la comunita' come possible alternativa al carcere

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Indice Introduzione............................................................................................1 Capitolo primo Progetto e obiettivi della comunità.............................................................. 1.1. Cenni sulle origini della coop.sociale “Casa Amica”................................................... 1.2. La Comunità e la legge................................................................................................ 1.3. Chi è l’utente................................................................................................................ 1.4. L’obiettivo generale ................................................................................................... 1.4.1. Gli obiettivi intermedi…………………………………………………………….. 1.4.2. Piani di attuazione per il raggiungimento degli obiettivi………………………… 1.5. La comunità come reintegro sociale………………………………………… 1.6. Progetto Icaro……………………………………………………………………… 1.6.1. Obiettivo generale…………………………………………………………………. 1.6.2. Obiettivi specifici………………………………………………………………….. 1.6.3. La struttura del progetto…………………………………………………………… 1.6.4. Obiettivi specifici delle azioni a favore dei minori………………………………

Capitolo secondo L’utenza come elemento centrale della struttura “Casa Amica”............. 2.1. L’inserimento in comunità............................................................................................ 2.2. Come accedere............................................................................................................. 2.3. Modalità di ammissione e dimissione.......................................................................... 2.4. Strutturazione delle Coop. “Casa Amica”.................................................................... 2.5. Gli spazi………………………………………………………………………….. 2.6. L’utenza……………………………………………………………………………… 2.6.1. Utenza effettiva……………………………………………………………………. 2.7. Interviste agli utenti………………………………………………………………….

Capitolo terzo Gestione e organizzazione nella struttura.............................. 3.1. Organigramma e specificità dei ruoli .......................................................................... 3.2. Staff educativo.............................................................................................................. 3.3. Le altre risorse.............................................................................................................. 3.4. Gli strumenti................................................................................................................ 3.5. Le metodologie di lavoro.............................................................................................. 3.6. Giornata tipo……………………………………………………………………….


Capitolo quarto Vivere in comunità.............................. 4.1. Aspetti e competenze della Comunità……………………………………………….. 4.2. Le regole…………………………………………………………………………… 4.3.Identità, funzioni e competenze dell’educatore……………………………………. 4.4. Domande all’educatore………………………………………………………………. 4.5. Domande al direttore……………………………………………………………….

Conclusioni..................................................................................... Bibliografia......................................................................................... Sitografia............................................................................................

Capitolo quarto Vivere in comunità.............................. 4.1. Aspetti e competenze della Comunità……………………………………………….. 4.2. Le regole…………………………………………………………………………… 4.3.Identità, funzioni e competenze dell’educatore……………………………………… 4.4. Domande all’educatore………………………………………………………………. 4.5. Domande al direttore……………………………………………………………….

Conclusioni..................................................................................... Bibliografia......................................................................................... Sitografia............................................................................................


Introduzione L’idea di affrontare il tema della Comunità Alloggio per minori come argomento della mia tesi nasce dal desiderio di conoscenza di tale problematica. Prima di descrivere brevemente come intendo strutturare il mio scritto ritengo indispensabile premettere alcune considerazioni: L’allontanamento di un ragazzo dalla sua famiglia e dal suo ambiente è uno di quei fatti sociali su cui le cronache si soffermano e la verità raccontata dalla notizia giornalistica è spesso un gridare contro agli autori dell’allontanamento, colpevoli di una palese quanto crudele ingiustizia. L’attuazione dell’allontanamento viene socialmente accettata solo quando ci si trovi di fronte a fatti materialmente evidenti palesi e gravi (violenze fisiche, abusi sessuali, reati commessi ecc.). Spesso i mass media e di riflesso l’opinione pubblica sono portati a pregiudizi in merito all’allontanamento dei ragazzi dalla famiglia e dall’ambiente nei riguardi delle Comunità. Quando si affronta il problema dell’affidamento dei minori a soluzioni esterne alla famiglia d’origine, ci si imbatte drammaticamente in un’ antinomia antica ed ideologica fra l’affidamento a famiglie e l’affidamento a Comunità residenziali. Questa contrapposizione si ripercuote sulle figure adulte che, in entrambe le condizioni, si prendono cura dei ragazzi e che vengono investite in un caso da un assunto aprioristicamente positivo fatto coincidere con tutto ciò che è familiare, spontaneo, naturale, “affettivo”, e nell’altro da un pregiudizio di distacco emotivo, proprio perché tecnico e professionale. L’obiettivo di questa tesi è quello di dimostrare come la Comunità possa ancora oggi rappresentare uno strumento importante nell’ambito del panorama dei servizi socioassistenziali, ritagliandosi uno spazio ed un ruolo non alternativo ma integrato nell’ambito delle strategie utili al reinserimento del minore “socialmente svantaggiato” nel contesto sociale. In sostanza si vuole dimostrare come la Comunità Alloggio non debba più rappresentare come in passato una realtà a sé stante autonoma e “auto-finalizzata” come avveniva per i vecchi Istituti, spersonalizzanti e unicamente in grado di rappresentare un


alternativa alla dimensione familiare per i minori ospitati, quasi sempre orfani o privi di una risorsa familiare in grado di prendersene carico. Oggi la Comunità, che come prevede la legge riproduce una dimensione il più possibile vicina a quella familiare, ha un senso non come alternativa alla famiglia ma come passaggio spesso imprescindibile in vista di un rientro del minore nella propria famiglia o di un suo inserimento nel mondo esterno. E’ qui che si colloca la professionalità degli operatori (educatori,psicologi, assistenti sociali) che in Comunità lavorano costituendo equipe pluriprofessionali in grado di costituire per il minore ospitato un utile strumento di rielaborazione delle proprie esperienze passate, un importante fattore di stimolo e valorizzazione delle proprie risorse personali ed un valida opportunità di conoscenza e valorizzazione di modelli alternativi a quelli fino a quel momento sperimentati, creando le condizioni per un reinserimento in società. Certo la Comunità, non costituisce una soluzione definitiva per la risoluzione dei problemi dei minori inseriti ma con il suo mandato di “accompagnamento”del minore al reinserimento familiare e sociale, può ed anzi deve a mio avviso integrare nelle proprie prerogative anche la dimensione affettivo - emotiva, normalmente associata ai ruoli genitoriali. Nel percorso della mia tesi analizzerò le modalità di accesso in comunità dando una descrizione dettagliata della struttura e degli spazi degli utenti . Evidenzierò le caratteristiche dell’utenza che viene accolta presso tali strutture. In seguito illustrerò la serie di colloqui con alcuni ragazzi, per capire le motivazioni della loro permanenza in Comunita’, le loro perplessità , i disagi e le aspettative future. Ho intervistato Il Direttore , alcuni educatori professionali e della loro specificità nel contesto comunitario per capire come affrontare la problematica del minore ed il loro futuro. Della comunità illustrerò “ ICARO” il progetto sul quale si fonda tale cooperativa. Illustrerò la metodologia del lavoro in seno alla comunità, la strutturazione della giornata-tipo, l’organigramma e lo staff educativo, soffermandomi sulla specificità del ruolo dell’educatore. Non dipingerò dunque la Comunità come una soluzione ai problemi dei tanti ragazzi ma senz’altro una possibile alternativa al carcere.


Desidererei trasmettere a chi mi leggerà, un immagine più “ umana” della comunità, che distolga per un attimo lo sguardo dalle tinte fosche del disagio e della sofferenza , per aprirlo ai colori più vivi cioè quelli dell’allegria della serenità con la voglia di scommettere su un futuro di speranza.


Capitolo primo

Progetto e obiettivi della comunità 1.1. CENNI SULLEORIGINI DELLA COOP. “CASA AMICA” Casa amica nel momento della sua nascita, nel 1968, trova la sua sede presso il Villaggio Mosè, una frazione di Agrigento. La struttura era composta da due immobili. Successivamente (tra il 1969 e il 1970) si trasferisce a San Leone, la zona balneare della città. Durante il periodo di permanenza in San Leone la comunità era allocata in due palazzine ognuna di otto appartamenti. Causa incompatibilità di ruoli, in relazione alle norme in materia sanitaria, il 1° Luglio 1979 Casa Amica si trasferisce al Villaggio La Loggia dove attualmente opera. In tale sede la comunità gode originariamente di due locali affidategli sotto forma di comodato gratuito dall'ESA (Ente di Sviluppo Agricolo). Casa Amica nasce come istituto medico-psicopedagogico; all’inizio accoglieva adolescenti d’età compresa tra i 14-18 anni, che presentavano precedenti delinquenziali, situazioni familiari generalmente svantaggiate, basso grado d’istruzione scolastica. L’istituto aveva lo scopo di rieducare questi adolescenti, sotto un duplice profilo: la


condotta

sociale,

la

formazione

scolastica

e

professionale.

Nel Maggio 1986 è emanata la Legge Regionale n. 221 che sancisce il passaggio delle competenze rieducative, civili, riguardo ai minorenni, agli enti locali. Due anni dopo il M.M.G. cessava di occuparsi delle suddette competenze. Per il centro fu un periodo di smarrimento a tal punto che dovette chiudere. Nel 1989 il Comune d’Agrigento convenzionò la struttura che divenne “la COOP. “Casa Amica” a.r.l. formata da ex dipendenti dell’istituto. Il centro è suddiviso in cinque distinti edifici strutturati da un piano terreno che comprende una zona giorno (Gli ospiti del centro sono suddivisi in cinque palazzine) costituiti da una zona giorno e un piano primo per la zona notte, che si distinguono per mezzo d’appellativi floreali (garofano, viola, edera, quadrifoglio, geranio), diversa è il tipo d’utenza che occupa le palazzine. In questa fase l’obiettivo del centro è quello di portare avanti un’opera educativa e formativa in vista di un 1

http://www.akrabit.it/avev/norme/norme_regione/legge_rs_22_86_servizi_socio-assistenziali.htm


reinserimento dei ragazzi nel contesto sociale. Gli operatori usufruiscono di un progetto di rete, che ha lo scopo di aiutare il minore a consolidare la propria identità, tanto da consentirgli di migliorare i rapporti con la famiglia e di vivere relazioni non disturbate con il proprio ambiente sociale e familiare. Ogni comunità ha una sua programmazione riguardo ai bisogni e alle caratteristiche dei minori. Ciò che caratterizza l’intervento educativo della comunità, è l’assoluta apertura sia verso l’interno, sia verso l’esterno; l’organizzazione del centro è così composta: • L’equipe di direzione e coordinamento che esplica funzioni di programmazione e verifica delle varie attività del centro: composta dal direttore, dal consiglio d’amministrazione, da cinque operatoti responsabili di comunità, dall’educatore per comunità. • L’intervento educativo attuato nella comunità è programmato dall’equipe operativa composta da: responsabile di comunità, psicologo e assistente sociale. L’equipe viene coordinata dal direttore o dall’educatore coordinatore, con la funzione di individuare una programmazione delle attività educative specifiche di comunità e di studio dei casi. Casa Amica persegue anche una politica di apertura al territorio, nel tentativo di favorire la risocializzazione e la non ghettizzazione dei ragazzi della comunità consentendo al contesto socio culturale territoriale di conoscere la realtà dei ragazzi di Casa Amica, affinché incomincino a vedere in essi non, o non solo il potenziale "pericolo", ma anche la loro voglia di vivere e le loro risorse. Nascono quindi diverse iniziative: per tre anni consecutivi 1990, '91 e '92, i ragazzi di Casa Amica si inseriscono al "Camping International di San Leone", ove collaborano divenendo in breve tempo una realtà organizzativa del Camping. Il 12 maggio 1995 Casa Amica apre le sue porte alla popolazione Agrigentina, per un momento di confronto e di incontro in collaborazione con l'Ecap-CGIL di Agrigento. Gli educatori di Casa Amica organizzano nei "tre giorni per socializzare giocando e divertendosi" un torneo di calcetto dedicato a Francesca Morbillo, una gimcana, il gioco del cruciverbone, una corsa con i sacchi, una caccia al tesoro. I giovani di Casa Amica sono presenti con un proprio stand alla "Prima Fiera Campionaria" mostra dell'artigianato Agrigentino, ove, oltre ad esporre lavori in legno, dipinti su vetro e specchio, decori su pietra, vendono pizza a taglio da loro preparata, riscuotendo notevole successo e un buon ritorno economico. Nel 1998 musicisti di Casa


Amica in tournée: iniziativa del complesso musicale "Black Condors" della comunità Casa Amica di Agrigento. Nel 1998 la squadra di Casa amica vince il premio disciplina.

1.2. LA COMUNITA’ E LA LEGGE La famiglia è il luogo privilegiato per la crescita dei minori. Nel quadro delle politiche assistenziali si registra, in questi ultimi decenni, l'affermazione forte di questo principio, che ha trovato i suoi riferimenti normativi prima delle legge sul diritto di famiglia, poi nella legge sull'affido/adozione, e non ultima sulla istituzione delle Comunità alloggio. La legge del 9 maggio 1986, n° 222, è l'esempio dell'intervento specifico mirato al recupero e reinserimento sociale dei minori col rischio di devianza, sottoposti a provvedimento civile e o amministrativo. Oggi la Comunità è il luogo che testimonia un percorso di sviluppo e crescita degli interventi sociali che ha determinato: • Un passaggio dall’Istituto ad un piccolo gruppo sempre più rispondente e consono al modello familiare; • Una forma non di provvisoria assistenza certamente inadeguata, ad una risposta d’emergenza, coordinata e programmata; • Una risorsa più adeguata ad accogliere i minori dalla preadolescenza in avanti, laddove la proposta dell’affido è molto spesso fallimentare, e l’intervento educativo problematico e complesso, che richiede azioni pluridisciplinari; • La promozione sul territorio di una cultura di attenzione e di accoglienza dei minori in difficoltà. La Cooperativa Casa Amica, in riferimento alla legge 22, ha stipulato convenzione con il Comune di Agrigento, per la gestione di n° 5 Comunità Alloggio per Minori. I minori ospiti, provenienti da tutto il territorio siciliano, e su decreto emesso dal Tribunale per i Minorenni di competenza, sono accolti in forma residenziale, con retta a carico del Comune di Agrigento.

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http://www.regione.sicilia.it/lavoro/uffici/agimp/hand/ricerca/Leg022.htm


1.3. CHI E’ L’UTENTE3 La tipologia delle problematiche presentate dagli ospiti delle diverse Comunità rientrano prevalentemente nell’area del disagio sociale, nelle sue diverse forme. Le famiglie di provenienza presentano diverse caratterizzazioni e difficoltà, accomunate dal loro, non riuscire a svolgere, in quel preciso momento della loro storia, la funzione genitoriale in modo da rispondere adeguatamente ai bisogni di crescita del minore. In particolare si può far riferimento: 1. ad una famiglia divisa o incompleta; 2. ad una famiglia che non ha capacità di mantenere legami forti e significativi; 3. ad una famiglia con problemi economici. E’ legittimo collegare a questo motivo la conseguenza della condizione abitativa e lavorativa; 4. le difficoltà relazionali con la famiglia d’origine, che rappresentano un segno della scarsa capacità di cura dei genitori, assistenziale ed educativa. Disagio che si esprime nel maltrattamento, nell’abbandono, nello sfruttamento; 5. altro complesso di motivazioni che determinano l’accoglienza residenziale riguarda i problemi del minore stesso, peraltro non scollegati mai da quelli della famiglia e del territorio. La causa potrebbe essere ricercata nell’impossibilità constatata o incapacità di crearsi una propria identità ed un ruolo nella società; ciò porta l’adolescente a non accettare le regole istituzionali e a ricercare l’appoggio in gruppi che condividono il suo modo d’essere ed in cui possa avere un ruolo attivo, riconosciuto e gratificante, di leadership anche attraverso azioni criminose. Quest’ipotesi è maggiormente accreditata se si tiene conto della provenienza e della situazione educativa-familiare, a sua volta portatrice di modelli devianti. Infatti, gli ospiti del centro provengono dai quartieri ghetto delle grandi città, quali, Palermo, Catania, Trapani, Caltanissetta, Siracusa, Agrigento, e Ragusa. Ciò sta dimostrando che il fenomeno devianza si manifesta in prevalenza nelle grandi città, quindi, si evidenzia, così, che questi minori vivono uno stato d’abbandono 3

http://www.casaamica.it/home.html


da parte anche degli enti preposti ad arginare il fenomeno devianza, quindi essi si sentono abilitati a crearsi un proprio modello di vita, molto spesso non condiviso dalla collettività. Molti di questi ragazzi non hanno completato il ciclo della scuola dell’obbligo, il drop-out scolastico viene interpretato come il segno di una scarsa fiducia attribuita dai ragazzi verso le istituzioni, e nello stesso tempo come una scelta consapevole di una scorciatoia concreta ed immediata volta ad ottenere, anche attraverso mezzi illeciti, beni materiali. Inoltre questi giovani si trovano in comunità per decreto amministrativo e civile, infatti, le motivazioni sono molto spesso ricollegabili a problemi familiari e scolastici; altri, invece, hanno commesso dei reati (rapine, scippi, furti, estorsioni), per i quali il giudice, come misura alternativa, ha previsto l’inserimento in comunità; di questi reati quello che ha una maggiore incidenza è il furto. Da alcuni dati istat è molto alta la percentuale circa il 45% di reati a sfondo economico 4; ciò sta ad evidenziare il bisogno di tipo materiale del minore deviante. La tipologia dell’utenza delle Comunità è dunque molto vasta ed in generale si può collocare nell’ampio spettro della marginalità sociale e culturale. Occorre dunque, partendo dalla consapevolezza della assoluta priorità che deve essere data alla necessità di tutela del minore, di cui la comunità rappresenta un utile strumento, adoperarsi affinché l’investimento sulla famiglia sia realmente prioritario. In ciò anche la Comunità, tramite l’integrazione con il territorio, può avere un ruolo primario e non antitetico nel panorama dei servizi socio assistenziali.

1.4. L’OBIETTIVO GENERALE Esso costituisce la ragion d’essere dell’esistenza stessa della comunità, essendo la finalità per la quale la comunità e' sorta. Premesso che la Comunità in nessun caso può pensarsi come entità sostitutiva della famiglia e dei ruoli genitoriali , la cooperativa si propone di predisporre per ciascuno dei minori, un progetto educativo personalizzato che miri al graduale raggiungimento della maturità psico-fisica, relazionale e sociale, di sostenere il percorso formativo o lavorativo dei ragazzi ultra diciottenni dimessi dalle comunità alloggio, inoltre di 4

http://giustiziaincifre.istat.it/


garantire la partecipazione dei minori e dei ragazzi ultra diciottenni alle iniziative educative e formative offerte dal territorio ed infine favorire il verificarsi delle condizioni per il reinserimento del minore nel nucleo familiare che, a seconda delle situazioni e del progetto concordato con il Servizio Sociale di provenienza, può essere rappresentato dalla famiglia di origine, dalla famiglia affidataria o adottiva, dalla casa-famiglia, ecc. Ciò è coerente con una impostazione della Comunità in quanto esperienza necessariamente temporanea e transitoria, preparatoria alla realizzazione di un progetto di vita che non può che svilupparsi e realizzarsi fuori da essa.

1.4.1. GLI OBIETTIVI INTERMEDI Rappresentano finalità che, essendo strettamente connesse con l’obiettivo generale, orientano l’agire quotidiano dello staff educativo e la relazione con i minori. Possono essere così sintetizzati: •

rielaborazione dei vissuti personali;

gestione dell’affettività

promozione e tutela dell’igiene e della salute personale;

sviluppo dell’autonomia personale, tenendo conto delle fasi di vita/crescita

• •

del minore; accompagnamento nei processi di socializzazione; attivazione delle risorse personali e sociali;

coscienza di sé;

affrancamento nello sviluppo cognitivo e nel processo di apprendimento;

recupero della fiducia nei confronti dell’adulto;

utilizzo della famiglia come risorsa;

preparazione al reinserimento familiare.

1.4.2. PIANI DI ATTUAZIONE PER IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI


Il Piano intende in modo specifico: •

garantire ai minori ospiti della comunità e ai ragazzi dimessi che ancora continuano ad avere rapporti con la struttura uno spazio fisico e relazionale di tipo familiare, creando un clima che li faccia sentire “ a casa”;

migliorare le problematiche comportamentali dei minori proponendo loro un modello di convivenza comunitaria e costruendo competenze sociali che sostituiscano le modalità inadeguate;

aiutare i ragazzi a muoversi con fiducia e flessibilità nel tessuto dei rapporti in cui sono inseriti, e, in generale nel mondo esterno;

favorire il raggiungimento dell’autonomia dei ragazzi ultra diciottenni sostenendoli nel completamento del proprio percorso educativo;

aprire sempre di più le comunità al territorio, intensificando la collaborazione con le altre agenzie educative e con i servizi (scuola, parrocchie, agenzie del tempo libero, famiglie volontarie, mondo del lavoro ecc.)

1.5. LA COMUNITA’ COME POSSIBILE ALTERNATIVA AL CARCERE La Comunità costituisce un nuovo modo di accostarsi alla realtà minorile “difficile” e compie un dovere istituzionale ben preciso costituendo un insostituibile servizio. Gli interventi si pongono quindi in un’ottica di temporaneità sia pure a medio e lungo termine.Si ritiene indispensabile la creazione di strutture educative all'avanguardia, religiose o laiche, nelle comunità, case- famiglia, in cui sia possibile proseguire il percorso educativo effettuato in carcere in un progetto di continuità in cui il minore non sia mai solo con il suo passato, con le sue paure, con la sua disperazione.Per i minori devianti,la comunità potrebbe essere una possibilità assieme ad altri strumenti,che in conseguenza di un reato siano stati affidati ad un giudice,cono scopo educativo di risocializzazione. Il carcere è un deterrente,infatti costituisce un ulteriore elemento nel processo di emarginazione che, potenziando nel ragazzo l'identità di sé


come soggetto deviante, riduce la possibilità di far riferimento alle risorse dell'individuo, e non rimuove le cause che hanno originato la sua condotta, con la conseguenza che, una volta espiata la pena, si riprodurrà la stessa situazione di conflitto preesistente. Per quanto detto l’alternativa al carcere potrebbe essere la comunità dove con un programma di recupero si metta in evidenza la potenzialità e la possibilità di sostegno per il superamento di quelle condizioni che hanno facilitato l’ingresso nella devianza. La Comunità va quindi intesa non come spazio di puro contenimento, ma come struttura quotidiana capace di progettarsi a misura del minore, proponendosi certamente come "spazio di passaggio", ma ricco di esperienze utili ad accompagnare in chiave evolutiva il percorso dei minori ospitati. La definizione del ruolo sociale di una struttura che accoglie dei minori è senza dubbio condizionata, da un lato, dalla specificità dei bisogni ai quali deve rispondere e, dall'altro lato, dal tipo di rapporto che esse la struttura è in grado di stabilire con gli altri "attori" del territorio che ruotano attorno ai minori( famiglia, scuola, servizi sociali, strutture ricreative, ecc.). Se nel passato la comunità per minori tendeva a configurarsi come una struttura quasi autosufficiente, oggi si è diffusa, positivamente, la consapevolezza che essa rappresenta, in realtà, una risorsa all'interno di una rete complementare di servizi, capace, proprio per la sua interazione, di offrire ai minori devianti adeguate e mirate risposte ai loro bisogni, in termini di coerenza globale e di specificità al tempo stesso. Occorre quindi essere consapevoli del ruolo di risorsa sociale della comunità in una sorta di "rete di reti" realmente operativa. In questo senso, la Coop. CASA AMICA, va configurandosi,come "ambiente di vita" dove, appunto, quotidianità ed attività si integrano. In questo modo appare centrale poter configurare la comunità come una struttura educativa dove la relazione quotidiana permette la manifestazione e la cura di comportamenti diversificati ed autonomi, nel quadro di progetti che investono la vita reale dei ragazzi. La comunità dovrebbe quindi riproporre una clima "familiare", senza simulare la famiglia, ma riproponendo esperienze di appartenenza e separazione, di autonomia ed unione in grado di sostenere affettivamente e materialmente il percorso di crescita dell'identità personale di questi devianti.


La struttura della comunità per minori esiste dunque per rispondere, in generale, ad un bisogno di tipo sociale, strettamente connesso ad esigenze educative: accogliere dei ragazzi in difficoltà che non hanno potuto trovare un contesto familiare equilibrato in grado di tutelare la sua crescita "normale". Il ruolo della comunità è dunque molto delicato. Le esperienze vissute da un ragazzo nei suoi primi anni di vita costituiscono una base affettiva/cognitiva/relazionale/espressiva

che

condiziona

inevitabilmente

la

costruzione della sua personalità. In tale prospettiva, trattandosi di giovani che presentano problemi di "destrutturazione" della propria personalità, o comunque il rischio di veder acuiti disagi di fondo, appare prioritario impostare il progetto complessivo della comunità verso la progressiva "ristrutturazione" delle capacità e potenzialità positive di quest’ultimi, ponendo nuove basi per la conduzione di un'esistenza non marginale. In altri termini, la comunità si deve organizzare attorno all'obiettivo di attivare dei profondi "cambiamenti", significativi per l'utente, sul piano delle relazioni, delle abilità sociali, della personalità, dell'equilibrio affettivo e, cosa prioritaria per questa Comunità, della propria "autorappresentazione". Per raggiungere tale obiettivo, nel contesto della comunità per minori , il progetto tiene conto di alcuni punti di riferimento fondamentali: * La qualità della relazione globale tra educatore e giovane: non fondata su "volontarismi", ma sulla coscienza del proprio ruolo professionale posto in costante relazione dialettica con la conoscenza dei bisogni reali dei minori. * La definizione di percorsi educativi personalizzati: articolando interventi mirati alle specifiche esigenze di questi ultimi in equilibrio con la realtà della vita comunitaria e la rete dei servizi esistente. Questi due primi elementi vanno saldati per comprendere quanto sia fondamentale l'elemento della co-progettazione con i ragazzi, che vanno coinvolti in un processo di progressiva consapevolezza degli obiettivi da perseguire per il loro stesso benessere. La “Coop. Casa Amica” è un ente morale che opera quindi a favore delle fasce più deboli .Tale centro di accoglienza si propone di intervenire su questi minorenni,offrendo loro la possibilità di una esperienza di crescita,attraverso la formazione e l'orientamento professionale, nel rispetto, ovviamente, delle aspettative,


dati e attitudini personali, sino a condurli ad un inserimento nel mondo del lavoro. Il Centro intervenendo su questi minorenni, offre loro la possibilità di un’esperienza di crescita umana alternativa a quella della loro prima infanzia, mediante l’avviamento ad una formazione professionale consona alle aspettative e alle doti e propensioni personali, e ad un inserimento nel mondo del lavoro e della produzione attiva. A tale scopo e’ nato il “ Progetto Icaro” qui di seguito riportato.

1.6. “ PROGETTO ICARO”5 “ Icaro” e’ un progetto per il recupero della devianza minorile in Sicilia, finanziato dal FSE, dall’Assessorato Regionale al lavoro ed alla Formazione Professionale della Regione Siciliana.

1.6.1 OBIETTIVO GENERALE Il progetto tenderà ad assicurare ai minori un costante ed organico insieme di azioni e servizi, articolati e complementari, coinvolgendo tutto il contesto entro il quale il minore e’ inserito e caratterizzandosi come intervento sul sistema educativo formativo delle comunità alloggio per contrastare il fenomeno della devianza minorile e favorire l’integrazione nella società civile dei giovani in difficoltà a loro assegnati.

1.6.2. OBIETTIVI SPECIFICI Gli obiettivi specifici del progetto sono pertanto quelli di : A. perseguire l’inserimento lavorativo dei minori offrendo al soggetto a rischio di esclusione sociale: -opportunità di recupero scolastico -opportunità formative, anche in formazione individuale, che promuovano la conoscenza di sé e ne sviluppino e potenzino le capacità socio-relazionali; -opportunità di orientamento al lavoro che accrescano le conoscenze del mercato del lavoro e dei percorsi di inserimento -opportunità di formazione professionali mirate; 5

www.regione.sicilia.it


-opportunità di inserimento lavorativo. B. migliorare potenziare l’offerta educativa e formativa delle comunità stesse e di tutto il sistema coinvolto nel processo di recupero del minore a rischio di devianza; coinvolgendo in attività di formazione e aggiornamento gli insegnanti, i formatori, gli educatori, e quanti a vario titolo intervengono a favore del bacino di utenza indicato; favorendo la creazione e potenziamento una rete tra le Comunità e le istituzioni che a vario titolo intervengono nel processo formativo del minore;

1.6.3. LA STRUTTURA DEL PROGETTO Il progetto prevede l’attuazione di azioni organicamente articolate, distribuite su tutto il territorio regionale, coerenti con gli obiettivi strategici e con quelli specifici a favore di ciascuno dei minori affidati alle comunità, nonché con quelli volti all’aggiornamento ed al perfezionamento del sistema delle comunità alloggio per minori a rischio devianza. Risorse e loro distribuzione Le azioni previste e la distribuzione delle risorse sarà articolata secondo le seguenti forme: - Azioni di accoglienza, ricerca e valutazione 15% delle risorse finanziarie; - Azioni rivolte al potenziamento del sistema 15% delle risorse; - Azioni di formazione professionale ed inserimento lavorativo 65% delle risorse;

1.6.4 OBIETTIVI SPECIFICI DELLE AZIONI A FAVORE DEI MINORI Azioni di accoglienza Quello dell’inserimento del minore nella comunità e’ il primo passaggio critico nel corso del quale è necessario lo studio del soggetto, la ricerca delle sue propensioni, dei suoi limiti e la individuazione del percorso educativo/formativo mirato. Obiettivo: L’azione e’ tesa a supportare l’impatto del minore con la Comunità ed a sorreggere tutta l’azione di orientamento per la scelta del percorso formativo individuale. In questa fase il minore racconta se stesso ed il suo progetto di mondo attraverso il


coinvolgimento nella ricerca-azione del progetto ICARO che conduce alla stipula del patto formativo mirato.

CAPITOLO II L’utenza come elemento centrale della struttura Casa Amica

2.1. L’inserimento in comunità Quando i problemi di comportamento a casa e a scuola diventano ingestibili, può capitare che un adolescente debba essere allontanato per un certo periodo dal suo ambiente e inserito in una comunità con finalità assistenziali e educative. L’inserimento in comunità è anche una misura prevista dal codice penale minorile, un provvedimento che viene preso di solito, quando il contenimento familiare non garantisce un contesto affettivo e educativo “sufficientemente buono” che funga da fattore protettivo alla messa in atto di comportamenti delinquenziali. I ragazzi che commettono reati chiedono un ambiente caratterizzato da regole chiare, da riferimenti adulti significativi, da un sostegno allo sviluppo di un’immagine positiva di sé su cui fondare il reinserimento sociale. Se per un tossicodipendente riconoscersi in quanto tale è la premessa d’ogni cambiamento, per il ragazzo che delinque riconoscersi come delinquente può avere all’opposto un effetto d’etichettamento, fornendo una soluzione poco impegnativa alla questione dell’identità, con esiti negativi sulla costruzione dell’immagine di sé e della personalità adulta. Il collocamento in comunità propone un faticoso percorso di crescita, l’adesione dell’adolescente deviante al progetto di collocamento in comunità non è data per scontato o l’espressione di un desiderio spontaneo, ma l’esito dell’elaborazione di rappresentazioni, aspettative e difese, promosso soprattutto dall’intervento psicosociale. Alcuni giustificano l’opposizione con il rifiuto di allontanarsi dalla famiglia o dalla ragazza, e soprattutto dagli spazi urbani d’appartenenza: è dunque la difficoltà di


separarsi dal contesto affettivo di riferimento la motivazione principale. Altri temono di dover affrontare in comunità nuovi legami e nuove separazioni, che riattivano vissuti traumatici infantili.6 In qualche caso l’opposizione deriva soprattutto dall’associazione del termine “comunità” con la rappresentazione di un luogo d’educazione e di cura, adatto, quindi, a personalità infantili e dipendenti, con cui gli adolescenti devianti non intendono assolutamente confondersi. La capacità di mantenere un programma concordato, la possibilità di inserirsi in un gruppo, una certa capacità di tollerare la dipendenza, sono indispensabili alla permanenza in comunità: i ragazzi sentono che in comunità è richiesto loro un coinvolgimento personale nella relazione educativa: alcuni preferiscono dipendere da una norma rigida, a cui sono costretti a adeguarsi pur senza aderirvi, salvaguardando con ciò il proprio senso di indipendenza, piuttosto che accettare volontariamente una dipendenza relazionale, che vivono come minacciosamente regressivante. I ragazzi devianti temono e disprezzano la dipendenza: tanto più questa viene sollecitata da relazioni significative e valorizzate con gli educatori e con il gruppo, tanto più sentono la necessità di dimostrare provocatoriamente a sé e agli altri la propria autonomia attraverso la non accettazione delle regole. Ciò rende il loro soggiorno in comunità un faticoso alternarsi di fasi d’accettazione e di rifiuto, di partecipazione alle attività preposte e di trasgressioni, d’adesione al programma e di fughe, che sottopone gli operatori ad un’altalena di successi e fallimenti, di soddisfazioni e di delusioni, che devono essere in grado di tollerare in quanto tappe di un percorso educativo necessario. Tali dinamiche rischiano di essere interpretate come violazioni del “patto” d’alleanza sancito con l’ingresso in comunità e come tradimento delle aspettative degli operatori: questa logica finisce per accentuare i conflitti relativi alla dipendenza, che spesso esitano in fughe o espulsioni. Al di là delle caratteristiche organizzative, delle teorie di riferimento, o della competenza degli operatori, talvolta, è lo “stile affettivo” della comunità ad essere importante nel successo o nell’insuccesso di un inserimento. E’ decisivo il confronto fra l’ideologia affettiva che ispira il progetto pedagogico e terapeutico della struttura e i bisogni del minore. Un ragazzo deviante che in superficie sembra preferire la fedeltà al gruppo, in realtà può aver bisogno di una relazione accogliente e contenitiva, che ne 6

B. Forresi, (2003), “L’ascolto del disagio in adolescenza”. Graphic World, Milano.


saturi i bisogni infantili d’accudimento senza minacciarne, però con proposte regressivanti lo sviluppo e l’esigenza fase specifica, che possono richiedere la messa in campo della stima e dell’incoraggiamento di un padre che dell’affetto di una madre accudente. L’esito di un inserimento in comunità non può essere valutato in conformità a parametri immediati o esclusivamente comportamentali, ma per la traccia complessiva che lascia nell’esperienza del minore; rimane, tuttavia, questione aperta l’individuazione di parametri valutativi condivisi circa l’esito degli inserimenti, che vadano oltre il vissuto soggettivo degli operatori, dettati da intuito ed esperienza, e quindi probabilmente corretto, ma difficilmente esplicitabile e generalizzabile.

2.2. Come accedere La segnalazione Chi si accorge della sofferenza e del disagio di un ragazzo e se ne fa portavoce? Chi decide di segnalare una famiglia in difficoltà? L’invio del minore avviene su richiesta del Servizio Sociale in forma diretta, in qualità di mediatore della domanda al Tribunale per i Minorenni di competenza, che può essere espressa da: •

famiglia d’origine

rete parentale

vicinato

scuola

servizi pubblici (sociali e sanitari)

polizia, carabinieri.

Modalità d’affidamento7 La legge 184/1983 ha regolamentato l’affidamento dei minori temporaneamente allontanati dalla propria famiglia d’origine. 7

http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/l184_83.html


- Articolo 4: L’affidamento è disposto dal Servizio locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercitante la potestà, ovvero dal Tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni 12, e, se opportuno, anche di età inferiore. Il Giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto. Ove manchi l’assenso dei genitori, esercitanti la potestà, o del Tutore, provvede il Tribunale per i Minorenni. Nel provvedimento di affidamento, debbono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso. L’affidamento cessa con provvedimento della stessa Autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato.

La presa in carico da parte della Comunità La domanda viene evasa valutando il bisogno del minore a confronto con le risorse della struttura. In caso di necessità il gruppo si avvale anche della consulenza pedagogica e psicologica. La presa in carico si basa sui seguenti criteri d’ammissione: Appartenenza alla tipologia di utenti a cui si è in grado di dare risposta educativa ( età, sesso, tipologia del disagio); Valutazione delle condizioni d’esercizio per verificare se è possibile l’inserimento in quel momento e in quale gruppo; Valutazione delle possibilità di perseguire gli obiettivi proposti dal servizio sociale per l’inserimento; Disponibilità di posto. Nella totalità dei casi l’onere economico per il sostentamento dei minori è a carico dell’Ente pubblico, ovvero del Comune di Agrigento, ove risiede la struttura e con il quale la cooperativa ha stipulato regolare convenzione.


2.3. Modalità di ammissione e dimissione L’ammissione segue un preciso iter burocratico avente lo scopo di tutelare il minore e il lavoro degli educatori, in un’ottica di collaborazione funzionale con i Servizi Sociali invianti i minori. La domanda scritta di ammissione viene inviata dai Servizi Sociali territoriali del luogo in cui risiede il minore o direttamente dal Tribunale dei Minorenni direttamente alla “Coop. Casa Amica”. Tale richiesta deve essere accompagnata da una serie di documenti da cui poter trarre quegli elementi descrittivi e valutativi sul caso che guideranno la scelta della ammissione o non ammissione del minore: •

certificato di nascita

stato di famiglia

certificato delle vaccinazioni

libretto sanitario

copia del decreto di allontanamento emesso dal Tribunale per i Minorenni

relazione socio-familiare, utile per individuare le difficoltà del nucleo familiare

Le dimissioni degli utenti sono decise dall’équipe psico-sociale del Servizio in accordo con gli altri Enti preposti, in rapporto alla possibilità di rientro in famiglia cioè all’inserimento in famiglia affidataria o adottiva, o tenuto conto del livello d’autonomia raggiunto dal minore e dell’esito del progetto educativo individualizzato. La Comunità si riserva il diritto di dimettere anticipatamente un utente rispetto ai termini previsti nel progetto educativo concordato col Servizio, nei casi in cui la permanenza del minore in Comunità risulti pregiudizievole al perseguimento del progetto di Comunità, ovvero costituisca fattore di rischio per gli equilibri comunitari, per il gruppo degli utenti o per il benessere psicofisico dell’utente stesso. In tal caso la


Comunità dovrà comunicare l’intenzione della dimissione al Servizio Sociale con congruo preavviso, onde permettere allo stesso di trovare nuova idonea collocazione per il minore in questione.

2.4. Strutturazione delle Coop. Casa Amica Il Centro Sociale Casa Amica è formato da cinque villette, costruite su due livelli e suddiviso al suo interno in appartamenti autonomi, con alcuni spazi centralizzati. Esiste un ampio giardino sul davanti ed un cortile posteriore, ove si trovano un campetto da calcio in erba ed un ampio spazio asfaltato utilizzato in diversi modi da ragazzi ed educatori (parcheggio pulmino ed altri mezzi, pista ciclabile, tavolate in occasione di feste, ecc.) Attualmente la Coop Casa Amica ospita cinque Comunità Alloggio ed un Pronto Intervento. Le Comunità, ognuna delle quali può accogliere un numero massimo di 10 minori, si rivolgono ad utenze differenziate: 1. Comunità “Edera”: ospita minori di sesso maschile di età compresa tra i 14 e i 15 anni allontanati dal nucleo familiare d’origine su provvedimento dell’autorità Giudiziaria; 2. Comunità “Garofano”: ospita minori di sesso maschile di età compresa tra gli 15 e i 16 anni allontanati dal nucleo familiare d’origine su provvedimento dell’autorità Giudiziaria; 3. Comunità “Geranio”: ospita minori di età compresa tra i 16 e i 18 anni allontanati dal nucleo familiare d’origine su provvedimento dell’autorità Giudiziaria; 4. Comunità “Quadrifoglio”: ospita minori compresi tra i 14 e i 18 anni affidati perché senza famiglia d’origine. 5. Comunità “Viola”: ospita ragazzi oltre il 18° anno di età qualora le condizioni familiari non sono idonee. Pronto Intervento: è destinato ad ospitare minori che necessitano di un immediato e temporaneo allontanamento dal nucleo famigliare in seguito a segnalazione dei Servizi Territoriali o con decreto del Tribunale dei Minorenni.


2.5. Gli spazi La comunità è composta da cinque strutture e presentano le caratteristiche tipiche di normali villette. Risultano infatti presenti quattro stanze per gli ospiti (due da quattro posti e due da tre posti), la stanza/ufficio per gli educatori, due bagni (uno per il personale educativo e, come tale, non accessibile agli utenti; e altro per gli ospiti maschi, la cucina, un’ampia sala da pranzo/soggiorno, il locale lavanderia/stireria. Nella suddivisione dei suddetti spazi lo staff educativo ha ritenuto importante ispirarsi ad alcuni criteri di fondo: a tal fine al ragazzo viene data la possibilità di personalizzare, all’interno della camera, il proprio spazio personale; all’interno della sala esiste una differenziazione tra la zona “pranzo” e la zona “soggiorno”, compreso di spazio gioco e TV; allo stesso modo la zona “notte” che è concentrata in fondo al corridoio per separarla dalla zona “giorno”. Ciò per agevolare il ragazzo a dare il giusto significato educativo agli spazi e ad associarli, in modo più diretto, ai diversi momenti della giornata. E’ previsto inoltre uno “spazio neutro” (utilizzato anche dalle altre Comunità della struttura), inteso come luogo privilegiato per la gestione delle visite dei parenti con il minore ospite. Tal spazio, opportunamente arredato dagli educatori, essendo separato dalla Comunità consente di disporre di un setting più tranquillo, meno disturbante e disturbato, ideale per l’osservazione della relazione tra il minore e la propria famiglia.

2.6. L’utenza La comunità Casa Amica accoglie un numero massimo di cinquanta minori di solo sesso maschile, provenienti da situazioni familiari a rischio. I minori accolti possono provenire dalla famiglia di origine, dalla quale sono stati allontanati su decisione del Tribunale per i Minorenni; possono arrivare alla Comunità in seguito a passaggio interno dalla Comunità di Pronto Intervento della stessa struttura o provenire da altra Comunità.


La Comunità non accoglie minori disabili, in quanto non adeguata alle loro esigenze.

2.6.1. Utenza effettiva8 I ragazzi che alloggiano in comunità hanno una età compresa tra i 14 e i 18 anni in percentuale maggiore sono gli adolescenti di anni 17 che costituiscono il 30%; quelli di 16 anni costituiscono il 27,5 %; i 15enni il 20%; seguono quelli di 18 anni con percentuale pari al 15% e quelli di anni 14 con 7,5%. Dai dati raccolti inoltre emerge che i ragazzi della Coop. “Casa Amica” provengono dai ghetti delle grandi città quali Palermo 35%; Catania 27,5%; Trapani 17,5%; Caltanissetta, Siracusa ed Agrigento 5% ed infine Ragusa 2,5%. Area di provenienza Frequenza Palermo e prov. 15 Catania e prov. 11 Trapani e prov. 7 Caltanissetta e prov. 2 Siracusa 2 Agrigento 2 Ragusa 1 Totale 40 FONTE : archivio cooperativa sociale Casa amica s.r.l

% 35 27,5 17,5 5 5 5 2,5 100

L’utenza complessiva ospitata dalla comunità è di sesso maschile, la maggior parte di questi adolescenti inoltre non ha completato la scuola dell’obbligo. Oggi dei quaranta ragazzi presenti in comunità il 42,5% ha una licenza media non completa, il 15% ha una licenza elementare non completa, il 25% invece ha una licenza elementare, nessuno dei ragazzi ha una licenza media superiore e solamente il 2,5% risulta essere analfabeta.

8

archivio. Coop . “Casa Amica” Agrigento


Livello d’istruzione Frequenza Analfabeta 1 Lic.Elem. Non completa 6 Lic.Elementare 10 Lic.media non completa 17 Lic.Media inferiore 6 Media sup.non completa 0 Totali 40 FONTE : archivio cooperativa sociale Casa amica s.r.l

% 2,5 15 25 42,5 15 0 100

L’abbandono precoce della scuola può essere determinato dal fatto che il sistema familiare, molto spesso, è impreparato a svolgere adeguatamente il suo ruolo. La composizione della famiglia rivela come molto spesso la mancanza della figura paterna influisce notevolmente sullo sviluppo psico-sociale dell’adolescente, in quanto, egli non può contare su alcuna figura di confronto e di riferimento, importante per una maturazione positiva della propria personalità. Per quanto riguarda invece il motivo di inserimento di questi ragazzi, i dati che emergono dall’archivio della Coop. “Casa Amica” sono che il 45% ha commesso reati di furto, il 30% alloggia in comunità per problemi familiari, il 5% per scippo, per rapina ed estorsione e solamente il 10% per problemi scolastici. Da ciò emerge come il reato a sfondo economico sia prevalente.

Motivi inserimento Frequenza Problemi familiari 18 furto 12 rapina 2 scippo 2 estorsione 2 Problemi scolastici 4 Totale 40 FONTE : archivio cooperativa sociale Casa amica s.r.l

% 45 30 5 5 5 10 100

La varietà delle cause e delle condizioni personali portano gli operatori ad attuare programmi individuali finalizzati a stimolare nel ragazzo comportamenti che sono accettati dalla collettività. Ma soprattutto a creare intorno a loro un ambiente di tipo amicale e educativo e non coercitivo e punitivo.


2.7. Interviste agli utenti Mi sono adoperato per ottenere qualche intervista ai ragazzi della comunità nel rispetto della tutela, ed appunto per questo motivo ne ho potuto intervistare solamente tre. Ho posto loro delle domande riguardante l’inserimento in comunità, quale fosse stato il motivo del loro trasferimento, da quanto tempo si trovassero là dentro, che rapporto avessero con lo staff educativo. Alle suddette domande il primo utente di nome Emanuele, di anni 17 ha risposto che inizialmente si sentiva smarrito, non voleva parlare con nessuno se ne stava da solo pensando che questo era il suo carcere. Non avendo una famiglia alle spalle solida, il padre sempre ubriaco, la madre succube di questa situazione per queste ragioni lui era sempre per strada;non andava mai a scuola quindi si era ritrovato a frequentare cattive compagnie, che lo hanno indotto a rubare. Da circa due anni Emanuele si trova in comunità. Gradualmente ha cominciato ad avere fiducia in se stesso e negli altri, soprattutto con l’educatore che gli sta accanto, e lui affettuosamente lo chiama “educatore-amico” che lo ha portato a seguire quelle regole di condotta che a lui mancavano. Emanuele è stato inserito da poco nel mondo lavorativo come falegname, lavoro che a lui piace molto e spera che in un futuro prossimo possa aprire al di fuori della struttura un piccolo laboratorio. Il secondo ragazzo intervistato si chiama Giovanni ed ha 18 anni, tre anni di permanenza in comunità. Il suo inserimento è stato traumatico, voleva scappare, non si trovava assolutamente bene con i suoi coetanei, a suo dire non volevano accettarlo. E’ entrato in comunità poiché si era ritrovato in un giro poco raccomandabile. Essendo orfano di entrambi genitori, Giovanni abitava con la nonna, che purtroppo economicamente non stava bene, man mano che cresceva si rendeva conto di non poter avere tutto ciò che i suoi coetanei avevano perché economicamente migliori di lui. Così un giorno si ritrovò in un giro dove gli affidarono delle commissioni, cioè distribuire davanti alle scuole bustine con la droga, finchè è stato prelevato dalla polizia ed assieme agli assistenti sociali ritennero opportuno condurlo in comunità. Un ruolo fondamentale per contrastare l’irruenza di quel ragazzo è stato svolto dagli educatori che lo hanno seguito passo dopo passo fino a farlo sentire fiducioso delle proprie azioni .Giovanni adesso lavora, come elettricista, ed è prossimo ad affrontare il


mondo esterno. La cosa bella che ho sentito dire da quest’ ultimo è stata di non voler perdere i contatti con le persone che lo hanno aiutato a crescere. Marco è il terzo ed ultimo ragazzo intervistato, ha 17 anni e si trova in comunità da un anno. Lui come gli altri due ragazzi, inizialmente ha incontrato enormi difficoltà di inserimento. La motivazione della sua permanenza in comunità è stata dovuta dal fatto che suo padre lo portava con sé a vendere sigarette di contrabbando, finchè un giorno li catturò la polizia. Il padre andò in carcere e Marco venne condotto in comunità. Marco considera i suoi educatori come fratelli maggiori, che lo consigliano lo guidano nella prospettiva di un futuro migliore. Il suo obiettivo primario è quello di formarsi una famiglia e poter dare loro il giusto esempio e i giusto i valori della vita.

Capitolo terzo

Gestione e organizzazione nella struttura


3.1. ORGANIGRAMMA E SPECIFICITA’ DEI RUOLI9 L’organigramma della struttura fa riferimento ad una organizzazione sia legislativa che ad un modello di organizzazione che nel tempo ha subito evoluzioni sempre più coerenti e rispondenti alle reali e concrete esigenze che si presentano. Il Centro Sociale CASA AMICA gestito da una Cooperativa si avvale di una organizzazione come di seguito descritta:

PRESIDENTE

Collegio dei Sindaci

Consiglio d’Amministrazione

Equipe Direttore Psicologo Assistente sociale Educatori responsabili

Team di progettazione e azione educativa Psicologo Assistente sociale Educatori 9 http://www.casaamica.it/home.html (3 uomini ed 1 donna)


Il personale che lavora all’interno dell’istituto è così suddiviso: Una Responsabile di Struttura (referente dell’aggiudicatario dell’appalto), in possesso di laurea in pedagogia, cui spettano i compiti relativi alla programmazione delle varie attività di struttura, il coordinamento delle varie figure professionali, delle tre Comunità Alloggio del Pronto Intervento; la gestione del personale presente e, in collaborazione con l’Assistente Sociale di struttura ed i Responsabili di comunità, dei rapporti con la scuola, i Servizi Sociali territoriali, l’ASL, il Comune e gli altri enti pubblici o privati. Una Psicologo (consulente della cooperativa) con compiti di indirizzo e di verifica dei progetti educativi, supporto e supervisione agli educatori, verifica evolutiva dei minori in Comunità, con eventuali approfondimenti psicodiagnostici ed attuazione di colloqui psicologici di sostegno con i minori. E’ presente in istituto per 15 ore la settimana. Quattro educatori per ogni Comunità, uno dei quali con il ruolo di Responsabile della stessa. Un’ Assistente Sociale con contratto di collaborazione continuativa, che ha il ruolo di consulente per la gestione dei rapporti con gli Enti ed i Servizi territoriali, mantiene i contatti con le realtà territoriali ed il Tribunale dei Minorenni; ha inoltre la funzione di gestire a livello burocratico l’ammissione, la permanenza e la dimissione dei minori. L’Assistente Sociale, grazie ad una preparazione specifica, svolge anche attività formativa, organizzando e gestendo direttamente all’interno della struttura corsi di formazione diretti all’intero personale educativo. Una segretaria , il cui impiego è gestito direttamente dalla Responsabile di struttura e che si occupa delle pratiche burocratiche, della gestione dei cartellini di lavoro dei dipendenti, degli ordini di materiale vario e di alimentari, ecc. Cinque ausiliarie socio assistenziali (ASA), una delle quali si occupa della pulizia degli spazi esterni e comuni della struttura, mentre le altre quattro sono addette alla pulizia degli appartamenti, al lavaggio e stiratura della biancheria, alla preparazione dei


pasti. Il loro orario di servizio varia nelle diverse Comunità, pur essendo comunque collocato nelle ore del mattino e del tardo pomeriggio. Due “Jolly”, un’ausiliaria socio assistenziale ed un educatore, con il compito di supplire idoneamente il personale assente per malattia o altro motivo

3.2. STAFF EDUCATIVO E’ così composto: Responsabile di comunità: E’ colui che garantisce e risponde, in ogni momento, del perseguimento degli obiettivi intermedi della Comunità e della loro coerenza con quello generale. A tal fine: è il referente primo del Responsabile di Struttura; è il referente, insieme al Responsabile di Struttura, per i Servizi Sociali e il Tribunale per i Minorenni, partecipando alle riunioni di aggiornamento sui singoli casi; gestisce i rapporti con le agenzie educative esterne: la scuola, le associazioni sportive e ricreative, ecc.; organizza, in collaborazione con gli altri membri dello staff, le attività della Comunità, in modo che esse siano sempre coerenti con gli obiettivi della stessa; coordina e gestisce il personale che opera nella Comunità o collabora con essa (educatori, personale ausiliario, tirocinanti, volontari), garantendo che l’agire di ciascuna di tali risorse sia sempre rispondente agli obiettivi della struttura; in tal senso gestisce l’equipe comunitaria nella riunione bimensile di staff; partecipa alla riunione settimanale di coordinamento con il Responsabile di Struttura e gli altri Responsabili di Comunità; partecipa (da solo o con il Responsabile di Struttura) a qualsiasi altro incontro che veda interessata la propria Comunità; predispone il prospetto turni mensile degli operatori in modo funzionale alle esigenze della Comunità; presidia gli aspetti normativo-istituzionali, quali i ritardi, le assenze, e le presenze, le sanzioni e gli incentivi economici, proponendo al Responsabile di Struttura gli opportuni provvedimenti; gestisce il fondo cassa mensile, garantendone una gestione efficiente e sottoponendo al Responsabile di Struttura, alla fine di ogni mese, il prospetto riassuntivo; stimola la progettazione educativa come normale metodologia di lavoro nella Comunità individuando, a tal fine, spazi e tempi appositi; presidia e garantisce la coerenza tra i progetti educativi individuali e il progetto globale di Comunità.


Gli educatori: Gestiscono e partecipano, insieme ai minori, alla vita comunitaria in tutti i suoi aspetti. Nella relazione educativa che instaurano con il minore sono chiamati ad applicare, nelle loro azioni, parole, gesti, comportamenti il progetto educativo individualizzato concordato nello staff. Inoltre ciascun educatore costituisce il punto di riferimento di uno o più bambini, seguendo in modo specifico il suo/loro progetto educativo; partecipa , insieme al Responsabile di Comunità, alle riunioni di aggiornamento con i Servizi Sociali e segue (quando richiesto dal Tribunale per i Minorenni o dai Servizi Sociali) le visite della famiglia del minore. L’educatore di riferimento viene scelto dallo staff educativo al termine di un periodo di osservazione di due mesi dall’inserimento del minore, in modo tale da possedere tutti gli elementi utili per comprendere quale tra gli operatori possa essere quello più adeguato alle esigenze ed alle caratteristiche del singolo utente.

3.3. LE ALTRE RISORSE L’ ausiliaria socio-assistenziali: Provvede alla pulizia degli ambienti comunitari a alla preparazione dei pasti; nell’ambito di tale attività sono chiamate “vivere” la Comunità e a relazionarsi con gli ospiti in modo conforme agli obiettivi comunitari. A tal fine, mensilmente, si incontrano con il Responsabile di Comunità per discutere di proposte, difficoltà, problemi inerenti la loro attività specifica ma anche la relazione educativa che instaurano con gli ospiti La psicologo di struttura: La Comunità si avvale della collaborazione di una psicologa, la quale fornisce il proprio supporto ai minori ospitati tramite colloqui periodici individuali (in genere settimanali) laddove sussista almeno una delle seguenti condizioni: •

estrema “gravità” della situazione psicologica del minore;

precisa indicazione di sostegno psicologico del minore, contenuta nel

provvedimento emesso dal Tribunale per i Minorenni. I volontari: La Comunità si avvale di persone che si rendono disponibili per attività


di accompagnamento, sostegno scolastico, attività ricreative e lavorative. La gestione del singolo volontario è affidata allo staff educativo, che ne decide i giorni di presenza in Comunità e le attività in cui impiegarlo (es. laboratori, attività ludiche, ecc.). Il gruppo dei volontari della comunità è inoltre coordinato - attraverso una riunione con cadenza bimensile - da un educatore che ne costituisce il punto di riferimento per eventuali problemi, richieste, suggerimenti.

3.4. GLI STRUMENTI Diario di bordo: E’ lo strumento di comunicazione quotidiana tra gli operatori. La sua funzione e' quella di segnalare eventi significativi e il resoconto della giornata, evidenziando inoltre appuntamenti, consegne da svolgere, ecc. Passaggio di consegne: Si verifica al momento del cambio turno; ha lo scopo di favorire lo scambio immediato di tutte le informazioni necessarie per garantire la coerenza e la continuità dell’intervento educativo. Diario personale: Raccoglie gli eventi significativi relativi ad ogni minore quali i colloqui individualizzati avuti con l’educatore, le relazioni sull’andamento delle visite dei famigliari, osservazioni particolari dell’educatore sul minore in oggetto. Riunione di Staff: Ha cadenza quindicinale e durata di 3 ore; vi partecipano gli educatori della comunità; e' il momento privilegiato per lo scambio di comunicazioni tra gli operatori. In essa si discute dell’organizzazione della vita comunitaria in tutti i suoi aspetti, si elaborano i progetti educativi individuali e se ne verifica l’andamento. Riunione di equipe: Ha cadenza mensile e vi partecipano Il Responsabile di struttura, lo staff educativo della Comunità, la psicologa e l’assistente sociale di struttura.


E' il momento dedicato all’aggiornamento rispetto al processo di vita comunitaria del minore, alla elaborazione dei progetti educativi individuali, al confronto e all’analisi sulle problematiche inerenti l’intera struttura ed i rapporti con le altre Comunità. Riunione di supervisione: Ha cadenza quindicinale ed e' il momento di formazione privilegiato per lo staff educativo in cui, con il supporto dello psicologo di struttura, avviene la rielaborazione dei vissuti degli operatori in relazione alle dinamiche del gruppo utenti e delle relazioni del gruppo degli educatori. Riunione settimanale con i minori: La riunione viene normalmente gestita dal Responsabile di Comunità e dall’educatore in turno. L’obiettivo della riunione e' quello di discutere insieme ai ragazzi dell’organizzazione della comunità, di confrontarsi rispetto ad eventuali problemi che emergono in un particolare momento. E’ anche il “luogo” dove si accolgono le eventuali richieste e le proposte di attività o gite da parte dei ragazzi. Cartella personale: In essa sono contenute tutte le informazioni relative al minore. E’ suddivisa nelle seguenti sezioni: •

documenti personali (codice fiscale, documento d’identità, ecc.)

documenti sanitari (referti medici, libretto sanitario, libretto vaccinazioni, impegnative del medico curante, ecc.)

atti della Comunità (relazioni inviate ai Servizi Sociali, ecc.)

atti degli “Enti ed altre Istituzioni” (decreti del Tribunale dei Minori, relazioni del Servizio Sociale, psicodiagnosi, ecc.)

Progetto educativo individualizzato

Scuola (schede di valutazione, corrispondenza scolastica, altre note)

Sport e catechismo (documentazione riguardante le associazioni sportive e la parrocchia)

Riunioni con la scuola: Hanno cadenza mensile e sono gestite dal Responsabile di Comunità; hanno lo scopo di fare il punto circa la situazione scolastica dei ragazzi inseriti nella comunità, ma


soprattutto di sensibilizzare il corpo docente rispetto alle problematiche del minore e fornire eventuali indicazioni rispetto alle dinamiche comportamentali del minore. Incontri con altre agenzie educative esterne: Si tratta di incontri, perlopiù informali, con catechisti, allenatori sportivi, ecc. Rivestono particolare importanza perché consentono allo staff educativo di verificare costantemente la “tenuta” del minore al di fuori del contesto comunitario.

3.5. LE METODOLOGIE DI LAVORO Lo specifico dell’accoglienza di minori nella Cooperativa Casa Amica si articola in tre dimensioni qualificanti: Quotidianità: E’ intesa come ambito della “normalità” delle relazioni interpersonali ed affettive, del coinvolgimento delle persone accolte nella vita comune, dell’accoglienza reciproca nelle piccole vicende di ogni giorno e dell’educazione all’essenzialità nell’uso delle cose; Osservazione: La comunità effettua un primo periodo di osservazione, al fine di valutare la compatibilità dei bisogni del minore con ciò che la comunità e' in grado di offrirgli. Per lo svolgimento del lavoro di osservazione la comunità si avvale di un’apposita griglia articolata in differenti aree : •

rapporto con le figure educative interne ed esterne;

relazione col gruppo utenti;

autonomia;

scuola;

famiglia;

sfera psicologico comportamentale;

Lo staff si avvale inoltre di una griglia da compilarsi al termine di ogni visita del minore con i familiari al fine di osservare, sotto diversi profili, la relazione famiglia/ragazzo. Progettazione: Essa è intesa come spazio e tempi privilegiati per l’elaborazione, cioè l’attribuzione di significato agli eventi.


Il progetto educativo individualizzato e' la base fondamentale del lavoro dello staff; esso e' strettamente connesso con l’obiettivo generale e gli obiettivi intermedi della comunità in quanto non può che essere coerente con essi. Si articola, cronologicamente, in quattro fasi: 1. osservazione •

strumento: griglia

attori: staff educativo; ASA; Servizi Sociali; Psicologa di struttura; agenzie educative esterne (scuola, oratorio, referenti sportivi e culturali, ecc.);volontari, tirocinanti

2. comprensione delle risorse personali e dei bisogni del minore •

strumento: scheda “risorse-bisogni” appositamente predisposta dallo staff educativo;

attori: staff educativo

3. progettazione •

strumento: schema “progetto educativo individualizzato”

attori: staff educativo - assistente sociale

4. valutazione •

in itinere

si verifica durante le riunioni di staff e quelle di equipe nelle quali gli operatori valutano l’andamento del progetto educativo, apportando le eventuali modifiche. •

finale (al termine del periodo inizialmente previsto all’atto della stesura del

progetto educativo stesso) OBIETTIVO: valutare il livello di raggiungimento degli obiettivi previsti nel progetto educativo individuale ATTORI: •

staff educativo della comunità;


psicologa di struttura;

assistente sociale.

3.6. GIORNATA TIPO . La Comunità, nel servizio residenziale che offre, risulta organizzata secondo le modalità dei gruppi-appartamento. L’elemento caratterizzante ogni Comunità è costituito dalla personalizzazione dei rapporti, degli spazi e dei tempi, rendendo così ogni Comunità un luogo di vita indipendente dalle altre e in relazione funzionale con il territorio. La sveglia La sveglia, è curata dall’educatore, il quale in questo atto, stabilisce il primo contatto della giornata con il ragazzo. Pulizia personale Il ragazzo è seguito, nelle singole azioni di questa attività, che ha lo scopo di attivare autonomie e cura e igiene della propria persona. Colazione La preparazione della colazione è gestita da un ragazzo (a turno, o perché ne esprime attitudine) con un adulto, e, servita, viene consumata insieme.

Attività Il ragazzo frequenta la scuola, si reca al lavoro, frequenta la formazione professionale, si inserisce in attività di sostegno scolastico. Queste attività si svolgono prevalentemente all’esterno della Comunità, con accompagnamento da parte dell’Educatore.


Pranzo Il pranzo rappresenta, come in ogni famiglia, il momento di ritrovo e di racconto della propria giornata. In un clima sereno e armonioso l’educatore stabilisce un rapporto di dialogo con il gruppo, con l’espressione e l’ascolto dei bisogni.

Attività Nel pomeriggio, dopo una pausa educativa di relax, si svolgono attività di vario genere: •

doposcuola

sport

musica

attività manuali

uscite

Cena

Il gruppo dopo una giornata trascorsa con diversi impegni, consuma il pasto serale e segue i programmi TV.

Organizzazione della giornata (nei dettagli) Essere in grado di rispettare gli orari e gli impegni di studio e di formazione lavoro e dei compiti connessi al proprio sostentamento e alla convivenza è un importante punto di partenza per un buon cammino terapeutico presso la comunità. La giornata è organizzata nel modo seguente: ore 7,15: Sveglia ore 7.30: Pulizie personali e riassetto del posto letto. Prima colazione. Inoltro richieste di materiali.


ore 8: Inizio attività di formazione lavoro presso i laboratori cui si appoggia la Cooperativa Sociale “Casa Amica” oppure presso i Centri di Formazione Professionale esterni. ore 10,00 - 10,15: Pausa ore 12: Termine attività lavorativa antimeridiana. Organizzarsi per tempo per rimettere in ordine il posto di lavoro e i materiali utilizzati. Opportuna igiene prima di consumare il pasto. ore 13.30: Ripresa attività lavorativa pomeridiana ore 15.30 - 15.45: Pausa ore 17.30 : Termine attività di studio o di formazione lavoro. ore 19.30: Cena e incontro plenario per programmazione attività del giorno successivo ore 21 - 22.30: Attività organizzate in gruppo di carattere culturare, sportivo o ricreativo ore 23.15: Gli ospiti sono tenuti a spegnere le luci e ad osservare il silenzio nelle camere per il rispetto del proprio e dell’altrui riposo. Nei giorni festivi la sveglia è posticipata alle ore 9 La mattinata è normalmente dedicata alla esecuzione delle pulizie di fino di tutti gli spazi propri e comuni. E’ prevista animazione a gruppi con attività soprattutto di carattere sportivo: escursioni e corso di free clymbing, giochi di squadra, tornei, visite guidate, corsi di nuoto e tennis, palestra, animazione. Nella sala da pranzo della comunità sono esposte apposite bacheche in cui viene segnalato per ciascun ospite l’orario di effettuazione: - del colloquio di verifica della conduzione del programma terapeutico individualizzato - del gruppo settimanale di addestramento al training autogeno - della seduta settimanale individuale di psicoterapia - del gruppo settimanale di psicoterapia


- della partecipazione ad eventuali attività di studio (alfabetizzazione, preparazione all’esame di licenza media, corso di base per l’utilizzo del personal computer...) che si svolgono in concomitanza con l’orario di formazione professionale. Variazioni nel fine settimana: • sabato mattina è dedicato principalmente alla pulizia e riordino delle camere e della sala studio da parte dei bambini (che vengono anche aiutati dall’educatore ad effettuare il cambio delle lenzuola), ed allo svolgimento dei compiti con l’educatore e, normalmente, la collaborazione di un volontario/a. I compiti non ultimati al mattino vengono terminati nel pomeriggio, in modo tale da liberare la domenica dagli impegni scolastici. • sabato sera è dedicato alle eventuali uscite: a seconda di ciò che offre il territorio e del periodo dell’anno si organizzano uscite per andare a vedere tutti insieme un film al cinema, assistere ad un concerto o ad un avvenimento sportivo, andare al luna park o partecipare ad una sagra di paese, recarsi in centro città per una cioccolata calda, ecc. • La domenica mattina tutti i ragazzi, accompagnati dall’educatore e da un volontario, partecipano alla messa presso la vicina parrocchia. • La domenica pomeriggio è in genere dedicata a passeggiate o uscite organizzate dagli educatori (piscina, avvenimenti culturali, mostre, ecc.) o alla frequentazione dell’oratorio che, anche nei periodi invernali in cui il clima e l’oscurità impediscono un’attività esterna, offre spazi e mezzi per giocare a ping-pong, bigliardino, carte, dama, giochi in scatola, ecc. Il sabato mattina o la domenica nel primo pomeriggio sono inoltre normalmente concentrate le eventuali visite “protette” dei familiari dei minori in Comunità, sempre seguite e gestite dall’educatore. Periodo estivo: A luglio lo staff della Cooperativa Casa Amica organizza normalmente un periodo di soggiorno in una località marina, privilegiando soluzioni che prevedano il ricorso a


case-alloggio autonome, la cui gestione sia interamente affidata al personale educativo, eccezion fatta per i servizi essenziali (es. servizio mensa). Ciò consente di programmare le vacanze estive degli ospiti della struttura secondo un criterio di continuità educativa, mantenendo le figure di riferimento dei minori e personalizzando spazi e tempi del quotidiano in base alle esigenze specifiche dei giovani. Tale scelta permette inoltre di valorizzare il momento ludico-ricreativo e di consolidare la relazione minore-educatore e le relazioni reciproche fra i minori in un contesto diverso dalla Comunità e dal quotidiano scolastico o quello lavorativo. La scelta del luogo di soggiorno, che dovrà comunque tener conto dei vincoli economici, è in genere orientata verso località interessanti anche dal punto di vista naturalistico e culturale, onde stimolare la naturale curiosità e la voglia di apprendere dei minori e far loro sperimentare situazioni nuove, in cui essi possano far emergere nuove risorse e potenzialità, offrendo agli educatori nuovi elementi di valutazione utili ad impostare il lavoro educativo col singolo minore e con l’intero gruppo. Ad agosto i minori rimasti in Comunità partecipano a diverse attività e tornei organizzati dagli educatori. Questi ultimi accompagnano i minori presso la piscina comunale ove trascorrono diverse mattine. Nei periodi estivi residui è lo staff educativo della Comunità , ad organizzare i tempi del quotidiano e le attività svolte. Viene data grande importanza al momento dei compiti, fondamentale per consentire ai minori di non compromettere gli apprendimenti acquisiti durante l’anno a causa della pausa scolastica e agli educatori di meglio focalizzare capacità, limiti e risorse cognitive dei singoli minori, mettendo in atto strategie utili a recuperare lacune o consolidare apprendimenti già acquisiti. Vengono inoltre organizzate alcune gite da effettuarsi in giornata in località interessanti dal punto di vista ricreativo e/o culturale (museo, spettacoli teatrali presso il teatro L. Pirandello di Agrigento, passeggiata panoramica presso la Valle dei Templi).


Capitolo quarto Vivere in Comunità 4.1. Aspetti e competenze della Comunità Casa amica è una comunità dove un certo numero di ragazzi , non sussistendo le condizioni per una loro permanenza presso il proprio nucleo familiare d’origine, vivono stabilmente per un periodo più o meno lungo (da alcuni mesi a due o tre anni) con un gruppo di 4/6 adulti, solitamente non residenti in Comunità ma assunti in qualità di educatori da un ente/associazione pubblico o privata (es. Cooperativa sociale) e che in Comunità tornano per garantire una presenza costante (24 ore al giorno) accanto ai minori ospiti della struttura. In alcuni casi i minori rientrano presso la propria famiglia uno o più giorni la settimana, in altre ciò non avviene; in ogni caso tutti i minori ospiti della Comunità fruiscono di numerosi servizi esterni alla Comunità stessa, quali la scuola (pubblica), associazioni sportive, ricreative e culturali e l’assistenza sanitaria (pubblica) nell’ambito di una filosofia gestionale che attribuisce grande importanza al lavoro di rete ed alla conseguente integrazione col territorio nel cui ambito la Comunità è inserita. In linea con le indicazioni fornite dalla normativa statale (L. 184/83 e seguenti) e della Regione Siciliana Legge 9 maggio 1986,n 2210 ( riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in Sicilia) all’interno della Comunità qui in specifico riferimento alla Coop. “Casa Amica” si tenta di riprodurre uno stile di vita il più possibile vicino a quello che potremmo definire “familiare”, cercando di conciliare le esigenze del gruppo con l’attenzione ai bisogni individuali, personalizzando gli spazi (es. camerette), creando un ambiente di vita il più possibile accogliente e stimolante, nel quale si possa 10

http://www.regione.sicilia.it/lavoro/uffici/agimp/hand/ricerca/Leg022.htm


produrre quel senso di appartenenza e di condivisione che è fondamentale in qualsiasi realtà familiare e che nel quotidiano attribuisce senso allo “stare in comunità”. La Comunità “Casa Amica” è fatta di tante persone tra cui ragazzi provenienti da diversi distretti della Sicilia, educatori, ausiliari/e, ecc.., che condividono un “tratto di strada”, e che cercano di dare un senso al percorrere insieme questa strada, imparando a conoscersi, a valorizzarsi reciprocamente, a venirsi incontro a vicenda affinché questo breve percorso assuma un significato comune, pur nella differenza delle percezioni, dei bisogni e degli apporti individuali. In Comunità non è importante che ognuno dia lo stesso apporto ma che ognuno metta a disposizione di se stesso e degli altri ciò di cui è capace, le proprie risorse ed il proprio modo di essere. Ciò non significa soltanto che ognuno si assumerà piccole mansioni nella gestione quotidiana degli spazi e delle attività di gruppo (rifare il proprio letto, apparecchiare e sparecchiare la tavola, ecc..) ma che ognuno con la propria personalità , la propria simpatia, la propria esuberanza o la propria timidezza, le proprie esperienze, ecc.) contribuirà alla vita del gruppo, a rendere il clima comunitario più caldo ed accogliente ed in grado di trasformare le diversità individuali da ostacoli relazionali a strumento di confronto e di arricchimento personale e del gruppo. Affinché ciò avvenga è necessario che il singolo minore sia accettato dagli educatori e dagli altri utenti della Comunità non solo per ciò che è ma per quello che è stato, non prescindendo dalla sua storia personale ma anzi accettandola, attribuendole un significato e utilizzandola come strumento di interpretazione del presente, che solo così può essere vissuto come una nuova opportunità di soddisfacimento dei propri bisogni (da quelli primari a quelli più evoluti) e di sperimentazione di nuovi bisogni precedentemente mai percepiti in contesti troppo spesso deprivanti. In tutto ciò l’educatore, che in Comunità non sostituisce le figure genitoriali ma ne assume i “codici comportamentali” e ne assolve le funzioni, attraverso la relazione quotidiana col singolo minore e con il gruppo deve rappresentare un punto di riferimento coerente,

riuscendo a costituire

allo stesso tempo un

“contenitore” di ( ansie, paure, rabbia, aggressività ecc.) accogliente e protettivo, un riferimento accudente ed elemento di stimolo al cambiamento. L’educatore attraverso la coerenza del suo agire quotidiano, contribuisce infatti a “dare senso” alla permanenza del minore in Comunità, aiutandolo a sperimentare nuovi modelli relazionali, comportamentali, affettivi, ecc. fino a quel momento mai sperimentati; il minore ha così


la possibilità di fare proprie modalità nuove e più efficaci di soddisfacimento dei propri bisogni, che tengano conto delle esigenze dell’altro oltre che delle proprie e che siano così gratificanti da indurlo a dismettere altre modalità “distorte” di soddisfacimento degli stessi bisogni. Tutto ciò non è soltanto finalizzato a creare le condizioni per una convivenza “possibile” e gratificante nel microcosmo comunitario ma soprattutto a consentire al minore di reinserirsi nel modo migliore possibile nel contesto sociale al termine dell’esperienza comunitaria stessa, indipendentemente dal fatto che nel futuro dell’adolescente vi sia un nuovo inserimento familiare o un collocamento diverso (altra comunità, centri diurni, inserimento lavorativo, ecc.). Per questo motivo il progetto educativo individualizzato di ogni minore in Comunità dovrà tener conto degli obiettivi finali del progetto generale, concordati con il Servizio Sociale inviante e coerenti con le indicazioni decretate dal Tribunale per i Minorenni, che dà appunto precise indicazioni sul significato che dovrà assumere per il singolo utente il periodo di permanenza in Comunità e su quale dovrà essere il suo futuro una volta terminata tale esperienza. La Comunità “ Casa Amica” di Agrigento punta molto sulla convivenza e sul gruppo, contribuendo così a creare le condizioni per la costruzione di un “noi“ in cui “ abitare insieme”. Se la principale caratteristica di una Comunità consiste appunto nel vivere insieme ad altre persone (adulti e ragazzi), cercando di dare un senso a questa convivenza, affinché ciò avvenga è necessario che tutti i membri della Comunità si diano un sistema di regole di convivenza, che renda possibile il riconoscimento reciproco ed il rispetto di tutte le individualità presenti nel gruppo.

4.2. Le regole Le regole della comunità “Casa Amica” si basano innanzitutto sul fatto relazionale. Infatti la prima regola imposta ai ragazzi è il rispetto dell’uno verso l’altro e dei suoi bisogni, riconoscerne il valore, la legittimità e la necessità di trovare per essi un punto d’incontro con i propri; significa dunque accettazione, collaborazione, cooperazione, reciprocità.


Detta comunità costruisce le sue basi sul rispetto reciproco e la capacita di rispettare le norme che regolano la convivenza. Perché vi sia riconoscimento e attribuzione di valore all’altro occorre avere sperimentato precedentemente il rispetto ed il riconoscimento del proprio valore da parte degli altri. Essere accudito con disponibilità e sollecitudine, fare esperienza di una relazione affettuosa e valorizzante alimenta la sicurezza in se stessi e la fiducia nell’altro, consente di costruire un legame che, a partire dal soddisfacimento dei bisogni e attraverso le esperienze condivise, permette di “riconoscersi” reciprocamente e di sentirsi ognuno parte integrante della vita dell’altro. E’ da questa esperienza positiva con un altro reale che il bambino apprende la propria capacità di considerare l’”altro” generico: dato che qualcuno in passato lo ha accettato, compreso e supportato, il ragazzo è ora in grado di accettare, comprendere e supportare un “altro” anche molto distante o totalmente sconosciuto (es. un nuovo utente della Comunità). In sostanza potremmo dire che il ragazzo è in grado di riconoscere negli altri i bisogni che ha visto riconoscersi, può considerare gli altri con il rispetto con cui si è sentito considerare, può apprendere dalle attenzioni e dalle cure ricevute la capacità di prendersi cura di qualcuno, direttamente o indirettamente. Sottostare a un dovere è riconoscere un diritto, assumersi un impegno è riconoscere un valore. E’ un fatto molto frequente in Comunità fare esperienza di minori devianti, distruttivi, provocatori e strafottenti; spesso al comportamento di questi bambini o adolescenti sottostà una domanda implicita: “come pensate che io vi riconosca, che io riconosca e rispetti voi ed il vostro valore, se nessuno è mai stato in grado di riconoscere me, i miei bisogni, il mio valore? Come posso io darvi fiducia se nessuno mi ha mai dato fiducia?” Diventa così di fondamentale importanza il lavoro che gli educatori della comunità devono intraprendere con il minore per consentirgli di sperimentare, nel nuovo contesto di vita, un affetto e un interessamento incondizionato nei suoi confronti, più forte delle sue provocazioni e della sua sfiducia e diffidenza in se stesso e negli altri, tale da fargli modificare l’immagine distorta e negativa che ha di sé e le stesse aspettative nei propri confronti e nei confronti degli altri. Le regole, non possono dunque essere rigide ed avulse dal contesto relazionale, non possono prescindere dall’individuo, dal gruppo e dalle dinamiche affettive dello stesso. La flessibilità nella gestione dello strumento normativo da parte degli educatori


trasforma la regola da qualcosa di statico e predeterminato in un processo relazionale complesso ma assolutamente centrale nel quotidiano in comunità. Come il bambino piccolo (in un contesto affettivamente ricco e stimolante) impara ad ubbidire per la paura di “perdere l’affetto del papà o della mamma” e non per il timore della loro eventuale reazione aggressiva e violenta, così anche in comunità il minore inizialmente impara a rispettare la regola perché ne individua il valore implicito come “debito relazionale” nei confronti di un adulto presente e coerente nello scambio affettivo e relazionale. Si innesca così un processo di graduale interiorizzazione della norma che, se percepita come flessibile perché sempre motivata e contrattata con l’intero gruppo, ne avvia il riconoscimento per il suo autentico valore, come mediatrice delle relazioni e garanzia delle libertà individuali. Non è un fatto raro in Comunità come in famiglia, vedere un ragazzo che dopo aver violato una regola si presenta all’adulto di propria iniziativa per chiedere di essere punito o proporre lui stesso l’autolimitazione delle proprie libertà come “risarcimento”. Solo attraverso questi passaggi è possibile avviare percorsi verso il raggiungimento dell’autonomia individuale e sociale del minore. In Comunità dunque le regole permettono la creazione ed il mantenimento di un clima di fiducia reciproco, la conferma di valori quali l’amicizia, l’impegno, la condivisione e la partecipazione; esse divengono un elemento tranquillizzante che dà stabilità alla vita quotidiana e contribuisce alla prevenzione di situazioni di crisi, che possono diventare un ostacolo alla crescita individuale e comunitaria.

4.3.

Identità, funzioni e competenze dell’educatore

Nonostante gli educatori fossero di fatto già presenti nel panorama delle professioni prima degli anni ’70, impiegati soprattutto all’interno delle “istituzioni totali” (carceri, istituti per minori, ecc.), la presenza della figura dell’educatore professionale all’interno della realtà lavorativa dei Servizi è connessa ai processi di riforma dei Servizi Sociali sanitari e assistenziali, conseguenti alle disposizioni legislative degli anni ’70 (Legge n. 833/78 sull’Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale 11) e proseguite successivamente 11

http://www.handylex.org/stato/l231278.shtml


fino agli anni ’90 (D.P.R. 444 del 1990 attuativo del T.U. 309/90 sulla riorganizzazione dei Servizi per la tossicodipendenza, istituzione dei Ser.T., ecc.)12. Nell’ambito del panorama dei Servizi gli educatori sono dunque individuabili come operatori nuovi, sebbene l’impiego in ambito assistenziale di figure educative ed i primi centri di formazione professionale per educatori ed assistenti sociali, a livello regionale, risalgano agli anni ’60. Nel 1983 la Direzione generale dei servizi civili del Ministero dell’Interno promuove un’apposita Commissione nazionale di studio per la definizione dei profili professionali e dei requisiti di formazione degli operatori sociali. Si giunge così alla seguente definizione di educatore: “L’educatore professionale in seno alla cooperativa “Casa Amica” è un operatore che, in base ad una specifica formazione professionale di carattere teorico e tecnico pratico e nell’ambito dei Servizi socio-educativi e educativo-culturali extra-scolastici, residenziali o aperti, svolge la propria attività nei riguardi di persone di diversa età mediante la formulazione e attuazione di progetti educativi caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione agendo, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto ambientale e sull’organizzazione dei servizi in campo educativo”. Tale definizione sancisce di fatto l’ingresso dell’educatore fra le professioni sociopedagogiche, senza però entrare nella specificità della figura e del ruolo dell’educatore professionale. Viene tuttavia ivi affermato l’allargamento a tutte le età dello spettro di utenza della professione educativa e attribuito l’aggettivo “professionale” alla denominazione di educatore, consentendo di differenziare tale operatore tanto dall’insegnante quanto dalla funzione educativa in senso generale, connessa alle normali interazioni reciproche delle persone. “Per educatore professionale si intende la persona che, dopo una formazione specifica, favorisce mediante metodi e tecniche pedagogiche, psicologiche e sociali, lo sviluppo personale, la maturazione sociale e l’autonomia delle persone, giovani o adulti, handicappati o disadattati o in pericolo di esserlo. Egli condivide con dette persone le differenti situazioni, spontanee o suscitate dalla e della vita quotidiana, sia all’interno di 12

http://www.auslba4.it/sert.pdf


istituzioni residenziali o di servizi, sia nell’ambito dell’ambiente naturale di vita, attraverso un’azione continua e congiunta con la persona e con l’ambiente” In questa seconda definizione emerge l’aspetto caratterizzante dell’educatore professionale, che consiste nella capacità di accompagnamento e di condivisione delle esperienze e degli eventi della vita quotidiana. In Italia il lungo processo di trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni, avviatosi con la Legge n. 281 del 1970, passato attraverso la Legge n. 833 del 1978 (Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) e la Legge n.142 del 1990 (nuovo ordinamento delle economie locali) ha di fatto responsabilizzato le regioni rispetto alla definizione dei profili professionali e delle funzioni da assegnarsi ai vari operatori sociali impiegati nei vari Servizi. L’educatore di “Casa Amica” è definito come “fondamentale componente residenziale della comunità” ed ha dei compiti e funzioni ben precisi. Essi danno concreta attuazione ai progetti educativi stabiliti per ciascun utente, partecipano altresi’, con il responsabile ai momenti di progettazione e verifica. Inoltre gestiscono insieme con gli ospiti, per quanto questi ultimi possano contribuire, gli aspetti materiali della vita della comunità (spese, preparazione ei pasti, ecc.). Le caratteristiche primarie presenti nell’educatore di comunità sono: la “relazione quotidiana con l’utente”, basata sul “fare insieme” e il momento della “progettualità”,. Andando ad analizzare le funzioni specifiche dell’educatore nel contesto comunitario, potremmo individuare due grossi ambiti: Il primo consiste nell’attuazione di interventi di tipo riparatorio. • Ricostruire nel minore un’immagine positiva di famiglia, in lui compromessa dall’aver fatto parte di un nucleo familiare problematico, caratterizzato dall’incapacità educativa dei genitori, dovuta a cause diverse (es. disturbi psichici, basso livello culturale e status sociale, ecc.) e concretizzata in modi diversi (comportamenti omissivi o commissivi); • recuperare comportamenti disadattati del minore ossia atti e comportamenti devianti o comunque inadeguati, sintomo di un malessere interiore e di una incapacità di adattarsi alla società, al contesto scolastico, alla vita.


Il secondo ambito consiste invece nell’attuazione di interventi di tipo assistenziale e promozionale finalizzati a: • mantenere, istruire ed educare i minori ospiti. In particolare il Servizio, attraverso gli educatori, ha il dovere di provvedere alle esigenze della vita del minore, appagando non solo i suoi bisogni primari (vitto, alloggio, vestiario, assistenza sanitaria) ma anche tutti quegli altri bisogni necessari ad un adeguato sviluppo della persona (istruzione, gioco, vita di relazioni, ecc.); ha il dovere di assicurare ai minori la frequenza scolastica, controllando che adempiano all’obbligo scolastico e fornendo loro un supporto nello studio; ha il dovere di porsi accanto al ragazzo nel suo processo di sviluppo psicofisico, curare l’aspetto relazionale,sessuale ,morale ecc.. L’educatore deve dunque “porsi accanto” senza “sostituirsi” al minore, fornire quegli strumenti mancanti, necessari ad una proficua integrazione sociale, valorizzando e rispettando le sue capacità, le sue inclinazioni naturali e le sue aspirazioni. agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori e favorirne il reinserimento nella famiglia d’origine, qualora sia stata risolta la situazione che ne abbia determinato l’allontanamento. Gli educatori della Comunità in specifico riferimento alla coop. “Casa Amica” , sempre attraverso un lavoro integrato con quello svolto dal Servizio Sociale inviante, hanno il compito di preparare il minore alla nuova esperienza, ne esplora le risorse, ne verifica le capacità quindi lo avvia alla formazione e infine al lavoro.

4.4. Domande all’educatore Ho intervistato rispondere

due educatori della struttura

che si sono gentilmente prestati a

ad alcune domande; ho chiesto loro del rapporto con i ragazzi della

comunità, il loro ruolo fondamentale , i compiti e la finalità del progetto . Gli educatori hanno risposto in modo univoco , premettendo che , il rapporto umano si costruisce tra soggetti, piuttosto che una relazione assistente /assistito. Conoscere il singolo ragazzo, interagendo con lui , cercando di trovare la chiave giusta per comprenderlo. Premesso ciò hanno continuato dicendo che il loro ruolo


fondamentale e’ sostenere i ragazzi, condividere gli spazi e i momenti di vita quotidiana dentro e fuori la struttura, ascoltare i loro problemi per poi discuterne in gruppo. Il nostro compito ,dicono, e’ innanzitutto la personalizzazione dei rapporti, rendendo cosi ogni comunità un luogo di vita indipendente dalle altre. Le attività svolte in comunità partono già dal risveglio del ragazzo seguirlo nella pulizia personale, accompagnarlo a scuola o al lavoro, in quanto queste attività si svolgono prevalentemente all’esterno. Al rientro i ragazzi vengono seguiti nel dopo scuola , praticano sport , musica a secondo della loro predisposizione non trascurando le attività manuali. Per quanto riguarda l’inserimento lavorativo, come già detto in precedenza, la comunità si avvale di piccole aziende per reintegrare il ragazzo nel sociale alla fine del percorso nella struttura. Concludendo , l’educatore dice che l’obiettivo personale alla fine del percorso e’ quello di essere riuscito ad avere un rapporto con il ragazzo basato sulla fiducia reciproca , averlo portato a credere

fermamente nelle proprie capacità pronti ad affrontare il

mondo esterno.

4.5. Domande al direttore Ho ritenuto significativo intervistare il Direttore della struttura chiedendo innanzitutto, quale fosse stato il motivo che l’avesse spinto ad occuparsi dei minori che hanno o che abbiano avuto problemi con la giustizia. La risposta è stata semplice ed incisiva. I motivi sono stati derivati dal vedere il fallimento delle carceri e l’alta recidività, e quindi evitare che i ragazzi raggiunta la maggiore età fossero trasferiti nel carcere per adulti, offrendo loro la possibilità di finire di scontare la pena in Comunità con un vero progetto educativo e di reinserimento sociale. Per reinserimento si intende, attraverso il “Progetto Icaro”, una possibilità lavorativa avvalendosi di piccole aziende esterne quale artigiani, falegnami, meccanici ecc, per mezzo delle quali, i minori vengono inseriti nelle attività delle stesse aziende, accompagnati e seguiti nel rispetto dei tempi e per la durata dei lavori. Il lavoro è uno dei modi più sicuro per uscire dalla devianza, <cosi continua il colloquio con il Direttore>, in quanto i ragazzi si sentono utili per la società e non emarginati.


Un lavoro che sia compatibile con le proprie attitudini, ovviamente aiutati e supportati quanto più possibile da parte dei responsabili della struttura. Alla domanda, cosa spinge un minore a compiere un reato, il Direttore risponde che la causa è la condizione di disagio che si evolve con i tempi e con la tendenze. I reati spesso compiono i minori sono i furti e lo spaccio. Il furto più frequente fino a qualche anno fa era avere come “oggetto del desiderio” prevalentemente il motorino, che ha passato invece il triste primato al telefono cellulare. Il responsabile della Cooperativa ha tracciato un identikit del minore che commette un reato. Il minore coinvolto è tra i 14 e i18 anni, un soggetto prevalentemente maschile, in quanto da sempre la figura maschile ha il ruolo dell’istigatore come sostengono molti criminologi. Il ceto di appartenenza è prevalentemente medio-basso con famiglie disagiate alle spalle. I ragazzi ospitati dalla struttura sono cinquanta e si accede attraverso la Questura su ordine del giudice del tribunale dei minori. Della struttura a secondo dei casi si esce al compimento del diciottesimo anno di età. Per seguire adeguatamente i ragazzi la struttura si avvale di figure professionali come: psicologi,assistenti sociali ed educatori. Il Direttore si è soffermato soprattutto sulla figura professionale dell’educatore, sostenendo fermamente che il ruolo dell’educatore è fondamentale, per l’approccio in quanto, inizialmente, i ragazzi sono diffidenti e hanno difficoltà ad inserirsi nel gruppo e quindi di essere accettati. Loro con la professionalita’, il dialogo e con una spiccata sensibilità che hanno nell’affrontare la problematica del minore, riescono quasi sempre a raggiungere l’obiettivo prefisso ovvero la fiducia reciproca. Quasi al termine del colloquio la curiosità mi ha spinto a domandargli se alla fine del percorso i ragazzi o almeno alcuni di loro restano in contatto con la struttura. Il Direttore con un cenno di sorriso ha risposto che alcuni ragazzi manifestano stima e affetto per la stessa, intravedendo nei loro sguardi che la comunita’ rappresenta ancora un punto di riferimento e una guida semmai ne avessero di bisogno. Sono proprio questi i casi che spingono tutto lo staff ad andare avanti, per la soddisfazione di essere riusciti a raggiungere almeno per alcuni , l’obiettivo stabilito che stimola sempre di più tutti gli educatori. , avendo la piena convinzione che la


comunità e’ senz’altro un ‘alternativa al carcere, in quanto lo stesso e’ sicuramente un deterrente e non la misura più adatta a porre rimedio alla devianza. In questi casi i contatti con la struttura avvengono prevalentemente tramite telefono.

Conclusioni La comunità “ come possibile alternativa al carcere” questo e’ il titolo del mio lavoro, con il quale ho voluto dare , sebbene minimo, un contributo alla comprensione della reale utilità socio-educativa della struttura di riferimento . Mi auguro da un lato, di essere riuscito a fare un po’ di chiarezza su tale realtà, dall’altro spero di avere rappresentato la struttura con una immagine accogliente e più umana, rispetto a quella fredda e distaccata che spesso, ho potuto percepire, parlando con gente comune e soprattutto ne ho valorizzato le funzioni psicologiche relazionali ed operative che in passato erano state compromesse. Con ciò non penso certo di avere esaurito gli argomenti trattabili, ne ho la pretesa che chi avrà letto queste pagine possa avere completamente, qualora avesse dei dubbi, condiviso la visione

della comunità per minori, ancora troppo spesso associata alle

connotazioni negative con cui oggi sono univocamente identificati, a ragione, i vecchi istituti, in quanto esso costituisce un ulteriore elemento deterrente. Pertanto se potenziamo nel ragazzo

una identità come “soggetto deviante” gli

riduciamo la possibilità di risorsa presente , con la conseguenza che una volta espiata la pena si riprodurrebbe la stessa situazione creatasi all’origine. In buona sostanza sarebbe come infierire sul danno già esistente, poiché a mio parere non servono figure solamente con compiti di custodia ma compiti di dialogo: Assistenti sociali, educatori, questi ultimi devono essere capaci di fornire un supporto concreto ed efficace, flessibile e sempre più specifico alle esigenze della persona in età evolutiva. E’ inaccettabile interrompere la fase di crescita di una persona recludendola, perchè gli effetti sarebbero devastanti sotto ogni profilo: culturale, fisico e psichico. Il lavoro in questa direzione, mi rendo conto e’ molto lungo ma nel contempo penso che la comunità sia la strada giusta per il recupero di molti ragazzi in difficoltà che chiedono con forza il riscatto alla vita .


BIBLIOGRAFIA •

B. Forresi, (2003), “L’ascolto del disagio in adolescenza”. Graphic World, Milano.

archivio. Coop . “Casa Amica” Agrigento

educare in comunità: “La Comunità nelle parole e nelle azioni degli educatori”, P.Bastianoni (a cura di), Quaderni educare in comunità n 5 cm Firenze

Gabrielli Gabriella, Minori, Luoghi comuni, crescere in comunità, 1996, COMUNITA’ EDIZIONI

SITOGRAFIA

http://www.akrabit.it/avev/norme/norme_regione/legge_rs_22_86_servizi_socio -assistenziali.html

http://www.regione.sicilia.it/lavoro/uffici/agimp/hand/ricerca/Leg022.htm

http://www.casaamica.it/home.html

http://giustiziaincifre.istat.it/

www.regione.sicilia.it

http://www.giustizia.it/cassazione/leggi/l184_83.html

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http://www.auslba4.it/sert.pdf



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