La valorizzazione delle economie etiche

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Francesco Di Iacovo

L’evoluzione

della produzione e del consumo di alimenti

L’accesso al cibo, la sicurezza e la stabilità alimentare, sono centrali per assicurare diritti alle persone, al di là delle loro condizioni economiche, sociali, culturali ed etiche. La produzione di cibo, da sempre un atto delle comunità contadine, nella modernizzazione del Paese e con l’ingresso nella CEE, è stata guidata dalle politiche comunitarie e dai mercati europei. La riforma Mac Sharry, sotto le duplici pressioni della crisi della qualità alimentare e dei partner internazionali, ha facilitato:

• l’apertura dei mercati su scala globale e l’allungamento delle filiere divenute dipendenti da forniture di materie prime spesso geograficamente distanti dai luoghi di consumo;

• un ripensamento dei processi di produzione e consumo, a favore di qualità garantite (BIO, DOP, IGP) per rispondere a consumatori divenuti più esigenti e di aziende aperte ai nuovi mercati.

Entra in campo la multifunzionalità

La riforma Mc Sharry apre il dibattito sul modello agricolo europeo e sulla multifunzionalità che i processi agro-zootecnici possono realizzare, tra cui:

• privati, con la produzione e vendita di alimenti su mercati;

• pubblici, di segno positivo (o negativo) in campo ambientale/sociale, secondo le scelte tecniche/organizzative adottate.

Un processo agro-zootecnico può generare esiti pubblici positivi o esternalità negative in campo:

• ambientale:

- esternalità negative, se i processi semplificano i paesaggi, generano impatti sull’ambiente e sulla salute, riducono biodiversità o sfruttano gli animali;

- beni pubblici, quando sono salvaguardate o assicurate risorse ambientali, paesaggi, biodiversità vegetale o animale, rispetto e benessere degli animali.

• sociale:

- esternalità negative, quando il lavoro è sfruttato, non correttamente contrattualizzato, sono espropriati diritti di comunità e limitato l’accesso a risorse;

- beni pubblici, quando si facilita l’inclusione di persone a bassa contrattualità, lavoro per persone in difficoltà lavorativa o giovani, servizi innovativi per le comunità.

Modelli agricoli e l’emergere

dell’etica

Oggi, al tema del cibo si legano nuove questioni legate ai modelli produttivi adottati che, per semplicità, distingueremo tra:

1. un modello di agricoltura intensiva e di scala aperto alla competizione dei mercati internazionali, su filiere spesso lunghe, dove i margini operativi si riducono continuamente (se l’aumento dei prezzi dei fattori supera quella dei prodotti offerti). Questo modello trae stabilità di convenienza dal continuo efficientamento tecnologico o delle economie di scala produttiva. Se questo non si realizza, la necessità di ridurre i costi può scaricarsi su ambiente/animali e persone con esternalità negative. Le normative ambientali, sociali, igienico-sanitarie e gli organismi pubblici di controllo deputati, in funzione della loro capacità di controllo, dovrebbero prevenire comportamenti sotto gli standard normativi;

2. Un secondo modello, di agricoltura etica e civica, caratterizzato dalla capacità di assicurare, accanto al cibo, esiti positivi di multifunzionalità in campo ambientale e sociale a supporto della prosperità dei sistemi locali. In questi casi, uscire dalla competizione aperta, riorganizzare i mercati in chiave più diretta per controllare il valore creato e rapportarsi con istituzioni e politiche locali, oltre che con consumatori consapevoli, diventa cruciale per riconoscere i beni pubblici prodotti.

Ogni modello produttivo sottintende attitudini imprenditoriali proprie:

1. nel primo l’esito economico privato in una logica profit prevale.

2. Nel secondo, l’impresa vive in modo aperto e completo il proprio legame con la società e il sistema locale con cui entra in sintonia per vedere riconosciuto il proprio impegno.

Il secondo modello non trova riscontro nei mercati tradizionali che, oggi, non riconoscono i beni pubblici offerti dalle imprese agricole in modo chiaro. Per affermarsi, invece, ha bisogno di nuove triangolazioni tra mercato, politiche pubbliche e reputazione/visibilità aziendale tra i consumatori, tali da riconoscere i beni privati e quelli pubblici assicurati al sistema locale. Il modello di agricoltura etica e civica realizza beni privati e pubblici attraverso un cibo civile © (copyleft UniPisa-Coldiretti Torino) che -al pari di uno smartphone- dispone di più applicazioni: alimentari, economiche, ambientali e sociali utili per la collettività.

La scelta tra modelli implica crescenti livelli di responsabilità da parte di molti -imprese, istituzioni, cittadini- e il diffondersi di nuove etiche di comportamento individuali e collettive.

Le imprese organizzano i processi e le proprie scelte pensando a produrre beni pubblici ambientali e sociali e subordinandone la realizzazione alla sostenibilità economica.

Alle istituzioni, riconoscere beni pubblici prodotti nell’agricoltura etica e civile, richiede riorganizzazione e, accanto ai tradizionali meccanismi di controllo, di avviare sentieri di innovazione sociale e istituzionale, creare nuove politiche (vedi il dibattito su urban food policy, politiche territoriali e welfare ecologico) e partenariati (pubblici-privati-cittadini), con l’intento di generare coordinate (frame concettuali e incentivi) utili per co-produrre cibo e servizi, ambientali e sociali.

Anche le comunità e i consumatori devono modificare le proprie visioni, percependo i vantaggi che un modello capace di co-produrre cibo e beni pubblici può portare nel quotidiano e riorientando le scelte di consumo a favore di aziende che adottano processi e scelte convergenti.

L’organizzazione delle coordinate utili per l’agricoltura etica e civile richiama a principi etici nuovi e alla consapevolezza che la coproduzione di beni pubblici e privati sia responsabilità di tutti.

Prosperità del sistema locale, una nuova visione

Ma perché oggi abbiamo bisogno di economie civili e di una nuova etica del consumo, oltre che di produzione? La dichiarazione di Cork del 2016 nell’art. 1 richiama le opportunità che una agricoltura capace di co-produrre beni pubblici positivi assicura al sistema locale. Il tema della prosperità (Jackson 2009) supera la logica dello sviluppo economico e guarda all’esigenza di generare comunità stabili e resilienti alle sfide in essere, grazie all’organizzazione di processi, imprese e sistemi capaci di assicurare, allo stesso tempo, benessere economico, relazioni sociali e risorse ambientali, oggi divenute più scarse.

Il modello dello sviluppo economico vedeva la crescita di imprese e mercato alla base della produzione della ricchezza economica. Quest’ultima, tramite leva fiscale, era in parte trasferita allo Stato per assicurare politiche redistributive (per reddito, istruzione, welfare, salvaguardia e ripristino ambientale). Il modello era basato su un prima (l’azione del Mercato) e un dopo (l’azione dello Stato) e sul forte rapporto tra la crescita imprenditoriale e la costruzione del benessere locale. La piena pratica di questa visione vive oggi più impedimenti, quali: la concentrazione economica in poche imprese capaci di condizionare i mercati e le stesse norme; la crisi fiscale degli Stati conseguente la mobilità e le scelte di elusione/evasione fiscale dei privati; il fatto che il modello abbia trascurato i rischi connessi agli impatti ambientali.

Oggi, guardare con fiducia al futuro, richiede modelli capaci di generare risposte utili alle crisi ambientali e sociali in atto e allargare lo spazio di vita quotidiana (Raworth 2017). In quest’ottica, la capacità di co-produrre, qui ed ora, beni privati e pubblici, rappresenta un’utile chiave di innovazione. Il cibo, la scelta dei modelli produttivi da privilegiare, le scelte di consumo, nuovi patti locali tra imprese consumatori e istituzioni in una chiave etica, possono creare più alti gradi di prosperità ai sistemi locali e ai loro abitanti, ora.

Le scelte alimentari hanno un impatto sempre più chiaro, tanto sul benessere dei consumatori, quanto sui luoghi vissuti come cittadini. Il cibo capace di co-produrre beni privati e pubblici (reddito e risorse ambientali e sociali) è una frontiera per il futuro delle comunità e per la loro stabilità e nasce dalla capacità di ripensarsi, tessere nuove relazioni e co-disegnare nuove soluzioni.

L’esempio delle produzioni animali

Ragionare sul caso, molto discusso, del consumo di prodotti di origine animale, aiuta ad analizzare quanto descritto. Le ragioni alla base del confronto sono etiche, ambientali, culturali, tutte rispettabili. Spesso, però, il confronto tra contro/pro il consumo di carne/latte non valuta i modelli produttivi da cui essi originano. I modelli intensivi e di scala (grandi numeri di animali disconnessi dalla produzione degli alimenti), sono sempre più dipendenti da filiere lunghe di approvvigionamento e operano con margini economici spesso talmente bassi da creare pressioni sfavorevoli su natura (impatti ambientali, deforestazione, consumi di risorse non rinnovabili), animali (riduzione della biodiversità, sfruttamento e mancato rispetto degli animali e della loro etologia) e persone, talvolta sottopagate e con contratti non regolari. Modelli che non rispettano le condizionalità ambientali e sociali del sistema

dell’UE. Allo stesso tempo, la competizione su mercati aperti genera il confronto con sistemi con regole assai diverse di altri Paesi. La leva tecnologica e l’efficienza produttiva può scontrarsi con il benessere degli animali o generare nuovi problemi (vedi antibiotico resistenza).

La vulnerabilità di questo sistema è sempre più evidente, per il cambiamento climatico, per gli impatti sull’ambiente, come per la dipendenza dai mercati mondiali degli alimenti, sempre più instabili e scarsi. Basti pensare che la produzione zootecnica italiana, tra le più intensive in Europa, è concentrata all’85% in Pianura Padana, un’area insufficiente per assicurare gli alimenti necessari, esposta a crisi ambientali (gas serra e inquinanti derivanti dalla presenza di tante attività -civili, agricole e industriali- in spazi fisici ridotti) e cambi climatici che mettono a rischio la stessa continuità dell’allevamento nazionale. Di contro, aree naturalmente vocate alla zootecnica (vedi i pascoli in quota) vivono abbandono, delle produzioni e dei territori, ed oggi versano in una crisi ambientale e sociale verticale. In queste aree, un allevamento, capace di co-produrre biodiversità, gestione del territorio, uso corretto di risorse senza altro destino produttivo, in zone a bassa intensità di inquinanti, acquista una dimensione etica e civica nuova da incoraggiare e accompagnare con specifiche missioni pubbliche di intervento. Missioni in cui pubblico-privato-consumatori e cittadini sanno aprire un dialogo e una collaborazione nuova per ridisegnare gli assetti utili per creare nuovi insediamenti di persone e di attività, riconoscere e accompagnare le funzioni di gestione ambientale e creare le risorse sociali necessarie. In ogni caso, anticipazione, apertura e gestione della transizione sono una necessità per facilitare il cambiamento utile per contenere i rischi per tutti.

La dimensione sociale della multifunzionalità

L’UE, con la multifunzionalità agricola e con gli ecoschemi ha dato evidenza ai temi ambientali. La programmazione UE 21/27 ha introdotto il tema della condizionalità sociale nei processi agricoli per assicurare rispetto dei diritti dei lavoratori alle aziende agricole che accedono alla PAC. La condizionalità sociale rappresenta una sensibilità nuova e, anche, una spia di allarme delle difficoltà che in agricoltura si incontrano nel reperire lavoro, e lavoro regolare, a fronte di crescenti flussi migratori. Filiere del cibo molto competitive, convenienze economiche basse, facilitano la ricerca di margini sul fronte dei costi, tra cui quelli del lavoro, aprendo a possibili fenomeni di sfruttamento (esternalità negative) che intaccano le relazioni sul territorio, facilitano

le agro-mafie, erodendo diritti e prosperità. I consumatori diventano, così, complici inconsapevoli di processi di sfruttamento delle persone, come già dell’ambiente. Siamo qui su un crinale scivoloso, anche nelle produzioni più ricche, come quelle del vino, dove i fenomeni di caporalato stanno entrando in modo diffuso. A rischio è la reputazione dei prodotti come dei territori e del cosiddetto Made in Italy alimentare.

In campo sociale, oltre al rispetto dei diritti dei lavoratori, è possibile valorizzare le risorse delle aziende agricole (processi, strutture, le persone presenti) per assicurare servizi innovativi per persone a bassa contrattualità o per le comunità locali, come indicato dalla LN, 141/2015 sull’agricoltura sociale (AS) (recepita nel 2023 con LR in Toscana). La legge nazionale, in risposta ad una crisi dei servizi alla persona nelle aree rurali, alla difficoltà di assicurare ricambio generazionale in zone prive di servizi alla persona, e a un bisogno di soluzioni efficaci di personalizzazione del supporto alle persone a bassa contrattualità anche nelle aree periurbane, prevede la possibilità di offrire in agricoltura:

• l’inserimento socio-lavorativo di persone a bassa contrattualità;

• prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità con l’uso di risorse agricole per lo sviluppo di abilità, di inclusione sociale, di ricreazione e servizi quotidiani.

• prestazioni e servizi terapeutici con l’ausilio di animali e delle piante;

• iniziative di educazione ambientale e alimentare e di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.

Già dal 2003, la Regione Toscana, prima in Italia, ha avviato un processo di analisi, innovazione sociale e codifica delle attività di AS nate dall’innovazione autonoma di 60 progetti dalla fine degli anni ’60. Aziende che hanno operato in agricoltura con un movente etico e ideale nei confronti dell’ambiente e aprendosi all’inclusione di persone in difficoltà. Questi progetti hanno assicurato, nel tempo e nell’ombra, servizi per migliaia di persone. La Società della Salute della Valdera, nel 2008, per prima ha codificato nel proprio piano di salute il riconoscimento formale di servizi di AS, già prima della LR toscana del 2010. A seguire, interventi su fondi regionali e sul Piano di Sviluppo Rurale, hanno consentito la diffusione di pratiche di AS, tanto che il censimento agricolo ISTAT del 2022 registrava 108 imprese attive in Toscana. Imprese ai sensi del CC art 2135 che affiancano la produzione agro-alimentare e servizi alle persone.

Nell’AS italiana la co-produzione di cibo e di beni pubblici sociali legati ai nuovi servizi varia in funzione del tipo di attività svolta tra quelle previste dalla normativa. Talvolta, prevale l’azione multifunzionale dei processi agricoli aziendali (es. l’inclusione socio-lavorativa di persone a bassa contrattualità con buone capacità operative), altre, può prevalere l’organizzazione di servizi dedicati (es agriasili, o interventi assistiti con animali) che richiedono specifica organizzazione e un riconoscimento economico diretto per la copertura dei costi aziendali, altre, ancora, si verificano casi intermedi dove la multifunzionalità e la co-produzione richiedono un tutoraggio e un impegno attento in azienda delle persone accolte. A loro volta, le ‘persone accolte modificano il funzionamento aziendale, sia contribuendo alle pratiche aziendali, sia innovandone alcuni aspetti tra cui le relazioni sul territorio, con le comunità locali e con i mercati.

In questi casi, il ridisegno delle reti pubblico-privato socio-sanitarie è alla base dell’erogazione di servizi di AS, tenuto conto che la LN prevede il riconoscimento (non l’accreditamento) delle aziende di AS e lascia le responsabilità ai servizi socio-sanitari pubblici. La possibilità di vivere attivamente in ambienti non formali, veri, partecipare ad attività agricole con esiti apprezzati dai consumatori, la flessibilità e adattabilità delle mansioni da svolgere, facilitano azioni co-terapeutiche, inclusione sociale e lavorativa. Attività di formazione e ricerca svolte nel progetto

Orti ETICI di Unipisa, hanno mostrato come produrre un kg di verdura in AS assicura 7’ di lavoro inclusivo, con esiti sociali, valutati dai responsabili dei servizi, più efficaci di altri tradizionali che costerebbero al pubblico un equivalente (per i 7‘) di 0,74 centesimi di euro, senza contare la

riduzione del consumo di farmaci. La verdura bio, venduta attraverso il punto vendita UniFood, incontra in filiera corta le scelte dei consumatori che pagano un prezzo equivalente, e talvolta più basso in assenza di intermediazioni, a quello che della distribuzione per prodotti BIO non di AS. L’attività espone gli studenti a nuove pratiche e mette a disposizione della comunità risorse patrimoniali pubbliche. Di fatto una soluzione win-win che coinvolge il partenariato di progetto, la SdS Zona Pisana, studenti e consumatori. Progetti analoghi di AS si ritrovano in più aree in Toscana (a Lucca la cooperativa sociale agricola Calafata, oltre a dare lavoro stabile a oltre 100 persone assicura lavoro regolare per la gestione di circa 150 ettari di vigneto della zona, assicurando condizionalità sociale corretta, o il Podere i Biagi in Garfagnana assicura servizi inclusivi a persone con disabilità del territorio (uno con più alta incidenza in Toscana) assicurando una estensione e un potenziamento della rete di protezione sociale e creando opportunità diffuse. Gli esempi potrebbero essere numerosi in Valdinievole, in Amiata, nell’area Aretina ed una mappatura valorizzazione potrebbe offrire occasioni aggiuntive per qualificare il sistema agricolo regionale. I processi di agricoltura sociale attivano dinamiche di rete nuove che possono generare opportunità inattese se adeguatamente facilitate. Così, in 3 anni, in collaborazione con Coldiretti Torino, una rete di circa 70 attori (imprese, comuni ASL, GAL, cooperative sociali, consorzi dei servizi) hanno generato circa 40 posti di lavoro per persone a bassa contrattualità e nuovi servizi per le comunità, distribuendo opportunità non usuali senza risorse pubbliche, ma solo grazie a processi di innovazione sociale e di mobilizzazione delle risorse agricole in una chiave etica.

Dalle routine all’innovazione, valorizzare le economie etiche

Le crisi che viviamo, le difficoltà che le stesse imprese agricole incontrano oggi – per stare sui mercati e nel rispetto delle norme ambientali e sociali- le difficoltà crescenti di approvvigionamento di cibo da parte dei consumatori come delle amministrazioni e delle istituzioni pubbliche nel gestire territorio e servizi per le comunità, richiedono uno sforzo di comprensione della esigenza di innovare profondamente guardando anche a nuovi modelli. Modelli, come quello dell’agricoltura etica e civica, dove la co-produzione di cibo e servizi, per l’ambiente e per le persone, può contribuire meglio, qui ed ora, all’esigenza di prosperità del sistema locale. Non si tratta, a ben vedere, di novità assolute, ma della capacità di retro-innovare da parte di imprese, istituzioni e cittadini, insieme, rileggendo le risorse disponibili e riorganizzando comportamenti, conoscenze e procedure di lavoro in una chiave nuova, quella della responsabilità collettiva e della costruzione di una alleanza e una comunità di destino nei confronti del futuro e delle scelte che ciascuno può contribuire a svolgere in prospettiva di un miglioramento.

Sottomisura 1.2/annualità 2022 PSR 2014/2022

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