e credere al proprio ruolo sociale e imprenditoriale, ne consegue un impoverimento che porta ad abbandonare il “gusto del rischio”, che fa dell’agricoltore un imprenditore a tutti gli effetti. Come riportato sul bollettino del 2010 dell’INEA, sul fronte dell’export agro-alimentare si osservano miglioramenti nelle vendite all’estero: nel primo semestre, rispetto al 2009 - anno nero per il nostro agro-alimentare all’estero – l’export è arrivato a circa il 10,2%. Investire in ricerca e sviluppo è uno dei pochi modi per rendere e mantenere competitiva una realtà aziendale. Una sfida così importante deve obbligatoriamente essere accompagnata da un più forte ruolo imprenditoriale del settore produttivo, da un maggiore impegno e consapevolezza da parte degli organismi di governo del territorio e degli attori locali. Consapevolezza, voglia di cambiare e coraggio sono requisiti non sempre presenti nel panorama imprenditoriale agricolo italiano. Già il Rapporto di Agri 2000 ha evidenziato poca attitudine delle imprese a “mettersi in rete”. Le innovazioni introdotte hanno riguardato per il 47% la categoria mezzi meccanici e attrezzature, mentre il 25% ha introdotto impianti per la produzione di agro energie, in particolare fotovoltaico e biogas. Il 16% delle innovazioni ha riguardato la scelta di nuove varietà caratterizzate
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da elementi di resistenza ad alcune malattie delle piante e da una maggiore coerenza alle richieste del mercato. Dal rapporto risulta che nel 2010 solo il 29% delle imprese agricole professionali ha introdotto innovazioni nel proprio processo produttivo; del 71% di imprese che non ha introdotto innovazioni nel 2010, il 40% non ha potuto farlo, pur avendolo programmato, per ragioni dipendenti dalla crisi dei prezzi dei prodotti agricoli con conseguente peggioramento delle previsioni di rientro degli investimenti, e dalla difficoltà di accesso al credito bancario. Un altro dato che fa riflettere è quello relativo alla pianificazione aziendale: solo il 47% degli intervistati afferma di avere pensato a strategie di sviluppo per i prossimi 3 anni, mentre il restante 53% non ha una strategia pianificata. E si tratta del 53% di quelle aziende che già vengono ritenute professionalment e più avanzate. Dall’indagine emerge che solo
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il 4% delle aziende agisce in modo tale da essere in rete, cioè: Si interroga sui costi aziendali; Guarda al futuro con una prospettiva aziendale di almeno tre anni; Si confronta con altre imprese del settore;
Si preoccupa di capire qual è la collocazione del proprio prodotto nei punti vendita.
Qual è il vantaggio di “stare in rete”? Un imprenditore “chiuso” pensa solo al prodotto, uno “aperto” ha un occhio anche per il mercato, uno in rete è cosciente di tutto ciò che manca alla sua impresa per arrivare al consumatore ed è interessato a fare partnership per acquisire relazioni con tutti i soggetti. Essere in rete paga. E fa cultura organizzativa, migliorando le performance aziendali.
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CAPITOLO 2: IRRIGARE Cogliere la corrente; puntare sull’apertura e sulla partecipazione; passare dl luogo (hic et nunc) allo spazio (aperto, fluido, collaborativo); essere e sentirsi liberi grazie anche alle nuove tecnologie di comunicazione, che facilitano gli spostamenti “immateriali” e consentendo il dialogo anche con chi è distante da noi; pensare al consumatore e ai suoi bisogni, magari anticipandoli e soprattutto anticipare le mosse dei competitor di mercato; cogliere ogni opportunità; avere idee innovative. In altre parole, il contesto di riferimento è quello della New Punti cardine della New Economy, che si Economy differenzia dall’economia 1. Privilegiare il web “industriale” perché 2. Puntare al massimo permette di operare 3. Puntare sul flusso 4. Efficienza, prima che in un contesto opportunità globale, riducendo i 5. Cogliere la corrente costi di gestione e 6. Massimizzare i profitti consentendo alle 7. Cercare l’abbondanza imprese di non 8. Prendere i consumatori migliori essere vincolate 9. Dal luogo allo spazio dallo spazio fisico 10. Scegliere la libertà dell’ufficio. Castells (in “La società in rete, 2002, pag. Figura 12: punti cardine della new economy
109) l’ha definita come
Economia in cui le componenti centrali hanno la capacità istituzionale, organizzativa e tecnologica di operare come un’unità in tempo reale o scelto su scala globale.
La new economy è nata ormai da circa 25 anni in seno alle imprese della finanza e dell’informatica che ne hanno fatto la chiave per la diffusione del loro business model, dei loro prodotti e processi incrementandone la crescita e la produttività e modificandone le dinamiche strategiche e procedurali; ed è proprio la tecnologia ad averne permesso la creazione e l’estensione, per l’incremento dei profitti e del raggio d’azione. È una caratteristica soprattutto dei Paesi più
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sviluppati, quella della New Economy, che ha profondamente modificato gli asset materiali e immateriali delle aziende stesse e modificando anche i caratteri connotati del capitalismo perché ha spinto le imprese a cercare nuovi mercati. Le differenze principali sono sostanziose: le imprese della New Economy nascono nel mercato globale, riducono i costi di gestione e non sono vincolate allo spazio fisico dell’ufficio. La New Economy si basa su idee innovatrici in possesso dei membri dell’impresa, sull’informazione come merce di scambio e pertanto monetizzabile, il software e in genere le tecnologie. E non potrebbe esistere senza la comunicazione: per questo, spesso la New Economy viene anche definita Internet Economy o Net Economy. Il suo punto di forza è la connessione, ovunque è il suo luogo, massimizzare è la sua mission. Difficile per le imprese non vederne i lati positivi. Non è esente da lati oscuri, e il principale risiede proprio nella sua mutabilità, nel suo “adattarsi al flusso”, nel fatto di essere sempre un passo avanti rispetto a quello che si sta facendo, di essere così future oriented. E di nuovo, lo scoglio da superare è la cultura organizzativa che c’è alle spalle, ancorata alle strade sicure e già battute da altri (errori compresi).
2.1. Se la conosci, non la eviti In questi anni si è realizzata una società globale nata grazie a quelli che sono gli esiti indiretti dell’interazione sociale su scala mondiale. Questo progetto rappresenta quasi l’opposto di quello che era, fino a qualche tempo fa, il
proposito dominante di una società mondiale che fosse basata sulla supremazia di uno Stato-Nazione che prevalesse sugli altri. In questa realtà ricavata dall’evoluzione sociale, politica, economica e tecnologica, individui ed organizzazioni istituzionali e non si ritrovano ad interagire sempre più di frequente e sempre più con esiti positivi. Le nuove interdipendenze che si vengono a creare sono il risultato di rapporti di dominio economico e politico, ma a loro volta contribuiscono alla nascita di nuove dimensioni e confini nei rapporti tra gli opposti che costituiscono le due facce della stessa medaglia del mondo, vale a dire dominati e dominanti, ricchezza e povertà, totalitarismo e democrazia, religioni, Stati nazionali, organizzazioni forti e deboli, culture periferiche e culture centrali. La globalizzazione è da considerare, insieme alla New Economy, uno degli eventi che hanno profondamente rivoluzionato le strategie aziendali. Il nuovo punto di vista aziendale della globalizzazione porta a ricercare e cogliere ogni possibile opportunità di inserimento nel nuovo mercato globale. Tra le sue cause figura senz’altro il progresso tecnologico, che ha non solo determinato una decisa riduzione dei costi dei trasporti e delle comunicazioni e quindi degli scambi internazionali, permettendo più agevolmente la delocalizzazione produttiva34 ma anche 34
Che a sua volta ha reso facile la nascita dell’impresa rete.
l’introduzione di nuove modalità di comunicazione e di svolgimento delle relazioni economico/commerciali tramite Internet attraverso gli strumenti dell’ICT. Importante è però chiarire che la globalizzazione è un concetto diverso da quello di internazionalizzazione, mentre spesso queste vengono confuse. Con la globalizzazione si manifesta la presenza di legami fortissimi tra i mercati mondiali, ed è per questo che non si può escludere che le conseguenze catastrofiche che la crisi ha avuto siano state tali anche per via della globalizzazione. Se ne vogliamo dare una definizione, possiamo intenderla come la “perdita dei confini dell’agire nelle diverse dimensioni dell’economia, dell’informazione, dell’ecologia, della tecnica […]; un’uccisione della distanza” (Giddens, 1994). In altre parole, il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi a livello mondiale in diversi ambiti, il cui effetto principale è una decisa convergenza economica e culturale tra i Paesi del mondo. Probabilmente si addice meglio la definizione di Stiglitz: “Si tratta di una maggiore integrazione tra i paesi e i popoli del mondo, prodotta dalla riduzione dei costi dei trasporti, delle comunicazioni e dall’abbattimento delle barriere alla circolazione internazionale di beni, servizi, capitali, conoscenza e – last, but not least - delle persone” (2006).
La globalizzazione, così intesa, ha una connotazione essenzialmente economica: il mondo è o dovrebbe essere un unico mercato nell’ambito del quale si scambiano merci, perfettamente in linea con la New Economy. Essa può definirsi, pertanto, come la standardizzazione dei mercati mondiali verso un modello unico dominante, nel quale è possibile la libera circolazione di capitali commerciali e produttivi che si rendono indipendenti dai singoli governi; un progressivo abbattimento delle barriere spazio-temporali. Specificatamente in campo economico, la globalizzazione denota la forte integrazione degli scambi commerciali internazionali e la crescente dipendenza dei paesi gli uni dagli altri. Facile capire come, di conseguenza, una piccola goccia che trabocca in un angolo generi un “effetto domino” nel resto del pianeta. Sono le regole del mercato e specificatamente del mercato globalizzato, caratterizzato non solo dalla fluidità delle interazioni e degli scambi, ma anche dalla loro alta complessità. La globalizzazione implica l’interazione di dinamiche di ampio respiro, di natura eterogenea e caratterizzate dal convergere di processi non solo economici, ma anche politici, sociali e culturali. I processi di globalizzazione in atto si muovono tra locale e globale, in uno spazio che Mc Luhan ha definito “villaggio
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globale”, per descrivere la situazione contraddittoria in cui viviamo. I due termini usati si contraddicono a vicenda: il “villaggio” esprime qualcosa di raccolto, mentre, il “globale” sta a significare l’ottica planetaria. L’ossimoro ci apre la strada verso le molteplici facce della globalizzazione. Questo fenomeno infatti agisce su più livelli, quali: Globalizzazione bancaria: le banche attive a livello internazionale hanno mostrato la tendenza a passare a una strategia di posizionamento globale, per cui assistiamo alla nascita di gruppi bancari transnazionali. Varie istituzioni hanno invece preferito finanziarsi e concedere prestiti al consumo, ipotecari o alle imprese all’interno dei diversi mercati nazionali attraverso la presenza diretta in loco. Altre ancora hanno cercato di finanziare il proprio portafoglio di titoli esteri con risorse reperite nel Paese di emissione. La tendenza verso la globalizzazione dell’attività bancaria è ascrivibile a cambiamenti sia nelle strategie perseguite dalle banche sia nei vincoli a cui queste ultime sono obbligate; Globalizzazione culturale: la globalizzazione economica si accompagna a una trasformazione culturale, che si muove tra ondate di libertà e spinte omologatrici; Globalizzazione della comunicazione, grazie alla nascita e allo sviluppo delle tecnologie della comunicazione;
Globalizzazione tecnologica: tutto l’universo della comunicazione nell’era della globalizzazione e della new economy è stato fortemente influenzato dall’intervento di novità tecniche che hanno rivoluzionato le caratteristiche sia della modalità operative sia dei valori e degli aspetti culturali. Le nuove tecnologie della comunicazione sono un incentivo alla diffusione del sapere e aumentano le capacità e le qualità delle tecniche di trasmissione delle informazioni. L’ultima innovazione dai risvolti – oseremo dire – epocali è il web e l’interazione, la dimensione social della rete. La globalizzazione, infatti, ha le proprie tecnologie fondanti senza le quali sarebbe difficile la sua esistenza: informatizzazione, digitalizzazione, comunicazione satellitare, fibre ottiche, internet e sviluppo dei media. Queste tecnologie sono parte integrante del “villaggio globale” e hanno contribuito a generare l’omologazione degli stili di vita e dei gusti ma anche di valori a volte in opposizione reciproca. Tra questi, l’attenzione e il rispetto per l’ambiente. Il risultato è controverso e parziale: da un lato si attenuano le barriere al commercio lasciando più ampi margini di manovra alle multinazionali; dall’altro si affermano misure sanitarie e fitosanitarie che sorgono dalle preoccupazioni dei consumatori e si accende il conflitto attorno alle innovazioni tecnologiche (biotecnologie, OGM, ecc.). La globalizzazione oggi non è più una scelta, ma un dato di fatto. Tale processo impone scelte precise in termini di
adattamento: alle grandi e alle piccole imprese, a quelle che operano in settori sottoposti concorrenza internazionale, sia a imprese minori che finora operavano in ambiti locali. Non solo si parla di adattamento, ma graduale omologazione e integrazione: il processo di globalizzazione appiana le differenze a livello internazionale per le modalità e le metodologie operative, di regolamentazione, di comportamenti. Andando proprio a riprendere il concetto di internazionalizzazione, si può dire che la globalizzazione è una declinazione di questo concetto da cui se ne differenzia per una più forte integrazione tra le diverse attività economiche grazie a un’evoluzione a livello organizzativo. Parlare oggi di mercato, dunque, significa parlare di mercato globale a tutti gli effetti, ciò che ha contribuito alla formazione di un tale mercato sono stati - e sono tuttora principalmente tre fattori: Un primo fattore che ha contribuito ad accelerare il processo di globalizzazione è dato dalla crescita del numero di Paesi che partecipano attivamente al commercio su scala globale; Un secondo fattore è rappresentato dal fatto che molti grandi gruppi industriali e finanziari operano come veri e propri player internazionali, dando luogo a processi di globalizzazione che comportano movimento di strutture produttive, capitali e risorse umane e una continua riorganizzazione delle attività su scala internazionale35 ; Il terzo e ultimo fattore di accelerazione della 35
globalizzazione ha natura più strettamente tecnologica ed è riconducibile alla maggior facilità con la quale prodotti, persone e informazioni vengono trasferiti su scala mondiale. Questo mercato sempre più globale costringe a processi di cambiamento e adeguamento rilevanti in tempi sempre più ridotti. La globalizzazione impone la dilatazione della sfera pubblica e genera scenari nuovi, mutevoli, incerti, confusi e instabili che richiedono nuove competenze e professionalità per esser gestiti e permettere non solo gli scambi commerciali ed economici, ma anche le interazioni e l'indispensabile comunicazione che, in questo contesto, fa da legante ed è condizione indispensabile per il mantenimento e funzionamento del sistema. Da qui la necessità dei professionisti della comunicazione, esperti non solo nell'utilizzo delle tecnologie, dei diversi media e dei linguaggi, ma anche nella gestione di uno scenario incerto dove queste professionalità devono essere in grado di fare da interfaccia fra i vari soggetti interessati nel processo di comunicazione. Nella complessità, infatti, è impossibile considerare gli utenti come omogenei e trattare tutti allo stesso modo. La comunicazione è un terreno fertile se si diffonde, nell’istituzione o nell’impresa, una cultura diffusa che la appoggia, la favorisce e contribuisce alla nascita e al mantenimento di una comunicazione professionale e professionalizzata.
Un esempio sono le imprese transnazionali.
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La rete d’impresa: è la forma più recente di globalizzazione. Piuttosto che creare filiali controllate da un sistema strutturato, centralizzato e gerarchizzato, diventa conveniente stringere rapporti con i partner all’interno dei Paesi d’insediamento36 e istituire sedi satelliti della centrale dislocate in altri territori. Il sistema di partnership presenta molteplici vantaggi poiché permette contemporaneamente di ridurre gli apporti di capitale, di gestire le problematiche nazionali e di integrarsi meglio nel contesto locale. Ai vecchi modelli d’impresa multinazionale si aggiungono, così relazioni più flessibili, facilitate dallo sviluppo accelerato dei mezzi di comunicazione che modificano, a loro volta, i flussi del commercio internazionale. Quest’ultima forma di globalizzazione si è diffusa a partire dagli anni ’80 e da allora la grande impresa centralizzata, concepita per la produzione di massa, sta lasciando il posto ad un network d’impresa estesa su scala mondiale. All’interno della rete si stabiliscono diversi tipi di relazione:
forme di guadagno indipendenti, sistemi di partnership esterne come le joint ventures, franchising, subappalti, ecc. e questo può rappresentare un modo, per le imprese agricole del futuro, che possono creare un sistema-rete in cui rafforzarsi a vicenda, ottimizzare i processi produttivi e incrementare gli utili spartendo anche i rischi. Attraverso il fenomeno globalizzazione si va sempre più delineando un mondo information-intensive37, dove la conoscenza vale come e a volte di più delle macchine e dei mezzi di investimento, dove la cultura e la comunicazione, la fiducia e le relazioni sono voci importanti delle politiche e delle strategie d’impresa. In questo mondo information-intensive, l’informazione diventa commodity, perché è abbondante e facilmente accessibile. L’economia tradizionale è diventata economia informazionale, basata sulla convergenza e la conoscenza. Il fatto che l’informazione non sia più scarsa abbatte le barriere alla sua generazione e al suo utilizzo, facendo diventare di secondaria importanza la dimensione fisica dell’impresa come variabile costitutiva sui mercati globali. La rete, infatti, diventa internazionale, e di conseguenza lo diventa l’impresa che amplia la sua sfera di influenza e di azione. Questo si verifica per almeno due ragioni: la
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2.2.Interconnessioni
Solitamente questo avviene nei Paesi in via di sviluppo.
Definizione tratta da http://www.itconsult.it/index.asp.
diminuzione dei costi assoluti di produzione della conoscenza rende giustificabile la produzione di contenuto specializzato anche per piccole nicchie di utenza; la diminuzione radicale dei costi di distribuzione della conoscenza, grazie alla diffusione a livello globale di Internet che rende possibile il modello di impresa-rete, l’impresa cioè che governa la complessità e i volumi di produzione attraverso la collaborazione distribuita di diversi centri di attività. La sua struttura organizzativa è basata sul processo e non sul compito singolo. La sua struttura organizzativa prevede gerarchie piatte, reticolari e distribuite, e non verticistiche e verticali tipiche delle imprese tradizionali; rigide e non fluide e adattive. In questo mondo sempre più globale è, dunque, necessario che le imprese siano in grado di pensare creativamente e proattivamente a come ridisegnare le regole del gioco e di valorizzare le proprie risorse intangibili distintive per generare innovazione. Perché rete? La rete è:
Plasmabile, non ha una forma definita
…e un’impresa che opera nella globalizzazione e nella New Economy, che vuole innovare per resistere e combattere la crisi, non può fare a meno di costituirsi “a rete” per essere sempre competitiva nel mercato. Le reti di impresa e l'impresa rete sono caratterizzate da: Processi interfunzionali, interaziendali e interistituzionali trasversali ad ognuna di esse; La valorizzazione attraverso una doppia catena del valore: il valore economico e il valore sociale, che si rinforzano a vicenda attraverso il ciclo /redditività investimento - visibilità - supporto sociale interno e esterno - strategie compatibili/; Hub vitali, in grado di sopravvivere e prosperare autonomamente; Legami laschi e forti che connettono i nodi attraverso scambi economici, procedure, informazioni, comunicazioni, relazioni sociali, rapporti di potere, ecc.; Strutture multiple coerenti tra loro e adatte alle strategie e alle sfide; Possedere capacità decisionali innate e coraggiose.
Costellata di piccole unità, interconnesse Flessibile Estesa e Estendibile
L'impresa rete vive la permeabilità e cerca di dominarla. Possiede una competitività strutturale fondata sulla capacità di mantenere e sviluppare nel tempo una relazione e riesce a sostenere un alto livello di complessità, tra le rime quella generata dalla globalizzazione. Le dimensioni che attivano la rete organizzativa, così come identificate da Butera (2008) sono la cooperazione, la conoscenza, la comunicazione, la comunità: dimensioni
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fondanti del panorama attuale e futuro delle imprese in senso lato e delle imprese agricole, che, per sopravvivere nel prossimo e incerto futuro, devono far leva sugli asset immateriali offerti dalla società della conoscenza e dalla New\Net Economy.
2.3 Breaking the law Con globalizzazione ci si riferisce, oltre che allo sviluppo di mercati globali, anche alla diffusione dell'informazione e dei mezzi di comunicazione come internet, che oltrepassano le vecchie frontiere nazionali. Il termine globalizzazione è utilizzato anche in ambito culturale ed indica genericamente il fatto che nell'epoca contemporanea ci si trova spesso a rapportarsi con le altre culture, sia a livello individuale a causa di migrazioni stabili, sia nazionale nei rapporti tra gli stati. Oggi, si vive e si opera sempre più in uno spazio globale, compresso dai nuovi mezzi di comunicazione, si lavora e si abita in uno specifico tipo di spazio urbano ridisegnato dalle nuove esigenze della mondializzazione. Ciò dimostra come il mutamento coinvolge pure la sfera della vita quotidiana, nelle sue strutture fisiche e percettive. Il trait d’union è proprio la comunicazione, la possibilità di condividere una stessa informazione e di utilizzare linguaggi comuni, background condivisi, partecipare insieme a stessi scenari e processi. La comunicazione è fluido di questa condivisione e
partecipazione, humus, liquido primordiale di coltivazione della società attuale e futura e tessuto connettivo tra istituzioni, imprese, destinatari della comunicazione. È e deve essere la vera linfa vitale del mondo moderno. Anche la comunicazione è fluida, multiforme: scivola via attraverso le cose e le persone ma, come l'acqua, modifica ciò che tocca. La comunicazione non è mai priva di conseguenze. La comunicazione pubblica può essere definita come il contesto e lo strumento che permette ai diversi attori che intervengono nella sfera pubblica di entrare in relazione tra loro, di confrontare punti di vista e valori per concorrere al comune obiettivo di realizzare l’interesse della collettività. Essa è pertanto formata dall’insieme dei processi che contribuiscono a valorizzare la sfera pubblica, facendo interagire attori diversi per competenze e responsabilità, attivando relazioni e scambi e prevedendo la creazione di ambiti istituzionali più o meno formalizzati che organizzino l’ascolto dei cittadini e sollecitino la loro partecipazione alle scelte che orientano le politiche pubbliche. Col tempo siamo arrivati a una sempre maggiore complessità e redistribuzione delle competenze, che ha portato: Una specializzazione delle funzioni e delle mansioni, per cui le istituzioni si sono assunte più compiti, sono nati altri organismi e sono cresciute le differenze reciproche fra questi; L’assunzione e il rafforzamento di un’identità e della necessità di delimitare e affermare il proprio campo
specifico di competenze; La professionalizzazione di queste competenze. Alla base di tutto questo, il rafforzamento e lo sviluppo della comunicazione e di professionisti del settore, in grado di massimizzare l’efficacia e minimizzare lo sforzo. Quella di Istat è una comunicazione istituzionale che noi stiamo analizzando dal punto di vista on line. Per legge38 si intende per comunicazione istituzionale on line come l’attività delle amministrazioni pubbliche che persegue obiettivi strettamente inerenti la comunicazione: Di certezza (pubblicità legale od obbligatoria degli atti pubblici) della normativa; Della normativa; Dei procedimenti amministrativi; Delle attività istituzionali; Delle attività di semplificazione e modernizzazione; Di pubblica utilità e sociale; Di promozione d’immagine svolte opportunamente secondo codici simbolici, modalità di interazione, opportunità di partecipazione e accesso proprie dei processi di comunicazione tramite Internet39. La comunicazione istituzionale on line è parte integrante della comunicazione pubblica e grazie alle caratteristiche di velocità, connettività universale, interattività e bassi costi di transazione tipiche della rete, rappresenta la forma più
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Articoli 1 e 8 della legge 7 giugno 2000, n. 150 http://csi.unina.it/
adeguata all’attuale sviluppo della Società della Informazione è uno strumento strategico per il miglioramento delle relazioni delle Istituzioni con i cittadini. Mettere a conoscenza, informare, condividere, partecipare: questo è il paradigma della comunicazione pubblica e istituzionale, che ha per oggetto temi di interesse generale e ha il compito di rendere comprensibile non solo la realtà esterna, ma anche lo Stato che prende decisioni in merito e che in tal modo si rende disponibile ai cittadini. È anche una comunicazione di pubblico servizio perché promulga informazioni e promuove servizi di interesse pubblico. L'indispensabilità della comunicazione è evidente: uno degli assiomi della scuola di Palo Alto era ed è "è impossibile non comunicare". Oggi, la comunicazione non è più un’eventualità ma una pratica fissa di ogni impresa e istituzione, anche se troppo spesso viene ancora relegata ad un’attività che si fa se ci sono degli avanzi dal budget. Mai, invece, come durante questa crisi economica, è opportuno investire in comunicazione – soprattutto in quella commerciale - per emergere tra tutti coloro che non comunicano e che mantengono un low profile. E anche le pubbliche amministrazioni e le istituzioni si stanno adeguando, non senza lentezze o difficoltà: è solo da pochi anni che è obbligatorio avere un ufficio comunicazione o relazioni esterne (URP) presso le istituzioni, per dialogare coi cittadini. È l’ultima di quattro fasi quella che vede l’ingresso della comunicazione organizzata nelle istituzioni: Prima fase: intorno alla metà degli anni ’80, dove il focus della comunicazione era sull’identità
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dell’istituzione, che avvertiva l’esigenza di costruirsene una; l’istituzione sentiva come un diritto\dovere quello di veicolare all’esterno informazioni; La seconda fase, sviluppatasi nella seconda metà degli anni ’80, si incentra sull’emergenza dei contenuti sociali e sulla loro diffusione; è lo stesso periodo in cui nasce e si afferma, di fianco la pubblicità commerciale, anche la pubblicità sociale; La terza fase inizia negli anni’90 ed è caratterizzata dalla necessità di trasparenza verso l’esterno; è infatti il periodo in cui nascono i primi uffici relazioni col pubblico, nell’ottica di progressiva apertura dell’istituzione verso il pubblico; La quarta e ultima fase è proprio quella attuale, che vede l’integrazione fra informazione, comunicazione, tecnologie, riorganizzazione burocratica e semplificazione, servizi offerti. Le istituzioni, a piccoli passi, si sono adeguate all’apertura offerta dal web (a volte anche controvoglia) e quindi dalla piazza, dall’agorà pubblica del cambiamento e dell’usabilità che le ha messe di fronte ai limiti dell’usabilità e della trasparenza. Un cambiamento comunque non possibile se, prima che nei fatti, questo non avvenga nel pensiero e nella mente dell’istituzione: inutile Quello che nel 2010 rappresenta la nuova richiesta che il cittadino ha verso l’istituzione è quella di istaurare la possibilità di dialogo anche attraverso la democrazia digitale, dove il cittadino è obiettivo di strategie di engagement e destinatario di ogni
azione che l’istituzione intraprende. Il cambiamento è ancora più evidente se pensiamo che il percorso più naturale seguito dalla comunicazione presso un’istituzione era solitamente organizzato così:
Azione
istituzio ne
potere di chi ha creato e sostiene istituzion e
Legittimazione
Effetto
pubbli cità immagi ne del potere pubbli co
Condizionamento
Figura 13: cause ed effetti della comunicazione nelle istituzioni. Fonte: riadattamento da Anteri C., in Gregorio, 2004, op. cit.
Questo ci fa capire come, di conseguenza, la comunicazione sia ormai una funzione perfettamente integrata negli organigrammi aziendali, qualcosa dal quale non si può più prescindere. È in atto un grosso cambiamento nelle istituzioni, e la comunicazione ne è al contempo causa ed effetto. Il target della comunicazione Istat, così come quella di molte altre istituzioni, è il grande pubblico. In particolare,
però, i prodotti comunicativi di Istat sono di interesse collettivo e globale. Non sempre un progressivo sviluppo e utilizzo delle tecnologie di comunicazione da parte del pubblico è corrisposto, per enti pubblici meno virtuosi, un adeguato e parallelo utilizzo citizen oriented di tecnologie e contenuti informativi. Già nel 2005, col piano di azione e-Europe40, approntato dalla Commissione dell’Unione Europea, ci si era posti come obiettivo l’estensione della connettività in rete, l’aumento di efficienza del sistema produttivo e il miglioramento della qualità e dell’accessibilità on line per tutti i cittadini e le imprese. La rapida transizione alla società dell’informazione e all’economia della conoscenza è essenziale per la crescita sociale ed economica41 di ogni Paese aderente all’Unione Europea. Ma per raggiungere questo obiettivo si presuppone l’utilizzo, da parte di ogni unità dell’ente pubblico, che sia centrale o locale, privato o a partecipazione statale come l’Istat, di modalità di comunicazione in rete particolarmente efficaci per raggiungere in maniera capillare il pubblico delle nuove tecnologie, ormai abituato a “stare in rete”. Tanto più che i contenuti di comunicazione dell’Istat sono di carattere e interesse generale. Vien da sé che la comunicazione debba rendere le informazioni facilmente raggiungibili, comprensibili e utilizzabili, per forma e contenuti. E’ una sfida a cui ogni ente pubblico non può sottrarsi.
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www.europa.eu.int Oltre che culturale, ça va sans dire.
Si affianca ad altre modalità di comunicazione, spesso "tradizionali"
Utilizzare il web significa utilizzare un canale bidirezionale
Essere attenti ai bisogni dell'utente
Essere trasparenti, accessibili, interattivi, completi (nel servizio offerto)
Cercare la massimizzazione della fruibilità
Non basta rendersi “attore” dell’interazione on line tra istituzioni, cittadini e imprese, ma ci si deve proporre anche come “regista” dei processi di comunicazione. L’utilizzo della tecnologia della rete per finalità istituzionali implica l’attenta e costante attività di stimolo, di formazione, di relazione. Il valore crescente e strategico di questa funzione è, non a caso, direttamente collegato all’intensità di informazioni e servizi pubblici offerti e utilizzati on line Figura 14: caratteristiche della comunicazione istituzionale
da parte di cittadini e imprese. Una sintesi sulle dimensioni del fenomeno rete ci viene dall’utilizzo preponderante e indispensabile del sito internet, fulcro (e a volte unico elemento) di comunicazione on line. È un dato di fatto che l’utilizzo dei siti web istituzionali è uno strumento tra i più immediati per lo sviluppo dei servizi in rete, spesso sottostimato per portata e impatto possibili. L’amministrazione e l’ente pubblico del futuro (ma anche del presente, a dir la verità) non possono prescinderne dall’utilizzo e, possibilmente, dall’implementazione di un sito
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funzionale, user friendly che, già da oggi e soprattutto in futuro, sarà il canale preferito per stabilire un contatto con il pubblico e, di contro, per il pubblico di avvicinarsi all’ente. Il sito internet sarà sempre più una Punti chiave della comunicazione tendenza istituzionale on line consolidata di Informazione comunicazione Comunicazione isituzionale. Nel Gestione della trasparenza caso di Istat, per Sportello (unico, polifunzionale, esempio, il sito multiente) istituzionale non è Partecipazione propriamente su Promozione dei processi di semplificazione e questa strada organizzazione virtuosa: risulta Citizen satisfaction abbastanza statico, Controllo della qualità dei poco interattivo, servizi dalla grafica Marketing lacunosa, anche se senza dubbio è un sito funzionale e completo di qualsiasi materiale e informazione. Supplisce a queste mancanze sfruttando dei minisiti dallo sviluppo parallelo, spesso con grafica curatissima e dallo styling accattivante, senza peccare in qualità e quantità informativa. Ma è da dire che, a un primo impatto, il mail site non aiuta un utente che voglia cercare contenuti. Quello tra comunicazione e istituzioni è stato, soprattutto in passato, un rapporto abbastanza difficile e complesso. Il grosso scoglio da
superare si presentava sotto le spoglie di una certa riluttanza all'apertura dell'istituzione verso l'esterno e, dall'altra parte, un'immagine troppo “grigia”, statica, burocratica che il cittadino avverte verso l'istituzione stessa, seppur pece pendone l’autorità e l’autorevolezza. La scintilla che ha innescato il graduale cambiamento e quindi l’apertura è stata soprattutto quella dell’evoluzione dei mezzi di comunicazione e delle tecnologie al suo servizio e l’intervento del legislatore. Nella comunicazione istituzionale non c’è scopo di lucro, ma la ricerca di visibilità e di rapporto col cittadino che dell’amministrazione si deve servire. Come quindi per le imprese c’è la necessità di un’ottica “citizen oriented”, anche nelle istituzioni l’apertura verso l’esterno, la comunicazione, la trasparenza e la semplificazione diventano condizione necessaria per la qualità del servizio offerto e l’efficienza dell’amministrazione stessa. È anche vero che molti sono gli enti pubblici che, per loro essenza, hanno sempre cercato il dialogo col cittadino ma i tentativi sono spesso stati vani. È il caso per esempio di ISTAT, che per natura produce documenti – disponibili on line e con nota metodologica di spiegazione in allegato – messi a disposizione per tutta la popolazione italiana ma, a causa di una carente cultura statistica, vede molti dei suoi tentativi riuscire solo parzialmente. Per un’istituzione la comunicazione è un atto dovuto, perché risiede nella prospettiva del servizio.
L’efficacia della comunicazione dipende dalla capacità di raggiungere gli obiettivi, prefissati al principio, dell’azione organizzata di e coordinata. La comunicazione deve saper: Attirare, ossia crea attenzione e consenso; Informare sui servizi e le opportunità offerte dall’istituzione; Generare consapevolezza e fiducia attraverso i contenuti e i canali scelti per creare la relazione col pubblico; Saper ascoltare, cioè saper intercettare preventivamente e rispondere al bisogno. Di nuovo, per innovare i processi delle istituzioni occorre “rompere le regole”. Uscire dagli schemi preconcetti e precostituiti, non avere paura di tentare approcci nuovi e originali, rompere gli schemi e abbandonare le logiche statiche, burocratiche e che seguono fedelmente le norme e le procedure prestabilite. In altre parole, non avere paura di cambiare modalità di agire e di pensare in modo creativo e originale. Le istituzioni che credono nel potere della comunicazione e che si rendono innovative acquisiscono una marcia in più: quella che la rende più vicina al cittadino, più user friendly, open mind. E, qualora le istituzioni riescano a stare di pari passo alle innovazioni delle ICT.
A dare un deciso contributo allo sviluppo della complessità e della comunicazione sono intervenute le tecnologie informatiche e di comunicazione, le ITC, incidendo con modalità e tempi tali da rendere necessario un ripensamento dei modelli di interazione e della loro simultaneità. La comunicazione richiede innovazione continua, ci fa percepire i cambiamenti in atto nella società e se ne fa fautrice essa stessa per contenuti e supporti, la stimola, la sostiene e ne aiuta anche il governo e l’organizzazione. La nascita e lo sviluppo delle ICT, infatti, ha profondamente mutato gli scenari dell’interazione e della partecipazione alle discussioni. Non si può parlare di ICT senza parlare anche di convergenza tecnologica, l’unione di strumenti di comunicazione diversi che convergono, appunto, su una sola interfaccia (preferibilmente il web) grazie alle tecnologie digitali. Grazie alla convergenza è possibile utilizzare un solo device e una sola interfaccia per una pluralità di servizi, praticamente accessibili a chiunque su scala globale. La convergenza tecnologica ha già profondamente modificato l’utilizzo dei supporti digitali: adesso, accendendo un personal computer, è normale leggere posta come telefonare, controllare il proprio estratto conto o fare acquisti, leggere un giornale come giocare. È Nicholas
2.4. Augmented communication
71
Negroponte ad aver parlato per primo42 di convergenza, e ne ha identificato le 5 leggi che la regolano: Tutte le informazioni possono essere convertite in forma digitale e possono essere soggette alla convergenza; La convergenza è la base della multimedialità ed annulla ogni distinzione fra i mezzi di comunicazione; La natura stessa della convergenza rende superata in principio l'imposizione di qualsiasi regola artificiale; La convergenza ha proprie regole naturali; La convergenza trascende dai confini statali. La convergenza e i media digitali hanno così profondamente mutato non solo l’approccio e l’opinione che l’uomo ha dei e sui media, ma ha modificato anche le logiche pubblicitarie che sono proprie dei mezzi di comunicazione, così:
Ieri (media tradizionali) Impatto Brand awarness Spot pubblicitario Media plan
Oggi (media digitali) Esperienza e partecipazione Percezione multisensoriale e disponibilità Progetto e comunicazione cross mediale Pianificazione integrata
I media non sono solo delle risorse tecnologiche, ma anche delle vere e proprie agenzie sociali che consentono la connessione, l’incontro, la partecipazione aperta. È in
42
Era il 1995 quando è uscito il suo libro “Essere digitali”.
particolare il web a essere un meta-medium, che, in linea con la convergenza, assorbe in sé tutti gli altri media.
2.4.1 In principio era Internet Il World Wide Web (Web) è una rete di risorse e di informazioni basata sull'infrastruttura di Internet, originariamente implementato da Tim Berners-Lee mentre era ricercatore al CERN e da allora sempre più in crescita. Il Web ha alla base tre meccanismi che rendono queste risorse immediatamente fruibili per gli utenti che li richiedono (pull): Uno schema di denominazione uniforme per localizzare le risorse sul Web (URI, Uniform Resources Locator, cioè un indicatore unico e univoco della risorsa); Protocolli, per accedere alle risorse denominate sul Web (come il protocollo di rete HTTP); Ipertesto, per agevola la navigazione tra le risorse attraverso una serie di link che rimandano ad altri contenuti. Figura 15: Alcune differenze fra web tradizionale, 1.0, col web 2.0. Fonte: http://oreilly.com/
L’originario utilizzo era quello di visionare documenti ipertestuali, organizzati in forma “statica” perché creati utilizzando il linguaggio HTML: era il web definito 1.0. Il web ha successo per la sua facilità e flessibilità, perché si adatta agli utilizzi e agli Internet è una obiettivi di ogni utente che piattaforma per… si connette e che sceglie un proprio percorso di fruizione Collaborare del mezzo. È una vetrina Condividere informativa, perché con un Contribuire semplice click si accede ad Riutilizzare Taggare una quantità di informazioni Media sociali mai disponibile prima d’ora e mai raggiunta con altri mezzi di comunicazione. I contenuti sono per la maggior parte gratuiti e disponibili a tutti, con la possibilità, di rimando, di poterne creare dei propri. Internet è il motore del cambiamento. Tutto ciò che avviene nel mondo della comunicazione nasce e confluisce sul web. E la rete è costantemente proiettata in avanti, nel futuro. Per questo, le imprese, le istituzioni del futuro, che esistono nel mondo globalizzato e nella New Economy, che hanno combattuto con la crisi economica e vogliono garantirsi la sopravvivenza per il futuro devono aderire alle logiche di rete, di open innovation, sfruttare l’innovazione e l’apertura dettate dalla tecnologia e dalla comunicazione, puntare sul web come hub, aggregatore, di risorse e contenuti.
2.4.2. Web 2.0 Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno una diffusione pervasiva: siamo circondati dai media senza quasi rendercene conto; gli utenti sono interconnessi vicendevolmente e creano un “sistema rete” che risponde alla complessità comunicativa e alle molteplici forme di interazione individuali che la società liquida ha creato: la società network. Assistiamo al passaggio da una comunicazione “micro”, on to one o one to many, a una comunicazione integrata e pervasiva, many to many o many to one, che coinvolge sia la comunicazione interna all’istituzione che quella esterna, rivolta verso gli utenti e i cittadini non considerati tutti identici ed omologati ma considerati come WEB 1.0 WEB 2.0 individui diversi l’uno Akamai Torrent dall’altro: la Sito Blog comunicazione, Page views Costo per click insomma, diventa Gestione contenuti Wiki segmentata e Ottimizzazione targettizzata. Ricerca dominio
motore di ricerca Tassonomia Tagging (directors) (syndication) Nessuno sa veramente cosa significhi web 2.0, e se per voi significa blog e wiki, questo è semplicemente Stickness Syndication
persone che si relazionano con persone. Ma questo era quello che si pensava dovesse essere il web da sempre
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Internet è il mezzo che più di tutti consente la partecipazione e la condivisione grazie alle innovazioni introdotte dal “social” e in generale dalle tecnologie del 2.0: blog, i già citati social network, chat, i forum di discussione, i sistemi wiki e, sopra ogni altra cosa, la possibilità di condividere. Non mancano ovviamente anche gli “scettici”, secondo i quali la dicitura 2.0 non è altro che un’etichetta per far lievitare gli investimenti sui beni tecnologici e sulle piattaforme. Certo è che buona parte del successo del web 2.0 è dovuto alle operazioni di marketing (Lovari & Masini, 2008). Da un punto di vista strettamente tecnologico si utilizzano gli stessi strumenti e supporti: protocollo Tcp\ip e http, e l’ipertesto. Ma è il modo di utilizzarli, l’approccio al web che fa la differenza: la realtà, e il boom del fenomeno, sembrano dire altro. Non c’è una definizione univoca di 2.0; Tim Berners Lee, unanimemente ritenuto il padre del world wide web, ha sostenuto, in diverse occasioni, che:
è anche per questo che il web rappresenta una grande opportunità, tanto per le imprese e le istituzioni quanto per i cittadini che se ne servono. È il web soprattutto ad aver creato quella logica che vede unite individualità e socialità al contempo; logica che trova la sua massima espressione nei social network, il più attuale sistema ego-centrico che unisce l'identità e la collettività creando persino “l'individualità collettiva”, dove si resta soli e isolati pur essendo un nodo di scambio e raccordo di relazioni e informazioni. La chiave fondamentale è utilizzare tali strumenti per creare i punti di aggregazione dove il navigatore possa esercitare il proprio potere di comunicazione, sentendosi appagato nel creare delle connessioni sociali, delle nuove relazioni che aumentano la sua voglia di partecipare. Internet è un punto di arrivo ma, soprattutto, è IL nuovo punto di partenza del nuovo modo di relazionarsi con le persone e con le informazioni. I consumatori o clienti oggi possono esprimersi veramente, lasciare i loro commenti, apporre un feedback, interagire nei forum. Non È il web 2.0 la chiave per l’apertura e la partecipazione: il sono più i mass media che parlano del web, è il web che suo main character è la dimensione social. L’abito indossato parla dei mass media realizzando la convergenza è quello dell’open source e dell’open innovation, dove tecnologica. È quello che è avvenuto grazie alle tecnologie l’innovazione parte dal basso e dagli stessi utenti, costruttori della comunicazione così dette “2.0”, ormai una realtà di contenuti oltre che fruitori degli stessi, messi in rete per affermata del panorama mediale, comunicativo e essere disponibili a chiunque li cerchi. Ed Figura 16: caratteristiche del web 2.0 e differenze con il web 1.0 tecnologico. Il termine Web 2.0 è stato
coniato da Tim O’Reilly e non indica tanto una sola tecnologia per il web ma un nuovo state of mind, un modo di pensare il web, di usarlo e approcciarsi ad esso, che rimane non privo di punti oscuri e nebulosi e a volte nemmeno con una sola e univoca definizione, che realizza un’architettura della partecipazione43. Dove nel mondo reale e nel web 1.0 avveniva la fine di una comunicazione, oggi tale punto è superato: il suo confine è spostato in avanti e rappresenta solo l'inizio di qualcosa di più potente. Il web 2.0 si è sviluppato quando le persone hanno cominciato a usare la rete per interagire tra loro e non solo per trovare dati e informazioni: perché hanno capito che Internet era lo strumento attraverso il quale si poteva costruire insieme agli altri una conoscenza diffusa44, trovare opportunità di lavoro e di carriera (è il caso di LinkedIn), scambiarsi merci (il sito di aste eBay, che fa impallidire Sotheby’s), ma anche informazioni, confidenze o pettegolezzi (Messenger, Facebook e Twitter), oppure video (YouTube) e ogni altro prodotto audiovisivo, quand’anche protetto dal diritto d’autore (è la forza del p2p di eMule e Torrent). Abbiamo visto come nella modalità 1.0, quella “tradizionale”, i siti delle aziende e delle istituzioni siano prevalentemente “scatole semi-vuote”, confezionate per dare informazioni prevalentemente push e monodirezionali. 43
Citazione tratta dalla dispensa n.3 “Web 2.0 e Social Network site” del corso del Prof. Epifani di Tecnologie della comunicazione applicate all’impresa, a.a. 2009/10 e disponibili su http://tci09.wordpress.com/. 44 Come con Wikipedia, l’enciclopedia libera più diffusa e letta al mondo, alimentata solo e soltanto dal contributo degli utenti.
Il 2.0 cambia questo paradigma, e anzi incoraggia a partecipare attivamente, a giudicare, a contribuire allo sviluppo e a fornire il proprio contributo. Il web 2.0 genera collaborazione, libera circolazione e partecipazione nella divulgazione delle informazioni. Siti come Flickr, del.icio.us, Facebook non propongono una struttura rigida, una definizione dello schema di utilizzo precostituito su come gli utenti sono obbligati ad organizzare la loro esperienza. Sono gli stessi utilizzatori, gli stessi clienti che creano il loro modo di classificare le informazioni come meglio preferiscono. Il web 2.0 può essere compreso utilizzando tre categorie: Sociale: perché consente di entrare in relazione con altri e di condividere contenuti; condividono valori, idee, tematiche e significati; Collettiva; Tecnologica, perché si basa e sfrutta le ICT proponendone anche nuovi utilizzi rispetto al passato. Il risultato del web 2.0 è quello di generare quindi nuove community che aggreghino i partecipanti secondo caratteri, valori ed elementi comuni, generando quelle che Cova, e prima di lui Maffesoli, hanno chiamato “tribù”, incrementa il “sentirsi parte di qualcosa”. Il web 2.0 ha creato un nuovo modello di comunicazione dinamica con la partecipazione attiva del “consum-Attore”; feedback, discussioni, interventi, consigli, in modalità partecipata e p2p. possiamo rilevare alcune costanti degli applicativi del web 2.0: Le informazioni sono sottoposte a processi di riuso e aggregazione in base a fonti e parametri diversi
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precedentemente individuati; Sono arricchite attraverso l’utilizzo di tag; Sono il prodotto di redazione a più mani da parte degli utenti, per cui la loro origine è condivisa. Insomma, nel web 2.0 i contenuti e i formati sono aperti (cioè condivisi e partecipati), generati in buona parte dagli stessi utenti (user generated content – UGC), incoraggiati a prendere parte al processo di creazione e utilizzabili anche al di fuori del confine specifico dell’applicazione. È proprio la leva dell’UGC a creare il valore aggiunto al web 2.0, generando un nuovo approccio alla rete e ai contenuti che evidenzia l’importanza e la centralità dell’utente. I dati non sono vincolati a un device fisso, ma sono ri-mediati e cross mediali. Si punta al servizio e alla promozione dell’intelligenza collettiva45 che generi un’esperienza per l’utilizzatore e un momento piacevole di relazione. Parentesi italiana: sono cinque i social network più popolari in Italia, che riassumiamo così Social Network Facebook Youtube Messenger Skype MySpace Icq Flick Twitter 45
Quanti li conoscono 61,6 60,9 50.5 37,6 31,8 6,1 4,7 4,3
E in buona parte questo si deve grazie ai social network.
Quanti li usano 25,9 30,9 24,7 12,4 5,4 0,7 0,7 0,2
3,0
0,5
Figura 17: diffusione principali social network, (val. %). Fonte: Censis 2009
Ma non si arresta certo qui l’evoluzione del web. Anzi, il 2.0 si è affacciato da poco ma sembra già un paradigma in via di superamento, perché la strada del futuro va addirittura verso il web 3.0, che dà anche il titolo a questo elaborato, non a caso. Il Web 3.0 è un termine a cui corrispondono significati differenti che mostrano l'evoluzione dell'utilizzo del Web e l'interazione fra gli innumerevoli percorsi evolutivi possibili tra cui: Trasformazione del web in un grande database, in grado di facilitare notevolmente per applicazioni diverse dai browser l’accesso ai contenuti; Ottenere il massimo rendimento dalle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale; Semantic web, cioè un ambiente dove i documenti sono associati a informazioni e metadati che ne chiariscono il contesto; permettono, in pratica, alla macchina di “leggere” e interpretare l’informazione; Web in 3D, ossia l’inserimento di contenuti 3D interattivi, scritti in linguaggio HTML, leggibili solo con speciali applicazioni viewer tridimensionali; permettono di ampliare lo spazio bidimensionale dello schermo cui siamo abituati; Geospatial Web.
Una definizione certamente utile di web 3.0 è quella fornitaci dal famoso sociologo Derrick de Kerckhove46 (1997) , secondo il quale
La rete del futuro funzionerà come il cervello umano. L’emisfero destro sarà la proiezione del web 2.0, sintetico e associativo, mentre il web semantico, analitico e preciso, coinciderà metaforicamente con l’emisfero sinistro.
Allo stato attuale dello sviluppo del web, la rete ha un’architettura sostanzialmente gerarchica che può esser associata all’immagine di un albero47: le foglie più lontane sono i dispositivi terminali come personal computer e dispositivi mobili connessi tutti in maniera verticale. Il web 3.0 concretizza fisicamente la relazione, caratteristica fondante del
2.0. Il 3.0 consente alle macchine di essere machine readable, cioè di saper leggere le informazioni, portandole a uno stato avanzato ed evoluto. Nella nuova visione del web la connettività arriverà sotto varie forme, anche con dispositivi di piccole dimensioni, sebbene meno intelligenti. A favore giocherà il fatto che il flusso di informazioni sarà distribuito e orizzontale. Ad oggi il World Wide Web è come un insieme sterminato di documenti linkabili e collegati tra loro che il paradigma partecipativo del 2.0 rende disponibile grazie ai motori di ricerca come Google e Yahoo!. Fornire un nuovo tipo di informazioni, sicuramente più complesse, generate in modalità partecipata e bidirezionale top-down e bottom-up, è il primo step verso la realizzazione del web 3.0. Lo step seguente potrà essere la decentralizzazione (quindi la conformazione a rete) su terminali (nodi) che distribuiscano il lavoro. Come adesso tutto converge verso il web 2.0, per cui si parla di rimedi-azione, domani tutto confluirà verso i nuovi paradigmi tra cui il 3.0. Lo scenario che si genererà da questa ri-convergenza nel web 3.0 permetterà al web di:
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Direttore del McLuhan Program dell’Università di Toronto. La citazione è tratta da Connected Intelligence: the arrival of the web society, 1997. 47 Cfr. Cattid, ricerca del 2002, da cui ci piace prendere questa metafora decisamente in linea con la tesi.
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“Collegare informazioni complesse, rilevate da reti di sensori dotati di una primitiva intelligenza artificiale, con informazioni a loro volta complesse, derivate dai livelli superiori del web, dando la possibilità all’utente di approfondire in (Cattid, 2002) maniera fluida la sua conoscenza Se ne potranno poi fare usi in campi diversi. A beneficiarne dell’ambiente saranno ovviamente anche la comunicazione e l’economia. circostante”.
2.4.3. Target: informazione Ottimizzare la gestione dei flussi informativi per favorire la condivisione delle informazioni e della conoscenza è oggi più che mai di vitale importanza per le imprese agricole che devono sopravvivere e resistere a fronte dei cambiamenti degli scenari di riferimento e per le istituzioni che devono rendere partecipe l’utenza nei processi decisionali. L’innovazione tecnologica è parte integrante di tale processo e ha come scopo l’ottimizzazione dei flussi di comunicazione –sia interna che esterna – per renderli parte integrante delle strategie del management. L’introduzione di innovazioni
tecnologiche e informatiche è e deve essere un supporto per un processo organizzativo progettato in un’ottica di engagement crescente delle risorse umane delle aziende e delle istituzioni e della loro progressiva responsabilizzazione. Tutti questi cambiamenti, però, devono essere comunicati; i dati e le informazioni devono essere rese accessibili e disponibili agli interlocutori del mercato per far sì che sia possibile correggere le strategie, rispondere alle nuove esigenze e reagire agli scenari sempre più liquidi, instabili. L’informazione, quindi, diventa un modo per partecipare alla vita pubblica e prendere coscienza e conoscenza dei cambiamenti in atto. Se la comunicazione commerciale ha lo scopo di vendere qualcosa, la funzione informativa è precipua della comunicazione istituzionale. Dobbiamo però capire bene qual è la differenza fra /comunicare/ e /informare/. Tra informazione e comunicazione non c'è una
cesura che consenta di delimitare con assoluta precisione i confini dell'una e dell'altra. Per quanto infatti si possa cercare di definire in astratto le caratteristiche e le funzioni dell'informazione rispetto a quelle della comunicazione, nella realtà di tutti i giorni informare e comunicare sono due attività complementari, con numerosi punti di sovrapposizione e con un continuo passaggio dall'una all'altra. L’informazione richiede una perfetta comprensione del contenuto, come è d’obbligo che sia per una comunicazione proveniente da un’istituzione. L’output comunicativo di un’istituzione che, per natura ontologica, è prevalentemente di tipo informativo. La comunicazione rappresenta il momento del rapporto tra gli uomini, dello stabilirsi di un contatto. L'informazione è invece un aspetto della comunicazione, un suo particolare utilizzo. In questo contesto, laddove l'istituzione faccia comunicazione innesca una dinamica di potere: stabilisce quali sono le sue competenze e apre al cittadino l'opportunità di interagire con l'istituzione stessa, abbattendo le barriere della formalità, e affermando l'esistenza di un potere pubblico che sovrasta l'istituzione stessa. Il flusso informativo solitamente segue un percorso di questo genere:
cittadini
enti privati
imprese
enti pubblici Figura 18: Flusso della comunicazione isituzionale, adattamento da Rolando S., 2009
Insomma, già da qualche anno le istituzioni stanno cambiando il loro modo di approcciarsi con gli utenti e iniziano ad adottare un nuovo paradigma “citizen oriented”, centrato sulla soddisfazione dell'utente e sulla qualità dei servizi offerti, in virtù di un ritorno d'immagine positivo che se ne ricava. Le istituzioni abbandonano progressivamente i panni inamidati, autoritari dei quali sono stereotipicamente vestiti e ne indossano altri, freschi, nuovi.
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Rapporto italiani\media, confronto 2001-2009 (val. %) (Fonte: Censis) Questo cambio d'abito si riflette anche nel momento in cui l'istituzione fa pubblicità e comunica verso l'esterno. Fare pubblicità per l'istituzione significa innanzitutto aprirsi e tentare di controllare l'interferenza che si genera tra il linguaggio utilizzato e l'obiettivo che si è prefissati, da raggiungere attraverso adeguati strumenti (ossia, i media e le diverse iniziative di comunicazione). Ricordiamoci, infatti, che la pubblicità è una scelta strategica, indispensabile per le istituzioni e delle imprese 2.0 che si attengono ai canoni della modernità, che comprendono la potenzialità di una comunicazione efficace ed efficiente da inserire in più ampie tattiche aziendali; è un elemento indispensabile in un piano di comunicazione che sottintende, comprende e sottostà ad altre scelte, quali quelle di marketing e di budget. Si possono identificare due possibilità diverse per l'istituzione che fa pubblicità: la prima passa per l'autorità,
dove la comunicazione svolge la funzione di consolidamento di un potere gerarchico acquisito e informa su “ciò che il cittadino deve fare”; la seconda opzione passa invece per il
Televisione Cellulare Radio Quotidiani Libri Internet
2001
2009
Diff. %
95,8 72,8 68,8 60,6 54 20,1
97,8 85 81,2 64,2 56,5 47
2 12,2 12,4 3,6 2,5 26,9
pluralismo: il potere dell'istituzione è al servizio del cittadino, questa lo ascolta e ne condivide i problemi, cercando una soluzione in modalità collaborativa e non impositiva. Ognuna di queste due opzioni richiede ruoli professionali competenti, che sappiano maneggiare i diversi strumenti e linguaggi e creare un communication mix che soddisfi gli obiettivi stabiliti. Ogni linguaggio, infatti, ha degli obiettivi: abbiamo linguaggi diversi per obiettivi comuni e obiettivi diversi per linguaggi simili; l'esito positivo di una comunicazione dipende in parte anche dallo strumento che si sceglie. L'evoluzione di linguaggi e strumenti è continua, al loro mutare si diversificano anche gli obiettivi e l'istituzione che fa comunicazione in maniera aggiornata e pluralistica avverte l'esigenza di rispondere prontamente ai continui cambiamenti in atto nella società.
2.5. Il sistema statistico nazionale (Sistan)
Il Sistema Statistico Nazionale è composto da una rete di soggetti pubblici e privati italiani48 che hanno il compito di fornire le statistiche ufficiali nazionali. Le sue attività sono regolate soprattutto dal d. lgs. 9/1989 e dalla legge 125/1998. Compito principale del Sistan è di fornire informazione statistica ufficiale al Paese e agli organismi internazionali, attraverso gli obiettivi previsti dal Piano statistico Nazionale49. Ne fanno parte l’Istat e altri istituti di ricerca nazionali e territoriali, tra cui anche le Camere di Commercio, ed enti di ricerca privati. Il Sistan pubblica una raccolta delle sue indagini, inserite nel Catalogo Sistan, pubblicato con ogni due anni e disponibile on line, organizzato secondo categorie e imparzia settori tematici. lità Inoltre, sono pubblicati riserva affidabili regolarmente anche tezza tà comunicati stampa. lavori Istat 2.5.1 Diamo i numeri criteri traspa perti renza nenza efficienz a Ne fanno parte circa 10mila operatori. 49 Di durata triennale, ma aggiornato ogni anno per rettificarlo in caso di errori o aggiustamenti decretati dalla situazione contingente, per adeguarlo ai cambiamenti e quindi renderlo strumento esatto e veritiero, corrispondente ai bisogni conoscitivi. Questo viene disposto dal Comstat, comitato di indirizzo e coordinamento di informazione statistica, su proposta del presidente dell’Istat e in seguito vagliato e approvato dal Presidente del Consiglio dei Ministri. 48
In Italia, parte del compito di informazione non è svolto solo dai media mainstream, ma anche dall’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, che si occupa di raccogliere le informazioni relative ai cambiamenti di ieri e di oggi, prospettando anche quelli che avverranno nel futuro prossimo. Le informazioni raccolte sono trasmesse anche ai mezzi di comunicazione di massa che provvedono a diffonderli attraverso i loro canali. L'Istat è un ente di ricerca pubblico a partecipazione statale, tra le cui attività sono comprese i censimenti sulla popolazione, i censimenti sull'industria, sui servizi e sull'agricoltura, le periodiche indagini campionarie sulle famiglie e numerose indagini economiche. I prodotti statistici rappresentano un articolato insieme di informazioni gradualmente semplificate per la lettura dell’informazione stessa; l’Istat, insomma, raccoglie e mette ordine nel mondo complesso ed articolato della realtà per renderla comprensibile attraverso i suoi output comunicativi, facendo da interfaccia e da fulcro di raccolta di notizie. I dati così possono essere confrontati, scomposti, incrociati, interpretati e compresi. Le rilevazioni censuarie sono iniziate già nel 1926, anno in cui fu istituito l’Istituto Centrale di Statistica, con la finalità – oggi come allora – di raccogliere in modo organizzato dati essenziali per il corretto funzionamento dello Stato e per il benessere dei cittadini. Questa è la finalità essenziale di
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tutte le indagini dell’istituto: infatti, ogni studio è al servizio dei decisori pubblici, per indirizzare le loro condotte e scelte. Le statistiche prodotte sono considerate dati ufficiali e, in virtù del bisogno informativo espresso dalla cittadinanza, soddisfano anche questa necessità. Inoltre, hanno una funzione di indirizzo, coordinamento, assistenza e formazione all’interno del Sistan. I dati prodotti dall’Istat sono sostenuti anche dalla Commissione per la garanzia dell’informazione statistica presso la Presidenza del Consiglio. Infine, Istat collabora anche a processi di standardizzazione e realizzazione di statistiche di carattere internazionale. Le rilevazioni condotte dall’Istat sono di natura censuaria o rilevazioni periodiche; a richiederle, non solo gli obblighi pattuiti per legge, ma anche indagini ad hoc e istituti privati. L’impegno messo nel lavoro è molto e importante, dato che le informazioni prodotte sono sempre più penetranti nella realtà e l’offerta di dati sia altrettanto articolata. Lo strumento principale utilizzato è ovviamente un questionario strutturato, somministrato da rilevatori appositamente addestrati, con rilevazioni tramite interviste telefoniche, invio del questionario tramite posta o – come nel caso dei censimenti della popolazione – direttamente compilati dai soggetti. Per alcune indagini, come quelle censuarie, esiste
l’obbligo della risposta. Al termine dei processi di rilevazione e produzione dei dati, l’Istat deve garantire massima informazione nel minor tempo possibile; inserisce tutte le informazioni a disposizione, gratuitamente e direttamente sul sito dell’ente. Tutti i dati sono accompagnati a metadati per chiarificarne il processo produttivo, la metodologia di raccolta e elaborazione e l’ottenimento degli output.
2.5.2. Il censimento delle imprese agricole Il 6° Censimento dell'Agricoltura arriva in una fase di profonda trasformazione strutturale e intrinseca del settore agricolo italiano. Quali sono gli sviluppi e il futuro del’agricoltura? È questo lo scopo conoscitivo che si prefigge il 6° censimento generale delle imprese agricole, che ha avuto lo start up il 24 ottobre 2010. Un censimento generale dell’agricoltura ha cadenza decennale e vuole (deve) essere un’indagine esaustiva sul territorio. Il censimento è sicuramente un’occasione
irripetibile per tracciare il profilo della moderna azienda agricola, utile al decisore pubblico, che nel periodo-finestra tra un censimento e l’altro deve accontentarsi di indagini parziali, quanto alle aziende stesse che, in virtù di quanto abbiamo detto nei paragrafi precedenti, deve riorganizzare se stessa e la sua strategia per proiettarsi e prosperare nel futuro.
I problemi relativi ai contenuti vengono risolti tramite attente discussioni e riunioni di gruppo, svolte con tutta la documentazione necessaria per correggere e rivedere ogni elemento. In sostanza, si tratta di aggiustamenti continui, corroborati dai chiarimenti che i rilevatori richiedono. Passaggi fondamentali che devono precedere l’implementazione di un censimento sono senz’altro:
PROBLEMI: E’ evidente, in ogni caso, che nel progettare e pianificare un’indagine così importante in quanto a output, tempo, energie e budget come quella censuaria, il problema più annoso che si presenta riguarda non solo i contenuti ma anche la corretta individuazione “del target”, cioè delle unità oggetto di rilevazione, e la loro ubicazione. Abbiamo già detto, infatti, quanto sia territorializzata e parcellizzata l’industria agroalimentare italiana, così radicata al territorio e difficilmente raggruppata. Tra l’altro, qualora alcune aziende agricole siano geograficamente vicine, non tutte raggiungono le dimensioni necessarie che le renderebbe
L’aggiornament o dei dati già DISTORSIONI INTRODOTTE: disponibili sottoforma di -penalizzazione della localizzazione elenchi e -attribuzione di colture e allevamenti non appartenenti a una schedari; per il provincia\regione\zona Censimento - errata conoscenza dell’estensione dell’Agricoltura, dell’area agricola e dei comuni di tale azione è appartenenza stata risolta lasciando invariata l’unità da censire, ossia l’impresa agricola; Ripartizione in zone, per gestire meglio le rilevazioni, e inserimento nelle mappe delle aziende agricole.
Problemi Censimento Agricoltura Definizione e circoscrizione dell'azienda agricola
Individuazione del
Geolocalizzazio rispondente Aggiornamento (causa doppia ne dell'azienda farm register figura condutorreagricola capo azienda)
soggetto di rilevazione. Ecco che quindi la conformazione orografica del territorio italiano non aiuta certo il censimento. Almeno per come era strutturato in precedenza.
Quest’ultima è stata non priva di conseguenze, poiché spesso i rilevatori penalizzavano la localizzazione geografica e la distribuzione nel territorio inserendo una soluzione convenzionale che vede l’azienda agricola come appartenente al più vicino centro abitato, creando – magari lievi, ma comunque importanti – deviazioni. Si è reso necessario, pertanto, un progressivo affinamento dei criteri,
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degli strumenti e delle metodologie ala base del censimento. L’esigenza fondamentale che si è tenuta presente per la costruzione del censimento è stata la ricerca della massima precisione possibile per la geolocalizzazione dell’impresa agricola nel territorio50. A tal proposito si interviene attraverso ASIA51, altrimenti detto farm register, come lo si preferisce definire, e appunto la divisione territoriale che organizzi delle “sezioni” interagenti con quelle rilevate nelle indagini precedenti, con lo scopo di ottenere delle ripartizioni quasi “parlanti” e descrittive. Il farm register prevede così un aggiornamento continuo delle informazioni relative alle aziende agricole, del cambiamento eventuale di quelle già consolidate, della nascita di nuove attività o della cessazione – e per quali motivazioni – di altre imprese agricole; è uno strumento attivo ma da affinare e che deve esser sottoposto a continui aggiustamenti. Lo scopo è quello di ottenere un database che sia così completo e aggiornato nei contenuti da poter limitare – fino eventualmente a sopprimere – la necessità di un censimento. O di cambiarne le modalità di somministrazione, sempre meno invasive, come è il caso dell’attuale censimento in start dal 24 ottobre che, per la prima volta, sfrutta la capillarità, fruibilità e familiarità col web. Un altro problema che si presenta è quello della corretta definizione dell’unità statistica da rilevare, cioè una definizione univoca di impresa agricola. Ecco che quindi si procede a una limitazione del campo di azione, escludendo 50
Elemento già richiesto da Eurostat e considerato al momento della stesura delle domande del questionario. 51 Archivio statistico delle imprese attive - unità locali.
le piccole aziende o le coltivazioni e allevamenti domestici. Un’altra controversia che gli organizzatori del censimento devono tenere in considerazione è la figura duplice del conduttore e del capoazienda, non sempre figure coincidenti e che creano non poche problematiche ai rilevatori. Il capo azienda è indispensabile per l’individuazione dell’azienda sul territorio. Ma, in caso di sdoppiamento di queste due figure, spesso si vengono a creare doppi recapiti e anche la difficoltà di intervistare la persona giusta per il Figura 19: screen shot pagina video guide per la compilazione on line
rispondimento. Il metodo solitamente utilizzato per la raccolta dei dati è un questionario cartaceo somministrato da rilevatori appositamente addestrati che ricevono anche assistenza on the job durante il periodo di rilevazione. Per il censimento del 2010, però, è stata introdotta un’importante novità, ossia la possibilità di rispondere al questionario direttamente on line, sul sito satellite dell’Istat dedicato al
6° censimento http://censimentoagricoltura.istat.it/ e cliccando l’apposita finestra che ci reindirizza al sito del questionario https://censimentoagricoltura.istat.it/ACQUIS/. Sul sito è anche disponibile una guida filmata con tutti gli step relativi alla compilazione, disponibile su http://censimentoagricoltura.istat.it/index.php?id=43 I dati saranno disponibili da giugno del 2011 in una versione provvisoria, mentre i dati definitivi saranno diffusi ad aprile 2012. La rilevazion e è iniziata il Figura 20: screen shot pagina log in del censimento 24 on line ottobre. DOMAND E: L’ufficio preposto alla compilazi one delle domande del questionario ha dovuto tenere conto di tre principali vincoli, rappresentati dal contesto normativo internazione e in particolare dalle raccomandazioni della FAO nell’ambito del World Programme for the Census of Agriculture; dal contesto europeo che, come abbiamo già visto, progetta un
quadro statistico – cui questo censimento risponde parzialmente52 - che permetta la comparabilità dei risultati a livello europeo e predispone la PAC; dal contesto peculiare italiano. Sono state introdotte anche delle domande relative alle metodologie impiegate per la produzione delle derrate alimentari, in seguito all’attenzione per le produzioni biologiche e i controlli di qualità. Complessivamente, il numero di domande è stato inferiore (fortunatamente per i recensori, i rilevatori e i rispondenti!) rispetto al questionario del 2000. Sono state create due versioni del questionario: la medium form, più breve e destinata a tutte le imprese agricole, e la long form, con più domande53 e destinata a imprese inserite in un campione. OBIETTIVI INFORMATIVI: il Comitato consultivo messo a capo della preparazione del questionario ha preso in considerazione oltre 300 variabili che rispondono ai vincoli di cui sopra per rispondere a precisi obiettivi. Il censimento, come già detto, deve fornire una rappresentazione fedele e puntuale del quadro attuale dell’agricoltura e delle imprese agricole,
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Parzialmente perché parte delle domande contenute nel questionario sono valevoli per tutte le imprese agricole dell’Unione europea. Se ne distinguono poi una parte perché si tiene conto dello specifico mercato nazionale, delle peculiarità del territorio, delle coltivazioni e degli allevamenti autoctoni ecc. 53 Inserite in una pagina in più rispetto alla versione “breve”; queste domande sono inerenti solo all’azienda zootecnica, la minoranza rispetto all’insieme delle imprese agricole oggetto di indagine.
85 Figura 21: screen shot home page sito del 6° censimento delle imprese agricole
cercando di capire quali saranno le evoluzioni per il futuro. Il censimento poi è un obbligo di legge, per cui vige l’obbligo di risposta (pena sanzione pecuniaria). Inoltre, nell’ottica di un aggiornamento del farm register, fornire gli elementi utili a tale scopo, da integrare con dati amministrativi. Mostrare e migliorare la competitività e la redditività del settore sono aspetti di primaria importanza per il futuro del mondo agricolo, tanto da occupare un posto di primo piano nei contenuti e negli obiettivi del censimento. Come abbiamo visto, il comparto richiede un intervento mirato e un piano di finanziamento e incentivazione anche da parte del decisore pubblico. COMPOSIZIONE: il questionario è composto da 6 sezioni: Informazioni tradizionali: forma giuridica e di conduzione; Destinazione di utilizzo dei terreni, quindi numero e tipologia di coltivazioni, allevamenti, attività connesse, commercializzazione e autoconsumo. Una soluzione largamente adoperata è stata la semplificazione delle procedure, per alleviare il “fastidio statistico”; Destinazione di utilizzo dei terreni in ambito zootecnico; Geolocalizzazione e georeferenziazione dell’impresa agricola; Modalità di svolgimento del lavoro e conduzione di attività connesse; Commercializzione dei prodotti, ricavi e quote
destinate all’autoconsumo. Molta attenzione è stata data proprio alla differenziazione tra attività agricole e attività connesse: abbiamo già visto come quest’ultime possano essere, unite alle tecnologie della comunicazione, innovazione e adozione dei nuovi paradigmi organizzativi, in una vision integrata di impresa, il modo per le imprese agricole di migliorare e trasformarsi per il futuro del settore. All’interno, è stata posta la differenziazione anche sul lavoro svolto per l’una o per l’altra tipologia di attività agricola. La strutturazione dell’attuale questionario infine permetterà per la prima volta di offrire dati e informazioni sull’entità delle superfici collettive, distinguendo tra quelle indivise e quelle assegnate a singole aziende agricole. RILEVAZIONE: All’Istat è stato demandato il compito di approntare un Piano generale di Censimento per definire tutti gli aspetti contenutistici e metodologici del censimento. I criteri di organizzazione del piano sono stati essenzialmente: Tempestività Efficienza Riservatezza Qualità Le Regioni hanno un ruolo attivo nella definizione del proprio piano di censimento – quindi possono scegliere se adottare un modello ad alta partecipazione o un modello a partecipazione integrativa - e nell’inserimento di alcune variabili da rilevare, correlate alle specifiche realtà locali.
Scegliendo il primo, adottano un piano di censimento definito dall’Istat, soprattutto per quanto riguarda le tempistiche di rilevazione; a costituirsi come uffici regionali di rilevazione saranno per esempio le comunità montane o le Camere di Commercio, secondo criteri di uniformità. Scegliendo invece il secondo modello, le regioni adoreranno un modello a partecipazione integrata, con modalità di gestione e tempistiche un poco più libere. Saranno così uffici territoriali per il censimento enti pubblici o privati compresi nel piano regionale e accettati da Istat. Ogni piano regionale è stato valutato e approvato da Istat dal punto di vista metodologicoInoltre, è competenza delle Regioni stilare il calendario di rilevazione, organizzare la rete censuaria e addestrare rilevatori.
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FASI della rilevazione Localizzazione imprese agricole Attribuzione ai rilevatori Rilevazione dati Registrazione dei dati Monitoraggio Elaborazione dei dati Dati di sintesi Pubblicazione dati definitivi
GLI ATTORI: l’organizzazione della rete censuaria è stata premura di Istat in concerto con le Regioni - che sono state libere di scegliere il proprio piano di censimento – i comuni e
le Camere di Commercio. La rete di rilevazione è formata da: Istat, che ha un ruolo di direzione e vigilanza espletato anche attraverso i suoi uffici regionali; Unioncamere, che collabora al monitoraggio; Commissioni tecniche regionali, che valutano l’andamento delle rilevazioni per la Regione di competenza; Uffici censuari provinciali, situati solitamente presso le Camere di Commercio, che supervisionano le attività per provincia di competenza;
ufficio regionale censimento ufficio territoriale censimento
responsabili istat territoriali
responsabili coordinatori territoriali
coordinatori intercomunali
uffici censimento comunali rilevatori Coordinatori provinciali e intercomunali, che controllano le attività per le loro zone di competenza;
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Uffici censuari presso i Comuni, che devono aggiornare gli uffici provinciali54 dell’andamento delle rilevazioni e del numero di questionari compilati e in generale sull’andamento del lavoro. Se necessario, vengono interpellati anche sindaci e prefetti, per agevolare il lavoro di rilevazione e assicurare il regolare svolgimento delle azioni di rilevazione. In sostanza, la rete censuaria è organizzata come vediamo nello schema seguente. Figura 22: organizzazione della rete del censimento
MOTIVAZIONI: Perché scegliere la forma censuaria per effettuare queste rilevazioni? Secondo Istat il censimento è il modo migliore per “cogliere il cambiamento e governarlo”55; perché è il metodo migliore per avere un quadro chiaro e completo della crescente diversificazione delle attività nel settore agricolo: il nostro territorio conta
circa 2 milioni e mezzo di imprese agricole, tutte diverse e diversificate; il panorama quindi è quanto mai variegato e ciò richiede oculatezza nella gestione delle informazioni e nella pianificazione degli obiettivi e delle azioni. Particolare attenzione è stata attribuita a come sono strutturate le aziende agricole, qual è la loro struttura organizzativa, il rapporto tra le attività prettamente agricole e le attività connesse. Inoltre, il censimento serve per avere anche le informazioni sull’impatto ambientale dell’agricoltura e il rapporto tra attività agricole e rispetto dell’ambiente, dato che, come abbiamo visto, l’emergenza ambientale e i temi di sicurezza alimentare sono all’ordine del giorno. E Il 6° Censimento in particolare arriva in una fase di profonda trasformazione strutturale e intrinseca del settore agricolo italiano. Tutta la nazione è sottoposta a un processo di cambiamento che si articola in modo disomogeneo lungo il territorio. Il Censimento vuole cercare di entrare nelle viscere di questo cambiamento, comprenderlo e indirizzarlo in modo fruttuoso e positivo, andando zona per zona a capire lo stato delle cose. Gli indicatori scelti e le domande ci restituiranno una fotografia fedele dello stato attuale e di tutte le mille sfaccettature del mondo agricolo e zootecnico, che ha visto crescere e svilupparsi nuove realtà come le coltivazioni biologiche, l'agriturismo, l'acquacoltura, l'artigianato legato all'attività agricola e, infine, l’imprenditoria femminile56.
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E questi a loro volta i regionali. 55 http://www.istat.it/censimenti/
Un’azienda agricola su quattro è gestita da una donna. Sono anche imprese produttive, redditizie e ben organizzate, con performance migliori rispetto alla media. Fonte: rapporto 5° censimento imprese agricole Istat, 2000.
L’Istat ha anche un ruolo attivo nella diffusione delle informazioni che riguardano il settore agricolo, li elabora e quindi li propone per la lettura degli interessati. L’autorevolezza dell’Istituto fa sì che ciò che esso produce sia di interesse nazionale. L’impegno richiesto è cospicuo, tanto più che la raccolta dei dati avviene in maniera censuaria, con grande dispendio di energie fisiche e materiali (ossia di budget). MODALITA’: per favorire la collaborazione e alleggerire il fastidio statistico derivante dall’obbligo di risposta e dalla lunghezza del questionario, è stata introdotta da quest’anno un doppio canale. Non solo il questionario, cartaceo, compilato con l’aiuto di un rilevatore ma anche la possibilità di compilazione automatica su web. Questa seconda opportunità, in particolare, permette di salvare il questionario anche se non è terminata la compilazione e di ritornarvi in un secondo momento57. La compilazione on-line è una funzione di supporto alla rilevazione utile per una migliore gestione dei dati. Inoltre, è da considerare un grande beneficio e un gran risparmio in tempo (di rilevazione), soldi (per l’istituto) e energie (per i rilevatori) perché i dati vengono autonomamente caricati sul database. Non è un caso che nel 2010 l’Istat esegua il censimento 57
Esiste quindi la possibilità di scegliere il momento migliore, di interrompere la compilazione per poter fare tutte le verifiche necessarie per poter rispondere con maggior precisione, di poter fare tutti gli approfondimenti necessari.
avvalendosi di questa importante novità tecnologica: per la prima volta le fattorie si possono connettere in rete e contribuire alla raccolta dei dati tramite il web e questo è un chiaro segnale della necessità avvertita di apertura, di innovazione, di voglia di cambiamento, di internazionalizzazione, di necessità di ammodernare le proprie azioni, abitudini e pratiche. Il censimento cerca di adeguarsi ai tempi che cambiano e di realizzare quella che da tempo è un’esigenza di avanzamento tecnologico e di digitalizzazione che si percepisce chiaramente in ogni settore del mondo esterno, e che prova a esser portato anche nel settore agricolo e zootecnico. È una svolta per le istituzioni, considerate solitamente grigie, lente, burocratiche e chiuse in se stesse, ed è una svolta per le fattorie che si spogliano dei panni tradizionali e stereotipati finora indossati anche nell’immaginario collettivo. Nel 2010, insomma, arriva una vera svolta tecnologica che vale contemporaneamente per due attori solitamente ritenuti poco “digitali”, Istat e agricoltura.
Lo stesso utilizzo di internet, anzi, influisce sull’articolazione della rete censuaria - decisamente imponente, come abbiamo visto – che viene in qualche modo snellita; il web
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permette visione diretta e immediata tramite software dei questionari compilati, snellendo pratiche, procedure e burocrazie, per un risultato piĂš immediato, trasparente, aggiornato just in time e senza errori. Dall'attendibilitĂ delle informazioni fornite dipenderĂ una parte considerevole del futuro dell'agricoltura italiana, anche in termini di finanziamenti comunitari.
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CAPITOLO 3: RACCOGLIERE È arrivato il momento di raccogliere i frutti di quanto abbiamo finora detto. Il leit motiv di questa tesi è quello di incentivare il cambiamento e l’innovazione. Spesso si ritiene che cambiare sia difficile, oneroso, dispendioso a livello fisico, mentale ed economico perché richiede risorse; si ritiene che “tutto è sempre andato così e continuerà a farlo”, cadendo nel bieco immobilismo. Quello che invitiamo a fare è passare concretamente all’azione. Certo, non è facile realizzare un cambiamento significativo, ma nessuno pretende che questo sia immediato. Anzi, si deve procedere con una pianificazione adeguata, step by step, che consenta di arrivate preparati e non farsi cogliere di sorpresa dagli imprevisti. Ogni innovazione è a se stante e si articola attraverso diverse vie: prodotti, azioni, target, idee, metodologie, canali, business models, rapporto coi vari stakeholders. Qui, vogliamo creare un’innovazione che coinvolga i diversi soggetti fin qui incontrati e quelli che ancora
dobbiamo presentare. La portiamo avanti attraverso 3 strade principali: Modalità: di organizzazione del lavoro, di espressione, di comunicazione; Condivisione, partecipazione, informazione, accesso, collaborazione; Contenuti proposti.
Finora usiamo solo parzialmente le risorse e subiamo limiti imposti da altri che influenzano le condotte: è il caso delle politiche agricole di ambito europeo che hanno un peso notevole nelle decisioni delle imprese agricole. In genere, ci si limita a portare solo lievi miglioramenti nei processi grazie alle attività di Ricerca & Sviluppo, che restano comunque fondamentali per restare sintonizzati sull’obiettivo e con i piedi ancorati a terra. Innovazione sì, fantasia va bene, immaginazione anche, ma teniamo sempre presente che non dobbiamo parlare di fantascienza: solo di innovazione. Quella che permetta, sfruttando le nuove leve tecnologiche e
Le leve del cambiamento comunicative e quelli che rapporto costi\benefici. Un abbiamo già chiamato cambiamento “reazioni” e “sviluppi”, di esponenziale, invece, rendere reale un nuovo segue logiche non lineari, tipo di agricoltura, di farla sono veri e propri balzi in diventare possibile. Per avanti e in maniera uscire dalla crisi e discontinua, di “rottura”, prosperare nel futuro rispetto ai modelli serve pensare fuori dagli precedenti. I nuovi schemi, e usare la paradigmi ci suggeriscono creatività. che non è più sufficiente L’innovazione richiede conoscere il proprio tempo e dispendio di mercato e il proprio Comunicazione Digitalizzazione Creatività Globalizzazione energie fisiche e mentali, e prodotto\servizio, perché ha bisogno di un periodo sono i consumatori a esser di incubazione prima che cambiati e ad avere nuovi le idee e le conoscenze bisogni da soddisfare, convergano e facciano scattare la scintilla, e non senza cercando anzi di anticiparli. Ma se non possiamo delle “spinte” che in qualche modo accelerano il contare sulle indicazioni che ci fornisce il mercato, cambiamento. Ogni cambiamento è una rottura come orientarci? Sono le conoscenze contenute nelle rispetto agli asset precedenti, ma gli esiti non sono mai organizzazioni (in senso lato) che possono creare gli stessi: i cambiamenti tecnologici hanno la tendenza innovazione: in altre parole, si impone una scelta tra ad esser esponenziali (ecco perché le tecnologie si sopravvivere e seguire il flusso oppure avere un ruolo superano l’un l’altra) mentre i cambiamenti sociali ed attivo e diventare attori del cambiamento che economici avvengono più lentamente, in maniera trasformano lo scenario. È quello che devono fare le incrementale e – si spera – continua. La differenza imprese agricole: cavalcare attivamente l’istanza di fra queste due velocità è presto detta: il cambiamento rinnovamento. Il vantaggio competitivo si sposta così incrementale passa per stadi successivi e susseguenti dal mercato esterno all’interno dell’azienda agricola, di miglioramento di un prodotto o di un processo, nella capacità di sfruttare le proprie conoscenze, rispetto il modello precedente; l’obiettivo è il competenze e capacità in termini innovativi. E la miglioramento delle performance, della qualità, una conoscenza esaustiva del proprio territorio ne agevola migliora flessibilità e adattabilità e l’ottimizzazione del la trasformazione verso modelli fluidi e interconnessi, 93
dove si può collaborare con gli allearsi per pensare al Comun alti per condividere i vantaggi e cambiamento e al icazion diminuire le criticità. Nei rinnovamento, per fare e periodi di contrazione innovazione e rete, superando Conosc Creatività economica, per le aziende la territorialità che invece le enze agricole sapere quali sono i contraddistingue oggi. Per propri punti di forza e attuare il cambiamento e fare conoscere i propri punti di innovazione è indispensabile Capacit debolezza fa sì che queste introdurre tecnologie, prodotti e Rischi à acquisiscano automaticamente servizi citizen oriented, maggiore consapevolezza di ciò migliorare il modello di che sono e rappresentano, e business, l’organizzazione del Tecnol Rapidit dell’importanza fondamentale lavoro, riorganizzare i processi à ogia che hanno. Cambiare il punto di produttivi ottimizzando tempi, vista non significa certo energie e risorse. Oggi le cambiare settore di mercato, ma riqualificarsi, imprese agricole vivono e lavorano in un mercato 58 modificare la propria immagine e orientarsi verso complesso e mutevole e stare al passo coi tempi è un nuove spiagge, sfruttando le possibilità offerte dal obbligo, ancor meglio anticipare il cambiamento per mondo esterno. Creatività: è la parola d’ordine e la trarne un vantaggio competitivo prima che siano altri a strada maestra. E per competere nel mondo farlo e decidere le sorti del mercato. L’innovazione globalizzato l’interdisciplinarietà, la flessibilità e comporta sostanzialmente tre tipi di cambiamento, che l’apertura sono gli ingredienti di base della ricetta e i riguardano le sfere: Economica; pilastri sui quali si fonda l’“ecosistema” dell’innovazione, fatto di attori, conoscenze, capacità, Organizzativa; potenzialità e rischi. Ma per cogliere tutte le occasioni, Strategica; occorre agire ed essere rapidi. I media e l’ICT fanno Tecnica anch’essi parte del cambiamento, vi appongono un E tutte queste direttrici convergono verso la contributo che definire decisivo è poco. È proprio con riformulazione del modello di business delle imprese, loro che le imprese agricole e zootecniche devono perché sostanzialmente l’innovazione è uno strumento 58 che ha un’azione non trascurabile sulla forma di Abbiamo già detto di quanto le imprese agricole siano percepite come antimercato e sulle modalità organizzative. Internet ne tecnologiche e di quanto si pensi che il settore sia riluttante al cambiamento.
Inno vazio ne
del metodo delle mappe mentali, che conosco e uso ormai da circa due anni e che ho avuto modo di apprendere (e apprezzare!) grazie alla Dott.ssa Roberta 59 Buzzacchino , esperta mind mapper, che mette la sua esperienza a disposizione di noi studenti e...di me come tesista. Sono poche e semplici le parole chiave con lei, autrice del primo blog italiano dedicato al mind mapping, ci dà il benvenuto e ci invita a scoprire questo nuovo orizzonte:
diventa il promotore, propulsore e enfatizzatore di questi processi di cambiamento.
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Girare il foglio da verticale ad orizzontale, passare dalla scrittura lineare a quella radiale, usare tutti i colori, liberare la creatività.
3.2. La tesi come sperimentazione L’innovazione di cui parliamo passa non solo attraverso i contenuti, i modelli organizzativi o le liste del “things to do tomorrow”, ma anche attraverso la forma. Impossibile non notare come questa tesi sia decisamente originale e fuori dagli schemi della “Tesi” comunemente intesa. E anche delle nuove impostazioni editoriali in uso in alcune facoltà, come Scienze della Comunicazione alla Sapienza di Roma. E se non sperimentiamo qui, dove allora? C’è un motivo per cui ho scelto di sperimentare concretamente, di fare innovazione e non limitarmi a parlarne. Il layout grafico è una conseguenza diretta
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Iniziamo subito col dire che le mappe mentali sono un metodo di rappresentazione grafica del pensiero, sviluppata dallo psicologo cognitivista americano Tony Buzan negli anni ’60 e che permette di sfruttare al meglio – potenziandole- tutte le capacità del nostro cervello, seguendo le associazioni non lineari ma radiali 59
Il suo blog merita una visita: http://mappementaliblog.blogspot.com/ : è una fucina di idee, spunti, stimoli e…di positività!
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e logico-associazioniste. Il primo passo è appunto quello di girare il foglio, da verticale a orizzontale: così facendo, da subito ci si apre un mondo nuovo, fatto di spazio e di infinite possibilità! Il secondo step è quello di visualizzare l’idea principale, scrivendola al centro del foglio. Magari accompagnandola con un piccolo disegno o simbolo che ci aiuti a richiamarla alla memoria e sintetizzarla. L’immagine al centro ci permette di focalizzare, tenere saldo un punto fisso, fermo, e di far ruotare intorno ad esso tutti i nostri pensieri senza mai perdere la bussola e, soprattutto, la visione d’insieme. Infine, fare i “rami”, ossia articolare il discorso centrale secondo le sue direttrici principali. I rami si disegnano in senso orario, partendo dal centro e verso l’alto a destra, e via via chiudere fino all’angolo in alto a sinistra. Ognuno di essi ha un colore diverso, per stimolare la creatività e facilitare la memorizzazione. Volutamente, le mappe di questa tesi sono un’eccezione a questa regola: il tema conduttore è il verde e ad ogni capitolo è stata assegnata una sfumatura EMISFERO SINISTRO: diversa di questo colore. Ed è stato divertente pasticciare Elabora le informazioni in con pastelli e pennarelli di modo logico, razionale, diversa intensità, spessore, gerarchico e numerico cercare abbinamenti e sfumature che potessero trasmettere al meglio l’idea. Le mappe mentali aiutano a sviluppare anche la sintesi,
perché sui rami si scrivono solo (preferibilmente) parole chiave: ragionando per parole chiave, magari accompagnate da piccoli simboli e pittogrammi, riusciamo a sintetizzare il discorso e non perderci nei meandri delle parole, col rischio di andare fuori tema e...perderci per strada. Importante è liberare la creatività, anche perché non ci saranno solo i disegni a farci tornare un po’ bambini ma anche i colori. Esattamente: da piccoli il nostro foglio da disegno era orizzontale e pieno di colori. Così è la nostra mappa che sarà poi completa quando, finalmente, coloreremo tutti i rami di colori diversi. L’idea alla base di questa metodologia è quella di far collaborare i due emisferi del nostro cervello, il destro e il sinistro, che notoriamente hanno capacità diverse. Come? Associando colori, parole, idee e disegni. E le associazioni sono praticamente illimitate, per cui realizzare una mappa è dare libero sfogo a tutte le nostre potenzialità latenti e mette il nostro cervello in condizione di generare nuove idee e connessioni che prima avremmo ritenuto EMISFERO DESTRO: impossibili. Grazie anche allo spazio che genera la mappa: Elabora le informazioni in un foglio verticale ha una modo globale, creativo, visuale più limitata, e, come intuitivo, figurato dice la Dott.ssa Buzzacchino:
Il nostro cervello...
Un elenco puntato data la sua struttura statica che prevede un inizio ed una fine, neutralizza la creatività impedendo così al cervello di fare associazioni e quindi di memorizzare in modo efficace. Una mappa mentale, invece, con la sua struttura dinamica che prevede un centro ma non una fine supporta in modo completo il processo di generazione delle idee in quanto fornisce un’efficace visione d'insieme che aiuta il cervello ad elaborare pensieri ed idee. Il motivo per cui ho iniziato a utilizzare le mappe è perché mi aiutano a mettere in ordine le informazioni, senza che io perda il filo dei miei pensieri ma anzi aiutando a organizzarlo in modo strutturato e organico, personale e personalizzato, per adeguare le conoscenze a me e al mio studio e quindi massimizzandone l’efficacia. La diversa prospettiva fornita dalle mappe mi permette di guardare le cose in un’ottica evidentemente diversa non solo nella forma, ovviamente, ma anche e soprattutto nei contenuti. Insomma, una mappa mentale, come una mappa del tesoro, ti indica una via e ti tiene per mano fino al raggiungimento della famosa “X” dove scavare. Una volta trovata questa mappa, non ho più smesso di cercare il mio tesoro. Ho iniziato a seguire questa entusiasmante caccia al tesoro, appunto, da circa due anni, mentre frequentavo il corso di Pianificazione dei media nelle strategie d’impresa del Prof. Marco Stancati. Era il secondo incontro del corso quando a
tenere lezione venne proprio la Dott.ssa Buzzacchino, collaboratrice di cattedra, che ci illustrò il metodo. Sinceramente: penso di esser stata la persona più scettica e riluttante di tutta l’aula quel giorno, convinta del “dogma della linearità”, anche perché non conoscevo altro metodo oltre questo, che ci viene insegnato sin dalle scuole primarie. Eppure, per natura sono una persona curiosa e un giorno, a distanza di molto tempo, mentre studiavo in modo “normale” sfinendomi di riassunti e schemi con la scrivania letteralmente presa d’assalto da fogli, appunti, post-it e libri, vedevo che – nonostante tutti gli esami già sostenuti alla laurea triennale e alla magistrale iniziata da poco– c’era qualcosa del mio studio che non funzionava a dovere e che in qualche modo non mi facilitava, nonostante appunto l’esperienza e l’abitudine. Ogni esame MAPPE MENTALI PER.. sembrava pensare una corsa al organizzare disboscament progettare o per via ordinare dell’enorme sintetizzare quantità di collaborare fogli che utilizzavo, e devo ammettere non tutti in
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modo proficuo: le ripetizioni dei contenuti e le ridondanze erano all’ordine del giorno. Leggevo e riassumevo in modo automatico, senza capire realmente, sperando che “dopo”, in una seconda lettura, tutto sarebbe stato in qualche modo più chiaro60. Probabilmente perché i miei quaderni erano così come li vedete in foto, senza spazio, senza via di fuga, pieni zeppi di parole e cancellature. Incredibile, invece, come una sola mappa può sintetizzare e riepilogare in un solo foglio (ma senza dispersione di informazione, anzi!) quanto è scritto in centinaia di pagine che si susseguono senza sosta e senza un’immagine che faccia risaltare un concetto. Si dice che “non può non piacerti un cibo se non l’hai mai assaggiato” e così…E così, per caso, dopo mesi da quella lezione, per la prima volta ho girato il foglio, assaggiando questo nuovo “cibo per la 60
E poi, a onor del vero, non sempre lo era, per cui ero costretta a tornare sui libri, rivedere i passaggi e i paragrafi se non gli interi capitoli, rileggere tutto e poi interpretare quanto avevo già riassunto, senza la possibilità di correggere perché le righe scritte erano in qualche modo “in gabbia”, intrappolate dalla rigidità della pagina stessa. E alla fine non si ottimizzava il tempo e le risorse a disposizione.
mente”. Da lì, è iniziato il mio percorso radiale, un nuovo modo di guardare al mondo e di relazionarmi con le competenze e le conoscenze, un modo per ritrovare il lato creativo che hanno i bambini e che decresce quando smettiamo di viaggiare con la fantasia quando aumentano le candeline sulla torta di compleanno. Da quel momento le mappe non mi hanno più abbandonato e anzi, devo dire che è proprio grazie ad esse che non ho mai perso la strada e soprattutto ho capito come raggiungere in modo più efficace gli obiettivi che di volta in volta mi prefiggevo. Dapprima, i miei quaderni contenenti valanghe di appunti, che sono diventati così:
Non da ultimo, la tesi, a conclusione del mio percorso di studi della magistrale. Le mappe mi hanno accompagnato anche in molti dei momenti fondamentali di strutturazione di questa tesi. Non solo mentre ero sola, con me e la valanga di materiale da leggere, ma anche quando ho avuto il piacere di recarmi presso la sede romana di Mc Cann Erikson,
una delle più grandi agenzie di comunicazione al mondo, che mi ha gentilmente concesso l’opportunità di fare la mia tesi su un loro caso di studio, e anche quando, a ottobre, mi sono recata presso gli uffici dell’Istat per un’interessante, fruttuosa e piacevole chiacchierata con il responsabile del censimento dell’agricoltura, il Dott. Massimo Greco, e la responsabile della comunicazione dell’Istat, la Dott.ssa Cristiana Conti. In entrambe le occasioni era un obbligo avere le orecchie ben aperte, un dovere se dei professionisti ti dedicano un po’ del loro tempo. Per non lasciarmi scappare nemmeno una virgola ho tirato fuori un blocco di fogli bianchi, una matita e una gomma e ho iniziato a prendere appunti nel modo a me più consono e non senza un po’ di curiosità da parte dei miei interlocutori. Le mappe mentali sono un valido sostegno al mio studio e non solo: praticamente sono utili anche solo per raccontare un viaggio, per organizzare una festa, persino per preparare la valigia senza dimenticare nulla! Non sono quindi solo un modo di pensare, che ci riporta a una dimensione più vicina alla fisionomia dei nostri neuroni, ma anche per progettare qualcosa e per operativizzarla. È il caso di questa tesi: sin dalle sue
prime battute è stata pensata in modo radiale, leggendo libri, prendendo appunti e parlando coi professionisti cui mi rivolgevo per raccogliere informazioni. In seguito, tutte queste informazioni sono state raccolte in mappe più sintetiche, per avere no sguardo d’insieme e di sintesi. La scelta di un layout e di una stampa orizzontale quindi era d’obbligo, per rendere omaggio, da una parte, alle mappe mentali che mi hanno portata sin qui e sfruttare, dall’altra, le possibilità offerte da un nuovo modo di relazionarsi alle parole e alle righe scritte sulle pagine. Certo, quello orizzontale è un formato un po’ particolare, sicuramente audace ma che, personalmente, trovo più funzionale rispetto ai classici formato della tesi. Stiamo poi parlando di innovazione e, a mio avviso, la Facoltà di Scienze della Comunicazione è quanto di più innovativo esiste nel panorama di studi italiano. Se non facciamo qui innovazione, chi può farlo al posto nostro? Abbiamo poi detto e ripetuto quanto sia importante, poi, il fare e non solo il dire. Questo layout rappresenta certamente un punto di rottura rispetto al passato. Senza contare che il formato orizzontale permette di esprimermi in modo
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più libero e nelle mie corde. Che poi è anche questo il fine ultimo di una Tesi di laurea magistrale: essere un biglietto da visita della persona, delle sue capacità, di quanto è riuscito a interiorizzare durante gli anni di studio e, in quanto tale, essere qualcosa di significativo e rappresentativo. Nella forma e nei contenuti. Il mio viaggio radiale è da poco iniziato e ho ancora molto da imparare. So che con le mappe, però, lo farò in minor tempo e meglio. Nel frattempo, sono felice di aver messo un po’ d’ordine, se non nella mia scrivania, almeno nella mia testa!
quando si parla di Internet. È l’ultimo medium comparso sulla scena e nel giro di pochi anni ha rivoluzionato il mondo della pubblicità e il modo di intenderla. Il mercato pubblicitario che questo nuovo medium ha creato, in parte ha già cannibalizzato parte di quei destinati ai media tradizionali, portando ad una diversa allocazione delle risorse. A farne le spese è soprattutto il cinema, i cui investimenti sono vertiginosamente calati. Vediamoli in sintesi: Tabella 2: investimenti pubblicitari, differenze in euro dal 2007 al 2008. Fonte: Nielsen Media §research, primo semestre 2009
Mezzo
2008
2007
Tv Radio Quotidiani Periodici Esterna Cinema Internet Totale
4267364 450358 797668 1133368 209823 44964 287903 7191448
4296112 436839 889097 1216341 213646 53327 248987 7354349
Figura 23 Var.%2008 vs 2007 -0,7 3,1 -10,3 -6,8 -1,8 -15,7 15,6 -2,2
INVESTIMENTI PUBBLICITARI TV
PRESS
3.3. How advertising works Interattività e immediatezza sono due delle parole chiave che fanno da contorno al mind mapping: permettono di interagire con gli altri durante le sessioni di brainstorming e, soprattutto, permettono di avere uno sguardo d’insieme su quanto si sta facendo. Ma queste sono anche le parole chiave che si utilizzano
7%
3%
WEB 1%
6%
OOH
CINEMA
5%
50% 28%
DM
RADIO
E’ necessario infine aggiungere che la comparsa della rete ha allargato il mercato pubblicitario non soltanto come nuovo medium dove far circolare messaggi pubblicitari, ma anche perché molte società, soprattutto appartenenti alla sfera dot-com, hanno visto le potenzialità della rete e hanno iniziato ad investire in pubblicità sui mass media per farsi conoscere e far conoscere i loro servizi.
25000
Crescita accessi a internet in Italia
perché non serve solo a farsi conoscere ma anche a tenere un contatto aperto e stabile. E ancor più importante assume questo aspetto se a dialogare diventano anche le imprese agricole stesse, chiuse nei loro recinti e poco “messe in rete”. I mass media non vanno necessariamente utilizzati tutti, ma devono essere mixati secondo quelli che sono gli obiettivi e i target da raggiungere. Possiamo comunque tentare una semplice e breve schematizzazione dei diversi media per capire come si costruisce anche la dieta mediatica degli italiani:
20000 scuola
15000
lavoro casa
10000
totale 5000 0 2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Il web nel 2010 cresce del 30,3% rispetto a giugno 2009 grazie alla possibilità di accesso tramite cellulare, disponibile per 4,7 milioni di italiani (il 9,9% dei casi secondo Nielsen). Per le imprese è sempre più importante rivolgersi direttamente agli acquirenti per instaurare con essi una relazione stabile e duratura. La pubblicità acquista così un’importanza fondamentale,
Figura 24: dieta mediatica degli italiani, per il 2009. Fonte: Nielsen Media Research, primo semestre 2010.
101
Dieta mediatica 97,2
Cellulare
87,9
Tv 83
Internet 74,1
Libri
70,6
Radio in auto
63,1
Quotidiani a pagamento
61
Radio tradizionale 51,8
Smartphone
49,9
Free press 36,5
Radio lettore mp3
36
Tv satellitare On line
35,5
Settimanali
34,8 31,2
Mensili 20,6
Tv DTT
19,1
Videofonino
15,6
Radio via internet
12,1
Radio via telefono Tv via cavo
4,5
Iptv
3,5
e-book Mobile tv
5,3 1,1
Televisione: è il medium top on mind quando si pensa alla pubblicità. È difatti anche il medium maggiormente utilizzato, con maggiore penetrazione nel territorio e maggior fruizione. Esistono televisioni nazionali, che segmentano le audience per fasce orarie, e ci sono televisioni locali che segmentano anche su base territoriale e consentono di raggiungere capillarmente il territorio. È il mezzo capace di garantire una copertura ampia ed eterogenea. I tempi di consegna degli spot sono solitamente brevi e si può contare su un feedback del pubblico molto rapido (Picard, op. cit.; Bridiga – Di Vesme, 2009). E’ fortemente visiva, e questo facilita una forte presa emozionale sul pubblico. Ai pregi si oppongono pero anche i numerosi limiti: innanzitutto, un basso grado di fedeltà (salvo alcune, inevitabili eccezioni), specialmente durante le interruzioni pubblicitarie, sempre piuttosto affollate nonostante i “tetti” sull'affollamento pubblicitario, stabiliti per legge. Questo incrementa il tasso di messaggi ignorati, oltre allo zapping si affaccia anche un’altra “sindrome” da telecomando, il channel surfing: cambiare canale proprio nel momento d'inizio del break pubblicitario, per sintonizzarsi nuovamente solo alla sua fine vanificando così ogni investimento perché il pubblico non viene raggiunto dagli spot.
Radio: Secondo Audiradio61 gli ascoltatori della radio sono 41 milioni al giorno e 46 milioni in una settimana; Nielsen Media Research dice che gli ascoltatori aumentati del 6,9% nel primo semestre 2010 rispetto al 2009. Come evidenziato dal grafico, la radio è ascoltata dal 74% della popolazione in un giorno medio e dal 89% nei 7 giorni. oltre 56 - 65 45 - 55
Ascolto % giorno medio
35 - 44 26 - 35 18 - 25 11 - 17
0
20
40
60
80
100
Uomini
Figura 25: ascoltatori % nel giorno medio della radio. Fonte: Nielsen Media Research, 2009
La radio ha una fruizione più attiva rispetto alla tv (Brigida et al., 2008) perché innesca “immagini mentali”; permette una precisa segmentazione del pubblico, sia su base territoriale - le radio a copertura nazionali sono molto poche rispetto alle numerosissime radio locali e alle radio in syndication 62 - che per tipologie di ascoltatori. Più economica della televisione, Rilevazione sul primo trimestre 2010. 62 Le radio syndication sono emittenti radiofoniche con una programmazione in parte nazionale (e quindi uguale in tutto il territorio) e una parte invece a carattere regionale, corrispondente ad un massimo di 6 ore di trasmissione al giorno; non hanno antenne proprie e si appoggiano a emittenti locali. Anche la pubblicità rispecchia il loro carattere in parte nazionale e in parte regionale. 61
e anche più veloce a livello non solo di consegna ma specialmente di produzione dei messaggi (Picard, 2005), ha come altro punto a favore la capacita di generare un ambiente amichevole e di compagnia. Come per la TV, anche la radio soffre dell’estrema facilita con cui si può cambiare stazione. Ciò non toglie il fascino di questo mezzo pubblicitario, che stimola l'immaginazione e la creatività. È un mass medium capace di resistere alle insidie dell'obsolescenza tecnologica: infatti, oggi la radio si sposa con internet. Questo matrimonio riguarda sia le emittenti tradizionali, che hanno un proprio sito dove ascoltare le stesse trasmissioni che si ascolterebbero con l'apparecchio sia soprattutto per il fenomeno emergente delle web radio, ossia radio che nascono esclusivamente sul web e sono un altro segno della convergenza tecnologica di cui abbiamo già discusso. Riviste: consentono una segmentazione del pubblico molto puntuale, perché sono pubblicazioni spesso settoriali e specializzate. Si rivolgono ad un pubblico eterogeneo sia dal punto di vista delle disponibilità economiche sia da quello dell’istruzione che degli interessi. Avendo anche una minore deperibilità nei contenuti rispetto ad un quotidiano, restano a lungo nelle case delle
103
persone, possono esser lette e rilette più volte e vengono sfogliate anche da coloro che non l’hanno acquistata – per curiosità o semplicemente per distrarsi – aumentando le possibilità di contatto con una pubblicità. Hanno quindi un ciclo di vita relativamente più lungo ma questa “lunga vita” fa della rivista un mezzo che necessita di tempi di cambiamento altrettanto lunghi, ed è obbligatorio pianificare diverse uscite per ottenere risultati significativi. Quotidiani: sono i media che godono di maggiore autorevolezza, ed il fatto che siano acquistati prevalentemente da persone con livello di istruzione medio-alto ne è una conferma. Come per i periodici, si può dire che sono efficaci per la comunicazione strategica e istituzionale come è il nostro caso. La segmentazione del pubblico che sono capaci di operare e di natura territoriale (esistono pochi quotidiani a tiratura nazionale, per la maggior parte sono locali), culturale e anche politica. Sono infine molto veloci; ma proprio questa velocità può anche danneggiarli: il tempo di lettura medio di un quotidiano e difatti di un quarto d’ora e a risentirne sono proprio gli annunci pubblicitari. Le inserzioni soffrono spesso anche di una qualità di stampa non ad altissima risoluzione. Affissione: è la forma più antica di pubblicità e comprende l'insieme dei veicoli pubblicitari collocati in spazi aperti o dove la modalità di contatto è la forma pubblica. Il plus di questo tipo di pubblicità è la
conoscenza del territorio e la considerare la città alla pari di un palinsesto pubblicitario, dove coabitano stili di vita, eventi, abitudini, occupazioni e distrazioni. C'è una sostanziale identità tra medium e messaggio trasmesso, e questo si presenta in diverse modalità: dall'affissione “classica”, quindi i poster e i cartelloni, alla pubblicità luminosa, visibile anche durante le ore notturne, alla pubblicità dinamica, ossia affissa sia all'interno che all'esterno dei mezzi pubblici. Questo elenco non ha la pretesa di essere esaustivo: i formati sono in continua evoluzione per adeguarsi sempre di più alle esigenze di un mercato difficile, dell'evoluzione tecnologica – si pensi alle possibilità offerte sia dagli schermi lcd ma anche dalle nuove tecnologie della comunicazione come bluetooth e QR Code e quindi alle nuove possibilità per il marketing di prossimità - e di un consumatore più che abituato ai formati tradizionali e che va quindi colto di sorpresa, incuriosito, coccolato e avvicinato attraverso metodi e mezzi più creativi e innovativi che mai. Internet: la panoramica sull’uso dei media al tempo della crisi non può che concludersi con Internet. La pubblicità su internet presenta notevoli vantaggi in termini di segmentazione del target, abbattimento de costi
di produzione, realizzazione e pianificazione, consente interattività e istantaneità. La diffusione di Internet è strettamente collegata a fattori generazionali e ai livelli di istruzione: sono infatti soprattutto i giovani e gli istruiti ad avere familiarità con la rete. Mentre gli investimenti delle aziende sulla tv, tra canali generalisti e satellitari, fanno registrare un -13,9% rispetto al 2008; sui giornali la pubblicità cala del 23,9%; le radio hanno pure loro un pesante segno meno, intorno al 15,8%; -26,4% le affissioni e - 8,3% gli spot nelle sale cinematografiche, gli investimenti sui canali web e new media: + 6,2%. Anche se si sta parlando di cifre non eclatanti (su un totale di investimenti pubblicitari di 5.275 milioni, al web ne vanno poco più di 905), l’unico segno più tra tanti meno balza all’occhio. Internet è lo strumento giusto per veicolare pubblicità a costo ridotto ma garantendo un ottimo risultato. Possiamo semplificare l’utilizzo dei media con un semplice grafico, detto “ruota del tempo”, che ci evidenzia il tipo di utilizzo mediale durante la giornata: Figura 26: fonte Nielsens Media Research La pubblicità dell’Istat però non è una pubblicità commerciale, non deve di fatto vendere nulla. Deve invece creare consapevolezza, awarness, ed
engagement, coinvolgimento, per facilitare le operazioni di rilevazioni. Possiamo quindi dire che è un caso di pubblicità istituzionale, che si propone di accrescere la sensibilità della collettività verso temi di pubblico interesse e di incentivare atteggiamenti ritenuti utili, promuovere il consenso ed è senza scopo di lucro.
3.3.1. Gli attori del mercato della comunicazione
E’ difficile fare una classificazione di tutte le figure che operano nel mercato della pubblicità. Difficile, ma non certo impossibile. la complessità della comunicazione e della pubblicità si traduce anche in una difficoltà di catalogazione delle professioni che lavorano in questo campo. Ogni agenzia pubblicitaria, infatti, ha delle figure cardine ma sono poi moltissimi i profili professionali tanto che abbiamo più eccezioni che regole o standard. Anche il mercato degli utenti si presenta piuttosto complesso ed articolato. Ma esistono dei punti cardine sui quali possiamo appoggiarci, aiutandoci con il modello di Picard (op. cit.), che distingue, innanzitutto, alcune tipologie di utenti pubblicitari:
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Gli inserzionisti nazionali, imprese e istituzioni il cui scopo è la realizzazione di campagne pubblicitarie che coprano tutto il territorio nazionale, in quanto mirano ad un pubblico molto ampio. È il caso di Istat, le cui indagini del censimento delle imprese agricole – pur interessando da vicino solo i direttori, conduttori e i titolari delle imprese stesse – hanno rilevanza per l’intero sistema Paese; I medi e grandi inserzionisti: per lo più sono rivenditori al dettaglio o inserzionisti locali che hanno canali di vendita al dettaglio, grandi magazzini o centri commerciali. Il loro pubblico ha solitamente dimensioni regionali se non proprio locali; I piccoli inserzionisti, la maggior parte dei quali sono esercenti diretti, il cui target è un pubblico limitato e ristretto alla loro area di mercato; Gli inserzionisti non-business, come le chiese o le organizzazioni no profit. Il loro pubblico può avere dimensioni variabili, a volte locali, a volte nazionali.
Questa ripartizione ci fa capire quanto diversi siano gli inserzionisti che si rivolgono ai media e soprattutto quanto diverse siano le disponibilità economiche e i loro target di riferimento. Dall’altra parte, c’è tutto il mondo pubblicitario prettamente detto, ed è qui che si introduce un elemento di complessità. I soggetti che entrano nel mercato pubblicitario non sono soltanto le imprese media e gli utenti pubblicitari; questi occupano solo le
posizioni più esterne di una contrattazione che conta almeno altri tre soggetti: le agenzie pubblicitarie, i centri media e le concessionarie pubblicitarie. Le agenzie pubblicitarie si occupano della progettazione creativa della campagna pubblicitaria, adattata naturalmente ai diversi media in cui sarà poi veicolata. Una notazione a parte va fatta per le web agency, agenzie media specializzate in pianificazione e sui new media e in generale per tutta la comunicazione non convenzionale. Un reparto unconventional è ormai presente in tutte le agenzie pubblicitarie. Fino a non molti anni fa, l’agenzia pubblicitaria aveva un proprio reparto interno,
100
50 2001 0
Rapporto italiani-media
2001 2005
chiamato reparto media, che doveva occuparsi della cosiddetta pianificazione, cioè, della scelta dei diversi media su cui veicolare i contenuti pubblicitari. Per svolgere tale compito, che ha come scopo l’acquisto degli spazi/tempi dei media, bisogna conoscere il numero di consumatori di un determinato medium, il tipo di consumatori, il numero di contatti del mezzo stesso e tutta una serie di altri dati utili che facilitano le operazioni di segmentazione del pubblico. Oggi questo lavoro è svolto dal centro media, che prende il budget e lo pianifica sui diversi mezzi individuati nel media mix, grazie al lavoro del media planner. Il centro media si occupa delle stesse funzioni prima svolte dal reparto media, ma in modo autonomo, non essendo parte integrante dell’agenzia pubblicitaria. Questa separazione permette ai centri media di svolgere la pianificazione per più utenti pubblicitari, quand’anche questi ultimi siano committenti di diverse agenzie e addirittura quando essi siano operanti nello stesso settore merceologico63. Spesso accade che
agenzie e centri media facciano parte di uno stesso gruppo internazionale, pur mantenendo entrambi una piena autonomia gestionale. La concessionaria di pubblicità si occupa di vendere ai centri media tutti gli spazi/tempi che le imprese dei media hanno loro dato in concessione. Vendere gli spazi/tempi significa vendere a chi investe nell’attenzione del proprio pubblico, e a seconda della dimensione e della composizione del pubblico, la concessionaria elaborerà i listini dei prezzi da presentare alle agenzie e ai centri media. La concessionaria italiana lavora a nome dell’impresa dei media ma non può vendere gli spazi/tempi autonomamente, perché deve render conto all’impresa media cui fa capo. Al contrario, per fare un esempio, una concessionaria di pubblicità francese, che prende il nome di central d’achat, acquista gli spazi/tempi e può poi gestirli come preferisce. È da considerare, però, la possibile insorgenza di problemi di coordinamento e di convergenza se ci si rivolge a diversi soggetti per la creazione e pianificazione di una campagna pubblicitaria, e la difficoltà nel rendere omogenei e
63
Esiste una norma di natura etica che impedisce all’agenzia di progettare delle campagne pubblicitarie per due committenti che producono beni simili e alternativi, ma tale norma non vale per i centri media – mentre valeva
inevitabilmente per i reparti media – che quindi possono accettare le consegne di chiunque.
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coerenti i diversi approcci, che dovrebbero convergere in una comunicazione integrata. Infine, c'è un ultimo soggetto da considerare: il pubblico, che non è più solo moneta di scambio tra centri media e agenzie, ma diventa la causa prima di ogni cambiamento nelle politiche di gestione dei media o nelle decisioni di scelta degli utenti pubblicitari.
3.3.2. Il piano di comunicazione Il piano di comunicazione è un documento che contiene la programmazione, su base annuale o pluriennale, della comunicazione dell’impresa o dell’ente che lo redige. Questo contiene, in sintesi, la riflessione e l’elaborazione sulle pratiche comunicazionali che portano alla strategia comunicativa e obbligano a focalizzare gli obiettivi, gli
interventi da effettuare e i risultati che si vogliono ottenere. Serve per ordinare, sviluppare e impiegare le risorse (umane, strumentali, economiche) necessarie per raggiungere gli obiettivi e rappresenta il superamento dell’ordinaria distinzione tra comunicazione interna ed esterna, basata unicamente sul destinatario di riferimento. Fare un piano di comunicazione significa avere la consapevolezza delle differenze e diversità delle esperienze, dei valori e delle opinioni, dei bisogni e degli obiettivi da raggiungere. Il piano di comunicazione è un progetto collettivo, uno strumento dinamico che serve per pianificare le azioni da intraprendere e allocare in esse le risorse disponibili. Essendo sia una guida che un documento collettivo, è indispensabile che tutti lo conoscano e lo condividano. Ogni piano deve contenere: Obiettivi; Strategia di comunicazione; Target e messaggio; Strategia di marketing (analisi dei competitor, del posizionamento, del mercato); Strategia creative.
È indispensabile per l’attuazione della pubblicitaria e consiste in una serie di step.
strategia
Volutamente abbiamo evidenziato il punto 5, cioè la definizione del media mix, perché è quello che più da vicino ci interessa in quanto lo vedremo sviluppato nelle prossime pagine. È infatti nel media mix che si costruisce il media plan. La nascita di una campagna pubblicitaria avviene con la stesura di un brief, un documento redatto dall'azienda, contenente tutte le informazioni necessarie per l'agenzia a sviluppare la campagna pubblicitaria e quindi anche il piano mezzi. Il brief deve contenere (Brigida et al., 2008): Descrizione dell'azienda o dell’ente Oggetto della campagna Budget Share of voice Media mix
Il brief deve contenere anche l'idea fondante della campagna. È indispensabile scrivere un brief se si vuole una panoramica esatta di ciò che si ha e di ciò che si deve fare. Il rischio è altrimenti quello di realizzare prodotti di comunicazione inservibili perché per “risparmiare” tempo, soldi ed energie si taglia via un pezzo del processo (e tra l'altro, quello irrinunciabile), con
Figura 27: step piano comunicazione, elaborazione da Masini & Lovari, 2008
l'obbligo successivo di dover tornare sui propri passi. E alla fine, quale sarebbe il guadagno? La strategia prevede diversi fasi susseguenti e necessarie. La pianificazione media è il processo che supporta e gestisce la diffusione dei messaggi. Si articola in queste fasi principali: Il primo step del nostro piano di comunicazione consiste nell’analisi dello scenario. Con il termine scenario possiamo intendere sia il contesto generale di riferimento (il contesto geografico, territoriale, socioeconomico) e/o il contesto di settore (ovvero le caratteristiche del mercato in cui opera), e/o il contesto organizzativo (cioè le caratteristiche dell’amministrazione). Quale scenario considerare dipende dall’obiettivo strategico di partenza. È opportuno individuare e raccogliere i bisogni di
109
comunicazione interni all’organizzazione cercando di mappare quali sono, se esistono, le strategie, le attività e gli strumenti di comunicazione presenti nelle diverse articolazioni organizzative, quali criticità e punti di forza sono rintracciabili, quale è la cultura dell’organizzazione rispetto alla comunicazione e a quali esigenze e bisogni un piano di comunicazione dovrebbe rispondere. L’obiettivo è quello di comprendere chi deve fare cosa, in quali tempi, in che modo e per quale motivo, rispetto ad assegnazioni specifiche di competenza. L’individuazione del budget nasce dalla necessità di valorizzazione gli obiettivi. Nel caso di Istat, la definizione del budget ha una procedura particolare, poiché come sappiamo è un ente a partecipazione pubblica. Il suo budget complessivo dipende pertanto dagli stanziamenti forniti dal Governo e spetta poi all’ente destinare un budget per el sue attività di ricerca. È importante decidere se si vuole concentrare il budget in pochi mezzi, o se lo si vuole distribuire tra più mezzi. Il primo tipo di approccio consente di avere una presenza ed una frequenza massiccia e funziona se i media scelti presentano un’alta concentrazione del proprio core target. Questa via è consigliabile solo se si ha a disposizione un budget limitato e si vuole ottenere un forte impatto sul proprio target primario. Il secondo tipo di approccio, la ripartizione tra più media, consente al contrario di raggiungere, con minore impatto e pressione, sia
il proprio target core sia i prospect, allargando conseguentemente il raggio della comunicazione. Scelto il tipo di approccio, il passo successivo consiste
IL PIANO DI COMUNICAZIONE E' un vero e proprio piano di business e di ottimizzazione dei processi. Produce:
una nuova organizzazione
strumenti di rete, di comunicazione, di relazione
formazione e condivisione
profitti
Per la sua definizione, il metodo ACIER, consente la esplicitazione ottimale di un piano di comunicazione
AZIONE:
fare, realizzare, ottenere
CONCRETA:
specificando i risultati attesi
IDENTIFICATA:
definendo i destinatari
EQUIDISTANTE:
inserendo scadenze precise nel tempo dei risultati attesi (magari con una matrice Gantt)
REALISTICA:
considerare seriamente le risorse reali a disposizione e le competenze utilizzabili
nell’individuare i media più adatti per raggiungere gli obiettivi prefissati. La definizione degli obiettivi rappresenta un momento molto delicato perché eventuali errori hanno conseguenze su tutte le fasi successive. Per questo è doveroso procedere ad un’elencazione degli obiettivi che si vogliono raggiungere. Per rimediare all'eccessiva frammentazione degli obiettivi e per non incorrere in una semplificazione eccessiva si possono definire delle famiglie di obiettivi, individuando così obiettivi prioritari (key objectives) e secondari (secondary objectives). Si deve poi ulteriormente distinguere in obiettivi di breve, medio e lungo periodo. Da tempo, per definire ottimamente gli obiettivi si utilizza un acronimo mutuato dall’inglese, ossia:
Una volta identificato il pianificazione individui gli in altre parole, il grado messaggi, necessario per
target, è necessario che la obiettivi della comunicazione; di esposizione del target ai farlo interagire con il brand e
reali zzar e gli obie ttivi com mer ciali . Il livel lo di esp osizi one è, infa tti, funzione degli obiettivi che s’intende raggiungere. L'attività specifica della pianificazione dei media e della campagna è la scelta dei mezzi più adeguati a raggiungere il pubblico target in funzione dei limiti di budget. La pianificazione dei mezzi si traduce in un piano mezzi (media plan), un documento che prevede l'articolazione dei canali individuati, il periodo di programmazione, il numero dei passaggi sui media, i relativi costi, elaborato sulla base del brief e della metodologia operativa. Chi si occupa della pianificazione è responsabile di tre scelte fondamentali: Figura 28: criteri per la scelta dei media da inserire nel media mix.
111
La scelta del media mix, ovvero della combinazione ottimale dei mezzi da utilizzare, avviene attraverso l’allocazione del budget a disposizione, dei costi e delle potenzialità di ogni media, del profilo e del grado di concentrazione dei target nei diversi media. Ci sono diversi criteri da tenere in considerazione per realizzare un media plan ottimale, evidenziati nella figura 6. Non è detto che i media più convenienti economicamente siano anche i migliori: lo sono se sono coerenti col messaggio. La verifica dei risultati è l’ultimo step del piano di comunicazione. L’assenza di analisi dei risultati rende nulla la validità del piano di comunicazione, compromettendo
l'efficacia e l’efficienza del processo di pianificazione. In questo passaggio di redazione del piano occorrerà perciò prevedere quali modalità di valutazione e quali oggetti di comunicazione si intenderanno valutare. Non è sempre facile misurare i risultati di una pianificazione media soprattutto per una pubblicità istituzionale come quella del censimento, in quanto, per sua stessa natura, non ha effetti direttamente correlabili per esempio con le vendite. Per valutare la potenziale efficacia di un media plan sono fondamentali i concetti di frequenza (frequency), cioè il numero di volte che si può esser raggiunti da un messaggio, e copertura (coverage o reach), ossia il numero di individui in target raggiunti da almeno un annuncio sul totale degli individui target, e la continuità (continuity). Copertura e frequenza sono inversamente proporzionali: all'aumentare di una diminuisce l'altra ma le loro possibilità di combinazione sono infinite. Inoltre, per la verifica dei risultati si utilizzano anche indicatori di comunicazione, come: Contatti lordi, ossia il numero totale di esposizioni che si ottengono in una campagna dopo un periodo di tempo che è on air; comprende il totale delle persone esposte e il numero di volte che sono state raggiunte dal messaggio. I contatti possono esser calcolati anche per singola uscita se si valutano le performance di ogni singolo mezzo; i media sono scelti secondo l'affinità al target e ai contatti che sviluppano; OTS (opportunity to see), cioè la possibilità che un’affissione entri nel cosiddetto cono di visibilità e
vi resti per almeno 3 secondi; è data dal numero medio di volte in cui ci si espone al messaggio, quindi dal rapporto tra contatti lordi e contatti netti; GRP: (gross rating point) indica i valori di pressione pubblicitaria valutando quanto un media mix ha prodotto in termini di raggiungimento del pubblico target; fatto 100 il target, si calcola la copertura percentuale per frequenza media di Contatto; è un indicatore grezzo che pesa non solo l'esposizione al messaggio ma anche tutte le altre iniziative di comunicazione, pr, iniziative promozionali; per raffinarlo si utilizzano dei pesi che accertano il ricordo di un formato piuttosto che un altro o di un mezzo piuttosto che un altro: in questo modo di distingue la pressione che può
esercitare per esempio la tv rispetto alla radio o a un quotidiano. Il mezzo che meglio consente un calcolo più preciso dei Grp è la tv, che consente una stima puntuale di frequenza e copertura. Il primo compito del media planner è quello di ottenere il maggior numero di GRP consentito dallo 64 stanziamento economico e quindi mettere la campagna pubblicitaria nelle condizioni di raggiungere la più alta forza di pressione.
Una campagna di comunicazione non può dirsi efficace senza un’adeguata stima di questi indicatori.
cambia, ma come? L’idea alla base di questa proposta di comunicazione è incentrata intorno a due parole chiave: futuro e innovazione. La buona riuscita del censimento, infatti, non può prescindere da un’adeguata campagna di comunicazione che crei consapevolezza ed engagement e che, tramite la conoscenza delle attività messe in atto, le faciliti senza far pesare il fastidio statistico che nasce nel momento in cui si è obbligati a rispondere, e per giunta ad un lungo questionario. Non dimentichiamoci che questa 64
Più il budget è alto, più si potranno utilizzare spazi con possibilità di contatto migliori e in maggior numero.
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campagna deve essere un biglietto da visita per il censimento e, dalla sua qualità ed efficacia, dipendono gli esiti di un’operazione così delicata come la rilevazione. La proposta riguarda non una riformulazione della campagna e del media plan utilizzato per il censimento del 2010, ma appunto un suggerimento per il censimento del 2020 che tenga in considerazione quanto abbiamo detto nel corso delle pagine: innovazione, futuro, riscatto dalla crisi, impresa rete, web. È per questo che, di fianco alla comunicazione above the line, ossia quella che utilizza i canali di comunicazione “di massa” 65, il progetto segue anche binari non convenzionali e si avvale del below the line. Questo media plan è un’ipotesi per il futuro delle imprese agricole e per le imprese agricole del futuro. Questi i punti salienti del media plan esplicato nelle pagine seguenti:
65
Anche se oggi può esser considerato di massa anche internet, e soprattutto, lo sarà in futuro, in linea con l’ottica di questa tesi.
CLIENTE: come abbiamo già detto, il committente è l’Istituto Nazionale di Statistica. Produce dal 1926 le statistiche ufficiali del Paese ed è quindi contornato da un’aura di autorevolezza e di autorità, di cui si sente il peso anche all’interno dei team di lavoro nel momento di progettazione e produzione delle ricerche. Oltre alle indagini campionarie, a cadenza decennale si effettuano indagini censuarie. Gli oggetti di tali indagini
sono tre: popolazione, industria e servizi, imprese agricole. I loro prodotti devono possedere cinque requisiti: affidabilità, comparabilità, sicurezza, imparzialità e tempestività. OGGETTO: ci dobbiamo occupare della comunicazione del 7° censimento delle imprese agricole. Il fatto che alle imprese agricole sia dedicata un’indagine ad hoc e indipendente dovrebbe far riflettere su quale e quanta sia l’importanza del settore per l’economia. È dal censimento del 2010 che l’Unione Europea ha stabilito in via generale che, a esser oggetto di rilevazione, non fosse qualunque azienda agricola bensì solo quelle che possiedano un’estensione – anche non contigua e confinante – al di sopra dell’ettaro. Precedentemente, nei censimenti anteriori a quello del 2010, erano invece oggetto di rilevazione tutte le aziende agricole. Questo dato comunque cozza con la realtà italiana, fatta di aziende piccole, fortemente radicate nel territorio e con caratteristiche tipiche di esso. Escluderle aprioristicamente consegnerebbe una fotografia imperfetta della realtà produttiva italiana del settore. Per questo, l’UE in via eccezionale ha concesso all’Italia di fissare delle quote, diverse da Regione a Regione, entro le quali far rientrare le aziende agricole oggetto di rilevazione escludendo quelle che non fanno parte
della popolazione di riferimento, come gli orti domestici e per esclusivo autoconsumo. Un censimento si rende necessario dal momento in cui non esiste un registro completo e dettagliato di tutte le attività imprenditoriali del settore agricolo. Ipoteticamente, qualora un giorno le informazioni in possesso siano talmente complete e siano sufficienti a determinare decisioni strategiche, quindi si disponga di un database (quello precedentemente chiamato farm register) verrà anche meno la necessità del censimento. Sono comunque tempi ancora abbastanza lontani. TONE OF VOICE: il tono di voce della campagna dovrà essere colloquiale, aperto, empatico ma non per questo retorico, e deve trasmettere l'autorità dell'ente e la necessità della collaborazione senza far sentire il peso statistico. Inoltre, dovrà trasmettere la necessità di collaborare alla rilevazione poiché i dati sono nell'interesse di tutti e soprattutto degli operatori del settore. I contenuti della campagna dovranno essere chiari, di facile e immediata comprensione. Il profilo che deve ottenere Istat è quello di un’istituzione aperta e innovativa ma non per questo meno autorevole. Per far sì che la campagna sia immediatamente comprensibile, il linguaggio dovrà essere: Chiaro Memorabile Diretto Coinvolgente
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Coerente
Il pay off e l'idea fondante scelta per la campagna pubblicitaria è "Radici nel futuro": l'ossimoro terminologico indica letteralmente gli elementi di cui parliamo, ossia l'agricoltura e il suo futuro. La parola radici sta a significare, al contempo, non solo l'attività agricola, ma anche la sua importanza per l'economia e il sostentamento. E' un ossimoro perché non si possono pensare a radici, simbolo di passato e quindi nell'immaginario comune ancorate a terra, a qualcosa di "solido" e saldo, che siano invece appartenenti a qualcosa che deve ancora arrivare e che, per giunta, è immateriale. Il claim ci riporta alla necessità di collaborazione, di un vissuto comune e condiviso ma che non ci impedisce certo di tracciare le linee di sviluppo, anzi le coadiuva. Ma come abbiamo avuto modo di ripetere, è l'agricoltura che deve in qualche modo alleggerirsi, entrare e fare rete. BUDGET: i margini di investimento dedicati alle attività di comunicazione esterna per Istat non sono altissimi. Il budget impiegato per la pianificazione della
campagna del 7° censimento è di circa 2 milioni di euro, distribuiti così:
Il budget è stato investito principalmente nella televisione, dati gli alti costi degli spazi compensati dalla presenza massiccia del mezzo nelle case e nelle vite delle persone. Al secondo posto viene la stampa, scelta per la sua penetrazione territoriale e l’autorevolezza che trasmettono gli annunci pubblicitari presenti su questo veicolo, e infine il web. Numericamente, quest’ultimo contiene più veicoli grazie ai quali entrare in contatto con la campagna. L’alto numero è comunque bilanciato dai costi relativamente bassi per l’acquisto degli spazi. TIMING: Il budget è stato concentrato principalmente nei mesi di settembre-ottobre-novembre, mesi di lancio del censimento, con un piccolo recall nel mese di aprile,
ossia il periodo in cui vengono pubblicati i primi dati sintetici e, infine, una pianificazione nel mese di luglio rivolta soprattutto agli operatori del settore piuttosto che ad un pubblico più ampio. L’attività ha avuto una concentrazione flighting, condensata in pochi periodi per esercitare una pressione maggiore sul target e cercare di ottenere un “effetto moltiplicazione” dei messaggi stessi pere rinforzarne l’efficacia. Pressoché tutti i media, comunque, sono stati utilizzati per ogni periodo pianificato.
prevalentemente maschi, tra i 40 e i 60 anni d’età, con istruzione medio-alta e uno status socioeconomico medio-alto, amante dello sport. Il secondo target riguarda un trend delineato negli ultimi anni che vede le donne conduttrici di aziende agricole: hanno un’età dai 40 ai 55 anni, istruzione medio alta, status socio-economico medio-alto, sono attente alle problematiche alimentari e della salute, e hanno dei figli in età scolare. Stanno prendendo piede e acquisendo un forte potere di gestione. Inoltre, hanno il potere di reindirizzare i modelli gestionali e produttivi verso esigenze marcatamente “rosa”, portandoli all’efficienza.
TARGET: La campagna è stata essenzialmente rivolta a due target, trasversali, molto diversi rispetto allo stereotipo dell’agricoltore. I due target sono attivi, intraprendenti, digitalizzati, giovani e dinamici. Il primo è il target degli operatori di settore, quindi conduttori di aziende agricole e associazioni di categoria o altri stakeholder
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OBIETTIVI: citizen oriented e con un sito che fosse user friendly. lo scopo della Si deve far capire l’importanza del questionario e della campagna collaborazione e soprattutto dell’utilità della pubblicitaria compilazione, che aiuta a delineare i profili e l’identità promossa di un settore così importante e strategico per la nostra quello di economia. sensibilizza MEDIA MIX: considerando questi elementi, la re gli campagna “Radici nel futuro” ha scelto di raggiungere il operatori del suo pubblico attraverso i media di cui questo fa un settore per maggiore utilizzo: televisione, stampa, radio, web, favorire la fiere. L’uso dei diversi veicoli è stato ampio e distribuito collaborazion anche per temere conto dei diversi target. I criteri di e e la rispondenza – nel modo più puntuale possibile – selezione dei media sono stati quelli di affinità al target, al questionario somministrato per il censimento e, di affinità verso i contenuti e gli interessi del pubblico di dall’altra parte, cercare di aumentare il flusso di riferimento. Inoltre, i mezzi impiegati sono stati scelti questionari compilati via web anziché con l’aiuto di un in base alla loro copertura e penetrazione nel territorio, intervistatore. La comunicazione sarà quindi volta alla per l’affinità delle tematiche trattate nella linea creazione di awarness, di consapevolezza dei punti editoriale come nel caso dell’editoria specialistica e di sopra descritti, e di engagement, cioè di settore e ovviamente per la loro capacità di veicolare in coinvolgimento e collaborazione verso l’obiettivo. modo efficace il messaggio. L’awarness non deve però tradursi in autorità, ma in autorevolezza: il rischio è quello di Attenzione Informazione Memorizzazione Espressività Flessibilità Velocità Permanenza aumentare non solo il fastidio statistico Tv media bassa alta altissima media alta bassa ma anche il sentore di un rapporto Radio media media alta alta media alta bassa squilibrato fra l’ente e il cittadino, che Stampa alta alta media bassa alta alta media può sentirsi in qualche modo quot. “schiacciato” dall’amministrazione Stampa alta alta media media altissima media altissima per. pubblica. Il web serviva proprio a OOH bassa bassa alta alta media altissima bassa questo: a mitigare una supremazia Internet media altissima bassa alta altissima alta media dell’ente pubblico avvertita dal cittadini, Tabella 3: caratteristiche media e qualità dei veicoli utili alla pianificazione pubblicitaria. Elaborazione da M. Vecchia, accorciando i legami tra loro esistenti e 2003 rapportando l’Istat a un ente accessibile,
formato che garantisse non solo la visibilità dell’annuncio ma anche la copertura del target. La frequenza è stata invece indispensabile per programmare numericamente gli spazi acquistati. È stata esclusa la pubblicità dei circuiti out of home perché, rispetto ai nostri target di riferimento, ritenuta secondaria e poco funzionale rispetto al raggiungimento degli obiettivi.
Trattandosi di una campagna di interesse generale e tenendo in debita considerazione la caratteristica di territorialità delle imprese agricole, non ci sono zone favorite per la pianificazione; questa si è infatti estesa su tutto il territorio nazionale, senza escludere o sfavorire nessuna area o Regione, e tenendo anzi in conto eventuali caratteristiche specifiche del territorio e l’assortimento mediale disponibile su una precisa area geografica. La campagna è divisibile in tre fasi: una fase iniziale di lancio in modo più soft (settembre); una seconda fase pressante, a campagna pianificata, con forte presenza nei mass media (ottobre); una terza fase di recall distribuita in pulsing in tre mesi diversi (novembreaprile-luglio). Il media plan dell’above the line è stato realizzato a partire dai dati del sistema Audi, che ha fornito il numero di utenti potenzialmente raggiungibili con un determinato media, la profilazione del target di riferimento per lo specifico canale, la scelta di un
Televisione: la pianificazione televisiva si è incentrata soprattutto sui canali della tv di Stato, a rinforzare il carattere di istituzionalità e autorevolezza. All’interno, sono stati scelti programmi e fasce orarie che avessero una buona base di pubblico, quindi con una probabilità maggiore di mettersi in contatto col target di riferimento. La televisione permette di creare awareness sul 7˚ censimento informando e raggiungendo visibilità e copertura a livello nazionale e locale. Per considerare la regionalità e la territorialità non sono stati trascurati i programmi e le televisioni di natura areale, regionale o interregionale per cercare il massimo reach del target. I formati utilizzati sono tabellari da 15 e 30 secondi, acquistati come spazi singoli o in pacchetti e non è stato trascurato nemmeno il televideo, fonte di informazione attendibile anche se d’antan ma con alta selettività e autorevolezza. Per questo veicolo, è stato selezionata sia una pagina fissa, informativa, coi i dettagli per il pre e post rilevazione, sia un flight che vi rimanda di cui vediamo un esempio.
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locali in virtù della territorialità delle aziende agricole. Per scegliere le stazioni radiofoniche, soprattutto per il livello regionale e locale, i dati forniti da Audiradio sono stati indispensabili. Gli spot pubblicitari sono distribuiti
L’agricoltura ha le sue radici nel futuro. Conosci le tue radici 7° Censimento dell’Agricoltura Questo è spesso sottovalutato ma dà ottimi risultati in termini di utilizzo, autorevolezza, affidabilità. Insomma, si fa leva sulle associazioni secondarie ad esso riferibili. Proprio per questo si sono sfruttati anche i programmi di news e informazione dedicati al mondo agricolo, per ottimizzare le risorse e legare a doppio filo Istat e campagna sul censimento, raggiungendo un pubblico vasto ed eterogeneo proprio per facilitare l’awarness e il coinvolgimento. Inoltre, considerando i recenti sviluppi della televisione grazie al digitale terrestre, una piccola parte di budget è stato destinato anche a formati pubblicitari disponibili solo su queste frequenze. Radio: la pianificazione radiofonica si è concentrata non solo sulle grandi stazioni nazionali, con molti utenti ma anche – e forse, soprattutto – su radio
lungo tutto l’arco della giornata, con una maggiore concentrazione la mattina, stando ai dati forniti sempre da Audiradio che indica una maggior fruizione della radio proprio nelle prime ore del giorno. I formati scelti sono spot tabellari, a rotazione. Stampa: la pianificazione della stampa si è concentrata sui quotidiani con maggiore penetrazione non solo nel territorio nazionale, ma anche con forte caratteristiche areali. La scelta dei quotidiani è stata dettata dalla necessità di coprire e penetrare il territorio locale: da qui la scelta anche di quotidiani areali o regionali, considerato anche alcune specificità regionali; è il caso per esempio dell’Alto Adige, dove la popolazione è
bilingue e quindi si è cercato di incontrare anche l’interesse degli operatori di settore a lingua tedesca, con pubblicazioni apposite. I formati utilizzati sono modulari prevalentemente in pagina intera o a metà pagina (vedi tabelle). Non sono state trascurate le pubblicazioni periodiche sportive o dal taglio femminile, proprio per cercare il contatto anche al di fuori dei momenti di lavoro. Mentre è proprio questo aspetto che ha spinto verso la scelta di formati tabellari riservati all’editoria specializzata di settore e su pubblicazioni di carattere tecnicoscientifico. L’aspetto più importante è che, sulla stampa in genere, un annuncio pubblicitario dona autorevolezza al messaggio stesso. Per il below the line, invece, il media plan si è dispiegato soprattutto lungo tre direttrici: web, fiere, direct marketing e unconventional. L’obiettivo è quello di raggiungere con alcuni veicoli (DEM e Newsletter, siti tematici) direttamente il target di riferimento; con gli altri a carattere generalista di generare curiosità ed engagement.
Web: è l’elemento più caratterizzante di tutta la pianificazione. In linea con la convergenza tecnologica, è quello che accentra su di esso anche gli altri medium, per cui sono inseriti nel media plan siti di riviste, quotidiani, editoria specializzata di settore. Conosci le tue radici, partecipa al censimento
Da non sottovalutare poi la possibilità di guardare (e riguardare) anche la tv on line, sia in diretta che in streaming. Pr la tv on line è stata pensata una pianificaz ione adeguata , incentrat a principal mente sul sito di Rai.tv che utilizza formati
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accattivanti, innovativi, dinamici e interattivi come gli expanding. Inevitabile, poi, inserire in un media plan anche gli strumenti del social web, quali i social network e il loro antesignano Second Life66, che ospiterà un’isola del censimento dove creare dinamiche di interazione on to one senza le barriere della formalità. C’è anche la possibilità di entrare in relazione con eventuali altre “isole” dei censimenti effettuati dagli altri Stati europei,
66 Figura screenshot isola SecondLife Life è delpraticamente censimento abbandonato a se stesso per Allo29: stato attuale, Second
assenza di promozione e di investimenti, dopo un primo, timido boom iniziale in cui sembrava essere un fenomeno destinato a cambiare le sorti dell’interazione on line. Fenomeno che invece è avvenuto in tempi successivi con Facebook. È stato comunque inserito nel media plan perché si prospetta un cambiamento della fruizione del web e anche un rilancio delle isole virtuali di Second Life. Un possibile ulteriore sviluppo di questa piattaforma di social web potrebbe arrivare dall’unione del web e delle 3D, per cui abbiamo ipotizzato una “Thirdh Life”. Se è riuscita a rivitalizzare il cinema al tracollo, perché non anche la vita social?
creando così una rete informale di contatto che, tra l’altro, non prevede costi (la registrazione e la permanenza su Second Life è infatti gratuita). I siti pianificati spaziano da pagine generaliste a social network, passando per siti dedicati al mondo agricolo e alle associazioni di settore. Sono soprattutto i formati scelti a virare verso la creatività: molti sono formati espandibili, in movimento, dinamici e dai contenti interattivi. Su internet le impression sono sempre disponibili e i formati scelti sicuramente la massimizzano. La pianificazione sul web vuole ricreare un ambiente colloquiale, aperto, dove ci sia apertura, collaborazione e condivisione. I click ricevuti dai banner costituiscono un pubblico di qualità, che avrà cliccato perché interessato. Fiere: il contato che si ha nelle fiere di settore è unico. Si tratta ovviamente di un contatto professionale, volto al coinvolgimento e approccio diretto con gli operatori di settore, che in tali occasioni possono ricevere materiale informativo e anche qualche simpatico gadget, per familiarizzare con il censimento. Inoltre, le fiere garantiscono moltissima visibilità.
Unconventional: le iniziative collaterali di guerrilla marketing e merchandising sono rivolte ad un pubblico trasversale che può raggiungere anche persone non appartenenti al nostro core target. Sono iniziative simpatiche, divertenti ma che certamente non intaccano la serietà e professionalità dell’istituto. Di nuovo, sono gli strumenti social ad avere un ruolo di primo piano. Tra questi: Flickr: un account per il sito di photo sharing più famoso al mondo, dove poter caricare in modalità open le foto di tutte le fattorie, le best practices e i fantastici panorami in cui sono immerse le nostre aziende agricole; Twitter:un cinguettio per aggiornamenti live sullo stato dell’arte, o anche solo per augurare buon lavoro ai rilevatori, è un modo per costruire quella voglia di “comunità” che, grazie alla possibilità di utilizzare la piattaforma social anche come app per i telefoni di ultima generazione, si sposa perfettamente con l’idea del 2.0 e della community virtuale verso cui dovrebbero istardarsi le aziende agricole; Pulse:se non è Google, è certamente Yahoo! il motore di rierca più utilizzato. E perché non approfittarne per creare un proprio profilo anche su questo sito verticale? Yahoo Pulse dà l’idea di immediatezza: nel nome contiene un riferimento alla velocità dei rapporti interpersonali che si costruiscono sul social web, che ci permette di mantenere i rapporti coi nostri contatti e di condividere le cose più importanti. Pulse è un hub che può essere collegato con gli altri social network,
creando integrazione, aggregazione e quell’idea di tribù alla base dei social network. Youtube: il sito di video più famoso al mondo può ospitare un canale dedicato solo al censimento. Sul canale saranno caricati i video relativi non solo ad appuntamenti istituzionali, ma anche a best practices delle imprese agricole, video esplicativi della compilazione del questionario, interviste, eventi. Il template della pagina avrà anche l’opportunità di essere “brandizzato”, per definirne meglio l’identità.
Virtual Community: non è difficile implementare una piattaforma di social network su cui aggregare tutti gli operatori di settore. Questa permette un dialogo costante, aggiornamento, aggregazione, dialogo e confronto. La community può essere linkata e linkabile da tutti gli altri strumenti social: Facebook, Twitter, Pulse, Youtube, sito istituzionale ecc.
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Riassumiamo le funzioni principali della campagna e i media che meglio assolvono il compito:
IDENTITA’: abbiamo visto che nella campagna appare un nuovo logo per identificare il censimento. Quello è solo il primo di tutti gli elementi che componogono l’identità del 7° censimento delle imprese agricole. Si è avvertita la necessità di creare un nuovo logo, distintivo, che identificasse e creasse engagement e aggregazione intorno a un sistema di valori. Sin dalla notte dei tempi l’umanità ha “marchiato” – da qui il termine branding – ciò che possedeva, per distinguerlo dagli altri e trasmetterne il possesso. Oggi, il processo di branding trasmette non solo differenziazione e possesso, ma un sistema valoriale, un’appartenenza, richiama alla memoria emozioni e sensazioni, ha una funzione di garanzia rispetto la validità e qualità dell’oggetto marchiato. La marca (o brand) è dunque la “promessa”, l’idea, la reputazione e l’aspettativa che
risiede nella mente di ogni consumatore circa un prodotto, organizzazione, istituzionedotarsi di un segno distintivo in grado di rappresentare un soggetto. L’identità di marca o brand identity è l’insieme degli elementi visibili (nome, logotipo, simbolo, ecc.) attraverso cui si identifica una marca sino a rappresentare un vero e proprio “mondo di valori” in cui il meccanismo di identificazione arriva a coinvolgere la persona in modo esclusivo ed individuale. L’identità negli ultimi anni è diventata una delle attività principali di un’azienda. Può essere un processo sfaccettato e multidisciplinare. L’identità può essere una risorsa di marketing, di design, di comunicazione, di comportamento e come tale: Manifesta ed enfatizza il cambiamento avvenuto; Riguarda sia le risorse interne che esterne; Influenza ogni aspetto ed ogni audience dell’organizzazione; È una risorsa economica perché coordina ciò che esiste e ciò che deve essere fatto.
Il perché si debba costruire un brand, e quindi un logo, risponde a quattro principali criteri, ovvero:
Oggi, sommersa dalla marea crescente delle parole, l’informazione ritorna per necessità di sintesi al simbolo, capace di aggregare diversi significati e valori e trasmetterli in modo univoco e comprensibile. Il marchio dona unitarietà agli elementi eterogenei dell’immagine, organizzandoli e formando nella mente dell’utente l’immagine stessa del soggetto che comunica. È quindi un’istanza semiotica, come sosteneva Semprini, una maniera di attribuire del senso in modo ordinato, strutturato e volontario. L’identità fondamentalmente definisce quattro dimensioni:
Il logo è stato pensato cercando di unire i due concetti di continuità e futuro contenuti già nel pay off ed è ispirato a una delle figure del matematico tedesco August Moebius, una superficie bidimensionale che, immersa in uno spazio tridimensionale euclideo, presenta una sola linea di bordo e una sola faccia. Perché l’agricoltura è uguale solo a se stessa: è cangiante e si modifica ma non ha eguali. In questa figura non esiste confine col dentro e il fuori e si uniscono gli opposti. Il simbolo dienta una metafora dell’agricoltura: un mestiere antico, legato a retaggi culturali di tradizione e quindi passato, ma che fa del progresso – e del futuro – la sua linfa, la dimensione verso cui protende e si proietta. Dimensioni temporali che trovano continuità nello spazio: non si può pensare a un futuro senza agricoltura. Diversa certamente, ma non assente. Il simbolo di Moebius rimanda pertando a una sensazione di infinito. Rappresenta appunto la continuità. La texture del logo è quella di una foglia. Per trasmettere l’identità in modo uniforme e concreto è stato scelto un modello di branding monolitico, che trasmette senza differenze un’unica proposta identitaria. Lo vediamo meglio qui:
Una proposta identitaria efficace si fonda, oltre che sulla reale rappresentazione di ciò che si è, sulla volontà di: Presentarsi in maniera chiara e comprensibile; Rappresentare i propri valori; Differenziarsi dagli altri.
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La tonalità scelta è, precisamente, questa:
Il logo è accompagnato anche da adeguati caratteri tipografici, individuati in un carattere ERAS Demi ITC sans serif che vediamo qui applicato: 7° Censimento dell’Agricoltura L’agricoltura ha le sue radici nel futuro. Conosci le tue radici, partecipa al censimento. 7° CENSIMENTO DELL’AGRICOLTURA L’AGRICOLTURA HA LE SUE RADICI NEL FUTURO. CONOSCI LE TUE RADICI, PARTECIPA AL CENSIMENTO. abcdefghijklmnopqrstuvwxyz ABCDEFGHIJKLMNOPQRSTUVWXYZ 1234567890
Il risultato complessivo che si ottiene è dunque: 7° Censimento dell’Agricoltura L’agricoltura ha le sue radici nel futuro. Conosci le tue radici, partecipa al censimento. Il logotipo e il lettering sono da utilizzare non solo in calce alle pagine a stampa, gli spot televisivi o la pianificazione su web, ma anche in occasioni ufficiali e istituzionali (come conferenze stampa) e gli
eventi (fiere comprese). L’identità si trasmette anche attraverso i gadget e il materiale identitario del censimento, come per esempio shopper in
cotone stampata su entrambe le facce, block notes, penne, penne usb, cartelline per conferenze stampa, brochure, segnalibri, carta intestata, post it, portachiavi, agendine con post-it, lacci porta-cellulare. Vediamo di seguito qualche esempio. Inoltre, ci sono block notes con logo stampato su ogni pagina e reso semi trasparente; cartelline per conferenze stampa, con logo e pay off; carta intestata con logo visibile in alto a destra e pay off subito vicino che a centro pagina presentano nuovamente il logo ma in trasparenza. CRITICITA’: Le criticità di questa campagna consistono non solo in un vincolo di budget, ma anche nella difficoltà a comunicare una realtà, nei fatti, quasi del tutto sconosciuta al di fuori degli operatori di settore. Il senso comune (ossia: lo stereotipo) non sa e non conosce adeguatamente lo stato dell’agricoltura e i suoi ampi margini di sviluppo.
A livello operativo, invece, un grosso problema è rappresentato dalla dislocazione geografica delle imprese agricole, che ne rende alcune particolarmente difficili da raggiungere, o che richiedano un invio di rilevatori addestrati. Altre criticità possono esser relative alla somministrazione delle domande e alle modalità di risposta. A tali quesiti, inoltrati principalmente via mail o social network – attraverso la pagina ufficiale del censimento – si risponde just in time avvalendosi della collaborazione di un team di esperti che aiutano i rilevatori in difficoltà.
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Conclusioni: Raccogliamo i frutti “Alla turbolenza e alla complessità Si risponde con la leggerezza organizzativa Che privilegia l’intelligenza, la creatività e le idee”.
Italo Calvino,
Lezioni americane, 1985
Le problematiche quali risorse energetiche, sicurezza alimentare, cambiamenti climatici, tutela ambientale, si intrecciano fra loro e portano al riemergere dell’agricoltura come settore strategico globale verso il quale ci deve essere attenzione costante. Parlare di una nuova agricoltura oggi può assumere molti significati diversi sia in un quadro globale che nella realtà nazionale. Il fatto che alle imprese agricole sia dedicata un’indagine ad hoc e indipendente dovrebbe far riflettere su quale e quanta sia l’importanza del settore per l’economia nazionale e mondiale. Un settore strategico che non sarà mai a produzione zero ma che ha la necessità di reinventarsi e rinnovarsi per stare al passo con la sfida del tempo. Fare agricoltura oggi è molto diverso che dal farlo negli anni passati per via delle sempre maggiori difficoltà. Più che agricoltura, sembra diventare una corsa ad ostacoli. La voce dell’agricoltura deve chiedere semplificazione e interventi normativi ed economici, nonché fiscali, e per far questo deve sapersi far ascoltare dal decisore pubblico. Gli interventi non devono certo ledere
l’identità della nostra agricoltura, omologandola e trattandola uniformemente con le altre economie agricole europee. Il censimento infatti tiene conto di alcune delle specificità italiane. La nostra agricoltura è molto particolare, produciamo prodotti di qualità elevata e di nicchia, specifici del nostro territorio e garantiti dai marchi IGP, IGT, DOC, DOCG. Questo ha spesso spinto le imprese agricole a “chiudersi” in se stesse, forti delle loro certificazioni, mentre il paradigma deve essere quello dell’apertura, della ricerca di una dimensione più ampia in cui anche i margini dell’agire si estendono. Questo significa proteggere certo l’origine del prodotto ma lanciandolo nel mercato, cercando il collegamento con le altre imprese. Fare rete, appunto, per eliminare la frammentazione del settore e aumentare la competitività della produzione agricola italiana, caratterizzata dalle piccole dimensioni delle imprese di settore che perdono terreno verso le grandi multinazionali estere. È questa quindi un’altra causa
delle difficoltà verso cui le imprese italiane hanno necessità di intervenire. Tutto lì fuori cambia, e l’agricoltura non è da meno. Sono diverse le sfide che l’agricoltura ha davanti: garantire la sussistenza alimentare di fronte a un aumento della domanda di cibo e soprattutto davanti ad una diminuzione del territorio destinato ad uso agricolo; massimizzare, quindi, l’efficienza della filiera calmierando i prezzi; sostenere la sfida dell’impatto ambientale e anzi provare a essere energeticamente autosufficiente. Proprio questo aspetto deve esser raggiunto entro la metà del secolo, dato lo stato in cui versa l’ecosistema planetario. La società non ha una chiara percezione di questi aspetti né delle difficoltà che i coltivatori incontrano nell’attutire gli effetti delle fluttuazioni dei prezzi, la forte competizione estera, le conseguenze dei cambiamenti climatici, le calamità naturali o le malattie fitosanitarie, e contemporaneamente l’attenersi ad elevati standard produttivi. E' necessario però che questa realtà diventi evidente e comprensibile, cosicché l’opinione pubblica cresca consapevole e propositiva.
Nel contesto generale l’agricoltura ha bisogno di ripensare se stessa e le proprie frontiere attraverso la comunicazione, la tecnologia, la valorizzazione del prodotto e del territorio, l’autosufficienza, la multifunzionalità e l’integrazione. In ogni caso, esser pronta al cambiamento, alla modernità, a ripensare ai processi e a superare la caratteristica della territorialità che è propria dell’agricoltura italiana. Tutto questo confluisce in un solo elemento: l’agricoltura deve esser pronta a entrare in rete, per Connettersi al web per farsi conoscere Collegarsi alle altre imprese agricole, nazionali e non Fare massa critica e farsi ascoltare.
Dentro ogni fattoria si nascondono risorse non comunicate e non conosciute, sviluppi, reazioni, progressi e potenziamenti di cui il mondo esterno non sa nulla. La comunicazione del censimento serve proprio a questo: fornire uno spaccato di quella che la vera industria agricola, le sue professionalità, tecnologie, l’attenzione e la cura per l’ambiente, l’autosufficienza energetica, la ricerca, il biologico. E attenzione: le parole non sono casuali, l’accostamento di
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industria e agricoltura deve indurci a riflessioni sulla natura avanzata del settore primario. Ma appunto, nessuno al di fuori degli operatori del settore ne è a conoscenza. Non c’è cesura verso il passato: è evoluzione e quindi continuità tra passato e futuro. Concetto che abbiamo provato ed esplicare grazie al logo costruito ad hoc per il censimento, senza che una dimensione prevarichi sull’altra ma anzi in un’ottica di integrazione e fluidità.
Change, what else? Il censimento dell'Agricoltura deve dunque rispondere ad esigenze di informazione statistica su una pluralità di fenomeni agricoli, di sviluppo, di autosufficienza energetica e di sostenibilità ambientale necessaria all’impostazione, programmazione e valutazione della politica agricola nazionale prima ed europea poi. L’aggiornamento dei dati già in possesso è utile non solo per le alte sfere – che come è stato evidenziato, devono intervenire in modo costruttivo - ma anche per chi agisce sul territorio come le associazioni di categoria e ovviamente per gli operatori di settore, vessati dalle difficoltà e dal troppo disinteresse. Tutto sta al tipo di risposte fornite degli intervistati: se queste saranno puntuali e attendibili si potrà avere il quadro reale del settore, altrimenti i dati saranno inutilizzabili.
Meno aziende agricole, più Prodotto Lordo Vendibile, più qualità per le produzioni alimentari, maggiore multifunzionalità aziendale: sono in sintesi le direttrici caratterizzanti le future annate agrarie. Siamo in presenza di una profonda ristrutturazione dell’impresa agricola e contestualmente alla riproposizione del problema centrale della diminuzione di redditi. Oggi le sfide, specie per il settore agro-alimentare, non sono solo di ordine economico e produttivo, ma anche di contesto e territoriali. È determinante un lavoro costante affinché si rimuovano le contingenti condizioni di fragilità imprenditoriali e produttive nel settore primario, puntando ad un modello aziendale e professionale virtuoso che economizzi l’ambiente, le risorse e la produzione in buona parte adducibili alla mancanza di filiere reali e strutturate. È questa una condizione alla base di un moderno e competitivo modello agroalimentare. È probabile che la paura e la preoccupazione per sproporzioni fra i consumi e le disponibilità dei prodotti alimentari (coltivati e zoologici) renda conveniente o comunque necessario lo sfruttamento di aree ancora non coltivate o scarsamente utilizzate per fare fronte alle future richieste del mercato, quando invece occorre dapprima una ristrutturazione di settore che renda più efficienti e produttive le coltivazioni e gli allevamenti. Le agricolture europee quindi, anche senza la protezione della Pac, hanno nuovamente oggettive opportunità di
produrre e vendere. Per rispondere nel modo più adeguato a questo segnale del mercato occorre prima individuare: I prodotti più deficitarii, le cui quotazioni hanno maggiori probabilità di crescere; Le colture più adatte all'ambiente climatico e che diano le rese unitarie più alte; La coltura e l’allevamento che garantiscano il rendimento più alto dei fattori impiegati, capitali e lavoro, per rendere massimi i redditi.
L'agricoltore italiano difficilmente potrà però sfruttare questa proposta. L'ampiezza della sua impresa è spesso troppo modesta e non può garantire un reddito che ripaghi il duro lavoro dei campi. Gli agricoltori europei, consci che per sopravvivere dovevano disporre di aziende di ampiezza adeguata hanno dagli anni sessanta gradatamente ampliato le superfici aziendali, ricorrendo anche all'affitto, ed oggi possono anche usufruire dei benefici delle economie di scala. In Italia, secondo gli ultimi dati disponibili del censimento del 2000, vi erano 7.300 aziende sopra i 100 ettari, con 1.300.000 Ha di SAU. Di queste, solo lo 0,2% delle aziende presenti possedeva in media il 10% circa della superficie agraria coltivata. Una buona legge potrebbe consentire agli agricoltori più intraprendenti di aumentare la Sau, accrescere la produzione di materie prime
alimentari sfruttando questa nuova opportunità. Parallelamente, ottimizzare la produttività delle aree in coltura e degli allevamenti. La legislazione che regola l'affitto dei terreni è da decenni favorevole ai proprietari e non agli imprenditori. È auspicabile, oltre che necessario, che gli agricoltori, rendendosi conto di questa condizione di palese inferiorità, anziché chiedere fondi, sollecitino i responsabili della politica agricola nazionale a modificare entro breve tempo la legislazione che li danneggia nei confronti dei colleghi europei. L'invecchiamento della popolazione agricola ha come effetto l'accelerazione dell'abbandono di terreni agrari. In queste condizioni non si possono corrispondere convenientemente i fattori produttivi impiegati e avere redditi simili a quelli di altri settori. Le superfici meno produttive sono abbandonate a se stesse, senza interventi di riqualificazione del terreno per migliorarne (o far ripartire) la produttività. Spesso non sono nemmeno riqualificati attraverso gli impianti zootecnici che produrrebbero invece le condizioni utili per la multifunzionalità e l’autosufficienza. Sarebbe quindi utile e proficuo innescare una diffusa riqualificazione (per la produzione di energia grazie alle deiezioni, le biomasse o con gli impianti fotovoltaici) del patrimonio edilizio e creare le condizioni per cui gli impianti diventino un’opportunità per bonificare e recuperare zone marginali o dismesse, oltre che di una green economy che sia capace di dare risposta ai problemi dell’edilizia, della
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qualità urbana, dell’agricoltura, delle piccole e medie imprese. Se si può fare il solare fotovoltaico nei terreni agricoli è una domanda la cui risposta è sì, è possibile, ma con giudizio. Tenendo presente che i grandi impianti necessitano di materiale agroforestale che può arrivare da lontano e che quindi hanno trasporti che incidono sui costi. Per quanto riguarda le biomasse, le Regioni dovrebbero favorire le condizioni per creare delle filiere agro-energetiche e di gestione dei rifiuti biodegradabili che permettano di produrre energia elettrica, termica e per altri usi. L’agricoltura cambia sotto il nostro naso e lo fa silenziosamente, in punta di piedi. E quale mai miglior cassa di risonanza se non il web? Il titolo – e il sottotitolo – della tesi non è casuale. Come abbiamo visto, la rete è il minimo comun denominatore di tutte le best practice dell’agricoltura. Il successo del web sarà totale quando sarà eliminato il digital divide e saranno ancora di più le persone che lo utilizzeranno. Già oggi è disponibile anche in modalità wi-fi, always on grazie ai telefoni cellulari. Per il censimento è centrale il ruolo di internet non solo per la ricerca di informazioni e il confronto con altre persone e per accorciare le distanze fra il mondo dell’istituzione e il pubblico. Il 6° censimento dell’Agricoltura, nel 2010, ha
appoggiato una forte vena sperimentale facendo conoscere la possibilità di compilare via web il questionario. Una modalità che strizzava l’occhio all’ambiente, perché non stampare questionari cartacei certamente consentiva la salvaguardia degli alberi e che ottimizza le risorse, perché database erano aggiornati costantemente, mano a mano che si inserivano dati. L’obiettivo sperato era ottenere almeno un 10% di questionari compilati via web: tradotto in numeri, significa 200mila aziende su oltre due milioni di imprese agricole in Italia. La buona notizia è che è stato anche superato, tanto che spesso i software erano in down per i troppi accessi nello stesso momento. Nel corso del tempo la natura dei rapporti tra cittadino e istituzione, come abbiamo visto, non solo è cambiata ma si è evoluta. E le frontiere dell’istituzione digitale nel 2010 e nel futuro prossimo venturo sono quelle del dialogo e dell’apertura, del coinvolgimento, di una visione di una mission dell’istituzione improntate alla citizen satisfaction e alla qualità del servizio e delle informazioni. In altre parole, di strategie che orientino l’istituzione verso un Total Quality Management, a 360 gradi, che impone autoanalisi e autoriflessione - non sempre facili da perpetuare, perché spingono verso i propri limiti e ad affrontare le proprie debolezze – per progettare poi il miglioramento
del rapporto col cittadino.
La fondamentale differenza fra il passato e il futuro del censimento dell’agricoltura, così come fra web 1.0 e web 2.0 è proprio la fine del controllo e l'inizio della partecipazione: questo è il giusto approccio, pensare finalmente all’integrazione, partecipazione attiva e condivisione. I contenuti nel web sono per la maggior parte gratuiti e disponibili a tutti, con la possibilità, di rimando, di poterne creare dei propri: tutti gli utenti possono essere creatori di informazione per organizzare il settore agricolo in vista del futuro. Partecipare on line al Censimento consente all'Istituto Nazionale di Statistica di semplificare le operazioni di raccolta, accelerare i tempi di elaborazione oltre ad abbattere i costi organizzativi. Il Censimento rappresenta una fonte di informazione fondamentale per avere la ricetta precisa dello stato attuale e soprattutto futuro dell'azienda agricola. Si tratta di aggiornare - tramite il censimento e il database web – un patrimonio di conoscenze di rilevanza strategica per l’economia non solo di settore. La piattaforma informativa creata con il Censimento diventa anche la base per costruire altre statistiche strutturali da sfruttare per l'analisi economica e sociale del settore. Difatti l'obiettivo è quello di allestire un registro – il farm register - di informazioni statistiche sulle aziende agricole che siano comparabili tra i vari
stati europei, come supporto indispensabile alla politica agricola e alla politica di sviluppo rurale dell'Unione Europea. La pubblicità coinvolge la nostra vita in ogni sua forma, assumendo un ruolo determinante sia come motore economico di sviluppo che come strumento di orientamento e segmentazione dei pubblici. Allo stesso modo, lo sviluppo di nuovi mezzi di comunicazione ha profondamente cambiato la concezione di pubblicità e comunicazione. Ne ha cambiato non solo i contenuti, ma anche le forme: ecco perché il media plan presentato nella tesi ha scelto, di fianco ai media tradizionali, di puntare in quantità e qualità sul belove the line e tra questi principalmente sul web. I nuovi mezzi di comunicazione come detto non hanno escluso i media tradizionali ma li hanno integrati e inglobati grazie alla convergenza. Ma mentre i media tradizionali sono anche generalisti, specializzati e monodirezionali, i new media sono interdipendenti, polivalenti, bidirezionali, hanno una diffusione universale e universalizzante e permettono anche di immagazzinare l’informazione. La loro diffusione, poi, consente anche di raggiungere capillarmente molti tipi di pubblici e di target specializzati: ecco perché, per raggiungere gli stakeholders delle fattorie del futuro – concepite in ottica integrata, interconnessa e
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multimediale - l’utilizzo di diversi canali e del web diventa un must have. Il web diventa pertanto la chiave di volta verso cui investire. Il censimento del 2010 ha già intrapreso questa strada e il media plan progettato per il prossimo censimento segue questa strada, puntando al web come veicolo principale di pianificazione nel media mix. Certo, non si potrà eliminare la presenza dell’advertising anche su altri media, pena un non raggiungimento di un’adeguata copertura del target e anche per considerare che, sebbene in futuro il web sarà sempre più elemento aggregatore di contenuti e mezzi – come già avviene per radio e tv – e sarà sempre più utilizzato, ci sarà sempre una percentuale progressivamente inferiore di “digital have not” che sarà raggiungibile solo con canali tradizionali. La pianificazione sul web non solo già rappresenta un’innovazione di per sé ma in più utilizza e sceglie all’interno di essa solo i formati più creativi, ad alto impatto visivo senza penalizzare l’informatività degli stessi in virtù del contenuto che devono veicolare. Il media plan qui proposto, quindi, integra old e new media e cattura tutto il target di riferimento, generando awarness e portando sulla strada della massima
consapevolezza e collaboratività verso il censimento. Si tiene in conto quelli che saranno gli sviluppi futuri dei new media che sapranno catturare fasce più ampie di pubblico, più partecipe e informato, e avranno tra questo ampia diffusione poiché il trend è quello di una sempre crescente familiarità coi media, soprattutto con quelli di ultima generazione, in un’ottica di continuità fra vita off e on line. Il timing utilizzato va a raggiungere il target nel momento in cui presumibilmente egli sta fruendo di quel particolare veicolo, così come abbiamo visto illustrato nella “ruota del tempo”; inoltre, la pianificazione si concentra sui mesi principali per il censimento: un primo periodo – da settembre a novembre – in cui è necessario costruire partecipazione, engagement e awarness per mettere a conoscenza, prima, del censimento, della sua occorrenza, dell’imminente partenza sua e delle conseguenti rilevazioni. La seconda fase avviene ad aprile, mese in cui vengono diffusi i primi dati parziali. Il target, in questo frangente, è molto settoriale e specifico e si sono scelti, pertanto, i media più specialistici di settore. L’ultima fase è a luglio, mese nel quale vengono diffusi i dati definitivi e ufficiali del censimento. L’obiettivo è quello di aumentare l’awarness già ottenuta nella prima fase, far sentire “parte di un tutto” omogeneo e ovviamente informare sui risultati del censimento. I media scelti sono sia settoriali e specifici sia media a più ampio raggio, poiché i risultati sono di rilevanza assoluta per una gestione strategica del patrimonio del settore agricolo.
Il media plan ci guida, pertanto, verso l’evoluzione dell’agricoltura e della zootecnia, l’evoluzione delle fattorie – definite 3.0 perché abituate ai media, alle connessioni organizzative e mediali, aggiornate con la tecnologia e pronte a rispondere alle difficoltà - e di tutti gli operatori di settore che trarranno dal web tutte le risorse informative e lo sfrutteranno per una migliore gestione delle imprese stesse, appoggiandosi ai paradigmi organizzativi che dalla rete traggono una configurazione similare e che, sempre grazie alla rete, potranno risparmiare in tempi e costi per la supervisione della produzione anche in luoghi lontani fisicamente dallo schermo. Un settore che ha tanto da offrire oltre quello che già dà ma che, oltre che dalla crisi, dai disinvestimenti e salla disattenzione è minacciato da una “visione liquida” dell’agricoltura, mentre occorre una “modernità solida”, senza ideologismi ma con contenuti economici, sociali, produttivi, ambientali, umani, tecnologici validi e concreti che realizzino per il settore quella “rivoluzione” di cui necessita per garantire la propria sopravvivenza e affermarsi, nella mente delle persone, come settore strategico fondamentale per il buon funzionamento dell’economia.
Insomma, è una grande sfida.
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