Master's thesis in Architectural conservation

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UN RESTAURO “ACCOGLIENTE“ UNA PROPOSTA PER VILLAGONIA (ME)

tesi di laurea di Alessia Miceli relatore Prof. Ing. Alessandro Lo Faro correlatore Prof. Ing. Giuseppe di Gregorio Università degli Studi di Catania dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura corso di laurea in Ingegneria Edile-Architettura A.A. 2016-17



INDICE



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INTRODUZIONE

7

Il restauro architettonico e l’iter metodologico Il riuso dell’esistente

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IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO

1

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Il contesto urbano di intervento Cenni storici

29

L’ANAMNESI

13

31 37 49

Il sito L’analisi diacronica delle vicende urbanistiche Le origini del complesso di Villagonia I frati cappuccini in Taormina La famiglia Lecomte a Villagonia

57

L’analisi diacronica delle vicende costruttive Dalle origini al 1943 Dal 1943 al 1955 Dal 1955 ad oggi Cronistoria essenziale

74

La descrizione geometrico-spaziale Il convento La chiesa Il prospetto principale

92

La descrizione dell’apparecchiatura costruttiva Le strutture


Le chiusure verticali Le chiusure orizzontali di base Le partizioni interne Le finiture interne

115

Le manifestazioni visibili del degrado Classificazione dei degradi31 La descrizione delle manifestazioni visibili del degrado La descrizione del quadro fessurativo

133

LA PREDIAGNOSI

138

La diagnosi delle patologie nel complesso di Villagonia Le patologie da umidità Le patologie da interazione manufatto-ambiente

155 159 172 178 185 190

IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO Puliture Deumidificazioni Integrazioni Interventi di consolidamento strutturale Protezioni Altre opere

201

UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ

205

L’analisi della mobilità La mobilità extraurbana


La mobilità urbana La funivia di Mazzarò

219

Il metaprogetto di ampliamento della funivia

229

IL PROGETTO DI RIUSO

231 236

L’ipotesi progettuale La mobilità sanitaria Aspetti psicologici e ricadute progettuali Esperienze di ospitalità sanitaria Normativa di riferimento

Le prescrizioni degli strumenti urbanistici 249 La casa di accoglienza di Villagonia 247

Il concept Le tipologie abitative Aspetti distributivi Aspetti funzionali L’innesto contemporaneo Il verde e gli spazi esterni

283 293

CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA Fonti bibliografiche Fonti archivistiche Sitografia Fonti delle illustrazioni



INTRODUZIONE



IL RESTAURO ARCHITETTONICO E L’ITER METODOLOGICO “S’intende per restauro qualsiasi intervento volto a rimettere in efficienza un prodotto dell’attività umana”1

In una delle definizioni alla base del suo pensiero, Cesare Brandi pone dei labili limiti alla definizione dell’oggetto del restauro, utilizzando le parole “prodotto dell’attività umana”. Esse immediatamente inducono a pensare ad un elemento diverso da quelli fisici o biologici, ma non ci danno indicazioni su che tipo di prodotto si parli: potrebbe trattarsi di un prodotto industriale, artigianale o di un’opera d’arte. Oggetto di questa introduzione è il restauro architettonico: esso si pone naturalmente come quella disciplina atta a restaurare un’opera architettonica. Partendo da questa considerazione si affronta necessariamente una questione sulla quale il dibattito da sempre divide le opinioni: come considerare l’oggetto architettonico? È esso un’opera d’arte in quanto frutto del pensiero artistico di uno o più individui, o è assimilabile più ad un prodotto standardizzato in quanto risultato dell’assemblaggio di più elementi lavorati artigianalmente o industrialmente? Se la risposta fosse la prima il restauro potrebbe dirigersi

1. C. Brandi, Teoria del restauro: Lezioni raccolte da L. Vlad Borrelli, J. Raspi Serra e G.Urbani, Einaudi Editore, Torino, 1977

INTRODUZIONE 3


principalmente verso il ripristino dell’istanza “estetica” dell’opera d’arte; nel secondo caso invece, ci si concentrerebbe maggiormente sul ripristino della funzionalità dell’oggetto, come potrebbe accadere ad esempio con il restauro di un’auto d’epoca2. Questo dibattito, che storicamente è stato oggetto di una vastissima trattazione, probabilmente non troverà mai una risposta definitiva o universalmente condivisa, ma ci porta però ad una importante considerazione preliminare: prendere coscienza della complessità del percorso che si intraprende con il restauro di un’opera architettonica, a qualunque epoca essa appartenga. È indiscusso infatti che l’oggetto architettonico possieda sia delle caratteristiche tipiche di un’opera d’arte, come l’irriproducibilità, l’istanza estetica, che può scaturire ad esempio dall’uso delle forme e dei materiali, e quella storica, che inevitabilmente denuncia la sua appartenenza ad un determinato luogo e periodo storico; ma possiede anche delle caratteristiche fisiche, tecnologiche, spaziali e funzionali, anche queste peraltro irriproducibili, che lo rendono un prodotto fruibile dall’utente. 2. R. Luciani, Il restauro: storia, teoria, tecniche, protagonisti, Fratelli Palombi, Roma, 1988, pp. 13-15

4 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

Il restauro architettonico si configura pertanto come la disciplina che intende ripristinare nell’oggetto architettonico tutte queste caratteristiche,


attraverso un percorso critico, il quale prevede diverse strade che devono necessariamente intersecarsi tra loro; tenendo, inoltre, sempre presente la necessità di denunciare la presenza dell’intervento, per evitare di incorrere in un falso architettonico: intento del restauro è infatti non quello di riportare l’oggetto al suo stato originario, come se il tempo non fosse mai trascorso, ma di far sì che esso sia fruibile nella nostra epoca, dimostrando il tempo che ha vissuto e le epoche che ha attraversato. Allo stesso modo in cui l’ingegneria e l’architettura tradizionalmente si intersecano e si contaminano con molte altre discipline, tale percorso può essere affrontato con un approccio mentale che ci insegna la medicina: accostando metaforicamente l’intervento di restauro al percorso riabilitativo di un paziente, l’oggetto edilizio, che si affida alle cure del medico, il restauratore. Risulterà chiaro come tale percorso ha come presupposto fondamentale una fase di conoscenza, che dia all’attività del restauratore “solidissimi fondamenti storici e critici”3: allo stesso modo in cui un medico, attraverso la fase dell’anamnesi, prende coscienza del trascorso clinico del paziente, il restauratore deve fare in modo di giungere alla conoscenza della fabbrica. L’oggetto del restauro,

3. P. Sanpaolesi, Discorso sulla metodologia generale del restauro dei monumenti, EDAM, Firenze 1973, p. 21

INTRODUZIONE 5


è senza dubbio un’entità dotata di una sua unicità, frutto di un pensiero, dell’insieme delle conoscenze e delle tecniche esecutive proprie del tempo in cui è stato concepito, e giunto a noi dopo essere stato utilizzato ed avere probabilmente subito una serie di trasformazioni. È fondamentale quindi impostare un percorso conoscitivo il cui scopo è quello di ricostruire le vicende che ci hanno consegnato l’oggetto per come oggi appare ai nostri occhi. Questa fase si concretizza attraverso rilievi visivi, fotografici, geometrici e dimensionali, ed una serie di ricerche storico-archivistiche che ci portano a delineare le vicende storiche e costruttive dell’oggetto, la sua apparecchiatura tecnologica, ma anche il contesto culturale in cui l’oggetto si è sviluppato. A questa fase segue quindi quella che nella metafora medica è l’osservazione dei sintomi del paziente, ovvero la rappresentazione sincronica delle patologie della fabbrica. Questa fase prende in considerazione tutte quelle condizioni ed alterazioni che modificano le capacità prestazionali del manufatto, ove per prestazioni si intendono quelle estetiche, statiche e funzionali, non rendendole più sufficienti per l’edificio affinché assolva alle funzioni cui è stato destinato. 6 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Con il rilievo delle manifestazioni visibili del degrado si può ritenere concluso il percorso di conoscenza del manufatto, e passare quindi alla fase della prediagnosi: sulla scorta delle conoscenze sincroniche ottenute sull’oggetto edilizio, sul suo funzionamento, e sull’alterazione delle sue prestazioni, si può , infatti, operare una sintesi critica ed una valutazione, preliminare e qualitativa, di quelle che possono essere le cause delle patologie, valutando l’incidenza dei diversi fattori in gioco quali l’interazione tra manufatto e ambiente, le azioni dell’uomo ed i fenomeni legati alla presenza dell’acqua. Tali valutazioni vanno convalidate con l’utilizzo di tecniche di indagine strumentale, principalmente le indagini non distruttive, che attraverso il rilievo e l’analisi scientifica consentono di giungere ad una conoscenza quantitativa dei fenomeni del degrado. Tale strumento va valutato attentamente in base all’istanza storico-artistica del manufatto e dev’essere oggetto di una specifica pianificazione. La fase di prediagnosi, quindi, se confermata dalle suddette indagini, può essere assunta come vera e propria diagnosi. Questa fase è estremamente determinante poiché dalla correttezza delle interpretazioni delle analisi finora condotte, dipenderanno l’esito e la buona riuscita degli INTRODUZIONE 7


interventi da realizzare. È infine possibile passare all’ultima fase, che concerne la formulazione della terapia riabilitativa che ha come scopo il ripristino o l’innalzamento delle caratteristiche prestazionali del manufatto. La scelta degli interventi dipende fortemente dalla conoscenza dell’apparecchiatura costruttiva, ma anche dall’istanza culturale della fabbrica. E’ fondamentale, in questa fase, non alterare le prestazioni e le qualità dei materiali tradizionali, per non innescare nuove patologie e decadimenti dovute ad eventuali incompatibilità dell’intervento con i materiali o le tecniche tradizionali impiegati nella fabbrica, ed in particolar modo tenere sempre presente l’istanza culturale, nell’interesse di evitare di stravolgere l’aspetto, la funzionalità, lo stato tensionale dell’edificio. Quanto detto si può riassumere nelle seguenti caratteristiche che gli interventi previsti devono possedere: essere specifici per le patologie diagnosticate, minimali, compatibili, al fine di evitare eventuali nuovi decadimenti, e reversibili, così da poter eliminare i materiali adoperati e ripristinare le trasformazioni effettuate nel caso in cui l’intervento si rivelasse inefficace. 8 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


IL RIUSO DELL’ESISTENTE Nel contesto socio-urbano contemporaneo, molti fattori quali la saturazione dell’ambiente urbano, i fenomeni di spopolamento dei centri storici, il cambiamento delle abitudini di vita e di mobilità, stimolano la riflessione sulle modalità di utilizzo del costruito, ed appare sempre più pregnante l’istanza di recupero e riutilizzo di fabbricati storici. Tale esigenza è evidente soprattutto quando si considera un contesto territoriale dotato di peculiarità ed emergenze storiche, artistiche ed ambientali, e viene per di più amplificata dalla sempre crescente sensibilità ai temi della sostenibilità ambientale. Il restauro e il riuso sono, in questo complesso contesto, due approcci complementari e strettamente dipendenti l’uno dall’altro, in quanto una nuova destinazione d’uso per un edificio storico è un’occasione irripetibile per la tutela e la sopravvivenza del bene, nell’ottica non di una mera conservazione, ma di una consapevole valorizzazione, ma anche per dare realizzazione concreta al principio della sostenibilità, nel senso di un utilizzo compatibile dell’esistente, evitando, se possibile, nuove edificazioni. Tali approcci, restauro e riuso, sono palesemente interdipendenti, in quanto, se è ovvio che la possibilità di riutilizzo del bene dipenda dal restauro dello stesso, è vero anche il contrario, in quanto INTRODUZIONE 9


il riuso può considerarsi la massima e più felice manifestazione della necessità ed utilità dell’intervento di restauro. Scelte progettuali di simile rilievo devono però rispondere a fondamentali esigenze, come quella della compatibilità tra il contenuto ed il contenitore, che deve essere garantita a più livelli: •

una compatibilità tecnologica, funzionale e socio-culturale;

la sostenibilità energetica ed ambientale;

la sostenibilità di lungo periodo, nell’ottica di una minimizzazione degli interventi conservativi. Appare fondamentale, in quest’ottica, prevedere uno studio di prefattibilità

volto ad accertare la possibilità della realizzazione del cambiamento di destinazione d’uso, che consiste in un’analisi del sistema insediativo, scomposto nelle sue componenti fisiche, sociali ed economiche. Tale studio può trovare concretizzazione in una serie di analisi volte alla conoscenza, ad esempio, delle caratteristiche territoriali, della mobilità, delle attività e delle istituzioni presenti nel territorio; ma anche in un interfacciarsi diretto con la collettività, attraverso interviste ad interlocutori particolari. Presa coscienza dei risultati di tale analisi si può giungere ad un ventaglio di possibili funzioni che rispondano 10 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


ad una domanda collettiva. Per ogni opzione è opportuno quindi valutare, in maniera preliminare, la compatibilità in termini dimensionali, di accessibilità, di condizioni strutturali e fisiche (illuminazione, acustica, condizioni igrotermiche). Altro requisito da soddisfare è la rispondenza alle prescrizioni imposte dagli strumenti urbanistici vigenti o in fase di approvazione. Fine ultimo di tali analisi è la valutazione delle potenzialità residue dell’oggetto architettonico, e quindi selezionare le “nuove” funzioni rispettose della sua istanza culturale. Con questo approccio metodologico si è sviluppata la presente tesi, che propone il riuso sostenibile di un “contenitore” storico: l’ex convento dei Frati Cappuccini di Villagonia in Taormina.

INTRODUZIONE 11



IL CONTESTO STORICOGEOGRAFICO

1


Figura 1.1 Alla pagina precedente, blocchi di calcarenite nelle vicinanze del Convento di Villagonia Figura 1.2 A sinistra, aerofoto dei comuni di Taormina e Giardini Naxos


IL CONTESTO URBANO DI INTERVENTO Percorrendo la strada che da Catania conduce a Messina, dopo avere superato i centri urbani di medie dimensioni come Acireale e Giarre, il paesaggio urbano cambia gradualmente, e si incontrano una serie di piccoli borghi e cittadine variamente disposti lungo la costa, a seconda della conformazione che questa assume. Si tratta perlopiù di abitati con sviluppo lineare, o arroccati sui suggestivi declivi che i monti peloritani formano congiungendosi con il Mar Ionio. Superato il fiume Alcantara, che segna il confine amministrativo tra le province di Catania e Messina, si incontrano i comuni di Giardini Naxos e, successivamente, Taormina. Il Convento dei frati minori Cappuccini di Villagonia si trova in prossimità del confine tra i due comuni, e data la sua particolare posizione, la sua storia è indissolubilmente legata a quella di entrambi i centri.

TAORMINA - Il comune di Taormina è situato sul versante ionico della

provincia di Messina e conta una popolazione di circa 11000 abitanti. Peculiarità della storica cittadina è, come ben noto, la sua posizione particolarmente panoramica, in quanto, localizzata su una zona collinare a circa 200 metri sul CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 15


livello del mare, si staglia sulle baie di Naxos a sud-est, e di Mazzarò a nord-est. Innumerevoli e variegate per epoca e stile sono le emergenze architettoniche del centro storico: percorrendo Corso Umberto I ed addentrandosi tra i suoi vicoli si compie infatti un viaggio che fa tappa nei suggestivi resti archeologici greci e romani (Odeon e Teatro Greco), nel gotico catalano/chiaramontano (le porte Messina e Catania, Palazzo Corvaja, Cattedrale di San Nicolò, convento di San Domenico, Palazzo della Badia Vecchia), nel barocco (Chiesa di Santa Caterina, Chiesa di San Giuseppe), e nell’eclettismo ottocentesco (Casa Cuseni). In questa porzione della costa ionica le emergenze ambientali e naturalistiche trovano armoniosa fusione con il patrimonio architettonico, storico ed artistico, e valorizzati inoltre dal clima mite, dalla rigogliosa vegetazione mediterranea e dal limpido mare, rendono oggi Taormina fulcro di un’area che insieme ai comuni limitrofi costituisce uno dei principali comprensori turistici siciliani.

GIARDINI NAXOS - Ai piedi del promontorio taorminese si incontra

il comune di Giardini Naxos, il quale costituisce il completamento e la 16 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


delimitazione meridionale della provincia di Messina per mezzo della foce del fiume Alcantara. Il suo abitato presenta uno sviluppo spiccatamente lineare, con asse nord-sud, naturalmente determinato dal forte rapporto col mare ma anche da una situazione orografica che vede la striscia di terra occupata da Giardini Naxos, configurarsi come la pianeggiante conclusione del versante sud-est dei Monti Peloritani. Peculiarità naturalistica della cittadina sono infatti le lunghe spiagge, che proseguono a nord fino al Capo Taormina, e a sud fino al Capo Schisò, andando i due “capi” a delimitare la baia di Naxos: tra le molte baie che orlano la costa orientale della Sicilia, quella di Naxos è sicuramente uno degli esempi più felici, valorizzata ulteriormente dal vulcano Etna a fare da sfondo.

LA FRAZIONE VILLAGONIA - A sud del centro storico di Taormina, ha

inizio il sentiero Madonna delle Grazie, antica mulattiera che conduceva alla sottostante spiaggia, dove il visitatore può ancora osservare i resti della porta dell’Agonia4, una delle porte della città. La frazione di Villagonia, cui tale porta ha dato il nome, rappresenta l’antica “marina” di Taormina: essa si trova infatti ai

4. Agonia deriva dal greco agōn, “gara”; la porta si trova infatti nell’area dell’antico ginnasio romano

CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 17


Figura 1.3 A destra, vista della frazione di Villagonia Figura 1.4 In alto a sinistra, i resti della Porta dell’Agonia Figura 1.5 In basso a sinistra, l’inizio del sentiero Madonna delle Grazie, a Villagonia

18 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


piedi del borgo ionico, ed è delimitata a sud dal Torrente Sirina, che la separa da Giardini Naxos, ed a nord dal Capo Taormina. Il suo abitato si snoda lungo l’attuale strada statale 114, che qui prende il nome di Via Nazionale. La litoranea che oggi congiunge Catania e Messina, ha da sempre caratterizzato l’aspetto e lo sviluppo urbanistico delle località che attraversa, e tale influenza risulta evidente osservando la linearità dell’abitato di Giardini Naxos, di cui Villagonia sembra costituire una naturale prosecuzione. L’azione dell’uomo è stata imponente su questo tratto di territorio costiero, in quanto, non solo ha determinato il nascere di una serie di stretti ed alti terrazzamenti che oggi sono punteggiati da piccoli giardini privati, adornati di cipressi, ulivi ed alberi di agrumi, ma ha creato attraverso scavi e riporti, delle superfici pianeggianti su cui insistono i manufatti edilizi, rendendo di fatto abitabile un pendio che altrimenti sarebbe stato ostile. Oggi Villagonia ha mantenuto in parte il suo aspetto di borgo di pescatori ed artigiani; in tempi recenti il suo edificato ha avuto uno sviluppo meno ordinato, ma comunque modesto, tanto che la frazione appare ancora come un aggregato di piccole case terrane o in semilinea, il cui susseguirsi CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 19


20 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 1.6 Nella pagina accanto, cartografia di Taormina. Evidenziato in nero, il sentiero Madonna delle Grazie, che collegava Taormina a Villagonia

lungo i bordi della strada è interrotto puntualmente da pochissime edificazioni dimensionalmente più rilevanti come la stazione ferroviaria ed il Convento dei frati cappuccini, oggetto del presente studio. La zona costiera di Villagonia è oggetto di tutela da parte del Piano Territoriale Paesistico Regionale della Regione Sicilia.

CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 21


22 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 1.7 Alla pagina accanto, vista di Taormina in una litografia della fine del XVIII sec. La didascalia originale recita: “Vista di Taormina colta giungendo dal lato delle catacombe“

CENNI STORICI «A dritta, su grandi rocce, si elevano delle foreste; più lontano e più in basso è la città, e sebbene queste costruzioni siano moderne, ve n’erano un tempo di simili allo stesso posto. Poi la vista si estende su tutta la lunga catena delle schiere di montagne dell’Etna. A sinistra è la riva fino a Catania, anzi, fino a Siracusa. L’immensa montagna fumante termina questo vasto quadro che non ha nulla di spaventevole perché l’atmosfera vaporosa allontana e addolcisce gli oggetti»5

Viaggiatori, artisti, nobili e filantropi provenienti da varie parti d’Europa, tra il ‘700 e l’800 soggiornavano, o decidevano di vivere stabilmente a Taormina, e dedicarsi qui all’arte ed alla contemplazione, ammaliati dalla decadenza delle rovine greche e romane. Tra i più famosi Goethe, il fotografo Von Gloden, il pittore Kitson, la nobildonna Lady Treveleyan - nota per aver voluto e curato la realizzazione della Villa Comunale – che elessero il borgo ionico meta del

5. J. W. Goethe, Viaggio in Italia, tradotto da E. Castellani, Garzanti libri, Milano, 1997

“viaggio neoclassico”6, simbolo di un turismo intellettuale ed elitario che

6. D. Ligresti, Giardini, dalla formazione del borgo ai primi decenni del comune autonomo, Gruppo Edicom, Rho, 1998, p. 95

potrebbe essere considerato una moderna rivisitazione dell’otium romano.

CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 23


Figura 1.8 A sinistra, i resti di un tempio di età ellenica a Giardini Naxos Figura 1.9 e 1.10 In alto a destra e in basso a destra, resti della colonia greca Naxos all’interno del parco archeologico di Giardini Naxos

24 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Ma le radici della cittadina sono molto più antiche, e si intrecciano a quelle della vicina Giardini Naxos. Tradizionalmente i due comuni hanno dato forma ad un dualismo in cui Taormina ha spesso occupato una posizione di dominanza anche politica7; così non era invece nel 734 a.C., quando a Naxos approdarono i calcidesi, i quali, trovando in essa un luogo strategicamente favorevole, poiché posto lungo le rotte commerciali che dalla Grecia si spingevano fino alla costa tirrenica della penisola italica, passando attraverso lo stretto di Messina, fondarono qui la prima di una lunga serie di colonie greche in Sicilia8. Per circa tre secoli Naxos conservò una certa importanza, soprattutto religiosa: lo storico ateniese Tucidide, infatti, narra che qui fosse stato edificato l’altare, mai ritrovato, di Apollo Archegétes, dio protettore della colonizzazione. Circa tre secoli più tardi, si ha notizia del fatto che i Naxioti, minacciati dal tiranno Dionigi di Siracusa, si spostarono sul colle sovrastante la colonia, comprendendone già la posizione strategica dal punto di vista difensivo, e ponendo così inizio alla storia di Tauromenion9. Nel IV sec. a.C. la colonia greca venne distrutta dal tiranno siracusano nel corso della guerra tra Atene e Siracusa, poiché essa aveva scelto di allearsi con la polis greca. Iniziò

7. Giardini Naxos divenne comune indipendente solo nel 1846. 8. È ampiamente condivisa l’ipotesi che il popolo dei Siculi abitasse l’isola ancor prima della colonizzazione greca: le prime tracce di civiltà in Sicilia risalgono infatti al periodo del Neolitico. 9. Varie ed incerte sono le ipotesi sulle origini del nome. Appare certo tuttavia che Tauro sia un riferimento alla forma a due punte del promontorio sul quale sorge Taormina.

CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 25


così per Naxos un periodo di “oblio” che la vide diventare sostanzialmente porto della vicina Taormina; quest’ultima, nei secoli successivi diventa obiettivo di colonizzazione e conquista per un susseguirsi di civiltà diverse, accodandosi del resto al destino della Sicilia intera. Romani, Bizantini, Arabi, Saraceni, Normanni, Spagnoli, trovavano nella baia di Naxos prevalentemente un luogo di riparo e una tappa intermedia durante le lunghe navigazioni. Ma come accadde per l’intera regione, tale susseguirsi di dominazioni, se da un lato ha delineato un percorso storico travagliato e non sempre pacifico, dall’altro ha determinato l’inestimabile patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale, che solo una tale stratificazione e fusione di culture diverse può determinare. Esaurita gradualmente la sua antica funzione militare, ed avendo perso con il sisma del 1693 le élite nobiliari che abitualmente vi soggiornavano, nel XVII sec. Taormina appariva come un piccolo borgo, incantevole nel suo aspetto medievale ed impreziosita dai resti greci e romani, ma sostanzialmente povera ed affatto sviluppata economicamente. Essa avrebbe da lì a poco scelto la sua vocazione prettamente turistica, ed a contribuire a tale scopo esisteva già 26 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


una marina di Taormina alla quale si discendeva dal sentiero Madonna delle Grazie. Suggestivi cenni dell’esistenza di questa discesa si hanno anche dalle testimonianze degli ospiti europei che abitavano tra le vie del borgo ionico: ad esempio, dalle lettere scambiate tra Wilhem Von Gloeden e Oscar Wilde, che fu ospite del fotografo tedesco, si apprende che era comune per gli abitanti di Taormina percorrere la stradina, anfore in spalla, per approvvigionarsi di acqua di mare, o per marinai e pescatori, per guadagnarsi i luoghi di pesca. A questo periodo dovrebbe risalire l’origine di Villagonia, la frazione affacciata sulla piccola omonima baia. Furono probabilmente la sua bellezza inalterata e tranquillità, che contrastano piacevolmente con la sua denominazione come in un ossimoro verghiano, ad attirare qui diverse famiglie nobiliari, tanto che alcune di queste vi stabilirono la loro residenza, come i Lecomte e i San Martino. Questi ultimi risiedevano in una dimora storica comunemente definita Castello di Villagonia, poiché per imponenza e ricchezza era paragonabile all’altro castello di Giardini, quello della famiglia De Spuches. L’edificio fu demolito nel 1913 per ampliare l’attuale stazione ferroviaria, che ne riprende in parte le forme10.

10. D. Cosentino, Storia, arte e invenzione, in La stazione Taormina-Giardini: l’arrivo, la partenza, il sogno, Ferrovie dello stato, Messina, 1997, pp. 19-20

CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 27


Figura 1.11 A destra, il castello di Villagonia in una cartolina dei primi del ‘900 Figura 1.12 In basso, la stazione di Taormina-Giardini in una foto del 1928

28 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


La frazione iniziò ad avere una certa importanza anche economica a partire dalla metà dell’800, quando fu inaugurata la tratta ferroviaria MessinaSiracusa. Infatti, oltre alle attività economiche tradizionali legate alla coltivazione degli agrumi e degli ulivi, si ha notizia anche di una certa attività industriale, ad opera prevalentemente di imprenditori europei, che dagli ultimi decenni dell’800 stabilirono qui le loro imprese11.

11. A. Calì, Taormina a traverso i tempi, N. Giannotta, Catania, 1887, p. 209

CAP 1 IL CONTESTO STORICO-GEOGRAFICO 29



L’ANAMNESI

2


Figura 2.1 Alla pagina precedente, dettaglio di un manoscritto anonimo sulle origini del convento Figura 2.2 Planimetria dell’area di intervento

32 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


IL SITO Percorrendo in direzione Messina la strada statale, dopo aver superato la stazione ferroviaria Taormina-Giardini e prima di giungere a Capo Taormina, il visitatore troverà alla sua sinistra il complesso architettonico costituito dal Convento dei frati minori cappuccini, ed annessa ad esso, la chiesa della Madonna del Rosario di Pompei. Il nome dell’edificio deriva naturalmente dai frati che nei primi anni del ‘900 ne vollero la costruzione, mentre l’intitolazione della chiesa risponde ad una tradizione piuttosto ricorrente per le chiese edificate tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Si tratta di un complesso che occupa un lotto di forma pressoché regolare, a forma di “L”, il cui lato lungo è posto longitudinalmente alla strada, ed il lato corto, perpendicolarmente ad essa. Il lotto è delimitato a sud da via Nazionale, ad ovest e ad est confina con proprietà private, mentre a nord è delimitato da una proprietà privata e da verde pubblico. Ad un primo sguardo il complesso si distingue nettamente dagli edifici vicini per forma e dimensione. Esso si erge con imponenza dalla strada, dalla quale è separato solo da uno stretto marciapiede. La ridotta larghezza della sede stradale, e l’impossibilità di porsi di fronte al complesso in un punto CAP 2 L’ANAMNESI 33


di osservazione più lontano, fanno sì che sia possibile osservarlo nella sua interezza soltanto di sguincio, amplificando così visivamente, lo sviluppo in lunghezza del prospetto principale. Tuttavia gli edifici, stagliandosi sullo skyline della borgata, risultano visibili da tutti i punti posti sul litorale che va da Giardini al capo Taormina, grazie alla posizione direttamente affacciata sulla strada e l’assenza di costruzioni che si interpongano visivamente tra questi ed il mare. Come già accennato, la strada statale ricopre qui un ruolo fondamentale, ed anche da un punto di vista puramente visivo riesce a far sentire la sua “ingombrante” presenza, costringendo il visitatore che attraversa questi luoghi ad un percorso che a piedi risulterebbe scomodo, oltre che pericoloso – per la

34 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


presenza saltuaria ed irregolare dei marciapiedi – e non in grado di conferire la corretta percezione delle emergenze che la punteggiano. Il complesso, seguendo la forma del lotto che occupa, si articola in due corpi principali, entrambi coperti da un tetto a falde: quello posto sul lato lungo del lotto è occupato dal convento, quello posto sul lato corto ospita invece la chiesa. Alle spalle di essa, e di una porzione del convento, si sviluppa un giardino a terrazzamenti, i quali seguono la naturale orografia del territorio. Ma, oltre che dalla planimetria, preziose informazioni ci giungono dall’osservazione in sezione degli edifici: infatti, immaginando di sezionare il complesso con un piano che intersechi trasversalmente il corpo del convento, è

CAP 2 L’ANAMNESI 35


Figura 2.3 Alla pagina precedente, analisi effettuate sul contesto territoriale del convento di Villagonia Figura 2.4 Profili ambientali

36 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE�


possibile osservare come questo si innesti in un particolare contesto orografico, assolutamente coerente con il paesaggio che circonda l’altura di Taormina. Il convento e la chiesa sono infatti incastonati in un pendio che da oltre 200 metri di altezza, giunge al mare con una pendenza considerevole, definendo di fatto gli edifici come semi-ipogei. Di pertinenza del convento è anche l’appezzamento di terreno situato di fronte ad esso, attualmente occupato da vegetazione incolta.

CAP 2 L’ANAMNESI 37


Figura 2.5 In basso, una ricostruzione di A. Dillon della colonia romana Tauromenion Figura 2.6 In alto a destra, l’antica torre dell’orologio a Taormina Figura 2.7 In basso a destra, le cosiddette Naumachie

38 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


L’ANALISI DIACRONICA DELLE VICENDE URBANISTICHE Il convento e la chiesa dei frati Cappuccini di Villagonia hanno vissuto una storia che, anche se relativamente breve, si è intrecciata con alcune vicende rilevanti della vita ecclesiastica, civile ed economica del territorio, che saranno approfondite nel presente paragrafo. Non sono molte le notizie sulla storia urbanistica delle città di Taormina, e in particolare di Giardini Naxos, ma molte informazioni possono essere ricostruite sulla base di una lettura critica, in chiave urbanistica, degli scritti che molti studiosi hanno prodotto sulle due località.

TAORMINA - È noto che in seguito alla distruzione di Naxos ad opera di

Dionigi, Taormina divenne una colonia romana. Ai romani deve essere apparsa molto importante ed evoluta la civiltà che vi trovarono, tanto che fu consentito alla colonia di mantenere una certa autonomia, oltre che la lingua greca. Alla pagina accanto, una illustrazione di Dillon rappresenta, in modo concettuale, un’ipotesi dello studioso e architetto su come la struttura urbanistica della colonizzazione romana si sia potuta innestare sull’impianto di epoca greca: si possono scorgere due direzioni principali, ortogonali tra loro, che si intersecano nel Foro Romano, il quale coinciderebbe con l’attuale CAP 2 L’ANAMNESI 39


piazza Vittorio Emanuele II. Gli edifici più importanti, i templi, il teatro, l’odeon ed il ginnasio si trovano tutti lungo queste due arterie principali, che esistono ancora oggi e si identificano nelle attuali via Teatro Greco e Corso Umberto I. È interessante notare come anche i romani non poterono sfuggire al confronto con la situazione orografica a tratti impervia, e tenendo fede alla loro maestria ingegneristica, adottarono una particolare soluzione progettuale con lo scopo di ricavare una grande area pianeggiante: realizzarono infatti un terrazzamento e crearono un’intercapedine per mezzo di una imponente struttura in mattoni pieni, caratterizzata da una sequenza di nicchie, e nel vuoto tra il muro e la parete rocciosa fu ricavata una grande cisterna. Un tratto del muro, denominato impropriamente Naumachia12 è ancora oggi visibile. In seguito ai Romani, Taormina fu dominata in sequenza dai Bizantini, 12. Lo storico Jacques Philippe D’Orville nel XVIII descrisse per primo questi resti, denominandoli Naumachie, in quanto suppose che fossero una delle pareti di una grande vasca che potesse servire per spettacoli di battaglie acquatiche. Studi successivi hanno confutato questa ricostruzione, avvalorando invece la tesi che il muro servisse per contenere il grande serbatoio, e contemporaneamente delimitasse un ginnasio.

40 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

dagli Arabi e dai Normanni. Si pensa che risalga al periodo arabo (X-XII sec.) l’ampliamento del sistema di mura di fortificazione della città, particolarmente necessario nel caso di Taormina per via della sua posizione strategica. Ma è noto che in epoca medievale esistevano già quattro ordini di mura di cinta, ciascuna con la sua porta d’accesso: di queste la più antica, è l’attuale Porta dell’orologio,


le cui origini sembrano risalire all’età greca; seguono cronologicamente Porta S. Antonio (distrutta dai bombardamenti del 1943), Porta Catania e Porta Messina. Probabilmente i quattro ordini di mura avevano tutti come punto di congiunzione il Castello del Monte Tauro13. Dal periodo medievale, dunque, l’assetto urbanistico del centro storico di Taormina rimase pressoché invariato, mantenendo come asse di sviluppo il Corso Umberto I.

GIARDINI NAXOS E VILLAGONIA - In seguito alla distruzione della polis

greca, Naxos perse del tutto la sua importanza commerciale e religiosa, e fu ridotta unicamente a porto di Taormina. In epoca medievale esistevano già vari edifici di fortificazione che costituivano un sistema per la difesa dal mare; tra questi i più rilevanti sono il Castello di Schisò, di origine saracena, il Torrione Vignazza, posto nelle vicinanze del sito dell’antica polis greca, ed il Castello di Villagonia, oggi non più esistente. Tali edifici rispondevano all’esigenza di difesa dalle coste dai corsari, ed appartenevano ad un più vasto progetto di difesa voluto nel XVI sec. che prevedeva per la costa orientale della Sicilia un sistema di torri d’avviso per

13. La sua realizzazione è di epoca arabo-normanna, ma si ritiene attendibile l’ipotesi che fosse stato realizzato nel sito dell’acropoli greca

CAP 2 L’ANAMNESI 41


Figura 2.8 A sinistra, il castello di Schisò a Giardini Naxos Figura 2.9 A destra, il torrione Vignazza, all’interno del parco archeologico di Naxos

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comunicare con segnali visivi l’imminente pericolo proveniente dal mare. È noto che in questo periodo l’area giardinese fosse occupata prevalentemente da coltivazioni di agrumi (da cui deriva il nome moderno: “giardino”, in dialetto, è l’agrumeto). Questi prodotti, insieme all’olio d’oliva, rappresentavano uno dei fulcri dell’economia della zona, e venivano trasportati oltre che via mare, anche via terra, attraverso l’antica Via Consolare Valeria; tale strada, di chiara origine romana, fino al XIX secolo rimase l’unica via di collegamento con le città vicine. È intorno alla prima metà del XVIII secolo che nacque il primo nucleo della moderna Giardini, come un aggregato di piccole abitazioni in quello che oggi è il quartiere Saja; si tratta di edificazioni modeste, appartenenti ai pescatori, o ai Taorminesi più abbienti che le utilizzavano come case di villeggiatura, e qualche “fondaco”, ostelli per i viaggiatori che sostavano nella zona provenendo dal mare o dalla terraferma. A fissare una data precisa è, nel 1719, l’edificazione della prima Parrocchia, quella di Santa Maria Raccomandata. Nei primi anni dell’800 Giardini iniziò ad arricchirsi grazie al commercio degli agrumi, che venivano esportati verso il Nord, sia italiano che europeo, e pertanto ad accrescersi in popolazione, finché la frazione di Taormina cominciò CAP 2 L’ANAMNESI 43


Figura 2.10 Pianta prospettica di Giardini Naxos, S. Musorella

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a sentire il bisogno della propria autonomia, che ottenne nel 1846. In quel periodo l’abitato si era ampliato dal torrente Sirina al torrente San Giovanni14. Nell’illustrazione alla pagina accanto, lo studioso Salvatore Musorella ricostruisce come poteva presentarsi il territorio di Giardini nella prima metà del XIX secolo. Sono immediatamente individuabili i corsi d’acqua che bagnano il territorio, e la strada statale le cui estremità conducono da un lato in direzione Catania, dall’altro risalgono le alture per condurre a Taormina. L’abitato di giardini è distribuito in maniera non uniforme lungo la costa, ma il nucleo più consistente è certamente nella parte destra della rappresentazione, in direzione Messina; sono inoltre rappresentati i resti della colonia Naxos15. La frazione di Villagonia appare rappresentata unicamente dal castello dei San Martino, tuttavia è visibile una piccola stradina che sale verso Taormina, che sicuramente è la già citata via Madonna delle Grazie. È ipotizzabile quindi che in questo periodo, la già conosciuta frazione di Villagonia abbia iniziato il suo sviluppo urbano accodandosi a quanto stava avvenendo a Giardini. Una svolta fondamentale all’assetto urbanistico della costa fu data dalle

14. F. Salimbene, M. Vinciguerra, R. Talio, Naxos e Giardini nei secoli, R. Spadaro, Catania, 1973 15. Gli scavi che riportarono alla luce la colonia greca iniziarono a fine 800 e sono tuttora periodicamente in corso

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46 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.11 Alla pagina accanto, la baia di Villagonia in una cartolina di fine ‘800, con evidenziati in azzurro il castello dei San Martino ed in rosso l’area dell’attuale convento dei frati cappuccini

le realizzazioni infrastrutturali dell’800. Nel 1833 i Borboni vollero realizzare una litoranea che collegasse Messina e Catania: nacque quindi l’attuale strada statale 114. L’evento fu certamente determinante per l’assetto urbanistico di Villagonia in quanto l’attuale abitato si sviluppa quasi interamente lungo tale via di comunicazione. Nel 1866 fu invece inaugurata la tratta ferroviaria MessinaSiracusa. Tale evento ebbe forse ancor più risonanza, in quanto poneva le basi per solidi rapporti commerciali con le altre città della costa ionica. La presenza della stazione di Taormina-Giardini proprio nella frazione Taorminese fece probabilmente da attrattore per gli imprenditori che intendevano stabilire qui le loro imprese, incoraggiati dalle possibilità commerciali del collegamento su rotaie. Nella metà dell’800 crebbe quindi l’importanza economica di Villagonia, che diventò a tutti gli effetti una piccola ma efficiente zona industriale, sede di attività legate alla lavorazione del ferro, del legno, dei prodotti agricoli, ma soprattutto alla produzione di calce idraulica. Di tali attività si hanno notizie sin dal XVIII sec., ma di certo esse furono ulteriormente rafforzate dalla realizzazione della linea ferrata. Ulteriori informazioni preziose giungono dalle foto storiche di fine ‘800 CAP 2 L’ANAMNESI 47


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Figura 2.12 Alla pagina accanto, vista della baia di Villagonia in una foto storica

(fig. 2.11 e 2.12): è possibile, infatti, vedere come il borgo si fosse già delineato nelle sue componenti strutturali principali; sono già presenti la strada statale e la ferrovia, e l’abitato si sviluppa ai piedi delle alture, ai lati delle vie di comunicazione. È ancora presente il castello dei San Martino, che sarà demolito nel 1928 per far posto all’ampliamento della stazione ferroviaria.

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Figura 2.13 A sinistra, la chiesa di San Giuseppe in Taormina Figura 2.14 A destra, l’attuale chiesa di Santa Caterina, realizzata sui resti dell’odeon romano

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LE ORIGINI DEL COMPLESSO DI VILLAGONIA Come già accennato, le vicende del convento di Villagonia si intrecciano con la storia ecclesiastica e civile di Taormina. Le sue origini risalgono ai primi anni del ‘900, quando un gruppo di frati cappuccini iniziò la sua opera spirituale a Giardini.

I FRATI CAPPUCCINI IN TAORMINA Le origini della presenza dei Cappuccini a Giardini e Taormina si riconducono a molto prima del XX sec. L’ordine infatti approdò a Messina, con il suo primo convento in Sicilia, nel 1533, ed in poco più di 40 anni si diffuse tanto da realizzare nell’isola decine di conventi. In questo arco di tempo i Cappuccini giunsero anche a Taormina, ove edificarono il loro primo convento nel 1551, grazie alle offerte dei fedeli. L’antico convento sorgeva nella parte settentrionale della città, fuori dalle mura, nei pressi dell’attuale via Vecchio Macello. È noto che il primo convento fosse un edificio molto modesto, ad un piano, con 29 celle, ed ubicato accanto ad una piccola chiesa preesistente. Quest’ultima era intitolata a Santa Caterina Alessandrina, ma fu venduta ai Cappuccini nel 1622, i quali la intitolarono a S. Giuseppe16.

16. In seguito una nuova chiesa fu intitolata a Santa Caterina e si trova oggi sui resti dell’odeon romano

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Figura 2.15 In alto, la fabbrica di calce idraulica dei fratelli Lecomte in una foto storica Figura 2.16 In basso, una cartolina pubblicitaria del 1892 diretta a Potenza dimostra come la fabbrica Lecomte fosse conosciuta anche fuori dalla regione

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Nel XVIII e XIX secolo la presenza cappuccina a Taormina assunse una grande importanza spirituale, tanto che, come disponevano le regole dell’ordine, esisteva una importante e ricca biblioteca, i cui volumi confluirono in seguito nella biblioteca comunale della città. La vita dei frati si svolse per più di due secoli in serenità, contraddistinta dalla dedizione alla comunità taorminese, alla quale i frati offrivano il loro supporto spirituale, fino al 1866, data della soppressione degli ordini religiosi17. Con la legge eversiva, infatti, lo stato acquisì il convento, il quale, seguendo le sorti dei molti altri edifici religiosi confiscati, venne riconvertito ad uso civile divenendo prima un ospizio, ed in seguito un carcere, destinazione che perdurò fino al 1950. Ai frati ancora in vita fu consentito di continuare ad abitare le restanti celle, fin quando, nel 1896, l’ultimo di essi morì. Nel 1902 il sindaco di Taormina concedette la chiesa e la parte del convento non adibita a carcere al canonico di Messina Annibale Maria di Francia, il quale vi fondò un orfanotrofio e lo affidò all’ordine di suore da lui stesso fondato, le Figlie del Divino Zelo. Nel 1950 le suore fecero ristrutturare il complesso e lo trasformarono in un istituto scolastico, che tuttora gestiscono.

17. Con il Regio decreto 3036 del 7 luglio 1866, e la legge 3848 del 15 agosto 1867, il nascente stato italiano decretò la soppressione degli ordini e delle corporazioni religiose, e la confisca dei loro beni con lo scopo di abbattere il potere economico della chiesa. Fu un momento storico fondamentale dal punto di vista politico, in quanto accentuò lo scontro con la Chiesa Cattolica, che sarà sedato solo con la firma dei Patti lateranensi nel 1929, ma anche dal punto di vista economico, sociale e culturale.

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Figura 2.17 In alto, Valentino Lecomte Figura 2.18 In basso, Carolina Lecomte, nipote e sposa di Valentino Lecomte

LA FAMIGLIA LECOMTE A VILLAGONIA Intorno al 1880 i fratelli belgi Gastone (?-1914) e Valentino Lecomte (18381912) si stabilirono in Taormina. Essi, attirati dalle potenzialità economiche della zona che si andava espandendo, vista la recente realizzazione delle infrastrutture viarie e ferroviarie, avevano deciso di investire qui i loro capitali nella produzione di calce idraulica. L’utilizzo della calce idraulica era noto sin dagli inizi del XVIII secolo, quando si scoprì che dalla cottura ad alte temperature di roccia calcarea contenente una piccola quantità di argilla si otteneva un prodotto ottimo per le costruzioni, in quanto garantiva alle murature maggiore impermeabilità e resistenza ai cambi climatici rispetto alle altre malte utilizzate fino ad allora, ma soprattutto poteva essere utilizzato a contatto con l’acqua. Tale proprietà parve fondamentale e fu accolta con entusiasmo in una zona costiera quale quella catanese e messinese, considerate le nascenti esigenze di edificazioni portuali. L’area dell’Alcantara è ricca in pietra calcarea e nel 1863 era già stata realizzata a Villagonia una fabbrica di calce idraulica col fine di produrre il materiale necessario alla realizzazione dei tratti di ferrovia Messina-Siracusa e Catania-Leonforte. I fratelli Lecomte acquistarono questa fabbrica e ne 54 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


proseguirono l’attività. Essa era localizzata nei pressi del torrente Sirina, avvantaggiata dalla vicinanza della cava, posta alle sue spalle, e della stazione ferroviaria, a poche decine di metri. Con una superficie di circa 1500 m2 e 9 forni attivi la fabbrica arrivava ad una produzione di 50 tonnellate di calce idraulica al giorno; l’area è attualmente occupata da una stazione di rifornimento, ma sono visibili nel sito i resti di una delle fornaci, una torre dalla forma circolare alta più di 20 metri. Dalle ricerche condotte presso l’archivio provinciale dei Frati Minori Cappuccini si apprende che i Lecomte avevano continuato i rapporti economici con le Ferrovie dello Stato, fornendo loro la calce idraulica, fatto confermato anche da un’intervista condotta ai discendenti della famiglia Lecomte, i signori Marsili Bottari. Probabilmente anche questo legame commerciale contribuì a far conoscere la calce prodotta dalla fabbrica, che veniva utilizzata frequentemente nelle opere edili della zona, ed esportata grazie alla vicinanza della linea ferroviaria e del mare. La consapevolezza della bontà del loro prodotto ed il comprensibile desiderio di espandere il proprio mercato anche al di fuori della regione, portarono gli amministratori della fabbrica a commissionare, CAP 2 L’ANAMNESI 55


Figure 2.19, 2.20, 2.21 Particolari di fotografie storiche che ritraggono la baia di Villagonia, rispettivamente a fine ‘800 (in alto a sinistra), nel 1908 (a destra) e nel 1929 (in basso a sinistra), collezione privata G. Mercurio

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nel 1883, uno studio al professore Orazio Silvestri, ordinario di Chimica presso l’Università degli studi di Catania. Egli, dopo aver analizzato la calce ottenuta nello stabilimento, afferma come questa «sia di efficacissimo effetto, come si leghi bene con le sabbie a formare dei calcestruzzi e delle malte che ben presto e tenacemente induriscono; per cui devesi in conclusione ritenere come di grande utilità l’avere stabilito in Sicilia questa importante industria»18. I Lecomte realizzarono in Villagonia anche altre edificazioni: un gruppo di case a ballatoio, e la loro residenza privata. Il primo, adiacente al sito un tempo occupato dalla fabbrica di calce idraulica, era destinato alla residenza dei dipendenti dell’impresa dei Lecomte19; la seconda, adiacente al complesso oggetto della presente tesi, è una dimora realizzata in un composto stile liberty siciliano, che tutt’oggi spicca per la sobria eleganza. 18. O. Silvestri, Fabbrica di calce idraulica premiata con medaglia d’oro all’esposizione di Messina 1882 in Giardini (Sicilia) Proprietà di Valentino Lecomte...: notizie geologiche ed analisi chimiche, Dalla Tip. Ribera, Messina 1883, p. 23 19, Informazione riferita dai signori Marsili Bottari, discendenti della famiglia Lecomte.

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Figg. 2.22, 2.23, 2.24, 2.25 In senso orario: padre Antonio da Patti; i frati cappuccini in preghiera nel coro della chiesa di Villagonia; i frati cappuccini davanti all’ingresso della chiesa di Santa Maria Raccomandata in Giardini Naxos; il gruppo scultoreo della Madonna del rosario di Pompei, collocato nell’abside della chiesa di Villagonia

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L’ANALISI DIACRONICA DELLE VICENDE COSTRUTTIVE DALLE ORIGINI AL 1943 Adiacente alla loro residenza i Lecomte fecero realizzare nel 1893 una piccola cappella in onore della Madonna del Rosario di Pompei, con lo scopo di soddisfare le necessità spirituali della famiglia e del piccolo borgo che si andava espandendo. Per celebrare tale costruzione fu realizzata un’epigrafe tutt’ora collocata all’esterno della chiesa. La piccola cappella fu affidata alla cura del cappuccino Padre Antonio da Patti, giunto a Giardini nel 1910. A quella data Gastone Lecomte aveva perduto due figli, morti di tubercolosi, e l’ultima figlia era anch’ella gravemente malata. Preziosa a questo proposito è la testimonianza di Padre Agostino da Giardini, che racconta di un profondo rapporto spirituale che legava Lecomte a Padre Antonio da Patti: egli probabilmente era consapevole che la sua diretta discendenza si sarebbe estinta, e desiderava inoltre che si perpetuasse il culto nella cappella. Fu probabilmente per questi motivi che l’imprenditore belga decise di donare al frate il luogo di culto, ma nel 1914, prima di poter concretizzare la sua donazione, Gastone Lecomte venne a mancare. A continuare la volontà del CAP 2 L’ANAMNESI 59


defunto fu la moglie Carolina (1864-1923), che completò la donazione della cappella con la richiesta di “custodirla, ripararla, arredarla, celebrarvi la messa senza percepire elemosina”20. A spese della vedova fu edificato quindi il convento, un edificio rettangolare a due piani, con al piano terra delle abitazioni date in affitto a famiglie laiche, ed al primo piano 17 celle per i frati. L’edificio fu inaugurato il 29 dicembre del 1915, e dalle fonti cappuccine si apprende che per celebrare l’avvenimento venne portato nella cappella, poco prima della chiusura delle frontiere per il conflitto mondiale, un gruppo scultoreo realizzato in Austria e raffigurante la Madonna del rosario di Pompei, tutt’ora conservato nell’abside dell’attuale chiesa: come l’iconografia prevede, la Madonna è al centro, Gesù, in braccio, porge il rosario a san Domenico, sulla sinistra; alla destra vi è Santa Caterina da Siena. Dalle ricerche condotte presso l’archivio provinciale dei Cappuccini 20. P. Agostino da Giardini, I frati minori cappuccini in Taormina e Giardini, SPES, Milazzo, 1965, p. 138 21. Archivio Provinciale dei Frati Minori Cappuccini di Messina (APC), Fondo Conventi, Busta Taormina, fascicolo 3

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emerge un manoscritto anonimo21 contenente le memorie delle vicende del convento: dalla sua lettura si apprende che la cappella fu donata insieme a 9 case terrane adiacenti ad essa, fatto confermato da Padre Agostino da Giardini


che a tal proposito scrive «[Carolina Lecomte] vendette […] la chiesetta e le nove stanzette attigue, sulle quali la famiglia Lecomte e i frati pensavano costruire un conventino»22. Purtroppo le ricerche condotte non hanno portato al ritrovamento di disegni di progetto originali che potrebbero confermare o smentire la tesi della preesistenza del piano terra; e nemmeno sono stati rinvenuti mappe catastali o rilievi fotogrammetrici antecedenti alla data di edificazione del convento, pertanto le uniche fonti certe alle quali affidarsi sono le fotografie storiche. Si nota nelle foto antecedenti alla data di edificazione del convento l’esistenza di un corpo di forma rettangolare ad una elevazione, evidenza che sarebbe compatibile col rilievo delle murature, che ha rivelato un cambio di tessitura muraria tra il piano terra ed il primo piano. Appare verosimile quindi che il piano terra sia antecedente al 1914, e al di sopra dell’edificazione esistente fu realizzato il primo piano del convento. Tra il 1915 e il 1920 furono compiute altre generose donazioni dalla vedova Lecomte, la quale comprò due appezzamenti di terreno per donarli ai frati: uno a monte del convento, con l’auspicio che i religiosi potessero

22. P. Agostino da Giardini, I frati minori cappuccini in Taormina e Giardini, op. cit., p. 138

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utilizzarlo come orto, e l’altro prospiciente ad esso, acquistato soprattutto per evitare che altri vi costruissero edifici che potessero ostruire la piacevole vista della baia. Tale pregio doveva essere molto apprezzato al tempo, tanto che diversi visitatori rimasero piacevolmente colpiti dalla posizione panoramica dell’edificio. Padre Giustiniano da Patti scrive a proposito:

“[Il convento di Villagonia] non possiede la solitudine dell’antico convento23, ha però il pregio di ammirare la meravigliosa bellezza del mare che mormora ai piedi con ritmo incessante”.24

Nel frattempo la comunità che orbitava intorno alla parrocchia di Villagonia era in perenne crescita, e la cappella non era più sufficiente ad accogliere tutti i fedeli. Alla fine del primo conflitto mondiale venne decisa quindi la realizzazione 23. Allude al convento di Taormina soppresso nel 1866. 24. P. Giustiniano da Patti, Cenni storici sui Conventi, Frati illustri, Scrittori e opere, ms., Messina, Curia Provincializia dei Frati Minori Cappuccini, citato in P. Agostino da Giardini, I frati minori cappuccini in Tavormina e Giardini, op. cit., p. 143

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di una nuova e più grande chiesa. Il progetto fu commissionato all’ingegnere Saro Trifiletti, progettista che operò a Messina e nei comuni limitrofi negli anni successivi al terremoto del 1908. La costruzione della nuova chiesa iniziò il 1920 e proseguì fino al 1926, quando l’arcivescovo Paino la consacrò nel mese


di dicembre. Al 1928 risale una cartolina che mostra il prospetto principale del complesso (pag. seguente): grazie ad essa è possibile osservare come la chiesa ed il convento appaiano quasi del tutto simili a come si presentano attualmente. Tuttavia è interessante notare la mancanza di un vano al primo piano, al di sopra dell’ingresso del convento, e l’esistenza della falda minore del tetto laddove oggi è presente un terrazzo. Tale conformazione è coerente con quanto emerge dalle prime planimetrie catastali rinvenute, risalenti al 1939 (pagg. 71 e 72). La loro analisi evidenzia le prime informazioni certe sull’organizzazione planimetrica dell’edificio: al piano terra le 9 unità seguono lo sviluppo tipico della tipologia edilizia della casa terranea, presentando una cellula su strada e un’altra sul retro, con quest’ultima che dà l’accesso ad un cortile che ospita i servizi igienici. La decima unità, quella più ad ovest e adiacente la chiesa, consente l’accesso alla sacrestia e, attraverso una scala che corre lungo il perimetro del vano, al piano superiore. Il primo piano è occupato interamente dagli ambienti destinati alla vita dei frati: 17 celle, il refettorio, una cucina, una piccola cappella privata e i servizi igienici. CAP 2 L’ANAMNESI 63


Figura 2.26 Il convento e la chiesa di Villagonia raffigurati in una cartolina del 1928

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DAL 1943 AL 1955 Il 9 luglio 1943 i bombardamenti raggiunsero Taormina distruggendo abitazioni civili e danneggiando gravemente la stazione ferroviaria e l’ex convento San Domenico, bersaglio prescelto poiché all’epoca era sede di un comando tedesco25. Data la vicinanza, in linea d’aria, tra quest’ultimo e Villagonia, il lancio degli ordigni colpì anche il complesso dei frati cappuccini, danneggiando gravemente la chiesa (la facciata principale, parte del prospetto est e il tetto) e parzialmente il convento, tanto da renderlo inabitabile26. Nel successivo anno furono effettuate delle riparazioni grossolane per rendere di nuovo fruibili il convento e la chiesa, ma apparivano ineludibili dei lavori di riparazione più ampi ed efficaci. Dal 1952 al 1955, in virtù del decreto n° 1543 del 20/10/1940 sui danni bellici, furono ordinate al genio civile di Messina l’esecuzione di tre campagne di lavori di restauro, i cui resoconti sono stati frutto delle ricerche condotte

Prima campagna, 1952, diretta dall’ing. Francesco Campanella, ed eseguita

25. V. Andò, L’attività del 51° Corpo Vigili del Fuoco durante i bombardamenti sulle città di Messina, S. Agata di Militello, Milazzo, Giardini e Taormina, Litostampa Idonea, Catania 2007, p. 131

dalla ditta Lombardo Paolo: viene realizzato un nuovo tetto a capriate in

26. P. Agostino da Giardini, I frati minori cappuccini in Taormina e Giardini, op. cit., p. 159

cemento armato a copertura della chiesa, mutando quindi la natura della

27. Archivio di Stato di Messina, fondo Genio Civile

presso la sede dell’Archivio di Stato di Messina27: •

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Figure 2.27 e 2,28 Fotografie scattate nel 1955 durante la realizzazione dell’intercapedine lungo il fronte est della chiesa della Madonna di Pompei

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precedente struttura, in legno. Viene demolita inoltre la falda minore del tetto del convento per far posto ad una copertura piana, ed eseguiti altri lavori di rifinitura tra i quali il più rilevante è l’intonacatura dei prospetti esterni della chiesa. •

Seconda campagna, 1952-53, diretta dall’ing. Mario Petraroli ed eseguita dalla Giacobello Antonino: vengono realizzate delle superfetazioni nel giardino retrostante il convento, da adibire a locali lavanderia e magazzino, e riedificata l’intercapedine lungo il lato nord della chiesa. Vengono inoltre eseguite opere varie di finitura, sia nella chiesa sia nel convento, come rifacimenti della pavimentazione, della boiserie in marmo, sostituzione di parte dei coppi del manto di copertura, e il rifacimento dell’altare policromo in marmo.

Terza campagna, 1955, diretta dall’ing. Domenico Longone ed eseguita dalla ditta Parisi Rosario: viene realizzata un’intercapedine lungo il lato est della chiesa.

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DAL 1955 AD OGGI Risale al 1994 una nuova mappatura catastale (pagg. 72 e 73) che ci dà informazioni utili su come sia cambiato l’assetto planimetrico del convento nella seconda metà dello scorso secolo. Dal confronto con le precedenti planimetrie catastali si evince che furono eseguite rilevanti modifiche alla sistemazione interna ed ai collegamenti verticali. Al piano terra sono stati ricavati due corridoi: uno lungo il lato sud, realizzando delle aperture lungo le murature che separavano le cellule delle originarie case terrane, e uno lungo il lato nord, collegando tra loro quelli che in precedenza erano i cortili delle abitazioni laiche. I servizi igienici, che in precedenza erano localizzati nei cortili, sono stati quindi ricavati all’interno dei locali. È stata realizzata nel corridoio nord una scala che conduce direttamente all’orto, mentre è stata spostata più a nord la scala che conduce alle celle dei frati. Al primo piano l’organizzazione planimetrica è rimasta pressoché invariata a meno delle aggiunte edificate durante i lavori di restauro degli anni ’50 che hanno ridotto la superficie libera del giardino e ostruito parte del fronte nord. Nel 2001 due soli monaci, i fratelli Vincenzo e Teodoro Di Bella, rimanevano ad abitare il convento. La curia provinciale dei Cappuccini decretò 68 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


pertanto che il convento venisse chiuso, in quanto la sua gestione veniva giudicata troppo onerosa da sostenere in rapporto al numero dei suoi abitanti. Nello stesso anno la ferma decisione fu portata a compimento ed il convento venne definitivamente chiuso, con il malcontento generale della comunità religiosa della città, che era spiritualmente legata alle due figure pastorali. Da quel momento il convento di Villagonia versa in stato di abbandono; la chiesa della Madonna di Pompei esercita ancora la sua funzione e viene aperta al culto settimanalmente in occasione della messa domenicale. Nel 2016 vennero effettuati dei lavori di messa in sicurezza: il primo consistette nello smantellamento di gran parte dell’intonaco del prospetto principale, che era quasi totalmente distaccato e costituiva un pericolo di caduta di calcinacci per i passanti. Il secondo riguardò la messa in sicurezza di una porzione del muro di contenimento di uno dei terrazzamenti dell’orto, immediatamente retrostante la chiesa, come prevenzione nel caso di forti piogge che avrebbero potuto determinarne il ribaltamento per eccesso d’acqua nel terreno.

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Figura 2.29 Sintesi dell’evoluzione storica del complesso di Villagonia

70 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


CRONISTORIA ESSENZIALE 1893

La famiglia Lecomte fa edificare accanto alla propria abitazione una cappella dedicata alla Madonna del Rosario di Pompei

1914

Gastone Lecomte decide di donare a Padre Antonio da Patti la cappella e le case terrane adiacenti

1915

I frati cappuccini costruiscono il Convento di Villagonia; Carolina Lecomte acquista per i frati due appezzamenti di terreno da adibire ad orto

1920-26

Viene edificata la nuova chiesa su progetto dell’ing. Trifiletti

9 luglio 1943

I bombardamenti raggiungono Taormina e danneggiano la chiesa ed il convento

fine 1943

Vengono eseguiti lavori di ristrutturazione grossolani

1952-1955

Il genio civile di Messina ordina tre campagne di restauro

2002

Il convento viene chiuso

2016

Vengono eseguiti lavori di messa in sicurezza su intonaci distaccati e su una parte dei muri di contenimento

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Figure 2.30 e 2.31 Stralci catastali del 1939 raffiguranti la pianta del piano terra del convento

72 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.32 Stralcio catastale del 1939 raffigurante la pianta del primo piano del convento

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Figura 2.33 Stralcio catastale della pianta del piano terra del convento risalente al 1994

74 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.34 Stralcio catastale della pianta del piano primo del convento risalente al 1994

CAP 2 L’ANAMNESI 75


LA DESCRIZIONE GEOMETRICO-SPAZIALE Il complesso di Villagonia si presenta articolato in due corpi principali, uno occupato dal convento ed uno dalla chiesa, ambedue di forma rettangolare e coperti da un tetto a falde; in corrispondenza dell’intersezione tra i due corpi, questo lascia spazio ad un terrazzo. Il complesso si sviluppa su due livelli, di cui quello inferiore, in alcuni punti si duplica per la presenza di mezzanini. Il linguaggio architettonico adoperato nei due edifici presenta alcune differenze: se il convento sembra unire caratteri tipicamente neogotici - come le finestre e le bifore a sesto acuto, e la merlatura – ad uno stile più essenziale e modesto per ciò che concerne il piano terra, la chiesa invece risponde ad uno stile eclettico che unisce neogotico e neoromanico, linguaggio in voga in Sicilia tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900.

IL CONVENTO Nel plesso conventuale lo sviluppo planimetrico si discosta dalla tipica conformazione a pianta quadrata con chiostro centrale tipica degli edifici conventuali, compresi quelli cappuccini, e, chiaramente obbligato dalla conformazione del lotto, segue uno sviluppo lineare. 76 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Al piano terra la struttura è modulare, scandita dalle murature portanti che suddividono lo spazio in 10 unità, ciascuna con accesso dalla via Nazionale, e dalla struttura bicellulare, con un vano sul fronte ed uno sul retro. Fanno eccezione le due unità centrali che sono state accorpate mediante l’apertura di un ampio varco nella muratura, sovrastato da un arco a sesto ribassato, ricreando un unico ampio ambiente. Ad interrompere la suddivisione longitudinale intervengono due corridoi, uno sul fronte ed uno sul retro, che garantiscono l’accesso alle unità da ambo i lati nord e sud. Il corridoio nord ospita due scale: quella centrale, a tre rampe affiancate, dà accesso al giardino retrostante il convento, soprelevato di quasi 8 metri rispetto alla quota del pavimento del piano terra; quella ad est, ad unica rampa, conduce ad un piccolo mezzanino. L’unità adiacente la chiesa rappresenta l’accesso principale del convento, ed attraverso una scala a tre rampe disposte lungo il perimetro della cellula sul retro, conduce al primo piano. In asse con l’accesso principale è anche una porta che conduce alla sacrestia, che raggiunge in profondità la parte absidale della chiesa ed è conclusa da un piccolo magazzino con soppalco. Al primo piano l’impianto planimetrico è assiale, con un ampio e lungo CAP 2 L’ANAMNESI 77


corridoio coperto da una volta a botte a tutto sesto, il cui punto focale è un’ampia portafinestra, dalla forma coerente con la controsoffittatura. Il corridoio dà accesso a 19 celle, dalla forma pressoché quadrata, ciascuna coperta con un controsoffitto piano dal raccordo curvilineo. La semplicità della ripartizione e della geometria comunica bene il principio di povertà al quale i frati cappuccini obbediscono, e che doveva riflettersi anche nelle loro architetture. Nella parte nord-est trovano posto una cucina ed un ampio refettorio che sfocia rispetto alla linea del prospetto allargandosi a nord, verso il giardino. Dal vano di distribuzione verticale ha inizio un’altra scala, ad una rampa, che, illuminata superiormente da un lucernario di forma piramidale, conduce alla terrazza. Seguitano da qui una serie di percorsi che in maniera diversificata, conducono a varie porzioni degli spazi aperti: allo stesso livello della terrazza si trova un piccolo pergolato un tempo ricoperto da vigneti, che sovrasta il refettorio; da una breve rampa di scale si discende al primo e più basso livello dei terrazzamenti occupati dall’orto; infine, attraverso una passerella in cemento armato si accede ad un altro locale, superfetazione realizzata negli anni 50, che era adibita a magazzino. 78 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


LA CHIESA Il progetto della chiesa della Madonna di Pompei è ad opera dell’ingegnere Saro Trifiletti, esponente di un gruppo di tecnici legati alla curia messinese, che in seguito al terremoto del 1908, operò in maniera vasta nel territorio della città peloritana, seguendo l’onda della fervente ricostruzione spinta dall’arcivescovo Paino28. Nel 1920 gli viene commissionato il progetto di una nuova chiesa, che realizza secondo i dettami degli stili neogotico e neoromanico. L’accesso, garantito all’esterno da una coppia di gradini in marmo rosa di Taormina, è mediato da una bussola quadrangolare in legno di noce, dalla quale si accede all’unica navata. Il percorso verso l’altare è scandito lateralmente dalla presenza di quattro coppie di paraste che sorreggono la copertura a capriate. La prima coppia, insieme a due colonne che sorreggono il soprastante coro, conclude il nartece, il cui intradosso è un controsoffitto piano riccamente decorato; le successive tre coppie di paraste incorniciano i prospetti interni della chiesa scandendoli in tre campate, ciascuna caratterizzata da una nicchia a tutto sesto. Le due nicchie centrali accolgono due altari laterali, di poco soprelevati per mezzo di un podio in marmo. Dalla parte centrale della navata, rivolgendo lo sguardo verso l’alto, è possibile apprezzare la struttura a capriate del tetto, in cui

28. L’arcivescovo Paino, fu una figura chiave della ricostruzione messinese, sia negli anni successivi al terremoto del 1908, sia in seguito alla seconda guerra mondiale. Egli fece riedificare o restaurare centinaia di edifici tra chiese, case canoniche, scuole ed istituti di beneficienza e si guadagnò per questo l’appellativo di “arcivescovo ricostruttore”.

CAP 2 L’ANAMNESI 79


LA CHIESA DELLA MADONNA DI POMPEI IN MESSINA L’ingegnere Saro Trifiletti firmò importanti progetti a Messina, tra i quali l’istituto del Buon Pastore, attuale sede della Soprintendenza dei Beni Culturali, e la chiesa dei Cappuccini intitolata alla Madonna di Pompei, in seguito distrutta dai bombardamenti del 1943. La chiesa, omonima di quella di Villagonia, fu realizzata tra il 1924 ed il 1933, per costituire la nuova chiesa madre dell’ordine provinciale dei Cappuccini. Essa presenta una facciata ricca ed imponente, mantenendo comunque l’eclettismo frutto della commistione di gotico e romanico, tipico della ricostruzione messinese degli anni ‘20. Spicca nella facciata una tendenza alla verticalità, resa mediante l’uso di alte guglie. All’interno, la navata unica e le nicchie laterali a tutto sesto la accomunano alla chiesa di Villagonia, ma la principale differenza consiste nella copertura, che nell’edificio di Messina è a cassettoni, mentre in quello di Villagonia è a capriate29. La chiesa della Madonna di Pompei in Messina fu distrutta durante i bombardamenti del 1943, e ricostruita nel 1951 dall’architetto Filippo Rovigo, che ne riprese le linee principali; il campanile e la scalinata di Trifiletti, scampati al bombardamento, sono ancora oggi esistenti. 29. Originariamente in legno, poi ricostruite in calcestruzzo armato

80 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Pagina accanto: Figure 2.35 e 2.36 La chiesa della Madonna di Pompei in Messina ad opera dell’ing. Trifiletti: in alto, il prospetto principale in una fotografia del 1933; in basso, la navata principale

ogni elemento strutturale è enfatizzato con ricche decorazioni in stucco. L’ultima coppia di paraste si allinea ad un’ulteriore coppia di colonne in muratura che sorreggono un arco a sesto acuto: questa composizione introduce all’abside, retto e coperto da un controsoffitto piano, il cui punto focale è l’altare in marmo policromo; quest’ultimo è sovrastato da una nicchia semicircolare che accoglie il gruppo scultoreo della Madonna del Rosario di Pompei. Sovrapposto al nartece trova posto un coro ligneo scandito da stalli modanati, disposti lungo tre lati, mentre il quarto lato presenta un affaccio sulla navata della chiesa, protetto da un parapetto in muratura traforata. L’accesso al coro è garantito da una porta che si apre dal primo piano del convento. Garantiscono l’illuminazione tre coppie di bifore, disposte lungo le pareti laterali, in linea con le nicchie del piano terra, ed il rosone del prospetto principale.

IL PROSPETTO PRINCIPALE Al piano terra del convento semplicità ed essenzialità compositiva sono protagoniste: i vuoti costituiti dalle portefinestre individuano 9 luci, coerenti CAP 2 L’ANAMNESI 81


82 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.37 Alla pagina accanto, il prospetto principale del complesso di Villagonia

con la ripartizione interna, ed il loro ritmo è spezzato solo dalla settima bucatura, che è stata ampliata. Le aperture, architravate, rispondono ad uno stile sobrio, quasi umile, e l’unica decorazione è lasciata ad una sottile cornice in piccole lastre di basalto lavico. Al primo piano l’alternanza di finestre semplici e bifore, secondo un triplo modulo A-B-A, rende il ritmo più vario, ma non per questo lezioso. Le cornici sono infatti semplici e composte, e con la loro forma ad arco acuto si riallacciano al tema neogotico, ispirato alle architetture di Taormina come Palazzo Ciampoli e Palazzo Corvaja. La divisione tra i due piani è fortemente accentuata dal marcapiano, che si ripete sia in corrispondenza della linea di calpestio, che del davanzale. La facciata è conclusa superiormente da una merlatura ghibellina. Una forte asimmetria del prospetto è data dalla decima candela, che individua l’accesso al convento, la quale si discosta per caratteristiche compositive e decorative. Il primo livello infatti è occupato da un portale a sesto acuto. Sopra di questo si estende un marcapiano, che geometricamente è prosecuzione di quello del convento, ma è diverso morfologicamente. Questa fascia che, originariamente, denotava il parapetto di un terrazzo, oggi è CAP 2 L’ANAMNESI 83


sovrastata da una grande vetrata. Il prospetto della chiesa risponde invece ad uno stile eclettico, che presenta caratteri romanici, uniti ad elementi gotici. La forma a capanna, tipicamente romanica, denuncia immediatamente la natura a due falde del tetto, e contemporaneamente si fa manifesto della semplicità ed essenzialità cappuccine, intento cui concorre anche la monocromia del rivestimento in calcarenite tenera, di probabile derivazione locale. Ad assicurare il rigore compositivo intervengono due ampie lesene, che corrono senza soluzione di continuità – ad eccezione di un sottile marcapiano – fino all’altezza della linea di gronda del tetto. Una ideale suddivisione della facciata in fasce orizzontali, induce ad osservare come l’apparecchiatura di facciata non si perda in ridondanti decorazioni, lasciando che in ciascuna parte sia uno in particolare l’elemento protagonista. Partendo dal basso il primo ordine è caratterizzato da un basamento in marmo botticino, il cui colore chiaro si armonizza alla restante materia lapidea senza spiccare; la ricercatezza è data dalla lavorazione bocciardata dei conci, che si apprezza solo ad una distanza ravvicinata. Il protagonista qui è certamente il portale, che appare delimitato da una 84 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


strombatura modanata e accentuata da due coppie di sottili colonne, in cui i capitelli, riccamente scolpiti in stile corinzio, contribuiscono alla leggerezza dell’insieme. Le due coppie di colonnine incorniciano un maestoso portone in ferro, a due ante, che presenta tre ricche specchiature su ciascuna metà, delle quali le due più in basso decretano l’apertura dell’anta pedonale. Il soprastante archivolto, elemento tipico dell’architettura neogotica, si sviluppa secondo un complesso profilo che alterna tondini, tori, cavetti e gole rovesce, ed è concluso da un cordone riccamente modanato con un intreccio di foglie. L’archivolto incornicia un timpano che ospita un altorilievo raffigurante la Madonna del Rosario di Pompei. Proseguendo verso l’alto l’occhio incontra l’ampio rosone in blocchi lapidei, elemento cardine sia del gotico che del romanico, che qui spicca per dimensioni. Esso si svolge secondo una successione di archi a tutto sesto intrecciati, che poggiano su 12 colonnine. Queste, caratterizzate da 6 coppie di capitelli diversi, individuano il fulcro dell’elemento, sul quale spicca il simbolo dell’ordine cappuccino. La cornice variamente modanata, riprende nella fase più esterna la medesima decorazione fogliare del portale. Tale elemento CAP 2 L’ANAMNESI 85


accentua la simmetria della composizione e contribuisce all’ordine geometrico dell’insieme, in quanto la mano dell’autore ha agito allineando la massima ampiezza del rosone alla conclusione esterna del portale. La conclusione superiore del prospetto è affidata ad una cornice spezzata, che si innalza al centro per sostenere la croce, ed è inferiormente arricchita da una sequenza di archetti pensili su peducci, richiamanti gli stilemi del romanico pisano. A dare coerenza ed unione agli elementi è un rivestimento continuo in calcarenite tenera, con lastre disposte secondo un disegno irregolare.

86 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.39 Vista assonometrica dello stato di fatto

CAP 2 L’ANAMNESI 87


Pagina corrente, in senso orario: Figura 2.40 Il refettorio del convento Figura 2.41 Una delle 17 celle destinate all’alloggio dei frati cappuccini, poste al primo piano Figura 2.42 Il corridoio, voltato a botte, che dà accesso alle celle del primo piano Figura 2.43 Uno dei vani del piano terra, in origine destinati ad abitazioni per i laici Figura 2.44 Vani del piano terra attualmente colmi di macerie e rottami Figura 2.45 Il corrodio nord al piano terra del convento Pagina accanto: Figura 2.46 In alto, la pianta del primo piano Figura 2.47 In basso, la pianta del piano terra



Pagina corrente, in senso orario: Figura 2.48 Particolare del rosone del prospetto principale della chiesa Figura 2.49 Il portone in ferro di accesso alla chiesa Figura 2.50 Particolare della bifora nel prospetto principale Figura 2.51 Particolare dell’archivolto a sesto acuto del portale di accesso al convento Pagina accanto: Figura 2.52 In alto, sezione architettonica di rilievo dello stato di fatto Figura 2.53 In basso, il prospetto principale

90 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”



Pagina corrente, in senso orario: Figura 2.54 Il tetto a capriate in calcestruzzo della chiesa Figura 2.55 Il sottotetto del convento di Villagonia, dove è possibile apprezzare la struttura in capriate lignee Figura 2.56 La navata della chiesa, con il gruppo scultoreo della Madonna di Pompei a sovrastare l’altare principale Pagina accanto: Figura 2.57 e 2.58 Sezioni architettoniche di rilievo dello stato di fatto

92 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”



LA DESCRIZIONE DELL’APPARECCHIATURA COSTRUTTIVA LE STRUTTURE LE STRUTTURE VERTICALI - Nelle fabbriche tradizionali le strutture verticali

presentano generalmente una configurazione scatolare, scelta che risponde alla duplice esigenza di delimitare la spazialità dell’edificio e sostenere i carichi verticali trasmessi dalle strutture orizzontali e da quelle di copertura. Nel corpo del convento l’esame delle tipologie murarie presenti è reso possibile in buona parte dall’osservazione del prospetto principale, grazie alla massiva opera di messa in sicurezza che nel 2016 ha divelto una consistente parte dell’intonaco esterno. Si individuano chiaramente tre tipi di muratura. 1.

Al piano terra è presente una muratura in pietrame informe, prevalentemente calcarenite locale, saturata con malta di calce. La varietà di pezzatura e la forma irregolare dei conci fanno sì che i vuoti occupati dalla calce siano consistenti, e spesso riempiti con rincocciature in minutame e frammenti di laterizio;

2.

94 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

Al primo piano la muratura è listata, con blocchi informi di calcarenite


locale stavolta alternati a blocchi di basalto lavico, la pezzatura è varia ma comunque mediamente minore di quella riscontrabile al piano terra. A scandire orizzontalmente la maglia muraria, vi sono dei ricorsi di mattoni pieni, disposti approssimativamente ogni 60 cm di altezza, che costituiscono dei ripianamenti aventi il compito di migliorare la ripartizione dei carichi verticali. Puntualmente, specie al di sotto delle finestre, sono visibili completamenti in muratura di mattoni pieni disposti a blocco. 3.

In corrispondenza del portale di accesso al convento la muratura verticale cambia nuovamente e si individua una muratura di mattoni pieni disposti a blocco. Per quanto concerne la chiesa, non vi sono lacune che possano rivelare

con certezza la tipologia muraria utilizzata. Tuttavia le ricerche condotte presso l’Archivio di Stato hanno portato alla luce documenti relativi ai lavori di restauro effettuati negli anni ‘50, che descrivono una struttura muraria in pietrame informe e malta di calce.

CAP 2 L’ANAMNESI 95


96 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.59 e 2.60 Alla pagina accanto, dettagli costruttivi raffiguranti le principali tipologie di murature e di strutture orizzontali rilevate

LE FONDAZIONI - Si ipotizza, per le fondazioni, una tipologia a nastro, o “a

tela”, in pietrame informe e malta di calce, con una sezione maggiorata rispetto alle murature emergenti, al fine di ripartire i carichi verticali su una superficie più ampia di terreno fondale.

LE STRUTTURE ORIZZONTALI - Compito fondamentale delle strutture

orizzontali è trasmettere i carichi verticali dal piano di calpestio alle murature perimetrali. Nel complesso architettonico oggetto di studio questo compito è affidato a solai piani, di cui sono state individuate tre tipologie. 1.

All’interno del convento, il solaio che costituisce la ripartizione tra il piano terra ed il piano primo: grazie all’osservazione dei fenomeni di fessurazione dell’intradosso, e conoscendo l’epoca di costruzione, si può ipotizzare che si tratti di un solaio in putrelle di ferro e tavelloni. Gli elementi metallici sono presumibilmente IPE 200, disposti ad un interasse di circa 110 cm, e con, a conclusione perimetrica del solaio, un profilo UNP 200 poggiante lungo la risega della muratura. Per garantire un intradosso piano si ipotizza l’uso di tavelloni di lunghezza 110cm, poggiati CAP 2 L’ANAMNESI 97


sulle ali inferiori dei profili. Il perimetro dell’intradosso è ingentilito da un raccordo curvilineo, realizzato mediante un agglomerato leggero di pietra pomice e malta di calce. Il riempimento della luce tra i profili è assicurato da un calcestruzzo alleggerito; questo ha il compito di creare un ripianamento per la finitura all’estradosso, costituita da uno strato di malta di allettamento, e quindi dalla pavimentazione. 2.

Il terrazzo sovrastante l’estremità est del convento è sostenuto invece da un solaio in laterocemento: come testimoniato dai documenti dell’archivio di stato esso è costituito da una struttura portante con travi di dimensione 25x50 cm, il cui aggetto è peraltro visibile all’intradosso, e pignatte in laterizio a riempire la luce tra le travi. L’estradosso è completato, procedendo dal basso verso l’alto, da uno strato di isolante bituminoso, da una malta di allettamento e dalla pavimentazione.

3.

Nella chiesa, a sostenere il coro, è presente una struttura con solaio in legno a doppia orditura: le due travi principali, che corrono in direzione parallela all’asse della navata, poggiano sulle due colonne prospicienti l’ingresso e si ipotizza per esse una sezione di 24x24 cm. Le travi

98 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


secondarie, poste in direzione ortogonale a quelle principali, hanno una sezione, ipotizzata, di 10x14 cm, e su di esse poggia direttamente un tavolato in legno di castagno, chiodato, che costituisce la pavimentazione. L’intradosso è completato con tavole di controsoffitto, che proseguono rivestendo anche i lati emergenti delle travi principali; il tutto è rifinito con intonaco di gesso ed una ricca decorazione in stucco.

LE STRUTTURE INCLINATE - La copertura del convento è costituita da un

tetto a falde a padiglione, di cui quella ad est fu smantellata negli anni ’50 dello scorso secolo per realizzare un ampliamento del terrazzo. Il rilievo del sottotetto ha consentito di apprezzare la struttura a capriate in legno, che gli interni nascondono in quanto chiusi superiormente da un controsoffitto. I puntoni, la catena ed il monaco sono in legno di castagno ed hanno una sezione di 19x25 cm, le due saette sono della stessa essenza ma hanno una sezione di 14x25 cm. Il collegamento tra le parti strutturali è garantito da una accurata sagomatura delle estremità a dente di sega, e dall’utilizzo di staffature e legature chiodate, che hanno lo scopo di evitare scorrimenti relativi tra gli elementi ed aumentarne CAP 2 L’ANAMNESI 99


100 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.61 e 2.62 Alla pagina accanto, dettagli costruttivi raffiguranti le due tipologie di copertura rilevate

la solidarietà grazie alle forze di attrito. Così facendo la capriata assicura la trasmissione di sole forze verticali alle murature perimetrali: la catena, infatti, poggia sulla muratura in appositi vani, addentrandosi per una lunghezza di 15 cm, e dall’esame visivo emerge come le estremità della stessa siano ricoperte di uno strato di catrame, allo scopo di evitarne la marcescenza. Le capriate che sorreggono il tetto sono 20, disposte ad un interasse di circa 1,50 m. I coppi siciliani costituiscono il manto di copertura e poggiano su un tavolato in legno di abete, a sua volta poggiante su listelli in legno di abete di sezione 8x10cm. Questi ultimi, sono posti in opera ad un interasse regolare, corrispondente alla sovrapposizione dei coppi, al fine di garantire una uniforme distribuzione dei carichi. In corrispondenza della linea di gronda i coppi giungono sulla muratura e qui sono murati con malta di calce, lasciando defluire le acque meteoriche. Queste fluiscono, nei prospetti sud e ovest, in un canale di gronda celato dalla merlatura, e, lungo il prospetto nord, in una grondaia metallica. Dai suddetti percorsi le acque piovane sono confluite in pluviali in lamiera del diametro di circa 10 cm, che le lasciano defluire sul marciapiede, oppure, nel prospetto nord, in un canale di scolo, che corre CAP 2 L’ANAMNESI 101


lungo tutto il lato nord del complesso al di sopra dell’intercapedine posta a separazione tra l’edificio ed il terrapieno. La copertura della chiesa è invece affidata ad un tetto a capanna, la cui struttura è a capriate in calcestruzzo armato. È noto che la copertura originaria fosse in legno, ma i lavori di restauro del 1952 hanno previsto un sostanziale cambio della natura della struttura. Informazioni precise giungono ancora una volta dai documenti dell’Archivio di Stato, che contengono anche alcuni disegni delle sezioni degli elementi strutturali. I puntoni e la catena di ciascuna delle 6 capriate sono di sezione 55x67 cm, armate con tondini φ20. Nella catena i tondini sono 7, di cui 4 retti e 3 sagomati: per assicurare la massima presenza dell’acciaio nei punti di maggiore sollecitazione a trazione, i tre tondini sagomati si trovano nella parte bassa della sezione, nella mezzeria, e virano poi nella parte alta in corrispondenza degli appoggi; i puntoni invece, sollecitati a compressione, presentano un’armatura con 6 tondini disposta uniformemente e simmetricamente. A collegare ciascuna capriata con la successiva vi sono due coppie di terzere, più una che costituisce la linea di colmo, di sezione 15x24cm. Il tamponamento della falda è costituito da un 102 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


solaio inclinato di tipo Perret, con tavelle di dimensioni 2,5x25x50 cm, armato, negli spazi tra le tavelle, di tondini φ12; sopra di esso è posato un manto di copertura in tegole marsigliesi. Queste, come nella precedente tipologia, sono murate sull’apice della muratura perimetrale, e riversano le acque piovane nei due canali di gronda, che corrono lungo i due lati lunghi della chiesa, protetti da un parapetto in mattoni pieni. Da qui le acque meteoriche continuano il loro deflusso in pluviali che le confluiscono al livello del marciapiede, dal lato sud, e nel già citato canale di scolo, dal lato nord.

CAP 2 L’ANAMNESI 103


LE CHIUSURE VERTICALI L’APPARECCHIATURA LAPIDEA DI FACCIATA - Nel convento il ricoprimento

della muratura è affidato ad un intonaco cementizio dalla tenue colorazione beige. Questo è stato in gran parte divelto ma è possibile ancora notare, dalle parti rimaste, la presenza una leggera sagramatura, che imita una ripartizione in conci lapidei, riprendendo il rivestimento lapideo della annessa chiesa. Al piano terra del convento la semplicità compositiva è protagonista. Le aperture sono architravate, ed hanno una semplice cornice in intonaco di colore giallo paglierino, che prosegue in corrispondenza dell’attacco a terra, diventando basamento. Sono presenti inoltre dei peducci in pietra calcarea ad adornare gli appoggi dell’architrave, mentre un accenno di variazione cromatica è dato dalla sottile cornice in lastre di basalto lavico, che corre ad incorniciare tutte le aperture, interrompendosi solo in corrispondenza del vano che fu allargato. Anche al primo piano la tela di sfondo è il medesimo intonaco del piano terra, e su questo si stagliano le composte finestre incorniciate da conci lapidei sempre in pietra calcarea. Le bifore presentano un massiccio pilastro centrale, anch’esso in conci lapidei, sormontato da un capitello dalle forme vagamente antropomorfe. Spicca per elaboratezza, confrontato al resto, 104 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


il marcapiano, caratterizzato da una fascia con decorazioni a triscele, e che riprende la bicromia del piano terra utilizzando, come conclusione inferiore, nuovamente le lastre di basalto lavico. Maggiore movimento cromatico avviene invece nel portale del convento, dove il motivo a bâtons brisés si ispira ai motivi geometrici cari al gotico, e realizza un intarsio di calcarenite e basalto lavico. In corrispondenza del piano di imposta dell’arco, corre un marcapiano, uguale a quello della chiesa, al di sotto del quale il rivestimento è affidato a lastre di calcarenite tenera; in tal modo il portale sembra richiamare, in forma ridotta, lo stile della facciata della chiesa. Un altro elemento differenzia questa candela del prospetto: il marcapiano, che proseguendo quello del convento, muta però la sua conformazione diventando una successione di archetti pensili trilobati. Nella facciata della chiesa assoluta protagonista è sicuramente la calcarenite tenera. La monocromia qui è portata quasi all’estremo, e l’uso della pietra viene declinato in diverse forme: diventa cornice ed apparato decorativo, nelle lesene e nelle modanature, e rivestimento levigato nelle rimanenti parti cieche. Solo il basamento in marmo botticino, e i gradini in pietra di Taormina, CAP 2 L’ANAMNESI 105


interrompono, alla base del prospetto, l’egemonia della pietra calcarea, ma senza spiccare per differenza cromatica. Il portale ed il rosone sono gli elementi maggiormente ricchi dal punto di vista decorativo, entrambi costituiti interamente da blocchi modanati in calcarenite tenera.

GLI INFISSI - Il sistema delle aperture è regolare nel prospetto principale

e garantisce un’uniforme distribuzione dei carichi grazie all’allineamento dei vuoti. Diverse, per morfologia e materiali utilizzati, sono le tipologie di infisso rilevate. 1.

Gli infissi del piano terra del convento sono delle portefinestre in legno di castagno, a due ante, unite in alto da un sopraluce rettangolare con apertura a vasistas. Il telaio fisso (spessore 5,5 cm) è solidale alla muratura e corre a tutt’altezza interrotto solo da un traverso intermedio in corrispondenza dell’attaccatura del sopraluce. Al telaio fisso si aggancia il telaio mobile delle ante (spessore 3,5 cm), costituito da due montanti, un traverso superiore, uno intermedio ed uno inferiore, dei quali gli ultimi

106 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


due racchiudono una specchiatura in legno massello. I collegamenti tra montante e traverso sono del tipo a “tenone e mortisa”, mentre quelli tra il traverso/montante e la specchiatura, sono a “incavatura e linguetta”. Tra il traverso superiore e quello intermedio è presente una lastra di vetro semplice, fissata al telaio mobile per mezzo di un fermavetro. Il sistema di oscuramento è alla maltese: uno sportello con specchiatura in legno massello, delle stesse dimensioni della superficie vetrata, è fissato al telaio mobile. La chiusura è assicurata da un saliscendi in corrispondenza della quota del pavimento, e da una spagnoletta in corrispondenza del traverso del telaio fisso. Il vano in cui è inserito l’infisso è aperto nella muratura grazie ad un arco di scarico ribassato, in mattoni pieni. 2.

Al primo piano del convento la finestra a due ante segue in parte la forma della cornice esterna. La superficie vetrata è infatti a forma di sesto acuto, ma è inscritta in un telaio di forma rettangolare, e lo spazio di risulta è chiuso da una specchiatura in legno massello. Qui il telaio fisso (spessore 10 cm) è costituito da due montanti ed un traverso superiore, a cui si collega il telaio mobile (spessore 3,5 cm). Il dispositivo di schermatura CAP 2 L’ANAMNESI 107


108 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.63 Alla pagina accanto, dettaglio costruttivo raffigurante uno degli infissi in legno del convento

è alla palermitana: l’anta (spessore 2,5 cm) si collega al telaio fisso ed è costituita da quattro specchiature interrotte orizzontalmente da tre traversi intermedi. Qui il vano è delineato esternamente dai conci in pietra calcarea; internamente, invece, un arco di scarico in mattoni pieni segue l’andamento della cornice esterna, ma sotto di esso il vano è architravato. Lo spazio di risulta tra l’arco di scarico e gli architravi in legno è saturato con un riempimento che, dovendo essere più leggero possibile, si ipotizza in pietra pomice e malta di calce.

Nella chiesa, invece, sono presenti due tipi di infisso, entrambi in ferro: il portone principale e l’infisso del rosone. La presenza di un portone in ferro in una fabbrica dei primi decenni del 900 è perfettamente coerente con la storia di questa tipologia di infisso, la cui diffusione avviene intorno al 188030, quando esso inizia a rappresentare una valida alternativa a quello in legno in quanto, sebbene più costoso, era più resistente agli agenti atmosferici ed alle effrazioni; la nuova tipologia di infisso cerca pertanto di imitare le caratteristiche formali del legno mediante l’utilizzo

30. A. Lo Faro, Traditional iron building elements in Etna’s territory: the front doors, in Tema: Technology, Engineering, Materials and Architecture, 1.1 (2015), pp. 19-24

CAP 2 L’ANAMNESI 109


110 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 2.64 Alla pagina accanto, dettaglio costruttivo raffigurante il portone in metallo della chiesa

di cornici profilate e specchiature. Il portone del caso di studio è a due ante, a doppio pannello, e con movimento a bilico. Tale tecnologia è ottenuta saldando all’estremità dell’anta un profilo tubolare che ruota intorno ad un perno metallico. Un architrave in ferro profilato offre la battuta superiore. Il telaio mobile è costituito, imitando la struttura lignea, da una serie di montanti e traversi, saldati tra loro, i quali costituiscono lo scheletro portante; a chiudere l’anta, vi sono le specchiature, saldate o chiodate alla struttura principale. Nel caso in esame il profilo che costituisce la struttura dell’anta è un UNP 80, al quale sono collegate le specchiature, lastre di ferro piane di spessore 4 mm, che sono saldate, dal lato esterno, e chiodate, da quello interno. Il lato interno del pannello si presenta continuo, mentre quello esterno è arricchito da varie cornici, decorazioni a borchie e specchiature sovrapposte, queste ultime sempre saldate per punti, e mantenute in posizione anche grazie a listelli distanziatori in legno. Un’anta pedonale interrompe la continuità del telaio mobile, e si apre da 36 cm fino a 160 cm di altezza a partire dalla quota del pavimento. Questa è collegata all’anta principale con delle cerniere metalliche, e presenta il medesimo profilo CAP 2 L’ANAMNESI 111


UNP 80, oltre ad essere irrigidita da un profilo UNP 60 intermedio. La chiusura è affidata ad un sistema a chiavistello per quanto riguarda l’anta pedonale, e da saliscendi e spagnoletta per l’anta principale. Il vano in cui si inserisce il portone è ricavato mediante un arco di scarico in mattoni pieni, e da un architrave in legno rivestita con un tavolato; lo spazio tra questi è riempito con un riempimento in pietra pomice e malta. Dal lato esterno è presente anche un architrave in calcestruzzo armato che sorregge l’altorilievo in malta cementizia. L’infisso in metallo presente in corrispondenza del rosone è di forma circolare, con vetri semplici di vario colore. Il telaio fisso è costituito da un unico profilo che corre lungo il perimetro circolare del vano ammorsandosi alla muratura, e da una serie di profili a T disposti a raggera rispetto al centro del rosone. L’unica parte mobile dell’infisso è costituita dai due settori circolari più bassi, che sono realizzati mediante elementi profilati. I pannelli vetrati sono poggiati sulle ali degli infissi e fermati mediante l’applicazione di uno strato di gesso lungo il perimetro.

112 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


LE CHIUSURE ORIZZONTALI DI BASE La chiusura orizzontale di base ha il compito di impedire la risalita dell’acqua dal terreno, e pertanto, come era uso nella quasi totalità degli edifici storici, si suppone un vespaio in pietrame compatto e uniforme, con blocchi della medesima pezzatura, al fine di massimizzare la presenza dei vuoti, e limitare così il più possibile, la risalita per capillarità dell’acqua. L’estremità superiore del vespaio è costituita da pietrame di piccola pezzatura, in modo da costituire uno strato piuttosto continuo, che serve da base per un getto di gretonato, al quale è così impedito di colare tra i vuoti. Il gretonato, un conglomerato di malta di calce e aggregati grossolani, di spessore 6 cm circa, trova la sua funzione principale nel garantire un ripianamento continuo, sul quale stendere uno strato di malta di allettamento di spessore 2 cm, e sopra quest’ultima, la pavimentazione.

LE PARTIZIONI INTERNE LE PARTIZIONI INTERNE VERTICALI - Si individuano al piano terra del

convento due tipi di partizioni verticali: il primo è costituito da mattoni pieni posati con malta di calce e rifiniti da ambo i lati con uno strato di intonaco, CAP 2 L’ANAMNESI 113


con uno spessore complessivo di 14 cm; l’altro, di più recente realizzazione è in mattoni forati posati con malta cementizia, e rifinito con intonaco, per uno spessore complessivo di 12 cm. I tramezzi sono attraversati da bucature, chiuse sempre con porte in legno, semplici o vetrate. L’accesso alla chiesa è mediato da una bussola in legno di noce, costituita da un telaio di montanti e traversi, ai quali sono collegati, mediante un sistema a “incanalatura e linguetta” delle specchiature in legno massello. Dalla bussola si aprono due porte laterali ad un’anta, ed una centrale a due ante, caratterizzate dalla medesima suddivisione in specchiature.

LE PARTIZIONI INTERNE ORIZZONTALI - Il primo piano della fabbrica

è separato dal sottotetto per mezzo di controsoffitti in incannucciato e gesso, dalla geometria diversa: essa è infatti piana, con raccordi curvilinei, nei vani destinati all’alloggio dei frati, e voltata a botte lungo il corridoio. Si tratta di una soluzione particolarmente ricorrente nell’edilizia storica poiché presentava diversi vantaggi: il ridotto carico sulle murature, giacché non sostiene alcun peso se non il proprio, la possibilità di costituire un soffitto 114 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


continuo, e, contemporaneamente, nascondere alla vista il tetto ligneo. La struttura di sostegno del controsoffitto è costituita da centine lignee, sagomate all’intradosso (nel caso della volta a botte) e accostate l’una all’altra mediante chiodatura. Le centine poggiano su degli elementi lignei denominati piedi, sagomati in modo da accogliere il peso seppur minimo della volta e trasmetterlo verticalmente alle murature, alle quali si appoggiano in appositi vani ricavati in sede di realizzazione. Il paramento della volta è costituito da un manto di canne steso in direzione perpendicolare alle centine, alle quali è assicurato mediante la chiodatura di ogni singola canna. La finitura e la continuità dell’intradosso sono date da uno strato di intonaco di gesso.

LE FINITURE INTERNE Nel convento le pavimentazioni sono costituite da mattonelle in graniglia di marmo, e mattonelle in cotto, quadrate o rettangolari. Fa eccezione l’entrata del convento su via Nazionale che presenta una pavimentazione in cotto con mattonelle di forma geometrica, che creano un motivo in cui cerchi e quadrati si incrociano tra loro. Tutto l’apparato decorativo del convento è ridotto al CAP 2 L’ANAMNESI 115


minimo: l’unica eccezione è una semplice boiserie in tavole di noce che circonda il perimetro del vano di accesso e dell’antisacrestia. Le pavimentazioni ed in generale le rifiniture utilizzate sono certamente elementi comuni dell’edilizia civile, senza particolare pregio materico o estetico, tuttavia ciò non deve indurre a pensare che le motivazioni di tali scelte siano esclusivamente economiche: tali elementi nella loro essenzialità contribuiscono a comunicare i princìpi cappuccini secondo i quali, nei luoghi di vita dei frati, tutto deve concorrere a trasmettere essenzialità e povertà. Del tutto diverso è il caso della chiesa, che si presenta riccamente decorata, senza tuttavia eccedere. Al piano terra è presente una boiserie in lastre di marmo rosso di Verona, che corre lungo tutta la navata e si interrompe solo al contatto con l’altare principale e quelli laterali. La pavimentazione è realizzata con ampie lastre quadrate di marmo bianco e marmo bardiglio, di spessore presunto 3 cm, che formano un effetto a scacchiera. Il coro posto al primo piano presenta, come già accennato una pavimentazione semplice, in tavolato di legno di castagno.

116 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


LE MANIFESTAZIONI VISIBILI DEL DEGRADO L’esame delle manifestazioni visibili del degrado denota in particolare nel prospetto principale, uno generale stato di deterioramento dei materiali che, seppur non gravissimo, compromette fortemente l’attuale percezione del complesso, che manifesta palesemente il suo stato di obsolescenza conseguente al prolungato disuso. L’analisi si è concentrata sul prospetto principale, fermo restando che negli altri fronti si denuncia la presenza delle medesime tipologie di degrado, coerenti per modalità di manifestazione e gravità. I degradi riscontrati sono di seguito sono elencati, e si manifestano in maniera distinta o concomitante.

CLASSIFICAZIONE DEI DEGRADI31 Alterazione cromatica: «Variazione naturale, a carico dei componenti del materiale, dei parametri che definiscono il colore. È generalmente estesa a tutto il materiale interessato; nel caso l’alterazione si manifesti in modo localizzato è preferibile utilizzare il termine macchia.» Alveolizzazione: «Presenza di cavità di forma e dimensioni variabili, dette alveoli, spesso interconnesse e con distribuzione non uniforme.»

31. Tutte le definizioni tra virgolette che seguitano nel presente paragrafo, fanno riferimento alla Norma UNI 11182 “Materiali lapidei naturali ed artificiali, descrizione della forma di alterazione – Termini e definizioni”

CAP 2 L’ANAMNESI 117


Colatura: «Traccia ad andamento verticale. Frequentemente se ne riscontrano numerose ad andamento parallelo.» Crosta: «Modificazione dello strato superficiale del materiale lapideo. Di spessore variabile, generalmente dura, la crosta è distinguibile dalle parti sottostanti per le caratteristiche morfologiche e spesso per il colore. Può distaccarsi anche spontaneamente dal substrato che, in genere, si presenta disgregato e/o polverulento.» Degrado antropico: qualsiasi forma di alterazione e/o di modificazione dello stato di conservazione del manufatto. Ad esempio la collocazione impropria di elementi tecnologici, la collocazione impropria di cavi, o l’uso improprio di materiali edili.» Deposito superficiale: «Accumulo di materiali estranei di varia natura, quali polvere, terriccio, guano, ecc. Ha spessore variabile, generalmente scarsa coerenza e scarsa aderenza al materiale sottostante.» Disgregazione: «Decoesione con caduta del materiale sotto forma di polvere o minutissimi frammenti. Talvolta viene utilizzato il termine polverizzazione.» 118 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Efflorescenza:

«Formazione

superficiale

di

aspetto

cristallino

o

polverulento o filamentoso, generalmente di colore biancastro.» Esfoliazione: «Formazione di una o più porzioni laminari, di spessore molto ridotto e subparallele tra loro, dette sfoglie.» Fessurazione: «Soluzione di continuità nel materiale che implica lo spostamento reciproco delle parti. Lacuna: «Perdita di continuità di superfici (parte di un intonaco e di un dipinto, porzione di impasto o di rivestimento ceramico, tessere di mosaico, ecc.).» Macchia: «Variazione cromatica localizzata della superficie, correlata sia alla presenza di determinati componenti naturali del materiale (concentrazione di pirite nei marmi) sia alla presenza di materiali estranei (acqua, prodotti di ossidazione di materiali metallici, sostanze organiche, vernici, microrganismi per esempio).» Mancanza: «Perdita di elementi tridimensionali (braccio di una statua, ansa di un’anfora, brano di una decorazione a rilievo, ecc.).» Patina biologica: «Strato sottile ed omogeneo, costituito prevalentemente CAP 2 L’ANAMNESI 119


da microrganismi, variabile per consistenza, colore e adesione al substrato.» Vegetazione infestante: «Presenza di individui erbacei, arbustivi o arborei.»

LA DESCRIZIONE DELLE MANIFESTAZIONI VISIBILI DEL DEGRADO IL PROSPETTO PRINCIPALE - Il fenomeno di degrado che immediatamente

attira l’attenzione osservando il prospetto principale del convento è rappresentato dalle estese lacune di intonaco, che interessano quasi la totalità del piano terra: qui mettono in evidenza la muratura in pietrame informe con i giunti in malta in alcuni punti disgregati, e gli stipiti in mattoni pieni delle porte; il medesimo fenomeno interessa anche buona parte della fascia compresa tra i due marcapiano, al di sotto della linea del davanzale delle finestre, mentre altre lacune sono presenti, puntualmente, nell’estremità superiore del prospetto, approssimandosi alla merlatura. La parte di muratura esposta, al piano terra, presenta nella parte basamentale vaste porzioni con alterazione cromatica, in cui il colore della muratura appare più saturo e scuro; si evidenzia che l’ampiezza del fenomeno 120 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


cresce man mano che ci si sposta verso il lato ovest dell’edificio. Il marcapiano è invece ampiamente interessato da deposito superficiale di carattere consistente, che è giunto a modificare radicalmente la percezione del colore della pietra calcarea, che appare ricoperta di uno strato scuro e uniforme; tale fenomeno si unisce a frequenti croste, localizzate in particolare nelle rientranze della decorazione a triscele. Si nota inoltre che il deposito superficiale interessa indistintamente intonaco e pietra: è presente infatti nella quasi totalità dell’intonaco rimasto al piano primo, nell’archivolto lapideo del portale minore, e nella quasi totalità delle finestre del primo piano, in particolare in maniera consistente in corrispondenza dei piani d’imposta degli archi, e in maniera più lieve lungo le cornici e i piedritti delle suddette bucature. Le cornici delle finestre risultano ulteriormente degradate dalla presenza di esfoliazione della pietra, fenomeno particolarmente presente in quasi tutte le cornici modanate che circondano i blocchi di pietra calcarea, spesso insieme a croste e piccoli episodi di efflorescenza. La merlatura e parte della chiusura verticale sottostante il terrazzo sono interessate da disgregazione del calcestruzzo, che ha notevolmente mutato il CAP 2 L’ANAMNESI 121


122 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


profilo dei merli, cancellandone spesso le estremità; l’evidente mancanza del copriferro ha quindi lasciato a vista l’armatura che li irrobustisce. Altri episodi di

Pagina accanto: Figura 2.65 A sinistra, l’estremità del prospetto sud del convento, affetta da lacune di intonaco e alterazione cromatica Figura 2.56 In alto a destra, la merlatura del convento interessata dalla disgregazione del calcestruzzo Figura 2.67 In basso a destra, le cornici delle finestre del primo piano, che presentano tutte varie manifestazioni di degrado, come croste, patina biologica, ed efflorescenze

efflorescenze si presentano nella parte basamentale della campata di accesso al convento: qui intacca lo stipite strombato, sia nella parte in calcarenite, sia in quella in basalto lavico, e il rivestimento in lastre. Nella medesima area sono presenti vasti fenomeni di disgregazione della pietra, e patina biologica, oltre alla mancanza di un blocco lapideo dello stipite del portale. Al di sotto del marcapiano ad archetti pensili trilobati, sono uniformemente presenti delle colature, interrotte solo in corrispondenza delle numerose lacune di intonaco. Piuttosto diffuso è anche il degrado antropico, espresso, oltre che nell’apposizione impropria di cavi elettrici variamente disposti lungo le linee principali del prospetto, nella forma di rattoppi grossolani in malta cementizia, che non fanno che peggiorare e accentuare la generale percezione della condizione di degrado del prospetto. Da notare infine, la presenza di vegetazione infestante che, dopo aver conquistato il muro di recinzione del giardino ad ovest, si appresta adesso a CAP 2 L’ANAMNESI 123


124 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


continuare il suo percorso lungo la chiusura perimetrale.

Pagina accanto: Figura 2.68 A sinistra, il rivestimento lapideo della parte sinistra del portale di accesso al convento, interessata da efflorescenze, disgregazione ed alveolizzazione Figura 2.69 A destra, il rivestimento lapideo della parte destra del portale di accesso al convento presenta efflorescenze, alveolizzazione e patina biologica

La facciata è della chiesa è invece interessata da vasti fenomeni di degrado, naturalmente quasi tutti riguardanti la calcarenite. Una eccezione è costituita dal portone in ferro, che presenta ampie aree con alterazioni cromatiche in cui il colore della vernice si è visibilmente sbiadito. Ma tale degrado è presente anche nel basamento in botticino, in cui alcune aree presentano un colore scurito e saturato, ed in una vasta area del rivestimento lapideo, al di sopra del marcapiano, in cui il colore appare più scuro. In entrambe le lesene, da un’altezza corrispondente al passaggio di un gruppo di fili elettrici, discende un’ampia patina biologica, presente inoltre, lungo tutto il marcapiano, dove è accompagnata da macchie, e al di sopra del basamento in corrispondenza delle lesene. Al di sotto del marcapiano la pietra si presenta alterata anche dalla presenza di efflorescenze saline, circostanza che si aggrava in corrispondenza della lesena di sinistra, in cui una vasta area è affetta da tale degrado, in concomitanza con esfoliazione della pietra. Il portale è invece interessato da fenomeni di deposito superficiale più CAP 2 L’ANAMNESI 125


126 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


o meno consistente a seconda della decorazione degli elementi; le parti più modanate, come il cordone e i capitelli, sono largamente interessati anche da

Pagina accanto: Figura 2.70 A sinistra, particolare del portale della chiesa, in cui le parti più modanate sono interessate da croste nere Figura 2.71 In alto a destra, particolare della parte inferiore del rosone, interessata da deposito superficiale, croste e colature Figura 2.72 In basso a destra, il marcapiano della chiesa degradato da patina biologica, macchie ed efflorescenze

una compresenza di crosta e patina biologica; stessa sorte ha avuto il rosone, in cui i fenomeni di degrado sono concentrati nella metà inferiore: qui, oltre al deposito superficiale pulverulento, crosta e patina biologica, sono presenti anche colature sotto tutto il perimetro inferiore. La parte alta del prospetto è interessata da un vasto fenomeno di deposito superficiale, che ha ingrigito il rivestimento lapideo in maniera consistente a partire dalla metà circa dell’altezza del rosone, fenomeno che si estende anche alla fascia di archetti pensili. La cornice è invece interessata nella sua interezza da una concomitanza di crosta e patina biologica; fa eccezione la porzione liscia che presenta spesso alveolizzazione della pietra.

CAP 2 L’ANAMNESI 127


In senso orario: Figura 2.73 Il prospetto nord del convento, parzialmente visibile a causa della vegetazione, che presenta diffuse manifestazioni visibili del degrado Figura 2.74 Il soffitto del vano d’angolo nord-ovest, gravemente degradato da stillicidi che hanno provocato vistose macchie e colature Figura 2.75 Uno dei vani al piano terra del convento, in cui la chiusura perimetrale è vistosamente imbibita d’acqua Figura 2.76 Il prospetto ovest del convento, infestato dalla vegetazione incolta del giardino di pertinenza

128 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


ALTRI PROSPETTI E INTERNI - I prospetti est ed ovest del convento sono

rilevabili solo in parte. Il prospetto est, è parzialmente coperto dalla vegetazione del giardino della confinante proprietà, e presenta, oltre ad un’evidente difformità di finitura dell’intonaco, un generale deposito superficiale di sporco e polvere, accompagnato da colature che discendono dal muretto di protezione del canale di scolo. Il prospetto ovest, anch’esso coperto dalla vegetazione, presenta in larga misura gli stessi degradi già riscontrati, tra i quali si accentuano particolarmente le colature, il deposito superficiale, e le croste nere, specie nei davanzali modanati. A tale quadro si aggiunge una vegetazione infestante che si è espansa al punto di rende cieche alcune delle aperture. Il prospetto nord è invece visibile dal piazzale retrostante il complesso, da cui è possibile scorgere le parti non coperte dalle successive superfetazioni; il piano terra è stato infatti completamente chiuso da un corridoio addossato al muro di intercapedine col terrapieno. Tale fronte presenta una situazione generale di degrado che si manifesta con deposito superficiale, colature, macchie scure, queste ultime particolarmente presenti in corrispondenza dei sistemi di smaltimento delle CAP 2 L’ANAMNESI 129


acque meteoriche e nei percorsi di deflusso delle piogge. Gli interni del convento presentano una situazione di degrado complessivamente coerente con lo stato di obsolescenza derivante dal lungo disuso. Al piano terra tutte le murature portanti sono interessate, nella parte basamentale, da estesi e variegati fenomeni, tutti più o meno concomitanti tra loro, in particolare lacune e distacchi di intonaco, efflorescenze, esfoliazioni, macchie. Nelle parti superiori delle murature e sui soffitti sono presenti, sia puntualmente che in maniera più estesa, episodi di macchie, alterazioni cromatiche ed esfoliazioni, in particolar modo nelle murature del corridoio nord. Il primo piano non presenta invece particolari degradi, ad eccezione di qualche caso isolato nei soffitti, ove sono presenti macchie, alterazioni cromatiche efflorescenze e lacune, casi concentrati in corrispondenza dei soprastanti percorsi di deflusso delle acque meteoriche. Di particolare gravità è il caso del vano all’angolo nord-ovest dell’edificio dove è presente uno stillicidio.

130 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


LA DESCRIZIONE DEL QUADRO FESSURATIVO L’analisi delle manifestazioni visibili del degrado non può ritenersi completa senza l’osservazione e lo studio dei fenomeni fessurativi. Essi sono la manifestazione visibile di uno stato di dissesto, ove con questo termine si intende “un nuovo regime di equilibrio, stabile o instabile a seconda che le cause che lo provocano sono concluse o ancora in atto”32; dunque per valutare ogni decisione in merito agli interventi operativi da mettere in atto, occorre in prima istanza valutare le manifestazioni visibili del dissesto nella loro globalità, al fine di avere un quadro preciso dello stato di equilibrio della fabbrica. In generale il quadro fessurativo del complesso di Villagonia non risulta particolarmente preoccupante, essendo presenti in gran parte piccoli fenomeni fessurativi diffusi che appaiono coerenti con il naturale decorrere del tempo. Fanno eccezione due fenomeni fessurativi, uno al piano terra del convento, ed uno nella chiesa, che appaiono meritevoli d’attenzione. I soffitti del piano terra del convento presentano sporadici episodi di fessurazione all’interno dei vani, dove si intravedono saltuariamente delle lesioni in corrispondenza di un ideale asse di simmetria del corpo del convento; nelle due campate centrali, che sono state unite mediante l’abbattimento del

32. G. Campo, Centro storico: problematiche normative e tecniche d’intervento, Catania, C.U.L.C 1984

CAP 2 L’ANAMNESI 131


Figura 2.77 A sinistra, sezione architettonica di rilievo, ed evidenziate in rosso, le fessurazioni lungo le strutture verticali Figura 2.78 A destra, una delle nicchie della chiesa interessata da una evidente lesione

132 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE�


muro portante e la realizzazione di un grande varco sormontato da un arco di diaframma, sono invece presenti fessurazioni molto evidenti, che si sviluppano regolari per andamento ed interasse: sono, infatti, parallele al lato minore del vano e distanti tra loro di circa 120 cm; episodi minori di fessurazione si rilevano anche nel corridoio nord, stavolta in senso perpendicolare all’asse del corridoio, e con interasse ridotto. Molto più accentuate sono, invece, le lesioni che si possono osservare all’interno della chiesa: esse si sviluppano nelle pareti laterali, correndo verticalmente ad attraversare le nicchie in corrispondenza del loro asse di simmetria, mentre una volta giunte all’altezza delle finestre del primo piano, virano in direzione della facciata principale; la loro ampiezza e diffusione cresce inoltre spostandosi dall’abside all’ingresso. Si evidenzia infine come esse si presentino da ambo i lati della chiesa, con andamento simmetrico rispetto all’asse della navata. Tale manifestazione si può ricondurre al cinematismo individuato dalla normativa33 come “meccanismi di taglio nelle pareti laterali”.

33. DPCM 9 febbraio 2011 in materia di “Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni di cui al D.M. 14/01/2008”, allegato C

CAP 2 L’ANAMNESI 133



LA PREDIAGNOSI

3



Figura 3.1 Alla pagina precedente, dettaglio del prospetto principale del convento di Villagonia

Un edificio soggetto all’azione del tempo va incontro ad un inevitabile deterioramento delle proprie caratteristiche prestazionali. Come già detto però, quando tale processo raggiunge una gravità tale da essere inaccettabile è necessario focalizzare l’attenzione sulle cause che hanno portato a tale decadimento e, sulla base di ciò, determinare le terapie più atte a ristabilire o innalzare tali caratteristiche. Preliminare a questo processo risulta la conoscenza di tutto ciò che riguarda la fabbrica, ovvero la sua storia, la sua istanza culturale, le tecniche e la cultura costruttiva che hanno fatto da sfondo alla sua realizzazione, i materiali ed il modo in cui essi sono stati utilizzati ed assemblati. È fondamentale in altre parole un’osservazione critica e sintetica di tutte le informazioni ricavate dal rilievo, dalla conoscenza dell’apparecchiatura costruttiva e dall’osservazione delle manifestazioni delle patologie, ovvero del quadro clinico, riprendendo la similitudine medica, prima di poter decidere le strategie operative da adottare. La fabbrica, non solo quella tradizionale, può essere considerata alla stessa stregua di un organismo vivente, che è sottoposto a processi fisici e chimici che possono trovare un meccanismo di innesco nelle caratteristiche CAP 3 LA PREDIAGNOSI 137


intrinseche dell’oggetto, ovvero possono essere causate da fattori esterni come la relazione con l’ambiente esterno, compresa l’azione dell’uomo. Ecco che la fase di anamnesi, con le ricerche storiche e bibliografiche, consentirà in questa fase di comprendere se le patologie siano congenite alla costruzione stessa della fabbrica, (ad esempio presenza di falde freatiche, errato progetto del sistema di smaltimento delle acque, uso di materiali non idonei o di scarsa qualità), oppure siano sorte in un secondo momento, ad esempio per eventi improvvisi, (come alluvioni o frane), o continui (presenza di inquinamento, guasti ad elementi tecnologici, inappropriatezza della destinazione d’uso del manufatto, mancate manutenzioni) Come accennato è possibile quindi, volendo schematizzare e seguire un iter metodologico già ampiamente validato ed utilizzato nella letteratura specialistica, sintetizzare e classificare le cause del degrado in intrinseche ed estrinseche. Tale metodologia è però puramente indicativa, in quanto occorre tenere sempre presente il fatto che non esiste una corrispondenza biunivoca tra cause e manifestazioni del degrado, poiché le prime sono spesso varie e concomitanti. 138 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Questo processo di riconoscimento delle cause, che per l’analogia con il percorso medico, può essere considerato un approccio clinico, va in seguito convalidato mediante un approccio di tipo strumentale, nel quale occorre pianificare una campagna di indagini conoscitive: queste devono rispondere a determinate caratteristiche, devono cioè essere non invasive e non distruttive, coerenti con l’istanza culturale dell’edificio, e non ultimo, ponderate in base alle considerazioni dedotte dal precedente approccio, ovvero valutate in base al rapporto tra i costi ed i risultati attesi da tali indagini. In questa sede non si è avuta la possibilità di effettuare una idonea campagna di indagini, pertanto verrà approfondito l’approccio clinico. Lo scopo di tale metodologia operativa sarà dunque quello di procedere, ove possibile, all’eliminazione delle cause, e quindi alla messa in opera di tutti quegli interventi atti a ripristinare le caratteristiche prestazionali degli elementi costruttivi o dei materiali base. Occorre notare però che le cause del degrado a volte non possono essere rimosse: in questi casi si cercheranno quindi i rimedi più opportuni per minimizzarne gli effetti e “convivere” con esse, prolungando quanto possibile la vita dell’edificio. CAP 3 LA PREDIAGNOSI 139


LA DIAGNOSI DELLE PATOLOGIE NEL COMPLESSO DI VILLAGONIA L’osservazione dei fenomeni patologici e la loro sintesi nella redazione delle mappe sincroniche del degrado consentono di dedurre che la presenza delle patologie e dei deterioramenti nel caso di studio può essere indotta principalmente dalla presenza dell’acqua. Altre concause delle alterazioni rilevate derivano dall’interazione manufatto-ambiente e dall’azione dell’uomo.

LE PATOLOGIE DA UMIDITÀ Una delle cause di degrado maggiormente presente nelle fabbriche tradizionali, senza eccezione da parte del caso in esame, è l’umidità. La presenza di acqua nella fabbrica tradizionale è qualcosa di imprescindibile dalla sua esistenza: i materiali base come le malte e gli intonaci contengono una certa quantità d’acqua che permane negli elementi costruttivi per un certo periodo di tempo,1 che può essere anche molto lungo qualora non vi siano le condizioni che ne favoriscano l’evaporazione. L’oggetto edilizio è un elemento inserito all’interno di un ambiente più o meno umido, e la porosità dei materiali base tradizionali fa sì che si instauri uno scambio di vapore acqueo con l’intorno, fino al raggiungimento di uno stato di equilibrio. L’assorbimento di masse d’acqua 140 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


avviene anche attraverso il diretto contatto tra il terreno fondale, e i componenti edilizi che costituiscono l’interfaccia con il terreno, ovvero le fondazioni e le chiusure orizzontali di base. Anche quando la realizzazione è effettuata secondo la “regola dell’arte”, dunque, la presenza di una certa quantità d’acqua è da considerare del tutto naturale, fin quando l’entità della sua presenza non è tale da generare decadimenti delle caratteristiche prestazionali. Nel caso in esame, le considerazioni finora effettuate portano alla deduzione che la presenza patologica dell’acqua può avere tre diverse origini: •

Umidità ascendente: l’acqua risale nei componenti edilizi per capillarità. Ogni materiale base è dotato di una specifica porosità, e il solido murario, essendo un elemento eterogeneo e poroso, viene attraversato dalle masse d’acqua provenienti dal sottosuolo che percorrono le parti porose per capillarità con velocità diverse in base alla dimensione dei pori. La risalita avviene lentamente nel tempo, ed attraverso la superficie esterna del paramento murario avviene il fenomeno dell’evaporazione, mediante il quale le masse d’acqua migrano dal masso fondale all’atmosfera. Si raggiunge pertanto un equilibrio per il quale la quantità d’acqua entrante CAP 3 LA PREDIAGNOSI 141


è pari a quella che evapora, e ciò si concretizza nella presenza di una parte umida del paramento murario pressoché costante, con variazioni nel corso dell’anno in base alla differente temperatura ed umidità ambientale. Le manifestazioni patologiche si verificano al di sotto di una curva ideale denominata isoumida di frontiera, che separa la parte umida da quella asciutta, ed ha andamento sinuoso, dovuto all’eterogeneità degli elementi costruttivi di cui si compone il solido murario. •

Umidità discendente: consiste nella presenza di masse d’acqua provocata da malfunzionamento, guasto, mancata manutenzione o errori di progettazione del sistema di smaltimento delle acque, nonché da vetustà degli elementi orizzontali dell’apparecchiatura lapidea di facciata. Si parla di umidità discendente puntuale, quando le masse d’acqua si originano da un punto di inefficienza e si spandono quindi, discendendo per gravità, in maniera localizzata a partire da tale punto; l’umidità discendente lineare è invece originata dall’inefficienza di un elemento orizzontale, come una cornice, un marcapiano o un elemento di smaltimento delle acque meteoriche. Le manifestazioni del degrado si

142 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


manifestano in un’area pressoché orizzontale che si origina dall’elemento fonte del malfunzionamento ed è delimitata da un’isoumida di frontiera ad andamento orizzontale e pressoché parallelo. •

Umidità da invasione: si determina dal malfunzionamento, vetustà o mancanza di manutenzione degli impianti idrici, di riscaldamento, di smaltimento delle acque o di erogazione della stessa nei servizi igienico sanitari. Si manifesta penetrando i componenti edilizi in maniera puntuale, originandosi dal punto di inefficienza che può crearsi in particolare in punti sensibili dell’impianto come le giunzioni. Le patologie ricollegabili ad umidità ascendente si manifestano

naturalmente nella parte basamentale del prospetto principale dell’ex convento di Villagonia, interessando la materia lapidea di rivestimento e la muratura, la cui tessitura è spesso leggibile per le estese lacune di intonaco. Tale situazione rende l’individuazione dell’isoumida di frontiera molto difficoltosa in quanto non è possibile distinguere in maniera netta la parte umida dalla parte asciutta, ed anche ciò fosse possibile, l’interpretazione di questo risultato sarebbe fuorviata dal fatto che la muratura, una volta esposta e priva dello strato protettivo di CAP 3 LA PREDIAGNOSI 143


intonaco, lascia evaporare l’acqua con più facilità, circostanza che può condurre a sottovalutare l’entità della patologia. Una individuazione della isoumida di frontiera, da considerare però puramente indicativa per i motivi sopra citati, può essere effettuata in alcune porzioni del prospetto sud, dove si riscontrano evidenti alterazioni cromatiche del pietrame costituente il paramento murario, visibilmente imbibito di acqua. Qui si nota anche una polverizzazione e decoesionamento dei comenti in malta, consistenti data l’irregolarità della tessitura muraria. Tale quadro patologico trova il suo apice nell’estremità sinistra del suddetto prospetto, dove le manifestazioni degli ammaloramenti raggiungono un’altezza di oltre 150 cm. Anche le parti basamentali in pietra, presentano evidenze della presenza di umidità ascendente, che si palesa con manifestazioni differenti: nel marmo botticino che costituisce il basamento della chiesa si hanno alterazioni cromatiche, mentre nel rivestimento lapideo in pietra calcarea, che circonda il portale di accesso al convento, la risalita e cristallizzazione dei sali ha determinato efflorescenze ben visibili, accompagnate da alveolizzazione nel rivestimento liscio, e disgregazione della pietra, con aspetto pulverulento, nei blocchi smussati che costituiscono il sottile 144 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


basamento. Come accennato, la rilevazione dell’altezza di risalita dell’umidità nei paramenti esterni è resa difficoltosa per la mancanza dell’intonaco; inoltre il piano terra è ipogeo nella parte nord, ed inaccessibile ad ovest, per l’ingente presenza di vegetazione infestante; per tali ragioni si è proceduto ad effettuare un rilievo ed osservazione dei fenomeni di degrado presenti nelle superfici interne delle murature del piano terra (fig. 3.2). I risultati di tale analisi hanno consentito di tracciare un quadro completo dell’entità delle patologie da umidità di risalita e giungere alla deduzione che tale causa è presente in maniera più o meno intensa in tutte le murature del piano terra, in particolar modo: nel lato nord, dove, nonostante la presenza di un rivestimento in mattonelle ceramiche sono visibili alterazioni cromatiche al di sopra dello stesso; ciò potrebbe essere dovuto ad una eventuale inefficienza dell’intercapedine che separa il lato nord dell’edificio dal terrapieno; nel lato interno del prospetto ovest invece le manifestazioni visibili sono ampie e di grande entità, con efflorescenze, distacchi e lacune di intonaco, nonché alterazioni cromatiche che individuano chiaramente un’isoumida di frontiera molto alta, che in alcuni CAP 3 LA PREDIAGNOSI 145


punti supera l’altezza di 2 metri. Tali rilievi confermano le deduzioni derivanti dalle fonti documentali, nelle quali non vi è traccia di un’intercapedine lungo questo fronte. Medesime tipologie di degrado si presentano grosso modo in tutte le altre murature portanti interne, ma hanno entità più contenuta. Vaste porzioni del complesso sono anche interessate da patologie legate ad umidità discendente, sia puntuale che lineare. Quest’ultima interessa molti degli elementi lapidei orizzontali e di coronamento, che, costituendo punti di ristagno o di percolamento delle acque, sono adatti allo sviluppo di varie patologie: tra questi in particolare i marcapiano, dai quali si originano varie manifestazioni di decadimento. Nel convento, ad esempio, sono presenti patine biologiche che risalgono per qualche decina di centimetri lungo il paramento murario intonacato al di sopra del marcapiano, nella chiesa invece, si riscontrano colonizzazioni biologiche che si manifestano con macchie e patine di diverso colore, indicando la presenza di vario genere di microflora, alghe, batteri, funghi e licheni; qui si verificano anche efflorescenze, che discendono verso il basso ad intaccare il rivestimento lapideo, nel quale trovano sfogo i sali 146 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


che si sono addentrati nella materia lapidea in seguito all’accumulo dell’acqua lungo l’aggetto del marcapiano; anche la cornice di coronamento della chiesa presenta patine biologiche, efflorescenze ed alveolizzazioni; le cornici delle finestre del primo piano sono interessate da efflorescenze ed esfoliazioni della pietra. Dal rosone discendono vistose colature e colonizzazioni biologiche sotto forma di muffe, e le stesse manifestazioni, in forma più estesa, si hanno in una delle due lesena, all’altezza del passaggio di un vistoso fascio di cavi elettrici, che determina probabilmente una via preferenziale per il percolamento dell’acqua. Il coronamento del convento, invece, interessato da lacune puntuali di intonaco e colature che si dipartono dagli interspazi tra la merlatura, sembra affetto da un’insufficienza del sistema di smaltimento delle acque, che probabilmente, tracimano fuoriuscendo tra i merli e imbibiscono la muratura sottostante. Gran parte dei merli ghibellini, inoltre, come parte della muratura in calcestruzzo al di sotto della copertura piana, è interessata da disgregazione del calcestruzzo: tale fenomeno è certamente imputabile ad una molteplicità e concatenazione di cause, tra cui anche l’umidità discendente, che, con le CAP 3 LA PREDIAGNOSI 147


precipitazioni, determina il depositarsi dei cloruri contenuti nell’atmosfera, particolarmente presenti data la vicinanza del complesso al mare, i quali contribuiscono alla corrosione delle armature rimaste scoperte. Patologie imputabili ad umidità discendente puntuale si verificano inoltre nelle aree adiacenti alla quarta e alla sesta apertura del piano terra del convento, e nella lesena sinistra della chiesa. Qui insistono alterazioni cromatiche, patine biologiche, efflorescenze ed esfoliazioni degli elementi in pietra, dovute certamente ad un malfunzionamento dei collegamenti tra i tubi pluviali, che determinano lo sgorgo delle acque piovane dai giunti. All’interno del piano terra del convento sono presenti inoltre patologie da umidità di invasione, che si manifestano con macchie, efflorescenze ed esfoliazioni dell’intonaco. La localizzazione delle suddette manifestazioni in corrispondenza dei servizi igienici del piano soprastante fa presuppore un malfunzionamento degli impianti idrici, probabilmente dovuto a vetustà e scarsa manutenzione.

148 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 3.2 Il presente elaborato mostra le altezze di risalita dell’umidità ascendente al piano terra del complesso. E’ apprezzabile come il fenomeno sia particolarmente accentuato nelle porzioni di muratura a contatto con il terrapieno

CAP 3 LA PREDIAGNOSI 149


LE PATOLOGIE DA INTERAZIONE MANUFATTO-AMBIENTE Ampie aree del prospetto sud sono interessate da fenomeni imputabili all’interazione manufatto-ambiente. Su tutto il suddetto prospetto è presente un generale stato di degrado dovuto a deposito superficiale, che si presenta come un sottile strato pulverulento, certamente derivante dalla presenza di traffico veicolare ed inquinamento atmosferico. Questo è presente in forma più lieve nelle parti intonacate, in particolare al primo piano del convento, e in maniera più consistente sul materiale lapideo: in particolare nelle modanature dei due portali, nelle cornici delle finestre, e nella parte alta del rivestimento lapideo della chiesa, dove probabilmente il dilavamento ne ha causato una ulteriore e disomogenea diffusione su tutta la parte superiore della facciata. Nelle parti modanate sono frequenti, invece, croste nere dovute al processo chimico che si innesca per la presenza di sostanze solforate nell’atmosfera: vittime di tale degrado sono gli elementi sagomati delle cornici delle finestre, del rosone, del cordone, e del portale del convento, in particolare nei punti in cui non interviene il dilavamento dell’acqua. Uno spesso strato di deposito superficiale costituito da guano si denuncia 150 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


inoltre nell’interstizio tra il rosone e l’infisso retrostante, che negli anni è stato colonizzato da volatili che hanno trovato qui il loro riparo. Da segnalare anche la tinteggiatura del portone della chiesa, che è visibilmente sbiadita a causa dell’irraggiamento solare, intenso durante buona parte dell’anno data l’esposizione a sud. L’aggressione da aerosol marino, dovuta alla vicinanza del mare, ha comportato un’ampia disgregazione del coronamento in calcestruzzo, con un’espulsione del copriferro che ha lasciato scoperte le armature. Tale fenomeno, oltre che aggravato dall’azione dell’umidità ascendente, è dovuto principalmente alla carbonatazione del calcestruzzo: la penetrazione di CO2 consentita dalla porosità del conglomerato innesca la corrosione delle armature che, rigonfiandosi, determinano l’espulsione del copriferro. Le armature così scoperte risultano ancora più soggette alla corrosione, che ne diminuisce la sezione resistente provocando un indebolimento generale della struttura. Si segnala inoltre la presenza patologica di una fitta vegetazione incolta, che ha ormai sepolto parte del prospetto ovest, determinando anche un peggioramento delle patologie da umidità ascendente, ed attualmente ha CAP 3 LA PREDIAGNOSI 151


iniziato a colonizzare l’angolo sud-ovest del convento.

IL DEGRADO ANTROPICO - L’azione deturpante dell’uomo si manifesta in

varie parti del complesso: nel prospetto sud sono presenti vistose ed ampie aree con rattoppi in malta cementizia, apposta probabilmente per colmare delle lacune di intonaco. Sono stati inoltre collocati in maniera impropria grandi fasci di cavi elettrici che percorrono tutto il prospetto sud, ed elementi metallici a sostegno di questi, dai quali discendono vistose macchie di ruggine.

IL QUADRO FESSURATIVO - A fronte delle mappe sincroniche redatte, è

stato possibile osservare, come già visto, la presenza localizzata di fenomeni fessurativi. Queste, se in alcuni punti non appaiono preoccupanti, in altri meritano una particolare attenzione. Occorre precisare però che, mentre le manifestazioni visibili hanno una diretta corrispondenza con la tipologia di dissesto, ciò non vale invece tra il quest’ultimo e la sua causa. Un dissesto infatti può essere determinato da una molteplicità e concomitanza di cause, le quali per essere identificate, necessiterebbero, oltre che della conoscenza 152 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


dell’apparecchiatura costruttiva, anche di quella dell’evoluzione dello stato fessurativo. Si renderebbe utile, ad esempio, l’acquisizione di informazioni sull’epoca di formazione delle lesioni e sul loro attuale stadio evolutivo, al fine di comprendere se il fenomeno è concluso o ancora in atto. In mancanza di queste informazioni si procederà pertanto ad una diagnosi sulle cause dei dissesti basata sull’ampia trattatistica di settore, oltre che sull’osservazione diretta. Le fessurazioni presenti nelle chiusure laterali della chiesa si sviluppano lungo le porzioni meno resistenti di muratura, ovvero quelle in cui è ridotta la sezione resistente (le nicchie); la variazione della loro ampiezza rispetto alla direzione dell’asse della navata consentono di escludere con relativa certezza l’ipotesi di schiacciamento per un eccessivo peso della copertura a capriate in calcestruzzo armato, che, sebbene più pesante di quella originaria in legno, avrebbe generato lesioni di eguale entità lungo la navata. La direzione inoltre, che flette verso un lato (quello sud), porta ad una analogia con il modello di dissesto statico del cedimento differenziale. Esso infatti si presenta con lesioni che si sviluppano lungo i punti di debolezza della struttura e corrono CAP 3 LA PREDIAGNOSI 153


in direzione obliqua verso l’area di cedimento. Tali considerazioni farebbero dunque dedurre che è in corso, o si è già concluso, un cedimento differenziale del masso fondale nell’area frontale della chiesa. Al piano terra del convento invece, le lesioni individuate nella sesta e settima unità, accorpate tra loro in un unico grande ambiente, sono parallele ed equidistanti tra loro, ed individuano certamente la tessitura della maglia strutturale della chiusura orizzontale intermedia in profili IPE 200, evidenziando quindi delle debolezze degli elementi strutturali. Le putrelle si stanno evidentemente flettendo verso il basso e stanno subendo un abbassamento in corrispondenza dell’appoggio intermedio, ove è stato aperto un passaggio per mezzo di un arco. La presenza di tale quadro fessurativo solo in quest’area del convento induce a pensare che la causa possa essere l’azione impropria dell’uomo: la mancanza della muratura continua sotto l’appoggio delle travi infatti ha alterato l’originario stato di equilibrio della struttura, e l’arco realizzato probabilmente non è sufficiente a sostenere il peso del solaio soprastante.

154 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


CAP 3 LA PREDIAGNOSI 155



IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO

4



Figura 4.1 Alla pagina precedente, dettaglio della facciata principale della chiesa in una elaborazione grafica

Una volta conclusa la fase dell’anamnesi ed avere messo a sistema tutte le informazioni ricavate dalla fase di rilievo, dalla conoscenza dell’apparecchiatura costruttiva, dalla descrizione delle manifestazioni visibili del degrado e dopo avere formulato delle considerazioni sulle cause di tali degradi, è possibile passare alla formulazione della terapia riabilitativa. È stata ampiamente sottolineata l’importanza della conoscenza dell’istanza culturale dell’edificio in quanto testimonianza di un momento storico e delle conoscenze tecnologiche del tempo. L’obiettivo delle scelte operative è infatti ripristinare le caratteristiche prestazionali dell’oggetto edilizio rispettandone tutte le sue specificità, senza cancellarne la patina del tempo frutto della storia che ci ha consegnato l’oggetto edilizio di nostro interesse. Gli interventi sono stati scelti in base a precisi criteri quali: - la tutela dell’integrità fisica del manufatto: si è scelto infatti di operare senza comportare danni meccanici, perdita di parti che caratterizzino l’aspetto e la natura degli elementi costitutivi fondamentali della fabbrica; - la conservazione della patina, quale elemento che testimonia la storia del manufatto e rappresenta anche una protezione del materiale stesso: gli CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 159


interventi sono infatti volti ad eliminare la causa o l’elemento patologico in maniera graduale, controllata e selettiva, senza aggredire la materia sana; - il rispetto dell’identità chimico-mineralogica del materiale: scegliendo di evitare l’uso di materiali incompatibili, o che inneschino reazioni di qualunque natura nel materiale da conservare. Per semplicità espositiva gli interventi scelti sono stati raggruppati in categorie, come di seguito specificato: puliture (PU), deumidificazioni (DM), integrazioni (AG), interventi di consolidamento strutturale (ST) e protezioni (PR).

160 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


PULITURE Appartengono a questa categoria tutti quegli interventi che hanno lo scopo di rimuovere la presenza di sostanze patogene senza alterare la superficie ospitante: l’obiettivo non è rendere gradevole la superficie riportando il materiale alla sua origine, ma solo rimuovere lo strato patogeno, lasciando inalterata l’eventuale patina del tempo. Per tale motivo il procedimento operativo deve essere ben calibrato e graduale, e garantire la minore aggressività possibile. I depositi possono essere incoerenti e non coesi con la superficie (deposito superficiale di particellato atmosferico, terriccio o guano), incoerenti e coesi con la superficie ma che non hanno reagito chimicamente col materiale (presenza di sali), o coerenti e chimicamente legati al substrato (croste nere). Lo studio delle manifestazioni visibili del degrado e la comprensione della natura delle sostanze estranee, nonchè il loro rapporto con le superfici, fanno da base per la scelta degli interventi di pulitura: infatti mentre i depositi non solidarizzati con il substrato possono essere rimossi mediante un’azione meccanica, ad opera di acqua o strumenti di pulizia meccanici, quelli solidarizzati col materiale o chimicamente legati ad esso necessitano di sistemi di pulitura più complessi, come di seguito illustrato. CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 161


PU1 CATEGORIA DEI LAVORI

Pulitura con spray d’acqua a bassa pressione

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata in calcarenite tenera e intonaco del prospetto sud Uno strato di deposito superficiale incoerente costituito da particellato atmosferico, polvere e terriccio ricopre ampie aree del prospetto: la quasi totalità dell’intonaco del primo piano del convento, le parti lisce di tutte le cornici delle finestre del primo piano, un’ampia area del rivestimento lapideo della chiesa, incluse le lesene laterali. La patologia oltre a generare un danno estetico dovuto all’alterazione della cromia degli elementi pone il materiale lapideo

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

continuamente a contatto con sostanze inquinanti che possono essere veicolo per l’innesco di altre patologie. Rimuovere lo strato di deposito superficiale incoerente in maniera controllata e non aggressiva, senza ledere lo strato sottostante di materiale sano. L’acqua svolgerà infatti un’azione chimica di

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

solubilizzazione dei depositi ed una blanda azione meccanica dovuta al ruscellamento. 1. Preparazione del supporto e protezione delle parti non interessate

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

2. Lavaggio con spray d’acqua deionizzata a bassa pressione 3. Risciacquo finale della superficie 1. Preventivamente si procederà alla delimitazione dell’area di intervento ed alla protezione delle parti non interessate mediante l’apposizione di teli o fogli impermeabili. Segue quindi la preparazione del supporto con una preventiva pulitura superficiale al fine di eliminare i depositi incoerenti che possono essere rimossi facilmente con l’uso di spazzole morbide, stracci o scope di saggina, o aspiratori meccanici nel caso di materiali incoerenti accumulatisi in giunti o interstizi. La preparazione del supporto ha lo scopo di eliminare quei materiali incoerenti che potrebbero diluirsi con l’acqua irrorata e, ruscellare condotti da essa nelle parti sottostanti pregiudicando

PROTOCOLLO OPERATIVO

162 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

l’azione pulente dell’acqua. Va inoltre previsto un adeguato sistema di smaltimento delle acque.


2. Le superfici da trattare saranno irrorate con getti d’acqua a bassa pressione (2-3 atm) per mezzo di ugelli e irroratori manuali, con una distanza dalla superficie compresa tra i 5 e i 20 cm. L’operazione dovrà essere condotta per porzioni limitate di superfici, procedendo dall’alto verso il basso così da allontanare velocemente i depositi ed evitarne l’accumulo per percolamento nelle parti inferiori. Il getto dovrà avere una durata limitata, senza superare i 20 minuti consecutivi al fine di evitare un eccessivo assorbimento di acqua da parte delle superfici, e potrà essere ripetuto nel caso di deposito maggiormente consistente. Per determinare la durata necessaria, si prescrive lo svolgimento di prove su campioni di materiale. L’operazione andrà condotta quando la temperatura esterna non scenda al di sotto dei 20 °C, al fine di favorire una veloce evaporazione delle masse d’acqua ed asciugatura delle superfici. 3. L’operazione va conclusa con una pulizia mediante spazzole morbide di saggina, al fine di rimuovere i depositi eventualmente accumulatisi durante la pulizia, ed un risciacquo generale dell’intera superficie trattata.

MATERIALI IMPIEGATI

Acqua pura, dolce, priva di sali e calcari, con pH neutro e una durezza inferiore al 2%

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 163


PU2 CATEGORIA DEI LAVORI

Pulitura con spray d’acqua nebulizzata

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata in calcarenite tenera Uno strato di deposito superficiale più consistente, costituito da particellato atmosferico, polvere e terriccio ricopre diverse aree dell’apparecchiatura lapidea di facciata, in particolare alcuni degli elementi modanati: il marcapiano a triscele, parte delle cornici modanate delle finestre del primo piano, compresi i pilastri centrali delle bifore, parte dei piedritti e degli archivolti di entrambi i portali, e della cornice del rosone. La patologia genera un danno estetico dovuto all’alterazione della cromia degli elementi e alla scarsa leggibilità dell’effetto chiaroscurale delle

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

modanature e pone il materiale lapideo continuamente a contatto con sostanze inquinanti che possono essere veicolo per l’innesco di altre patologie. Rimuovere lo strato di deposito superficiale incoerente da parti modanate o molto lavorate, per le quali occorre un intervento estremamente delicato e controllato, per evitare di ledere lo strato sottostante di materiale sano. L’acqua proiettata in forma di minuscole gocce svolge infatti un’azione chimica di solubilizzazione dei depositi, grazie all’elevata superficie di contatto con il

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

materiale. 1. Preparazione del supporto e protezione delle parti non interessate

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

2. Lavaggio con spray d’acqua deionizzata a bassa pressione 3. Risciacquo finale della superficie 1. Preventivamente si procederà alla delimitazione dell’area di intervento ed alla protezione delle parti non interessate mediante l’apposizione di teli o fogli impermeabili. Segue quindi la preparazione del supporto con una preventiva pulitura superficiale al fine di eliminare i depositi incoerenti che possono essere rimossi facilmente con l’uso di spazzole morbide, stracci o scope di saggina, o aspiratori meccanici nel caso di materiali incoerenti accumulatisi in giunti o interstizi

PROTOCOLLO OPERATIVO

164 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

La preparazione del supporto ha lo scopo di eliminare quei materiali incoerenti che potrebbero


diluirsi con l’acqua irrorata e, ruscellare condotti da essa nelle parti sottostanti pregiudicando l’azione pulente dell’acqua. Va inoltre previsto un adeguato sistema di smaltimento delle acque. 2. Le superfici da trattare saranno irrorate con getti d’acqua nebulizzata tramite ugelli a cono vuoto, con un orifizio molto piccolo (meno di 1 mm) e posizionati ad una distanza di 30-40 cm dalla superficie. L’impianto sarà costituito da una serie di ugelli orientabili e disposti in modo da irrorare la superficie proiettando una fitta nebbia di goccioline dirette verso l’alto in modo da giungere sulle parti interessate senza esercitare pressione. L’operazione va condotta per fasce orizzontali procedendo dall’alto verso il basso. La durata dell’operazione è correlata alla consistenza del deposito, ma non dovrà mai superare i 15 minuti consecutivi, per evitare un eccessivo impregnamento delle superfici; nel caso di depositi più resistenti possono essere effettuati più cicli di pulitura, avendo cura di alternare delle pause sufficienti al completo asciugamento del materiale. L’operazione va effettuata durante la stagione calda ed evitata quando le temperature scendono al di sotto dei 20 °C. In generale vanno osservate le medesime precauzioni della pulitura con spray d’acqua a bassa pressione. 3. L’operazione va conclusa con una pulizia mediante spazzole morbide di saggina, al fine di rimuovere i depositi eventualmente accumulatisi durante la pulizia, ed un risciacquo generale dell’intera superficie trattata.

MATERIALI IMPIEGATI

Acqua pura, dolce, priva di sali e calcari, con pH neutro e una durezza inferiore al 2%

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 165


PU3 CATEGORIA DEI LAVORI

Pulitura con impacchi di argille assorbenti e acqua distillata

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata in calcarenite tenera, muratura in pietrame Parte del rivestimento lapideo è interessato da efflorescenze saline: nel convento, alcune porzioni di cornice delle finestre del primo piano; nel fronte della chiesa, una porzione della lesena di sinistra e parti del rivestimento sottostanti al marcapiano. Il marcapiano a triscele, e parte del portale, in particolare i capitelli, sono affetti da croste nere sottili, sotto le quali il substrato potrebbe essere deteriorato. Il fenomeno delle efflorescenze è presente inoltre all’interno del

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

convento nella quasi totalità delle murature del piano terra: qui l’intervento è previsto in seguito allo svellimento dell’intonaco (Scheda AS1). Estrarre i sali veicolati dall’acqua negli elementi lapidei e nelle murature in oggetto e ridurre o ritardare le manifestazioni visibili imputabili all’umidità ascendente e discendente. Eliminare le croste nere sottili che pregiudicano la lettura delle parti modanate dell’apparecchiatura lapidea

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

di facciata. 1. Preparazione della miscela e preparazione del supporto

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

2. Stesura dell’impacco 3. Rimozione dell’impacco e pulitura della superficie 1. La preparazione della miscela avviene con un agitatore meccanico mescolando l’attapulgite con acqua distillata fino ad ottenere un composto simile ad un fango, pastoso e facilmente spalmabile. Le superfici vanno preparato mediante un’umidificazione con acqua distillata, e nel caso delle superfici in pietra calcarea si prevede l’apposizione di fogli di carta assorbente, al fine di evitare che le particelle di argilla si depositino nelle porosità del materiale. 2. Il composto viene applicato sulle superfici da trattare mediante spatole, pennelli o a mano, con uno spessore di 2-3 cm. Il composto dovrà rimanere a contatto con la superficie per un tempo

PROTOCOLLO OPERATIVO

166 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

variabile fino a diversi giorni, e da valutare in seguito a prove in situ. Per evitare l’essiccamentoi


per evaporazione dell’impacco, occorre prevederne la copertura con teli di polietilene, aperti superiormente per consentire l’imbibizione dell’impacco qualora necessaria. Trascorso il tempo previsto i fogli di polietilene vanno rimossi al fine di consentire l’asciugatura spontanea dell’impacco. Nelle murature interne, data la grande estensione della superficie si prescrive l’apposizione di reti in nylon per mantenere l’aderenza dell’impacco al supporto. 3. Una volta che la superficie dell’impacco si sarà completamente asciutta, avrà formato una crosta incoerente che si distaccherà facilmente dal supporto. La pulitura dai residui incoerenti e pulverulenti può essere effettuata con una spazzolatura per quanto riguarda le parti in muratura; mentre per le parti lapidee in calcarenite si prescrive l’uso di pennelli o spazzole morbide, ed una pulitura finale con panni o spugne soffici imbevuti di acqua distillata.

MATERIALI IMPIEGATI

Attapulgite, acqua distillata

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 167


PU4 CATEGORIA DEI LAVORI

Pulitura con impacchi a base di fosfato di ammonio

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata in calcarenite tenera, muratura in pietrame Il rivestimento lapideo è caratterizzato dalla presenza sporadica di numerosi elementi metallici di sostegno per i cavi elettrici, che in seguito al dilavamento delle acque hanno generato delle macchie di ruggine che discendono per alcune decine di centimetri. In particolare lungo la

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

fascia compresa tra il portale ed il rosone della chiesa, e nel rivestimento lapideo alla sinistra del portale minore. Rimuovere macchie particolarmente persistenti nel materiale lapideo e che pregiudicano il

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

risultato estetico del rivestimento. 1. Preparazione del supporto e della miscela

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

2. Stesura dell’impacco 3. Rimozione dell’impacco e pulitura della superficie 1. La preparazione della miscela avviene imbevendo la polpa di cellulosa in una soluzione satura di fosfato di ammonio con pH portato a 6 con l’aggiunta di acido fosforico. La superficie va preparata mediante una sgrassatura al fine di evitare la diffusione dei prodotti dell’ossidazione del ferro all’interno del materiale. 2. Prevalentemente alla stesura dell’impacco si appongono sulla superficie da trattare dei fogli di carta assorbente o velina giapponese, al fine di facilitare la rimozione dell’impacco senza lasciare tracce all’interno dei pori del materiale. L’impacco va quindi steso sulla superficie, su un’area doppia rispetto a quella interessata dalla macchia, per evitare la diffusione della stessa, per uno spessore di circa 1 cm e facendo attenzione a non lasciare vuoti d’aria per evitare una pulitura a chiazze. L’impacco va lasciato agire per un tempo limitato, che deve essere attentamente valutato mediante specifiche prove, perché le sostanze chimiche

PROTOCOLLO OPERATIVO

168 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

contenute se lasciate agire per un tempo eccessivo possono avere un effetto corrosivo o


sbiancante sul materiale. L’impacco può essere eventualmente ripetuto solo sull’area interessata dalla macchia per completarne la pulizia con intervalli variabili da poche ore ad una settimana. 3. Una volta che la superficie dell’impacco si sarà completamente asciutta, avrà formato una crosta incoerente che si distaccherà facilmente dal supporto. La pulitura può essere effettuata spazzole a setole morbide e panni o spugne soffici imbevuti di acqua distillata. La rimozione della carta assorbente può essere effettuata aiutandosi con un leggero soffio di aria compressa per non lasciare tracce sulla superficie. Per la preparazione della miscela: polpa di cellulosa, soluzione di fosfato di ammonio. Per

MATERIALI IMPIEGATI

l’applicazione e la rimozione: carta giapponese a grana fine, acqua distillata.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 169


PU5 CATEGORIA DEI LAVORI

Rimozione di microflora e patina biologica

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata in calcarenite tenera, superfici intonacate L’apparecchiatura lapidea di facciata nonché alcune porzioni di intonaco sono interessate dalla presenza di patina biologica e microflora. Le manifestazioni visibili della patologia sono macchie e patine di vario colore, dal grigio al verde al rossastro, e la presenza in alcuni punti di una patina spessa ed aderente costituita da muschi e licheni. Tale degrado è spesso accompagnato da altre manifestazioni più o meno correlate come croste e depositi superficiali. Per tali motivazioni la superficie al di sotto degli strati patogeni potrebbe essere degradata. Le aree interessate sono in particolare quelle in cui è frequente il ruscellamento o l’accumulo delle acque piovane: nel convento, la fascia orizzontale di intonaco al di sopra del marcapiano in corrispondenza del davanzale delle finestre per un’altezza di 10-15 cm, il marcapiano soprastante il portale minore; nella chiesa alcune parti del rivestimento lapideo al di sopra del basamento, il marcapiano,

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

parti del cordone decorato del portale e del rosone, parte delle lesene e tutta la cornice di coronamento. Eliminare la patina biologica e la microflora che oltre a generare un danno estetico dovuto all’alterazione della cromia delle superfici, rende scarsamente leggibili gli effetti chiaroscurali nelle parti modanate, e costituisce un mezzo di aggressione chimica e meccanica. La presenza della patina biologica contribuisce infatti a mantenere umido il substrato, ponendo le basi per l’avanzamento della patologia, inoltre i muschi e i licheni possono intaccare fisicamente la struttura porosa del materiale. La scelta dell’applicazione ad impacco è volta ad assicurare un maggiore tempo di contatto tra la sostanza biocida e lo strato patogeno ed a limitare la

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

dispersione delle sostanze chimiche utilizzate..

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

1. Eliminazione meccanica delle patine più spesse

170 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

2. Preparazione dell’impacco


3. Applicazione dell’impacco 4. Pulitura finale 1. Previa l’applicazione dell’impacco andranno rimosse le biomasse che si presentano come uno strato spesso e coeso al materiale, per mezzo di un’azione meccanica esercitata tramite pennelli a setole rigide o spatole, prestando nell’operazione la massima attenzione al fine di non generare macchie dovute al rilascio dei pigmenti presenti nelle colonizzazioni biologiche. 2. L’impacco va preparato imbevendo la polpa di cellulosa in una soluzione acquosa contenente sostanze biocide nella esatta diluizione consigliata dal produttore, che possono variare dall’1 al 10%. 3. La stesura dell’impacco deve essere effettuata durante la stagione primaverile o autunnale, nel corso delle prime ore del mattino ed in assenza di pioggia forte o vento, per ridurre l’evaporazione del prodotto e la sua dispersione nell’ambiente. Il tempo e il numero di applicazioni devono essere valutati in base al prodotto utilizzato ed alla gravità della patologia e possono essere ripetuti ad esempio, ogni 24 ore fino alla constatazione della bruciatura degli organismi vegetali. 4. Trascorsi 5-15 giorni dall’ultimo trattamento biocida, si procederà all’asportazione manuale dei depositi, che si manifesteranno ingialliti, secchi o pulverulenti, mediante con spazzole di saggina, spatole o bisturi, prestando particolare attenzione alle porzioni lapidee più modanate. Il trattamento è concluso con un lavaggio con acqua distillata al fine di rimuovere i residui dei

PROTOCOLLO OPERATIVO

prodotti utilizzati e resti decoesi dei microrganismi. Per la preparazione della miscela: polpa di cellulosa, soluzione di biocidi. Per questi ultimi si prescrive che siano incolori, non oleosi, degradabili, ed abbiano una bassa tossicità per la salute dell’uomo e dell’ambiente. I prodotti utilizzati devono essere specifici per la microflora presente:

MATERIALI IMPIEGATI

alghicidi nel caso di alghe e cianobatteri, fungicidi per funghi e lichenicidi per licheni.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 171


PU6 CATEGORIA DEI LAVORI

Rimozione di macroflora e vegetazione infestante

TIPOLOGIA

Giardino prospicente il prospetto ovest del convento Il giardino ad ovest del convento è interessato da una vegetazione infestante che ricopre la striscia adiacente il prospetto per un’altezza che giunge oltre i 3 metri. Tale vegetazione oltre a rendere impossibile l’utilizzo di questo tratto di giardino di pertinenza, crea ed amplifica le condizioni per lo sviluppo di patologie da umidità ascendente. La vegetazione tappezzante ha

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

inoltre colonizzato l’angolo sudovest del prospetto e rischia di danneggiare l’apparecchiatura lapidea di facciata aggrappandosi al substrato. Rimuovere gli individui erbacei, arbustivi e legnosi, che, oltre a generare un degrado estetico, potrebbero causare danni meccanici nel caso si fossero insinuati nelle strutture murarie per mezzo delle radici. In questo caso, la rimozione meccanica delle radici avrebbe un’azione lesiva

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

per il substrato, e si procederà quindi con l’uso di biocidi.. 1. Parziale rimozione della vegetazione 2. Preparazione della miscela

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

3. Applicazione di biocidi 4. Estirpazione delle radici 1. In relazione alle dimensioni della pianta si può prevedere una rimozione della stessa per via meccanica, mediante taglio con cesoie, accette o seghe elettriche o manuali, avendo cura di non danneggiare i materiali e gli elementi edilizi interessati. Nel caso di piante con un eccessivo sviluppo radicale o la cui rimozione comportasse lesioni all’apparecchiatura lapidea di facciata o alle strutture murarie si procede con i punti seguenti. 2. La soluzione biocida va preparata con la diluizione del prodotto in soluzione acquosa con una percentuale che varia dallo 0,1% all’1%,

PROTOCOLLO OPERATIVO

172 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

3. La zona infestata sarà trattata con l’irrorazione della soluzione biocida mediante l’impiego


di specifici nebulizzatori. L’applicazione deve essere effettuata preferibilmente in inverno e non deve avvenire in caso di pioggia o vento, al fine di ridurre al minimo le dispersioni delle sostanze biocide nell’ambiente. 4. Trascorsi 30-60 giorni dall’applicazione del biocida è possibile constatarne l’efficacia, ed in caso di esito positivo, procedere all’estirpazione delle radici. Soluzione biocida. La miscela deve contenere sostanze il meno possibile tossiche, come i composti neutri della triazina, che hanno bassa solubilità in acqua, o i derivati dell’urea, che presentano una scarsa mobilità nel terreno, così da evitare al minimo i rischi di inquinamento

MATERIALI IMPIEGATI

delle aree limitrofe e limitare l’efficacia dell’intervento alle sole zone interessate dal degrado.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 173


DEUMIDIFICAZIONI Le patologie da umidità risaliente hanno come fattore in comune l’imbibizione per risalita capillare delle strutture verticali della fabbrica, e pertanto questa categoria di terapie riabilitative ha come obiettivo quello di porre rimedio alle patologie derivanti da tale causa. Poiché, come già detto, ciò è un fenomeno imprescindibile dall’esistenza stessa dell’oggetto edilizio, a volte la totale eliminazione del problema avrebbe come effetto quello di stravolgere la natura ed il comportamento della fabbrica: talvolta si preferisce quindi convivere con la presenza patologica dell’acqua cercando di minimizzare il più possibile i suoi effetti deleteri. Queste considerazioni hanno guidato la scelta dei seguenti interventi: l’intonaco del piano terra del prospetto, già quasi totalmente lacunoso, verrà demolito e sostituito con intonaco macroporoso e antisale, al fine di assicurare la massima evaporazione possibile dell’umidità risaliente; nel fronte ovest, interessato da un fronte di risalita più elevato, sarà realizzato un drenaggio esterno al corpo di fabbrica finalizzata all’allontanamento delle masse d’acqua disperse nel sottosuolo.

174 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


AS1 CATEGORIA DEI LAVORI

Asportazione di intonaco e di rappezzi in malta cementizia

TIPOLOGIA

Al piano terra del convento, sul fronte e sulle murature interne L’intonaco del piano terra del convento risulta quasi totalmente lacunoso in seguito ad un intervento di demolizione dello stesso. Inoltre alcune parti del prospetto sud sono state impropriamente rappezzate con malta cementizia. L’intonaco delle murature interne mostra

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

evidenti manifestazioni visibili di patologie legate ad umidità ascendente: alterazione cromatica (imbibizione), lacune, esfoliazioni ed efflorescenze. Tale intervento si pone come preliminare rispetto ad altri interventi di miglioramento delle

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

patologie legate all’umidità di risalita (Schede PU3 e DM1) 1. Si procede con l’accurata rimozione dell’intonaco utilizzando una fresatrice per restauro abbinata ad un aspiratore industriale per elettroutensili. Nel prospetto sud dovranno essere rimossi i lacerti di intonaco cementizio rimasti, mentre negli interni si prescrive la rimozione dell’intonaco fino ad un’altezza che superi di circa 50 cm l’isoumida di frontiera, avendo cura di raschiare i giunti tra gli elementi lapidei al fine di assicurare l’asportazione di sporco, muffa ed

PROTOCOLLO OPERATIVO

altri elementi fonte di ammaloramento presenti tra gli interstizi.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 175


DM1 CATEGORIA DEI LAVORI

Deumidificazione con intonaco macroporoso

TIPOLOGIA

Al piano terra del convento, sui fronti sud e ovest L’intonaco del piano terra del convento risulta quasi totalmente lacunoso in seguito ad un intervento di demolizione dello stesso. L’intonaco delle murature interne mostra evidenti

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

manifestazioni visibili di patologie legate ad umidità ascendente: alterazione cromatica (imbibizione), lacune, esfoliazioni ed efflorescenze. Migliorare la traspirabilità delle chiusure verticali e la velocità di evaporazione dell’acqua di

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

risalita, mitigando così le patologie da umidità risaliente 1. Lavaggio della superficie 2. Ristilatura dei giunti 3. Applicazione di rinzaffo risanante

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

4. Applicazione di strato di arriccio macroporoso 5. Applicazione di strato di finitura 1. In seguito alle operazioni della scheda AS1, e della scheda PU3 per quanto riguarda le murature interne, la superficie si presenta priva di intonaco. Si procede quindi ad una pulitura mediante spazzolatura, al fine di rimuovere i depositi incoerenti, ed un accurato lavaggio con idropulitrice, con lo scopo di favorire eventuali fuoriuscite di sali e preparare il substrato per i successivi passaggi. 2. Dopo che la superficie si sarà completamente asciugata si può procedere alla stilatura dei giunti, che verranno risanati con malta a base di leganti idraulici naturali e sabbia silicea. 3. Previa bagnatura con acqua pulita della muratura si procede all’applicazione dello strato di rinzaffo mediante cazzuola, con lo scopo di preparare un fondo ruvido atto all’adesione del successivo strato di intonaco macroporoso. Il rinzaffo dovrà essere applicato a copertura totale

PROTOCOLLO OPERATIVO

176 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

del supporto e sarà costituito da una malta a base di calce idraulica naturale, resistente ai solfati


rafforzata e stabilizzata con cocciopesto vagliato e unito a sabbie silicee e carbonatiche selezionate, ed additivate con idoneo agente porogeno/areante, così da essere caratterizzato da una porosità calibrata sottile. 4. Trascorsi 24-48 ore dalla stesura dello strato di rinzaffo, si procederà ad applicare lo strato di intonaco macroporoso mediante cazzuola. 5. Passati circa 20 giorni dalla stesura del rinzaffo si potrà procedere alla stesura della finitura superficiale che sarà frattazzata. Si applicherà infine uno strato di finitura come prescritto nella scheda PR2. Calce idraulica naturale, cocciopesto, sabbia vagliata e lavata, agente porogeno areante,

MATERIALI IMPIEGATI

intonaco macroporoso.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 177


DM2 CATEGORIA DEI LAVORI

Realizzazione di drenaggi

TIPOLOGIA

Al piano terra del convento, sul fronte ovest

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

Le murature interne dei fronti nord ed ovest del convento risultano interessate da intense patologie da umidità ascendente con fronti di risalita che superano i 200 cm. Mitigare le manifestazioni visibili del degrado da umidità ascendente, allontanando le masse

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

d’acqua dal terreno posto a diretto contatto con le murature in oggetto. 1. Scavo a sezione obbligata 2. Creazione del letto di posa 3. Impermeabilizzazione del paramento esterno del muro 4. Collocazione del canale per lo scorrimento delle acque

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

5. Creazione del vespaio 6. Ripristino della chiusura orizzontale al di sopra del vespaio 1. Si procederà allo scavo mediante l’asportazione del terreno fondale, per costituire una trincea adiacente alla muratura perimetrale, di profondità pari almeno a quella della fondazione e larghezza adeguata alla realizzazione di un’efficace barriera alla penetrazione dell’umidità. Lo scavo dovrà realizzare una sezione con base pressoché orizzontale, al fine di avere un piano di posa adeguato su cui realizzare il drenaggio. 2. Sulla superficie orizzontale di pase dello scavo di cui al punto precedente, andrà realizzato un letto di posa in malta magra dello spessore di circa 10 cm; tale letto dovrà essere opportunamente inclinato, con una pendenza di circa 1-2%, al fine di agevolare lo scorrimento delle acque all’interno del dispositivo di raccolta che andrà in seguito collocato, ed evitarne il ristagno. 3. La superficie esterna del paramento murario che è stata portata alla luce verrà impermeabilizzata

PROTOCOLLO OPERATIVO

178 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

per mezzo dell’apposizione di uno strato di guaina impermeabilizzante avendo cura di estenderla


per tutta la superficie esposta al fine di evitare punti di infiltrazione per le masse d’acqua che andrebbero a vanificare l’intervento: si procederà pertanto a farla rigirare inferiormente fino al letto di posa e, superiormente, fino all’altezza alla quale verrà realizzata la chiusura orizzontale di base. 4. Si procederà quindi alla collocazione di un tubo di drenaggio opportunamente forato, al di sopra del letto di posa, che raccoglierà e convoglierà le acque provenienti dal terrapieno adiacente e dal drenaggio superiore. 5. Il dispositivo di raccolta delle acque di cui al punto precedente verrà ricoperto e l’intera sezione di scavo saturata mediante la realizzazione di un vespaio areato, che sarà realizzato posando dei blocchi informi di pietrame arido aventi tutti la medesima pezzatura, al fine di massimizzare la presenza dei vuoti. Lo strato superiore del vespaio sarà costituito da pietrame di pezzatura minore al fine di costituire una superficie idonea alla realizzazione della chiusura orizzontale di base. 6. Al di sopra del vespaio verrà realizzata una chiusura orizzontale di base drenante, con la seguente stratigrafia: uno strato di ghiaia frantumata lavata a granulometria grossolana (30-60 mm) di spessore 15 cm, uno strato di ghiaia frantumata lavata a granulometria grossolana (20-30 mm) di spessore 10 cm, uno strato di tessuto geotessile filtrante, uno strato di allettamento di 5-6 cm costituito da pietrisco lavato a grana fine (3-5 mm) ed infine la pavimentazione in lastre di calcestruzzo drenante. Malta magra, pietrame arido in varie pezzature, ghiaia e pietrisco in varie pezzature,

MATERIALI IMPIEGATI

pavimentazione in lastre di calcestruzzo drenante.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 179


180 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


INTEGRAZIONI Le integrazioni sono quegli interventi che hanno come scopo quello di colmare le lacune e le mancanze di uno o più materiali base, col fine di ridare leggibilità e continuità all’elemento, nel caso in esame l’apparecchiatura lapidea di facciata. Tali operazioni rispondono quindi ad un’esigenza di funzionalità estetica, ma, ancor prima, di protezione. Nel caso in esame esistono varie tipologie di degrado che hanno portato alla scelta di un intervento integrativo: la porzione di facciata in corrispondenza del portale minore presenta una alveolizzazione del rivestimento lapideo in stato avanzato e la mancanza di un concio in calcarenite: è previsto quindi la sostituzione degli elementi degradati e la tassellatura dell’elemento mancante. L’avanzato stato di degradazione del calcestruzzo nella merlatura e nella muratura del primo piano al di sopra del succitato portale, accompagnata da una estesa esposizione dei ferri d’armatura, richiede una integrazione per ripristinarne le caratteristiche strutturali ed estetiche, in quest’ultimo caso per ridare continuità al coronamento del prospetto. Le lacune di intonaco, quando puntuali come nel primo piano del convento, saranno sanate con rappezzi di malta con aspetto e materiali il più possibile simili all’esistente. CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 181


AG1 CATEGORIA DEI LAVORI

Sostituzione e tassellatura

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata in calcarenite tenera Il rivestimento lapideo nella parte adiacente al portale minore risulta gravemente affetto da efflorescenze, alveolizzazione, disgregazione e dalla mancanza di un concio lapideo.

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

L’alveolizzazione nelle lastre di rivestimento è giunta ad uno stadio avanzato tale da pregiudicare la leggibilità dell’apparecchiatura lapidea di facciata La sostituzione degli elementi più gravemente alveolizzati e la tassellatura del concio mancante

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

hanno lo scopo di ridare continuità e leggibilità al rivestimento lapideo. 1. Asportazione dei blocchi in calcarenite degradati 2. Realizzazione del tassello

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

3. Realizzazione dei fori e dell’inserimento dei perni per l’apposizione del tassello 4. Collocazione dei nuovi elementi e stuccatura delle fessure 1. L’asportazione degli elementi degradati avverrà tagliando la pietra con scalpelli piani, o subbie, avendo cura di non danneggiare gli elementi lapidei sani circostanti 2. Si realizzano i tasselli e le lastre partendo da una sagoma bidimensionale o un modello tridimensionale della parte da sostituire, scegliendo accuratamente il blocco lapideo da cui ricavare il tassello, che dovrà presentare caratteristiche fisiche ed estetiche il più possibile simili a quelle della parte ospitante. 3. Al fine dell’alloggiamento dei nuovi elementi andranno eseguiti dei fori con un trapano a rotazione, nel quale andranno inseriti dei sostegni interni, perni in acciaio inossidabile o zincato, ad aderenza migliorata, fissati con l’ausilio di resine epossidiche bicomponenti. 4. I tasselli vengono posti negli alloggiamenti predisposti ed eventualmente, nel caso delle lastre, fissati con grappe metalliche alloggiate da un lato all’interno della lastra e dall’altro nella

PROTOCOLLO OPERATIVO

182 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

muratura, ove sono murati con malta. Per facilitare il posizionamento del tassello e la perfetta


aderenza con gli elementi circostanti si possono utilizzare scalpelli o esercitare un’abrasione delle superfici di contatto. I giunti vanno poi saturati con stucchi costituiti da polvere dello stesso materiale del tassello e resine sintetiche o calce naturale.

MATERIALI IMPIEGATI

Calcarenite, polvere e resine o calce naturale per il montaggio.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 183


AG2 CATEGORIA DEI LAVORI

Reintegrazione di calcestruzzo

TIPOLOGIA

Elementi in calcestruzzo del prospetto principale La merlatura e la mensola della terrazza del prospetto principale presentano una vistosa disgregazione per carbonatazione del calcestruzzo, con conseguente esposizione e corrosione dei ferri di armatura. Ciò pregiudica l’aspetto estetico ma, in special modo nel caso della

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

copertura piana, potrebbe anche portare alla riduzione delle prestazioni statiche e di sicurezza a causa della corrosione delle armature. Ripristinare le caratteristiche prestazionali del calcestruzzo, impedendo l’avanzamento della corrosione, mediante la ripassivazione delle armature e il risanamento del copriferro; preservare inoltre la durabilità del calcestruzzo risanato con un’adeguata protezione nei confronti della

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

penetrazione dell’acqua. 1. Preparazione del substrato 2. Preparazione dei ferri di armatura

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

3. Esecuzione del trattamento passivante 4. Ripristino del copriferro 1. La preparazione del substrato avviene effettuando un’accurata pulizia di tutte le parti in fase di distacco mediante l’uso di scalpelli, e di tutte le parti disgregate ed incoerenti, come sporco, polvere e residui di ruggine, per mezzo di spazzolatura, con lo scopo di rimuovere tutte le parti carbonate del calcestruzzo. 2. I ferri di armatura vanno poi ripuliti da tracce di malta e calcestruzzo e, ove possibile, andrà asportato il calcestruzzo circostante per esporre completamente la loro superficie. L’armatura rimasta esposta va poi pulita per mezzo di sabbiatura allo scopo di eliminare ogni traccia di ruggine avendo però cura di non danneggiarla ulteriormente riducendone la sezione

PROTOCOLLO OPERATIVO

184 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

3. Verrà quindi eseguito il trattamento passivante con l’applicazione, su tutte le parti di armatura


esposte, di un rivestimento bicomponente con inibitore della corrosione. Il prodotto va spennellato in due mani per uno spessore complessivo di circa 2 mm. 4. Dopo che il prodotto passivante si sarà essiccato, e non oltre 7 giorni dall’applicazione, si procederà al ripristino del copriferro mediante impasto cementizio. L’operazione va preceduta da una leggera bagnatura della superficie avendo cura di asciugare l’acqua in eccesso; si procederà poi con l’applicazione di una malta cementizia a ritiro compensato. Tale caratteristica è fondamentale al fine di evitare le microfratture da ritiro attraverso le quali l’acqua penetra nel calcestruzzo e dà avvio alla carbonatazione.

MATERIALI IMPIEGATI

Trattamento passivante bicomponente, malta cementizia a ritiro compensato.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 185


AG3 CATEGORIA DEI LAVORI

Rappezzo di malta cementizia ed intonaco colorato in pasta

TIPOLOGIA

Intonaco al primo piano del convento e parte intonacata sopra il portale di accesso al convento L’intonaco del primo piano del convento presenta sporadiche lacune di malta che pregiudicano

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

l’aspetto complessivo del fronte su Via Nazionale, e rendono la muratura esposta maggiormente soggetta all’aggressione degli agenti esterni come precipitazioni ed inquinamento atmosferico. Ripristinare le caratteristiche prestazionali dell’intonaco quali finitura e protezione delle murature

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

verticali.

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

1. Pulitura della superficie 2. Rappezzo in malta cementizia e intonaco colorato in pasta 1. Prima di procedere al riempimento della lacuna, le superfici di muratura esposte devono essere ripulite mediante spazzolatura al fine di eliminare i depositi incoerenti come sporco, polvere e frammenti di malta, ed eventualmente rese scabre e ruvide per favorire una migliore adesione del rappezzo. 2. Il rappezzo viene eseguito stendendo uno strato di rinzaffo in malta cementizia con sabbia a grana grossa, seguito da uno strato di arriccio in malta cementizia e sabbia a grana media, che verrà successivamente frattazzato. Lo strato di finitura pigmentato sarà realizzato con malta cementizia e aggregato a grana fine con l’aggiunta di pigmenti coloranti. La finitura verrà applicata, previa bagnatura dell’arriccio, mediante l’uso di frattazzi metallici di spessori ridotti, e successivamente lisciata con frattazzi di spugna leggermente imbevuti d’acqua, in modo da

PROTOCOLLO OPERATIVO

ottenere una ruvidezza uniforme

MATERIALI IMPIEGATI

Cemento, sabbia a grana grossa, sabbia a grana media, aggregati a grana fine, pigmenti colorati.

186 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO STRUTTURALE Gli interventi di consolidamento strutturale sono volti al ripristino delle capacità prestazionali degli elementi portanti della fabbrica. Nel caso in esame una porzione di solaio del piano terra, nel convento, e le murature perimetrali, nella chiesa, presentano un quadro fessurativo tale da pregiudicarne il giudizio di funzionalità e sicurezza. La valutazione dello stato di conservazione, tuttavia, ha portato alla deduzione che i dissesti non hanno entità tale da richiedere una sostituzione integrale dell’elemento portante, pertanto si è optato per interventi che hanno lo scopo di consolidare l’elemento di fabbrica senza stravolgerne la natura ed il funzionamento statico. Nel caso della chiusura orizzontale intermedia l’intervento di consolidazione scelto è volto alla diminuzione delle deformazioni, mediante la realizzazione di una nuova caldana collaborante in calcestruzzo armato; per quanto riguarda l’edificio ecclesiale si è scelto di intervenire realizzando dei micropali armati, scelta suggerita dalla loro bassa invasività rapportata all’efficacia.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 187


CS1 CATEGORIA DEI LAVORI

Consolidamento di strutture orizzontali con caldana collaborante

TIPOLOGIA

Solaio in putrelle di ferro e pignatte Una porzione della chiusura orizzontale intermedia in ferro e laterizio, compresa tra il sesto ed

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

il settimo vano del convento manifesta deformazioni e lesioni intradossali compatibili con un dissesto da eccesso di carico verticale. Ripristinare le caratteristiche prestazionali di sicurezza e funzionalità dell’elemento strutturale e

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

minimizzarne le deformazioni 1. Preparazione dell’elemento strutturale 2. Rimozione degli strati estradossali 3. Posa in opera di staffe e rete elettrosaldata

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

4. Realizzazione della caldana 5. Ripristino dell’estradosso del solaio 1. Prima di procedere all’intervento di consolidazione occorre mettere in sicurezza la struttura orizzontale mediante puntellatura.. 2. Si esegue quindi il divellimento del pavimento, della malta di allettamento e del calcestruzzo di riempimento tra le travi fino a mettere a vista l’estradosso dei tavelloni al fine di preparare l’alloggiamento necessario ai nuovi elementi strutturali del solaio. 3. Viene posta in opera una lamiera grecata, collegata alle ali superiori delle putrelle in ferro mediante connettori di tipo Nelson, ed una rete elettrosaldata con maglia da 15 cm, saldata per punti alle sottostanti strutture metalliche. 4. Viene quindi eseguito un getto di calcestruzzo alleggerito tale da riempire l’interasse delle putrelle e ricoprire gli elementi metallici posti in opera al punto precedente per uno spessore di almeno 3-4 cm, al fine di costituire una nuova caldana armata collaborante con la struttura

PROTOCOLLO OPERATIVO

188 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

esistente.


5. Il ripristino dell’estradosso viene eseguito realizzando un nuovo strato di malta di allettamento di 3 cm seguito da una pavimentazione in mattonelle di cotto. Lamiera grecata, connettori tipo Nelson, rete elettrosaldata, calcestruzzo alleggerito, malta

MATERIALI IMPIEGATI

d’allettamento, pavimentazione in mattonelle di cotto

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 189


CS2 CATEGORIA DEI LAVORI

Consolidamento delle fondazioni con micropali

TIPOLOGIA

Murature di fondazione I solidi murari della chiesa presentano lesioni verticali in corrispondenza dei punti in cui la

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

sezione resistente è ridotta, ovvero presso le nicchie disposte lungo le pareti laterali. La forma e l’andamento delle lesioni fanno supporre un cedimento differenziale del masso fondale. Ripristinare le caratteristiche prestazionali della muratura di fondazione e migliorare la trasmissione dei carichi verticali al masso fondale, trasferendoli a strati più profondi di terreno, senza provocare demolizioni consistenti né stravolgere la natura ed il funzionamento delle

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

strutture verticali di fondazione. 1. Localizzazione dell’intervento 2. Demolizione della chiusura orizzontale di base 3. Perforazione del terreno 4. Ripulitura del foro 5. Inserimento dell’armatura

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

6. Compressione del getto 7. Ripristino della chiusura orizzontale di base 1. Al fine di minimizzare l’invasività dell’intervento i micropali verranno eseguiti seguendo il perimetro esterno della chiesa, lungo i lati ovest, sud e est, ad un passo di 50 cm. 2. Si effettua la demolizione delle chiusure orizzontali di base nella fascia interessata dall’intervento. 3. Viene eseguita la perforazione del terreno con carotatrici a rotazione, fino alla profondità stabilita da progetto, che deve essere tale da raggiungere un substrato abbastanza rigido da essere utilizzato per il trasferimento del carico strutturale.

PROTOCOLLO OPERATIVO

190 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

4. Dopo il completamento della trivellazione, si posiziona all’interno del foro un tubo in acciaio


φ200 munito di fori con valvole di non ritorno, che funge da elemento resistente e mezzo per l’esecuzione del successivo getto. 5. Viene realizzata la guaina, consistente nel riempimento del foro con malta cementizia iniettata attraverso le valvole più profonde del tubo in acciaio. Il riempimento inizia pertanto dal fondo del foro e procede fino al riempimento dello stesso. 6. Ad avvenuta maturazione della guaina si esegue l’iniezione di malta cementizia in pressione, utilizzando tutte le valvole del foro. Tale getto genera un bulbo che grazie alla pressione esercitata sul terreno circostante assicura la resistenza del micropalo. 7. Si possono infine ripristinare le chiusure orizzontali di base puntualmente demolite al fine della realizzazione dell’intervento di consolidamento.

MATERIALI IMPIEGATI

Tubo in acciaio φ200, malta cementizia

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 191


PROTEZIONI Ogni intervento di restauro deve avere come scopo, oltre alla cura della patologia, quello di rendere la terapia duratura allontanando le cause che hanno determinato gli ammaloramenti. Nel caso in esame ciò è possibile solo in parte; ad esempio nel caso del malfunzionamento degli elementi di convogliamento delle acque, la sostituzione degli elementi danneggiati ed il ripristino dei canali di scolo secondo la regola dell’arte è sufficiente ad allontanare la causa delle patologie da umidità discendente. Ma la gran parte delle manifestazioni visibili del degrado riscontrate nell’apparecchiatura lapidea di facciata deriva da alterazioni indotte da agenti esterni, non sempre controllabili o totalmente eliminabili, come umidità ascendente, depositi superficiali da inquinamento, aerosol marino. Inoltre le operazioni di pulitura, fondamentali per ripristinare le caratteristiche prestazionali degli elementi lapidei di rivestimento, comportano la rimozione di uno strato di materiale estraneo che è deleterio, ma per certi versi costituisce uno strato di protezione da altri agenti: così facendo il materiale lapideo, dopo la pulitura, si trova ad essere maggiormente esposto a nuovi processi di degrado. 192 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Gli interventi di protezione hanno dunque lo scopo di ritardare l’insorgere di nuovi ammaloramenti e prolungare la durata delle terapie riabilitative, e nel caso in esame consistono nella protezione con idrofobizzanti delle superfici intonacate e lapidee, esposte all’azione deleteria degli agenti esterni.

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 193


PR1 CATEGORIA DEI LAVORI

Protezione con miscela idrofobizzante a base di organosilossani

TIPOLOGIA

Apparecchiatura lapidea di facciata Tutte le parti dell’apparecchiatura lapidea di facciata interessate da interventi di pulizia e tutti i

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

rivestimenti lapidei interessati da degradi derivanti da umidità si trovano in seguito alla pulitura in uno stato più soggetto alla formazione di nuovi degradi. Rendere durevoli gli effetti delle terapie riabilitative e ritardare il risorgere di patologie correlate ad umidità ascendente o discendente, attraverso l’applicazione di uno strato di protezione che impedisce la penetrazione dell’acqua ma non altera la porosità e la permeabilità al vapore della

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

superficie.

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

1. Prova della miscela su un campione di materiale 2. Applicazione della miscela 1. Prima dell’applicazione occorre effettuare una prova di applicazione del prodotto su piccole porzioni della superficie da trattare, al fine di verificare eventuali risposte indesiderate del supporto e valutare il giusto quantitativo di miscela da adoperare. 2. L’applicazione della miscela va effettuata su supporti asciutti, a completamento degli interventi di pulitura e di estrazione di sali. Le superfici vengono impregnate della sostanza tramite l’uso di pennelli morbidi, per le parti lisce e di dimensioni limitate, mentre per le superfici più vaste o caratterizzate da modanature e cavità, tramite apparecchi vaporizzatori in grado di spruzzare la miscela a bassa pressione (0,5 bar) al fine di una migliore ed uniforme impregnatura del substrato. L’applicazione deve avvenire con temperature non inferiori a 5 °C ed in presenza di un’umidità relativa non superiore ad 80%. In seguito all’applicazione, in presenza di paramenti direttamente esposti ai raggi solari

PROTOCOLLO OPERATIVO

194 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

occorrerà prevedere ad una protezione con teli per le successive 24-48 ore, in modo da


impedire la rapida evaporazione dei solventi, che può comportare una concentrazione eccessiva della sostanza idrofobizzante negli strati più esterni del substrato.

MATERIALI IMPIEGATI

Miscela a base di organosilossani

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 195


PR2 CATEGORIA DEI LAVORI

Velature

TIPOLOGIA

Intonaci di finitura dei paramenti esterni In seguito agli interventi di sostituzione, pulitura e rappezzi degli intonaci (di cui alle schede

INDICAZIONI SULLO STATO DI CONSERVAZIONE

DM1, PU1 e AG3) le superfici intonacate possono presentarsi con varie discromie che causano un danno estetico e pregiudicano l’aspetto di uniformità del prospetto. Completare l’intervento di restauro degli intonaci attenuandone le discromie e ridando uniformità al prospetto, pur consentendo la lettura dell’intervento di integrazione e senza

OBIETTIVO DELL’INTERVENTO

alternarne la traspirabilità.

DESCRIZIONE SINTETICA DEL PROTOCOLLO OPERATIVO

1. Preparazione della miscela 2. Applicazione della miscela 1. La preparazione della miscela avviene mescolando acqua di calce a pigmenti costituiti da terre naturali ed un quantitativo, pari a circa il 2%, di una resina acrilica non pellicolante. La preparazione deve avvenire con cura al fine di stemperare i pigmenti e favorire una loro perfetta miscelazione evitando grumi di colore. 2. La stesura della miscela verrà eseguita a pennello per porzioni limitate di facciata e con

PROTOCOLLO OPERATIVO

un’unica mano, avendo cura di non creare sovrapposizioni di strati di colore.

MATERIALI IMPIEGATI

Acqua demineralizzata, grassello di calce, pigmenti naturali, resina acrilica non pellicolante.

196 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


ALTRE OPERE Sono da prevedere anche altre opere quali: - l’eliminazione dal prospetto principale di tutti i cavi elettrici e gli annessi elementi di sostegno in ferro, seguita dalla stuccatura dei fori; - la rimozione di tutti i pluviali in ghisa il cui funzionamento è compromesso dalla vetustà e dalla scarsa o assente manutenzione, e che pertanto generano un degrado sia estetico che funzionale derivante dal fatto che i giunti in molti punti hanno perso la tenuta all’acqua; si prevede quindi la loro sostituzione con nuovi discendenti in rame, avendo cura di collocarne degli sbocchi al di sotto del marciapiede; - una revisione dell’impianto idrico, in special modo in prossimità dei servizi igienici dove si riscontrano patologie da umidità di invasione, - la sostituzione di tutti gli infissi esterni in legno, ovvero le portefinestre al piano terra e le finestre al piano primo, i quali presentano gravi carenze funzionali: i telai risultano in alcuni punti marcescenti e deformati, le cerniere e le ferramenta sono ossidate, generando ciò una difficoltà nell’apertura delle ante, le lastre di vetro sono ormai insufficienti a garantire un adeguato isolamento termico, e la tenuta all’aria e all’acqua non è più garantita; CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 197


- la riparazione degli infissi in ferro in corrispondenza del rosone della chiesa e della grande vetrata al primo piano del convento, le cui lastre in vetro sono danneggiate in molti punti, ed i telai corrosi e non più sufficienti a garantire la tenuta all’aria e all’acqua - l’installazione di dispositivi antivolatili nel rosone - la riparazione del portone in ferro della chiesa la cui verniciatura risulta visibilmente sbiadita ed esfoliata in diversi punti: le operazioni richieste sono la pulitura delle parti degradate con spazzole o frese da restauro, allo scopo di eliminare la vernice esfoliata, incrostazioni, e prodotti della corrosione; la stabilizzazione con solventi organici e l’applicazione di protettivi a base di cere microcristalline e resine acriliche.

198 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 199


200 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 4.2 Elaborato di sintesi degli interventi di restauro conservativo proposti

CAP 4 IL PROGETTO DI RESTAURO CONSERVATIVO 201



UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ

5


Figura 5.1 Alla pagina precedente, la funivia di Mazzarò in una fotografia degli anni 60

204 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Le riflessioni condotte sull’opportunità di riutilizzo del patrimonio edilizio esistente e l’analisi delle potenzialità residue dei “contenitori” storici, portano alla necessità di valutare con molta attenzione l’esistenza di fabbriche come quella in esame. Il contesto urbano e territoriale in cui l’oggetto del presente studio è inserito presenta forti contrasti: da un lato la spiccata naturalità ed emergenza ambientale dei luoghi, ancora tangibile nonostante l’edificazione degli ultimi decenni, per di più accentuate da una complessa orografia; dall’altro l’inevitabile processo di urbanizzazione, che nonostante in queste aree sia giunta con ritardo rispetto ad altri contesti italiani, è avvenuto senza una sufficiente attività pianificatoria; tali fattori hanno portato alla nascita di un tessuto urbano discontinuo ed una saturazione dei centri storici – fenomeno di cui Taormina rappresenta un valido esempio – e quindi ad una espansione verso altri ambiti adiacenti, che è tuttora in corso, e sta avvenendo in maniera disordinata e poco pianificata, complice anche l’obsolescenza degli strumenti urbanistici vigenti34. Il riutilizzo di un edificio esistente, anche in un’ottica di risposta alle sempre maggiormente pregnanti questioni della sostenibilità e della riduzione del consumo di suolo, appare più che mai una possibilità

34. Ing. G. Mirabito “Comune di Taormina. Piano regolatore generale: Rapporto preliminare”, 2013

CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 205


adeguata. Quanto detto appare calzante nel caso in esame, dati gli spiccati caratteri di storicità e legame col contesto naturale e infrastrutturale. I valori menzionati, evinti anche dalla fase dell’anamnesi, conferiscono all’oggetto del presente studio indiscusse potenzialità fisiche, spaziali e relazionali, che, meritano di essere valorizzate; a tal fine appare fondamentale analizzare tali potenzialità anche alla luce delle caratteristiche intrinseche del territorio che fa ad esso da sfondo, con particolare riferimento a quelle relative alla mobilità.

206 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


L’ANALISI DELLA MOBILITÀ LA MOBILITÀ EXTRAURBANA Il complesso di Villagonia risulta inserito in una rete viaria che presenta delle potenzialità, ma anche limiti e carenze. Preliminarmente l’attenzione si è concentrata su un’area più ampia che abbraccia il comprensorio costiero di Taormina, Giardini Naxos e i comuni limitrofi. L’esame delle cartografie mostra come tale comprensorio sia baricentrico rispetto ad un sistema di collegamenti che si presenta variegato e diversificato. I collegamenti avvengono principalmente lungo due assi: uno principale, in direzione nord sud che unisce idealmente e fisicamente Messina e Catania, ed uno complementare in direzione est-ovest rappresentato dall’insieme delle infrastrutture che collegano i comuni in esame con l’entroterra. La viabilità nord-sud è assicurata: - dalla linea ferroviaria Messina-Siracusa, con la stazione di TaorminaGiardini localizzata nei pressi del complesso di Villagonia, a circa 450 m da esso. La stazione accoglie periodicamente un intenso traffico di passeggeri provenienti dalle stazioni vicine di ambo le direzioni. Tale linea ferroviaria ha CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 207


rappresentato nel XIX secolo, da quando è stata realizzata, un grande supporto per il commercio della costa ionica, costituendo un collegamento con il porto di Messina da un lato, e la zona manifatturiera e portuale di Catania, da cui le merci viaggiavano per mare verso i porti italiani ed europei. Oggi la sua importanza è immutata, ma diversificata per finalità; si è infatti acuito il carattere turistico del collegamento, in particolare nei mesi estivi, e si è al contrario attenuato quello commerciale; - dal tratto autostradale Messina-Catania che è dotato nel contesto in esame di due sbocchi autostradali, uno a Giardini ed uno a Taormina sud. Esso rappresenta un vero e proprio asse portante per il collegamento su gomma, fondamentale per il transito di grandi flussi di autoveicoli; - dalla strada provinciale 114 che, come già noto, è la strada prospiciente il complesso; per molti decenni rimase l’unica via che metteva in comunicazione Catania e Messina e tutt’ora rappresenta un valido complemento alla rete autostradale. La viabilità con asse ortogonale alla costa è meno diversificata e si basa essenzialmente su una rete di strade statali che collegano l’area di Taormina e 208 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Giardini con i comuni dell’entroterra siciliano essenzialmente in due direzioni: mediante la SS185 che, attraversando i Nebrodi, giunge sulla costa tirrenica in prossimità del comune di Barcellona Pozzo di Gotto, e mediante la SS120, con la quale si giunge all’area dei paesi etnei del versante settentrionale. Si tratta, come evidente, di un sistema di mobilità stratificato e diversificato che vede molti assi sfociare nel comprensorio taorminese, situazione chiaramente comprensibile alla luce della sua importanza economica in qualità di polo turistico.

LA MOBILITÀ URBANA Una volta giunti a Taormina però la mobilità interna diventa meno fluida e diversificata, presentando lacune e carenze. In primo luogo il sistema di mezzi pubblici copre tratte limitate e risulta insufficiente per efficienza e frequenza delle corse: per tale ragione il visitatore che giunga nella zona, spesso si trova costretto a recarsi nei luoghi di interesse in maniera autonoma, oppure ad affidarsi a compagnie private che adoperano mezzi su gomma. Raggiungere il centro storico di Taormina è possibile esclusivamente per CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 209


Figura 5.2 La strada statale 114 è la storica via che, correndo parallelamente alla costa, attraversa i comuni del litorale jonico da Messina a Siracusa

210 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


mezzo di due strade: via Crocefisso a sud e via Luigi Pirandello a nord, le quali hanno origine dalla strada statale 114. La complessa orografia dei luoghi ha costretto alla realizzazione di una viabilità, comprese le due vie sopracitate, che oltre ad avere una sede stradale di larghezza piuttosto ridotta, presenta percorsi accentuatamente curvilinei, in alcuni punti veri e propri tornanti, in special modo nelle aree in cui occorre superare grandi dislivelli. L’andamento tortuoso, per quanto suggestivo, genera un’esperienza di percorrenza poco agevole, specialmente per il transito da parte di mezzi di grandi dimensioni come autobus, camion o ambulanze, oltre a code ed ingorghi nei periodi di maggiore flusso veicolare. In special modo in via Crocefisso la viabilità presenta caratteristiche dimensionali, di pendenza e di raggio di curvatura, insufficienti ed inadeguate agli abituali flussi di percorrenza35. Le due vie sopracitate hanno anche il fondamentale compito di collegare il centro storico con le aree ai piedi del promontorio, e quindi con le sue infrastrutture e servizi: via Crocefisso conduce a sud, quindi alla stazione ferroviaria, l’ospedale San Vincenzo, e naturalmente a Giardini Naxos, che per Taormina rappresenta il porto turistico; via Luigi Pirandello invece conduce alla

35. Ing. G. Mirabito, Piano Regolatore Generale. Variante Generale. Rapporto preliminare, Comune di Taormina, 2013, p. 15

CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 211


212 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 5.3 Alla pagina accanto, la baia di Villagonia vista da Taormina. Al centro della foto si scorgono le coperture a falde del complesso di Villagonia.

zona costiera della baia di Taormina, quindi all’Isola Bella, la Grotta Azzurra e la piccola baia di Mazzarò, tradizionali mete irrinunciabili del turismo balneare dell’area. Da tali constatazioni è evidente l’importanza dei due assi viari, e ciò amplifica ancora di più la loro inadeguatezza, tanto che è ben nota al Comune la necessità di una pianificazione territoriale che abbia come scopo il miglioramento, il potenziamento e la razionalizzazione della viabilità; necessità che sono chiaramente espresse peraltro nel Rapporto Preliminare redatto dal Comune di Taormina, che pone come base dei propri obiettivi di piano proprio quella di superare la difficoltà di coniugare un territorio così complesso, fusione di tanti valori meritevoli di tutela, con le esigenze della vita urbana contemporanea, situazione che trova per il momento soluzioni obsolete ed insufficienti. La fama di Taormina come meta vacanziera, unita alle agevoli condizioni climatiche, fanno sì che il comprensorio sia soggetta al fenomeno turistico per un periodo che va da aprile ad ottobre inoltrato (tralasciando i fenomeni sporadici legati ad esempio alle festività natalizie): si tratta pertanto di una CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 213


condizione quasi perpetua e non circoscritta ad un periodo ristretto dell’anno. La ricchezza principale di questo territorio rappresenta in altre parole anche una sua principale criticità, che va affrontata e risolta razionalmente. La complessità dell’area, per vincoli, storicità e orografia, rende impensabile la possibilità di superare le criticità esposte con mezzi che in contesti “ordinari” sarebbero una scelta verosimilmente perseguibile, come il riassetto della mobilità esistente, l’ampliamento della sede stradale o la realizzazione di infrastrutture come tram o metropolitane. In generale l’attraversamento del centro storico è reso difficile dalle sue caratteristiche intrinseche, in particolare la presenza una rete viaria costituita da vicoli angusti tipici dei borghi medievali; tale rete non è certamente adeguata ne dovrebbe essere destinata al transito di grandi flussi di autoveicoli, come quelli che investono l’area in particolar modo nel periodo turistico: la direzione da intraprendere appare quindi quella di collegare in maniera efficace i punti strategici posti ai margini del centro storico. Il comune si è già mosso da tempo in questa direzione, realizzando dei parcheggi in prossimità degli accessi nord e sud, al fine di proteggere 214 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


il centro storico dai grandi flussi di veicoli. Queste grandi strutture di calcestruzzo armato appaiono certamente dirompenti nel contesto in cui sono inserite, ma evidentemente all’epoca della loro realizzazione36 sono sembrate il compromesso più vantaggioso tra la necessità di accoglimento degli autoveicoli e la protezione del centro storico – protetto sì dal flusso di autoveicoli ma certamente non dalla cementificazione. È rimasto tuttavia irrisolto il problema del raggiungimento di tali strutture e del collegamento tra nord e sud di Taormina. Inoltre, nell’ottica della sostenibilità ambientale e del soddisfacimento degli standard europei per la mobilità sostenibile, altre gravi carenze emergono dall’analisi delle modalità di trasporto possibili, che si affida esclusivamente ai mezzi su gomma. È evidente nell’area in oggetto, ma non solo, la mancanza di soluzioni che appaiono ormai consolidate nell’ottica di un approccio sensibile al tema, e del resto ampiamente adottate in molte città d’Europa e d’Italia, come un generale incoraggiamento alla mobilità pedonale e ciclabile, con spazi adeguati per dimensioni e comodità di superamento delle barriere architettoniche, l’incentivazione della mobilità condivisa ad esempio con la predisposizione di

36. Si fa riferimento ai parcheggi Porta Catania e Lumbi, realizzati rispettivamente a partire dal 1989 e 1997

CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 215


Figura 5.4 In alto a sinistra, la stazione di Mazzarò e l’attuale impianto funiviario Figura 5.5 In alto a destra, i tornanti di via Crocefisso che conducono a Taormina Figura 5.6 In basso, il parcheggio Porta Catania

216 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


mezzi condivisi a ridotto impatto ambientale, come monopattini o biciclette, la presenza di parcheggi scambiatori dai quali accedere a mezzi di trasporto collettivo; altri elementi si aggiungono a tali carenze, che certamente esulano dalla responsabilità del singolo comune, ma dovrebbero essere oggetto di una pianificazione a scala provinciale o regionale, e non intendono essere oggetto della presente trattazione, come l’insufficiente attenzione ed incentivazione all’uso di mezzi a zero emissioni, o la mancanza, attualmente, di una rete di mobilità su rotaia che colleghi i comuni delle due province, dal momento che la linea ferroviaria lambisce solo i comuni direttamente affacciati sulla costa e la circumetnea raggiunge i comuni della provincia di Catania, con la stazione di Giarre-Riposto, la più vicina all’area di Giardini Naxos e Taormina, a ben 18 km. A tal proposito è attualmente in progetto da parte delle Ferrovie dello stato uno lo spostamento della linea ferrata a monte, liberando così la fascia costiera: si tratta di una soluzione auspicata da decenni da tutta la costa ionica, così da liberare il fronte mare dalla “cintura di ferro” (si pensi ad esempio al caso di Catania). A questo proposito il Rapporto preliminare suggerisce che qualora questo intervento si realizzasse, l’attuale ferrovia potrebbe diventare una linea CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 217


di metropolitana leggera37, accentuando così la vocazione di trasporto rivolto prevalentemente a passeggeri, (turisti, studenti e pendolari), dato che il ruolo commerciale della ferrovia si è molto attenuato.

LA FUNIVIA DI MAZZARÒ La mancanza di mezzi alternativi alla mobilità su gomma trova tuttavia un’unica eccezione a Taormina: la presenza di una funivia che collega la costa con i margini del centro storico. Il percorso ha inizio nella stazione di Mazzarò, di fronte all’omonima baia, e giunge fino a via Luigi Pirandello, a poche decine di metri da Porta Messina, ha uno sviluppo lineare di 732 m e copre un dislivello di 170 m attraversando uno spazio di verde naturale con cabine poste ad un’altezza massima di 30 m. L’infrastruttura fu realizzata inizialmente negli anni ’60, ed in seguito sottoposta ad interventi di ammodernamento che 37. Ing. G. Mirabito, Piano Regolatore Generale. Variante Generale. Rapporto preliminare, Comune di Taormina, 2013, p. 15 38. L’impianto funiviario, Taormina Servizi Pubblici (Web), ultimo accesso 24 ottobre 2017 http://www.taorminaservizipubblici.it/index. php?option=com_content&task=view&id=11

218 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

non ne hanno tuttavia modificato il percorso. L’impianto attuale, realizzato dalla ditta Leitner nel 1992, è un impianto monofune con 2 grappoli di 4 cabine, ciascuna in grado di trasportano 12 persone, per una portata totale di circa 1300 persone/ora38.


La scelta di realizzare un impianto funiviario rispondeva all’esigenza di collegare il centro storico di Taormina con la baia di Mazzarò, una delle mete certe di tutti i visitatori che soggiornano nella zona. La scelta si è rivelata vantaggiosa visto il veloce collegamento tra i due punti che altrimenti potrebbero essere raggiunti dopo un percorso su strada molto più lungo e tortuoso. Questo tipo di soluzioni oggi si diffonde sempre più in ambito urbano, alla luce dei suoi numerosi vantaggi, ad esempio l’adattabilità ad aree urbane sature in cui è necessaria una soluzione di mobilità complementare a ridotta occupazione di suolo. Queste esigenze sono certamente presenti nel comune ionico, ed il delicato contesto ambientale e l’alta valenza storica e paesaggistica lo rendono un caso ancora più complesso. È degno di nota pertanto che già negli anni ‘60 Taormina si dotava di un’infrastruttura moderna ed efficiente, e ciò le conferiva un ulteriore pregio, dal momento che si trattava di una delle prime esperienze di funivia in ambiti esterni rispetto a quello montano: una funivia urbana a tutti gli effetti. Per vari motivi, però, questo pregio appare oggi ridimensionato data la limitatezza del percorso. Taormina ed il suo centro storico, infatti, necessitano di un potenziamento CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 219


dei collegamenti anche con altre aree periferiche, tra le quali l’area di Villagonia, che ricopre un’importanza strategica per la vicinanza della stazione ferroviaria (o futura metropolitana leggera) e il presidio ospedaliero S. Vincenzo, e rappresenta di fatto il filtro con la vicina Giardini ed il suo porto turistico. Tale osservazione è confermata dalle strategie del Rapporto Preliminare, che ha tra gli obiettivi, per quanto riguarda la mobilità, il potenziamento e il miglioramento della rete esistente, per quanto possibile tenendo conto delle criticità del contesto, e del collegamento tra il centro e le aree periferiche con particolare riferimento all’area costiera di Villagonia, in cui si fa esplicito riferimento all’ipotesi di un collegamento funiviario, senza tuttavia ulteriori specifiche39. A tale scopo appare rilevante tenere in considerazione l’esistenza della rete funiviaria che al momento rappresenta una grande potenzialità, ma limitata per brevità del percorso e target prettamente turistico, e potrebbe giovare pertanto dell’integrazione in un sistema più vasto.

39. Ing. G. Mirabito, Piano Regolatore Generale. Variante Generale. Rapporto preliminare, Comune di Taormina, 2013, pp. 16-17

220 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


IL METAPROGETTO DI AMPLIAMENTO DELLA FUNIVIA Le esigenze finora emerse trovano tutte risposta positiva nell’ipotesi di un ampliamento della esistente funivia. È noto, infatti, come tale tipo di infrastruttura presenti numerosi vantaggi: oltre alla comodità di superare velocemente e in maniera diretta un dislivello con una forte pendenza, che sarebbe altrimenti possibile solo con la realizzazione di strade tortuose, l’aspetto più interessante, è rappresentato dalla sostenibilità e dal basso impatto ambientale che sono declinati sotto molti aspetti: - un basso impatto uditivo e basse emissioni di CO2 rispetto ad altri mezzi di mobilità collettiva; - l’economicità e la velocità di realizzazione di tale sistema rispetto ad una infrastruttura tradizionale come tram o metropolitana: il costo per chilometro di realizzazione è circa la metà rispetto al tram e circa un decimo rispetto alla metropolitana. I costi di manutenzione e gestione sono inoltre molto più bassi40. - una ridotta occupazione di suolo che prevede, ad eccezione delle stazioni, la presenza lungo tutto il percorso di soli pali di sospensione con un passo sufficientemente ampio, nell’ordine delle centinaia di metri; ciò rende la funivia particolarmente indicata nel contesto in esame, sia per l’alta valenza

40. A. Spinosa, Le funivie urbane sono una bella idea?, 19 dicembre 2016 https://cityrailways.com/articoli/le-funivie-urbane-bella-idea-31816/

CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 221


ambientale, ma anche per la forte densità e saturazione dell’area urbana del centro storico. - si inserisce nell’ottica della mobilità lenta e panoramica e pertanto costituisce un’integrazione al sistema di attrazioni turistiche della zona. Tutte queste motivazioni rendono comprensibile la grande diffusione delle funivie nei contesti urbani, si vedano a tal proposito gli esempi di New York, Barcellona, Londra e le metropoli dell’America latina. La proposta di un ampliamento della linea funiviaria appare quindi plausibile come mezzo complementare alla viabilità esistente e particolarmente interessante nel contesto in esame, però le stesse criticità che fanno da sfondo alla considerazione di queste ipotesi sono anche quelle che devono essere attenzionate. La complessità ambientale, paesaggistica e storica del contesto pongono l’area soggetta ad una molteplicità di vincoli, tra i quali quelli che appaiono maggiormente rilevanti ai fini della presente proposta sono il Piano Territoriale Paesaggistico Regionale della regione Sicilia (PTPR) e il Piano di Assetto Idrogeologico (PAI). 222 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Il primo pone l’area di Villagonia sotto il regime di tutela 3, in quanto “siti di particolare interesse biogeografico in cui coesistono rilevanti aspetti integrati di carattere abiotico e biotico relativi alla presenza di fauna, flora e vegetazione di rilievo con valenze eco-sistemiche sostanziali ai fini della realizzazione della rete ecologica”41 Il secondo individua nei versanti collinari sottostanti Taormina, tre zone a rischio idrogeologico, per le quali individua due tipi di fenomeni franosi, entrambi di tipo attivo: due delle aree sono soggette a pericolo di crollo e/o ribaltamento, mentre l’altra, da dissesti conseguenti da erosione accelerata. Sulla scorta delle premesse finora enunciate la presente proposta si propone come uno spunto ed un indirizzo coerente con gli obiettivi del PRG attualmente in fase di revisione. Gli obiettivi posti nella pianificazione del possibile percorso si fondano sulla necessità, da un lato, di sorvolare la minor estensione possibile di abitato, e, dall’altro, di non essere di ostacolo alla panoramicità offerta da molti punti di osservazione presenti nel colle taorminese. Tra questi la situazione più critica è senz’altro l’attraversamento del centro storico in prossimità del Teatro greco:

41. Regione siciliana, Piano Territoriale Paesaggistico Regionale. Ambito regionale 9 ricadente nella provincia di Messina. Norme di attuazione, pp. 122-123

CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 223


oltre alle consuete valutazioni di impatto ambientale, è apparso rilevante anche il peculiare legame storico e affettivo tra i taorminesi ed il loro teatro, il quale ha imposto di prestare particolare attenzione a non interporre qualsiasi elemento di ostacolo alla vista di cui si gode dalle millenarie gradinate. Il percorso si snoda pertanto rimanendo ben distante dal teatro sia in pianta che in alzato: mantenendo infatti per le funi un’altezza da terra coerente con il tratto di funivia già esistente, che è prossima ai 30 m, il tratto sorvolante il centro storico può avere un’altezza tale da non partecipare alla quinta del palcoscenico. Posta pertanto la necessità di attenzionare gli strumenti urbanistici vigenti a scala regionale, precedentemente esposti, d’altro canto si vuole porre l’attenzione sulle potenzialità derivanti dalla realizzazione di una simile infrastruttura, dato che l’esigenza di un collegamento tra il centro storico e Villagonia è sentita, confermata e prevista dagli obiettivi di piano esposti nel Rapporto Preliminare. La necessità di un basso impatto ambientale è rispettata con la realizzazione di un’infrastruttura che prevede una bassissima occupazione di suolo, costituita essenzialmente da un numero limitato di pali di sospensione per i cavi, dal momento che la localizzazione delle stazioni previste, 224 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


è individuata in piazzali già esistenti, senza la movimentazione di masse di terreno. Si presenta forte, chiaramente, la necessità di una progettazione attenta e sensibile alla peculiarità dei luoghi, al fine di appianare le attuali divergenze tra i vincoli imposti dal PTPR e le previsioni del PRG in fase di revisione. Una progettazione di respiro contemporaneo, ad esempio con l’utilizzo di strutture leggere, trasparenti e di basso profilo altimetrico, unita ad interventi puntuali per il miglioramento dell’accessibilità come ascensori, rampe o scale mobili urbane, porterebbe anche una riqualificazione dei luoghi interessati, in particolare il parcheggio retrostante il complesso di Villagonia: tale area potrebbe diventare un polo attrattivo per la presenza della nuova stazione, potendo quest’ultima integrarsi in una progettazione architettonica più vasta che comprenda ad esempio la sistemazione del piazzale e la realizzazione di un parcheggio scambiatore sotterraneo, rivitalizzando un’area che, attualmente, è di fatto una distesa di asfalto inutilizzata. Si suggerisce dunque un ampliamento della esistente rete funiviaria con la realizzazione di altri 3 tratti che porterebbero la linea ad una lunghezza complessiva di circa 2,3 km. Il percorso prevede, in seguito alla discesa a CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 225


livello del mare nelle due tappe intermedie, la risalita fino al parcheggio Porta Catania, collegando così il centro storico con la baia di Villagonia e contemporaneamente, le due porte principali nord e sud del centro storico. Partendo dalla esistente stazione di monte, il percorso sarà così articolato: - Un primo tratto, con inizio nella stazione Porta Messina, prosegue per una lunghezza di circa 830 m sorvolando un tratto di centro storico, in direzione perpendicolare alla via Teatro Greco, con un andamento mediamente orizzontale, per poi, in prossimità dell’estremità orientale dei Giardini della villa comunale, iniziare la discesa verso Villagonia, superando un dislivello di 150

226 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 5.7 Sezione del percorso previsto per l’ampliamento della funivia di Taormina

m con una pendenza media di circa il 44%. Qui si giunge alla prima stazione intermedia, per la cui collocazione è stata individuata l’area attualmente destinata a parcheggio, retrostante il complesso conventuale di Villagonia. - Un secondo tratto conduce all’altra stazione intermedia, in corrispondenza dell’ospedale San Vincenzo, percorrendo un tratto di 420 m con una pendenza media molto bassa, circa il 4%; questo tratto percorre sostanzialmente la stretta fascia tra le poche abitazioni di Villagonia e le retrostanti alture, mantenendo un andamento parallelo alla costa con dei piccoli raggi di curvatura. Per la realizzazione della stazione intermedia San Vincenzo è stata individuata un’area

CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 227


Figura 5.8 Alla pagina accanto, proposta di ampliamento del percorso funiviario di Taormina

asfaltata posta sul retro della struttura ospedaliera. - L’ultimo tratto infine risale fino alla stazione porta Catania sorvolando le aree collinari che fanno da sfondo all’ospedale, che presentano puntualmente qualche abitazione sparsa. Il tratto è lungo circa 310 m ed ha una pendenza media del 22%. La stazione di arrivo sarà collocata sul piazzale sommitale del parcheggio Porta Catania. La proposta porterebbe un sicuro giovamento ed una valida integrazione alla mobilità urbana dell’area, e potrebbe costituire un più concreto supporto alle infrastrutture attualmente presenti: la stazione ferroviaria e il grande parcheggio Porta Catania, diventerebbero a tutti gli effetti poli scambiatori per chi si reca a Taormina per vacanza, per lavoro, o per curarsi, si costituirebbe un collegamento diretto, veloce (e non ultimo, di piacevole percorrenza) tra poli importanti come l’ospedale, la baia di Mazzarò e le due principali porte del centro storico. Vi sono, in altre parole, le premesse per la realizzazione di un valido esempio di mobilità urbana sostenibile e collettiva, rivolta finalmente non solo ad un target turistico, ma anche alla intera comunità.

228 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


CAP 5 UNA PROPOSTA PER LA MOBILITÀ 229



IL PROGETTO DI RIUSO

6


“Quando arrivai lì con il mio bambino di due anni, dopo le mie precedenti esperienze, avevo paura di non essere di nuovo che un numero, ed invece ero finalmente diventata una persona” “La mia bambina oggi è qui tra le mie braccia grazie agli angeli del centro cardiologico pediatrico di Taormina” 42


L’IPOTESI PROGETTUALE

Figura 6.1 Alla pagina precedente, schizzo di progetto Figura 6.2 Alla pagina accanto, i medici del Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo di Taormina in sala operatoria

Le fasi di conoscenza e le analisi del contesto territoriale finora condotte hanno fatto da sfondo imprescindibile per le riflessioni volte a comprendere le potenzialità della fabbrica e la sua adattabilità ad una possibile destinazione d’uso contemporanea. È già stata evidenziata la posizione strategica del complesso lungo una serie di assi viari come la strada statale e la ferrovia, la vicinanza ad importanti centri turistici, la felice posizione prospiciente la baia. Il contesto è stato però valutato, per sommi capi, anche nelle sue componenti sociali urbane, economiche. La vocazione turistica della zona è ampiamente espressa nella presenza di numerose strutture ricettive, alberghi, bed&breakfast, affittacamere, oltre ad un vasto numero di appartamenti destinati alla locazione durante i mesi estivi, che rendono l’area in esame satura di edifici destinati a queste attività. La frazione di Villagonia rappresenta attualmente un brano di territorio investito solo parzialmente dall’urbanizzazione, che conserva ancora caratteri di naturalità che appaiono meritevoli di essere valorizzati, nell’interesse di evitare un perpetrarsi dello sfruttamento del suolo a fini speculativi, ma al contrario di costituire una risposta al quadro esigenziale espresso dal territorio.

42. Testimonianze dei genitori dei pazienti del Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo (fonte: https://www.qsalute.it/cardiochirurgia-pediatrica-ospedale-taormina/)

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 233


La riflessione si è quindi focalizzata sulla comprensione delle necessità della comunità, sia taorminese che giardinese. La fase di conoscenza storica, in quest’ottica, ha portato a precise deduzioni: in primo luogo la vocazione assistenziale e di accoglienza del convento. La vita dei frati cappuccini si contraddistingue infatti, sin dalle origini, per la sua aderenza a precisi valori quali la povertà e l’impegno verso la cura dei poveri, dei malati ed in generale per le persone in difficoltà. Tali valori sono stati per molti decenni rappresentati dalla presenza dei religiosi in Villagonia, i quali hanno prestato il loro sostegno spirituale alla comunità giardinese in particolare. Testimonianza di ciò è, tra l’altro, il profondo malcontento generato dalla decisione della chiusura del convento e l’allontanamento degli ultimi frati che lo hanno abitato43. Tale evento ha lasciato un vuoto nella piccola ma coesa comunità che gravita religiosamente intorno alla chiesa della madonna di Pompei, sentimento peraltro espresso anche dal diretto dialogo con gli abitanti, che si manifestano 43. F. Gullotta, Giardini: crociata contro la chiusura del convento dei frati Cappuccini, La Sicilia, 12 settembre 2001

234 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

interessati ed entusiasti all’idea dare nuova vita ad un luogo che per molti anni ha accolto momenti ed eventi della vita cittadina, ed oggi versa in stato di


abbandono. È apparso subito chiaro il fatto che, per sua natura, il convento si presta tutt’oggi ad un uso che sia coerente con la sua vocazione assistenziale e di ricovero, che sia un concreto manifesto della sua storia oltre che delle sue potenzialità spaziali. A tal proposito la presenza nell’area di diverse attività di questo tipo (case per anziani, centri medici di riabilitazione) certamente gravitanti intorno alla presenza dell’ospedale San Vincenzo, pone le basi per una riflessione su un’eventuale integrazione del complesso in tale sistema di strutture legate all’assistenza medica. È necessario pertanto fornire qualche dato sulla realtà assistenziale del presidio ospedaliero San Vincenzo. L’ospedale sorge nei pressi del torrente Sirina, confine tra i comuni di Giardini e Taormina, e dista circa 1,4 km dal convento. Si tratta di una struttura ospedaliera relativamente recente e che rappresenta un punto di riferimento dell’area peloritana ma anche per aree limitrofe, in particolare per quanto concerne alcuni ambiti medici, fra i quali emergono, per eccellenza ed importanza, due reparti: quello di oncologia medica ed il Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo (CCPM). Non CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 235


è necessario dilungarsi sulla irrinunciabilità delle cure alle quali i pazienti di tali reparti devono sottoporsi, che sono in molti casi lunghe ed impegnative; inoltre, è importante osservare che, vista l’importanza delle cure erogate, esiste un vero e proprio flusso di persone che giungono a Taormina per motivi diversi da quelli turistici, ed esprimono pertanto un’esigenza di residenzialità temporanea. La collocazione dell’ospedale in una zona turistica come quella in esame, se da un lato rappresenta un vantaggio, considerata la vastità dell’offerta ricettiva44, dall’altro pone un limite per chi non ha una disponibilità economica tale da poter risiedere in una struttura alberghiera per periodi prolungati. Il dialogo intercorso con le voci del territorio, comprese alcune del personale dell’ospedale, appositamente consultate, ha posto l’accento sulla situazione di difficoltà che alcune famiglie ed accompagnatori dei pazienti, provenienti da aree limitrofe, incontrano nel trovare un ricovero, situazione che in alcuni 44. E. Cammaroto, Taormina. Bambin Gesù, gli albergatori: «Tariffe agevolate per le famiglie dei piccoli pazienti», BlogTaormina (Blog), 20 giugno 2016, ultimo accesso 24 ottobre 2017 http://www.blogtaormina.it/2016/06/20/taormina-bambin-gesu-gli-albergatori-tariffe-agevolate-le-famiglie-dei-piccoli-pazienti/225448

236 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

casi porta a ripiegare su soluzioni estreme, come l’essere costretti a dormire in automobile. Fatte tali premesse dunque, e dopo aver valutato le possibili destinazioni d’uso anche nell’ottica del confronto con le potenzialità del convento di


Villagonia, le sue caratteristiche spaziali, di vicinanza, di collegamento, e non ultimo, di rilevanza storica, appare dunque plausibile l’ipotesi di offrire un’alternativa per l’alloggio temporaneo delle famiglie e degli accompagnatori dei pazienti, che è perseguibile con la creazione di una casa di accoglienza per una ricettività di tipo sanitario, in favore dei familiari che supportano i pazienti in lunga degenza presso l’ospedale San Vincenzo. La proposta prevede in sostanza un ritorno alla vocazione assistenziale del complesso, l’espressione di una forma nuova di accoglienza, e certamente un’opportunità per donare una, seppur parziale, serenità a chi vive un momento di grave difficoltà.

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 237


LA MOBILITÀ SANITARIA La mobilità sanitaria, intesa come il flusso migratorio di utenti che scelgono di usufruire di prestazioni mediche in luoghi lontani dalla propria residenza, è un fenomeno in costante crescita a scala nazionale ed internazionale. Ciò è dovuto a vari fattori come il cambiamento dello stile di vita della popolazione, la globalizzazione e l’accesso alle informazioni in rete, l’economicità degli spostamenti45. In Italia tale scelta è un diritto, ed il fenomeno è normato da un decreto legislativo46 che regola un flusso di fondi provenienti dal Fondo Sanitario Regionale e Nazionale, destinato appositamente alla cura di coloro che per varie motivazioni, si muovono per curarsi in una ASL diversa dalla propria: tale flusso di fondi deve essere costantemente monitorato per ragioni economiche, e per tale motivo è possibile avere accesso a dati che consentono una comprensione 45. R. Co, Mobilità sanitaria, in Curarsi lontano da casa, a cura di F. Scullica, Franco Angeli, Milano 2015, p. 20 46. D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, in materia di “Riordino della disciplina in materia sanitaria” 47. C. Zocchetti, La mobilità sanitaria tra regioni: quando, dove, per fare cosa?, in Statistica & Società, 2012 n. 2, p. 1

238 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

quantitativa dell’entità del fenomeno47. Ad esempio, assunto come parametro la distanza della meta di tali flussi migratori, la mobilità sanitaria nel nostro paese può essere classificata in tre diverse tipologie, che si dividono nelle seguenti percentuali:


Figura 6.3 Grafico delle percentuali dei tre tipi di mobilità sanitaria in Italia. Fonte: Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato, dati 2006

È evidente, dai dati riportati, la prevalenza di una mobilità entro i confini nazionali, fenomeno sul quale incide una generale mancanza di uniformità dei livelli di assistenza sanitaria. Le motivazioni che spingono il paziente a spostarsi, infatti, non sono suggerite soltanto da preferenze personali, ma spesso sono dettate dalla mancanza di un determinato tipo di prestazione medica, che può essere diagnostica, terapica o riabilitativa. La scelta diventa ancor più obbligata quando si tratta di prestazioni specialistiche, irrinunciabili per patologie di particolare gravità o rarità, o che richiedono un trattamento di emergenza. CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 239


I dati forniti e le predette considerazioni trovano rispondenza nel caso del presidio del San Vincenzo. Il distretto ospedaliero di Taormina, di cui l’ospedale rappresenta il polo, si estende per una superficie di 62360 kmq, e ad esso afferiscono 24 comuni per una popolazione di circa 60.000 abitanti48. Tuttavia i dati forniti dalla segreteria della Direzione medica di presidio, più avanti specificati, hanno evidenziato come il bacino d’utenza si amplifichi, comprendendo anche pazienti provenienti dai comuni della valle 48. In questa sede si ringrazia la Segreteria della Direzione sanitaria di presidio per la fornitura di dati statistici relativi all’ospedale S. Vincenzo 49. Taormina. Ospedale S. Vincenzo: inaugurata la biblioteca nel reparto di Oncologia medica, VaiTaormina (Blog), ultimo accesso 24 ottobre 2017, https://www.vaitaormina. com/taormina-ospedale-s-vincenzo-inaug u rat a - l a - b i b l i o t e c a - n e l - re p a rt o - d i - o n cologia-medica-nellambito-del-progetto-%e2%80%9cun-libro-e-un-volontario-per-amico%e2%80%9d-promosso-dallavulss/ 50. Taormina: inaugurate due nuove sale d’aspetto con bambinopoli, Bambino Gesù Ospedale Pediatrico, ultimo accesso 24 ottobre 2017, http://www.ospedalebambinogesu.it/ taormina-inaugurate-due-nuove-sale-d-aspetto-con-bambinopoli/

240 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

dell’Alcantara, dalla provincia di Catania e dalla Calabria. I pazienti trovano qui un polo di eccellenza nell’ambito del Sud Italia, che si contraddistingue per l’alta qualità delle prestazioni mediche offerte, la presenza di sale terapiche speciali, il trattamento delle emergenze, le sperimentazioni cliniche, l’altissima qualificazione del personale medico e le collaborazioni internazionali. Spicca inoltre un’elevata qualità dell’assistenza collaterale al paziente, rappresentata ad esempio dalla divisione di psico-oncologia, oltre che dalla presenza di diverse associazioni di volontariato, che operano per migliorare la qualità della degenza dei pazienti, ad esempio con la creazione di una biblioteca ospedaliera49 ed un’area gioco per bambini50.


ASPETTI PSICOLOGICI E RICADUTE PROGETTUALI La richiesta di interventi diagnostici, terapeutici o riabilitativi in un centro specialistico da parte di pazienti che si spostano dalla provincia o dalla regione di provenienza, porta con sé una richiesta di residenzialità, che deve essere affrontata secondo un approccio multidisciplinare: infatti se da un lato è necessario l’apporto delle discipline progettuali, sia a scala della progettazione architettonica, che del design degli interni, dall’altro è fondamentale anche il contributo della psicologia. La persona che si trova ad affrontare la realtà della malattia, vive uno stato di inquietudine e di incertezza, che fanno da sfondo ad un processo traumatico di cambiamento non solo delle proprie condizioni fisiche, ma anche emotive. Partecipe di questo momento è anche la famiglia della persona, che ha il compito delicato di assistere il proprio caro. Queste condizioni sono ulteriormente acuite quando vi è necessità di doversi spostare dalla propria abitazione: la casa, rappresenta infatti il luogo della protezione, della sicurezza dettata dalle consuetudini, custode di emozioni, affetti e memoria, e doversene separare, seppur temporaneamente, rappresenta una perdita di questi valori.51 Questo distacco genera ed amplifica le sensazioni di disorientamento e vulnerabilità. La criticità di questa esperienza è stata affrontata

51. Gangeri L., La persona che viaggia per motivi di salute: aspetti psicologici e sociali, in Curarsi lontano da casa, op. cit., p. 43

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 241


dalla letteratura medica e da alcuni progetti sanitari regionali nell’ambito dell’approccio dell’umanizzazione delle cure, intesa come attenzione alla persona nella sua totalità, fatta di bisogni organici, psicologici e relazionali52. Alla base di tale approccio vi è la consapevolezza che le crescenti conquiste in campo medico e tecnologico, devono procedere parallelamente con una crescita della personalizzazione delle cure, la considerazione della dignità della persona in quanto essere unico ed insostituibile, una maggiore attenzione al coinvolgimento delle famiglie nel processo terapeutico. Queste considerazioni possono costituire un’opportunità di riflessione ed una valida premessa per la presente proposta progettuale. Ricostituire un senso di attaccamento al luogo, pur nell’abitare una casa “temporanea”, un legame con la comunità, una sensazione di integrazione e di appartenenza, costituisce senz’altro un elemento di supporto al paziente ed alla sua famiglia per affrontare la malattia. 52. Melotti R.M., Progetto umanizzazione delle cure e dignità della persona in terapia intensiva della Regione Emilia-Romagna, in Anestesia Forum, 2009 n. 2, p. 76 53. Gangeri L., La persona che viaggia per motivi di salute: aspetti psicologici e sociali, in Curarsi lontano da casa, op. cit., p. 50

242 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

Se dunque uno dei compiti della moderna medicina è quello di umanizzare le cure, l’obiettivo che deve porsi la progettazione di una casa di accoglienza è quello di umanizzare i luoghi53, e pertanto rendersi partecipe, insieme alle attività terapeutiche, del compito di prendersi cura della persona.


Per quanto concerne le scelte progettuali occorre in prima istanza capire qual è il modello di riferimento più idoneo per le soluzioni abitative riservate a chi si cura lontano da casa: il paziente o l’accompagnatore necessita di una soluzione residenziale nella quale uno dei concetti fondamentale è la temporaneità, che può spaziare da pochi giorni a diversi mesi. Non una soluzione di tipo permanente, dunque, ma nemmeno una di tipo alberghiero; piuttosto è necessario un ibrido fra queste due tipologie, che da esse attinga i caratteri maggiormente affini alle necessità dell’utente. In quest’ottica la casa di accoglienza si propone di costituire un modello abitativo, una “casa lontano da casa”54, luogo costruito sulla dimensione dell’ospite, che lo accolga e lo faccia sentire protetto. Le esigenze che la soluzione progettuale si propone di soddisfare sono variegate: •

la flessibilità rispetto al target di utenza: l’ospite potrebbe essere un paziente che ha bisogno di recarsi in ospedale per una visita, - e potrebbe farlo autonomamente o con la presenza di un accompagnatore - il parente di una persona ricoverata, la famiglia di un piccolo paziente ricoverato,

54. Mazzaferro V., Prefazione, in Curarsi lontano da casa, op. cit., p. 8

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 243


che potrebbe portare con sé gli altri figli; •

la flessibilità rispetto al tempo di permanenza: l’utente potrebbe avere la necessità di rimanere per un solo giorno, per più giorni consecutivi, o addirittura per diversi mesi;

la flessibilità rispetto alle attività: occorre un’attenzione ai luoghi destinati alle attività quotidiane - riposare, preparare e consumare i pasti - ma anche studiare le relazioni tra spazi destinati alla condivisione, ed alla privacy;

l’accessibilità ai diversi target: la persona accolta potrebbe avere handicap di movimento, visivi o uditivi;

l’insieme degli

accorgimenti progettuali

che rendano il

luogo

“accogliente” e favoriscano le relazioni tra gli ospiti: la consapevolezza di condividere un’esperienza comune genera infatti rapporti di solidarietà e vicinanza che in qualche modo possono alleviare parzialmente la condizione psicologica dell’ospite.

244 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


ESPERIENZE DI OSPITALITÀ SANITARIA Uno dei primi enti nati con lo specifico scopo di rispondere al tema della mobilità sanitaria è stato la Ronald McDonald’s house Charity, voluta nel 1974 dal fondatore di McDonald’s Ray Kroc, allo scopo di aiutare le famiglie dei degenti dell’ospedale pediatrico di Philadelphia. Sin dal principio l’associazione si caratterizza per l’attenzione alla dimensione sociale dell’ospitalità, con la creazione di case di accoglienza da condividere con altre famiglie, con il preciso scopo di offrire un luogo dove trovare solidarietà e sostegno tra persone nella stessa situazione di difficoltà. La prima Ronald McDonald’s house venne realizzata a Philadelphia nel 1974, e nel giro di un ventennio l’iniziativa si diffuse in tutto il mondo, fino a contare attualmente 366 strutture in 43 paesi. Uno degli esempi maggiormente significativi delle Ronald McDonald’s Houses è la residenza di Essen, in Germania, progettata nel 1999 dall’architetto tedesco Friedensreich Hundertwasser. Il progettista sceglie di collocare la struttura all’interno di una riserva naturale, per offrire ai suoi ospiti un luogo sano e protetto dalla frenesia urbana, ma anche per offrire un esempio di commistione tra natura e architettura. Il peculiare stile dell’architetto tedesco è rivolto in questo caso a ricreare un’atmosfera quasi fiabesca, con particolare attenzione al target degli CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 245


ospiti più giovani: la forma dell’edificio che abbraccia la corte centrale, il tetto giardino, le superfici curve e l’uso del colore concorrono a creare un senso di positività ed ospitalità55. In Italia le esperienze di ospitalità sanitaria più rilevanti si riscontrano nelle città di Milano e Roma, per via della loro forte attrattività come poli sanitari di eccellenza. In questo contesto un ruolo molto importante è svolto dalle associazioni di volontariato, che si occupano di trovare l’alloggio maggiormente idoneo per le famiglie, e fornire loro un supporto psicologico. Le case di accoglienza vengono ricreate in particolar modo nell’ambito di ristrutturazioni di abitazioni esistenti e riconversioni di locali annessi ad edifici religiosi56. Proprio gli enti religiosi rappresentano infatti l’altra grande realtà dell’offerta di ospitalità in Italia, con l’esistenza di una rete di camere ed alloggi distribuiti in conventi, monasteri, eremi, santuari in tutta la penisola. La presente proposta progettuale può inserirsi pertanto in questo tipo di rete di accoglienza, che appare attualmente carente nel territorio in esame. 55. A. Lucivero, L’arte come cura, in I maestri dell’architettura. Hundertwasser, Hachette, Milano, 2011 56 G. Del Zanna, Le case accoglienza, in Curarsi lontano da casa, op. cit., p. 89

246 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


NORMATIVA DI RIFERIMENTO La normativa di riferimento per le case famiglia in Italia è la legge 8 novembre 2000 n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, mentre le prescrizioni attuative e i requisiti di tali strutture sono stabiliti dal decreto ministeriale del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001 n. 308 “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328”. Quest’ultimo stabilisce che “Le regioni recepiscono ed integrano, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi fissati dal presente decreto”57. La Regione Sicilia però non ha recepito tale decreto, pertanto a livello regionale la normativa di riferimento è attualmente la legge regionale 9 maggio 1986 n. 22 “Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in Sicilia” i cui standard sono stati aggiornati con il decreto presidenziale 29 giugno 1988 “Standards strutturali ed organizzativi dei servizi e degli interventi socio assistenziali previsti dalla legge regionale 9 maggio 1986 n. 22”. La disciplina, come evidente, risale agli anni ’80, si auspica pertanto una revisione della materia anche alla luce dei sopravvenuti interventi legislativi nazionali.

57. Articolo1, comma1 della presente norma

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 247



LE PRESCRIZIONI DEGLI STRUMENTI URBANISTICI

Figura 6.4 Stralcio del PRG di Taormina attualmente in vigore, con evidenziato il complesso di Villagonia

Sono stati già analizzati gli strumenti di pianificazione esistenti a scala regionale (PTPR e PAI), con i quali non si segnalano interferenze, in quanto la proposta progettuale non prevede interventi di carattere ambientale soggetti ai su richiamati piani. Per quanto concerne lo strumento urbanistico comunale, si evidenzia che il piano regolatore generale attualmente in vigore fu redatto negli anni ’60 ed approvato nel 1976. Il comune di Taormina percorre da anni un travagliato percorso per l’approvazione di un nuovo piano regolatore generale: nel 2004 il comune aveva formalmente adottato il nuovo piano, ma questo fu trasmesso alla Regione Siciliana per l’approvazione solo nel 2010. Nel frattempo, l’entrata in vigore del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 “Norme in materia ambientale”, modificava di fatto le procedure di approvazione degli strumenti urbanistici, imponendo la contestualità tra la redazione del piano e le valutazioni di impatto ambientale58. In mancanza quindi della trasmissione del piano unitamente al rapporto ambientale, la Regione Siciliana restituì al comune il piano regolatore adottato, con l’invito di revisionarlo affinché adempisse alle sopravvenute

58 D.lgs 3 aprile 2006 n. 152, in materia di “Norme in materia ambientale”, articolo 13

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 249


prescrizioni59. Nel 2013 il comune ha disposto la redazione di un Rapporto Preliminare, a cura dell’ing. G. Mirabito, come premessa per la variante generale del PRG. Tale rapporto preliminare non fornisce indicazioni specifiche riguardanti l’area di Villagonia, ad eccezione degli obiettivi di potenziamento della mobilità citati nel cap. 5 della presente tesi. In mancanza di un nuovo ed aggiornato strumento urbanistico, pertanto, ci si riferirà alle prescrizioni di quello in vigore, nonostante la sua obsolescenza. L’area di progetto ricade in zona territoriale omogenea C3 (zona estensiva). Le norme di attuazione60 prevedono per tale zona la possibilità di demolizione e ricostruzione, con uguale volume, degli edifici. Le nuove edificazioni sono consentite, secondo gli indici di zona, solo nelle aree libere da edificazione e 59. Regione Sicilia, Assessorato del Territorio e dell’Ambiente, Dipartimento dell’Urbanistica, nota prot. n. 13741 del 10/06/15, oggetto: Comune di Taormina (ME) – Revisione generale del Piano regolatore Generale e del Regolamento Edilizio – Delibera di adozione C.C. n° 23 del 08/03/2004 60. Decreto assessoriale della città di Taormina n. 54/75 “Norme urbanistiche di attuazione del Piano Regolatore Generale”

250 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

non afferenti ad edifici esistenti. Per quanto riguarda la destinazione d’uso il PRG prevede un uso residenziale e turistico-alberghiero, mentre al piano terra è consentita la realizzazione di negozi ed autorimesse.


LA CASA DI ACCOGLIENZA DI VILLAGONIA Il termine casa di accoglienza sta ad indicare una soluzione alloggiativa necessaria per utenti che abbiano bisogno di una casa per un periodo transitorio più o meno lungo, per ragioni diverse, ma accomunati da una situazione di difficoltà momentanea. Il termine racchiude quindi i due concetti fondamentali di “accoglienza” rivolta verso chi presenta una situazione di bisogno, e di “casa”, ovvero un luogo dove, oltre a svolgere le funzioni primarie della quotidianità, si possa “abitare”, trovare un senso di radicamento, di consuetudine, e quindi comfort e protezione.61

IL CONCEPT Il concept che ha guidato la progettazione della Casa di accoglienza di Villagonia parte dalla necessità di ridare respiro ad un complesso che negli anni, come purtroppo accade spesso alle fabbriche storiche, ha subito modifiche non tutte ugualmente appropriate. Quasi tutti gli interventi attuati hanno avuto lo scopo di aumentare la superficie coperta o realizzare nuovi vani, e questo a scapito dell’armonia dell’edificio e della perdita delle sue antiche volumetrie. In particolare alcuni interventi sono stati particolarmente deleteri: il

61. Del Zanna G., Le case accoglienza, in Curarsi lontano da casa, op. cit., p. 86

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 251


giardino terrazzato è stato progressivamente occupato da una serie di nuove costruzioni che si aggiungevano stratificandosi anche le une sulle altre, arrivando oggi a contare 4 elementi sovrapposti ed accostati, che hanno ridotto significativamente la superficie a verde; la copertura dei cortili retrostanti le originarie case terrane con la realizzazione di un corridoio coperto, e altre edificazioni come un vano scala ed un vano posto all’angolo nord-ovest del primo piano hanno di fatto oscurato il prospetto nord opprimendolo e rendendolo caotico; la realizzazione della terrazza è stata probabilmente il maggior scempio perpetrato: da un lato la realizzazione della parte ovest del solaio ha decretato l’eliminazione di una falda del tetto, di fatto tranciata da un muro in calcestruzzo e mattoni; la parte est invece, giunge a ridosso della parete della chiesa, incurante della presenza di due delle tre bifore che adornano il prospetto ovest della suddetta, che sono state a tale scopo, tranciate ed oscurate con pannelli in pvc. Infine, la collocazione del convento, in un contesto orografico caratterizzato da forte pendenza, lo pone in una situazione semi-ipogea, con conseguente scarso o nullo ingresso di luce naturale nel lato nord del piano terra. 252 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 6.5 A sinistra la terrazza del convento e le superfetazioni realizzate negli anni ‘50, chiaramente distinguibili dalla costruzione originaria Figura 6.6 A destra, il giardino terrazzato, attualmente in stato di abbandono

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 253


Figura 6.7 Schemi di trasformazione del convento di Villagonia

In considerazione delle premesse fatte, gli obiettivi della proposta progettuale risultano quindi 3: •

restituire all’edificio la leggibilità dell’originaria volumetria, liberandolo dalle aggiunte incongruenti

consentire l’ingresso della luce naturale delle porzioni più retrostanti del piano terra

risolvere il complesso rapporto dell’intersezione tra i corpi del convento e della chiesa. Il primo ed il secondo obiettivo vengono contemporaneamente risolti

mediante un’unica soluzione di sottrazione. Si prevede infatti la demolizione di tutte quelle superfetazioni ed aggiunte che, innestate in modo maldestro e a tratti grottesco sull’involucro, ne hanno decretato una situazione di 254 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


disordine in cui l’anarchia delle soluzioni adottate regna sovrana in nome del massimo sfruttamento possibile della cubatura. Saranno pertanto oggetto di demolizione tutte le seguenti edificazioni poste nella parte nord del complesso: il vano dell’angolo nord-ovest, il vano scala, il corridoio del piano terra, tutte le edificazioni realizzate nel giardino terrazzato ed attualmente destinati a deposito/magazzino, la passerella di collegamento con la terrazza, e la scala in calcestruzzo che conduce al pergolato soprastante il refettorio. Tale soluzione apporta un nuovo significato formale derivante dal miglioramento della percezione del composto impianto lineare del convento, in cui il prospetto nord rivedrà la luce, ma soprattutto un importante giovamento in termini di illuminazione e areazione del suddetto fronte, che si trova di per sÊ svantaggiato data la sua esposizione, e non merita pertanto gli ulteriori aggravi CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 255


di cui è stato finora oggetto. Il terzo obiettivo è risolto con la realizzazione di un nuovo volume che assolva al delicato compito di costituire la cerniera, il trait d’union, tra i due corpi di fabbrica, l’ex convento e l’annessa chiesa. Tale realizzazione non può che essere progettata secondo un linguaggio contemporaneo, che dialoghi in modo discreto con l’esistente, traendo origine e senso dalle linee e dai volumi che provengono dall’edificio stesso. La

funzione

dell’accoglienza, infine, verrà

soddisfatta

attraverso

l’organizzazione degli spazi interni, con particolare attenzione anche alla progettazione dei percorsi e degli spazi esterni.

LE TIPOLOGIE ABITATIVE Le esigenze individuate nel secondo paragrafo del presente capitolo trovano una specificazione più pregnante nei dati statistici forniti dalla Direzione Sanitaria dell’ospedale San Vincenzo, alla quale sono state richieste indicazioni strategiche riguardo il CCPM e il reparto di Oncologia Medica. I dati forniti sono riassunti nella seguente tabella: 256 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Tabella 1 Dati statistici relativi al Centro Cardiologico Pediatrico del Mediterraneo (CCPM) e al reparto di Oncologia Medica del presidio ospedaliero San Vincenzo, Taormina

CCPM

ONCOLOGIA MEDICA

18

6

N° POSTI LETTO IN RAPPORTO ALLA RICHIESTA

appena sufficienti

non sufficienti

PROVENIENZA DEI PAZIENTI

Sicilia e Calabria

Sicilia e Calabria

MINIMI

3

2

MEDI

5

4

MASSIMI

20

20

N° POSTI LETTO

TEMPI DI DEGENZA (IN GIORNI)

Emerge che i posti letto dei due reparti considerati sono complessivamente 2462. Non è stato possibile desumere dai dati forniti la percentuale di pazienti provenienti da una distanza tale da necessitare un alloggio temporaneo, tuttavia, l’osservazione dei tempi di degenza conferma le esigenze già espresse in termini di flessibilità rispetto ai tempi di permanenza; la presenza inoltre di un centro specialistico per pazienti di età compresa tra 0 e 18 anni, rende chiara anche la presenza di un target di tipo familiare. Dette considerazioni hanno

62. Il reparto di Oncologia Medica ha purtroppo subito una significativa riduzione dei posti letto in virtù del Decreto della Regione Siciliana del 31 marzo 2017 in materia di “Riorganizzazione della rete ospedaliera ai sensi del D.M. 2 aprile 2015, n. 70”

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 257


Figura 6.8 Alla pagina accanto, piante di progetto

portato quindi alla definizione di due tipologie abitative che si configurano come la risposta alle predette esigenze: - una soluzione di alloggio individuale, che risponde all’esigenza di una residenzialità di più lungo termine, e rivolto essenzialmente ad una famiglia o ad una fascia d’utenza che necessita di un alloggio autonomo per particolari motivi, ad esempio intolleranze alimentari o necessità di cure specifiche per le quali la convivenza con altri utenti potrebbe risultare inconciliabile, - una soluzione di tipo collettivo, che si configura come una tipologia residenziale in cui utenti o piccoli nuclei familiari convivono in una dimensione abitativa caratterizzata dalla compresenza di spazi privati e spazi comuni. Tale soluzione è rivolta in particolare ad esigenze di permanenza breve. La collocazione ed il numero delle due tipologie abitative è stata individuata sulla base delle dette considerazioni e delle predisposizioni spaziali naturali del complesso. La parte est, si presta per vari motivi di configurazione planimetrica originaria – presenza dell’ingresso principale del convento, dell’ingresso dal giardino nord, del refettorio e della cucina – alla collocazione della residenza collettiva, mentre la parte ovest presenta maggiori caratteri di 258 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”



Figure 6.9 e 6.10 Alla pagina accanto, Thin Flats houses di Onion Flats in Philadelphia

individualità per via della collocazione più “periferica” in rapporto al lotto, ed appare pertanto maggiormente vocata alla soluzione degli alloggi individuali Complessivamente la struttura accoglierà 6 alloggi individuali ed una residenza collettiva con 5 camere da letto.

L’ALLOGGIO INDIVIDUALE - La tipologia di alloggio individuale scelta è

stata quella del duplex. La tipologia prevede le zone giorno al piano terra e la zona notte ed il bagno al primo piano. L’alloggio tipo (Duplex A) prevede al piano terra un ambiente unico, reso tale mediante la demolizione dei muri divisori, ciò nonostante si è scelto di mantenere l’originaria struttura bicellulare, resa però non più mediante le tramezzature, ma attraverso la disposizione degli elementi di arredo e di collegamento verticale. La scelta della distribuzione degli ambienti è stata dettata dall’esposizione dell’edificio: è stato infatti scelto di collocare a nord l’ingresso e la cucina ed a sud la zona living. L’accesso avviene, mediante un portone vetrato, per garantire l’ingresso di una certa 63. Onion Flats, Thin Flats, ultimo accesso 24/10/2017 http://www.onionflats.com/projects/all/thin-flats.php

260 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

quantità di luce naturale, nonostante l’esposizione a nord. Dal momento che esso si apre direttamente sulla cucina, sono stati previsti alcuni accorgimenti,


IL DUPLEX DI ONION FLATS Un riferimento progettuale di questa tipologia di abitazione è stato in particolare la residenza “Thin flats” realizzata dallo studio Onion Flats, nel 2009 a Philadelphia. In questa edificio i progettisti hanno voluto portare alla luce le potenzialità della tipica residenza di Philadelphia, la “row home”, caratterizzata da una forma rettangolare sottile e allungata. Le criticità di questa tipologia, ovvero la carenza di illuminazione naturale e la ridotta disponibilità di spazio, sono state risolte con una progettazione che massimizza l’utilizzo della luce per gli ambienti più importanti, riducendo al minimo gli ambienti di distribuzione e di servizio, e disponendoli al centro della pianta, al fine di trovare un compromesso tra le necessità di ambienti spaziosi e la densità edilizia urbana.63. In questo caso la facciata è l’elemento fondamentale del progetto, che come una seconda pelle inonda di luce gli ambienti interni e, reinterpretando il tradizionale aspetto modulare e regolare delle row home con un ritmo più movimentato, rispecchia il carattere di queste unità abitative, simili ma al contempo diverse, per adattarsi agli usi degli utenti. Le analogie con la soluzione abitativa individuata per la presente proposta progettuale hanno suggerito di muoversi nella direzione tracciata da questo progetto.

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 261


Figura 6.11 Pianta dell’alloggio individuale Duplex di tipo A, scala 1:100

262 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


come il lato di apertura sempre rivolto al lato opposto all’angolo cottura, e la collocazione di fronte a quest’ultimo di un’isola, che assolve così alla duplice funzione di costituire uno spazioso piano di lavoro ma anche di creare una forma di divisione distributiva senza impedire il passaggio della luce. Trovano quindi spazio al piano terra, oltre la cucina, un angolo per il pranzo e la zona living, mentre la scala da accesso al primo piano, dove si trovano due camere doppie ed un bagno. L’alloggio tipo così composto può ospitare un nucleo familiare di 4 persone. Le dimensioni ridotte dell’alloggio (70 mq) hanno portato alla scelta di soluzioni volte a minimizzare gli spazi occupati dai servizi (come la scelta di una scala a zampa d’oca e la riduzione al minimo degli spazi di distribuzione) ed a massimizzare quelli destinati alle funzioni dell’abitare. Ad esempio nella camera per i ragazzi è prevista la collocazione di una parete attrezzata trasformabile, con un letto ribaltabile che possa essere chiuso per non occupare spazio qualora la stanza sia occupata da un solo ospite. Una variante di questo alloggio (Duplex B) è costituita dalle due unità centrali, che presentano una camera padronale più ampia, rivolta ad esempio ad una coppia con un neonato, ed una seconda camera da letto singola. CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 263


Figura 6.12 Pianta dell’alloggio individuale Duplex di tipo B, scala 1:100

264 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


LA RESIDENZA COLLETTIVA - Posta nella parte est dell’ex convento, la

residenza collettiva si sviluppa su due piani ed è costituita da 5 camere, ciascuna dotata di un bagno privato, distribuite due al piano terra e tre al primo piano. La camera tipo, cui aderiscono 4 delle 5 camere, è una doppia, compresa tra i 14 e i 21 m2, ma è presente anche una camera tripla, immaginata come ulteriore soluzione nel caso di un nucleo familiare o un gruppo di tre persone che necessitino di un alloggio per un periodo di tempo limitato, tale da non richiedere l’occupazione di un alloggio individuale, come desunto dai dati forniti dalla Direzione Sanitaria dell’ospedale San Vincenzo, che indicano un tempo minimo di ricovero di due giorni. La residenza può ospitare pertanto fino a 11 persone. Particolare attenzione è stata posta all’esposizione e all’apporto di luce ed aria: tutte le camere sono disposte sul fronte principale, a sud, percependo quindi una adeguata quantità di illuminazione naturale. La residenza dispone inoltre di sale comuni per le esigenze quotidiane, un’ampia cucina, una zona pranzo, una zona living, una zona lavanderia e ripostiglio, un’area gioco per bambini che all’occorrenza può essere separata.

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 265


Figura 6.13 A sinistra, schema funzionale Figura 6.14 A destra, schema distributivo

266 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


ASPETTI DISTRIBUTIVI Gli schemi distributivi sono il risultato di una progettazione che ha tenuto conto delle diverse esigenze e il diverso target delle tipologie abitative individuate. L’accesso dall’esterno avviene essenzialmente da tre punti, due su via Nazionale e uno dal piazzale retrostante. Su via Nazionale vi sono due accessi pedonali: uno è l’accesso dell’attuale convento, che nella proposta progettuale diventa accesso alla soluzione della residenza collettiva; un nuovo cancello in ferro e legno darà invece accesso al giardino ovest, che costeggiando il prospetto ovest porta alla corte nord, elemento distributivo degli ingressi ai duplex. Nel piazzale su via Madonna delle Grazie invece è stato riprogettato l’accesso attraverso il giardino: una pensilina in acciaio segna l’ingresso dal piazzale al giardino terrazzato, che si snoda attraverso un percorso che costeggia i profili dei terrazzamenti e, superando un dislivello complessivo di circa 10 metri giunge alla porzione di giardino più bassa, collocata alla quota del primo piano. Da qui l’ingresso alla residenza collettiva avviene attraverso una hall collocata in un volume di nuova realizzazione, che conterrà i collegamenti verticali che danno accesso a tutti i piani. I percorsi interni avvengono in maniera differenziata per le due tipologie abitative: nel CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 267


duplex la distribuzione è essenzialmente affidata alla scala interna che svolge un duplice ruolo di organizzazione spaziale per il piano terra, e di collegamento al piano superiore. Nella residenza collettiva il ruolo del nuovo volume come distribuzione verticale è fondamentale: esso infatti consente l’accesso ai vari piani della struttura, arrivando fino alla terrazza. Particolare attenzione è stata posta alla progettazione dei percorsi al fine di renderli brevi ed intuitivi, a vantaggio quindi di tutti gli utenti con difficoltà motorie, visive o cognitive. Il concept progettuale ha, difatti, posto l’accento sull’esigenza di accessibilità delle varie parti dell’edificio per far sì che tutti i possibili utenti, dai bambini agli anziani, con particolare riferimento a quelli con difficoltà motorie, possano usufruire allo stesso modo degli spazi ad essi destinati. Un target di utenza specifico come quello in esame necessita in special modo di un approccio sensibile al tema: in una casa di accoglienza tutti gli utenti, a prescindere dalla provenienza e dalla classe sociale, sono accomunati da un’esperienza di difficoltà, e il tema dell’accoglienza, nelle intenzioni della presente proposta progettuale, può declinarsi anche attraverso l’accessibilità a tutte le aree, senza discriminazioni per nessun tipo di utente. In particolare nella 268 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


residenza collettiva, sono stati ricercati i possibili accorgimenti al fine di rendere più confortevole l’esperienza dell’alloggio temporaneo. L’accesso ai vari piani è garantito, come già detto, dalla presenza di un ampio ascensore interno che consente di giungere fino alla terrazza. I percorsi interni sono stati progettati per avere larghezza superiore a quella minima prevista per le carrozzine e sono presenti alle estremità dei corridoi degli slarghi atti a consentirne la manovra. Tutti i bagni della residenza collettiva sono attrezzati per persone a ridotta mobilità, ed anche la scelta di utilizzare porte scorrevoli in tutta la struttura – ad eccezione di pochi casi in cui la disposizione planimetrica o la presenza di murature portanti non lo consentano – risponde all’esigenza di consentire una apertura più maneggevole e sicura. La presenza di un ascensore esterno consente, infine, di rendere accessibile il giardino nord direttamente dal piazzale Madonna delle Grazie, e quindi di non limitare l’accesso alla casa d’accoglienza alla sola via Nazionale.

ASPETTI FUNZIONALI La progettazione degli spazi interni ha avuto come obiettivo principale CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 269


270 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Figura 6.15 Alla pagina accanto, schemi di flessibilità degli arredi delle camere

quello di garantire sempre la confortevolezza degli spazi ed un appropriato rapporto tra spazio privato e spazio di condivisione.

LE CAMERE - Particolare attenzione è stata posta all’uso razionale degli

spazi, attraverso l’utilizzo di mobili trasformabili, che rispondono ad una precisa esigenza di flessibilità, facendo sì che la camera possa, di volta in volta, adattarsi al numero dei suoi abitanti. Le tipologie scelte sono due: - nelle camere di minori dimensioni e nella camera tripla: il mobile trasformabile presenta una prima configurazione dotata di scrivania che rende la camera adatta per una sola persona; nella seconda configurazione è possibile far scorrere la scrivania verso l’alto e ribaltare un letto singolo di dimensioni standard, rendendo così la camera abitabile da due persone; - nelle camere di maggiori dimensioni: la tipologia differisce dalla precedente per la possibilità di rotazione dell’elemento. Nella prima configurazione l’elemento è posto a muro e può essere utilizzato come una normale libreria; nella seconda configurazione il mobile ruota e rivela una scrivania, cosicché la camera può assumere una configurazione suddivisa in CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 271


due zone, una per il riposo ed una separata in cui ci si può dedicare alla lettura; la terza configurazione prevede, come nel caso precedente, lo scorrimento della scrivania e il ribaltamento di un letto. Tra i due abitanti della stessa camera viene quindi garantita una forma di privacy senza però impedire il passaggio della luce (il mobile al di sopra dello spazio che ospita il letto, è una libreria forata). È stata rivolta attenzione anche all’accesso delle camere, che rimane sempre riparato dagli ambienti comuni al fine di garantire la giusta privacy.

LE ZONE COMUNI - Al piano terra è presente un’ampia area relax che,

senza partizioni interne e con un arredamento essenziale, si presta a diverse destinazioni d’uso, in primo luogo accogliere le consuete attività legate allo svago e alla socialità, come guardare la tv o leggere un libro, ma all’occorrenza diventare un’area polifunzionale adatta per diverse attività collettive, che potrebbero spaziare dall’organizzazione di eventi per lo svago, in particolare per gli ospiti più piccoli, al supporto psicologico, all’informazione sulle tematiche inerenti le malattie dei propri cari o l’attività svolta dalle associazioni 272 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


di volontariato del luogo, piccole conferenze ecc. Congiunta con essa vi è un’area riservata al gioco per i bambini, che all’occorrenza può essere chiusa mediante pannelli mobili in vetro, e si presta pertanto ad essere utilizzata anche per attività che richiedano una maggiore privacy, ad esempio incontri con il personale ausiliario, visite o terapie infermieristiche, attività di supporto scolastico per i bambini e ragazzi che alloggino nella struttura per periodi prolungati. Al primo piano sono presenti altre due sale comuni: la cucina e la sala da pranzo, che sono state mantenute nelle originarie sale del convento. La cucina è accessibile dalla sala pranzo ed è attrezzata con due postazioni complete: la scelta di collocarle una di fronte all’altra è dettata dall’intento di favorire la socialità tra due utenti che svolgano contemporaneamente l’attività di preparazione dei pasti. La sala da pranzo è invece arredata con tavoli dalla forma rotonda, scelta, anche questa, dettata dal favorire la socializzazione in un contesto in cui il pranzo può assumere il significato di momento di condivisione e solidarietà, dove anche il modo di disporsi al tavolo può essere d’aiuto, il tavolo rotondo infatti “annulla le gerarchie, è democratico e favorisce il dialogo”64.

64. M. Proietti, Il ritorno del tavolo rotondo. Al ristorante senza gerarchie, Il Corriere della Sera, 2 aprile 2010

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 273


Figure 6.16, 6.17 e 6.18 Alla pagina accanto, le opere di Massimo Carmassi assunte a riferimento per la proposta progettuale: in alto la caserma Santa Marta a Verona, al centro la biblioteca di Pesaro, in basso la scuola elementare di Trevi

L’INNESTO CONTEMPORANEO “Le nostre città hanno bisogno di discrezione e di rispetto: si può fare architettura contemporanea senza urlare”65

La presente proposta si pone l’obiettivo di risolvere l’intersezione tra i corpi della chiesa e del convento, per molti anni resa complessa e conflittuale per le numerose trasformazioni apportate. Il rapporto fisico tra il convento e la chiesa originariamente era risolto nel “non contatto”: infatti l’odierna copertura piana originariamente non esisteva, in quanto il corpo del portale minore presentava un solo piano, e dunque vi era uno spazio aperto di separazione tra il fronte est del convento e quello ovest della chiesa. Ma la realizzazione della terrazza ha determinato un grave deturpamento complessivo, che ha richiesto un’attenta progettazione. 65. M. Carmassi, “Discrezione e rispetto. Così faccio convivere il nuovo con l’antico”, intervista, P. Taddeucci, Il Tirreno Toscana (5 Marzo 2016) 66. Costruire in laterizio 127 (2012), pp. 4-27 67. A. Acocella, Massimo Carmassi e l’architettura della permanenza, Costruire in laterizio 34 (1993), pp. 330

274 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

I riferimenti progettuali adottati sono state, in particolare, le opere di Massimo Carmassi, in special modo il restauro della caserma Santa Marta a Verona, la biblioteca di Pesaro, e la scuola elementare di Trevi66. Nel caso della presente proposta, il percorso progettuale è stato condizionato da vari fattori, quali la necessità di innestarsi in un contesto


LE ARCHITETTURE DI MASSIMO CARMASSI I lavori dell’architetto toscano si caratterizzano per la grande sensibilità al tema del legame con la storia, affrontato sia nei restauri, sia nelle opere di nuova realizzazione. Nel primo caso una delle caratteristiche predominanti è il continuo dualismo tra la necessità di adattamento del “contenitore” alle funzioni moderne e l’assoluto rispetto per la stratigrafia e la configurazione originaria, considerate da Carmassi alla stregua di un documento che deve essere riportato alla luce. La questione viene affrontata con la scelta di due soluzioni: la “scatola nella scatola”, ovvero l’uso di un contenitore inserito all’interno dell’esistente, spesso utilizzando materiali trasparenti al fine di non intaccare la percezione dell’unità dell’ambiente in cui esso si inserisce; quando ciò non è possibile l’architetto ricorre invece al distacco, ponendosi all’esterno dell’edificio esistente e realizzando dei volumi dalla forma elementare che accolgano le funzioni richieste. L’uso della forma elementare è per Carmassi un modo per non entrare in competizione con l’edificio esistente, col quale instaura invece un dialogo mediante l’utilizzo di materiali della tradizione, in particolare il laterizio, unico materiale che secondo l’architetto trasmette un senso di durevolezza paragonabile a quello delle fabbriche tradizionali, e sposa il suo intento di «utilizzare materiali non lussuosi, ma resistenti»67. Ma nelle opere sopra richiamate emerge anche l’uso del ferro e del vetro, materiali della modernità, capaci di stabilire un discreto rapporto con l’esistente senza interferire con esso.

CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 275


Figure 6.19 e 6.20 Render dell’innesto contemporaneo

1

276 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

2


storico, l’osservazione delle forme e dell’impianto planimetrico, lo studio del linguaggio architettonico usato nei due edifici – che non risulta in effetti pienamente coerente, e tali considerazioni sono scaturiti gli obiettivi posti alla guida della scelta progettuale. I compiti da affidare ad un nuovo volume sono infatti molteplici: innestarsi nel corpo del convento proprio nel punto in cui esso si congiunge con il prospetto ovest della chiesa, senza tuttavia interferire con l’aggiunta di nuovi elementi stilistici, dialogando in maniera discreta ma contemporanea con il prospetto principale, ridare dignità alle bifore della chiesa per molto tempo umiliate, e coniugare diverse funzioni, quali quella di contenere i collegamenti verticali, costituire un nuovo accesso da nord alla residenza collettiva, ridare senso e funzione alla terrazza. La scelta progettuale è quindi ricaduta su un volume elementare, il parallelepipedo, che è parso il mezzo più appropriato per inserirsi nel vuoto generato dalla terrazza attualmente esistente. Il volume, con una struttura indipendente in acciaio, si staglia dal corpo del convento, raggiungendo in profondità il medesimo aggetto del refettorio, ed incornicia al suo interno le bifore presenti nel prospetto ovest della chiesa. CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 277


278 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 279


Figure. 6.21 e 6.22 Alla pagina precedente, dettagli costruttivi della nuova scala in lamiera d’acciaio e dell’involucro del nuovo volume

L’involucro esterno è trattato con un rivestimento in tavelle di cotto, e presenta un trattamento diverso a seconda delle esposizioni: i lati nord e sud sono completamente vetrati, rendendo così l’elemento un apportatore di luce naturale all’interno degli ambienti. La scelta è stata dettata anche dal fatto di non costituire una barriera visiva per il visitatore che giunge da nord che, attraverso le due vetrate, non è privato della possibilità di scorgere la vista di cui si gode dalla terrazza. Il lato ovest, maggiormente caldo specie alle nostre latitudini, è ricoperto da una doppia pelle, un involucro in vetro ed un sistema di frangisole in cotto motorizzati, che modulano così l’ingresso della luce; la copertura infine, particolarmente importante data la posizione del complesso che rende ben visibili i tetti accedendo dal piazzale nord, è un tetto giardino, che, visto dall’alto, partecipa al disegno del verde esterno. Completa la relazione con l’esistente un pergolato in acciaio che si unisce al muro di chiusura del tetto del convento, e si ricollega all’esistente pergolato al di sopra del refettorio. Esso sarà nel tempo inverdito da piante rampicanti, che cresceranno nelle fioriere poste fra gli elementi di arredo della terrazza, definendo uno spazio coperto da poter utilizzare nelle stagioni calde. 280 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


Il volume di nuova realizzazione assolve, come detto, anche al collegamento verticale tra tutti i piani, che avviene per mezzo di un ascensore idraulico ed una scala in lamiera e profili d’acciaio. Uno studio particolare di quest’ultimo elemento è stato necessario per far sì che si armonizzasse con l’esistente senza essere invadente: si è optato per una soluzione il più possibile leggera e trasparente, che è stata ottenuta con l’uso di profili in acciaio e superfici in lamiera traforata; I gradini forati garantiranno il passaggio della luce fino al piano inferiore, mentre l’intera struttura rimarrà separata dalla chiusura verticale della chiesa per non interferire con le sue aperture. Tutti gli elementi saranno saldati tra loro per ricercare una forma essenziale in cui la struttura diventi essa stessa funzione e forma.

IL VERDE E GLI SPAZI ESTERNI La presenza di spazi verdi sono una ricchezza inestimabile per la realtà urbana contemporanea, in special modo nel particolare contesto territoriale e orografico quale quello in esame; il suo valore è ulteriormente amplificato considerando la destinazione d’uso della struttura: è noto infatti il valore CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 281


Figura 6.23 Schemi del nuovo arredamento per la terrazza con esempi di possibili disposizioni

282 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


terapeutico del verde per l’essere umano in generale, tanto più se si trova a vivere un momento difficile ed una condizione psicologica di fragilità, che può trovare giovamento in un luogo che trasmetta serenità ed un senso di accoglienza. In quest’ottica gli spazi esterni sono stati oggetto di una progettazione che si è posta l’obiettivo di ricostituire l’originario “giardino”, inteso anche nel suo significato di agrumeto, un luogo di contatto con la natura. A tal fine è prevista preventivamente la demolizione di tutte le superfetazioni e la ripiantumazione di tutte le essenze (limoni, mandarini, aranci, ma anche ulivi) che hanno avuto, nel loro piccolo, un ruolo nella storia del convento dei frati cappuccini. È stato ripensato il percorso, affidato attualmente a strette e ripide scalinate in pietra, che nella proposta progettuale si snoda mantenendosi parallelo al profilo dei terrazzamenti e in alcuni punti, individuati sulla base dei rapporti visivi tra il complesso ed il contesto, si slarga per consentire un momento di sosta o osservazione. Sono state inoltre rimodulate alcune altimetrie allo scopo di rendere maggiormente fruibili alcune parti dell’esterno: il terrazzamento più basso è stato portato alla quota del piano primo per renderlo facilmente accessibile dal convento, e garantire così anche un miglior apporto di luce al CAP 6 IL PROGETTO DI RIUSO 283


Figura 6.24 Planimetria generale dell’intervento

fronte nord. È stata inoltre abbassata la quota del giardino ovest per costituire un comodo accesso agli alloggi individuali direttamente da Via Nazionale: qui la nuova corte di distribuzione, attualmente uno stretto ed alto corridoio illuminato da piccoli lucernari, è stata ridisegnata per diventare uno spazio aperto più arioso, implementando differenti superfici: prato, ghiaia ed una pavimentazione permeabile. Per la terrazza, infine, si prevede la realizzazione del già citato pergolato, che crea quindi due ambiti d’uso per tale spazio, uno coperto ed uno scoperto, e l’installazione di arredi con la duplice funzione di seduta e fioriera. La terrazza riacquista così la sua vocazione di luogo di serenità e riflessione, ricollegandosi alla originaria dimensione contemplativa propria della vita cappuccina. Le scelte esposte consentono a tutte le soluzioni abitative, sia gli alloggi individuali che le camere della residenza collettiva, di avere a disposizione degli spazi aperti fruibili, da cui godere la vista della baia.

284 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”




CONCLUSIONI



Il mutato quadro sociale ed economico e le nuove esigenze della società contemporanea hanno decretato un graduale abbandono dell’esistente a favore di un’espansione rivolta verso le periferie dei centri urbani. La conseguente perdita di significato e di identità degli edifici storici ha visto però un’inversione di tendenza negli ultimi decenni, con la nascita di una nuova sensibilità che, grazie al consolidarsi di una cultura sempre più attenta all’ambiente ed al territorio, punta a rivalutare il patrimonio storico nell’ottica della sostenibilità e della vivibilità urbana. Sorgono così nuove questioni inerenti al riutilizzo dell’esistente, che non si fermano alle riflessioni su come esso possa rimettersi in relazione con la città contemporanea, ma approfondiscono il dibattito sulla possibilità di stimolare una rigenerazione non solo urbana ma anche sociale del territorio68. Il patrimonio storico può costituire la traccia per riesprimere i valori condivisi di una comunità, e non può più essere visto solo come “memoria pietrificata del passato, ma anche come risorsa attiva per il futuro”69. Questa risorsa però non è rinnovabile, pertanto per continuare ad utilizzarne le potenzialità devono prevedersi scelte progettuali delineate con grande attenzione. Il caso del presente studio, come tanti altri esempi del

68 P. F. Chierchi, Adaptive reuse of abandoned monumental building sas a strategy for urban liveability, Athens Journal of Architecture 1 (2015), p. 254 69. G. Franco, Sostenibilità e patrimonio storico: da un caso studio, nuovi orizzonti di ricerca, Techne 8 (2014), p. 191

CONCLUSIONI 289


nostro patrimonio edilizio storico, ha avuto un ruolo significativo nella storia della comunità e a buona ragione costituisce una parte della sua memoria ed identità. L’approccio critico delineatosi nel panorama accademico degli ultimi decenni, che pone il riuso accanto al restauro, accoglie la possibilità di collocazione di nuove funzioni nell’edilizia storica, purché compatibili con essa, individuando inoltre in tale scelta il mezzo per mantenere in vita l’edificio e sostituire al restauro, operazione comunque traumatica, la manutenzione conservativa70. La scelta di una nuova destinazione d’uso per tali “contenitori” è dunque possibile solo nell’ottica di una riflessione consapevole che ha come obiettivo fondamentale la compatibilità, che deve essere soddisfatta sotto diversi termini, non solo rispetto alle caratteristiche fisiche e tecnologiche dell’oggetto, ma anche al suo intorno socio-ambientale71. 70. G. Carbonara, Trattato di restauro architettonico, UTET, Torino 2007 71. A. Lo Faro, A. Mondello, A. Salemi, Strategie metaprgettuali finalizzate al riuso compatibile: il caso delle chiese ad aula unica della città di Catania, ColloquiATe 2015 (2015), p. 520

290 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

Lo stesso approccio impone che tale percorso sia perseguibile solo sulle basi della conoscenza dell’oggetto, fase che ha costituito una parte fondamentale del presente lavoro. La ricerca storica e archivistica ha consentito, infatti, di conoscere le fasi


di vita del manufatto e confrontarsi con una realtà che seppur relativamente recente ha evidenziato un profondo legame col territorio e la comunità; le fasi del rilievo geometrico-spaziale e dell’apparecchiatura costruttiva hanno messo in luce le potenzialità spaziali dell’edificio e le sue caratteristiche tecnologiche; l’analisi delle manifestazioni visibili del degrado e dei dissesti hanno completato il percorso della conoscenza del “corpus” della fabbrica e del suo stato di conservazione. Tutte le informazioni ottenute sono state quindi riesaminate in modo sincronico, e, sulla base delle premesse enunciate, si è giunti ad una conoscenza non fine a se stessa, ma orientata a guidare le scelte progettuali, che sono state rivolte da un lato al restauro conservativo e dall’altro al riuso compatibile, nel tentativo di dare una risposta alla sempre presente questione della “relazione tra istanze di conservazione ed esigenze della contemporaneità”72. Nella scelta delle possibili destinazioni d’uso è stata fondamentale la lettura sincronica degli strumenti di pianificazione ed il dialogo con le voci del territorio. L’ascolto delle categorie deboli ha permesso di mettere in luce una delle esigenze più stringenti del contesto in esame, quella della residenzialità

72. M. Losasso, Contesti storici e progettazione contemporanea: l’innovazione tecnologica fra memoria e modificazione, Tecne 12 (2016), p. 6

CONCLUSIONI 291


temporanea per i familiari ed accompagnatori dei degenti presso il presidio ospedaliero San Vincenzo. Le mutate dinamiche economiche pongono in essere un nuovo fenomeno di mobilità legato alla fruizione di prestazioni mediche specialistiche, ed un conseguente bisogno di residenzialità che ancora non trova una risposta pienamente soddisfacente nell’area in esame, complice anche il peggioramento della qualità dei servizi e degli spazi della sanità verificatosi negli anni di stasi economica dell’Italia. La progettazione di spazi e strutture di supporto alle prestazioni sanitarie è un elemento non marginale, che contribuisce a garantire elevati livelli di efficienza del servizio erogato, nell’ottica non solo della funzione primaria di cura della malattia, ma col più ampio obiettivo di un approccio olistico alla cura della persona, in cui prendersi cura ed accogliere i familiari del paziente concorre al benessere psicologico dello stesso73. Per tale ragione è stata fondamentale la comprensione delle esigenze espresse dalle voci interessate, le associazioni dei genitori dei pazienti, il 73. E. Faroldi, Architetture per la salute e la formazione. Lineamenti e tendenze, Tecne 12 (2016)

292 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”

personale medico e la direzione sanitaria dell’ospedale, attori che hanno suscitato spunti di riflessione sulla richiesta di qualità degli spazi offerti e di


soluzioni progettuali rivolte ad un target specifico di utenza, nell’ottica del processo di umanizzazione delle cure verso cui la medicina moderna si sta evolvendo74 . L’obiettivo individuato sulla scorta di tali indicazioni è stato quindi una forma di ricettività volta non solo al soddisfacimento dei bisogni primari del dormire, avere un riparo, mangiare – esigenze cui si potrebbe trovare una facile risposta vista la spiccata vocazione turistica del comprensorio di Taormina – ma piuttosto all’offrire un luogo da abitare, seppur temporaneamente, essere accolti, condividere un’esperienza dolorosa e trovare solidarietà e conforto in chi si trova nella medesima situazione; tale finalità può inoltre fregiarsi di essere inserita in un contesto di elevatissima qualità ambientale data dalla presenza del verde terrazzato e della prospiciente baia di Villagonia. Il presente lavoro si propone pertanto di contribuire al dibattito sul tema del riuso del patrimonio edilizio storico e l’allocazione in esso di funzioni contemporanee, pensata, quest’ultima, come opportunità per ricucire il legame con il contesto territoriale e, nel caso specifico, rispondere alle esigenze di una realtà, quella della mobilità sanitaria, in costante crescita. Il convento di Villagonia può diventare promotore di una funzione di ospitalità declinata

74 D. Bosia, Le linee guida per l’umanizzazione degli spazi di cura, Tecne 9 (2015)

CONCLUSIONI 293


in una forma diversa, rivolta alle categorie più deboli, e che appare ancora poco esplicata nella realtà territoriale esaminata, una funzione che restituisce al luogo l’identità persa e la tramanda, rinnovandola, acquisendo nuova linfa vitale dall’eminente istanza culturale dell’ex convento e dal suo forte legame con il territorio di Taormina.

294 UN RESTAURO “ACCOGLIENTE”


CONCLUSIONI 295



BIBLIOGRAFIA



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Figg. 2.11, 2.16, 2.26 Mercurio G., Giardini Naxos: le cartoline raccontano, EDAS, Messina, 2008 Fig. 2.12 Mauceri E., Taormina, Brancato, Catania, 1907 Figg. 2.17, 2.18 P. Agostino da Giardini, I frati minori cappuccini in Taormina e Giardini, SPES, Milazzo, 1965 Fig. 2.19 1929, collezione privata G. Mercurio Fig. 2.20 Lehnert e Landrock, 1908, collezione privata G. Mercurio Fig. 2.21 F.lli Alinari, collezione privata G. Mercurio Figg. 2.22, 2.23, 2.24, 2.25, 2.36, 2.37 Frati Cappuccini di Messina, Archivio

fotografico,

ultimo

accesso

08/10/2017

http://www.

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Cardiochirurgia pediatrica, ultimo accesso 27/10/2017 http://www. blogtaormina.it/2016/12/25/ccpm-taormina-arrivano-luminari-mondialidella-cardiochirurgia-pediatrica/232931/ Fig. 6.4 Comune di Taormina Figg. 6.9, 6.10 Onion Flats, Thin flats, http://www.onionflats.com/projects/ featured/thin-flats.php ultimo accesso 27/10/2017 Figg. 6.16, 6.17, 6.18 Carmassi studio di architettura, http://www. carmassiarchitecture.com/ ultimo accesso 27/10/ 2017

Le rimanenti fotografie, illustrazioni ed elaborati grafici sono ad opera dell’autrice.

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UN RESTAURO “ACCOGLIENTE“ tesi di laurea di Alessia Miceli novembre 2017


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