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Giuditta N째 2
Giugno 2008
Numero 2
GIUDITTA
Giuditta N째 2
ATTENZIONE
Giuditta N° 2
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Buona lettura!
Giuditta N° 2
IN QUESTO NUMERO:
http://myspace.com/spore_esistenziali Marcella Campo http://artemazzoleni.com Angelo Mazzoleni http://passeart.it Alessandro Passerini http://annamadia.it Anna Madia http://fragmentart.it/ Orodè http://stefanobonazzi.it Stefano Bonazzi http://www.modern-art.it/file/quadri.htm Claudia Amadesi http://stores.lulu.com/giangilo Gilo http://www.myspace.com/rgz_morto Giovanni Carbone e Andrea Siniscalchi http://stores.lulu.com/Joe_il_visionario http://myspace.com/amaranto88 Amaranto http://www.myspace.com/glitterballband Glitterball http://sandracarresi.it Sandra Carresi http://blog.libero.it/Lucevera1/ Ana http://myspace.com/252481693 Nikirai Maria C. Impagnatiello http://bricioledipazzia.splinder.com http://myspace.com/lsb_art Luca Saverio Beolchi © Giuditta 2008 Tutti i diritti riservati. Tutto il materiale originale contenuto in questa rivista è di proprietà dei rispettivi autori. E’ espressamente vietata la riproduzione, la pubblicazione e la distribuzione, totale o parziale, senza previa autorizzazione dei legittimi proprietari.
In copertina: “Bugiarda” di Elena Montiani
Giuditta N° 2
EDITORIALE “L'editoria è uno strano mestiere. Usa lo spirito per fare soldi, e i soldi per fare lo spirito.” Gian Arturo Ferrari Cari Lettori, bentornati nel mondo di Bethulia, la città degli artisti che lotta giorno dopo giorno per trovare il proprio spazio in una società culturale sempre più remota e insensibile. Il primo numero della nostra rivista ha riscosso risultati buoni oltre le aspettative: le sole consultazioni online su Issuu.com hanno raggiunto e oltrepassato le 350 unità. Mi piacerebbe pensare a questo nostro piccolo successo come al segno che qualcosa stia cambiando. Il mondo di noi scrittori esordienti, in effetti, è in grosso fermento: tante nuove proposte si pongono tra noi e i nostri sogni. Nascono lodevoli forum di supporto (tra i tanti cito http://booksondemand.forumattivo.com/ , dedicato ai pionieri del Print On Demand), nonché nuove riviste e antologie create, come la nostra, dal basso; i blog degli esordienti, nati come semplici mezzi promozionali, diventano sorprendenti spazi di confronto (si legga http://31ottobre.blogspot.com/ per esempio).
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Giuditta N° 2
Si sta attivando, in parole povere, un interessante circuito virtuale che va oltre la banale autopromozione telematica. E intanto i promotori “ufficiali” della cultura che fanno? Sono ancora lì, immobili, monolitici, intenti a proporre contratti di edizione al limite del ridicolo, il cui unico obiettivo è spremere le tasche dell’autore in nome del dio Spreco - di denaro, di carta, di tempo. E’ oramai inevitabile affidarsi a nuove strade con crescente ottimismo, a cominciare dal già citato sistema POD (non possiamo non fare pubblicità all’ottimo servizio offerto dall’italianissima Boopen). Ancora un mondo poco popolare, invece, è quello degli ebook: consiglio un salto sui portali http://www.simplicissimus.it/ e http://www.kultvirtualpress.com/index.asp per ricredersi circa le sue potenzialità. Apriamo dunque le danze con un pezzo di Marcella Campo, col quale intendiamo prendere una posizione contro il facile, svenevole e sterile romanticismo che intossica la produzione di numerosi emergenti. Buona lettura!
Amaranto
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Giuditta N° 2
Sul Romanticismo
di Marcella Campo
Non
so perchè il termine «Romanticismo», fuori dalle aule di lettere, sia diventato sinonimo di acute melensaggini insopportabili. Per me, che tendo sempre a sviscerare il significato delle singole parole, dire romanticismo significa richiamare temi ottocenteschi come la rivalutazione della sfera del sentimento, del pathos e dell'irrazionalità, ricercando il gusto per il sublime e l'assoluto.
Sono
convinta che il romanticismo respiri attraverso il luogo dionisiaco che è insito solo nelle anime inclini allo Sturm und Drang, nello stesso modo in cui il cor gentile era custodito unicamente nel petto del poeta stilnovista, per intenderci. Insomma niente a che vedere con mastodontici mazzi di rose rosse, confezioni blu di baci Perugina, romanzi rosa d'appendice, poesiole sugli occhi paragonati a stelle rubate da improbabili padri ladri e scempiaggini simili. No, no, no.
Si
parla, invece, di tempesta e passione. C'è più romanticismo nel testo di ‘Closer’ cantato da Trent che in un Trilogy regalato a San Valentino. Un diamante è per sempre, ma il vero romanticismo è improvviso ed urgente. L'amore è sinonimo di scandalo per i benpensanti, poiché appare osceno come in effetti solo la violenta dolcezza sa essere. In fondo, che tempesta sarebbe se non fosse veemente? Si tratta di profondi sconvolgimenti interiori, ancor prima che di coinvolgimenti.
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Giuditta N° 2
C'è
questo passaggio dello sconvolgimento che certa gente non prende in considerazione con il debito rispetto e che semplicemente butta via, come se si trattasse di una lente a contatto monouso. Ma, se si fosse maggiormente ricettivi e sensibili, si arriverebbe alla conclusione che, di questo sconvolgimento, la pelle può accorgersi in tempi non sospetti per la mente. La pelle, sì, lei trepidante, sui corpi che custodiscono le anime romantiche, sa sempre e prima. Sempre. E prima. Prima della testa, prima del cuore, prima del respiro, prima degli occhi. Pensaci. Anche quella volta in cui... (tutti hanno una volta in cui) ecco, lei sapeva già tutto fin dal principio.
Alcune persone non sono consapevoli della propria corporeità, si limitano ad usare la materialità del proprio fisico e non si accorgono invece di quanto il corpo sia potenzialmente capace di sapere e quindi, autonomamente, di saper scegliere. Il corpo intero può essere uno strumento preziosissimo di percezione verace. Scomporlo e prendere in considerazione solo i cinque organi di senso, per percepire, è davvero limitativo. Si sente anche con lo stomaco, per esempio. Con le viscere.
Poi,
certo, un corpo senza anima è solo un ammasso di tessuti. E, di ammassi di tessuti ambulanti, più o meno piacevoli, ce ne sono molti. Li si riconosce istantaneamente. Hanno l'occhio scialbo, inebetito dalla vanità. Mancano di sguardo.
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Giuditta N° 2
Un paio d'occhi belli
ma disabitati sono come una bocca sdentata, contornata da labbra carnose lucide di rossetto. Si cade quasi nel ridicolo. Nel grottesco. Similmente ci sono sguardi e ci sono occhi. Pochi parlano di sguardi, molti parlano di iridi. Forse perchè è più semplice discutere di colore piuttosto che di luce e si predilige spesso la facilità, scansando l'affronto dell'insolente bellezza della complessità. In fondo, quando inizi a guardare veramente qualcuno negli occhi, la cosa si complica, può succedere che ci puoi finire dentro. A quegli occhi. E poi sono cazzi. Impeto, turbamento, scompiglio.
Nel
corso del tempo, ho perso tra i condotti della memoria i volti di alcune persone. Penso a dei nomi lontani e i visi che riesco ad associare sono ormai solo sagome dai contorni sbiaditi, ma gli sguardi che perforo, quelli no, non me li dimentico mai. Come spiegare che non è una questione di unità di misura quella che governa gli spazi temporali romantici? Quei tempi interiori. Dilatati, nebulosi. Mai stanchi perchè riempiti dal desiderio che l'attesa è capace di alimentare continuamente, in modo soffice e pungente insieme. Si vive in apnea per ritardare, per puro piacere, il momento dell'avido respiro. E' qualcosa di pazzesco, feroce, soavemente crudele. Magnifico.
Marcella Campo 5
Giuditta N° 2
INDICE Arte oggi Nuova Arte Sincretica, di Angelo Mazzoleni__08 Ritratti di donna, di Alessandro Passerini__14 Silenzio in movimento, di Anna Madia__20 Fragmentart, di Orodè__26 Between Black & White, di Stefano Bonazzi__32 Un respiro chiamato arte, di Claudia Amadesi__38 Riflettori “Per uccidere un gigante”, di Gilo__45 “Kain è idolatrato”, di G. Carbone e A. Siniscalchi__53 “Spore esistenziali”, di Marcella Campo__61 “I Canti della Luna”, di Amaranto__69 Presentazione dei Glitterball__76 Incanti e tormenti “Il Mantello” di Sandra Carresi__79 “Poesie”, di Ana__82 “Necessità impellente di una rieducazione forzata”, di Nikirai__84 “Chiamalo pure flusso di coscienza”, di Nikirai__86 “Vino d’amore”, di Maria C. Impagnatiello__90 “Vegetalizzata”, di Maria C. Impagnatiello__93 “Giulia è fuori”, di Gilo__96 Paralleli, Con opere di Luca Saverio Beolchi__101 F.A.Q.,
Le nostre domande, le vostre risposte__108
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Giuditta N° 2
ARTE OGGI Il senso e il fine del contemporaneo
Angelo Mazzoleni Alessandro Passerini Anna Madia Orodè Stefano Bonazzi Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2
PORTA SINCRETICA – Angelo Mazzoleni
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Giuditta N° 2
Nuova Arte Sincretica Pubblichiamo un adattamento del Manifesto artistico di Angelo Mazzoleni
Con
il presente Manifesto, alcuni artisti hanno deciso di dar vita ad un progetto di sperimentazione di nuovi percorsi di ricerca, attraverso la fondazione del gruppo ”Nuova Arte Sincretica“. Sulla base di elementi che già ci accomunano, intendiamo, tramite lo scambio di esperienze, idee, emozioni e progetti, generare un processo di sintesi storico-universalistica che porti, nella libertà totale di ognuno, allo sviluppo di un percorso tematico di sincresi tra passato, presente e futuro. Se ci accomuna il viaggio interiore attraverso il tempo e la storia, tra le diverse culture del mondo, alla riscoperta delle nostre origini e radici, vogliamo parallelamente rivendicare il nostro dissenso contro un certo tipo di sistema “elitario”, diretto da poteri che, a fini di profitto, si arrogano il diritto di governare gran parte dell’attuale mercato dell’arte, degradandone spesso il valore, imponendo modelli e linee a senso unico.
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Giuditta N° 2
IRAK – Angelo Mazzoleni
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Giuditta N° 2
L’arte sincretica, pur ponendo al centro della sua dinamica operativa la sperimentazione e l’innovazione, persegue, senza schemi precostituiti, in modo libero ed istintivo, un’arte “totale” basata sul recupero di ciò che oggi e' andato perso, a causa di alcune degenerazioni portate dalla globalizzazione e da un certo mercato oligopolistico. Proponiamo in forme nuove una ricerca ispirata al recupero del concetto di bellezza ed universalità dell’opera d’arte, trasposto nel mondo attuale. Come artisti, riteniamo di dover dare il nostro contributo anche ad una difficile lotta contro il degrado culturale e il conformismo mediatico presente nella nostra società globalizzata. Siamo contrari alla mercificazione dell’arte e della cultura oggi imperante ed alla “spettacolarizzasione dell'arte” quando essa si riveli priva di profondità di contenuti o frutto di mode o di interessi mercantili.
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ORIENTE – Angelo Mazzoleni
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Giuditta N° 2 Proponiamo il ritorno, in modo nuovo, ad un processo creativo che riporti l’uomo e le sue emozioni al centro dell’universo-opera, riportando l’arte nei luoghi che le competono, in modo che le opere accompagnino nel tempo la vita di chi le abita. Non a caso utilizziamo, accanto a quelli tradizionali, materiali che abbiano la caratteristica di essere il più possibile “naturali”, "vecchi", per poter raccontare una storia o infinite storie accanto alla nostra ed a quella di chi ci ha preceduto. Speriamo che le nostre opere sappiano evocare, con le emozioni, anche la riscoperta della humanitas, oggi parzialmente perduta, e possano ricondurre l’osservatore verso le fonti sorgive istintuali dell’essere, della nostra storia e del nostro presente.
Angelo Mazzoleni
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FEDE MATERNA – Alessandro Passerini
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Giuditta N° 2
Ritratti di donna L’arte di Passerini sfata il monito di De Chamfort, “bisogna scegliere tra amare le donne e conoscerle”.
Da
giovane rimasi affascinato dalle figure di Leonardo, poi questa attrazione verso la pittura 'al femminile' mi portò ad ammirare i lavori dei simbolisti e di Klimt, nelle cui tele trovai un tipo di espressività simbolica e sensuale di ammirevole potenza espressiva. Tuttavia, coloro che reputo i miei veri maestri sono gli esecutori artistici della Versilia, i Mastri che a loro volta mi hanno reso tale. Mi hanno insegnato quanto sia semplice, in verità, eseguire un’opera col puro istinto, ma solo dopo aver assimilato le tecniche esecutive più disparate. Solo con una consapevolezza dei materiali, delle tecniche, e delle proprie capacità si può cominciare a eseguire opere concrete, e non più fini a se stesse. Mi fu trasmesso l’amore per la semplicità esecutiva, la più efficace. Mi fu insegnato che un’opera d’arte è per tutti, e non per pochi: se la capisce un pastore che transuma il suo gregge così come un critico d’arte che presiede una mostra, allora la propria arte è efficace.
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Giuditta N° 2
ALI’CICCIRINELLA – Alessandro Passerini
“Una delle persone più passionali che conosca, sempre disponibile e incredibilmente femminile. L’immagine più forte che ho di lei é questa, una sorta di surreale paesaggio molto estivo e mediterraneo, dove i ricci dei suoi capelli diventano quasi delle folate di vento colorate. Un dipinto istintivo per una persona istintiva e vera.”
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Giuditta N° 2
Nei
miei quadri è prevalente la figura femminile. Tutte donne e carissime amiche, in alcuni casi amanti. Le donne hanno influito profondamente nel mio sentire le cose, fin da quando ero bambino, e da adulto ancor di più. Sono tutte diverse, particolari, uniche. Tutte mi hanno regalato colori vivi e forti, dando vita ad immagini di quel che vedo in loro e che loro stesse, sovente, non riescono a vedere. Ogni quadro ha una storia collegata, spesso legata a quanto più rappresenta l’essenza stessa delle donne ritratte. Amarle, dal mio punto di vista, significa conoscerle, e non mi sarebbe possibile altrimenti. Riuscire poi a tradurre quel che conosco così intimamente di loro in colori è ancor più naturale quanto più è profonda la conoscenza. Conoscerle e amarle, per me, sono una diretta conseguenza una dell’altra. Amare una donna che non si conosce equivarrebbe ad amare un idea, un concetto, ma amare una donna che si conosce così profondamente da ritrarla in quella che è l’immagine che si sente di lei, per me è Arte.
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Giuditta N° 2
2MILA6 – Alessandro Passerini
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Giuditta N° 2 Penso
che l’arte debba integrarsi in modo armonico nella società, senza provocare o inquietare. Troppi sono gli esempi di arte sensazionalista che poco ha a che vedere con abilità tecniche o ideologiche, più legata al consumo, al commerciale, che al lato umano del vivere quotidiano. Ne risulta una certa povertà di contenuti, di sensazioni o sentimenti; forse tale arte è lo specchio di un artista che o non è in grado di trasmettere quel che prova o proprio non prova determinate sensazioni. L’arte deve essere fruibile a tutti ed esprimere sensazioni particolari, senza filtri o soluzioni ermetiche. Ma questo è solo un parere personale.
Alessandro Passerini
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Giuditta N° 2
BERLINO – Anna Madia
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Giuditta N° 2
Silenzio in movimento Anna Madia, finalista presso la National Portrait Gallery di Londra, si racconta in quanto donna e artista.
L’arte
non è né uomo, né donna…Ma ai giorni nostri ne ho sentiti di commenti a riguardo…L’esser pittrice mi ha sicuramente permesso di osservare e di partecipare alla vita con una grande forza, con un coraggio che a volte stento a credere di avere. Fortunatamente ormai le donne artiste sono tante, siamo tantissime…ma l’essere donna a volte ti porta a scontrarti con dei meccanismi di pensiero tipici delle menti ottuse…basta guardare un po’ più indietro… Ho divorato storie di pittrici e scultrici del passato, Camille Claudel ad esempio, scultrice geniale rimasta nel dimenticatoio fino agli anni settanta; o l’energia e la lotta di Frida Khalo, l’impegno sociale di Kate Kollwitz e così via… Esse sono state prima di tutto grandi donne…devo a loro e a mia madre tutto il coraggio che ho nell’affrontare ogni giorno questo cammino. Sto lavorando molto su me stessa, per superare sfaccettature del carattere non facili da gestire con un lavoro come questo…senza la pittura non so come avrei fatto!
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Giuditta N° 2
LITTLE GHOST SONG – Anna Madia
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Giuditta N° 2
Dipingere
su tavola in grandi dimensioni è abbastanza impegnativo a livello pratico: questo è uno dei dipinti più grandi che ho realizzato negli ultimi anni. ‘Little ghost song’ è il titolo di una canzone di Nick Cave. La figura è colta in un momento di intimità domestica e malinconica. Molto spesso i miei personaggi non sono colti in azione, pensano, riposano o guardano lo spettatore. Gli occhi sono parte importante del mio lavoro, dedico ad essi grande concentrazione: la messa a fuoco ruota intorno ad uno sguardo e alla luce che brilla all’interno di una pupilla: il resto è spesso sfocato, quasi non finito per non disturbare lo spettatore da ciò che realmente conta: il silenzio in movimento di ogni soggetto.
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AUTORITRATTO CON LE TRECCE – Anna Madia
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Giuditta N° 2
La
situazione degli artisti italiani è a mio giudizio un po’ precaria…purtroppo la moda estereofila tipica del nostro paese non ci permette di emergere come dovremmo. Siamo costretti a tentare la sorte all’estero: nei miei immediati progetti, sarò a Londra e a Parigi. Da noi mancano le cosiddette residenze d’artista, mentre ad esempio in Francia ogni cittadina ne organizza una. Non siamo tutelati…l’arte , la cultura sono una grande risorsa per un paese, e invece noi siamo costretti ad andare via per sperare di crescere e di maturare artisticamente. Ci sono in effetti dei concorsi o cose simili, ma non bastano. Personalmente, a questo punto del mio percorso posso dire di aver ricevuto consensi e opportunità; tuttavia sento che solo andando via e scambiando idee con altri artisti potrò maturare e arricchire il mio lavoro. La tendenza è a star da soli, a non far gruppo, ma sono convinta (almeno per quanto mi riguarda) che solo entrando in contatto con altre realtà sia possibile dare maggior forza e poesia…
Anna Madia
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MODELLA 23 – Orodè
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Giuditta N° 2
Fragmentart L’artista Orodè ci racconta di sé, della sua esperienza a Vincent City e della sua tecnica a mosaico
Ho
sempre disegnato! Da piccolo, chino alla scrivania, ero lì a disegnare tartarughe e pesci. E poi a ricopiare, ricopiare di tutto. Quando mi trasferii a Perugia per studiare Filosofia padroneggiavo già varie tecniche di disegno. La mia preferita era quella di disegnare senza guardare il foglio bianco, osservando solo il soggetto o la modella. Ciò mi permetteva di creare delle prime linee molto energiche, su cui poi intervenire con ricalchi e colori, col mosaico etc. Ho studiato disegno sui nudi di tutti i grandi ma l’innamoramento più grande è stato per le nudità di Klimt e Schiele. Molto ho appreso dalla mia terra, il Salento. Ritengo tuttavia che i miei migliori maestri siano i miei miti. A questi aggiungo la ribellione di alcuni miei amici, per i quali vale l’incipit di “Urlo” di Allen Ginsberg:
“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters…”
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Giuditta N° 2
TRIONFO DI BACCO – Orodè
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Giuditta N° 2 Nel 2000 mi trasferisco nella casa-museo del pittore e scultore Vincent M. Brunetti, a Guagnano (LE). Dopo aver cercato per anni un posto simile, realizzai finalmente il sogno di “bottega rinascimentale” e aggirai tutte le trappole del “sistema” per una performance di due anni e mezzo, durante la quale realizzai oltre 250 metri quadri di opere uniche al mondo sui muri interni ed esterni della casa-museo. Utilizzai ceramica, sassi, specchi, luci elettriche ed oggetti personali. La pratica del mosaico mi è sempre stata congeniale. La sua bellezza dipende dall'energia creativa dell'artista e di conseguenza dalle emozioni che provoca. Il mosaico è oggi considerato una forma d'Arte minore. E' l'ennesimo tabú, l'ennesimo pregiudizio. Una volta ho avuto una discussione con un pittore e professore dell'Accademia delle Belle Arti di Biella: continuava a dire che “si tratta non di Arte
ma di arte applicata". Credo sia abbastanza scontato dover giudicare un'opera dalla sua bellezza e non dal genere in cui qualcuno l'ha catalogata. Che importanza ha il mezzo, se attraverso il mosaico riesco ad esprimere la mia anima?
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Giuditta N° 2
KEYBEE – Orodè
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Giuditta N° 2
Che
cos’è il dire? Intendo il dire del poeta, come il dire del pittore e dell’uomo. Esso è nel Rimbaud che, a 21 anni, smette di scrivere poesia e fugge dalla poesia scritta, dicendo ch’è “merda”; è in Tim Buckley, quando compone i suoi testi, trova le musiche e dà vita alla sua voce; è in Miller, quando si butta per strada a Parigi. Alla scoperta! “En marche! En marche!” Questa l’immagine che ho da sempre, l’immagine maestra, la terra cui voglio far ritorno e per la quale opero. Una terra necessaria e libera. Una terra vera. Una lingua vera. Non una lingua in costume, omologata ai tempi televisivi, per giunta. Ma una lingua coadiuvata da tutti i sensi, con gli occhi che possono supplire alla voce, perché specchio dell’anima. E se così ridotti tracciamo dei segni su una superficie probabilmente non stiamo perdendo tempo né ne rubiamo: è Arte!!!
Orodè Orodè
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Giuditta N° 2
COMA WHITE – Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2
Between Black and White Stefano Bonazzi, giovane artista di Ferrara, rivendica la dignità del’arte digitale.
Ogni
mio lavoro è intriso della prospettiva con la quale affronto la vita: una visione disillusa e cinica che mi porta a concentrarmi sugli aspetti negativi delle cose. Questo mio modo di osservare la realtà non vuole però essere un disincanto fine a sé stesso, ma piuttosto un punto di vista alternativo al buonismo diffuso e alla falsità di fondo costitutivi della nostra società. Il mio percorso creativo si snoda attraverso la rappresentazione di stati d’animo tormentati, ma mai definitivi. Mi affascinano le infinite sfumature intermedie che colorano il nostro vivere contemporaneo; amo i grigi, piuttosto che il bianco e nero. I sentimenti di inquietudine e disagio, che appartengono in qualche modo a ognuno di noi, così come l'approccio che abbiamo nei confronti della morte, tematiche così abitualmente occultate da una società che dipinge sé stessa come eterea ed onnipotente, sono i punti centrali attorno ai quali ruota il mio lavoro.
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Giuditta N° 2
THE LAST DAY ON EARTH – Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2
Con
la coppia di lavori “The last day on earth” ho tentato di esasperare la sensazione di isolamento che la società moderna può creare in un giovane. La maschera a gas è simbolo di protezione non verso la minaccia ambientale ma verso quella umana. I ritmi ossessivi, l’invadenza dei media (la televisione ai piedi della ragazza), le pressanti scadenze quotidiane, la necessità di assumere continuamente delle maschere per integrarsi nei rapporti sociali spingono i giovani ad isolarsi sempre di più, fino ad entrare in uno stato quasi catatonico e a perdere il contatto con la realtà. La necessità di rappresentare anche una controparte maschile nasce dalla curiosità di approfondire il discorso di queste “lande desolate” dell’emarginazione. La rosa che il ragazzo tiene in mano non è un’offerta per la donzella dell'opera a fianco, bensì un pegno per se stesso. Una sorta di s.o.s. al maschile che non riesce comunque ad ottenere riscontro, se non dagli uccelli che svolazzano avidi di cibo e di idee sopra la sua testa.
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Giuditta N° 2
A BAD DREAM – Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2 Occorre
un nuovo modo di pensare e di avvicinarsi all'arte. La perdita d'importanza dell'artista-demiurgo, che firma e santifica ciò che produce, rende necessaria un‘arte più “user friendly”, un’opera che possa essere compresa, scambiata, condivisa e fatta propria da chiunque in tempi relativamente brevi. Questo implica anche una nuova concezione del pubblico, non più oggetto da aggredire o da istruire, ma soggetto da coinvolgere attivamente nel processo creativo digitale. Le competenze tecniche tradizionali, necessarie per stendere il colore ad olio in modo corretto su una tela, possono, a mio parere, essere equiparate agli anni di apprendistato che impiega un disegnatore per padroneggiare un software complesso come Photoshop o Maya. Non importa il metodo di realizzazione, la qualità dei materiali o il curriculum dell'artista, l'importante è che l'opera susciti emozioni in chi ne fruisce, viva di vita propria grazie al messaggio di cui si fa portatrice, questo è per me l'unico scopo dell'arte.
Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2
MATERNITA’ – Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2
Un respiro chiamato arte Per Claudia Amadesi, pittrice e grafica nata ad Erba, l’arte è un bisogno irrinunciabile, quasi fisiologico.
La
mia passione per la pittura è iniziata prestissimo. La scelta per l’Istituto d’Arte è stata semplice, l’alternativa era il Conservatorio; a canto e pianoforte ho preferito il disegno. Mi ci sono buttata così, senza sapere niente, come allora succedeva, scegliendo la sezione “Decorazione pittorica”. In quei cinque anni ho imparato e fatte mie tante tecniche e ho iniziato da subito a sperimentare. Oggi è fantastico, penso ad una cosa e la realizzo direttamente con il mio mitico mac. Direte: con l’arte che cosa ha a che fare? Beh, io mi divido continuamente fra manualità totale, quando dipingo, e il digitale, quando invece lavoro creando immagini con photoshop. Nel 1990 sono entrata a far parte di un gruppo artistico che mi ha insegnato tanto, grazie a persone interessanti e capaci di svolgere il loro lavoro in maniera professionale. Lo stimolo di mostre e di temi su cui lavorare ha poi fatto nascere in me la voglia di crescere e di confrontarmi con il pubblico, ed è stato un successo.
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Giuditta N° 2
FLAMENCO E VENTAGLI – Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2
“Flamenco e ventagli” è uno dei quadri di una lunga serie dedicata alla Spagna, che amo profondamente; grande motivo d’ispirazione e gioia. Ho dipinto corride, sevillana, flamenco, donne sensuali che propagano la loro energia vitale con i colori della terra e il rosso, passione, calore e amore. Tutti gli oggetti vengono colpiti dalla luce e attraverso i miei occhi vengono rielaborati e destrutturizzati per creare Immagini e forme. Istanti che vengono fissati nella mente, momenti da liberare sulla tela nell’attesa della prossima visione. La danza, la musica, le figure, la natura si librano dalla mia mente nella tavolozza, per poi essere "gettate" con impeto sulla tela. Una sorta di connubio fra alchimia e magia
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Giuditta N° 2
“Quest’opera esprime tutta la dolcezza e la sensualità di alcune donne che, sulle dune del deserto, si allontanano verso sera all’orizzonte, portando dei secchi sulle testa o fra le mani; tutto prende il colore del cielo e della sabbia.”
DONNE DI ZANZIBAR AL TRAMONTO
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–
Claudia Amadesi
Giuditta N° 2
I
quadri piÚ belli li vedo prima come in una visione; poi, presa da una gran voglia di dipingere, mi butto sul pavimento freddo, dove adoro lavorare, e libero la mia mente e il mio cuore. Un aspetto che amo del mio lavoro è la gioia che trasmette agli altri; il colore in primo luogo è qualcosa che va oltre all'immaginabile e poi la ricerca della forma, il filo conduttore. Queste sensazioni le sento nascere dentro, dal diaframma, e le respiro, le sento alitare. Non potrei vivere senza assaporarle ogni giorno.
Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2
RIFLETTORI Segnalati per voi:
Per uccidere un gigante (Prosa) Kain è idolatrato (Poesia) Spore Esistenziali (Prosa) I Canti della Luna (Poesia) Glitterball (Musica)
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Giuditta N° 2 Gilo
“Per uccidere un gigante” “Ho cominciato a scrivere "Per uccidere un gigante" nel corso dell'anno 2000. Non avevo in mente nessun tipo di narrazione organica, difatti il tutto è partito come una sorta di diario composto di frammenti, dettati più da ispirazioni estemporanee, piuttosto che da oculate riflessioni. Il leit motiv del libro è la difficoltà di uscire dalle problematiche impedenti dell'infanzia (il tentativo di liberarsi dalla "infiltrazione paterna", dalla sua violenza di pensieri, parole e azioni, penetrata fin "nel mio dna"). Il primo passo per sperare di salvarmi non poteva che essere quello di allontanarmi da quella falsa rappresentazione di me stesso, costruita in anni di negazioni, violenze intellettuali, bugie, silenzi, che portavo con me – dentro di me.
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Giuditta N° 2
Le problematiche relative alla sessualità, così presenti all'interno del libro, non sono che corollario a tutto questo. E' indubbio che la nostra Italia sia fatta soprattutto di provincia. Ed è indubbio che il vivere in provincia ti costringa spesso a tagliar via interi pezzi di te, semplicemente perché scomodi. Ma a volte si creano incongruenze così pesanti, così essenziali, tra il personaggio che sei costretto a rappresentare e la persona che invece sei veramente, che è inevitabile la crisi, il collasso, la rottura degli equilibri. Si tratta di occasioni preziose perché, se cavalcate, possono divenire importanti veicoli di scoperta del proprio sé, della propria natura essenziale. Questa occasione mi è stata data, ed è anche di questo che il mio libro tenta di parlare. In quest'ottica, l'approdo finale del libro non è che un punto di transito, rispetto alla sua prosecuzione nella vita di tutti i giorni, e la scoperta della fondamentale crudeltà e violenza della vita non può che coincidere con un'importante occasione di ri-partenza, alla ricerca di nuovi significati e verso la scoperta di nuova forza.” ACQUISTA L’EDIZIONE CARTACEA http://www.lulu.com/content/1338646 (E’ POSSIBILE FARE IL DOWNLOAD GRATUITO DELLA VERSIONE EBOOK)
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Giuditta N° 2 “Per uccidere un gigante”
Credo
di essere sempre stato così, un "invertito", intendo. Forse sin dal grembo materno. Magari sussultavo in presenza di un aroma inconfondibilmente maschile talmente estemporaneamente penetrante da insinuarsi sin nel fluido gorgogliante della placenta di mia mamma. Magari un'ombra fuggevole di un profilo marmoreo, colta subitaneamente in controluce, l'ombra di un bronzo di Riace appena fuso sulla spiaggia rovente, mi faceva sognare di giganti in attesa di me nel mondo nuovo, appena al di là. Magari udivo risate aperte provenienti da larghe ugole maschili e queste erano per me la miglior culla e la più appropriata ninna nanna. Odori, ombre, risate. Rumori ovattati al grembo materno, penetrati sino al mio dna fino a renderlo infatuato di loro. Non sessualità, ancora un feto, per cui. Solo odori, ombre, risate. Riuscite a capire? Odori, ombre, risate. Niente sesso. Sensualità. Consustanzialità creata per magia. Navigavo in acque sicure, sicuro di me, del mondo e della sua bontà, del paradiso che mi attendeva pieno di odori, presenze, allegria, mascolinità positiva. Pieno pure di divinità, lontane, irraggiungibili,
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Giuditta N° 2 “Per uccidere un gigante” dall'odore di camomilla appena colta, incomprensibili e volanti, nel ventre di una delle quali, deliziosa, avevo avuto destino di incarnarmi. *
Eiaculare.
Uno spasmo d’espressione. Uno spasmo e una contrazione vitale, un gettito ultraterreno, un prestito misericordioso misericordiosamente breve, un’allucinazione che passa come un lampo nella notte. L’espressione di un divino totale, una consunzione maschile inebriante e caramellosa, avvolgente come una spirale e indipendente come un santone indiano. Un interludio armonico in una disarmonia difficilmente interrompibile. Una fugacità dell’apparizione, un subitaneo spiraglio che si richiude nel giro di qualche spruzzo estatico. Un gemito di vita, un ansito animato. E non varrebbe la pena di spendere un’intera vita solo che ci sia dato di osservare il fenomeno anche un’unica volta, di godere dell’espressione rapita del proprio uomo perso in un’estasi ambrata lucente divina
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Giuditta N° 2 “Per uccidere un gigante” anche se solamente per lo spazio di un soffio? E non vale forse la pena di respirare, soffrire, piangere, struggersi per un’intera esistenza se anche solo per un momento ti è data la possibilità di udire cori angelici e beatitudini voluttuose, come echi risonanti nel tessuto della normale aria respirata, di adocchiare l’ineffabile attraverso l’inaspettata metamorfosi dell’essere che hai accanto, durante quei pochi momenti in cui i suoi sacri lombi esplodono il proprio succo vitale all’esterno, sul lenzuolo, sulla coperta o sul tuo addome? Magari nella bocca, poi giù nello stomaco, così che di lui tu serbi particelle in te, così che una cosa sola sia stata creata e resa in qualche modo indelebile, seppur transitoriamente. Non vale la pena di scendere dal più elevato dei paradisi per cogliere una fulminea visione beatifica, pur se anche attraverso il più atroce degli inferni esistenziali? *
Il mio caro babbino mi picchiava quando ero piccolo. Non solo mi picchiava. Mi lanciava
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Giuditta N° 2 “Per uccidere un gigante” messaggi continui e questi messaggi mi comunicavano il totale rifiuto da parte sua per la persona che ero, la sua totale idiosincrasia nei miei confronti. L’origine di tutti i mali, eppure anche l’origine di tutte le beatitudini, per quanto difficile da accettare possa sembrare. E se è vero che ti scegli i tuoi genitori, prima di nascere, un motivo per il quale io abbia scelto lui deve pur esserci stato. E se io non avessi subito le sue ire non avrei potuto essere la persona che sono, passatemi la banalità, nel bene e nel male. Non avrei potuto essere dannato, non avrei potuto essere beato. *
Dormiva. Bocconi, le coperte tirate fin sopra le orecchie, ma paradossalmente sereno. Aveva guadagnato la tranquillità, se l’era conquistata a fatica nel cuore nero della notte, una piccola tana calda scavata sotto la neve d’inverno. Ed era proprio allora che delle dita invisibili gli s’insinuavano sotto la pancia. (…) Quelle mani e quelle braccia incorporee arrivavano ad impossessarsi del suo corpo,
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Giuditta N° 2 “Per uccidere un gigante” paralizzato dall’orrore, e dopo che la loro presa si era fatta solida lo voltavano sulla schiena, usandogli una delicatezza del tutto incongruente. Si sottraevano, quindi, e mollavano la presa, ma ecco che le dita prendevano ad esplorare di nuovo, stavolta dietro le spalle, fino a che non afferravano il bamboccio, ridotto a un paraplegico stecchito, da sotto l’incavo delle ascelle, e a questo punto lo tiravano seduto, con decisione, ma insieme ammantate di una sorta d’assurda benevolenza. Sì, quelle mani lo amavano, in qualche perversa maniera. Rappresentavano i suoi torturatori, eppure lo carezzavano, quasi a comunicargli tenerezza, con la lampante immoralità di quella profusione d’affetto che si stemperava in una melassa maligna. Si sforzava di serrare gli occhi, di tenerli chiusi stretti, ma ogni volta una forza inusitata e che non proveniva da lui lo costringeva ad aprirli, così che non c’era resistenza che tenesse, e quello spettacolo, alla fine, era davvero tutto per lui. Il buio progressivamente si stemperava, mentre la luce cresceva d’intensità ad illuminare con sempre minor compassione la scena. Un’alba mortifera, poi una mattina morbosa, infine
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Giuditta N° 2 “Per uccidere un gigante” un mezzodì atrocemente sibilante. Era una luce livida e accecante, sibilante come ghiaccio azzurrino, capace di saturare di sé ogni anfratto, ogni più piccola insenatura, ogni zona d’ombra, così che tutto appariva netto, quasi doloroso nella pienezza della sua sostanza fisica. Era una luce capace di fischiarti nelle orecchie, di farti gocciolare il sangue dal naso, d’insinuartisi all’interno del cranio in stiletti affilati e gelidi, di strapparti alla vita e precipitarti in un inferno fatto unicamente di ghiaccio secco, tagliente e putrido. E quando tutto era svelato, ecco che prendeva avvio un concerto stridente, un tintinnare discordante di campanelli, a provenire dalla soffitta, che apriva il proprio pertugio proprio di fronte a lui, poco sulla destra. Arrivava come in una cascata di migliaia di piccoli sonagli dissonanti, prima solo la loro eco in lontananza, poi sempre più vicini, fino quasi a rimbombare nel cervello e nelle ossa, in una stridente sinfonia percepita d’anima, più che d’orecchio. Infine Lui si presentava, superbo nella sua oscenità dai mille volti.
Gilo
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Giuditta N° 2 Giovanni Carbone e Andrea Siniscalchi
“Kain è idolatrato” “E’ questa la nostra prima fatica letteraria, miscuglio più o meno omogeneo di pensieri e ideologie legate strettamente a emozioni particolari in particolari fasi esistenziali, pubblicato nel gennaio 2008 da editrice Lulu. Questa “raccolta di poesie” racchiude momenti di estrema elevazione e altri di ineluttabile declino, che tracciano scie parallele per l’uomo e la propria anima, e partono dal lontano 2005, anno in cui iniziammo a gettare i primi abbozzi, alla fine del 2007, in cui ci avviammo a porre in essere la sua pubblicazione. I temi che si mescolano e prendono vita in questa nostra opera sono svariati: gli assoluti ideali di Memoria e Coerenza, l’ambivalenza fra
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Giuditta N° 2
il bene e il male nel mondo e all’interno di ogni uomo (come testimonia la stupenda opera di Giorgio Galotti dal titolo “Caino e Abele” che è soggetto della nostra copertina), la lotta alla piattezza e alle banalità della società, il non arrendersi a un destino che sembra già scritto, la lotta per i propri sogni. Ma anche il tema del viaggio come crescita e metafora di vita, il tema dell’amore posto in vari suoi aspetti (dalla perdizione all'estasi), il tema della vita e della morte, la grandezza dell’ arte e di Dio e vari altri temi che rappresentano spunti di ispirazione o esperienze di vita vissuta.”
> “Voltati padre” > “Metamorfosi”
di Andrea Siniscalchi di Giovanni Carbone
* Gli autori parlano della propria formazione. * “Memoria e Corenza” di Andrea Siniscalchi ACQUISTA L’EDIZIONE CARTACEA http://www.lulu.com/content/1857985 (E’ POSSIBILE FARE IL DOWNLOAD GRATUITO DELLA VERSIONE EBOOK)
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Giuditta N° 2 “Kain è idolatrato”
Voltati padre Non andare via... Non voltarmi le spalle... Lo so che ti ho deluso Lo so... Rispondimi ti prego il tuo nome è sacro ancora per me ti imploro, voltati e sorridi come al tempo in cui ti vidi nel mio più bel sogno. Padre, regalami anche ora la tua fiducia come un soffio magico. Sei lontano e io sbatto i pugni a terra in cerca di dolore... Sei lontano... e non mi ascolti non odi la mia angoscia è un’altra prova? Oh, si... Oh Dio... Fa che sia solo un’altra prova I lineamenti della tua sagoma si fanno più lievi più invisibili. Soffrirei in eterno il fuoco dell’abisso in cambio di una tua maledizione.
Andrea Siniscalchi
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Giuditta N° 2 “Kain è idolatrato”
Metamorfosi Sono sdraiato con gli occhi a un tappeto di stelle mentre la città si pettina per la notte vestendosi da puttana per vendersi a qualche passante il re dei topi è padrone del mondo brindisi di decadenza si avvelenano le sue strade con assordanti risate ceneri di civiltà un Cristo lapidato la sopravvivenza è sovversiva la notte noi non alziamoci ...e adesso dormi.
Giovanni Carbone
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Giuditta N° 2 “Kain è idolatrato” Gli autori parlano della propria formazione.
Ciascun
uomo, e in particolare ogni artista, nel suo percorso di crescita e di appesantimento delle proprie ali si nutre dell’influenza di innumerevoli fattori che, simili a scalpelli, gli decorano l’anima. Ognuno di noi ha avuto un percorso diverso, anche se le nostre strade si sono incrociate più volte e spesso abbiamo avuto simili ispirazioni. Da un punto di vista artistico, sono svariate le influenze che si sono accalcate sulla nostra penna, e di diversa origine, da maestri come De Andrè a scrittori come Sclavi e Moore, da filosofi come Talete di Mileto e Nietzsche a poeti come Baudelaire. Ma ancora prima, e soprattutto più intensamente, le cause che ci hanno "costretto" a scrivere non derivano da personaggi storicamente fondamentali, tantomeno noi abbiamo seguito (almeno consapevolmente) passi già percorsi o idoli grandi per oggettività. Ciò che aiutato la nostra formazione scaturisce dalla "normale“ vita di ogni giorno e dagli svariati rapporti
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Giuditta N° 2 “Kain è idolatrato” umani che immancabilmente in essa vi si intrecciano. Sguardi, sorrisi buoni e cattivi, immagini mitiche trasfigurate dalla nostra personale visione delle cose, amore spicciolo poche volte cancellato dalla vera luce del suo senso assoluto e il dolore che ne consegue in una plurivalenza di forme. Forse, però, è proprio un vago senso di tristezza e d'inappagamento a provocare la repulsione ai canoni esistenziali della vita comune, e alle emozioni comandate da momenti già scritti, a farci ineluttabilmente vedere il mondo e i significati nascosti con diversi colori. E' proprio questo dilagare di delitti inconsapevoli e stragi quotidiane a spingerci a credere che qualcosa di più grande, per la quale combattere e combattiamo, deve esistere. Credo che la base della nostra formazione risieda nell'estrema coscienza dell'importanza di valori supremi che ogni giorno impotenti vediamo sfiorire, dissiparsi ed esplodere dinanzi a una superficialità che li sfiora senza coglierli e una realtà che li tiene in catena, troppo lontani dai nostri occhi.
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Giuditta N° 2 “Kain è idolatrato”
Memoria e Coerenza Ciò
che ora vorremmo trattare, premesso che è un tema a noi caro, non va confuso con una banale alternativa adolescenziale tantomeno con una pura astrazione filosofica, come si potrebbe supporre dal titolo. Ciò cui l'uomo tende durante la propria esistenza, in particolare colui che si ritiene un artista, è di realizzare uno scopo che sia per se stesso giusto o, almeno, che appaghi una parte del suo essere. La quasi totalità delle persone, raggiunta la maggiore età, è convinta di avere chiara la suddivisione della vita in cose utili e in cose superflue, rifuggendo in questo modo sogni e idealità, a favore di scopi razionali che lo inducono inevitabilmente a condurre le proprie giornate all'insegna di una inconsapevole sopravvivenza. Il solo modo che abbiamo di "sopravvivere consapevolmente", risiede negli ideali della Memoria e della Coerenza. La Memoria, per iniziare, non va presa come "capacità di ricordare", ma come riflessione organica delle personali vicissitudini esistenziali e va usata come strumento per dare senso ad azioni e
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Giuditta N° 2 “Kain è idolatrato” sentimenti passati e fare luce sulle trascorse parti oscure della nostra coscienza. La Coerenza di conseguenza, non deve indurre a perpetuare i propri errori fino all'estremizzazione di essi, ma al contrario, riassumere tutto ciò che di buono scopriamo nel passato per trasportarlo modificato nel presente, senza però mai cambiarne le basi. Questo che può sembrare un gioco dialettico, nella schietta razionalità, si traduce con la vita di tutti, ogni giorno. Dalla conscia fusione di Memoria (per dare significato al proprio io passato) e Coerenza (per dare significato ai passi futuri) si può elaborare una strategia vincente per costruirsi un sentiero personale che noi potremmo percorrere senza essere deviati dalle catene invisibili quotidiane che la realtà c'impone, e la società trascina tra dolci sorrisi e ipnotiche carezze. Questa per noi è una strada dolorosa, ma è l'unica possibile per non sprofondare nella tristezza di un sogno sacrificato per un falso idolo di nome "Destino". Speriamo di riuscire a scrivere altri libri di poesie, di ridere alle battute e di commuoverci nel vedere l'ultima puntata di un cartone animato...
Andrea Siniscalchi
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Giuditta N° 2 Marcella Campo
“Spore Esistenziali” “Un giorno qualcuno mi fece intendere che uno scrittore sa sempre cosa scrivere, riesce sempre a produrre qualcosa da far leggere a chicchessia. Anche quando non è in stato di grazia creativa. Anche quando l’ispirazione non spinge sui tendini che legano le sue dita. Bene. Dunque io non sono una scrittrice. Io sono solo bulimica di parole. Ingoio, senza pausa, pensieri incatenati, incrociati come lavori a maglia, confezionati da mani esperte di ferri e filo. Ingoio dicevo. E poi vomito, senza conoscere sosta, parole inzaccherate. Vivo tra un mucchietto di parole accatastate alla bene e meglio: non riesco a metterle nel vostro ordine. Conosco solo il mio. Il loro. E questo seguo, perché è l’unico linguaggio interiore che conosco.
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Giuditta N° 2 Non trovando un’unica parola già in uso attraverso i canali di scrittura per descrivere la forma e il sapore (alcuni armati di ottime speranze lo chiamerebbero stile) dei pezzi all’interno di questo mio libretto, ho deciso di definire le mie composizioni qui presenti «spore». La maggior parte di esse non sono poesie, non sono racconti, sono brevi brani scritti in prosa che hanno uno spiccato gusto per l’immaginifico, ritratti abbozzati di scene in fieri. Frammenti. Le spore, in quanto cellule disidratate, mi hanno sempre affascinata, poiché sono in grado di disperdersi nell’ambiente per resistere a condizioni avverse e, successivamente, generare un essere vivente in habitat più adatti. Credo la parola «spore» descriva in modo calzante i miei componimenti. E, preso per intero, questo mio lavoro può essere definito un libro di ricordanze.”
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Feticcio Due centimetri di distanza Entra in scena la dama nera Classe, presunta ACQUISTA L’EDIZIONE CARTACEA:
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Giuditta N° 2 “Spore Esistenziali”
Feticcio Sulla pelle della spalla: il tepore morbido delle labbra. L’alito dolce, che si posa lieve e poi svanisce nel ricordo. Un riflesso allo specchio mi guarda, cercando di sfumare il perimetro delle ombre sui contorni del mio volto. Capelli raccolti con pettini di legno laccato bianco. Mani che si muovono concitate. Compulsivamente le dita tagliano pezzi di carne di pollo in bocconcini piccolissimi, sfilacciandoli su un piatto. Il rumore delle posate d’acciaio sulla porcellana. Alzo la testa. Io non mi vedo. Io non ci sono. Sollevo le palpebre con forza. Inarco le sopracciglia, sembrano archi ad ogiva. Spalanco gli occhi. Ma continuo a non vedere. È come se mi avessero conficcato due gemme di granato nelle orbite. Mi trucco senza guardarmi. Sfioro il mio viso per stendere polvere di talco. Mi fermo al primo tocco. La bocca si allarga sbigottita. Ho una maschera incrostata sull’epidermide.
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Giuditta N° 2 “Spore Esistenziali”
Due centimetri di distanza Ciak. Si gira. Stacco di gambe vertiginoso. Minigonna di jeans. Cosce nervose. Camminata incerta su trampoli scintillanti. Terzo occhio trapanato. Schegge d’osso piantate nella carne, pelle appesa a grucce spigolose. Non c’è luce nei vostri occhi subacquei. Solo montaggi di scarti di scene. Sorrisi marci. Poi mi guardi e mi trafiggi. Gelosia indotta. Non sei mai stato tanto bello quanto stasera.
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Giuditta N° 2 “Spore Esistenziali”
Entra in scena la Dama Nera (È Lei che mi ha truccato il viso.) Mi si avvicina nel sonno, adornata da un lenzuolo nero, si fa scivolare addosso tessuti soffici che preannunciano un annullamento pacifico. Con le Sue candide dita stende sotto i miei occhi della terra chiara, polvere iridescente. Mi prende il viso tra le mani e mi bacia la fronte. Mi sta benedicendo. Mi accarezza. Delicata. Impercettibile il Suo respiro mentre dischiude le labbra per comunicare un silenzio notturno. È bellissima. Spaventosamente attraente. Dal basso, si propagano onde brevi. Sento brividi percorrere un corpo che non posso più gestire, soggiogato alla Sua volontà. Mi guarda. Sorride. Calma. Si allontana poi. Dunque posso riappropriarmi della lucidità del mio sguardo.
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Giuditta N° 2 “Spore Esistenziali” Sento un formicolio agli arti, intorpiditi. Non mi guardo attorno. Respiro lentamente. Sommessa. Sollevo le palpebre. Fisso l’immagine proiettata nello specchio che ho di fronte. Ho del bianco sotto agli occhi. Lo levo con i polpastrelli: è cipria che profuma di rosa canina.
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Giuditta N° 2 “Spore Esistenziali”
Classe, presunta Seducente mi versi vino al metanolo in calici di cristallo. Devo guardare il conflitto con palpebre che sogghignano, altrimenti riesci a picconare tutte le mie certezze. I disastri del silenzio sono annientanti. Sublimi, le sue cieche delizie. Respiro polvere di gesso. Soffoco sorridendo. Tienimi - ti prego - tienimi. Io sono operatrice di mistificazioni. E tu sei notaio di efferatezze. Incendiami di urla isteriche. Disperdi silenziosamente lacrime di cenere, che svaniscono nell’aria che si solleva come un velo d’organza. Vittima, attratta ed invaghita del proprio carnefice, mi abbandono a visioni distorte da fumi viola. Sei l’ombra di Morfeo che, morbida, si flette srotolandosi al suolo, rincorrendo i passi di un corpo delittuosamente ignaro del proprio destino. Seguo attentamente il procedere degli influssi della sfera onirica sul reale: sono proiezioni che alterano le mie fibre concrete.
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Giuditta N° 2 “Spore Esistenziali” Sogno. E mi sveglio. Voglio solo i tuoi occhi, quegli occhi che mi scuotono, - non altri. Mi sto prostituendo all’abbraccio di uno sguardo. Così, interrotta, ora, mi sento una crisalide.
Marcella Campo
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Giuditta N° 2 Amaranto
“I Canti della Luna” “Presento il mio primo percorso poetico, intrapreso nel periodo primaverainverno 2006; un 'diario in versi' nel quale è cantato tutto ciò che in quei mesi ha attraversato i miei pensieri e i miei sentimenti. La struttura si articola per fasi lunari; la mia voce nasce ingenua e resta pudicamente distaccata dall’oggetto del canto per buona parte della prima metà della raccolta. Superato il simbolico plenilunio, la semplicità dei primi versi si corrompe, lasciando spazio ad una vena cupa e tormentata, carica di sofferenza ma anche di maggiore consapevolezza. Poesie come ‘Asso di Spade’ inscenano il conflitto, ricorrente nella raccolta, tra le ultime speranze e le sempre più aspre delusioni che un adolescente ormai diciottenne può subire.
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Giuditta N° 2 Giunto il ciclo lunare alla sua conclusione, ormai conscio di essere pari all'Albatros di Baudelaire, rois de l'azur nei versi ma gauche et veule nel confrontarmi con una società con la quale semplicemente non so comunicare, cerco all'interno di me stesso una sorta di regola di vita, un’ancora che mi possa salvare dall'insensatezza della mia condizione. La raccolta è carica di suggestioni oniriche ed esoteriche; si può leggere pertanto come una sorta di autoiniziazione, un occulto rito di passaggio volto a condurmi verso la maturità emotiva ed artistica.”
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Il Canto della Luna Piacere d’amore Estate Asso di Spade Saggezza
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Giuditta N° 2 “I Canti della Luna”
Il Canto della Luna Chiudi gli occhi. Il sole è orgoglio E violenza. Lascia al fuoco la guerra Lascia a terra le radici Lascia all'aria il pensiero, Come prima Che potessi respirare Ma l'acqua: Non senti la luna? Canta. Senza violenza Senza staticità Senza doppiezza; E la forza della sofferenza In una parola che Attende Vuol essere scoperta.
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Giuditta N° 2 “I Canti della Luna”
Piacere d’amore La fiamma Tra i capelli S'insinua fino a terra E scivola sinuosa Tra i petali di rosa La nostra sicurezza Ci guida nell’attesa: Sorridi Con occhi pieni D'amore… Niente è più Dolce, che la nostra Casa…
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Giuditta N° 2 “I Canti della Luna”
Estate Assurda Seguirà la morte Tremenda Nel suo eterno essere E noi Guardandoci Perderemo L’attimo Fugaci Di rugiada Troppo deboli nel fuoco Per opporci E il fumo Ci cancellerà
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Giuditta N° 2 “I Canti della Luna”
Asso di Spade Oggi le parole non mi sfogano: Cucimi le labbra Con fili di ferro E spine di rosa Voglio mostrarti Come si soffre Tu volgi gli occhi a terra Mentre sfoderi spade Non tue: Rovesciati le viscere Per scoprire tra le Mani questi chiodi Disarmonico parlare Alla mente senza cuore; Contro il freddo Metto il freddo del mio volto.
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Giuditta N° 2 “I Canti della Luna”
Saggezza Secco pensare E secco parlare Perché l’acqua non scende da mesi Elettrico vivere d’impulsi Mentre atterro nel profondo del deserto Ed è saggio non averne paura Temperando vecchie acque in nuove Brocche E continuo il cammino A piedi scalzi: Nella sabbia si riflette la mia luna.
Amaranto
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Giuditta N° 2
I tre ragazzi sono convinti che la “palla glitterata” sia un logo veramente cool; raffigura, nei sue mille psichedelici colori, tutte le sfumature del rock a cui non vogliono rinunciare, per riservarsi la possibilità di sperimentare tutto ciò che aggrada il loro gusto.
Giovanni Lanese / Barbara Sica / Simone Antonini (Voce e chitarra) / (Basso – loop station) / (Batteria)
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Giuditta N° 2
“La band si attiva nel 2007 (sebbene i tre suonassero insieme già da alcuni anni), collezionando un bel numero di concerti, anche su grandi palchi, principalmente nella zona del centro sud Italia. Iniziano a lavorare sulla composizione dei pezzi, con un’attenzione particolare agli arrangiamenti e alla ricerca delle soluzioni più ‘adatte’ per ogni brano. Comincia a definirsi un sound rock, che strizza l’occhio a quello d’oltremanica; viene scelta la lingua inglese, per una questione di sonorità e per accedere ad un pubblico che potesse trascendere i confini nazionali. I testi variano da un contenuto ‘impressionistico’ e psichedelico a temi più concreti, come la verità nascosta dai mass media, lo sfuggire di mano della vita, la dipendenza da internet, fino a storie surreali. Il susseguirsi molto veloce degli eventi, la continua produzione di nuovo materiale, un buon successo nei live, e proposte di produzione da parte di etichette indipendenti hanno portato la band in studio per la realizzazione del loro primo Cd, registrato in parte negli studi ‘Melaesse’ con Molecola (fonico dei Tiromancino); attualmente il lavoro è in fase di completamento. Titolo : I want the sun!” ASCOLTA QUATTRO TRACCE DEL LORO EP:
http://www.myspace.com/glitterballband
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Giuditta N째 2
INCANTI E TORMENTI Il cuore dello scrittore emergente in formato digitale Sandra Carresi Ana Nikirai Maria Cristina Impagnatiello Gilo
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Giuditta N° 2
Il mantello
di Sandra Carresi
Un racconto misterioso e sospeso; vita e morte, talvolta, oltrepassano i confini della ragione.
Stava
per andare a letto. Un silenzio notturno avvolgeva la casa. Con la mano afferrò leggermente il lembo della coperta affinché il corpo stanco potesse giacere in quel letto solitario che odorava di bucato e che attendeva solo Lei. Ad un tratto, prima di entrare, sentì alle spalle un calore insolito, qualcosa di caldo e di soffice le coprì il corpo chiuso nella camicia di mussola. Dania non si rendeva conto di che cosa potesse essere. Lo specchio, di fronte, le rimandava l’immagine di sempre, una donna ancora giovane, minuta, dai lineamenti dolci e delicati, stanca e spettinata. Eppure quel calore le dava un’energia che cinque minuti prima non aveva; la cosa la spaventò. Se avesse dovuto descrivere che indumento fosse quello che sembrava cingerle le spalle, avrebbe potuto definirlo un mantello di soffice velluto, qualcosa di scuro, forse il nero, con un gran fiocco di raso che le stringeva la gola, quasi a farle mancare il respiro.
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Giuditta N° 2
Però era piacevole e le dava dei brividi che certo non erano di freddo ma assomigliavano molto a certi preliminari di un tempo forse non lontano, ma non più praticati, anzi, dimenticati. Con una scossa di spalle, finì di aprire il letto ed entrò tirando su le coperte quasi a coprirne la testa. Non voleva ricordare niente, adesso era solo uno strumento adatto solo al lavoro, fuori e dentro casa. Dentro il letto, le cose peggiorarono o migliorarono, a seconda dei punti di vista. Il calore del mantello adesso l’avvolgeva tutta, dalla testa ai piedi, niente escluso. Pensò di prendere una pillola per dormire, tanto, l’indomani avrebbe potuto rimanere lì anche fino a mezzogiorno; niente lavoro. Non riuscì ad alzarsi, una forza sconosciuta la faceva rimanere immobile. A quel punto, si arrese. Restò immobile nel letto, e lascìò andare il suo corpo libero verso quel calore conosciuto, accantonato, mai dimenticato. Sognò, desiderò e amò. Il sole del mattino non vide il suo risveglio, scaldò un corpo ormai freddo.
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Giuditta N° 2
Dissero tante cose. Che il suo volto era sereno, che se ne era andata nel sonno, che era nel suo letto con la camicia di mussola e trina e che l’unica cosa strana, chissà perchè, in una notte calda di metà maggio, dentro il letto, il suo corpo fosse avvolto da un mantello di velluto nero, legato da un nastro di raso al collo, come un’antica dama pronta per un incontro galante col suo uomo, quell’uomo che aveva lasciato questa terra da ormai cinque anni.
Sandra Carresi
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Giuditta N° 2
Poesie
di Ana
Immagini cristalline e fulminee caratterizzano le composizioni di Ana; ve ne offriamo un assaggio.
UNA MAGIA Colorerò il fango sotto i miei piedi di splendenti tinte di brio finché una magia lo renderà polvere d’oro.
* IL BIVIO Dopo il bivio un solo percorso incatenato. Pochi fiori che presto appassiscono. E rovi. Sassi taglienti, occhi volti al sole, nessuno svincolo dopo il bivio.
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Giuditta N° 2 ARCOBALENO Cavalcando i tuoi colori scalo il cielo. Tu squarci le nubi, io scivolandoti addosso sento dentro la vita.
* SU DI TE La mano sui fianchi a guidarmi come al buio a trovar casa. Rapita dalle tue dita curiose ti seguo.
* DESIDERIO Mi spoglio del tempo rimasto sulla pelle, vestito di granito. Nuda, morbida t’indosso, desiderio.
Ana 83
Giuditta N° 2 Necessità impellente di una rieducazione forzata di Nikirai Un inno disperato all’infanzia perduta e ai suoi irrinunciabili, impossibili ricordi
avrei
bisogno di stare al buio, di non vedere né sentire nessuno, di parlare col mio gatto e di annuire alle sue orecchie appuntite che tira dietro alla testa non appena sente un rumore, di una spremuta d'arance, di ricordare il rumore dei pacchetti di fruit-joy che mangiavamo tutti in una volta nascosti sotto la scivola, di sentire l'odore delle figurine quando le stacchi e le riattacchi con meticolosa precisione e saranno sempre un po’ storte, ho bisogno di far pipì davanti ai garage perchè ci rimproveravano se giocavamo a nascondino su e giù per le scale, di succhiarmi le campanelle. ho bisogno del cimitero per le formiche e per gli uccellini, di chiudere gli occhi e vivere al buio, di vedere lady oscar per una giornata intera, della ragione e del non-senso, di mangiucchiare i piedi delle barbie, sotto il letto per scappare dai rimproveri o dalle punture, di mia madre che mi rincorreva per tutto il balcone fingendo di non riuscire a prendermi, degli
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Giuditta N° 2 occhi indulgenti di papà, di sentirmi sporca, di sentirmi euforica ed impaziente, di sentirti muovere dentro di me, di sentirmi. Di allontanare quest'apatia andante, di costruirmi una capanna con le sedie e le lenzuola... questa iniziazione intellettuale mi ha forato lo stomaco, stomachevole è il distacco... lo senti fin dentro le narici, e non puoi che vomitare…rito propiziatorio camuffato fra favole in audio cassetta e peluche tutti dentro un grosso scatolone impolverato e ben conservato tra la trachea ed il culo, in cerca di un gatto sporco e malandato da adottare. ho una necessità impellente di una personalità di marmo massiccio bianco e rosa, di piangere, di scopare, di una forzata rieducazione.
Nikirai
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Giuditta N° 2 Chiamalo pure flusso di coscienza di Nikirai La lotta della scrittrice contro la sorda ipocrisia di chi tenta malamente di arginare sè e gli altri.
cara la mia dottoressa "freud", con la f minuscola. -sedersi sul lettino è ormai obsoleto, che ne dici?(obsolèscere.. obsolèscere.. obsolèscere..) falso tono di convivialità... mi dà il vomito. mi accomodo qui su questo seggiolone di velluto pronta per essere imbavagliata. Ho un'improvvisa voglia di limone. -no grazie,non prendo niente- ti detesto nella tua magrezza abbronzata con costose sedute, nelle serate a teatro imbacuccata nei tuoi capelli finto giallo, nella gomma masticata voracemente -chiedo scusa, ho smesso di fumarela vedo la cenere dentro il servizio d'argento... o la tieni lì per ricordo. forse per commemorazione?
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Giuditta N° 2 sulla punta delle scarpe lucidate il tuo naso adunco cerca una risposta parli come se bastasse dire no perchè le cose cambino. invece così si controllano, cara la mia rachitica freud stenditi e fissa tu intensamente il soffitto -cosa vediuna donna che fruga nella sua borsa -no cosa vediuna donna che fruga nella sua borsa alla ricerca di qualcosa -no, cosa vediuna donna. ECCO IL LIMITE -l'immaginazione fervente- con la I MAISCOLA PERO’-che ossimoro mia cara-
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Giuditta N° 2 quale ossimoro? hai dato all'edipo il nome di Edipo all'invidia del pene quello di invidia del pene alla sfinge quello di Sfinge e a me quello di ossimoro? -Immagini di scrivere la svolta, ma scarabocchi carta straccianon scarabocchio proprio niente. ti insozzi le dita per sfogliare il taccuino delle mie memorie e strabuzzi gli occhietti come se solo tu, in questa stanza piena di ninnoli, fossi in grado di trovare una cura al virus letale ... rara avis... io esco c'è aria rarefatta io piango disperatamente
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Giuditta N° 2 io esco e poi ti immagino con la maschera anti-età delle 20.00 non ti ascolto piÚ adesso fisso tra i capelli le violette di stagione ... dal punto in cui si toccano le mie cosce sfregando viene fuori "un sordido ritratto" mi fai dire: no non voglio no non voglio no non voglio tanto lo so che anche tu ci vedi qualcosa in quel soffitto bianco. basta voler smettere...
Nikirai
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Giuditta N° 2 Vino d’amore di Maria Cristina Impagnatiello Il dramma d’amore supera i suoi cliché abusati e diventa occasione per scavare nella follia umana.
Macchie
nere, verdi, viola. Circondavano il mio polso come un originale bracciale. Mi hai impugnato, come una spada; mi hai usata, per sconfiggere la noia delle tue giornate, e delle tue notti. E stringevi, forte, non volevi lasciarmi andare, volevi tenermi con te come un quadro appeso ad una parete vuota, appesa per le braccia, impiccata come un'assassina. Ho tagliuzzato il mio petto, in modo da poter prelevarne il cuore e porlo ai tuoi piedi. Lo vedi? E' ancora pulsante e grondante di sangue. Cosa dici? Cosa stai tentando di dirmi? Che il sangue sta sporcando la tua candida camicia? Mi dispiace, sono sincera. Avrei potuto renderti invincibile. E invece, sono stata costretta, te l'assicuro! No, non guardarmi così, con quegli occhi impauriti. Io ti amo! Capisci? ho dovuto! Ho dovuto legarti, non potevo fare altrimenti! Saresti fuggito, mi avresti lasciata pendente dalla parete. Non
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Giuditta N° 2
potevo, no, non potevo permetterlo. Cosa? Vuoi parlare? Vuoi dirmi qualcosa? E parla amore mio... "Tu sei pazza! Lasciami in pace! Slegami, per l'amor del cielo!" Slegarti? E perchè? Chi mi assicura che non scapperesti? Rimarrai qui con me, ci libereremo insieme, di questo peso vitale che ci schiaccia contro il terreno. Non aver paura, io ti amo. Li senti gli angeli? Piangono lacrime di incenso, cantano litanie per noi, ci riscaldano col loro bianco gelo. Colorerò il soffitto d'ambra, e ti taglierò i capelli, ne farò un monile, lo metterò intorno al mio esile collo. Ti unirò a me, entrerai in me e finiremo tutto insieme, insieme per sempre. Non piangere, amore mio, non piangere. Non mi trovi bellissima? Non mi sono mai sentita così perfetta, così colma d'amore per te. Sono finalmente completa! E lo sei anche tu, non te ne accorgi? Sto riempiendo il tuo vuoto, non lo senti? Era quello che volevi, sbarazzarti del vuoto che ti ossessionava. Liberarti dello sperma che ti annebbiava il cervello. Sono stata utile? Bene, ne sono felice. E ora chiudi gli occhi amore mio, chiudi quegli occhi maledetti, smettila di fissarmi!
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Giuditta N° 2
Non guardarmi cosĂŹ, ti prego. Non guardarmi come se volessi farti del male, io ti amo. Sangue e lacrime fuse insieme, sarĂ il nostro vino d'amore, brindiamo alla vita e alla morte, alla pioggia e al dolore, agli angeli e all'incenso, e ai tuoi occhi, cosĂŹ belli, e miei, nel palmo della mia mano.
Maria Cristina Impagnatiello
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Giuditta N° 2 Vegetalizzata di Maria Cristina Impagnatiello Un racconto intriso di sadomasochismo, che indaga zone inconfessabili della sessualità femminile.
Ad un tratto mi sentii nuda. Mi girai. I suoi occhi mi stavano svestendo pian piano, stavano smontando ogni pezzo, senza fretta, ma con avidità. Mi perforava, trafiggeva, percorreva il mio corpo dal cervello all'ombellico alle caviglie; si impossessava di me; lui, così, immobile, io, inerte, incapace, di muovermi, di rivestirmi, di coprirmi; ero invasa, contaminata da quegli occhi affamati, smisi di opporre resistenza. Ero nuda, nuda di fronte a lui. E glielo mostravo, il mio corpo, ostentavo le mie forme, cercavo di usarmi per impossessarmi anch'io di lui; ma lui voleva tutto; cominciò ad appropriarsi dei miei organi interni, lo stomaco, il cuore, il cervello. Vegetalizzata. Ci sedemmo a tavola, uno di fronte all'altra, lui con la sua bambola di porcellana completamente spolpata dell'anima, io disposta a subire lo stesso destino, incurante,
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Giuditta N° 2
ipnotizzata da quel sorriso di vittoria, che lo rendeva padrone di me, di lei, di chiunque avesse voluto. Lentamente. Mi alzai andai verso l'uscita mi infilai nel bagno. Vomitai. Volevo sputarlo fuori quel bastardo, non mi avrebbe avuta, non me. "Sshh, non lo diremo a nessuno". Era dietro di me, mi desiderava, ero già sua. Glieli diedi; il mio corpo, il mio stomaco, il mio cervello, il mio cuore; ne abusava soddisfatto, spingeva la mia testa verso il basso, mi piegava a piacimento, come un manichino, un burattino. Vegetalizzata. Usata. Sconfitta. Seduta a terra. Nell'angolo nord-ovest del bagno. Lui si lavava le mani ammirandosi allo specchio. Sorrideva compiaciuto. Sistemò i capelli. Tirò su la zip. Stese una grinza della giacca. Avvicinò il suo viso al mio, come per baciarmi, mi trafisse ancora una volta, con i suoi occhi di marmo,"Ssshhh, non lo saprà nessuno".
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Giuditta N° 2
Mi abbandonò, quel virus letale mi aveva colpito e aveva affondato. Vegetalizzata. Di colpo eccitata. Mi riappropriavo di me, e ne volevo ancora, volevo che mi usasse ancora, ero sua, dovevo essere sua. Non mi aveva neanche lasciato godere, non me l'aveva permesso. Anche il mio piacere era diventato suo, non avevo potuto sentirlo. Volevo, ne volevo anch'io. Mi alzai. Cominciai a toccarmi, davanti allo specchio. Si aprì la porta del bagno. Entrò lei, la bambola di porcellana. Mi guardò, sofferente, con un lampo di eccitazione negli occhi. Mi toccò, mi baciò. Mi servii di lei, la usai per me. Ci sistemammo i vestiti, uscimmo dal bagno. Lui ci venne incontro. Andammo via insieme.
Maria Cristina Impagnatiello
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Giuditta N° 2 Giulia è fuori
di Gilo
Nell’era del voyeurismo più spudorato, difficilmente siamo disposti a guardare oltre la superficie delle persone.
Giulia
ha cinquant'anni, vive in una villa di duecento metri quadri, un marito e tre figli che frequentano l'università. E' la mia collega di turno. Quando lavoriamo insieme, telefona e telefona ai tre ragazzi, a sincerarsi che stiano bene, che non facciano troppo tardi la sera quando escono, che abbiano soldi a sufficienza, che tutto sia a posto. Io la prendo in giro, le chiedo se mai i suoi figli l'abbiano mandata a quel paese o abbiano sbottato: "Mamma, hai rotto le balle!" Giulia non se la prende per la mia invadenza, anche perché ci conosciamo e tolleriamo a vicenda da un paio di anni, risponde invece tranquilla: "No, non l'hanno mai fatto… E perché dovrebbero poi rispondermi così?", come se fosse la cosa più naturale del mondo tempestare di telefonate i figli neo-postadolescenti senza riceverne in cambio qualche staffilata di quando in quando. Ogni volta che chiama, io la sbeffeggio un po'. Un paio di volte Antonio, quello a cui telefona più spesso, quello con cui, mi spiega lei, ha un feeling più immediato che con gli altri, ho sentito che sbottava: "Ma cosa vuole quel coglione??", e quel coglione ero io. Giulia rideva, mentre Antonio aggiungeva:
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Giuditta N° 2 "Senza offesa, eh, digli che scherzo", anche se non so quanto stesse davvero solo scherzando. Pomeriggio dopo pomeriggio, ma soprattutto sera dopo sera dopo sera, il caravanserraglio di telefonate procede ininterrotto, stessi toni, stessi motti, stesse rassicurazioni, stesso rispetto assoluto dei figli per la madre. Alle volte mi sono chiesto da dove derivasse quel loro rispetto incondizionato, e se davvero fossero solo senso di rispetto e vicinanza affettiva con la madre a far sì che quei ragazzi mai si mostrassero scocciati, mai evitassero di rispondere alla chiamata, alle numerose chiamate tempestanti. Un paio di settimane fa ero di turno il pomeriggio. Salgo in reparto, ma Giulia non è ancora arrivata, ed è strano perché di solito è lì prima di me. Così chiedo di lei. "Come?! Non sai nulla?!", chiede stupita Serena. "E cosa dovrei sapere?", faccio io. Così mi raccontano: Giulia era arrivata al lavoro, il giorno prima - turno straordinario - tranquilla (fintamente tranquilla?) e scherzosa come sempre. Era stata vista conversare serenamente col portiere, poi entrare nello spogliatoio per cambiarsi. Eppure in reparto non era mai salita. Al suo posto era arrivata una telefonata (che mi era stata descritta come semi-delirante) nella quale Giulia, agitata, affermava concitata che doveva andar via, che non sapeva quando, e nemmeno se, sarebbe tornata, in ogni caso si sarebbe fatta viva lei.
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Giuditta N° 2 Durante quella sua settimana di assenza a volte qualcuno mi ha chiesto di lei, ma davvero non sapevo cosa potesse essere successo, né avevo avuto l'ardire di chiamarla - non volevo essere invadente - solo qualche sporadico sms; nei suoi accludeva rassicurazioni che stava bene, orrore per lo schifo del mondo, fastidio per la falsa premura di alcune colleghe, più interessate al gossip in quanto tale che davvero partecipi alla problematicità della vicenda umana. Finalmente ci siamo rivisti, turno di notte. Terapia delle 21, sistemazione dei pazienti per il riposo, poi ci fermiamo in cucina a mangiare qualcosa. Preparo la pizza: ho portato le basi, che guarnisco, poi cuocio il tutto nel fornetto elettrico del reparto. Un goccio di birra e, non so se per quello, la lingua di Giulia si scioglie, come mai aveva fatto prima. Io non oso chiedere, non sono fatti miei, e poi il posto di lavoro non è certo il luogo migliore per delle confidenze. Ma è lei a esordire con: "Vuoi sapere?"; io annuisco, sorpreso della sua disponibilità e voglia di raccontare. Dopo che si era cambiata, già in divisa da infermiera, l'avevano chiamata da casa. Era uno dei figli, per metterla al corrente di quanto appena accaduto: il padre era entrato in casa mollando la porta alle spalle, non accompagnandola, così che il meccanismo di chiusura automatica l'aveva fatta sbattere.
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Giuditta N° 2 Riccardo, il più piccolo, si era lamentato, gli aveva chiesto di stare più attento la prossima volta. Ne era nato un putiferio. Antonio si era mosso a difesa del fratello, semplicemente dandogli ragione. A quel punto il marito aveva scagliato una forchetta contro di lui, che per evitarla aveva sbattuto violentemente la testa contro la cappa di cucina, quindi era caduto a terra, svenuto. Non ancora pago, il marito aveva afferrato un piatto e glielo aveva fracassato sulla testa, quindi aveva imboccato la porta di casa, come ogni altra volta che qualcuno aveva osato offendere il suo orgoglio di padre-padrone. Resto sbigottito dal racconto di Giulia. Lei prosegue, e mi racconta anni e anni – decenni – di sofferenze, inseguimenti per conto terzi, caffè corretti alla droga, anoressia, avversione totale del marito nei confronti di Antonio, il più grande, il più responsabile, quello con cui Giulia ha un feeling più immediato. Il tutto nell'indifferenza più totale delle istituzioni, nell'impossibilità a trovare ascolto o aiuto da parte di qualcuno, nelle difficoltà a lasciare quell'uomo, perché "poi chi mi campa, con tre figli a carico?" e per le ritorsioni che teme di poter subire. Ecco cos'era, quella strana cosa che correva tra lei e i figli. Solidarietà tra vittime dello stesso regime. E un inevitabile, assoluto rispetto reciproco. Solo loro conoscevano fino in fondo l'inferno condiviso.
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Giuditta N° 2 E solo tra loro quel legame poteva essere così tenace, saldo, difficile da intaccare. Come uno dei figli avrebbe mai potuto esordire con un: "Mamma, m' hai rotto i coglioni"? Come avrebbe mai potuto anche solo osare pensare d'interrompere, pur se solo per lo spazio di un minuto, quel sodalizio che la vita ha così inevitabilmente sancito? Alla fine del racconto di Giulia mi sono vergognato. Con quale leggerezza avevo sparato i miei giudizi su di lei, con quale superficialità l'avevo a volte etichettata come "fuori di testa", con quale boria noncurante l'avevo spesso incitata a trovarsi un bravo terapeuta… E quanto spesso il nostro giudizio arriva prima di una vera, profonda conoscenza dell'altro, noncurante della storia che magari si porta dietro, delle ferite che non vediamo, ma che indelebilmente ne segnano l'anima. Come siamo bravi a imbastire trame nelle quali alla fine salviamo solo noi, e forse pochi altri, a giustificare solo la nostra di esistenza, mentre di tutti gli altri siamo solo buoni a vedere quanto sbagliano, quanto sono fuori di testa, quanto irrimediabilmente fatti male. Cavolo, questa nostra piccola testa, sempre così brava a giudicare, così pronta a tagliare, così solerte a fissare, separare, cristallizzare quei suoi piccoli, definitivi pensieri…
Gilo
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Giuditta N° 2
PARALLELI Arte e poesia allo specchio Luca Saverio Beolchi “Mi chiamo Luca Saverio Beolchi, ho 29 anni. Ho fatto il liceo scientifico, studiato pianoforte e chitarra al centro professione musica. Filosofia all'università Statale di Milano. Ho fatto 4 personali e più di trenta collettive. Spesso dipingo dal vivo in alcuni locali di Milano e Alessandria, a volte in teatro. Hanno scritto di me e pubblicato miei lavori Kult, Glamour, Il Piccolo, il Corriere della Sera, 24minuti, la Repubblica. Sono il direttore di Lobodilattice. Disegno copertine e locandine per gruppi indie rock. Amo l'illustrazione. Scrivo parecchio. Mi capita di esser pubblicato su libri di poesia che non legge nessuno e riviste dove si guardano prevalentemente le immagini. Ho uno scooter. Coordino progetti di contaminazione urbana legati alla frangia militante più underground dell'arte contemporanea. Una mia canzone è stata disco del giorno in radio. Un mio poemetto onirico è stato usato per lo spettacolo ACTO di J.D.P. Lopez. Ho customizzato il PRIMO modulo dei ventiduemila del wiki PUZZLE4PEACE. Sovente sono un cattivo attore per cortometraggi e video clip indipendenti. Muovendomi tra latte di vernice e pennelli, persuasione e retorica, bytes e sistemi operativi, mi piace pensare di camminare su una linea dell'orizzonte immaginaria.”
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Giuditta N° 2
Alba senza sonno, si spoglia il fiore – Ls B
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Giuditta N° 2
Il pianoforte è allegro e sedicente. la canzoncina di ofelia. C'è anche il trombone. Quando scrivere ricorderà qualcosa. Chi ha fatto guerra alle parole con le parole è stato sconfitto. Trovarsi qui è il segno della perdizione Una pozzanghera nel vissuto quotidiano che si trasforma in lago poi in fiume e sfocia nel mare l'oceano della perdizione il tempo smarrito e la vita sciupata il silenzio dopo la morte …
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Giuditta N° 2
Alba senza sonno, il fiore lucertola – Ls B
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Giuditta N° 2
… Verde nei polmoni le montagne con l'assenza di doveri, la libertà dell'animale allo stato brado chiusa nella gabbia del vivere sociale, la scatola degli uomini dello Stato, delle responsabilità
…
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Giuditta N° 2
MR Kaufmann – Ls B
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Giuditta N° 2
… e la successione, la continuità i martelli giganti con le gambe, che seminano il panico nelle città oniriche, I ragni velenosi le coccinelle spietate gli eserciti di formiche e tutti i potenti dell’ universo in perenne guerra tra loro per sopravvivere per mangiarsi secondo le regole di Dio.
Luca Saverio Beolchi
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Giuditta N° 2
F.A.Q. Le nostre domande, le vostre risposte
Gilo Giovanni Carbone & Andrea Siniscalchi Orodè Claudia Amadesi Maria Cristina Impagnatiello Luca Saverio Beolchi
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Giuditta N° 2 "L'arte è la menzogna che ci permette di conoscere la verità." (Pablo Picasso)
L’arte dello scrivere è forse la menzogna che permette all’artista, e a lui soltanto, di ricostruire la propria verità?
Mi trovo spesso ad essere sconcertato da
quanta mancanza di verità ci sia in giro o, forse più propriamente, di ricerca di verità. Si vive in una specie di limbo, all'interno del quale mai è dato di mettersi in gioco fino in fondo, fino al coinvolgimento della propria radicalità. Mi riferisco ad una radicalità che non sia solo di maniera o di pura facciata, ma profondamente insita in quell’indefinito mai univocamente definibile che è la natura umana. “La verità vi renderà liberi", diceva Gesù, ma è solo ricercando la verità personale, rispetto a se stessi, che si può poi aspirare a ricercare quella interindividuale (sociale, politica). Immagino che Picasso, nella sua frase, si riferisse a una dimensione (e forse a una missione) eminentemente politica dell'arte e, poco più a monte, al processo stesso di creazione artistica. In questo tipo di movimento e di ricerca si è spesso soli, "più raro con un unico compagno", ma
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Giuditta N° 2 niente conta come la verità, nulla come il fine del perseguimento dell'onestà. Si tratta di un tipo di coraggio che spesso manca in una società come la nostra (mi riferisco in particolare a quella italiana), nella quale sembra sempre che tutti gli scogli debbano essere appianati, che su tutto ciò ch'è scomodo si debba chiudere un occhio, o anche due, fare finta che non esista. Lungo questo percorso sovente la cultura si arena e inaridisce, non facendo che divenire convenzionalità pura o mero esercizio scolastico. E l'intellettuale, insieme con lei, finisce per ristagnare in un palustre autocompiacimento narcisistico, privo di radice, quindi di radicalità, e di un reale carnale e incarnato movimento liberatorio. Quando proprio il movimento è ciò che più conta. Il viaggio più della meta. La tensione più dell'arrivo. Lo sforzo conta sopra tutto. Uno sforzo fiducioso nel fatto che prima o poi qualcosa arriva, ma sforzo mai concluso, sempre pronto a ripartire, perché quando ti adagi sei morto, alla fine non esisti più, se non in forma di simulacro vivente di un te stesso ormai passato; come un'attempata diva, attaccata con le unghie e con i denti ai bei tempi che furono, imbalsamata in silicone e botulino, ma con un orrore infinito negli occhi.
Gilo
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Giuditta N° 2 "L'arte ha bisogno o di solitudine, o di miseria, o di passione. E' un fiore di roccia che richiede il vento aspro e il terreno rude.“ (A. Dumas)
Può l’artista essere felice? Oppure egli è chiamato nella vita a scegliere tra la propria arte e la felicità?
E’ indiscutibilmente vero che nel mondo dell’arte le migliori creazioni derivino dall’elaborazione del sofferto, dalla contemplazione del dramma, della piattezza dell’esistenza. Tuttavia non è l’arte a portare sofferenza, ma la sofferenza a portare all’arte. Noi stessi, nella nostra opera, lanciamo il nostro grido di disperazione, il nostro grido di ribellione alle banalità di questa società; c’è da dire però che noi non ci lasciamo trafiggere e avvilire dalle sofferenze, ma lottiamo, ed è questa stessa lotta che ci apre uno spiraglio, una alternativa al dolore, perché lo stesso lottare ci pone in una condizione di orgoglio per noi stessi. Essere fieri della propria resistenza, della propria eroicità nei confronti della vita è pur sempre una forma di felicità. Forse dovremmo solo fermarci ogni tanto per capire che è li a portata di mano, mentre noi la lasciamo passar via indifferenti.
Giovanni Carbone & Andrea Siniscalchi
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Giuditta N° 2 "L'arte consiste nel fare qualcosa di nessun valore e in seguito di venderla." (Frank Zappa)
Arte e mercato costituiscono un autentico conflitto?
Arte
e mercato costituiscono un autentico conflitto! Pressappoco grande quanto quello che c’è tra ideale e reale o tra sogno e realtà. La mia arte è dovuta ad una mancanza troppo grande che diviene eccedenza e per cui il denaro non può essere una consolazione. L’assoluto che inseguo con l’arte, la fuga dal tempo che mi permetto con l’arte sono di una bellezza indescrivibile, sono la mia guarigione dalla noia, dalla solitudine, dal non sense che ho intorno, sono il mio tempo che non regalo a nessun traditore. Sono i graffiti che lascio. Il mercato è un usuraio, un commensale alla tavola dell’arte, ma l’artista intanto dov’è? L’artista è a respirare nelle sue opere. Il mercato attuale dell’arte è un bubbone virulento di una società degenerata, rotta. Ci sono troppi artisti famosi che fanno il gioco dei potenti, creando ulteriore confusione. Per me la bellezza è tutto!
Orodè Orodè
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Giuditta N° 2 "Che cos'è l'arte se non un modo di vedere?“ (Thomas Berger)
Che cosa riesce a vedere l’artista che sfugge invece allo spettatore dei suoi quadri? E’ opportuno considerare l’artista come un mediatore tra il mondo e le persone?
Più
che un mediatore, è colui che ci comunica il suo pensiero attraverso l’espressione visiva. Non è detto che l’artista interpreti in modo logico e corretto il mondo; lo trasforma in astratto, lo vanifica, lo peggiora, lo distrugge e allora perché considerarlo un mediatore? Sono più del parere che l’arte sia un modo di “essere”, trasformata in “vedere” per l’artista stesso e per gli altri. Sentirsi appagato per qualcosa che ha dipinto, per l’artista, va oltre tutto il resto, senza riserve. Il dipinto è il suo io interiore, è la comunicazione del suo stato, del suo divenire. Non sempre può essere capito; il giusto compromesso sarebbe quello di trovare un modo di comunicare agli altri senza canoni e restrizioni, dal momento che, quando lo spettatore si limita alla visione d’insieme, ecco che gli sfugge il senso.
Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2 “Ho voluto la perfezione e ho rovinato quello che andava bene.” (Claude Oscar Monet)
E’ mai possibile per l’artista considerare una propria opera compiuta?
Credo
che un’opera possa considerarsi compiuta solo nella sua prima versione, nel momento stesso in cui essa prende vita, quando l’autore riesce a dare una forma fisica e materiale alla sua idea, ai suoi pensieri. Ma non appena l’autore si accinge a modificarla, a correggere qualcosa che fino a quell’istante era stata spontanea ed autentica, essa diverrà eternamente incompiuta. Un’opera non sarà mai perfetta agli occhi del suo creatore, ma diverrà costantemente perfettibile, soggetta a continui miglioramenti, che andranno a rovinare e a contaminare l’idea pura originaria, fornendo ogni volta un significato nuovo rispetto a quello precedente, arricchendo sempre più il concetto primario, e spesso rovinando il risultato finale. Per questo motivo si dovrebbe evitare il più possibile qualsiasi modifica, inserendola solo ove necessario, ma soprattutto sarebbe bene dar vita ad un’idea solamente quando si è del tutto consapevoli di ciò che si intende creare.
Maria Cristina Impagnatiello
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Giuditta N° 2 "L'arte deve disturbare, la scienza deve rassicurare." (Georges Braque)
E’ legittimo porre un limite all’arte, stabilire un grado di “decenza” oltre il quale essa non possa spingersi? Il bisogno di limitare l’arte è tipico della società borghese o proprio della natura umana?
Il
limite è una questione morale. Ogni società ha la sua. Ogni società giudica indecente e peccaminoso qualcosa di differente. Da sottolineare è la mancanza di assoluto. Il bisogno di limitare in generale, non solo l’arte, è tipico della natura umana. Io credo che l’arte non debba necessariamente disturbare e che la scienza non sia per niente rassicurante. L’arte deve illudere, deve farlo profondamente, con la stessa intensità compenetrante che ha, su certe anime, la religione. La scienza invece, a possederla, è l’oblio oltre il limite.
Luca Saverio Beolchi
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Giuditta N° 2
GRAZIE Grazie a tutti i meravigliosi artisti con i quali ho avuto la fortuna di collaborare: Elena Montiani, Marcella Campo, Angelo Mazzoleni, Alessandro Passerini, Anna Madia, Orordè, Stefano Bonazzi, Claudia Amadesi, Giovanni Carbone e Andrea Siniscalchi, Glitterball, Sandra Carresi, Ana, Nikirai, Maria Cristina Impagnatiello, Luca Saverio Beolchi. Grazie agli altri membri del “Team Giuditta”: MrMagic (consulenza, revisione) Franziska (consulenza)
Amaranto
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Giuditta N°3 uscirà il 22/09/2008
Ti aspettiamo!
Giuditta N째 2