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L’irrazionalità della pena di morte /Filosofia del Diritto

L’IRRAZIONALITÀ DELLA PENA DI MORTE

di Vincenzo Ceruso

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La storia dei diritti umani è anche la storia della progressiva conquista di territori ignoti. Ciò che un tempo sembrava naturale, è divenuto col tempo orribile. Ciò che appariva immutabile, è divenuto intollerabile. Scriveva nel 1930 Bertolt Brecht:

Avete ascoltato e avete veduto / Ciò che è abituale, ciò che succede ogni giorno. / Ma noi vi preghiamo: / Se pur sia consueto, trovatelo strano! / Inspiegabile, pur se normale! / Quello che è usuale, vi possa sorprendere! / Nella regola, riconoscete l’abuso / E dove l’avete riconosciuto / Procurate rimedio!

(1)

È la stessa tensione ideale che ha portato all’abolizione dei manicomi e, si spera, porterà un giorno al superamento dell’istituzione carceraria come la conosciamo (2), o quantomeno verso una sua ulteriore “evoluzione da luogo dell’esclusione a città della riabilitazione” (3).

Pensiamo allo schiavismo. O alla pena di morte. Il grande filosofo Emmanuel Lévinas ci ha ricordato come “gli imperativi biblici: «tu non ucciderai» e «amerai lo straniero», attendessero da millenni l’ingresso dei diritti, legati all’umanità dell’uomo, nel diritto giuridico primordiale della nostra civiltà” (4). È una tensione che si nutre dell’idea per cui l’individuo non perde, in nessun caso, la propria dignità, ed è responsabilità di ciascuno, prima ancora che dello Stato, tutelarla.

Ragioni dell’umanità …

La pena di morte si manifesta nel mondo come suprema espressione della sovranità statale. Ma gli Stati del mondo globale non sono gli unici soggetti che detengono il monopolio della violenza. Al contrario, le mafie e le diverse forme di terrorismo ricorrono alla pena capitale, nel momento in cui contendono ai governi il controllo del territorio. È vero in Stati fragili come il Messico o molti paesi africani, ma lo è anche in democrazie consolidate, dove la criminalità organizzata trova ampio spazio.

La violenza si sviluppa in territori sempre più vasti, per cui si diffonde il ricorso alla pena di morte extragiudiziale.

Giulio Regeni conduceva una ricerca in Egitto sul sindacato degli ambulanti, per l’Università di Cambridge. Il giovane studioso friulano venne rapito il 25 gennaio del 2016, da uomini rimasti ignoti, come ignoti sono rimasti i mandanti del rapimento. Il suo corpo venne ritrovato il 3 febbraio, alla periferia del Cairo. Il cadavere mostrava i segni inequivocabili delle torture: “Tutto il male del mondo si è riversato su lui”, ha detto la madre di Giulio. Dopo diversi tentativi di depistaggio e la mancanza di una concreta collaborazione da parte dell’Egitto, la Procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati cinque uomini dei servizi di sicurezza egiziani.

In quel prezioso libro che è L’età dei diritti, Norberto Bobbio ha posto in termini chiari la riflessione odierna sui diritti umani: “Il problema di fondo relativo ai diritti dell’uomo è oggi non tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli. È un problema non filosofico ma politico” (5).

Ma proprio al fine di ottenere una maggiore tutela dei diritti fondamentali, sentiamo come non sia un esercizio inutile rivolgersi ad un’opinione pubblica i cui anticorpi, rispetto alla pena di morte, appaiono sempre più deboli. Invocare la morte come pena, fino a qualche tempo fa, era impensabile nel discorso pubblico. Oggi non ci si sottrae a questa forma di retorica che, mutuando una definizione ormai nota, possiamo definire come discorso d’odio. Non è irrazionale continuare ad inoculare nel corpo sociale dosi di violenza verbale sempre più massicce? Tutto questo non finirà con il ritorcersi contro quegli stessi soggetti politici, che pretendono di governare paesi in cui è sempre più deteriorato il concetto di Stato di diritto?

Senza una cornice di regole condivise, che tutelino i diritti dell’individuo, la stessa sovranità statale è destinata a lasciare spazio ad una violenza incontrollata. Quanti abbracciano questa prospettiva citano spesso, a sproposito, alcuni testi dell’Antico Testamento. Ma il Dio vendicatore di cui si parla è colui che interviene, per ristabilire la giustizia e ripagare adeguatamente le azioni degli uomini 6 , non è colui che risponde ai propositi violenti e arbitrari di quanti ritengono di aver subito un torto.

… e ragion di Stato

Occorre porre argini sempre più stretti a quella che Papa Francesco ha chiamato efficacemente “demagogia punitiva” (7), perché non invada del tutto il campo del discorso politico.

In questa ottica, la cultura della pena di morte viene nuovamente legittimata “per purgar l’infamia” (8) e l’essere umano è ridotto a puro mezzo, instrumentum laboris, per ottenere sicurezza, informazioni e in difesa del corpo sociale da minacce vere o presunte, secondo una visione che ha acquistato autorevolezza nel mondo post 11 settembre.

Il risultato di questa concezione dell’uomo, portata alle estreme conseguenze, sarebbe un nuovo totalitarismo.

Stati di recente formazione sembrano avere finalmente compreso quanto il ricorso alla pena di morte, nel lungo periodo, non sia funzionale al consolidamento delle istituzioni.

Ministri della Giustizia e rappresentanti di 22 Paesi che sono abolizionisti della pena capitale, insieme a Paesi mantenitori si sono riuniti recentemente alla Camera per il convegno internazionale “Per un mondo senza pena di morte”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio (9).

Si è discusso come giungere all’abolizione definitiva della pena capitale – molti paesi sono abolizionisti de facto, ma non de iure – e ad un contrasto maggiore alle esecuzioni extragiudiziali, quali i linciaggi, incentivati dal diffondersi del linguaggio di odio. Il clima dei lavori è stato comunque ampiamente positivo, soprattutto se si considera la lotta alla pena capitale in una prospettiva storica. Nel 1975 solo 16 paesi avevano abolito la pena di morte, mentre nel 2018 l’equilibrio è rovesciato e solo 23 Stati hanno condannato loro cittadini alla pena capitale.

Politici e uomini di governo avveduti hanno compreso come le ragioni dei diritti umani possano e debbano coincidere con le ragioni dello Stato moderno. Citiamo ancora una volta Emmanuel Lèvinas: “Bontà per il primo venuto, diritto dell’uomo. Diritto dell’altro uomo prima di tutto” (10).

L’altro mi obbliga. Mi comanda. Questo comando interpella anche lo Stato.

Vincenzo Ceruso: Saggista - Comunità di Sant'Egidio

Massachusetts State House, Boston, USA 1993. 250 delegati di Amnesty International da tutto il mondo manifestano contro la pena di morte

© Amnesty International

Note:

1 - H Mayer, Brecht e la tradizione, Einaudi, Torino, 1973, p.123.

2 - Si veda AA. VV., Abolire il carcere. Una ragionevole proposta per la sicurezza dei cittadini, Chiare lettere, Milano, 2016.

3 - L. Zevi, Lo spazio e il carcere, in Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, Relazione al Parlamento 2019, p.54.

4 - E. Lévinas, Tra noi, Saggi sul pensare all’altro, Jaca Book, Milano, 1998 op. cit., p.248.

5 - N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino, 1990, p.16.

6 - A. Spreafico, Da nemici a fratelli, San Paolo, Milano, 2010, p.130.

7 - Discorso del Santo Padre Francesco ai partecipanti al XX Congresso mondiale dell’associazione internazionale di diritto penale, 15 novembre 2019, p.3. http://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/ papa-francesco_20191115_diritto-penale.html

8 - A. Manzoni, Storia della colonna infame, Newton & Compton, Roma, 1993, p.56.

9 - https://www.santegidio.org/pageID/30284/langID/it/itemID/33420/Prepariamo- la-strada-sconfiggiamo-l-odio-Il-29-novembre-il-XII-Incontro-Internazionale-dei- Ministri-della-Giustizia-per-un-mondo-senza-pena-di-morte.html

10 - E. Lévinas, Tra noi, op. cit., p.248.

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