Vivere senza maestri

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Anno XIV, n. 1 – Maggio 2014 Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 2, LO/MI

AMANI

www.amaniforafrica.it

© Alexander Joe/AFP

Porta il tuo cuore in Africa

Vivere senza Maestri La lezione di Nelson Mandela

S

di Pietro Veronese*

ul finire dell'anno scorso, il 5 dicembre, è mancato uno dei più grandi uomini dei nostri tempi, forse il più grande, Nelson Mandela.

Già dal mese di giugno si sapeva che la sua anziana vita – aveva 95 anni – era appesa a un filo. E prima di allora, da tempo, per tappe successive, Mandela aveva la-

sciato la vita politica, e poi ogni impegno pubblico, ritirandosi progressivamente dalla ribalta mondiale che, dopo la sua uscita di prigione l'11 febbraio 1990, aveva lungamente occupato. Quando è morto, Mandela era insomma soltanto un privato cittadino, un grande vecchio, sia pure un ex capo di Stato. In un certo senso non era nemmeno più un leader, anche se restava universalmente amato e riverito: non prendeva più posizione sui maggiori fatti politici né sulle dispute interne al suo partito, l'African National Congress; non si sapeva più come la pensasse, e nemmeno se

fosse realmente informato degli avvenimenti correnti. Viveva riparato dal mondo, tra le mura della sua bella casa di Houghton, a Johannesburg, oppure in quella di Qunu, il villaggio dove era cresciuto e desiderava morire ed essere sepolto. Eppure, quando infine ha lasciato questo mondo al termine di una vita lunghissima, meravigliosa, colma di straordinarie realizzazioni, dalla quale si era piano piano e lungamente andato allontanando, i sudafricani e un gran numero di persone attraverso i continenti lo hanno pianto come se fossero all'improvviso rimasti orfani. segue a pag 4

Lo spunto

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Ruanda, la fatica di una memoria condivisa

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Vent’anni dopo il genocidio i punti di vista sui fatti del ‘94 restano profondamente lontani di Pier Maria Mazzola Iniziative

Tiyende Pamodzi, il tour del Koinonia Youth Team Il gruppo dei giovani artisti zambiani in viaggio attraverso l’Italia

C.F. 97179120155

pagg 6-7

Questa storia comincia con la tua firma. Passa per un banco di scuola. Come continua lo scriverà lei.


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AMANI Lo spunto

Ruanda, la fatica di una memoria condivisa di Pier Maria Mazzola*

«L

a Repubblica Centrafricana non interessa nessuno: non si capisce chi sono i buoni e chi sono i cattivi», dice un tizio col bicchierone di popcorn in mano davanti alla tivù accesa. È una vignetta di un settimanale satirico svizzero e non fa nemmeno troppo ridere, tanto pare fotografare bene la realtà. A vent’anni dalla più tragica data della storia africana contemporanea – il genocidio in Ruanda – pare invece abbastanza facile dividere i buoni dai cattivi: vittime da una parte, genocidari dall’altra. Alle vittime spetta di diritto essere classificate tra i buoni, non per le loro virtù personali ma perché nulla può giustificare ciò che hanno subito. A maggior ragione se la motivazione del massacro è una carta d’identità recante la menzione dell’etnia sbagliata nel posto e nel momento sbagliati. Ma ciò comporta, per converso, l’assegnazione degli altri, tutti gli altri, ai “cattivi”? Quei cento giorni di machete, scoccati il 7 aprile 1994, non destarono subito una fattiva attenzione all’estero, nemmeno da parte dell’Onu, duole dirlo. (Fu Giovanni Paolo II il primo al mondo a parlare di «genocidio»). Peccato di omissione tanto più grave in quanto fu un orrore organizzato, di cui erano noti i segnali premonitori. Dopo, vuoi per complesso di colpa vuoi perché si è creduto di capire dove stessero i buoni e dove i cattivi, il Ruanda è diventato il paese d’Africa su cui l’Italia ha sfornato la maggiore produzione editoriale degli ultimi due decenni. Infiniti articoli su giornali e riviste nonché su internet, senza contare documentari e anche esperienze teatrali. Per limitarci ai libri, in vista di questo ventennale è uscito un nuovo romanzo, Nostra Signora del Nilo della ruandese Scholastique Mukasonga, mentre è atteso il nuovo saggio di Daniele Scaglione (già presidente di Amnesty International Italia e autore di un’altra opera sul tema) scritto con Françoise Kankindi, radicata in Italia, di origini ruandesi ma burundese perché figlia di rifugiati all’epoca del pogrom che colpì i tutsi nel 1959. A fronte di una relativa abbondanza di titoli, l’impressione è che il discorso mainstream sia un po’ a senso unico. Prevale di gran lunga, cioè, il punto di vista delle vittime “ufficiali”, esposto in prima persona o grazie ad autori non ruandesi; è giusto che sia così, ma altre voci (nelle liste della morte constavano anche tanti hutu “moderati”) potrebbero dare un contributo importante alla ricostruzione della verità. Certo è generalmente riconosciuto che degli hutu hanno messo in salvo, a proprio rischio e pericolo, connazionali tutsi che per la propaganda erano solo «scarafaggi» da schiacciare. Il caso macroscopico è un maître d’hôtel divenuto poi protagonista di un film (sulla vicenda lo stesso Paul Rusesabagina ha scritto un libro, dove denuncia che «la tossina che circola nelle vene del mio paese è una falsa idea della storia» e che ha il merito di ricordare i collegamenti con le vicende burundesi), e alcuni scampati hanno reso omaggio agli hutu cui devono la vita salva, come la Jeanne d’Arc di Ti seguirò oltre mille colline e la Yolande Mukagasana di La morte non mi ha voluta; storie analoghe troviamo in Nostra Signora del Nilo, fiction ambientata in quel “prologo” del terrore che fu, per i tutsi ruandesi, il 1973. Sono però rari i testi, almeno in italiano, con un punto di vista hutu: non certo quello dell’Hutu Power o degli Interahamwe, ma di quanti erano, già da anni, critici del regime. Oltre alla testimonianza di Rusesabagina si segnala soprattutto il libro-intervista di André Sibomana: giornalista, attivista

dei diritti umani, prete. Morto, anzi fatto morire – avendogli il governo negato il visto per andare a curarsi all’estero – nel 1998. In J’accuse per il Rwanda la sua personale storia di opposizione al presidente Habyarimana lo autorizza a opporsi, adesso, al regime di Paul Kagame: «Il fatto di attaccare una dittatura – dice l’abbé – non ti dà tutti i diritti. Combattere un regime che disprezza i diritti dell’uomo non autorizza a usare i suoi stessi metodi». Egli denuncia al contempo che in Ruanda «nessuno può sostenere che ignorava quanto si stava preparando» (il genocidio). E ne ha anche per la comunità internazionale, quando ricorda come ufficiali dissidenti delle forze armate ruandesi avessero avvertito per tempo l’Onu della pianificazione degli eccidi. Alcuni altri libri hanno dato voce, in Italia, a un punto di vista alternativo al mainstream, ma non pare abbiano granché influito sul dibattito. I titoli dell’Emi, per esempio, tra cui uno recente sulla «inadeguatezza di Corti e Tribunali» in ordine al processo di riconciliazione nazionale, e a un altro del 2001, che ricostruisce la vicenda di un vescovo accusato di genocidio dal presidente della repubblica in persona. La giustizia ha poi scagionato mons. Misago (e il capo dello stato si è dimesso…), ma il marchio mediatico è rimasto. Un’opera uscita successivamente, il citatissimo libro di Philip Gourevitch, ha “dimenticato” l’innocenza del prelato… E anche l’autore di uno dei romanzi considerati più importanti sul genocidio, il senegalese Boubacar Boris Diop, appena quattro anni fa dichiarava, nel corso di in una conferenza in Italia, che «il massacro di Murambi è stato voluto» dal vescovo di Gikongoro… Vent’anni, insomma, sono decisamente pochi per dar vita a una memoria “condivisa”, come si direbbe in Italia (dove di anni ne sono passati settanta…). I libri citati: S. Mukasonga, Nostra Signora del Nilo, 66thand2nd, 2014 F. Kankindi, D. Scaglione, Rwanda, la cattiva memoria, Infinito, 2014 P. Rusesabagina, Hotel Rwanda. La vera storia, Il Canneto, 2013 V. Codeluppi, Le cicatrici del Ruanda. Una faticosa riconciliazione. Indagine sull'inadeguatezza di Corti e Tribunali, Emi, 2012 H. Jansen, Ti seguirò oltre mille colline, Tea, 2005 B.B. Diop, Murambi. Il libro delle ossa, e/o, 2004 D. Scaglione, Istruzioni per un genocidio, Ega, 2003 A. D'Angelo, Il sangue del Ruanda. Processo per genocidio al vescovo Misago, Emi, 2001 P. Gourevitch, Desideriamo informarla che domani verremo uccisi con le nostre famiglie, Einaudi, 2000 Y. Mukagasana, La morte non mi ha voluta, La Meridiana, 1998 A. Sibomana, J’accuse per il Rwanda, Ega, 1998 Altri titoli fra quelli usciti in Italia (non tutti), sono reperibili su Wikipedia alla voce “Genocidio del Ruanda”; i titoli Emi sono su www.emi.it (argomento “Ruanda”). *Pier Maria Mazzola è direttore editoriale della Emi e autore di Sulle strade dell’utopia (Emi, 2011).

a cura di Raffaele Masto

In Breve Tunisia

Marocco

Il G5 del Sahel

Algeria

È nato in Mauritania, nella capitale Nouakchott, il cosiddetto “G5 del Sahel”. Si tratta di un organismo sovranazionale costituito da Mauritania, Burkina Faso, Niger, Mali e Ciad che ha come obiettivo quello di incrementare la cooperazione regionale in campo economico e politico. In particolare l'organismo dovrà affrontare le conseguenze degli ultimi avvenimenti accaduti nella regione. Il Sahel, infatti, secondo quanto si legge nell'atto costitutivo, è stato fortemente destabilizzato dalla caduta del regime di Gheddafi in Libia nel 2011, ed è diventato un territorio nel quale si celano mercenari, contrabbandieri e combattenti di gruppi jihadisti. Allo stesso tempo il Sahel è una sorta di zona franca, in cui transitano armi e droga. L'idea di base sulla quale è nato il “G5 del Sahel” è quella di dare il via ad una serie di progetti in zone lasciate altrimenti all'abbandono e quindi soggette a divenire aree propizie allo sviluppo del terrorismo. I paesi membri dovranno preparare una mappatura dettagliata delle problematiche, dei bisogni e dei progetti da realizzare essenzialmente nel settore delle infrastrutture, dalle strade alla fornitura di energia elettrica. Il segretariato permanente del “G5” sarà stabilito nella capitale mauritana.

Libia

Sahara Occ.

Mauritania

Capo Verde

Mali

Senegal Gambia Guinea Bissau

Niger

Guinea Sierra Leone

Egitto

Eritrea

Ciad

Sudan

Burkina Faso

Togo Costa d’Avorio Ghana Liberia

Benin

Nigeria

S.Tomé Guinea Eq. e Principe

Camerun

Rep.Centrafricana

In Costa D'Avorio, grazie ad un programma statale in vigore dalla fine della guerra civile e dalla sconfitta dell'ex presidente Laurent Gbabo, circa 1500 ex combattenti sono stati reinseriti nella società. Hanno seguito corsi ed esercitazioni e, dopo esami e prove pratiche, sono diventati vigili del fuoco e agenti dell’Ufficio nazionale della protezione civile. Lo ha annunciato la direzione dell’Autorità per il disarmo, la smobilitazione e il reinserimento. Il programma governativo per il reintegro dei giovani ex combattenti, dal costo stimato in 140 milioni di euro, è destinato in tutto a 65.000 individui entro fine 2014; finora sono in 27.000 ad aver consegnato le armi. Per un decennio la Costa d’Avorio è stata teatro di una doppia crisi politico-militare, cominciata nel settembre del 2002 e terminata nella primavera del 2011 con la sconfitta e l'arresto dell'ex presidente Gbabo, ora sotto processo all'Aja.

Sud Sudan

R.D.Congo

Nessuna concessione per Mugabe

Etiopia

Somalia

Uganda Gabon Congo

Chiamata al disarmo

Gibuti

Kenya

Ruanda Burundi

Tanzania Seicelle Malawi

Angola

Mozambico

Zambia

Comore

Zimbabwe

Namibia

Botswana

Madagascar Swaziland

Sudafrica

Lesotho

Maurizio

L’Unione europea ha formalmente revocato le sanzioni nei confronti di otto alti dirigenti politici dello Zimbabwe, in vigore dal 2002. Ha deciso però di mantenere quelle a carico del presidente Robert Mugabe e della moglie Grace. Le sanzioni consistevano nel divieto di viaggio in Europa e nel congelamento di fondi e beni delle personalità colpite. L'accusa contro di loro era di violazione dei diritti umani. L'alleggerimento delle sanzioni è stato accolto ad Harare con critiche. Le più dure sono state quelle del partito al potere che attraverso un suo portavoce ha fatto sapere di non accettare “concessioni a metà”. Sulla vicenda è anche intervenuto l'anziano capo di stato che ha chiesto la rimozione totale e irrevocabile delle sanzioni. Robert Mugabe ha compiuto da poco novanta anni, trentaquattro dei quali trascorsi alla guida dello Zimbabwe.


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AMANI

Diritti negati

Dossier

È di Nicoletta Dentico*

Un mondo senza salute L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha perso la partita della sanità globale

© Francesco Zizola

In alto: sciopero in Grecia contro i tagli alla sanità. Qui sotto: vaccinazione in un ospedale del Malawi.

ormai assodato: la crisi economica fa male alla salute. Un’ampia letteratura scientifica comprova che le misure di aggiustamento strutturale e di austerità uccidono, non solo metaforicamente, la popolazione di un paese costretto a subirle. Le nazioni del sud del mondo, che da decenni si vedono somministrare queste ricette, ne sanno qualcosa. Oggi anche i paesi dell’Unione Europea cominciano a conoscere l’amara medicina, dai dubbi poteri terapeutici. Lo dice senza fronzoli il recente studio pubblicato sul Lancet, condotto nella Grecia al sesto anno consecutivo di contrazione economica. L’aumento di mortalità registrato nel 2011-2012 tra la popolazione greca over 55 quantifica le prime conseguenze delle politiche imposte dalla troika europea, che incrementano il numero delle persone prive di copertura assicurativa e impongono una drastica limitazione d’accesso ai servizi sanitari del paese. La situazione è particolarmente difficile per i malati cronici ma non meno trascurabile per i bambini, che perdono l’accesso al programma nazionale di vaccinazioni se sono figli di genitori disoccupati da oltre un anno. Di fronte a queste incomprensibili traiettorie della politica, rimbomba il silenzio dell’agenzia che ha il mandato costituzionale di promuovere il più alto standard di salute possibile per tutte le popolazioni del pianeta: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La crescita esponenziale delle disuguaglianze tra paesi e all’interno di uno stesso paese, sia in termini di salute che di speranza di vita, segna il fallimento dell’idea che i servizi pubblici di salute e l’universalità delle cure siano un ostacolo per la finanza pubblica e per lo sviluppo della ricchezza. Ma per quale motivo l’OMS non dice nulla? Sono trascorsi tre anni da quando l’agenzia ha deciso di intraprendere una riforma per meglio allineare priorità e risorse disponibili, così da garantirsi una stabilità futura. L’iniziativa, avviata su impulso della crisi finanziaria, avrà un impatto decisivo sul modo in cui l’OMS sarà governata e potrà esercitare la propria funzione di autorità internazionale per le politiche pubbliche di salute. Da diversi anni l’OMS ha un problema molto serio. L’organizzazione ha perduto il controllo sui propri bilanci: il 70-80%

delle risorse derivano da contributi volontari, pubblici o privati, mentre la proporzione dei contributi regolari, non vincolati, derivanti dal finanziamento dei 193 paesi membri dell’OMS forma a malapena il 20-25% di tutto il budget dell’organizzazione. I contributi volontari sono perlopiù fuori bilancio, con una destinazione d’uso su progetti specifici, per un termine di volta in volta variabile, a discrezione dell’erogatore. Una situazione decisamente poco sana; molti rappresentanti della comunità internazionale che si occupa di salute (governi, esponenti del mondo accademico, autorevoli gruppi della società civile) fanno notare da tempo come l’autorità e le capacità stesse dell’OMS siano messe a durissima prova dal ristretto accesso alle risorse. Questo scenario viene giustamente attribuito alla comparsa incontrollata di nuovi protagonisti sulla scena della salute globale e di una pletora di nuove iniziative che sfidano in campo aperto la funzione dell’OMS nella azione sanitaria internazionale. Ma la crisi attuale ha radici più lontane, che rimandano ai primi tentativi dell’OMS di esercitare una leadership a tutto tondo, sulla base del proprio mandato istituzionale, in un contesto geopolitico sovente assai sfavorevole. L’OMS è finanziata in parte attraverso l’erogazione di fondi regolari degli stati membri calcolati ogni due anni dalle Nazioni Unite sulla base del Pil e della popolazione. Con questo criterio un esiguo manipolo di nazioni ad alto reddito finisce per formare la base finanziaria dell’agenzia. Nel 1962, per evitare di imbrigliare l’OMS nella dipendenza da un solo donatore, si stabilì che nessun governo potesse sovvenzionare più di 1/3 di tutti i fondi regolari. Ciò nonostante, in tutta la storia dell’OMS, il primo contribuente sono rimasti gli Stati Uniti con il 25% dei fondi. Nei primi anni ’80 il ricorso esteso ai fondi volontari fuori bilancio venne a connotarsi sempre di più come un “voto di fiducia” verso specifici programmi dell’agenzia, ma soprattutto come “un’opzione di sfiducia” nei confronti di alcune iniziative finanziate con i fondi regolari e ispirate ad una convinta agenda per lo sviluppo. Tra queste la Lista dei Farmaci Essenziali, creata nel 1977 per limitare le politiche commerciali delle aziende farmaceutiche, e il Codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno del 1981,

che aprì uno scontro con l’industria della nutrizione. Fu un passaggio poco noto ma fondamentale nella storia delle Nazioni Unite, ben oltre l’OMS. In una manciata di anni, negli Stati Uniti di Ronald Reagan cominciarono a fioccare più di 100 rapporti sull’ONU, tutti all’insegna di un sentimento ostile. Le Nazioni Unite erano percepite come istituzioni ispirate alla regolamentazione delle multinazionali e luogo di resistenza alle politiche neoliberiste emergenti. La “politicizzazione” dell’ONU indusse il cosiddetto Gruppo di Ginevra – l’élite dei major donors – a concordare una politica di crescita zero dei fondi strutturali che fu applicata a tutte le agenzie dell’ONU. Accanto all’OMS, si intendeva colpire l’UNESCO e l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Ironia della sorte, proprio quando l’OMS cercava di avviare la strategia della “Salute per Tutti” coniata ad Alma Ata nel ’78, la Banca Mondiale fu sollecitata ad estendere il proprio mandato ai settori sociali e alla riduzione della povertà. Con massicci prestiti a sostegno di strategie molto controverse, come il contributo diretto alle spese dei pazienti, i paesi donatori mettevano a segno la prima bordata alla leadership dell’OMS. La visione macroeconomica e neoliberista della banca prendeva il sopravvento sulle politiche dell’OMS, intese a pianare le disuguaglianze strutturali già in atto nel mondo. Da allora la caduta libera dei fondi regolari dell’OMS subì un’inevitabile accelerazione. Una certa creatività nel reagire a decenni di crescita zero non ha impedito all’OMS di proseguire nelle sue battaglie a favore della salute, ad esempio con la Convenzione Quadro sul Controllo del Tabacco del 2003. Ma intanto gli oppositori dell’agenzia sono aumentati: sono nati numerosi e influenti partenariati pubblico-privati finanziati dalla filantropia globale (prima fra tutte la Fondazione Bill e Melinda Gates) e abbiamo assistito a forme inedite di multilateralismo (ad esempio la Global Business Coalition, che annovera, tra i quasi 200 membri, multinazionali come la Coca-Cola, la Exxon Mobil e la Pfizer) che puntano con crescente interesse a trasformare le attività commerciali in “opportunità di lotta alle malattie”. Così, poco a poco, i “rivali” dell’agenzia stanno prendendo in mano le leve dell’organizzazione, grazie al supporto compiacente di alcuni governi del nord. 38 fondazioni assicurano ormai il 18% dei contributi volontari dell’OMS e, da sola, la Bill e Melinda Gates Foundation ha versato nel biennio 2010-2011 oltre 446 milioni di dollari, più di ogni altro contribuente dopo gli Stati Uniti, una somma 24 volte superiore ai contributi di Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (gli emergenti Paesi BRICS) messi insieme. Occorre giocare la partita della salute ben oltre le regole dell’austerità, la mera dipendenza da un’élite di interessi finanziari o dall’intraprendenza egemonica della nouvelle vague filantropica. Utile sarebbe riaccendere questo dibattito a livello nazionale, per contrastare l’ondata di privatizzazione del sistema sanitario in molti paesi del sud del mondo, o il progressivo smantellamento del sistema pubblico, come avvenuto recentemente in Inghilterra. Per evitare tragedie greche, il rilancio del pieno mandato dell’OMS è fondamentale nel momento in cui i popoli del nord e del sud del mondo avvertono, come mai forse nel passato, il senso di un destino comune. Le sfide, nella complessità degli scenari globali, richiedono una guida competente e riconoscibile. Capace, soprattutto, di riaffermare la visione del diritto alla salute per tutti come una delle condizioni per la vita su questo pianeta.

*Nicoletta Dentico, giornalista, si occupa di questioni legate ai paesi in via di sviluppo. Coordinatrice in Italia della Campagna per la messa al Bando delle Mine, poi direttrice di Medici Senza Frontiere. Da un decennio segue a livello internazionale il tema dell’accesso ai farmaci essenziali nei paesi poveri. Attualmente lavora come consulente dell’OMS.


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AMANI Vivere senza Maestri

I nostri amici

Ricordi

È PASSATO UN ANNO DA QUANDO IL NOSTRO AMICO DANIELE PAROLINI, ATLETA, GIORNALISTA, VOLONTARIO, DIRETTORE DELLA NOSTRA RIVISTA, È MANCATO A CREMONA IL 12 APRILE 2013. LO RICORDIAMO CON UN ARTICOLO DI UN SUO AMICO E COLLEGA

Se oggi ci guardiamo intorno, non riusciamo a individuare leader di comparabile statura, che sappiano additare alle nazioni, alle genti, la via da seguire. In questo senso forse Mandela è stato l'ultimo rappresentante di una specie ora estinta e giustamente i commenti scritti in occasione della sua morte hanno sottolineato la sua appartenenza biografica ed esistenziale al secolo passato.

ciao Dani

di Viviano Domenici*

C

hi era Daniele. In breve Spesso Daniele s’affacciava alla porta della Redazione Scienze. – Buongiorno, che cosa dicono oggi gli scienziati? Ho trovato una notiziola su un giornale francese; mi pare interessante ma è troppo breve. Perché non fai scrivere un articolo che tutti possano capire! Quand’è che mi fai venire a lavorare con te? Non so nulla di scienze ma mi divertirei. Già altre volte aveva accennato all’ipotesi di lasciare la Redazione Sport, dove lavorava da più di vent’anni, ma avevo sempre pensato che scherzasse. Invece chiese il trasferimento e venne alle Scienze; con tutto il suo bagaglio di curiosità. Fu un regalo.

Egli è stato un grande maestro in più di un senso. Nella prima parte della sua vita, ha insegnato con il comportamento personale il coraggio, l'idealismo, la dedizione a una causa giusta e umana, e soprattutto la capacità di mettere sul piatto della bilancia la sua stessa esistenza: «Ho dedicato la mia vita alla lotta degli africani. Ho lottato contro la dominazione dei bianchi, e ho lottato contro la dominazione dei neri. Ho coltivato l'ideale di una società libera e democratica nella quale tutti vivranno in armonia e con uguali opportunità. È un ideale per il quale intendo vivere e che spero di veder realizzato. Ma, se occorre, è un ideale per il quale sono preparato a morire».

Eravamo tutti neri Ogni giorno frugava tra le notizie “minori” in cerca di quella buona. – L’ho trovata! In Africa hanno scoperto delle ossa di un nostro antenato di 3 milioni e mezzo di anni fa. Secondo te che ti occupi di queste cose, che aspetto aveva? – Questo non lo sappiamo, ma di certo era un nero! – Vuoi dire che l’umanità è nata nera? Allora anche noi bianchi un tempo eravamo neri e col passare dei secoli abbiamo perso il colore? Insomma, siamo tutti neri scoloriti? – Esatto, proprio così. – Devi scrivere un articolo su questa faccenda. Chissà come sarà contento il mio amico africano che chiede la carità sul marciapiede. E come saranno incazzati i leghisti: erano neri anche loro! Che bella notizia.

Nella seconda, ha incarnato la virtù della resistenza, della coerenza, della fedeltà a un'idea, nei lunghi anni in cui tutto poteva sembrare perduto e Mandela era diventato soltanto il “detenuto 46664”, un numero dimenticato su un'isola-prigione in mezzo all'oceano. Nella terza, infine, è diventato il Grande Riconciliatore, il leader che ha saputo tenere insieme e anzi riunificare una nazione spaventosamente divisa da decenni di oppressione e di odio. Ha usato il perdono come arma politica, superando le resistenze di molti nel suo campo e conquistando i cuori degli uni e degli altri. Certo il lavoro non è compiuto, ma l'apporto di Mandela è stato gigantesco, incommensurabile se rapportato all'opera di una sola persona, e anche senza precedenti, perché nessuno prima di lui aveva saputo con altrettanta efficacia usare in politica quell'arma. È stato il Mandela capo di Stato a raggiungere una statura davvero unica e universale.

Via dal «Corriere della Sera» – La direzione del giornale mi ha proposto di passare alla Redazione Cronache affidandomi un ruolo di ideazione e di proposta. Mi pare una bella offerta, tu che ne pensi? – È una bella occasione davvero. Te la meriti e non devi sentirti in imbarazzo con me. Ma fai attenzione che mantengano la promessa e non finiscano per sfruttare solo la tua dedizione al lavoro. Non vorrei che, di fatto, la bella proposta si trasformasse in un impegno massacrante senza alcuna soddisfazione. Stai attento. Ne parlammo per ore, per giorni, e alla fine decise di accettare. Ma le cose non andarono come avrebbero dovuto e lui, sentendosi tradito, si dimise dal giornale da un giorno all’altro. Se fosse andato in Daniele negli anni ’80 in Via Solferino a Milano, tra casa e Corriere della Sera

*Pietro Veronese, giornalista, segue da trent’anni le vicende africane.

© Angelo Mereu

Adesso però che Mandela non c'è più, c'è un quarto aspetto che forse prima non avevamo sufficientemente considerato e che fa anch'esso di lui un maestro grandissimo. E cioè quello che abbiamo detto all'inizio: il progressivo distacco, l'allontanamento pianificato e realizzato in prima persona dalle responsabilità pubbliche, la chiamata in prima linea delle nuove generazioni, il passaggio delle consegne, il ritiro. In un continente che abbonda di capi di Stato a vita, di riforme costituzionali imposte a Parlamenti consenzienti per moltiplicare i mandati presidenziali, di governanti di modesta statura che si abbarbicano al potere, Nelson Mandela ha fatto 27 anni di prigione ma solo 5 di presidenza. E poi se ne è andato. Noi lo sappiamo: è un vero maestro chi insegna a fare a meno di lui. La vera scuola è quella dell'autonomia. Questo cerca di fare in piccolo Amani, accompagnando i bambini che sono affidati alle case di Nairobi e Lusaka fino al titolo di studio, alla completezza della formazione. Mandela lo ha fatto al livello più alto, nel modo più nobile. Se poi, ciò malgrado, noi lo piangiamo, e ne sentiamo crudelmente la mancanza, e vorremmo che fosse ancora con noi, questo non è un limite suo, bensì nostro. Un limite umano.

© Archivio Amani

Come se non fossero ancora davvero preparati a fare a meno di lui, non sapessero come fare senza di lui. Il motivo, secondo me, è semplice. Mandela è stato un maestro, un grandissimo maestro (non a caso Amani lo aveva scelto per la copertina del suo calendario 2007, dedicato ai Mwalimu, i grandi maestri dell'Africa postcoloniale). E vivere senza maestri è molto difficile.

La risposta alla domanda che si pone Domenici: «Daniele, cosa fai in Africa?»

Direzione a chiedere una diversa collocazione certamente l’avrebbero ascoltato, ma non volle farlo e se ne andò senza una parola. Da quel giorno, e per molti anni, si rifiutò di passare davanti alla sede del «Corriere», dove aveva trascorso 28 anni della sua vita. I malati di Aids Sparì dalla circolazione e pensai avesse bisogno di stare un po’ da solo, magari a Cremona, o chissà dove a correre in bicicletta. Quando il silenzio si fece troppo lungo lo cercai per telefono, a Milano e a Cremona, ma senza risultato. Di tanto in tanto mi arrivava qualche notizia vaga: sta bene, si occupa di ammalati, l’ho incontrato, è andato a fare una maratona all’estero, ci saluta tutti, si farà sentire, pare che voglia andare in Africa. Finché un giorno una giovane amica che non vedevo da tempo mi disse che suo marito era morto di Aids. – Lo ha assistito fino all’ultimo un ex giornalista del «Corriere»; mi ha detto che siete amici: si chiama Daniele. Scoprii così dov’era finito, ma dopo due anni tra quei malati che morivano tutti i giorni, si arrese. Non aveva più la forza di sopportare tanto dolore, che in quegli anni era senza speranza. Cosa fai in Africa? Andava e veniva dall’Africa e quando tornava a Milano mi telefonava. – Ci vediamo? Mangiamo qualcosa insieme e parliamo. Finalmente ritrovavo i suoi entusiasmi, la passione per la vita, la gioia di stare con gli altri. Ma farsi raccontare cosa faceva in concreto laggiù era impossibile. Parlava facendo lo slalom tra frammenti di racconti, incertezze non espresse, pudori e riservatezze che conoscevo bene, partite di calcio coi bambini, la tragedia delle bidonville, la gioia di vivere degli africani, i comboniani impegnati tra i più poveri. Un groviglio di mezze frasi, silenzi improvvisi, certezze messe in discussione, confronti angosciosi tra la vita qui e laggiù, interrogativi senza risposte. Non era possibile dipanare quel groviglio di parole e sentimenti; lo sapevo che faceva di tutto per non raccontare cosa lui faceva per gli altri in Africa. La vecchia ferita del «Corriere» s’era però rimarginata e Daniele era tornato quello che conoscevo. All’ospedale bugie e carezze Mia moglie Francesca e io ci affacciammo alla porta socchiusa della camera e lui ci vide. Fece un sorriso imbarazzato come dire “che bella sorpresa, ma non dovevate disturbarvi per me”. E con un gesto ci pregò di aspettare un momento, giusto il tempo per non farsi vedere mentre lo aiutavano a mangiare qualcosa. Ci abbracciammo. E lentamente riuscimmo a trovare inutili parole tra silenzi pesanti e sconforti improvvisi, subito nascosti dietro un gesto, un finto raffreddore, un’occhiata oltre la finestra. Scartammo cioccolatini (gli piacquero molto) aiutandoci l’un l’altro, e si guardò le mani con le unghie troppo lunghe; sorrise mentre tentavo di fargli un po’ di manicure, e ringraziò con una carezza stanca. – Ora riposati, Daniele, ci vediamo presto. Socchiuse gli occhi perdonandoci la bugia. Sapeva che non c’era più tempo. E con gli occhi ci salutò. * Viviano Domenici, giornalista, responsabile per decenni delle pagine scientifiche del Corriere della Sera, ha seguito numerose spedizioni di ricerca paleontologica e antropologica e pubblicato monografie a carattere storico-archeologico.


5 FONDAZIONE AMANI

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PERCHÉ È NATA FONDAZIONE AMANI

È

© Archivio Amani

argomento costante di discussione tra i soci, gli operatori e i volontari di Amani: le Ong devono fare raccolta fondi? Ci ripetiamo spesso che sarebbe liberatorio poter lavorare pensando soprattutto a come esprimere al meglio le nostre capacità e come rendere più efficaci e attuali le tecniche di intervento, ma siamo consapevoli che questo può sembrare utopico. Nel nostro caso la qualità del rapporto con i partner africani, la formazione degli operatori sociali, il miglioramento dei servizi di accoglienza e alla persona, la gestione delle comunità e il loro funzionamento organizzativo, la qualità nella relazione con i bambini e le bambine di strada e la cura di tutto il processo educativo dovrebbero essere gli argomenti principali delle nostre giornate di lavoro, in Africa come in Italia. Invece non è così: oggi il fundraising si è definitivamente affermato come elemento dominante che ha stravolto e minato alle radici i principi che dovrebbero essere al centro delle attività di ogni organismo di cooperazione internazionale. Stiamo tutti vivendo gli effetti di una lunga crisi e una riflessione di questo tipo sembra un lusso, ma dobbiamo continuare a chiederci come sia possibile non rinunciare alla nostra iden-

tità e allo stesso tempo avere le risorse per garantire l’operatività e il buon funzionamento di tutte le attività in Africa. L'unica cosa bella del ricercare e ricevere donazioni è la dinamica della relazione che si crea con le persone che scelgono di sostenerci. Ringraziarle è un obbligo morale che molto spesso diventa un piacere, perché ci mette in rapporto con il volto più bello dell’Italia. È così che abbiamo conosciuto una signora di Milano che aveva deciso di rendere concreta una promessa fatta a suo marito poco prima della sua scomparsa: donare la loro casa tanto amata, un edificio con 4 appartamenti nel centro storico di Ponte di Legno, ad una realtà seria che si prendesse cura dell’infanzia più sola e bisognosa di aiuto in Africa. In piena crisi immobiliare Amani ha dunque dovuto cominciare a gestire uno stabile di valore, che non poteva essere venduto senza svalorizzarlo e senza infrangere la promessa fatta alla donatrice, cioè trarne la maggior rendita possibile. Abbiamo quindi deciso di affittarlo, ritrovandoci a svolgere un’attività che, seppur importante e in grado di generare risorse da reinvestire nei progetti, non è esplicitamente contemplata dal nostro statuto. Grazie ai consigli dei nostri revisori dei conti abbiamo maturato la scelta di separare chiaramente l’attività di cooperazione internazionale (che è il cuore della nostra azione quotidiana) dalla gestione e dall’amministrazione di risorse in denaro, beni mobili ed immobili.

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di Gian Marco Elia*

A poco più di un anno dalla donazione di Ponte di Legno, nel luglio 2011, abbiamo dunque costituito Fondazione Amani: un ente giuridico in grado di «canalizzare, amministrare e destinare risorse economiche e finanziarie, con scopi di utilità sociale». Fondazione Amani nasce con un mandato ben preciso che si realizza nel lungo periodo: garantire continuità e sostenibilità alle iniziative in Africa. Il Consiglio di Amministrazione della fondazione, eletto dai soci di Amani, è composto da persone di indubbia esperienza e professionalità che hanno avuto modo di conoscere in prima persona le realtà sostenute da Amani in Africa e che ne hanno a cuore le sorti. Questo loro impegno nella fondazione è garanzia di competenza, trasparenza, rigore contabile e capacità di valorizzare le risorse trasformandole in un aiuto concreto e duraturo nel tempo. Crediamo che tutto questo sia normalmente dovuto ad ogni persona che desideri affidarci un lascito importante. Il primo progetto realizzato da Fondazione Amani è stato la ristrutturazione e ampliamento di una scuola di informatica al Mthunzi Centre di Lusaka, intitolata a Margherita Ferrario, volontaria di Amani, venuta a mancare nel dicembre 2012. Parte dei risparmi di Margherita sono stati affidati dalla sua famiglia a Fondazione Amani, che grazie all’opera dei suoi amministratori ha fatto sì che la scuola iniziasse la sua attività e la farà vivere nel tempo. Ora ad Amani siamo più tranquilli perché sappiamo di aver fatto un passo importante per rimanere sempre entro i termini previsti dalla legge, con il valore aggiunto della professionalità specifica nel settore amministrativo. Questa nostra riforma è certamente una piccola cosa, ma forse potrà far vivere sempre meglio quella grande tradizione di mecenatismo dell’educazione e dell’assistenza privata in cui proprio l’Italia, per secoli, ha rappresentato un’eccellenza. *Gian Marco Elia è presidente di Amani.

Ndugu Mdogo ottiene il secondo posto al bando di Fondazione Mediolanum Onlus Il progetto Ndugu Mdogo Rescue Centres è stato selezionato tra i 20 finalisti del bando Nutri-amo il Futuro di Fondazione Mediolanum Onlus.

Il bando prevedeva un finanziamento per i 3 progetti col maggior numero di voti, e Ndugu Mdogo Rescue Centres si è classificato secondo grazie ai voti di circa 2.000 sostenitori. Grazie a tutti coloro che hanno voluto contribuire a questo risultato fondamentale, reso possibile solo dall’impegno, dal passaparola e dalla testimonianza personale di ciascuno di voi.

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Dal 7 al 30 aprile 2014 è stato possibile votare online per esprimere la propria preferenza e sostenere i centri di prima accoglienza delle baraccopoli di Riruta e Kibera, a Nairobi.


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AMANI

Iniziative

Il tour italiano dei ragazzi dello Zambia Tiyende Pamodzi è stato soprattutto un’esperienza formativa, un viaggio “di conoscenza” per 16 ragazzi del Koinonia Youth Team del Mthunzi Centre. Il gruppo, accompagnato dagli educatori di Koinonia e Amani, ha viaggiato dal 23 novembre al 15 dicembre 2013 lungo 14 città italiane (Torino, Milano, Brescia, Piacenza, Bologna, Rimini, San Marino, Senigallia, Agugliano, Bari, Matera, Rionero in Vulture, Caserta, Roma) incontrando le comunità locali attraverso momenti di scambio culturale, l’accoglienza in famiglia, visite nelle scuole e la presentazione di uno spettacolo di danze tradizionali zambiane. Nelle scuole, grazie all’aiuto delle insegnanti e dei volon-

tari, i ragazzi hanno potuto presentarsi e raccontare le loro storie, interagire con gli studenti e confrontarsi con loro sui diversi sistemi scolastici, sull’importanza dell’istruzione come strumento di crescita e riscatto, sulle attività extrascolastiche e le proprie passioni.

Nella tappa romana sono stati onorati anche dalla presenza di alcuni membri dell’Ambasciata della Repubblica dello Zambia. Domenica 15 dicembre 2013, a San Pietro, hanno partecipato all’Angelus, ricevendo un saluto e una benedizione rivolta proprio a loro da Papa Francesco.

Valore aggiunto è stata l’accoglienza delle famiglie, che hanno ospitato i giovani zambiani aprendogli le proprie case, facendogli assaporare la cordialità italiana e il calore domestico.

Accompagnati dalle famiglie ospitanti e dai volontari di Amani che, per l’occasione, si sono preparati a far da guida della loro città in lingua inglese, i giovani zambiani hanno avuto modo di visitare i principali monumenti, i musei e le bellezze paesaggistiche: hanno visto per la prima volta la neve a Torino e il mare a Rimini; sono rimasti incantati di fronte alla bellezza di Matera e alla maestosità del Colosseo a Roma.

In ogni città i ragazzi si sono esibiti in uno spettacolo di canti e danze tradizionali zambiane con una media di 300 spettatori a tappa.

Progetti KENYA Kivuli Centre: progetto educativo che accoglie in forma residenziale 60 ex bambini di strada, copre le spese scolastiche di altri 70 bambini ed è aperto a tutti, proponendo diverse attività. Kivuli è diventato un punto di riferimento per i giovani del quartiere circostante, con laboratori artigianali di avviamento professionale, una biblioteca, un dispensario medico, un progetto sportivo, un laboratorio teatrale, una sartoria, un pozzo che vende acqua a prezzi calmierati, una scuola di lingue, una scuola di computer e uno spazio sede di varie associazioni, per momenti di dibattito e confronto. Casa di Anita: casa di accoglienza a Ngong (20 km da Nairobi) curata da due famiglie keniane. La Casa di Anita accoglie 20 ex bambine e ragazze di strada vittime di violenze di ogni genere, inserendole in una struttura familiare e protetta, permettendo una crescita affettivamente tranquilla e sicura, e continua a seguire le ragazze più grandi che sono rientrate in famiglia. Ndugu Mdogo (Piccolo Fratello): progetto socio-educativo, è un punto di riferimento per i 200 ragazzi che, con le loro famiglie, sono stati accolti nel programma di assistenza e riabilitazione dal 2006 ad oggi. Kivuli Ndogo e Ndugu Mdogo Rescue Centers: sono centri di prima accoglienza e soccorso per i bambini e i ragazzi che negli immensi quartieri di Kibera e Kawangware sono ancora costretti a sopravvivere per strada senza la cura e l'affetto di un adulto. Questi centri sono il primo passo di un percorso di recupero che potrà portarli poi a Kivuli, Ndugu Mdogo o alla Casa di Anita. Borse di Studio don Giorgio Basadonna: permettono a studenti meritevoli privi di possibilità economiche di proseguire nel percorso di studi superiore e acquisire una preparazione qualificata per il loro futuro: un modo concreto per ricordare l’impegno di tutta una vita spesa da don Giorgio per la crescita dei giovani.

Riruta Health Project (RHP): programma di prevenzione e cura dell'Aids, nato in collaborazione con Caritas Italiana, offre assistenza a domicilio a malati terminali e a pazienti sieropositivi nelle periferie di Nairobi. Families to Families (FtoF): programma di sviluppo comunitario nato da un gruppo di famiglie italiane per sostenere gli ex ospiti dei centri nel percorso di reinserimento familiare e nella comunità locale. Geremia School: una scuola di informatica che fornisce una formazione professionale di alta qualità, per contribuire a colmare il digital divide Nord-Sud. Diakonia Institute: offre corsi universitari in Scienze Sociali e Sviluppo Comunitario (microcredito, impresa sociale) per formare a livello accademico figure in grado di lavorare nelle baraccopoli con professionalità.

ZAMBIA Mthunzi Centre: progetto educativo realizzato dalle famiglie della comunità di Koinonia di Lusaka. Oltre ad accogliere in forma residenziale 60 ex bambini di strada curandone la crescita e l’educazione, è un punto di riferimento per gli altri abitanti dei centri rurali circostanti, con il suo dispensario medico e con i suoi laboratori di falegnameria e di sartoria per l’avviamento professionale.

SUDAN Centro Educativo Koinonia: due scuole sui Monti Nuba che garantiscono l’educazione primaria a circa 1200 ragazzi ed una scuola magistrale per selezionare e formare giovani insegnanti Nuba per riattivare la rete scolastica gestita dalle popolazioni della zona.


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AMANI

Tiyende Pamodzi

Indovina chi viene a cena?

Perché tutti insieme Mio marito Enzo e mio figlio Andrea fanno da interpreti perché io non ho studiato inglese, ma i ragazzi si fanno capire e sono molto più avvezzi alle nostre abitudini di quanto potessimo immaginare. Sono stanchi e ci chiedono di potersi ritirare per riposare. Per due giorni il ritmo di vita cambia. Al mattino mi ritrovo con i due ragazzi che, tutto sommato, sembrano abbastanza a loro agio. Noto che sono molto educati, si comportano bene a tavola, chiedono sempre con molto garbo e ringraziano per ogni cosa. Non trascurano mai la preghiera e come i nostri ragazzi amano Facebook. Ma io vorrei parlare di più con loro, così decido di usare il traduttore di Google e in questo modo riusciamo a condividere le impressioni su questo viaggio in Italia, sul loro modo di vivere e sulle loro aspirazioni. Ci rincontriamo verso sera nei pressi della Reggia, dove hanno trascorso buona parte della giornata, ed insieme passiamo una bella serata casalinga. I ragazzi indossano con allegria il cappello e la giacca dell’uniforme di mio marito e si lasciano fotografare orgogliosi, parlano con Andrea della sua scuola – che hanno visitato quella mattina – delle bellezze della nostra Italia e del Natale che bussa alle porte. Il mattino dopo è già il momento di salutarci. I ragazzi ringraziano, dicono di essere stati bene con noi. Ma un ringraziamento penso di doverlo fare io a loro, a chi mi ha consentito di fare questa esperienza e a tutti quelli che con amore curano questi ragazzi. Mi fermo a pensare che fino a pochi anni fa vivevano per strada senza regole, senza affetto, senza futuro, mentre oggi possono insegnare ai nostri ragazzi e a noi la gratitudine, la forza di volontà, la gioia di vivere. Marina Gallotta Piccolo

© Archivio Amani

«Ciao Marina, sono Annamaria, ho una proposta da farti». È iniziata così l’esperienza che nello scorso dicembre ha visto la mia famiglia entrare nel tour Tiyende Pamodzi come “famiglia accogliente”. Annamaria mi ha parlato di Amani, della realtà di provenienza dei ragazzi, di padre Kizito e delle finalità del loro viaggio. Di getto ho pensato che fosse un’opportunità per valutare concretamente la mia disponibilità all’accoglienza. Ho conosciuto Padre Kizito in precedenti visite alla nostra parrocchia, conosco la serietà di chi mi stava proponendo questa esperienza ma, prima di accettare, ho chiesto a mio marito e mio figlio cosa ne pensassero. Ottenuto il via libera, ci siamo ritrovati con le altre famiglie e con gli organizzatori per conoscere un po’ le abitudini dei ragazzi e il programma del soggiorno a Caserta. Tutti entusiasti ma, man mano che si avvicina il momento, anche un po’ preoccupati per la novità. Il grande giorno è arrivato e ci siamo ritrovati tutti nel Teatro della parrocchia per assistere allo spettacolo preparato dai ragazzi. Che dire, un’esplosione di colori e di energia! È stato, per me, un momento forte di riflessione perché, confesso, quella fisicità con cui vengono scandite le attività e le tappe della vita – vissuta dal vivo e non attraverso lo schermo – mi ha dato il senso del “diverso” da noi che in qualche modo spaventa, proprio perché estraneo alla nostra cultura. Ma, dismessi gli “abiti di scena”, i ragazzi che abbiamo incontrato in un momento conviviale prima che ce ne venissero affidati due, erano dei meravigliosi adolescenti e basta. A fine serata torniamo a casa con Chris e Bornface.

Adozioni a distanza

L'adozione proposta da Amani non è individuale, cioè di un solo bambino, ma è rivolta all'intero progetto di Kivuli, della Casa di Anita, di Ndugu Mdogo, di Mthunzi o delle Scuole Nuba. In questo modo nessuno di loro correrà il rischio di rimanere escluso. Insomma "adottare" il progetto di Amani vuol dire adottare un gruppo di bambini, garantendo loro la possibilità di mangiare, studiare e fare scelte costruttive per il futuro, sperimentando la sicurezza e l'affetto di un adulto. E soprattutto adottare un intero progetto vuol dire consentirci di non limitare l’aiuto ai bambini che vivono nel centro di Kivuli, della Casa di Anita, di Ndugu Mdogo, del Mthunzi o che frequentano le scuole di Kerker e Kujur Shabia, ma di estenderlo anche ad altri piccoli che chiedono aiuto, o a famiglie in difficoltà, e di spezzare così il percorso che porta i bambini a diventare bambini di strada o, nel caso dei bambini Nuba, di garantire loro il fondamentale diritto all’educazione. Anche un piccolo sostegno economico permette ai genitori di continuare a far crescere i piccoli nell’ambiente più adatto, e cioè la famiglia di origine. In questo modo, inoltre, rispettiamo la privacy dei bambini evitando di diffondere informazioni troppo personali sulla storia, a volte terribile, dei nostri piccoli ospiti. Pertanto, all'atto dell'adozione, non inviamo al sostenitore informazioni relative ad un solo bambino, ma materiale stampato o video concernente tutti i bambini del progetto che si è scelto di sostenere. Una caratteristica di Amani è quella di affidare ogni progetto ed ogni iniziativa sul territorio africano solo ed esclusivamente a persone del luogo. Per questo i responsabili dei progetti di Amani in favore dei bambini di strada sono keniani, zambiani e sudanesi. Con l'aiuto di chi sostiene il progetto delle Adozioni a distanza, annualmente riusciamo a coprire le spese di gestione, pagando la scuola, i vestiti, gli alimenti e le cure mediche a tutti i bambini. Info: segreteria@amaniforafrica.it

Come aiutarci

IMPRESSIONI DI VIAGGIO Njila Banda, 19 anni In Chinyanja, la nostra lingua, Tiyende Pamodzi significa “viaggiamo insieme”. Infatti noi ragazzi del Koinonia Youth Team di Lusaka abbiamo viaggiato attraverso l’Italia, partendo da Torino e Milano, spingendoci fino a Bari e Caserta, per poi “appendere al chiodo” i nostri tamburi nella splendida Roma. Ci siamo preparati bene prima della partenza, come fanno i veri viaggiatori. Ci siamo assicurati di avere con i noi i tamburi migliori e i costumi più belli, quelli fatti con la stoffa colorata kitenge, un tessuto che rappresenta la nostra Africa. Gli italiani sono gentili, abbiamo apprezzato molto la loro accoglienza, soprattutto quella delle famiglie che ci ospitavano, nonostante le difficoltà linguistiche. Una sera stavamo chiacchierando con la famiglia che ci ospitava a Caserta e raccontavamo come per noi quest’esperienza fosse un sogno ad occhi aperti: tutti questi bellissimi luoghi, la pulizia nelle strade delle città e anche il fatto che gli italiani siano dei gran lavoratori. Durante questo periodo ho realizzato l’importanza dell’esperienza del viaggio, dell’incontrare nuove persone e vedere nuovi posti. Geoffrey Mtonga, 15 anni L’emozione più grande di questa esperienza è aver conosciuto tante persone nuove ogni giorno. Avrei davvero voluto creare dei rapporti più forti con molti italiani ma sfortunatamente la nostra giovane età non ci ha permesso di avere quella padronanza della lingua necessaria ad esprimere i nostri pensieri in inglese. La

nostra grande risorsa per farci comprendere è stato il linguaggio dei segni, che abbiamo usato spesso e in modo anche divertente. In queste settimane di viaggio ho apprezzato l’importanza di incontrare e condividere la cultura di un altro popolo, e ho capito che siamo tutti parte della stessa umanità. Ho notato anche le grandi differenze tra l’Italia e lo Zambia in termini di infrastrutture, costruzioni e in generale nella pulizia delle città. Credo che in Zambia il più grande ostacolo per raggiungere questo obiettivo sia la corruzione. Sono molto fiero del mio paese e, anche se ammiro l’Italia, voglio restare a vivere in Zambia per aiutarne lo sviluppo. Kangwa Mukuka, 20 anni Ricordo che, durante un incontro in una scuola media dissi che mi piacciono molto le ragazze italiane. Immediatamente ho ricevuto un gran numero di proposte di matrimonio! Tutte le famiglie ospiti ci hanno accolto molto bene: c’era sempre un sacco di cibo nelle loro cucine, soprattutto frutta e pasta. Potrebbe essere questa la ragione dell’aumento di peso di Njila Banda, che in sole tre settimane ha messo su 6 kg! Langson Muyundu, 14 anni Durante lo spettacolo di Torino abbiamo fatto una performance che ha impressionato particolarmente il pubblico [la Vimbuza, una danza originaria della Provincia orientale dello Zambia, in genere eseguita dopo grandi occasioni come un buon raccolto, le cerimonie d’iniziazione, il Natale o i matrimoni, e di cui Langson è protagonista, NdR].

Dopo lo spettacolo tanti ragazzi e ragazze sono venuti a chiedermi come fosse possibile per me, che sono molto giovane, fare tutti quei passi di danza così difficili, passi che loro non sarebbero capaci di replicare. Ho semplicemente sorriso e mi sono sentito come una piccola celebrità, che tutti vogliono immortalare nelle loro fotografie. Collins Lukosi, 15 anni Durante questo viaggio abbiamo passato molto tempo insieme, condividendo lo spazio e gli impegni 24 ore al giorno. Ho capito che è importante saper risolvere i problemi che possono insorgere in un gruppo e che bisogna prima ascoltare per poi riuscire a comunicare con persone che hanno una cultura e una lingua diverse dalla nostra. Chipoma Mulenga, 13 anni Sono il più piccolo del gruppo. Ancora oggi i miei compagni mi prendono in giro perché il giorno in cui siamo atterrati in Italia, andando da Milano a Torino, quando ho visto le montagne coperte di neve ho chiesto ai volontari di Amani che ci stavano accompagnando se quella per caso era una grande fotografia di una pubblicità… Elijha Muyumbe, 18 anni Mentre eravamo a Roma abbiamo visto case e palazzi costruiti prima di Cristo. Ricordo anche una strada sotterranea, una specie di galleria. Ancora oggi ci penso e mi chiedo come sia possibile realizzare delle costruzioni simili…

Puoi "adottare" i progetti realizzati da Amani con una somma di 30 euro al mese (360 euro all'anno): contribuirai al mantenimento e alla cura di tutti i ragazzi accolti da Kivuli, dalla Casa di Anita, da Ndugu Mdogo, dal Mthunzi o dalle Scuole Nuba. Per effettuare un'adozione a distanza basta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad Amani Ong - Onlus via Tortona 86 – 20144 Milano o sul c/c bancario presso Banca Popolare Etica IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503 010 BIC/SWIFT: CCRTIT2T84A Ti ricordiamo di indicare, oltre al tuo nome e indirizzo, la causale del versamento: "adozione a distanza". Ci consentirai così di inviarti il materiale informativo.


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AMANI

RISING FROM ASHES Quest'anno è il ventesimo anniversario del genocidio del Rwanda, nel quale perirono 800 mila Tutsi. Un bellissimo docufilm di 80 minuti aiuta a ricordare quella tragedia in una luce di speranza e di rinascita. Rising from Ashes racconta la storia del Team Rwanda, straordinaria squadra ciclistica nata dall'iniziativa di due ex ciclisti professionisti americani. Con le sue mille colline, il Rwanda offre un terreno ciclistico eccezionale. E nei suoi villaggi crescono moltissimi potenziali campioni di notevole talento agonistico.

Chi siamo Amani è un’associazione non profit che si impegna per affermare il diritto dei bambini e dei giovani ad avere un’identità, una casa protetta, cibo, istruzione, salute e l’affetto di un adulto. Dal 1995 abbiamo istituito e sosteniamo case di accoglienza, centri educativi, scolastici e professionali in Kenya, Zambia e Sudan. Da allora offriamo ogni giorno opportunità e alternative concrete a migliaia di bambini e bambine costretti a vivere sulla strada nelle grandi metropoli, nelle zone rurali e di guerra. Amani ha carattere laico, apolitico e indipendente. Organizzazione non Governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri, ha sede legale a Milano e gruppi locali attivi in diverse città italiane.

Info: teamrwandacycling.org Per acquistare il film (in inglese): risingfromashesthemovie.com $ 20,96

Collaboriamo con scuole, associazioni, enti pubblici e privati, parrocchie, amministrazioni locali, fondazioni e imprese.

MEDICI CON L’AFRICA Il regista Carlo Mazzacurati è mancato nello scorso gennaio, ma ha lasciato a tutti noi che abbiamo a cuore l’Africa un documentario straordinario, Medici con l’Africa. Ne consigliamo vivamente la visione, per comprendere la forza umana, la metodologia, la preparazione, la dedizione degli operatori del Cuamm, uomini e donne che hanno fatto della loro motivazione a operare in Africa uno stile di vita, una testimonianza di perseveranza e passione. Non si può non condividere l’approccio lungimirante del più longevo e mai discusso organismo di cooperazione italiana, che da sessant’anni combatte contro le disuguaglianze della salute in Africa. DVD + Libro (pag. 61) € 16,90 Feltrinelli Editore

In Italia Amani organizza iniziative e incontri culturali, di informazione e approfondimento. Ogni anno offriamo la possibilità di partecipare a campi di incontro in Kenya e in Zambia a gruppi organizzati, giovani volontari e famiglie che desiderano conoscere in prima persona la realtà africana e vivere un periodo di condivisione con la comunità locale.

Come contattarci Amani Ong - Onlus Organizzazione non governativa e Organizzazione non lucrativa di utilità sociale Via Tortona, 86 - 20144 Milano - Italia Tel. +39 02 48951149 - Fax +39 02 42296995 segreteria@amaniforafrica.it - www.amaniforafrica.it

Come aiutarci Basta versare una somma sul c/c postale n. 37799202 intestato ad Amani Ong - Onlus - Via Tortona 86 - 20144 Milano, o sul c/c bancario presso Banca Popolare Etica IBAN IT91 F050 1801 6000 0000 0503 010 BIC/SWIFT: CCRTIT2T84A Nel caso dell'adozione a distanza è previsto un versamento di 30 euro al mese per almeno un anno. Ricordiamo inoltre di scrivere sempre la causale del versamento e il vostro indirizzo completo.

Dona il 5x1000 ad Amani, basta la tua firma e il nostro codice fiscale: 97179120155

Le offerte ad Amani sono deducibili I benefici fiscali per erogazioni a favore di Amani possono essere conseguiti con le seguenti possibilità:

© Francesco Cavalli

1. Deducibilità ai sensi della legge 80/2005 dell’importo delle donazioni (solo per quelle effettuate successivamente al 16.03.2005) con un massimo di 70.000 euro oppure del 10% del reddito imponibile fino ad un massimo di 70.000 euro sia per le imprese che per le persone fisiche. in alternativa: 2. Deducibilità ai sensi del DPR 917/86 a favore di ONG per donazioni destinate a Paesi in via di Sviluppo. Deduzione nella misura massima del 2% del reddito imponibile sia per le imprese che per le persone fisiche. 3. Detraibilità ai sensi del D.Lgs. 460/97 per erogazioni liberali a favore di ONLUS, nella misura del 24% per un importo non superiore a euro 2.065,83 per le persone fisiche; per le imprese per un importo massimo di euro 2.065,83 o del 2% del reddito di impresa dichiarato. Ai fini della dichiarazione fiscale è necessario scrivere sempre ONG - ONLUS dopo AMANI nell'intestazione e conservare: - per i versamenti con bollettino postale: ricevuta di versamento; - per i bonifici o assegni bancari: estratto conto della banca ed eventuali note contabili.

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Editore: Associazione Amani Ong-Onlus, via Tortona 86 - 20144 Milano Direttore responsabile: Pietro Veronese Coordinatore: Gloria Fragali Progetto grafico e impaginazione: Ergonarte, Milano Stampa: Grafiche Riga srl, via Repubblica 9, 23841 Annone Brianza (LC) Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale Civile e Penale di Milano n. 596 in data 22.10.2001


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