RICOMPORRE IL VUOTO un progetto urbano per una passeggiata archeologica nell’area centrale di Roma
RICOMPORRE IL VUOTO un progetto urbano per una passeggiata archeologica nell’area centrale di Roma
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FERRARA Dipartimento di Architettura Laurea Magistrale in Architettura A.A. 2021/2022 Laureanda Anita Gustuti Primo relatore Romeo Farinella Secondo relatore Elena Dorato
Indice
Abstract parte I.
STORIA DI UNA CITTÀ INCOMPIUTA
I. Inquadramento storico Le origini della Roma moderna L’area centrale – sviluppo dalla Roma antica alla Roma moderna L’occupazione francese e l’embellissement Roma capitale del Regno d’Italia Il centro archeologico monumentale e il progetto della Passeggiata Archeologica Gli anni del fascismo. Storia della via Dei Fori e della via Del Mare Il piano regolatore del 1931
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II. Il parco dell’Appia, primo museo all’aria aperta La tutela dell’Appia: esempio di mobilitazione civica per un bene urbano architettonico e artistico
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parte II.
NESSUNO ESCLUSO
I. Le esperienze culturali : visioni per la città La stagione dell’effimero: l’Estate romana Roma Interrotta
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II. La città contemporanea 92 Premessa Un po’ di dati della Roma contemporanea Il quadro metropolitano ed il PRG del 2008 L’ambito delle Mura aureliane L’ambito del Parco archeologico-monumentale dei Fori e dell’Appia Antica La mobilità nel centro storico III. Tassonomia dello spazio pubblico Composizione dei boulevards Il giardino Il caso del Circo Massimo IV. Un caso studio: Il concorso di Parc de La Villette come nuovo parco urbano
Abstract
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parte III. LA PASSEGGIATA ARCHEOLOGICA I. L’area di intervento
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II. Strategia di intervento
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III. Il progetto
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APPRENDICE Bibliografia Tavole Ringraziamenti
La città contemporanea si presenta come un palinsesto di paesaggi stratificati, in cui coesistono frammenti urbani risalenti ad epoche diverse, generando scenari inediti e peculiari. Attribuire il giusto valore a questa stratificazione e comprenderne le potenzialità può diventare una straordinaria lezione di modernità, uno spunto di riflessione imprescindibile per intervenire sull’esistente. La città di Roma ben costituisce l’esempio magistrale dell’ossimoro antico-moderno. La plurimillenaria storia del luogo rappresenta la linea strategica lungo la quale sviluppare la città di domani, interpretando la memoria non come lettura nostalgica del passato, bensì come principio operativo, parte attiva nella città odierna e nella vita di chi la abita. Come esempio concreto di quanto accennato si può citare per Roma la stagione dell’Estate Romana ideata nel 1977 dall’assessore alla cultura Renato Nicolini, che trovò certamente ispirazione nella concezione di una città antica parte attiva di quella contemporanea. Venne in tale occasione sperimentata una nuova visione del centro storico, cuore pulsante di una ritrovata vitalità urbana, disvelando le potenzialità aggregative di questo straordinario spazio, così restituito alla collettività, in opposizione al processo di gentrificazione a cui l’area sembrava inesorabilmente destinata. In questa esperienza, il perdurante valore simbolico delle rovine monumentali si fece emblema del raccordo tra gli spazi della vita quotidiana e gli spazi della cultura.
Nella progettazione urbana il vuoto rappresenta un elemento organizzativo, e anche il luogo dove può riflettersi la struttura collettiva della città stessa. Si intende guardare ai vuoti della città come un’architettura a tutti gli effetti che metta in relazione il costruito, le persone e i luoghi, ritrovando la dimensione umana degli spazi aperti, pur calati nel contesto urbano contemporaneo. In una città eterogenea come Roma, il vuoto assume più valenze e può essere classificato secondo diverse scale, in base alla funzione che ha all’interno del tessuto urbano, che questo sia un quartiere, un settore, o polo di riferimento per la città intera. Nell’area del Centro archeologico monumentale, la riqualificazione dei vuoti ivi immersi non può prescindere dalla loro connessione, qui individuata attraverso corridoi verdi e sistemi di mobilità ecologici. L’area oggetto di studio di questa tesi, tra i resti degli insediamenti del più antico nucleo della città di Roma sul colle Palatino ed il parco regionale dell’Appia Antica, si afferma come perno visivo, ma non statico contemplativo, degli straordinari fondali che percepisce. Nonostante la singolarità del contesto, quest’area ha sempre avuto un destino incerto. La finalità del progetto è pertanto quella di connettere attraverso un percorso continuo e strutturato il Centro archeologico monumentale con il Parco dell’Appia antica, ricomponendo lo spazio residuo della Passeggiata Archeologica in un’unica trama verde che, dalla campagna romana entri fino al cuore della città. Attraverso la progettazione di un parco urbano si ipotizza la costruzione di una trama di itinerari sia di interesse storico-artistico, che archeologico paesaggistico, che si incroci con spazi urbani di aggregazione e socialità, e sia in grado di diventare un racconto in cui immaginazione, vita e progetto si intrecciano in maniera indissolubile. Il progetto si articola attorno a tre temi cardine; in primo luogo l’interpretazione del contesto come una sequenza di compressioni e dilatazioni, un’alternanza che l’intervento si impone di rispettare; in secondo luogo la vegetazione, come principio compositivo del progetto urbano, che collabori con le architetture esistenti per il disegno di ambienti conclusi e di nuove prospettive; infine, il muro, forma primigenia e simbolica dell’architettura romana, come confine che separa e unisce, la cui più straordinaria testimonianza è rappresentata dal monumento continuo delle Mura Aureliane.
parte I
Salomon Corrodi, Via Appia, 1867
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STORIA DI UNA CITTÀ INCOMPIUTA
“ A Roma la storia di un’anomala
modernizzazione ha lasciato nella forma della città fratture profonde che condizioneranno pesantemente chi vorrà disegnare immaginifici scenari per il futuro. Sarà quindi più saggio dedicarsi a rielaborare l’esistente in un’invenzione che lo trasfiguri, seguendo la lezione borrominiana di trarre il bene dal male. ” Italo Insolera(1)
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1.1. Inquadramento storico La Roma di oggi è una composizione di stratificazioni priva di un disegno unitario. Questa sua caratteristica permette a chi esplora la città di compiere un viaggio nel tempo. E così, la coesistenza di frammenti urbani risalenti ad epoche diverse può diventare una straordinaria lezione di modernità, e anche, soprattutto, uno spunto di imprescindibile riflessione, assodato che il campo degli interventi nelle metropoli contemporanee è interamente contenuto nei confini dell’esistente.
Tocci W., Insolera I., Morandi D., Avanti c’è posto Storie e progetti del trasporto pubblico a Roma. Donzelli Editore, 2008
(1)
I motivi dello sviluppo caotico della città trovano la loro origine in una data: il 1870. Dopo l’unificazione al regno d’Italia, infatti, la città si trovò a dover rispondere a due impellenti richieste: soddisfare una crescente richiesta di case, ed equipaggiarsi di sedi adeguate al nuovo governo nazionale. Si decise di dare priorità alla seconda, con un conseguente deficit di attenzione ad un’espansione pianificata dei quartieri residenziali, come stava invece avvenendo in altre città europee (ad es. Barcellona, plan Cerdà, 1858) ed italiane (ad es. Torino, piano Antonelli, 1852; Milano, piano Beruto, 1889). Le espansioni previste dai piani precedenti (si pensi al piano Viviani del 1883 o del Sanjust del 1909) vedevano nuovi agglomerati, quasi indipendenti, sorgere in corrispondenza delle principali vie consolari attorno al centro storico. Il contesto non è stato facile.
STORIA DI UNA CITTÀ INCOMPIUTA
Jean-Baptiste Lallemand, The Baths of Caracalla, 1899
Inquadramento storico
Basti pensare che dal 1920 la popolazione di Roma è si è duplicata ben sette volte, e la sua superficie dieci. Questa crescita ha causato una frattura tra quello che oggi è considerato il centro storico, confinato simbolicamente all’interno delle mura aureliane, e la periferia moderna. La presenza di ville storiche e di importanti vuoti, e le battaglie che negli anni si sono succedute per difenderli, ha arginato il pericolo di soffocamento della città antica dei neo-quartieri residenziali soffocasse la città antica. Il caso più celebre, ed ambito di questa tesi è il parco dell’Appia. La regina viarum è stata l’unica via consolare ad essere tutelata dai pressanti tentativi di urbanizzazione, per l’immensa valenza storico-artistica e la rilevanza da un punto di vista naturalistico ed ambientale. Questa tesi intende proporre la città di Roma come specchio attraverso cui osservare e ragionare sui problemi della città post- moderna. L’area centrale archeologica dell’Appia, traccia attiva del passato nel tessuto della città contemporanea, è presenza di natura e cultura. Man mano che ci si allontana dall’epicentro, i frammenti capaci di resistere alle trasformazioni imposte dalla modernità diventano sempre più radi. Riportando una riflessione di Marco Pietrolucci(2), il sistema degli spazi verdi a Roma può essere interpretato come la sua principale infrastruttura da riqualificare, anziché come un terreno in attesa di essere urbanizzato, con cui aggiornare la Forma Urbis.
Pietrolucci M., AR Magazine n. 120 2017
(2)
Il sottotitolo, con l’espressione passeggiata archeologica, rievoca le vicende che hanno caratterizzato quest’area negli ultimi 150 anni: non è mancato un progetto, una visione, bensì la volontà e la forza per realizzarlo.
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STORIA DI UNA CITTÀ INCOMPIUTA
Giovan Battista Nolli, Pianta di Roma, 1748
Inquadramento storico
Roma, Giovan Battista Nolli
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STORIA DI UNA CITTÀ INCOMPIUTA
Inquadramento storico
Le origini della Roma moderna La prima cartografia moderna di Roma è l’accurata rappresentazione di Giovan Battista Nolli nella Nuova topografia di Roma, del 1748. In questo preciso lavoro di rilievo dello spazio della città, con particolare attenzione alle emergenze architettoniche e alle testimonianze della Roma imperiale, è disegnato tutto ciò che è misurabile, ma anche di più: il rilievo riesce a cogliere, infatti, anche gli aspetti più intangibili della città. La struttura urbana compatta e complessa della Roma settecentesca viene restituita attraverso la raffigurazione delle sue piazze, della disposizione dell’arredo urbano, delle fontane e degli obelischi, rendendo evidente la stratificazione della città rinascimentale e barocca su quella antica e medievale. La chiave di lettura dell’opera si cela dietro la rappresentazione dei piani terra degli edifici pubblici in continuità con la trama degli spazi aperti: lo spazio pubblico emerge e diventa il nucleo dell’opera cartografica. L’area centrale - sviluppo dalla Roma antica alla Roma moderna L’area tra i colli Celio ed Aventino è testimonianza della storia della città fin dalle sue origini. In epoca repubblicana, la valle costituiva il primo miglio della Via Appia fuori dalle Mura Serviane, e fu dedicata da Numa Pompilio, secondo Re di Roma, alle Camene, ninfe profetiche, ed in particolare ad Egeria, una delle antiche divinità latine delle acque sorgive, sua consigliera. Durante la fase imperiale, l’area venne ulteriormente valorizzata dalla costruzione delle Terme antoniniane (o di Caracalla) nel 212 d.C. e della strada di accesso al complesso.
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Con la costruzione delle Mura Aureliane intorno al 270 d.C., la valle divenne parte interna del territorio urbano. Nel periodo medievale, iniziarono a comparire le prime chiese cristiane e i complessi monastici, poi abbandonati per l’insalubrità dell’area e successivamente riscoperti e restaurati nel XVI secolo d.C., la valle divenne parte interna del territorio urbano. Da allora fino all’unità d’Italia nel 1870, che pose fine al potere temporale dello Stato Pontificio su Roma durato più di un millennio, la zona rimase illesa dall’urbanizzazione, come la maggior parte del territorio entro le mura. In questo lasso di tempo, infatti, la popolazione romana rimase concentrata all’interno del tessuto storico che da Porta del Popolo si estendeva fino all’attuale piazza Venezia e per questo le urbanizzazioni, non necessitando di ampliare l’offerta residenziale, avevano mirato principalmente alla valorizzazione dei complessi ecclesiastici più importanti. Sono i secoli in cui vennero poste le basi per la struttura del centro storico: uno dei più importanti urbanisti nella storia della città – Papa Sisto V – creò il sistema di assi viari che collegano tutt’oggi le basiliche. L’occupazione francese e l’embellissement Nel 1809 le truppe francesi invasero Roma, cacciando il Papa e proclamandola “città imperiale”. Fu proprio nei cinque anni di dominazione francese che si avviò un processo di sviluppo e intervento sulla città, grazie al programma del prefetto de Tournon che culminò con il decreto imperiale “l’embellissement de notre bonne ville
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Inquadramento storico
de Rome”(3), nel 1811, in cui venne riconosciuta l’importanza storica e culturale dei monumenti della Roma antica e si investì nella prima operazione di recupero e valorizzazione delle archeologie. In questo contesto (di cambiamento) Antonio Canova, già Ispettore delle Antichità dal 1802, venne incaricato di avviare campagne di scavi finalizzate allo studio delle antichità e si deve proprio a lui l’inizio di un’attenzione particolare riguardo il destino della via Appia. Fu, infatti, il primo ad ipotizzare che la prima delle vie consolari fosse il museo di sé stessa , iniziando la ricomposizione dei frammenti dei monumenti ai margini del sentiero pavimentato a basoli, oppure sovrapponendo ai ruderi in laterizio diverse statue e reperti. A lui seguì il lavoro di Giuseppe Valadier, assieme a Luigi Canina, e successivamente l’archeologo Rodolfo Lanciani, importante figura non solo per la gestione dei reperti monumentali, ma soprattutto per la piantumazione di moltissimi pini, che ancora oggi nell’immaginario collettivo caratterizzano il paesaggio della città.
Insolera I. Roma moderna. Da Napoleone I al XXI secolo. Einaudi 2011 p 359
(3)
City as organism, ISUF Rome, volume 1 part 1 in Manuela Raitano’s “Figure follows type. Notes above contemporary project in compact urban fabric” 2015
(4)
Inoltre, fu sempre il governo napoleonico ad istituire due grandi spazi verdi alle porte della città, rispettivamente alla Porta del Popolo a nord, e nell’area del Colosseo a sud, a testimonianza della ricchezza culturale della seconda città dell’Impero. Ad occuparsi della progettazione dell’ingresso sud fu il paesaggista della corte parigina Louis Martin Berthault, che seguendo la sua concezione romantica, propose di utilizzare le rovine romane come quinte scenografiche nel paesaggio: uno sfondo alla ricerca del sublime. Il progetto segna l’inizio della lunga storia, mai giunta al termine, di connessione tra l’area del
Carlo Labruzzi, Colosseo, 1780
Campidoglio e Colosseo, e quella dell’Appia antica, attraverso una serie di giardini in cui venissero custoditi i reperti archeologici trovati lungo la via. Purtroppo, la caduta dell’Impero napoleonico nel gennaio 1814 interruppe il progetto. Roma capitale del Regno d’Italia
In realtà, il piano del 1883 ricalca quasi interamente uno precedente, disegnato dallo stesso Viviani nel 1873, mai convertito in legge, ma attuato in alcuni aspetti da subito. Infatti molti degli interventi proposti dal piano del 1883 erano, al momento della sua approvazione, già in corso d’opera.
I
Con l’Unità d’Italia (1870) e la scelta di Roma come capitale del Regno, la Forma Urbis della città cambiò rapidamente, sia per la crescente domanda di residenze, che soprattutto per la necessità di edificare i palazzi governativi. È proprio in tali priorità che è da ricercare uno dei motivi il nuovo assetto formale della città, costituita principalmente da quartieri residenziali indipendenti l’uno dall’altro, come a formare un collage(4). Il primo piano regolatore della capitale fu progettato nel 1883 dall’ingegner Alessandro VivianiI e fu essenzialmente incentrato sulla collocazione degli edifici pubblici funzionali al nuovo governo, limitandosi a indicare gli ingombri delle nuove aree residenziali con una generica
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Inquadramento storico
scacchiera, invariata rispetto alla diversa topografia del territorio, e lasciando le famiglie proprietarie dei terreni e le società immobiliari libere di decidere la densità del costruito e la tipologia più redditizia. Fu il periodo della cosiddetta “febbre edilizia”, in cui l’espansione si sviluppò principalmente verso est, ad eccezione del quartiere Prati di Castello e di Trastevere, alle pendici del Gianicolo. Le lottizzazioni che allora furono previste sono Testaccio, l’Aventino e il primo tratto dell’odierno Flaminio, tra piazza del Popolo e il Tevere. Iniziò, quindi, l’espansione della città oltre i confini delle Mura Aureliane, in particolare oltre la fascia verde costituita dalle principali ville nobiliari che avrebbe ben potuto costituire un tessuto connettivo ecologico, nel senso contemporaneo del termine, e che, invece, venne quasi interamente lottizzato e poi in quartieri residenziali. La città vecchia, attraversata dai primi sventramenti come via Cavour, corso Vittorio Emanuele II, il traforo, o via del Tritone, iniziò la sua metamorfosi in un luogo di rappresentanza. Esempio simbolico fu la realizzazione di corso Vittorio Emanuele II, considerato uno dei maggiori vanti del periodo umbertino, certamente uno degli interventi più traumatici nel tessuto storico della città, ben prima di quanto sarebbe accaduto durante il regime fascista. La decisione di realizzare piazza Venezia, punto d’arrivo di questo asse viario (che successivamente verrà prolungato fino al Tevere ed oltre, con la costruzione di ponte Vittorio Emanuele II, ultimato nel 1910), non fu casuale ma guidata dalla volontà di tracciare un punto d’incontro fisico tra la città moderna e il suo passato. Nel nuovo contesto storico riprese il dibattito iniziato dal governo francese a inizio secolo, sulla
Antoine Ponthus-Cinier, The Gardens of “La Villa Pamphili”, 1844
Rossi A., L’architettura della città. Marsilio, 1966
(5)
Augé M. Rovine e macerie: il senso del tempo, (titolo originale Le temps des ruines, trad. Aldo Serafini). Bollati Boringhieri, 2004.
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valorizzazione delle testimonianze archeologiche ed il loro rapporto con la città che stava crescendo loro attorno, in particolare sul dialogo che questi elementi, questi fatti urbani, come poi sono stati definiti da Aldo Rossi(5), potessero instaurare con la vegetazione circostante, e quale fosse il ruolo di quest’ultima nella narrazione storico-artistica.
Ci accade di contemplare dei paesaggi e di ricavarne una sensazione di felicità tanto vaga quanto intensa; più quei paesaggi sono “naturali” (meno essi devono all’intervento umano), più la coscienza che noi ne abbiamo è quella di una permanenza, di una lunghissima durata che ci fa misurare per contrasto il carattere effimero dei destini individuali. Allo spettacolo del perpetuo rinnovamento della natura può tuttavia ricollegarsi anche il confortante sentimento di una totalità che trascende quei destini o nella quale essi si fondono, l’intuizione panteista o materialista del “nulla si crea e nulla si distrugge”. La natura in questo senso abolisce non solo la storia, ma il tempo.(6)
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Inquadramento storico
La prima proposta, di interporre tra il Palatino e Porta San Sebastiano una serie di giardini pubblici, arrivò dalla commissione Camporesi già nel 1870 ma non venne mai approfondita. Poi Guido Baccelli, una figura fondamentale nella storia della conservazione dell’antico, propose negli anni Ottanta del XIX secolo un progetto di salvaguardia della conformazione fisica del settore urbano tra il Foro e il Palatino, fino a ricollegarsi con l’antica Regina Viarum, la via Appia. Baccelli fu il primo ad evidenziare l’importanza di difendere quest’area dalla speculazione edilizia, e tutelarla per permetterle di continuare a raccontare la sua secolare storia.
dell’area. Infatti egli arricchì il progetto con un importante lavoro di documentazione del dialogo tra reperti archeologici e vegetazione. Boni adottò un approccio estremamente pratico, formulando una sequenza di azioni per affrontare la progettazione, la manutenzione e la gestione della vegetazione nei siti archeologici. Fu pioniere nello studio della vegetazione infestante dei ruderi, ad esempio contrastando l’estirpazione indiscriminata, e sostenendo che, in alcuni casi, la copertura naturale sia più utile che dannosa. Dopo la lunga tradizione dei giardini rinascimentali, per la prima volta si introdusse “la spontaneità” come possibile metodo di piantumazione nello spazio pubblico.
Il piano Viviani prevedeva un collegamento non rettilineo tra via del Corso ed il Colosseo, un percorso organico che trovava una nuova polarità nella formazione di una piazza a nord della Basilica di Massenzio, come terminale della moderna via Cavour, dalla quale sarebbero partiti tre nuovi tracciati: uno verso l’odierna piazza Venezia, uno verso il Colosseo, e uno verso via di San Teodoro, che avrebbe sorvolato i fori con un ponte metallico. In questa visione, il Colosseo venne isolato dal suo contesto, poiché circondato da molteplici viali (boulevards) tipici della città ottocentesca, ma fuori scala rispetto al tessuto urbano storico. Viviani suggerì una pianificazione dell’area alla maniera inglese, in cui gli elementi archeologici fossero inseriti in un contesto spontaneo, naturale, pioniere di una serie di sperimentazioni sul tema rovine e vegetazione. La nomina nel 1895 di Giacomo Boni a direttore dell’Ufficio Regionale dei Monumenti di Roma, con conseguente incarico della direzione degli scavi nel foro romano (1898) e poi del Palatino (1907) segnò un punto importante nella storia
Il lavoro di Baccelli si concluse con la proposta di legge del 23 Aprile 1887 presentata alla Camera dei Deputati, in cui espose la sua idea per l’area, composta di “eleganti giardini, con lunghi viali alberati, con dovizia di acque e di fonti, di notte irradiate da luce elettrica”, un panorama che “nessuna delle più grandi metropoli del mondo potrebbe vantare”(7). La legge Baccelli, integrata al piano regolatore del 1883, divenne legge, contestualmente ad una massiccia migrazione degli abitanti delle campagne verso la città, vittime dell’epidemia di malaria che in quegli anni devastava l’Agro Romano.
(7) Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legisl. XVI, 1° Sessione, tornata del 23 aprile 1887, pp. 2369-2370, in Borghi 2015, p. 128.
Nel 1904 la legge Giolitti pose un primo freno all’espansione, e con il lavoro della Commissione Reale della Zona Monumentale dal 1908 al 1914, si effettuarono i primi espropri sul territorio dedicato alla Passeggiata archeologica dai Fori all’Appia Antica. Fu in quegli anni, precisamente nel 1910, che Boni si dimise dalla Commissione per visioni contrastanti sul destino della sistemazione dell’area, succeduto dall’archeologo Rodolfo Lanciani.
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Gaspar Adriaens Van Wittel (1653 1736), The Colosseum
Inquadramento storico
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Scrive la biografa Eva Tea che egli “aveva avuto assicurazione che il Parlamento intendeva ridonare all’Italia, con porta Capena, i templi e le are sepolte tra l’Appia antica e la via Antoniniana sub Thermis. Volendosi per ora invece, non riscattare l’antica Curia … ma quadruplicare in larghezza un tronco di via S. Sebastiano, egli chiede di essere dispensato da un incarico che gli cagiona soltanto dolore ”; egli è convinto che il “ viale è dannoso per la eccessiva larghezza, perché sposta l’asse dell’Appia, perché mette in mezzo alla strada due chiese e perché, una volta sistemato a marciapiede, con segnature ed alberate, seppellirà per un tempo indefinito gli avanzi monumentali di Porta Capena e degli altri monumenti che ivi sorgevano” (8). Anche il piano del 1909, redatto da Edmondo Sanjust di Teulada si limitò, per quel che riguarda il centro storico, a eliminare parte degli sventramenti proposti con il piano precedente, occupandosi principalmente di definire le tipologie edilizie per ciascuna zona della città, per contrastare l’espansione caotica e disordinata già in atto. Il centro archeologico monumentale e il progetto della Passeggiata Archeologica
(8) Tea E., Giacomo Boni nella vita del suo tempo, 2 volumi. Casa Editrice Ceschina, vol. II, pp. 258259, 1932
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Inquadramento storico
Il piano di realizzazione del parco archeologico iniziò con la proposta di livellamento dei forti dislivelli del terreno, unita alla piantumazione di alberature “storiche” come il pino, la quercia ed il cipresso, questo come segno di identificazione dei siti storicamente più rilevanti, insieme al mirto, circondate da lauri ed oleandri. Si valutò anche la posizione strategica dell’area come cerniera di collegamento tra il centro città e la periferia e a tal fine si progettò, oltre al viale
Roma, La passeggiata archeologica fotografata dal Palatino prima della costruzione di Viale delle Terme di Caracalla
centrale, una strada di scorrimento al di fuori dell’area prevista per il parco. Nel 1909, anno d’inizio dei lavori per la Passeggiata Archeologica, l’Associazione Artistica tra i Cultori di Architettura, un gruppo composto da architetti ed esperti del settore come lo stesso Giacomo Boni, ma anche Giovanni Battista Giovenale, Gustavo Giovannoni e Maria Pasolini Ponti, espresse un parere contrario alle opere di esecuzione, a favore della tutela di alcuni aspetti caratteristici dell’area, altrimenti persi, come l’accidentalità del terreno che da Villa Mattei (oggi villa Celimontana) degrada verso il semenzaio comunale per poi risalire verso le Terme e le Mura Aureliane, o le numerose alberature storiche presenti che sarebbero state eliminate. Altro aspetto di forte dibattito fu il viale largo oltre 60 metri previsto nel primo tratto di Via San Sebastiano, poiché considerata un’opera ingegneristica non curante del carattere del luogo, né della condizione del suolo archeologico. Anche Boni commentò in maniera estremamente critica la decisione di prediligere interventi tecnici a ragionamenti più sensibili, riguardanti il valore paesaggistico e storico della zona.
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Jean-Baptiste Camille Corot, Il Colosseo, 1826
Inquadramento storico
“ Anziché quadruplicare in larghezza un tronco di Via San Sebastiano, spostando dopo ventiquattro secoli l’asse dell’Appia Antica, anziché occupare con dispendiosi marciapiedi e viali la parte più insigne della Regio I Augustea, si riscatti almeno la Curia ed il Tempio di Antonino e Faustina. Si smaltiscano le infiltrazioni ristagnanti ad una decina di metri sul Tevere, la desolata zona, ed i declivi di San Gregorio e di Santa Balbina vengano, se non altro, imboscati. Le artificiosità del giardinaggio non contaminino il saxum dell’Aventino e le cave rupi del Celio, ricordanti l’augurio della fondazione dell’Urbe e l’ispirazione del suo primo legislatore. Le querce, i cipressi ed i pini di nostra Terra Mater custodiscano quel luogo sacro alla virtù, all’Onore e alla reduce Fortuna; i lauri ed i mirti di valle Murcia ripetano “la dea Roma qui dorme ”. È certo che la Zona Monumentale in quegli anni fu terreno di sperimentazione per la tutela delle emergenze storiche e la loro interazione con il contesto, dibattito ad oggi ancora attuale. Il ruolo di Boni nell’attenzione dedicata agli aspetti di dialogo tra le archeologie e le essenze arboree ed arbustive selezionate fu fondamentale. La vegetazione assunse un ruolo non secondario, minuziosamente scelta in base alle funzioni necessarie, e contemporaneamente selezionata per garantire una continuità narrativa con il passato dell’area.Così iniziò la piantumazione di alberi ad alto fusto, dal forte valore pittorico, come i pini ed i cipressi, che mitigano la forte tramontana che infuoca la zona d’estate, o i lecci (Quercus ilex) che, pur non limitando la vista dei monumenti, garantiscono una buona ombreggiatura. Non priva di dibattiti e polemiche, la passeggiata fu inaugurata il 22 Aprile 1917 da Rodolfo
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Lanciani. Nel 1925, la questione venne riaperta in merito alla zona oggi occupata dal Parco di San Sebastiano. Vennero annessi ai territori da espropriare i lotti della chiesa di San Cesareo e della casina del Cardinal Bessarione, e fu prevista la progettazione della scuola giardinieri del Comune sul tracciato stradale di via Baccelli, alla ricerca di una maggiore continuità nell’area che si sarebbe ottenuta anche grazie alla demolizione dei muri su via Antoniniana. L’apertura del viale delle Terme di Caracalla ha reso questo disegno non solo irrealizzabile, ma anche illeggibile nelle sue intenzioni mai concretizzate. Gli anni del fascismo. Storia della via dei Fori e della via del Mare Gli anni venti del XX secolo marcano un nuovo e intenso periodo di trasformazione per la capitale, anche per una convergenza di interessi dell’aristocrazia romana e dei gruppi politici di estrema destra, con il coinvolgimento di molti architetti della Commissione. Pertanto il piano del 1909 fu abbandonato a favore della cosiddetta Variante Generale, completata nel 1925-1926, che di fatto servì da giustificazione a molti interventi contrari al senso del piano del 1909, rendendo ancora una volta la città priva di regolamentazioni in campo edilizio. Con lo scioglimento della Commissione nel ’23 iniziarono diciotto anni di governatorato, con a capo Filippo Cremonesi, prima sindaco, poi primo governatore fascista. Gli anni venti del XX secolo marcano un nuovo e intenso periodo di trasformazione per la capitale, anche per una convergenza di interessi dell’aristocrazia romana e dei gruppi politici di estrema destra, con il coinvolgimento di molti
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architetti della Commissione. Pertanto il piano del 1909 fu abbandonato a favore della cosiddetta Variante Generale, completata nel 1925-1926, che di fatto servì da giustificazione a molti interventi contrari al senso del piano del 1909, rendendo ancora una volta la città priva di regolamentazioni in campo edilizio. Con lo scioglimento della Commissione nel ’23 iniziarono diciotto anni di governatorato, con a capo Filippo Cremonesi, prima sindaco, poi primo governatore fascista. Al piano provò ad opporsi un gruppo di urbanisti romani, composto essenzialmente da Piccinato, Lenzi, Nicolosi, Lavagnino, Fuselli, Dabbeni, Scalpelli, Valle, a cui si unì in seguito persino lo stesso Piacentini, sistematicamente ignorato, che si dichiarò contrario ai provvedimenti previsti dalla Variante, e tentò di dimostrare il ruolo chiave del progetto di pianificazione che aveva il decentramento verso Est.
sull’impianto medievale nel 1500. L’operazione, lungo un asse di circa 200 metri, raggiunse un’altezza di 25 metri e una profondità da 40 a 60 metri: più di 250.000 metri cubi di terra, sabbia e roccia vennero rimossi. Gli architetti, chiamati dal regime a rinnovare i miti dell’antichità con interventi di rappresentanza, avevano il compito di rispondere alla necessità di mantenere “ i monumenti millenari della nostra storia giganteggiare nella necessaria solitudine”(9). Un anno dopo la realizzazione della via dell’Impero, l’operazione continuò verso Sud, con gli interventi in Via dei Trionfi, dall’arco di Costantino al Circo Massimo, e in Via San Gregorio, che passò da 18 a 35 metri di ampiezza. Si andava costruendo quella che nella città contemporanea è diventata una delle maggiori autostrade urbane, con una portata volumetrica forse paragonabile solo ai viali del lungotevere, e che ingloba tutto il traffico proveniente dai quartieri dell’espansione meridionale. È evidente che l’operazione ha distrutto ogni intenzione su cui era nata la Passeggiata archeologica di Baccelli e Lanciani.
Nel 1929 iniziò anche il dibattito sull’espansione dell’urbe verso il mare (indotta anche dall’inaugurazione dell’autostrada Roma-Ostia, nel 1928), che culminerà con la realizzazione del quartiere dell’EUR nel 1941. In pochi anni il volto del centro della capitale cambiò radicalmente, con azioni urbanistiche ed architettoniche basate sull’idea che l’architettura potesse essere uno degli strumenti di punta per trasmettere i valori del regime fascista e giustificarne la continuità storica con il glorioso passato della Roma Imperiale. Nel 1930 iniziarono i lavori della Via Imperiale (oggi via dei Fori Imperiali), tra piazza Venezia ed il Colosseo, che fu inaugurato il 21 Aprile 1933, in occasione del decimo anniversario della marcia su Roma. L’intervento rase al suolo la collina della Velia ed eliminò l’intero quartiere costruito
(9) Cederna A. Mussolini urbanista: lo sventramento di Roma negli anni del consenso. Corte del fontego, 2006
Iniziò così il periodo di cosiddetta liberazione del centro dagli “anni della decadenza”. In questo contesto, è di rilievo il lavoro di Giovannoni che favorì interventi di manutenzione e consolidamento, mantenendo un rapporto di coerenza con il passato dei monumenti, senza cedere alle mode effimere del tempo. La frenesia degli scavi e la velocità con cui vennero effettuati fece sì che gran parte del Foro di Augusto e del Foro e del mercato di Traiano vennero riportati alla luce a tempo record, tra il 1931 ed il ’32. Al primo direttore della X ripartizione del governatorato capitolino (Ricci) succedette
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Inquadramento storico
unico ministero che raggruppasse le ferrovie, le poste, la marina mercantile e l’ispettorato per i servizi pubblici di trasporto, si disponeva dell’intero controllo dei flussi di merci e passeggeri. Con la creazione di nuove linee ferroviarie dirette come la Bologna-Verona e la Roma-Napoli, contemporaneamente al passaggio all’alimentazione elettrica nel 1927, ci fu un primo incremento considerevole del traffico e della sua portata.
Marcello Piacentini, La Grande Roma, progetto per Via dei Fori Imperiali
Antonio Munoz, fino al 1944, che proseguì le opere di monumentalizzazione del centro storico e del suo collegamento con la via del Mare. L’intervento più invasivo probabilmente fu l’isolamento del Campidoglio dal contesto circostante. Da un lato del monumento a Vittorio Emanuele II, partiva la via del Mare (allora via Tor de Specchi), e dall’altro la via dell’Impero, con la finalità di rendere piazza Venezia (che si sarebbe dovuta chiamare Foro italico) il punto di arrivo delle due compagini sud-orientali delle espansioni. Non è un caso che nel 1928 la sede del governo venne trasferita a Palazzo Venezia, in modo da evocare il legame con le vestigia della Roma imperiale. I due monumenti che più furono penalizzati per questi interventi furono la Meta Sudante ed il colosso di Nerone, entrambi nei pressi del Colosseo, purtroppo ridotto a “ prestigioso spartitraffico ” secondo il commento di Antonio Cederna. Una delle più grandi riforme attuate nel periodo fascista riguardò la rete ferroviaria. Con lo scioglimento del consiglio d’amministrazione delle ferrovie dello stato e la fondazione di un
Era necessario dunque un potenziamento delle stazioni all’interno delle città; a Roma, particolarmente sotto pressione erano le due principali stazioni, ovvero Termini e Trastevere. Vennero quindi progettate le stazioni di San Pietro, Ostiense, Tuscolano, Prenestina e Portonaccio, e lo scalo merci a San Lorenzo. Come avevano già affermato in precedenza Giovannoni e Piacentini, il potenziamento della rete ferroviaria era necessario anche per garantire il collegamento con i quartieri di nuova espansione e la salvaguardia del nucleo storico. Si iniziarono così a tracciare le direzioni della nuova linea metropolitana necessaria per un migliore disciplina del traffico urbano: le nuove stazioni erano previste presso Ponte Milvio a Nord e sulla via Casilina a Sud, collegate dal trasporto sotterraneo, aggiungendo un nodo di scambio centrale alla stazione Termini esistente. La proposta venne inserita nel piano regolatore del ’31, ma la svolta ci fu quando nel 1936 l’Italia fu selezionata per ospitare l’esposizione universale prevista per il 1941. L’attenzione e le risorse si spostarono così su un progetto che fornisse un ingresso monumentale per tutti i turisti, in arrivo con la rete ferroviaria, che la città avrebbe accolto. La stazione divenne quindi una porta moderna della città.
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Inquadramento storico
Il piano regolatore del 1931 Come accennato sopra, nel 1931, un anno prima della scadenza del precedente, venne redatto il nuovo piano regolatore di Roma. In quegli anni l’espansione della città avveniva “a macchia d’olio”, indistintamente se si trattasse di borgate popolari o quartieri di nuova espansione borghese. È il periodo in cui viene smantellato il centro delle rotaie per il trasporto pubblico per lasciare spazio agli autobus, in quanto i filobus erano considerati obsoleti sia dall’opinione pubblica che, soprattutto, da Mussolini. Contemporaneamente, la diffusione dell’auto privata iniziò a crescere e si assistette e ad un aumento consistente del traffico, negli orari di punta lavorativi. Il piano rimase formalmente in vigore fino al 1958, ma affiancato da numerosissime varianti, che lo resero di fatto non operativo. Un chiaro esempio della sua inefficacia può individuarsi nella costruzione di Via dell’Impero, i cui scavi iniziarono nell’Agosto del 1930. Nel piano, la zona compresa tra Piazza Venezia e San Giovanni prevedeva una prima zona di rispetto, tra i fori imperiali e la salita del Grillo, una in corrispondenza dell’asse centrale dei fori di Traiano, Augusto e Nerva, costituita da un viale con sette absidi da un lato e sei dall’altro, e costeggiava la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, arrivando alla nuova piazza pensata come terminale di Via Cavour, e un ultimo tratto che da questa si collegava al Colosseo (10).
(10) Insolera I., Perego F., Archeologia e città. Storia moderna dei Fori di Roma. Laterza 1983
La costruzione dell’E42, il quartiere dell’Esposizione Universale che sarebbe stata inaugurato nel 1942 per il ventennale della marcia su Roma, rese necessario un collegamento della zona con il centro, identificato con Piazza Venezia in quanto luogo del palazzo di Mussolini. A completare i due rettilinei già realizzati di Via dei
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Fori e Via dei Trionfi, venne realizzato il tratto di via delle Terme di Caracalla che distrusse anche il breve tratto compiuto della passeggiata archeologica pensata da Baccelli, e che continuerà con l’odierna via Cristoforo Colombo, spina dorsale dei futuri quartieri di espansione a sud. L’intero intervento veniva identificato con il nome di Via dell’Impero, fino al mare di Ostia. L’area centrale fu protagonista di un altro importante evento durante il ventennio: il concorso per la costruzione del Palazzo del Littorio, nel 1933. Il palazzo avrebbe ospitato i più alti rappresentanti degli uffici del Regime, vale a dire il Governatorato di Roma, la Regia dell’Accademia d’Italia e la sede del Partito Nazionale Fascista. Il concorso segnò il definitivo abbandono da parte degli architetti romani di quegli anni dello stile moderno, a favore di uno stile che meglio rispecchiasse i principi del fascismo, e quel messaggio di universalità ed immortalità e , al tempo stesso, di legame con la tradizione. Come il contesto in cui è inserito, il Palazzo del Littorio voleva essere un monumento che raccontasse ai posteri la grandezza di quel periodo. L’area destinata al monumento era quella di fronte alla Basilica di Massenzio, sulla parte opposta di Via dell’Impero. Molti progetti richiamavano la funzione di una quinta continua dal Foro di Nerva al Colosseo x, ma nessuno dei partecipanti (nè dei giudici o dei critici) si interrogò sul rapporto che l’edificio, estremamente rappresentativo, avrebbe dovuto avere con la strada su cui si affacciava. Si concentrò l’attenzione solo sul rapporto con i due monumenti del passato con cui si interfacciava: il Colosseo e la Basilica di Massenzio. Venne organizzata una mostra per presentare i ventiquattro progetti finalisti (selezionati tra gli
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Pianta topofotografica della Zona Archeologica di Roma, da “Retrospettive” “Roma Fotografie / Sventramenti”, Archivio Antonio Cederna
Inquadramento storico
oltre duecento presentati) nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Valle Giulia, ma nulla divenne poi realtà. Il palazzo del Littorio fu costruito infatti da tutt’altra parte, vicino al Foro Mussolini (oggi Foro Italico, nella parte Nord della città), dove l’accesso è annunciato da uno smisurato piazzale. Via dell’Impero rimase così e la questione non venne più affrontata da alcun programma specifico.
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Inquadramento storico
Il piano regolatore del 1873
Le espansioni residenziali nel 1909
Il piano strategico e di ampliamento del 1882
L’area archeologica nel 1888
Il piano regolatore del 1931
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II. Il parco dell’Appia, primo museo all’aria aperta
Per la città di Roma, il caso dell’Appia è sicuramente uno dei più combattuti, ed è stato anche il presupposto per una stagione, iniziata negli anni ’50, di battaglie politiche e sociali per la salvaguardia del verde pubblico e per una città intesa come servizio sociale, e quindi come fatto culturale(10). L’Appia è la prima delle vie consolari costruite nell’antica Roma, più precisamente nel 312 a.C. fino a Capua, e poi fino a Brindisi con l’espansione dell’Impero romano. Il tratto dalle Mura Aureliane ai castelli romani merita un’attenzione particolare. Come nel resto della città, l’Appia ha subito il saccheggio dei monumenti per riutilizzare il marmo nella costruzione di abitazioni private. Se non rubati, i reperti monumentali venivano solitamente trasferiti nei musei o nelle collezioni private dei ricchi proprietari terrieri. Come già menzionato, Antonio Canova fu il primo ad affermare che i reperti avessero ragione di essere lasciati ai margini della via cercando di ricomporre l’immagine originaria attraverso l’utilizzo di uno sfondo quanto più neutro possibile. Questo concetto, estremamente avanguardistico per la prima metà dell’Ottocento, pone
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Il parco dell’Appia, primo museo all’aria aperta
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Fotografia dalla Via Appia “I Gangster dell’Appia”, di Antonio Cederna, su Il Mondo, 8 Settembre 1953, Archivio Antonio Cederna
Il parco dell’Appia, primo museo all’aria aperta
l’attenzione su un tema fondamentale: la possibilità di utilizzare gli spazi della città, gli spazi propri della storia, come luoghi di cultura, e di libera fruizione. Il tema verrà ripreso e sviluppato dalle giunte comunali di sinistra negli anni ’70 del secolo scorso, tramite le manifestazioni culturali conosciute come Estati Romane. Nata inizialmente come lotta di pochi intellettuali contro i ricchi proprietari di ville e suoli, il caso dell’Appia è diventato esemplare grazie soprattutto alla figura di Antonio CedernaII, ed è culminato nel 1962 con l’approvazione di una (ennesima) variante sull’uso del suolo all’interno del comune, con la quale veniva ribadito il perimetro del grande parco archeologico da via dei Fori Imperiali (compresa) fino al parco della Caffarella e dell’Appia Antica. Cederna raccontò la grande battaglia contro la speculazione edilizia dell’area, teoricamente protetta, dalle colonne de Il Mondo.
II 1921-1996, giornalista, scrittore, tra i fondatori di Italia nostra e Presidente dell’Azienda Consortile per il Parco dell’Appia Antica. Da novembre 2008 la villa di Capo di Bove, situata nell’omonimo sito archeologico lungo la via Appia, ospita l’Archivio Antonio Cederna; lo compongono materiali che coprono un arco temporale che va dagli anni 1940 agli anni 1990: la corrispondenza ufficiale e personale, fotografie, appunti manoscritti, articoli, mappe e planimetrie, documenti inediti. È conservata qui anche la sua biblioteca: 4.000 volumi di archeologia, urbanistica, architettura, ambiente, storia di Roma, storia dell’arte, legislazione sulla salvaguardia di beni storicoartistici e paesaggistici.
L’articolo dell’8 Dicembre 1953, “I Gangster dell’Appia”, denunciò l’uso improprio delle rovine dell’antico lungo la via, utilizzate come “ornamento, fronzolo, servo sciocco delle esigenze della vita moderna, del dinamismo del nostro tempo”. Denunciò il rischio che il parco della Regina Viarum fosse trasformato in un nuovo quartiere residenziale, così come era accaduto nel quartiere Ludovisi, a discapito di villa Borghese, e descrisse le tragiche conseguenze che avrebbe avuto sui monumenti e sui bei paesaggi, e l’impatto sul traffico cittadino. Rivendicò la relazione del consiglio Comunale del il 21 Ottobre 1951, in cui si indicava che la città si sarebbe dovuta espandere verso il mare (a sud) e verso i colli (ad est), “lasciando intatto il cuneo della zona archeologica che, a cavallo dell’Appia Antica, si
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spinge fino al cuore della città, al Campidoglio, riposante fascia di verde, dalla quale emergeranno, testimonianza perenne di storia e civiltà, i resti di gloriosi monumenti ”, e che - solo due anni dopo - era già stata opportunatamente dimenticata per non ostacolare la costruzione di ville e villini, anche in quei tratti dove evidenti tracce storiche erano rimaste intatte per secoli. Le ville, oltre a costituire testimonianza tangibile dell’inefficacia delle varianti, evidenziarono un altro fenomeno: proprio come i Barberini avevano fatto con il Colosseo per costruire il loro palazzo, anche la via Appia venne saccheggiata dei suoi materiali antichi, utilizzati per abbellire ed impreziosire sfarzose abitazioni. Infine, le condizioni della via, per manutenzione, pulizia, pubblico decoro, rendevano i monumenti inaccessibili e quello che era rimasto del percorso archeologico inospitale. Cederna si espresse anche sul primo tratto della via Appia, quello interno alle mura ormai noto come Viale delle Terme di Caracalla, dove il palazzo della FAO si impone sull’area come un completo fuori scala. Cederna muore il 27 agosto del 1996; sei mesi dopo, il 9 marzo 1997, viene festeggiata la prima domenica a piedi sull’Appia. Sembra utile riepilogare le tutele legislative promulgate per il Parco dell’Appia, a ulteriore testimonianza della esistenza di fin troppi progetti e di una assenza di volontà di realizzazione. 1909 – Prima legge di tutela dei Beni Culturali, con la quale si tutelano le aree del Circo di Massenzio, Villa dei Quintili ed il Ninfeo di Egeria. 1922 – Norma a tutela delle bellezze naturali e degli immobili di interesse storico, come i colombari di Vigna Codini.
1939 – Ulteriore norma che tutela esclusivamente le bellezze naturali e di interesse pubblico. Sono sottoposte a tutela l’Appia Antica, la valle della Caffarella e la zona di via delle Sette Chiese. Inoltre, una normativa sulla tutela di cose di interesse artistico assicura 1/3 del parco con il Vincolo Archeologico. 1952 – Vincolo della commissione provinciale. 1953 – Vincolo ministeriale. 1954 – Disegno di Legge La Malfa e piano particolareggiato n. 141. 1955 – Piano paesaggistico. 1958-62 – Nuovo piano regolatore di Roma. 1965 – Decreto del ministero Lavori Pubblici di approvazione del piano regolatore: si destina l’intero comprensorio dell’Appia a parco pubblico. 1985 – Vincolo dell’intera area del Parco dell’Appia ed alcune zone limitrofe come aree ad interesse paesaggistico ambientale. 1989 - Creazione del Parco Regionale dell’Appia Antica, con compiti di gestione dell’intera area. 1999 – Testo unico in materia di Beni Culturali comprendente anche alcuni dei monumenti funerari come le Catacombe di Prestato, Vigna Casali, Via della Fotografia. 2004 – Codice dei beni culturali: raccoglie e riorganizza le leggi emanate dallo Stato Italiano in materia di tutela e conservazione; così sono emessi i dispositivi di tutela sulla Tomba di Cecilia Metella, Vigna Moroni, Porta S. Sebastiano, Forte Appia, Grotta Perfetta. 2010 - Deliberazione consiliare riguardate l’ambito della Valle della Caffarella, dell’Appia Antica e degli Acquedotti all’interno del PTP (Piano Territoriale Paesistico), che recita: “Il Piano Territoriale Paesistico ha il compito di tutelare le valenze estetiche dell’ambiente nella sua accezione di insieme di componenti antropiche che si legano con il contesto naturale, formando un sistema, come definito dalla legge 1497/39. Esso nasce come conseguenza di una tradizione di
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Il progetto di Leonardo Benevolo, 1971: 1. Il centro storico al netto delle demolizioni e lottizzazioni degli ultimi cento anni 2. Proposta di rete viaria e sistemazione dei parcheggi.
tutela dei beni culturali, che ha la sua origine nel rinascimento e viene codificato nel 1940 con il regolamento di attuazione della legge sopra citata.” La tutela dell’Appia: esempio di mobilitazione civica per un bene urbano architettonico e artistico
Certamente le lotte per la tutela dell’Appia, come patrimonio storico e testimonianza preziosa del passato della città avevano poco a che fare con quelle per i servizi, l’accessibilità e il diritto alla casa, ma hanno rappresentato l’inizio di un crescente interesse dei cittadini per il diritto alla città intesa come bene comune fruibile. Gli anni cinquanta del secolo scorso hanno visto la protezione dei monumenti e dei quartieri barocchi e rinascimentali come la vera protagonista della corrente di protesta, contro un turismo “consuma cultura” con l’Aida a Caracalla, Plauto a Ostia e Suoni e Luci al Foro Romano. Gli anni sessanta furono caratterizzati dalle manifestazioni di “correre per il verde”, ovvero appuntamenti sportivi di massa organizzati per protestare contro la scarsità di parchi. Si iniziò così ad immaginare una città intesa come servizio sociale, visione poi concretizzata dalle proposte di Leonardo Benevolo. Storico dell’architettura e docente universitario, Benevolo cercò di tradurre in azioni progettuali gli ideali intellettuali che identificano nel fatto culturale la matrice principale della città. Attraverso un’operazione di pulizia, Benevolo raffigurò il centro storico al netto delle modifiche attuate dall’Unità d’Italia in poi, per dimostrare la sua mancanza di unitarietà. Indicò quindi come l’area centrale urbana potesse essere riconvertita in un parco urbano, seguendo
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Carlo Aymonino, Progetto Fori, Corriere della Sera, 18 Agosto 2004, Archivio del Corriere della Sera Gli spettacoli del Teatro dell’Opera a Caracalla: L’Aida
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l’idea inizialmente approvata della Passeggiata Archeologica come naturale proseguimento del parco dell’Appia che si estende fuori dalle mura aureliane, e ripristinando le dimensioni delle vie, antecedenti agli sventramenti, e riconnettendo i monumenti attraverso un tappeto verde. Negli stessi anni un’altra figura si confrontò con il problema di dare al centro storico un nuovo valore, una ritrovata identità: Carlo Aymonino. Aymonino, a cui negli anni ’80 fu poi affidato l’assessorato per gli interventi nel centro storico, propose già quindici anni prima un riassetto dell’area dei Fori, anticipando la proposta dell’abolizione di Via dei Fori imperiali. Le due esperienze, in anticipo sui tempi della città, aprirono al dibattito che caratterizzò gli anni Settanta.
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parte II NESSUNO ESCLUSO
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I. Le esperienze culturali, visioni per la città
Roma, di Federico Fellini, 1972
L’attenzione verso i Fori e lo stato di forte degrado in cui si trovavano i monumenti tornò ad animare il dibattito culturale verso la fine degli anni Settanta. In quegli anni infatti ci fu una crescente consapevolezza sul tema del recupero, ma soprattutto della salvaguardia del patrimonio esistente. L’allora sopraintendete Adriano La Regina avanzò la proposta di chiudere al traffico via dei Fori Imperiali, supportato dalle evidenze di come l’inquinamento stesse rovinando in maniera irreversibile le superfici marmoree dei monumenti. Dopo la prima vittoria del Partito comunista italiano alle elezioni amministrative e la nomina a sindaco di Giulio Carlo Argan, iniziò una stagione di gran fermento culturale che aiutò ad immaginare un nuovo modo di vivere gli spazi della città.
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Locandina dell’Estate Romana del 1981, Massenzio ‘81, rassegna cinematografica al Colosseo
Le esperienze culturali, visioni per la città
La stagione dell’effimero : l’Estate romana L’esasperazione delle classi medie di vivere nei luoghi dei disordini urbani, contemporaneamente ai primi Piani Economici per l’Edilizia Popolare portarono la città di Roma a dilatarsi nello spazio attorno al nucleo storico, attivando quel processo di polimerizzazione che avrebbe poi generato la città a grappolo contemporanea. Con l’espansione caotica e casuale, man mano che ci si allontanava dal centro, i quartieri diventarono sempre più veri agglomerati urbani indipendenti, interconnessi da una fitta rete autostradale che sfuocava i margini della metropoli, così come il passaggio tra l’artificiale urbano e la campagna circostante. Conseguenza immediata fu un aumento del distanziamento tra i cittadini della capitale. Riprendendo le parole di Bernardo Secchi: “lo spazio di dispersione non è omogeneo e isotropo, è costituito da costellazioni di materiali frammentari tra i quali diventa importante stabilire nuove relazioni” (11). Le stagioni dell’Estate Romana, ideate dall’architetto Renato Nicolini, divenuto assessore alla Cultura a trentacinque anni nel 1976, furono manifestazioni socio-culturali in opposizione a questa tendenza, che con un esperimento avanguardistico riuscirono a porsi come strumento di riconnessione tra l’interno e l’esterno, tra gli individui e lo spazio pubblico, offrendo allo stesso tempo esempi di nuovi utilizzi di quest’ultimo. I diversi protagonisti delle nove Estati Romane erano d’accordo su un punto: fare dell’effimero il loro manifesto.
(11) Secchi B., La città del XX secolo, Laterza, 2005
L’effimero era la dichiarata opposizione ad una cultura progettuale fondata sulla permanenza dell’oggetto. Il suo scopo era quello di rendere l’idea permanente, senza che si legasse ad un luogo o una conformazione precisa dello spazio.
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Le esperienze culturali, visioni per la città
“ Determinandosi nel tempo e
non nello spazio, l’architettura diviene vessillo di messaggi altri, ed elementi di rigenerazione dei palinsesti incontrati, opera mirabile impegnata soprattutto a scardinare realtà intrappolate in forme desuete ”
Aldo Rossi
Dopo le prime due estati, limitate a proiezioni cinematografiche alla Basilica di Massenzio, il fenomeno raggiunse una scala urbana ed iniziò ad animare diverse zone. Un intervento fondamentale fu quello ad opera di Franco Purini e Laura Thermes, che insieme progettarono non solo il famoso Teatrino scientifico (rievocato nel 2017, in occasione del 40esimo anniversario, nel cortile del MAXXIIII), e anche un allestimento composto da quattro architetture in quattro postazioni strategiche del cosiddetto Parco Centrale. La città della Musica all’Ex Mattatoio che apriva le porte al dibattito sul riuso del patrimonio industriale; la città della danza alla Caffarella, quella della Televisione a Villa Torlonia e quella del Teatro a via Sabotino.
Il progetto fu curato da Pippo Ciorra, dal 2009 senior curator per il MAXXI architettura di Roma. P. Ciorra ha per anni sottolineato tramite conferenze e lezioni il potenziale delle attività artistiche e culturali come strumento per rigenerare gli spazi della città, e le comunità che li abitano.
III
La cultura iniziava a prendere possesso degli spazi urbani, e coinvolgeva l’intera popolazione, che ricominciò ad animare lo spazio pubblico dopo l’allontanamento indotto dalla stagione degli anni di piombo. Minare la sicurezza degli spazi pubblici della città aveva infatti generato un progressivo allontanamento dei cittadini dalla vita che animava le piazze o i luoghi di incontro. Queste stagioni di cultura aperta a tutti furono di fatto - un mezzo per contrastare la paura.
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Il 1980 fu un anno di svolta per le Estati Romane: con l’intervento di Ugo Colombari e Giuseppe De Boni si espanse l’esperienza ad un altro livello: quello della sperimentazione urbanistica. Spostare il grande schermo cinematografico dalla Basilica di Massenzio a via della Consolazione, la strada che attraversa il Foro alle pendici del Campidoglio, rappresentò un atto di riappropriazione della strada, strappata al traffico automobilistico che ormai la paralizzava. L’estate seguente, lo stesso destino toccherà al piazzale del Colosseo, grazie alla determinazione del sindaco Petroselli succeduto ad Argan nel 1979. Per la prima volta la piazza dell’Arco di Costantino venne pedonalizzata. Dal 1982 al 1984 l’evento simbolo delle manifestazioni nicoliniane si spostò al Circo massimo, dove ha ripreso attività anche negli ultimi anni. Insieme ad esso, iniziative più diverse trovarono luogo nella città, come le mostre a Palazzo delle Esposizioni di Costantino Dardi, o il capodanno del 1982 in cui Roma festeggiò all’interno del Tunnel in via del Tritone. A chiudere il periodo delle estati romane, prima della sconfitta del Partito Comunista, nel 1985 le ultime proiezioni avvennero tra le architetture novecentesche dell’EUR o del Foro Italico, facendo così conoscere ai cittadini l’architettura razionalista. Fu una stagione in cui la cultura fu concreta promotrice di una nuova visione di città, di rinascita per Roma. Anche oggi è innegabile che gli insegnamenti della stagione dell’effimero sono stati molteplici: si iniziò a ragionare sulla necessità di rivitalizzare i luoghi della storia, e lo si fece attraverso la sovrapposizione di strati contrastanti; le costruzioni effimere infatti regalavano nuove ipotesi di dialogo con le antiche testimonianze
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Le esperienze culturali, visioni per la città
Costantino Dardi, Transavanguardia, 1982
della Roma imperiale, sviluppando un atteggiamento attivo nei confronti del passato.
(nelle pagine seguenti) Rassegna fotografica delle esperienze delle Esati Romane: Il teatrino scientifico, in via Sabotino 1979, Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari
Tornando alla secolare questione del Progetto Fori, fu attraverso gli eventi organizzati che si dimostrò la possibilità di fare del centro archeologico monumentale una parte legata alla vita della città moderna, e non un museo cristallizzato nel tempo. Sarà questo, secondo Raffaele Panella, a distinguere Roma dalle altre città d’arte, resistendo alla trasformazione in parco tematico del passato che ha subito, ad esempio, l’acropoli di Atene(12). Come afferma Franco Purini(13), l’autentico protagonista in quelle notti estive era il pubblico: i balli, le rappresentazioni, il cinema collaboravano alla creazione del meraviglioso urbano, ma il vero spettacolo era la fruizione di quegli spazi da parte dei cittadini.
Festa di Capodanno 1982-83 nel Tunnel del Traforo, La Repubblica Fotografia dell’allestimento di Massenzio, 1977, Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari Fotografia dell’allestimento di Massenzio al Massimo, 1982. Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari Vista di una delle sale cinematografiche realizzate per Massenzio 80. Archivio Giuseppe De Boni e Ugo Colombari
(12) Fava F., Estate romana. Tempi e pratiche della città effimera. Quodlibet Studio 2017 (13) Purini F., L’estate romana di Renato Nicolini. Gangemi, 2013
Nello stesso periodo, molti ambienti della città si popolarono di manifestazioni inusuali; una tra queste fu la mostra concepita da Luigi Moretti nel Novembre del 1974, nominata Contemporanea, che ebbe luogo nel parcheggio sotterraneo di Villa Borghese. Ancora, evento collaterale all’estate romana del 1982 fu la mostra Avanguardia Transavanguardia da un’idea di Achille Bonito Oliva. Particolarmente interessante fu la collaborazione con Costantino Dardi che allestì una sequenza di spazi sospesi a ridosso delle Mura Aureliane (sul lato esterno), composti da leggeri cubi bianchi, ognuno dei quali ospitava le opere di un artista; un percorso sospeso nel tempo e nello spazio, figlio dell’insegnamento dell’effimero, che propose nuovi spunti di riflessione sulla possibilità di instaurare un dialogo con le archeologie, e più in generale con la città storica.
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L’ultima Estate Romana all’E.U.R., Rassegna cinematografica di fronte al Palazzo dei Congressi di Adalberto Libera, 1985
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Le esperienze culturali, visioni per la città
roma interrotta(14)
Nell’estate del 1978 un altro importante evento per le riflessioni a venire sul futuro della città ebbe luogo ai mercati di Traiano: la mostra di Roma Interrotta, ideata da Piero Sartogo, che illustrò dodici interventi affidati ad architetti di fama internazionale. Partendo dalla pianta del Nolli, proposero riflessioni su possibili azioni per modernizzare la città. Sartogo dette tre definizioni fondamentali per una corretta lettura della città e una corretta pianificazione degli interventi: - le emergenze, ovvero luoghi, artificiali o naturali, che contribuiscono a disegnare l’identità della città, distinguendosi come valori fermi e simboli di continuità; - le aree di collisione, dove i margini di matrici differenti entrano in contatto, punti in cui si annidano le pressioni interne delle città, che possono essere trasformati in centri vitali attraverso una corretta pianificazione e, infine - il tessuto urbano, formato da una massa solida da cui, per sottrazione, si generano i vuoti.
(14) Roma interrotta. Dodici interventi sulla pianta di Roma del Nolli nelle collezioni MAXXI architettura. 2014
La mostra fu un importante avvenimento, specialmente per il riconoscimento che attribuì all’architettura come uno dei pilastri della cultura del Paese, un dispositivo da mettere a disposizione della collettività, tanto che venne interpretata come la premessa per un futuro museo di architettura di Roma. L’allora sindaco, Giulio Carlo Argan, uno dei più grandi storici dell’arte del XX secolo, vide nell’evento l’occasione per aprire il dibattito sulla città statica, interrotta perché si era smesso di immaginarla. Le proposte dei dodici architetti non offrivano soluzioni pratiche, bensì uno strumento per evidenziare cirticità e potenzialità, per ragionare sui possibili sviluppi futuri. Accomunate dalla centralità data allo spazio pubblico, le tavole
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illustravano un inusuale dialogo tra diverse discipline, mediato dall’arte contemporanea, ad esaltare l’eterogeneità che caratterizza la città Eterna. Nel testo introduttivo alla mostra, Il genius loci di Roma, Christian NorbergSchulz riflette proprio su questo termine, attribuendo alla capacità di autorinnovamento dei monumenti, siano essi classici o barocchi, una qualità evidente ed innegabile. Descrive l’Urbe come un insediamento che non segue i caratteri che essa stessa ha esportato in tutto il mondo, l’impianto cardo-decumanico su cui si organizza la maglia regolare di strade, se non in elementi singoli come i Fori o le Terme, piuttosto come un “gigantesco grappolo di spazi e di edifici, di forma e dimensioni diverse”(15).
(15) Norberg-Schulz C., Il genius Loci di Roma in Roma interrotta. Dodici interventi sulla pianta di Roma del Nolli nelle collezioni MAXXI architettura. 2014
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Le esperienze culturali, visioni per la città
Ognuna delle sperimentazioni proposte si rapprota con due temi fondamentali, quali memoria e immaginazione. La memoria è parte integrante della città di Roma. Memoria storica, in riferimento ai secoli di vita della città, alle rovine che sorgono in ogni suo angolo, alla tradizione rinascimentale e poi barocca caratterizzante di Roma. Memoria vuol dire conservare tracce durature, ma vuol dire anche rievocare lo stimolo originario. È qui che Roma Interrotta vuole agire. Nel momento in cui la memoria diventa rievocazione ci si deve far carico di immaginazione. L’immaginazione è fondamentale per far sì che quella memoria non sia un ricordo lontano, che quella ridondate frase che viene sempre attribuita a Roma come “museo a cielo aperto” non sia solo un pigro pretesto per
lasciare le cose al loro stato attuale. Roma Interrotta è un’utopia provocatoria che mira a comunicare un’urgenza di cambiamento. È un manifesto degli anni ‘80 per denunciare lo smarrimento culturale di quegli anni presentando progetti irrealizzabili (come nel caso di Costantino Dardi con la sua proposta per la zona di Piazza del Popolo). Progetti utopici dunque, impossibili, ma che caratterizzeranno l’architettura post moderna in Italia e che rimarrà a lungo a Roma e tra i romani.
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Le esperienze culturali, visioni per la città
Roma Interrotta, Sartogo, Pasquale Iaconantonio Roma Interrotta, Dardi, Pasquale Iaconantonio (pagina affianco)
Roma Interrotta, Rossi, Pasquale Iaconantonio Roma Interrotta, Krier, Pasquale Iaconantonio (pagina affianco)
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II. La città contemporanea
Gli anni del secondo dopoguerra furono caratterizzati da tre fasi: una prima fase di ricostruzione della città distrutta, dove l’attività principale riguardò l’ambito residenziale, con importanti interventi pubblici, ad esempio le esperienze del piano Ina-Casa. I nuovi quartieri però crebbero non secondo una progettazione ragionata, ma bensì con un criterio economico: si costruì non in prossimità di quartieri già esistenti, ma in zone più lontane, dove gli espropri costavano meno. Man mano che l’intervento pubblico forniva servizi di collegamento alle nuove urbanizzazioni, iniziò il processo di saldatura, ovvero la saturazione dei terreni lasciati inedificati. La seconda fase, tra il 1965 e la fine degli anni ’70, fu segnata da una crisi edilizia specialmente dell’impegno pubblico, dando quasi il monopolio del mercato immobiliare al privato. Continuò ad essere una fase ad alta densificazione, anche perché si ricominciarono a seguire i piani particolareggiati del 1931, ormai decontestualizzati e quindi inattuabili perché riguardanti aree ormai già densamente edificate. La terza fase riguardò gli anni ’80 del secolo
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(16) Marcelloni M.,Pensare la città contemporanea, il nuovo piano regolatore di Roma. Laterza, 2003
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scorso, in cui lo scenario era cambiato notevolmente: il libero mercato era entrato in crisi per i costi di produzione ormai insostenibili, lasciando spazio da una parte all’edilizia pubblica, ma anche ad interventi abusivi.
fondata sull’idea neoliberale per cui l’interesse privato prevale su quello pubblico, ed i piani regolatori perdono la loro compagine visionaria per diventare una somma di progetti urbani scollegati tra loro.
Roma nel 1993 si componeva di interventi indipendenti, spesso sovradimensionati rispetto all’effettiva richiesta, di fatto la negazione di una città moderna. L’8 Dicembre 1993 venne eletto sindaco di Roma Francesco Rutelli (primo sindaco di Roma eletto per elezione diretta). Rutelli parlò ai cittadini della necessità di una rivoluzione urbanistica, ponendosi come obiettivo di portare la città al livello delle altre capitali europee, colmando quelli che erano e sono considerati i due principali ritardi storici: - l’infrastrutturazione, e la cura attraverso progetti urbani che puntino al recupero e alla rivitalizzazione della città esistente. È evidente che ciò che rendeva molto più complessa la realizzazione di una rete di trasporto su ferro era la sua costituzione all’interno di una città già costruita, e non contemporanea alla fase di urbanizzazione, come era accaduto nel resto d’Europa almeno vent’anni prima.
L’abbandono del progetto Fori ne è forse la dimostrazione più chiara. L’idea ottocentesca del parco archeologico era stata ripresa dalle amministrazioni di sinistra di metà anni ’70, quando Giulio Carlo Argan era sindaco di Roma. Assieme a personalità di spicco del settore come Adriano La Regina, Antonio Cederna, Italo Insolera, Leonardo Benevolo, Francesco Scoppola, si cercò di mantenere il cuore della città uno spazio dedicato alla storia e alla cultura, e protetto dalle auto e dal caos della città produttiva. Nell’estate del 1999 si firmò un accordo sulla necessità di pedonalizzare via dei Fori imperiali, ed il tentativo pratico venne sperimentato nel 2004 sotto la guida di Walter Veltroni. Nemmeno l’esperienza empirica riuscì a convincere un gruppo di “esperti” che proclamarono il tentativo fallimentare in quanto il blocco della strada avrebbe sicuramente causato il collasso del traffico urbano.
La metafora che si attribuisce a Roma di essere l’emblema della modernità incompiuta(16) deriva innanzitutto dalla sua mancanza di un sistema di mobilità collettiva adeguato. Su questo il vicesindaco e assessore alla mobilità Walter Tocci iniziò la cosiddetta “cura del ferro”, che consisteva, con accordi tra vari enti provinciali e regionali e Ferrovie dello Stato, in una rete estesa di connessione per la città, insieme a due linee della metropolitana e all’inaugurazione della linea tranviaria 8. Quel che è accaduto dal 1994 in poi è la testimonianza di una nuova “cultura del fare”,
La sistemazione dell’area centrale fu oggetto di studio da parte di un gruppo dell’Università La Sapienza, coordinato da Raffaele Panella, tra il 2008 ed il 2011, che propose, ancora una volta, una riconfigurazione di Via dei Fori Imperiali, riaffermandola come luogo, parte della vita attiva della città. I progetti contemporanei si allontanano dalla logica del recinto per le aree archeologiche, cercando un dialogo con le preesistenze e garantendone la tutela. Il concorso internazionale lanciato all’interno del Piranesi Prix de Rome nel 2016, promosso
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Gli spazi di Roma - il I municipio
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dall’Accademia Adrianea di architettura e archeologia Onlus, è stato un importante momento di confronto sul tema, nonostante non sembra aver tenuto in debito conto le molteplici riflessioni sviluppate nei decenni precedenti. I progetti vincitori si possono raggruppare in tre categorie: i progetti per stratigrafia, ovvero quelli che inseriscono un nuovo livello altimetrico come piastra connettiva della quota archeologica con il tessuto urbano; i progetti che guardano all’area in chiave neoromantica e pittoresca, richiamando le plurime visioni prodotte dagli artisti che intraprendevano il Gran Tour; infine, i progetti che si incentrano su una riconfigurazione di via dei Fori Imperiali, che attesti la sua storia pur modificandosi nei suoi caratteri. Un po’ di dati della Roma contemporanea Oggi il comune di Roma occupa una superficie di 1285,3 km2, il 24 % dell’intera area metropolitana. Con una superficie complessiva di 5363,3 km2, l’area metropolitana occupa circa 1/3 del territorio della regione, è composta da 121 comuni. Dati ISTAT del 2013 certificano che nell’area risiede il 72% della popolazione del Lazio, ovvero 4.231.451 abitanti (all’interno del comune ne risiedono 2,8 milioni circa). Sia per il progressivo invecchiamento della popolazione, che per l’inaccessibilità economica da parte delle generazioni più giovani, si assiste ad una crescente migrazione verso le zone al di fuori del GRA, al 2012 attestata intorno al 26% , ma già dopo pochi anni proiettata al 30 %. Il fenomeno esaspera diverse problematiche, prima tra tutte la mancanza di una rete di trasporto pubblico in grado di sostenere il volume degli spostamenti, ad oggi ormai al collasso. La mobilità è infatti uno dei principali nodi che affligge
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la città. Il piano del 1962 aveva puntato tutto sulla mobilità privata, a discapito del trasporto pubblico, in particolare di quello su ferro, contrariamente a quanto avveniva in quegli stessi anni in molte altre città. Ciò nonostante, anche la rete viaria è rimasta incompleta: quel che avrebbe dovuto garantire le connessioni tra diversi quartieri è in realtà una serie di circuiti autoreferenziali, privi di connessioni esterne. Tuttavia, quello che ad oggi è arrivato come un territorio discontinuo, una superficie dilatata in cui a grossi nuclei abitativi si alternano immense zone in attesa di funzionalizzazione, potrebbe costituire una grande opportunità. Ritenendo che non sia più ammissibile continuare sulla via delle trasformazioni edificatorie di queste aree ancora libere (nonostante prevista dall’attuale Prg), la valorizzazione e tutela di questi vuoti urbani potrebbe riportare Roma nel dibattito contemporaneo delle maggiori città europee. Inoltre, su gran parte di queste aree insiste un valore storico ed ambientale non irrilevante; sia per quanto riguarda la presenza di preesistenze archeologiche da tutelare, che in relazione alle importanti attività agricole che ancora oggi si svolgono (Roma è ancora oggi il più grande comune agricolo d’Italia). Per la presenza di questi vuoti nel tessuto della città, è possibile immaginare un nuovo sistema connettivo, che diventi il punto di forza di una città a bassa densità. Parte dei “vuoti” sono protetti dal cosiddetto Piano delle certezze, del 1995, del Dipartimento politiche del territorio del comune di Roma che dichiara di voler destinare 2/3 del territorio comunale ad aree agricole o parchi (877 km). Nel documento si segna una distinzione tra ciò che è trasformabile nella città esistente e ciò che non lo è, ponendo l’attenzione sul tema della tutela ambientale, riconoscendo che il piano deve far
parte di una rete ecologica che attraversa l’intera città, condizionandone ed indirizzandone le trasformazioni. Il quadro metropolitano ed il PRG del 2008(17) Il nuovo piano ha l’obiettivo di connettere tra di loro tre sistemi, quello ambientale, quello infrastrutturale e quello insediativo, e strutturare il territorio comunale definendo un rapporto tra il territorio urbano e quello non urbano. Viene allargato il concetto di centro storico, includendo tutto ciò che è degno di valorizzazione da un punto di vista architettonico o ambientale, anche se non necessariamente in continuità con il tessuto interno alle mura. Tale concezione prende spunto dalle riflessioni presentate nella Carta di Gubbio al congresso dell’Associazione Nazionale Centri Storico Artistici (ANCSA) del 1990 e dalla concezione di “territorio storico”, abbandonando la circoscrizione del significato a un luogo con un confine fisico, a favore di una trasformazione consapevole, volta al recupero, alla valorizzazione, e alla fruizione dei valori storici. Questa tendenza porta con sé un importante cambio della chiave di lettura del PRG, basata su una descrizione interpretativa, più che meccanico/deduttiva.
(17) http://www.urbanistica. comune.roma.it/prg.html
La città storica, che nel PRG si sviluppa per più di 5.000 ettari di tessuti oltre le grandi aree delle ville storiche, è un sistema discontinuo ed articolato che appartiene all’intero l’ambito metropolitano. Il piano si struttura in diverse parti, una più programmatica - progettuale costituita dai cinque ambiti di programmazione strategica: il Tevere, le Mura, il Parco archeologico monumentale, l’asse Foro Italico-Eur, e la Cinta Ferroviaria. Due sistemi circolari e tre sistemi lineari che si intersecano in punti di forte rilevanza strategica.
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Roma, arcipelago vegetale
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L’ambito delle Mura aureliane
(18) Pavia R., Roma: il valore dell’inerzia in EcoWebTown n.22
Le mura aureliane vennero costruite per volontà dell’imperatore da cui prendono il nome, seguendo la struttura morfologica della città e inglobando dentro il proprio tracciato una pluralità di complessi esistenti, come la piramide Cestia a Porta San Paolo, o il castro pretorio. Sin dalle origini, instaurarono un rapporto con le infrastrutture di attraversamento, che nell’antichità erano costituite dagli acquedotti, volte affiancandosi, altre appoggiandosi; altre ancora vivano inglobati. Realizzate nel 270-75 d.C., si sviluppavano per 19 km, scanditi da 300 torri ogni 30 metri circa. Roma è una delle poche città europee che, invece di abbattere i recinti di difesa decide di farne un mezzo di promozione della modernità urbana. Oggi ne rimangono circa 13 km, che costituiscono un patrimonio storico, archeologico e culturale straordinario, caratterizzando il paesaggio urbano e scandendo il disegno della città moderna. Insieme all’anello ferroviario ed al grande raccordo anulare, costituiscono un trittico di infrastrutture urbane inerti (18), tre grandi potenzialità inespresse, che segnano l’espansione della città dal centro verso la periferia. Mentre un tempo questo monumento entrava in dialogo attivo con il tessuto urbano che attraversava, con l’avvento della modernità questi rapporti sono venuti meno, poiché sregolati dall’avvento delle grandi infrastrutture. Nonostante l’elevata rilevanza storica del monumento, nonostante facciano parte di un ambito di programmazione strategica precisamente espresso dall’ultimo PRG, le Mura vertono in uno stato di forte degrado e abbandono. Il risultato è che l’antico recinto in gran parte ad oggi è inaccessibile. Molte torri, un tempo occupate da studi di artisti, sono oggi chiuse, così come
La geometria delle Mura Aureliane, Saverio Muratori
il camminamento in sommità, fatta eccezione di rari tratti salutari. Proprio per la sua natura ad anello, il tracciato delle mura ha il grande potenziale di diventare un’infrastruttura di connessione tra i diversi tessuti della città intra ed extra moenia, aprendo anche alla riflessione sul ruolo dei monumenti storici all’interno dello spazio pubblico. Prevedendo uno spazio accessibile e libero attorno al recinto, come una sorta di pomerio moderno, si restituirebbe il monumento alla fruizione pubblica, garantendone anche una corretta lettura nel suo insieme, oggi ostacolata dagli ingombri visivi e fisici che vi si sono addossati. L’ambito delle Mura aureliane è oggetto di un progetto unitario e di sei progetti distinti, attinenti alle sei localizzazioni specifiche con cui il monumento entra in contatto. In linea generale, l’obiettivo è quello di ridare una leggibilità alla preesistenza, liberando l’invaso delle mura dalle costruzioni abusive, riqualificando gli spazi che ne risultano, con grande attenzione alle nodalità strategiche. Il progetto prevede di garantire la percorribilità
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Fotogrammi dal film “Caro Diario”, Nanni Moretti, 1993
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dell’intera cinta muraria e la sua fruibilità per usi culturali ed attività di servizio diffuse. I sei tratti distinti affrontano il tema in base alle condizioni dei contesti nei quali si innestano che, per l’espansione non programmata che la città ha subito, sono molto diversi. Si alternano alcuni tratti densamente edificati, ad altri costituiti da rilevanti salti orografici e limitati punti di attraversamento, oppure caratterizzati dall’affiancamento di un’edificazione a carattere “spontaneo” del tutto sproporzionato rispetto ai valori posizionali dell’area. Il segmento di Mura che rientra nell’ambito di questa tesi si distingue per la sua forte attrazione simbolica, visiva e formale. L’area ben si presta a modifiche strutturali del sistema viario circostante, che permetterebbero una migliore fruizione pedonale e ciclabile. Il tratto specifico tra Porta San Sebastiano ed il Bastione di Sangallo presenta l’ulteriore pregevole caratteristica di essere dotato di ampi spazi aperti, come giardini o vivai, parchi e campi, che si inseriscono come una cerniera con il Parco regionale dell’Appia.
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Christo, Wrapped, Porta Pinciana, 1974
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L’ambito del Parco archeologicomonumentale dei Fori e dell’Appia Antica Come già affrontato nel capitolo precedente, la valorizzazione del cuneo verde che dal parco regionale dell’Appia valica le Mura aureliane e raggiunge l’area archeologica può essere considerata un elemento caratterizzante le riflessioni sulla città moderna. Questa visione recupera una contestualità storica fondamentale per la forma urbana di Roma, e individua in Piazza Venezia il nodo funzionale assunto come perno morfo-genetico al tessuto più antico della città. L’area necessita di un’attenta salvaguardia sia nella sua concezione complessiva, che nella successione concatenata di episodi caratterizzanti, attraverso interventi coordinati che tutelino la continuità narrativa delle fasi storiche più significative della storia urbana, con l’obiettivo di garantirne la massima leggibilità e al contempo la fruibilità libera e pubblica. Grande attenzione è da porre al tema dell’accessibilità veicolare, sia per quanto riguarda la circolazione interna che la relazione con i flussi di attraversamento. L’area archeologica centrale comprende i Fori Imperiali, il Foro Romano, le aree forensi attorno al Campidoglio e al Palatino, l’isola tiberina, il Circo Massimo e la Passeggiata Archeologica verso porta San Sebastiano, il Colosseo ed i colli prospicenti, ed il Celio. Tutte le linee d’intervento proposte hanno l’obiettivo comune di garantire la massima leggibilità e fruibilità dei diversi contesti, ponendo attenzione alle tracce del sistema di preesistenze archeologiche e storiche. La mobilità nel centro storico Uno degli aspetti più critici per la città intera, e nello specifico per l’area di interesse, riguarda il rapporto con il traffico ed il trasporto pubblico.
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Tre strumenti fondamentali permettono di delineare il quadro attuale, il piano generale del traffico urbano (PGTU) del 2015 ed il piano per la mobilità sostenibile (PUMS) approvato nel 2019, preceduti dal PGTU del 1999, strumento che al tempo in cui fu approvato proponeva soluzioni all’avanguardia. Il PGTU 1999 delineava la suddivisione in quattro aree concentriche (tutt’ora vigente) per la gestione della mobilità: le mura aureliane, l’anello ferroviario, la fascia verde ed il GRA. Inoltre, introduceva tematiche di sostenibilità, allora poco comuni, come un sistema di mobilità condivisa o le tecnologie ITS (intelligent transport system), con l’introduzione di varchi elettronici per le zone a traffico limitato della città storica, riducendo considerevolmente sia il traffico urbano che l’emissione degli agenti inquinanti. I dati del 2015 riportano un parco veicolare di 2,5 milioni di auto di cui 1,87 milioni private, che corrispondono a 856 veicoli ogni 1000 abitanti, ben oltre la media nazionale. Il PGTU del 2015 punta anche su soluzioni a breve termine ai problemi causati dall’ingente volume di traffico che quotidianamente attraversa la città e che, nelle ore di punta, raggiunge i 681mila spostamenti, se si considerano solo quelli con uno dei due terminali interno al territorio comunale. Sia per un generico invecchiamento della popolazione, che per un decentramento del domicilio delle persone più giovani verso zone economicamente più accessibili, il pendolarismo è cresciuto del 50% dal 2004 al 2013, e continua a crescere. Mentre il trasporto pubblico extraurbano assorbe circa il 77% dei passeggeri, il TPL ha un’offerta del tutto inadeguata, che ha portato all’uso intensivo del mezzo privato, con conseguenti problemi di congestione altissima.
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Il piano propone un ripensamento delle linee di trasporto su gomma in base all’effettiva domanda, ed introduce il tema delle isole ambientali, con la prospettiva di realizzarne almeno una per ogni municipio. Diverso l’approccio per il I municipio, pensato per diventare progressivamente un’unica isola ambientale, riducendo l’accessibilità veicolare solo agli aventi diritto. Anche in relazione alle sfide climatiche, il piano promuove politiche di riduzione ed adattamento agli effetti dell’emergenza clima. Il settore dei trasporti è infatti la causa primaria dell’inquinamento causato da combustibili da autotrazione (36,8%), seguito dal terziario (31,8%) e successivamente dal residenziale (31,4%) (19). Il PUMS invece cerca soluzioni per il medio e lungo termine, con l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra ed agenti inquinanti, oltre che migliorare la sicurezza stradale e garantire un trasporto pubblico più capillare.
(19) Dossier_Strategie di sviluppo urbano sostenibile_Roma Capitale da https://www.comune.roma.it
Alla riduzione del traffico veicolare si affianca l’incentivazione dell’uso di mezzi sostenibili. È stato approvato il progetto per il GRAB, il grande raccordo anulare delle biciclette, una sistema di piste ciclabili di circa 32 km che ricollega in un percorso continuo diverse zone della città consolidata, attraversando anche le aree centrali.
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III. Tassonomia dello spazio pubblico
Il cambio di scala delle città contemporanee ha modificato inevitabilmente anche i suoi elementi primari di composizione, che si sono evoluti in ibridazioni: questo è in parte anche conseguenza del crescente interesse per il tema sostenibilità e di una progettazione legata agli aspetti ecologici, con l’introduzione della biodiversità all’interno del tessuto urbano. Alcune posizioni radicali degli anni Sessanta e Settanta, come quella assunta dal collettivo Superstudio, hanno introdotto il tema dell’ambiente urbano; sebbene non abbiano prodotto soluzioni concrete, hanno sicuramente arricchito il pensiero ed il dibattito. Mentre la città del XX secolo si è costruita in gran parte sulla questione dello spazio pubblico, con l’inizio del nuovo secolo l’attenzione del dibattito urbanistico ed architettonico progressivamente si allontana dalla tematica del ruolo degli spazi delle città. Il sociologo Zygmunt Bauman nel saggio Modernità liquida del 2006 riconduce alla crescente individualizzazione il diffondersi di questa disattenzione, poiché l’individuo cerca sempre più rifugio nella “extraterritorialità delle reti elettroniche”.
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delimitano, la presenza ritmata della vegetazione, gli usi che servono ed il volume di traffico che li attraversa, ma la combinazione di questi elementi è ciò che li contraddistingue come elementi più o meno capaci di accogliere la vita cittadina.
Inoltre, una crescente monetizzazione di ogni aspetto della vita e dello spazio entro cui ci muoviamo, rende ogni riflessione dedicata alla condivisione, economicamente non redditizia, e quindi “senza valore”. Quello che un tempo caratterizzava lo spazio pubblico in quanto tale, è stato progressivamente trapiantato in contesti privati, allontanando ogni attività sociale dagli spazi della trama urbana.
Il giardino Giampiero Spinelli scrive della progettazione del verde urbano e non della generica progettazione del verde, perché intende sottolineare il suo essere elemento dello spazio collettivo, oltre che uno strumento per la costruzione di luoghi urbani(20). Il giardino è quello spazio artificiale in cui gli elementi compositivi appartengono al mondo naturale. La natura si afferma in essi come principio ordinatore e contemporaneamente diventa la protagonista dello spazio. A ricordare la mano dell’uomo nelle oasi urbane è il disegno rigoroso e geometrico dei percorsi e delle aiuole, che segue principi di simmetria tipici delle costruzioni rinascimentali. I principali elementi caratterizzanti il giardino, sebbene mutati nel corso dei secoli, rimangono tre: il chiostro, inteso come spazio racchiuso e differenziato dall’esterno caotico che lo circonda; il belvedere, in cui la geometria del paesaggio permette alla campagna circostante di penetrare nello spazio chiuso del giardino attraverso la progettazione di assi visivi, per cui la natura risulta come un “quadro appeso ad una parete impalpabile”; il grande asse, elemento ordinatore e gerarchizzante.
Il progressivo spopolarsi dei luoghi della città ha accresciuto la paura dello spazio pubblico e, di riflesso, ha pesantemente introdotto i temi del controllo e della sicurezza. Una conseguenza è la proliferazione di fenomeni come le gated communities, dei centri commerciali, dei parchi tematici. Per contrastare tutto ciò, occorre progettare spazi che siano invitanti e ospitali per ogni categoria di cittadini, nelle diverse fasce del giorno. Va precisato che già negli anni Sessanta era iniziato il dibattito sul diritto alla città e sull’importanza di sviluppare progetti urbano per i cittadini. Sono state figure come Jane Jacobs e William Whyte a formulare le prime proposte di riconquista dello spazio pubblico, individuando gli elementi centrali in alcune componenti fisiche come la luce, il vento, le alberature, o concettuali, come i possibili usi diversificati di uno stesso spazio. Composizione dei boulevards L’archetipo del boulevard riassume in sé la complessità della città contemporanea. Di natura paradossale, perché serve tanto funzioni locali quanto di collegamento tra parti diverse di città, il boulevard lavora contemporaneamente su due lunghezze, e per questo è un punto di osservazione interessante per cogliere le trasformazioni delle città in evoluzione. I boulevards sono caratterizzati da fattori fisici come l’altezza degli edifici che li
(20) Spinelli G., Il verde pubblico come spazio urbano. Maggioli Editore 2008
Il giardino pubblico entra a far parte della morfologia della città solo nel XVII secolo, all’interno di quel processo di abbellimento dei centri urbani, visto il progressivo ampliarsi della classe benestante che domandava una città che esplicitasse il nuovo stile di vita.
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Balthasar Nebot, The Long Canal and Gibbs Temple, 1738 Balthasar Nebot, The Octagon Pond, 1738 Balthasar Nebot,The Gardens, 1738
Inizialmente gli spazi verdi di accesso pubblico, dove la popolazione cittadina andava per svago erano confinati all’esterno delle mura di cinta, costituiti dai viali di collegamento con le ville extraurbane, ed i prati tra di essi. Da questi nasce il concetto di allées-promenades, di viale da passeggio che viene progressivamente inglobato nella forma urbis delle città del Seicento. Fino al XIX secolo gli spazi “altri” rispetto al costruito della città sono costituiti da parchi e giardini, due termini che identificano luoghi con caratteristiche diverse e specifiche. Mentre nel giardino il rapporto con la natura è regolato dalla precisa progettazione, dichiaratamente artificiale, il parco si instaura come un luogo di pericolo e di scoperta, principalmente incolto e ricoperto da boschi, come dei brani di paesaggio che resistono al processo di trasformazione in territorio urbano. La progressiva fusione dei due termini, fino a quel momento ben distinti, può trovare la sua giustificazione nell’apertura dei grandi parchi reali londinesi, originariamente riserve di caccia delle classi nobili, alla cittadinanza. Forte era anche, in quel periodo, la spinta di un nuovo linguaggio nell’arte dei giardini che rievocasse la naturale asimmetria della natura per contrastare l’ordinata composizione del giardino classico. Una lezione proviene dall’Inghilterra, che insieme alla contaminazione orientale dei percorsi sinuosi in contrasto con il rettilineo, porta alla creazione di nuovi disegni per i giardini pubblici. La nuova estetica del sentimento, espressione di rottura con la tradizione classica dei giardini, si riscontra anche nell’arte naturalista, ma per quanto riguarda il disegno dei giardini riguarda ancora quasi esclusivamente l’esterno della città.
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Balthasar Nebot, The Wilderness, 1738 Balthasar Nebot, The Topiary Exedra with a View of the Obelisk, 1738 Balthasar Nebot, The North West Woodlands with Gardeners Scything, 1738
(21) Stubben J., nel trattato Der Stadtebau, Handbuch der Architecktur, 1890
Nella città contemporanea il superamento del concetto di giardino viene esplicitata con l’abbandono del recinto, cioè quella volontà di delimitare un confine netto tra ciò che è città e ciò che è natura, e favorire invece l’interazione e la collaborazione tra i diversi spazi urbani. Già verso la fine dell’Ottocento infatti il verde pubblico ampia il suo campo d’azione, integrandosi agli spazi propri della città, come le grandi piazze ed i viali alberati. Insieme ai parchi, questi formano un sistema di spazi verdi all’interno del tessuto costruito, che aggiunge un nuovo livello alla stratificazione delle città moderne. Contemporaneamente, l’affermazione delle città giardino, che si proponeva come un modello di integrazione tra i vantaggi economici della città e la qualità della vita di campagna, influenzò particolarmente le espansioni urbane del dopoguerra, generando quello che oggi è riconosciuto come sprawl urbano, sul principio che il costruito andasse diluit all’interno della trama verde. “Per l’organizzazione di un parco si adotta quasi sempre lo stile inglese, naturale, perché corrisponde meglio allo scopo desiderato, cioè di riprodurre o di mantenere, in modo raffinato un pezzo di natura entro i confini della città o nelle sue vicinanze. Giardini pubblici alla francese o all’italiana verranno realizzati solo in via eccezionale, ma si farà uso di molte parti regolari di questo tipo come viali, terrazze, aiuole di fiori, ecc. vicino alle entrate, presso gli edifici e i luoghi di riunione. Il parco infatti non dev’essere solo un bel pezzo di natura, ma deve anche mostrare in modo adeguato l’intervento della mano e del pensiero umano. Una certa mescolanza di vegetazione spontanea e di linee geometriche sarà dunque sempre presente” (21).
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Un fattore imprescindibile per la riflessione proposta sul destino dello spazio pubblico nelle città è sicuramente la concezione dello stesso come luogo di collegamento e non di stasi. In un contesto in cui lo spostamento è largamente associato al trasporto privato, le strade sono diventate luoghi inospitali, perché rumorose, inquinate, ostili alla vita umana.
principali, può diventare una formula replicabile nel resto della città. La sua particolarità risiede nella sua dualità di essere sia un luogo storico, che racconta di un passato lontano, sia una parte attiva e dimensionalmente rilevante nella rete degli spazi pubblici della città compatta.
“ In quasi tutte le città esistono
ormai recinti non più spaziali ma determinati dalle soglie del rumore, per cui il paesaggio urbano è come attraversato da invisibili ma sonore barriere. ”(22)
Villaggio Balneare al Circo Massimo, 1939
Il caso del Circo Massimo Con una superficie di 85’000 m2, il Circo Massimo può essere considerato un esempio vincente di resilienza. Molti degli spazi un tempo pensati per essere a fruizione del pubblico sono stati negli anni privatizzati, o drasticamente ridotti dall’avvento delle strade carrabili. Questo luogo invece si è adattato continuamente ai diversi possibili usi, affermandosi come una permanenza intramontabile. E così è diventato il catalizzatore del mosaico vegetale (23) che struttura i vuoti sia all’interno che all’esterno della cinta muraria aureliana. Il vuoto diventa uno spazio di transizione che nutre la città contemporanea e allo stesso tempo si tutela come traccia del passato. (22) Purini F., Questioni di paesaggio Tokyo, 6/6/2007, da http://www. francopurinididarch.it/
Purini F., City as nature. Green memories Lotus 2015 (23)
È un elemento fondamentale all’interno del tessuto urbano, ed un importante materiale architettonico ed urbanistico, parte di un sistema ambientale che dialoga e spesso interagisce con la vita cittadina attorno a sé. Avendone compreso le caratteristiche
23 Marzo 2002, Circo Massimo, Manifestazione della CGIL
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IV. Un caso studio: il concorso di Parc de La Villette come nuovo parco urbano Il concorso indetto nel 1983 per la realizzazione di Parc De La Villette a Parigi è un interessante caso studio per cercare di interpretare come si è trasformato il concetto di Parco urbano nel corso del XX secolo. Contrariamente alla nozione paesaggistica di Olmsted, che sosteneva che “nel parco la città non dovrebbe esistere”, questo concorso segna l’inizio di una contaminazione tra i diversi elementi della città, comprese le architetture urbane e le oasi vegetali che sono i parchi. I progetti selezionati infatti propongono un parco sociale e culturale, che racchiude attività per la collettività come laboratori, palestre, musei, ristoranti.
(24) Koolhas R., Mau B. S, M, L, XL, Hoepli, 1995, pg. 921
Oltre il progetto vincitore di Bernard Tschumi, poi realizzato nel 1998, vale la pena citare la proposta dello studio OMA di Rem Koolhaas, per le riflessioni sullo spazio della città che esso propone. Il progetto è descritto come una “densa foresta di strumenti sociali nell’area” (24).
nessuno escluso
OMA, proposta per la competizione di Parc de la Villette, vista assonometrica, 1982
Parc de La Villette
Koolhaas parla di un condensatore sociale, in grado, proprio come altre parti della città, di raccogliere un numero anche elevato di persone per diverse attività in base agli orari, alle stagioni, alle necessità, e di supportare un range non prevedibile di futuri usi. Il progetto utilizza il concept delle strisce, di un larghezza di 50 metri divisibili in segmenti da 5, 10, 25 o 40. Le strisce sono il principio regolatore del lotto, in cui la natura, in particolare le masse arboree, costituiscono o delle quinte sceniche, che definiscono e creano una successione di differenti paesaggi, o dei blocchi che evadono dalla suddivisione orizzontale. Altri elementi a piccola scala sfuggono all’organizzazione ritmata delle strisce, quali chioschi, parchi giochi e aree picnic, la cui frequenza è determinata da un meticoloso calcolo matematico. Per quanto riguarda l’accessibilità e la circolazione, due elementi regolano i flussi dei visitatori: il boulevard e la promenade. Il boulevard è un elemento rettilineo che interseca le strisce perpendicolarmente e connette le maggiori architetture presenti nel parco in modo diretto; la promenade invece è un percorso più sinuoso, che attraversa il parco in diverse direzioni, generando una sequenza di topoi, nella forma di piazze, in corrispondenza degli incroci più significativi. Mentre il boulevard attraversa i punti catalizzatori del parco senza sorpresa, la promenade offre al fruitore dello spazio una progressiva scoperta delle componenti del parco.
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nessuno escluso
Concept di progetto, OMA, competizione di Parc de La Villette, 1982
Parc de La Villette
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nessuno escluso
Bernard Tshumi, Derrida, proposta per la competizione di Parc de La Villette, 1982
Parc de La Villette
A vincere il concorso fu il progetto dell’architetto Bernard Tschumi, realizzato in collaborazione con Derrida. Attraverso i famosi Folies, che costituiscono una serie di “cellule generatrici” prive di una funzione predefinita e per questo aperte ad infinite possibilità. Il progetto di Tschumi, che come sottolinea il filosofo è “un’architettura dell’evento”, rappresenta il manifesto della decostruzione architettonica. Assieme alle Folies, l’architetto si serve di due elementi compositori: le linee, che ordinano la circolazione all’interno del parco, intersecandosi e congiungendosi nei punti di accesso, e le superfici, formato dallo spazio di risulta destinate a prato. Infine, un elemento unificatore si aggiunge al disegno: la Promenade Cinématique, un percorso che, come una pellicola cinematografica, offre una sequenza di fotogrammi diversi del parco, attraversandolo nelle diverse direzioni. Nonostante i due approcci molto diversi, entrambi i progetti esplorano nuovi modelli per la costruzione di un parco culturale, una tematica che sempre più troverà spazio nell’immaginario della città contemporanea, confermando l’importanza di preservare delle oasi permeabili, ma al contempo ribaltando la loro peculiarità – fino a quel momento - di essere dei luoghi altri rispetto alla città costruita. Il parco culturale porta all’interno dello spazio naturale delle attività proprie della vita cittadina: in questo modo, si interrompe la distinzione tra cos’è naturale e cos’è urbano, ed inizia un dialogo tra le due, un mutuo scambio, un rapporto di interdipendenza.
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parte III
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PASSEGGIATA ARCHEOLOGICA
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1. L’area di intervento
Valerio Recchioni, High Road (Trombadori + Souto de Moura) , Collages, 2020
La tesi si occupa del paesaggio archeologico del centro archeologico monumentale di Roma (CAM). Il centro archeologico monumentale altro non è che il terminale interno dell’infrastruttura verde, ricca di monumenti e reperti, guidata dalla via Appia. La fitta maglia del centro storico si interrompe in corrispondenza di piazza Venezia, dove ha inizio dell’area archeologica che, a sorpresa, si presenta come un grande vuoto immerso nella città contemporanea. Infatti nell’area archeologica risultano ben visibili le caratteristiche orografiche del territorio, composto da colli di origine vulcanica, alternando avvallamenti a punti di vista sopraelevati. Valli umide, strette tra pendii e speroni rocciosi, vasti pianori sommitali, selle e rupi descrivono un paesaggio mutevole con l’avvicendarsi delle stagioni e al tempo stesso evocativo dell’origine dell’area, così come della natura che caratterizza il panorama laziale.
la passeggiata archeologica
Porta San Paolo, assonometria e pianta, elaborazione propria
L’area di intervento
L’area oggetto di studio di questa tesi è particolarmente delicata e fragile, largamente dotata di zone verdi e con un un’elevatissima connotazione storica ed archeologica, oltre che paesaggistica. Il lembo di territorio, all’interno del I municipio, tra i resti degli insediamenti del più antico nucleo della città di Roma sul colle Palatino ed il parco regionale dell’Appia Antica, ha sempre avuto un destino incerto. Come più in dettaglio analizzato nella prima parte della relazione, l’area è stata oggetto di grandi progetti, primo tra tutti la famosa Passeggiata Archeologica dell’inizio dell’Ottocento, e figura oggi come limite espressivo tra la città antica e la città moderna. L’area è caratterizzata dalla coesistenza di frammenti risalenti ad epoche diverse, che raccontano la storia della città e dei suoi mutamenti. Prima della costruzione dell’anello murario aureliano, la soglia urbana era costituita dalle mura serviane, in questo tratto identificabili con il rudere di porta Capena, da cui dipartiva l’antica Via Latina (VIII secolo a.C.) e la più moderna via Appia (IV – III secolo a.C.). La zona, individuata nella depressione compresa tra il colle Aventino ed il Palatino, che si spinge attraverso il circo Massimo fino ad incontrare il Tevere rappresenta un luogo dall’evanescente identità. Piazza di Porta Capena non ha alcuna delle caratteristiche di una piazza, ed è piuttosto un mero crocevia veicolare, rappresenta il nodo di connessione tra sistemi strutturalmente diversi, dove il paesaggio archeologico dell’area centrale muta in modo repentino. Verso ovest infatti, Viale Aventino costituisce la spina dorsale del rione di San Saba e del cosiddetto piccolo Aventino, quartiere prevalentemente residenziale che si connette con
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Piazzale di Porta San Paolo, vasto spazio che ospita la stazione ferroviaria Ostiense, quella di Roma-Lido e una fermata della metropolitana B. Proseguendo verso sud invece, sulla traccia di via delle Terme di Caracalla, l’imponente viale costruito negli anni ‘40 del secolo scorso per connettere il centro storico all’EUR, inizia un ambito urbano caratterizzato da una forte presenza vegetale, in diverse forme. Nel primo tratto della via l’elemento più impo nente, testimonianza del mondo antico, è il complesso delle Terme di Caracalla, l’impianto termale più grande e meglio conservato di Roma, costruito dall’omonimo imperatore tra il 212 ed il 216 d.C. sul piccolo Aventino. Intorno ad esso orbitano una serie di spazi, residui dei tagli generati dalle carreggiate carrabili, che appaiono oggi dotate di un incredibile potenziale inespresso. Proseguendo verso le vie consolari, oltre piazza Numa Pompilio inizia un sistema di ville storiche e abitazioni private, caratterizzato da un impianto definito da recinti in muratura tufacea, che organizzano un sistema di vuoti, e offrono un paesaggio urbano del tutto peculiare,
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Parco degli Scipioni
in cui l’impianto stradale può essere associato a corridoi a cielo aperto, generando così suggestive prospettive. Tra un recinto e l’altro, occasionalmente si aprono dei varchi che lasciano intravedere una natura rigogliosa e pacifica. Il Parco di San Sebastiano, disegnato da Raffaele de Vico come terminale della Passeggiata Archeologica, e il Parco degli Scipioni, sono gli unici recinti accessibili pubblicamente, anche se estremamente danneggiati dalla colpevole incuria delle amministrazioni succedutesi negli ultimi cinquant’anni. Proprio perché in origine era il primo tratto fuori dal confine sacro delle mura, all’interno delle quali era vietato seppellire i defunti, l’area è ricca di colombari e sepolcri, come ad esempio il sepolcro degli Scipioni (con accesso dall’odierna Via di San Sebastiano). Successivamente, con la costruzione delle mura aureliane, il topos dedicato alla memoria degli antenati venne ulteriormente traslato, caratterizzando così anche il paesaggio del primo tratto della via Appia Antica. Sono presenti anche diverse chiese, come la chiesa di San Cesareo de Appia, quella dei Santi Nereo ed Achilleo, e il convento di San Sisto vecchio. Mentre la prima è in parte tutelata dalla forbice viaria costituita da via di san Sebastiano e via Latina, le altre due rimangono isolate dal loro contesto e quasi inaccessibili dal traffico urbano. Attraversando il secondo tratto di Via delle Terme di Caracalla, in corrispondenza del fianco meridionale del sito archeologico, uno storico vivaio, occupante una vasta area (al momento chiuso) è stato per anni punto di riferimento importante per la vendita di tutte le specie arboree e arbustive tipiche della città, adatte alla decorazione di giardini e terrazze.
la passeggiata archeologica
L’area di intervento
L’area era un tempo occupata da vigne ed orti appartenenti agli ordini ecclesiastici, o alle famiglie benestanti, e conserva la sua matrice naturale anche se, con la realizzazione del viale e il conseguente ulteriore processo di frammentazione ha reso illeggibile il disegno originario. Molti lembi di verde sono stati ridotti a semplici aiuole spartitraffico; le uniche testimonianze di un progetto precedente sono i filari di pini domestici (Pinus pinea), originariamente pensati come limite della Passeggiata Archeologica, poi piantati verso Porta Ardeatina ed oltre nella costruzione della via del Mare. Anche ad un’analisi superficiale, l’asse viario è decisamente sovradimensionato rispetto al contesto archeologico e paesaggistico, e per questo costituisce la chiave di trasformazione dell’intera area in questo progetto.
I valori paesaggistici dell’area, elaborazione prorpria
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la passeggiata archeologica
L’area di intervento
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II. Strategia di intervento
La motivazione di questa tesi può ritrovarsi all’interno del documento “Piano del Parco Regionale dell’Appia Antica”, che fissa le linee d’azione e di intervento dell’Ente di gestione. Già adottato dal Consiglio direttivo nel 2002 ed approvato dal Consiglio regionale il 18 luglio 2018 è a tutti gli effetti lo strumento urbanistico di riferimento per questo territorio. La prima delle linee guida recita:
“ Ricostruire l’unità territoriale
(25) https://www. parcoappiaantica.it/home/ ente-di-gestione/il-pianodel-parco
e paesaggistica del Parco tra aree separate e ricomporre, il più possibile un sistema unitario capace di consentire una visione ed una fruizione continua del territorio, anche attraverso la realizzazione di una sentieristica dove il godimento del paesaggio, dello stare all’aria aperta, della natura intorno, è consentito attraverso regole certe”(25).
la passeggiata archeologica
Strategia di intervento
La strategia dei vuoti I vuoti urbani costituiscono un tema centrale nella città contemporanea da affrontare con ponendosi l’obiettivo di preservarli, o riconfigurarli se sono stati danneggiati da interventi errati, e infine riqualificarli. In una città eterogenea come Roma il vuoto può essere classificato secondo diverse scale, in base alla funzione che ha all’interno del tessuto urbano, che questo sia un quartiere, un settore, o un polo di riferimento per la città intera. Sostituendo con una griglia lo spazio che si trova tra un vuoto urbano e l’altro, si evidenzia l’inesistente connessione tra essi, ovvero la mancanza di un sistema. La riqualificazione di questi vuoti, immersi nell’area del Centro archeologico monumentale, non può prescindere dalla loro connessione, attraverso corridoi verdi e sistemi di mobilità ecologici. La finalità del progetto è pertanto quella di connettere attraverso un percorso continuo e strutturato il Centro archeologico monumentale con il Parco dell’Appia antica, ricomponendo lo spazio residuo della Passeggiata Archeologica in un’unica trama verde che, dalla campagna romana entra fino al cuore della città. Si è puntato ad un’integrazione urbana delle aree archeologiche e monumentali attraverso il loro collegamento con la città contemporanea, mediante un sistema di percorsi e piazze, in prevalenza pedonali, che superi i dislivelli altimetrici esistenti e le separazioni tra le singole zone, potenziando l’offerta di servizi informativi, museali e didattici a supporto della fruizione pubblica del sito. L’obiettivo che ci si è posto è la salvaguardia dell’assetto di quest’area molto particolare, garantendo la massima leggibilità dei diversi
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finalità dell’intervento, riconnessione del parco dell’appia al centro archeologico monumentale, elaborazione propria
contesti, che raccontano le diverse fasi dell’urbanizzazione romana. In primo luogo, è imprescindibile la necessità di ridurre l’impatto del traffico veicolare, favorendo la mobilità pubblica su ferro costituita dalle linee metropolitane e quelle tranviarie, e percorsi ciclo-pedonali che si snodano sia a livello locale che territoriale, come sistema di connessione. Conseguentemente è stato necessario individuare le porte d’accesso a questo sistema di parco urbano archeologico, come nodi di scambio e limiti della mobilità veicolare. In ultima istanza, si è proposto una piastra di spazi pubblici che mettono il parco in relazione con le architetture che la caratterizzano e con la città contemporanea circostante. La strategia si è articolata in quattro sistemi, che insieme concorrono alla realizzazione di un nuovo parco urbano intra moenia, caratterizzato dai diversi scenari che dialogano tra loro.
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Strategia di intervento
Il sistema ambientale Interpretando come un unicum l’area archeologica centrale di Roma ed il parco regionale dell’Appia antica, anticipato dai filari e dagli spazi verdi della passeggiata archeologica, insieme alla caratterizzazione di grande valore storico ambientale ed ecologico dell’intero contesto urbano e territoriale, si è privilegiata l’esigenza di ricostituire un sistema connettivo di aree verdi che riconfigurino il paesaggio in un disegno unitario. A questo fine si è provveduto all’individuazione delle alberature storiche dell’area e alla loro conservazione, oltre che alla piantumazione di nuove essenze arboree come ossatura di riferimento del riammagliamento dei verdi residui. La selezione delle giuste essenze ha seguito un criterio prima di tutto di coerenza storicopaesaggistica; sono state infatti individuate le principali essenze che caratterizzano il panorama romano. Attraverso operazioni di de-pavimentazione si è rigenerata la permeabilità dei suoli, in grado in questo modo di collaborare alla mitigazione climatica degli ambienti, oltre che ad evitare o quanto meno limitare una serie di problematiche legate alle inondazioni spesso frequenti nelle aree urbane totalmente impermeabilizzate. Attraverso la progettazione di nuovi punti di vista privilegiati poi, si è rievocata ed enfatizzata la natura collinare dell’area, offrendo nuove prospettive e visioni d’insieme. Il sistema culturale La ricchissima e diversificata offerta culturale presente nella città soffre l’assenza di un percorso unitario, anche se effettivamente di ardua attuazione.
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I diversi centri artistici e culturali sono sparsi all’interno della maglia urbana, rendendo i diversi percorsi isolati l’uno dall’altro. Limitatamente all’area di intervento, per stimolare un’efficace attività comunicativa e dotare l’area di adeguati servizi, si è reso necessario costruire una rete di punti informativi diffusi, in particolare lungo i bordi e nei pressi dei vari accessi. Si è ritenuto preferibile riutilizzare a tale scopo strutture pre-esistenti, di valenza storica ed artistica, invece di affidarsi interamente a strutture de novo, e si sono individuate le seguenti: Villa Rivaldi, un complesso di grande pregio, ora proprietà della Regione Lazio, in preoccupante stato di degrado, posto a pochi metri da via dei Fori Imperiali; la villa e la parte residua del giardino potrebbero svolgere funzioni polivalenti, come visitor center, bookshop, caffetteria, servizi igienici, luogo di riposo, etc. La casina Vignola Boccapaduli, nei pressi di Porta Capena, un piccolo edificio che rischiò di venire demolito per la costruzione della Passeggiata Archeologica, ma venne salvato grazie alla difesa di Guido Baccelli e Corrado Ricci. La casina venne spostata di circa 300 metri agli inizi del Novecento, collocandosi nella posizione attuale. La posizione si presta particolarmente ad un recupero ed uso come centro informativo per l’area, attribuendo un nuovo valore all’accesso all’area archeologica centrale anche al suo margine a sud. Ad oggi infatti, l’accessibilità del CAM è decisamente sbilanciata verso piazza Venezia, nonostante piazza di porta Capena rappresenti il primo nodo che si incontra arrivando dalla stazione Ostiense, una delle maggiori stazioni della capitale dopo Termini e Tiburtina, e dalla stazione Roma-Lido.
la passeggiata archeologica
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Strategia di intervento
A queste strutture si è deciso di aggiungere un nuovo centro culturale, nei pressi di Piazza Numa Pompilio, con duplice finalità, visitor center per i fruitori del sito archeologico, e primo punto informativo del percorso dell’Appia antica. Nella caotica conformazione dello spazio odierno, l’incredibile assenza di un centro informativo sul percorso dell’Appia antica rende ancora più evidente la frattura tra i due percorsi culturali. Inoltre il nuovo centro culturale potrebbe sanare la mancanza di un adeguato servizio ricettivo del sito archeologico delle Terme, mancanza aggravata dall’utilizzo del giardino del sito da parte del Teatro dell’Opera nelle stagioni estive, un evento culturale che può arrivare ad ospitare fino a 3500 visitatori, insomma un’occasione perduta di fruizione dell’area da parte di cittadini, turisti già presenti sul sito. Si è proposto anche la promozione di percorsi culturali alternativi e integrabili a quello classico delle maggiori archeologie, riscoprendo e valorizzando delle realtà presenti sul territorio ma poco conosciute persino dagli stessi romani. Uno degli esempi più evidenti è costituito dalla Casina del Cardinal Bessarione, una struttura che affianca la chiesa di San Cesareo de Appia nel parco di San Sebastiano e che si presterebbe ad ospitare eventi culturali, o ancora il sito del sepolcro degli Scipioni, fuori da ogni percorso turistico standard tanto da risultare visitabile solo su prenotazione. Non da meno il caso del museo delle Mura, contenuto all’interno di Porta San Sebastiano: il museo racconta la storia delle Mura, uno dei monumenti più sottovalutati della capitale come discusso precedentemente, oltre ad essere luogo di accesso ad uno dei pochi tratti in cui è possibile
percorrere il percorso sommitale delle mura, e dal quale godere una vista panoramica sul parco dell’Appia antica. Anche questo piccolo gioiello non è adeguatamente valorizzato e quindi non è conosciuto da molti dei cittadini romani. Di conseguenza il museo è spesso chiuso.
la passeggiata archeologica
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Il sistema della mobilità
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La pedonalizzazione e l’accessibilità veicolare agli spazi del centro storico è tema centrale del dibattito urbanistico, da talmente tanti anni da sembrare che sia stato sempre presente.
nuova linea tranviaria che ripercorra il tracciato di via delle terme di Caracalla, dotata di fermate in corrispondenza dei luoghi di interesse pubblico e culturale, e che incentivi così l’uso del trasporto pubblico per il collegamento con i settori meridionali della città.
Un aspetto di particolare gravità riguarda la sempre crescente pressione del turismo di massa, con tutte le tematiche che ne derivano, come ad esempio la sosta dei pullman turistici in corrispondenza dei monumenti principali che, oltre a deturpare visivamente il paesaggio, promuove un tipo di turismo rapido, mordi-efuggi, non più sostenibile. Si tratta di problemi molto complessi, che devono essere affrontati attraverso una strategia complessiva sulla regolamentazione del traffico e sul trasporto pubblico e privato, che oggi costituisce uno dei principali motivi di malessere dei cittadini e dei visitatori.
Si è proposto quindi di articolare la rete stradale in due differenti sistemi di percorrenza: un sistema viario che garantisca il raccordo tra le diverse aree toccate dall’intervento, seppure rimodellando le sezioni stradali e riportandole ad una scala coerente con il tessuto del centro storico; ed un o sistema a precedenza pedonale, con una ZTL accessibile esclusivamente dai residenti/ lavoratori della zona o, all’occorrenza, per eventi pubblici. In corrispondenza delle aree di margine del nuovo parco urbano, vengono previste delle aree di parcheggio, per supportare il cambio modale di accessibilità.
La pandemia COVID 2020-2022 ha causato, tra l’altro, una tangibile rarefazione del traffico e della presenza di visitatori e turisti. Senza intendere negare la tragedia di questo periodo, è innegabile che questo inatteso, e indesiderato, “vuoto” ha magicamente reso possibile conoscere e analizzare l’area restituita alla sua individualità.
Infine, si è tenuto conto delle attività scolastiche e culturali che animano la vita di quartiere della zona, con l’intento di riconoscerne il giusto rilievo e adeguatamente valorizzarle. Il Parco San Sebastiano dagli anni ’30 del secolo scorso ha mantenuto la sua vocazione scolastica, ospitando due scuole materne e la storica scuola dei giardinieri del Comune di Roma. Al suo interno è anche presente il Circolo Angelo Mai, uno spazio dedicato a laboratorio di sperimentazione artistica e attivismo politico. L’obiettivo è quello di coinvolgere le realtà presenti nella nuova vita dell’area, favorendo iniziative didattiche, e anche attivarne di nuove, come un nuovo centro didattico botanico che è stato previsto nell’area attualmente occupata dal vivaio (chiuso) di Via Guido Baccelli.
L’obiettivo di liberare l’area dalla morsa del traffico veicolare è perseguito con il ribaltamento dei viali trionfali, primo tra tutti Via delle Terme di Caracalla. La sua completa pedonalizzazione contestualmente a quella di Via dei Cerchi, tra il Palatino ed il Circo massimo, e di via dei Fori imperiali, ed il ridisegno della sezione stradale di altre vie, ad esempio via di san Gregorio, ha permesso di costituire una rete di connessioni pedonali tra i diversi ambiti, supportata da una
la passeggiata archeologica
Strategia di intervento
Il sistema delle connessioni A supporto delle modifiche relative al traffico urbano, si provvede alla progettazione di una piastra connettiva pedonale, che si articola attraverso spazi pubblici di diversa matrice. Per una migliore fruibilità dei luoghi formalmente compiuti che orbitano attorno al parco vengono rafforzati i collegamenti trasversali, come l’accesso a Villa Mattei e al semenzaio comunale di San Sisto sulle pendici del Celio, o la ricucitura dello stesso colle con la valle del Colosseo. Il sistema pedonale è affiancato da una riprogettazione delle piste ciclabili presenti, parte integrante di uno dei tratti del progetto del GRAB, in modo tale da promuovere nuove modalità di percorrenza e di turismo. La progettazione di una pista ciclabile che si affianchi alla linea tranviaria nel secondo tratto di Via delle Terme di Caracalla si raccorda con il progetto già esistente del tour in bicicletta sull’Appia Antica. Da Piazza Numa Pompilio al circo Massimo invece, viene previsto un boulevard ad uso misto di pedoni e biciclette, che trova poi una continuazione del percorso ciclabile nelle tre direzioni: via di san Gregorio, verso l’area archeologica, via dei cerchi verso il Tevere, e Viale Aventino verso il quartiere Testaccio.
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IV. Il progetto
Il progetto ha tratto ispirazione dalla narrazione mitica dell’area. Appena fuori le mura serviane, quest’area era conosciuta come Valle delle Camene, ninfe profetiche delle sorgenti, tra cui Egeria, che la leggenda narra essere la consigliera del secondo Re di Roma, Numa Pompilio: un gioco creativo che parte dalla memoria del luogo, e dalle sue forme urbane originarie. Manipolate, queste forme tendono verso l’astrazione, per poi costituire un sistema in dialogo continuo con il loro contesto. La costruzione di una trama di itinerari sia di interesse storico-artistico, che archeologicopaesaggistico, si intreccia con spazi urbani di aggregazione e socialità. Configurato come un parco urbano, l’intervento è il punto di connessione tra quartieri sostanzialmente molto diversi e distanti, ma anche tra alcuni dei luoghi più significativi della storia di Roma. La città è un organismo composito ed il sistema costituito da piazze, strade, vicoli e slarghi assicura continuità e relazioni simboliche tra le parti. A collaborare con le architetture presenti nell’area,
la passeggiata archeologica
Il progetto
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la vegetazione è stata utilizzata come vero e proprio dispositivo architettonico che caratterizza e differenzia lo spazio attraversato. Le principali tipologie di essenze selezionate, quali i pini domestici, i cipressi, i lecci e l’alloro, possono essere interpretate come archetipi di un’architettura vegetale, e richiamare suggestive analogie con l’architettura classica. Il parco è in continuità con il tessuto che lo circonda, liberandosi dalla logica del recinto che ha caratterizzato nel secolo scorso gli spazi verdi delle città. La composizione di un ambiente naturale che ricordi il contesto costruito con cui si relaziona è articolata secondo una sequenza di spazi che si comprimono e si dilatano, proprio come le vie del centro storico si alternano alle grandi piazze. L’alternanza di stretti passaggi e ampie prospettive inizia dall’incredibile catalizzatore costituito dal Circo Massimo. A controbilanciare l’immenso vuoto che esso rappresenta, una fitta vegetazione si attesta in Piazza di Porta Capena, dichiarando subito la natura e carattere dello spazio che precede. Le alberature preesistenti, in prevalenza lecci e cipressi, sono state rafforzate creando una quinta naturale al parco, e contemporaneamente nascondono e allontanano l’enorme edificio della FAO che purtroppo si impone sull’area. Da qui, un boulevard lungo quasi 500 metri accompagna il fruitore verso il Parco regionale dell’Appia antica. il boulevard è il principio regolatore dell’intero sistema. Attorno orbitano le diverse conformazioni che caratterizzano il parco, preesistenti o di nuova progettazione, e che ritrovano in esso il punto d’incontro. Sulle pendici del Celio, dove oggi compaiono saltuari e degradati attrezzi per l’allenamento
le architetture arboree e le azioni vegetali
ginnico all’aperto, è stata organizzata un’area dedicata all’attività sportiva, composta
da una pista di atletica che parte direttamente dal boulevard, e che racchiude due spazi distinti: uno, in superficie, che raccoglie le attrezzature per lo sport e per il gioco dei bambini, l’altro, ad una quota di tre metri sotto il livello di calpestio, accessibile tramite due rampe simmetriche a pendenza dolce, che ospita due campi da pallacanestro e due da tennis. L’area , ha un duplice scopo: garantire un luogo attrezzato e gratuito per i cittadini (in dichiarata contrapposizione con il campo da atletica privato, ora denominato stadio Nando Martellini, costruito negli anni ’30 del secolo scorso per volontà del regime fascista, in posizione opposta dall’altra parte del boulevard) e così reclamare e certificare anche la natura residenziale dell’area. Interventi di questo tipo mirano infatti a contrastare il fenomeno della turistificazione dei centri storici, fornendo servizi che non siano pensati esclusivamente per il visitatore, ma anche per chi vive nel quartiere. In aggiunta, la scelta di ribassare i campi sportivi è funzionale alla creazione di una piazza della
pioggia.
la passeggiata archeologica
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Il progetto
Le diverse configurazioni della piazza della pioggia.
L’orografia dell’area e la pressoché totale impermeabilizzazione dei suoli hanno causato nel tempo frequenti inondazioni del manto stradale, con conseguenti disagi per la viabilità e impatto sulla sicurezza. Ritrasformare il terreno in suolo permeabile, e accompagnare la discesa delle acque piovane nel sistema fognario con soluzioni come questa parte del progetto, permette di mitigare le conseguenze del cambiamento climatico. La piazza si adatta a tre differenti scenari, scanditi naturalmente dalle condizioni meteorologiche. Visto il clima mite della città, normalmente i campi sono “asciutti” e quindi risultano come spazi per l’incontro e l’attività sportiva della collettività. Durante le piogge di lieve e media intensità l’acqua viene filtrata e raccolta in bacini di stoccaggio nascosti, per poter essere riutilizzata per irrigazioni del verde circostante o per situazioni di emergenza. Infine, in caso di forti precipitazioni, rare ma spesso devastanti, è la piazza stessa a fungere da bacino di raccolta e decantazione delle acque, garantendo il deflusso graduale verso la rete fognaria. Con la stessa attenzione è stata trattata anche la zona che si interpone tra il boulevard e lo stadio Nando Martellini. Considerando l’accidentata orografia dell’area, è stata individuata la porzione dell’avvallamento con la quota altimetrica minore, e successivamente la si è scelta per la progettazione di una noue paysagère, un bacino inondabile che raccolga le acque piovane che naturalmente vi defluiscono. La selezione di piante adatte a terreni umidi, come alcune erbacee annuali o perenni, garantisce la necessità di una bassa manutenzione, oltre a caratterizzare il paesaggio del primo tratto del boulevard.
la passeggiata archeologica
Il progetto
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All’interno del bacino una passerella sopraelevata ne permette l’attraversamento e la sosta, godendo di un inusuale paesaggio. Questo percorso porta quindi alla piazza identificata come primo accesso del sito archeologico delle Terme di Caracalla. La preservazione dei lecci preesistenti, insieme alla composizione di un perimetro alberato danno al luogo un aspetto accogliente e ombreggiato, in cui anche sostare. Sopra lo stadio, salendo le pendici del piccolo Aventino, è prevista la disposizione di un parcheggio alberato per i fruitori del sito archeologico che vi arrivino con mezzi privati. L’intervento interrompe l’odierna discesa carrabile, ma ne preserva un collegamento pedonale. Alla fine del boulevard si apre Piazza Numa Pompilio. Attualmente, lo spazio è animato
esclusivamente da un flusso considerevole di veicoli che quotidianamente lo attraversa, rendendo impossibile la sosta per i pedoni, afflitti da un istinto di fuga, , e impedendo ogni possibile dialogo tra le architetture che vi si affacciano. Tramite questo coraggioso e visionario intervento di totale pedonalizzazione della piazza, segnato da una pavimentazione lastricata, essa potrà tornare a ricoprire il ruolo di fronte urbano. La piazza è infatti per definizione uno spazio pubblico a supporto della vita urbana, delimitato da un perimetro costruito e con una propria espressione estetica. Seguendo le principali viste prospettiche e l’esposizione solare del sito, gli alberi sono stati disposti in modo da definire diversi ambienti. In corrispondenza dell’accesso alla Casa Museo Alberto Sordi, situata sul pendio che sale verso Porta Metronia, si è prevista la progettazione di una scalinata monumentale d’accesso, che
offre al tempo stesso un nuovo spazio urbano, interpretabile anche come teatro all’aperto. A fare da quinta, un setto murario in continuità con il margine settentrionale di Parco San Sebastiano si protrarrà verso lo spazio pubblico, accentuando l’assialità del tracciato, che un tempo si prolungava fino al Circo Massimo, costituito dalla via Appia. In sommità, un giardino pensile costituirà un belvedere privilegiato con una visione del sito attualmente inesistente; al tempo stesso, il muro che lo sorregge, sormontato da una trabeazione arborea composta da un singolo filare di lecci, rappresenterà il fronte d’arrivo del lungo boulevard. Ad eccezione del muro che definisce il confine con Via di San Sebastiano, i restanti confini del parco sono stati trasformati in limiti arbustivi di altezza media di 1,5 metri , che permetteranno quindi una visuale continua, con l’ eccezione per il confine dopo il quale si trova la scuola materna Elsa Morante, dove il paramento murario è stato sostituito da un fitto filare di cipressi, che assolvono la stessa funzione, in chiave naturale. La chiesa di San Sisto vecchio tornerà a pieno diritto ad essere parte della piazza, con
la passeggiata archeologica
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Il progetto
l’eliminazione del suo basso muro di cinta e la predisposizione di aiuole e sedute in prossimità dell’accesso. Infine, è stato ridisegnato l’angolo terminale del sito archeologico. Con la creazione di un secondo spazio sopraelevato, che si attesta ad una quota di cinque metri più alta del livello della piazza, una scalinata angolare diventerà il punto di raccordo tra il terrazzamento, la piazza, ed il parco che prosegue verso Porta Ardeatina. Il piazzale d’accesso al sito archeologico diventa così un nuovo punto d’incontro, che raccorda l’archeologia con il letto erboso sottostante. A colmare il salto di quota si è inserito un nuovo centro culturale, che racchiude uno spazio ibrido, ipotizzato come bookshop e sala espositiva, eventualmente attrezzabile come sala conferenze, oltre ad una caffetteria, un punto informativo e servizi pubblici. La struttura ingloberà un frammento archeologico probabilmente attribuibile al portico che recintava le Terme, valorizzandolo e rendendolo simbolo, chiave distintiva del punto d’incontro. La preesistenza è stata messa in dialogo sia con gli ambienti interni che con lo spazio esterno della piazza. L’edificio, che non supererà la quota di calpestio del piazzale di accesso del sito archeologico, e di conseguenza non ostacolerà la visuale sulla piazza, è stato progettato utilizzando una tecnica mista composta da un’intelaiata metallica e una muratura in calcestruzzo che richiama i setti pieni delle architetture murarie antiche. La copertura, che si appoggerà sui pilastri circolari e si distaccherà dalla preesistenza, è stata realizzata in vetro leggermente pendente, in modo da garantire una corretta illuminazione naturale degli ambienti interni. Il secondo tratto di via delle Terme di Caracalla,
Gli elementi compositori dei margini
la passeggiata archeologica
Il progetto
che dalla piazza arriva al tracciato delle Mura aureliane in corrispondenza dell’inizio di via Cristoforo Colombo verrà drasticamente eliminato per donare spazio alla componente più naturale del parco, che anticipa il Parco regionale dell’Appia. Qui l’unica reminiscenza dell’autostrada urbana sarà costituita dai due filari di pini domestici che oggi ne scandiscono lo spazio. Raccordandosi ai percorsi interni di Parco San Sebastiano, la nuova annessione comprenderà uno spazio recintato di forma trapezoidale che ospiterà un centro didattico botanico, integrato alla ripristinata funzione di vivaio. Il nuovo complesso sarà caratterizzato da una fitta pineta, in cui le essenze saranno disposte secondo una griglia quadrangolare, consentendo al suo interno l’apertura di radure, potenzialmente in grado di ospitare diverse funzioni, collegate da semplici tracciati sterrati. Il percorso attraverserà un giardino degli aromi, dove imparare a riconoscere attraverso i sensi le diverse piante aromatiche che caratterizzano il paesaggio mediterraneo, un labirinto vegetale, un chiostro che ospita gli orti didattici e sperimentali e i frutteti, un’area gioco, un’aula all’aperto e un piccolo padiglione. La seconda parte del lotto sarà occupata dalla storica funzione del vivaio, riorganizzata e e restituita alla sua funzione di luogo di riproduzione e non solo di vendita. La preesistenza costituita dal casale ospiterà funzioni amministrative e aule didattiche, e costituirà il nodo attorno al quale ruoteranno le sistemazioni esterne. Dal lato di Via Baccelli, che segna il confine meridionale del parco, è stata mantenuta la percorribilità carrabile e sono state previste aree per la sosta programmata con un sistema di prenotazione di pullman scolastici.
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Il vivaio e gli orti didattici, assonometria generale
Il tratto terminale dell’intervento riguarda il pomerio, ovvero la porzione di terra confinante con le Mura Aureliane. Un tempo segnato fisicamente da un tracciato di ciottoli, il pomerio era considerato uno spazio sacro entro cui non era possibile edificare, una fascia di rispetto che lasciasse il giusto spazio alla cinta muraria per inserirsi nel contesto. Il progetto ha previsto il ripristino di questa fascia, oggi non accessibile né identificabile, nei tratti in cui l’edificazione privata non è arrivata, attraverso il disegno di un semplice percorso pedonale che, tramite una nuova apertura da Via di San Sebastiano, ricucirà il paesaggio interrotto dalle strade ad alto scorrimento, arrivando fino al Bastione di Sangallo. Le alberature saranno piantate in maniera estensiva lungo il perimetro interno, per isolare il pomerio dall’urbanizzazione residenziale, e non saranno presenti invece in prossimità dell’anello difensivo, in modo da consentire una lettura unitaria del monumento murario. Piazza di Porta Ardeatina, segnata dalle arcate realizzate nel ventennio fascista, si impongono come margine estremo dell’accessibilità veicolare, e resteranno a sottolineare il cambio di paesaggio che si apre dentro le Mura.
la passeggiata archeologica
Il progetto
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Vista del percorso tra le piante perenni
Vista del chiostro
Vista dei campi sportivi
Vista dell’area gioco nella pineta
la passeggiata archeologica
Vista di Piazza Numa Pompilio
Il progetto
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APPENDICE
De Vico Fallani M., Storia dei giardini pubblici di Roma nell’Ottocento, Newton Compton 1992
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Tavole di progetto
TAVOLA 0 - Illustrazione di copertina e abstract. TAVOLA 1 - Analisi della città scala 1:100000. Linea del tempo dei piani regolatori e dei principali interventi sul centro storico. Dati sulla demografia e sulla crisi climatica in relazione alla città. TAVOLA 2 - Analisi del tessuto urbano scala 1:20000. Sezioni stradali scala 1:1000. Dati sul trasporto pubblico locale sull’inquinamento acustico dell’area. Analisi dell’uso del suolo. Mappatura dei fatti urbani.
TAVOLA 3 - Analisi degli spazi verdi scala 1:20000. Assonometrie e piante di cinque porte nelle Mura Aureliane. Assonometrie delle caratteristiche del paesaggio analizzato. Mappa della cintura dei parchi. TAVOLA 4 - Strategia d’intervento scala 1:6000. Finalità, obiettivi e azioni. Sezioni stradali di nuova progettazione scala 1:700. Pianta delle realtà culturali da valorizzare. Selezione delle essenze arboree e arbustive storiche per la fase progettuale.
TAVOLA 5 - Masterplan scala 1:2000. Sezioni del parco urbano scala 1:700. Abaco delle architetture arboree e delle azioni vegetali, e delle pavimentazioni. TAVOLA 6 - Pianta del Boulevard scala 1:500 e sezione prospettica scala 1:250. Schemi descrittivi del bacino inondabile e della piazza della pioggia. Illustrazioni descrittive. TAVOLA 7 - Pianta di Piazza Numa Pompilio scala 1:600. Abaco degli interventi. Assonometrie dei diversi usi della scalinata e del belvedere. Sezioni scala 1:600. Prospetto del Centro informativo e culturale scala 1:300. Illustrazione descrittiva. TAVOLA 8 - Pianta del vivaio e degli orti didattici scala 1:500. Sezione prospettica scala 1:250. Assonometria generale e illustrazioni descrittive.
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Ricomporre il vuoto Un progetto urbano per una passeggiata archeologica nell’area centrale di Roma
La città contemporanea si presenta come un palinsesto di paesaggi stratificati, in cui coesistono frammenti urbani risalenti ad epoche diverse, generando scenari inediti e peculiari. Attribuire il giusto valore a questa stratificazione e comprenderne le potenzialità può diventare una straordinaria lezione di modernità, uno spunto di riflessione imprescindibile per intervenire sull’esistente. La città di Roma ben costituisce l’esempio magistrale dell’ossimoro anticomoderno. La plurimillenaria storia del luogo rappresenta la linea strategica lungo la quale sviluppare la città di domani, interpretando la memoria non come lettura nostalgica del passato, bensì come principio operativo, parte attiva nella città odierna e nella vita di chi la abita. Come esempio concreto di quanto accennato si può citare per Roma la stagione dell’Estate Romana ideata nel 1977 dall’assessore alla cultura Renato Nicolini, che trovò certamente ispirazione nella concezione di una città antica parte attiva di quella contemporanea. Venne in tale occasione sperimentata una nuova visione del centro storico, cuore pulsante di una ritrovata vitalità urbana, disvelando le potenzialità aggregative di questo straordinario spazio, così restituito alla collettività, in opposizione al processo di gentrificazione a cui l’area sembrava inesorabilmente destinata. In questa esperienza, il perdurante valore simbolico delle rovine monumentali si fece emblema del raccordo tra gli spazi della vita quotidiana e gli spazi della cultura. Nella progettazione urbana il vuoto rappresenta un elemento organizzativo, e anche il luogo dove può riflettersi la struttura collettiva della città stessa. Si intende guardare ai vuoti della città come un’architettura a tutti gli effetti che metta in relazione il costruito, le persone e i luoghi, ritrovando la dimensione umana degli spazi aperti, pur calati nel contesto urbano contemporaneo. In una città eterogenea come Roma, il vuoto assume più valenze e può essere
Università degli studi di Ferrara Dipartimento di Architettura
Ricomporre il vuoto Un progetto urbano per una passeggiata archeologica nell’area centrale di Roma
classificato secondo diverse scale, in base alla funzione che ha all’interno del tessuto urbano, che questo sia un quartiere, un settore, o polo di riferimento per la città intera. Nell’area del Centro archeologico monumentale, la riqualificazione dei vuoti ivi immersi non può prescindere dalla loro connessione, qui individuata attraverso corridoi verdi e sistemi di mobilità ecologici. L’area oggetto di studio di questa tesi, tra i resti degli insediamenti del più antico nucleo della città di Roma sul colle Palatino ed il parco regionale dell’Appia Antica, si afferma come perno visivo, ma non statico contemplativo, degli straordinari fondali che percepisce. Nonostante la singolarità del contesto, quest’area ha sempre avuto un destino incerto. La finalità del progetto è pertanto quella di connettere attraverso un percorso continuo e strutturato il Centro archeologico monumentale con il Parco dell’Appia antica, ricomponendo lo spazio residuo della Passeggiata Archeologica in un’unica trama verde che, dalla campagna romana entri fino al cuore della città. Attraverso la progettazione di un parco urbano si ipotizza la costruzione di una trama di itinerari sia di interesse storico-artistico, che archeologico paesaggistico, che si incroci con spazi urbani di aggregazione e socialità, e sia in grado di diventare un racconto in cui immaginazione, vita e progetto si intrecciano in maniera indissolubile. Il progetto si articola attorno a tre temi cardine; in primo luogo l’interpretazione del contesto come una sequenza di compressioni e dilatazioni, un’alternanza che l’intervento si impone di rispettare; in secondo luogo la vegetazione, come principio compositivo del progetto urbano, che collabori con le architetture esistenti per il disegno di ambienti conclusi e di nuove prospettive; infine, il muro, forma primigenia e simbolica dell’architettura romana, come confine che separa e unisce, la cui più straordinaria testimonianza è rappresentata dal monumento continuo delle Mura Aureliane.
A.A. 2020-2021 Sessione di laurea Marzo 2022
Primo relatore Romeo Farinella
Secondo relatore Elena Dorato
Laurenda Anita Gustuti
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Grazie
Ad Alessandra, sinonimo di casa in questa città. Grazie per essere cresciuta con me in questi cinque anni e per essere diventata la mia quotidianità. Non avrei potuto chiedere una coinquilina migliore. Sei tutto. Ad Alo, per essere la ventata di buonumore di cui Ferrara ha bisogno, grazie per avermi travolto con il tuo entusiasmo per la vita. A Tiziana e Ludovico, per essere le persone su cui so di poter contare, non importa dove mi trovi. Grazie di esserci sempre stati nonostante la distanza, e di non avermi mai fatto sentire lontana da casa. A tutti gli amici di Ferrara un sincero grazie per aver reso questi cinque anni speciali oltre ogni mia aspettativa. Ci siamo ritrovati in questa piccola città ognuno con la propria storia, grazie a chiunque abbia voluto condividerla con me, e grazie a tutti coloro che hanno contribuito a creare i mille ricordi che custodirò per sempre. E grazie a Claudia.
Al Professor Romeo Farinella e alla Professoressa Elena Dorato per gli innumerevoli spunti di riflessione, e per la pazienza e la costanza con cui mi hanno sapientemente guidato in questo percorso. Ai miei genitori, che mi hanno insegnato ad essere indipendente e ad affrontare la vita con i suoi alti e bassi, senza mai farmi mancare il loro affetto e appoggio. Vi voglio bene. A Violante, il mio modello da seguire, che inconsapevolmente mi sprona ad essere migliore, ma che mi ha anche sempre spianato la strada rendendomi tutto più facile. Ad Etra, per avermi trasmesso la passione per questa materia e per avermi insegnato che per fare questo mestiere ci vuole prima di tutto curiosità. Un grazie particolare a Martina e Marina, per tutto l’aiuto che mi hanno dato, per aver sempre trovato il tempo di ascoltarmi, per essere la mia rete di sicurezza ed i miei punti di riferimento. A Chiara, fedele compagna in questo progetto. Grazie per aver condiviso con me l’interesse per questo tema e l’amore per la nostra città, ma anche per ricordami di respirare di tanto in tanto.
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