COLLANA STUDI ESOTERICI ZENITH A. V. L. 6013
RELIGO LA CITTA’ DEL SOLE di Tommaso Campanella
Sacro Trinomio: Utopia o Concretezza? VOL I
PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA EDITO DALLA R.L. ZENITH N.1323 ALL’ OR. DI COSENZA VALLE DEL CRATI COLLANA DI STUDI ESOTERICI ZENITH REDAZIONE EDITORIALE, LAYOUT, GRAFICA A CURA DI GIORGIO DE LEONARDIS EDIZIONE DIGITALE A CURA DI ALESSIA DE LEONARDIS
GRAN LOGGIA D’ITALIA
DEGLI ANTICHI LIBERI ACCETTATI MURATORI
MASSONERIA UNIVERSALE DI RITO SCOZZESE ANTICO ED ACCETTATO OBBEDIENZA DI PIAZZA DEL GESU’ PALAZZO VITELLESCHI SEDENTE IN ROMA
R.L.
ZENITH N.1323 OR. DI COSENZA VALLE DEL CRATI 29 MAGGIO 1978 E.V. XXXV DALLA FONDAZIONE
LIBERTÀ
A.G. D. G.A.D.U.
UGUAGLIANZA
FRATELLANZA
GRAN LOGGIA D’ITALIA DEGLI ANTICHI LIBERI ACCETTATI MURATORI
MASSONERIA UNIVERSALE DI RITO SCOZZESE ANTICO E ACCETTATO OBBEDIENZA DI PIAZZA DEL GESÙ PALAZZO VITELLESCHI SEDENTE IN ROMA
R.L. ZENITH n.1323 Or. di Cosenza Prot n° 146/13 del 05.02.2013 E. V.
Elett.mi e Pot.mi FFF. Delegati Magistrali delle Regioni Massoniche della Comunione Ill.mi FFF.Gran Ispettori Provinciali delle Provincie Massoniche della Comunione Risp.mi FFF. Maestri Venerabili delle RRR.LLL. della Comunione
Carissimo Fratello, si avvicina l’anniversario del trentacinquesimo anno di fondazione della nostra R.L. ZENITH n.1323 all’Or. di Cosenza, Valle del Crati, Regione Massonica Calabria. La nostra Officina si prefigge di Lavorare salvaguardando uno stile di pensiero che, nella continua e comune riflessione, si riveli utile a sollecitare in ciascun Fratello la volontà di ricerca e di comprensione capace di stabilire i fondamenti di una società operante alla luce del nostro sacro Trinomio. In occasione dell’anniversario di fondazione e con le finalità di cui ti ho fatto poco sopra cenno, nasce l’idea di realizzare la pubblicazione di Quaderni di studio incentrati su tematiche da trattare sviluppando contributi di Fratelli della Comunione ripartiti in tre macroaree: filosofia e letteratura; arte e storia; sociologia e psicologia. Sviluppandosi tale progetto nel seno dell’Ordine, per il momento ad esclusivo uso interno, i contributi avranno l’unica limitazione di dover sostenere e coadiuvare un percorso di studio e di analisi tali da proporsi quale utile viatico ispiratore di ulteriori ricerche per i Fratelli dei primi tre gradi. Negli ultimi due anni la nostra Loggia ha dato vita ad una collana esoterica che ha visto editi due saggi. Il primo Oltre le Colonne (Ed. Collana studi esoterici Zenith, Cosenza, 2011) concepito come testi-
monianza di Lavoro operato dai Fratelli nel seno dell’Officina; il secondo Socrate - l’Apologia il Critone (Ed. Collana studi esoterici, Cosenza, 2012) finalizzato a sollecitare una comune riflessione sul concetto di Libertà e di rispetto delle Leggi. I Quaderni di studio verteranno intorno a temi valoriali di grande pregnanza morale ed esoterica ispirandosi a figure fondanti per la concezione etica cui la Libera Muratoria fa riferimento. I testi saranno pubblicati a cura della Rispettabile Loggia Zenith nell’ambito della “Collana studi esoterici ZENITH”. Con la prima uscita si verificheranno ulteriori opportunità, per lo sviluppo di questa idea, che vuole essere un momento di unione e di condivisione tra i tanti Fratelli della Comunione Massonica all’Obbedienza della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. di Palazzo Vitelleschi Piazza del Gesù sedente in Roma. Spero vorrai accogliere il mio invito contribuendo personalmente, o, se lo ritieni opportuno, segnalandomi uno o più Fratelli/Sorelle che vogliano partecipare a questo progetto, aderendo con un pezzo d’Architettura che si riferisca ad una delle aree più congeniali al loro sentire tenendo conto che la traccia di Lavoro comune per questa edizione sarà: LA CITTA’ DEL SOLE. Realizzare il Sacro Trinomio. Utopia o concretezza? I contributi faranno da cornice alla pubblicazione integrale del testo di Tommaso Campanella. Al fine di organizzare al meglio il lavoro sembra opportuno che i Fratelli o le Sorelle che intendano partecipare facciano pervenire, entro la fine di aprile, per il tramite dei rispettivi Maestri Venerabili, la loro adesione con il titolo (anche provvisorio) della Tavola che intenderanno disegnare. Confido nella cura che ci dedicherai nell’offrire un cortese riscontro nei prossimi giorni, tenendo conto che, dovendo procedere alla collazione dei pezzi, alla cura editoriale, al layout e non ultime alle verifiche di bozza per la stampa, il limite ultimo per l’invio del pezzo d’Architettura non è dilazionabile oltre il 30 giugno 2013. Con un T.F.A. Il Maestro Venerabile della R.L. Zenith Or. di Cosenza Valle del Crati
PREFAZIONE Ho accolto e condiviso con piacere l’iniziativa assunta dal Maestro Venerabile della R.L. Zenith all’Or. di Cosenza quando, alcuni mesi fa, mi sottopose la proposta di Lavoro intorno al filosofo Campanella ed alla sua opera più nota: La città del Sole. Questa Loggia, che è la più antica dell’Oriente di Cosenza, ormai da qualche anno, ha indirizzato parte dei suoi Lavori nel senso di riflessioni comuni intorno a temi esoterici di studio modulati secondo le esigenze di ricerca che connotano gli ambiti di ciascuno dei tre gradi azzurri. Lo ha realizzato attraverso la pubblicazione interna della Collana esoterica di studi della Loggia Zenith nei due decorsi anni ed, oggi, procedendo a pubblicare Réligo – Quaderni di Studio. Nel corso della responsabilità che il S.G.C.G.M. Luigi Pruneti, 33., ebbe la bontà di assegnarmi investendomi del ruolo di Delegato Magistrale per la Calabria, ho profuso notevole impegno nel favorire e promuovere iniziative culturali di vario genere, non ultima la produzione di studi prodotti dal Lavoro comune svolto nelle Logge della Regione. Mi piace perciò incoraggiare e promuovere la diligente solerzia di questa Officina e di ogni singolo suo componente plaudendo a tutto ciò che è studio e riflessione ricca e feconda. La R.L. Zenith, raccogliendo il pensiero di ciascuno, ponendolo in comunione con tutti i Fratelli, ottempera ad una delle finalità più rilevanti che la Massoneria Universale e La Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. di Pal. Vitelleschi si propongono di compiere. Oltre a possedere il pregio di un progetto di studio e riflessione comune qualitativamente alto da parte dell’intera Loggia, il Lavoro concepiva la volontà di condivisione di pensiero proponendo ad altre Delegazioni e ad altri Orienti, sparsi sul territorio nazionale, di collaborare al comune tema con l’invio di tavole disegnate da Sorelle e Fratelli che sentissero il bisogno di offrire la ricchezza del loro pensiero a sostegno della problematica proposta anche attraverso alcune pregevoli provocazioni e spunti dai coordinatori del progetto. Tante Sorelle, tanti Fratelli, hanno aderito contribuendo con pregevolissime riflessioni che impreziosiscono questo Quaderno di Studi che collega i Liberi Muratori della Gran Loggia d’Italia di Pal. Vitelleschi. A parere di chi scrive questo è uno dei pregi eccellenti del progetto. I Massoni che ornano le Colonne di questa
antica Officina, con il quotidiano Lavoro svolto a favore del Bene Comune e in nome del G.A.D.U., ad esaltazione della nostra grande Istituzione, stanno tracciando un percorso netto. Hanno ben implementato nei loro intelletti e nei loro cuori che un edificio solido e durevole deve non soltanto poggiare su fondamenta stabili gettate in un terreno sano, ma che ogni pietra, ogni mattone devono legarsi agli altri in un tutto armonioso. Nello spirito che li anima sta il futuro comune di questa Istituzione che non si sottrarrà mai allo studio, all’indagine, alla ricerca nella consapevolezza che tutto è utile ai fini della propria crescita. Un ringraziamento ed un sostegno affettuoso ai Fratelli di questa valorosa antica Loggia, al coordinamento dei Lavori, ed al Maestro Venerabile, Risp.mo Fr. Giorgio De Leonardis, cui va ascritto anche il merito della realizzazione editoriale e grafica del presente Quaderno di Studi. Il Delegato Magistrale
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re anni fa i Fratelli della R.L. Zenith all’Or. di Cosenza concepirono il progetto di una Collana Esoterica volta a lasciare una traccia dello spirito con cui venivano condotti i loro Lavori nel Tempio. Furono elaborati due saggi: Oltre le Colonne il primo anno e Socrate: l’Apologia, il Critone lo scorso anno. Gli Operai della Loggia erano mossi anche da un altro intento: porre, cioè, in circolo con altre Logge e con maggior numero
di Fratelli, uno stile di pensiero e un metodo utile a consolidare l’essenza della catena che unisce i Liberi Muratori sotto il cielo stellato. Questo terzo anno di pubblicazione dei Lavori di Loggia esprime il senso di riposto auspicio e di tale volontà con la nascita dei Quaderni concepiti all’insegna dell’intitolazione “Rèligo” nella sua autentica accezione di “re-ligare” nel comune significato di “annodare”ma anche nel poetico significato di “approdare”. Non abbiamo trascurato l’altro
13 e consenso presso il S.G.C.G.M., consentendoci di invitare Fratelli di altri Orienti, anche in diverse regioni massoniche, ad offrire il loro contributo intorno al fondamento di Valori che illuminano le finalità e la ritualità dei nostri Lavori nel Tempio. Speriamo di aver dato sostanza, per qualche verso, all’aspirazione a completare la parte non finita del Tempio di Salomone, al sogno, cioè, di porre le fondamenta ed erigere le mura di smeraldo della città ideale da sempre riposta nel cantuccio della mente
di uomini sotto ogni cielo e in ogni tempo. Il tema, concepito per consentire a ciascun Fratello, Apprendista, Compagno d’Arte o Maestro, una meditazione calibrata sulla rispettiva crescita, è: Il Sacro Trinomio: utopia o concretezza. Ciascuno dei Fratelli, con la sua personale sensibilità, con le sfaccettature del proprio patrimonio di maturazione, ha reso brillante la pietra che, coralmente, abbiamo cercato di lavorare creando molteplici punti di osservazione. Ad ognuno di essi va la nostra
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aspetto di tale verbo che, nella forma del passivo figurato “re-ligari”, assume il valore di “essere legato” rendendo, perciò, il senso dell’aspirazione più immediata a condividere, a scambiare con altri Liberi Muratori spunti di riflessione grazie a cui elaborare la comune volontà di conoscenza per maturare giusti approdi di comprensione. Questo nostro progetto, dedicato allo studio di un’opera, La città del Sole, e all’esistenza tormentata del suo autore, Tommaso Campanella, ha trovato accoglimento
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gratitudine ed il nostro fraterno affetto. Nutriamo la speranza che questo primo, timido tentativo, trovi maggior accoglimento in futuro presso altri Orienti ma, soprattutto, vogliamo ringraziare tutti coloro, dai Delegati Magistrali ai Grandi Ispettori Provinciali, ai Maestri Venerabili, ai Fratelli delle Officine, che ci hanno teso la mano unendosi a noi in un desiderio di partecipazione fraterna per merito della quale è stato possibile rendere salda, preziosa e piena d’amore la diuturna volontà di esercizio dell’Arte dei Liberi Muratori. LIBERTÀ UGUAGLIANZA FRATELLANZA
Risp. Sr. Gerardina Laudato EX M.V. R.L. Zenith n.1323 Or. di Cosenza Valle del Crati
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l Libero Muratore, l’Iniziato, porta le stimmate dell’utopia. Non dismette mai di osservare la materia della sua ricerca nell’ottica della prospettiva dell’umanesimo perenne. Sembra essere questa la lampada che illumina un metodo ove la dignità dell’uomo coincide con la
Libertà, alimentata dal Valore di Uguaglianza, capace di rendere Fratelli gli Uomini. Crediamo che l’umanesimo perenne sia permanenza di radici, di semi, di costume. Il Massone fa suo il principio in forza del quale, grazie anche alla razionalità temperata al fuoco della sensibilità e della spiritualità, l’uomo si rende consapevole di posse-
dere una natura divina, di essere imago dei. È dignità dell’uomo la possibilità di governare la vita e di incidere nella storia. Perché, contro le forze della Fortuna, egli oppone la Virtù operosa di Ercole-Prometeo. Quella che reca e rende fruttifera la scintilla creativa della retta intelligenza. Dignità dell’uomo è, ancora, il diritto
l’opera dei Liberi Muratori, quella che, responsabilmente, valuta gli eventi anche alla luce della storia, fa tesoro della fiaccola delle filosofie, analizza le problematiche attraverso il costante Lavoro che svolge fra le Colonne del Tempio e nella vita profana. Ogni crisi contiene in sé la semente feconda che può ribaltare le negatività trasformandole in punti di forza. La metamorfosi benefica attinge potenza nel valore della fatica della mente che si avventura negli aggrovigliati percorsi della ricerca del vero. La storia reale, la disgregazione dei sistemi politici ed economici, nonostante la loro durezza, non spengono la vocazione all’utopia del Massone. Il Libero Muratore sa di essere profondamente obbligato all’esercizio dell’intelligenza mediante la comprensione. Grazie a tale metodo egli esalta la capacità di capire per concepire ed agire giustamente. Mediante la saggezza egli impronta al distacco critico l’interpretazione degli eventi inquadrandoli in una visione che impedisce alle passioni di prevalere e disponendolo alla benevolenza alla cui insegna è possibile riconoscere le ragioni degli altri.
Utopia e realismo. Nulla è tanto vecchio da non poter diventare nuovo e nulla è tanto nuovo da non poter ridiventare vecchio; i due aspetti di utopia e realismo non si escludono a vicenda. Alla luce di queste riflessioni, per la prima uscita dei Quaderni, abbiamo scelto di osservare la formidabile personalità di un filosofo figlio di Calabria, Tommaso Campanella, intelletto mai sazio di studi e di conoscenza, noto, oseremmo dire venerato, presso gli uomini di cultura dell’intera Europa seicentesca. Frate Tommaso incarna, a tutto tondo, l’essenza di un’epoca di crisi, fra Cinquecento e Seicento, traversata da torbidi morali e politici, sferzata da luci corrusche e drammatiche simili agli splendori violenti delle tele di un Tintoretto o di un Caravaggio, piagata dai drammi ricorrenti dei suoi rivolgimenti sociali, antropologici, culturali ed economici. Campanella è anello di congiunzione fra gli scenari luminosi del Rinascimento e gli approdi alle spiagge della successiva età illuministica. La sua opera più nota, La Città del Sole, ispiratrice di sviluppi e di belle utopie, è
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attivo alla libertà di pensiero, di coscienza e di domanda contro ogni costrizione. Il Massone ritiene che, dappertutto e in ogni tempo, l’uomo possegga le medesime virtù essenziali. Anzi, propone l’osmosi di queste virtù. Vale a dire dei pensieri, delle istituzioni e delle conquiste di ogni cultura, passata o contemporanea. Lo dimostrano le concordanze ben evidenti che si colgono nella visitazione delle civiltà del passato, da quella egizia a quelle orientali e poi dell’Ebraismo e del Cristianesimo, dell’Islam e di ogni altra esperienza umana conosciuta. La ricerca massonica si configura simile ad un crogiuolo che accoglie la materia della conoscenza per distillarne l’essenza della comprensione e far sì che ciò che l’uomo singolo non riesce a realizzare, possa essere poi realizzato dalla humanitas futura grazie al coordinamento ideale e fattivo delle capacità umane. Il nostro percorso massonico ci ha fatto convinti, come già Epimenide, che la storia è profezia del passato. Per questo, nella crisi gravissima che l’umanità sta attraversando, si rende necessaria e meritevole
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riportata in questo nostro Quaderno accompagnata dalle sue liriche, note intime di un’anima spesso dissonante, a volte amara o aggressiva, altre sognante, altre ancora ribelle o nostalgica, segregata fra mura di carceri per gran parte della sua esistenza e tuttavia perennemente indomita. I contributi di pensiero dei nostri Fratelli valgono da prezioso ornamento di riflessione e di questo siamo a tutti loro grati. Si è dato particolare rilievo alla visitazione del Rinascimento non solo per comprendere il filosofo ma anche in ossequio ad una lettera che Campanella scrisse il 6 luglio 1638 indirizzandola, da Parigi, a Ferdinando dé Medici. Ne riportiamo una parte: «io ed ogni ingegno egregio portamo grande obligo ai principi medicei, che facendo comparire i libri platonici in Italia, non visti da’ nostri antichi, fur cagione di levarci dalle spalle il giogo d’ Aristotele, e per conseguenza poi di tutti i sofisti; e cominciò l’Italia ad esaminare la filosofia delle nazioni con ragione ed esperienza nella natura e non nelle parole egli uomini». Di lì, secondo Campanella, la nuova cultura e la nuova politi-
gamente a quanto avveniva in Inghilterra dove John Colet studiava ed annotava gli scritti ficiniani e Tommaso Moro leggeva Pico e ne traduceva la vita. L’immagine disegnata da Campanella, del singolare platonismo trionfante a Firenze, e non solo in quella città, ma presso tutte le importanti e ricche corti dei Signori e dei regnanti d’Italia, è quella che si è perpetuata nel tempo come fonte ispiratrice delle poetiche letterarie ed artistiche, fondamento su cui si edificheranno, con l’esaltazione della matematica, i fondamenti teorici della nuova scienza della natura. Le parole e lo spirito di Tommaso, osiamo sperare, hanno fatto da guida ai nostri studi, alla nostra ricerca comune, al Lavoro
che reiteriamo ogni volta che l’eggregoro apre le porte per accogliere il Sacro mediante l’apertura dei Lavori rituali quando il Maestro delle Cerimonie, rende evidenti, con l’accensione dei tre candelabri le virtù di Bellezza, Forza e Saggezza grazie a cui può continuare a sostanziarsi il nostro Sacro Trinomio.
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Risp. Fr. Giorgio De Leonardis M.V. R.L. Zenith n.1323 Or. di Cosenza Valle del Crati
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ca, la nuova filosofia e la nuova scienza, e Galileo, l’ammirabile Galileo - come scrive sempre Campanella- suo filosofo, ossia filosofo dei Medici, mio caro amico e vero platonico. Non manca nulla: Rinascimento e rivoluzione scientifica, e Platone, così fortemente sentito e rievocato a Firenze lungo tutto il Quattrocento sulla scia di prese di posizione petrarchesche. Campanella scriveva da Parigi, ormai in pieno Seicento, in quella stessa città dove si concluderà la sua esperienza terrena. Qui aveva allignato una cultura di qualità, un fervore di intelletti che aspettavano con ansia le lettere di Marsilio Ficino e leggevano con passione le meditazioni di Pico della Mirandola. Analo-
TOMMASO CAMPANELLA: EVENTI, UOMINI, UTOPIE …por di ragione il seggio e lo stendardo contra il vizio codardo a libertà chiamar l’anime serve…
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er più notti frate Tommaso, il giovane ombroso e solitario appena ventunenne, tutto compreso nella golosità di assimilare, saccheggiare quasi, i paradisi delle scienze e delle filosofie, non era stato trovato nella sua cella. I suoi superiori lo trasferiscono, dal maestoso convento aragonese di Placanica presso Nicastro, al convento di San Domenico di Cosenza. È l’estate del 1588. Per caso gli capita fra le mani una copia del trattato di Bernardino Telesio, cosentino, De rerum natura iuxta propria principia. Ne resta fulminato. Il nobile filosofo cosentino, erede della tradizione dell’epicureismo campano per il tramite del grande Lucrezio, diviene in pectore il suo maestro, gli trasmette il desiderio di comprendere il meraviglioso poema della Natura. Dalla lettura dei nove libri di quell’opera prende le mosse la sua riflessione filosofica. Lo scritto gli apre orizzonti culturali nuovi ed intriganti. Ne studia ogni aspetto, elabora tutta una serie di intuizioni, ne cova ogni lucore ripromettendosi di
PASSIONE E POLEMICA GIOVANILE discuterne in prima persona col dei suoi confratelli di Cosenza, filosofo che abita in una piazzet- ritenuto troppo irrequieto, anche ta a poca distanza dal convento per aver costituito un gruppo di di san Domenico. Ma, prima che amicizie di letterati e studiosi la lettura giunga a compimento, cosentini del calibro di SertoTelesio muore. Col cuore pieno rio Quattromani, Celso Molli e di dolore Tommaso partecipa Giovanbattista Ardoino, viene ai funerali celebrati con grandi trasferito nel dicembre dell’88 ad onorificenze ed alla presenza di Altomonte. Si spera forse di ponobili rappresentanti, dai Cava- terlo imbrigliare ponendo un arlieri dell’Ordine di Malta a don gine alla sua sete di conoscenza Fernandez de Cordoba in rap- ed al suo spirito ribelle. Ma anche presentanza del viceré di Napoli. in questo centro, le cui testimoNon manca un altissimo inviato nianze architettoniche lasciano del papa affiancato, peraltro, da scorgere, ancora oggi, la riccheztre esponenti della Santa Inqui- za culturale dovuta alla nobile sizione. Tommaso si tiene ap- famiglia Sanseverino, Tommaso partato. Solo prima di uscire dal trova libri per soddisfare la sua Duomo depone un sonetto scrit- fame di conoscenza. E non solo; to in onore di colui che ha eletto proprio qui inizia a scrivere la a suo maestro. Ne testimonia lui sua opera filosofica: Philosophia stesso nel suo De libris propriis et sensibus demonstrata polemicarecta ratione studendi syntagma mente indirizzata al giurista e (I,1) «E dato che mi trovavo colà filosofo Jacopo Antonio Marta il il sommo Telesio morì, non mi fu quale aveva attaccato duramente possibile ascoltare da lui le sue dot- Telesio contestando le sue crititrine né di vederlo vivo, ma solo che ad Aristotele. Nel corpo di da morto, quando era già stato otto disputationes Campanella portato in chiesa; e lì, scoprendo il conduce la difesa delle dottrine suo volto, potei ammirarlo e al suo di Telesio, colui che quasi idolatumulo affissi parecchi versi che di tra come suo maestro. L’opera è lui cantavano». Non passa gran pubblicata nel 1590. Poco dopo, tempo e Campanella, a giudizio incurante del permesso dei suoi
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superiori Tommaso si reca a Napoli, ospite della potente famiglia dei marchesi del Tufo. Qui incontra il Della Porta che gli rivela di aver letto il trattato di Telesio senza averlo compreso. Campanella, che pur utilizzerà alcune osservazioni del fisico napoletano interpretando animisticamente le cosiddette simpatie ed antipatie delle cose, ne resta deluso al punto da giudicare l’interlocutore un valente studioso della natura, un accorto raccoglitore di dati e fenomeni, incapace tuttavia di elaborare organicamente un compiuto programma scientifico e di conferire un ordine sistematico alla sua pur notevole opera di ricercatore. A Napoli il frate detterà la Praefatio alla Philosophia sensibus demonstrata in cui continua ad infierire contro il Marta e sostiene le lodi per la tradizione filosofica calabrese. Ascoltiamo insieme i toni dalla foga appassionata e, per certi versi, partigiana, della voce stessa di Tommaso: «Visto che questo saccente chiama ora bruzio ed ora calabrese Te-
lesio in tono spregiativo, sappia che la Calabria, per eccellenza ed antichità, si distingue sopra tutte quasi le regioni. E prosegue poi: Tutte le discipline e l’intera scienza umana fiorirono tra i calabresi. Platone, infatti, e il suo discepolo Aristotele furono allievi dei calabresi, o, meglio, Aristotele lo fu di Platone, che in Calabria venne ammaestrato. … invero si recò da Atene in Calabria ed apprese ogni cosa da Timeo, Eu-
ticrate ed Arione, tutti locresi … Molto altresì imparò Platone da Ipparco, astrologo di Reggio, da Ippia e da Teeteto, ch’egli introduce come interlocutori nei suoi dialoghi ]…[ Anche Pitagora, che con universale consenso è chiamato principe dei filosofi, nel “Della vecchiezza” ciceroniano, fu calabrese e da lui derivarono tutte le scuole filosofiche; quando la sua setta fu potente a Crotone, da tutto il mondo convenivano a lui filosofi e sovrani, come svariati scrittori raccontano, e dopo la sua morte la setta prosperò a Locri ed a Reggio sotto diversi capi, in un’epoca in cui innumerevoli filosofi e donne di di rara sapienza, tutti autori di molteplici opere, fiorivano per l’intera regione». Lo scritto segnerà l’inizio delle vicende drammatiche del frate che, sovente, verrà appellato libertino e tilesiano da una certa ostilità, anche dei suoi stessi confratelli, ottusa, chiusa dai limiti di un fanatico dispregio. Gli procura, infatti, una prima imputazione di eresia ed il conseguente imprigionamento e processo
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nelle carceri del Sant’Uffizio. Riesce ad essere assolto. Comincia a vagare in varie città d’Italia, da Firenze a Padova, dove conosce ed apprezza Galileo. Anche qui suscita l’avversione e le assurde maldicenze dei confratelli. Viene di nuovo imprigionato. Trasferito, sempre prigioniero a Roma, subisce ulteriori torture e processi. Si libererà, temporaneamente, dal giogo malefico solo quando, dopo aver resistito per un anno, indebolito nel corpo, consente all’abiura. Dopo un breve soggiorno nel convento di santa Sabina sull’Aventino passa nel convento della Minerva. Subisce un ulteriore processo per una nuova accusa di eresia avanzata a Napoli da un comune delinquente, Scipione Prestinace che, pur di dilazionare la condanna a morte per gravi crimini, acconsente a dichiarare l’eresia del frate. Liberato parte per Napoli dove soggiorna per alcuni mesi, ospite ancora di quel marchese Mario del Tufo che cerca per l’amico una sistemazione come teologo presso il vescovo di Minervino nelle Puglie. Anche questo tentativo fallisce e Tommaso è costretto dai suoi superiori a ritor-
nare in Calabria. Nel corso delle drammatiche vicende Tommaso ha continuato ad elaborare le sue riflessioni filosofiche spaziando intorno a problemi inerenti l’etica, la fisiologia, l’astrologia. Alla filosofia egli affida il compito della ricerca della verità in continua tensione etico-sociale e con il fine di perfezionare una
missione educativa. La volontà, e la forza del ben operare, in una parola la Virtus, hanno origine nella sapienza. Essa è potenza regolatrice di ogni azione umana, fondamento su cui è possibile reggere la felicità dei popoli.
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ono trascorsi circa tre anni dagli avvenimenti del 1599 che hanno scosso la Calabria. Il mezzogiorno d’Italia, ma tutta l’Europa in genere, attraversano una crisi profonda determinata da una serie di stravolgimenti, dalla svalutazione monetaria, all’aumento di tassazione che deve soddisfare il lusso sfrenato di alcuni ceti sociali, alle carestie, in particolare quella degli anni 1594/97 Quest’ultima, generatrice come 24 tutte le altre, di epidemie con il tremendo scotto dell’alto tasso di mortalità, colpisce i territori, determinando feroci crisi alimentari, immiserendo in particolare
I CEPPI DELLA PRIGIONIA FISICA le popolazioni ed i villaggi rurali dalla prevaricazione affamatrice al punto da profilare una sorta di del governo spagnolo, per tentanuova servitù della gleba. Lo re di gettare le basi di una sorta spopolamento delle campagne di preludio di città celeste da reaumenta le masse di disperati alizzarsi sulla Terra, è fallita. Due che si riversano nelle città alla ri- disertori, nell’agosto del ‘99, hancerca di mezzi di sopravvivenza. no determinato il fallimento del Malcontento ed agitazioni per- complotto e Campanella, il 13 corrono tutto il continente. A ciò settembre di quell’anno, è preso si aggiungano gli effetti foschi e messo in ceppi nel carcere di della Riforma e della Controri- Squillace per essere poi, alla fine forma con il suo carico di spio- del mese successivo, gettato nelle naggio e fanatismo, con l’imper- carceri napoletane. Per il giovaversare sadico delle Inquisizioni, ne Frate Tommaso, che, nei suoi gli ottusi processi, le incarcera- trentuno anni di vita, ha già patizioni e le condanne a pene capi- to la prigione e le torture prima a Roma, nelle carceri del Sant’Uffitali. L’oscura trama di cospirazioni di zio e poi a Padova e, di nuovo, fra monaci e gentiluomini per libe- il ‘94 ed il ‘95, a Roma, nel carrare la Calabria ed il napoletano cere di Tor di Nona, «rocca sacra a tirannia segreta», è iniziato il lungo calvario che lo terrà imprigionato fino al 1627. È provato fisicamente dalle raccapriccianti torture che gli hanno devastato il corpo lasciando la sua carne sfregiata da profondi solchi di cicatrici. È chiuso nel carcere napoletano di Castel Sant’Elmo, in una cella infossata, la buca del coccodrillo, umida e scura posta sotto il livello del mare. Vi resterà fino al 1607. Ha subito sevizie di-
petto e al collo; se mi abbassavo, le natiche venivano segate da legno: dalle carni squarciate fino al collo della vescica e alle radici dei genitali è uscita una grande quantità di sangue, finché hanno smesso di torturarmi dopo quaranta ore, lasciandomi mezzo morto.» Come Giordano Bruno, l’altro grande pensatore meridionale ribelle dalla genialità irrequieta e fervida, erede dell’Ars Magna e delle mnemotecniche ciceroniane, delle filosofie di Lucrezio e dei pitagorici, del neoplatonismo e dell’ermetismo rinascimenta-
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sumane, anche quella detta del polledro. Ha simulato, infine, la follia mantenendo lucida ed acuta la sua mente salvando in tal guisa la vita. Ripercorriamo l’orrore, narrato da lui stesso: «io ne ho fatto esperienza quando, per quaranta ore, sono rimasto appeso a una fune legato di dietro, con le braccia distorte e con altre funi sottili che mi penetravano fino alle ossa, e sedendo sopra un legno acuminato, così che se volevo sostenermi per le braccia distorte provavo una sofferenza insopportabile alle braccia, alle scapole, al
le, abbruciato nudo il 17 febbraio 1600, sotto un freddo gelido e con la bocca tappata da uno straccio, Campanella resiste alla violenza bruta che non riesce a mortificare né il suo intelletto,né la sua anima. Attinge forza alla fiducia in Dio che lo sostiene nel faticoso cammino della ricerca della Verità e della Libertà e nel sogno profetico di una Umanità liberata dai limiti angusti dell’ignoranza e della servitù. Leggiamo insieme una delle sue poesie ove innalza un voto a Dio per essere sciolto dalla sua carcerazione: Se mi sciogli, io far scuola ti prometto di tutte le Nazioni a Dio liberator,verace e vivo, s’a cotanto pensier non è disdetto il fine a cui mi sproni: gli idoli abbatter,far di culto privo ogni Dio putativo e chi di Dio si serve, e a Dio non serve; por di ragione il seggio e lo stendardo contra il vizio codardo; a libertà chiamar l’anime serve, umiliar le proterve né a tetti ch’avilisce fulmine o belva, dir canzon novelle, per cui Sion languisce; ma Tempio farò il ciel, altar le stelle. Siamo alla fine dell’anno 1601.
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A questo periodo è attribuibile la stesura del manoscritto Città del Sole, che, insieme agli Aforismi politici, sarà affidato da Frate Tommaso al suo amico ed estimatore, il tedesco Schoppe il quale, sovente, lo visita in carcere, quando la detenzione diviene meno dura. Ambedue i manoscritti, che, più avanti nel tempo, saranno pubblicati nel corpo della più ampia opera Philosophia realis, destando l’interesse anche di Ugo Grozio, passano di mano in mano circolando velocemente in tutta Europa, da Basilea a Strasburgo a Tubinga, dove esiste un’importante scuola di diritto, e ad Altenburg dove il giovane Wilhelm Wense, amico e sodale di J.V. Andreae, avrà modo di conoscere Tobias Adami, vicinissimo a Campanella, entusiasmandosi al progetto della città ideale sognata da Frate Tommaso fino al punto di proporre a Johann Valentin Andreae di battezzare “Città del Sole” l’Unione Cristiana propugnata dall’autore della Fama (1614) e della Invitatio ad fraternitatem Christi (1617-1629). La prima pubblicazione dell’opera Civitas Solis, nella redazione latina, av-
verrà nel 1623, a Francoforte, per l’interessamento dello studioso Thobias Adami. La forma è quella del dialogo poetico fra due personaggi grazie a cui Frate Tommaso espone la
sua fantastica concezione di un governo perfetto. Degli ordinamenti che vigono nella favolosa Città del Sole, situata nell’isola di Taprobana, l’odierna Ceylon(?), parla un ammiraglio genovese reduce dal giro della terra. Supremo reggitore della città, eretta su un alto colle e cinta da sette degradanti teorie di mura, è un sacerdote chiamato Metafisico
assistito da altri tre capi: Pon, Sin, Mor; vale a dire Potenza, Sapienza, Amore. Gli abitanti solari praticano la filosofia, rispettando soltanto i dettami della ragione. Non esistono servi né padroni, ma tutti si adoperano per la comune prosperità. Grande importanza Campanella attribuisce al ministero della generazione: la donna che risulta sterile viene considerata assolutamente comune e non gode degli onori riservati alle matrone. Grazie alla grande abilità strategica i Solari vincono sempre le loro guerre, intraprese solo per soccorrere popoli oppressi o per combattere tiranni aggressori. Sono tenute nella massima considerazione l’agricoltura e la pastorizia; è trascurata invece la mercatura mentre è ammesso il baratto. Il tenore di vita, improntato alla cura dell’equilibrio e dell’armonia sia del corpo che dell’intelletto, libero dalla sopraffazione degli egoismi e dei vizi, consente una saggia longevità per la massima parte dei cittadini di Taprobana. Li unisce una religione che è un cristianesimo naturale: si onora
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l’Universo in quanto immagine vivente di Dio. I Solari credono nell’immortalità dell’anima; ammettono l’influenza degli astri come anche di forze malefiche che agiscono sui sensi turbando la ragione. Al dialogo fanno seguito le Questioni sull’ottima repubblica, in cui sono riassunte e ribattute tutte le possibili obiezioni alla dottrina politica già esposta. L’opera è qualcosa di vivo e di diverso dalle astratte utopie puramente intellettuali che già circolavano da tempo in Europa. Come traspare, fin dall’inizio di questa riflessione, nella Città del Sole, Tommaso ha sognato e tentato nella sua Calabria di realizzare, con una rivoluzione, la propria idea, in opposizione al dominio affamatore, violento ed ottuso dei potenti, una Chiesa ed uno Stato mossi prevalentemente da spirito di rapina per soddisfare la sfrenatezza del lusso. Fallita l’impresa non resta all’indomito frate che tracciare uno scritto immaginoso e pieno di vita illuminato da lampi di un ideale agognato a fronte di una tragica realtà ferita dalla lebbra della miseria fisica ed intellettua-
28 le cui una parte di popolo continuava ad essere assoggettata. Qui egli difende e preconizza una riforma del cattolicesimo che avrebbe dovuto ricondurre l’ecclesia alla sua essenza originaria improntata alla religione naturale fondata sulla ragione e capace di promuovere l’unità spirituale del genere umano. La sua utopia era stato preconizzata, anche se con prassi diverse, da un’altra straordinaria personalità già alcuni decenni prima.
Campanella lo conobbe durante il periodo della sua detenzione romana degli anni ‘90 e a lui dedicò un sonetto dopo l’orrenda esecuzione del 1597. Ci riferiamo al fiorentino Francesco Pucci, anch’egli, come Bruno, imprigionato dall’Inquisizione romana dopo la sua lunga assenza dall’Italia, condannato come eretico, crudelmente soggetto alla decapitazione in Tor di Nona e poi all’oltraggio del rogo delle spoglie a Campo dé Fiori.
Nel corso del suo soggiorno a Londra circolò clandestinamente e coperto dall’anonimato, un suo manoscritto dal titolo Forma d’una republica catholica(1581). Qui il Pucci elabora un vero e proprio manifesto, nonché il programma d’azione di un partito volto alla costruzione di un mondo migliore. Una repubblica segreta transnazionale e interconfessionale i cui adepti, sparsi nelle diverse Nazioni, rispettando alcune regole fondamenta-
ritroveremo in Francis Bacon ed in Comenio. Nel primo, quando concepisce la società ideale, religiosa e scientifica dell’isola sconosciuta della Nuova Atlantide che ospita la Casa di Salomone il luogo dove vince la centralità del sapere che persegue «la conoscenza delle cause e dei segreti movimenti delle cose per allargare i confini del potere umano verso la realizzazione di ogni possibile obiettivo»2 . In Comenio, con la Pansofia e la sua Via Lucis che nel nome dell’avanzamento della conoscenza auspica una riforma universale del mondo in vista dell’arrivo imminente del regno di Dio. «L’ uomo vive in un mondo duplice: la sua mente non può essere contenuta entro uno spazio fisico e neppure chiusa da muri, ma, nel medesimo tempo, luomo è in cielo e sulla terra, in Italia, in Francia, in America; ovunque la forza della mente penetra e si estende mediante la comprensione, la ricerca, il controllo. Il suo corpo, invece, può esistere in uno spazio limitato, può essere costretto in prigione
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i n catene fino a quando non riesce a stare o ad andare nel luogo che il suo intelletto o la sua volontà hanno già raggiunto, e non occupa più spazio di quello che delimita la forma del suo corpo; mentre, con la mente, occupa un migliaio di mondi». L’ardore del sogno, che opera per concepire la realizzazione di una diversa realtà, paga sovente lo scotto dell’esilio, dei roghi, della prigione fisica o della forca, ma genera soprattutto convinzione e coraggio per cui le idee mettono salde Radici in «quelle pietre vive che sono uomini» come scriveva Rabelais.
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li, prima fra tutte la tolleranza, praticando una vita virtuosa e comunitaria, vivendo con devozione e disciplina morale, conformandosi senza conflitti alle leggi ed al culto degli Stati ospitanti, costituiscano un esercito di virtuosi capace di espandersi ed infiltrarsi in ogni cellula della vita sociale cambiando dal di dentro i vari paesi della cristianità ed il loro modo di conformarsi ad una religio dove Dio è Logos cioè Ragione che non predestina nessuno. In sostanza: se la religione è assoluta razionalità, ogni forma di religiosità è un cristianesimo implicito, sufficiente a salvare l’uomo e a riportarlo nelle condizioni di prima della Caduta. Dalla Città del Sole trarranno ispirazione altre utopie. Sarà la città quadrata di Cristianopoli1 di J.V. Andreae «baluardo della verità e della bontà» dove le disuguaglianze si dissolvono alla luce di un’etica che coltiva la scienza e pratica la morale vivendo all’insegna di una spiritualità improntata ai valori del Vangelo e alla giustizia sociale. L’aspirazione alla renovatio che è reintegrazione o restituitio, la
UNO SGUARDO D’INSIEME AL TEMPO IN CUI VISSE ra di natura indefinita e posto poca di conflitti di uomini lui nel cuore del mondo così gli e di idee questa che spazia parlò: non ti ho dato, o Adamo, tra il XVI e il XVII secolo, né un posto determinato, né un fatta di brancolamenti, di abboz- aspetto proprio, né alcuna prezi, di confronti che hanno con- rogativa tua perché quel posto, corso alla costruzione di grandi quell’aspetto, quelle prerogative filosofie. che tu desidererai, tutto secondo Età che accoglie l’ eredità del il tuo voto e il tuo consiglio ottensecolo precedente sicuramente ga e conservi. La natura limitata ricca di tradizioni contrastate e degli altri è contenuta entro leggi anche contraddittorie. da me prescritte. Tu la determiSulla scena sono passati Guten- nerai per te, da nessuna barriera berg e Aldo Manuzio, Cristo- costretto,secondo il tuo arbitrio, foro Colombo e Pizarro. Ficino alla cui potestà ti consegnai. Ti ha tradotto e pubblicato, già nel posi nel mezzo del mondo perché, 1469 l’Asclepio mentre nel 1471, di là, meglio tu scorgessi tutto ciò a Treviso, si pubblica il Poiman- che è nel mondo. Non ti ho fatto dres o il Potere e la Sapienza di né celeste né terreno,né mortale Dio. né immortale, perché di te stesso, Pico della Mirandola, nato nel quasi libero e sovrano artefice ti 1463, lo stesso anno in cui Ficino plasmassi e ti scolpissi nella fortermina la prima traduzione de- ma che avresti prescelto. Tu potrai gli Hermetica, dedica i suoi stu- degenerare nelle cose inferiori tu di alla tradizione mistica ebraica, potrai, secondo la tua volontà, rifondendo cabala con ermetismo, generarti nelle cose superiori che definendo, nel corpo della sua sono divine» 3. Oratio de hominis dignitate, la Insieme con Ficino e Pico, Nicmagia «il totale compimento della colò da Cusa, Bovillo e Pomfilosofia naturale». ponazzi hanno radicato la Un passaggio dell’Oratio merita concezione della funzione medi essere citato: diatrice dell’uomo come “copula «Perciò accolse l’uomo come ope- del mondo”, nodo del creato ove
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Sulla scena sono passati Machiavelli e Guicciardini con le loro esigenze, intellettuali e morali, di rinnovamento politico e culturale ed il loro interesse per la natura umana, con l’elaborazione di pensiero che svincola la politica dalla morale comune e fonda la dottrina della ragion di Stato. Ed è passato Botero, con la poderosa analisi dell’arte politica in dieci libri Della Ragion di Stato del 1589 che «si è notizia dei mezzi atti a fondare, conservare ed ampliare un dominio». Sono anche passati gli ispiratori del successivo pensiero di Gentile e Grozio (etsi deus non daretur), Thomas More e
Bodin, antesignani del giusnaturalismo, il primo, col vagheggiare l’utopia di una forma ideale di Stato, il secondo con l’impianto di un’analisi dei principi giuridici di uno Stato razionale basato sul caposaldo della tolleranza religiosa, unico, insostituibile fondamento dell’ordine civile nella migliore repubblica. Tra prospettive limpide di pensiero e luci corrusche di controversie si vanno ponendo le pietre miliari di quella che John Milton nella sua Areopagitica (1644) chiama libertà filosofica, cioè di quel diritto di espressione per chiunque abbia sufficiente virtù e conoscenza da mettere in dubbio qualsiasi pilastro delle dottrine apprese e indicare aspetti inediti della verità. Ciò accade nelle riflessioni di stampo politico come nella logica, nella religione come nella filosofia naturale o, come successivamente sarebbe stata definita, scienza. Per la nostra Penisola, che pure sta precipitando in una profonda crisi politica, religiosa e sociale, il tardo Quattrocento ed il Cinquecento
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trovano equilibrio e stabilità i vari aspetti dell’opera di Dio. «Dell’uomo, - scrive Bovillo nel De sapiente – nulla è peculiare e proprio, ma a lui sono comuni tutte le cose che sono proprie degli altri esseri. Tutto ciò che appartiene a questo o a quell’essere, ed è proprio così dei singoli esseri, appartiene anche all’uomo. L’uomo trasferisce in sé la natura di tutte le cose, riflette tutto, imita l’intera natura. Attingendo e assorbendo tutto ciò che è nella natura, diventa tutto egli stesso. Sicché egli non è questo o quell’essere particolare, né gli appartiene questa o quella natura ma, simultaneamente, è tutte le cose» 4. Lorenzo Valla ha criticato, con le sue Dialecticae disputationes (ca. 1439) il predominio di un certo aristotelismo che gli appare negatore o limitatore della libertà della ricerca. Nella prefazione dell’opera, premettendo che, dopo Pitagora, nessuno si chiamò sapiente ma tutti si chiamarono filosofi, uomini amanti della conoscenza e, perciò stesso, liberi di ricercare ed affermare quello che pensavano.
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si connotano per essere stati fra i periodi più splendidi della sua plurimillenaria storia. Il lucido e spregiudicato realismo con cui Machiavelli guarda alla situazione dell’Italia, indaga le ragioni della sua “rovina” ed elenca le “virtù” necessarie al nuovo Principe, segna la nascita della scienza della politica. «Tutto volto a ricostituire in forma razionale il tessuto e lo sviluppo delle vicende umane», Guicciardini apre una nuova fase alla storiografia europea. La penna di Ludovico Ariosto trascorre, servendosi del fantastico e del romanzesco con cui anima il suo Orlando, in scenografie, caratterizzazioni di personaggi ed eventi capaci di descrivere le passioni e le aspirazioni degli uomini del tempo. Leonardo, Raffaello, Michelangelo, hanno sviluppato le esperienze del primo Rinascimento portandolo alla maturità. Ma il pieno Rinascimento sarà solo un crinale sottile lungo cui si spostano inquietudini che annunciano la crisi: la ricerca di una verità sempre più inafferrabile crea i presupposti di una moderna sensibilità. Sta preparandosi il risve-
e prevederne il comportamento. Rivalutare la natura significa affermare la centralità dell’uomo e della vita terrena sacralizzata dalla presenza immanente della divinità. Sia Cusano che Bruno affermano che l’uomo deve cooperare con la creazione divina e, parallelamente, Bernardino Telesio e Tommaso Campanella sottolineano come l’uomo sia parte del vitalismo della natura e possa, perciò, conoscerla e trasformarla dall’interno. La filosofia naturale affermandosi, per la prima volta in Telesio, abbandona i procedimenti della visione magica speranzosa di trovare formule che diventino chiavi capaci di comprendere i più reconditi misteri naturali e di
consentire all’uomo di stabilire un potere illimitato sulla natura. La natura non dismette il suo ruolo di totalità vivente ma esige principi costitutivi suoi propri, non presi a prestito dalla filosofia scolastica tradizionale o dalla teologia, bensì attinti direttamente dalla esperienza sensitiva. L’intento di interpretare la natura con la natura apre la via alla vera e propria indagine scientifica. La rivoluzione degli studi di Copernico, Keplero e Galileo, il pensiero immaginifico, entusiasta, lirico, irruento e distruttore di Giordano Bruno rendono chiaro un principio spirituale: l’unificazione astronomica tra la terra e le sfere celesti è anche unificazione del terreno e del divino,
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glio delle coscienze. La realtà si è fatta infinitamente più complessa perdendo quella apparente chiarezza “geometrica” di stampo classico umanistico che, in qualche modo, consentiva di “misurarla” e di averne il controllo. D’altronde neppure l’esasperazione dell’indagine e dell’analisi di sé ha mostrato di saper fornire un modello universale per investigare il reale e ridurlo entro confini controllabili. I modelli e le prospettive che governano il metodo delle diverse forme di ricerca e di studio appaiono variegati pur ruotando tutti intorno ad un tema comune a tutti gli intellettuali siano essi propensi a curvature interpretative ispirate al neoplatonismo, che resta, accanto al richiamo a tradizioni magico-esoteriche, il motivo dominante, o all’aristotelismo, al pitagorismo o all’epicureismo: l’uomo è natura media, è parte integrante e solidale del pianeta in cui è radicato ma, nello stesso tempo, unico ed originale nella dimensione divina che accoglie dentro di sé e che lo privilegia conferendogli la facoltà di indagare la natura e comprenderla per utilizzarne le leggi
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guere gli ambiti e le competenze delle diverse attività umane. Al cadere del Cinquecento appare sempre più ben definita e necessaria l’urgenza di costituire un apparato concettuale robusto, nuovo, universale, capace di coniugare la nuova immagine della natura, quale sta emergendo grazie all’affermarsi del pensiero scientifico, con la domanda di una spiritualità rinnovata, quale era uscita dal dibattito grandioso sull’etica e sulla morale cristiana e occidentale, svoltosi tra Riforma protestante e Controriforma cattolica.
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con un superamento di quella trascendenza che si esprimeva nella divisione tra sfera sublunare e sfere celesti peculiare del sistema aristotelico tolemaico. Sia il neoplatonismo che la philosophia naturalis affermando, inoltre, la razionalità della natura si fanno generatori della nascita della mentalità scientifica. Nel Sidereus nuncius e nelle Lettere copernicane Galileo Galilei definisce l’intelletto umano una grande creazione divina, in grado di comprendere i fenomeni naturali che Dio ha voluto, appunto, regolati da leggi matematiche. Una delle metafore galileiane che avranno maggior fortuna è quella del grande libro dell’universo che continuamente è aperto davanti agli occhi degli uomini. La filosofia, cioè la conoscenza razionale e scientifica del mondo, non può essere fantasia d’un uomo, ma è appunto il frutto di un uso critico e puntuale dell’intelligenza di cui l’uomo dispone. Appare ben evidente che la metafora utilizzata da Galilei non voglia, in alcun modo, essere una denigrazione della fantasia umana mirando piuttosto a distin-
LA RELIGIO NATURALIS E LA VISIONE DEL COSMO contrarie e quelle a favore del dice più sottile e composita: egli orreva l’anno 1622. Un copernicanesimo, dichiarando ha preso le mosse dalla filosofia decreto del Sant’Uffizio, la loro paritarietà di fronte alle di Telesio, quindi dal suo geoproprio in quell’anno che Scritture, era certamente una centrismo, ed è su di essa che ha avrebbe visto anche la pubblica- scelta politica, volta a non dan- innestato le convinzioni per lui zione di Campanella Apologia neggiare l’opera e l’uomo messi decisive. In primo luogo la crepro Galileo, condannava la dot- in discussione, legittimandone la denza nel progressivo avvicinarsi trina di Copernico pur senza ricerca. del sole alla terra, con la consemenzionare l’analoga visione ga- Nella posizione del filosofo ca- guente estinzione di questa e la lileiana dichiarata nel breve trat- labrese tuttavia si scorge una ra- consummatio mundi. tato in latino Sidereus nuncius ed ispiratrice delle riflessioni del filosofo avviate con lo scritto del 1616. La difesa che il frate aveva intrapreso delle posizioni del Sidereus nuncius si era rivelata priva di efficacia. L’opera del pisano sconvolgeva, prima ancora che i sistemi nei quali gli uomini avevano cercato di inquadrare la struttura del Cosmo, i dati stessi elementari della visione dei cieli; Galileo, tra l’altro, eliminava una lunga diatriba, proprio grazie alla scoperta dei satelliti medicei. La presunta anomalia, su cui, cioè, avevano insistito gli avversari di Copernico riferita al fatto che soltanto la terra possedesse un satellite. L’equidistanza che Campanella assume nell’Apologia tra le tesi
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Il vero obiettivo di Campanella può, allora, essere individuato rifacendosi alle posizioni delineate nella Città del Sole. Qui l’organizzazione razionale della vita umana chiede già all’osservazione dei cieli (osservazione che sfocia in una teologia astrale) gli strumenti mediante cui la razionalità umana possa dispiegarsi adeguandosi alla Natura,
che non è contraddetta dal Cristianesimo. In sostanza si tratta di conquistare quella religiosità naturale, implicita nell’Uomo, che coincide con la razionalità del messaggio del Cristo. Il punto saliente dell’Apologia diviene allora l’esortazione a separare competenza teologica e competenza scientifica secondo finalità ben diverse da quelle
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espresse da Galileo in testi celebri, in primo luogo la lettera a Cristina di Lorena. Lo scienziato pisano tendeva a separare i due ambiti e a legittimare una ricerca libera da presupposti teologici in quanto garantita dall’autonomia, pur non assoluta, del suo oggetto. Possiamo ben a ragione interpretare tale atteggiamento quale sorgente del conflitto tra filosofia italiana e Controriforma in cui si rende evidente come la Chiesa di Roma abbia ormai colto tutte le potenzialità eversive di un rinnovamento generale del sapere che passi nel suo aspetto più palese attraverso la rivoluzione scientifica. In realtà, rispetto a Galileo, Campanella pensava che soltanto una lettura autonoma dei due Libri, quello della Scrittura e quello rivelato da Dio nei cieli, ciascuno assunto in base ai caratteri peculiari con cui erano stati scritti, potesse condurre a una loro decifrazione e, di conseguenza, alla individuazione del rapporto autentico che essi intrattenevano sul piano della Rivelazione. Ci troviamo di fronte al nucleo più autentico del pensiero di Campanella: le due scritture che
Dio ha concesso all’Uomo non sono assolutamente concluse. Il loro discorso si sviluppa ancora nel tempo in modo che i segni celesti che ci vengono inviati illuminino l’autentico significato delle profezie contenuto nella Scrittura e viceversa.
La necessità di leggere i due libri secondo la lingua e i caratteri con cui sono stati scritti conduce così Campanella ad una ricerca del significato astrologico e quindi religioso delle nuove scoperte, o, se si vuole, conduce il filosofo a quella fusione tra ciclo ed astro-
logia che trova, nel corpo della sua opera , l’espressione più limpida negli Articuli prophetales. La scoperta di un nuovo assetto del Cosmo muterebbe il significato dei segni celesti e sarebbe essa stessa il segno del più alto grado della provvidenza divina.
nerale, se consideriamo il piano fisico, Campanella cerca di restare fedele ai due principi della cosmologia telesiana, il caldo e il freddo, concepiti come i due contrari che rinviano ai primi corpi: il Sole e la Terra. Così, da un lato, egli inserisce la loro azione nel quadro di quelle influenze superiori, necessità, fato e armonia, che regolano in modo intelligente il mondo materiale, discendendo dalle tre primalità divine; dall’altro resta comunque fermo all’immobilità della Terra, oltre che al carattere igneo, dei cieli, con tutte le conseguenze che questo comportava sul piano fisico, medico e astrologico. Campanella, in verità, si connota drammaticamente come uomo di mezzo dilaniato dai contrasti di vecchie e nuove visioni, queste ultime capaci di aprire problemi teologici immani senza che né la filosofia naturale, né la riflessione astronomica gli potessero fornire risposte conclusive. Indagatore curioso e inesauribile, permeato da una profonda fede in Dio e dalla necessità di conoscere e comprendere, condizionato più o meno consapevol-
mente dalla iniziale formazione dei suoi studi conventuali, partito dall’empietà di aristotelici ed astronomi che avevano fondato le certezze in un Universo eterno ed immutabile e ritrovatosi di fronte a cosmologie ribaltanti la fisica telesiana o asserenti infiniti mondi, continua a dibattersi nelle panie di un sapere che non è più ancorato a nessuna certezza. Nel cuore stesso del suo programma si apre e reitera una crisi che egli stesso cerca di risolvere con mezzi speculativi ma che rappresenta la crisi di una intera cultura. L’unica prospettiva di certezza capace di rasserenarlo è il progetto provvidenziale del riscatto di tutta l’umanità che disegna nella Città del Sole permeando l’immensa mole delle sue opere e la mai dismessa speranza della bella utopia di unire il Cielo alla Terra per realizzare il miracolo della Cosa-Una. Sr. Gerardina Laudato R.L. Zenith - Or. di Cosenza
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Nell’opera appena citata, egli prende posizione contro Copernico (già attaccato nella Città del Sole) sebbene questi abbia accertato, con una cura ed una precisione superiori rispetto ad ogni altro astronomo, tutti i fenomeni che sono venuti emergendo nei cieli attraverso il tempo. Anche Copernico è caduto però nell’errore comune credendo di poter ricondurre a regolarità matematiche eventi che rispondono semplicemente all’arbitrio e alla volontà divini. Non ha riconosciuto, cioè, il carattere di autentiche anomalie celesti ad una serie di mutamenti cosmici, ma ha cercato la loro ragion d’essere credendo di poterli sottoporre a regole cicliche immutabili. Si trattava invece – sostiene Campanella – di mostrare come, soltanto attraverso lunghissimi periodi di tempo, venissero alla luce quei fenomeni che esprimevano i disegni divini facendo dei cieli il Libro scritto da Dio. Un Libro che annuncia in modo evidente, prima ancora della consummatio, il secondo avvento spirituale del Cristo destinato ad unificare l’Umanità e a restaurarne la natura originaria. In ge-
TRE UOMINI: T. CAMPANELLA, P. PICASSO, J. BOND …Tre luci: Saggezza, Bellezza, Forza.…
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a chi non è mai stato se quel che conta è la loro idea! Pablo Picasso ha avuto la capacità di vedere in anticipo quale nuova veste sapesse inventare la pittura, la “magnifica bugia”, come egli stesso amava chiamarla, e l’attualità, quella vera. Mi spiego: quando fino agli anni ‘30 l’immagine e l’immaginario adoperavano lo stile floreale, tanto nel decorativo quanto nelle arti applicate, già nel 1907 Picasso esibiva le Demoiselle di rue d’Avignon, distorte, primitive, scimmiesche e disperatamente malsane, immagine ancor oggi “troppo moderna da capire”. La potremmo definire lungimiranza e coraggio d’esprimere una nuova concettualità, un’idea forte e di rottura. La saggezza di Campanella ha esibito forza e bellezza, col merito tuttora valido della intempestività. Non a caso il periodo che ha visto il maggior numero di traduzioni e diffusioni del suo testo – La città del sole - è stato intorno al 1940 e le ispirazioni, confronti e critiche riferibili ad eventi politici e storici non mancarono e non mancano! Dall’eugenetica facilmente travi-
sabile ai “comunismi”, passando per le strutture “comuni”, hippy e new age, sembra che per Campanella non ci fosse nulla di nuovo: tutto già visto, pensato, confrontato, scritto. Non è forse questa la vera attualità? Facile definire attuale quello che scegliamo perché presente nel catalogo delle mode vigenti, riproducibile come indossare abiti in vetrina; comodo definirsi attuali quando altri hanno pensato per noi… Campanella ha pensato per tutti, pescando nello scibile trascorso ed accessibile, ma reinventando con audacia e fermezza. La voracità della sua mente riuscì a farlo accedere a tutto quanto fosse disponibile al suo tempo nei termini della cultura, talché già a 24 anni avviava le prigionie! Vero che la matura età si collocava ai 35 anni (ai giorni nostri si chiamano ancora “giovani”), ma chi inizi a produrre pensiero a 12 da novizio per uscire dalla miseria della maltrattata Calabria, per finire oltre settantenne nella Francia del neonato Luigi XIV, trascorrendo circa un terzo della vita tra stenti inenarrabili,
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erché questa affinità? Tommaso Campanella ha avuto la capacità di Bond nel resistere a tutti i tipi di tortura, carcerazioni, ingiurie e, con la leggerezza dei racconti di Fleming, rialzarsi, aggiustare i polsini dell’impeccabile camicia, riallacciare l’abito da sera e proseguire verso altra avventura; certo il Campanella non aveva lo smoking ma il saio, non polsini di diamante, ma dopo e durante i 27 anni di reclusione con oltraggi fisici e morali, scriveva, rivalutava, correggeva, diffondeva. Soprattutto pensava. Perché pensare a James Bond, così leggero, accanto al pensiero di Campanella? Perché non si può disgiungere un Uomo dalla sua vita; ne è somma algebrica e anche se il personaggio di Jan Fleming non esiste e non è mai esistito è la proiezione di quel che si può essere e si può fare nel corso di un’esistenza quel che conta. Anche Campanella non è più, ma il suo pensiero e le sue contraddizioni, le sue opinabili utopie restano nella freschezza dell’attualità sempre discutibile. Chi non c’è più si può assimilare
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ha quasi il cipiglio dell’”attuale” supereroe! La visione che so avere di Tommaso Campanella non può essere dotta o critica, perché non ne ho gli strumenti d’adeguatezza culturale; sicché meglio affidarmi alla emozione dell’insieme, della sua storia e della sua operosità di filosofo e poeta, cornice sublime di una vita straordinaria. Ebbe la saggezza di farsi folle: meglio vivere e lottare che bruciare nel rogo delle infamie: se tutti mi calunniano sarò pur libero di farlo personalmente almeno col buon fine della sopravvivenza? Ingegno meridionale ed amor patrio. Dentro l’onorabilità del saio e della cultura restava sempre accesa la brace del riscatto sociale della sua terra e la generosità della sua mente estendeva ad un’idea di “Italia” il sogno di società libera e democratica; quando inviò lettera ai Signori italici perché radunassero sotto unica grande egida il suolo e la gente della nostra penisola, non aveva pensiero meno audace che della fondazione di una Città del Sole. Purtroppo ne trasse inganni e
tradimenti, travisazioni e castighi inquisitori. Il coraggio di non rinnegare la fede cristiana ma di affinarla alla possibilità di stessa dignità e valore degli altri Credo, è stata chiamata a lungo eresia; ma, osservando senza ipocrisie il tempo nostro, quanto è vera e veramente sentita la parità dei culti e delle fedi? Non è ancora aperta la questione delle mediazioni culturali interreligiose? Non muoviamo ingenui passi verso diplomatici incontri tra rappresentanti di culto? Non abbiamo ancora aperte e non del tutto risolte questioni che si chiamano scomunica ed eresia? Ed ancor oggi propiniamo scroscianti applausi verso timidi ed impacciati gesti che sono poca roba rispetto quel che Tommaso descriveva ed auspicava nella Città del Sole. Campanella prese un Metafisico e lo mise a capo dell’Amore, della Potenza e della Saggezza; poi si limitò alla garbatissima affermazione che i “dolcissimi Solari non avrebbero avuto difficoltà a divenir cristiani”. Non credo fosse solo captatio benevolentiae. Egli sapeva pensare al genere umano dotato della predisposi-
zione “naturabile” alla religiosità e proprio questa, non la religione, era requisito necessario e sufficiente per abitare e vivere in una città ideale. Certamente le fonti non mancavano, l’iconografia della città perfetta era già stata proposta, ma l’idea di Tommaso sapeva cogliere nel cuore comunicativo, con la fresca energia di chi desideri davvero quel che vagheggia. La parola è un simbolo potente, forse il più potente: astrae, carica, fa sognare e proietta laddove la favella vuol condurre; crea immagini reali ed evoca tutto. Quando l’uomo ebbe bisogno di esorcizzare le paure imparò a pregare; quando voleva trasferire la propria paura al potere personale, ecco la parola che inventava mostri castigatori o dei vendicativi. E se vuole incantare e consolare la parola intreccia favole, sogni per bambini di ogni età. Nel sogno di Campanella la forza fabulatoria sa essere confidenziale eppure elevata; snella nella forma narrativa del dialogo tra solo due persone, il suo testo opera un primo riscatto sociale grazie all’assegnazione dei ruoli: il Marinaio Genovese soggioga il
per il corpo, lo pongono oltre la saggezza, nell’audacia. Non sono forse i Massoni gli uomini che dovrebbero remare anche nelle tempeste dei pregiudizi, sperimentare dubbi, inoculare germi di progresso luminoso? Questo nostro Ulisse del remoto secolo è stato il protagonista reale della propria Odissea, senza il riscatto di una sposa che lo riaccogliesse. Le speculazioni sul pensiero del Campanella e sul messaggio politico estrapolabile dalla sua Città del Sole potrebbero portarci a tutto ed il contrario di tutto, sempre opinabile per interpretazioni
e realtà confrontabili. Quello che non credo sia equivocabile o opinabile è il concetto di liberalità, tolleranza ed armonia che Campanella assegna alla dimore dei Solari; non conta quanto sia fallace o ingenua o anacronistica la sua utopia: conta il fatto che Tommaso Campanella abbia vissuto la vita nel superamento fisico delle prove, in continua iniziazione con se stesso e il proprio destino, con un solo obiettivo: offrire agli uomini uno spazio ideale di felicità armoniosa. Sr. P.G. R.L. Hiram - Or. di Milano
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Cavaliere di Malta, perché quel che racconta dalla visione della terra lontana dei Solari è superiore e più efficace delle dottrine studiate. Ecco la rivendicazione anti-aristotelica, il ripudio della rigidità scolastica, della cultura che scavalca la conoscenza. Campanella, malgrado la prodigiosa memoria e l’ampiezza delle idee acquisite, mai rinnegò il privilegio di essere nato umile, di avere agognato il pensiero dei grandi, del duro lavoro che mai si compiaceva ed impigriva. La sua mente ha arato con mani dure e sudore ogni terreno dello scibile e tutto era da lui considerato indispensabile per la formulazione del coro unico della Conoscenza. I messaggi che la Massoneria potrebbe cogliere sono quelli dell’operosità che non si china neanche se bastonata a sangue e resa moribonda, nell’obbedienza al senso del dovere che nasce da dentro, dalla coscienza che sola cresce e fiorisce come fiore del deserto, del coraggio strenuo nel ribadire le proprie idee e nel difenderle, nella incessante attività per il bene della Umanità e della Patria. L’utilizzo della simbologia tutta, dall’astronomia alle scienze
LA MASSONERIA PUÒ ESSERE CONCRETA CITTÀ DEL SOLE
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te. Vedevo l’Obbedienza animarsi di nuovo fermento, cavalieri, in anni di pace e consapevolezza, agire con coraggio e sincero spirito umanitario; ed ho ripreso a sperare. La città del sole dipende da noi, non assume forme aprioristiche, ma si compie nella edificazione continua con certosina pazienza, pietra su pietra.
E noi massoni conosciamo proprio l’arte dell’edificazione della grande opera e ne abbiamo gli strumenti: squadra e compasso, livella, filo a piombo, regolo. Si tratta, allora, di dosare e scegliere di volta in volta gli ingredienti, i materiali. La libertà l’eguaglianza, la tolleranza, l’obbedienza. Ma essi non vanno fraintesi, bisognerebbe, forse che fossero chiariti affinché abbiano il medesimo sapore, colore, odore per tutti o almeno che fosse percepita da tutti la necessità di conoscerne il senso profondo. Faccio un esempio, per me la libertà per un massone è l’opposto della libertà nella sua accezione corrente, perché prescrive, presuppone, l’obbligo di non lasciarsi tentare, corrompere né dalle cose materialí, ma neanche dall’ Ego; solo così potrà
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n questi giorni, in cui più macroscopica mi appare l’incapacità degli uomini di orientarsi al bene (e quell’orientarsi è già di per sé massonico), ho provato inizialmente fastidio a rileggere il testo di Tommaso Campanella. Non trovavo in me il minimo spazio per l’utopia e, forse, neanche per la speranza! Ancora di più, nella drammatica vita dell’autore, sentivo un senso di frustante impotenza nel constatare che, ora come allora l’abuso, il sopruso l’avidita degli uomini è presente come una sorta di male inestirpabile. Ma, poi, si è messa in moto in me la non rassegnazione all’obbrobrio. Ed allora una serie di immagini fantastiche mi si sono parate davanti senza forma, ma dal contenuto beneauguran-
essere libero. L’eguaglianza non è non riconoscere le differenze, ma avere il comune denominatore nella purezza dell’intento. Fin da principio, deve essere chiaro che essere massone non è una passeggiata, un modo per passare il tempo, ma un impegno per la vita e per gli altri. Gli altri non sono solo i fratelli che ne
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fanno parte, ma il genere umano, la terra l’universo. La massoneria deve essere un luogo dove si partecipa, si potenzia e si diffonde il valore di un bene supremo al servizio di tutti. È noto che la riunione di molti in un consesso, come quello massonico, è un potenziale incredibile in grado di centuplicare l’impe-
gno di uno solo. E così la tolleranza non è lassismo, accettazione passiva: tu sei fatto così, io sono fatto così, no. Dobbiamo pretendere da noi e dai fratelli onestà, lealtà, precisione, fiducia: darne ed ispirarne. La tolleranza sarà nell’amore che ci lega, ma che cionondimeno ci fa desiderare di essere migliori e
di contribuire al miglioramento dell’altro. L’obbedienza è nella libera scelta di aderire all’ideale massonico, all’osservanza dei principi, del rito, alla cura di sé e del Tempio, alla corretta predisposizione dell’animo nell’esercizio della vita massonica che soprattutto è destinata ad operare all’esterno
diffondendo luce e riunendo ciò Luce realizzeremo, fuori dall’utoche è sparso. pia la città del sole. E questo richiede studio, ricerca Sr. M.S. continua del giusto e perfetto, non condiscendente interpretaR.L. Hiram - Or. di Milano zione della regola. Una volta divenuti compatti, all’unisono muoveremo le nostre menti, le nostre energie all’Oriente e in contatto con la somma
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LE RADICI ERMETICHE ISPIRATRICI DI TOMMASO
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Nella interpretazione di Garin il recupero dell’immagine ermetica del Cosmo e dell’uomo consentì il riscatto di queste due discipline che, riemergendo dalla cultura sommersa e dissimulata in cui erano state relegate nel Medioevo e riguadagnando una nuova dignità, riproponevano «una ricca gamma di motivi condannati e respinti» i quali, purificati e ponderati, svelavano ora tutta la loro fecondità scardinando la chiusa visione medioevale astorica. Alle riflessioni di Garin va ascritto il merito di aver aperto un piattaforma di spunti che saranno poi sviluppati e discussi da altri. Piace citare, ad esempio, la finissima indagine condotta da Paolo Rossi in una pubblicazione su Francis Bacon, sul complesso passaggio «dalla magia alla scienza»7 non scevra dal vaglio delle differenze fra i due tipi di sapere. Il Rossi pur rigettando la datata e non più sostenibile concezione illuministica e positivista «di una marcia trionfale del sapere scientifico attraverso le tenebre e le superstizioni della magia - ben conscio dell’evidenza che - i bordi di quell’incredibile e bellissimo arazzo che fu tessuto nell’età del Rina-
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no studioso di altissimo valore, Eugenio Garin, nei primi anni cinquanta del secolo scorso, affrontava, in una serie di pregevoli saggi, i temi della magia e dell’astrologia rinascimentale. Le riflessioni fissavano l’attenzione intorno all’importanza del ruolo giocato dalla visione ermetica del Cosmo e dell’uomo così come era stata rilanciata dai testi di Marsilio Ficino e di Giovanni Pico della Mirandola5. All’immagine ermetica di un Universo vivente «Universo tutto vivo, tutto fatto di nascoste corrispondenze di occulte simpatie … che è tutto un rifrangersi di segni, dotati di un senso riposto, dove ogni cosa, ogni ente, ogni forza, è quasi una voce non ancora intesa»6 corrisponde la nuova immagine dell’uomo che, nell’esordio della nota e già citata orazione di Pico è definito, con echi ripresi dall’ermetico Asclepius: «grande miracolo ]…[ degno di onore e di venerazione; a differenza di ogni altra creatura, l’uomo non è costretto entro i confini di un’essenza specifica e fissa, ma si configura come centro di attività e libertà».
50 scimento da maghi ed alchimisti si sovrappongono in più punti al tessuto della scienza e della tecnica moderne - invita a considerare la necessità di distinguere - tra i fili e i colori di quell’arazzo», non tralasciando di indugiare sulle differenze che separano la magia naturale dalle nuove scienze. La mescolanza eterogenea di misticismo e sperimentalismo solitario del sapere magico, il suo carattere iniziatico, mai avulso dal segreto e dal ritualismo, fanno parte di una curvatura intellettuale e di uno stile che afferma il radicale contrasto con il caratte-
re collaborativo e pubblico della nuova scienza. Sembra superfluo sottolineare come i due tipi di sapere, magico e scientifico, vadano a collocarsi e facciano riferimento a visioni del mondo molto diverse, ma vale la pena forse tenere presente che una determinata visione del mondo non nasce dal nulla né si estingue di colpo. Può rivelarsi interessante ricercare passaggi, persistenze ed osservare rispettosamente figure ed aspetti significativi della storia delle dottrine magiche ed astrologiche rinascimentali.
Siamo debitori soprattutto all’inglese Frances Yates del nucleo teorico di studi dedicati alla cultura rinascimentale. Le indagini della ricercatrice inglese vertono sull’importanza della visione ermetica dell’uomo e del Cosmo, con tutte le ripercussioni che comporta sul piano religioso, filosofico, magico-astrologico e sui nuovi rapporti che si vengono ad instaurare fra i diversi aspetti dell’esperienza umana. L’autrice medesima, nella presentazione del suo libro più famoso: Giordano Bruno e la tradizione ermetica8, ci rivela che tutti i dubbi e le
difficoltà che le rendevano ardua, pur dopo tanti anni di studio, una esaustiva comprensione di questo filosofo si erano dissolti con l’individuazione di quella prospettiva ermetica che si era svelata alla sua analisi come la chiave di lettura più efficace non soltanto per la comprensione di Bruno, ma anche per quella di più ampie zone della cultura rinascimentale. Se si concorda nel valutare le peculiarità di un’epoca alla luce della sua concezione dell’uomo, del Cosmo e dei loro rapporti, secondo la Yates è in-
dubbio che l’uomo rinascimentale, ancor più che un umanista, un filosofo o uno scienziato, si possa caratterizzare come un mago. Tale era il sapiente, capace di entrare in contatto con le forze magiche di cui è costituito il Cosmo per poterle non solo conoscere ma anche utilizzare e manipolare nel modo più acconcio. Frustra Deus nobis astrologiam dedisset, nisi etiam prodesset, invano Dio ci avrebbe dato l’astrologia se non sapessimo trarne giovamento, sostiene Tommaso Campanella nei suoi Commentaria.
È proprio questo uomo mago, interprete ed espressione del neoplatonismo riveduto e corretto in senso ermetico, a costituire l’antenato diretto dello scienziato del XVII secolo. «Beato chi legge nel libro della natura e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l’arte e il governo divino, facendosi, di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio»9 la riflessione di Campanella riecheggiante, con evidenza, un concetto caro a Marsilio Ficino, associato con l’immagi51 FILOSOFIA
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ne Uomo-Mago-Dio, si incentra sul potere del mago divino che si dota di un sapere superiore poggiante sulla conoscenza, vera o presunta, delle leggi che governano il mondo. Quelle stesse leggi che, nei secoli successivi, conferiranno ancora all’uomo la contezza della meraviglia di essere in grado di dominare la realtà. Nei quasi ottanta scritti del filosofo calabrese, d’ordine sacrale-sapienziale, vertenti sui temi della politica, della scienza e della filosofia si scorgono i lucori dei successivi sistemi di Cartesio, di Malebranche e di Leibniz, ma soprattutto lo splendore della tradizione ermetica e del neoplatonismo umanistico che modula la sua essenza intorno al celebre motto: Pan En To Pan, il Tutto nel Tutto. Una tarsia marmorea, probabilmente l’unico esempio del genere in una chiesa cristiana, raffigura la maestosa immagine di Ermete Trismegisto, Ermete tre volte grandissimo, il dio egizio della magia e della medicina inventore della scrittura e signore di ogni sapere. Fu realizzata, a quanto ci è noto, da Giovanni di Stefano intorno al 1482, all’ingresso della
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Domus Mariae, la mirabile costruzione del Duomo di Siena. Ai piedi della figura di un vecchio saggio, ritratto in vesti di chiara fattezza orientale, affiancato da due personaggi, un giovane imberbe con la testa coperta da un lungo velo ed un uomo maturo dalla barba ordinata con la testa ornata da un turbante arabo, si legge un’iscrizione che definisce Ermete contemporaneus Moyse, consacrando quella tradizione che lo considerava il profeta pagano del cristianesimo. Attraverso la sua figura il Rinascimento recuperò la sapienza antica e rinnovò l’idea di un Universo animato, percorso da occulte corrispondenze e simpatie, in cui l’uomo svolge un ruolo dinamico. Come accadde alla Yates10, ancora oggi, chi si trova a leggere la scritta in latino riportata sulla lastra, sorretta da due sfingi alate, sulla quale Ermete poggia la sua mano sinistra, quella del cuore, ne resta profondamente colpito: Deus omnium creator/secum deum fecit/visibilem et hunc/ fecit primum et solum/quo oblectatus est et/valde amavit proprium/ filium qui appellatur/sanctum Verbum.
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La traduzione letterale appare s e mp l i c e nell’imm e d i ate z z a del significato essoterico. La valenza esoterica suscita invece una molteplicità di echi. Vi si allude a un Dio Creatore di tutte le cose da cui emana un secondo (secu(ndu) m) dio visibile, primo e solo, che molto amò e che chiamò Spirito Santo. Si tratta di due passi estrapolati da due opere ermetiche, il Logos telaio o Discorso perfetto, più noto come l’Asclepio11, vero e proprio trattato in cui si descrivono i misteri rituali egizi grazi a cui gli antichi sacerdoti trasferivano le potenze del cosmo nei simulacri delle loro divinità, ed il Poimandres, cioè il “pastore di uomini”, la “mente universale” che postula un Nous o Dio Intelligenza, maschio e femmina, generatore del Verbo che, a sua volta genera una Intelligenza Creatrice, Dio del Fuoco o dello Spirito, dal quale promana l’immane Opera di fecondazione da cui trae origine l’Universo e
che illustra il destino dell’anima. Nel Discorso universale di Ermete Trismegisto ad Asclepio è scritto che questo Dio è, semplicemente, la Causa: «Dio non è l’Intelligenza ma la Causa dell’Intelligenza: non è lo Spirito ma la Causa dello Spirito; non è la Luce, ma la Causa della Luce». Il testo, vera e propria fonte di magia naturale e talismanica, contiene un messaggio destinato ad una futura generazione di uomini saggi affinché siano dotati delle giuste forze virtuose capaci di portare a compimento «la restaurazione e la restituzione completa della vera religione nel mondo» «E ignori, o Asclepio, che l’Egitto è l’immagine del cielo, o meglio, il luogo in cui si trasferiscono e scendono dall’alto tutte le cose che governano e operano nel cielo? Per parlare più esattamente, la nostra terra è tempio del mondo intero! Tuttavia, poiché si addice ai saggi la prescienza di tutte le cose, bi-
sogna che non ignoriate questo: verrà un tempo in cui sembrerà che gli Egizi abbiano invano adorato la divinità con animo pio e assiduo culto; tutta la loro santa venerazione decadrà come vana e inefficace! Gli Dèi, infatti, dalla terra ritorneranno nei cieli e abbandoneranno l’Egitto: questa terra che fu sede dei riti religiosi, privata della presenza del Dio, sarà da loro disertata! Genti straniere riempiranno questa regione e questa terra e, cosa più terribile di tutte, non solo la pratica religiosa sarà trascurata, ma sarà addirittura stabilito da presunte leg-
niente di meglio, sarà in pericolo e diverrà un peso per gli uomini! Perciò sarà disprezzato, non sarà più amato questo mondo, inimitabile opera del Dio, costruzione gloriosa piena di bontà, composta da un’infinita varietà di forme, strumento della volontà del Dio, collaboratrice non invidiosa della sua opera, in cui si unisce in un tutto unico e in una multiforme armonia tutto ciò che si offre allo sguardo per essere venerato, lodato e amato! Si preferiranno dunque le tenebre alla luce, la morte sarà considerata più vantaggiosa della vita, nessuno leverà più gli occhi al cielo; l’uomo pio sarà considerato pazzo e l’uomo empio saggio; il pazzo furioso sarà ritenuto un coraggioso, il peggiore sarà considerato
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gi che, a rischio di incorrere nelle pene previste, ci si dovrà astenere dalla devozione e dal culto divino! Allora questa terra santissima, sede di santuari e templi, sarà tutta ricolma di sepolcri e di morti! O Egitto, Egitto: dei tuoi culti non resteranno che leggende, cui i tuoi posteri non crederanno, e solo parole scolpite nella pietra resteranno a narrare le tue pie azioni! Gli Sciiti, gli Indiani o un qualche altro popolo, un barbaro vicino, abiterà l’Egitto! Infatti, quando la divinità risalirà al cielo, gli uomini da questa abbandonati moriranno tutti e l’Egitto, privo di Dèi e di
uomini, sarà deserto! Te invoco, fiume santissimo, a te predico il futuro: come un torrente pieno di sangue strariperai dagli argini e le tue onde divine non solo saranno contaminate dal sangue, ma tutte strariperanno; il numero dei morti sarà molto maggiore di quello dei vivi: chi sopravvivrà sarà riconosciuto come egizio solo per la sua lingua, ma rispetto alle sue azioni, sembrerà uno straniero! Perché piangi, o Asclepio? L’Egitto si lascerà persuadere a mali molto peggiori di questi e si macchierà di peccati più gravi! Quella che un tempo era terra santa e piena di amore per gli Dèi, unica loro sede in virtù della sua devozione, diverrà esempio della più grande crudeltà! Allora gli uomini, a causa della noia, non riterranno più il mondo degno di ammirazione e di adorazione! Questo universo buono, di cui non vi è mai stato, non vi è e non vi sarà mai, per quanto si possa vedere,
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buono! L’anima e tutte le cose che la riguardano - in virtù delle quali è immortale per natura o presume di diventarlo, secondo quanto vi ho esposto -non solo saranno derise, ma ritenute vanità! Credetemi, per la legge sarà considerato un delitto capitale dedicarsi alla religione dello spirito! Verranno istituiti nuovi diritti e una nuova legge; niente che sia santo, religioso, degno del cielo e degli Dèi sarà ascoltato e creduto! Avverrà la deplorevole separazione degli Dèi dagli uomini, rimarranno solo gli Angeli malvagi che, mescolatisi agli uomini, spingeranno con violenza gli infelici a tutti gli eccessi di temerarietà malvagia, coinvolgendoli in guerre, rapine, inganni e tutto ciò che è contrario alla natura dell’anima!..12 ]… [Quando tutto ciò
si sarà compiuto, o Asclepio, allora il Signore e Padre, il Dio, primo in potenza e Signore del Dio Uno, considerando questi costumi e queste cattive azioni volontarie, per opporsi ai vizi e alla corruzione di tutte le cose con la sua volontà, che è bontà divina, e per reprimere l’errore, annienterà ogni male, o cancellandolo con il dilu-
vio o consumandolo con il fuoco, o ancora distruggendolo con malattie pestilenziali sparse in vari luoghi; ricondurrà il mondo al suo antico aspetto, affinché sembri ancora degno di essere adorato e ammirato e affinché il Dio, autore e restauratore di una tale opera, sia celebrato dagli uomini, che vi saranno allora, con assidui inni di lode e di benedizione! Questa sarà la rinascita del mondo: una ricostituzione di tutte le cose buone, una restaurazione santissima e piissima della natura stessa, imposta al corso del tempo (ma dalla volontà divina), che è ed è sempre stata senza né inizio né fine! La volontà del Dio non ha un principio e quale è ora
57 il mondo offre e dà tutte le cose buone per i mortali, cioè nel succedersi delle nascite nel tempo, la generazione, la crescita, la maturazione dei frutti della terra e altri beni simili! Poiché il Dio risiede al vertice del sommo cielo, è dovunque e con lo sguardo avvolge tutte le cose!» 13 Appare chiara l’influenza che viene assimilata da Campanella nel concepire il disegno utopico della sua Città del Sole. Per rendere ancora più evidente la potenza dell’eredità ermetica e talismanica che si raccoglie e converge nell’opera del frate cala-
brese serve, forse, citare un altro testo, il Picatrix14 che, certamente concorse a rafforzare le filosofie di magia naturale ed ermetiche rinascimentali. Sappiamo per certo, infatti, che l’opera era presente nella biblioteca di Pico della Mirandola e che fu oggetto di possesso e studio da parte sia di Ficino che di altri studiosi frequentanti la fastosa villa medicea di Careggi. L’opera che il grande pensatore arabo Ibn Kaldum definì: «Il trattato di magia più completo e meglio costruito» appartenne alle letture di uomini come Leonardo, Filarete, Rabelais e
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sarà eternamente! L’essenza di Dio è il deliberare della sua volontà!» «Il consiglio divino è dunque la suprema bontà, o Trismegisto?» «La volontà, o Asclepio, nasce dal consiglio e questo fa nascere l’atto del volere dalla volontà stessa! Niente infatti vuole per caso colui che contiene tutte le cose e le vuole tutte! Egli vuole tutto ciò che è buono e tutto ciò che vuole lo possiede; tutto ciò che pensa e vuole è dunque buono! Questi è il Dio, e il mondo è la sua immagine, opera di un Dio buono e dunque buono esso stesso!» «Buono, o Trismegisto?» «Sì, buono, o Asclepio, come sto per dimostrarti! Così come il Dio dispensa e distribuisce, a tutte le specie e a tutti i generi che sono nel mondo, i suoi beni, cioè l’intelletto, l’anima e la vita, anche
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conferissero questa accezione di potenze energetiche alla loro visione di magia naturale. L’uomo, particolarmente nel periodo rinascimentale,mira a conformare se stesso e la realtà che si costruisce intorno, come modello d e l l’ Un i verso. Vince la fiducia nelle p otenziaCampanella che sembra aver collità e nei talenti degli intelletti. to perfettamente l’importanza Naturalmente si continua ad afdel concetto di città-talismano in fermare, come aveva già fatto il cui si trasfonde la forza del monpensiero medioevale, che l’uomo do spirituale ed astrale. Del reè creato a immagine e somigliansto ci sembra di poter legittimaza di Dio. Ora, però, l’elemento mente pensare che Ficino e Pico
enfatizzato non è più Dio bensì l’Uomo che viene ad assumere nuova dignità in se stesso. La conoscenza dei classici, della geometria, dell’astronomia, della fisica, dell’anatomia e della geografia suggerì l’idea che l’uomo avesse capacità divine. Gli Umanisti resuscitarono il motto dell’antico filosofo greco Protagora secondo cui l’uomo è misura di tutte le cose. Teorizzando le condizioni necessarie per realizzare l’edificio o la città perfetta, grazie alla combinazione di una serie di forme ed elementi ideali, un perfetto umanista come Leon Battista Alberti ed altri come lui, erano convinti che ciò significasse creare un’immagine materiale del divino e che questi modelli ideali dovessero avere forma e volto umani. Già Vitruvio, nel III libro del De Architectura, aveva suggerito l’idea che un edificio dovesse riflettere le proporzioni della figura umana. Leonardo da Vinci sviluppò questa teoria nel suo famoso disegno che metteva in relazione le proporzioni umane alle forme ideali, il quadrato ed il cerchio. Un disegno di Francesco di Giorgio Martini le collegava esplicitamente all’ar-
del Nilo secondo i movimenti della Luna. Questi fece poi una casa del Sole e così si nascondeva da tutti e nessuno poteva vederlo per il fatto che non vi era nessuno con lui. Fu proprio lui che costruì una città in Egitto orientale,la lunghezza della quale era di dodici miglia, e nella quale costruì, inoltre, un castello che aveva ai quattro lati quattro porte: nella porta ad Oriente pose una statua a forma di aquila, nella porta a Occidente una a forma di toro,in quella meridionale una a forma di leone e, in quella settentrionale,una con le sembianze di cane. Vi fece entrare solo gli spiriti dediti alle cose spirituali, che parlavano proferendo suoni, né altro
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chitettura del tempo, una pianta centrale a croce greca, con una navata centrale allungata, sovrapposta ad un corpo umano. Come nella forma rivoluzionaria della Cappella Pazzi di Firenze. Un quadrato ricoperto da una cupola impostata su pennacchi, perfettamente calibrata in modo tale che il centro della cappella coincida con il centro del cerchio sotto la cupola. In quel centro si situa idealmente l’Uomo capace di padroneggiare l’Universo visibile, capace di farsi obelisco che raccoglie le potenze energetiche del Cosmo collegandole alla terra e diventando misura di tutte le cose visibili ed invisibili. Quando una società percepisce la perfetta armonia del divino e la conferma, in meravigliosa sintonia, nelle profondità del suo intelletto e nella sua sensibilità, un tempio,una chiesa, una città divengono l’immagine speculare del Cosmo. Nel Picatrix si descrive la magica città solare di Adocentyn fondata da Hermes: «Gli stessi (i magi caldei, depositari delle scienze astrologiche e magiche) asseriscono che Hermes per primo formò un’immagine dalla quale conosceva gli umori
poteva varcare le porte del luogo senza il loro permesso. Piantò degli alberi in mezzo ai quali ve ne era uno grande che portava appese ai rami le generazioni di tutti i frutti. Alla sommità di questo castello fece poi edificare una
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torre che raggiungeva i venti cubiti di altezza, sulla cui sommità fece porre un pomo rotondo, il cui colore cambiava ogni giorno, fino a sette giorni… alla fine dei sette giorni riprendeva il colore che aveva assunto per primo. Quella città era poi, ogni giorno,ricoperta del medesimo colore di quel pomo: così la città rifulgeva ogni giorno di un determinato colore. Lungo il perimetro della torre vi era grande abbondanza di acqua e, in essa, vi erano molte specie di pesci. Attorno al perimetro della città ordinò immagini diverse e generi di qualsivoglia fattura, per la virtù dei quali i cittadini erano lì resi virtuosi ed esenti dalla turpitudine e dai cattivi umori. Questa città si chiamava Adocentyn»15. Dal giardino dell’Eden alle molte realizzazioni vagheggiate o progettate ed, in qualche caso realizzate, quantomeno nell’aspetto meramente costruttivo, l’Umanità ha continuato a concepire, immaginare o perseguire un sogno. Che è, a ben vedere, una necessità dello spirito, la ricerca del perfetto equilibrio che è propria degli dei. In modo più o meno consapevole scava nelle profon-
dità del suo essere mai dismettendo la speranza di trovare e contemplare quel Dio che i suoi occhi fisici intuiscono e scorgono nelle armonie del Cosmo.
A conclusione di questo breve excursus sull’ermetismo lasciamo che sia la magia lirica della Tavola di Smeraldo ad accompagnare le nostre riflessioni:
È vero senza errore e menzogna, é certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per compiere i
miracoli della Cosa-Una (di una cosa sola). Come tutte le cose sono sempre state e venute dall’Uno, per mediazione dell’Uno, così tutte le cose nacquero da questa
Fr. Giorgio De Leonardis R.L. Zenith - Or. di Cosenza
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Cosa Unica per adattamento. Il Sole ne è il padre, la Luna ne è la madre, il Vento l’ha portata nel suo ventre, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il Telesma di tutto il mondo è qui. La sua potenza è illimitata se viene convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il Sottile dal Denso, delicatamente, con grande cura. Ascende dalla terra al cielo e ridiscende in terra raccogliendo le forze delle cose superiori ed inferiori. Tu avrai così la gloria di tutto il mondo e fuggirà da te ogni oscurità. Qui consiste la Forza forte di ogni Forza, perché vincerà tutto quel che è sottile e penetrerà tutto quello che è solido. Così fu creato il mondo. Da ciò deriveranno innumerevoli adattamenti mirabili il cui segreto sta tutto qui. Pertanto io fui chiamato Ermete Trismegisto, possessore delle tre parti della Filosofia di tutto il mondo.
DUNQUE A DIVELLER L’IGNORANZA IO VEGNO
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vera libertà, se non di relegazione, ebbi tormenti inusitati, e li più spantosi del mondo cinque fiate e sempre in timore e dolori.. Ecco dunque il diverso filosofar mio da quel di Pico; ed io imparo più dall’anatomia di una formica, o d’una erba (lascio quella del mondo mirabilissima) che non da tutti i libri che sono scritti dal principio di secoli sin a mò, dopo ch’io imaprai a filosofare e legger il libro di Dio: al cui esemplare correggo i libri umani malamente copiati a capriccio, e non secondo sta nell’universo, libro originale. E questo m’ha fatto legger tutti autori con facilità e tenerli a memoria, della quale assai dono mi fe l’Altissimo; ma più insegnandomi a giudicarli col riscontro del suo originale. Veramente Pico fu ingegno nobile e dotto; ma filosofo più sopra le parole altrui che nella natura, donde quasi niente apprese; e dannò gli astrologi per non aver mirato allesperieenze. Ed io li danni quando ero di diciannove anni, e poi vidi l’altissima sapienza intra molta stoltizia loro albergare, e lo dimostrari in u libro proprio di questo, ed in un Metafisica nova, chè quella d’Aristotele è parte logica, parte impietà nefanda; solo Parmenide
in questa seppe qualche cosa. Pico ancora nelle cose morali e politiche fu scarsissimo e tutto si diede alla nomanzia dello ebraismo e al voltar libri; ma se non moria così presto, diventava grande eroe della vera sapienza, che già avea la selva congregato ]...[ Io lo stimo più grande uomo per quello che doveva tosto fare che per quello che ha fatto. Se ben io credo non solo a lui, ma ad ogni altro ingegno, che mi sia testimoniante che s’impara nella scola della natura e dell’arte, in quanto accordano alla prima idea e verbo, onde elle pendono; ma quando gli uomini parlano com’opinanti nelle scole umane, li stimo equali e senza sequela; poichè sant’Agostino e Lattanzio negaro gli antipodi per argomenti e e per opinione, ed un marinaro gli ha fatti bugiardi col testimoniar de vita... Questo modo di filosofare mi ha consolato l’anima chè fatta esamina di tutte le sette e religioni che furo e sono nel mondo, ho come spero, assicurato più me stesso e tutti gli uomini delle verità cristiane e della testimonianza apostolica, e vendicato il cristianesimo e liberato quasi dal machiavellismo e dell’infiniti dubbi che pungeno li cuori umani in
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n una Lettera del 1607 a Monsignor Antonio Quarengo, Tommaso Campanella traccia le principali linee programmatiche del suo pensiero facendole precedere da una brevissima quanto incisiva descrizione della propria storia: «Il giudicio che fa di me ch’io sia sopra Pico o qual Pico, è troppo alto per me; e credo che ella mi misuri con una misura della sua perfezione. Io, signor mio, non ebbi mai li favori e le grazie singulari di Pico, che fu nobilissimo e ricchissimo, ed ebbe libri a copia e maestri assai, e comodità di filosofare e vita tranquilla: le quali cose fan fruttare mirabilmente un fecondo ingegno. Ma io in bassa fortuna nacqui e dalli ventitre anni della mia vita sin ad ora, che n’ho trentanove da finir a settembre, sempre fui perseguitato e calunniato, da che scrissi contra Aristotele di diciotto anni... Son otto anni continui che sto in man di nemici, e per sapientiam et per stultitiam sette volte alla presentissima morte il Senno eterno mi liberò; ed innanti a questi otto anni stetti in carceri più volte, che non posso numerare un mese di
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questo secolo oscuro, dove tutti, filosofi e sofisti, religione, empietà e superstizione, hanno equal regno e paion d’un colore» Giandomenico Campanella nacque nel 1568 a Stilo in Calabria, a quindici anni entro novizio nell’Ordo Praedicatorum mutando, in onore dell’Aquinate, il suo nome di battesimo in Tommaso. Insoddisfatto dell’aristotelismo lesse le opere di diversi filosofi, antichi e moderni, aderendo, almeno inizialmente entusiasticamente al telesianesimo. Contravvenendo all’ obbligo di risiedere nella sua provincia lo troviamo lo troviamo a Napoli dove frequenta Giovan Battista Della Porta ed inizia ad occuparsi direttamente di magia e l’ebreo Abraham che lo conduce sui sentieri del neoplatonismo e dell’astrologia. Nel 1591 viene imprigionato a Napoli cotto l’accusa di eresia e pratiche magiche per le opinioni che aveva espresso in un suo lavoro dal titolo Philosophia sensibus demonstrata. La detenzione non durò che pochi mesi, scarcerato gli venne fatto obbligo di rientrare entro sette giorni nel suo convento calabrese, ordine che però contravven-
ne partendo per Roma, Firenze ra per il ritorno ad una unica ree Padova, dove entrò in contatto ligione e ad un unico stato. A Dio con un ambiente di grandissimo ha fatto voto che se mai fosse stafervore scientifico e filosofico, ma nel 1593 fu di nuovo imprigionato e processato. Trasferito a Roma subì i tormenti, il carcere e il confino in S. Sabina dove poté continuare i suoi scritti che peraltro non aveva mai interrotto neppure nei tempi del carcere. Dopo un nuovo processo nel 1598 ritornò a Stilo, con la proibizione di predicare e confessare e l’obbligo di rispondere alle accuse e chiarire l’ortodossia dei suoi scritti. Qui egli ordì una congiura contro la Spagna da cui doveva una rivolta generale che avrebbe portato ad uno stato teocratico di cui egli sarebbe stato il legislatore e il capo. Tradito da due congiurati nel 1599 venne trasferito a Napoli, processato e condannato a morte. Con una abilissima simulazione della follia, mantenuta anche sotto i tormenti, riuscì a farsi commutare la pena capitale in ergastolo. Prima a Castel Sant’Elmo e quindi a Castel dell’Ovo trascorre ventisette anni di carcere dal quale continuò a lanciare messaggi e vaticini a tutti i potenti della ter-
giche e astrologiche, ma l’ostilità della Curia e specie del padre Mostro (Nicolo Riccardi, maestro del Palazzo apostolico) non gli consentirono mai di sentirsi adeguatamente corazzato contro future minacce. Nel 1634, infatti, un suo discepolo, Tommaso Pignatelli ordì una congiura contro gli Spagnoli, scoperta la quale il Campanella venne considerato, questa volta a torto, corresponsabile e dovette fuggire precipitosamente, con l’aiuto dell’ambasciatore francese, presso la corte di Luigi XIII, il re che in quegli anni il filosofo aveva considerato il più degno di portare a compimento quel progetto che per decenni aveva creduto di dover affidare alla Spagna. A Parigi finalmente visse momenti di tranquillità economica e di gloria, ma più per le sue competenze di mago e astrologo che per quelle ben più importanti di filosofo. L’unico che davvero lo prende in considerazione come tale è Marino Mersenne, il dotto minimo che forniva idee a mezza Europa, ma che per la sua scelta religiosa di umiltà la storia lo ha privato del posto che gli
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to liberato egli avrebbe predicato metto / Di tutte le nazioni / A Dio l’avvento dello stato teocratico: liberator, verace e vivo, / S’a cotan«Se mi sciogli, io far scuola ti pro- to pensiero non è disdetto / Il fine a cui mi sproni / Gli Idoli abbatter, far di culto privo / Ogni Dio putativo / E chi di Dio si serve, e a Dio non serve; / Por di ragione il seggio e lo stendardo / Contro il vizio codardo; / A libertà chimar l’anime serve, / Umiliar le proterve. /Né a tetti ch’avilisce / Fulmine o belva, dir canzon novelle, Per cui Sion languisce; / Ma tempio farò il cielo, altar le stelle». Ma capisce anche che, prigioniero degli Spagnoli, se vuol esser libero deve ingraziarsi quelli e, difatti, sostiene la tesi che solo la monarchia spagnola potrà portare a compimento il suo progetto. Intanto continua senza sosta la sua attività di scrittore e quando le opere che affida ad amici perché gli vengano pubblicate, vanno perse, le riscrive. Tiene anche una non indifferente corrispondenza con i dotti d’Europa. Nel 1626 viene liberato dal governo spagnolo e trasferito a Roma nelle carceri del Santo Uffizio. Il papa Urbano VIII iniziò allora a proteggerlo, lusingato dalle promesse di esser messo a parte di infallibili pratiche ma-
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competerebbe: quello di uno dei più grandi filosofi del XVII secolo. Cartesio al contrario, come peraltro era nel suo carattere, schiva il Campanella e lo considera indegno di avere un colloquio con lui. Forse anche perché avrebbe dovuto riconoscere che l’impostazione campanelliana al problema dell’autocoscienza non sfigurava certo di fronte alla sua. Un topos del carattere cartesiano il quale aveva già rifiutato come maestri tutti coloro che a diverso titolo gli avevano insegnato qualcosa o dei quali egli aveva rubato le idee: Isaac Beeckman, Marin Mersenne, Johannes Faulhaber, Willebrord Snel van Royen. Nel 1634 Campanella detta a Gabriel Naudé il Syntagma de libris propris (guida per lo studio della sua filosofia): un elenco di tutte le sue opere con la datazione della loro composizione e pubblicazione. In questi anni, appunto, si dedicò alla stesura, raccolta, riorganizzazione e pubblicazione dei propri scritti. Ricordiamoli brevemente a patrire da quelli specificatamente filosofici: Philosophia sensibus demonstrata, composta nel 1589 e pubblicata a Napoli nel 1591
(l’opera che gli valse la prima prigionia), Compendium de rerum natura, composto nel 1595 e pubblicato nel 1617. Del senso delle cose e la magia del 1604, ripubblicato con il titolo latino di De sensu rerum et magia a Francoforte nel 1623, l’Apologia pro Galileo del 1616, pubblicato nel 1622, Philosophia realis pubblicata a Francoforte nel 1623; la Città del Sole, composta nel 1602, la Metaphisica in 18 libri del 1623, l’Astrologicorum libri VI e le Quaestiones pubblicati nel 1629 ed infine la Theologia in 30 libri, iniziata nel 1613 e rimasta inedita. Fra gli scritti politici campeggia la Città del Sole, ma notevoli sono anche gli Aforismi politici e i Discorsi. Le Poesie, invece, più che vere e proprie opere letterarie sono l’espressione versificata della sua filosofia. In una di queste descrive il suo destino: la missione che gli è stata commessa ed dalla quale non demorderà mai: (da Delle radici de’ gran mali del mondo) «Io nacqui a debellar tre mali estremi: tirannide, sofismi, ipocrisia;
ond’or m’accorgo con quanta armonia Possanza, Senno, Amor m’insegnò Temi. Questi principi son veri e sopremi della scoverta gran filosofia, remedio contra la trina bugia, sotto cui tu piangendo, o mondo, fremi Carestie, guerre, pesti, invidia, inganno, ingiustizia, lussuria, accidia, sdegno, tutti a quei tre gran mali sottostanno, che nel cieco amor proprio, figlio degno d’ignoranza, radice e fomento hano. Dunque a diveller l’ignoranza io vegno» I tre vizi contro le tre virtù, o per meglio dire le tre primalità metafisiche, i tre principi dell’essere, le tre regole dell’ordine contro l’ignoranza, il non essere, il disordine. La sua Metafisica si fonderà proprio su questi principi: potere, sapere e amore, ed a sua volta anche la filosofia politica su cui è basata la riforma religiosa ha come oggetto e fine questi tre fondamentali concetti.
Il suo punto di partenza comunque è la fisica telesiana della quale però si sente insoddisfatto e nella quale non riesce a inserire la gran massa di osservazioni, di conoscenze, di esperienze ch’era andato via via raccogliendo. Gli serve quindi una sistematizzazione più adeguata, una visione capace di contenere, accanto
al mondo umano e naturale, anche quella universale animazione delle cose, quella dialettica di continuo ordine che reciprocamente si genera dal disordine che è il fecondo ambito della magia. Campanella vede nella natura una Eterna Ragione e quindi non un qualcosa che s’origina, vive e termina nel mondo naturale, ma
un universo che è immagine di Dio e quindi campo di interrelazioni magico-mistiche. Egli vuol leggere il libro di Dio, ma nello stesso momento in cui afferma di imparare di più dall’anatomia di una formica che da tutti i libri dei filosofi (idea ripresa da Mersenne che però parla di un moscerino), asserisce anche
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di aver veduto albergare nell’astrologia un’altissima sapienza, nel momento in cui aderisce allo studio dei principi che stanno iuxta natura, considera quei principi come parte di una ragione divina che, avendoli prodotti per trasformare il caos in ordine, li continua a mantenere come legge dell’universo, una legge da cui non sono certo escluse le linee teoretico-operative della mistica neoplatonica. «… canto un occulto metro, che nel secreto orecchio alle persone la campanella mia fa che risone. Ch’or l’Eterna ragione pria di tutti i regni uman componga in uno che renda il caos tutte cose all’uno» Dall’universo animato dal senso di Telesio, Campanella deduce subito l’universa sensibilità delle cose e asserisce che tutto vive ed ha un’anima in quanto tutto partecipa dell’ universale consenso che regge il cosmo, ossia tutto è intenzionato agli stessi fini generali dell’anima mundi. Naturalmente da un tale universo non sono bandite le cause finali, anzi occupano il posto pre-
minente. È su queste e nell’ottica della costituzione dell’universale consenso che la magia trova il suo spazio pratico e speculativo.
scenza incerta, però vuol prova; e quando si adduce la prova e la causa si piglia un’altra sensazione certa».
«La sapienza è la conoscenza certe di ogni cosa, internamente, senza dubitanze... il senso è certo e non vuol prova, ma la ragione è cono-
Ma cosa v’è di più certo che il farsi uno con la cosa sentita? Campanella individua la radice stessa del termine sapienza con quella
di sapore: intuitiva sapientia et tactus quidam gustusque divinus, faciens scire res sine motu et discursu; un sentire dall’interno
reale e non solo logico-intenzionale con la cosa. Trasformazione radicale del platonismo che già nella divina pro-
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dentro la divina armonia, aveva trovato il Luca Pacioli e nei grandi teorici della musica del ‘500 gli entusiasti assertori dell’Eterna ragione che crea e guida l’ordine dell’universo e della possibilità dell’uomo di “gustarla” attraverso la ricostruzione di analoga proporzionalità nell’arte. In Campanella v’è quindi un superamento ed una integrazione di quel ”momento telesiano” che l’aveva però già portato ad affermare: «Il Mondo, dunque, tutto è senso e vita e anima e corpo, statua dell’Altissimo, fatta a sua gloria con potestà, senno e amore, di nulla cosa si duole. Si fanno in lui tante morti e vite che servono alla sua gran vita. Muore in noi il pane, e si fa chilo, poi questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne,nervo, ossa, spirito, seme, e pate varie morti e vite, dolori e voluttadi; ma alla vita nostra servono, e noi di ciò non ci dolemo, ma ci godemo. Così a tutto il mondo tutte cose son gaudio e servono, e ogni cosa è stesso della relazione senzien- porzione fra il senso della vista e fatta per lo tutto e il tutto per Dio te-sentito, l’identificazione fra il l’oggetto visto e nella “stimmung”, a sua gloria. Stanno come vermi portato ”di gusto” e la sensazione vera e propria relazione fondan- dentro l’animale tutti gli animali ”del gusto”, la compartecipazione te, fra l’udire e il sentire dal di dentro al Mondo, né si pensano
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ch’egli senta, come li vermi del nostro ventre non pensano che noi sentemo e abbiamo anima maggiore della loro, né sono animati dalla commune anima beata del Mondo, ma ciascuno dalla propria, come li vermi in noi, che non han la mente nostra per anima, ma il proprio spirito» In questa prospettiva l’uomo è: «l’epilogo di tutto il Mondo, ammiratore di questo, se vuol conoscere Dio, chè però è fatto. Il Mondo è statua, imagine, tempio vivo di Dio, dove ha dipinto li suoi gesti e scritto li suoi concetti, l’ornò di vive statue, semplici in sielo e miste e fiacche in terra; ma da tutte a lui si camina». Di conseguenza il Campanella invita a studiare la sua filosofia perché è da questa che si può comprendere la sapienza universale: «Beato chi legge in questo libro e impara da lui quello che le cose sono, e non dal proprio capriccio, e impara l’arte e il governo divino, e per conseguenza si fa a Dio simile e unanime, e con lui vede ch’ogni cosa è buona e media al Creatore, e seco gode, ammira, legge, canta l’infinito immortale Dio, Prima Possanza, Prima
Sapienza, e Primo Amore, onde ogni potere, sapere e amore deriva et è e si conserva e muta, secondo li fini intesi dalla commune anima, che dal Creatore impara e l’arte del Creatore, nelle cose innestate, sente, e per qualla ogni cosa al gran fine guida e muove, finchè ogni cosa sarà fatta ogni cosa e mostrerà ad ogni altra cosa le bellezze dell’eterna idea. Or chi l’ammira le conosce, chi le conosce l’opera, chi opera fia amico di Dio, partecipa della gran sapienza universale beata e gloriosa». Seguendo questo schema, delineato già nel Del senso delle cose e della magia, costruisce la sua metafisica suddividendola in tre parti: la prima dedicata ai principi della scienza, la seconda a quelli dell’essere e la terza ai principi dell’operare. Per quanto attiene la scienza egli afferma che non si da scienza dell’universale, ma è il particolare che si conosce e il concetto (l’universale appunto) risponde ad una necessità di ordine pratico che in definitiva sta nel fatto che non è possibile conoscere tutti gli individui particolari: «Però gran stultizia è credere che la scienza consista nel sape-
re gli universali. Chi saprà in sé intende che Pietro è uomo animale razionale, mentre non intende le sue qualità e proprietà minutamente? Vero è, ch’essendo impossibile conoscere tutti gli individui, per mancamento fa bisogno imparar le scienze in universale e in confuso; ma Dio sa le mi-nutissime particolarità d’ogni cosa, e questa è vera, certa sapienza. Ma la medicina per il bisogno n’avvisa, che non basta saper che frebre è questa, ma quando, come assale, e la complesione dell’infermo particolare, e del morbo e del medicamento, non in comune, cioè del reubarbaro, ma di questo reubarbaro che si ha dare, mo alla tal ora. Saria però la scienza assi poca, di questa via, e però caminiamo con gli universali per le similitudini comuni, come li fanciulli, per forza, non per elezione». Tema questo che lo porta alla nota concezione dell’oggettività del conoscere contenuta nel XIII della metafisica: «Se è vero che nessuna cosa può esser conosciuta se non per mezzo di assimilazione del conoscente al conosciuto, ne deriva che
la conoscenza che, a voler analizzare con maggior precisione di quanto abbiamo finora fatto, rimanda molto da vicino alla gnoseologia platonica, v’è una tematica destinata a divenire fondamentale nel prosieguo della filosofia occidentale, forse il tema di partenza nell’operazione di elevazione dello gnoseologico a primo e privilegiato rango del filosofico. Ci riferiamo al tema dell’autocoscienza che Tommaso Campanella aveva fin dal 1623 trattato nella Metaphysica in termini analoghi a quelli divenuti celeberrimi del Discorso sul metodo del 1637 di Renato Cartesio. L’argomento campanelliano è inserito in un ambito contestuale dove l’autore tenta di confutare l’opinione degli scettici: «Quelli che proclamano di non sapere se sappiano o non sappiano qualche cosa, non dicono giusto. Difatti sanno necessariamente che non sanno e benchè questo non sia sapere, giacchè è una negazione, come la visione delle tenebre non è visione, ma privazione di visione, tuttavia l’anima umana ha questo di proprio che sa di non sapere in quanto percepisce di non vedere nelle tene-
bre e di non sentire nel silenzio. Se difatti non percepisce questo, sarebbe una pietra, per la quale è indifferente essere o non essere illuminata ]e continua[ L’anima conosce sé con una conoscenza di presenzialità (è presente di sé a sé) e non con una conoscenza obiettiva, eccetto che sul piano riflesso. E’ certissimo principio primo che noi siamo qualche cosa e non tutto, e che possiamo conoscere qualche cosa, e non tutto e totalmente. Quando poi dalla cooscenza di presenzialità si procede ai particolari per una conoscenza obiettiva comincia l’incertezza, per il fatto che l’ anima viene alienataa causa degli oggetti, dalla conoscenza di sé, e gli oggetti non si rivelano totalmente e distintamente, ma parzialmente e confusamente. E invero noi possiamo, sappiamo e vogliamo l’altro, perchè possiamo, sappiamo e vogliamo noi stessi». Ma la conoscenza di sé porta all’esser se stessi e a non riconoscere più di esser parte del tutto o meglio di essere il tutto. Ciascuna cosa è modificata dall’altra e la modifica, il senziente non sente il calore, ma sente se stesso modificato dal calore, non percepisce il colore ma se stesso come colo-
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per la conoscenza oggettiva delle cose sono necessarie le idee: perchè quell’assimilazione è appunto idea e forma”dato che”Se le idee non fossero, Dio non avrebbe fatto le cose con certezza di modi e di forme; né le cose imprimerebbero nel nostro intelletto la similitudine di se stesse... Dio conosce le cose attraverso le idee che ha elargito alle cose... Noi invece perchè mossi dalle cose, ne siamo assimilati, in quanto abbiamo il divino e supremo principio della divinità e supremo principio della divinità, col quale immaginare, pensare e conoscere cose innumerevoli. Animale o uomo universale non si dà certo in natura ( tutti gli uomini in natura sono individuali), ma è idealmente, perchè c’è l’idea, sul cui modello son fatti gli animali. Pertanto la definizione dell’uomo come animale razionale è fatta per mezzo di principi ideali che sono anche nell’intelletto divino, primo artefice di tutte le cose, nel quale il nostro intelletto li contempla. Chè questo intelletto divino è in noi, ma noi non l’avvertiamo: infatti neanche se stessa l’anima conosce se non per un’apprensione nascosta» Nell’ambito dell’indagine sul-
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more». Conoscere è per Campanella alienarsi nella cosa conosciuta, acquisire qualcosa, ma perder qualcosa d’altro, dilatare il proprio essere in modo da accogliere l’altro: «tutti i conoscenti vengono alienati dal proprio essere, quasi finissero nella pazzia e nella morte, noi siamo nel regno della morte». In un mondo retto da un globale ed inglobante pampsichismo, dove l’uomo è ”l’epilogo di tutto il mondo”e dove la sua massima magia è quella di”dar leggi agli uomini”, Tommaso Campanella si propone di essere il mago-legislatore e costruisce il mondo utopico-immaginario della Città del Sole, ma nel descrivere la attesa messianica degli uomini di quella Città i quali professano la filosofia campanellina, scrive: «Credono esser vero che quel che disse Cristo delli segni delle stelle, sole e luna, li quali alli stolti, non pareno veri, ma li venirà, come il ladro di notte, il fin delle cose. Onde aspettano la renovazione del secolo o forse il fine». Una voce stonata nella generale sinfonia dell’attesa di tempi nuovi o per meglio dire una voce
non più intonata alle certezze della renovatio: non più all’orgoglio dell’ essere il grande miracolo della natura né alla fede nella Allgemeinen Reformation dei contemporanei Rosacroce. La voce di un uomo che aveva chiuso dietro le sue spalle l’esaltante avventura del Rinascimento, ma non era stato capace di aprire quella della nuova epoca. Una voce, alla fine solitaria, che terminava il suo itinerario speculativo con una espressione di analoga e terribile potenza quali erano state quelle di un riformatore delle sue terre, Giovacchino da Fiore, che aveva nell’Età di Mezzo scatenato speranze, ma anche soffocato gli orgogli: «Noi veramente - scrive Tommaso Campanella nella sua Teologia - siamo in una terra straniera, alienati da noi stessi, aneliamo ad una patria e la nostra sede è presso Dio». Fr. P. A. R. R.L. San Giorgio - Or. di Genova
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rato. Quella che è una coscienza innata è ricoperta, incrostata, annebbiata dalla conoscenza superaddita, da quanto sopraggiunge e di conseguenza l’autocoscienza diventa per così dire una sensibilità retrostante, nascosta, un sensus abditus. Nelle cose questo senso rimane costantemente nascosto, mentre nell’ uomo fuoriesce diventato senso e amore di sé e in Dio raggiunge il massimo della perfezione: «Se la conoscenza acquisita, divenuta lo stesso essere di colui che sa, si produce, fuori del tempo, dello sforzo, dell’azione e della passione, di ciò che agisce e di ciò che patisce, giacchè tutto ciò scompare una volta che la conoscenza è acquisita, come sarà vero, a maggior ragione, per la scienza innata di sé, che essa esista al di sopra del tempo, al di sopra dello sforzo, della passione e dell ‘azione, e che essa non ha bisogno per l’avvenire dell’essere agente! E’ i questa maniera che tutti gli esseri conoscono se stessi di una conoscenza nascosta, innata, non acquisita, che è il primo principio del loro essere, detto altrimenti la essenzialità, la primalità, come la potenza e l’a-
Note: 1. J.V. Andreae, Descrizione della Repubblica di Cristanopoli (1619), Napoli, Guida, 1983. 2. F. Bacon, La Nuova Atlantide, in Scritti filosofici (a c. di P. Rossi), UTET, Torino, 1986. 3. G. P. della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, a cura di Eugenio Garin, Vallecchi, 1942. 4. C. Bovillus, Il sapiente, Universale Einaudi, 1943 5. Intorno alla figura mitica di Ermete Trismegisto sono organizzati una serie di scritti di provenienza alessandrina, risalenti al II secolo d.C.. Sono contemporanei agli Oracoli Caldaici, considerati nel Rinascimento come appartenenti allo stesso corpus di scritti. Nel 1471 Ficino completò la traduzione del Corpus Hermeticum in diciannove trattati. Scritti eclettici. Vi si avverte l’influenza della tradizione orfico-pitagorica e platonica, ma anche quella della cosmologia stoica e, soprattutto, della gnosi, che ne costituisce uno dei tratti dominanti. Come per la gnosi, la conoscenza è affidata alla rivelazione. Per molti aspetti, però, gli scritti ermetici sono in sintonia con il platonismo rinascimentale: Dio è inconoscibile e ineffabile, si manifesta nell’Universo, con il quale tende ad essere identificato. L’uomo è considerato il termine medio e la sintesi di tutto l’Universo, «il miracolo più grande della Natura»,secondo una espressione che Ficino riprende da questi scritti. L’anima umana può ricongiungersi con Dio in virtù della conoscenza. A questi tratti la tradizione ermetica unisce una concezione organicistica dell’Universo, secondo la quale esiste una forte corrispondenza tra gli elementi dei corpi terrestri ed il cosmo. Da ciò deriva una sottolineatura dell’alchimia, che spiega, insieme a quanto abbiamo detto poco fa, la diffusione dell’ermetismo lungo tutto il corso del Rinascimento. Il documento principale che l’alchimia trae dagli scritti ermetici è la cosiddetta Tavola smeraldina, oggetto di interesse ben oltre il Rinascimento, tanto che lo stesso Newton ha lasciato, tra gli inediti, un dettagliato Commentario a questo testo. 6. E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Bompiani, 2001. 7. Rossi Paolo, Francis Bacon- Dalla magia alla scienza,1957 8. F. A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Editore Laterza, 2006 9. De sensu rerum et magia, il testo in latino, cui Campanella mise mano dal 1590, era dedicato al granduca di Toscana Ferdinando I de’ Medici. L’ultima parte è costituita da un Epilogo del senso dell’universo in cui viene elaborata un’immagine del cosmo come forma divina atta a rispecchiare l’immensa potenza di Dio. 10. A proposito della tarsia marmorea senese e riferendosi alle parole incise sul libro aperto che Hermes sta offrendo a Mosè, la Yates scrive: «un’esortazione del legislatore degli Ebrei, (se la figura del supplice è quella
di Mosè) al legislatore degli Egizi, a far rivivere la pietà e la moralità egiziane]…[La raffigurazione di Ermete Trismegisto nell’edificio cristiano, così accentuatamente vicino all’ingresso, e che vale ad attribuirgli una così preminente posizione spirituale, non è un isolato fenomeno locale ma un simbolo di come il Rinascimento italiano lo considerava e un preannuncio di quanto dovesse essere straordinaria la sua fortuna nel XVI e nel XVII secolo in tutta l’Europa». Frances Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, tr. it. di Renzo Pecchioli, Laterza, Bari,1969 p.25) 11. Un frammento di questo trattato fu ritrovato tra i testi gnostici di Nag Hammadi. Il testo, comunque, prima della traduzione ficiniana, era già stato tradotto in latino, dall’originale greco nella tarda antichità ed era circolato fra gli studiosi europei già nel Medioevo. 12. Ermete Trismegisto, Corpus Hermeticum, Asclepio, in Novae Philae. 13. Ibid. 14. Alcuni studiosi ritengono che il testo possa essere stato composto originariamente in Egitto intorno alla metà dell’XI secolo, tradotto in arabo col titolo di Ghayat al Hakim (Il fine del saggio) nella Spagna del XII secolo e, dalla versione araba , traslato poi in latino. Dobbiamo al nostro Paolo Aldo Rossi la traduzione in italiano del 1999 per i tipi di Mimesis, Milano. 15. Picatrix, a cura di Paolo Aldo Rossi, Milano, Mimesis Edizioni, 1999. 16. P. Montesi, Architettura e utopia, Trieste, 1967.
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