Andrea Branchesi
D E S I G N DIGITALE Come le nuove tecnologie possono cambiare il modo di progettare
Corso di Laurea in Disegno Industriale Anno Accademico 2015-2016 Candidato: Andrea Branchesi Matricola n°: 1343398 Relatore: Prof. Graziano Mario Valenti
Premessa Con la seguente tesi si vuole analizzare il fenomeno sociale dell’autoproduzione e l’impatto che questo sta avendo sul mondo del Design. I fattori/catalizzatori che stanno alla base di questo fenomeno sono principalmente due: da un lato l’open source, inizialmente nato in campo informatico ma successivamente penetrato in molti altri contesti culturali e produttivi. Una rete, potenzialmente infinita di attori, condividono, elaborano e diffondono conoscenza, sia essa immateriale o anche materiale e dunque relativa ai prodotti che non sono più frutto della capacità progettuale di un singolo soggetto o di una singola azienda. È quest’ultima declinazione dell’open source a investire sensibilmente il Design arrivando oggi a parlare di Open Design; dall’altro lato abbiamo i recentissimi sviluppi tecnologici che stanno permettendo al progettista di essere realmente indipendente dal mondo dell’industria in tutte le fasi progettuali, a partire da quelle produttive. il design viene ormai creato in digitale attraverso software CAD/CAM e, grazie alla diffusione esponenziale che negli ultimi anni hanno avuto le tecnologie di fabbricazione, tra cui la Stampa 3D, viene anche consumato in digitale. I bit diventano atomi fisici di oggetti d’uso, attraverso lo sviluppo delle tecnologie digitali produttive. Dall’interazione di questi fattori, emerge uno scenario interessante, dove le nuove tecnologie implementano, modificano, migliorano, a volte stravolgono, anche i settori più tradizionali. Lo scopo di questo lavoro di tesi è di riuscire a definire i contorni di questa significativa evoluzione del rapporto tra progettazione, produzione e consumo e l’evoluzione dei soggetti stessi del rapporto.
Ringraziamenti Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura della tesi con suggerimenti, critiche ed osservazioni: a loro va la mia gratitudine. Ringrazio anzitutto il professor Graziano Mario Valenti, relatore e supervisore, successivamente il dottor Mario Baioli e i ragazzi dei laboratori Cesma. Inoltre, vorrei ringraziare le persone a me piĂš care: i miei amici, per il loro supporto, e i miei genitori per la fiducia riposta in me, a loro dedico questo lavoro.
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INTRODUZIONE Il fenomeno dell’autoproduzione Il movimento Maker
GLI STRUMENTI L’Open Source La Modellazione Parametrica La Digital Fabrication
MASS CUSTOMIZATION
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Una nuova strategia produttiva Il ruolo del Designer
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CASO ESPLICATIVO
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Realizzazione della piattaforma Efesto Progettazione di una lampada
01 I N T R O D U Z I O N E Il fenomeno dell’autoproduzione Il movimento Maker
Design Digitale
Il fenomeno dell’autoproduzione L’ Autoproduzione è, letteralmente, la capacità di fare da sé, di costruire o realizzare qualcosa autonomamente. È un’attività che nasce dall’entusiasmo per la creazione e dalla volontà di ottenere un contatto diretto fra chi produce e chi usufruisce del prodotto, dando vita così ad un movimento circolare e continuo. Nasce inizialmente come una reazione, un principio di rivoluzione, un atto sovversivo volto a scontrarsi contro lo stato prestabilito delle cose. È una voce fuori dal coro, una realtà locale che si diffonde come un virus, sotterranea (underground), vitale e all’avanguardia che si scaglia contro ciò che è mainstream. Le motivazioni che spingono ad intraprendere questa scelta sono svariate e possono essere divise in due gruppi, entrambi legittimi, ma molto distanti ideologicamente fra di loro. Da un lato c’è il rifiuto dell’ottica commerciale e di mercificazione di una forma di comunicazione (si pensi alla musica, campo in cui l’autoproduzione ha dato enormi frutti) che sono
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elementi che conferiscono al fenomeno un’ottica più politica, antagonista e di rottura. Dall’altro lato abbiamo scelte derivate da cause di forza maggiore, ad esempio, rimanendo in campo musicale, ci sono molte band che si autoproducono per mancanza di soldi o per il loro basso indice di popolarità o che considerano questa strada come un punto di partenza per raggiungere un contratto discografico. Quindi autoproduzione come scelta obbligata, con scopi promozionali che hanno come traguardo l’ingresso nel circuito mainstream (di qualsiasi natura esso sia). Una realtà che perde tutti i suoi connotati rivoluzionari. L’origine del fenomeno Do It Yourself (D.I.Y.) non è facilmente circoscrivibile in quanto ogni campo in cui l’autoproduzione si sviluppa ha caratteristiche temporali a sè stanti. Ciò nonostante si potrebbe generalizzare, stabilendo il raggiungimento della piena maturità di tale fenomeno in concomitanza con lo sviluppo e la diffusione
01. Introduzione
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massiccia di una realtà di produzione industriale ufficiale che gestisce in maniera totalizzante un campo merceologico preciso. Ad esempio si può dire che l’autoproduzione in ambito musicale acquista piena
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coscienza di sè intorno agli anni ‘80, periodo in cui l’industria musicale porta all’esasperazione la mercificazione della musica (complice la nascita delle TV musicali - MTV su tutte - e dei video dei singoli di
01. Introduzione
successo, che diventano più importanti della musica stessa, dell’intero album o dei suoi contenuti). Questa, ridotta oramai ad una moda priva di contributi artistici sinceri e genuini, cambia la sua faccia di anno in anno dettando le regole di stile che devono essere seguite da chi vuole fare strada all’interno di questo mondo. Per la maggior parte delle band diventa quindi quasi impossibile entrare a far parte del circuito discografico ufficiale se non a seguito di cambi di rotta nelle scelte musicali, nel vestire e nei testi delle canzoni. Situazioni simili, che hanno poi innescato la reazione esplosiva del D.I.Y. si sono venute a creare anche in ambiti diversi, dal mondo del cinema a quello dell’informazione, delle arti visive, dei fumetti e non ultimo quello del design, sul quale questa tesi andrà a focalizzarsi.
ed uso personale, ma nasce per essere condiviso con altre persone, che potranno comprarlo, riceverlo gratuitamente o accedervi tramite altre modalità.
Do It Yourself (D.I.Y.) for someone else Fanno parte di questa realtà tutti quegli esempi di autoproduzione in cui c’è un soggetto che autoproduce un prodotto destinato ad un pubblico più o meno numeroso. Il frutto di questa attività non è quindi a scopo
Do It Yourself (D.I.Y.) for yourself La seconda sfumatura del fenomeno dell’autoproduzione, è quella del “fattelo da solo per te stesso”. Di questa realtà fanno parte tutte quelle attività autoproduttive che danno luogo a dei prodotti
Il mondo del design rientra a pieno in questa classificazione, in quanto è presente un soggetto, il designer, che progetta in maniera autonoma fino a raggiungere la realizzazione di un prodotto finito. Il destino di questo prodotto varia a seconda dei diversi approcci autoproduttivi, ma, sia che venga destinato alla promozione (una specie di portfolio che prende vita), sia che venga prodotto in serie e venduto attraverso una definita attività imprenditoriale su scala più o meno ridotta, i destinatari saranno sempre persone definite e non coincidenti con il soggetto autoprogettante.
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che vengono fatti per un uso personale (i lavoretti domestici di bricolage sono un perfetto esempio di questa categoria). Quindi Il fai-date può essere sia una scelta di vita con cui affrontare i problemi e risolverli, sia, più semplicemente, un hobby da coltivare nel tempo libero per mettersi costantemente alla prova. Nell’ambito del fai-da-te rientrano inoltre il modellismo o gli oggetti da comprare e poi montare seguendo le istruzioni (si pensi a IKEA). Ma tuttavia queste sono realtà più legate ad un passatempo, in cui la manualità è sicuramente importante, ma dove l’ingegno viene in buona parte lasciato per strada. Non essendoci finalità progettuali, questi ambiti sono fuori dall’area di interesse di questa tesi. L’analisi si concentra sulla figura del “bricoleur” e sulla sua creatività in pieno stile D.I.Y. Quello che conta è fare e riparare da soli. L’atteggiamento autarchico ed accumulatorio del bricoleur ribalta la cultura dell’usa e getta, secondo la quale oramai non vale più la pena di conservare e riparare ma conviene ricomprare nuovo tutto. Il sapere poi
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che riciclando, riparando, riadattando contribuisce in parte alla salvaguardia ecologica del pianeta, aggiunge al tutto un motivo di orgoglio in più. Di questi tempi il termine bricoleur è stato banalizzato dall’offerta pubblicitaria. Ma il bricoleur non è qualcuno che sa fissare le mensole di un armadio o montare un tavolinetto IKEA. Il Bricoleur (con la B maiuscola) è qualcuno che elabora continuamente il materiale a sua disposizione e quello del mondo che lo circonda per escogitare possibilità combinatorie e creative. Il Do It Yourself online Con l’avvento di internet, ma soprattutto con l’esplosione del web 2.0, il fenomeno del bricolage (e in generale del D.I.Y.) si sposta on-line. Le nuove tecnologie permettono all’utente di contribuire alla stesura dei contenuti dei siti web, caricando facilmente video, foto, articoli e file di qualsivoglia tipologia. Il concetto di farsi le cose da soli per sé stessi viene rivisitato in ottica open source diventando così un’attività condivisibile da tutta la rete, che può contribuire al
01. Introduzione
prodotto finale con modifiche e miglioramenti. Questo è il momento in cui il Bricoleur esce dalle mura domestiche e diventa cittadino del mondo (o sarebbe meglio dire cittadino del web) condividendo così il suo ingegno, le sue creazioni e la sua esperienza sia con persone che possiedono le stesse passioni con cui possono instaurare un rapporto di scambio, sia con coloro che cercano semplicemente soluzioni ad inaspettati o saltuari problemi giornalieri (la cosiddetta maggioranza silenziosa). Questa seconda categoria di utenti, che sfrutta i contenuti senza partecipare alla community ed alle sue dinamiche, rientra nella sfumatura del D.I.Y. che questa tesi si propone di trattare. Ormai, dopotutto, il web è diventato il modo più rapido e semplice di risolvere autonomamente i propri problemi senza dover scomodare gli esperti in materia con una telefonata o uscendo addirittura di casa. Con lo sbarco del Do it yourself on-line i confini tra le due tipologie di approcci al fai-da-te si è fatto labile, difatti ognuna delle due realtà
contamina l’altra. Sebbene il prodotto dell’attività fai-da-te non abbia una prospettiva di diffusione più ampia della sfera personale, le modalità con cui viene trasmessa la conoscenza per raggiungere il proprio scopo sono tutt’altro che chiuse e personali. Questo è infatti il grande contributo del web 2.0, ovvero di introdurre il concetto di open source e di condivisione delle informazioni anche in ambiti che esulano dal mondo dell’informatica e della programmazione in cui sono nati.
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Il movimento Maker Il movimento dei makers si è sviluppato nell’ultimo decennio, ma non si tratta di una realtà completamente nuova, è infatti una rivisitazione in chiave attuale di un concetto antico: l’artigianato. I makers vengono spesso definiti come artigiani digitali, che a competenze manuali e creatività, uniscono l’utilizzo delle ultime tecnologie. Alcune volte, quando il prodotto finale che essi realizzano è digitale, è concettualmente difficile inquadrare queste persone come creatori di qualcosa che sia paragonabile ad un prodotto fatto a mano. Eppure lo è, perché quando un maker crea, le sue mani lavorano abbinando la materia a circuiti, elettricità, numeri ed espressioni algoritmiche. Essi lavorano ad un livello che potremmo definire quasi astratto in quanto gli elementi appena citati, pur essendo per la maggior parte immateriali, produrranno alla fine risultati applicabili concretamente nella vita quotidiana. Partendo dal fascino romantico del singolo inventore e del piccolo
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artigiano, la rivoluzione della produzione ai tempi del digitale sembra in grado di trasformare diversi modelli di business. Il movimento si muove in modo trasversale, coinvolgendo gli strumenti interattivi del Web e spingendo verso l’innovazione anche imprese iper-tradizionali. Nel libro «Makers», Chris Anderson parla di un «ritorno dei produttori, per una nuova rivoluzione industriale». Mentre il giornalista e blogger Cory Doctorow aggiunge all’immagine dei «makers» anche una sfumatura anti-crisi, celebrandoli come «persone che forzano gli oggetti, il business, i modelli di vita, per rimanere felici e contenti, anche quando l’economia va giù per lo sciacquone». I makers possono avere profili molto diversi: sono studenti, professionisti, amatori o anche imprenditori. Ma ciò che li accomuna tutti è l’essere degli inventori, delle persone che fanno e hanno voglia di fare, creative, innovatrici, e che applicano al loro sapere di artigiani la fabbricazione
01. Introduzione
digitale, per produrre strumenti, oggetti e software a basso costo. Alcuni concetti chiave ricorrenti nella figura dell’artigiano digitale sono: 1. Competenze manuali. Cambiano i prodotti e le tecnologie per realizzarli, ma molto spesso i makers hanno la stessa buona manualità di un artigiano tradizionale. 2. Strumenti digitali e componenti elettronici. La connotazione digitale, come abbiamo visto, è fondamentale. Nei makerspace non mancano strumenti tecnologici avanzati, hardware open source e software di progettazione. I makers creano usando qualsiasi forma di software ed hardware, hackerando cose già fatte e sbizzarrendosi nei settori più disparati (robotica, elettronica, digital fabrication, ecc.)
3. Smanettoni. Una qualità fondamentale dei makers è che sono degli “smanettoni”. Il termine italiano è purtroppo spesso usato in senso negativo, mentre nella traduzione inglese il termine “tinker” ha una connotazione positiva. Smanettone è chi, nel settore informatico, possiede curiosità, voglia di sperimentare e abilità nel creare e modificare software e componenti. 4. Conoscenza pratica. Il maker è un autodidatta, non ha una conoscenza scolastica di come fare una cosa, ma pratica; prova, fallisce, fino a che non riesce a scoprire la soluzione dopo molte prove ed errori. 5. Condivisione e collaborazione. Il concetto di collaborazione è fondamentale. Nessuno sa fare tutto di ogni cosa e i
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makers cercano di creare cose insieme, ognuno in base alle proprie competenze. Insieme si possono fare grandi cose e ottenere delle scoperte incredibili. Molto spesso i progetti realizzati sono condivisi pubblicamente, in modo che chiunque lo desideri possa replicarli in autonomia. Collaborare significa inoltre passare la propria conoscenza a qualcun altro e non mancano le iniziative di formazione sul campo, rivolte ad ogni età. Il movimento dei makers si inquadra nella cornice della “sharing economy”, l’economia della condivisione:
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la condivisione può generare effetti economici a vantaggio della comunità e creare nuove opportunità di lavoro. Uno dei più grandi promotori del movimento degli artigiani digitali è il magazine Make, fondato nel 2005 allo scopo di diffondere la cultura del movimento e mettere i makers in contatto tra loro. Ed è proprio Make che organizza ogni anno la Maker Faire, un meeting di makers che ormai vanta cifre record di anche 65˙000 visitatori. La prima edizione fu nel 2006 in America ma la formula ebbe
01. Introduzione
cosÏ successo da essere poi replicata ogni anno, anche nel resto del mondo. Le Maker Faire sono il punto di incontro di artisti del digitale, un’occasione in cui presentare i propri progetti, divulgare le nuove tendenze e riflettere sugli scenari futuri.
Gli eventi sono un susseguirsi di workshop e presentazioni rivolti a persone di ogni etĂ e professione, dagli esperti sino ai semplici curiosi. Ritorna, quindi, ancora una volta il tema della condivisione, vitale nel web e, come abbiamo visto, anche nella cultura dei maker.
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02 G L I
S T R U M E N T I
L’Open Source La Modellazione Parametrica La Digital Fabrication
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L’Open Source Il termine Open Source, letteralmente sorgente aperta, nasce in ambito informatico per indicare i software con codice sorgente pubblico, per permettere a tutti i programmatori indipendenti il libero studio e la possibilità di apportarvi modifiche ed estensioni. Negli anni precedenti alla rivoluzione informatica il software veniva prodotto nelle università e nei centri di ricerca industriali. La distribuzione del codice sorgente in apporto al software
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era una prassi comune sia per il mercato, dato che le industrie informatiche vendevano ancora soltanto l’hardware, sia per gli sviluppatori, poichè le modifiche richieste erano continue e ogni software doveva essere preparato per ognuna delle diverse versioni di hardware disponibili, cosa che rendeva necessario partire ogni volta dal codice sorgente. A partire dagli anni Settanta le compagnie informatiche intravedono nella possibilità di definire restrizioni nell’uso
02. Gli Strumenti
del software l’occasione di abilitare un mercato dei diritti, mettendo sul mercato hardware e software insieme, in versioni combinate e non portabili. La strategia di mercato basata sulla proprietà del software avviata dall’industria non ha però spento l’attività dei laboratori di ricerca delle università e lo scambio tra questi e le imprese. All’inizio degli anni Ottanta, le comunità, rimangono connesse e operative nello scambio, nella scrittura collettiva e nel miglioramento del software. Con l’avvento di Internet le comunità si espandono e prende piede una rivendicazione del software libero, nasce il CopyLeft. L’espressione è di natura inglese ed indica un gioco di parole su copyright, individuando un modello alternativo di gestione dei diritti d’autore: l’autore (in quanto detentore originario dei diritti sull’opera) indica ai fruitori dell’opera che essa può essere utilizzata, diffusa e spesso anche modificata liberamente, pur nel rispetto di alcune condizioni essenziali. I fruitori dell’opera sono
tenuti a rilasciare eventuali modifiche apportate a loro volta sotto lo stesso regime giuridico (e generalmente la stessa licenza), in modo da garantire il regime di CopyLeft e le libertà da esso derivanti. Il termine open source nasce alla fine degli anni novanta (1997) per sostituire il termine free-software e dare maggior peso non al prodotto (il software libero, appunto) ma al processo che veniva innescato a partire da una “sorgente” (informatica) aperta, a cui tutti potevano accedere e che tutti avrebbero potuto implementare, modificare, migliorare. Alla filosofia del movimento open source si ispira il movimento Open Content (contenuti aperti): in questo caso ad essere liberamente disponibile non è il codice sorgente di un software, ma contenuti editoriali quali testi, immagini, video e musica. Il Contenuto aperto è un paradigma alternativo all’uso del diritto d’autore per creare monopoli; piuttosto che condurre a un monopolio, il contenuto aperto facilita la democratizzazione della conoscenza.
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Attualmente l’Open Source tende ad assumere rilievo filosofico, consistendo in una nuova concezione della vita, aperta e refrattaria ad ogni oscurantismo, che l’open source si propone di superare mediante la condivisione della conoscenza. Creative Commons La fruizione di un’opera altrui è regolata tramite l’applicazione di apposite licenze d’uso. Creative Commons (CC) è un’organizzazione non profit con sede a Mountain View (San Francisco) nata nel 2001 e dedicata all’espansione della gamma di opere disponibili alla condivisione e all’utilizzo pubblico in maniera legale. L’organizzazione ha stilato diversi tipi di licenze note come licenze Creative Commons (o “licenze CC”)
che forniscono un modo semplice e standardizzato per comunicare quali diritti l’autore dell’opera si riserva e a quali altri rinuncia, a beneficio degli utilizzatori. Queste licenze si ispirano al modello copyleft già diffuso negli anni precedenti in ambito informatico e possono essere applicate a tutti i tipi di opere dell’ingegno. La filosofia su cui si basa lo strumento giuridico delle licenze CC è ben rappresentata dal motto some rights reserved (“alcuni diritti riservati”), una via di mezzo tra il rigido modello del copyright (C) e quello invece di pubblico dominio (PD)La normativa per le Creative Commons fornisce un insieme di quattro opzioni, che permettono facilmente di riconoscere i diritti vantati dall’autore e da terzi sull’oggetto della licenza:
BY
NC
ND
SA
Attribuzione
Non commerciale
No opere derivate
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02. Gli Strumenti
• Attribuzione (BY) Bisogna sempre indicare l’autore dell’opera (attributo obbligatorio) in modo che
sia possibile attribuirne la paternità come definito dagli artt. 8 e 20 lda:
autore dell’opera, salvo prova contraria, chi “ Èè inreputato essa indicato come tale, nelle forme d’uso, ovvero, è annunciato come tale nella recitazione, esecuzione, rappresentazione o radiodiffusione dell’opera stessa. Valgono come nome lo pseudonimo, il nome d’arte, la sigla o il segno convenzionale, che siano notoriamente conosciuti come equivalenti al nome vero. (art. 8)
”
l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità “ ... dell’opera ... ”
(art. 20)
• Non uso commerciale (NC) Non sono consentiti usi commerciali dell’opera creativa
come definito dal secondo comma dell’art. 12:
ha altresì [...] il diritto esclusivo di utilizzare “ l’autore economicamente l’opera ... ”
(art. 12)
Con il secondo attributo si definisce come diritto esclusivo dell’autore il solo uso commerciale dell’opera creativa. I diritti di riproduzione (art.13),
di trascrizione (art.14), di esecuzione (art.15), di comunicazione al pubblico (art.16), di distribuzione (art.17) e di noleggiare (art.18bis) definiti dalla
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L633/41 non sono esplicitati nella licenza e pertanto non sono considerati diritti esclusivi dell’autore. Chiunque può riprodurre, trascrivere, eseguire e distribuire purché non a scopo di lucro, attribuendo sempre la
paternità come definito nel primo attributo. Tuttavia le limitazioni sullo sfruttamento economico dell’opera sono limitate al settantesimo anno solare dopo la morte dell’autore come specificato dall’art. 25 lda.
• Non opere derivate (ND) Non sono consentite
elaborazioni dell’opera creativa come definito dall’art 20:
l’autore conserva il diritto di rivendicare la paternità “ ... dell’opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. (art. 20)
”
• Condividi allo stesso modo (SA) Si può modificare l’opera ma l’opera modificata deve essere
rilasciata secondo le stesse condizioni scelte dall’autore originale.
Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, “ “sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali le traduzioni in altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica, le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell’opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale. (art. 4)
”
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02. Gli Strumenti
I vantaggi della progettazione aperta Gli inventori condividono sempre più spesso le proprie innovazioni, senza nessuna tutela brevettuale. È quello che fanno l’Open Source, Creative Commons e tutte le altre alternative alla protezione tradizionale della proprietà intelletuale. I creatori che decidono di intraprendere questa strada sono convinti di ottenere in cambio più di quanto regalano: un aiuto gratuito dalla comunità nello sviluppo delle loro invenzioni. Dalle esperienze positive delle piattaforme di crowdfunding (KickStarter, Indiegogo, Eppela, etc.) si è visto che le persone tendono a partecipare ai progetti promettenti, e quando quei progetti vengono condivisi, si mettono in comune automaticamente anche i contributi. Gli inventori ricevono anche un feedback, oltre a un supporto nella promozione, nel marketing e nella correzione dei difetti. E accumulano un “capitale sociale”, ossia una combinazione di attenzione e reputazione (una sorta di benevolenza) che potranno usare in un momento successivo per portare avanti i propri interessi. Un prodotto
che viene creato per addizioni successive in un ambiente di innovazione aperta non ha le stesse tutele legali di un’invenzione brevettata, ma si può affermare che ha maggiori possibilità di diventare un successo commerciale. Infatti la progettazione aperta e l’apporto di una comunità più ampia di collaboratori permette una crescita del progetto più rapida, efficace ed economica, rispetto ad una progettazione chiusa, ossia limitata ai confini aziendali. Il progetto è stato già messo alla prova, quantomeno nel mercato delle opinioni informate, e questa non è una cattiva forma di ricerca di mercato. Qualunque prodotto che sia in grado di costruire una community prima del lancio ha già dato prova di sé con un efficacia che pochi brevetti possono eguagliare. Per le aziende che si fondano sull’innovazione aperta, i vantaggi vanno ben oltre il semplice accesso ai mercati. “Un’architettura della partecipazione” ben costruita, per usare l’espressione coniata da Tim O’Reilly la cui azienda pubblica la rivista Make - significa che centinaia di persone altamente qualificate potrebbero
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contribuire gratuitamente, per tutti gli incentivi che sono stati osservati in un’infinità di situazioni: dal software open source a Wikipedia, dalla partecipazione a un progetto in cui credono al fare semplicemente qualcosa che soddisfa i loro bisogni, condividendolo per rispettare le norme della comunità. Tutto ciò si traduce in una R&S meno costosa, più rapida e qualitativamente migliore, che può creare a sua volta benefici economici ineguagliabili per le aziende i cui prodotti vengono sviluppati in questo modo. E non stiamo parlando solo della R&S. La documentazione illustrativa del prodotto, il marketing e l’assistenza si fanno spesso nello stesso modo, a opera di un gruppo di volontari che si forma all’interno della community. Alcune tra le funzioni più costose delle aziende tradizionali si possono esercitare gratuitamente, sempreché gli incentivi sociali vengano strutturati nel modo giusto. La pirateria La proprietà intellettuale di un progetto open source è appunto aperta, in modo che la community possa usarla,
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migliorarla, creare delle varianti etc. La possibilità che altri decidano di clonare i prodotti è un rischio insito nel modello. È consentita espressamente dalla licenza open source. Idealmente le persone, modificherebbero, migliorerebbero i prodotti (creando i cosiddetti “modelli derivativi”) per soddisfare bisogni di mercato che percepiscono e a cui noi non abbiamo dato risposta. Ecco qual’è il tipo di innovazione che intende promuovere l’open source. Di contro può accadere che altre società si limitino a
02. Gli Strumenti
clonare i prodotti e a venderli a prezzi inferiori, alimentando la concorrenza sul mercato. Questo tipo di situazione è esattamente ciò che è accaduto ad Arduino, azienda italiana che ha inventato la scheda elettronica open source con un microcontrollore e circuiteria di contorno, utile per creare rapidamente prototipi e per scopi hobbistici e didattici. La scheda, oggi utilizzata da tutti i makers, ha subito nel corso degli anni molteplici tentativi di clonazione, provenienti per la maggior parte dal mercato cinese. A volte i cloni erano di qualità inferiore, ma anche quando erano di buona
qualità, la maggior parte dei clienti continuava a preferire i prodotti ufficiali Arduino e a sostenere i creatori che li aveveano creati. Si era difatti instaurato un rapporto leale tra azienda e consumatore. Oggi i cloni hanno una quota di mercato molto bassa, concentrata prevalentemente in mercati altamente sensibili al prezzo come quello cinese. Inoltre la capacità di raggiungere una fascia di mercato più bassa a pari qualità è comunque da considerare una forma di innovazione a vantaggio degli utenti, cosa affatto negativa. In ogni caso sarà il mercato a decidere.
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La Modellazione parametrica Tipologie di modellatori
I modellatori possono essere classificati in varie tipologie a seconda delle funzionalità offerte : • Modellatori di solidi; • Modellatori di superfici; • Modellatori misti (solidi più superfici); • Modellatori per nuvola di punti. Con i modellatori solidi puri ogni oggetto creato deve racchiudere un volume, deve cioè essere “solido” mentre con i modellatori di superfici si possono generare superfici semplici, senza spessore. La tendenza attuale della tecnologia dei modellatori è orientata alla fusione dei due criteri di modellazione, per cui si possono definire elementi solidi disegnandone separatamente le superfici che racchiudono il suo volume. Una ulteriore suddivisione dei modellatori può essere fatta in base ai legami generabili fra la geometria e le sue dimensioni caratteristiche, si possono così distinguere : • Modellatori inerti; • Modellatori parametrici; • Modellatori variazionali.
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In un modellatore inerte le dimensioni geometriche dell’oggetto vengono definite al momento della modellazione e possono essere cambiate solo rimodellando l’oggetto. Ad esempio modellando un cilindro possiamo definirne la lunghezza ed il diametro al momento della modellazione, possiamo anche quotare tali dimensioni secondo le normali regole del disegno tecnico ma se vogliamo modificare una delle due dimensioni siamo costretti a ridefinire completamente l’oggetto, vale a dire cancellarlo e ridisegnarlo. In un modellatore parametrico ogni dimensione caratteristica dell’oggetto è memorizzata come “parametro”, cambiando il valore del parametro possiamo automaticamente cambiare una o più dimensioni dell’oggetto che verrà rimodellato automaticamente. I modellatori parametrici vengono anche chiamati modellatori “dimension driven”, volendo mettere in evidenza il fatto che le dimensioni comandano la geometria.
02. Gli Strumenti
I modellatori variazionali consentono di far convivere nello stesso modello parti parametrizzate con parti non parametrizzate ma il metodo matematico adottato è diverso dai modellatori parametrici. Questo modo di operare è comodo soprattutto nei modellatori misti, ove spesso è conveniente parametrizzare alcune parti del modello realizzate con le tecniche della modellazione solida ma lasciare “inerti” le parti realizzate per modellazione di superfici. Modellatori solidi La modellazione di solidi viene effettuata sfruttando gli stessi strumenti del CAD bidimensionale integrati da altri strumenti di livello superiore. La prima evidente e sostanziale differenza di un modellatore rispetto ad
un CAD bidimensionale è l’ambiente di lavoro che da ambiente piano si trasforma in ambiente a 3 dimensioni. Un oggetto complesso viene generato mediante combinazione di oggetti semplici tenuti insieme da operazioni booleane di unione, differenza e intersezione. Al modello solido generato possono essere associate proprietà fisiche come la densità per calcolarne il peso, la posizione del baricentro, gli assi principali di inerzia, ossia tutte quelle caratteristiche indispensabili per una progettazione meccanica evoluta. Più modelli possono essere assemblati fra loro sino ad ottenere un modello completo di macchina comunque complessa. I modellatori solidi sono specificatamente studiati
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02. Gli Strumenti
per disegni di componenti meccanici, ma si rivelano molto utili anche in altri settori. Modellatori solidi parametrici In un modellatore di solidi parametrico o variazionale è possibile associare parametri ad ogni elemento geometrico che caratterizza il modello. Nella modellazione parametrica ad ogni quota viene automaticamente associato un parametro, oltre ad un valore ad ogni quota viene cioè associato un nome. In aggiunta alla modellazione tramite parametri è stato introdotto anche il concetto di “feature” e di albero di costruzione: in pratica tutte le lavorazioni applicate sul modello solido vengono registrate (come feature), in una specie di albero cronologico che funziona secondo uno schema di dipendenza padre-figlio; è possibile in ogni momento della modellazione tornare indietro nell’albero di costruzione, selezionare una feature, editare e modificare i suoi parametri, e aggiornare tutto il modello con i nuovi parametri. Questo modo di legare fra loro quote geometriche risulta molto potente in meccanica, dove spesso il
buon funzionamento di un meccanismo è legato al mantenimento di opportune “proporzioni” fra i suoi componenti o fra le dimensioni geometriche di uno stesso componente. Una volta realizzato il modello solido, si possono generare le viste e le sezioni in modo molto rapido; sarà il software a occuparsi di discernere le linee in vista da quelle non in vista così come delle campiture delle sezioni ecc. L’operazione di realizzare il disegno tecnico bidimensionale partendo dal modello solido dell’oggetto prende il nome di “messa in tavola del disegno”. Nella produzione è molto importante realizzare libretti di istruzione per l’utilizzatore finale ed istruzioni per il montaggio dei meccanismi che, per chiarezza, debbono essere corredati di disegni appropriati. La realizzazione pratica degli oggetti disegnati può poi essere effettuata in modo semiautomatico da macchine a controllo numerico.
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La Digital Fabrication Fino a pochi anni fa le macchine utilizzate nel Rapid Prototyping, erano considerate dei prodotti di nicchia appannaggio esclusivo dei grandi centri di Ricerca e di Progettazione, per i loro elevatissimi costi e per le alte competenze necessarie al loro utilizzo. Oggi questo tipo di tecnologia, sulla bocca di tutti con il nome generico di Stampa 3D, ha subito un notevole cambiamento, e grazie alla commercializzazione di modelli sempre più economici ed efficienti le stampanti 3D sono approdate in massa sulle scrivanie di designer e progettisti. Il progetto RepRap e il boom della Stampa 3D Come già detto in precedenza le macchine di produzione additiva esistono ormai da quasi trent’anni, per essere più specifici il primo brevetto fu ottenuto da Charles Hull nel 1986 con la macchina per stereolitografia laser, progenitrice a tutti gli effetti delle attuali stampanti 3D. Negli anni successivi alla messa in commercio della tecnologia stereolitografica,
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diverse altre aziende sono entrate nel settore apportando delle continue evoluzioni tecnologiche. La svolta per le stampanti per una produzione casalinga arriva nel 2005 con il progetto open source RepRap fondato dall’ingegnere britannico Adrian Bowyer, con l’intento di costruire una stampante 3d in grado di autoreplicarsi, ovvero in grado di stampare tutte le componenti in plastica necessarie per realizzare una nuova copia della stampante stessa, e il cui costo di produzione e costruzione fosse accessibile a tutti. Ad oggi il progetto RepRap conta centinaia di migliaia di seguaci in tutto il mondo che la utilizzano o se la costruiscono in fai da te. Questa è la strada sicuramente più facile e veloce per possedere una stampante 3d. Dal progetto RepRap, per sua natura, si sono poi sviluppate una serie di altre stampanti 3D tutte Open Source alcune delle quali si possono interamente acquistare online con l’intero kit di montaggio. Un esempio ci è dato dalla MakerBot Industries che è una società
02. Gli Strumenti
americana fondata nel gennaio 2009 da Bre Pettis, Adam Mayer, e Zach Smith che produce una stampante 3D open source a prototipazione rapida chiamata Cupcake CNC. La Cupcake incorpora le idee del progetto RepRap con l’obiettivo di portare la stampa 3D nelle case a un
prezzo abbordabile (circa 650$), in parte dovuto anche alla capacità di produrre alcune delle sue parti. Dalla Cupcake è stata poi sviluppata la MakerBot Thing-o-Matic che non è altro che un ulteriore versione aggiornata e migliorata dei modelli descritti in precedenza.
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Design Digitale
Le principali tecnologie di stampa additiva Le tecnologie per la stampa 3D per addizione si differenziano in genere per i materiali impiegati e, soprattutto, per il modo di trattarli: per sinterizzazione tramite laser, per laminazione, per deposizione di materiali liquidi che vengono poi trattati con lampade a ultravioletti e così via. L’impiego di una piuttosto che l’altra è una scelta da valutare secondo una serie di parametri che sono molto variegati: la velocità di realizzazione del prototipo, costo finale, l’investimento necessario per la stampante, la resistenza, le finiture dei materiali adottati etc. In linea generale le tecniche di produzione additiva si possono suddividere in tre filoni basati sulla materia prima di partenza: polvere, liquido o solido. La modellazione a deposizione fusa (FDM) La tecnologia sulla quale tenere gli occhi puntati per l’enorme sviluppo ottenuto negli ultimi anni è quella della modellazione a deposizione fusa (FDM). È la tecnologia più apprezzata dai makers che si sono dati cuore e anima alla
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fabbing o digital fabrication ed è considerata tra le più veloci in assoluto nel mondo della stampa tridimensionale, oltre che essere il sistema più semplice ed economico per la realizzazione di prototipi. A questa tecnologia si rifanno molte delle stampanti 3D da scrivania più a buon mercato oggi. È stata sviluppata da S. Scott Crump alla fine degli anni 80’, e commercializzata nel 90’ da Stratasys. A seguito della scadenza dei brevetti depositati, dal 2005 ad oggi si è sviluppata una vasta comunità di sviluppo Open Source, e sono stati realizzati molti modelli fai da te e assemblati a basso costo. Questo ha portato ad una grande diffusione di questa tecnologia, rendendola il metodo più popolare in assoluto per la produzione additiva. Funzionamento La stampante 3D rappresenta a tutti gli effetti l’evoluzione della oramai comunissima stampante 2D; quest’ultima come si intuisce dal nome lavora nello spazio bidimensionale, perciò esclusivamente sugli assi x e y. La stampante 3D, come tutte le tecnologie di produzione additiva di layer, invece non
02. Gli Strumenti
Tipologia
Tecnologia
Materiali
Estrusione
Fused Deposition Modeling (FDM)
Materiali termoplastici (es. PLA o ABS), HDPE, eutettici, edibili, gomma (Sugru), argilla, plastilina, silicone RTV, porcellana, paste metalliche
Filo
Electron Beam Freeform Fabrication (EBF)
Qualsiasi lega metallica
Granulare
Direct Metal Laser Sintering (DMLS)
Qualsiasi lega metallica
Electron Bean Melting (EBM)
Leghe di titanio
Selective Laser Melting (SLM)
Leghe di titanio, leghe di cromo-cobalto, accaio inossidabile, alluminio
Selective Heat Sintering (SHS)
Polveri termoplastiche
Selective Laser Sintering (SLS)
Materiali termoplastici, polveri metalliche, polveri di ceramica
Letto di polvere e testine inkjet
Plaster-based 3D Printing (PP)
Gesso, amidi
Laminati
Laminated Object Manufacturing
Carta, fogli metallici, film plastici
Polimerizzazione attraverso la luce
Stereolitografia (SLA)
Fotopolimeri
Digital Light Processing (DLP)
Fotopolimeri
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Design Digitale
è altro che una macchina a controllo numerico (CNC) che opera su tre assi: x, y e z. Due motori controllati dal computer spostano una testina da destra a sinistra e avanti e indietro (gli assi x e y) mentre un terzo motore sposta verso l’alto o verso il basso (sull’asse z) il piano della stampante o la piattaforma su cui giace l’oggetto da stampare. Gli oggetti vengono stampati strato su strato dal basso verso l’alto, partendo quindi dalla base. Il software di gestione della stampante è in grado di generare anche i supporti necessari per le parti a sbalzo
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e per sostituire le parti piene con telai in modo da rendere l’oggetto leggero e comunque resistente, risparmiando materia prima. Mentre in origine il materiale termoplastico da estrudere era sotto forma di sferette o pellet, nell’ultimo periodo è stato sostituito da bobine di filo, che, convogliato verso un ugello opportunamente riscaldato, viene deposto per formare gli strati dell’oggetto. La variante del processo FDM che utilizza materiali sotto forma di filamenti è denominata FFF (Fused Filament Fabrication). I materiali utilizzati sono vari
02. Gli Strumenti
polimeri, es. acrilonitrile butadiene stirene (ABS), policarbonato (PC), acido polilattico (PLA), polietilene ad alta densità (HDPE), PC / ABS, e polifenilsulfone (PPSU), ma anche materiali plastici a freddo. Grazie alla ricerca intensiva svolta su questa tipologia di stampa additiva, negli ultimi anni si stanno sviluppando delle varianti che permettono di stampare anche altre classi di materiali. Nel 2015 i laboratori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) hanno presentato la prima stampante
3D in grado di produrre oggetti in vetro trasparente. L’aspetto più impegnativo della stampa del vetro è che deve avvenire a temperature estremamente elevate. Infatti per fluire abbastanza da poter essere estruso da un ugello, il materiale deve essere mantenuto ad una temperatura superiore ai 1000 °C, ne consegue un uso limitato ai centri specializzati, ma solo per il momento, dato che lo studio di questa tecnologia è ancora in corso.
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Design Digitale
Le fasi di lavorazione Tutte le tecnologie di produzione additiva prevedono lo stesso processo di trasformazione, che si costituisce di tre operazioni fondamentali: modellazione digitale, slice, produzione. 1. Modellazione digitale Questa è una fase preliminare di progettazione in cui viene elaborato un modello digitale del prodotto che si vuole andare a realizzare. Generalmente il formato del file che viene utilizzato per i processi di produzione additiva è il formato .STL (Standard Triangulation Language) uno standard grafico che descrive l’oggetto tramite una decomposizione in triangoli , dette”mesh” delle superfici che lo compongono. In pratica le superfici del pezzo vengono meshate con elementi triangolari. Approssimativamente il numero di questi triangoli è tanto maggiore quanto meglio si vuole approssimare la superficie. 2. Slice Il file .STL viene in seguito elaborato da software dedicati, che ne alizzano il contenuto individuando e correggendo eventuali errori. Inoltre tramite l’uso di questi software è
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1.
2.
3.
02. Gli Strumenti
possibile prevedere il processo di stampa, attraverso lo “slice”, ossia la divisione dei vari layer che in seguito andranno a comporre l’oggetto. Questa è una fase molto critica, poichè è in questo passaggio che si decide come dovrà essere il risultato finale in termini di qualità, prima che il file venga inviato alla macchina sottoforma di codice (.GCODE). I software di slicing più moderni sono dotati di interfacce sempre più user friendly, per rendere il processo automatizzato e accessibile anche ai non addetti. Ad esempio le parti interne dell’oggetto, non visibili, vengono riconosciute dal software che creerà per impostazione standard una matrice di supporto a nido d’ape, per garantire il massimo di rigidità con il minimo apporto di materiale; inoltre, il software integrerà in automatico il modello con dei supporti li dove necessari, come nel caso di parti in aggetto. 3. Costruzione Una volta inviato il file alla stampante, questa inizierà a stendere o solidificare il materiale layer su layer secondo il percorso migliore stabilito dal software. Nel
momento in cui la macchina ha completato un layer, il G-code ordina al motore che opera sull’asse z di spostare il piano o la testina, relativamente verso il basso o verso l’alto di una frazione di centimetro, per andare a realizzare il layer successivo. E si va avanti così, strato dopo strato, finchè l’oggetto non viene realizzato del tutto. Una volta terminato, l’oggetto può essere rimosso dalla macchina e liberato dai supporti o dal materiale in eccesso e si può procedere a un miglioramento delle superfici ricorrendo a trattamenti superficiali quali l’impiego di carta abrasiva o verniciatura. Vantaggi e Svantaggi della stampa 3D (da Makers) La stampa 3D e le altre tecniche digitali di produzione non offrono economie di scala. A livello di costi unitari, fabbricare 1000 pezzi non costa meno che fabbricarne uno solo. È l’inverso della produzione di massa, che favorisce la ripetizione e la standardizzazione. La stampa tridimensionale favorisce invece l’individualizzazione e la customizzazione. La fabbricazione digitale inverte la logica economica della
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Design Digitale
manifattura tradizionale. Nella produzione d massa, quasi tutti i costi vanno a coprire l’attrezzaggio iniziale della macchina, e più complicato è il prodotto, e più cambiamenti vi si apportano, più costa. Con la fabbricazione digitale, invece, è esattamente il contrario; le cose che costano care nella produzione tradizionale diventano gratuite: • la varietà è gratuita: differenziare ogni singolo prodotto non costa di più che fabbricarli tutti uguali; • la complessità è gratuita: un prodotto estremamente complesso, con tanti piccoli dettagli complicati, si può stampare in 3D allo stesso, bassissimo costo, di un semplice blocco di plastica. Il computer non ha problemi a svolgere tutti quei calcoli; • la flessibilità è gratutita: modificare un prodotto dopo l’avvio della produzione significa cambiare solo il programma di istruzione. La macchina rimane tale e quale. Inoltre, con la proliferazione delle stampanti 3D e l’estensione del loro utilizzo
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alla produzione su misura e su scala liimitata, queste macchine possono mettere a disposizione un modo più sostenibile di fabbricare le cose. Non ci sono praticamente costi di trasporto, perchè il prodotto viene realizzato localmente. Gli sprechi sono ridotti al minimo. perchè si usa solo la quantità di materia prima strettamente necessaria. E siccome il prodotto è fatto su misura esclusivamente per il cliente stesso, lo apprezzerà maggiormente e lo conserverà più a lungo. I prodotti personalizzati si buttano via con minor frequenza, per il semplice fatto che si tengono più da conto. Il grande beneficio apportato dall’era del digital manufacturing è che adesso possiamo scegliere tra le due cose senza dover tornare alla costosissima lavorazione artigianale: con i metodi automatizzati, si possono avere sia la produzione di massa sia la customizzazione. Il punto ancora una volta, non è stabilire se sia giusto o sbagliato autoprodursi in questo modo, ma piuttosto se non ci sia la necessità di sperimentare modalità autoproduttive nuove alla luce degli immensi passi avanti che la tecnologia della digital
02. Gli Strumenti
fabrication ha conquistato negli ultimi anni. Il futuro della stampa 3D La stampa 3D trova applicazione in numerosi settori, dal medicale al settore della gioielleria. Nata come tecnologia per la sola prototipazione rapida di supporto per progettisti e ingegneri, negli ultimi anni ha subito una forte evoluzione, tanto che oggi è possibile realizzare oggetti reali, prototipi estetici, funzionali e strutturali, e di certo nei prossimi anni le stampanti 3D continueranno il loro percorso di evoluzione, passando per una diffusione sempre più capillare spinta anche da un’ulteriore riduzione dei prezzi. Con ogni probabilità verranno sviluppati nuovi materiali di stampa e troveranno spazio sistemi di vendita, distribuzione e scambio di modelli 3D da modificare e realizzare. Sarà inoltre possibile migliorare ulteriormente i software, semplificando la fase di progettazione in modo da renderla ancora più accessibile a tutti. Dal punto di vista economico, la digital fabrication è in forte crescita: secondo la società di
consulenza americana Wholers, la stampa 3D varrà 3,1 miliardi di dollari nel 2016, 5,2 miliardi nel 2020. Pur viaggiando ancora sul labile confine tra scienza e fantascienza, suggestioni iniziano ad arrivare anche dalla grande industria (le ipotesi di una produzione 3D di aeroplani della Airbus) e dalla ricerca (il fegato artificiale su cui lavora un team dell’Università della Pennsylvania e del Mit).
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03 MASS
C U S TO M I Z AT I O N
Una nuova strategia produttiva Il ruolo del Designer
Design Digitale
Una nuova strategia produttiva Le esperienze del Free Software e del software Open Source, analizzate precedententemente, si sono dimostrate promettenti per la gestione della conoscenza e l’organizzazione di una collaborazione a rete distribuita, tanto da essere state prese ad esempio in vari campi quali biotecnologie, cinema, e anche design. L’approccio di Open Design é passato prima per una fase di ipotesi e di primi tentativi (1999-2005), poi per una fase di espansione e costruzione di ecosistema tra i vari progetti (20052010), infine verso una fase di celebrità (2010 ad oggi) in cui non viene visto più come una ipotesi ma come una proposta fattibile con ancora molti elementi da approfondire. Negli ultimi anni il fenomeno della collaborazione in rete é esploso sino a diventare il centro di nuove iniziative di ricerca, nuove imprese e startup, nuove forme di protesta e di discussione politica e anche nuove forme di progettazione. La prima definizione di Open Design é del 2000 (The
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Open Design Definition), e costituisce una lieve modifica della preesistente definizione di Open Source (Perens, 1998) in cui i termini relativi al software sono stati cambiati a favore di un riferimento al design. Per Open Design si intende comunemente un progetto di design i cui documenti di progettazione sono pubblicamente accessibili, modificabili e trasformabili facilmente nel progetto definitivo. Il primo caso effettivo di Open Design é quello del progetto Thinkcycle, sviluppato all’interno del MIT a partire dal Marzo del 2000. Si tratta di una piattaforma online per la progettazione collaborativa tra studenti, esperti e organizzazioni non governative, con un’architettura autoorganizzata e decentralizzata, che permette alle persone la creazione di comunità di interesse online per la soluzione di problemi specifici. Ronen Kadushin, designer israeliano, considerato uno dei massimi precursori dell’Open Design, già nel 2005 pubblicava una serie di oggetti
03. Mass Customization
da tagliare con macchine a controllo numerico a partire da lamiere in metallo come completamente open source. Nel 2010 invece pubblica il manifesto dell’Open Design, in cui definisce i progetti di Open Design come progetti CAD pubblicati in rete sotto licenza Creative Commons, per essere scaricati, modificati e prodotti direttamente tramite macchine CNC. Dopo il 2010 vari segnali confermarono che l’Open Design stava ormai uscendo da un contesto alternativo e underground, divenendo conosciuto, testato e applicato anche da grandi attori che normalmente operano in modo tradizionale. Droog Design, un’organizzazione di designer olandesi, presentò al Salone del Mobile di Milano l’iniziativa “Design
49
Design Digitale
for Download”, che avrebbe dovuto svilupparsi con una piattaforma online per la vendita di progetti di Open Design. L’Open Design inizia ad essere considerato ufficialmente come un approccio alla progettazione possibile e promettente, e non più come una semplice ipotesi. Si moltiplicano inoltre i concorsi di Design con un approccio Open, quali “Autoprogettazione 2.0”, lanciata dalla rivista Domus nel 2012. Ad oggi manca ancora una definizione condivisa di Open Design: mentre ciò è avvenuto per Free Software, Open Source Software e anche Open Hardware (“Open Source Hardware Definition,” 2011; Perens, 1999; Stallman, 1996), la definizione di Open Design del 2000 non copre tutti gli aspetti dell’Open Design, e non é stata aggiornata né modificata. Scritta nel 2000, non riflette tutti i cambiamenti e le evoluzioni del concetto avvenute negli anni successivi. Per questo motivo, un progetto di definizione di Open Design é stato avviato nel gruppo
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di lavoro di Open Design e Open Hardware della Open Knowledge Foundation: il progetto e la definizione sono totalmente open source, per cui è possibile partecipare al suo sviluppo e aggiornarla in continuazione. É soprattutto importante colmare il divario nel passaggio dal mondo del software al mondo del design. Con il fenomeno dell’Open Design si stanno importando nel mondo del design principi, pratiche, processi, strumenti e modelli di business originari del mondo dello sviluppo del software, ed alcuni adattamenti e ricontestualizzazioni sono necessari. Diviene inoltre necessario definire come l’Open Design si possa situare verso le esistenti pratiche e ricerche di CoDesign, quali ruoli possa avere il designer nelle sue interazioni con gli utenti, e come e quanto la partecipazione dell’utente ad un processo di Open Design possa essere progettata e possa essere utile per il progetto.
03. Mass Customization
Il ruolo del Designer Una progettazione Open Peer to-Peer quindi, che essendo aperta e paritaria risulta essere una co-progettazione, dove designer e partecipanti collaborano collettivamente venendo a costituire una più ampia comunità del progetto. Il designer viene così ad assumere un ruolo specifico negli interventi progettuali rivolti a comunità Open Peer-to-Peer. Grazie alle sue competenze, può fornire le condizioni ottimali affinché prenda forma un’attività, e fornire gli strumenti di auto-organizzazione a queste comunità, ricoprendo più un ruolo di enabler (o facilitatore) che di provider (o fornitore di soluzioni definite). Non più un semplice fornitore della propria creatività, ma un facilitatore della creatività distribuita. Non più la semplice progettazione di prodotti o soluzioni finite, ma il supporto a comunità fino a che non siano in grado di sviluppare soluzioni adatte alle proprie caratteristiche. Un designer si trova naturalmente in grado di agire da facilitatore, dato che le sue competenze lo hanno portato
ad essere in grado di stabilire connessioni tra utenti ed imprese, mediando quindi tra differenti interessi. Grazie alle sue capacità di visualizzazione e di anticipazione, può gestire la compresenza di interessi multipli e discordanti, ricordando allo stesso tempo i vantaggi che derivano dalla collaborazione collettiva.
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04 CA SO
ESP L I CAT I VO
Progettazione di una lampada da tavolo Realizzazione della piattaforma Efesto
Design Digitale
Progettazione di una lampada da tavolo Nel mondo dei Makers si possono riscontrare numerosi progetti attinenti al campo del disegno industriale, ma la maggior parte di essi si presenta come prodotti finiti, impersonali e privi di una riflessione progettuale. Dall’osservazione di questa problematica nasce l’idea di sviluppare un servizio per la personalizzazione dei complementi di arredo che dia la possibilità agli utenti di creare un ambiente domestico a misura e gusto proprio. Come caso esplicativo verrà presentata la progettazione di una lampada da tavolo, in quanto elemento imprescindibile della casa. Un analisi formale ha dato luogo all’individuazione delle componenti principali che costituiscono una lampada e successivamente alle geometrie che ne delineano le forme. Infine sono stati realizzati tre differenti modelli di lampada: un modello sorgente, da cui l’utente inizierà la progettazione, e due modelli derivati per mostrare le potenzialità della modellazione parametrica.
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04. Caso Esplicativo
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Design Digitale
Analisi dell’oggetto
Diffusore Il diffusore serve per regolare la giusta quantità di luce emessa nell’ambiente evitando quindi un’emissione diretta fastidiosa per gli occhi. Inoltre ha la funzione di nascondere la fonte luminosa e le eventuali componenti strutturali. Corpo centrale Parte strutturale utile a nascondere i cavi elettrici che alimentano la lampadina. Base Componente utile a vincolare la lampada al piano di appoggio e a celare i cavi elettrici; può essere incorporato di un trasformatore.
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04. Caso Esplicativo
Giunzioni delle componenti Le giunzioni saranno entrambe ad incastro e saranno calcolate dal software, precedentemente impostato dal progettista. L’operazione effettuata sarà un offset della superficie interna appartenente alla componente più esterna. L’utente non dovrà preoccuparsi di questo aspetto, ma sarà invece compito del progettista.
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Design Digitale
1
2
3
4
5
6
7
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Raggio superiore
Raggio inferiore
Altezza
Curvatura profilo
Spessore
Smussatura degli spigoli
Torsione
04. Caso Esplicativo
7 1
4
5
3
6
1 2
4
3
5
6
1
2
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3
4
2
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Design Digitale
Analisi dei parametri • Geometria di base Le forme da attribuire alle diverse componenti della lampada sono costituite da forme geometriche semplici. La geometria del modello base è la circonferenza, mentre le possibili variazioni consistono in poligoni regolari semplici
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inscritti nella stessa. Un po’ come nel gioco delle forme ad incastro che si fa da bambini, l’utente potrà selezionare la geometria formale più idonea per la sua lampada.
04. Caso Esplicativo
61
Design Digitale
• Raggio superiore e inferiore Si riferiscono al raggio della circonferenza in cui è inscritta la relativa forma geometrica di base scelta. L’unità di misura di riferimento è 5mm (0,5cm) e i valori minimi e massimi variano a seconda del componente che si va a modellare.
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
0,5 cm 5 cm 50 cm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
0,5 cm 1 cm 5 cm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
0,5 cm 5 cm 50 cm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
0,5 cm 10 cm 50 cm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
0,5 cm 10 cm 100 cm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
0,5 cm 0,5 cm 5 cm
• Altezza Si riferisce alla lunghezza del componente lungo l’asse z, escludendo le eventuali parti di giunzione. L’unità di misura di riferimento è 5mm (0,5cm) e i valori minimi e massimi variano a seconda del componente che si va a modellare.
62
04. Caso Esplicativo
• Curvatura profilo 1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
10 % - 100 % 100%
La curvatura del profilo è descritta dalla parabola avente l’asse di simmetria corrispondente all’asse perpendicolare alla retta del profilo e passante per i vertici del profilo stesso. Il valore che modifica la curvatura è il vertice della parabola e l’unità di misura è la %. Il valore potrà essere positivo o negativo a cui corrisponderà rispettivamente una parabola convessa o una parabola concava.
+
63
Design Digitale
• Spessore Si riferisce allo spessore del componente. L’unità di misura è il mm e il valore minimo è pari a 1mm. Bisogna tener presente che un elemento troppo fino potrebbe compromettere la resistenza strutturale dell’oggetto finale, mentre uno spessore maggiore potrebbe comprometterne le funzionalità. Ad esempio nel caso studio qui proposto, un diffusore con uno spessore elevato bloccherebbe oltre il necessario la luce della lampadina e la lampada perderebbe quindi la sua utilità.
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
1 mm 1 mm 10 mm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
1 mm 1 mm 20 mm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
1 mm 1 mm 20 mm
1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
25 % 0% 100 %
• Smussatura degli spigoli Si riferisce alla misura del raggio della curva del raccordo ed è direttamente proporzionale allo spessore. L’unità di misura è la %. Lo 0%, valore minimo, rappresenta lo spigolo vivo, mentre il 100% rappresenta il raggio massimo per il raccordo.
64
04. Caso Esplicativo
• Torsione 1 Unità = Valore minimo = Valore massimo =
15° 0° 360°
L’asse di riferimento della torsione è l’asse verticale passante per il centro del componente. L’unità di misura di riferimento è uguale a 15° e la massima torsione ottenibile è un angolo giro (360°).
Esempio di torsione di 180° di uno dei componente.
65
Design Digitale
Modello Sorgente #00
66
04. Caso Esplicativo
Diffusore
Raggio superiore 10 cm Raggio inferiore 10 cm Altezza 12,5 cm Curvatura profilo 0% Spessore 4 mm Smussatura degli spigoli 0% Torsione 0°
67
Design Digitale
Corpo centrale
Raggio superiore 1 cm Raggio inferiore 1 cm Altezza 14 cm Curvatura profilo 0% Spessore 4 mm Smussatura degli spigoli 0% Torsione 0°
68
04. Caso Esplicativo
Base
Raggio superiore 6,5 cm Raggio inferiore 6,5 cm Altezza 1 cm Curvatura profilo 0% Spessore 2 mm Smussatura degli spigoli 0% Torsione 0°
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Design Digitale
Modello Derivato #01
Dal Modello sorgente #00 al Modello derivato #01 tramite modellazione parametrica
70
04. Caso Esplicativo
Diffusore
Corpo centrale
Base
71
Design Digitale
Modello Sorgente #00 Diffusore Raggio superiore
10 cm
Raggio inferiore
10 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione
12,5 cm 0% 4 mm 0% 0°
Corpo Centrale Raggio superiore
1 cm
Raggio inferiore
1 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione
14 cm 0% 4 mm 0% 0°
Base Raggio superiore
6,5 cm
Raggio inferiore
6,5 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione 72
1 cm 0% 2 mm 0% 0°
04. Caso Esplicativo
Modello Derivato #01 Diffusore Raggio superiore
5 cm
Raggio inferiore
5 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione
20 cm 0% 3 mm 0% 180°
Corpo Centrale Raggio superiore
1 cm
Raggio inferiore
1 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli
16,5 cm 0% 2 mm 0% 0°
Torsione
Base Raggio superiore
6,5 cm
Raggio inferiore
6,5 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli
1 cm 0% 2 mm 0% 0°
Torsione 73
Design Digitale
Modello Derivato #02
Dal Modello sorgente #00 al Modello derivato #02 tramite modellazione parametrica
74
04. Caso Esplicativo
Diffusore
Corpo centrale
Base
75
Design Digitale
Modello Sorgente #00 Diffusore Raggio superiore
10 cm
Raggio inferiore
10 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione
12,5 cm 0% 4 mm 0% 0°
Corpo Centrale Raggio superiore
1 cm
Raggio inferiore
1 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione
14 cm 0% 4 mm 0% 0°
Base Raggio superiore
6,5 cm
Raggio inferiore
6,5 cm
Altezza Curvatura profilo Spessore Smussatura spigoli Torsione 76
1 cm 0% 2 mm 0% 0°
04. Caso Esplicativo
Modello Derivato #02 Diffusore Raggio superiore
5 cm
Raggio inferiore
15 cm
Altezza
10 cm
Curvatura profilo
100%
Spessore
3 mm
Smussatura spigoli
100%
Torsione
0°
Corpo Centrale Raggio superiore
2 cm
Raggio inferiore
4 cm
Altezza
16 cm
Curvatura profilo
-100%
Spessore
4 mm
Smussatura spigoli Torsione
0% 0°
Base Raggio superiore
5 cm
Raggio inferiore
6,5 cm
Altezza
1,5 cm
Curvatura profilo
100%
Spessore
2 mm
Smussatura spigoli Torsione
0% 0° 77
Design Digitale
78
“Openess is more than a commercial and cultural issue. I’ts a matter of survival.” John Thackara
Design Digitale
Caso studio: Thingiverse
Libreria Prodotti Open Source Qualità Download
si
Produzione
a carico dell’utente
Thingiverse.com, che letteralmente vuole dire “l’universo delle cose”, è un’azienda, direttamente collegata alle Makerbot Industries, che permette alle persone che realizzano oggetti di condividerli attraverso la pubblicazione del file 3D sorgente. I suoi fondatori, Zach Hoeken e Bre Pettis ipotizzano che, così come per i calcolatori si è passati dal mainframe ai pc, lo stesso avverrà per la fabbricazione degli oggetti, quindi dalle grandi industrie si passerà a macchine che producono oggetti in casa nostra. Sul sito della società Thingiverse è
80
possibile inserire il disegno digitale della propria creazione e il software necessario per realizzarla: gli oggetti caricati sono quindi modificabili, nel senso che, partendo da una creazione, uno può cambiarla e migliorarla come crede.
Siamo davanti a prodotti semplici, meccanici, di ricambio, molto tecnici e allo stesso tempo giocosi e divertenti, a fatica si trovano sul sito degli oggetti che in qualche modo si possano definire di design o quantomeno progettati da designer di professione.
04. Caso Esplicativo
81
Design Digitale
Caso studio: Cyrcus
Libreria Prodotti Open Source Qualità Download
no
Produzione
a carico dell’azienda
Promosso dalla curiosità e dall’entusiasmo di Denis Santachiara, cyrcus.it è uno spazio virtuale che esplora le implicazioni del design a confronto con le più recenti tecnologie di produzione digitale. Figure di designer anche molto diverse tra loro si confrontano qui con le possibilità del progetto nell’epoca della definizione cad e della produzione on demand, resa possibile da lavorazioni cnc e 3d printing. Tutti modi che svincolano dalla necessità di progettare per la serie industrialmente prodotta, perché consentono di produrre senza fabbrica e
82
senza magazzino, presentandoli attraverso render o fotografie da campione, e realizzando i prodotti solo su ordinazione, dopo la vendita, sfruttando al meglio i tempi residui della produzione dei laboratori artigiani 2.0.
Vetrina di offerta e vendita, ma anche di dibattito e sperimentazione, il sito espone i progetti, le serie limitate, le prove di designer famosi, con apertura al contributo di talent designer in cerca di un mercato.
04. Caso Esplicativo
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Realizzazione della piattaforma Efesto
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04. Caso Esplicativo
Efesto è un portale web per la realizzazione di complementi di arredo personalizzabili, che si prefigge di avvicinare il mondo della digital fabrication al mercato, attraverso il design. Le culture di produzione digitali sono una rivoluzione entrata ormai nel dibattito economico e sociale di tutto il mondo industrializzato. Efesto mette in contatto il mondo del design con quello della digital fabrication, per fare scoprire ed incontrare nuove modalità produttive, progettuali e di mercato. Promuovendo culturalmente e commercialmente un fare design diretto per un mercato diretto, i designer diventano, con Efesto, brand di se stessi e quindi si propongono come autori. Ogni autore è ideatore, responsabile ed artefice, attraverso Efesto, delle opere proposte.
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Design Digitale
EFESTO
Funzionamento Il progettista mette a disposizione della community la sua idea progettuale (idea sorgente), che dovrĂ essere pensata per essere alla portata di tutti, ne risulterĂ una progettazione con massima
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partecipazione degli utenti della community. I prodotti derivati saranno il frutto del lavoro a stretto contatto tra progettista e utente.
04. Caso Esplicativo
Community
Co-progettazione
Prodotto derivato
Prodotto derivato
Prodotto derivato
Prodotto derivato
Prodotto derivato
#01
#02
#03
#04
#...
Kit piĂš istruzioni di montaggio
Download
Produzione in casa o presso centri specializzati
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Progetta! Nella fase di progettazione avviene una cooperazione delle due parti (designer e community); il designer è responsabile, nonchè proprietario, dell’idea sorgente su cui poi la community potrà lavorare.
Produci! La produzione è responsabilità dell’utente, che può decidere di produre l’oggetto da sé o di farlo produrre da centri specializzati (FabLab).
Condividi! I prodotti generati da questo processo possono essere condivisi all’interno della community e sui social network più diffusi.
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04. Caso Esplicativo
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04. Caso Esplicativo
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B I B L I O G R A F I A Andrea Granelli, “L’attualità dell’artigianato e la sua anima digitale, quaderni di ricerca sull’artigianato – nr. 62”, CGIA Mestre, 2013
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