42°49'12"N — 13°49'01"E

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ISIA di Urbino Diploma accademico di secondo livello Studente Alessio Romandini Relatori Roberto Pieraccini Mauro Bubbico A.A. 2010/2011


Val Vibrata IdentitĂ di un territorio



Indice

07 11

Premessa

Ricerca, analisi, sintesi Ma questo è paesaggio!

DATI

16 18 20 24 26 28 30 32

Misurazioni

Localizzazione Superficie Comuni Altitudine Tessitura Clima Popolazione Economia

CAP 01

38 42 44

Territorio di confine

Melting pot Piceno-Aprutino Il confine nel tempo, segni di frontiera Organizzazione, rete, sistema

CAP 02

48 50 52

Vibrata

Una risorsa per il territorio La valle tra i due fiumi Il torrente e la sua valle

CAP 03

58 60 62 64

Transumanza giornaliera

Passaggio graduale Montagna Collina Mare

CAP 04

68 72 74

Costruzioni autoctone

“Li Pinciaje” Argilla e paglia Architetture intelligenti ed ecosostenibili

CAP 05

78 80 82

Un patrimonio in bottiglia

Bacca rossa e bacca bianca Produzione 2010 Un’esperienza sul campo

CAP 06

88 90

Industrianti

Tutto e subito Passato, presente e futuro

CAP 07

98 102

Tra uliveti e vigneti

Energia ed ambiente Potenza solare installata


6


7

Ricerca, analisi, sintesi Alessio Romandini

Osservare per conoscere L’intenzione di questo progetto non è quella di trarre delle conclusioni, ma di creare un punto di partenza utile alla comprensione di questo territorio. La ricerca nasce in primo luogo dal desiderio di voler progettare qualcosa che potesse essere utile alla Val Vibrata e in secondo luogo dalla consapevolezza, maturata in questo periodo, di non conoscere a sufficienza la terra in cui ho vissuto per quasi trent’anni. Inizialmente fui preso dallo sconforto di non sapere con chiarezza come affrontare questo progetto, subivo il fascino di questo e di quello ma non riuscivo mai a trovare la strada, finché un giorno, il mio girovagare in cerca di notizie e dati utili, ha fatto nascere in me la curiosità di scoprire la mia terra d’origine percorrendola in lungo ed in largo. A poco a poco, la conoscenza più approfondita del luogo mi ha chiarito le idee sulla direzione da prendere. Questo lavoro è quindi il risultato di un’indagine sulla Val Vibrata, un territorio della Provincia di Teramo costituito da dodici entità amministrative. All’inizio, non ero affatto consapevole della dimensione dell’argomento e sono partito raccogliendo gli aspetti più oggettivi, perché credo che l’identità di un luogo sia costituita da un insieme di peculiarità, tangibili e non tangibili, costruite e modellate nel tempo dall’interazione tra fenomeni fisici e antropici; la prima fase del mio lavoro, infatti, è costituita da un insieme di dati che ho raccolto in una sezione intitolata “Misurazioni”. Parallelamente a questa ricerca scientifica ho quindi affiancato un’indagine più umanistica per comprendere come questi fattori hanno condizionato e condizionano la popolazione vibratiana. Punto di partenza, poi di appoggio, per qualsiasi richiesta e necessità è stato il Centro Servizi Culturali della Regione Abruzzo, con sede nel comune di Nereto. La collaborazione, l’entusiasmo per la diffusione della cultura locale e l’infinita disponibilità di queste persone, mi ha permesso di conoscere tante professionalità del posto, che da anni lavorano nel territorio e per il territorio, e che fino a quel momento avevo

incrociato solo nelle copertine dei libri e delle riviste locali. Conoscere queste persone è stato utilissimo e indispensabile perché mi ha permesso di approfondire e capire meglio tutto quello che avevo maturato sino a quel momento e soprattutto di avere un riscontro critico sul mio lavoro. Ho intervistato storici, geologi, sociologi, architetti, economisti, agronomi, politici, imprenditori e altre professionalità con competenze specifiche ma diverse, e conoscenze indispensabili per individuare gli elementi tipici del luogo. Ho avuto l’occasione di esplorare la Val Vibrata più di quanto non avessi mai fatto prima. La ricerca mi ha spinto ad assaporarla in tutte le sue sfaccettature; ho scalato un ammasso di calanchi, ho percorso un tratto del torrente Vibrata, mi sono infilato nelle insenature rocciose della Montagna dei Fiori, ho raccolto l’uva presso una cantina di Torano Nuovo, ho assaporato con più attenzione la gastronomia locale, ho incontrato pastori, contadini, marinai, ho passeggiato lungo le sponde del fiume Tronto e dentro le Gole del Salinello, ho cercato quindi di osservare con un occhio più curioso gli abitanti di questa terra, con i suoi centri storici, le sue chiese, abbazie e case di terra, insomma ho recuperato più materiale possibile per capire e definire quelli che secondo me sono i punti che più la identificano. In conclusione, dopo aver raccolto tanto materiale, mi sono reso conto che alcuni elementi emergevano di più rispetto ad altri e che, dal mio punto di vista, potevano rappresentare efficacemente l’identità del territorio. Ho quindi focalizzato la mia attenzione su sette aspetti peculiari, cercando di comprenderne l’evoluzione storica, e lo stato attuale.


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9


10


11

Ma questo è paesaggio!

Claudio Bertorelli

Presidente Centro Studi Usine.

Per la tesi di Alessio Romandini Scorrendo il testo di Alessio Romandini mi è tornato alla mente il famoso pamphlet di Igor Stravinskij, la “Poetica della musica”, considerato da molti non a caso uno dei migliori testi di Architettura. Architettura? Si, proprio Architettura. Così, allo stesso modo, ho la chiara convinzione che il testo che qui si presenta parli di Paesaggio pur non citando mai il termine. Vediamo perché. Ambiente - Paesaggio - Territorio sono tre termini legati tra loro da vincolo circolare, costretti a rincorrersi senza mai trovare la giusta definizione reciproca e, oggi, usati abusati e rapinati in nome di una tutela che non trova risultato. Eppure in modo semplice potremmo dire che l’ambiente si fa con la chimica degli elementi cosmogonici e artificiali, il territorio con le regole amministrative e le infrastrutture, il paesaggio con le identità e la cultura dell’uomo; che i tre producono effetti diversi ma restituiscono, se indovinati, la capacità dell’uomo di rappresentare la storia del proprio tempo. Per dirla con un brillante scioglilingua di Rosario Assunto “il Paesaggio è la forma che l’Ambiente conferisce al Territorio”. Alessio Romandini ricorda che la posizione geografica è elemento primario; fa quindi pari con il geografo Franco Farinelli, il quale ricorda che “tra i sensi del mondo il paesaggio è un’icona, lo spazio è un indice, il territorio è un simbolo”. Il territorio è un simbolo perché mette insieme e presenta, strato su strato, le identità che maturano in un luogo: sociali, economiche, culturali, storiche. Il titolo dato al testo, “Identità di un territorio”, è quindi sinonimo di paesaggio e questo lavoro sulla Val Vibrata può collocarsi nel contesto più ampio dedicato all’osservazione dei paesaggi italiani secondo le indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio. La Convenzione Europea del Paesaggio è legge in Italia dal 2000 ma rimane spesso inascoltata, perché si presenta come una legge cometa, indicando una direzione senza fissare degli indici; e, come si sa, in Italia se non ci sono indici la macchina va in crisi. Con la sua entrata in vigore il paesaggio ha assunto un definitivo significato complesso.

Il termine non vuole più, o meglio non solo vuole, rappresentare il cinquecentenario orizzonte di indagine da parte di pittori e poeti sulla natura abitata (si dice che “La fuga in Egitto” di Tiziano rappresenti l’atto di nascita del paesaggio), ma piuttosto giunge ad inglobare nel suo stesso significato quello delle comunità abitanti fino ad oggi rimaste di sfondo nella tela degli autori. Il paesaggio ora si alimenta e si manifesta non solo dove è presente o prevale un ambiente naturale, ma in ogni luogo in cui sia attiva una comunità, ed è quest’ultima a metterne in moto i progetti, che si tratti di un semplice marciapiede o di una grande infrastruttura. Inoltre la Convezione Europea ha istituito e riconosciuto il valore degli Osservatori del Paesaggio, dando loro non tanto il compito di trascrivere i dati certi di un territorio, ma piuttosto di incrociarli, ponendoli simultaneamente alla vista (torna la definizione di paesaggio che propone il vocabolario Zanichelli) fino a farne emergere le relazioni. Ecco il punto. Alessio Romandini può anche non esser partito da questi principi ma è certo che ha seguito le tracce di quella legge cometa e simulato di fatto l’attività di un osservatorio, che pur con fatica e resistenze ha il compito di interpolare i diversi campi di azione (geografia, politica, giurisprudenza, economia, comunicazione, …) e di costruire una base comune per le comunità abitanti e i loro governi. Il suo lavoro ha anche il merito di mettere a confronto almeno due dei campi di azione citati, quello della comunicazione e quello dell’urbanistica, nel momento in cui uno si afferma definitivamente (la comunicazione) e l’altro segna il passo (l’urbanistica). Essi infatti si sono subito dati le spalle, privandoci di una relazione fondamentale dalla quale scatenano effetti combinati, uno per tutti il turismo, che da una loro azione comune ne potrebbe uscire fortemente rinnovato. Ma tutto questo è paesaggio! Non resta che prenderne atto, continuare ad osservarlo e a progettarlo.



La posizione geografica è l’elemento primario, unico e non influenzabile, dal quale scaturisce quel complesso intreccio di fattori secondari che condizionano la crescita e lo sviluppo di un territorio.



Misurazioni

DATI

Situata nella Regione Abruzzo, nella parte più a nord della Provincia di Teramo, la Val Vibrata rappresenta politicamente il limite settentrionale dell’Italia meridionale. Nel suo territorio, compreso tra l’Appennino Centrale ed il Mare Adriatico, racchiude la storia, i colori e le tradizioni

dei dodici comuni e del torrente che l’ha scavata ed a cui deve il suo nome.


16

Localizzazione

Latitudine

Longitudine

42째49'12"

13째49'01"

Val Vibrata

Provincia di Teramo (parte restante)

Regione Abruzzo (parte restante)


17

29,5

83,5

197

Km da Teramo.

Km da L’Aquila.

Km da Roma.

Confine Nord

Confine Sud

Confine Ovest

Confine Est

Provincia di Ascoli Piceno

Altri comuni del teramano

Altri comuni del teramano

Mare Adriatico


18

Superficie

Civitella del Tronto 77,65

8,48

70,08

Superficie comunale

Bacino idrografico del Vibrata in km²

Sant’Egidio alla Vibrata

Ancarano

Torano Nuovo

18,24

14,41

10,35

539,69

5,25

133,31

10,19

10,18

Abitanti per km²

Torrente Vibrata

Sant’Omero 166,04

33,98

10,58

Nereto 159,59

7,01

6,99

733,38

Provincia di Ascoli Piceno

03

02

01

≤ Montagna


19

274,71

107,92

km² di superficie complessiva.

km² di bacino idrografico in territorio abruzzese.

Controguerra 22,73

11,56

Corropoli 109,59

21,98

35,88

km di lunghezza del torrente Vibrata.

Colonnella 21,73

216,24

21,74

11,08

Tortoreto 172,35

22,96

2,68

444,33

Contenuti Superfici comunali, bacino idrografico del Vibrata e densità della popolazione.

Fonte Istat 2010 e Piano di tutela delle acque, della Regione Abruzzo, del 2006.

Alba Adriatica

Martinsicuro

9,50

8,32

1318,1

12

14,32

1192,6

Mare Adriatico

12

09

07

08 11

04 06

10

05

Parte restante della Provincia di Teramo

Mare ≥


20

Comuni Simbolo stemma comunale

Civitella del Tronto

Sant’Egidio alla Vibrata

Ancarano

Fortezza

Cervo

Ancora

Civitellesi

Santegidiesi

Ancaranesi

Di Antonio, Di Giuseppe, Ferri, Di Matteo, Di Giacomo.

Di Matteo, Antonini, De Berardinis, Galiffa, Pompei.

Capoferri, Antonini, Di Girolamo, Panichi, Bizzarri.

I cinque cognomi più diffusi —

28

Frazioni e località —

Bivio Risteccio, Borrano, Carosi, Cerqueto, Collebigliano, Collevirtù, Cornacchiano, Favale, Fucignano, Gabbiano, Le Casette, Lucignano, Pagliericcio, Palazzesi, Piano Risteccio, Piano San Pietro, Ponzano, Ripe, Rocca Ceppino, Rocca Ischiano, Rocca San Nicola, Rocche Di Civitella, Sant’Andrea, Sant’Eurosia, Santa Reparata, Valle Sant’Angelo, Villa Lempa, Villa Passo.

Sant’Ubaldo

Santo Patrono —

16 Maggio.

Ceppe Tradizione —

Sono così denominati perché si tratta di grossi bucatini fatti a mano arrotolando la pasta intorno a un bastoncino. Una leggenda vuole che si tratti di una pietanza inventata da un cuoco militare che, durante un assedio alla Fortezza di Civitella, non avendo disponibilità di attrezzi idonei, utilizzò un ceppetto in legno per realizzarli.

1861

Curiosità —

Civitella, grazie alla sua imponente fortezza, cadde tre giorni dopo che fu sancita l’Unità d’Italia. Questo episodio ne fa l’ultima roccaforte borbonica a piegarsi all’invasione piemontese.

I cinque cognomi più diffusi —

8

2

Centro, Faraone, Ponte, Villa Marchesa, Madonna delle Grazie, Villa Mattoni, Passo del Mulino, Paolantonio.

Casette, Madonna della Carità.

Frazioni e località —

San Simplicio Santo Patrono —

1 Settembre.

Tagliolini

Santo Patrono —

Carnevale

Tradizione —

Ormai giunta alla sua 25ª edizione, è una delle manifestazioni in maschera più rilevanti della regione e si tiene ogni anno la domenica ed il martedì grasso. Nata nel 1987, vede la partecipazione delle frazioni del Comune con il coinvolgimento, negli ultimi anni, anche di carri e gruppi provenienti da alcuni Comuni limitrofi.

2007 Curiosità —

Primo classificato tra i comuni recicloni d’Abruzzo e quarto classificato tra i comuni recicloni d’italia.

Borgo di Faraone

Architettura consigliata —

Architettura consigliata

Rosso Blu

Giallo Rosso

Colori sportivi

Frazioni e località —

Sant’Egidio

Il borgo fortificato, di chiara impronta medioevale, è attualmente abbandonato, dopo essere stato gravemente lesionato dal terremoto del ‘50, ma passeggiando per il corso e guardando dentro le finestre dei vari palazzi, si possono intravedere dei bellissimi soffitti affrescati.

Santa Maria dei Lumi

I cinque cognomi più diffusi —

Colori sportivi

29 Luglio.

Tradizione —

Una notte, la statua della Madonna della Pace venne rubata e, in seguito al peso eccessivo, abbandonata lungo la strada. Una donna anziana che passava da quelle parti, la vide ed esclamò: “Oh! Madonna bella! Se tu non pesassi così tanto ti riporterei io in Chiesa!” e fece l’atto di sollevarla. All’improvviso la statua divenne leggera e non fu difficile per la vecchietta riportarla in chiesa. I paesani, per ringraziarla e ristorarla, le prepararono una minestra delicata e sostanziosa. Ogni anno, da allora, per il giorno della festa della Madonna della Pace, che si celebra la domenica di ottobre più vicina al 22, ogni famiglia prepara “Li Tailì della Madonna”.

1852 Curiosità —

Il comune passa dallo Stato Pontificio al Regno delle Due Sicilie.

Chiesa di S. Rocco Architettura consigliata —

Costruita in occasione della peste del ‘500. Contiene due fosse comuni che vennero utilizzate per il seppellimento degli appestati.

Bianco Azzurro Colori sportivi

≤ Montagna


21

Torano Nuovo

Sant’Omero

Nereto

Torre

Torre

San Martino

Toranesi

Santomeresi

Neretesi

Muscella, Bizzarri, Zenobi, Di Pietro, Pepe.

Ippoliti, Gatti, Cristofori, Giovannini, Nepa.

Lelii, Baldini, De Berardinis, Lattanzi, Fagotti.

I cinque cognomi più diffusi —

5

Frazioni e località —

Campodino, Case Lucidi, Flaio, Petrella, Villa Bizzarri.

San Flaviano

Santo Patrono —

24 Novembre.

Sagra della Salsiccia

Tradizione —

La prima edizione risale al 1969. Oggi ci lavorano oltre 500 persone, sono coinvolte 35 realtà imprenditoriali ed arrivano mediamente 70/80 mila visitatori l’anno. Per questo, secondo il sindaco è la “più grande azienda del paese”. Torano Nuovo può vantare 1 cantina vitivinicola ogni 200 abitanti, 4 Doc e una Docg, uno dei salumifici più antichi d’Abruzzo, sede regionale dell’Agri Bio Abruzzo (associazione di produttori biologici e biodinamici) non è diventato a caso “paese del gusto” e la sua sagra, che quest’anno festeggia il quarantennale, è fra le sette più blasonate della regione.

2009 Curiosità —

Primo classificato tra i comuni recicloni d’Abruzzo.

S. Massimo in Varano

Architettura consigliata —

Si tratta di una delle chiese più antiche d’Abruzzo, in quanto la sua edificazione potrebbe essere antecedente all’anno Mille.

I cinque cognomi più diffusi —

I cinque cognomi più diffusi —

12

8

Barracche, Bivio Sant'Omero, Case Alte, Casette, Fontana Vecchia, Garrufo, Mediana, Nucleo Artigianale, Poggio Morello, Villa Gatti, Villa Ricci, Zona Pep.

Capo di Valle, Certosa, Parignano, Pignotto, Rote, San Martino, San Savino, Vibrata

Frazioni e località —

Sant’Omero Santo Patrono —

03 Giugno.

Baccalà Tradizione —

La presenza del baccalà a Sant’Omero si lega alla storia di una famiglia di imprenditori locali, i Monti, che si sono dedicati e si dedicano ormai da quattro generazioni all’importazione e alla commercializzazione del baccalà.

1154

Curiosità —

Probabilmente il paese è il più antico della vallata. La prima notizia storica su Sant’Omero risale al 1154, quando compare come feudo sotto il dominio di un certo Gualtiero di Rinaldo.

S. Maria a Vico Architettura consigliata —

Costruita sui resti di un tempio pagano dedicato ad Ercole, è considerata come l’unico monumento d’Abruzzo anteriore al Mille giunto a noi quasi completo.

Bianco Azzurro Colori sportivi

Frazioni e località —

San Martino Santo Patrono —

11 Novembre.

Capra Tradizione —

Questo prelibato secondo di carne è uno dei piatti più caratteristici del comune di Nereto, ed è strettamente legato alla pratica della pastorizia.

Miracolo del 1798 Curiosità —

Alcuni cittadini, a seguito di una violenza compiuta dai soldati francesi su alcune donne del paese, reagirono uccidendo coloro che avevano compiuto l’insano gesto. Questa reazione suscitò l’ira dell’intero esercito, il quale per vendicarsi aveva deciso di attaccare Nereto. A notte fonda, una vecchietta si accorse dell’arrivo di soldati e salita sul campanile suonò le campane come segno d’allarme. Un esercito di angeli apparve dal nulla ed i francesi fuggirono in preda al terrore. Questa leggenda è rappresentata con delle incisioni sulla campana posta davanti alla Chiesa Madre.

Fontana vecchia Architettura consigliata

Rosso Blu Colori sportivi

Giallo Blu Colori sportivi

Mare ≥


22

Simbolo stemma comunale

Controguerra

Corropoli

Colonnella

Due Cavalieri

Castello con tre torri

Colonna su tre colli

Controguerresi

Corropolesi

Colonnellesi

Paolini, Pompilii, Strozzieri, Bizzarri, Lucidi.

Ricci, Tarquini, Cardelli, Rosati, Di Luca.

Di Salvatore, Ricci, Di Saverio, Lupi, Di Lorenzo.

I cinque cognomi più diffusi —

I cinque cognomi più diffusi —

I cinque cognomi più diffusi —

6

16

14

Pignotto, San Giovanni Primo, San Giovanni Secondo, San Giuseppe, San Venanzo I, San Venanzo II.

Abbadia, Accattapane, Bivio Corropoli, Case Cardelli, Case Parisani Primo, Case Parisani Secondo, Case Picciò, Case Scataglia, Case Stagnò, Case Vallese, Croce Di Ravigliano, Frattari, Gabbiano, La Montagnola, San Giuseppe, Scuole Ravigliano.

Cappelletti, Civita, Gabbiano, Marconi, Masseria Castagna, Prosperi, Ricci, Riomoro, Riomoro Basso, Rosati, San Giovanni, San Martino, Sant’Angelo, Villa Catenacci.

Sant’Agnese

Santo Patrono —

21 Gennaio.

Mannoppi

Frazioni e località —

San Benedetto

Santo Patrono —

21 Marzo.

Chitarra

Tradizione —

Questi spaghetti prendono il nome dallo strumento con cui si lavora la pasta per ottenerli. L’oggetto, al centro delle tradizioni culinarie abruzzesi, è composto da un telaio rettangolare di legno di faggio su cui sono tese sottili corde di metallo. Passandovi con un mattarello le sfoglie di pasta, si ottengono gli spaghetti.

2008

Curiosità —

Il Comune di Controguerra si aggiudica la “Targa blu 2008”, che attesta l’impegno dell’ente per la diminuzione del rischio d’incidenti sulle strade di propria competenza.

Torrione

Architettura consigliata —

Fu costruito nel 1370 su resti di edifici romani. Collocato sul culmine dell’altura, domina tutto il paese.

Rosso Blu

Colori sportivi

Frazioni e località —

Santo Patrono —

Rana verde Tradizione —

La discriminante, nel cucinare le rane, è tra chi ne utilizza soltanto le coscette posteriori e chi le cuoce tutte intere. Qui si predilige la rana completa, semmai con le zampe ripiegate su se stesse, per evitare che la contrazione dei muscoli durante la cottura dia loro quell’aspetto che a volte può disturbare la sensibilità di alcuni commensali.

2011

Curiosità —

San Michele 8 Maggio.

Tradizione —

La festa dei “Manoppi” si svolge nella seconda domenica di luglio per onorare la Madonna Santissima del Suffragio. Al nome religioso della festa viene aggiunto quello laico dei “manoppi”. La ragione è che le offerte dei cittadini per realizzare la festa non erano in denaro ma in natura, cioè in grano, proprio perchè la festa cadeva al termine della trebbiatura.

Senegal Curiosità —

Vincitore del Palio Nazionale delle Botti. La sfida consiste nel rotolare botti da 500 litri per le vie dei centri storici delle Città del Vino di tutta Italia.

Un’artista senegalese di 49 anni, nel 2011 ha iniziato una collaborazione con il comune, con l’obiettivo di educare i 200 000 abitanti di Kaolack, suo paese natio, a differenziare i rifiuti.

Badia

Fonte Vecchia

I Benedettini nel 1018, abbatterono il tempio pagano dedicato alla Dea Flora, e costruirono il Monastero di S. Maria di Mejulano; oltre agli alloggi, vi erano officine, biblioteche e 10 Scriptorium.

Di origini romane, la fonte è dotata di un cunicolo sorgivo che si inoltra nel cuore della collina per circa 20 m.

Bianco Rosso

Colori sportivi

Architettura consigliata —

Colori sportivi

≤ Montagna

Frazioni e località —

Architettura storica preferita —

Bianco Rosso


23

Tortoreto

Alba Adriatica

Martinsicuro

Tortora su tre colli

Alba

Torre con veliero

Tortoretani

Albensi

Martinsicuresi

Di Domenico, Marconi, Cappelletti, Ciprietti, De Dominicis.

Gasparroni, Piccioni, Vallese, Camaioni, De Santis.

Corsi, Consorti, Marini, Spinosi, Micozzi.

I cinque cognomi più diffusi —

9

I cinque cognomi più diffusi —

I cinque cognomi più diffusi —

0

3

Antonini, Cavatassi, Colle Luna, Colle San Giovanni, Di Febo, Sala, Salino, Terrabianca, Tortoreto Lido.

Non presenti.

Lupi, Marconi, Villa Rosa.

San Nicola

Santo Patrono —

6 Dicembre.

Carnevale Estivo

“Li Trundarule”

L’evento più atteso dell’anno sfila l’8 agosto con il serpentone mascherato e il suo carico di festa, suoni e colori. Il Carnevale di Alba è considerato un momento di tradizione, arte e spettacolo che coinvolge le realtà carnevalesche più importanti d’Italia. La notte dell’evento si registrano oltre 100 000 presenze.

Negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, molti martinsicuresi andavano a pesca di baccalà davanti alle coste della Groenlandia. Con i loro pescherecci, privi di ogni supporto tecnico, sfidarono le acque del Mediterraneo e dell’Atlantico.

Frazioni e località —

Santo Patrono —

Chitarrina Tortoretana

Tradizione —

Piatto tipico a base di Spaghetti tagliati alla Chitarra e vongole “Venus Galina”.

Vongole Curiosità —

I pescatori tortoretani sono specializzati nella pesca delle vongole, in dialetto “paparazze”, e nella pesca notturna con le lampare. Svegliandosi all’alba è facile incontrare in spiaggia i pescatori che rientrano dalla battuta di pesca o scorgere le loro imbarcazioni che tornano al porto di Giulianova.

Frazioni e località —

Sant’Eufemia

San Gabriele

16 Settembre.

27 Febbraio.

Tradizione —

1966

Curiosità —

Il 14 luglio 2006 ha festeggiato il suo primo cinquantenario come comune autonomo. Precedentemente apparteneva al comune di Tortoreto.

Torre dell’orologio

Torre Vibrata

La parte centrale è di epoca medievale e sono evidenti le fessure per i tiranti del Ponte levatoio.

È una torre costiera utilizzata dal regno di Napoli a guardia del territorio interno. Sorge in una zona piana, in prossimità del mare e in corrispondenza della riva destra del fiume omonimo. Di recente è stata oggetto di un restauro ed ora ospita un ristorante.

Architettura consigliata —

Bianco Azzurro Colori sportivi

Frazioni e località —

Architettura consigliata —

Santo Patrono —

Tradizione —

1963

Curiosità storica —

Diventa comune autonomo. Precedentemente apparteneva al comune di Colonnella.

Fornace Franchi Architettura consigliata —

La fornace Franchi a Villarosa, in attività per la produzione di laterizi dal 1904 al 1977, è oggi in abbandono. Una delle più belle opere di archeologia industriale d’Abruzzo.

Bianco Azzurro Colori sportivi

Rosso Verde Colori sportivi

Mare ≥


24

Altitudine

Quota massima

Quota minima

Quota municipio

Metri di dislivello

Civitella del Tronto 1814

589

136

Sant’Egidio alla Vibrata

Ancarano

483

327

431

≤ Montagna

237

52

303

Torano Nuovo 293

24

306 178

237

Sant’Omero 128

219 195

209

Nereto 24

229 148

163

81


25

225

2,5

Controguerra

Corropoli

Quota media della valle.

312 299

267

13

Pendenza media della valle in base alle quote municipali.

215 197

Colonnella 132

18

303 296

303

Tortoreto 7

268 268

239

0

Contenuti Quote comunali, in metri slm, e dislivello tra la massima e la minima

Fonte Istat, 2009.

Alba Adriatica

Martinsicuro

125 125

5

0

181

2

0

181

Mare ≼


26

Tessitura

Argilla

Sabbia

Limo

pH

Civitella del Tronto nd.

nd.

nd.

≤ Montagna

nd.

Sant’Egidio alla Vibrata

Ancarano

43,5

52,9

8,52

38,9

17,6

Torano Nuovo 42,4

4,7

46,2 8,37

40,0

Sant’Omero 13,8

35,5 8,35

40,1

Nereto 24,4

33,4 8,40

41,8

24,8


27

8,63

pH medio del terreno.

Controguerra 43,9 8,27

43,3

36,6

Percentuale media di calcare.

Corropoli 12,8

37,7 8,25

Colonnella 42,8

19,5

39,6 8,32

39,3

Tortoreto 21,1

39,0 8,35

43,9

17,1

Contenuti Composizione del terreno, in percentuali, e livello del ph.

Fonte ARSSA Abruzzo, 2008.

Alba Adriatica

Martinsicuro

43,5 8,31

43,6

12,9

28,8

38,1

33,1

8,27

Mare ≼


28

Clima

Temperatura massima

Temperatura minima

Temperatura media

Millimetri di pioggia caduti Gennaio 10,9

Febbraio 6,9

54,9

≤ Montagna

3,4

11,7 47,5

Marzo 7,7

3,8

16,4 58,9

Aprile 10,2

4,9

19,0 64,4

Maggio 8,3

13,5

24,1 39,8

Giugno 11,4

20,3

28 56,2

15,3

21,2


29

42

11

Giorni con temperatura superiore a 30° nel 2009.

Giorni con temperatura inferiore a 0° nel 2009.

Luglio

Agosto

30,3 43,3

18,8

24,9

31,0 59,5

Settembre 18,1

25,5

26,8 64,0

10,9

Ottobre 15,1

22,8 70,7

10,9

15,1

Contenuti Media delle temperature e delle piogge calcolate sulla base degli ultimi trent’anni.

Fonte Stazione meteo di Controguerra, 2009.

Novembre

Dicembre

16,7

6,5

12,0

11,7

9,4

4,4

64,7

Mare ≥


30

Popolazione

Residenti comunali

Famiglie

Stranieri

Over 65

Civitella del Tronto 5442

9,7

24,4

≤ Montagna

38,0

Sant’Egidio alla Vibrata

Ancarano

9844

1921

17,9

10,6

35,3

19,6

Torano Nuovo 8,5

37,6

1692

6,5

Sant’Omero 33,7

5423 22,2

8,6

Nereto 37,2

5141 21,4

14,7

37,3


31

80 236

Residenti complessivi in Val Vibrata.

Controguerra 2491 24,0

9,2

42,9

EtĂ media della valle.

Corropoli 38,1

4753 20,1

13,5

Crescita percentuale dal 2001 al 2010.

Colonnella 9,8

36,9

3747 19,4

10,0

Tortoreto 39,4

10 202 18,3

11,8

47,3

Contenuti Numero di abitanti e percentuale di stranieri e famiglie.

Fonte Istat, 2010.

Alba Adriatica

Martinsicuro

12 522 18,5

14,2

43,9

17 078

18,1

40,5

16,8

Mare ≼


32

Economia

Agricoltura

Manifattura

Commercio

Imprese individuali

Civitella del Tronto 158

102

72,3

≤ Montagna

119

Sant’Egidio alla Vibrata

Ancarano

82

65

61,8

358

256

66,3

Torano Nuovo 62

85

90

23

Sant’Omero 25

182 71,1

158

Nereto 126

46 65,7

131

118


33

5907

Imprese individuali.

Controguerra 125 74,1

46

1748

1472

SocietĂ di capitale.

SocietĂ di persone.

Corropoli 93

163 65,6

88

Altre forme.

Colonnella 139

165

81 58,6

91

Tortoreto 158

176 59,2

305

172

Contenuti Fatturato in milioni di euro e percentuale di imprese individuali presenti.

Fonte Istat, 2010.

Alba Adriatica

Martinsicuro

89 60,1

434

246

150

560

280

63,3

Mare ≼



Val Vibrata

Nel tempo l’interazione tra fenomeni fisici ed antropici costruisce e modella l’identità di un luogo, determinando lo sviluppo di certe peculiarità e rendendolo unico e differente rispetto a qualsiasi altro.



Territorio di confine

CAP 01

Una zona d’incontro e scambio tra la cultura Picena ed Aprutina, che in questo territorio risultano divise solo amministrativamente. Oggi, in Val Vibrata, la commistione culturale, economica e sociale tra Ascolano e Teramano è molto forte e attraverso politiche e mezzi che valorizzino i fattori

comuni e che considerino quest’area come un “unicum” inscindibile, potremmo essere più competitivi con l’esterno e fronteggiare meglio le difficoltà locali.


38

Melting pot Piceno-Aprutino Gabriele Di Francesco

Docente di Sociologia Generale. Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti.

Identità di frontiera Il territorio della Val Vibrata è situato nella parte settentrionale della Provincia di Teramo e confina a Nord con il fiume Tronto e le terre marchigiane. Sebbene i limiti amministrativi e naturali trovino perfetto riscontro in questa configurazione geografica, non possiamo dire lo stesso dal punto di vista sociale e culturale. Sotto questi aspetti, infatti, l’area si presenta piuttosto omogenea e, per avere una linea di demarcazione reale, sarebbe più opportuno spostare il limite verso Nord, in corrispondenza dell’attuale confine amministrativo tra le province di Ascoli Piceno e Fermo. Questa affermazione si basa su un dato di fatto antropologico e storico-culturale. Il fiume Aso ha storicamente diviso e distinto infatti i territori secondo il diverso utilizzo degli utensili impiegati per l’approvvigionamento e la conservazione dell’acqua potabile. Mentre nella zona a sud del fiume era diffusa la conca di rame, sui territori della sponda opposta si utilizzava la brocca di coccio. Questa diversità rappresentò il pretesto da cui ebbe origine la dizione “Marche sporche”, utilizzata fino a qualche decennio fa per identificare quella parte di una stessa area (dall’Aso al Tronto), che aveva maturato abitudini diverse. Il confine culturale dunque non coincide, né ha mai coinciso con quello amministrativo ed è pretestuoso, in questa zona, parlare di Pretuziani distinti dai Piceni perché in realtà anche in epoca romana, non esisteva una separazione netta tra queste due civiltà (entrambe ricomprese nella Quinta Regio di Augusto come riportato nella Tavola Peutingeriana) e ciò non avrebbe alcun significato culturale e politico. In epoca medievale, sebbene non esistesse un limite amministrativo tra domini della Chiesa e Regno di Napoli, erano i feudi personali e le Abbazie, che delineavano e delimitavano i confini del territorio, sulla base della loro potenza e delle loro influenze sociali e culturali. Alcune di queste, situate nell’odierno Abruzzo, avevano possedimenti nelle attuali Marche e, viceversa, talune abbazie marchigiane controllavano vaste aree abruzzesi. Nella stessa maniera avveniva per i feudi personali. Molte aree Vibratiane erano state feudi della regina Giovanna

di Napoli (Nereto, 1400) o degli Alarçon y Mendoza (Sant’Omero, 1600) e quindi in epoche più recenti degli Acquaviva di Atri. L’Abbazia di Farfa contendeva peraltro i suoi domini con l’Abbazia di S.Clemente a Casauria, che dalla valle del Pescara controllava le abbazie di S.Clemente al Vomàno (edificata e donata ai monaci casauriensi dalla principessa Ermengarda, madre dell’imperatore del Sacro Romano Impero Ludovico II il giovane), di S.Maria di Propezzano e arrivava fino a S.Mauro al Tronto in terra ascolana. Caso emblematico di questo intreccio di possedimenti è il comune di Ancarano che solo nel 1852, nel corso dell’ultimo decennio antecedente la proclamazione dello stato unitario, divenne di proprietà del Regno delle Due Sicilie, ma che fino ad allora risultava essere feudo personale del vescovo di Ascoli Piceno, il quale aveva sulla cittadina una sua esclusiva giurisdizione. Si può dunque osservare che anche in tempi relativamente remoti, vi era uno stretto collegamento tra gli attuali comuni vibratiani ed il limitrofo territorio marchigiano. Altra testimonianza di questa commistione culturale e sociale giunge dalla leggenda sacra del miracolo eucaristico di Offida (1273), detto anche di Lanciano, dove già nel VII secolo era avvenuto un prodigio analogo, con la trasformazione dell’ostia in carne e sangue. Nella leggenda una tal Ricciarella, ricorsa a una fattucchiera per fare un filtro d’amore, gettò un’ostia nel fuoco e ne scaturì sangue e carne, che poi fra Giacomo Diotallevi, priore agostiniano a Lanciano, portò con sé ad Offida, dopo essere stato a Teramo. In tale secondo miracolo risultano evidenti i rapporti tra il convento di Lanciano, quello di Teramo e il Santuario di Sant’Agostino di Offida, dove ancora oggi sono conservate le reliquie. In questa rete di conventi non sono inoltre da trascurare quelli intitolati alla Madonna delle Grazie, fondati da San Giacomo della Marca, a Monteprandone, suo luogo di nascita, in provincia di Ascoli Piceno (nel 1447) ed a Teramo (nel 1449). Figura carismatica, San Giacomo era un predicatore appassionato, ex magistrato e notaio a Firenze, estensore di Statuti


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1000

Val Vibrata Piceno Sannio

1816

Val Vibrata Regno delle due Sicilie Stato Pontificio

1140

Val Vibrata Regno di Napoli Stato Pontificio

1861

Val Vibrata Abruzzi e Molise Marche


40 Immagine Fiume Tronto, nel tratto tra il Comune di Ancarano e quello di Controguerra. In questa zona il corso d’acqua segna il confine naturale con le Marche.

Civici e abile diplomatico, pacificatore della guerra tra Ascoli e Fermo (1446 e 1463), che veniva chiamato dai vari Stati per porre fine alle discussioni con le controparti e che muovendosi da un territorio all’altro assorbiva, trasportava e trasmetteva i vari influssi culturali. I rapporti tra i territori della Val Vibrata ed Ascoli Piceno si intrecciano comunque da sempre per la particolare posizione geografica che colloca questa cittadina lungo il confine amministrativo, rendendola più accessibile rispetto a Teramo. Ancora oggi, muoversi in direzione est-ovest, lungo le sponde del Tronto, è più facile e veloce, grazie alla strada provinciale ed al raccordo autostradale che collega la cittadina marchigiana con il mare. Al contrario invece, addentrarsi nelle due regioni, sia da una parte che dall’altra in direzione nord-sud, è sicuramente più scomodo e complicato e solo negli ultimi anni si è operato per semplificarne le percorrenze. La situazione attuale dei tracciati stradali non è sicuramente paragonabile ai secoli scorsi, ma conserva anche i segni delle scelte strategiche che fino al più recente passato preunitario, più o meno nello stesso modo, Borboni e Pontefici fecero per motivi di difesa del loro territorio. Occorreva infatti che dai confini non vi fossero strade comode e ampie che potessero permettere un rapido accesso da parte di nemici invasori. I tracciati viari non erano del resto particolarmente impervi e dunque furono di notevole importanza per lo sviluppo di questo territorio. Essi non rappresentavano né confini culturali, né amministrativi, mentre avevano l’unica funzione di creare delle linee di commercio per il trasporto e la compravendita delle varie mercanzie; soprattutto olio, lana e manufatti in ceramica. Il continuo andirivieni è testimoniato dai prodotti artigianali che da Castelli, in provincia di Teramo, si dirigevano verso Nord, per giungere addirittura nel Bergamasco, dove erano molto apprezzati ed utilizzati dai pastori locali le coperte tessute e gli stessi tabarri di lana, pressoché impermeabili, usati dai pastori abruzzesi durante la transumanza e per vincere i rigori

dell’inverno. Questi due fenomeni, il commercio e la transumanza, ci sono sempre stati ed hanno favorito un continuo scambio culturale tra le parti; addirittura da Offida molti pastori si dirigevano a L’Aquila per le fiere del bestiame e del vino, dimostrando una profonda conoscenza dei percorsi. Dopo il 1734, anno dell’avvento al potere dei Borboni nel Regno di Napoli, i confini sembrarono più marcati; più volte revisionati, spesso furono oggetto di controversie e di regolazioni fino all’ultima del 1852. A fronte delle necessità di mercato che rimanevano invariate, la ricostituzione di posti di dogana e presìdi di controllo delle vie che conducevano alla frontiera nei due Stati, stimolò però ulteriormente la ricerca di soluzioni alternative, che istigarono le trasgressioni e incrementarono il sempre fiorente contrabbando. Questo fenomeno illegale, negli ultimi anni prima dell’unificazione nazionale, sembra divenire una norma di commercio. Ne nascono perfino degli scandali che coinvolgono diversi amministratori. Il traffico illecito non è però più sentito come un fatto proibito e spesso i dissidi tra doganieri e contrabbandieri si risolvono a “Baiocchi e vino”, a dimostrazione che benché ci fossero delle leggi ben precise, la diversa appartenenza amministrativa non era sentita a livello sociale. Popolazioni da sempre abituate a intrattenere rapporti amichevoli e che il commercio ed i traffici, legali e non, avevano schiuso a più larghe vedute avevano però già in sé la consapevolezza di un orizzonte aperto, non richiudibile in confini puramente legali. Anzi i confini a questo punto divengono quel trait-d’union simbolico dal cui substrato nasce un originale profilo umano, ibridato da commistioni millenarie di culture e stili di vita, avvezzo a traffici, a conflitti ed improntitudini, curioso più di novità e scoperte che di tradizionali conoscenze, ricco di audacia, di intuito ma anche di empirica sagacia. Ed è questo il genus di chi vive queste colline dalla Vibrata al Tronto, l’imprinting di questi popoli dal carattere forte, ormai fusi e integrati dallo stesso confine in una tipologia identitaria individuabile come un vero melting pot piceno-aprutino.


41


42

Il confine nel tempo, segni di frontiera

Marchëscià

19,1

La casata di mia nonna, nata e residente nel Comune di Ancarano, ha origine dalla provenienza marchigiana di suo padre che “Passò d’quà d’lü Trünt” (Si trasferì al di quà del Tronto). In generale, inoltre, la fonetica del dialetto di questa zona è molto simile a quella dell’ascolano.

Parecchi degli attuali collegamenti tra Marche ed Abruzzo derivano da quelli tra Stato Pontificio e Regno di Napoli. Le strade verso il Regno erano limitate per una ragione strategica, di difesa. Ancora oggi il capoluogo marchigiano è più facile da raggiungere rispetto a Teramo.

Famiglia Corvaro

Km tra Ascoli Piceno ed Ancarano

Confine attuale

Confine Svevo

Confine 1820

Confine Longobardo


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Vibrata Picena

3

DOP

Nata a Nereto con lo scopo di aggregare i dodici comuni vibratiani alla Provincia di Ascoli Piceno. L’associazione è stata fondata nel 2010 ed ha istituito un comitato per la raccolta delle firme.

Le 29 parrocchie dei comuni della Val Vibrata sono distribuite su tre Diocesi di cui due marchigiane, (Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto/Ripatransone/ Montalto) ed una abruzzese ( Teramo/Atri).

Sono un piatto tipico della Provincia di Ascoli Piceno, ma il loro disciplinare riconosce a tutto il territorio della Valle la possibilità di coltivarle. È possibile assaggiare delle ottime olive all’ascolana anche nei locali vibratiani.

SP1

RAI 3

TGR Marche

“Il Picchio e la Samb”

Lungo la bonifica del Tronto, ma anche sul lungomare vibratiano, uno dei problemi, da anni irrisolto, riguarda la prostituzione delle donne. L’associazione On The Road di Martinsicuro è impegnata da tempo su questo fronte.

Qui gli abbonati RAI si ritrovano spesso ad ascoltare il TG regionale delle Marche e, viceversa, in alcune case marchigiane ascoltano notizie abruzzesi. Nel mio caso il decoder si è risintonizzato sulle frequenze marchigiane.

La fede calcistica di uno sportivo vibratiano oscilla tra il “Picchio” e cioè l’Ascoli Calcio o la “Samb” e cioè la Sambenedettese Calcio. A conferma che anche gli interessi più ludici sono orientati verso le Marche.

Associazione Culturale

La strada dell’amore

Diocesi delle varie parrocchie

Olive all’ascolana

Calcio


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Organizzazione, rete, sistema. Intervista a Franco Esposito

Architetto e Presidente dell’associazione PICAP (Quadrilatero Piceno Aprutino).

La prima Coalizione Territoriale L’area geografica del Piceno e quella Aprutina identificano da secoli un territorio omogeneo dal punto di vista culturale, economico e sociale. A tal proposito nel 1985, con la società ISTEMA, lei realizzò uno studio-progetto con lo scopo di evidenziare le possibili sinergie attivabili tra i due territori. Quali furono le riflessioni all’epoca e quali le proposte? Lo studio che svolgemmo all’epoca si chiamava “Ipotesi di organizzazione del territorio centrata sui servizi del terziario avanzato, in un’area meridionale di sviluppo recente, la Valle della Vibrata”. Eravamo due architetti, due ingegneri ed un’economista e fondammo ISTEMA (Interventi e Studi Tecnoeconomici nel Medio Adriatico) perchè capimmo che in questa zona, che aveva avuto un forte sviluppo industriale tra gli anni ’70 e ’80, iniziava ad emergere la necessità di doversi attrezzare anche nel terziario. In primo luogo perché senza di questo le industrie prima o poi si sarebbero fermate ed in secondo luogo perché i comuni del “Quadrilatero”, Ascoli Piceno e San Benedetto del Tronto per le Marche e Teramo e Giulianova per l’Abruzzo, al centro dei quali si colloca la Val Vibrata, da soli non avrebbero mai potuto organizzarsi sufficientemente per poter competere con le aree più forti di Ancona a nord e di Pescara a sud. C’era quindi la necessità di unirsi insieme per fare “sistema”, cioè mettere a rete tutte le proprie risorse e peculiarità, di modo che quello che mancava ad uno di questi comuni sarebbe stato possibile trovarlo nel comune a fianco, creando quindi una forza demografica ed una dotazione di servizi più efficace. Questo progetto ebbe un riscontro molto positivo perchè all’epoca, in Italia, nessuno si occupava di organizzazione del territorio e quindi risultò estremamente innovativo; tant’è che fummo chiamati, dall’allora ministro del Mezzogiorno Salverino De Vito, per svolgere uno studio analogo nell’area che gravitava intorno a Napoli e che coinvolgeva i comuni di Avellino, Caserta, Benevento e Salerno. Quindi, per rispondere brevemente a questa domanda, le riflessioni dell’epoca erano che bisognava organizzare il territorio

per avere una forza maggiore e poter competere con le aree vicine di Ancona e Pescara. Il 20 Giugno 2011 ad Ascoli avete presentato il PICAP (acronimo di Quadrilatero Piceno-Aprutino), la prima coalizione territoriale in Italia, che raggruppa due aree di diversa appartenenza amministrativa. Cosa si intende per “Quadrilatero”, chi sono i fondatori e sulla base di quali esigenze è nata questa associazione? Mi può fare un breve elenco dei vantaggi che si acquisiscono attraverso l’interazione e degli svantaggi legati alla situazione attuale? Il PICAP nasce nel 2009/2010, quando dalla riflessione prettamente urbanistica sono passato ad una riflessione di tipo economico perché nel frattempo gli scenari sono cambiati e mentre nel 1985 la competizione si svolgeva a livello interregionale, dal 2000, con l’avvento della globalizzazione, la competizione si è spostata su un livello mondiale. Oggi come oggi quindi, è impensabile che questi comuni, da soli, possano avere le risorse per poter competere a così vasto raggio. Di qui la necessità di creare quella che io ho definito una “Coalizione territoriale”. Bisogna mettere in gioco tutte le forze ed insieme trovare le risposte ai problemi che non appartengono più ad un solo comune o ad una sola categoria, ma appartengono a tutti. Faccio l’esempio del raccordo Teramo-Ascoli. Se questa richiesta la fanno solo i due comuni interessati oppure solo le zone che gravitano nell’area di passaggio, la forza del territorio è limitata; se invece mettiamo insieme tutte le energie potremmo ottenere dei risultati maggiori. Il PICAP per il momento è riuscito a mettere insieme: le due camere di commercio di Ascoli e Teramo, le due unioni industriali, le due CNA provinciali, la Confartigianato, quattro banche di credito cooperativo e 16 comuni; tutti questi soggetti, insieme alla nostra società di ricerca ISTEMA, andranno a costituire una coalizione territoriale. I vantaggi di tutto ciò sono legati al fatto che l’associazione, almeno in questa prima fase, ha come

scopo quello di promuovere da un lato il territorio e dall’altro tutti gli operatori economici per aiutarli ad aprirsi all’internazionalizzazione dei mercati perchè purtroppoo il tessuto economico delle nostre zone è costituito soprattutto da piccole aziende e circa il 75% di queste sono composte da una o due persone. Noi dobbiamo fare in modo che molte di queste piccole aziende si uniscano tra loro per iniziare ad avere una forza maggiore e successivamente che molte di loro si uniscano in consorzi, in modo da creare dei soggetti che possano disporre di una forza maggiore per presentarsi nei mercati esteri. Col senno di poi è evidente che, in relazione alla storia di questi ultimi 27 anni e alle necessità attuali, avevate previsto con largo anticipo le esigenze e le opportunità di questo territorio. Come mai è passato tutto questo tempo? È stato solo un calo di entusiamo o qualcos’altro? Il problema è che fin quando lo studio è stato portato avanti da noi ha avuto un certo interesse, ma nel momento in cui ci siamo tirati indietro e la cosa è rimasta in mano ai politici è accaduto che prevalessero gli interessi di parte; nel senso che la provincia di Teramo pensava ad amministrare il suo territorio e lo stesso faceva quella di Ascoli. Il confine in questa zona è sempre stato più simbolico che altro, ma sul finire degli anni ’90 era diventato un limite fortissimo, anche solo per il fatto che la stessa Cassa del Mezzogiorno consentiva alcune cose al di quà del fiume Tronto che non permetteva sulla sponda opposta del fiume stesso. Per cui si assisteva allo spostamento di alcune aziende che, a distanza di appena 2 km, ritenevano utile spostarsi dall’ascolano al teramano per usufuire dei benefici dell’obiettivo 1 della comunità europea e addirittura, terminati i benefici, alcune aziende del teramano si sono spostate di nuovo nell’ascolano perché la Regione Marche offriva degli incentivi che la Regione Abruzzo non concedeva. Quindi il fiume, che doveva fare da legante tra queste due aree, era diventato un elemento di frattura, antieconomico, antistorico ed antisociale, a maggior


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ragione se parliamo di due aree che hanno una grandissima omogeneità da un punto di vista storico, culturale, gastronomico e di modi di fare ed operare. Infatti c’è molta più vicinanza tra un ascolano ed un teramano che tra un ascolano ed un anconetano o un teramano ed un marsicano. Trovo quindi che sia assurdo combattere contro l’unione di due zone così omogenee. Il problema è che i nostri politici, finora, si sono limitati a curare il loro bacino elettorale, e le scelte si sono orientate seguendo il “consenso” e quindi la politica, quella vera, si è persa. Se avessimo ragionato in termini di scelte illuminate, il PICAP doveva essere già attuato 27 anni fa. Il 25 Novembre 2011 le Province di Ascoli Piceno e Teramo si sono riunite in un Consiglio Provinciale Congiunto, l’evento si ispirava al tema: “Il Piceno. Da confine di Stato a territorio senza confini”. Nell’occasione si è discusso di eventuali soluzioni politiche ed amministrative da intraprendere nell’area che “abbraccia” le due valli del Tronto e del Vibrata. Mi è parso di capire che le istituzioni condividano i vostri intenti. È davvero così? Vi siete confrontati con loro? Cosa pensano della vostra associazione e quali sono le loro idee sull’argomento? Diciamo che per il momento è un’iniziativa unica e sola ed a mio avviso è stata soltanto una risposta folcloristica all’iniziativa di PICAP. Credo che le due Province, che finora non hanno aderito al nostro progetto, vogliono dare l’impressione che sono ancora loro a governare il territorio, e per non sentirsi in qualche modo scavalcati, hanno colto l’occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia per far vedere che a Civitella del Tronto, luogo d’incontro delle due italie nel 1961, era possibile segnare attraverso un convegno tra i due consigli, un momento di unione storico, che inoltre ha avuto una scarsa partecipazione e che quindi lascia il tempo che trova. Ripeto invece che sarebbe molto importante che le due Province, nell’ottica anche del disegno di legge nazionale che tende ad eliminare queste istituzioni, comprendessero l’importanza di avere una forza territoriale di questo genere ed entrassero dentro per dare tutto il loro apporto le loro

competenze e le loro qualità e capacità organizzative, per rafforzare il PicenoAprutino inteso come territorio fatto di uomini, di aziende e di infrastruture che unendosi possono far nascere qualcosa di diverso. In un periodo in cui si parla spesso di riorganizzazioni territoriali di governo, e in relazione a quanto è stato detto precedentemente, è immaginabile ed auspicabile una fusione amministrativa delle due province? Qual è il suo pensiero in merito? Direi che ha risposto la storia prima di me. Ormai è partito un meccanismo per cui le amministrazioni provinciali verranno abolite, almeno quelle più piccole, ma resta comunque da risolvere il discorso della fusione non tanto amministrativa quanto invece di territorio. È necessario creare innovazione, ma la prima vera innovazione va fatta nelle teste delle persone. Molte di queste infatti sono rimaste ferme a 10/15 anni fa e non è stato ancora compreso che stiamo attraversando una guerra e la fine di questa guerra ci farà capire che tutto quello che c’è stato prima, fa parte ormai del passato ed è quindi necessario guardare avanti, come è avvenuto nel ’45. In quegli anni ci siamo messi a guardare al futuro, per cercare di capire come avremmo dovuto ricostruire l’Italia, nessuno si è messo a guardare al ’35. Così bisogna fare adesso. Chi vuole partecipare a questa nuova realtà deve far fare uno scatto di mentalità al proprio cervello e mettersi in sintonia con il mondo nuovo. Se questo avverrà le due province si metteranno sicuramente insieme, se invece non avverrà rischiamo di essere totalmente spazzati via dalla storia. Per concludere, ora che finalmente il PICAP è una realtà concreta, che obiettivi vi siete preposti per questo primo anno? Cosa avete fatto finora e quali sono i progetti futuri? Gli obiettivi sono molto limitati perché stiamo con i piedi per terra e perché questa associazione non ha capitali, quindi per ora è un’organizzazione di brave persone, di buona volontà che cercano

di svolgere un’azione di tipo promozionale, attraverso incontri, convegni e qualche pubblicazione per far capire l’importanza di questa cosa. Pian piano però continuiamo ad organizzarci e vorremmo riuscire ad accompagnare qualche gruppo d’imprese, riunite in consorzi, in alcuni paesi per cominciare a produrre quel concetto di partnership che io reputo fondamentale per operare nel futuro. Noi non opereremo più singolarmente, ma venderemo delle competenze, delle capacità che unite a quelle dei partner stranieri aiuteranno a realizzare dei nuovi prodotti e dei nuovi servizi. Se questo legame scatta, noi abbiamo delle opportunità e loro risolvono dei loro problemi, se non scatta rimarremo con i nostri prodotti in attesa che qualcuno li venga a comprare, e non è detto che per qualcuno non sia più conveniente andare a comprare in altre zone. Quindi dobbiamo essere noi, in qualche modo, a tendere la mano verso gli altri per dirgli che siamo pronti a collaborare con loro.



Vibrata

CAP 02

Ăˆ Il torrente che scava la Valle e da cui questa prende il nome. Nasce sul versante orientale della Montagna dei Fiori, sotto la cima del Monte Girella a 1697 m slm. Nel suo viaggio di circa 36 km, verso la foce di Alba Adriatica, attraversa 13 comuni di cui 2 oltre il confine regionale. In passato

ha avuto un ruolo chiave per lo sviluppo di quest’area, ma oggi il suo ricordo riaffiora solo in caso di alluvioni o odori malsani.


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Una risorsa per il territorio

Immagini La situazione attuale del torrente Vibrata e le immagini del passato, quando le donne si recavano lungo le sponde per fare le “rimbosse”.

Etimologia, origini e storia È un torrente di piccole dimensioni, con un regime idrico molto basso, ma che può subire grosse variazioni in relazione agli eventi meteorologici. Nasce sul versante orientale della Montagna dei Fiori, dall’incontro di diverse sorgenti, sotto la cima del Monte Girella, a 1697 m slm. Esistono diverse ipotesi sull’origine del suo nome, c’è chi lo fa derivare da “UMBER”, per il fatto che gli umbri in passato si insediarono nella valle, chi invece lo collega all’aggettivo “BIBERATA” cioè terreno umido, inbevuto d’acqua e quindi fertile. Il corso d’acqua è lungo 35,88 km e la superficie del suo bacino idrografico si estende per 118 km². È un’area costituita da formazioni calcaree permeabili, e da formazioni impermeabili di natura argillosa. Durante la stagione estiva, per scarsità di portata, l’acqua si inabissa in più punti, per riapparire poi a valle, sottoforma di sorgente; emblematica è la risorgenza “Lago Verde” nel comune di Sant’Omero. Il bacino cade quasi interamente in Provincia di Teramo comprendendo in tutto o in parte i territori di 11 Comuni e, solo per una porzione minore di circa 2.800 m², la Provincia di Ascoli, in prossimità dei Comuni di Folignano e Maltignano. Termina la sua corsa nel Mare Adriatico, segnando il limite amministrativo tra i comuni di Martinsicuro a sud e Alba Adriatica a nord. Come è noto, da sempre, i corsi d’acqua sono un punto di riferimento per gli animali e per l’uomo. Le prime abitazioni venivano realizzate lungo le rive dei fiumi e nelle loro acque si svilupparono i primi traffici. Non è un caso che le città più famose sono sorte lungo i fiumi, vedi Roma, Londra, Parigi o, per rimanere più vicini a noi, Ascoli Piceno. Così è stato anche per il Vibrata che per anni ha modellato il suo alveo, in simbiosi con la vita vegetale e faunistica del posto, ospitando per altro la civiltà neolitica più evoluta del vecchio continente, nota con il nome di “Cultura di Ripoli” (4000 anni a.C.); come testimoniano anche i ritrovamenti che hanno portato alla luce i resti di 20 capanne dell’epoca,

a metà strada tra Corropoli e Alba Adriatica, su un terrazzo fluviale posto a sinistra del torrente. Questo ruolo fondamentale è durato per decenni ed è testimoniato dalle varie attività che in passato si svolgevano lungo le sue sponde. A partire dalla fine del ’500 e i primi del ’600, quando iniziò a svilupparsi nel teramano la coltivazione del riso ed il Vibrata rappresentò una risorsa economica importante per tutto il territorio. La sua portata aumentava verso la fine del suo corso ed allagava le pianure laterali, rendendole fertili ed idonee a questo tipo di coltura. In quegli anni il riso era prezioso come l’oro ed aveva una resa di 4/5 volte superiore rispetto al grano. Oltre alla risicoltura, fino a 40/50 anni fa, le donne della valle andavano lungo le sponde del torrente con i cesti pieni di panni da lavare e sfruttavano la corrente per fare le “rimbosse”, sbiancamento delle stoffe che tessevano in casa. Siccome la canapa o il cotone erano fibre ruvide e di colore bianco opaco, portavano i rotoli di tessuto al fiume e li bagnavano nell’acqua per poi stenderli al sole, su un prato vicino o sulla riva; ripetevano l’operazione fino a tarda sera, quando rimettevano i panni nel cesto per tornare a casa. Già agli inizi degli anni ’70, con i primi insediamenti industriali, il rapporto tra l’uomo ed il torrente era cambiato, e nel corso degli anni seguenti, la situazione non è cambiata molto. Lo testimoniano le ricerce degli anni ’90, svolte dalla Lega per l’ambiente e dal WWF di Alba Adriatica, ed uno studio idrogeologico del 2007 dell’Università di Camerino. Da quest’ultimo emerge che nella prima parte, ossia da Villa Lempa (frazione di Civitella del Tronto) a Paolantonio (frazione di Sant’Egidio alla Vibrata), passando per Maltignano e Sant’Egidio alla Vibrata, nonostante le numerose industrie, l’inquinamento è basso. Questo è dovuto ad una buona condizione delle acque reflue uscenti dalle fabbriche presso i depuratori. In quest’area inoltre sembra essere molto più sviluppata l’attività agricola, visto l’alto tasso di nitrati presenti nelle acque. Le cose cambiano in prossimità del comune di Nereto, a causa di una rete

fognaria mal funzionante, in alcune vie del paese, ed all’inquinamento derivante dalle molte industrie che scaricano direttamente a cielo aperto, senza passare per un depuratore. Nella ricerca si menziona anche un pozzo di Alba Adriatica in cui erano state rilevate tracce di “Salmonella Veneziana” e le cui acque venivano utilizzate per l’irrigazione di un campo agricolo posto nell’immediate vicinanze, rendendo nocive le colture raccolte. La Salmonella può causare da semplici disturbi a livello gastrointestinale, tipo febbre, dolore addominale e nausea, a forme cliniche più gravi, come infezioni di ossa e meningi. Nell’Agosto del 2010, dopo una moria di pesci in prossimità della foce, diverse persone sono state colpite da gastroenterite e nei primi di Marzo del 2011, dopo le abbondanti precipitazioni, per via dei restringimenti e delle varie canalizzazioni, il torrente ha allagato diverse zone agricole ed industriali, riprendendosi la sua valle, come nel ’500 con le risaie.


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La valle tra i due fiumi

01 — Fiume Salinello

I tre corsi d’acqua

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Immagine Sezione trasversale della valle, dalla costa guardiamo verso l’interno.

Sezione tipoo della valle

04 — Torrente Vibrata

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Spartiacque sud

Terrazzamenti fluviali

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Fascia piana contraddistinta da terreni agricoli e percorsa dal fiume Salinello, l’antico Serinus che Plinio chiama Salinum, data la presenza, in prossimità della foce, di alcune saline. Per lunghezza e per portata d’acqua è più importante del Vibrata, ma anch’esso nella stagione estiva subisce una riduzione di portata. Nasce su un fianco del Monte Pianaccio, in Provincia di Teramo, a 1220 m slm, ha un bacino idrografico di 178 km² ed è lungo circa 45 km.

Rappresenta la linea che delimita a meridione la Valle della Vibrata con il bacino idrografico del Salinello. Si tratta di un crinale ad andamento frastagliato, discontinuo, alla cui sommità sorgono i nuclei storici di Sant’Omero e Tortoreto. Presso quest’ultimo, sulla sommità dei colli più elevati, al di sopra delle argille, sono presenti sabbie gialle stratificate di origine marina e ciottoli appiattiti, che testimoniano il progressivo arretramento del mare.

Procedendo verso sud si scende dal crinale per poi approdare nella Val Vibrata e riprendere la salita in direzione dello spartiacque settentrionale. In questa zona intermedia, troviamo ulteriori depositi alluvionali, che nel tempo hanno originato una serie di terrazzamenti; come nel caso della frazione Colle Luna di Tortoreto, posta a 93 m slm.

Qui scorre il Vibrata. È una zona piuttosto pianeggiante caratterizzata da terreni agricoli, aree industriali e dall’attraversamento della SS 259, strada interna che percorre la Val Vibrata e che collega la costa Adriatica con la provincia di Ascoli Piceno. Nella fascia intermedia del fondovalle troviamo i depositi alluvionali più attuali, che hanno subito gli effetti dell’antropizzazione, con un considerevole restringimento dell’alveo fluviale. L’acqua scorre seguendo un tragitto anomalo rispetto alle altre valli, cioè addossandosi al margine settentrionale del fondovalle invece che a quello meridionale.

Valle del Salinello

≤ sud

Fondovalle del Vibrata


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1697

Metri sopra il livello del mare; quota della sorgente.

2

-

Comuni marchigiani attraversati dal Vibrata; Maltignano e Folignano.

Tortoreto

Unico comune della valle che non è varcato dal torrente.

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08 — Fiume Tronto

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Risalendo verso il crinale settentrionale troviamo una fascia intermedia caratterizzata da ulteriori terrazzi sub-pianeggianti, separati da “gradini” di sedimentazione alluvionale. In questa posizione, a metà strada tra Corropoli e Alba Adriatica, nel 1867, è stato rinvenuto il villaggio neolitico di Ripoli. L’orientamento a mezzogiorno e la cospicua presenza di sorgenti, contribuirono allo sviluppo di questa antica civiltà.

Risalendo la sommità del versante settentrionale, dopo aver attraversato un tratto dove affiorano le argille, si raggiunge un primo falso piano dolcemente declinante a meridione, dove affiorano i depositi alluvionali più antichi, costituiti prevalentemente da sabbia e ghiaia.

È la passante per le quote più elevate dei rilievi che costituiscono la dorsale e rappresenta la linea che separa i due bacini del Vibrata e del Tronto. Lungo questa linea si trova la viabilità più antica ed i nuclei urbani medievali di Maltignano (AP), Ancarano, Controguerra e Colonnella. Ben riconoscibili percorrendo il raccordo autostradale Ascoli PicenoSan Benedetto del Tronto.

È il confine Nord del bacino del Vibrata. Il Tronto è un fiume imponente ed ha un bacino idrografico di 1192 km². Nasce in Abruzzo sul monte della Laghetta, in provincia dell’Aquila, a 2400 m slm e con una lunghezza di 93 km e una portata media alla foce di circa 17 m³/s risulta uno dei principali fiumi delle Marche insieme al Metauro. Nell’ultimo tratto, per circa 20 km, segna il confine naturale tra l’Abruzzo e le Marche.

Terrazzamenti fluviali

Terrazzamenti fluviali antichi

Crinale o spartiacque nord

Valle del Tronto

nord ≥


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Il torrente e la sua valle Intervista a Francesco Marconi

Immagine Il torrente in prossimità di Faraone (frazione del Comune di Sant’Egidio alla Vibrata).

Assessore all’Ambiente, Risorse Energetiche e Parchi della Provincia di Teramo.

La situazione attuale In passato il torrente ha avuto un ruolo fondamentale per lo sviluppo della valle. Oggi ci si accorge della sua presenza solo in caso di alluvioni ed inquinamento. In qualità di Assessore all’Ambiente, a livello emotivo, cosa si sente di dire a tal proposito? Cosa si sta facendo per la manutenzione del torrente? C’è collaborazione tra le varie amministrazioni comunali nell’avviare iniziative di pulizia, oppure il problema grava solo sui comuni costieri? I cattivi odori, le precipitazioni degli ultimi anni, con frane, allagamenti, detriti trasportati nella zona di foce e relativo spiaggiamento, sono il risultato di azioni scoordinate, di inefficacia dei pochi interventi realizzati. Ma la problematica è ben più complessa di quanto potremmo aspettarci, ci troviamo però troppo spesso ad intervenire quando le risorse disponibili risultano essere insufficienti rispetto ai danni provocati. È necessario quindi un intervento integrato che contempli azioni che devono tenere conto del rispetto della normativa dei rifiuti, delle acque superficiali, degli scarichi idrici e delle emissioni atmosferiche con effetti climalteranti. Molte azioni non sono adeguate, ma l’effetto dell’inquinamento atmosferico ha determinato nel nostro territorio, soprattutto negli ultimi tempi, fenomeni meteorologici estremi contro cui molto difficilmente possiamo fare qualcosa. In questo ambito, Provincia, Regione Comuni stanno sperimentando una forma di Governance che in molti in Italia e in Europa ci stanno invidiando, il “Patto dei Sindaci”. Considerato che gli interventi effettuati nel passato si sono dimostrati spesso inefficaci, considerato che le risorse economiche a disposizione sono sempre meno, noi abbiamo cercato un approccio integrato. Penso che alcune attività tipiche del passato non le rivedremo più, questo per effetto del progresso tecnologico, possiamo invece impegnarci a riportare la qualità dell’ecosistema fluviale verso livelli compatibili con la nostra esistenza. Per fare questo ho portato avanti due progetti sul “Contratto di fiume” di cui uno proprio sul bacino del Vibrata, finanziato dalla Regione Abruzzo. Il progetto prevede che tutti i soggetti che gravitano

sul bacino del Vibrata, debbano sedersi attorno ad un tavolo di concertazione ed ognuno, per le sue competenze dia il più valido contributo. Nel corso degli anni il letto del torrente si è alzato ad un livello tale che lo spazio sotto le arcate dei ponti, in alcuni casi, si è ridotto fino ad un metro e mezzo. Una delle priorità sembra essere quella di abbassare il letto di almeno un paio di metri. È un intervento dispendioso? Ci sono fondi per risolvere il problema? Se così non fosse, avete pensato di affidare il lavoro ad un privato? È forse più semplice ma anche più dannoso intervenire scavando il letto del fiume che da un lato aumenterebbe la sezione di deflusso ma dall’altro anche la velocità della corrente, con il suo potere erosivo. Abbassare il letto del fiume, secondo un approccio geologico-ambientale non è la soluzione del problema. La tanta ghiaia che è arrivata verso la foce è derivata da uno stravolgimento del fiume per restringimenti e canalizzazioni ed anche danni da puliture troppo spinte. Tutto questo determina un aumento della velocità della corrente e della sua energia distruttiva che crea un pericolo per le opere di difesa degli argini e delle opere di attraversamento come ponti, non correttamente dimensionati. L’eccessiva velocità provoca anche un anomalo aumento del trasporto solido. L’unica soluzione per diminuire la velocità della corrente ed aumentare la sezione di deflusso del corso d’acqua è quella di procedere all’allargamento dei corsi d’acqua delocalizzando e adeguando le strutture esistenti restituendo quindi un corretto e più naturale spazio al corso d’acqua esistente. Per l’allargamento degli argini e la delocalizzazione dei ponti purtroppo necessitano diversi milioni di euro, cosa attualmente improponibile. È necessario quindi che sia istituito un tavolo di lavoro tra i vari Enti che gravitano sul bacino del Vibrata, percorso che noi stiamo attualmente intraprendendo con il “Contratto di fiume”. In passato abbiamo assistito ad un epidemia di gastroenterite, ad una moria di pesci e ad esalazioni di cattivi odori,

tutti fenomeni causati dall’eccessivo inquinamento delle acque. Addirittura “Goletta Verde”, la nave di Legambiente, definì il Vibrata uno dei corsi d’acqua più inquinati d’Italia. Ad oggi cosa è stato fatto per il risanamento delle acque? In seguito all’intervento con i biopromotori, cosa dicono i risultati delle più recenti analisi dell’Istituto Zooprofilattico “Caporale” Abruzzo e Molise? In passato esistevano numerosi scarichi abusivi e la Provincia di Teramo, con il proprio corpo di Polizia, ha effettuato numerosi controlli sul territorio. Per quanto riguarda i depuratori, la Regione Abruzzo ha stanziato fondi per l’adeguamento e per un più corretto dimensionamento e la Provincia di Teramo si è fatta promotrice di numerosi incontri tra i vari Enti coinvolti. È stato inoltre sottoscritto un protocollo d’intesa con le guardie ecologiche volontarie a cavallo. Si tratta di un corpo volontario di Giulianova con il compito di vigilare sulle aste fluviali anche nelle zone più difficilmente raggiungibili. L’intervento con i bioattivatori (miscele batterico enzimatiche con azione a largo spettro), innocui per gli operatori e per gli animali acquatici, si riproponeva i seguenti obiettivi: ridurre la sostanza organica del sedimento; ridurre la concentrazione di nutrienti; abbassare la carica batterica patogena; eliminare i cattivi odori. È in corso di elaborazione la relazione finale. Riguardo alle analisi dell’Istituto Zooprofilattico, pur evidenziandosi un miglioramento della qualità delle acque rispetto all’agosto 2009 e 2010, ancora oggi si riscontra un carico antropico elevato sia di origine urbana che industriale. Si evidenziano alcuni germi patogeni che non dovrebbero esserci, quali Salmonelle, frutto di un inadeguato dimensionamento dei depuratori e di scarichi abusivi e di un significativo apporto di origine industriale con aumento di alcuni inquinanti (zinco). Oggi, a mio avviso, il valore effettivo che si attribuisce al torrente, rispetto al passato, è di gran lunga inferiore e per certi versi il Vibrata è divenuto un soggetto passivo. Chi non conosce la Val Vibrata e dunque per la prima volta


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54 Immagini Reportage fotografico all’interno del torrente, nel tratto tra Sant’Egidio alla Vibrata e Maltignano.

sente pronunciare il suo nome, oltre a chiedersi dove sia collocata, si chiederà anche da dove essa prende il nome. Questo secondo quesito, nella sua semplicità, pone indirettamente il torrente al centro dell’attenzione, dandogli l’importanza dovuta. In seguito a questa banale riflessione, il Vibrata potrebbe essere a tutti gli effetti il nostro biglietto da visita. Qual è il suo pensiero in merito? Oltre alla pista ciclabile, che dalla foce raggiunge l’entroterra, ci sono in programma ulteriori progetti di valorizzazione? Secondo lei riusciremo a ricreare vita intorno al torrente? Per parlare di progetti di valorizzazione del Vibrata, bisogna innanzitutto che ci sia l’accordo dei vari Enti che gravitano sullo stesso. Inoltre, le industrie e gli insediamenti urbani che si trovano nella vallata del Vibrata, provocano un impatto ambientale che, seppur mitigato dal rispetto della normativa vigente, nelle migliori condizioni, non riporterebbe la vallata a quelle dell’era pre-industriale. Occorre quindi un modo di pensare adeguato al contesto attuale. Le possibili soluzioni potrebbero scaturire da un tavolo di concertazione tra i vari Enti che hanno competenze sul bacino del Vibrata e questo può realizzarsi solo con la sottoscrizione di un “Contratto di Fiume”. Questo non è altro che uno strumento volontario di programmazione negoziata che ha valenza pubblica ma interessa anche i privati. È a tutti gli effetti un processo di pianificazione strategica finalizzato alla riqualificazione di un bacino fluviale. L’aggettivo “strategico” sta ad indicare un percorso di co-pianificazione in cui si elaborano, in modo partecipato e condiviso, scenari di sviluppo durevoli, e sia la metodologia, sia il percorso progettuale sono condivisi in itinere con tutti gli attori interessati nelle modalità proprie dell’Agenda 21 locale. Il Contratto di Fiume implica la sottoscrizione di un accordo di programma che permette di adottare un sistema di regole in cui i criteri di utilità pubblica, rendimento economico, valore sociale e sostenibilità ambientale intervengono in modo prioritario nella ricerca di soluzioni efficaci per la riqualificazione ecologica di un bacino fluviale. Contratto di Fiume

valorizza gli studi, le ricerche, i piani e le programmazioni poste in essere, integrandole con considerazioni strategiche, e ricompone i dati disponibili all’interno di un quadro di conoscenza unitario. Il mosaico delle informazioni disponibili è assemblato in una banca dati (geodatabase territoriale), funzionale sia alla pianificazione interagente da porre in essere, sia per il monitoraggio dei risultati perseguiti. Io ritengo che solo con questo approccioè possibile tornare a buoni livelli di accettabilità e di fruibilità dell’ambiente fluviale e ritengo anche che un maggiore coinvolgimento dei cittadini con il loro fare quotidiano potrebbe contribuire in modo significativo al miglioramento della qualità delle acque del fiume.


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Transumanza giornaliera

CAP 03

Tra le vette dei Gemelli ed il Mare Adriatico, la Val Vibrata può vantare un territorio eterogeneo in un’area piuttosto ristretta. Terreni rocciosi, morbide colline rurali ed un litorale di rinomata attrazione turistica. Tre diverse superfici: roccia, argilla e sabbia; modellate nel tempo dal complesso intreccio

di fattori geologici, strutturali, antropici e climatici, che hanno generato una pluralitĂ di paesaggi.


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Passaggio graduale

0

Immagini Paesaggi della Valle; dalla montagna al mare.


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28 km


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Montagna

Fabrizio Fagnani

Immagine Grotte di Sant’Angelo e Salomone, a Ripe (frazione del Comune di Civitella del Tronto).

Presidente dell’Associazione Verde Laga.

L’acqua e la roccia A cavallo tra le Marche e l’Abruzzo, separati dalle profonda gola del Salinello, troviamo i monti Girella 1814 m slm e Foltrone 1718 m slm, meglio conosciuti come Montagna dei Fiori e Montagna di Campli; due scogli calcarei che emergono improvvisamente dalla pianura e che fungono da dorsale alla catena appenninica della Laga. I Monti Gemelli, così denominati per la singolare simmetria, costituiscono una parte dell’isola oceanica che, circa 150 milioni di anni fa, emergeva a ridosso della scarpata calcarea dell’odierno Gran Sasso. Diversamente dal resto della catena della Laga, dove le formazioni calcaree di base sono ancora ricoperte da marne ed arenarie, nella dorsale dei Gemelli i calcari emergono allo scoperto. La presenza delle rocce carbonatiche, insieme ad un sistema di fratturazione molto diffuso, ha favorito, come negli altri massicci calcarei dell’Appennino Centrale, la formazione di numerose cavità di piccole e grandi dimensioni, quasi tutte concentrate nella Montagna dei Fiori. Ci troviamo di fronte ad un paesaggio modellato dall’idrografia, dove l’elemento geomorfologico caratteristico è la valle del Fiume Salinello che raccoglie tutte le acque che defluiscono, attraverso una notevole attività sotterranea, dal monte Girella e dal monte Foltrone. Il carsismo di superficie è rappresentato da canaloni, inghiottitoi, solchi e carreggiati residuali e in evoluzione, profonde incisioni sui fianchi della montagna che passano a volte a vere e proprie caverne localizzate in massima parte sul versante sinistro delle gole, a quote differenti. Tra le cavità più importanti ricordiamo la Grotta di Sant’angelo, l’eremo di Santa Maria Scalena, la Grotta di Salomone, l’eremo di San Marco e l’eremo di San Francesco alle Scalelle. Di queste la più grande e la più importante, sia da un punto di vista storico che geologico, è sicuramente la grotta di Sant’Angelo, scoperta da Concezio Rosa nel 1870. In realtà si chiama Grotta di San Michele Arcangelo e dista circa 30 minuti di cammino da Ripe, piccola Frazione del comune di Civitella del Tronto. È la grotta più grande e più importante dal punto di vista storico-culturale e, attraverso vari

resti, tra cui residui di cibo, utensileria e armi per la caccia, può testimonare la presenza di insiediamenti umani a partire dal tardo periodo neolitico. La grotta, lunga circa 1 km e alta circa 40 m, è stata interamente scavata dall’acqua che infiltrandosi dal soffitto ha penetrato la roccia per uscire infine verso la valle del Salinello. Infatti all’interno della grotta, guardando verso l’alto, si vedono i buchi da dove l’acqua è defluita, attraverso la corrosione dovuta ai fenomeni dissolutivi, operati dallo scorrimento superficiale delle precipitazioni piovose, rese acide dall’anidride carbonica che, insieme agli acidi minerali, reagisce dissolvendo la calcite, costituente importante delle rocce carbonatiche. Frequentata fin dal neolotico, è stata sempre abitata dall’uomo, per il semplice fatto che in questo territorio vi era tutto quello che occorreva per la vita di quel tempo, ovvero: il riparo dalle condizioni climatiche, la legna per il fuoco, la cacciagione e l’acqua del fiume Salinello. Successivamente, nelle vari fasi storiche, la grotta ha fornito riparo alle popolazioni primitive di questo comprensorio fino all’arrivo dei primi monaci penitenti nell’800 d.C. che fecero di questa grotta un santuario. Infatti una delle prime costruzioni all’interno della grotta è un’altare risalente al 1236 d.C., oltre a questo troviamo un forno per cucinare, nella parte superiore della grotta, un pavimento a pietra e un dormitorio; in epoca più recente fu costruito un altare in gesso adibito a teca dell’antica statua di San Michele Arcangelo. Nella storia queste grotte sono state frequentate anche da numerosi briganti che le utilizzavano come nascondiglio e riparo nonché come sede per vari agguati alle carovane che in quel periodo transitavano nella valle. Difatti il sentiero che passa in prossimità del santuario era frequentatissimo fin dal periodo delle colonie romane ed all’epoca conduceva ad un antico accampamento romano, situato dove adesso ci sono i ruderi di Castel Manfrino. Le pareti rocciose delle gole, infine, hanno subito l’influenza di vari eventi tettonici e sulla sommità occidentale presentano

numerose faglie lunghe più di 1 km, nelle quali è oggi possibile leggere dettagliatamente tutta la storia geologica del territorio. La Riserva è un vero campionario di microambienti, infatti a causa della natura stretta e incassata delle gole, si determina una scarsa insolazione nelle quote inferiori con conseguenti fenomeni di convezione dell’aria più fredda verso il basso. Questo fenomemo di “inversione termica” dona a quest’area caratteristiche di vegetazione inversa ovvero la flora presente a 1000 m è presente a 500 m e viceversa.


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Collina

Piero Farabollini

Immagini Calanchi in prossimità del Comune di Ancarano.

Consigliere dell’ordine nazionale dei geologi e docente presso l’Università degli studi di Camerino.

L’acqua e l’argilla Tra le forme di erosione che caratterizzano i cosiddetti “paesaggi argillosi”, i calanchi sono forse le più spettacolari. Essi possono essere definiti come sistemi di drenaggio densi e gerarchizzati, incisi su ripidi pendii “argillosi” e caratterizzati da una fitta alternanza di solchi e di creste, molto strette e generalmente affilate, di altezza compresa tra alcuni metri e qualche decametro. L’esistenza di versanti argillosi, privi di vegetazione e accentuata acclività, costituisce una condizione indispensabile per l’impostazione dei calanchi. L’acclività e l’impermeabilità del pendio riducono infatti l’infiltrazione dell’acqua nel terreno e ne favoriscono il veloce deflusso superficiale in rivoli, con la conseguente incisione di un fitto reticolo di drenaggio, dalla cui evoluzione può prendere origine la forma calanchiva che può essere assimilata ad un bacino idrografico “pinnato” in miniatura. La ridotta infiltrazione limita, inoltre, l'importanza dei movimenti di massa che asporterebbero le porzioni superficiali del versante, provocando l’obliterazione delle forme calanchive. La genesi di queste morfologie è stata da sempre messa in relazione con particolari fattori stratigrafico-strutturali e di esposizione: versanti con giacitura degli strati a reggipoggio, presenza alla sommità di livelli particolarmente resistenti e meno erodibili, esposizione verso i quadranti meridionali. Dai risultati ottenuti da uno studio condotto sulle argille dei bacini argillosi molisani e abruzzesi, viene evidenziando come il contenuto in carbonati sia essenzialmente da legare all’età del sedimento, a sua volta legata agli effetti delle variazioni climatiche plio-pleistoceniche ed alla tettonica. I monitoraggi protratti per diversi anni, in diverse aree italiane, hanno permesso di verificare come nella maggior parte dei casi la genesi dei singoli calanchi è da attribuirsi a processi di erosione concentrata, legati a precipitazioni brevi ma intense, mentre la sua evoluzione è da imputare all’approfondimento dell’incisione lineare anche in conseguenza di ripetuti fenomeni di crepacciamento conseguenti

alle variazioni climatiche stagionali. In pochi casi si sono riscontrati fenomeni di piping che tuttavia rappresentano uno dei meccanismi favoritivi della genesi dei calanchi. Tali fenomeni non raggiungono mai espressioni significative, né come lunghezza del tunnel, né come dimensione della cavità, né come profondità dell’infiltrazione. La formazione dei versanti acclivi può essere connessa con diversi processi, quali ad esempio il rapido approfondimento dell’erosione per cause tettoniche o climatiche, l’azione diretta di dislocazioni tettoniche, i movimenti di massa e l’attività antropica. La loro possibilità di persistenza dipende, tuttavia, dalle caratteristiche litologiche e strutturali del substrato e dall’intensità della sua alterazione superficiale. Una importante limitazione, sotto questo aspetto, è costituita dalle condizioni climatiche; mentre infatti, in clima arido, i versanti argillosi possono mantenersi acclivi a lungo per arretramento pianoparallelo, con l’aumentare dell’umidità del clima diventano sempre meno acclivi. L’esposizione verso i quadranti meridionali, accentuando le condizioni di aridità, può consentire il mantenimento dei versanti su più elevati angoli di pendio e quindi favorire la maggiore presenza di calanchi su tali versanti, rispetto a quelli esposti verso nord. Recentemente, studiando l’area calanchiva ascolana, è stato messo in evidenza come le caratteristiche meso e micro-strutturali del substrato roccioso, sia uno dei fattori condizionanti la morfogenesi calanchiva. L’analisi mineralogica effettuata su campioni provenienti da aree limitrofe, caratterizzate da morfologie e spessori di materiali di copertura diversi ma da stesse condizioni di giacitura e di esposizione, ha evidenziato una composizione mineralogica simile ma con un contenuto totalmente diverso in calcite. Inoltre in corrispondenza dei due sistemi principali di fratture, riconosciuti nel substrato roccioso di tutta l’area esterna delle Marche meridionali, con direzione all’incirca appenninica, antiappenninica e subordinatamente NS, legati a sollevamenti differenziali,

decrescenti dall’interno verso l’esterno della catena appenninica, è frequente la presenza di fessure e fratture beanti completamente o parzialmente cementate da calcite. Si sono sviluppate così morfologie calanchive particolarmente accentuate, caratterizzate da bacini suddivisi in una serie di vallecole disposte a spina di pesce, fortemente incise e dalla caratteristica forma a “V”, in cui gli interfluvi sono dati, molto spesso, da veri e propri setti verticali. Nella maggior parte dei casi la maggiore o minore acclività riscontrata nel profilo di ogni singolo calanco è legata alla variazione di contenuto sabbioso del substrato pelitico. La rispondenza esistente tra creste principali e sistema di fratturazione, particolarmente evidente in quest’area, è pertanto da mettere in relazione alla maggiore resistenza all’erosione da parte delle argille poste all’interno della frattura stessa, in conseguenza della parziale cementazione prodotta dall’abbondante precipitazione di carbonato di calcio proveniente dalla dissoluzione delle coperture detritiche ghiaioso-ciottolose.


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Mare

Stefano Massi

Immagine Spiaggia di Martinsicuro; sullo sfondo le barriere distaccate emergenti utilizzate per proteggere il litorale. Geologo presso la Scuola Blu di Legambiente, sede di Martinsicuro.

L’acqua e la sabbia Il litorale di Martinsicuro si estende dalla foce del fiume Tronto a quella del torrente Vibrata, per una lunghezza complessiva di 6250 km. L’evoluzione storica della linea di costa è strettamente legata alla dinamica della foce del fiume Tronto che nel 1813 si trovava a 1200 m più a nord di quella attuale. All’epoca il suo corso era deviato verso sinistra da un’ansa provocata da un banco ghiaioso che ne impediva lo sbocco diretto in mare. Nel 1872 la scomparsa dell’ansa ha portato il fiume a sfociare nella posizione attuale e vent’anni dopo è iniziato il processo di erosione della costa che nel 1933 ha costretto il genio civile di Teramo a costruire un lungo pennello a destra della foce. La spiaggia si stabilizzò, ma il pennello impedì il naturale rifornimento di sedimenti fluviali, ulteriormente ridotto dalla copiosa estrazione di inerti effettuata fino al 1973. Le spiagge limitrofe quindi, senza apporto di materiale solido, si sono progressivamente ritirate e ne risulta, dal 1894 ad oggi, un erosione complessiva di circa 600 m. La situazione attuale è molto grave e dagli anni ottanta il processo erosivo si sta spostando verso sud, lungo i litorali di Villa Rosa, frazione di Martinsicuro, ed Alba Adriatica, con arretramenti di circa 30-40 m. Allo stato attuale il litorale di Martinsicuro è quasi interamente protetto da barriere distaccate emergenti, realizzate tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Più recenti invece le opere di protezione dell’abitato di Villa Rosa, costituite da una serie di barriere sommerse realizzate a metà degli anni 80 e tre pennelli alla fine degli anni 90. Le analisi effettuate fino al 2000 hanno evidenziato che la zona critica interessata dall’erosione è quella di fronte all’abitato di Villa Rosa. Qui, infatti, le barriere sommerse non hanno prodotto i benefici attesi ed hanno spostato il gradino d’erosione più a Sud, verso Alba Adriatica. Dal 1994 al 2000 si è registrato un arretramento medio della riva che, nei primi 500 m di litorale a sud del torrente Vibrata, risulta essere compreso tra 20 e 50 m. Le cause dell’origine di questa erosione sono sia naturali che antropiche. I fattori naturali sono principalmente di origine geologica

e possono essere di ordine locale, regionale o globale ed hanno regolato la dinamica e l’equilibrio del litorale fin quando il fattore antropico, con massicci interventi sia sulla fascia costiera che nell’entroterra, soprattutto lungo i bacini fluviali, ha alterato la normale evoluzione dei processi naturali. Si può affermare infatti che, nel processo erosivo tuttora in corso lungo il litorale abruzzese, l’uomo consapevolmente o inconsapevolmente ha dato il suo contributo, ha cioè condizionato negativamente l’equilibrio dei litorali, intervenendo sia sulla costa stessa con la costruzione di opere marittime come pennelli trasversali, moli e scogliere, sia operando nell’entroterra lungo i bacini fluviali. L’antropizzazione dei settori costieri, inoltre ha subito in questi ultimi decenni un incremento notevole che, con i carichi anomali delle costruzioni, ha determinato il costipamento dei terreni ed il loro conseguente abbassamento verticale. Nei bacini fluviali, invece, gli interventi dell’uomo hanno determinato una riduzione della portata solida dei vari corsi d’acqua che sfociano nel litorale. Tale riduzione è da imputare principalmente a: costruzione di sbarramenti artificiali a scopo idroelettrico ed irriguo; costruzione di canali di derivazione fluviale per mezzo di piccoli sbarramenti che modificano il regolare svolgimento dei processi di erosione; realizzazione di diversi laghetti collinari a scopo irriguo; opere di consolidamento e sistemazione idraulica e forestale; interventi di risagomatura degli alvei fluviali; estrazione incontrollata e spesso abusiva di materiale ghiaioso e sabbioso dall’alveo dei fiumi. Inoltre la progettazione e realizzazione delle opere marittime è stata effettuata spesso senza tener conto della complessa dinamica costiera. Infatti il trasporto solido lungo la costa è fortemente influenzato e penalizzato da opere come moli e pennelli che oltre a proteggere limitati tratti di spiaggia, accelerano l’erosione delle spiagge adiacenti situate sottoflutto. In conclusione, è doveroso precisare che per la costa abruzzese non esiste una tipologia ottimale di intervento e che ogni tratto di litorale costituisce

un caso a sé. Per quanto riguarda il litorale di Martinsicuro riteniamo opportuno effettuare due tipologie d’intervento. In primo luogo è necessario effettuare un riposizionamento dell’attuale sistema di barriere emerse, utilizzando in parte quelle già presenti, in modo tale che le stesse possano opporsi alle correnti dominanti da NE. Le scogliere attualmente posizionate in direzione NE/SO dovranno essere ruotate in direzione NO/SE e rinfoltite in modo da avere la mantellata emersa ad almeno 1,5 m al di sopra del livello medio del mare, inoltre deve essere associata la stabilità del piede lato mare dell’opera al fine di scongiurare i fenomeni di scalzamento al piede per effetto del moto ondoso. In secondo luogo sarà necessario effettuare una risagomatura della spiaggia, attraverso ripascimento con sabbia prelevata dal porto, con lo scopo di riportare la linea di riva nella posizione che occupava nel 1984. Da quell’anno, fino al 2000, circa 700 000 m³ di sabbia nel tratto di costa in esame sono stati erosi sia verso il largo, a causa del trasporto trasversale sia a favore dei litorali sottoflutto, a causa del trasporto longitudinale. È necessario dunque porre attenzione sull’influenza che tali interventi possono avere sui litorali adiacenti.


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Costruzioni autoctone

CAP 04

Ampiamente diffuse nella valle, dove legno e pietra scarseggiavano ed i mattoni avevano un costo eccessivo, si basavano su tecniche costruttive legate all’argilla ed alle specifiche condizioni climatiche. Costruite sino alla metà di questo secolo, oggi stanno lentamente scomparendo

perchĂŠ da sempre giudicate come arcaismo desueto o sopravvivenza folcloristica. In realtĂ possono essere considerate, a tutti gli effetti, antesignane di architettura sostenibile ed esempio pratico di edilizia intelligente.


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“Li Pinciaje”

Marco D’Annuntiis

Immagine Tipico esempio di casa in argilla e paglia, della Val Vibrata.

Architetto e docente. Università degli studi di Camerino.

Case di terra nel paesaggio rurale Ha qualcosa di eroicamente tragico la Pinciaja, la casa di terra cruda su cui ancora oggi, percorrendo la Valle del Vibrata, è possibile imbattersi frequentemente. Voltandosi distrattamente ad osservarla si è colti dall’inquietudine che il tempo alla fine possa averla vinta sulla eccezionale e strenue resistenza di questa costruzione misera e precaria, capace di sopravvivere alle sue stesse ragioni e all’impatto della modernità sul territorio rurale. Avvicinandola, poi, cresce il timore che da un momento all’altro essa possa sgretolarsi, trascinando con sé i segni di una delle storie che ha maggiormente caratterizzato i territori medio-adriatici e più profondamente ha inciso nella loro conformazione. Visitandola, infine, matura la consapevolezza che sciogliendosi essa finirebbe con il tornare alla terra, definitivamente, cancellando con sé un racconto che più di altri narrava momenti intimi della costruzione del paesaggio adriatico: testimonianza concreta dell’emancipazione di questa parte di umanità e forse proprio per questo rimossa dalla memoria. A ben poco, infatti, è valso il suo riconoscimento quale “bene culturale primario” da salvaguardare, tutelare e valorizzare “ope legis”, documento della storia delle trasformazioni di un territorio collocato nella sola memoria, quando per molti la Pinciaja è stata ed è ancora testimonianza di una civiltà povera da cui rifuggire. Più utile appare invece intraprendere la strada del recupero e della valorizzazione dei manufatti in terra cruda muovendo dal riconoscimento di “valore” in sé della Pinciaja: fatto architettonico singolare ed eccezionale, oltre che tipologia costruttiva in perfetta e antesignana sostenibilità ambientale. Per far ciò è necessario attraversare la Pinciaja nel suo spessore tecnico, nel tentativo di comprenderne fino in fondo le ragioni insediative e costruttive. In primo luogo tracciando la mappa delle presenze nel territorio di queste case rurali in terra cruda per rilevarne la diffusione dal settecento in tutta la fascia collinare stretta tra l’Appennino e l’Adriatico. Una zona dove la pietra ed il legno scarseggiavano ed i mattoni avevano per i braccianti un costo

inaccessibile. Accorgersi quindi che la costruzione delle Pinciaje era legata alla disponibilità di terreni argillosi e di specifiche condizioni climatiche, indispensabili per innalzare murature di terra mescolata a mano con acqua, paglia e avena ed essiccate all’aria, perché l’autocostruzione in terra cruda rappresentava la risposta immediata al problema degli alloggi e dei costi. Infatti non costavano né la terra, reperibile “in situ”, né la manodopera, coincidendo il costruttore con l’abitante. Questo inoltre poteva contare anche sull’aiuto dei vicini e sulla partecipazione alla costruzione delle donne, che zappavano, e dei bambini, che pestavano l’impasto di terra. In secondo luogo ripercorrendo le operazioni di individuazione del sito su cui erigere la casa. Necessariamente un terreno in pendenza, una collinetta o una zona rialzata, per facilitare il deflusso delle piogge. Preferibilmente in prossimità di un corso d’acqua per assicurare il facile reperimento di un altro fondamentale elemento della costruzione. Quindi, così come nella tradizione agricola ogni utilizzo del suolo era preceduto da azioni preliminari finalizzate a migliorare ed ottimizzare la morfologia del sito. Le Pinciaje rivelano all’osservatore un insieme di pratiche esercitate sul terreno al fine di renderlo “abitabile”, e con esso, acquisire uno spazio geografico, conformarlo e restituirlo attraverso l’esercizio di alcune azioni elementari. La perimetrazione e sistemazione del sito con il suo livellamento. Il posizionamento del fabbricato lungo il confine nord dell’area, segnando sul terreno la semplice pianta rettangolare, allungata in senso estovest. Il tracciamento delle fondazioni dei muri maestri, ottenuto asportando e poi ricollocando la terra mescolata. Semplici accorgimenti insediativi per proteggere lo spazio esterno di lavoro e permettere alla facciata principale, usualmente rivolta a sud, di assorbire nel periodo invernale il calore dei raggi solari, direttamente e dalle loro rifrazioni sull’aia antistante, in modo da assicurare il riscaldamento naturale della casa. Comprendendo, infine, la natura intima

di un sistema costruttivo molto antico (per alcuni risalente al neolitico), che differenzia radicalmente le Pinciaje da qualsiasi altra tipologia costruttiva e che conferisce loro il valore archetipo proprio delle costruzioni necessarie ed il senso dei loro diversi nomi: case “ad terrinam”, case di fango, o di argilla cruda, o di mattone crudo, comunque: case di terra. Le Pinciaje, infatti, non si impongono al suolo, ma emergono da questo manifestando il valore primigenio dell’architettura; della costruzione che tende a costituire con il suolo stesso un’unica realtà geografico-architettonica. Le stesse murature perimetrali segnate spesso da fasciature orizzontali, anche di diverso colore, testimoniano di un processo costruttivo a più riprese, in cui il ritmo del tempo e la misura dell’architettura sono intimamente legati. Strati fisici sovrapposti che raccontano il rapporto imprescindibile tra la propria dimensione ed i tempi opportuni per la posa in opera. Azioni costruttive semplici, ed architetture fatte quasi esclusivamente di manipolazione della terra; custodite da manufatti dimenticati nei campi in disuso o dispersi nella corona dei centri storici; svelate dall’improvvisa e sospetta fragilità di case lasciate a dissolversi, confuse ormai nell’edificato recente. Dalla messa in valore di queste azioni, tornando a considerare il materiale “terra” come elemento ordinario del processo costruttivo, possono forse derivare azioni di recupero e di manutenzione del territorio capaci di interpretare la permanenza delle case di terra all’interno delle trasformazioni del paesaggio adriatico e di proiettarle nell’evoluzione di questo al fine di orientarlo verso forme e processi finalmente sostenibili.


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70 Immagini Abitazioni in terra e paglia della Val Vibrata. Alcune di queste non esistono pi첫.


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Argilla e paglia

Immagini Architrave e finestra in quercia, solaio del piano superiore realizzato con travi di olmo, camino, scalone interno in legno, ed impasto di argilla e paglia.

Tecniche e tipologie costruttive I metodi adottati nella costruzione erano tre: “il Pisé”, che consisteva nella compattazione di argilla e paglia all’interno di casseforme lignee smontabili, per consentirne il graduale avanzamento; “l’Adobe”, che prevedeva la sovrapposizione di blocchi, dello stesso impasto sopra citato, realizzati attraverso uno stampo di legno e lasciati essiccare al sole; “il Massone”, forse il più diffuso da queste parti, che consisteva nel pestare l’impasto di argilla e paglia fino ad ottenere un’ amalgama denso e plastico, che poi veniva suddiviso in zolle, dal peso di 5-10 kg, modellate in forme cilindriche da 20-30 cm. Il cantiere impegnava diverse persone ed i lavori duravano per diversi mesi. Particolare attenzione veniva posta alla scelta del sito che doveva garantire il deflusso delle acque piovane e la presenza di materiale idoneo alla costruzione. Solitamente si preferiva una collinetta o comunque una parte alta del terreno. Si preparava anzitutto il piano di posa della casa, scavando eventualmente sul lato a monte del sito, se questo era in pendio. Stabilito il perimetro della costruzione si procedeva dunque con lo scavo dell’area per una profondità di circa 50-100 cm. La terra ricavata dallo scavo veniva poi ricollocata all’interno della buca, a strati di 30-40 cm, aggiungendo paglia, brecciolino e sterco di mucca. Il tutto veniva poi pestato a piedi nudi (da qui il nome “Pinciaje”) fino ad ottenere la giusta consistenza. Si procedeva con lo stesso metodo anche per gli strati successivi, fino al raggiungimento del livello del terreno. A quel punto il lavoro si interrompeva per uno o due giorni, necessari a far rassodare ed essiccare la terra. Non appena l’impasto si era consolidato, si costruiva il muro perimetrale della struttura, accumulando l’una sull’altra le zolle di argilla, fino a formare “lu bbanghe”, una parete alta circa 80 cm e larga 60/70 cm, che costituiva il primo strato della costruzione. Lo spessore di questo muro portante, nel caso di abitazioni a due piani, per motivi di stabilità, poteva raggiungere anche

un metro di larghezza. Terminato il muro di base, si procedeva per strati, ed ogni volta che si completava il perimetro, per garantire una maggiore coesione al tessuto della parete, si riprendeva il giro in senso inverso. Man mano che le pareti crescevano d’altezza il mastro pinciarolo livellava le superfici interne ed esterne con una vanga ed i lavoranti sedevano sopra di esse a cavalcioni mentre, da sotto, gli altri passavano l’impasto. Ogni 30-40 cm i lavori si interrompevano per dare la possibilità alla terra di asciugarsi e poter accogliere lo strato successivo. Poiché per ogni strato si cambiava il punto di prelevamento della terra, i vari livelli delle pareti assumevano colorazioni differenti. Le finestre e le porte erano ridotte al minimo ed i loro architravi erano realizzati in legno di quercia. Le travi del solaio e gli arcarecci, che servivano per sostenere la cannicciata e i coppi, erano realizzate con fusti di olmi, sempre presenti ai margini dei campi. Sopra gli arcarecci si tesseva un intreccio di canne, sul quale poi si spalmava uno strato di terra e si poggiavano i coppi. Il pavimento era in terra battuta oppure, solo per i più agiati, in mattoni di terracotta. Tra le tipologie costruttive, i modelli più diffusi erano quello a schema rettangolare o quadrato. Le case rettangolari erano a uno o due piani, mentre quelle a base quadrata erano quasi sempre a due piani. Vi erano sia abitazioni piccole con due vani comunicanti, camera e cucina, che solitamente erano di artigiani o braccianti, sia abitazioni a più vani, che spesso comprendevano anche stalla e magazzino, ed erano dei piccoli proprietari terrieri o dei mezzadri. La camera da letto del capo famiglia si trovava sempre vicino o sopra la stalla per tenere sotto controllo il bestiame. In queste case non esisteva il bagno perché veniva costrutito all’esterno, con tavole di legno o paglia lunga, e posto quasi sempre in un angolo del letamaio. Gli schemi costruttivi erano molto semplici e ripetitivi, legati alla necessità di utilizzare soluzioni che consentissero

una regolare ripartizione dei pesi sulle pareti portanti. Quasi sempre la lunghezza dell’edificio era compresa fra 15 e i 17 m, con orientamento est-ovest e prospetto principale esposto a sud. Nel caso di abitazioni su due livelli, per accedere al piano superiore, vi era una scala lignea che poteva essere interna o esterna. Con il passare del tempo la scalinata esterna venne sostituita da una struttura in muratura che terminava spesso con un loggiato coperto dal prolungamento del tetto. In molti casi il sottoscala ospitava porcili, ovili, pollai e a volte anche piccoli forni per cuocere il pane.


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Architetture intelligenti ed ecosostenibili

Immagini House Rauch; progetto dell’Architetto Roger Boltshauser, in collaborazione con Martin Rauch. Schlins, Austria.

Uno sguardo più ampio Negli anni ’50, in Val Vibrata, c’era ancora chi viveva in case di terra e fino ai primi anni del secolo scorso, avere una casa di terra era una cosa normalissima. Oggi la situazione è cambiata e la casa di terra sta lentamente scomparendo perché giudicata come arcaismo desueto, o sopravvivenza folcloristica. L’impressione è che tutti guardino queste architetture come un qualcosa che c’è stato e che va ricordato, senza mai provare ad immaginare prospettive diverse. Oggi la situazione globale ci chiede di cambiare atteggiamento e questo territorio potrebbe attingere dal passato per “costruire” un futuro. Negli ultimi anni, il superamento di una fase di sviluppo rapido e disordinato delle città moderne e delle loro periferie ha aperto il dibattito relativo alle attività dell’abitare e del costruire, e ha portato ad una valutazione sempre più attenta di tecniche edilizie alternative a quelle attualmente più diffuse. Sotto questa ottica le prospettive cambiano totalmente e la “Pinciaja”, da “simulacro di miseria”, potrebbe mutare in valido esempio di architettura intelligente. L’architettura in terra cruda, utilizzando le risorse del suolo su cui è realizzata, potrebbe stimolare iniziative locali decentrate e promuovere un’imprenditoria artigianale capace di attivare molti posti di lavoro, svincolando parzialmente l’industria edilizia dalle grandi imprese di costruzione. Già dagli anni ’70, ma soprattuto dopo la famosa esposizione al centro “Georges Pompidou” di Parigi del 1981, alcuni paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti d’America, tendevano a dimostrare in concreto che l’architettura in terra avrebbe avuto davanti a sè un nuovo avvenire. Iniziative considerevoli sono state promosse anche dal “Centre pour le Développement Industriel” dell’Unione europea. Nonostante la molteplicità delle civiltà e delle culture tradizionali, la casa in terra cruda è impiegata dagli Stati Uniti d’America all’Africa Nera, dall’India al Maghreb, dal Medio Oriente all’America Latina, e in Europa si hanno notevoli impieghi nel nostro paese, in Francia (zone di Lione, Grenoble, Reims, Avignone,

Tolosa, Rennes e Chartres, in Spagna e anche in paesi piovosi come l’Inghilterra, la Germania e la Danimarca. Alcune realizzazioni hanno raggiunto in Germania età sorprendenti, anche di duecento anni, e sono ancora ben conservate, con muri alla base di 70 cm di spessore e con altezze fino a 4-5 piani. La Germania ha inoltre disciplinato i principali aspetti tecnologici mediante le norme DIN. Sulla materia, inoltre, sono stati editi, negli ultimi quindici anni, diversi importanti manuali tecnici, due dei quali in Francia e nel Regno Unito, a conferma della raggiunta maturità tecnica del settore. Queste abitazioni consentono un risparmio energetico nella fase di cavatura delle materie prime, nel riscaldamento/climatizzazione, nella manutenzione e, non ultimo, nel riciclo dei materiali componenti al termine del ciclo di vita utile che, per un’abitazione, può essere dimensionato su un arco temporale di 50-100 anni. Le case in terra cruda possono essere considerate a tutti gli effetti, antesignane di architettura sostenibile, per diversi motivi: la loro stabilità termica, che consente, in inverno, un accumulo di energia solare e una bassa dispersione del calore e, in estate, di mantenere la temperatura interna di almeno 5 gradi inferiore rispetto all’esterno; l’alto grado di isolamento acustico; la possibilità di regolare l’umidità atmosferica interna, mantenendola su valori ottimali del 40-45%, evitando sia gli eccessi di umidità che quelli di secchezza. L’umidità trattenuta, inoltre, ha valori simili ai valori ottimali per un efficiente mantenimento e una buona conservazione delle strutture in legno ad essa adiacenti, come le travi dei solai o gli architravi in legno di porte e finestre. Essendo la nostra regione particolarmente sensibile a fenomeni di natura sismica, mi pare opportuno precisare che negli Stati Uniti d’America ed in Canada, è stata dimostrata la capacità di assorbimento delle spinte sismiche, con l’adozione di una apposita normativa tecnica. Tale requisito può inoltre essere migliorato con l’adozione di una struttura interna

costituita da un graticcio di pali di legno di piccolo diametro e da opportune legature agli angoli perimetrali e negli incroci dei muri. Infine è stato stimato che, in media, in termini monetari, il risparmio rispetto ad una abitazione in cemento armato, si aggira intorno al 20-40%, valore che considerato in termini energetici è senz’altro superiore.


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Un patrimonio in bottiglia

CAP 05

Vitigno tardivo, terreno argilloso, importanti escursioni termiche dettate dalla vicinanza tra il mare e la montagna, ed infine la mano dell’uomo, che armonizza tutte le componenti. Insegnamenti ereditati dal passato e profondo rispetto per i tempi, commercialmente troppo lunghi, della natura.

Una serie di fattori determinanti che hanno reso il vino di questo territorio, il fiore all’occhiello della Regione Abruzzo.


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Bacca rossa e bacca bianca Intervista a Camillo Montori

Immagini I due principali sistemi di allevamento, “cordone speronato” e “alberello”.

Titolare dell’azienda agricola Montori.

Tipicità di un territorio Questo è un territorio a grande vocazione vitivinicola ed il vitigno possiamo sicuramente considerarlo un elemento identificativo di una zona. Quali sono i principali vitigni coltivati in Val Vibrata? Oltre a quelli maggiormente diffusi, si sta cercando di riscoprirne alcuni che nel tempo si sono un po’ persi? L’Abruzzo è una regione con forte vocazione vitivinicola e questo vale per tutte le sue province. In un contesto di eccellenze, la Val Vibrata è senza dubbio il fiore all’occhiello della Provincia di Teramo e i due vitigni principali, da sempre coltivati in questa zona, sono il Montepulciano d’Abruzzo per i rossi ed il Trebbiano d’Abruzzo per i bianchi; tra i due, quello che più identifica il nostro territorio è senza dubbio il primo. Oltre a questi due vitigni dobbiamo ricordare il Pecorino, riscoperto soprattutto in questi ultimi anni e sicuramente di origini picene, e la Passerina, che è presente da sempre nel nostro territorio, ma che in passato abbiamo sentito poco nominare solo perché la distinzione tra le uve era molto più superficiale e quindi spesso, in passato, è stata confusa con il Trebbiano. Le caratteristiche di un vino sono certamente legate alla zona ed al suo clima. Quali sono le peculiarità che rendono unici i nostri vini? Quanto è importante la vicinanza del mare e della montagna? Il sottosuolo argilloso come ed in cosa li caratterizza? Il vino deriva dalla combinazione di tre fattori principali che sono: il vitigno, le condizoni pedoclimatiche e la mano dell’uomo; quello che i francesi chiamano “Terroir”. La Val Vibrata si trova in una posizione particolare, tra il Mare Adriatico e i Monti Gemelli, inoltre la distanza tra questi due diversi ambienti è piuttosto ridotta. Questa zona quindi è caratterizzata da un importante escursione termica tra il giorno e la notte, che senza dubbio contribuisce a personalizzare i nostri vini, donandogli delle proprietà organolettiche ben precise e riconoscibili. Un altro fattore determinante per la qualità dei nostri vini è quello umano. Abbiamo sempre riservato

un’attenzione particolare alle nostre vigne e tutto quello che abbiamo imparato ci è stato trasmesso oralmente, dai genitori e dai nonni. Oggi, in generale, la tecnologia sta inducendo il mondo del vino verso una standardizzazione dei prodotti, ma credo che uno dei nostri pregi sia quello di aver conservato una certa artigianalità, ed in questo credo che la tradizione orale abbia giocato un ruolo determinante. Oggi l’Abruzzo ha conquistato un posto importante nel mondo del vino, e lei si è impegnato molto per la valorizzazione di questo territorio, ottenendo prima la DOC Controguerra e poi la DOCG Colline Teramane. Mi racconta brevemente la sua esperienza? Quando ha sentito il bisogno di valorizzare questa zona? Perché per la DOC ha scelto il nome “Controguerra”? In primo luogo c’è da dire che i produttori della Val Vibrata sono sempre stati più attivi rispetto al resto della regione e che non ci siamo mai accontentati della situazione. Ad un certo punto, frequentando le varie fiere del settore, ci siamo resi conto che le denominazioni di origine a nostra disposizione, rispetto alle altre regioni d’Italia, erano troppo limitate, soprattutto nei confronti del nord. Mentre gli altri produttori potevano offrire un’ampia gamma di vini, noi ce la giocavamo solo con tre denominazioni di origine: Montepulciano, Trebbiano e Cerasuolo. Questo ci ha spinto a dover smuovere qualcosa per questo territorio e per la regione. All’epoca scelsi questo nome perchè, secondo me era facilmente memorizzabile e perchè identificava un luogo. C’è da dire che generalmente in Italia quando si nomina un vino si utilizzano spesso nomi di vitigni mentre, nella cultura francese ed europea, vengono utilizzati nomi di zone. Un francese, quando ordina una bottiglia di vino non domanda del vitigno, ma della zona da cui proviene, a dimostrazione che ogni vino è figlio del suo territorio. Nel 2010 l’Italia ha prodotto 4,96 miliardi di litri di vino, superando la Francia che invece ne ha prodotti 4,62 ed il vino abruzzese sta mostrando un dinamismo considerevole sui mercati esteri. I recenti dati Istat confermano che negli ultimi anni

l’export di questa regione ha marciato ad un ritmo doppiamente superiore alla media italiana. Com’è la situazione in Val Vibrata, si vende bene all’estero? Quali sono i paesi in cui si esporta maggiormente? Cosa dicono dei nostri vini? Il fatto che abbiamo prodotto di più non è importante, è solo un risultato statistico. In passato questo aspetto aveva una rilevanza maggiore, nel mondo contadino si cercava di più la quantità, ciò che contava erano la massa ed il volume. Poi ci siamo accorti che questo discorso era piuttosto sterile e che quindi quello che era fondamentale ed importante era la qualità del vino. Oggi il nostro obiettivo primario è quello di realizzare un prodotto eccellente che possa competere anche con i mercati esteri e, visti i risultati ottenuti finora, possiamo dire che qualcosa di buono è stato fatto. Qui infatti si vende bene anche fuori dal perimetro nazionale, in tutt’Europa, ma soprattutto in Canada e Stati Uniti. Anche nei mercati asiatici ci muoviamo bene, soprattutto in Giappone. Un po’ alla volta stiamo entrando anche in Cina dove, a mi avviso, il problema principale è la presenza di una distribuzione interna ancora poco organizzata. In sostanza dunque possiamo ritenerci soddisfatti di ciò che è stato fatto finora e l’unico errore commerciale che abbiamo commesso, secondo me, è che in passato per entrare in questi mercati abbiamo abbassato troppo i prezzi e quindi in alcune zone, il nostro vino non viene giudicato in base ad un valore reale, ed abbiamo la necessità di dover recuperare il terreno perso. Per concludere volevo porle una domanda che sicuramente le avranno fatto in molti. Una volta per tutte, possiamo affermare con sicurezza che il Montepulciano è nato in Abruzzo? Oppure la disputa sulla paternità di questo vitigno esiste ancora? Esistono due interpretazioni su questa vicenda. La prima è legata alle vie del commercio ed agli scambi con la famiglia dei Medici. Loro infatti sapevano lavorare molto bene la lana e spesso acquistavano la materia prima dai pastori abruzzesi,


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non è escluso quindi che, tra uno scambio e l’altro, abbiano condiviso anche altre tipologie di prodotti, ed è probabile che in questo modo qualche barbatella abruzzese abbia raggiunto la Toscana. La seconda interpretazione parte dalla Mesopotamia che è considerata la terra d’origine di questa pianta. Si presume che da li i vitigni siano arrivati in Italia, approdando in Sicilia, per poi svilupparsi seguendo due direzioni: quella Tirrenica e quella Adriatica; evolvendosi quindi in maniera diversa da una parte e dall’altra. Infatti i vini che si producono lungo l’altra costa della penisola sono completamente diversi dai nostri, per acidità, forza e struttura. Sulla base di questa seconda ipotesi quindi sembra che il Montepulciano d’Abruzzo sia un vitigno autoctono proprio di questa zona, anche perché ad oggi, non è stata ancora individuata alcuna parentela stretta tra il Montepulciano stesso e le varietà tipiche coltivate in Toscana.


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Produzione 2010

Montepulciano d’Abruzzo

Montepulciano d’Abruzzo

Trebbiano d’Abruzzo

Cerasuolo

53 680 q

9202 q

7966 q

Trebbiano d’Abruzzo

Cerasuolo

Immagini Alcuni grappoli e 30 q di Montepulciano d’Abruzzo.

Fonte Camera di Commercio di Teramo, denuncia uve 2010.


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Un’esperienza sul campo

Immagine Momento di pausa, in attesa del cambio del rimorchio.

Vendemmia nell’Azienda Emidio Pepe I vitigni coltivati in quest’area della penisola, in particolar modo il Montepulciano d’Abruzzo, sono piuttosto tardivi e mediamente la raccolta delle uve ha inizio nelle prime settimane di ottobre. Quest’anno ho approfittato dell’occasione per immergermi nella vendemmia da protagonista, aiutando l’Azienda Agricola Emidio Pepe e cercando di capire qualcosa in più su questa importante realtà vitivinicola vibratiana. L’azienda è tra le più eccellenti del territorio, senonchè dell’intera regione, ed è situata nel Comune di Torano Nuovo che, per la qualità dei suoi vini, potremmo definire la capitale del Montepulciano d’Abruzzo. È proprietaria di 12 ha di vigneto e dalla sua terrazza si può ammirare lo splendido orizzonte appenninico, che dal Gran Sasso scende verso la Maiella. La raccolta è iniziata il 13 ottobre e si è protratta per circa tre settimane. Tutto sommato gli ettari da sfilare non erano tantissimi, ma le dimensioni rispecchiano le scelte che hanno reso importanti questi vini. Per produrre qualità occorrono tempo, passione e rigore, tutte caratteristiche che vengono trasmesse anche in questa fase del ciclo produttivo. La cura in vigna è a livello del singolo grappolo ed oltre ad interrompere la vendemmia durante le giornate piovose, per ovvi motivi di praticabilità, in alcune occasioni la raccolta è stata sospesa perché in altri campi l’uva non aveva ancora raggiunto il giusto grado di maturazione. I nuovi mezzi e processi meccanici, che potrebbero aiutare ad abbattere i tempi ed i costi della manodopera, non sono mai stati utilizzati, tutta l’uva è stata rigorosamente selezionata e prelevata a mano. È evidente che qui la produzione di massa non è l’obbiettivo primario, e che l’approccio si basa su una scelta che, all’origine di tutto, pone come valore assoluto il rispetto estremo per i tempi della natura. Aldilà del mal di schiena e di qualche dolore alla cervicale, le giornate trascorrono serene e spassionate, tra racconti di storie e aneddoti locali che i braccianti più anziani ripresentano con cadenza regolare. Alcuni di loro sono paesani o amici di vecchia data, che da

anni raccolgono i frutti di queste vigne e che, con manualità stupefacente, riescono a districarsi anche tra i grappoli più aggrovigliati. Tra i pensieri di Emidio riaffiora spesso la poca disponibilità di manodopera, “È sempre più difficile trovare persone che vogliono lavorare in campagna” dice, ma nonostante tutto, una delle cose più belle di questa azienda, è che riesce ogni anno a coinvolgere tanti ragazzi che, in attesa di riprendere gli studi, trascorrono le loro giornate tra i campi e la cantina. I vigneti sono il frutto di tanta fatica e dedizione, vengono tenuti con cura ed i grappoli sani che accidentalmente cadono a terra devono essere rigorosamente raccolti. L’uva è coltivata biologicamente e nei campi non viene utilizzato alcun tipo di fertilizzante o pesticida. Nel mese di gennaio, lungo le filare, vengono impiantate diverse specie arboree che, dopo aver raggiunto la maturazione, vengono falciate e lavorate con il terreno, garantendo il giusto apporto nutritivo con totale rispetto dell’ecosistema. Proprio per questo motivo, l’apparato radicale delle viti si sviluppa in profondità e le rende più forti e resistenti in caso di siccità o di piogge eccessive. Nelle prime due ore del mattino la squadra di operai è sempre più numerosa perché interamente concentrata nella raccolta dell’uva. Dopo aver riempito il primo rimorchio, tre o quattro tra i più esperti, si recano in azienda per supportare il cantiniere nella fase di diraspatura e pigiatura. Anche in cantina ho ritrovato la stessa passione e meticolosità. Le uve di Trebbiano vengono pigiate con i piedi, come quelle di Montepulciano destinate alla produzione di Cerasuolo. La parte di uve rosse rimanenti, destinate alla produzione di Montepulciano puro, vengono diraspate a mano, fregando le uve su reti o setacci sovrapposti a una bigoncia di legno. Le mani sono più delicate di qualsiasi altro macchinario ed in questo modo vengono escluse le sostanze più acri contenute nei raspi. Il mosto viene poi pompato in vasche di cemento vetrificato e lasciato fermentare

per 8-12 giorni. La fermentazione è assolutamente naturale, senza aggiunta di lieviti selezionati nè di solforosa. Una volta raggiunto il giusto grado alcolico il vino viene separato dalle vinacce per poi essere reintrodotto nelle botti dove viene lasciato ulteriormente riposare; due anni per il Trebbiano e tre per il Montepulciano. Questi vini non vengono nè chiarificati e nè filtrati, quindi la decantazione avviene in modo naturale, lasciando che la natura faccia il suo corso. Dopo questo periodo e non più di due travasi, il vino viene imbottigliato con un sifone di canna vegetale, per evitare il più possibile il contatto con l’aria. A questo punto, in base alla qualità dell’annata, una parte delle bottiglie va subito in commercio ed un’altra va in riserva. Le bottiglie destinate all’invecchiamento vengono accatastate e lasciate riposare per almeno altri 4-5 anni, prima di essere nuovamente travasate una ad una. ll travaso è affidato alla moglie Rosa che con l’aiuto di altre donne elimina dal fondo le impurità accumulate. Mediamente durante l’operazione di travaso, una bottiglia su tredici si perde in depositi. Emidio Pepe ha iniziato nel 1964 a conservare le bottiglie di Montepulciano e Trebbiano, quando ancora nessuno, oltre a lui solo Edoardo Valentini, pensava che questi potessero essere considerati dei vitigni da invecchiamento. La differenza rispetto agli altri l’ha fatta la passione, perfettamente trasmessa alle figlie, che ci da oggi la possibilità di ripercorrere la storia di questi vitigni. Quest’azienda è l’unica, in tutta la regione, ad avere in cantina più di 40 annate di Montepulciano d’Abruzzo.


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84 Immagini Attimi della vendemmia 2011 presso l’Azienda Agricola Emidio Pepe.


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Industrianti

CAP 06

Da sempre l’indole dei vibratiani manifesta una spiccata attitudine al rischio e all’avventura. Un carattere forgiato dal tempo e dalla particolare collocazione geopolitica che ha costantemente spinto e stimolato questo popolo ad industriarsi per poter superare le varie barriere fisiche,

politiche e culturali. Poco lungimiranti, ma con notevoli capacitĂ commerciali, grande intuito per le nuove opportunitĂ economiche e tanta dedizione al lavoro.


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Tutto e subito

Gabriele Di Francesco

Docente di Sociologia Generale. Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti.

Lo spirito “imprenditoriale” della Valle Lo spirito imprenditoriale è un processo dinamico in virtù del quale le persone identificano costantemente opportunità economiche e reagiscono sviluppando, producendo e vendendo beni e servizi. Questo processo richiede qualità quali la fiducia in sé, l’attitudine ad assumere rischi e l’impegno personale. La storia degli imprenditori vibratiani si mescola e s’intreccia fortemente con quella della loro terra e scaturisce da una condizione di miseria diffusa e da una grande voglia di riscatto sociale. Almeno fino agli anni ’60 infatti, periodo del cosiddetto “boom economico”, si viveva in un ambiente esclusivamente agricolo e con un’elevata percentuale di analfabetismo. L’economia si basava ancora sulla tipica famiglia rurale, che aveva ancora per molti versi una struttura di tipo patriarcale: si trattava di un’unità allargata ed estesa, che comprendeva i discendenti di una stessa linea familiare, ma che poteva altresì far convivere al suo interno diversi nuclei parentali. In un contesto del genere, le relazioni tra i componenti erano regolate da una fondamentale rigidità gerarchica che aveva il suo fulcro nel rispetto delle decisioni del patriarca, vero e indiscusso capofamiglia, per quanto riguardava il lavoro ed i rapporti sociali esterni alla famiglia, e della matriarca per quello che riguardava gli aspetti domestici e intra-familiari, specie con riferimento alla disponibilità di beni di consumo e di derrate alimentari. Era sempre la matriarca, cioè la donna più anziana di casa, a tenere saldamente in mano le chiavi dei fondaci e della dispensa. Le famiglie del resto erano necessariamente numerose, in quanto la sussistenza economica era legata alla forza ed alla numerosità delle braccia disponibili per poter coltivare il podere di proprietà, o, più spesso, per far fruttare quello preso a mezzadria. La lavorazione dei campi richiedeva un’ampia disponibilità di manodopera, che doveva essere pronta ad affrontare e risolvere qualsiasi incombenza legata al lavoro ed alla vita quotidiana. Gli strumenti di lavoro erano ridotti all’essenziale (aratri, erpici, carri, seminatrici) e il più delle volte prestati a scambio tra le famiglie del vicinato.

Il ricorso al mercato era limitato all’acquisto di quei pochi beni che la famiglia non riusciva a produrre al suo interno e facendo riferimento a pochissimi commercianti e artigiani il più delle volte ambulanti (cardatori di canapa e lana, cordai, carradori, coltellinai, merciai, più raramente sarti e ciabattini). Per ogni altra necessità si ricorreva a risorse autoprodotte. Questa situazione obbligava i componenti della famiglia a doversi arrangiare a far di tutto e, all’interno del nucleo familiare, spingeva - ma anche favoriva - in qualche modo la formazione di diverse abilità che a lungo andare si trasformavano in vere e proprie capacità lavorative. A titolo di esempio potremmo far riferimento alla produzione di tessuti in canapa, indispensabili per ogni uso dal lenzuolo all’abito, che, nella sua filiera produttiva necessitava di chi si occupava della coltivazione della materia prima, di chi la lavorava e cardava, di un falegname, per la realizzazione del telaio, delle donne che la filavano ed infine di chi la tesseva; tutti processi che passavano attraverso un percorso familiare, di autoproduzione per l’autoconsumo. I contadini erano dunque spesso anche falegnami, piccoli fabbri e maniscalchi, fabbricatori e riparatori in proprio di utensili, cestai, fornai, muratori… Storicamente potremmo far coincidere il tramonto del mondo contadino con la legge del 15 settembre del 1964 n. 756, che vietò la stipulazione di nuovi contratti di mezzadria, anche se il riferimento è da considerarsi per molti versi più simbolico che reale. Fino a quel momento comunque il capofamiglia, con la stipula del contratto agrario, obbligava se stesso e tutti gli altri componenti della sua famiglia a lavorare un fondo assegnato seguendo le direttive del proprietario terriero con il corrispettivo della divisione degli utili. Non esisteva alcuna clausola che permettesse ai figli di sganciarsi, se non attraverso la risoluzione del contratto per uno dei soggetti, cioè una forma di compensazione da assimilare senz’altro ad un riscatto, cioè il pagamento di una quota in denaro, sempre che, dopo la perdita delle braccia del soggetto che “riscattava la sua libertà”,

il nucleo familiare del mezzadro venisse ancora ritenuto idoneo ad occuparsi della lavorazione del podere. In caso contrario il contratto stesso si rescindeva e con penali. Dopo il 1964 i componenti delle famiglie mezzadrili, e rurali in genere, vengono praticamente liberati dai vincoli contrattuali ed iniziano a muoversi seguendo il più delle volte percorsi che erano già tracciati dall’industria italiana allora in espansione. Sono soprattutto i giovani e le classi centrali di età ad emigrare verso il nord del Paese che in quegli anni richiedeva molta manodopera, possibilmente a costi bassissimi. Fu così che molti dei nostri concittadini finirono all’interno della Fiat a Torino, della Innocenti, della Piaggio, dell’Alfa di Arese e della Magneti Marelli a Milano. Alcuni di questi non rimasero fuori per molto tempo e dopo qualche anno tornarono a casa portando nuove conoscenze e competenze che permisero loro in breve tempo di aprire delle piccole imprese autonome. In questo passaggio possiamo intuire lo spirito più vicino al vibratiano, che è partito quando sapeva fare tutto e niente, si è stabilito al nord (anche all’estero) per alcuni anni, ha imparato o perfezionato il mestiere e poi è tornato a casa dove ha messo a frutto le esperienze maturate, tutto sommato quasi senza concorrenti, e in una situazione in cui fu facile prevalere. I più avveduti oltre a questo sapevano però bene che nella loro terra non avrebbero trovato un mercato pronto e dunque era necessario muoversi in anticipo, proponendo magari alle aziende del nord una sorta di delocalizzazione produttiva che avrebbe portato notevoli vantaggi ad entrambe le parti. In questo modo, infatti, l’ex dipendente ed aspirante imprenditore, consapevole della risposta affermativa dell’azienda in cui aveva lavorato, dettata dai più bassi costi di produzione, avrebbe costruito la sua azienda, assicurandosi una base solida prima di effettuare l’investimento, riunendosi peraltro alla sua famiglia. Inizia forse da alcuni di questi avventurosi pionieri dell’industria vibratiana la diffusione di un’imprenditoria basata sulla produzione per conto terzi, subordinata alle industrie del nord, che


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mette in evidenza le assolute capacità commerciali e contrattuali, piuttosto che imprenditoriali, del produttore medio locale. Questo approccio non sembra casuale, ma sicuramente ha dei nessi anche con la posizione geografica di quest’area che, dal punto di vista amministrativo, è sempre stata delimitata da un confine che, sin da tempi più antichi, ha sicuramente contribuito a forgiare il carattere di questo popolo, stimolando l’ingegno verso il commercio ma anche nella ricerca di espedienti. Dobbiamo riconoscere che in Val Vibrata, a parte rari casi, non c’è mai stata una grossa managerialità o lungimiranza, e che questa espansione industriale è il risultato di una grande predisposizione al rischio, dell’impegno nel lavoro e di una forte fiducia in se stessi. Non va dimenticato che queste persone venivano da una condizione di miseria profonda e che il livello d’istruzione, in quegli anni, era ancora molto basso; l’unica scuola superiore era l’Istituto Tecnico Commerciale di Nereto ed i primi diplomati uscirono intorno al 1965. Esisteva una sola scuola media, sempre a Nereto, mentre tutte le altre erano scuole di avviamento professionale che insegnavano mestieri tradizionali e davano tutt’al più (ma non era poco!) la possibilità di avviare un’attività all’interno della propria casa. Si trattava di un lavoro più di tipo artigianale (es. la sartoria, il ricamo, la maglieria, ecc.), ma con un modo di fare ed un approccio ancora acerbo e tipico della cultura contadina e familistica, basato su una grande capacità di sapersi arrangiare. Non a caso qui si è sviluppato un elevato numero di piccole e medie imprese, secondo quel paradigma vincente comune a buona parte dell’Italia adriatica che va sotto il nome di “Modello adriatico di sviluppo”, che fino ad un certo punto ha dato i suoi vantaggi. In anni successivi un altro fattore determinante che si aggiunse, stimolando l’iniziativa locale fu di certo il contributo della Cassa del Mezzogiorno che, nonostante abbia coinvolto solo marginalmente il resto del Meridione, contribuì alla crescita economica e sociale di questo territorio. Anche in questo caso, la posizione di limite settentrionale del Meridione

fu determinante e fece della Val Vibrata la meta più ambita e prediletta di tanti imprenditori del Nord; che sfruttarono l’occasione per aprire diverse sedi in loco, favorendo anche l’impiego della manodopera di zona. In una società sempre più globalizzata, con la delocalizzazione produttiva in Paesi terzi e le ricorrenti crisi finanziarie, tale struttura imprenditoriale ha cessato di dare i suoi benefici e se non scomparsa del tutto è divenuta marginale. Andrebbe dunque strategicamente ripensata con proiezioni anche non a brevissimo termine. La lungimiranza non sembra peraltro appartenere al vibratiano medio, che invece sembra prediligere il “tutto e subito” per rivolgersi sempre ad altri e nuovi traffici, ad altre e nuove occasioni di possibile guadagno. La storia ci insegna che in queste terre c’era un gran via vai di pastori, da cui abbiamo certamente ereditato lo spirito avventuroso, di commercianti da cui le capacità di relazionarsi e di fare affari e barati, ma anche di contrabbandieri da cui l’atteggiamento diffidente, tipico di chi percorre molta strada senza mai sapere quali possono essere gli incontri, e il fiuto teso a cogliere ogni differenza e ogni novità dentro e fuori i propri confini. In epoca borbonica molti abitanti locali si recavano a vendere le proprie mercanzie nella città di Ascoli Piceno. Il mercato era un’occasione importante per fare affari di ogni sorta. Per transitare le dogane si aveva bisogno di apposite “carte di passaggio”, passaporti temporanei rilasciati a richiesta, con l’esplicitazione dei connotati fisici, della direzione, della mèta e del motivo del viaggio. Alla voce occupazione molti vibratiani usavano definirsi “industriante”. Questo termine, oggi sicuramente desueto e apparentemente obsoleto, ma in realtà molto vicino all’americano business man, uomo d’affari ma anche pronto alle novità ed ai traffici più impensati e diversificati, industriale e commerciante al tempo stesso, sembra ancora oggi poter delineare adeguatamente e rappresentare il profilo e l’identità dell’impresario medio locale, facendo risaltare la sua notevole capacità ad “industriarsi”; in termini più comuni e popolari a fare affari d’ogni sorta, talora anche ad arrangiarsi.


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Passato, presente e futuro Intervista a Marcella Fiorà

Titolare dell’azienda Crosolution Sas.

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Qual è il suo percorso imprenditoriale e qual è stato il suo primo impiego? Quando ha deciso di mettersi in proprio e perché ha fatto questa scelta?

Nella difficile situazione attuale, sembra essere aumentato il desiderio di posto fisso. Vede ancora lo stesso coraggio nei ragazzi di oggi?

Tante aziende qui lavorano per conto terzi. Perché si è sviluppato questo tipo d’imprenditoria? È un problema culturale o siamo poco lungimiranti?

Nella mia vita ho fatto diversi lavori, ed anche io in passato sono stata una dipendente, ma da sempre il mio obiettivo è stato quello di non avere un padrone. Ho lavorato in una lavanderia industriale, ho fatto la cameriera, ho lavorato in un mercato ortofrutticolo ed ho venduto fazzolettini di seta al lungomare di Giulianova. Con gli utili ho comprato le prime macchine serigrafiche ed ho iniziato a lavorare a livello industriale costruendo, in trent’anni, un’azienda con 120 dipendenti. Con questa azienda ho sempre lavorato nel terziario, ma poi ho capito che questo era il limite del nostro territorio e così, a 50 anni, ho deciso di rimettermi in gioco ed investire tutto quello che avevo guadagnato nella mia vita, per creare un marchio. Il settore in cui mi muovo adesso non ha niente a che vedere con le mie esperienze precedenti. Infatti in passato avevo lavorato molto nel mondo della moda, ma sempre limitandomi ad offrire un servizio. Oggi sono uscita da quel mondo per intraprendere una nuova sfida ed ho deciso di investire nella progettazione di complementi d’arredo. Essere imprenditore, per me, vuol dire sperimentare se stessi, scommettere con la propria vita e vincere sempre. Non è stato facile raggiungere questo traguardo ed in passato questo mio desiderio di ricerca d’indipendenza è stato motivo di contrasto con la mia famiglia. All’epoca i miei genitori mi consideravano una squilibrata perché rifiutavo costantemente delle proposte di lavoro importanti che mi avrebbero dato delle garanzie di vita non indifferenti; come ad esempio un lavoro alle poste, oppure come infermiera in ospedale. Oggi il mio obiettivo è quello di non dare un padrone ai mie figli e convincerli di lavorare per loro stessi piuttosto che per qualcun altro.

Se devo esser sincera, nei ragazzi di oggi, non percepisco la necessità di un posto fisso, ma soprattutto una mancanza di coraggio. Noi in passato eravamo agevolati in certe scelte perché non avevamo nulla e quindi nulla avremmo perso. I giovani di oggi invece qualcosina ce l’hanno e quindi forse il timore di perderlo, li spinge ad evitare certe situazioni di rischio. Sono sempre stata dalla parte degli operai e credo che questi siano importanti quanto gli imprenditori. Il problema vero di oggi, secondo me, non è legato alla scelta tra essere dipendente o imprenditore, ma credo sia una questione di obiettivi. Infatti molti ragazzi non cercano un posto fisso per imparare un mestiere o perché hanno un traguardo da raggiungere, ma solo perché è più comodo o per garantirsi una tranquillità economica. Ecco, questo approccio, nei confronti del lavoro, non lo condivido. Il posto fisso per me è molto importante, ma inteso in modo diverso e cioè come salvaguardia delle maestranze. Mi spiego meglio. Nel momento in cui formo una persona in azienda, creo ricchezza per me e per il territorio ed ho tutti gli interessi a non farmi scappare questa persona. In primo luogo perché perderei una professionalità che dovrei riformare ed in secondo luogo perché chi lascia l’azienda porta con se una parte del suo bagaglio culturale che poi potrebbe ricadere nelle mani di un possibile concorrente. In questo senso ritengo che il lavoro di un dipendente abbia un valore inestimabile.

Siamo poco lungimiranti ed è un problema culturale. Il discorso è molto semplice e riguarda il concetto di crescita del territorio. Se come obiettivo mi pongo la crescita della mia azienda, finalizzata a se stessa, sono facilmente ricattabile. Se invece la crescita dell’azienda è finalizzata alla crescita del territorio sono difficilmente ricattabile. Nel primo caso il percorso è molto più semplice perché, in una fase iniziale, lavorare per conto terzi ti permette di guadagnare più facilmente e più velocemente. Creare un marchio, e quindi qualcosa che porta una ricchezza vera al territorio perché rimane nel territorio, è molto più difficile. In primo luogo perché devi avere delle capacità morali importanti, devi resistere, ed in secondo luogo perché questo percorso richiede l’investimento di ogni singolo centesimo nella promozione del tuo prodotto e quindi ti costringe a fare tante rinunce. In Val Vibrata dei marchi ci sono stati e delle ricchezze sono rientrate, ma credo che in passato siano stati commessi dei grossi errori, dettati soprattutto da un atteggiamento provinciale. Il limite più grosso è stato che proprio questi grandi marchi, nel momento in cui vedevano sorgere nuovi marchi nello stesso settore, individuavano il nemico in loro e dunque li ammaliavano proponendogli la via più semplice. Molti maglifici sono sorti proprio in questo modo. Le aziende più grandi, quando percepivano che un loro dipendente, magari più dinamico, aveva intenzione di intraprendere un’attività in proprio, lo licenziavano e gli dicevano: “Non ti do la liquidazione, ma ti regalo un telaio con cui ti metti sotto casa tua e lavori per me”. In questo modo lo tenevano a bada, bloccando la crescita e lo sviluppo della Valle. Credo che questo sia stato il più grosso errore della Val Vibrata.


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“Con questa azienda ho sempre lavorato nel terziario, ma poi ho capito che questo era il limite del nostro territorio e cosĂŹ, a 50 anni, ho deciso di rimettermi in giocoâ€?


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Intervista a Riccardo Loddo

Titolare dell’azienda TML Srl.

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Qual è il suo percorso imprenditoriale e qual è stato il suo primo impiego? Quando ha deciso di mettersi in proprio e perché ha fatto questa scelta?

Nella difficile situazione attuale, sembra essere aumentato il desiderio di posto fisso. Vede ancora lo stesso coraggio nei ragazzi di oggi?

Tante aziende, qui, lavorano per conto terzi. Perché si è sviluppato questo tipo d’imprenditoria? È un problema culturale o siamo poco lungimiranti?

Abbandonai gli studi a 17 anni, ahimè, perché ero un tipo impaziente e facevo fatica a stare seduto per 5/6 ore di seguito ad ascoltare i professori, mi annoiavo, quindi decisi di iniziare a lavorare insieme a mio padre. In quegli anni lui aveva già una piccola officina in cui produceva serbatoi e cisterne. Entrai nel mondo del lavoro così, in prima persona, in un’età ancora molto acerba e prendendomi tutti vantaggi e gli svantaggi che una situazione di questo tipo può comportare. I vantaggi sono che, nell’immediato, realizzi qualche migliaia di lire in più all’ora e gli svantaggi sono che sei costretto a diventare grande più velocemente perché inizi ad assumerti delle responsabilità importanti. Sicuramente il fatto che mio padre mi abbia coinvolto da subito a 360° mi ha fatto crescere in maniera più repentina rispetto ad un adolescente che ha avuto un percorso graduale, ma dall’altro canto ho dovuto rinunciare ai migliori anni della mia vita, a tante amicizie, ecc… Ho lavorato sempre nello stesso settore, sviluppando e perfezionando nel miglior modo possibile il mio lavoro, con l’obiettivo di portare l’azienda, da una primissima fase di costruzione di serbatoi e recipienti per acqua, a rivestire un ruolo internazionale di primo livello nel settore della produzione di acqua calda e con risvolti importanti anche nel campo delle energie rinnovabili.

No, assolutamente. La realtà che vivono i ragazzi di oggi è totalmente diversa rispetto a quella che abbiamo conosciuto noi. Una volta in Val Vibrata c’era la cosiddetta “Fame” e la condizione economica più diffusa era la miseria. Questo chiaramente stimolava chiunque, in un modo o nell’altro, a raggiungere qualcosa di più importante, mettendosi in gioco in prima persona. Oggi le cose sono cambiate parecchio ed il benessere è molto diffuso. Io ho 46 anni e quando sento parlare di precarietà e di condizioni economiche disagiate mi meraviglio un po’ e credo che non ci si renda conto che fino a qualche anno fa, si viveva con molto, molto meno. Per noi le scarpe da 100 000 lire non esistevano, oppure esistevano solo in determinate famiglie. Oggi indossare delle scarpe alla moda è uso e costume, avere l’I-Phone è uso e costume, avere tre televisori a casa è uso e costume; questo 30 anni fa non esisteva e non era concepito. Quando ero ragazzo la mia massima aspirazione come automobile era la FIAT Panda, non avevo necessità maggiori e non potevo permettermi il lusso di scegliere. Credo che questa sia la differenza sostanziale tra le generazioni passate e quelle presenti. Inoltre, a mio avviso, i ragazzi di oggi sono profondamente impreparati; la precarietà è frutto della negligenza e dell’impreparazione. Tempo fa avevamo bisogno di due tecnici ed abbiamo pubblicato un annuncio di lavoro, a cui poi si sono presentati in 6 o 7. La cosa preoccupante che è venuta fuori da questi incontri è che nessuno di loro, per di più neolaureati, aveva una preparazione adeguata. Quindi se loro, in primis, non riscoprono la voglia di rimettersi in discussione e di studiare seriamente, togliendosi dalla testa il concetto del posto fisso inteso come pura esecuzione, non andiamo da nessuna parte.

A 30 anni la mia prima aspirazione era quella di avere un’azienda che fosse in grado di vendere all’estero; era un pò il mio sogno. Oggi a 46 la nostra azienda esporta l’80% di quello che produce ed è questo che fa la differenza rispetto ad altre aziende che oggi stanno facendo molta fatica. Internazionalizzare l’azienda ed affermare il proprio marchio sono le prime regole basilari per creare un’azienda solida. È molto più semplice attaccarsi al carro e decidere di lavorare per conto terzi, ma in questo modo non sarai mai indipendente ed il futuro della tua azienda dipenderà dalle scelte degli altri. L’errore principale dell’imprenditoria della Val Vibrata, negli anni scorsi, è stato proprio questo, cioè di non essere stati in grado di veicolare il proprio marchio, di non aver creduto ed investito nella propria attività, rimanendo quindi legati ad un destino sconosciuto. Questo è accaduto perché, nel tessile, chiunque poteva inventarsi industriale in pochissimo tempo. Trent’anni fa, qualsiasi persona che si metteva a fare blue jeans, guadagnava tanto perché la domanda era altissima e molti approfittarono di quella situazione. L’approccio subordinato può funzionare in una prima fase di lancio dell’azienda, lo abbiamo fatto anche noi, ma se vuoi crescere, devi cercarti il tuo mercato e devi investire nel tuo marchio e sul tuo nome. Questo in Val Vibrata, a parte alcuni casi, non è stato fatto ed oggi ne paghiamo le conseguenze. È mancato per un problema culturale, perché in passato i soldi facili hanno portato molte persone a non credere nella loro azienda e a non investire nelle proprie idee. I primi guadagni li sfruttavano per comprare l’automobile di lusso, o per svaghi e divertimenti, senza pensare a strutturare l’azienda, a renderla autonoma dalle banche, a capitalizzarla, a cercare pian piano di creare mercati differenti; perché qui la gente vuole “tutto e subito”. È importante credere in quello che si fa perché se tu sei il primo a non crederci, non puoi sperare nella fiducia degli altri.


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“Una volta in Val Vibrata c’era la cosiddetta “Fame” e la condizione economica più diffusa era la miseria. Questo stimolava chiunque, in un modo o nell’altro, a raggiungere qualcosa di più importante.”


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Intervista a Italo Bonvetti

Titolare dell’azienda Bonvetti Srl.

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Qual è il suo percorso imprenditoriale e qual è stato il suo primo impiego? Quando ha deciso di mettersi in proprio e perché ha fatto questa scelta?

Nella difficile situazione attuale, sembra essere aumentato il desiderio di posto fisso. Vede ancora lo stesso coraggio nei ragazzi di oggi?

Tante aziende, qui, lavorano per conto terzi. Perché si è sviluppato questo tipo d’imprenditoria? È un problema culturale o siamo poco lungimiranti?

Appena terminata la scuola media, all’età di 14 anni, fui assunto come apprendista in una falegnameria della Val Vibrata. Ero alle prime armi, ma mi innamorai subito del mestiere ed imparai ad usare gli attrezzi tradizionali: la sega circolare, la raspa, la pialla e il segaccio. A quei tempi non si utilizzavano molti macchinari e questo mi ha permesso di acquistare precisione e manualità. Ho lavorato come dipendente in questa falegnameria per ben 15 anni, applicandomi con passione e costanza, e nella mia vita non ho mai cambiato mestiere. Questa azienda è nata nel 1992 quando, a 29 anni, insieme a mio fratello, decisi di mettermi in proprio, per avere una maggiore autonomia e perchè volevo guadagnare qualcosa in più, o almeno provarci. I nostri interessi erano rivolti soprattutto alla produzione di mobili, ma per crescere ci siamo adattati alle richieste del mercato, producendo anche porte ed infissi. L’inizio non fu per niente facile perché dopo soli 8 mesi subii il lutto di mio fratello, ma non mi scoraggiai e con un pizzico di fortuna e tanta forza di volontà riuscii ad andare avanti fino al ‘96 quando iniziai a realizzare arredamenti per banche. Questo è stato l’anno che mi ha dato la spinta economica importante, quella che poi mi ha permesso di ingrandirmi. L’azienda oggi va abbastanza bene e fino a qualche anno fa produceva soprattutto per il mercato italiano, poi la crisi ci ha costretto e ci costringe tutt’ora a cercare lavoro anche all’estero; da 4 anni a questa parte mi sto muovendo molto per cercare di allargare il mercato.

La situazione attuale non è facile, soprattutto per chi inizia e deve costruirsi una rete di contatti, ma quello che manca, secondo me, e che non vedo nei ragazzi di oggi è la forza di volontà. Penso che questa sia indispensabile per il raggiungimento di un obiettivo e credo che sia difficile frenarla. Su certe cose credo che i giovani di oggi siano anche più coraggiosi di noi, ma poi mollano subito, alla prima difficoltà. Non si può pensare di avere “tutto e subito”, servono costanza, fatica e tanti sacrifici. In più credo che una grossa colpa sia del governo che non offre le adeguate garanzie. Nei giovani operai, parlo per il mio settore, non vedo la stessa partecipazione e la stessa voglia che percepivo in me ed in mio fratello quando decidemmo di metterci in proprio. La maggior parte sono presenti solo fisicamente, non c’è in loro la spinta o la voglia di proporre soluzioni nuove, di discutere sui progetti, di cercare di fare qualcosa in più. Manca iniziativa e voglia di sporcarsi le mani. Io ho avuto pochissime richieste di lavoro da ragazzi italiani e molti dei miei operai provengono da altri paesi. Spesso penso anche al futuro dei miei figli e penso che qui potrebbero avere un posto di lavoro sicuro, ma sinceramente credo sia più giusto che, anche se decideranno di lavorare nel campo della falegnameria, facciano le loro esperienze altrove. Per il momento li coinvolgo soltanto nel periodo estivo e, se hanno voglia, nei giorni in cui sono liberi dagli impegni scolastici, ma devo riconoscere che anche in loro, manca questo spirito d’iniziativa.

Fare il fasonista è facile ed economico, credo che questo sia il motivo principale che ha incentivato lo sviluppo dell’imprenditoria vibratiana; se così possiamo definirla. Chiunque, con un minimo di maestranza, può intraprendere un’attività di questo tipo, mentre affermare un proprio marchio richiede più energie in termini di tempo e denaro. Il vantaggio del lavoro per contoterzi è che in pochi anni riesci a raccimolare una somma considerevole di denaro, mentre i vantaggi di una politica più lungimirante, sono sicuramente maggiori, ma li vedi e li ottieni dopo molto più tempo e fatica. Un’azienda che lavora per conto terzi sta in piedi fin quando l’azienda madre gli fornisce il lavoro, ma nel momento in cui questa decide che non gli servi più, non avendo un tuo marchio ed un tuo mercato, sei destinato a chiudere, come è successo negli ultimi anni a tante piccole aziende di questo territorio. Tra gli anni ‘80 e ‘90 qui era pieno di fasonisti che si illudevano di essere imprenditori. In realtà era tutta gente che veniva da un ambiente agricolo, e che aveva intravisto l’opportunità di guadagnare bene in poco tempo. La maggior parte delle aziende che lavorano nel tessile sono nate copiando prodotti di altri, compravano un paio di jeans li smontavano e li realizzavano tali e quali; non è mai stato un prodotto nostro. Questo è accadduto perchè mancava una formazione culturale di base e la voglia di far fatica per ideare un prodotto originale che nel tempo avrebbe dato i suoi risultati. Le parole giuste sono ricerca, creatività e progetto, tre termini che in passato sono sempre stati poco considerati dagli imprenditori locali e che credo siano le fondamenta necessarie per costruire un’impresa.


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“Tra gli anni ’80 e ’90 qui era pieno di fasonisti che si illudevano di essere imprenditori. In realtà era tutta gente che veniva da un ambiente agricolo, e che aveva intravisto l’opportunità di guadagnare bene in poco tempo.”



Tra uliveti e vigneti

CAP 07

Negli ultimi tre anni il fotovoltaico ha avuto una forte espansione in questo territorio, caratterizzandolo sotto vari aspetti: politici, sociali, economici ed ambientali. Il tema degli impianti fotovoltaici è stato, e continua ad essere, una presenza costante nei discorsi delle amministrazioni

pubbliche e dei cittadini. Una nuova importante risorsa per la valle che si manifesta nei suoi aspetti positivi e negativi, modificando il paesaggio rurale di queste zone.


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Energia e ambiente

Intervista a Francesco Marconi

Immagine Impianto fotovoltaico a terra, in prossimità del comune di Colonnella.

Assessore all’Ambiente, Risorse Energetiche e Parchi della Provincia di Teramo.

Una nuova luce nella valle La Provincia di Teramo ha fatto e sta facendo tanto sul piano delle energie rinnovabili, uno sforzo davvero apprezzabile. Nel quadro generale delle province italiane, qual è la nostra posizione? È soddisfatto del lavoro svolto? Possiamo considerarci un esempio da seguire? Credo che la nostra Provincia si colloca tra le Province italiane più avanzate, sia sotto il profilo delle iniziative messe in campo, sia sotto il profilo delle realizzazioni concrete. Sono soddisfatto del lavoro di promozione, di diffusione e di crescita delle consapevolezza, tra cittadini e le imprese, dell’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia, come sono soddisfatto dell’avvio delle realizzazioni di impianti fotovoltaici sugli edifici scolastici provinciali, che ci permetteranno di produrre oltre 500 000 kWh/anno di energia elettrica. L’insieme delle attività che abbiamo prodotto in questi anni ci hanno messo in evidenza in diversi contesti: europei, nazionali e regionali e non può che farci piacere che altre realtà italiane si sono messe in contatto con noi, per emulare alcune buone pratiche che abbiamo prodotto. Per il 2020 c’è un obiettivo, obiettivo che vi siete posti il 4 maggio 2010 a Bruxelles firmando il “Patto dei Sindaci”. Mi spiega in due parole di cosa si tratta e quali sono gli obiettivi da raggiungere per questa data? Il Patto dei Sindaci è il principale movimento europeo, che vede coinvolte le autorità locali e regionali, impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro impegno i firmatari del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020. Un obiettivo ambizioso che può essere raggiunto con un grande impegno comune. E a proposito di impegno, in verità il nostro impegno nel Patto è iniziato a settembre del 2009, diventando una delle prime strutture di coordinamento e supporto italiane, ufficialmente riconosciuta dalla Commissione Europea, per dare assistenza a tutti i Comuni della provincia. Per dare un’idea di ciò

che rappresenta il Patto, a fine gennaio di questo anno erano oltre 3400 gli Enti Locali aderenti, in rappresentanza di oltre 150 milioni di cittadini europei. Che impressione avete dato in Europa? Hanno riconosciuto il vostro impegno? Penso che abbiamo fatto una buona impressione, nel momento in cui in diverse iniziative, europee e nazionali, è stato richiesto un contributo di idee proveniente dalla nostra esperienza. Voglio solo ricordare che un numero della newsletter europea del Patto dei Sindaci si è aperto con un’intervista al Presidente della Provincia, Valter Catarra, e che in diverse iniziative è stata richiesta la presenza mia o di altri rappresentanti della Provincia di Teramo. Migliore riconoscimento del nostro impegno non poteva esserci. Avete anche pensato ad una campagna di sensibilizzazione dal titolo: “Se ami la tua città, mettici la faccia”. Qual è stata la risposta dei cittadini e la loro curiosità nei confronti di questa iniziativa? Secondo lei qual è il loro pensiero sulle rinnovabili? La campagna di sensibilizzazione dei cittadini rientra tra gli strumenti di supporto che stiamo realizzando per i Comuni della provincia. Per raggiungere gli obiettivi del Patto è necessario un grande coinvolgimento della popolazione, perché da loro deve arrivare la più grande risposta ed il più grande contributo. Certo, compito della Provincia e dei Comuni è dare il buon esempio, fare scelte significative, realizzare interventi concreti, ma senza l’apporto convinto dei cittadini gli ambiziosi obiettivi del Patto non potranno essere raggiunti. Per avviare questa azione di sensibilizzazione abbiamo scelto un approccio “locale” per affrontare una sfida “globale”: un cittadino per ogni Comune che diventa testimonial “locale” del Patto dei Sindaci. C’è stata certamente tanta curiosità nei giorni in cui si sono tenuti i casting ed è stato un modo per continuare a diffondere il messaggio del Patto dei Sindaci. Penso che abbiamo fatto una buona scelta operando in questo modo e credo si dovranno altre iniziative di partecipazione simili.

Per ciò che riguarda il pensiero dei cittadini sulle rinnovabili, non c’è un solo pensiero, una sola idea, un solo approccio perché sono tante le sfaccettature e gli interessi. In generale c’è una crescita dell’attenzione e della sensibilità, ma si può fare di più senza dubbio, facendo conoscere le straordinarie opportunità delle fonti rinnovabili, che non si limitano solo al fotovoltaico, ma anche al solare termico, al mini-idrico, al mini-eolico, alle biomasse e alla geotermia. Il fotovoltaico solare è sicuramente una delle tecnologie portanti del nuovo modello energetico. Nell'ultimo anno, in provincia di Teramo, si è registrato un incremento del 600%, con alcuni esempi di eccellenza in Val Vibrata. È un territorio particolarmente sensibile all'ambiente? Quali sono stati, secondo lei, i principali motivi di questi successi? Nell’ultimo anno si è avuta nella nostra Provincia una grande crescita della potenza installata, appunto oltre il 600%, ma si è avuta anche una crescita significativa del numero di impianti fotovoltaici che, per inciso, non sono tutti di grande taglia. Faccio l’esempio del Comune di Ancarano, centro della Val Vibrata, che ha poco più di 1900 abitanti e dove sono stati installati oltre 8700 kWp di fotovoltaico, con una capacità di produrre quasi 11 milioni di kWh di energia elettrica. Ebbene, questo dato non deriva solo da grandi impianti, infatti dei 64 impianti finora realizzati solo 5 di essi superano i 100 kWp, gli altri 59 impianti sono da considerare di taglia piccola e media. In questo caso possiamo dire che un motivo di successo è stata anche la diffusione di impianti piccoli, quindi una certa disponibilità economica per realizzare l’intervento ed anche una sensibilità ai temi ambientali. In seguito alla riduzione degli incentivi, quali sono le sue aspettative per il 2012? Il fotovoltaico continuerà ad espandersi? Oppure gli investimenti passati puntavano esclusivamente ad avere un tornaconto economico? Investire nel fotovoltaico ha significato, dall’avvio del primo Conto energia dello Stato, un investimento molto


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remunerativo. Nel corso degli anni, come è naturale, sono cambiate le condizioni di mercato, la tecnologia è evoluta, i costi per la realizzazione di impianti fotovoltaici sono notevolmente scesi. Di conseguenza sono stati anche rivisti, al ribasso, gli incentivi economici. Ma è giusto che sia così. Fare una previsione non è semplice in termini quantitativi, ma certamente cambierà dal punto di vista qualitativo la natura degli interventi nel fotovoltaico. Come conseguenza di alcune determinazioni del Governo nazionale vedremo meno impianti a terra, molto meno in aree agricole, e certamente più impianti integrati negli edifici. Comunque sia, considero normale che chiunque faccia un investimento, piccolo o grande che sia, nel fotovoltaico ne abbia il suo giusto ritorno e vantaggio economico. Le distese di pannelli sono divenute un elemento caratterizzante del nostro paesaggio e troppo spesso hanno recato danni a livello visivo ed ambientale. Certe situazioni andavano gestite diversamente? Quali sono state secondo lei le principali cause principali di questa espansione incontrollata? Parlerei in alcuni casi, specie per gli impianti più grandi posizionati a terra, di impatti visivi e paesaggistici, faccio fatica a considerarli portatori di danni ambientali. Certamente, alcune tipologie di impianti potevano essere considerati con una maggiore attenzione, rispetto agli elementi tipicizzanti del territorio. Vorrei però aggiungere una considerazione più generale: i tralicci dell’alta tensione sono anch’essi dei detrattori del paesaggio, ma sono essenziali per l’approvvigionamento elettrico; nei centri abitati alcuni decenni fa le selve di antenne televisive non erano certamente belle a vedersi e, in una certa misura, non sono belle nemmeno le parabole oggi. Perciò, fatte le dovute proporzioni, vorrei dire che l’espansione che c’è stata presenta diversi elementi positivi e qualche punto di negatività, che forse si sarebbe potuto ulteriormente ridurre. Però è indubbio che la crescita del fotovoltaico ha dato un apporto alla produzione di energia elettrica nel nostro Paese, creando anche nuovi posti di lavoro.

Nel 2011 il comune di Sant’Omero si è classificato settimo al campionato solare di Legambiente grazie, probabilmente, all’impianto da 6 Mw installato lungo il Salinello. A mio avviso quell’impianto è il classico esempio di ciò che non si deve fare perché, oltre all’impatto visivo, per i prossimi 20 anni, distruggerà il sottosuolo dell’intera collina rendendolo sterile. Non crede sia un controsenso? Il Comune di Sant’Omero si è iscritto ad una iniziativa promossa da Legambiente, che prevede, anno per anno, la formulazione di una graduatoria tra i comuni partecipanti, distinti per categorie. La classifica viene calcolata considerando il rapporto tra la popolazione residente nei territori comunali e le installazioni di pannelli solari, sia termici che fotovoltaici; lo scopo è quello di evidenziare le realtà comunali in cui le tecnologie rinnovabili, e in particolare solari, rispondono meglio al fabbisogno elettrico e termico delle famiglie e di premiare le migliori esperienza e politiche locali. La classifica è formulata seguendo dei criteri a con l’attribuzione di punteggi nei quali, proprio per gli impianti a terra è previsto un tetto massimo. Piuttosto è premiata la diffusione di pannelli solari termici, l’introduzione nel Regolamento Edilizio di misure ed incentivi per le rinnovabili. Penso perciò che l’ottimo piazzamento del Comune di Sant’Omero sia dovuto ad un insieme di valori e che l’impianto da 6 MW ha contribuito solo in parte. Alcune amministrazioni comunali stipulano dei contratti con le aziende installatrici rivendicando un diritto di royalities. Concedono il permesso ed in cambio fanno cassa per i progetti comuni. È un’iniziativa intelligente dal punto di vista economico, ma che si disinteressa completamente del problema ambientale. Come si può risolvere questa cosa? Proprio con il Patto dei Sindaci e attraverso la redazione dei Piani di Azione per l’Energia Sostenibile dei Comuni abbiamo messo in evidenza il grande ruolo che le Amministrazioni Locali possono svolgere per favorire


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la crescita del fotovoltaico, ma anche del solare termico, a livello delle famiglie e delle piccole e medie imprese. Io credo che nei prossimi anni i comuni dovranno sempre più dare il buon esempio e facilitare la realizzazione di piccoli impianti ad uso familiare facilitando, tra le altre cose, l’incrocio tra la domanda e l’offerta, farsi “garanti istituzionali” dei contratti di comodato d’uso dei tetti privati, tra le Società che sono in grado di realizzare gli impianti (e che beneficeranno per 20 anni dei contributi statali) ed i cittadini che potranno utilizzare a costo zero l’energia elettrica prodotta. Sarebbe, questa si, una grande operazione sociale ed economica. Più che un discorso di royalties penso che i comuni dovrebbero facilitare, in tutte le forme possibili, lo sviluppo del piccolo fotovoltaico e del solare termico tra tutte le famiglie, contribuendo ad abbattere barriere legate alla scarsa conoscenza ma anche barriere economiche. Ho saputo che il comune di Corropoli è stato l’unico, in Val Vibrata, a vietare l’installazione di impianti fotovoltaici a terra per incentivare l’installazione su tetti o in aree dismesse. Perché questa iniziativa intelligente non ha avuto la stessa risonanza dell’esperienza meno sensibile, alla tutela e alla salvaguardia del paesaggio, di Sant’Omero? Intanto mi permetta di dirle che io non qualifico la crescita del fotovoltaico nei comuni vibratiani, tra questi i comuni di Sant’Omero e Ancarano, come esperienze poco sensibili dal punto di vista ambientale. Indubbiamente l’occupazione del suolo agricolo ha evidenziato una problematicità, legata alla straordinaria crescita del fotovoltaico in tutto il Paese. Problematicità alla quale il legislatore nazionale ha dato risposte, dapprima normando in senso molto più restrittivo la possibilità di utilizzo dei suoli agricoli, e questo è avvenuto già un anno fa. Proprio poche settimane fa c’è stata la pubblicazione del Decreto Legge n. 1/2012 che all’art. 65 prevede “per gli impianti solari fotovoltaici con moduli collocati a terra in aree agricole, non è consentito l’accesso agli incentivi statali di cui al decreto legislativo

3 marzo 2011, n. 28”, dando tempo un anno per la realizzazione di quelli che hanno conseguito il titolo abilitativo alla data del 24 gennaio scorso. Per concludere, mi piacerebbe conoscere il suo pensiero in merito a questa mia riflessione. Relazionare il fotovoltaico al vino è molto interessante perché le considerazioni sull’esposizione del terreno che fa un viticoltore sono le stesse che fa un’azienda che installa pannelli fotovoltaici. In passato nel nostro territorio è stata riconosciuta l’unica DOCG della regione, il “Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane”. Qual è il suo pensiero in merito? Penso di avere risposto in parte in precedenza. Comunque, considerato che non è più consentito l’accesso agli incentivi statali per impianti a terra, penso che ci sarà una drastica diminuzione di queste tipologie di impianto sui suoli agricoli. Ma questo non significa che agricoltura e fotovoltaico non si incontreranno più, al contrario, c’è ancora molto da fare sulle strutture, sulle serre, sulle abitazioni. In un contesto in cui il fotovoltaico non va ad occupare aree vocate all’agricoltura, specie quella di qualità, resta aperto uno spazio comunque significativo per il fotovoltaico, che può addirittura costituire una vera e propria integrazione del reddito per tante aziende agricole.


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Potenza solare installata

Numero impianti

Impianti complessivi

Potenza complessiva

689

54 383 Kwp

Alba Adriatica

Ancarano

53

421

0,03

64

0,23

40

Martinsicuro 55

9971

Kwp per abitante

Kwp degli impianti

Fonte Gestore Servizi Energetici, novembre 2011.

Civitella del Tronto 3818

Colonnella

9708

5,05

47

Sant'Egidio alla Vibrata

Sant'Omero

496

0,09

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84

Nereto

Immagini alcuni degli impianti fotovoltaici a terra in Val Vibrata.

6633

0,70

0,67

58

3902

13 348

Controguerra 1,04

48

2,46

67

Corropoli

6356

2,55

45

1657

0,16

26

Tortoreto

748

0,15

Torano Nuovo 3325

1,96


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Ringrazio tutti coloro che mi hanno aiutato durante questo periodo, in particolare: Anna Basso Domenico Benucci Luigino Benucci Filippo Benucci Claudio Bertorelli Italo Bonvetti Centro culturale di Nereto Igino Chiuchiarelli Marco D’Annuntiis Gabriele Di Francesco Giacomo Di Giuseppe Bruno Di Lena Franco Esposito Fabrizio Fagnani Piero Farabollini Marcella Fiorà Fabrizio Frezzini Riccardo Loddo Manifattura del Seveso Scuola Blu Martinsicuro Stefano Massi Francesco Marconi Camillo Montori Pietrangelo Panichi Mauro Scarpantonio Dino Pepe Azienda Emidio Pepe Paolo Palma Elicio Romandini Pasquale Rasicci Leopoldo Saraceni

Caratteri utilizzati Akkurat bold Akkurat regular Publico semibold Stampa Marzo 2012 Eprinting, Treviso Immagini Ringrazio la Martintype di Colonnella per le foto delle case di terra, tratte da “Case di terra del Medio Adriatico”, volume pubblicato da Marte Editrice nel 2007.




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