Aspetti giuridici rilevanti nell’attività del Criminologo
Sommario: 1. Lineamenti di diritto penale di rilevanza criminologica: l’imputabilità — 2. Cause che escludono l’imputabilità — 3. La capacità criminale: concetto e storia; articoli attinenti alla capacità criminale — 4. Le misure di sicurezza — 5. Personalità, pericolosità e misura cautelare — 6. Il ruolo del criminologo nel sistema normativo vigente: attività peritale e di consulente tecnico nella fase di cognizione; attività nella fase di esecuzione
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1. Lineamenti di diritto penale di rilevanza criminologica: l’imputabilità Il problema dell’imputabilità è tra i più controversi non solo nella disputa legislativa Italiana, ma in quella Internazionale, con proposte miranti alla continua modificazione ed adeguamento contestuale ai tempi ed alle evoluzioni scientificosociali. In ogni caso la legislazione di riferimento è la seguente: Art. 85 c.p. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile. E imputabile chi ha la capacità di intendere e volere. Art. 86 c.p. Se taluno mette altri nello stato d’incapacità d’intendere o di volere, alfine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace risponde chi ha cagionato lo stato di incapacità. Art. 87 c.p. La disposizione della prima parte dell’art. 85 non si applica a chi si è messo in stato d’incapacità d’intendere o di volere alfine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa. Art. 90 c.p. Gli stati emotivi e passionali non escludono ne diminuiscono l’imputabilità. Il concetto di imputabilità si estrinseca nei suddetti articoli e si sviluppa anche attraverso la dottrina:
In primis l’art. 85 c.p. parla di due capacità: 1. La capacità di intendere, cioè, secondo Mantovani(1990), l’attitudine del soggetto non solo a conoscere la realtà esterna, ma a rendersi conto del valore sociale degli accadimenti. In linea di massima non si richiede che il soggetto sia in grado di giudicare che la sua azione sia contraria alla legge, basta che possa genericamente comprendere quello che sta facendo (Antolisei 1994). Inoltre è bene precisare che la capacità di intendimento morale dei fatti non presuppone necessariamente né il sentimento morale, né tanto meno l’adesione morale (Mantovani 1990 op. cit.). 2. La capacità di volere, cioè la capacità del soggetto ad autodeterminarsi in vista di uno scopo. Si tratta della capacità del soggetto di scegliere, di volere quello che si giudica opportuno fare in un dato momento. In poche parole, autodeterminazione, scelta, volontà di fare quello che si è fatto. L’art. 86 c.p. non produce grossi problemi interpretativi. L’articolo va letto in combinato con il precedente, e dunque per il soggetto che ha compiuto il reato si dovrà verificare se lo stato indotto abbia procurato un’incapacità totale o parziale e si agirà di conseguenza. Per colui che invece ha indotto il soggetto all’incapacità e che dunque la ha materialmente determinata, il codice prevede che se ha agito al fine di far commettere un altro reato ne risponde lui direttamente in prima persona in vece della persona resa incapace. Se ha agito senza fini criminali ne risponderà attraverso le regole generali in tema di colpevolezza, e dunque seguendo le regole del dolo e della colpa, in tutte le loro sfumature. L’art. 87 c.p. prevede un’incapacità che lo stesso soggetto si è autodeterminata, per trovare il coraggio di compiere un reato o per precostituirsi una scusa al fine di evitare la condanna. Qui il codice non concede nessuna scriminante, ma ritiene quest’ipotesi addirittura un’aggravante del reato commesso dall’ubriaco o dal tossicodipendente, così come recita l’art. 92c.p. comma II. La dottrina ha definito questa condizione come actiones liberae in causa, spiegando precisamente la ratio dell’articolo citato. Con le actiones liberae in causa, non è vero che si punisce una condotta precedente all’esecuzione del reato, colui che infatti si ubriaca al fine di commettere un reato, nel momento in cui si procura lo stato di ebbrezza comincia già a compiere il reato stesso. Per Antolisei( 1990), l’esecuzione del reato non è costituita soltanto dall’attività che concreta immediatamente il fatto previsto, ma da qualsiasi atto esterno che sia diretto allo scopo di realizzarlo. Per questo motivo l’articolo in esame non rappresenta una deviazione dalla regola generale, un’eccezione al principio per cui l’agente deve essere imputabile al momento del fatto, il soggetto semplicemente inizia l’esecuzione volontaria del reato in stato di capacità e la termina in stato di incapacità, l’azione segue un continuum
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e dunque al momento di inizio di consumazione del reato il soggetto era imputabile, questa è la ratio della norma, e la sua logica e di chiara e semplice comprensione. L’art. 90 c.p. non lascia margini di dubbio nella sua sintetica enunciazione: Gli stati emotivi e passionali non escludono ne diminuiscono l’imputabilità. Questo è forse l’articolo che più di tutti chiarisce come l’impostazione del nostro legislatore sia stata nella concezione del problema imputabilità prettamente biologica, escludendo dal novero delle cause di non imputabilità o di diminuita imputabilità, tutte quelle, e dunque anche gli stati emotivi e passionali, che non si inquadrino certamente in uno stato patologico psichico, patologico inteso nel senso di significazione medica del termine malattia mentale. Secondo i lavori preparatori del codice, le passioni e l’emotività sarebbero uno stato normale della personalità umana, e dunque solo quando essi rientrano in un quadro morboso, possono essere valutati al fine dell’imputabilità. Questa norma è il vero punto di rottura tra la verità clinica e la verità giuridica e, d’altra parte, sarebbe anche il punto da cui ripartire per una ricostruzione della disciplina che tenga in maggior conto i progressi delle scienze psicologiche-criminologiche senza naturalmente dimenticare le funzioni della pena e la salvaguardia della tranquillità e della pace sociale. Una rivisitazione non unilaterale del concetto di imputabilità, ma una riscrittura di concerto che preveda nuove scelte di politica criminale e nuove strutture di detenzione 2. Cause che escludono l’imputabilità Il codice ha espressamente previsto delle cause che escludono o diminuisco la capacità di intendere e di volere e che dunque incidono sull’imputabilità o sui suoi gradi. Esse riguardano in linea di massima due grandi famiglie, una che fa capo alle alterazioni patologiche, una seconda che fa capo all’immaturità. Analizziamo tali cause: Art. 88 c.p. Non è imputabile chi al momento del fatto era, per infermità, in tale stato di mente da escludere la capacità di intendere o di volere. Questo è l’articolo che racchiude in se un po’ tutto quello che abbiamo finora detto, esso riguarda infatti il vizio di mente totale. Come già affermato questo stato deve esistere al momento di commissione del fatto e deve essere di un tale grado e di una tale gravita, da escludere totalmente che il soggetto, al momento in cui commetteva il reato, avesse cognizione di quello che stava facendo, e volontà di farlo. In questi casi il soggetto non è imputabile ed eventualmente a lui sarà applicabile una misura di sicurezza. In questo senso, e per sgombrare il campo da possibili equivoci, citiamo una sentenza per tutte: Cass. 30 Aprile 1990 n°6234, L’infermità di mente presuppone un vero e proprio stato patologico idoneo ad alterare i processi di intelligenza e della volontà con
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esclusione o notevole diminuzione della capacità di intendere e volere, sicché esulano da questa definizione sia le anomalie caratteriali non conseguenti di uno stato patologico, sia uno sviluppo intellettuale non molto progredito, in assenza di causali patologiche. Art. 89 c.p. Chi, nel momento del fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, pur senza escluderla, la capacità di intendere e di volere, risponde del reato commesso, ma la pena è diminuita. Questo articolo, e non solo in Italia, è stato oggetto di notevoli dispute e discussioni dottrinali e scientifiche. In linea di massima possiamo dire che esso è limitato ai casi più gravi di infermità, ma non tanto gravi da configurare il vizio totale. Si tratta dunque, anche in questo caso, di uno stato di malattia morbosa psichica, e la differenza con il precedente articolo è solo di natura quantitativa. Il problema ulteriore di questo articolo si rinviene in materia di pena. In questo caso essa è solo diminuita e non esclusa, ma alla pena può essere affiancata una misura di sicurezza, che di regola è successiva alla espiazione della pena base, ma può essere anche precedente. Anche in questo caso una sentenza della Suprema Corte per meglio intenderci. Cassazione 12 Luglio 1980 n°8862. L’infermità parziale va intesa come uno stato patologico, e dunque esulano dalla sua nozione quelle anomalie del carattere o altre anormalità, come le psicopatie, che, pur influendo sul processo di determinazione o di inibizione, non sono tuttavia suscettibili di alterare la capacitai di intendere e volere. Il vizio parziale di mente, deve in altri termini sempre dipendere da uno stato patologico che alteri, grandemente scemando la capacità di intendere e volere. Art. 91 c.p. Non è imputabile chi al momento del fatto non aveva la capacità di intendere e di volere, a cagione della piena ubriachezza derivata dal caso fortuito o da forza maggiore. Se l’ubriachezza non era piena, ma era tuttavia tale da grandemente scemare la capacità di intendere e di volere, la pena è diminuita. E’ un’ipotesi di scuola, molto rara nella pratica, e che peraltro non pone particolari problemi. Un’ipotesi che si potrebbe verificare realmente, oltre gli esempi classici di chi è intossicato dai vapori dell’alcool lavorando in una distilleria, è l’ipotesi di chi, assumendo un farmaco prescritto, si vede potenziare l’effetto della modesta quantità di alcool assunta, come effetto collaterale non conosciuto e non prevedibile del farmaco assunto. Art. 92 c.p. Di questo articolo e delle actiones liberae in causa abbiamo già parlato a proposito del richiamo che ne fa l’art. 87 c.p. Art. 93 c.p. Le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche quando il fatto è stato commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti. Art. 94 c.p. Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza e questa è abituale la pe-
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na è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcoliche e in stato di frequente ubriachezza. L’aggravamento della pena si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti. Questo articolo ci riporta alla mente il momento storico in cui il nostro Codice Penale è maturato. Il Codice Rocco è stato espressione di un regime totalitario, che attraverso la politica criminale, ha voluto e voleva indicare, come sempre avviene attraverso quelle scelte, anche la direzione della volontà politica e sociale del governo stesso. In quel contesto storico-sociale-temporale, l’ubriachezza, la tossicodipendenza erano viste come pratiche di vita spregevoli, ed i soggetti in questione non solo non potevano essere scusati per la scelta morale di vita fatta, ma dovevano essere ulteriormente puniti in caso di commissione di un reato. Questa impostazione, alla luce della morale moderna e delle scienze mediche e psicologiche attuali è probabilmente meno condivisibile. Art. 95 c.p. Per I fatti commessi in stato dì cronica intossicazione prodotta da alcool ovvero da sostanze stupefacenti, si applicano le disposizione contenute negli articoli 88 ed 89. Anche questo articolo non fa che rimarcare e confermare tutto quanto detto sino a questo momento. Attribuendo alla sola intossicazione cronica da alcool o droghe un ruolo nel fenomeno della non imputabilità, il codice riconosce che l’impostazione scelta è sempre quella della malattia a base biologica. Riportiamo a tal proposito una sentenza della Suprema Corte che rappresenta la voce della giurisprudenza dominante: Corte Cassazione 30 Maggio 1990 n°7523 L’intossicazione o lo stato di intossicazione che influisce sulla capacità di intendere e di volere, è solo quella cronica, quella cioè, che, per il suo carattere ineliminabile e per l’impossibilità di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, tali da far apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte ad una vera e propria malattia psichica. Art. 96 c.p. Non è imputabile il sordomuto che, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva, per causa della sua infermità la capacità di intendere e di volere. Se la capacità è grandemente scemata ma non esclusa la pena è diminuita. La norma in esame deve far riflettere sostanzialmente su due punti, in primo luogo il sordomutismo non è ritenuto come uno stato di infermità psichica, ma come una malattia che se non idoneamente trattata può far derivare nel soggetto uno stato di non adeguato sviluppo maturazionale. Il soggetto non è dunque ritenuto sufficientemente maturo. Ma ripetiamo che la valutazione va fatta solo nel caso concreto e non a "presunzione", dunque il sordomutismo da solo non implica la non imputabilità del soggetto. In secondo luogo il codice esplicita che ciò che è preso in considerazione è la situazione di sordomutismo, a nulla rilevando la sola sordità o il solo mutismo. Art. 97 c.p. Non è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i quattordici anni. Nel campo del diritto penale minorile la legge ha scelto
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come strumento di massima attraverso cui analizzare il fenomeno quello di una presunzione assoluta e di un accertamento caso per caso. Il momento della presunzione assoluta è proprio quello enunciato dall’articolo in questione, per cui il nostro legislatore, sulla spinta delle conoscenze mediche e psicologiche e sulla base delle valutazioni morali e sociali, ha ritenuto che a prescinder da qualunque altra valutazione e dal caso concreto un minore che non ha ancora compiuto il quattordicesimo anno di età, non sia maturo, e dunque non abbia le qualità richiesta affinché si possa parlare di capacità di intendere e volere. Art. 98 c.p. E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto gli anni quattordici, ma non ancora i diciotto, se aveva capacità di intendere e volere, ma la pena è diminuita. Questo secondo articolo presume la totale non capacità del soggetto non ancora quattordicenne, e la totale capacità del maggiore di anni diciotto mentre, per gli infradiciottenni, impone la valutazione del caso per caso. Per questo motivo in campo minorile, prima di qualunque erogazione di pena, si dovrà valutare se il soggetto che ha commesso il reato aveva raggiunto lo stato tale da poter essere dichiarato capace di intendere e di volere e dunque imputabile. La determinazione andrà fatta con una serie di strumenti che vanno dalla valutazione dei fatti materiali del reato, sino ad un esame psicologico complessivo del minore, adatto a certificare il suo stato di maturazione psicofisica. 3. La capacità criminale Concetto e storia Il concetto di capacità criminale è un altro punto centrale del codice penale e, d’altro canto, è anche un altro nodo non del tutto risolto dal legislatore. In primo luogo occorre dire che questo concetto era del tutto assente nel precedente codice, ed è stato introdotto solo dal codice Rocco del 1930. Il concetto è profondamente legato al problema della pericolosità sociale, di cui andremo a parlare in seguito. Seguendo le direttive dei lavori preparatori al codice, la capacità a delinquere è l’attitudine dell’individuo alla violazione delle norme penali. In questo senso è anche la corrente più autorevole in dottrina, ed anche la più seguita, per cui questa capacità sarebbe una sorta di attitudine criminale rivolta verso il futuro. Non mancano profili diversi, e soprattutto coloro che vorrebbero rivolgere questo concetto verso il passato, ma se guardiamo ai criteri che il codice indica per la valutazione di specie appare chiaro come essi abbiano poco a che vedere con la commissione del reato, e molto con aspetti soggettivi-prognostici del reo. Ed allora, d’accordo con il Mantovani(1990), la funzione di questo concetto è bidimensionale: — una funzione retrospettiva-retributiva, intesa come capacità morale di compiere il reato commesso e concorre a graduare la responsabilità del soggetto
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per tale reato. Quanto maggiore è la responsabilità tanto maggiore è l’attribuibilità morale del fatto al suo autore. — una funzione prognostico-preventiva, in quanto serve ad accertare l’attitudine del soggetto a commettere nuovi reati. Maggiore o minore sarà la pena a seconda che più o meno intensa sia la potenzialità criminosa del soggetto. Il legislatore si è preoccupato di dare una sistemazione codicistica precisa alla capacità criminale, e lo ha fatto attraverso la seconda parte dell’art. 133 del codice penale vigente nel quale esplicitamente si legge che il giudice nel dovere e nel rispetto del potere discrezionale a lui affidato nella determinazione della giusta pena al caso concreto, deve tener conto non solo della gravità del reato, ma anche della capacità a delinquere del colpevole desunta: − Dai motivi a delinquere e dal carattere del reo (art. 203). In questo senso, tralasciando una concezione prettamente clinica del carattere, il codice sembra usare il termine nel senso più ampio, e dunque rivolgendosi a tutte le variabili, psicologiche, biologiche e sociali che possono essere coinvolte. − Dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo antecedenti al reato. In questo senso ci si riferisce in primo luogo alle possibili recidive coinvolte, ma anche allo stile di vita che il soggetto era solito tenere e seguire prima della condotta criminale. − Dalla condotta contemporanea e susseguente al reato. Anche in questo senso si valuta sia il modo in cui il reato è stato messo in atto, sia il comportamento successivo, dunque se sono stati mostrati segni di pentimento, se il soggetto si è costituito, o se invece il comportamento del reo è stato di tipo diametralmente opposto. − Dalle condizioni di vita individuale familiare e sociale. In questo senso il legislatore ha voluto dare voce alle nuove esigenze ed ai nuovi orientamenti scientifici, che sempre di più hanno messo e mettono in evidenza come il subcultura sociale e familiare in cui si nasce e si cresce sia importante e giochi un ruolo nelle scelte che tutti noi andiamo poi a compiere. Articoli attinenti alla capacità criminale Art. 102 c.p. Abitualità presunta dalla legge, perciò è dichiarato delinquente abituale chi, dopo esser stato condannato cdla reclusione in misura complessivamente superiore a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, riporta un ‘altra condanna per un delitto non colposo, della stessa indole, e commesso entro ì dieci anni successivi ali ‘ultimo dei delitti precedenti. Come si vede qui ci si rifà ad un concetto classico, per cui si presume che a mano a mano che si compie un atto, questo diventi sempre più semplice, richiedendo meno sforzo, per compiersi. Si tratta dunque di
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soggetti che hanno acquisito un’attitudine al crimine col tempo. Art. 103 c.p. Abitualità ritenuta dal giudice, per cui è dichiarato delinquente abituale, al di fuori dei casi prima elencati chi, dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un ‘altra condanna per delitto non colposo, se il giudice, tenuto conto della specie e della gravità dei reati, del tempo entro i quali sono stati commessi, e delle altre circostanze desunte dcdl’art. 133, ritiene che il colpevole sia dedito al delitto. Art. 105 c.p. Professionalità nel reato, per cui chi, trovandosi nelle condizioni richieste per la dichiarazione di abitualità, riporta condanne per un altro reato, è dichiarato delinquente professionale, qualora avuto riguardo ai criteri elencati nell’art. 133, debba ritenersi che egli viva abitualmente, anche in parte soltanto, dei proventi del reato. In questo senso possiamo parlare di una species del genus abitualità, dunque di un soggetto che già soddisfa i criteri di abitualità, ma la cui pericolosità va oltre anche quei presupposti, per cui il reato è divenuto per lui un sistema di vita, una fonte stabile di guadagno. Art. 108 c.p. Tendenza a delinquere, per cui è dichiarato delinquente per tendenza chi, sebbene non recidivo o delinquente abituale o professionale, commette un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale, il quale di per se ed unitamente alle circostanze previste dall’art. 133, rilevi una speciale inclinazione ed delitto, che trovi la sua causa nell’indole particolarmente malvagia del colpevole. La disposizione in esame non si applica se l’inclinazione è dovuta all’infermità prevista dagli articoli 88 ed 89 c.p. 4. Le misure di sicurezza ■ Condizione per l’applicabilità. Esse sono la commissione di un fatto preveduto dalla legge come reato e la pericolosità del reo (art. 202 c.p.). Sul fatto preveduto dalla legge come reato è inutile soffermarsi, mentre per quel che riguarda la pericolosità sociale, il codice definisce pericoloso socialmente: Chi, anche se non imputabile o non punibile, ha commesso taluni dei fatti indicati dall’art. 202 c.p. e quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reato. La qualità della persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate dall’art. 133. ■ Durata. Come abbiamo detto questo è il campo in cui si è maggiormente innovato. Oggi resta un punto di critica centrale rispetto a questo profilo dell’istituto, restando comunque la durata della misura indeterminata, e spieghiamo subito perché. La Corte Costituzionale ed il Legislatore hanno abolito il minimum tassativo da scontare, dunque, per quel che riguarda la durata, normalmente si delineano le seguenti situazioni: il giudice dispone la misura di sicurezza che ritiene idonea, il Codice indica subito dopo la descrizione della misura e la sua durata minima, che per le innovazioni della L. 10 ottobre 1986 n°663 e del-
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le varie abrogazioni della Corte Costituzionale, non è più tassativa. Ed infatti, in primo luogo, la pericolosità deve essere accertata e dichiarata prima dell’emissione della misura, ed inoltre il tribunale di sorveglianza, e non più il giudice che aveva emanato la misura, fa controlli periodici per verificare lo stato di pericolosità e decide sulla sua sussistenza. Ove questo risulti cessato può revocare la misura senza limitazione di tempo. Allo stesso tempo, come ci indica l’art. 207 c.p. La misura può essere revocata solo se la persona ha cessato di essere pericolosa. Questo significa che, se il soggetto è dichiarato pericoloso ad ogni valutazione, la misura di sicurezza sarà rinnovata di volta in volta, restando indeterminata nel tempo, e passibile di essere mantenuta per tutta la vita del soggetto contro cui è disposta (art. 208 c.p.). ■ Soggetti destinatari. Le misure di sicurezza possono essere applicate sia a soggetti imputabili che non imputabili, e secondo l’art. 206 c.p. Durante l’istruzione o il giudizio può disporsi che il minore d’età, l’infermo di mente, l’ubriaco o il tossicodipendente abituale, l’intossicato cronico da stupefacenti o alcool, siano sottoposti provvisoriamente alla misura del riformatorio; OPG; o casa di cura e custodia. Il giudice revoca l’ordine, quando ritenga che tali persona non siano più socialmente pericolose. ■ Competenza e tempi di emanazione. Di questo si occupa l’art 205 c.p. il quale definisce che: Le misure di sicurezza sono ordinate dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento. Dopo la Legge n°663/1986 l’applicazione con provvedimento successivo, così come i provvedimenti di revoca, sono di competenza del tribunale di sorveglianza. ■ Esecuzione. Immediata se seguono a sentenza di proscioglimento. Dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile se aggiunte a pene non detentive. Dopo che la pena è scontata o altrimenti estinta se aggiunta a pene detentive. Le misure di sicurezza detentive possono essere scontate in: ► La colonia agricola o casa di lavoro (art. 216-218c.p.). In linea di massima è la misura per i delinquenti abituali, professionali o per tendenza. ► Casa di cura e custodia (art. 219-221c.p.). Si applica nei casi di capacità grandemente scemata, e dunque di una pena diminuita per questo motivo, in relazione a vizio parziale di mente, cronica intossicazione o sordomutismo. La durata minima è di tre ani se la pena è l’ergastolo o una reclusione non inferiore ai dieci anni; di un anno, se la reclusione non è inferiore ai cinque anni; di sei mesi, se si tratta di reato altrimenti punito. Nonostante essa debba essere scontata dopo la pena base, il giudice tenuto conto delle particolari condizioni del soggetto, può decidere che la misura di sicurezza anticipi la pena.
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► O.P.G (art. 222c.p.). E praticamente il caso del soggetto non imputabile per vizio totale di mente, dovuto ad infermità psichica, intossicazione cronica o sordomutismo, sempre che non si tratti di contravvenzioni, delitti colposi, o altri delitti per cui la legge non prevede reclusione nel massimo a due anni. Come per tutti gli altri casi, ma qui giova sottolinearlo, la pericolosità deve sussistere al momento del ricovero, dunque quando è disposto. La durata minima è di dieci anni se la pena prevista per il reato è l’ergastolo; cinque anni se la pena non è inferiore nel minimo ai dieci anni, due anni negli altri casi. ► Riformatorio Giudiziario (art. 223.227c.p.). È la misura di sicurezza prevista per i minori di anni diciotto. Essa è prevista per i minori di anni quattordici così come i minori di anni diciotto ritenuti non imputabili per difetto di capacità, che abbiano commesso un reato non colposo per il quale sia commisurata la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni. Ai minori di anni diciotto riconosciuti imputabili e come tali condannati ad una pena diminuita. Il giudice in questi casi, oltre naturalmente alla pericolosità, deve valutare anche la gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto. Questa valutazione è effettuata anche al fine di sostituire la misura detentiva, quella della libertà vigilata ex art. 228 c.p. 5. Personalità, pericolosità e misura cautelare La personalità dell’imputato viene infine in rilievo anche in fase di istruzione o dibattimentale del procedimento penale, e dunque in un periodo in cui non c’è ancora una sentenza. Stiamo parlando in questo caso delle previsioni del Libro IV Codice di Procedura penale art. 272 e seguenti. Si parla qui delle Misure Cautelari. Il nostro codice di procedura penale non solo prevede che nessuno po’ essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi (art. 273 c.p.p.), ma elenca anche in maniera dettagliata nell’art. 274 c.p.p. quelle che sono le esigenze cautelari: − pericolo di inquinamento di prove da parte del soggetto indagato − pericolo di fuga del soggetto indagato − pericolosità sociale del soggetto indagato In relazione a quest’ultimo punto ed in seguito alla Legge n°332 del 1995 il legislatore ha esplicitamente chiarito il concetto di pericolosità qui necessario e cioè quando: Tenuto conto delle specifiche modalità e circostanze del fatto, e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o imputata del reato per cui si procede, desunta da comportamenti o atti concreti, o dai suoi precedenti penali, sussista il grave pericolo che questo commetta gravi delitti con l’uso di armi, o diretti contro l’ordine costituzionale, o della stessa specie di quelli per cui si procede. Anche con questi rigidi criteri, resta comunque un margine di
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discrezionalità elevato per il giudice, tanto che la Giurisprudenza costante ritiene che comunque, al fine di applicare una misura cautelare in base solo al criterio di pericolosità, questo criterio debba basarsi su un ventaglio di elementi molto ampio, sia rispetto alla personalità del soggetto, sia rispetto ai reati già compiuti, sia in relazione alle caratteristiche del reato per cui si procede. In linea di massima in tema di Misura Cautelare ai fini della pericolosità, il giudice è solito scegliere una misura di tipo coercitiva custodiale e dunque: − arresto domiciliare − custodia in carcere − custodia in luogo di cura
6. Il ruolo del criminologo nel sistema normativo vigente Analizziamo il quadro normativo di massima attraverso il quale un criminologo dovrà iniziare ad orientarsi per operare in Italia. Attività peritale e di consulente tecnico nella fase di cognizione Essa riguarda le attività che è possibile espletare come periti e consulenti durante la fase procedurale, sia nel senso di indagine sia nel senso dibattimentale del termine, prevista dal codice di procedura penale vigente. Tecnicamente viene definito perito il professionista incaricato dal Giudice e consulente tecnico il professionista incaricato dalle parti (Pubblico ministero ed Avvocato), una volta che è stata disposta la perizia o in assenza di essa nei casi previsti dalla legge. Gli articoli che trattano la materia peritale così recitano: Art. 220 c.p.p. La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Salvo quanto previsto ed fini della esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità del reato il carattere e la personalità dell’imputato ed in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. La perizia di tipo criminológico e psicologico è quindi attualmente vietata, non può essere svolta su un imputato o indagato, ed ha una qualche applicazione solo in fase di esecuzione o per l’applicazione delle misure di sicurezza. E questo divieto sottintende anche un divieto implicito nel caso di consulenza tecnica disposta in assenza di perizia ex art. 233 c.p.p. Art. 221 c.p.p. Il giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi (art. 67-68-69-73 att.), o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina... Art. 225 c.p.p. Disposta la perizia il pubblico ministero e le parti private hanno la facol-
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tà di nominare propri consulenti tecnici... Art. 233 c.p.p. Quando non è stata disposta perizia, ciascuna parte può nominare, in numero non superiore a due, propri consulenti tecnici. Questi possono esporre ed giudice il proprio parere anche presentando memorie... A questa già importante previsione, la Legge 7 dicembre 2000 n°397, sulle indagini difensive, ha introdotto due articoli aggiuntivi di enorme importanza, in particolare il 1bis: Art 233 c.p.p. 1bis Il giudice, a richiesta del difensore, può autorizzare il consulente tecnico di una parte privata ad esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano, ad intervenire nelle ispezioni, ovvero ad esaminare l’oggetto delle ispezioni nelle quali il consulente non è intervenuto. Prima dell’esercizio dell’azione penale l’autorizzazione è disposta dal pubblico ministero a richiesta del difensore. Date queste indicazioni di massima possiamo indicare quattro momenti peritali e di consulenza che possono essere richiesti e disposti: 1. Ex art. 70 c.p.p. Accertamento sulla capacità dell’imputato, e cioè come l’articolo recita: Quando non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale sopravvenuta olfatto, l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone anche d’ufficio perizia. 2. Ex art.359 c.p.p. La consulenza richiesta dal pubblico ministero per cui il pubblico ministero, quando procede ad accertamenti, rilievi...o ad. ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, può nominare ed avvalersi di consulenti. 3. Ex art. 392-404 c.p.p. La perizia disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari, o la consulenza richiesta dal Pubblico Ministero o dalle parti ex art. 392404 c.p.p. e cioè nelle forme previste per l’incidente probatorio, cioè per l’acquisizione immediata di mezzi di prova la cui acquisizione si ritiene non possa essere posticipata al momento del dibattimento, pena la impossibilità di farlo per la loro distruzione, deterioramento o perdita. 4. Ex art. 508 c.p.p. La perizia di ufficio o su richiesta di parte, dunque ammissione in fase di dibattimento quale nuovo mezzo di prova. Infine un accenno all’importantissima Legge 7 Dicembre 2000 n°397, quella cioè sulle indagini difensive che ha apportato moltissimi cambiamenti qui e lì nel codice di procedura penale, ma in particolare ha dato nuova linfa, vigore e senso all’attività di indagine degli Avvocati, che ora se ben esercitata, potrà, nei modi e nei tempi previsti, assumere un ruolo centrale ed importantissimo nel
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processo penale. Questo farà si che sempre più di frequente, gli avvocati si avvarranno di consulenti tecnici, e dunque anche consulenti criminologici, che potranno orientare le loro indagini ed aiutare la parte privata a contrastare e smontare le tesi accusatorie. Con l’entrata in vigore della legge sulle indagini difensive la possibilità per i Criminologi e gli esperti di Scienze Forensi di poter coadiuvare la difesa mediante la redazione di consulenze e perizie è diventata una concreta realtà. Da qui la nuova e grande opportunità di poter contribuire con rigore e metodo scientifico al raggiungimento della verità processuale, facendo in modo che quest’ultima risulti il più vicino possibile alla verità storica. Su tutta la complessa materia facciamo pochissimi accenni, i più importanti: Art. 327 bis c.p.p. Fin dal momento dell’incarico professionale, risultante da atto scritto, il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito...Le attività previste dal coma 1 possono essere svolte su incarico del difensore, dal sostituto, da investigatori privati autorizzati, e quando sono necessarie specifiche competenze, da consulenti tecnici. Ed ancora si rimanda al titolo Vl-bis Art. 391 bis c.p.p. e seguenti per specificatamente verificare tutte le nuove possibilità concesse ai difensori e ai loro consulenti e collaboratori, in particolare: Art. 391bis c.p.p., cioè la possibilità del difensore ma anche del suo consulente tecnico di svolgere un colloquio, ricevere informazioni, e assumere informazioni in prima persona da soggetti che si ritenga possano avere informazioni utili ai fini dell’ attività investigativa. Ma, in modalità specificamente espresse, possono essere escusse anche persone già sentite dalla Polizia o dall’Autorità giudiziaria, o persone indagate o imputate per lo stesso reato o per reato connesso o collegato. Art. 391 sexies c.p.p., cioè la possibilità per il difensore o per il suo consulente di accedere ai luoghi o alla documentazione ritenuta interessante per l’attività investigativa. Art. 391 septies c.p.p., cioè la possibilità per il difensore o dei suoi consulenti di accedere anche a luoghi privati o non aperti al pubblico, anche in case private ed in loro pertinenze, sempre che sia necessario accedervi per accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Le acquisizioni derivanti da tutte queste attività difensive potranno essere acquisite al dibattimento ed essere valutate ala stregua di quelle della Pubblica Accusa. Attività nella fase di esecuzione Il ruolo di un esperto in materie criminologiche è ancora soprattutto centrato sull’orientamento delle Istituzioni in fase di esecuzione della pena, nei seguenti ambiti:
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■ Settore Penitenziario. Art. 80, 4°comma, legge n°354 26/07/1995. "Per lo svolgimento delle attività di osservazione e di trattamento, l’amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, psichiatria, servizio sociale, pedagogia, criminologia clinica. Ad essi sono corrisposti onorari proporzionati alle singole prestazioni effettuate. In particolare la Circolare 3233/5683 del 30/12/1987, ha istituito il Servizio Nuovi Giunti, un servizio di supporto riservato a coloro i quali entrano per la prima volta in carcere, provenienti dalla libertà, e che dunque sono maggiormente a rischio per ipotesi suicidarle o di esposizione alla violenza altrui. Il servizio si palesa in un colloquio che il nuovo detenuto ha al suo ingresso in carcere con l’esperto mirante ad un giudizio globale personale e ad una valutazione sul livello di rischioviolenza autoinferta ed eteroinferta. Il Ministero compila per ogni distretto di Corte d’Appello un elenco degli esperti dei quali la direzione degli Istituti e dei centri di servizio sociale possono avvalersi per le attività di osservazione e supporto previste dall’ordinamento penitenziario. Per l’iscrizione, l’aspirante oltre ad essere in possesso di titoli specifici, deve superare un colloquio di selezione sulle materie ritenute indispensabili per lo svolgimento di un ruolo del genere. ■ Tribunale di sorveglianza. In tutti i distretti di Corte d’Appello ed in ciascuna circoscrizione distaccata di Corte d’Appello, è costituito un Tribunale di Sorveglianza, competente per l’affidamento in prova a servizio sociale, la detenzione domiciliare, la semilibertà, la liberazione condizionale, la riduzione di pena per la liberazione anticipata, la revoca o la cessazione di questi benefici. Per quanto riguarda la sua composizione, l’art. 22, comma 3°,4°,9°, legge 663 del 10/10/1986, modificativa dell’art. 70 Legge 354/75: Il tribunale è composto da tutti i magistrati di sorveglianza in servizio nel distretto o nella circoscrizione territoriale distaccata...e da esperti scelti tra le categorie della psicologia, psichiatria, servizio sociale, pedagogia e criminologia clinica, nonché tra i docenti di scienze criminalistiche. Gli esperti effettivi e supplenti sono nominati dal CSM. in numero adeguato cdle necessità degli uffici, e per un periodo di tre anni rinnovabili... ■ Tribunale per i minorenni. Art. 2 r.d.l. 1404 del 1934 così come modificato dalla legge 25/07/1956 n°888: in ogni sede di Corte d’Appello, o di sezione di Corte d’Appello, è istituito il Tribunale per i minorenni composto da un magistrato di Corte d’Appello che lo presiede, da un magistrato di Tribunale, e da due cittadini, un uomo ed una donna, benemeriti dell’assistenza sociale, scelti tra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia che abbiano compiuto il trentesimo anno di età. L’incarico in questione dura tre anni e può essere rinnovato. L’incarico presso il Tribunale dei minorenni, ed il suo positivo esercizio è considerato titolo preferenziale per la nomina a consigliere onorario della sezione della Corte d’Appello per i Minorenni. Inoltre teniamo presente che nel processo minorile l’attività dell’esperto ha un’applicazione molto più vasta rispetto al regime degli adulti ed al divieto specifico visto nell’art. 220 c.p.p. Recita infatti l’art. 9: 1- Il Pubblico Mini-
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stero e il Giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali ed ambientali del minorenne alfine di accertarne l’imputabilità ed il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto, nonché disporre le adeguate misure penali ed adottare gli eventuali provvedimenti civili. 2- Agli stessi finì il Pubblico Ministero ed il Giudice possono sempre assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche senza nessuna formalità. Ancora l’art. 12, prevede che al minore sia, per tutta la durata del processo, ed in ogni stato e grado, riconosciuta e garantita un’assistenza ed un supporto che possono essere portati anche da esperti criminologi. ■ Strutture e servizi per la giustizia minorile. Esse svolgono attività di osservazione sostegno e trattamento, concettualmente diversa da quella degli adulti perché mirante sin da subito ad un lavoro effettivo sul ragazzo e sulla sua personalità, e dunque non finalizzata solo alla migliore attuazione della pena. I servizi ed i centri per la giustizia minorili sono i seguenti: Uffici di servizio sociale per i minorenni Istituti penali per minorenni Centri di prima accoglienza Comunità Istituti di semilibertà con servizi per misure cautelari, sostitutive, alternative. Secondo una circolare relativa alla organizzazione dei servizi per la giustizia minorile possono coprire la qualifica di esperti e dunque operare in queste strutture: » psicologi » neuropsichiatri infantili o psichiatri » pedagogisti » sociologi » criminologi » altre lauree comprovate da certificazione attestante l’attività di ricercatore, assistente, contrattista, docente nelle materie attinenti alle problematiche da trattare.
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