appunti pianificazione

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Camillo Nucci Le nuove strutture urbano territoriali Si riscontra un atteggiamento apparentemente ambivalente nei confronti della città: da un lato la consapevolezza della degradazione del quadro ambientale, dall’altro perseguire la “condizione urbana” come obiettivo, come condizione necessaria della crescita civile. Appare quindi necessaria una riflessione sulla cosiddetta nuova dimensione urbana e sulle strutture urbano territoriali e configurare metodi di analisi e di controllo urbano adeguati, partendo dal processo di urbanizzazione e ricavandone una strategia d’intervento. Criteri di individuazione dell’area metropolitana Convenzionalmente il termine area metropolitana può farsi risalire ad uno studio condotto nel 1955 dall’International Urban Research dell’università di Berkeley in California sul processo di urbanizzazione a livello mondiale. Si trattava inizialmente di una tradizionale ricerca geografica e statistica volta ad individuare le situazioni urbane sulla base dell’entità della popolazione insediata. Sennonché si pose un sostanziale problema di metodo: come delimitare il campo urbano, cioè come individuare un tipo di perimetrazione che non tenesse soltanto conto della popolazione insediata nella città tradizionalmente intesa ma comprendesse anche quella popolazione che pur essendo esterna all’ambito di continuità fisica della città mantiene con la città relazioni talmente strette da considerarla popolazione urbana. Si passò quindi da un’idea di città come “luogo del costruito” ad un concetto di spazio urbano ovvero anche come “luogo di relazioni”. Si trattava quindi di integrare i tradizionali criteri di lettura della città, basati sull’entità dei manufatti e sull’entità demografica, con criteri relativi anche all’analisi delle attività economiche, della mobilità e dei rapporti sociali degli insediamenti. I criteri d’individuazione urbana sono: - i criteri geografici, riferiti all’ambiente fisico, individuazione dei confini fisici naturali o artificiali, che ne contengono ed indirizzano l’espansione; - i criteri demografici, che riconoscono l’esistenza di una situazione urbana in termini di densità - i criteri morfologici, legati all’esame della forma fisica della città (superficie urbanizzata e densità edilizia) - i criteri funzionali, riferiti alla situazione urbana come ambito di concentrazione e di interdipendenza delle funzioni urbane (attività produttive e livelli di servizio). In sostanza l’area metropolitana risulta caratterizzata, oltre che da una densità demografica non agricola, dalla presenza di un’area centrale polarizzante, da un elevato livello di attività produttive e di servizio e da una condizione di coesione interna rilevata dalla presenza di rapporti economici e di lavoro stabili e quotidiani tra le varie parti e bidirezionali rispetto al centro. Nel 1961 dalla World Atlas dell’enciclopedia britannica viene definito il concetto di regione metropolitana: area geografica, con organizzazione di tipo urbano, caratterizzata, tra l’altro da una città centrale di almeno 1 milione di abitanti e da un insediamento demografico nell’area di almeno 1 altro milione di abitanti. L’individuazione dell’a.m. in Italia In Italia nel 58 Sestini aveva affrontato l’individuazione della conurbazioni italiane, egli distingue tre categorie di aggregati urbani: città con immediato contorno suburbano; costellazioni di centri urbani assai ravvicinati con tendenza a riunirsi con sottoborghi lineari; regioni individuate dalla frequente presenza delle vere città, con tessuto di centri minori ma di carattere urbano. 1


Nel 1961 Acquarone propone per l’individuazione delle aree metropolitane, oltre alla presenza di rilevanti livelli produttivi e terziari nell’area, il parametro della densità sociale consistente nella frequenza degli scambi e dei rapporti di ogni genere fra gli individui ed i gruppi di individui presenti nell’area. La SVIMEZ nel ’70 ha pubblicato una ricerca su “lo sviluppo metropolitano in Italia”, nella quale la perimetrazione delle aree è affidata a tre parametri (viene trascurato il criterio geografico): - la dimensione demografica complessiva; - il livello complessivo degli addetti alle attività extragricole; - la densità territoriale di tali attività. Si definiscono metropolitane quelle aree che raggiungono una popolazione complessiva di almeno 110 mila abitanti ed un numero di attivi extragricoli superiore a 35 mila. Nel 1951 sono state individuate 26 a.m., nel 1961 sono passate a 32 (Milano, Napoli, Roma, Palermo, ecc.). Si è proceduto alla costruzione della gerarchia delle aree e sub – aree non solo in funzione del parametro “commercio” ma considerando determinante il “servizio urbano”; si sono così individuate 67 aree forti (Le aree forti sono state definite raggruppando in classi opportune i dati assoluti di popolazione e di addetti extragricoli, sia delle aree e sub – aree che dei loro capoluoghi, nonché i dati della dotazione infrastrutturale e del traffico entrante ed uscente dai capoluoghi) ossia quelle aree in

cui il servizio urbano è sviluppato in un grado sufficiente da costituire un centro di gravitazione per le aree deboli adiacenti. Si è quindi proceduto all’aggregazione in base a criteri correttivi delle aree forti fino all’individuazione di 50 sistemi gravitazionali (es. di sistema gravitazionale: Venezia, Padova, Vicenza e Treviso). Il metodo della crescita metropolitana Il metodo della crescita dell’urbanizzazione metropolitana può essere schematicamente ricondotto a tre fasi successive: - Prima fase (la crescita ulteriore del nucleo centrale), corrisponde al momento di crescita ulteriore della regione di uno o più centri urbani, il modello di crescita è prevalentemente quello della città radiocentrico. Prendendo in esame una situazione urbana già sufficientemente strutturata (sistema viario radiale, centro originario, prime espansioni) si osserva che la crescita ulteriore si localizza inizialmente lungo le arterie radiali che si sviluppano dal centro (preferenziali), per fruire della massima accessibilità a questo, poi quando la distanza delle urbanizzazioni dal centro risulta eccessiva rispetto alle altre radiali trascurate, le espansioni investono progressivamente anche quest’ultime. Al progressivo espandersi verso l’esterno della città per tentacoli lineari e successivi avvolgimenti periferici anulari, corrisponde un aumento della centralità del nucleo originario e quindi una spinta centripeta alla localizzazione nel nucleo di nuove e più importanti funzioni di servizio (attività terziarie). - Seconda fase (la fase del policentrismo), caratterizzata dall’ulteriore crescita del nucleo urbano centrale e da un riverbero dello sviluppo verso i centri secondari del territorio, spesso distanti 50 – 100 km, che iniziano ad espandersi (minor costo di localizzazione, risorse non ancora utilizzate). Mentre le fasce periferiche della città si continuano a sviluppare su di un modello compatto per successive crescite lineari o anulari; più all’esterno si viene formando un nuovo tipo di periferia urbano – territoriale costituita da frange di urbanizzazione estensive e diffusive, commiste a residui di utilizzazione agricola del suolo, spesso agglomeranti piccoli centri e frazioni agricole un tempo esterne alla città. 2


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Terza fase (la fase della maturità metropolitana), si accentua la localizzazione delle nuove funzioni produttive nei centri urbani periferici e ne territorio intermedio; si articola territorialmente la grande distribuzione commerciale e la rete dei principali servizi pubblici. Il nucleo urbano centrale si terziarizza sempre di più e diviene luogo preferenziale per la localizzazione della direzionalità economica. Sotto il profilo demografico si è determinato il rovesciamento della curva d’inurbamento: il tasso di crescita demografico risulta assai più intenso nei centri periferici che nel nucleo urbano centrale. Nel territorio intermedio tra nucleo centrale e centri urbani periferici, per il decentramento diffuso delle attività produttive e della residenza si determina un modello nuovo di urbanizzazione a bassa densità ancora commisto a zone di utilizzazione agricola, denominato continuum urbano rurale. La configurazione elementare dell’area metropolitana - un unico mercato di lavoro (in modo da realizzare una larga indifferenza ubicativa all’interno dell’area nei confronti del rapporto giornaliero tra residenza e lavoro); - un unico centro di acquisti (che garantisce da tutti i punti dell’area, attraverso una mobilità ragionevole del consumatore al quale deve essere garantita l’accessibilità alle strutture del consumo); - un'unica organizzazione del tempo libero (che assicura ai vari tipi di insediamento un livello minimo comune di partecipazione culturale e ricreativa). In sostanza è l’unità organizzativa e di funzionamento della varie attività urbane e l’intensità giornaliera delle relazioni che caratterizza la condizione metropolitana. Si considera quindi l’a.m. caratterizzata da: - un nucleo urbano centrale; - il sistema dei centri periferici; - le urbanizzazioni intermedie reticolari o diffuse. Si tende ad avere: 1. un forte grado di omogeneità della qualità residenziale adottando uno standard tipologico; 2. una diminuzione della differenziazione funzionale dell’uso del suolo (le varie attività sono compresenti in un’area) 3. una minore lievitazione del valore dei suoli edificabili grazie ad una maggiore disponibilità di insediamento dovuta al policentrismo della città. Caratterizziamo sistemi metropolitani: - monocentrici, caratterizzati dalla crescita preponderante del nucleo urbano centrale (Parigi, Londra) - policentrici caratterizzati dallo sviluppo di centri periferici (Ruhr) - sistemi nei quali è prevalente lo sviluppo delle urbanizzazioni reticolari o diffuse (Chicago) I sistemi metropolitani possono differenziarsi a seconda della disposizioni degli insediamenti: i sistemi monocentrici possono essere stellari (Milano) o accorpati (Roma), i sistemi policentrici possono essere lineari (sistema emiliano) o reticolari (sistema veneto).

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Claudio Saragosa Ecosistema territoriale Per ecosistema territoriale si intende: quell’insieme di relazioni fra un sistema ambientale ed una società umana, che, organizzata anche con strutture urbane evolute trova in quel sistema ambientale la gran parte delle risorse fondamentali per la vita, sviluppandosi culturalmente e producendo un sistema di relazioni, simboli, conoscenze. Il concetto di ecosistema territoriale diviene fondamentale per praticare il concetto si sostenibilità degli insediamenti umani. In questo senso parlando di ecosistema territoriale prendiamo le distanze da coloro che credono che la terra sia un’immensa struttura urbana passando piuttosto a pensare alla città e al suo ambiente di riferimento come ad un sistema ecologico di ordine superiore rispetto all’ecosistema urbano. L’ecosistema territoriale comprende insomma quello spazio (definito) con il quale l’ecosistema urbano può svolgere tutte le proprie funzioni vitali; questo spazio è quindi costituito dall’ambiente fisico – biologico, dall’ambiente costruito e dall’ambiente antropico. (le più importanti scuole che si sono occupate del concetto di e.t. sono state la Regional Planning Association of America e la Landscape Planning che si sono appunto occupate delle problematiche regionali e delle relazioni fra insediamento umano e ambiente naturale. Fortemente influenzate da Lewis Mumford, Patrick Geddes e Howard). Lewis Mumford: nato nel 1895 (Queens New York) urbanista e sociologo statunitense. Patrick Geddes: nato nel 1854 (Scozia) biologo, botanico e urbanista scozzese Howard: nato nel 1850 a Londra (teorico delle città giardino) Ian McHarg: è nato a Glasgow 1920, in Scozia ed è diventato un architetto paesaggista Con Geddes abbiamo uno dei primi stimatori della regione e delle relazioni fra città ed ambiente limitrofo. La convinzione dello studioso è che le città, persino le più grandi sono nella campagna e ne sono il frutto. Per Geddes la campagna non è il retroterra della metropoli, al contrario ne uno degli aspetti vitali. Geddes poneva a base di ogni indagine territoriale il concetto di Sezione di Valle (città in evoluzione) , secondo lui scoprendo il luogo ed il tipo di lavoro che si svolge si possono determinare profondamente i modi di vita e le istituzioni delle gente che vi abita, insomma attraverso un’indagine sulle origini naturalistiche e umanistiche si può scoprire quella che è stata l’evoluzione culturale e fisica dei luoghi e degli uomini. (Cominciamo con la testata della sezione di valle con i suoi boschi naturali, qui la prima attività naturale non può non essere che quella del cacciatore, fino a quando non subentra il boscaiolo e poi il minatore. Subito dopo i boschi vengono i pascoli con i loro greggi e i loro pastori. Poi ancora sulle alture e dove il suolo è più povero comincia a comparire il contadino che coltiva cereali poi l’agricoltore ed infine in mare il pescatore). Riconosciuto discepolo di Geddes proprio nella valorizzazione del concetto di regione è Lewis Mumford il quale non ha alcun dubbio nell’affermare che il centro delle comunità umane è la regione. “La regione umana è un complesso di elementi geografici economici e culturali”. Fra coloro che privilegiano le analisi strettamente urbane troviamo Ian McHarg con la sua proposta di progettare con la natura. Con il suo approccio regionale egli sottolinea l’importante aspetto legato alla conoscenza del clima, della fisiografia, il regime delle acque e dei suoli, l’incidenza delle piante (come individui e come comunità) e quindi delle comunità vegetali da cui si spiegherà anche la distribuzione degli animali, allora sarà più chiaro e facile progettare, elaborare un piano con al natura (creare insomma un magazzino attivo).

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I bioregionalisti I bioregionalisti si distaccano da modelli puramente astratti e teorici, sono coloro che adattano il principio regionale nel tentativo di riequilibrare gli insediamenti umani. Dopo la conferenza dell’ONU del 1972 di Stoccolma si iniziò a sentire la necessità di un approfondimento della coscienza della rilevanza ecologica nei comportamenti individuali, sociali ed istituzionali. In questo periodo emerse il concetto di bioregione. Per Berg il concetto di bioregione attiene più al territorio della coscienza che al territorio geografico “ad un posto, ma anche all’idea che si è sviluppata attorno al vivere in quel determinato posto”. Un tentativo di definire con più precisione il concetto di bioregione è quello di Sale “la terra e le rocce che sono sotto i nostri piedi, le sorgenti d’acqua alle quali attingiamo, i diversi tipi di venti, gli insetti, gli uccelli, i mammiferi, le piante e gli alberi, i caratteri del ciclo delle stagioni, i tempi della semina e del raccolto, queste sono le cose che è necessario conoscere. I limiti delle sue risorse; la capacità di sopportazione della sua superficie e le culture della gente, gli adattamenti umani, sociali ed economici che si sono sviluppati in coerenza alle strutture geomorfiche. In sostanza questo è bioregionalista”. Ecologia ed insediamenti umani Per nutrire qualsiasi sistema vivente deve esserci un luogo nel quale poter estrarre materia – energia a bassa entropia ed un altro in cui riversare materia – energia ad alta entropia, non esiste metabolismo della città se non viene individuato un flusso neghentropico che permette la vita, se non si definisce l’ambinete di entrata e di uscita del sistema. Si sono sviluppati due concetti di Urban ecological footprint e di Spazio ambientale. L’impornta ecologica urbana permette di descrivere la città attraverso i flussi di risorse naturali che attrae (consumi d’acqua, cibo) ed i flussi che genera (rifiuti solidi e liquidi) l’analisi di questi flussi consente di mettere in relazione il funzionamento della città con la domando di capitale naturale da cui dipende. Per misurare l’impatto della città sull’ambiente globale Rees propone il concetto di “urban ecological footprint” ovvero la misura totale dell’area produttiva richiesta per supportare la popolazione di un’area urbana. L’impronta ecologica potrebbe essere quindi definita come la superficie totale che dovrebbe essere racchiusa, insieme alla città, sotto una cupola di vetro per sostenere i modelli di consumo della popolazione della città stessa. La localizzazione ecologica degli insediamenti umani non coincide più con la loro localizzazione geografica, per la sopravvivenza e per la crescita, le città moderne dipendono da un Hinterland globale sempre più vasto costituito da territori ecologici produttivi. Recentemente in Europa si è sviluppato un concetto simile a quello di impronta ecologica: il concetto di spazio ambientale (percorso per la realizzazione di una società sostenibile). Per spazio ambientale si intende il quantitativo di acqua, energia, territorio, materie prime non rinnovabili e legname che può essere usato in modo sostenibile. Lo spazio ambientale rappresenta il tetto massimo d’uso delle risorse da utilizzare in modo diverso per poter soddisfare i vari tipi di domanda di ciascun sistema analizzato; lo spazio ambientale dipende dalla capacità di carico ecologico degli ecosistemi, dalla capacità di rigenerazione delle risorse naturali e dalla disponibilità delle risorse. L’ecosistema territoriale vuole comprendere proprio quello spazio (definito) nel quale l’ecosistema urbano può svolgere tutte le proprie funzioni vitali; esso comprende la città ed il suo urban ecological footprint, o se vogliamo la città e il suo spazio ambientale (verso una sostenibilità territoriale).

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La base ambientale dell’Ecosistema Territoriale L’ecosistema territoriale riguarda lo studio dello spazio fisico biologico, dello spazio del costruito, dello spazio antropico. Per interpretare questo spazio viene utilizzato come strumento di lettura dell’ecosistema territoriale la base ambientale. Per comprendere la base ambientale si può fare uso di diverse discipline come ad esempio: 1. la topografia che ci permette di valutare le forme della superficie terrestre, la potenza del rilievo, le pendenze dei versanti. 2. la geologia che ci permette di studiare le strutture profonde e le caratteristiche della crosta terrestre 3. la pedologia che è la scienza che studia la composizione, la genesi e le modificazioni del suolo dovute sia ai fattori biotici(vitali) che abiotici (senza vita) 4. lo studio delle vegetazioni e della fauna che ci permette di valutare come il mondo biologico ha colonizzato i vari ambienti terrestri. Fondamentale è quindi capire le relazioni che le varie discipline hanno tra di loro. Necessitano quindi: - La carta altimetrica ci permette di effettuare un’elaborazione della morfologia di un paesaggio quindi ad es. individuare l’altitudine di una porzione di terreno. Per realizzare questa carta serve una cartografia a curve di livello. - La carta idrografica si desume dalla cartografia topografica tracciando le varie aste fluviale e gli impluvi ed integrando con la rappresentazione dei manufatti più importanti (depuratori, sbarramenti artificiali) - La carta clivometrica che ci permette di valutare la pendenza media rispetto all’orizzontale dei terreni. Per pendenza si estende il rapporto tra il dislivello e la distanza orizzontale esistente fra due punti di un terreno. - La carta dell’esposizione dei versanti e la carta delle assolazioni - La carta geolitologica fornisce le prime informazioni necessarie alla conoscenza dell’ambiente naturale: la conoscenza delle origini, della natura, composizione e giacitura delle rocce e delle trasformazioni dopo la loro formazione - La carta geomorfologia per capire fenomeni come il dissesto del territorio con particolare attenzione a fenomeni di deposito e di erosione - La carta idrogeologica e delle permeabilità permette di individuare e cartografare le relazioni tra litologia e il ciclo delle acque - La carta pedologica - La carta della vegetazione permette di mappare la disposizione nel suolo delle formazioni vegetali - La carta faunistica - La carta dell’uso del suolo (da parte dell’uomo) Grazie all’ausilio delle carte è possibile studiare il funzionamento del sistema ambientale: ovvero capire le modificazioni che la struttura subisce nel tempo, l’energia che attraversa il sistema, le forze modellatrici del paesaggio.

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Daniela Poli Si può ipotizzare l’utilizzo della storia secondo due modalità diverse, ma integranti, accomunate entrambe dal ruolo attivo del progettista: - la modalità narrativa - la modalità documentale La modalità narrativa La modalità narrativa è in primo luogo uno strumento di comunicazione sociale. Essa serve a ricreare consapevolezza in chi abita, serve a far “vedere” le diverse conformazioni storiche del passato, i diversi modi d’uso del territorio. La narrazione disegna i diversi volti che un luogo ha assunto nella storia, mostrando i valori culturali che ogni civilizzazione ha messo in gioco. La rappresentazione narrativa evidenzia anche i fili conduttori che attraversano, trasformandosi, i diversi cicli di territorializzazione e sedimentano stabilità e coerenza evolutiva. La forma di rappresentazione ricorre alla schematizzazione, al disegno di particolari fuori scala, alla pianta prospettica, alla rappresentazione assonometrica. La narrazione vuole infatti entrare nel dialogo sociale di una comunità progettante per costruire uno scenario di trasformazione in cui anche la storia passata sia rappresentata e sia un serbatoio di informazioni al quale poter attingere. La modalità narrativa si concretizza nella rappresentazione dei cicli di territorializzazione (ogni ciclo rappresenta la fase matura di una civilizzazione, descrive la massima espressione di una modalità insediativa) - (territorializzazione è un grande processo, in virtù del quale lo spazio incorpora valore antropologico; quest’ultimo non si aggiunge alle proprietà fisiche, ma le assorbe, le rimodella e le rimette in circolo in forme e funzioni variamente culturalizzate, irriconoscibili ad un’analisi puramente naturalistica dell’ambiente geografico). La narrazione si configura come uno strumento adeguato per riattivare una relazione affettiva e di senso col luogo da abitare. Un territorio è oggi per la maggior parte degli abitanti qualcosa di sconosciuto, formato da elementi di cui non si conosce la provenienza. Ciò che ci ricorda diventa un insieme di frammenti incoerenti che non compongono più un patrimonio collettivo in cui gli abitanti possano riconoscersi ed identificarsi. Il progettista del territorio diventa ora un attore interno alla narrazione, egli nella sua ricostruzione rilegge il patrimonio, descrive le regole, individua risorse ed opportunità, descrive l’immagine futura e produce un canovaccio di possibili evoluzioni che contengono le regole di trasformazione. La ricostruzione biografica utilizza documenti che conservano la traccia dell’interazione fra contesto e società, che provengono da fonti diverse: descrizioni letterarie, documenti scientifici, studi locali, rappresentazioni figurative. Rappresentare la territorializzazione è quindi un momento interpretativo che implica la presa in visione di molte documentazioni – la conoscenza del substrato fisico, del sistema ambientale, dei modelli socioculturali - che si sono succeduti nel tempo, delle permanenze materiali e antropologiche e di come queste sono state metabolizzate nel tempo. Gli elementi centrali della biografia sono: - il tempo come dimensione fondamentale del territorio, intesa come relazione evolutiva fra il tempo naturale, sociale, e storico, in maniera tale da poter ripercorrere le trasformazioni e i cicli storici. - La necessita di individuare le strutture resistenti che caratterizzando la storia ne definiscono la continuità - il linguaggio pittografico legato quindi ai segni grafici (pittogrammi)

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la necessità di ricostruire le configurazioni storiche con una metodologia a fonti integrate derivanti sia dalla storia materiale sia dalla storia orale e non solo da documenti cartacei - la necessità di ricostruire integralmente la configurazione dei modelli insediativi. La cartografia storica Racconti e narrazioni storici rappresentano per noi una documentazione importante perché dalla loro lettura possiamo intravedere l’identità storica del contesto che stiamo ricostruendo. La cartografia storica racconta il modo di vedere il territorio di una società in un dato periodo. Il documento cartografico reca, infatti, traccia dell’identità locale nell’interpretazione del luogo fisico e del contesto sociale operata dal cartografo. La rappresentazione storica deve essere concepita, quindi come una struttura visuale da decodificare comprendendo i diversi linguaggi rappresentativi in cui sono condensati i modelli culturali, l’immaginario urbano, i meccanismi di percezione visiva, i codici figurativi, le capacità tecniche, la conoscenza scientifiche, le finalità pratiche e infine le richieste del pubblico cui la rappresentazione è diretta. È necessario comprendere cioè il significato della carta almeno rispetto a cinque aspetti: 1. capire lo scopo con cui la carta è stata costruita (progettuale, celebrativa); 2. tenere presente il grado di approssimazione della carta rispetto alla conformazione del territorio, considerando le conoscenze scientifiche dal tempo; 3. riferirsi al metodo con cui le caratteristiche territoriali sono state acquisite dal cartografo 4. conoscere la formazione del cartografo (pittore, artigiano, ingegnere) 5. conoscere il committente (privato, pubblico, principe) (E’ necessario capire l’approssimazione che è stata fatta e comprendere se l’immagine è laudativa quindi celebrativa o di progetto. Nel primo caso che si tratta di una rappresentazione celebrativa ha lo scopo di trattare i luoghi per farli apparire in una luce migliore di quanto non fosse nella realtà, ad es. la tecnica normalmente utilizzata era la prospettiva centrale con unico fuoco, che finiva per distorcere le parti laterali della rappresentazione; per questo motivo le misurazioni riguardavano principalmente l’oggetto centrale della rappresentazione a scapito del paesaggio) (fino all’ottocento la cartografia statale era una cartografia ad uso privato non pubblico come adesso, dopo questo periodo la rappresentazione passa dal rappresentare solo alcuni aspetti strategici del territorio ad una rappresentazione completa ed universale ma perde una gran parte di informazioni che derivano da una modalità soggettiva ed interpretativa di riproduzione del territorio, tutto il territorio è rappresentato secondo le coordinate geodetiche e rappresentato secondo metodologie grafiche riconoscibili in tutto il territorio nazionale). La modalità documentale La modalità documentale mette in evidenza attraverso il confronto di documenti cartografici gli elementi di lunga durata che sono rimasti stabili nel tempo, resistendo alle trasformazioni. Il disegno è il più possibile scientifico ed oggettivo e ricorre alla rappresentazione metrico – euclidea della spazio. La rappresentazione documentale enfatizza i grandi pattern (modelli) territoriali (viabilità, insediamenti) in cui è possibile leggere la stabilità. Questi elementi definiscono la struttura insediativi storica, utile per interpretare il funzionamento del sistema ambientale e descrivere la coevoluzione storico – ambientale del territorio. La modalità documentale non si occupa tanto di spiegare perché una certa forma territoriale si è manifestata, ma vuole conoscere le regole storiche di costruzione del territorio per comprendere la modalità di relazione tra substrato e 8


struttura insediativi. Gli strumenti privilegiati della rappresentazione documentale provengono dalla cartografia zenitale o aereofotografica: - cartografia ufficiale statale (IGM scale da 1:100.000 a scale regionali 1:25.000 a scale locali 1:5000) per evidenziare la trasformazione del tessuto insediativi e dell’infrastrutturazione viaria; - documentazione catastale al fine di rappresentare le particelle fondiarie per evidenziare la trasformazione della trama parcellare; - documentazione aereofotografica per evidenziare la trasformazione della trama paesistica. Questa documentazione viene utilizzata per confronti fra cartografie di date diverse per mettere in evidenza il sedimento storico permanente e studiare la modalità di sedimentazione e di trasformazione avvenuta nel tempo. Abbiamo individuato 4 madalità di descrizione documentale: la descrizione delle tipologie insediative (normalmente riservata alla descrizione del tessuto urbano ed edilizio della città), i confronti catastali (viene utilizzato come strumento essenziale di lavoro la documentazione grafica e descrittiva derivante dal catasto storico) , la scomposizione dei telai insediativi (scuola di Bernardo Secchi, il territorio viene sezionato orizzontalemente e di volta in volta ne vengono analizzati i reticoli nell’intento di leggere i pattern della stratificazione del costruito) , la descrizione olistica (lo scopo è quello di mostrare il ruolo centrale del territorio per il processo di reidentificazione delle società insediate; queste carte rappresentano il tentativo di costruire un’immagine olistica del territorio evidenziandone gli elementi caratterizzanti e la personalità complessiva del territorio ovvero l’identità territoriale, quindi non curano l’aspetto analitico).

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Prg Urbino di Giancarlo De Carlo Il primo Piano tra il 1959 e il 1964 quando la città era poverissima, il patrimonio architettonico affaticato e la campagna in rapido abbandono, ma lo spirito civico era molto alto e la struttura sociale in movimento. Il sindaco era allora Egidio Mascioli, che era stato un minatore perciò capiva la città e il suo territorio vivendolo come frutto del lavoro umano e dei suoi cittadini. Il rettore dell’università era Carlo Bo, il destino dell’università era legato, e lo è tutt’ora, con il destino della città. I problemi relativi al primo piano furono: - di natura economica (mancanza di fondi da parte del comune) - lentezza nell’attuazione del piano e dei piani particolareggiati - sostanziale differenza tra piano e progetti realmente realizzati - una società cmq organizzata secondo una struttura contadina - difficile periodo della prima repubblica - conservare e quindi attenzionare il centro storico dalla speculazione edilizia (piano del 64) Si è sempre pensato che la sola ricchezza di Urbino fosse il centro storico, ma da qualche tempo ci si andava persuadendo che l’altra grande ricchezza fosse il territorio. Il territorio di Urbino, uno dei più vasti della regione Marche, 227 Kmq, si estende fino nell’entroterra ai confini con l’area appenninica. Lavorando al nuovo piano regolatore si è partiti da una duplice considerazione; la prima è che questo territorio ha un rapporto inteso, di profonda compenetrazione ed armonia con la città di Urbino; e le quinte naturali che circondano in ogni direzione il centro storico sono esse stesse memorabili eventi scenografici. Il nuovo piano del 1994 ha riconosciuto la ricca funzione del territorio nel progettare il futuro dell’area comunale, è partito dal territorio; al contrario di quanto era stato fatto con il piano del 1964 quando l’urgenza era preservare l’integrità della città dalla speculazione edilizia e perciò si era partiti dal centro storico. Secondo De Carlo per proteggere l’ambiente naturale bisogna renderlo partecipe dei processi di trasformazione e affidargli un ruolo attivo e perciò progettarlo allo stesso modo di tutte le altre componenti del territorio. Una delle caratteristiche del nuovo piano di Urbino è proprio di aver progettato l’ambiente naturale, riprogettando larghi brani della campagna dove è stata deteriorata dall’abbandono, dalla mancanza di manutenzione e dalle colture improprie. (Premessa nuovo piano del 94) Nell’affrontare la questione dell’ambiente e della campagna il nuovo piano ha preso come riferimento le nuove direttrici del piano paesistico della regione Marche. Gli strumenti applicati alla tutela ambientale del territorio urbinate sono stati infatti: i Punti Panoramici, gli Scenari Panoramici e il Parco Urbano ruotandone il senso. Per i primi la rotazione è avvenuta in senso storico, per i secondi la rotazione è avvenuta allargando il senso della percezione, per il terzo la rotazione è stata più ampia perchè la notazione di parco è generalmente restrittiva e in pratica significa che nell’area considerata non può esserci nulla se non natura. Ma non era quello il senso che si voleva dare, soprattutto perchè le cinque aree dichiarate parco avrebbero dovuto occupare una porzione di territorio molto vasta, pari a circa il 38% della superficie comunale totale. Il parco urbano dei 5 è il più delicato come trattazione perché non solo avvolge e protegge come una cintura verde la struttura urbana della città ma soprattutto garantisce in modo sicuro la compenetrazione tra abitanti e natura, attenuando i rischi del loro reciproco estraneamento. (punti fondamentali)

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Al fine di cogliere la complessità delle relazioni tra le varie componenti ambientali, sono stati utilizzati i concetti di scenario panoramico e di parco. Sono scenari panoramici quelle situazioni dove la compresenza di paesaggi significativi e di particolari corrispondenze tra le varie componenti della struttura fisica e le loro vicende storico – culturali, determinano un valore del luogo che risulta in qualche modo memorabile. Sono state identificate come scenari panoramici le aree che attorno a Cavallino, costituiscono il fondale paesistico principale per quasi ogni luogo del quadrante settentrionale di Urbino e quelle che, da sud – est fronteggiano Urbino. Si tratta in entrambi i casi di un nitido paesaggio rurale – casolari, vegetazione che delimita i campi – gli scenari panoramici non vengono definiti sulla base di parametri analitici ma essi rappresentano l’identità del territorio. I parchi corrispondono invece a comprensori territorialmente estesi di alta qualità ambientale, che svolgono, in un contesto di riequilibrio territoriale, il ruolo di teste di ponte verso quei territori che stanno oltre i limiti comunali; l’articolazione dei parchi territoriali costituisce un sistema di aree protette che va organizzato su base intercomunale allo scopo di costruire dal punto di vista ecologico una rete di protezione primaria del territorio nel suo insieme, attraverso una strategia di pianificazione mirata al mantenimento ed al rafforzamento delle vocazioni naturali e della difesa del suolo. Complessivamente si tratta di oltre un terzo del territorio comunale, suddiviso in 5 parchi territoriali (Cesane, Foglia, San Lorenzo) di cui 2 attrezzati (Scientifico ed urbano). Ci si basa quindi non più su ipotesi demografiche o sociologiche spesso discutibili, ma sull’individuazione del carico urbanistico entro il quale è possibile un armonico rapporto tra processi insediativi, urbanizzazione e tutela dell’ambiente. Per ogni parco il piano ha definito uno specifico progetto guida che propone gli interventi prioritari necessari per creare, in ogni differente situazione, argini dell’erosione al depauperamento e all’inquinamento; innanzitutto sono stati messi a confronto con l’uso del suolo attuale e quello di un secolo prima (come rilevabile dal cessato catasto pontificio, ultime edizione 1875) soprattutto per documentare le variazioni per quanto riguarda i reciproci rapporti tra bosco, pascolo e aree coltivate. Così nel parco delle Cesane avvilito da sistematici rimboschimenti a pino nero e cipressi azzurri, il piano progetta la riconversione ecologicamente orientata degli impianti forestali di conifere; nel parco del Foglia anche per via della presenza della grande azienda agricola dell’università, sono stati individuati gli interventi necessari per la tutela ed il riassetto del territorio. Nel parco San Lorenzo – zona scarsamente abitata e tra le più integre, in cui paesaggio agrario e naturale in qualche modo si confondono, gli interventi di carattere ambientale previsti dal piano sono finalizzati a garantire forme di governo del bosco e di conduzione agraria che ottimizzano le caratteristiche ambientali dell’area. I progetti guida relativi ai parchi raggiungono così il duplice scopo di approfondire la conoscenza dei luoghi in relazione alle ipotesi di trasformazione che si vogliono perseguire e di esplicitare le prerogative dei vari parchio che si configurano come lo strumento opportuno per garantire l’integrità del territorio. La tutela attiva del territorio è quindi l’obiettivo di fondo del nuovo piano della città di Urbino. (punti fondamentali) I documenti del piano sono suddivisi in quattro parti: la prima spiega i processi storici e naturali attraverso i quali il territorio ha assunto le sue attuali connotazioni; la seconda indica l’assetto generale del territorio e le condizioni della tutela paesaggistica; la terza stabilisce le trasformazioni necessarie e compatibili e la loro soglia quantitativa e qualitativa inderogabile; la quarta definisce le configurazioni più appropriate per i nodi 11


principali della città e del territorio. Le ricerche svolte sono riconducibili a tre settori principali: geologico, ecologico – vegetazionale e storico. Suddivisione del piano Il piano è costituito da due documenti fondamentali e complementari: - il documento programmatico del luglio del 1990 (si definiscono i criteri e le scelte di fondo del piano) - la relazione generale (sviluppa questi criteri o meglio le linee di indirizzo in termini concreti di indicazione di piano e ne fornisce i relativi dati dimensionali) Gli elaborati del PRG sono organizzati in 4 parti: Ricerche, Assetto del Territorio, Linee Normative, Progetti. I documenti della prima parte rivestono carattere non normativo, i documenti relativi alla seconda, terza e quarta parte sono prescrittivi ed inderogabili. Le ricerche si strutturano in tre sezioni tematiche: assetto geologico, assetto ecologico e della vegetazione, patrimonio storico e ambientale. Nell’Assetto del Territorio si trovano i concetti fondamentali di parco e scenario panoramico. L’apparato normativo si caratterizza per la sua grande articolazione in funzione di un duplice obiettivo: essere comprensibile alla totalità dei cittadini e basare la normativa non tanto su parametri metrici quanto sulla individuazione dei particolari aspetti qualitativi che si intende perseguire. Da questo punto di vista il PRG di Urbino costituisce un sostanziale superamento delle consuete normative basate sull’azzonamento e sulla classificazione. Questi due obiettivi uniti nell’ambito di definire si un quadro prescrittivi ma nel modo meno impositivo e più persuasivo possibile definiscono un corpus che prediligono la norma disegnata. Un gruppo di cinque progetti investe il sistema dei parchi territoriali (Parco delle Cesane, Parco San Lorenzo, Parco del Foglia, Parco urbano e Parco Scientifico. Un secondo gruppo interessa il centro storico (sistemazione dell’area compresa tra via via delle mura e via S. Chiara, Mercatale, Orto dell’abbondanza. I progetti per Cerreto e Trasanni disciplinano le due maggiori zone d’espansione residenziale. Un’altra serie di interventi riguarda la ristrutturazione e trasformazione della città recente (la stazione Benelli, l’area dell’ex Comprensorio agrario) cui si aggiungono i progetti per la frazione di Canavaccio (per zona residenziale e per zona industriale leggera) e il verde urbano. Il dimensionamento residenziale è fissato in 6570 nuovi vani (2700 nel sistema centrale, 2350 nelle frazioni esterne, 350 nelle frazioni interne) di cui 2175 in regime di edilizia economica popolare e in 1170 nuovi vani nei nuclei rurali, ridimensionamento previsto per una popolazione di circa 22-25000 abitanti contro gli attuali 15.000, ai quali vanno aggiunti i circa 15.000 mila studenti universitari per un complessivo di 35 -40.000 potenziali utenti delle aree pubbliche. Suddivisione del piano Considerazioni Finali L’autore del piano dal 64 al 94 ha il merito di aver rovesciato il cannocchiale con cui vedeva i due piani: nel 64 il territorio era visto dalla città, nel 94 la città viene vista dal territorio. Uno dei punti di forza del piano è quello di creare una stretta connessione tra piani e progetti. Il nuovo piano è mirato ad incoraggiare il turismo residenziale individuale e di chi visita i luoghi perché ne riconosce la qualità e non distruggendola ovvero il turismo di consumo. (critiche sulle due linee ferrata dimesse che De Carlo propone di riattivare, quasi irrealizzabile, ed apprezzamenti sul nuovo piano da parte di Vittorio emiliani, giurista italiano)

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Giuseppe Campos Venuti PRG di Reggio Emilia La prima questione riguarda il modo in cui il piano si misura con il regime immobiliare, riguarda cioè il meccanismo di pianificazione e attuazione prescelto per realizzare la trasformazione urbana, rispettando per ragioni etiche ed operative, sia il principio di uguaglianza fra tutti gli utenti della città, sia il principio di perequazione per tutte le proprietà investite dal piano. E l’altra questione riguarda la capacità della disciplina urbanistica di selezionare i suoi contenuti di attualità, guidando quel processo evolutivo che partendo dalla città aveva investito le problematiche territoriali e ambientali e potrebbe oggi aprirsi alle problematiche ecologiche senza perdere la propria specificità. Per affrontare la prima delle due questioni e quindi misurarsi con il regime immobiliare, bisogna innanzi tutto riconoscere il cambiamento della generazione urbanistica o comunque si voglia dire il passaggio dal periodo della grande espansione urbana a quello della trasformazione. La soluzione sarà in linea di massima quella di proporre un meccanismo di regole generalizzate grazie al quale da un lato tutti i terreni che si trovano nelle stesse condizioni giuridiche e urbanistiche dovranno avere le stesse potenzialità edificatorie, mentre dall’altro a tutte le proprietà soggette alla trasformazione verrà richiesto proporzionalmente lo stesso contributo in oneri di urbanizzazione e in cessione di aree per uso pubblico. L’esproprio resterà uno strumento necessario soltanto fuori dalle aree di trasformazione urbana, per soddisfare le esigenze arretrate dei servizi e del verde di quartiere o per la costruzione di abitazioni popolari ed economiche. Reggio Emilia ha un centro storico discretamente conservato e un’ottima dotazione di servizi pubblici: ha un traffico che presenta problemi ma non drammatici e un depuratore efficiente anche se non collegato a tutto il tessuto urbano: ha un vastissimo patrimonio abitativo (quasi due stanze a persona) e una mediocre dotazione di parchi pubblici (8 mq per abitante). Per il piano di Reggio Emilia si è deciso di puntare sulla salvaguardia del centro storico, sul recupero del patrimonio edilizio esistente e di conseguenza adottare un dimensionamento contenuto dei nuovi insediamenti. Le previsioni per i nuovi insediamenti, quelle che determinano, o in questo caso confermano notevoli valori immobiliari sono state trattate allora secondo il principio perequativo: attribuendo uguali potenzialità edificatorie alle aree che si trovano nella stessa condizione giuridica e urbanistica. Suddetto principio elimina drasticamente ogni disparità di trattamento fra proprietà immobiliari oggettivamente concorrenti e con ciò ogni sospetto sulla valenza etica del piano. Sono infatti così cancellatele sperequazioni che fino a quel momento il piano determinava differenziando le previsioni edificatorie – in destinazione e volumetria – con valutazioni strettamente soggettive. L’altro aspetto della sperequazione, quello relativo alle aree destinate all’esproprio è in linea teorica risolto se le indennità compenseranno realmente la mancata edificazione. Una seconda innovazione proposta dal nuovo meccanismo di pianificazione e attuazione riguarda poi la qualità funzionale degli insediamenti: e affronta metodologicamente il superamento della monofunzionalità insediativi, cioè i quartieri dormitorio o le zone esclusive degli affari. L’innovazione supera il criterio delle zone omogenee funzionali, utilizzando la possibilità di pianificare a priori per zone integrate. In questo caso invece il piano stesso che regola gli insediamenti integrati attribuendo percentuali minime, rispettare sempre, per la residenza degli uffici, il commercio l’artigianato; insieme a percentuali fisse di area edificabile e di area verde. La terza innovazione significativa proposta rispetto alla prassi urbanistica corrente è: la flessibilà delle previsioni per i nuovi insediamenti, flessibilità realizzata aggiungendo alle percentuali minime di funzioni da rispettare negli insediamenti integrati una percentuale 13


variabile (che nel preliminare è 38%) dipendente dalle scelte che gli operatori faranno al momento di realizzare l’intervento, in maniera tale anche da conciliare di volta in volta le richieste del mercato con il piano stesso. Ecologia La nuova esigenza ecologica della rigenerazione ambientale dei tessuti urbani non contraddice in alcun modo la già nota esigenza di verde per la fruizione di tutti i cittadini, ma ne accresce in notevole misura la dimensione, il che considerando la già grande difficoltà di assolvere in Italia standard per il verde pubblico, suggerisce implicitamente di affrontare la rigenerazione ambientale. Al verde di fruizione si aggiunge il verde per la rigenerazione ambientale ovvero il “verde permeabile” fatto di prati, arbusti, alberi necessari per far respirare la città. Nel vecchio piano non furono rispettati gli obblighi in merito alle zone verdi e all’esproprio (abusandone di quest’ultimo) per cui si rendeva necessaria una revisione delle previsioni di verde pubblico, con la prerogativa di destinazione di verde privato attrezzato con elevati indici di permeabilità, attrezzandolo con dotazione sportive e ricreative, realizzando dei veri e propri parchi condominiali, in maniera tale da rappresentare l’elemento qualificante di una nuova urbanistica indirizzata verso l’ecologia. Infatti uno dei temi di fondo del nuovo piano è il nuovo contenuto ecologico proposto per il preliminare: quello di una trasformazione urbana che presenti un’alta percentuale di suolo destinato a verde permeabile pubblico e privato. Il 66% della nuova città sarà permeabile, il doppio della percentuale che caratterizza la città esistente. Un esempio è ben rappresentato da quelli che sono stati definiti i parchi urbani d’iniziativa privata. Si tratta di quattro cunei di terreno agricolo profondamente insinuati nella periferia della città, della dimensione complessiva di circa 100 ettari: l’intenzione è quella di trasformare quei pezzi di campagna in parchi alberati, senza oneri per la comunità. Si p allora attribuita una bassa edificabilità alla superficie totale, pari a circa 350 alloggi in 30 ettari con edilizia economica e popolare, dei restanti 70 ettari, 30 saranno destinati a parco privato condominiale e gli altri 40 in parco pubblico. La permeabilità sarà garantita sul 78% dell’area; l’obiettivo della rigenerazione ambientale e della relativa permeabilizzazione riguarda anche gli edifici pubblici e le zone industriali fortemente impermeabilizzati. Laddove queste operazioni non saranno possibili come ad esempio nel centro storico il provvedimento ecologico proposto dal piano è: la trasformazione delle rete fognaria mista in un sistema separato che tenga distinte le acque nere da condurre al depuratore, dalle acque bianche piovane da restituire ai magri corsi d’acqua; con il doppio beneficio di decongestionare il depuratore e di ravvivare le i fiumi e le falde freatiche (problema risolvibile collegando gli scarichi al nuovo collettore fognario per convogliare tutte le acque nere nel depuratore, operazione ritenuta prioritaria anche rispetto alla creazione di una nuova tangenziale viaria già in programma). Quanto alla mobilità il preliminare fa propria la preferenza del trasporto collettivo proponendo ad es. il riuso delle vecchie Ferrovie cooperative reggiane per sviluppare in futuro i collegamenti con i comuni vicini. Il piano propone anche l’istituzione di due lunghe linee di filobus che servono percorsi a croce da nord a sud e da est a ovest, con particolare attenzione anche al sistema delle piste ciclabili.

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Progetto su Montepalma Obiettivo: lo scopo del progettista è quello di individuare le risorse del territorio e di utilizzare per trasformare il patrimonio culturale da “carico passivo” a soggetto attivo nel processo di pianificazione e sviluppo. Il metodo attraverso il quale si vuole legare la valorizzazione dei beni culturali allo sviluppo sociale ed economico del territorio viene elaborato dall’architetto Massimo Casolari e denominato “Metodo identità – ruolo – funzioni – visibilità” Il progetto pilota per l’applicazione del metodo descrittivo è stato presentato per la città di Palmanova, in provincia di Udine. Le caratteristiche della città fortificata sintetizzano gli aspetti relativi al patrimonio culturale con quelli relativi al patrimonio ambientale, la posizione strategica nel territorio che la cittadella aveva nel passato per la sua funzione difensiva militare. Il metodo utilizzato si basa su: - un rilievo critico: in questa fase viene definito un inquadramento territoriale, attraverso queste analisi si mettono in evidenza le potenzialità di relazione e i punti di criticità, passando della scala territoriale a quella comunale. Viene studiato il sistema di mobilità e di sosta, evidenziando gli accessi urbani e le diverse tipologie di viabilità storica e di parcheggi e dei servizi all’interno del sistema urbano (analisi dell’accessibilità e della sosta). - identità: riconoscere il valore di unicità del patrimonio in esso presento, pensando una tutela ed una valorizzazione mirate e specifiche; anche gli elementi critici, quali aree marginali o beni non più in uso, possono diventare occasioni per una riqualificazione e per far emergere le potenzialità rimaste inespresse dell’insieme urbano e ambientale, valutando inoltre lo stato di conservazione del patrimonio edilizio e delle cinte fortificate; - ruolo: guardare alle città inserite nel contesto territoriale, anche attraverso l’individuazione delle emergenze e delle risorse promotori di sviluppo, ma soprattutto sviluppo sostenibile locale; - funzioni: mettere a sistema gli elementi presenti o potenziali nel territorio; - visibilità: promuovere la comunicazione del processo avviato per diffonderne la conoscenza in ambito nazionale e internazionale al territorio. In questa ultima fase viene studiato un processo di vero e proprio marketing urbano e territoriale, per far diventare gli argomenti dello studio i punti forti in un processo comunicativo e promozionale sui contenuti del modello di sviluppo cercato. Conclusioni Una presenza così diffusa di beni culturali e ambientali non può essere trascurata in una pianificazione che tenga realmente conto degli elementi che contribuiscono a formare l’identità di un territorio. Nel caso del “Metodo identità – ruolo – funzioni – visibilità”, il piano ritenuto di maggiore rilievo è quello dei beni culturali presenti nei territori nei quali si pensa di intervenire, per cui emerge la necessità di ripensare la tutela del patrimonio trasformandola in “tutela attiva”, guardando al patrimonio culturale ambientale non solo come bene da museificare, ma come opportunità di sviluppo.

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Appendice Legislativa Leggi urbanistiche nazionali - legge 17 agosto 1942 n. 1150. “Legge Urbanistica Nazionale”, è la prima norma urbanistica italiana nella quale il legislatore si occupa di stabilire le regole per la pianificazione finalizzata, soprattutto, al controllo dell’assetto e dell’incremento edilizio. Art. 1 vengono precisati i contenuti del Piano Regolatore Generale, che è lo strumento con il quale si pianifica lo sviluppo di un territorio comunale. Art 7 Contenuto generale del piano 1. la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti; 2. la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione; 3. le aree riservate ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo e sociale.; 4. i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico; 5. le norme per l’attuazione del piano; il piano regolatore ha vigore a tempo indeterminato, anche se le previsioni vengono stabilite su un ventennio. Per predisporre l’attuazione dello strumento urbanistico il comune ha la facoltà di espropriare le aree edificate e quelle su cui si trovano costruzioni che siano in contrasto con la destinazione stabilita per la zona. Il piano regolatore generale si attua attraverso degli strumenti urbanistici che sono: i piani particolareggiati di esecuzione nei quali devono essere indicate le reti stradali e i principali dati altimetrici di ciascuna zona e debbono inoltre essere determinati: - le masse e le altezze delle costruzioni lungo le principali strade e piazze; - gli spazi riservati ad opere od impianti di interesse pubblico; - gli edifici destinati a ricostruzione o demolizione; - le suddivisioni degli isolati in lotti fabbricabili; - gli elenchi catastali delle proprietà da espropriare o vincolare - Legge 18 aprile 1962 n. 167 “disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare. Con tale norma lo stato impose, ai comuni con una popolazione superiore ai 50.000 abitanti, l’obbligo di redigere dei piani di zona per l’edilizia economica e popolare (PEEP), che comprendevano oltre alla programmazione edilizia le previsioni per le opere di urbanizzazione, le attrezzature e i servizi ed anche il verde pubblico. - Legge 6 agosto 1967 n. 765 nota come “legge ponte”, il legislatore puntò a porre un freno all’eccessiva speculazione edilizia salvaguardando, al tempo stesso, il patrimonio culturale e paesaggistico italiano. Essa stabilisce la demolizione per le opere eseguite senza licenza edilizia o in modo difforme da essa, modifica le norme sulle lottizzazioni, stabilendo la redazioni dei Piani di Lottizzazione che non altro che dei piani particolareggiati di iniziativa privata. Un’altra importante novità è l’introduzione con l’art 17 delle Zone Territoriali Omogenee poi riprese nel decreto Interministeriale del 1968 n. 1444: A) le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale (centro storico) B) le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate diverse dalla zona A: si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc\mq; 16


C) le parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi (zone di espansione) D) le parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali (in generale zone produttive) E) le parti del territorio destinate ad usi agricoli F) le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale Oltre alle ZTO il decreto 1444 comprende l’emanazione di norme relative agli standard urbanistici, stabilendo per abitante la dotazione minima di 18mq di cui: a) mq 4,5 di aree per l’istruzione; b) mq 2 di aree per attrezzature di interesse comune c) mq 9 di aree per spazi pubblici attrezzati a parco d) mq 2,5 di aree per parcheggi - legge 28 gennaio 1977 n. 10 (Legge Bucalossi) “Norme per l’edificabilità dei suoli” Un’importante innovazione culturale è quella che riguarda la separazione tra “ius aedificandi” e “ius possidenti” per cui il titolo di proprietà di un bene (suolo o immobili) non coincide con il diritto a realizzare un’arbitraria trasformazione. I due principali contributi della legge sono l’introduzione di un nuovo strumento di programmazione, il Programma pluriennale di attuazione (PPA) all’interno del piano regolatore generale e la sostituzione della licenza edilizia con la concessione edilizia che ha caratteristiche di onerosità e validità limitata nel tempo (i lavori devono iniziare entro un anno dal rilascio e devono concludersi entro tre anni dal loro inizio). Art 3 Contributo per il rilascio della concessione Art 5 Determinazione degli oneri di urbanizzazione Questi oneri sono le spese per contribuire alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primarie (strade, parcheggi, fognature) e secondarie (asili, impianti sportivi) Art 6 Determinazione del costo di costruzione - legge del 1978 n. 457 “ Norme per l’edilizia residenziale” Art. 27 Individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio esistente Comma 1 i comuni individuano nell’ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni del degrado, si rende opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione e al risanamento. Art 28 la stesura di Piani di Recupero (attuati o da proprietari singoli o dai comuni) Art 31 Definizione degli interventi: Comma 1 a) interventi di manutenzione ordinaria, quelli che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento o sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti b) interventi di manutenzione straordinaria, le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare i servizi igienico – sanitari sempre che non si alterino le destinazioni d’uso. c) interventi di restauro e di risanamento conservativo, quelli rivolti a conservare l’organismo edilizio. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio d) interventi di ristrutturazione edilizia, quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. e) interventi di ristrutturazione urbanistica, quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico edilizio con altro diverso. 17


- legge 28 febbraio 1985 n. 47 “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed edilizia. Sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie” Le legge si prepone di affrontare tali problemi mediante in maggiore controllo dell’attività edilizia e una sanatoria per le opere realizzate abusivamente prima del 1983 Art 7 Opere eseguite in assenza di concessione Art 10 Opere eseguite senza autorizzazioni Art 12 Opere eseguite in parziale difformità dalla concessione Art 23 Controlli periodici mediante rilevamenti aerofotogrammetrici Art 33 Opere non suscettibili di sanatoria a) quelle opere che violano i vincoli architettonici, archeologici, ambientali, paesistici b) quelle opere che violano i vincoli imposti da norme statali e regionali delle coste marine c) quelle opere che violano i vincoli imposti a tutela delle opere di difesa militare

Leggi sull’esproprio - Legge 25 giugno 1865 n. 2359 “disciplina delle espropriazioni forzate per causa di utilità pubblica” all’ art. 39 stabilisce per l’espropriazione totale il criterio di stima secondo cui l’indennità spettante al proprietario deve corrispondere al giusto prezzo che, a giudizio dei periti, avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compravendita. L’art 40 della stessa legge stabilisce per l’espropriazione parziale che l’indennità è quella risultante dalla differenza tra il valore di mercato che avrebbe avuto l’immobile avanti l’esproprio ed il valore di mercato che potrà avere la parte residua dopo l’esproprio. - legge 25 gennaio 1885 n. 2892 “legge per il risanamento della città di Napoli” all’art 13 stabilisce per l’espropriazione il criterio di stima secondo cui l’indennità spettante al proprietario deve essere determinata sulla media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio. - legge 22 ottobre 1971 n. 865 “legge per la casa” determina l’indennità di esproprio secondo dei principi che si scostano sostanzialmente da quelli precedenti, infatti l’art 16 stabilisce che l’indennità di espropriazione per le aree esterne ai centri edificati è commisurata al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura più redditizia tra quelle che nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare coprono una superficie superiore al 5%. - Legge 8 agosto 1992 n. 359 l’indennizzo corrisponde al valore venale più il reddito dominicale (x 10) (che corrisponde circa al valore agricolo medio) l’importo così determinato è ridotto del 40% qualora la cessione non sia volontaria - DPR 8 giugno 2001 n. 327 rappresenta il testo unico delle disposizioni legislative e dei regolamenti in materia di espropriazioni per l’utilità pubblica.

Leggi per la tutela dei beni culturali ed ambientali -

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Legge 1 giugno 1939 n. 1089 “ norme generali sulla tutela delle cose di interesse storico ed artistico” Legge 29 giugno 1939 n. 1497 “Norme sulla protezione delle bellezze naturali” Legge 8 agosto 1985 n. 431 (legge Galasso) la legge Galasso estende il vincolo paesaggistico ad ampie categorie di beni, indipendentemente dal loro valore ambientale, prescrivendo che le Regioni formino dei Piani Paesistici attraverso i quali regolamentare le aree Decreto legislativo 29 ottobre 1999 n. 490 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali” Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”. In particolare il codice definisce le nozioni di “tutela” e di 18


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“valorizzazione” sottolineando l’importanza di entrambe, al fine di assicurare il necessario coordinamento sul territorio delle attività legate al patrimonio. Legge 20 febbraio 2006 n. 77 “Misure speciali di tutela e fruizione dei siti italiani di interesse culturale, paesaggistico e ambientale, inseriti nella “lista del patrimonio mondiale” posti sotto la tutela dell’UNESCO

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Progetto sulla linea ferroviaria Alcantara – Randazzo L’associazione italiana Greenways descrive la greenway come un sistema di territori lineari tra loro connessi che sono protetti, gestiti e sviluppati in modo da ottenere benefici di tipo ricreativo, ecologici e storico culturali, e sostiene che in un’ottica di mobilità le greenways possono costituire un sistema di percorsi dedicati ad una circolazione non motorizzata in grado di connettere le popolazioni con le risorse del territorio e con gli insediamenti urbanistici. Nel 2001 la SFA ha commissionato all’associazione italiana Greenways uno studio per la valorizzazione delle linee ferroviarie dismesse. Gli studi hanno riguardato 5 linee ferroviarie, una in provincia di Bergamo, una in provincia di Siena, una tra le province di Trento e Bolzano, la linea Roma – Viterbo e la linea ferroviaria Alcantara – Randazzo tra le provincie di Messina e Catania. Una prima fase del Progetto riguarda l’inquadramento territoriale, quindi il territorio di riferimento che è situato nella parte orientale della Sicilia tra le provincie di C – M caratterizzate dalla presena del fiume Alcantara che scorre nell’omonima valle e chiuso dai Nebrodi e dalle Madonie a sall’Etna, e protetta dal parco regionale dell’Etna, dal parco dei nebrodi e dal parco fluviale dell’Etna. (la linea ferroviaria fu iniziata nel 1928 e fu ultimata nel 1959, anche se non furono mai ultimati tutti i collegamenti, inoltre la stazione di Randazzo che doveva svolgere ruolo di capolinea non era sufficientemente attrezzata tanto da volerla sopprimere già nel 1959, la ferrovia fu poi completamente dismessa nel 1994). Il percorso progettuale consta di tre fasi: - definizione dell’area di studio (individuare nel territorio la superficie oggetto di studio) - analisi territoriale (essa è incentrata sull’individuazione di un sistema di percorsi, dedicati ad una circolazione non motorizzata, in grado di connettere le varie risorse del territorio) - pianificazione (vengono analizzati attraverso il Piano delle Greenways gli interventi da effettuare) Gli strumenti utilizzati per il progetto consistono nel materiale bibliografico, cartografico ed iconografico esistente, ed in particolar modo della Carta tecnica regionale, della Ortofotocarta digitale e della Carta Topografica Italiana. L’obiettivo prioritario del progetto è l’individuazione di una rete di percorsi, pedonali e ciclabili, che partendo dalle stazioni della linea ferroviaria, consentano di raggiungere i punti di maggior interesse del territorio. Il tema della greenways è molto complesso poiché richiama significati culturali e sociali che non possono essere ridotti ad un puro atto tecnico di adeguamento di un tracciato ferroviario dismesso per la realizzazione di percorsi pedonali e ciclabili, in quanto le greenways hanno una valenza storica e sociale, e necessitano uno studio approfondito del territorio da un punto di vista sia storico che geografico.

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