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Le tabelline: una competenza cardine.............................. 131
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«Per sapere occorre ardere. Altrimenti ogni conoscenza è inefficace. Perciò occorre praticare l’“ardore”, ...» R. Calasso, L’ardore, Adelphi, Milano 2010, p. 41
Prefazione di Carla Busato Barbaglio
Fare, conoscere, sapere è un piccolo ma densissimo testo che si occupa di apprendimento, il primo di una trilogia a cui seguiranno i Volumi collettanei: A scuola per leggere, scrivere, contare e Diventare grandi a scuola.
Maria Luisa Mondello, è stata compagna di viaggio, dagli inizi degli anni ’80, nella formazione per l’analisi di bambini, adolescenti e famiglie. Come scrivevo nella introduzione di un testo curato assieme Nuovi assetti della clinica psicoanalitica in età evolutiva il nostro è stato un incontro speciale Veneto-Sicilia, per identità geografica, culturale e ricco dell’incontro con i Maestri provenienti dalla Tavistock Clinic di Londra: Martha Harris, Donald Meltzer, Gianna Polacco, Arthur H. Williams, Jeanne Magagna, Anne Alvarez, Beta Coopley, Rolene Szur, Sue Read, oltre che con alcuni psicoanalisti italiani, Luciana Bon de Matte, Pierandrea Lussana e Armando Ferrari, per citarne alcuni. Un lungo lavoro di riflessione e di studio rivolto a bambini e adolescenti, genitori e famiglie, nel tempo con sempre maggiore attenzione alla ricerca e ai contributi di neuroscienze, e di tutte le competenze sentite vicine alla clinica: infant research, antropologia, etologia, sociologia, pedagogia.
Ricordare è un debito di riconoscenza. Le co-costruzioni creative non appartengono solo al lungo lavoro all’interno dell’analisi, ma sono patrimonio del cammino comune, dell’essere insieme, bisognosi, desiderosi e aperti l’uno con l’altro.
Un attraversamento importante del viaggio fatto è stato il lungo percorso sui temi dell’adolescenza, elaborati poi dal gruppo che ha dato vita al libro Adolescenza la seconda sfida con Armando Ferrari.
La nascita poi dei testi, pubblicati con l’apporto di studiosi di aree sentite vicine, Le forme del padre e Tra femminile e materno: l’invenzione della madre, ben rappresenta l’interesse a cogliere e integrare gli apporti di pensieri, centrati sul costituirsi dell’identità femminile e della maternità nelle sue tante sfaccettature: dal tema della generatività, alle determinanti sociali, antropologiche, religiose, storiche, etc..
L’interesse per il femminile, per la relazione uomo-donna, i temi attuali relativi alla violenza intrafamiliare, le trasformazioni parentali, espressione della composizione delle nuove famiglie, rimangono temi frequentati da Mondello.
Centrale si mantiene l’attenzione per i primi anni di vita in una continua rilettura che coniuga la psicoanalisi con i contributi culturali e scientifici che hanno preso forma in questi ultimi e accelerati cinquant’anni.
Ora, questo bel lavoro sintetizza ed esprime bene anni di esperienza, di confronto e di studio.
Da sempre alle prese con tutto ciò che ha a che fare con ‘il conoscere per sapere’ che per Mondello si può sintetizzare in una frase inserita in questo libro: fare, saper fare, sapere come fare, facendolo. Detto così potrebbe sembrare una semplificazione, persino banale, ma scorrendo il testo ci si trova immersi in un mondo di riflessioni, interrogativi, proposte, ricerche, dalle neuroscienze all’infant research, dalla sociologia all’antropologia, senza tralasciare le riflessioni sul procedere della psicoanalisi in modi rinnovati, aperti ai contributi delle scienze e delle culture limitrofe. Non mancano piccoli gioielli di osservazione della prima infanzia, frutto del suo lavoro di formatrice nei Corsi Osservativi Modello Tavistock.
Un gioiello raccolto osservando i primi anni di vita: un bambino definisce il Corsivo “ Si chiama così perché va di corsa per raggiungere la voce della maestra mentre detta!”
Una miniera di riflessioni e informazioni che gettano le basi degli altri due futuri volumi e ne fanno un testo che pone molti interrogativi a noi terapeuti, ai genitori, agli insegnanti curriculari e agli insegnanti di sostegno, ai pedagogisti e ai didatti, sul modo di fare scuola oggi. Non è presente nelle intenzioni del libro il difficile momento che stiamo vivendo per questa pandemia; il testo va a toccare le fondamenta di uno stare assieme necessario per conoscere, per apprendere. La centralità degli stati emozionali e dei funzionamenti maturativi ed espressivi dell’infanzia impone un modo nuovo di vivere l’esperienza dell’apprendere, che diviene ancora più decisivo e fondamentale quando la vita propone esperienze assolutamente nuove, sconosciute, difficili se non drammatiche. Si aprono interrogativi non facili ai quali dare risposte che richiedono un serio cambiamento di mentalità.
Non farò un riassunto delle tre sostanziose sezioni del libro, darò piuttosto voce a quei punti che con maestria Mondello ha toccato e che mi sembrano decisivi al cambiamento.
Un primo punto ci illumina sul perché l’autrice insista tanto sul ‘fare’ che si fonda sulla concezione del rapporto mente corpo che ora, uscito, sembra, dalle secche del dualismo cartesiano, si propone in una unità ‘la mente situata’ secondo la formulazione di Damasio. Il neuroscienziato infatti afferma che la ‘mente nasce da un cervello situato nel corpo con il quale interagisce; grazie alla mediazione del cervello la mente è radicata nel corpo vero e proprio; che essa è conservata nell’evoluzione perché contribuisce al
mantenimento di quel corpo; e, infine, che la mente emerge da un tessuto biologico – le cellule nervose – che condivide le stesse caratteristiche valide per definire gli altri tessuti del corpo (Damasio, 2003). Mondello commenta: senza che nessuno abbia fornito le istruzioni per l’uso. Si fa. Nel volume è ampiamente illustrato questo passaggio di concezione di mente che è corpo e mente assieme, ma che ci permette di entrare nel regno dei funzionamenti e per esempio parlare di memorie che sono immediatamente esperienza che è traccia neurale in trasformazione che crea sempre nuovi percorsi. ‘Mente situata’ (Damasio) ‘conoscenza incarnata’, embodied cognition (Damasio) come si evince ormai dagli studi e ricerche più recenti che la differenziano dalla cognizione classica, propongono, un modello di ‘apprendimento situato’ (J.Lave e E.Wenger, 1991) letto in funzione dell’attività svolta, del contesto e della cultura in cui avviene. Cognizione, emozione, comportamento sono integrati, incorporati nel cervello, come nel corpo e nell’ambiente e si influenzano reciprocamente. Su questa linea le emozioni assumono uno spazio importante. Panksepp (2014) segnala che ‘Molti filosofi e neuroscienziati da David Hume a Antonio Damasio, pensano che le nostre emozioni rafforzino e guidino i nostri processi cognitivi…. Numerosi esperimenti hanno confermato l’effetto dell’emozione sul modo in cui apprendiamo e pensiamo, in parte nel modo in cui opera la nostra memoria di lavoro…’.
Va da sé che questo tipo di lettura e di impostazione ci porta immediatamente a ripensare la concezione di apprendimento per la quale l’adulto ‘travasa’ nel bambino un sapere ritenuto necessario, senza interrogarsi su ‘come’ il bambino, ogni bambino, ‘apprende ad apprendere’ nella sua peculiarità fatta di emozioni-ambiente-cultura.
L’autrice ci accompagna attraverso osservazioni e ricerche scientifiche all’interno di una nuova concezione riguardante il farsi del bambino nella relazione, fin dal concepimento, un ‘farsi relazionale’ nel quale la competenza del piccolo agita con il caregiver viene estesamente riconosciuta. Non più quindi solo la competenza del genitore o, nel caso specifico, della scuola e dell’insegnante, ma anche la competenza di quel bambino compresa e accompagnata dal genitore o dall’insegnante. Music, in un testo edito in questa stessa collana, “Nature culturali”, ne parla come di un tira e molla madre-bambino delicatamente bilanciati e forse il fare nella scuola dovrebbe rispondere esattamente a questo. Tutto ciò apre ad un’ altra concezione della nostra costituzione intrapsichica che prende forma nel farsi della relazione, e all’ interno di una determinata cultura. Interessanti le ricerche che vengono riportate e che evidenziano, per esempio, come nel mondo occidentale ci sia un modo attento a curare le competenze dell’individuo al contrario di ciò che avviene nel mondo orientale ove c’è una
concezione più olistica del percepire ed essere persone. E conoscere tutto questo forse non è secondario per lavorare seriamente in una scuola che sempre di più è multietnica. Come si leggono le peculiarità?
E ancora, il cambiamento si sposta da una attenzione conoscitiva che si occupa del ‘come’ piuttosto che del ‘cosa’ a cui eravamo stati abituati.
‘Mente situata’, ‘apprendimento situato’ costringono a considerare l’apprendimento nel nuovo mondo del digitale rispetto al quale noi adulti siamo denominati da Prensky (2001) ‘immigrati digitali’ mentre i piccoli sono i ‘nativi digitali’. Bellissimo questo linguaggio che pone in essere, quasi come una pennellata ben posta, una differenza di appartenenza e di funzionamenti. Quasi che tutto il nuovo linguaggio ai nativi fosse congeniale mentre per noi, una sfida. Mondello ci parla quindi di ‘una necessità di ridisegnare il sistema valoriale e l’agibilità del mentale: da individuale, riflessivo sacramentalmente proprio e incondivisibile a una condizione costantemente interconnessa, in movimento per tragitti, se pensiamo a internet a scelta multipla, tanti, senza fine, senza altro criterio se non il numero comunque iperbolico dei mi piace o degli accessi… senza confini, solo infiniti punti d’essere raggiungibilissimi nel tempo minimo di averlo desiderato. O perché compaiono a caso.’
Pensavo, leggendo il testo, ai bambini piccolissimi che già sanno muoversi con assoluta disinvoltura nei cellulari dei genitori e selezionarsi con le loro ditina piccolissime i cartoni che preferiscono in quel momento, scegliendo pure la lingua dall’inglese al giapponese, con una competenza incredibile. Nuove menti si stanno sviluppando e confrontando con una scuola nella quale spesso la competenza, di cui è portatore il bambino, è poco riconosciuta e apprezzata se non prima di tutto vista.
E dopo avere puntualizzato in modo raffinato, anche se a volte non facile, il suo pensiero, ancora prosegue nell’analisi delle conquiste della prima infanzia. Suggestivo è il titolo ‘Il tempo veloce della vita’. Mi ricorda una riflessione che una neomamma mi confidava sospirando: ‘Incredibile come cresce in fretta, sa fare una cosa e già è andato oltre!’ E pensavo a come la sua attenzione ai movimenti del bambino, il vederlo competente, riconoscerne la crescita, la rendeva partecipe, intelligentemente partecipe, del modo di essere del figlio. Questo guardare diversamente il figlio ci introduce nella co-costruzione unica, fatta dall’uno e dall’altro, che stava avvenendo. Rochat (2009) afferma che se esiste quella cosa che chiamiamo sé, esso non si trova solo dentro l’individuo ma anche nell’intersezione tra l’individuo e l’altro con cui interagisce.
Il testo, partendo esattamente da queste premesse si occupa della scuola: ‘non c’è esperienza che non porti il segno di una risonanza interpersonale che ne sostiene gli andamenti e ne mantiene il senso e la memoria,
non solo ricordo, evocazione, ma modellizzazione continua, modulazione funzionale che oggi riconosciamo costituire e strutturare la persona nella sua interezza’.
Carica di umorismo la riflessione dell’autrice sui testi per l’infanzia, che sempre di più sembrano andare nell’ottica di dare risposte a tutte le problematiche che la vita propone, nascita del fratellino, caduta dei dentini, incubi notturni, e aggiungerei appena visto ultimamente, un calendario con adesivi da mettere giornalmente per segnalare cacca e pipì. Cita Winnicott che afferma ‘nessuno si accorge che i bambini hanno bisogno di dare più che ricevere’.
L’autrice si chiede quindi come superare l’atteggiamento magistrale che contraddistingue tutta una cultura e cambiare modo di stare assieme, ‘di fare scuola’: ‘il fare insieme, seguendo interessi e accensioni in sviluppo modulati secondo i movimenti della classe, e di ciascun bambino’. Un cambiamento veramente radicale. Un cambiamento che richiede ulteriore impegno, studio, conoscenze sempre più aggiornate e approfondite, sensori attivi su di sé prima di tutto oltre che sull’altro.
Il libro non tralascia di entrare nel merito della didattica come è formulata oggi accennando ad aspetti specifici della scuola per l’infanzia e della scuola elementare.
Molte esperienze che attraversano la vita della scuola vengono ripensate. Per esempio la gemellarità, oggi in grande crescita, letta nel suo essere anche, per gli aspetti problematici che comporta, assimilabile alla condizione di copresenza di più bambini coetanei nei nidi, la condivisione con i pari, sino ad arrivare al tema dei giochi che vengono letti nell’interrogativo: ma i giochi che presentiamo ai bambini sono veramente giochi? E le odiose tabelline, scoglio di ogni seria scuola elementare, come mai in Cina sono presentate e imparate in modo altro, semplicissimo? Mondello ne dà notizia.
Leggendo e rileggendo il testo e ripensandolo alla luce della mia esperienza di lavoro come analista anche di bambini e adolescenti, in contatto con scuole, tribunali, servizi sociali, spesso mi è tornato alla mente il libro di Gianni Rodari, ‘Le favole a rovescio’ che tanto ha divertito me e i miei figli. Questa scrittura diventava spesso un gioco che ci stimolava a inventare ulteriormente. Quando l’autrice apre il paragrafo in cui accenna alle situazioni problematiche e alla socializzazione immediatamente ho ripensato a quel libro proprio per la radicalità del cambiamento che propone e per il suo immettere più leggerezza e gioco. Siamo in una società che ha ‘fame di gioco’, propone Panksepp (2014) nel suo bel testo ‘Archeologia della mente’! Molto lavoro andrebbe fatto non solo nella prevenzione con una impostazione diversa del modello scuola, più in linea con tutti gli studi attuali, ma anche nell’accompagnare la crescita di quelle situazioni
problematiche o comunque più complesse che ci interrogano. Spesso il rifugio in una rapida diagnosi, rassicurante perché definisce, ci fa deviare dall’osservare, capire e aiutare, impostando percorsi impropri se non malati. Scrive l’autrice: ‘la cosiddetta integrazione scolastica ha messo bambini, insegnanti e famiglie nella condizione di vivere generici percorsi tutti centrati sul tema apprendimento mai approdati alla specializzazione, mai precisati nelle competenze’. Non si nega che la scuola debba occuparsi principalmente di apprendimento, ma non solo e ‘non sembra dar spazio di incontro tra genitori, bambino e scuola in cui condividere la competenza dei genitori rispetto al bambino, la cultura della scuola, i modi che appartengono agli stili pedagogici del corpo insegnante, i materiali, gli spazi’. Tutte le patologie, ma anche le diverse difficoltà si giocano lungo la linea del ‘potere stare o meno nell’attenzione, nell’esperienza’. È questo uno dei punti interessantissimi sui quali riflettere, data la facilità di diagnosi ADHD, DSA, dislessie, discalculie che ormai non si negano a nessuno. È un problema attinente le nuove generazioni o un difficile rapporto tra nuove generazioni e vecchia scuola?
Segnalo, perché lo trovo un tratto particolare dell’autrice, a proposito delle ‘favole a rovescio’, alcuni sottotitoli del testo che propongono, giocando, un andare oltre: Crescere disimparando, Senza memoria, ma tanto, tanto, desiderio, La scuola per l’infanzia non è più materna, L’attenzione sacrificale: purché la mente non vada vagando.
Qui mi fermo lasciando alla curiosità di chi legge, riscrivere dentro di sé quanto più lo ha colpito e metterlo in pratica. Quello che vorrei aggiungere è un’ulteriore sottolineatura della ricchezza delle osservazioni riportate, che nella loro narrazione fanno vedere concretamente come si costruisce la relazione, il sapere, la conoscenza e la vita.
Buona lettura e buon apprendimento!
Bibliografia
Anderson-Levitt K. (2002), Teaching Cultures:Knowledge for Teaching First Grade in France the United States
Hampton Press, Cresskill, NJ Damasio A. (2003), Alla ricerca di Spinoza, Milano: Adelphiì. Damasio A. (2018), Lo strano ordine delle cose, Milano: Adelphi. Ferri P. (2011), Nativi digitali, Milano: Bruno Mondadori. Lave J., Wenger E. (1991), L’apprendimento situato, Dall’osservazione alla partecipazione attiva nei contesti sociali,
Roma: Erickson, 2006. Music G. (2011), Nature culturali, Roma: Borla, 2013 Panksepp J., Biven L. (2012), Archeologia della mente, Milano; Raffaello Cortina Editore, 2014 Prensky M. (2001), Digital Natives, Digital Immigrants, in On the Horizon, Ncb University Press, vol IX, n.5, ottobre. Rochat P. (2009), Others Mind:Social origins ofself-consciousness. Cambridge: Cambridge University Press. Rodari G. (1985), Il secondo libro delle filastrocche, Torino: Einaudi.