Tesi magistrale di Andrea Meloni - Università di Genova - I viaggi di Alvise Cadamosto

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÁ DI LETTERE E FILOSOFIA SCIENZE GEOGRAFICO-AMBIENTALI E SISTEMI INFORMATIVI (G.I.S.) PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

ELABORATO FINALE

I VIAGGI DI ALVISE CADAMOSTO

Referente: Prof. Francesco Surdich Coreferente: Prof. ssa Gabriella Airaldi

Candidato: Andrea MELONI

ANNO ACCADEMICO 2012-2013


INTRODUZIONE Nel corso dell’XI secolo navi genovesi e pisane raggiunsero le coste algerine e la Reconquista portò nel 1139 alla nascita del Regno del Portogallo, il primo stato europeo che fece ripartire le esplorazioni nell’Atlantico e in seguito dette il via all’espansione coloniale. La barriera che ostacolava gli interessi europei verso l’Africa era l’Islam, che impediva l’utilizzazione del Mar Rosso, perciò si continuò a credere ci fossero terre inabitabili e acque invalicabili. Anche l’esistenza delle Canarie e di Madera era ignorata, in quanto si pensava che il viaggio nell’Oceano fosse quasi impossibile, e in queste condizioni non era certo sicuro circumnavigare l’Africa. Nel XIII secolo i naviganti del Mediterraneo cominciarono a solcare sempre più frequentemente le acque dell’Atlantico lungo le coste dell’Europa occidentale e, soltanto nella seconda metà di quel secolo, si sarebbe aggiunto il desiderio di esplorare il litorale dell’Africa occidentale e le acque antistanti quelle regioni avrebbero cominciato ad attrarre naviganti del Mediterraneo, specialmente quelli italiani. Grazie a questo nuovo impulso si ampliarono le conoscenze geografiche che diventarono più rilevanti nei secoli successivi, quando incominciarono a partecipare alle esplorazioni le popolazioni della penisola iberica e gli altri popoli europei più sviluppati, facilitati dallo sviluppo delle tecniche di navigazione. Uno degli strumenti che avrebbero favorito l'apertura di queste nuove rotte sarebbe stata la bussola inventata dai Cinesi circa mille anni prima e introdotto in Europa grazie agli Arabi, che divenne indispensabile per la navigazione in acque sconosciute: all’uso della bussola si devono i primi tentativi lungo le coste atlantiche dell’Africa, ma anche i progressi realizzati nelle acque antistanti l’Europa occidentale. Nella seconda metà di questo secolo compaiono anche le prime carte nautiche, molto utili per la navigazione nel Mediterraneo, ma prive di utilità sulle acque dell’Oceano Atlantico. Nel XIII secolo la nuova fase dell’espansionismo arabo con la riconquista di tutta la Terrasanta conobbe il suo culmine con la caduta dell’ultimo baluardo crociato di San Giovanni d’Acri nel 1291, andando a minacciare l’Impero Bizantino la cui eventuale caduta avrebbe interrotto le vie commerciali verso l’Oriente, oltre che minacciare l’Europa orientale. Nella Penisola Iberica invece con la Reconquista il dominio musulmano si stava riducendo per le successive perdite di diversi e ampli territori e il Portogallo, che nel 1150 raggiungeva il Tago, e che nel 1267 completò la sua espansione territoriale annettendosi l’Algarve, regione posta all’estremità sud-occidentale della Penisola Iberica, che rappresentava un importante punto strategico per l’esplorazione nell’Atlantico. Gli ostacoli presenti per chi volesse intraprendere questa via riguardavano anche le condizioni ambientali: c’era infatti la convinzione di dover navigare in acque pericolose, con litorali aridi e abitati da popolazioni ostili. Nel XII-XIII secolo il comune di Genova si stava trasformando nella Repubblica di Genova e

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getatva le basi per la sua espansione commerciale e territoriale, con il Trattato di Ninfeo firmato dal Capitano del Popolo Simon Boccanegra nel 1261 con l’imperatore bizantino Michele VIII Paleologo i genovesi ebbero il controllo del Mediterraneo orientale fino alla caduta dell’Impero Bizantino, nel 1284 con la battaglia della Meloria contro Pisa la Superba cominciò il suo espansionismo territoriale al di fuori della Liguria che portò nel 1298 alla battaglia di Curzola contro Venezia, questo unico scontro rilevante tra due potenze marinare non ebbe alcun vincitore e l’espansionismo genovese nel Mediterraneo non venne fermato, infine nel 1339 Simon Boccanegra venne acclamato pro Doge con la carica a vita, con questo fatto Genova aveva gettato le basi per il suo dominio nel Mediterraneo. Inoltre durante il XIII-XIV secolo si tentò un’alleanza tra Cristiani e Mongoli con lo scopo di aprire i commerci europei e con in funziona antislamica, dopo la celebre spedizione del veneziano Marco Polo in Cina dove rimase alla corte del Gran Khan per 17 anni, il suo viaggio venne descritto in prigionia a Genova sul celebre Milione nel 1298-1299 assieme al letterato Rustichello da Pisa dopo che era stato catturato dai genovesi nella battaglia di Curzola nel 1298. Anche i genovesi contribuirono ad allacciare i rapporti tra Occidente e l’Estremo Oriente, come Andalò da Savignone, forse originario del piccolo centro nell’Appennino ligure, su Andalò le informazioni sulla sua vita sono frammentarie, ma nel 1330 era a Pechino alla corte del Gran Khan, nel 1333 il nuovo Gran Khan Toghun Temür lo inviò alla corte di papa Benedetto XII ad Avignone per nominare il nuovo vescovo di Pechino, a causa della morte del primo vescovo in Cina, il campano Giovanni da Montecorvino, nominato arcivescovo da papa Clemente V nel 1309 e morto nel 1328. Nello stesso periodo non era impossibile incontrare mercanti italiani, in gran parte genovesi in Turkestan, a Zaitun davanti all’isola di Formosa e anche a Quilon, dove forse era stata anche costruita una chiesa latina dedicata a San Giorgio. Nella seconda meta del XIV secolo un mercante genovese a Cipro affermò di essere stato in India per cinquant’anni. Invece le conoscenze dell’epoca sull’oceano Atlantico erano ancora scarse e ncora a metà del XIII secolo nulla si sapeva di preciso sulle Canarie, ma nel 1291 i fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi, partiti da Genova con l’idea di circumnavigare l’Africa, toccarono forse queste isole, facendo poi perdere le loro tracce. Il 1° febbraio 1317 re Dionigi di Portogallo nominò il lavagnese Manuele Pessagno, almirante maggiore della sua flotta e direttore delle costruzioni navali. Egli era un abile diplomatico, oltre ad essere un ottimo marinaio e anche un eccellente conoscitore dell’arte navale e della cartografia dell’epoca, era anche un ottimo mercante specializzato nel traffico con l’Inghilterra e le Fiandre, con le quali commerciava da più di dieci anni; Il Pessagno giurò fedeltà per sé e i suoi successori a re Dionigi, impegnandosi a mettere a disposizione del sovrano, in qualsiasi circostanza, venti cittadini genovesi sabedores de mar, cioè abili nella costruzione e nel governo delle navi. Egli ricoprì anche la carica di diplomatico alla corte di Edoardo II d'Inghilterra; nello stesso periodo la comunità genovese a Lisbona si stabilì nel quartiere di Chiado. Uno dei collaboratori del Pessagno potrebbe essere stato proprio Lancellotto Maloncello, che si era trasferito ancora giovane in Portogallo. Tra il 1325 e il 1339 durante il regno di Alfonso IV del Portogallo, il navigatore scoprì l’isola chiamata dai Guanci Titeroygatra, che in seguito prese il nome di Lanzarote, dove costruì un forte a Montaña de Guanapay come base nelle isole, vicino all’odierno centro abitato di Teguise, nella parte nord-orientale dell’isola. 2


Nel luglio del 1341 il genovese Nicoloso Da Recco, insieme al fiorentino Angiolino del Tegghia dei Corbizzi, per incarico di Alfonso IV di Portogallo, raggiunse le cosiddette Isole ritrovate, probabilmente le isole Canarie. Di tale viaggio restano le notizie tramandateci dal Boccaccio sul Zibaldone Magliabechiano, un’opera minore del Bocaccio. Le notizia sulla sua vita sono molto frammentarie e probabilmente nacque a Genova da famiglia recchese nel 1326 e forse morì molto probabilmente il 20 novembre 1364, come indica una lapide andata perduta citata da un erudito settecentesco (D. Piaggio, Epitaphia, sepulcra et inscriptiones cum stemmatibus, marmorea et lapidea, existentibus in ecclesiis genuensibus, 1720: Genova, Civica Biblioteca Berio, mr. V, 4, 1, c. 255). Nel 1368 un mercante genovese Galeotto Adorno si recò in Cina con 800 sommi d’argento e raccontò al suo ritorno in patria di aver raccolto a Pechino i beni di un mercante piacentino, Luchino Malrasi, morto in quella città che si era recato nel 1363 assieme ad altri tre mercanti in Estremo Oriente. Nel 1402 le Canarie furono occupate dal francese Jean de Béthencourt, per conto del re di Castiglia, che era partito con tre navi da La Rochelle sulla costa atlantica francese, ma l’occupazione definitiva di esse avvenne nel dicembre del 1496 con la seconda battaglia di Acentejo, grazie al conquistadores Alonso Fernández de Lugo. La causa principale della lenta occupazione delle isole furono le ribellioni dei nativi e quindi l’occupazione definitiva avvenne solo quattro anni dopo la fine della Reconquista con la conquista del Sultanato di Granada, ultimo lembo della presenza moresca nella Penisola Iberica. In contemporanea il Portogallo, grazie a Enrico il Navigatore, figlio del re Giovanni I d’Aviz, diede l’avvio all’espansione portoghese e alle navigazioni atlantiche e nel 1415 con il padre e i fratelli Edoardo e Pietro, a soli vent’anni, prese parte alla conquista portoghese di Ceuta e, sempre grazie al suo impulso, i Portoghesi riscoprirono e occuparono Madera, grazie a João Gonçalves Zarco e Tristão Vaz Teixeira nel 1419. Le isole Azzorre vennero invece scoperte nel 1427 da Gonçalo Velho, uno dei capitani di Enrico il Navigatore e divennero possedimento portoghese cinque anni dopo. Ma in questo contesto il genovese Antonio da Noli nel 1449, dopo esser diventato capitano di mare, assieme al fratello Bartolomeo e al nipote Raffaele il Portogallo con tre galee per ottenere l'appoggio di Enrico il Navigatore e tra il 1456 e il 1460 navigò nell'Oceano Atlantico spingendosi ad esplorare le Isole Bijagos o Bissagos, il fiume Gambia e le isole del Capo Verde, delle quali, secondo alcuni, in atto portoghese di donazione datato 3 dicembre 1460, che fu il vero scopritore. navigò nello stesso periodo con Alvise Cadamosto e questo nei secoli ha determinato un'incertezza sull'attribuzione della scoperta. All’epoca di Alvise Cadamosto, pur non essendo ancora del tutto completata la Reconquista nella penisola iberica, erano già diventati possedimenti portoghesi le Azzorre e Madera ed era in fase di completamento l’occupazione delle Canarie da parte del re di Castiglia: tutti questi fattori avrebbero garantito dei caposaldi sicuri alla navigazione verso l’Africa occidentale. Quindi Alvise Cadamosto, grazie alle sue scoperte delle isole di Capo Verde, della Guinea-Bissau e delle isole Bissagos, si inserisce in un importante periodo di transizione, che porterà alla futura esplorazione ed espansione portoghese.

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Il Cadamosto ha influenzato molto la cartografia dell'epoca,. Infatti il monaco camaldolese Fra Mauro utilizzò una carta di viaggi del navigatore per la compilazione del suo cosmografo dedicato ai paesi africani visitati e descritti da Alvise: il suo mappamondo compilato assieme al comandante veneziano Andrea Bianco, fornisce invece poche informazioni sull’Africa, malgrado a quell’epoca i Portoghesi fossero arrivati fino in Congo, ma ripudia già la nozione tolemaica dell'Oceano Indiano come un mare chiuso e disegna l’Oceano a sud del continente africano. L’influenza di Alvise Cadamosto è stata determinante per la futura esplorazione e colonizzazione del continente americano, dato che le sue conoscenze furono utilizzate da esploratori al servizio delle monarchie che si affacciavano sull’Atlantico, come Cristoforo Colombo, i fratelli Giovanni e Sebastiano Caboto e Amerigo Vespucci, i quali portarono all’esplorazione e alla conoscenza del Nuovo Mondo. Già nel 1466 venne utilizzata dal cartografo anconetano Grazioso Benincasa, che realizzò molti portolani e molte carte del Mediterraneo e della costa occidentale africana sono presenti le iscole di Capo Verde con il nome dato dal Cadamosto.

Fig. 1: La “Carta Genovese” del 1457, Biblioteca Nazionale, Firenze.

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Fig. 2: Planisfero di Fra Mauro, 1450 circa, Biblioteca Marciana, Venezia.

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BIOGRAFIA Alvise Cadamosto nacque a Venezia, forse nel 1432, da Giovanni Da Mosto e Giovanna Querini, che si erano qui sposati nel 1428. La famiglia Da Mosto era originaria di Lodi, da dove si era trasferita nel 1297 e con la Serrata del Maggior Consiglio era entrato a far parte del patriziato veneto. L’anno della sua nascita è controverso; il 1432 si desume dalla sua Relazione e dalla testimonianza resa dal padre nel 1450 per l’iscrizione dei figli alla “balla d’oro” che attestava il compimento del diciottesimo anno d’età di Alvise. L’altra presunta data di nascita è il 1426, desunta dal fatto che nel 1451 avrebbe dovuto compiere 25 anni per entrare nel Maggior Consiglio; ma, essendo certa la data del matrimonio dei genitori nel 1428 e non essendo verificabile il 1426, è accettato con sufficiente sicurezza il 1432. L’infanzia di Alvise fu particolarmente difficile, sia per la perdita della madre che lo lasciò con altri cinque fratelli nel 1440, sia per la mancanza accanto a sé del padre che, ricoprendo la carica di Camerlengo de Comùn della città di Verona, si occupava di riscossione e di redistribuzione delle entrate per la Serenissima durante gli eventi bellici che portarono alla perdita e alla riconquista della Città da parte del Granducato di Milano. Ma, anche quando il padre tornò a Venezia, le cose peggiorarono perché dovette ricoprire alcune cariche pubbliche, e mai più a causa del suo particolare carattere, si ritrovò coinvolto in situazioni che peggiorarono l’ambiente familiare e la situazione economica. Dal 1442 al 1448 Alvise si interessò, assieme al fratello Andrea, agli affari dell’azienda del mercante Andrea Barbarigo1. Il 26 luglio 1451 Alvise fu eletto nobile balestriere sulle galere grosse di Alessandria, dopo aver sostenuto un esame all’Arsenale sul tiro delle balestre, e il 6 settembre partì su di esse al comando di Alvise Contarini. Dopo essere tornato a Venezia il 24 aprile 1452, venne eletto balestriere sulle Galere di Fiandra comandate da Stefano Trevisan, che partirono a metà giugno e tornarono dopo un anno. Rientrato a casa nel 1453, Alvise trovò il padre coinvolto in una intricata questione di furti ai danni di Francesco Bembo, capitano dell'Armata del Po, e per questo venne esiliato dalla Repubblica, rifugiandosi prima a Pordenone e poi nel Ducato di Modena.

1 Andrea Barbarigo era un mercante veneziano, figlio di Nicolò, mercante andato in fallimento per il naufragio di una sua galea nel 1417 presso l’isola di Ulbo nel golfo del Quarnero con l’accusa di aver omesso di soccorrere l’equipaggio. Dal suo capitale iniziale di duecento ducati, ricevuti dalla madre Cristina nel 1417, nel 1442 il Barbarigo aveva costruito un vero e proprio impero commerciale, nel 1442 aveva un giro d’affari tra Londra e l’Egitto e svolgeva accordi commerciali per i Medici di Firenze e i Balbi di Genova. Quando e morì nel 1449 lasciò una fortuna di diecimila ducati.

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A questo punto lo zio Bartolomeo, invece di aiutare i giovani nipoti, approfittò della situazione per appropriarsi dei loro averi a Torre di Mosto, dove la sua famiglia aveva ricostruito il paese e possedeva proprietà terriere. Tutte queste incresciose vicende segnarono la prima parte della sua Relazione, dalla quale si percepisce il desiderio di uscire da questa situazione di disagio e di crearsi una propria esistenza con il proprio ingegno e il proprio lavoro. Perciò Alvise e suo fratello Antonio designarono procuratore per i propri affari il fratello Pietro e partirono per le Fiandre al comando del cavaliere Marco Zen nell’agosto del 1454. Il Cadamosto ci racconta questo all’inizio del resoconto della prima navigazione 2: “Atrovandome adoncha io, Alvise da cha ‘Da Mosto, in la nostra citade Venexia anno Domini 1454, essendo de etade cercha xxiii anni, havendo navigato in algune parte de questi nostri mari mediterani per avanti, mi havea determinato de voler tornar in Fiandra, dove una altra volta giera stato; e questo a fine di guadagnar alguna cossa, perché tuto el penser mio in esso tempo era di travagiarmi per ogni via possibille per aquistar alguna facultade e tandem venir ad alguna perfecione de honore. Et havendo deliberato de andarmene, como ho dito, mi missi in ponto con quelli pochi denari che a quel tempo mi trovava, e montai sopra le galie nostre de Fiandra, capitaneo miser Marcho Zenel el cavalier; […]” (p. 11) A causa dei venti contrari, il convoglio dovette sostare a Capo San Vincenzo all’estremità sudoccidentale del Regno di Portogallo e non lontano dal luogo di ritiro di Enrico il Navigatore, che si mostrò molto interessato alle mercanzie provenienti dai paesi appena scoperti e accettò quindi di finanziare la sua esplorazione della costa occidentale africana in cambio della sua lealtà alla corona lusitana. Nel marzo del 1455 partì da Capo San Vincenzo per la sua prima spedizione lungo le coste atlantiche, toccando Madera e le isole Canarie, Capo Bianco e la foce del fiume Senegal, che chiamò Rio do Senega. Alla foce di questo fiume incontrò la spedizione portoghese comandata da Antoniotto Usodimare con il quale decise di formare un unico convoglio Antoniotto Usodimare era un commerciante genovese, a causa del cattivo andamento dei suoi affari era espatriato prima a Siviglia e poi a Lisbona, dove nel 1455 aveva ricevuto il comando di una spedizione lungo le coste africane da parte di Enrico il Navigatore, durante il suo viaggio incontrò il Cadamosto. Nel viaggio di ritorno Cadamosto toccò assieme a Usodimare Capo Verde, il Senegal e il Gambia, ma l’ostilità delle popolazioni indigene e la stanchezza degli equipaggi li costrinsero a tornare in Portogallo, dove giunsero nel dicembre dello stesso anno.

2 Tutte le citazioni di passi sulle sulle relazioni del Cadamosto sono state tratte dal edizione curata di queste cronacahe da Tullia Gasparrini Leporace, Il Le Navigazioni atlantiche del veneziano Alvise Ca' da Mosto, IPZS, Roma, 1966 e si concludono con l'indicazione della pagina citata.

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Nel 1456 Cadamosto, sempre insieme ad Antoniotto Usodimare, ritentò l’impresa giungendo nuovamente fino al fiume Gambia risalì per circa 100 km, per proseguire poi fino alle isole Bissagos e scoprire alcune isole orientali di Capo Verde. Ritornato in Portogallo Alvise visse quindi sei o sette anni a Lagos nell’Algarve e, per alcuni di questi, ebbe vicino il fratello Antonio, il quale ricoprì la carica di console della Repubblica di Venezia a Siviglia. In questi anni egli si occupò probabilmente di commercio e di spedizioni africane, anche se non vi partecipò, dal momento che, a causa della guerra con il Marocco per mantenere il controllo portoghese di Ceuta, Ksar El Kebir e Tangeri, erano state sospese. Nel 1463 o 1464 Alvise lasciò il Portogallo per tornare a Venezia, commercio e di vita politica e civile ricoprendo varie cariche. Nel Quarantia Civile, il Tribunale Supremo della Serenissima e l’anno avvocato per le Corti di Palazzo. In seguito entrò nell’Ufficio della venne eletto Uditor novo delle sentenze.

dove riprese ad occuparsi di 1465 entrò a far parte della seguente venne eletto prima Messetteria e due anni dopo

A causa delle preoccupazioni dovute all’amministrazione del patrimonio familiare, soprattutto dopo la morte del padre, avvenuta alla fine del 1467, non riuscì a trovare tranquillità e serenità neppure con il matrimonio con Elisabetta Venier, avvenuto nel 1466, che morì, senza lasciare figli, dopo dieci anni. In quel periodo continuava l’avanzata dei Turchi nei Balcani e Venezia si interessò a quelle popolazioni che chiedevano protezione e aiuto alla Serenissima, per cui venne quindi designato Oratore Straordinario presso il duca di Santa Sava, Vladislav Hercegović, che regnava sull’Erzegovina. Finita la missione in Erzegovina, ricevette alcuni incarichi nell’estrema roccaforte veneziana di Cattaro, dove divenne Provveditore della Serenissima e in seguito si recò, sempre con le stesse funzioni, nei possedimenti veneziani della Morea in Grecia. Nel settembre del 1479 ottenne il permesso di rientrare in patria per motivi di salute e venne nominato Savio per provvedere agli interessi degli Scutarini e degli Albanesi rifugiatisi a Venezia dopo l’occupazione turca. Nell’agosto del 1481 si imbarcò per l’ultima volta come capitano delle galere armate per il commercio con Alessandria d’Egitto. Nel 1482 ritornò a Venezia e venne eletto Provveditore alle Biave dal Maggior Consiglio, occupandosi dell’approvvigionamento delle granaglie in città. Nel giugno dell’anno successivo gli fu affidato l’incarico di recarsi a Rovigo, occupata dai Veneziani l’anno precedente durante la Guerra del sale contro gli Estensi, per riscuotere le rendite dei terreni confiscati, ma improvvisamente morì mentre si trovava nel Polesine intento nella sua missione.

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Fig. 6: Immagine della Ca' da Mosto a Venezia sul Canal Grande nel sestiere di Cannaregio, costruita forse prima del XIII secolo è la casa natale di molti membri della famiglia Da Mosto.

Fig. 7: Particolare della carta dei fratelli Pizzigani del 1367.

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Fig. 8: Particolare della carta di Grazioso Benincasa del 1476, notare la presenza dell’isola leggendaria di Antilio o Antilia.

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Fig. 9: Portolano di Grazioso Benincasa del 1482 conservato all'UniversitĂ di Bologna.

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I VIAGGI DI ALVISE CADAMOSTO

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PRIMA NAVIGAZIONE (1455) Nella seconda metà del 1454, Alvise Cadamosto ebbe un colloquio con il principe Enrico il Navigatore, il quale gli propose di associarlo ad uno dei suoi viaggi, soprattutto perché veneziano e quindi esperto conoscitore di spezie, oltre che un buon navigatore e quindi adatto all’esplorazione e alla futura colonizzazione delle costa occidentale dell’Africa, dove da qualche decennio il Portogallo aveva incominciato a estendere le sue nuove mire espansionistiche. Il 22 marzo 1455 Alvise Cadamosto partì da Capo San Vincenzo, situato all’estremità sud-ovest del Portogallo, con una caravella nuova di 45 tonnellate di proprietà di Vincente Dias, nativo di Lagos, località dell’Algarve. La caravella era armata dal principe ed era carica di merci da barattare che acquistò, probabilmente a credito sulle galere. Partì con il vento da nord-est (grecale) e da nord (tramontana), navigando verso l’isola di Madera, riscoperta dai Portoghesi nel 1419 come ci racconta in questo modo: “Essendo io rimaso al Cavo San Vizenzo nel modo sopradito, il dito signor mostrò haver grande apiacer del mio romagnir e mi fece festa asai; e da poi e molti zorni me fece armar una caravella de portada zercha bote 90, nova, del qual giera patron uno Vinzente Dies, natural de Lagus, ch’è un logo apreso Cavo San Vizenzo a milia 16. E fornita de tute cosse necessarie al viazo nostro, con el nome de Dio e in bona ventura partissemo dal sopradito Cavo San Vizenzo a dì 22 marzo 1455, con vento grieco e tramontana in pope, drizando il nostro camin verso l’isola de Medera, andando a la quarta de garbin verso ponente a via drita” (p. 5). Dopo tre giorni di navigazione, raggiunse l’isola di Porto Santo, distante circa 40 km dall’isola di Madera, facente parte del suo arcipelago, che descrisse definendola molto piccola: la sua scoperta che risaliva al 1419 quando venne raggiunta da Bartolomeo Perestrello (1395-1457) assieme a João Gonçalves Zarco (1390-1471) e Tristão Vaz Teixeira (1395-1480), capitani di Enrico il Navigatore. All’epoca del suo arrivo, era governata da Bartolomeo Perestrello, esploratore portoghese di origine piacentina, che ne ricevette l’amministrazione e la colonizzazione come premio per il successo della sua spedizione. Una delle sue figlie, Filipa Moniz, nel 1480 avrebbe sposato Cristoforo Colombo, da cui ebbe un figlio, Diego. Cadamosto descrisse l’isola di Porto Santo ricca di frumento e biada per l’uso interno, abbondante di bovini, maiali selvatici e conigli; vi trovò anche un particolare tipo di resina gommosa, il Sangue di Drago, prodotto dalla corteccia e dalle foglie dell’albero del drago (Dracaena draco), descrivendone il processo dalla corteccia alla produzione della resina e definì il suo frutto simile alle ciliegie, ma di colore giallo, che maturava nel mese di marzo ed era ottimo da mangiare. Inoltre trovò un ottimo miele e cera, anche se quest’ultima, non era presente in grandi quantità. Intorno all’isola, Cadamosto trovò il mare ricco di dentici, orate e altri pesci che definì ottimi. Constatò anche che l’isola aveva solo un porto riparato da quasi tutti i venti, salvo che da quelli provenienti da sud, ma rimaneva pur sempre un buon luogo dove attraccare. La chiamarono Porto Santo, perché fu scoperta dai Portoghesi il 1° novembre 1419, giorno di Ognissanti. Il 27 marzo 1455 ripartì alla volta di Madera, giungendo nello stesso giorno a Machico, che era

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stato da poco fondato, nella parte nord-est dell’isola. Grazie al bel tempo riuscì anche a scorgere l’isola di Porto Santo, come afferma nella sua descrizione: “Da poi, di 27 marzo, partissimo da la dita ixola de Porto Sacto, e in medemo zorno zonzessemo a Moncicho, ch’è uno di porti de l’ixola de Medera; la quale ixola è distante da quella de Porto Sancto melia 40, e vedesse con tempo chiaro l’una dall’altra” (p. 15). Cadamosto ci narra la scoperta di Madera avvenuta nel 1419 ad opera dei Portoghesi; quando vi sbarcò era governata da Tristão Vaz Teixeira e da João Gonçalves Zarco, scopritori dell’isola. Menziona l’origine del toponimo dell’isola, dal portoghese Ilha da Madeira, che significa isola del legno, dato che era completamente ricoperta da ricche foreste, senza un palmo di terra libero dalla vegetazione, per cui fu necessario bruciarne una parte per renderla abitabile; ma il fuoco arse per troppo tempo e costrinse gli abitanti, compreso João Gonçalves Zarco e la sua famiglia, a rifugiarsi in mare, dove stettero due giorni e due notti senza mangiare e bere, altrimenti sarebbero morti. Spento l’incendio, disboscarono l’isola facendone terra da lavorare. Cadamosto descrisse l’isola con i suoi quattro villaggi principali: Machico, Funchal, Santa Cruz e Câmara de Lobos con circa ottocento uomini in tutto, tra cui un centinaio che possedevano un cavallo. L’isola, secondo Cadamosto, non aveva un porto sicuro, ma erano presenti luoghi protetti per l’ancoraggio. La paragona alla Sicilia per la montuosità e la fertilità del territorio, che produceva circa trentamila staie di frumento, ma con la produttività dei terreni in diminuzione a causa dell’intensività dei raccolti. La presenza da sei a otto torrenti non molto grandi nell’isola, oltre alla ricchezza d’acqua, permetteva la lavorazione del legname lungo le loro sponde, che forniva sia la madrepatria che altri luoghi. Il legname era di cedro da cui si ricavavano tavole larghe e lunghe, che avevano l’odore simile al cipresso e di tasso, le cui tavole erano di color rosa-rosso da cui si producevano archi e fusti da balestra. Grazie all’abbondante presenza di acque, il Governatore João Gonçalves Zarco fece impiantare canne da zucchero dalle quali si estraeva zucchero in quantità e, data l’ottima qualità delle stesse, pensò che la coltivazione sarebbe notevolmente aumentata grazie all’ottimo clima. La produzione di vino locale, ricavato da uve malvasia, era ottimo sia come qualità che come quantità, ed era anch’esso esportato in madrepatria. Nell’isola erano presenti pavoni, pernici e quaglie e, prima del suo arrivo erano presenti anche colombi, che vennero cacciati fino alla scomparsa. A Madera all’epoca si trovavano numerosi monasteri, tutti gestiti dai Francescani. Partì dunque dall’isola di Madera per le isole Canarie, dieci in tutto, di cui le sette maggiori abitate (Lanzarote, Fuerteventera, Gran Canaria, Tenerife, La Gomera, El Hierro, La Palma) e le tre minori disabitate, quest’ultime facenti parte dell’Arcipelago Chinijo. Delle sette abitate, Cadamosto ci specificava che quattro erano abitate dai Cristiani e quindi già 14


parte del Regno di Castiglia e tre ancora abitate dai Guanci, un popolo animista che, all’epoca dell’arrivo degli Spagnoli, viveva ancora nelle caverne delle diverse isole. Cadamosto specificava che le isole già conquistate dal re di Castiglia erano governate da Diego de Herrera (1417-1485), nativo di Siviglia che governava dal 1444 per conto dei Re cattolici: durante il suo governo nel 1476, sarebbero entrate a far parte dei domini castigliani come afferma: “Partissimo da la sopradita ixola de Medera, seguendo nostro camino tuta via per ostro; pervegnessero a l’ixole de Canaria, che sono distante da l’ixola de Medera al più presto milia 320. Queste ixole de Canaria sono dexe; zoè sette habitade, tre dessabitade. Le habitade sono queste: la prima à nome Lanzaroto, la seconda si è Forte Ventura, la terza Gran Canaria, la quarta Teneriffe, la quinta Gomera, la sesta La Palma, la septima El Ferro; notando che de queste sette ixole, le 4 sono habitade da christiani: zoè Lanzaroto, Forte Ventura, La Gomera, El Ferro; le altre tre sono de idolatri. El signor de tute queste ixole habitade da christiani si à nome Ferera, zentilhomo e cavalier de cità de Sibilia, et è sozeto al re de Spagna” (p.18). Egli descrive anche l’alimentazione dei coloni spagnoli a base di orzo, pane di orzo, carne e molto latte, grazie all’allevamento delle capre. Il vino e il frumento venivano importati dalla madrepatria; le isole avevano pochi frutti, ma tutto il resto non mancava. Nell’isola di Hierro erano presenti coppie di asini selvatici. Nel 1341 le stesse le isole furono esplorate dal recchese Nicoloso da Recco per conto del re Alfonso IV del Portogallo, ma l’occupazione e l’esplorazione portoghese non ebbe seguito e i portoghesi si concentrarono sui forti sulla costa africana e sull’occupazione delle Azzorre e di Madera. Cadamosto ci descrive molto bene l’estrazione dell’Oricello, una sostanza colorata estratta dai licheni della specie Roccella tinctoria, prodotta dalla fermentazione dei licheni e che produceva un colorante di colore rosso (rosso oricello), usato nelle isole per tingere pezze di lana che venivano portate a Cadice, dove avveniva la parte finale della lavorazione e trasformata in cordami di diverse dimensioni. Delle altre tre isole all’epoca abitate ancora dai Guanci, Gran Canaria e Tenerife erano molto popolose, mentre La Palma era quasi disabitata, ma bellissima da vedere. Tenerife, la più abitata e la più montuosa, con il suo vulcano attivo del Pico del Teide (3.718 m), era visibile dai marinai a più di 250 miglia di distanza. In quest’isola c’erano nove capitribù, in lotta fra loro che non avevano altre armi che pietre e massi, che usavano come dardi. Alcuni, non avendo nessuna arma, utilizzavano un corno aguzzo per difendersi. Cadamosto descrive i Guanci quasi sempre nudi e solo alcuni indossavano vestiti di pelle di capra o di fibre tessili; essi ungevano le loro pelli con il grasso animale mescolato con l’estratto di alcune erbe per difendersi dal freddo, anche se nelle isole quest’ultimo non era eccessivo. Vivevano in grotte o caverne, nutrendosi di orzo e di carne di capra, che avevano in abbondanza, latte e alcuni frutti, specialmente fichi come descrive il Cadamosto: “In questa isola [Tenerife] fra loro hano de novi segnori, chiamati duci: non sono segnori per natura, che sucieda il fiolo dapo’ el padre, ma chi puol più è signore. Questi fra loro hano a le volte guera e amazasse como bestie; perché non hano altre arme salvo piere e maze, de le qual

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maze ne fano a forma de dardi, e alguni ge meteno uno corno aguto in luogo de fero, e con quello offendeno. Perché non hano fero né arme. E vano sempre nudi, salvo che alguni pur se meteno algune pelle de cavra, l’una davanti, l’altra de drieto, e onzese la carne de sevo de bechi composto con sugo de algune loro herbe, che quelle ingrossa la pelle e deffendesse dal fredo; benché pocho fredo regna in quella parte, per esser verso l’ostro. Non hano casse né de muro né de palia, stano in grote o caverne de montagne” (p. 20). Essendo delle isole molto calde, nei mesi di marzo-aprile si potevano già raccogliere le messi. Gli abitanti delle quattro isole colonizzate, mandavano in Spagna alcuni Guanci che venivano venduti come schiavi. Cadamosto ci descrive anche le cerimonie guance in onore dei capitribù, che prevedevano pure sacrifici umani in loro onore. Partito dalle Canarie, navigò verso sud, raggiungendo in pochi giorni Capo Bianco, distante dalle Canarie circa 770 miglia, descrivendone anche la vicina Baia di Arguin e il forte portoghese dell’isola di Arguin, eretto da Enrico il Navigatore per la tratta degli schiavi nel 1445 presso la costa dell’attuale Mauritania, dove però Cadamosto non sostò “E per seguir nostro viazo partissimo da queste ixole, navigando tuta via per ostro veso l’Ethiopia; pervegnino in pochi zorni al cavo che se disse el Cavo Bianco, ch’è distante da queste ixole de Canaria da milia 770. È da notar che partandose da le dite ixole per venir verso el dito Cavo el se vien scorendo verso la costa de l’Africa, che andando per ostro, vien a romagnir a man sinistra; benchè lo homo scora largo non ha vista de terra, perché le dite ixole de Canaria sono fora de la dita costa, in mar verso el ponente, una via fora de l’altra Così va l’omo scorendo largo da terra, finchè l’à passado i do terzi del camin ch’è da le dite ixole al dito cavo, e poi se strenze a man zancha con la costa, fina a haver vista de terra, per non scorer el dito Cavo Biancho senza recognoscerlo; perché oltra el dito cavo non se vede tera alguna fina a un gran camin più avanti perché se mete la costa dentro al dito cavo e fase uno colfo, che se chiama la Forna de Argim: el quale nome de Argim deriva da una ixoletta ch’è messa nel dito colfo, la quale viene chiamata Argim per quelli del paese e intra el dito colfo dentro più de 50 milia” (p. 23). Cadamosto afferma che la costruzione del forte portoghese era stata fatta per difendere la baia, oltre che per avere un punto di commercio anche con i mercanti arabi, i quali vendevano molti cavalli barbareschi e anche del loro commercio di schiavi che arrivava fino alle coste del Mediterraneo grazie alle piste carovaniere. Cadamosto navigò nei pressi della costa mauritana descrivendo le isole vicine ad Arguin, scoperte anch’esse dai Portoghesi nel 1441, dove erano presenti molti uccelli marini. Descrisse l’origine del toponimo Capo Bianco, chiamato così dai Portoghesi, in quanto privo completamente di vegetazione alcuna, e che quindi rendeva visibile l’arenaria, dando un colore bianco al promontorio. La costa mauritana venne descritta da Cadamosto molto pescosa, mentre la terraferma era povera d’acqua e la navigazione era possibile solo di giorno. Inoltre ci menziona le carovane dei berberi che da Timbuctù e da altri luoghi raggiungevano la costa mauritana, nutrendosi di solo latte di cammello e di carne di capra e di vacca. Cadamosto ci ricorda pure che, durante questo tratto del suo viaggio, trovò anche qualche leopardo

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dell’Adrar, che scambiò per dei leoni, leopardi e struzzi dei quali mangiò le uova che trovò squisite. Egli afferma che i primi abitanti cristiani che incontrarono i Berberi della Mauritania furono i Portoghesi che, dopo aver fatto guerra per rendere sicura la navigazione nella zona, avevano catturato molti di loro vendendoli come schiavi in Portogallo. Nella sua descrizione nei pressi della costa mauritana, ci scrive che il sale proveniva dall’Impero del Mali, ed era estratto dalle miniere di Taoudeni, distanti circa settanta giorni a cavallo ed esso era usato anche come medicina, mescolato con acqua e bevuto ogni giorno. Il sale veniva trasportato sia in grossi pezzi a piedi che con i cammelli; i negri, dopo aver messo un segno di riconoscimento sul sale trasportato, tornavano indietro e scambiavano le tavole di sale con altre popolazioni nere del bacino del Mali. Inoltre afferma che i Berberi mauritani non battevano alcuna moneta e non l’avevano nemmeno mai usata: utilizzavano il baratto e, in alcuni casi, i Cauri, conchiglie bianche della specie delle Cipree del genere Monetaria che provenivano dall’Oceano Indiano, come affermato in seguito anche da Filippo Pigafetta nella sua Relatione del Reame del Congo e delle circonvicine contrade del 1591 redatta grazie ai resoconti delle scoperte del portoghese Duarte Lopes, ci racconta che attraverso le carovane e i commerci queste conchiglie raggiungevano anche Venezia. I Berberi non avevano armi e si difendevano solo con uno scudo di legno o cuoio e una lancia lunga e sottile con un’asta molto leggera; possedevano pochi cavalli sia per l’aridità del territorio e il caldo, sia perché era un animale riservato alle persone più importanti. Un’ampia descrizione viene fatta anche delle locuste e dei danni provocati dal loro passaggio. Dopo aver lasciato la costa nei pressi di Capo Bianco, navigando a vista, raggiunse il fiume Senegal che chiamò Rio do Senega, al confine tra gli odierni Mauritania e Senegal. Egli ci descrive la zona deltizia del fiume Senegal, che attraversa un territorio arido, ricco di acquitrini e laghi, con i numerosi bracci e isole lacustri presenti solo nel periodo di piena come sono descritte nel suo manoscritto: “Dapoi che passiamo el dito Cavo Biancho, a vista de esso navigamo per nostre zornade, e vegnemo al fiume dito Rio de Senega, ch’è el primo fiume de’ terre de’ Negri, intrando per quella costa. El qual fiume parte li Negri da li Beretini diti Azanegi, e parte etiam la terra secha e arida, che è el deserto predito, de la terra fertile, ch’è el paexe di Negri. El qual fiume è largo e grande in bocha più de un milio e fa anchòra un’altra bocha nel dito fiume un pocho più avanti, fazendosse una ixola in mezzo e vien a meter cavo in mar per doe boche; e el dito fiume sopra cadauna delle due boche fa banchi e schagni che sono largi da le doe boche in mar forsi un milio. “ (p. 39) Cadamosto successivamente ci parla dell’Impero Wolof che comprendeva una parte dell’odierno Senegal e che al suo arrivo si trovavano sotto dominio dell’imperatore N'Dyelen Mbey Leeyti, che viene citato nella descrizione. Egli afferma che, a differenza dei monarchi cristiani, questo imperatore non aveva possedimenti, ma viveva di quello che gli veniva offerto dai suoi sudditi che gli fornivano bestiame, cavalli e mangime.

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L’imperatore Wolof aveva inoltre molti schiavi che faceva lavorare nelle terre e molti di loro venivano venduti ai Tuareg provenienti dall’Azawad, la parte settentrionale dell’odierno Mali e una parte di essi veniva venduta ai Portoghesi. L’imperatore era poligamo, come tutta la società Wolof,, e, secondo Cadamosto, all’epoca egli aveva 30 mogli che abitavano in diversi villaggi e ognuna di esse aveva schiavi e terreni, per cui si poteva mantenere autonomamente. Ogni moglie provvedeva quotidianamente alla preparazione del cibo per l’imperatore che gli veniva portato tramite gli schiavi; il cibo rimanente veniva dato alla popolazione. La popolazione Wolof si era convertita all’Islam nell’XI secolo, grazie ai signori locali che avevano abbracciato la nuova religione portata dalla confraternita islamica degli Almoravidi, che dominò l’Africa occidentale e la Spagna nel XI secolo, anche se conservavano molti culti animisti che non erano andati perduti nei secoli. Egli continuava con la descrizione dell’abbigliamento dei Wolof, quasi completamente nudi, tranne le classi sociali più elevate, che vestivano con abiti di cotone prodotti dalle donne. Quest'ultime indossavano soltanto una sorta di gonna fino a mezza gamba. Tutti gli abitanti andavano in giro scalzi e in testa non portavano mai niente, soltanto i capelli legati a forma di treccia. Gli uomini si prestavano a fare alcuni lavori femminili, come lavorare tessuti e filare il cotone. Descriveva le donne molto pulite, mentre gli uomini erano molto sporchi nel mangiare, anche se caritatevoli nei confronti dei forestieri che capitavano nei loro territori per un pasto o per una notte, senza pretendere niente in cambio. I signori facevano anche guerre, sia tra di loro sia con i vicini; gli scontri erano a piedi perché avevano pochissimi cavalli e non avevano nessun arma, tranne che dardi e scudi fabbricati in cuoio per difendersi. Le popolazioni locali non possedevano imbarcazioni fluviali prima della venuta dei Portoghesi, poi, con il loro arrivo, impararono a costruire le Almadie, imbarcazioni che utilizzavano sia per pescare che per navigare il fiume. All’epoca di Cadamosto, l’Impero Wolof confinava con il regno dei Tekrour a est, a sud con il regno del Gambia, a ovest con l’Oceano Atlantico e a nord il fiume Senegal che divideva l’impero dai Berberi della Mauritania, come descritto dal navigatore. La capacità di Cadamosto di descrivere al lettore luoghi, abitanti e impressioni personali, è a metà tra il resoconto scientifico e la trasposizione letteraria, ricca di descrizioni particolareggiate, proposte quasi sempre come osservazioni, sia sull’ambiente naturale, sia sulla maniera di vivere e sul vestire; tutto ciò libero in gran parte da pregiudizi anche se l’attendibilità delle sue fonti varia dal 30 al 60 per cento come ha sottolineato lo storico portoghese Vitorino Magalhães Godinho (1918-1911) nel libro L´économie de l´empire Portugais aux XVe-XVIe siècles. I Neri che Cadamosto fece conoscere all’Europa appaiono differenti nell’aspetto, nel colore della pelle e nel linguaggio, come fu sottolineato anche da Silvano Peloso.

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Cadamosto attraversò il fiume Senegal undici anni dopo l’arrivo del navigatore portoghese Dinis Dias nel 1445, attraversando la parte dell’Impero Wolof e il Regno di Cayor, che all’epoca era ancora vassallo dell’Impero Wolof, Cadamosto ci descrive i confini esatti secondo le sue informazioni: “Per la information de quelli che leze, segondo che ho posudoa saver e intender questo regno de Senega de‘ Negri confina primo fra terra de la parte del levante con el paexe dicto Tuchador, e da la parte de mezodì con el regno de Gambra de’ Negri, e da ponente con el Mar Oceano, e da tramontana con el fiume predito, che parte i Beretini da questi Negri”. (p. 39) Nella caravella del Cadamosto erano presenti cavalli, stoffe di lana e di seta moreschi per effettuare scambi commerciali con i sovrani indigeni. Egli si fermò presso Mboro, a metà strada tra Dakar e Saint-Louis, dove il re di Cayor lo accolse con circa 13 cavalli e 150 uomini e lo invitò a corte. Egli gli diede i suoi cavalli e i rifornimenti e decise di andare dal sovrano; prima di partire quest’ultimo gli fece dono di una ragazza di tredici anni che raggiunse la sua nave. Cadamosto decise di attraversare il regno via terra e incontrò anche il nipote del sovrano, che lo ospitò per 28 giorni. Secondo l’africanista francese Raymond Mauny non arrivò mai in questa zona del Senegal in novembre, ma risulta probabilmente un errore dei copisti dell’epoca, dato che il 12 dicembre 1455 Usodimare indirizzò una lettera ai suoi creditori e, dopo questa data i navigatori conclusero insieme il loro viaggio di ritorno in Portogallo e quindi, la data presente nella sua descrizione, risulta posticipata. La nave del Cadamosto rimase poi imprigionata nelle secche della foce del fiume Senegal ed egli, che si trovava a terra, cercò aiuto tra gli indigeni per recapitare una sua lettera a bordo della nave. Date le enormi difficoltà causate dal tempo inclemente, trovò alla fine solo due indigeni che si offrirono di consegnarla dietro ricompensa di due maravedi ed uno di loro riuscì nell’intento e ritornò con la risposta, il che sembrò fosse una cosa meravigliosa. In questa parte il Cadamosto continua nella descrizione del modo di vivere dei sovrani dell’odierno Senegal e del villaggio dove lui si trovava: “A questo suo vilazo, la dove io fui, che se chiama chassa sua, podeno esser cherca 45 in 50 casse de pagia, tute apresso l’una a l’altra in uno tondo e circondate atorno atorno de sieve e de seragie de arbori grossi, lassando solo una bocha o doe, dove se entra dentro; e ogni una de queste casse sono serade de un cortivo pur de sieve: e cossì se va de cortivo in cortivo e de chassa in chassa. […] Questo Bodumel ha sempre 200 Negri in chassa per el meno, che continuamente el seguita e vano con lui; ben è vero che l’un va e l’altro vien, e oltre questi, mai non mancava zente asai che vegnevano a trovarlo de diversi luogi” (p. 53). Cadamosto ci descrive la casa del sovrano, circondata da sette giardini recintati collegati uno all’altro , con un grande albero tra ognuno per permettere ai sudditi di stare all’ombra nell’attesa di essere ricevuti. Nei cortili attendevano le persone secondo la loro diversa classe sociale e pochissimi di loro andavano fino alla porta del sovrano, salvo i Portoghesi e i Berberi del gruppo etnico dei Zanata che provenivano dal Nord Africa. In questa parte della sua descrizione il Cadamosto si sofferma sulla religione professata dai sovrani 19


e il loro modo di porsi verso i portoghesi e verso gli arabi, nella descrizione egli aggiunge considerazioni personali su Dio e su Maometto. Nell’Impero Wolof venivano coltivati alcuni cereali come il miglio (Panicum miliaceum) e alcune piante erbacee come il penniseto allungato (Pennisetum setaceum), il panico acquatico (Paspalum distichum) e alcune varietà di sorgo (Holcus sorghum, Holcus niger e Holcus spicatus) oltre che a legumi simili a fagioli come il fagiolo asparago o dolico dall’occhio (Dolichos sesquipedalis) e alcune specie del genere Vigna (Vigna nilotica e Vigna sinensis), coltivati per l’alimentazione umana a causa della siccità del clima nell’Africa Occidentale. Le popolazioni indigene seminavano a luglio e raccoglievano a settembre solo quello che serviva loro per vivere in quanto un raccolto troppo ricco avrebbe attirato le tribù vicine che avrebbero rubato loro tutto il raccolto, da Cadamosto questa usanza fu percepita come una scarsa voglia di lavorare. Gli indigeni bevevano acqua, latte e vino di palma, bevanda tradizionale del Senegal, di cui Cadamosto è il primo occidentale che descrive il procedimento per la raccolta, fatta incidendo la sommità e non la base dell’albero dal quale sgorga, come erroneamente descritto: “El bever suo si è aqua e late over vim de palma. Questo vim de palma si è un liquor che buta uno arbaro de la forma de l’arbaro che fa i datali, ma non è quello medemo. E de questi albari non ne hano molti; e quassi tuto l’ano questi albari dano questo liquor, che lor lo chiamano miguol, in questo modo: che ferisseno l’arbaro nel piè in 2 over 3 luogi, e quello buta una aqua beretina del color del squaron del late; e meteno soto le zuche e archogie questo liquor; ma non ne rende molta quantitade, ché uno arbaro in tuto un zorno e una note non ne renderà oltra 2 zuche de questo miguol.” (p. 60). Egli affermò di aver visto buoi, vacche e capre ma non pecore, infatti secondo l’africanista francese Raymond Mauny (1912-1994) [mettere bibliografia] può aver confuso le pecore della specie Ovis longipes, che non hanno lana ma peli e possono essere confusi con delle capre, nonostante la loro somiglianza ai mufloni. Descrive anche la fauna selvatica, composta da leoni, leopardi, lupi e caprioli oltre a elefanti africani (Loxodonta africana) e cinghiali Inoltre ebbe notizia della presenza di giraffe e di altri animali selvatici che però non vide di persona. Egli ebbe anche l’occasione di recarsi ad un mercato non molto lontano da dove egli viveva, che si teneva il lunedì e il venerdì nel quale la gente dei villaggi portava prodotti come cotone, legumi e stuoie di palma e non venivano usate monete ma utilizzato il baratto negli scambi commerciali. Gli indigeni furono molto meravigliati dalla sua caravella, soprattutto dall’albero, dalle vele e dalle ancore e secondo loro era potere del diavolo la capacità di navigare per giorni senza veder terra, dato che non conoscevano né bussole, né carte nautiche [mettere citazione]. Dopo esser rimasto per un certo periodo sulla terraferma superò il promontorio di Capo Verde non lontano dall’odierna Dakar dirigendosi verso sud, dato che Cadamosto conosceva l’esistenza del Regno del Gambia, in quanto gli schiavi venduti in Spagna e Portogallo provenivano anche da questo regno. 20


Dopo esser salpato dalla costa senegalese incontrò Antoniotto Usodimare e assieme prendono la decisione di raggiungere il promontorio di Capo Verde e di continuare assieme l’esplorazione di nuove terre; il Cadamosto ci descrive l’incontro con Usodimare con queste parole: “E fazando presto vella per dover partirme da quella costa, l’aparse una matina doe velle in mar, le qualle havendo lor vista de nui e mi de lor, savendo che non poteano esser altro che christiani, vegnessemo a parlamento. E inteso io uno dei diti do navili esse de Antonioto Uxodemar zenoese e l’altro de alguni scuderi del prefato signor Infante don Henrich de Portogallo, i qualli doi navilli d’acordo haveano fato conserva per passar el dito Cavo Verde e provar soa ventura e discoprir cosse nuove, e atrovandomi anchòra del quel medemo propositome missi in sua conserva e compagnia.” (p. 73) Quindi Cadamosto e Usodimare assieme ad una terza caravella appartenente a Enrico il Navigatore, il giorno dopo raggiunsero il promontorio di Capo Verde, dopo aver navigato per circa 60 chilometri. Il promontorio di Capo Verde venne doppiato per la prima volta nel 1445 da Dinis Dias ed erroneamente Cadamosto indica come scoperto, l’anno prima, mentre invece risulta esserlo stato ben dieci anni prima del suo arrivo. Lo descrive lussureggiante tutto l’anno, mentre in realtà il promontorio di Capo Verde merita questo nome solo durante la stagione delle piogge da luglio a ottobre, perché poi nella stagione secca la vegetazione è assente. Cadamosto nei pressi del promontorio vide forse le colline delle Mamelles che, nonostante la modesta altezza, sono i rilievi più alti di tutta la costa tra Capo Juby in Marocco e Conakry in Guinea. Durante la navigazione, incontra prima gli scogli di Punta delle Almadie, il punto più occidentale del continente africano e in seguito le due isole della Maddalena e l’isola di Gorea, vicino a Capo Manuel e decise di sbarcare su quest’ultima e di fermarsi per una notte. Il giorno seguente partirono navigando lungo la costa tra Dakar e Rufisque, nel Golfo di Hann, e arrivò fino al villaggio di Bargny, abitato dai Sereri che non erano sottoposti all’Impero Wolof e forse erano organizzati secondo un’autonoma forma repubblicana. Continuando la navigazione lungo la costa arrivando prima a Joal Fadiout, superò la foce del fiume Saloum e giunse all’estuario del fiume Gambia, dove finalmente poté sostare. “E tandem pervegnemo a la bocha del fiume de Gambra, la qual vedendo nui quella esser grandinissima e non meno 3 fin 4 milia nel più streto, dove podiamo intrar con li nostri navilii seguramente, terminano qui riposar, per voler intrar el zorno seguente dentro e veder se questo giera paexe de Gambra, che tanto desideravemo de atrovar.” (p. 85). Il giorno seguente, con il vento a favore, mandarono avanti la caravella più piccola con molti uomini e con una piccola barca di appoggio per uscire dalle secche dell’estuario senza pericoli, facendo alcuni segnali. Quando questo fu possibile, le due barche partirono con l’ordine che, se per caso gli indigeni le avessero attaccate o assaltate con le loro almadie, non dovevano difendersi ma trattare con loro. 21


Continuando senza pericoli la navigazione, incontra tre imbarcazioni indigene che cerca di evitare in quanto era stato informato della possibilità di trovare arcieri che utilizzavano frecce avvelenate, ma fortunatamente il giorno passò senza pericolo. La mattina seguente partirono con il vento a favore per risalire il fiume e riuscirono a navigare il per circa 6 chilometri, sempre con la paura di incontrare indigeni con le frecce avvelenate. Vennero poi circondate da 17 almadie da dove gli indigeni osservavano le loro caravelle come una cosa meravigliosa e nuova ai loro occhi, dato che non avevano mai visto navi a vela. Dopo esser venuti a contatto con questo gruppo di indigeni, ci fu uno scontro nel quale ne morirono molti, ma nessun membro degli equipaggi. Cadamosto in seguito incatenò assieme tutte e tre le caravelle e issò l’ancora, tentò di farsi comprendere dagli indigeni informandoli che venivano in pace e che volevano intraprendere scambi commerciali per conto del re del Portogallo. La loro risposta fu che in passato avevano avuto notizie sul loro modo di agire con gli abitanti del Senegal e quindi non potevano essere che uomini cattivi, in quanto credevano che fossero cannibali e che comprassero i neri solo per mangiarli e quindi non volevano in nessun modo fare amicizia con loro, anzi avrebbero voluto ammazzarli tutti e raccontare tutto al loro re, quindi dopo ci fu un altro scontro. Dopo questo Cadamosto propose di risalire il fiume per altri 150 chilometri, sperando di trovar indigeni più amichevoli, ma l’equipaggio che era desideroso di tornare a casa senza più correre pericoli, cominciò a urlare e si oppose alla sua decisione, come scrive nel suo manoscritto: “Dapoi seguìto questo, havessemo consilio fra nui, principalmente de cui giera el governo de nostri navilii, de andar pur su per el dito fiume almeno per fino a milia 100, se tanto podevemo andar, sperando pur de trovar melior zente. Ma li nostri marinari, che era desiderosi de tornar a le sue case, senza pur provar de metersi a pericolo, tuti d’acordo comenzano a cridar, dicendo che tal cossa non voleveno consentir e che ‘l bastava de quello che haveano fato per nui per quel viazo.” (pag. 85). A questo punto, vedendo l’equipaggio ostinato ed unito nella sua scelta, salparono il giorno seguente per ritornare in Portogallo dirigendosi verso il promontorio di Capo Verde. Cadamosto durante il viaggio di ritorno fu il primo europeo a descrivere la Croce del Sud, che comunque era già stata osservata da tutte le spedizioni portoghesi che si erano spinte a sud della Mauritania, che è il punto massimo di visibilità, e secondo il marinaio portoghese Abel Fontoura da Costa (1869-1940), forse vide la costellazione in giugno al calar della sera, come è intuibile dal suo manoscritto3:

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“Item, havessemo vista de 6 stelle basse sopra el mar, chiare e lucide e grande; e tolte questo a segno del busolo, ne stavano dreto per ostro, afegurade in questo modo seguente: * *

* * * *

le qual i zudigassemo quelle esser del caro del ostro; ma la stella principal non vedessemo, perché el non giera rasonevole poderla discoprir se prima non perdevemo la tramontana.” (p. 86). Cadamosto attraversò la costa del Senegal nei primi giorni di luglio del 1455 durante la stagione delle piogge e tornò quindi in Portogallo. Non sappiamo la data del rientro in Europa di Cadamosto e Usodimare, che fu comunque anteriore al 12 dicembre 1455, quando Antoniotto Usodimare inviò un breve resoconto del viaggio e allude ad un secondo viaggio che vuole intraprendere, è indirizzata ai suoi fratelli e ai creditori da Lisbona ed è scritta in un latino molto scorretto, da alcuni viene interpretato nel senso che tale viaggio doveva avere inzio dieci giorni dopo, mentre probabilmente l’Usodimare intendeva dire che entro dieci giorni sarebbe stato portato nella sua terra l’indigeno che era con loro in modo che nel secondo viaggio avrebbe convinto il sovrano Wolof a contrattare con i portoghesi, la lettera è contenuta nell’Itinerarium Ususmaris le cui notizie su questo resoconto sono presenti nel Nuovo Ramusio dedicato alle navigazioni atlantiche di Alvise Da Mosto (vol. V) a cura di Tullia Gasparrini Leporace.

3 La scoperta della Croce del Sud è sicuramente da attribuire al Cadamosto, dato che le fonti sulla conoscenza della costellazione più visibile nell'emisfero australe partono proprio da lui e le citazioni sul De Republica di Cicerone e sulla Divina Commedia di Dante non hanno alcuna base scientifica, come afferma l'astronomo cileno Eduardo VilaEchagüe nel suo articolo L'invenzione della Croce del Sud.

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Fig. 10: Abraham Ortelius, Portugalliae que olim Lusitania, Anversa, 1579

Fig. 11: Portugal (Seachart of the Algarve), Jacobsz Thenius, Jacob & Kaspar Lootsman, Anversa, 1652

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Fig. 13: Die Insul Madera – Isle de Madere, Alain Manesson Mallett, Francoforte, 1719

Fig. 14: Les Isles Canaries, Pierre Du Val, 1653

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SECONDA NAVIGAZIONE (1456) Nonostante l’infruttuosa avventura in Gambia, Alvise Cadamosto decise comunque di allestire una nuova spedizione, non più con la partecipazione economica del principe Enrico il Navigatore, ma armando una caravella a proprie spese. La meta di questo nuovo viaggio era il Gambia, ricco di risorse aurifere, che esercitavano quindi un forte richiamo. Partì quindi da Lagos, in Algarve, per il Gambia, ai primi di marzo del 1456 con la sua caravella, una del genovese Antoniotto Usodimare e una dell’Infante, che erano stati quasi obbligati ad accettare, in quanto quest’ultima era legata alla concessione della licenza. Il primo obiettivo era passare a largo delle Canarie e arrivare fino a Capo Bianco, dove arrivarono dopo tre giorni di viaggio, da come si evince dal suo manoscritto: “Deché, forniti presto de ogni cossa necessaria, partissimo da un luocho chiamtato Lachus, ch’è apreso Cavo San Vizenzo, nel principio dil messe di marzo, con vento prospero e tegniamo la volta de Canaria; unde in pochi zorni fossemo a vista de essa Canaria. Segondandone el tempo, non curassemode tochar l’issole, ma navigando tuta via per ostro al nostro viazo, con le segonde de l’acquache molto tiravano zoso a garbin, scorevemo molto.” (p. 91) Il terzo giorno, dopo aver superato una tempesta, avvistarono terra in una posizione dove se ne ignorava l’esistenza, le isole scoperte furono quelle di Boa Vista, la prima ad esser stata visibile, e Santiago dato che vi erano approdati il 1° maggio fino al 3 maggio, giorno di San Filippo e San Giacomo. Ne avvistarono altre vicine ma decisero di non esplorarle, in quanto convinti che fossero deserte e selvagge e perciò senza alcun interesse commerciale, come racconta in questo modo: “El terzo zorno havessemo vista de terra, critando tuti: terra, terra, molto se meravegiassemo, perché non savevemo che a quella parte fosse terra nessuna. E mandando doi homini a alto, discoprimo doe grande ixole; unde essendo notificato questa cossa, dassemo gratia al nostro signor Idio,che ne condusea a veder cosse nuove; e perché savevemo ben che de queste ixole in Spagna non se ne haveva noticia alcuna, per intender più cosse e provar nostra ventura tegnessero la volta direta a una de esse ixole: e in breve tempo li fossempo propinqui. […] Notando, che a la prima ixola dove che dismontassero, metessemo nome a quella ixola de Bona Vista per esser la prima vista de terra in quella parte, e a questa altra, che mazor ne parea de tute quatro metessemo nome ixola de San Iacobo, perché el zorno de San Philipo e Iacobovegnessemo a essa ixola a meter ànchora” (p. 92). Nell’isola di Boa Vista, mandò in avanscoperta una spedizione di dieci uomini muniti di armi e balestre per vedere se trovavano qualcosa, o se vedevano altre isole oltre a quelle già scoperte; essi trovarono l’isola disabitata, quindi catturarono numerosi colombi che, non avendo mai visto un uomo, si lasciavano prendere con le mani. Continuando la sua navigazione si fermò a São Tiago, la descrive ricca di sale bianchissimo e bello in grande quantità che venne portato in quantità sulla nave. L’equipaggio, per nutrirsi, catturò delle tartarughe marine della specie caretta caretta e le paragonò alla carne di vitello e ne fecero una scorta da portare nella nave per il viaggio.

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Pescarono anche un’enorme quantità di pesce di ottima qualità, in parte sconosciuto, e catturarono numerosi colombi che portarono sulla nave. Cadamosto vide quindi tutto l’arcipelago di Capo Verde, composto da dieci isole, che all’epoca della sua scoperta erano tutte disabitate. A torto gli è tuttora in parte contestato il merito della sua scoperta, dato che Antonio da Noli raggiunse le isole tra il 1458 e il 1460 e a quest’ultimo viene dato erroneamente il merito della scoperta, dato che, con documento regio di Alfonso V del Portogallo del 3 dicembre 1460, vengono citate le isole con il nome dato loro da Antonio da Noli, che ricalcava quasi del tutto quello con cui le battezzò il Cadamosto, tranne l’isola di Boa Vista che è chiamata Sam Cristovam in quanto egli vi sbarcò il 25 luglio, giorno di San Cristoforo e del 19 dicembre 1462, per passare alle indicazioni di alcuni cronisti come ad esempio Juan De Barros in L’Asia, stampato a Venezia nel 1562: “In questo medesimo tempo [1461] troviamo ancora che si scoprirono le isole che ora chiamiamo del Capo Verde, da Antonio de Nolle di natione Genovese, et sangue nobile, che per alcuni dispiaceri che hebbe dalla patria sua se venne in questo regno [del Portogallo] con due navi, et un navilio, in compagnia del quale veniva Bartolomeo di Nolle suo fratello, et Rafello di Nolle suo nipote. Ai quali l’infante diede licentia che andassero a scoprire; dal dì, che partirono dalla Città di Lisbona in sedeci andarono all’isola di Maggio: alla quale misero questo nome percioche vi giunsero in tal dì. Et nel seguente dì , ch’era il dì di San Filippo et Giacomo scoprirono due isole le quali ora hanno il nome di questi Santi” Il Barros era lo storico ufficiale del’espansione coloniale portoghese, comunque molti studiosi, in particolare Jean Codine in Review of Major's Life of Prince Henry, pubblicato dalla Société de géographie di Parigi nel 1873 ha fornito un’ampia dimostrazione sull’infondatezza delle accuse mosse al Cadamosto sulla veridicità del suo racconto. Del resto, se egli avesse voluto prendersi il merito di una scoperta non sua, non si sarebbe soffermato su un avvistamento fortuito e su una rapida e parziale ricognizione. Il merito della scoperta delle isole da parte del Cadamosto, viene comunque già confermato nellla racolta di resoconti dei navigati e esploratori Delle navigationi et viaggi pubblicato a Venezia nel 1550 e curato dal geografo e umanista trevigiano Giovan Battista Ramusio (1485-1557). Ripartì quindi alla volta del promontorio di Capo Verde e dopo esser arrivato in Senegal la mattina seguente arrivò all’estuario del fiume Gambia: “Fato questo ch’è dito, a dì sopradito partissimo da le sopradite 4 ixole, tegnando la volta del Cavo Verde, unde in pochi zorni, Idio mediante vegnessemo a spelegar a vista de terra, a un logo che se chiama Le Do Palme, ch’è fra el Cavo Verde e ‘l rio de Senega antedito. E havendo bona cognosanza del tereno, seguimo scorendo el Cavo; e la matina seguente quel passamo e tanto navigamo che pervegnessemo una altra volta al prenominato fiume de Gambra, dove brevemente intrassemo.” (p. 95-96) Mentre risalivano il fiume, trovarono un‘ isoletta e il giorno stesso morì un membro del suo equipaggio, che aveva avuto la febbre per parecchi giorni. Venne seppellito nella suddetta isola, alla quale diedero quindi il nome di Santo Andrea in suo 27


onore. L’isola è identificabile probabilmente in quella di Dog Island che si trova a 12 km dalla foce, dato che il Cadamosto afferma che si trovava a 10 miglia (approssimativamente 12,5-15 km) dalla foce. Nel 1651 il nome dell’isola venne erroneamente ricordato dai colonizzatori del Ducato di Curlandia come l’odierna isola di Kunta Kinteh o Isola James, che però si trova a 40 km dalla foce. Risalendo il fiume furono seguiti da alcune imbarcazioni indigene, che vennero invitate ad accostarsi senza paura. Uno di questi indigeni salì a bordo della caravella e si meravigliò soprattutto del modo di navigare e del modo di vestire degli esploratori: Anche loro gli domandarono parecchie cose, tra cui chi fosse e da dove veniva, questi affermò di essere del paese di Gambia e che il loro sovrano aveva il titolo di Farosangoli, risiedeva a 10 giornate da loro ed era vassallo dell’imperatore del Mali che in quel periodo stava perdendo potere, infatti a causa dell’instabilità politica dell’impero, non sono conosciuti i sovrani del periodo compresi tra il 1440 e il 1460. L’indigeno propose all’equipaggio di andare a incontrare il suo sovrano per trattare con loro dato che aveva avuto una buona impressione: questa offerta piacque molto e tutti insieme andarono verso il luogo del signore che era lontano circa 60 miglia (90 km). Giunti in questo luogo, mandarono uno dei membri dell’equipaggio a parlare con il sovrano portando in dono una camicia di seta moresca, e gli dissero che erano arrivati lì per conto del sovrano portoghese per aprire nuovi commerci e si fermarono circa due giorni, in questo periodo andarono a trovarli molti indigeni, alcuni andarono a trovarli solo per curiosità, altri per vedere alcuni anelletti d’oro. Gli indigeni vendettero loro filati di cotone e camicie di diversi colori, inoltre portarono loro anche alcune scimmie che venivano barattate per un po’ di denaro o altre piccole che ricevevano in cambio. Inoltre portavano loro zibetti (Civettictis civetta), da cui estraevano dalle ghiandole una sostanza per scopi commerciali, altri portavano frutti, come piccoli datteri selvatici, ottimi secondo loro, ma di pessimo gusto secondo l’equipaggio. Risalendo il fiume avevano trovato diverse popolazioni con diversi linguaggi, le quali navigavano in piedi sulle almadie solo con la forza delle braccia, vogando da un lato all’altro per non far affondare la barca, navigando fino al litorale e proteggendosi lungo le foci degli affluenti, evitando di allontanarsi troppo dai loro paesi per non essere catturati e venduti come schiavi. Dopo due giorni decisero di tornare alla foce del fiume Gambia, dato che nel frattempo l’equipaggio si era ammalato di febbri malariche. Poco tempo dopo ritornarono alla foce del fiume Gambia, dove trovarono alcune tribù che allevavano e mangiavano carne di cane. Cadamosto presentò la regione molto calda e con molti grandi alberi, tra cui i baobab africani (Adansonia digitata), che vide per la prima volta, descrivendoli meticolosamente: “E de la grandeza de questi albori ve digo nui tolessemo aqua a una fontana, che iera apreso la riva del fiume, a qual fontana iera apreso la riva del fiume, a qual fontana iera uno alboro grandissimoe molto grosso, ma l’alteza non iera per rason tanto in groseza, perché per la estimation zudigassero quello non esser oltra 20 passa alto, ma la groseza fessemo mesurar e in esso atrovassero circha passa 17 atorno atorno al piè: ma iera el dito albaro sbusado in molti luogi

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vano e concavo, e havea le rame de sopra molto large che spandea atorno che ‘l fasca grande umbra. Anche se ne atrova di molto più grandi e molto più grossi, sichè potidi intender per questi simili arbari del paexe esser buona, e la terra esser vertuoxa, per essere bagnata da molte aque” (p. 103) Dopo aver visto i baobab notò che gli indigeni avevano alcuni elefanti, ma non sapevano addomesticarli, poi un piccolo di elefante morto e ne mangiò la carne arrosto “[…] per provar più cosse e per poter dir che havea manzato de la carne che non havea manzato algun de la mia terra;” (p. 107), ma la carne gli sembrò molto dura e insipida; per avere qualcosa da portare al principe Enrico tagliò la proboscide e i peli per dimostrare che aveva visitato quelle zone ancora poco esplorate dell’Africa. Dopo aver lasciato la foce del fiume, navigarono lungo il litorale per duecento miglia e in due giorni arrivarono alla foce di un altro fiume. Quando arrivarono, alcuni membri dell’equipaggio scesero a terra per chiedere agli indigeni dove si trovassero e capirono di essere arrivati al fiume Casamance, nella regione omonima dove era già arrivato il navigatore portoghese Dinis Dias nel 1445; la regione prendeva nome dall’espressione malinkè Kasa mansa che significa “re dei Kasas”, il gruppo etnico della zona il cui sovrano risiedeva 30 miglia da dove attraccarono. Rimasero un giorno nella regione del Casamance e poi navigarono verso sud, dove arrivarono a un capo che cui terreno appariva di colore rosso e e lo battezzarono con il nome di Capo Rosso; “Essendo partido da questo fiume de Casamansa, seguendo la costa pervegnessero a un cavo, che al nostro iuditio è luntan da la bocha del dito fiume circha a milia 20. Questo cavo è puocho più alto cha ‘l tereno de la costa e mostrava la fronte de esso esser rossa: e per questo li metemo nome el Cavo Rosso” (p. 108) Il capo si trova attualmente al confine tra Senegal e Guinea-Bissau e il toponimo è stato conservato dato che è conosciuto con il nome in portoghese come Cabo Roxo e con il nome in francese come Cap Roxo. Superato il capo raggiunsero un fiume che chiamò Rio de Santa Ana e il vicino Rio San Domenego, dato che quando arrivarono ricadevano le ricorrenze di Sant’Anna e San Domenico, il 26 luglio e il 4 agosto. Gli storici hanno identificato questi fiumi come i Cacheu e Mansôa nella Guinea-Bissau settentrionale, che Cadamosto ci descrive in questo modo: “E da poi, navigando per la costa, pervegneremo a la dita bocha de um fiumesai rasonevolo, e a nostro iuditio largo un trat de balestra. Questo non corassemo de tentar, ma li metessemo nome el Rio de Santa An, perché, salvo el vero, in tal zorno de Santa Ana nui passassemo per el dito fiume. E navigando pur el nostro camino, vegnessemo a un altro fiume de Sancta Anna a questo altro metessemo el nome el Rio de San Domenego; e dal Cavo Rosso fin a questo fiume ultimo zudigemo esser milia 55 in 60.” (p. 111) Dopo aver superato questi due fiumi, dopo alcuni giorni di navigazione raggiunsero un grandissimo fiume che battezzò Rio Grande. Questo fiume è stato identificato come il fiume Geba, il nome con cui è chiamata la foce del fiume Corubal nella Guinea-Bissau centrale. 29


Nella zona del fiume Corubal rimasero due giorni, tentando di farsi inutilmente capire dalle popolazioni indigene; così, data l’incapacità di farsi comprendere dalle popolazioni locali, Cadamosto, Usodimare e lo sconosciuto capitano portoghese, decisero di prendere la via del ritorno. Poco dopo aver lasciato la bocca del Geba i navigatori incominciarono il viaggio di ritorno verso il Portogallo e toccarono le isole Bissagos, forse verso fine agosto e vide gli indigeni locali, i Bijago, come ci racconta il Cadamosto alla conclusione dei suoi scritti della sua seconda navigazione: “Partissimo da la bocha de questo grande fiume per tornarsene in Spagna, e sì tegnessero la volta de mar verso quelle ixole, le quelle iereno distante de la terra ferma circha milia 30. A queste ixole zonzessemo, le quelle sono 2 grande e alcune altre pizole: queste 2 grande pizole sono habitate da Negri e sono ixole molto basse, ma sono fornide de albori grandi e alti. Qui anchenon havessemo lengua, perché lor non indentedevano nui e nui loro. E de lì partessemo e vegnemo verso le parte nostre de’ christiani, a le qual per nostre zornate navigamo tanto per Dio per sua gratia, quando el gie piase, ne conduse a bon porto. “ (p. 114) Il viaggio di ritorno durò forse fino all’ottobre del 1456, quando il navigatore rientrò a Lagos in Algarve, dove poi abitò per alcuni anni prima di ritornare a Venezia.

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Fig. 14: Cours de la RiviĂŠre du Senegal, anonimo, Amsterdam, XVII secolo

Fig. 15: Plate grodt van der het eyland Goeree geleeege an Cabo Verde, Johannes Vingboons, Amsterdam, 1665

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Fig. 16: Insulae de Cabo Verde, olim Hersperides, sive Gorgades: Belgite de Zoute Eylanden, Joan Janssonius, Amsterdam, 1655

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ANALISI DELLE RELAZIONI DI ALVISE CADAMOSTO

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INFORMAZIONI STORICO-ANTROPOLOGICHE NELLE RELAZIONI DI ALVISE CADAMOSTO

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PRIMA NAVIGAZIONE (1455) Cadamosto, dopo esser partito per il suo primo viaggio e aver fatto tappa nell’arcipelago di Madera, che era stato scoperto dai Portoghesi nel 1418 ed era dal 1440 parte integrante del Portogallo, arrivò alle isole Canarie, dove all’epoca era in fase di completamento la conquista castigliana delle stesse, cominciata nel 1402 ad opera dei conquistatori francesi Jean de Béthencourt e Gadifer de la Salle al servizio di Enrico III di Castiglia. La prima sosta, molto rapida, avvenne all’isola di Gomena, dove, incuriosito dalle usanze dei Guanci, si fece raccontare dagli isolani alcuni costumi propri degli indigeni locali. Gli dissero che era usanza tipica dei nativi, quella di catturare prigionieri e costringerli a squarciare le capre e a pulirle delle loro interiora, perché consideravano quest’ultimo un lavoro ignobile e detestabile: “E se tu domandasti: dove sa tu questo? E se aresponde , che li abitanti de le 4 ixole sopra dite de christiani si hano per costume con algune lor fuste venir a queste ixole de note ad asaltar questi Canarii idolatri, e a le volte ne prendeno e de maschi e de femine, e sì li mandano poi in Spagna a vender per schiavi. Et è intravenuto anchòra a le fiade esser rimassi prexi alguni de quelli de le dite fuste, i quali diti Canari non fano morire, ma dali per offitio de amazar cavre e scortichar e farne carne: e questo hano lor per vilissimo offitio a esser becchari, e per despresiarli lo fano far per fina a tanto che si scoder per qualche modo.“ (p. 19) L’attendibilità di quanto affermato dal Veneziano, non è storicamente riscontrabile in quanto tutte le cerimonie rituali guance non prevedevano sacrifici di alcun tipo. Il Veneziano, osservando i nativi, giudicò la loro società alquanto primitiva, dato che oltre ad essere nudi non vivevano né in case né capanne, ma n grotte o caverne naturali. La società guancia però non era così primitiva come credeva il Cadamosto, in quanto era una società matriarcale, dato che nelle diverse isole i diritti di successione venivano tramandati dalla madre e le donne erano responsabili del trasferimento del potere reale, anche se, in tempi di scarsità o di sovrappopolazione, è stata praticata sulle isole di La Palma e Gran Canaria l’infanticidio femminile, tranne nel caso in cui la figlia fosse primogenita e quindi continuatrice della linea familiare. Inoltre le isole erano governate da diversi sovrani chiamati “Mencey” e il Mencey di Taoro nell’isola di Tenerife era l’unico ad avere anche il titolo di “Vostra Maestà" o "Vostra Altezza". Cadamosto affermava che la loro esistenza era bellicosa e che le uniche armi che avevano a disposizione erano la clava e il giavellotto con la punta di corno aguzzo o di legno bruciato. Essi erano esperti nella lotta con i sassi, sia a mano che con le fionde, infatti c’erano state guerre tra le diverse tribù e, come confermato dalla descrizione del navigatore, le armi dei Guanci erano praticamente rimaste alla preistoria. Lasciate le isole Canarie, il Cadamosto, dopo alcuni giorni di navigazione, raggiunse Capo Bianco e continuando la navigazione arrivò al forte di Arguin nell’isola omonima, che era l’ultimo avamposto portoghese, costruito grazie al volere di Enrico il Navigatore per il controllo del 35


commercio degli schiavi e della gomma arabica nel 1455. In questa parte la descrizione del suo primo viaggio è una sintesi tra una resoconto scientifico e la trasposizione letteraria che è caratterizzata da un forte vigore rappresentativo e ricca di particolari e di osservazioni, libere, in linea di massima, dai pregiudizi, infatti i popoli indigeni incontrati non appaiono indifferenziati nell’aspetto, nella lingua, ma anzi ogni popolo è descritto con dovizia di particolari, come sottolineato da Silvano Peloso. Il primo a parlarci dei guanci è stato Giovanni Boccaccio nel suo racconto in latino De Canaria et Insulis Requilis Ultra Hispaniam in Oceano Repertis del 1342 che ci descrive i Guanci per la prima volta con queste parole: “I quattro uomini [guanci] che condussero seco erano giovani imberbi, di bel sembianze e andavano nudi. Si coprivano tuttavia in maniera siffatta: avevano ricinta ai lombi una cordadalla quale pendevano in quantità foglie di palma o giunchi spessi e lunghi da una spanna e mezzoa due al più, e per essi coprivansi le vergogne davanti e di dietro, a meno che il vento od altro li sollevasse . Non sono tonduti e hanno capelli biondi e lunghi sino quasi all’ombelico: si coprono di questi, e camminano a piedi nudi. L’isola donde furono tolti ha nome Canaria, più abitata delle altre. Non possono intendere idioma nessuno, essendo stato parlato in varie lingue con essi. In statura non passano la nostra. Sono membruti, alquanto animosi e forti e di grande intedimento, per quanto se ne può congettuare. Si parla con essi per gesti e per gesti essi rispondono a maniera dei mutoli. Si usano rispetto fra loro, ma particolarmente verso uno di loro; e questi ha brachedi palma e i tre rimanenti le hanno di giunto tinte di giallo e di rosso.” Lasciate le Canarie il Cadamosto arrivò a Capo Bianco e poi nella baia di Arguin dove si trovava nell’isola omonima il forte portoghese voluto da Enrico il Navigatore per controllare la tratta degli schiavi oltre che avere un controllo delle ricchezze che provenivano dall’interno dato che circolava la leggenda secondo cui l’imperatore del Mali Mansa Musa nel 1324 durante il pellegrinaggio alla Mecca secondo cui l’oro arrivato aveva messo in difficoltà l’economia dello stesso Egitto. Di Arguin ci narra del punto di arrivo e di partenza delle carovane che provenivano dal Sahara ed erano dirette alla costa atlantica, alla Guinea e al Nord Africa e delle diverse etnie che si potevano trovare ad Arguin: gli arabi, i tuareg e i mandingo che, con l’Impero del Mali, controllavano all’epoca di Cadamosto la zona tra la Mauritania e la media valle del Niger e della sua capitale Niani, situata all’odierno confine tra Guinea e Mali. Il navigatore conosceva molto bene anche i confini dell’Impero: essi vennero descritti in seguito da Giovanni Leone Africano detto Leone l’Africano (Granada 1494 – Tunisi 1554) nella sua Descrittione dell’Africa del 1550, dove ci indica dettagliatamente i suoi confini: “Melli si estende sopra un ramo del Niger forse a trecento miglia; et confina da Tramontana col superiore, da mezzo giorno col diserto et con certi aridi monti: da ponente confina con alcuni boschi selvaggi, che giungono insino al mare Oceano, et da levante col territorio di Gago, in questo paese è un grandissimo casale, il quale fa presso a sei mila fuochi: et è detto Melli, onde è appellato tutto il resto del regno, et in questo abita il re e la sua corte.” Alvise in questo frangente capì l’importanza del sale che veniva prodotto in una località poco più a sud di Arguin e gli venne spiegato come si effettuava lo scambio di sale con l’oro, ma non convinto 36


della spiegazione e incredulo della possibilità di scambiare alla pari sale e oro, andò sulla terra ferma con un interprete e chiese ad un ragazzo africano come si effettuasse lo scambio di queste due preziose mercanzie. Dopo qualche incomprensione provocata dalla sua domanda su come si effettuasse il baratto, Cadamosto si fece spiegare da un ragazzo Indigeno che, coloro che estraevano il sale, si recavano in una località presso il fiume della zona e in un determinato punto questi lasciavano il sale incustodito e poi si allontanavano dal luogo, dopo qualche ora l’Impero del Mali mandava delle persone a portare l’oro nel punto in cui era stato posto il sale e se ne andavano; dopo un po’ di tempo tornavano quelli che avevano portato lì il sale e se lo scambio per loro era equo si prendevano l’oro e se ne andavano lasciando il sale. Più tardi coloro che avevano trasportato lì l’oro, se non c’era più, si prendevano il sale e se lo portavano via, perché voleva dire che lo scambio era stato considerato di giuste proporzioni da coloro che producevano il sale; il tutto si svolgeva senza che le due controparti si incontrassero mai. Incuriosito dalla questione, Cadamosto chiese ad altre persone se il tutto fosse vero e perché si scambiasse il sale al pari dell’oro, trovò risposta da alcuni africani che gli dissero che alle popolazioni che estraggono oro nell’Impero del Mali, serviva per vivere in quella località arida e asciutta in cui si perdono molti sali minerali, per reintegrare i minerali persi con il sale. In questa parte traspare la descrizione del Cadamosto di queste popolazioni che risulta molto lontana dalle descrizioni fantasiose dei popoli conosciuti e sconosciuti dell’Africa che era ancora presente nelle descrizioni medievali. Nell’Impero del Mali infatti era ancora utilizzato il baratto negli scambi commerciali e al posto della moneta era utilizzati polvere d’oro, sale o conchiglie, come è ben descritto dal Cadamosto. Lasciato Arguim il Navigatore arrivò al fiume Senegal che battezzò Rio do Senega, il Senegal era il confine settentrionale tra il Regno Wolof e gli Zaneghi, come ci descrive il navigatore: “E’ da notar che dal Cavo Biancho fin a questo fiume sono milia 380; e la costa si è tuta arena, fin apreso la bocha del fiume cercha milia 20, e chimasse la costa de Antterotte, la qual è de Azanegi zoè de Beretini. E meravigliosa cossa mi par , che di là del fiume tuti sono negrisismi, e de qua tuti i prediti Azanegi sono negri e suti e de picola statura e de là tuti negri sono grandi e grossi e ben formadi de corpo; […]” (p. 40) L’Islam intorno all’XI secolo grazie agli Almoravidi era arrivato fino in Senegal, anche se parte della popolazione professava ancora culti animisti, come afferma il Cadamosto: “La fede de questi primi Negri si è macometana ma non sono però ben fermi ne la fede como questi mori bianchi, e specialmente le zente menude. Ma li segnori pur quella oppinion, perché hano continuamente con loro alguni di preti Azanegi, over algun Arabo, che pur el ne capita algun: e costoro dano qualche amaistramento ai prediti signori de la predita fede macometana, dilagandoli che ‘l seria sona grandissima vergogna e esser segnori e viver senza alguna leze de Dio, e far come fano quelli soi populi e zente menuda, che viven senza leze; […]” (p. 44) Cadamosto scrive anche che era usanza salutare il sovrano cospargendosi la testa di polvere: un’usanza che nel medioevo era diffusa in tutta la zona della Guinea e del Sahel. Un’altra usanza che notò il Cadamosto era quella di evitare che il raccolto fosse troppo abbondante,

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questo era per evitare razzie da parte di popolazioni ostili, egli pensò che gli indigeni coltivavano poco per pigrizia: “E costoro semena el luio e acorgie el setembro; e da questo tempo ch ‘l piove, lavorano le terre e semenano e arcolieno in tempo de tre mesi. E sono cativissimi lavoradori e homini che non se vol fadigar in semenar, salvo tanto quanto scarsamente el posa manzar tuto l’ano, e pocho se curano de haver de vender.” (p. 45) Nell’Impero Wolof le donne andavano con il petto scoperto, mentre gli uomini indossavano abiti di cotone; tuttora invece le popolazioni indossano calzature di cuoio e una specie di turbante oppure un berretto o un fez o un copricapo all’europea, mentre le donne sposate indossano un foulard e le ragazze vanno a testa scoperta, come è ampliamente descritto dal navigatore: “Le sue femene vano tute descoperte da la zentura in suso, sì maridadec omo donzele, e da la zentura in zoso portano un linzoleto de quelli panide gotton, sento attraverso, che li zonze fina a meza gamba. E tuti costoro vano descalzi semper, sì mascholi como femene; in testa non portano mai niente, e de li capili soi se fano algune treze pollide e ligade a diversi modi, e cossì le portano li homini como le femene: ma naturalmente non hano li caiplli ultra um palmo le femine.” (pag. 46) Inoltre Cadamosto ci parlò della poligamia, che era un'usanza allora molto diffusa nell’odierno Senegal e quindi descrive l’uso di disporre capanne per il capo famiglia e per le mogli, che devono essere dello stesso numero delle mogli. Il Veneziano descrisse gli indigeni estremamente felici e spensierati. L’ammiraglio della Serenissima durante la sua permanenza nell’Impero Wolof, decise di dare un’occhiata ai mercati della zona, ma dopo averne visitati alcuni, capì che quella gente era davvero molto povera, e la quantità di oro che possedeva era talmente minima da rendere impossibile un accordo commerciale e vantaggioso con loro. Dopo esser rimasto per un mese in Senegal, Cadamosto tornò sulla sua caravella e continuò il suo viaggio verso la foce del fiume Gambia. Dopo alcuni giorni di navigazione, egli raggiunse il villaggio di Bargny abitato dai Sereri ove vigeva un sistema repubblicano e all’arrivo del Cadamosto erano ancora animisti e non si erano ancora convertiti all’Islam. Cadamosto li definì come un popolo crudele, ma i Sereri si dovevano difendere dai nemici presenti lungo i loro confini e dalle scorribande dei popoli musulmani confinanti, e da qui la reputazione, a torto ripresa dal Navigatore, di essere un popolo crudele. I Sereri usavano come armi frecce avvelenate di digitale, estratto dalle piante del genere Strophanthus, come è descritto dal Cadamosto: “Et è achaduto molte fiade, che alguni re de Senega’ de Negri antenidi, per tempi passadi, li hafato guera et hali vogiodo subiugar: e sempre da queste do generatione sono sta’ malmenadi, sì per le saete avenenade che uxano sì etiam per el pa paeiexe forte, che non li pono intrar salvo pedoni e per streti passi.” (p. 63) 38


Lasciate le terre abitate dei Sereri, superò il promontorio di Capo Verde e le isole circostanti e arrivò alla foce del fiume Gambia, dove incontrò il navigatore genovese Antoniotto Usodimare. Qui ebbe dei contatti con gli indigeni Mandingo, ma gli uomini dell’equipaggio vennero creduti dei cannibali dalla popolazione locale, e questo contribuì alla decisione di opporsi al proseguimento della risalita del fiume voluta dal Cadamosto, perciò venne presa la decisione di tornare in Portogallo. I popoli africani così ampliamene dal Cadamosto erano descritti nel XIV secolo dal viaggiatore inglese Jehan de Mandeville (1357-1371) che influenzò le descrizioni sui popoli extraeuropei fino a Cristoforo Colombo, le sue descrizioni erano fantasiose e irreali, a cominciare dall'elemento umano che è descritto come ambiguo con il mondo animale popolato da Grafasanti che erano nudi e senza mestiere , da Blemmi senza testa e con la bocca e gli occhi al posto del petto e dai Satiri dai costumi disumani che avevano come un cane.

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Fig. 17: Giovanni Battista Ramusio, Parte de la Africa tratto da Delle navigationi et viaggi, I° tomo, Venezia, 1550

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Fig. 18: Abitanti della Guinea, incisione tratta da Bernard Springer, Augusta, 1508.

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SECONDA NAVIGAZIONE (1456) L’anno seguente Cadamosto, Antoniotto Usodimare ed uno sconosciuto navigatore portoghese, partirono da Lagos in Algarve e raggiunsero Capo Bianco per una spedizione sul fiume Gambia. Navigarono non sottocosta, ma al largo e furono quindi sorpresi da una tempesta e dopo averla superata raggiunsero Capo Bianco. Poco dopo Capo Bianco, la navigazione continuò verso l’isola di Arguin, poi arrivarono su alcune isole che non erano ancora state scoperte, distanti 700 km dal promontorio di Capo Verde. Arrivato nella baia di Arguin dove era stato l’anno prima, con il navigatore genovese Usodimare, scoprirono le isole di Boa Vista e Santiago e le altre isole dell’arcipelago, tutte le isole erano disabitate prima della colonizzazione portoghese incominciata nel 1460 con la fondazione di Ribeira Grande (oggi Cidade Velha) sull’isola di Fogo, la più antica città fondata dagli europei ai tropici. . Dall’isola di Boa Vista, si vedevano le altre isole dell’arcipelago, anch’esse disabitate, ma preferirono dirigersi verso la foce del fiume Gambia. Raggiunsero quindi la costa africana all’altezza della penisola di Capo Verde e dopo alcuni giorni di navigazione arrivarono alla foce del fiume Gambia con le loro tre caravelle. Dopo aver superato un’isola che chiamarono di Santo Andrea, dal nome di un membro dell’equipaggio morto di febbri malariche, continuarono la risalita del fiume come ci descrive il navigatore: “Partendo da questa ixoleta, e navigando pur su per el dito fiume, algune almadie de’ Negri ne seguia dala longa; […]” (p. 90) Dato che era la seconda volta che i navigatori raggiungevano quella zona, il loro intento era quello di aprire nuovi scambi commerciali tra il Portogallo e gli indigeni dell’odierno Gambia, infatti con l’aiuto degli interpreti spiegarono la loro intenzione, dato che le riserve aurifere non erano lontane e quindi si fecero aiutare dall’indigeno Battimansa a raggiungere il suo villaggio per intrattenere rapporti con gli abitanti. Quindi il Cadamosto assieme a Usodimare e allo sconosciuto navigatore, giunsero al villaggio di Batimansa, che si trovava all’interno del Gambia, risalendo la foce del fiume omonimo come ci descrive il navigatore. All’epoca di Cadamosto il Gambia era parte dell’Impero Soghai con capitale Gao nell’odierno Mali ed era abitato da diverse popolazioni indigene, la cui maggioranza è costituita tuttora da mandingo, jola, wolof e sereri, il Cadamosto parla così delle popolazioni del Gambia che cercavano di vendere anelli d’oro: “E qui [noi] stessemo circha doi zorni; e in questo tempo vegniamo a le caravele nostre molti de quelli Negri, habitanti da l’una parte e da l’altra de le rivere del dito fiume. E chi vegnia per vederne, per cossa molto nuova a loro e mai non vista per li soi passad, chi vegnia per vendere

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algune fuxade over qualche neleto d’oro. Le fuxate che ne portavano si erano prima si erano queste: prima gottonine e filadi di gottoni, e pani di gottoni filadi a lor modo, alguni bianchi, e altri chansadi, zoè vergatdi, e bianchi e lazuri e rosi, molto ben fati. “ (pag. 100) Nel villaggio ricevettero vari doni dagli indigeni come oro, schiavi e pelli di zibetti, quindi ricevettero la promessa che se fossero giunti un’altra volta, ci sarebbe stato un ulteriore scambio di schiavi e di merci. Alvise volle delle spiegazioni dall’indigeno Batimansa del fatto che erano stati attaccati dalla tribù indigene nel viaggio precedente e quindi ebbe la risposta che erano stati creduti cannibali ed erano spaventati dalle loro caravelle dato che non avevano mai visto delle navi del genere. Si fermarono nel villaggio per dieci giorni e Cadamosto partecipò anche ad una battuta di caccia dove vide molti animali come ippopotami, coccodrilli, leoni e leopardi. Nella battuta di caccia venne catturato anche un piccolo di elefante, Alvise quindi assaggiò la carne di elefante che trovò immangiabile per la sua durezza e per l’assenza di sapore. Tuttora l’elefante africano è quasi estinto in Senegal a causa della continua caccia indiscriminata, ma all’epoca del Cadamosto era ancora diffuso. Decise quindi di portare un piede dell’elefante in Portogallo, per far vedere a Enrico il Navigatore una delle specie di animali che vivevano in quelle zone appena scoperte. Quindi raggiunsero un gruppo di isole sconosciute, le isole Bissagos, al largo dell’odierna GuineaBissau, abitate dal popolo indigeno dei Bijago, ma non riuscirono a farsi comprendere da essi in nessun modo. Cadamosto è il primo europeo a parlarci anche del popolo dei Bjiago, un popolo animista diviso in diverse tribù dove le popolazioni di ogni isola ha una diversa cultura e con una linea del potere matriarcale, arrivati dal Mali e imparentati con i Coniagui del Senegal, la loro lingua è del gruppo delle ingue niger-kordofaniane, il gruppo di lingue africane parlate dalla Guinea al Sudafrica. Cadamosto ci descrive i Bijago con queste parole: “A queste ixole zonzessemo, le quelle sono 2 grande e algune altre pizole: queste 2 grande sono habitade da Negri e sono ixole molto basse, ma sono ben fornide de albori grandi e alti.” (pag. 100) Decisero quindi, dopo molti giorni, di tornare in Portogallo dato che gran parte dell’equipaggio si era ammalato di febbri dovute al clima tropicale. I Bijago sono un popolo che abita 20 delle 88 isole, parlano una lingua del gruppo Niger-Congo, diffuse in tutta l'Africa centro-meridionale. Professano in maggioranza culti animisti e parlano anche il portoghese, residuo della secolare dominazione lusitana.

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Fig. 19: Atlante catalano, Abraham Cresques e figlio, 1375, terza e quarta tavola, Bibliothèque nationale de France.

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Fig. 20: Atlante catalano, Abraham Cresques e figlio, 1375, sesta tavola, Bibliothèque nationale de France.

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Fig. 21: Aldus verthoon hem 't casteel Argyn uyt der zee, Johannes Vingboons, Amsterdam, 1665, Nationaal Archief.

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LE INFORMAZIONI GEOGRAFICHE NELLE RELAZIONI DI ALVISE CADAMOSTO

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PRIMA NAVIGAZIONE (1455) Cadamosto nel primo viaggio partì da Capo San Vicenzo in Algarve diretto all’isola di Porto Santo nell’arcipelago di Madera, che descrive in questo modo: “Questa isola del Porto Sancto è molto piccola cossa, volta cercha milia 25 efo atrovada da 17 anni in qua da le caravele del sopradito signor Infante; e lui l’a fata habitar di Portogallesi, che mai per avanti fo habitada; et è governador de quella um Bortholomeo Polastrelo, homo del dito signor.” (p.14) La descrizione geografia del Cadamosto è lontana dalle fantasiose descrizioni medievali, ancora legate a leggende che erano in parte presenti alla fine del medioevo. Descrisse l’isola abbondante di carne proveniente dall’allevamento di manzi e dalla caccia ai maiali inselvatichiti, Cadamosto ci descrive anche la pescosità vicino all’isola di Porto Santo, che è infatti molto pescoso come tutto l’Atlantico settentrionale, ricco di orate (Sparus aurata) e di dentici (Dentex dentex), tutti pesci effettivamente diffusi in quella zona di oceano. Lasciata l’isola di Porto Santo approda a Machico nell’isola di Madera, da dove è visibile l’isola di Porto Santo nelle giornate limpide, come quella in cui è arrivato nell’isola di Madera. Inoltre Cadamosto ci descrive per molti termini geografici l’origini l’origine per toponimo, infatti l’isola di Madera afferma il navigatore che il toponimo deriva “l’isola dei legnami” infatti Madeira in portoghese significa “bosco” e si riferisce alle foreste sempreverdi di Laurisilva formata dalle Lauraceae, diffuse oltre che nell’isola in tutta la Macaronesia, Inoltre ci descrive l’isola ricca di torrenti e di vigne che producevano il vino malvasia, ora utilizzato per la produzione del vino liquoroso Madeira. Lasciata l’isola di Madeira sbarcò alle isole Canarie, che vengono ampliamente descritte dal Cadamosto “Queste ixole de Canaria sono dexe; zoè sette habitade, tre dessabitade. Le habitade sono queste: la prima à nome Lanzaroto, la seconda si è Forte Vuentura, la terza Gran Canaria, la quarta Teneriffe, la quinta Gomera, la sesta, Palma, la septima El Ferro; notando che de queste sette ixole, le 4 sono habitade da christiani: zoè Lanzaroto, Forte Ventura, La Gomera, El Ferro; le altre tre sono de idolatri. El signor de tute queste ixole habitade da christiani si à nome Ferera, zentilhomo e cavalier de la cità di Sibilia, et è soxeto al re di Spagna.” (p.) I coloni spagnoli avevano una dieta a base di latte, orzo e carne, soprattutto proveniente dalle capre, che erano state portare all’inizio del XV secolo. Raggiunte le Isole Canarie, di cui già Giovanni Boccaccio nel suo racconto in latino De Canaria et Insulis Requilis Ultra Hispaniam in Oceano Repertis del 1342, il primo racconto di un italiano su un viaggio atlantico, dove descrive in modo accurato le isole e dove è presente la prima descrizione del vulcano Teide (3.718 m) nell'isola di Tenerife: “Trovarono anche un'altra isola, dove non vollero calare perché ai loro occhi apparve una certa meraviglia. Dicono che vi è un monte altissimo, a stima trenta miglia ed anche di più, che si vede 48


molto di lontano, e sulla vetta vi appare un certo biancore; e poiché tutto il monte è sassoso, si vede quel biancore aver sembiante di una rocca, [...]” La descrizione del Cadamosto del Teide è ancora più dettagliata e descrive il Teide come un vulcano attivo, con la neve sulla cima già descritta dal Boccaccio più di un secolo prima: “E de Teneriffe, ch'è la più habitada, è da far metion, perché la è una de le più alte ixole del mondo e vedesse con el tempo chiaro in mar un grandissimo cammino. E da marinari degni di fede ho inteso quella haver vista in mar a suo arbitrio da 60 a 70 lige de Spagna, che son più de 250 milia; perché l'à una ponta nel mezo l'isola a modo de diamante, ch'è altissima arde. E per quello se po'inteder da christiani che sono sta' prexi in quella ixola, afermeno la predita ponta esser alta dal piè fina a la cima lige 15 de Portogalo, che sono milia 60 de nostri taliani” (p. 20) Riguardo alle isole la descrizione del Boccaccio non è molto dettagliata: “Sei delle tredici isole alle quali giunsero le videro abitate e con molti abitatori, né ugualmente le altre sono abitate, ma quali più, quali meno. [...]” La descrizione del Boccaccio si può confrontare con quella del Cadamosto, ancora più dettagliata sulla descrizione delle isole, che ci parla delle isole già colonizzate dagli spagnoli e quelle ancora abitate dai Guanci: “Queste ixole de Canaria sono dexe; zoè sette habitade, tre dessabiatade. Le habiatade sono queste: la prima à nome Lanzaroto, la seconda si è Forte Ventura, la terza Gran Canaria, la quarta Teneriffe, la quinta Gomera, la sesta La Palma, la septima El Ferro; notando, che de queste ixole, le 4 sono habitate da christiani: zoè Lanzaroto, Forte Ventura, La Gomera, El Ferro; le altre sono de idolatri. [..]” (p. 18) Arrivato a Capo Bianco, Cadamosto si sofferma sull'origine del toponimo causato dall'arenaria presente sul promontorio e le sue descrizioni geografiche sono lontane dai viaggi delle fantasiose esplorazioni medievali e vicine ad un aspetto descrittivo all'alba dell'età moderna e dell'epoca delle grandi navigazioni: “El qual qual cavo vien chiamado Biancho, perchè i Portogalesi che prima el trovà vetè quello esser arenoso e biancho, perchè i Portogalesi che prima el trovà vetè quello esser arenoso e biancho, senza signal de herba né de arbaro alguno; et è bellissimo cavo esser in triangulo, zoè che ne la faza soa el fa tre ponte, large l'una da l'altra zercha un milio.” (p. 24) Superato Capo Bianco Cadamosto arrivò presso le isole che circondano il forte portoghese di Arguin, voluto nel 1448 da Enrico il Navigatore per il commercio degli schiavi con le popolazioni africane. La zona del forte, con le sue secche e le sue correnti è descritta con queste parole: “Nel dito golfo de Argim per tuto è pocha aqua, e sono algune seche de arena e altre di piera. E qui el mare ha gran corentia d'aqua, per el qual non se naviga salvo de zorno con el scandagio in man e con l'ordeno de l'aqua: perché in quello colfo se rompèno za dui navili in le predite sech.” (p. 24) Dopo una descrizione sui vari popoli che commerciavano con i portoghesi di Arguin tramte gli arabai, che erano gli unici ad avere permesso a commerciare con i portoghesi, che con i loro 49


commerci raggiungeva il Nord Africa e il Sahel. Durante la sua navigazione lungo la costa mauritana il Cadamosto cita diverse volte l'Impero del Mali, infatti da Arguin partivano molte piste carovaniere dirette nell'Impero, che si estendeva dalle coste del Senegal alla valle del Niger centrale. L’isola di Arguim conosciuta anche con il arabo di “Ghir” come riferito dal cronista portoghese Gomes Eanes de Zurara (1410-1474) , dopo esser stata scoperta da Nuno Tristão nel 1443 che in Navigatione da Lisbona all’isola di san Thomè del Zurara edita dal Ramusio nel 1558 descrive Arguim: “Argin, dov’è un gran porto, et un castello de Re Nostro, nel qual vi tien gente con suo fattore. Questo Argin è habitado da Mori et Negri, et qui son li confini che dividono la Barberia dal paese de li Negri.” Zurara chiama l’isola a sud di Arguim Coriacea e quella a nord Tidera, Nara, Garzara e Alba per riferirsi alle isole Tidra, Nair, Niroumni e Arel che formano un piccolo arcipelago a sud del golfo di Arguin e sono poco lontane dalla costa mauritana. Il geografo veneziano nella sua Geografia del 1588 invece afferma: “Branca […] fu detta dai Portoghesi, per essere arenosa tutt; ma da quelli del paese è detta Adget [..] è chiamata ancora da essi Portoghesi Ilha do Corvos, cioè Isola delli Corvi; per la gran moltitudine di essi, che ivi si trovono fino al principio del suo discoprimento fatto da Nuno Tristão nel 1443. Ilheo [..] si chiama isola delle Garze. Nar e Tider così dette dagli abitatori suoi, perché furono ritrovate da Lanzarotte capitano di sei caravelle, nell’anno 1444. Ilha dei cuori cioè isola dei corami, forse da alcuna quantità di corami, che ivi scorticando bestie si habbia potuto ritrarre.” Dopo aver navigato lunga la costa mauritana raggiunge la foce del fiume Senegal che chiama con il nome di Rio do Senega e ci descrive la zona acquitrinosa della foce: “Dapoi che passiamo el dito Cavo Biancho, a vista de esso navigavamo per nostre zornade, e vegnemo al fiume dito Rio do Senega, ch'è el primo fiume de' terre de' Negri, intrando per quella costa. El qual fiume parte li Negri da li Beretini diti Azanegi, e parte etiam la terra secha e arida, che è el deserto predito, de la terra fertile, ch'è el paexe de Negri. El qual fiume è largo e grande in bocha più de um milio e fa anchòra un'altra bocha del dito fiume un pocho più avanti, fazendose una ixola in mezo, e vien a meter cavo in mar per doe boche; e el dito fiume sopra cadauna de doe boche fa banchi e schagni che sono largi da la doe boche in mar forsi un milio.” (pag. 39) La descrizione del Senegal di Cadamosto è l’unica parte della sua descrizione dove ricompare brevemente una descrizione di medievale, legata alla spiritualità e non alla geografia in senso stretto: “Questo fiume disse esser um di 4 fiumi che esse dal paradiso terestre el qual se chiama **, che vegando bangna tuta la Ethyopia. E e utlimate da esso nasce el Nilo, […]” (pag. 40) Questa idea, basta anche sui mappamondi tolemaici era ancora diffusa all’epoca di Cadamosto allla

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metà del XV secolo, l’Idea che il Senegal fosse uno dei rami del Nilo è affermato pure navigatore portoghese Dinis Dias che raggiunse quelle stesse zone undici anni prima e su cui si trova menzione nelle Crónica dos Feitos da Guiné. Cadamosto lasciata la foce del Senegal raggiunge la penisola di Capo Verde durante la stagione delle piogge (da luglio a ottobre) credendo però che la vegetazione del promontorio era sempreverde, qui Cadamosto ci descrive molto accuratamente la penisola, le colline delle Mamelles e le isole di Gorée e le Isole della Maddalena con la vicina baia di Hann, commettendo l’errore nella data di scoperta del promontorio portandola al 1454, invece venne scoperto nel 1444 da Dinis Dias, parente del più famoso Barlomeu Dias ben undici anni prima dell’arrivo di Cadamosto: “Questo Cavo Verde se chiama Cavo Verde perché i primi che ‘l trova’, che fono i Portogallesi, forsi uno anno avanti ch’io fusse in quella parte, el trova’ tuto verde de albori grandi, che continuamente stano verdi tuto el tempo de l’ano. E per questa rason li mise nome Cavo Verde; cossì como e el Cavo Blancho, quello de che nui habiamo parlato per avanti, perché fu atrovato arenoso e biancho, per quello lo chiamano Cavo Blancho. E questo cavo Verde è molto bello cavo e alto de teren; et è sopra la ponta duo nombolete, zoè do montesseli, e metesse molto fuori in mar; e sopra el dito cavo chantono molte habitation de Negri, zoè vilazi e casse de pagia, tute apreso la marina, e a vista de quelli che passano; e sono questi Negri ancho del predito regno de Senega;e sopra el dito cavo sono algune seche che esseno fuori in mar forsi un milio. E passado el dito cavo, se atrova tre ixolete pizole non molto luntane da terra, tute dessabitade e copiose de albari tuti verdi e grandi; e havendo mi bisogno de aqua , metessemo anchòra a una de le dite ixole, a quella che parse più granda e frutifera, per veder se attrovavemoqualche fontana de acqua. E dismontati non trovassemo, salvo in un luogo che parea render una sì puocha de acqua, che non podea dar nesun susidio.” (pag. 74) La costa che si affaccia sulla baia di Hann tra Dakar e Rustique è una zona molto verde del Senegal, la cui vegetazione contrasta con la costa arida presente tra Capo Jubi al promontorio di Capo Verde nel terriorio abitato dai Sereri. Lasciata la baia di Hann Cadamosto arrivò alla foce del fiume Gambia, che viene descritta così dal Cadamosto: “E tandem pervegnemo a la bocha del fiume de Gambra la qual vedendo nui quella esser gandissima e non meno de 3 fin 4 mili nel più streto, dove podiam intrar cli nostri navili seguarmente, terminiamo qui riposar, per voler intrar el zorno seguente e veder se questo giera paexe de Gambra, che tanto desideravemo atrovar. Essendo nui areduti a la bocha de questo gran fiume, el qual de la prima intrada non mostrava meno largo de milia 6 in 8 , zudigassero questa cossì bella fiumara dover esser del paexe de Gambra da nui tanto desiderat, […]” (pag. 78-79) Il fiume Gambia nasce nel massiccio del Fouta Djalon e dopo 1.120 km dopo aver attraversato una parte della Guinea settentrionale, il Senegal occidentale e sfocia nello stato omonimo e ha una foce larga 5 km, meno di quanto di quanto credeva il Cadamosto tra Banjul e Banda, nonostante le 51


informazioni sulla foce si avevano già dalle esplorazione di Nuno Tristão del 1446. L'acqua è dolce a monte dell'isola Elephant, a oltre 150 km. dalla foce, ma gli effetti della marea si risentono fino a Yabu Tenda, a oltre 500 km. dalla foce, presso il confine tra Gambia e Senegal. Nel tronco superiore il fiume è chiuso fra sponde alte, rivestite da arbusti e cespugli; ma oltre gli scogli di Buruko, succedono gradatamente rive basse coperte da dense foreste. A Kunta-ur, a circa 250 km. da Banjul, appaiono i primi gruppi di mangrovie e negli ultimi 210 km. le sponde spariscono addirittura sotto la fitta vegetazione delle mangrovie, che arrivano a un'altezza di 15-18 m. Le rive sono molli e fangose, perciò i punti atti all'approdo sono scarsi. Il Gambia è soggetto a piene periodiche causate dalle piogge della tarda estate; esse sono insignificanti nel corso inferiore, ma a Yabu Tenda raggiungono l'altezza di circa 7 metri e mezzo. Gli scogli di Buruko agiscono come una diga naturale distribuendo le acque di piena sopra un'area considerevole; anzi è probabile che una parte di queste acque, per mezzo di bracci temporanei, raggiunga il fiume Casamance, che scorre parallelo al Gambia a un centinaio di chilometri a sud. Cadamosto risalì il fiume per circa trenta chilometri, ma il suo obiettivo era farne circa dieci volte di più ma trovò l’opposizione dell’equipaggio. Durante il viaggio di ritorno fu il primo navigatore a descrivere la Croce del Sud, che è già visibile dal 27 parallelo nord a partire dalle Isole Canarie.

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Fig. 22: Il vulcano del Teide (3.717 m) nell'isola di Tenerife nelle Canarie, dove secondo i Guanci qui vi era ubicata l'aldilĂ .

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Fig.23: Capo Bianco al confine tra Mauritania e Sahara Occidentale (Marocco), nei pressi di questo promontorio passò il Cadamosto durante i suoi viaggi nel 1455 e nel 1456.

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Fig. 24: Punta delle Almadie nel promontorio di Capo Verde, il punto piĂš occidentale del continente africano non lontano da Dakar, capitale del Senegal.

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SECONDA NAVIGAZIONE (1456) Cadamosto dopo aver lasciato Lagos assieme al navigatore genovese Antoniotto Usodimare al principio della primavera e superato Capo San Vincenzo navigò verso le isole Canarie senza attraccare in nessuna isola venne coinvolto in una tempesta superate le isole mentre navigava verso la costa africana. Arrivato nei pressi della costa africana nei pressi di Capo Bianco navigarono stto costa on il vento favorevole per due notti e tre giorni. Il terzo giorno avvistarono l'arcipelago di Capo Verde e Cadamosto ci racconta la scopertta delle isole che rano tutte disabitate: “El terzo zorno havessemo vista de terra; critando tutti: terra terra, molto se meravegiassero, perché savevemo che a quella parte fosse terra nessuna. E mandando doi homini a alto, discoprimo doe grande ixole; unde essendo notificato questa cossa, dissemo gratia la nostro Idio, che ne condusca a vedere cosse nuove; e perché savevemo ben che de queste ixole in Spagna non se haveva noticia alguna, per intender più cosse e per provar nostra ventura tegnessero la volta direta a una de esse isole; unde essendo notificato questa cossa, daremo gratia al nostro signor Idio, che ne condusca a veder cosse nuove; e perché savevemo ben che de queste ixole in Spagna non se ne haveva noticia alguna, per intender più cosse e per provar nostra ventura tegnessemo la volta direta a una de esse ixole; e in breve tempo li fossemo propinqui. Unde, zonzendo a essa, parendone grande, la scoressemo um pezo a vista de terra, tanto che pervegnessero a um luogo che ne paria che fosse bon statio , e li metessemo ànchora; e bonazando el tempo, butassemo la barcha fuora , e quella ben armada mandai in terra per veder se l'parca alguna perxona in questa ixola” (p. 92) Come già detto precedentemente la scoperta e l'esplorazione dell'arcipelago di Capo Verde è discusso tuttora e il merito della scoperta è conteso tra il Cadamosto, il ligure Antonio da Noli e il portoghese Diogo Gomes; e due sono le relazioni oltre a quello di Gomes. Antonio da Noli eseguì una completa ricognizione delle isole e tanto che venne considerato per un lungo periodo il vero scopritore dell'arcipelago. La descrizione delle isole è presente nel documento regio di Alfonso V del 3 dicembre 1460, che conferma la scoperta avvenuta da parte del Cadamosto, dato che alcune isole isole sono menzionate con il nome dato dal veneziano: “ylha de Sam Jacobe e Fellipe, ylha de las Mayaes, ylha de Sam Christovam, ylha Lam”, solo l'isola di Boavista è nota con il nome di “Sam Christovam” probabilmente perché il 24 luglio del 1460, festività del santo vi sbarcò il navigatore genovese. La prima isola scoperta dal Cadamosto fu l'isola di Boa Vista che fu battezzata dal Cadamosto in questo modo perché fu la prima vista dall'equipaggio. L'isola di Boa Vista è la più orientale delle isole Barlavento ed è la terza isola dell'arcipelago per dimensioni essendo estesa 620 km² , l'entroterra ha subito una progressiva desertificazione e il punto più elevato è il Monte Estância (387 m).

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Cadamosto afferma che visitò quattro delle dieci isole dell'arcipelago, sicuramente quelle più occidentali più vicine alla costa africana, che sono le isole a cui fa riferimento il decreto reale del 1560, cioè Sam Jacob (Santiago), Sam Filipe (Fogo), Dela Mayes (Maio), Sam Cristovam (Boa Vista) e Lana (Sal). Il Cadamosto continuò il viaggio fermandosi a Santiago che viene descritta in questo modo: “Notando che la prima ixola dove dimontassemo, metesssemo nome a questa ixola de Bona Vista, per esser stata la prima vista de tera in quella parte, e a quest'altra, che mazor ne parea de tute quatr, metessemo nome ixola de San Iacobo, perché el zorno de San Philipo e Iacobo venessemo a essa ixola a meter ànchora.” (p. 95) L'isola di Santiago, chiamata dal Cadamosto “ixola del San Philipo e Iacobo” venne scoperta dal Cadamosto il 1° maggio, ma il nome venne dato il 3 maggio, giorno dei Santi filippo e Giacomo. L'isola di Santiago è la più grande dell'arcipelago di Capo Verde e si trova nelle isole Sotavento, l'isola è estesa quasi 1.000 km² , il punto più elevato è il Pico da Antónia (1.394 m) che si trova quasi al centro dell'isola. L'isola di Santiago fu la prima ad esser colonizzata dai portoghesi, infatti già nel 1462 venne fondata Ribeira Grande, toponimo che significa “grande spiaggia” dato dal genovese Antonio da Noli alla zona dell'isola esplorata. Ribeira Grande divenne capoluogo della colonia di Capo Verde, nel XVIII secolo prese il nome di Cidade Velha e nel 1769 la capitale venne spostata a Praia, che rimase capitale anche dopo l'indipendenza di Capo Verde dal Portogallo nel 1975. Lasciate le isole dell'arcipelago di Capo Verde arrivò sulla costa africana in un villaggio chiamato dai portoghesi Las Palmas, situato tra la foce del fiume Senegal e il promontorio di Capo Verde, presso l'odierno villaggio di Mboro. Il Cadamosto continuò la navigazione verso il promontorio di Capo Verde e arrivò alla foce del fiume Gambia, dove risalendo il fiume scoprì un'isola che chiamò Ixola de Santo Andrea in onore del suo membro dell'equipaggio che ere morto per malattia e che venne sepolto sull'isola. L'isola è stata identificata come Dog Island, un'isola che si trova a 13 km dalla foce del Gambia ed è estesa 3,5 ettari. Nel 1661 l'isola venne riscoperta dal capitano inglese Robert Holmes a e venne chiamata Charles Island in onore di Carlo I d'Inghilterra, il capitano costruì un piccolo forte sull'isola che venne abbandonato nel 1816 e il materiale del forte venne usato per la costruzione di Bathurst, chiamata così in onore di Henry Bathurst, segretario del Colonial Office e nel 1965 con l'indipdenza del Gambia prese il nome di Banjul, il toponimo deriva dalla parola mandinka Bang julo che significa cordame, dato che in passato era un luogo per il commercio del cordame. Presso la foce del Gambia il Cadamosto visitò la provincia di Bati, occupata nel 1255 dall'imperatore del Mali Mari Djata, che prese il nome di Mansa Ouali, prendendo per primo il titolo onorifico di Mansa, che in lingua mandinka significa “re dei re”, il titolo di Mansa è descritto nell'Atlante catalano del 1375 opera attribuita ai cartografi Abraham e Jahuda Cresques, dove è descritto l'imperatore dell'epoca dell'epoca Munsa Mali:

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“Questo signore negro si chiama Munsa Mali, signore del negri della Guinea. Così, abbondante è l'oro che si trova nel suo paese che lui è il re più ricco e nobile in tutto il Paese. “ 4 Il Cadamosto rimase undici giorni nelle zona del fiume Gambia e incontrò dal signore Guumimensa che controllava la parte nord della foce del fiume Gambia, il signore è stato identificato come Niumi-Banta che controllava la zona di Barra nel lato nord della foce del fiume. Il Cadamosto non scoprì il centro di Kantora, all'estremità est dell'odierno Gambia dato che si trova a circa 440 km dalla foce, ma si fermò circa duecento chilometri prima.

Lasciato il fiume Gambia, doppiò Cape St. Mary enei pressi dell'odierna Banjul e poi continuò la navigazione verso il Casamance, Quindi arrivò alla foce del fiume Casamance nella regione omonima compresa tra il Gambia e la Guinea- Bissau. Il Casamance è la regione più meridionale del Senegal, l'origine del nome del fiume e della regione omonima derivano dalla parola in lingua malinkè che significa Re dei Kasa, in riferimento al regno di Kasa che comprendeva l'odierno basso Casamance. La Casamance è estesa 28.000 km. La popolazione del clan Jola è l'etnia dominante in Casamance, ed è coltivata largamente a riso, dato che le precipitazioni medie annue sono più alte del resto del Senegal e raggiungono in alcune zone anche 1.524 mm annui. Lasciato il fiume Casamance riprese la navigazione verso un promontorio che chiamò Capo Rosso, oggi è noto con il nome Cabo Roxo o Cap Roxo, il promontorio è situato al confine tra Senegal e Guinea-Bissau, si trova nei pressi della città senegalese di Kabrousse e si trova all'estremità occidentale della Guinea-Bissau. Capo Rosso venen chiamato così dal Cadamosto perchè il terreno nella zona del capo è di colore rossastro, a causa della presenza di ossido di ferro nel terreno. Cadamosto ci parla di due fiumi nei pressi del promontorio, che sono stati battezzati Santa Anna e San Dominico, dato che vennero scoperti il giorno dei rispettivi santi patroni. I due fiumi sono stati identificati come il Rio Cacheu, indicato nelle antiche mappe portoghesi con il nome di Rio de São Domingos e un braccio della foce del Rio Mansôa. Il Rio Cacheu è il nome della parte terminale del Rio Farim che nasce non lontano dal confine con il Sernegal ed è lungo 257 km, il suo percorso è quasi parallelo a quello del Casamance, ed è è navigabile per quasi tutto il suo corso, qanche da navi di grande tonnellaggio Il corso del fiume è ricoperto per più di metà del suo tratto da mangrovie, e nel 2000 è stato costituito un parco naturale. Il Rio Cacheu è anche il fiume lungo della Guinea-Bissau. Superato il Rio Cacheu arrivò al Rio Mansoa, lungo circa 200 km, che nel suo tratto terminle forma un grande estuario e si divide in due rami principali che formano formano le isole di Pecixe e di Ceta.

4 L'Atlante catalano (1375 ca.) è la carta nautica più importante del periodo medioevale. Essa non porta la firma dell'autore attribuita alla scuola cartografica catalana di Maiorca. Si suppone sia stata prodotta da Abraham Cresques. Attualmente è custodito nella Bibliothèque nationale de France.

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Il giorno dopo il Cadamosto scoprì le isole Bissagos, queste isole sono un arcipelago parte della Guinea-Bissau esteso circa 2.600 km² e composto da 80 isole di cui solo 20 abitate. Tutte le isole sono abitate dalla popolazione Bijago che è in maggioranza animista e parla oltre al portoghese, residuo dell'antico colonialismo lusitano la lingua Bijago, che appartiene al gruppo delle lingue Niger-Congo parlate nell'Africa centro-meridionale.

Le isole Bissagos sono state formate dai depositi dei fiumi Rio Geba e Rio Grande, l'ecosistema è rappresentato da mangrovie con zone intertidali causati dalle maree, palmeti e savane costiere. Le isole durante la lunga dominazione portoghese rimasero ai margini della colonia a causa del clima insalubre e vennero ampliamente esplorate solo nel 1930-1931 dall'antropologo austriaco Hugo Bernatzik (1897-1953) durante lo studio delle popolazioni locali. Le isole sono tutte pianeggianti e non è presente alcun rilievo di particolare importanza, le zone disboscate sono coltivate ad aranceti e bananeti che sono anche esportati sul continente.

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Fig. 25: Il Monte Estância (387 m) nell'isola di Boa Vista nell'arcipelago di Capo Verde , l'isola fu la prima scoperta dal navigatore veneziano nel 1456.

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Fig. 26: Il fiume Casamance a Ziguinchor, il maggior porto fluviale a 70 km dalla foce nell'Atlantico. Il fiume venne risalito dal Cadamosto durante i suoi due viaggi.

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Fig. 27: La savana nell'isola di Orango nelle isole Bissagos o Bijagos parte della Guinea-Bissau, le isole furono scoperte dal Cadamosto nel 1456.

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BIBLIOGRAFIA

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