Course Diary_History and critic of design

Page 1

del


Anna Gasparini Critica e storia del progetto anno 2013-2014 Docente: Ali Filippini Collaboratrice: Rosa Chiesa


INDICE

INTRODUZIONE

3

DESIGN COME PROCESSO

5

Design

8

DESIGN IN ITALIA: INNOVAZIONI E MATERIALI

13

Anni ‘50 in Italia

14

Anni ‘60 in Italia

19

Dove nascono le grandi idee

24

Design,brevetti e creatività italiane

29

La coda lunga

32

Dove e come si espone il design

37

Fuorisalone 2014

42

Vetro

45

DESIGN CONTEMPORANEO

47

Anni ‘90 e design contemporaneo

48

La Terza Rivoluzione Industriale

52

Leaf house

57

Nuove condizioni per un design contemporaneo

59

In the bubble CULTURA D’IMPRESA E PROGETTO Caso Olivetti Differente TIMELINE: RIVISTE D’AVANGUARDIA BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

63 67 68 70 75 91

2


INTRODUZIONE

3


Questo volume si propone di fare una passeggiata sulla superficie disegnata dal design nel corso della sua storia. Questo libro è una raccolta di tutto il materiale del corso, dalle letture specifiche passando per approfondimenti personali e lezioni svolte durante l’anno, per finire con la timeline il cui tema tratta le riviste d’avanguardia. Il libro è suddiviso in cinque macrocapitoli quali design come processo,design in Italia:innovazioni e materiali, design contemporaneo, cultura d’impresa e progetto e timeline. Al loro interno questi capitoli vengono descritti attraverso gli argomenti che più toccano questi temi. Il design è necessariamente un processo multidisciplinare, che si muove da un campo all’altro per rispondere al meglio alle esigenze degli utenti e del contesto nel quale essi si trovano.

4


DESIGN COME PROCESSO

5


Quando si parla di Design vengono presi in considerazione diversi fattori; uno di questi è che esso è un processo ovvero una richiesta di un percorso globale all’interno di un teamwork con relativi strumenti. Un secondo fattore riguarda l’espressività ovvero, l’importanza del gesto, del disegno. Inoltre esso deve essere PLURALE. Con questo termine si intende un design che interessa gli architetti, gli ingegneri, gli artisti, gli autodidatti ecc… Noi come designer nasciamo con un impostazione non da architetti e ingegneri, ma tendiamo a projectare, a guardare oltre, a pensare in modo diverso. Il design esiste solamente se crea elementi di innovazione (da non confondere con il termine nuovismo) e se è inserito all’interno di contesti. Non si ragiona più in termini quantitativi ovvero tecnico-scientifici, ma qualitativamente (un esempio può essere Eams) cioè in termini di successo di un prodotto (intangeble assets)

questo in conseguenza al fatto che stiamo entrando all’interno di un’economia della conoscenza e del sapere. Si sta passando da un mondo materiale a uno accessibile, dalla sedia al www e a Itunes, bisogna dunque cercare di intendere la conoscenza in modo differente. Ecco perché abbiamo bisogno di essere anche intellettuali. Paola Antonelli definisce l’intervento progettuale quel fattore che riguarda tutto quello che ci circonda. Una delle problematiche sta nel come esporre il design all’interno di mostre e musei. Il design italiano aveva trovato il suo spazio in quanto andava di pari passo con il mondo delle imprese, ne sono un esempio Adriano Olivetti e l’impresa Olivetti e uno dei motivi della crisi dell’Italia è dovuto alla mancata comunicazione tra il design e le imprese come viene esposto ne “il secolo imprevedibile” di Cooper Ramo in cui egli sostiene che abbiamo bisogno nuove condizioni. Stiamo passando da una economia di crescita e sviluppo a un economia del limite 6


(Latuche) in cui abbiamo bisogno di trovare nuove soluzioni, antropia. Come sostiene Chris Anderson ne “La coda lunga” stiamo passando da un mercato di massa a una massa di mercati, bisogna essere dunque first movers. Ma in che modo bisogno muoversi all’interno di questi mercati? Attraverso azioni quali la guerrilla, il societing, il marketing 2.0 ecc… Tutto ciò che consideriamo artefatto oggi è il frutto dell’intelligenza e della progettualità industriale in relazione al contesto, al periodo storico, alle idee, alle sperimentazioni e al linguaggio.

7


DESIGN Progettare gli oggetti quotidiani Alberto Bassi

Che cos’è il design? Quando nasce e come si è sviluppato? Chi sono e cosa fanno i designer?. Queste sono le domande a cui l’autore cerca di dare risposta. Il termine Design può sottintendere diversi significati, talvolta indica un oggetto misterioso, talvolta invece il suo senso è stato dato per scontato; con il termine “parola valigia” si può esprimere la molteplicità di definizioni e concetti racchiusi nel termine design. Qualunque sia la definizione di design, è innegabile che esso è all’origine delle nostre azioni quotidiane e degli oggetti che ci circondano e che utilizziamo comunemente, quale frutto di un processo globale di progettazione, che deve essere sostenuto da strumenti teorici, storici e critici. Ciò consente quindi di parlare di design “plurale” nel quale si affiancano competenze specialistiche e professionali che lo rendono sempre più comprensibile agli utilizzatori. In relazione a ciò si inserisce la diatriba relativa ai confini delle varie discipline, design, scienza, arte, moda. Ciò che importa non

è la definizione dei suoi bordi, bensì la sua focalizzazione e il suo grado di apertura, secondo quanto sostiene Ezio Manzini. Progettare come riuscire ad andare al di là di ciò che esiste allo scopo di anticipare e innovare. Innovazione e non novità in quanto la prima è finalizzata a cambiamenti sostanziali e destinati a durare nel tempo, mentre la seconda implica velocità ed instabilità. Ma quando nasce il design? Esso si colloca all’interno delle manifestazioni dell’azione dell’uomo in cui un aspetto tecnico ed empirico si unisce a uno artistico-creativo e progettuale. Citando Maldonado “La cultura materiale di una società è l’insieme di tutti gli artefatti che tale società ha creato”. Artefatto, come specifica Giorgio De Michelis, “fatto con arte, fatto ad arte” dove arte significa attività umana regolata da accorgimenti tecnici e fondata sullo studio e sull’esperienza. Da qui nascono dunque le arti applicate e decorative che hanno assunto un ruolo sociale rilevante in termini quantitativi, 8


organizzativi ed economici. E’ solo con la rivoluzione industriale che fuoriesce la figura del designer in relazione al passaggio dalla civiltà degli utensili alla civiltà delle macchine e ancora a una separazione tra chi disegna e progetta e chi organizza, gestisce, produce e vende. Il mercato quindi si trasforma in relazione alle esigenze sociali con consumi legati originariamente alla classe borghese verso un consumo sempre più di massa. Si generano in questo contesto figure come quella del progettista per la produzione industriale ed emerge anche una nuova idea e un diverso ruolo del progetto per fare in modo che i prodotti della nascente età industriale possano essere disponibili a prezzi contenuti per un mercato ampio. La prima grande vetrina dei risultati della rivoluzione industriale fu la Great Exhib ition del 1851 realizzata a Londra nella quale furono esposti provenienti da tutto il mondo. La sempre maggiore crescente quantità di prodotti seriali e meccanizzati ha portato alla nascita 9

una questione che tenderà a prolungarsi nel tempo. Da una parte il contesto industriale è ottimale per valorizzare le potenzialità del progettista in relazione ai mezzi meccanizzati, è il caso dell’inglese Christopher Dresser, dall’altra, in particolare William Morris e John Ruskin denunciano lo scadimento della qualità degli oggetti e la perdita di dignità del fare. Essi ripropongono l’attività manuale per salvaguardare il ruolo dell’artista-progettista e le sue intenzioni creative ed espressive. Questi due filoni di pensiero si sono successivamente protratti nel tempo insieme ad altri concetti come quello sostenuto dalla scuola del Bauhaus nata nel 1919 e dove l’approccio primario era quello della forma come funzione e del bello come utile; concetto ripreso anche se in condizione mutate dalla scuola di Ulm la quale rilancia linee geometriche pure ed essenziali adottate dall’azienda Braun e risultano molto attuali tanto da aver ispirato la Apple. In questi anni assume sempre più importanza il dialogo tra


cultura del progetto e cultura dell’impresa rappresentato ad esempio dal progetto immagine realizzato da Peter Behrens per l’AEG. Un ulteriore esempio, in ambito italiano, è rappresentato dal caso Olivetti che ha perseguito la vocazione “a tutto campo” dell’impresa all’interno delle società inserendosi anche nel campo dell’industria, della politica, dell’editoria e dell’urbanistica. Sempre in Italia si sono progressivamente sviluppate piccole medie imprese che si sono rivelate punti di eccellenza in vari settori e che hanno man mano consolidato nel tempo il proprio marchio aziendale. A ciò si contrappone il progressivo affermarsi dei Global Brand (Ikea, Zara), che se da un lato hanno profondamente cambiato il mercato delle merci imponendo nuovi standard di qualità ed economici, dall’altro hanno portato ad una omologazione sempre maggiore dei consumi rialzando conseguentemente il valore dell’oggetto di artigianato e di Custom Made. Nuovi scenari si aprono anche con l’affermarsi della Digital

Innovation, che ha portato allo sviluppo di prodotti e servizi immateriali e legati ad un potenziamento tecnologico, aprendo nuovi spazi di mercato e di socializzazione (social network), creando una distinzione tra super-oggetti e non-oggetti. Al di là di questo sviluppo recente della tecnologia, gli oggetti che ci circondano (design anonimo) e che utilizziamo quotidianamente, mantengono inalterato il proprio valore intrinseco frutto di progettualità, funzionalità e creatività. COMMENTO: “Se non siete curiosi, lasciate perdere”, è questo che Achille Castiglioni rispondeva quando gli veniva posta la domanda di come diventare designer. Bisogna aver voglia di sapere, conoscere, scoprire molte cose e fare esperienze, tutto questo accompagnato dall’acquisizione di competenze generali relative a discorso-sistemaprocesso orientate ad operare in termini di problem solving. Acquisire competenze di base, verificarle nella realtà permette dunque di mantenere un modello 10


11


di auto-formazione permanente. Trovo molto interessante dunque la metafora della figura del designer paragonata a quella della “cassetta degli attrezzi” in quanto esprime appieno le qualità che tale figura deve possedere, vale a dire una serie di competenze multidisciplinari e allo stesso tempo specifiche. Competenze che vanno utilizzate all’interno di contesti, all’interno dei quali il design prende vita. Stiamo assistendo ad una sempre maggiore smaterializzazione dei prodotti, ecco perché è proprio da qui che dobbiamo re-interpretare il concetto di innovazione, in relazione al contesto in cui oggi ci troviamo a pensare e a progettare. Queste nuove “innovazioni” possono portare i progettisti, ma anche noi che studiamo design, a ragionare in diversi campi di applicazione come per esempio quello della sostenibilità, modalità differente di guardare al ruolo del progetto. Si sta passando da un mondo materiale ad uno accessibile, dalla sedia al world wide web ecco perché è necessario cercare di intendere la

conoscenza in modo differente, dobbiamo cercare di essere intellettuali.

12


DESIGN IN ITALIA INNOVAZIONE E MATERIALI

13


ANNI ‘50 IN ITALIA

Anni 50: l’Italia sta ricostruendo il paese, siamo in un periodo in cui il design italiano è come se nascesse per la prima volta, esso comincia ad avere visibilità non soltanto in Italia ma anche all’estero basti pensare a Giò ponti che nel ’49 re-interpreta il serbatoio e anziché posizionarlo il verticale lo posiziona in orizzontale. Nel 1954 viene istituito il compasso d’oro, nasce la rivista “Stile Industria” e cosa molto importante comincia a formarsi una cultura. Gli anni 50 sono gli anni delle idee formidabili, delle innovazioni, dei brevetti; qui appare la Birella di Nizzoli con la marca da bollo che attesta il copyright, sono gli anni in cui l’industria e i designer (architetti), cominciano a collaborare creando così una sinergia che dà modo al design di decollare. Si parla di design democratico. Moda e design sono nel pieno boom ed è come se andassero nella stessa direzione. Sono gli anni del re-inventare, del made in Italy i cui settori principali sono l’arredo, il tempo libero, l’alimentazione , l’utensileria

e la meccanica sperimentale. Un esempio lampante è quello del negozio di Olivetti in America dove è presente una creatività diffusa e, dove è presente una sorta di osmosi tra grafici, aziende e designer. Negli anni 50 in Italia vengono realizzate le migliori macchine per la produzione, passando quindi da un mondo fondato sull’artigianato a un mondo prettamente industriale. Paradossalmente però il design italiano in questo periodo si identifica nel mobilio e nell’arredo e non nel mondo industriale delle macchine. Il design italiano riesce a farsi spazio specialmente in America in quanto essendo negli anni della ricostruzione, del piano marshall e della mediazione, esso crea le condizioni ideali per delle narrazioni sul made in Italy. Nel 1951 si svolge la fiera campionaria, fenomeno interessante per capire in che direzione l’Italia si sta muovendo in quanto essa rappresenta un punto di ritrovo per tutti e dove il pubblico non è prettamente quello delle triennali ma anche quello formato dai visitatori. 14


I prodotti però erano accessibili ma non comprabili. La mentalità che sta nascendo in questi anni e quella del consumatore. Non si consuma ciò che si produce ma è presente un elevato numero di esportazioni. Sempre nel 1951 a New York si svolge la mostra “Italy at work” nella quale Walter Teague viene incaricato di andare in Italia a prendere degli oggetti di design e portarli a New York. Egli trova due realtà completamente diverse; Non trova una situazione americana, ovvero industrie in tutto il Paese, trova invece situazioni d’industria a Nord e poi altre realtà locali dove la produzione si sposta in contesti ridotti. In questa mostra si affronta il periodo di formazione del “design italiano”, che raggiunse il suo apogeo all’inizio degli anni sessanta. L’intenzione è sviscerare il complesso rapporto fra design, arte, artigianato e produzione artigianale, concentrandosi sul ruolo che quest’ultima svolse nei primi anni cinquanta, in particolare quale emerge dalla mostra Italy at Work. L’obiettivo è chiarire l’importanza del ruolo che, nel 15

contesto economico e ideologico dell’epoca, ebbe il “lavoro artigianale” ovvero l’“arte folclorica”, fornendo da un lato un elemento di necessaria continuità e consentendo, dall’altro, un certo grado di innovazione. Particolare attenzione viene posta sul ruolo svolto in quegli anni dagli Stati Uniti e da singole figure di architettidesigner, come Gio Ponti ed Ettore Sottsass, nel quadro dei dibattiti allora in corso. Il movimento del design italiano moderno accolse alcune delle caratteristiche distintive dell’artigianato, e che il rispetto della tradizione fu determinante nella formazione della nuova estetica. Qui vengono esposte la Lettera 22 e la Lambretta. Ma già nel 1947 ci furono episodi curiosi, la Rinascente venne bombardata e il proprietario decise di fare una mostra a casa sua dove vennero inseriti diversi pezzi tra cui quelli di gucci. Questa mostra ebbe un grandissimo successo in quanto fece risaltare il fenomeno dei distretti. Ancora nel 1951 si svolge anche


la modern line dell’azienda singer and son per cui Ponti disegnerà prima di passare a disegnare per altamira. Come sopra citato è interessante analizzare in questi anni il parallelismo che è presente tra moda e design. La moda italiana in questo periodo spopola oscurando addirittura quella francese, grazie alla Clare Luce. Nel 1954 viene realizzata una sfilata sopra un treno, e la cosa interessante è proprio come la moda venga vista da un diverso punto di vista ovvero, sopra un treno. Oltre ai modelli che si vanno a sviluppare in questi anni, industra (mondo delle macchina) e artigianato, vengono realizzate macchine per misurare altre macchine. Lavoro svolto principalmente dalle donne dove il fattore interessante è vedere come la manualità si inserisca alle all’interno di un contesto industriale. Lo scenario del design italiano in America sembra in questi anni assomigliare a quello scandinavo. Nel 1954 oltre alla sfilata sul treno viene realizzata una mostra fotografica, “The modern

moviment in Italy”, al MOMA di New York dove emerge il talento dei progettisti italiani non solo per il prodotto, ma anche per le architetture di interni. Ecco che allora quando si parla di made in Italy si intende tutta questa serie di avvenimenti conseguitesi in Italia durante questi anni. Importante rilievo hanno le triennali: Triennale del ’47 basata su tematiche sociali. Rilevanti sono quella del ’51 e del ’54; La prima curata da un comitato eterogeneo di cui faceva parte anche Ponti il quale, sostiene che questa triennale deve essere affrontata con uno spirito diverso dalle altre. La prima cosa che si incontra è l’arte (lampadario di Fontana). Questa triennale viene definita all’insegna della sintesi delle arti, intitolata la forma dell’utile. Qui si cominciano a vedere gli oggetti di industrial design all’interno della triennale stessa, l’azienda Arflex è presente con il nastro cord (tema del transfer tecnologico) come anche la 16


poltrona Lady per quanto riguarda la sezione imbottiti e la nascita del concetto del comfort. Sempre all’interno di questa triennale, viene realizzata la mostra sulla luce; Sarfatti, “disegna-assembla” delle lampade in cui il concetto della luce cambia e la lavorazione si semplifica mantenedo pur sempre un livello elevato. Nella triennale del ’54, è famosa la mostra di Castiglioni e la fondazione del compasso d’oro, voluto dalla rinascente. Inoltre sono presenti altre mostre come quella relativa all’industrial design collegata con l’America. Nasce la rivista “Stile industria” di Ponti e Rosselli, nel contempo Techno, la P.40, e la sciaslongue di Borsani, diventano delle icone. All’interno di questa triennale gli italiani usano il termine industrial design come estetica del progetto. Il concetto di “immagine” del design in questi anni viene anche definito dalla nascita e dall’espandersi della fotografia. Ponti aiuta molto l’alta moda con la sua rivista “Bellezza” e da 17

qui, anche il design si costruisce aiutato oltre che dalla fotografia anche dalla moda. Durante la triennale del ’57 invece viene allestita la mostra dell’industrial design ma accompagnata dalla mostra della grafica vista anch’essa in termini di progetto. La triennale del ’57 è quella che vede partecipe la superleggera di Ponti e a villa Olmo gli architetti vengono chiamati per trovare soluzioni per alcuni arredamenti. Tra questi architetti ci sono anche i fratelli Castiglioni che arredano la villa introducendo alcuni oggetti che rompono con la tradizione come lo sgabello mezzadro. Questa triennale vede partecipe anche il tema dell’anonimo. Anche Ferragamo assume importanza per quanto riguarda il discorso sui brevetti nel mondo della moda.


18


ANNI ‘60 IN ITALIA

Anni 60: Negli anni 60 il panorama è completamente diverso, qui l’approccio è differente, ne è un esempio la mostra della triennale di Milano de ’64, la mostra sul tempo libero dove sono presenti una serie di rappresentazioni del boom economico. È presente un cambio di sensibilità, l’interesse non è più quello riferito all’oggetto, ma alla persona. Periodo completamente diverso dai soli dieci anni precedenti, già in Inghilterra si comincia a fare sensibilizzazione sugli argomenti del “nuovo” (nuove tecnologie). I coniugi Smithson, attivi dal punto di vista culturale, nel ‘53 formano un indipendent group dove coltivano diverse passioni come la teologia e diversi argomenti del momento, cinema, fumetto, scienza, cibernetica. Organizzavano mostre che comprendevano la fotografia per mostrare al meglio le cose ( caos apparente per visualizzare al meglio il tutto). In questi anni si inizia anche a parlare di cultura Pop, essa è expendible, young, popular, sexy, è di business. 19

Cultura Pop che coincide con una concezione visiva, nel ‘56 a Londra Edison e Peter Smithson, rappresentano la casa del futuro completamente fatta di plastica. È interessante notare come nel ‘56 in Inghilterra, sia presente questo scenario in cui emergeva una nuova estetica attraverso l’uso del materiale, mentre in Italia ancora non esisteva. Gli Smithson erano appassionati anche dall’innovazione, e per loro era molto importante l’uso degli strumenti e dei macchinari del momento. Contemporaneamente, sul finire degli anni ’50, gli Archigram si esprimevano attraverso l’uso del fotomontaggio e del collage. Erano in grado di immaginare delle architetture che guardassero al futuro. Erano soliti usare le tecnologie per raffigurare le architetture in modo molto divertente e giocoso (architettura giocosa). Gli anni ’60 rappresentano la cultura Pop e non Popart, in quanto di sta parlando di un fenomeno. Da ricordare in questo periodo anche la figura di Hans Hollein, un architetto viennese


che disegnava e rappresentava delle architetture utopistiche come il negozio Retti di candele nel 1964-1965; si parla qui del concetto di “nuovo come inedito”. A Milano invece, nel 1964, viene istituita la 13ma triennale dedicata al tempo libero, Triennale costruita negli anni del boom economico nella quale hanno collaborato tutta una serie di persone dedite a diverse discipline e con culture differenti. Gli allestimenti vengono costruiti con degli “effetti”, ecco che allora passa in primo piano la merce e non il prodotto. Molti allestimenti erano, come li chiameremo oggi, “multimediali”. Le mostre erano dedicate alla produzione, oggetti come la Taccia dei Castiglioni, la bicicletta e la 4999 di Zanuso erano presenti. Sono gli anni delle sperimentazioni di nuovi materiali come la plastica. La triennale del ’64 viene definita come triennale Pop, con un ideale scenografico e considerata come rappresentante del boom economico. Nel 1966, a Firenze, esplode la grande controcultura dei giovani

architetti laureati, gli Archizoom. Prima a Pistoia poi a Monza, viene allestita la mostra Superarchitettura dove vengono esposti prototipi in legno e lampade costituite di nuovi materiali. La cosa interessante è il modo in cui questi architetti comunicano per esempio, sono soliti rappresentare per moduli gli oggetti e utilizzare la comunicazione per farsi pubblicità. La mostra degli Archizoom viene definita come episodio spartiacque in quanto rompe gli schemi che fino ad ora si era soliti seguire. Nel 1968 viene istituita la 14ma triennale, la triennale del grande numero con tema centrale quello della produzione. Grande numero del vivere e dell’abitare quotidiano. All’interno della triennale era interessante il tunnel finanziato da Zanotta e realizzato in PVC. Questa triennale successivamente venne definita come triennale “occupata” dai giovani ede era un’occasione per confrontarsi con temi e artisti di grande leva come Sapper e Pio Manzù. 20


Il tema della tecnologia era rilevante in questa triennale in quanto non era prettamente riferito a prodotti industriali ma venne applicato anche a oggetti altri come il casco dell’apollo, la Ferrari e la sonda per il meteo. Dal ’68 in poi si parlerà di Radical design e vengono utilizzate nuove tecniche per mostrare e raccontare le cose, ecco che viene utilizzata la tecnica del film. Nel contempo la scuola di Uhlm stava chiudendo quindi si satva perdendo l’idea di razionalità che era permeata in quegli anni. Gli Archigram sono invitati alla triennale ed espongono un’istallazione su due percorsi; un edificio in plastica che contiene degli stimoli visivi che riportano al concetto di nuova città. Anche gli Smithson rappresentano il tema dell’architettura urbana utilizzando dei macchinari e facendo un’istallazione riformativa. Non è un caso che anche gli inglesi del “Pop design” vengano invitati alla triennale. Sono presenti pezzi come la Selene di Magistretti, la poltrona Blow di Zanotta e il 21

telefono Grillo dei Castiglioni (nuovo oggetto tecnologico mobile) Giò Colombo è presente con un sistema programmabile, ovvero una casa che somiglia a una sorta di dispositivo con un aspetto performativo. Nel 1972 al MoMa di New York venne inaugurata la mostra the “New Domestic Landscape”, dove erano esposte le principali opere di design italiano, come la poltrona Sacco, formless. La mostra era allestita sia all’interno che all’esterno con l’intento di promuovere elementi culturali ma anche commerciali. All’interno di questa mostra Marco Bellocchio realizza un’istallazione composta di foto di avvenimenti francesi. Negli anni ’60 le plastiche sono il materiale più importante, si esalta così l’enfasi della forma, della massa, salta quasi il disegno. È presente un’idea di organicità e forse la contemporaneità ha dato ragione agli anni ’40. Non è da dimenticare il design anonimo, che porta poi ad avere una catena di negozi come Muji, a basso costo. Vinicio Vianello è un personaggio che ha sempre


legato artigianato, design e arte. Attraverso lui e altri ‘grandi’ come ad esempio Pesce o Mark Muson si può raccontare la design art, passando quindi attraverso la storia. Vitra negli anni ’80 aveva già pezzi di design art. AL MoMa arte, design, architettura e cinema vengono trattati alla pari. Il design entra nel museo.

22


23


DOVE NASCONO LE GRANDI IDEE Storia naturale dell’innovazione. Steven Johnson

Se vogliamo comprendere da dove nascono le buone idee, dobbiamo dare loro un contesto. L’autore in questo libro invita a riflettere sugli ambienti fertili che ogni giorno ci circondano e che continuamente ci propongono una serie di caratteristiche comuni; più si è in grado di comprendere queste caratteristiche, più facile risulterà la capacità di un pensiero innovativo. Le buone idee tengono conto dei limiti imposti dalle disponibilità di materiali e competenze nell’ambiente circostante, non sono folgorazioni epocali o colpi di genio ma sono il risultato di un bricolage, ovvero il rafforzamento di pezzi in disuso finalizzati a costruire qualcosa di radicalmente diverso. Questo processo dunque può riportare alla mente l’opera di innovazione più antica del mondo, la vita, o ancora prima di essa la composizione dell’atmosfera terrestre la quale, è il risultato di molecole elementari, capaci di combinarsi spontaneamente all’interno di quello che viene chiamato brodo primordiale. Queste combinazioni vengono

definite da Stuart Kauffman: “adiacente possibile”, meglio definito come futuro ombra che fluttua adiacente allo stato attuale delle cose, favorendo al presente tutti i modi possibili per reinventarsi. L’adiacente possibile non ha confini, tende ad allargarsi in quanto ogni nuova combinazione ne introduce altre al suo interno. Dunque le buone idee non spuntano dal nulla ma vengono costruite a partire da una serie di parti esistenti nel corso del tempo e in un ambiente che sia in grado di ospitarle. Una buona idea è una rete che si accende per la prima volta nel nostro cervello ed esplora l’adiacente possibile dei collegamenti fatti dalla nostra mente. Sono proprio questi collegamenti serendipitosi (è cosi che l’autore li definisce) la chiave della nostra intelligenza. Bisogna fare attenzione, però, in quanto non è la rete stessa ad essere intelligente, ma lo sono i singoli individui ad esserlo sebbene siano connessi a tale rete. Uno studio interessante fu infatti intrapreso da Kevin Dunbar, egli scoprì che le idee 24


più importanti, scaturivano nel corso delle normali riunioni di laboratorio e che l’epicentro dell’innovazione non era il microscopio ma il tavolo della sala riunioni. Quando le nuove idee vengono inizialmente concepite, sono parziali, incomplete ed è per questo che hanno bisogno di una rete liquida che fornisca un ambiente in grado di favorire un contatto tra queste idee concepite al primo stadio. Le intuizioni iniziali vanno coltivate quanto basta perché continuino a crescere, e molto spesso il tempo impiegato per nutrirle al meglio è molto lungo; ecco perché si parla di intuizioni lente, perché hanno bisogno di essere messe a fuoco poco alla volta. Come si fa allora a tenere in vita un’intuizione lenta? La coltivazione delle intuizioni si estende oltre la nostra memoria; di solito siamo portati a concepire le idee all’interno di ambienti in cui lavoriamo, e molto spesso siamo sottoposti a pressioni e frustrazioni che impediscono alle nostre idee di evolvere. E’ importante dunque che il contesto in cui operiamo favorisca le intuizioni e 25

conceda a loro lo spazio e il tempo necessari a crescere. Le ricerche di Charlan Nemeth hanno portato a una verità paradossale, ovvero che è più probabile che le buone idee scaturiscano da ambienti caratterizzati da una grande quantità di errori, da ambienti contaminati. Come diceva William James: ”L’errore è necessario a far emergere la verità, così come uno sfondo scuro serve a mettere in risalto la luce di un quadro”, dunque non è anomalo che una grande quantità di invenzioni sia dovuta a errori, come nel caso del pacemaker di Wilson Greatbatch. Quando sbagliamo siamo costretti a mettere in discussione le nostre premesse, e ad adottare quindi nuove strategie, lo ha definito al meglio Benjamin Franklin sostenendo che: “l’errore è infinitamente diversificato”. Un aspetto importante per le grandi innovazioni fu quello che l’autore definisce con il termine exattazione che a differenza dell’errore, modo per accedere alle porte dell’adiacente possibile, ci aiuta a esplorare le possibilità


inedite che si nascondevano dietro a quelle porte. Si tratta probabilmente di quello che verrà definito negli anni ’50 come transfer tecnologico, ovvero un tratto ottimizzato per un uso specifico che viene riadattato a tutt’altra funzione (dal torchio di stampa di Johannes Gutenberg, alla macchina analitica di Charles Babbage). Questa exattazione avviene anche per la connessione tra discipline diverse, o meglio tra conoscenze di discipline differenti, che collegandosi insieme danno vita a quelle che abbiamo definito fin ora grandi idee; i luoghi adatti affinché esse possano avere spazio sono le grandi città(secondo lo studio di Claude Fischer)dove più numerosi sono gli interessi specializzati e maggiore è la rete liquida attraverso la quale le informazioni possono filtrare per condizionare la comunità. Ciò è possibile anche grazie alla grande quantità di piattaforme che ci circondano e che permettono alle idee di arrivare da ogni angolo. Esse consentono alle persone di pensare in modo diverso cosi che

le idee possano ricombinarsi in modo proficuo. Le piattaforme permettono di operare su qualcosa che già esiste, ecco perché hanno la capacità di ridurre drasticamente il costo della creatività; Jane Jacobs sosteneva che l’innovazione prospera negli spazi dismessi e che le piattaforme emergenti derivano gran parte della loro creatività dal riutilizzo inventivo ed economico delle risorse esistenti. Le idee nuove devono usare edifici vecchi. COMMENTO: Tutte le innovazioni sono il risultato di una rete. Se per ogni grande innovazione dunque è necessario che le idee circolino, allora è interessante cercare di capire come e soprattutto in quale ambiente queste idee si mettono in movimento. Se si pensa alle grandi scoperte come intuizioni di un momento o di “eureka”, come Johnson le definisce, allora si perdono per strada tutte quelle pedine che passo dopo passo forse hanno reso la scoperta ancora più grandiosa. L’esempio di Darwin e della sua 26


scoperta sulla selezione naturale rispecchia perfettamente l’idea dell’autore di fornire informazioni su tutti i processi che stanno dietro alle grandi innovazioni; processi che non si distaccano dal nostro ambiente di vita quotidiana, anzi essi sono continuamente in collegamento e collisione con esso. E’ ciò che ci circonda che ci permette di arrivare a quelle che Johnson chiama le grandi idee. Siamo circondati da reti da quando usciamo di casa a quando siamo seduti al bar a prendere un caffè, persino quando ci sediamo alla scrivania e guardiamo davanti al monitor del computer; basti pensare alla grande rete fornita dal web e da internet grazie a Tim Berners-Lee. E’ affascinante come queste a volte tendono a orbitare nel caos, zona di confine tra l’eccesso di ordine e l’eccesso di anarchia, definite da Christopher Langton come stato solido e stato gassoso in riferimento alle diverse conformazioni della materia. Egli sostiene che sia la “rete 27

liquida” quella che offre l’ambiente più accessibile per l’emergere di nuove configurazioni, in quanto è abbastanza instabile da permettere lo scontro casuale delle molecole, ma non così tanto da distruggerle in un istante. Si parla dunque di legami deboli, già menzionati da Malcom Gladwell ne Il Punto Critico, che permettono alle informazioni di viaggiare in modo più efficace. Se Achille Castiglioni affermò: “Se non siete curiosi, lasciate perdere” allora probabilmente si riferiva a tutte quelle reti e piattaforme con cui interagiamo ogni giorno: fare una passeggiata, commettere errori, seguire i link e lasciare che gli altri sfruttino le nostre idee, ecco allora da cosa le nostre grandi idee possono prendere vita.


28


DESIGN BREVETTI E CREATIVITA’ ITALIANI

Ci sono diversi tipi di brevetti, diverse sfumature. La mostra ha girato e venne portata anche all’EXPO di Shangai nel 2010. Tutti gli oggetti del design italiano hanno un brevetto di invenzione depositato. Il Marralunga di Magistretti per Cassina fa parte di questa mostra e ricerca. Il geco di Caimi è un sistema brevettato. Gli imprenditori sono anche loro designer, negli anni ’50 viene depositato il primo brevetto della moka Bialetti. Parlare di brevetti è interessante per capire come cambiano le forme e i tipi di oggetti. La tazzina della Illy è disegnata apposta per essere una tazzina anonima, è stata usata poi come pagina bianca da dare a molti grafici, pagina bianca da riempire con vari contenuti, creata da Matteo Thun. Era ben progettata, da produrre a livelli industriali. La schiscetta era il Tupperware degli anni ’50. Caimi applica la chiusura dei camion ad una ciotola in sostanza e crea un mercato. Anche gli oggetti ‘anonimi’ come ad esempio la Coccoina, 29

caratterizzata dal profumo di mandorle. E’ una colla nata negli anni ’30, preparata con una composizione di cui faceva parte anche la mandorla. Il pennellino ne permetteva l’utilizzo. E’ anche questa un brevetto. La pinzatrice Zenith è un brevetto. Il brevetto non è solo legata con il design degli anni ’50, ma è anche legato alle invenzioni di persone non famose, si potrebbe fare una storia delle invenzioni. La Zizi di Munari: si voleva evitare che il bambino si pungesse con il filo di ferro che poteva bucare la gomma piuma, per questo motivo è ricurvo. Quindi anche i giochi sono brevettati, anche oggi. Anche la bottiglietta del Campari è uno dei primi esempi di food packaging. La clavetta della San Pellegrino con la texture a buccia d’arancia per fermare i residui d’arancia durante il consumo. Quello che sostiene Jhonson è che le idee devono circolare, le grandi invenzioni derivano da fenomeni in un clima di libertà. Da uno stato di cose molto aperto, liquido dove l’dea si


produce. Impedire che le idee circolino è come togliere ossigeno alla produzione delle idee in generale. Ad un certo punto alcune aziende come ad esempio la Apple, la Nike, hanno iniziato ad aprire i confini, gli conviene l’open source. L’innovazione è per tutti, c’è una condivisione delle idee, sono idee a confronto. Non dobbiamo costruire un economia sui brevetti, le idee devono circolare liberamente. Parla della cultura e della diversità.

30


31


LA CODA LUNGA Da un mercato di massa a una massa di mercati Chris Anderson

Stiamo passando dal mondo della “scarsità” al mondo dell’”abbondanza”, ecco come viene definito il passaggio dal mercato di massa ad uno formato da milioni di nicchie. Per capire al meglio il mondo dell’abbondanza è utile osservare la curva della domanda di oggi, nella quale il primo elemento che salta all’occhio è la testa, ovvero la parte di curva riferita alla vendita delle hit in contrapposizione alla coda lunga, relativa alla vendita dei prodotti di nicchia. Nella coda lunga si può trovare di tutto. Tramite Internet i mercati si sono ampliati e, cosa più importante, ne sono nati di nuovi che hanno permesso ai prodotti di nicchia di competere con le hit. Sta tutto nella scelta, essa si è ampliata portando ad un cambiamento percepibile e grazie al web, oggi il mercato invisibile è diventato visibile. Si sono, quindi, venuti a creare dei nuovi prodotti di nicchia per amatori, quali blogger e video maker, nati per questa nuova accessibilità di mezzi di produzione e di

distribuzione digitale. Siamo immersi in un mondo fisico che pone dei vincoli, ma oggi, tramite il web, è possibile eliminarli accedendo alle porte di scaffali infiniti, gratuiti, dove non esiste più il problema dello spazio in cui ci si trova. Oggi, offerta e domanda non sono più legate alle nostre culture, ma è possibile arrivare facilmente a ciò che ci interessa grazie ai filtri di ricerca di motori come Google, o grazie ai passaparola che avvengono tra gli individui. Ecco allora cosa accade alla base del fenomeno della coda lunga: la democratizzazione dei mezzi(il personal computer), il taglio dei prezzi al consumo grazie alla democratizzazione della distribuzione data dal web ed il collegamento tra offerta e domanda, costituiscono i tre elementi il cui risultato è rappresentato dall’appiattimento della curva con conseguente spostamento del centro di gravità verso la coda. Questi prodotti di nicchia hanno iniziato a diffondersi con la nascita dei primi supermercati, dove la possibilità di scelta dei prodotti era infinita, l’introduzione dei numeri verdi 32


gratuiti, da cui prese il via lo shopping da casa e infine la nascita dell’e-commerce sulla rete agli inizi degli anni novanta. I venditori oggi si stanno spostando sempre di più verso la coda lunga; si può parlare di “rivenditori ibridi”, che vendono online beni fisici, offrendo comunque un catalogo più vasto di quello dei negozi ma allo stesso tempo finito; a differenza dei “rivenditori digitali puri”, i quali rendono disponibili beni digitali infinitamente, dall’economia di puri atomi a un ibrido di bit e atomi, fino al regno ideale dei puri bit. In un mercato a coda lunga è molto importante distinguere il segnale e il rumore, ovvero tra ciò che è qualità e ciò che non lo è; ma la qualità è soggettiva e bisogna che ci siano compromessi affinché una cosa vada bene a tutti, per questo i filtri ricoprono un ruolo sempre più importante. La quantità di prodotti e servizi sta progressivamente aumentando e sapersi muovere trovando ciò che più ci interessa risulta estremamente difficile; per questo la funzione 33

dei tastemaker sta assumendo un ruolo sempre più rilevante più, attraverso sondaggi online, blog e forum. Questa dinamica dà vita a un passaparola amplificato che produce lo stesso effetto della pubblicità, quanto a creazione della domanda, ma a costo zero. Ma troppa scelta provoca oppressione e solo se ordinata correttamente risulterà positiva e liberatoria, dunque il mercato deve poter offrire qualsiasi cosa ma allo stesso tempo deve aiutare il consumatore a trovarla. Nonostante si sia passati da una cultura dell’”or” ad una dell’”and”, e la curva della domanda si stia livellando, oggi l’attenzione del pubblico si è spostata dalla televisione al web, come dalle hit alle nicchie; le prime comunque non spariranno ma noi saremo sempre più presenti nel crearle e nel tentare di portarle “in cima alla classifica” e potremo avere accesso a molti più prodotti e servizi potendo cosi soddisfare i bisogni infiniti dell’uomo, differenti da individuo ad individuo.


COMMENTO: Oggi, Il così detto “potere del passaparola” ha assunto un significato diverso rispetto a qualche anno fa, grazie alla nascita ed allo sviluppo delle reti e del web. Tramite esso abbiamo accesso ad un’infinità di informazioni e capita che molte di loro cerchino di contagiarci anche senza un nostro ruolo attivo nel ricercarle. Probabilmente tutte queste informazioni che ci circondano oggigiorno sono in eccesso, e questo rende più difficile riuscire a fare in modo che un messaggio faccia presa su di noi; M. Gladwell ne “il punto critico”, lo definisce come un fenomeno di clutter (congestionamento). l’”Effetto boccione dell’acqua” di cui parla Anderson, in cui tutti durante la pausa pranzo si scambiano impressioni sugli stessi argomenti è molto meno interessante che scambiarsi impressioni o consigli su cose nuove da fare e da vedere, ampliando così ogni volta le proprie conoscenze; torna così l’importanza del passaparola per scatenare la diffusione di un prodotto o

servizio, anche se si dovranno fare sicuramente i conti con l’impossibilità di fare e vedere tutto, a causa dell’offerta in aumento rispetto al tempo a disposizione, che sempre meno ci rimane per approfondire i nostri interessi e le nostre passioni. Attraverso i diversi filtri di ricerca di Google e le condivisioni, o gli apprezzamenti sui social network che ogni giorno, ormai inconsciamente facciamo, forniamo informazioni riguardanti noi stessi e i nostri gusti; ne è un esempio il fatto che dopo aver cercato un libro su Amazon, le successive schermate pubblicitarie che appaiono a fianco alle ulteriori ricerche riportano tale libro e altri che “potrebbero interessarci”, fenomeno che riguarda molti altri siti. Questa constatazione da un lato è positiva perché permette ai prodotti di nostro interesse di raggiungerci, senza lasciare a noi l’arduo compito di orientarci in mezzo a una moltitudine di prodotti, ma dall’altro è quasi angosciante pensare alla quantità di 34


informazioni
che rilasciamo senza il nostro consenso. “In un mondo dalla scelta infinita, è il contesto e non il contenuto a farla da padrone”, anche il contesto nel quale ci muoviamo sul web deve essere quindi ben organizzato e strutturato in modo tale da non opprimerci durante la nostra navigazione sempre più frequente.

35


36


DOVE E COME SI ESPONE IL DESIGN

Differenza tra museologia e museografia; la prima si occupa di struttura e contenuti la seconda, di allestimento. Il termine museotecnica invece, viene usato per dare prescrizioni precise. Esistono due forme di allestimento che vanno intese prettamente in termini estetici; La prima viene definita la “camera delle meraviglie” basata sul tutto pieno mentre la seconda, ha come riferimento un’impronta classica, lavora sul vuoto ed è stata decodificata come modulo che prevale fino a oggi. Un esempio è il museo del Victorian Albert dove venivano esposti oggetti che venivano usati come modelli di esercizio e modelli da seguire (modello di camera datata) utilizzando un metodo narrativo per raccontare la storia. Nell’800 la Pinacoteca di Berlino: raccolta, modello classico con le suittes è la rappresentazione di un modello centrato sull’ordine. A Monaco invece, nell’edificio voluto da Ludwing è presente un esempio di museo con un coinvolgimento di senso totalizzante dell’individuo 37


(collezionare e mettere insieme oggetti eterogenei). Ancora nel 1920, al Moma, il primo direttore Alfred B. era stato lasciato libero di allestire insieme tutte le collezioni e la prima cosa che risalta è che si fece fotografare di fianco a tanti oggetti diversi tra loro dalla sedia liberty, alla macchina Olivetti da elementi del cinema a elementi del teatro ed emerge che egli era come se si divertisse a diventare opera. Alfred è un grande appassionato delle avanguardie ed è un grande sostenitore del modernismo e per lui c’è dentro anche il design e tutte le manifestazioni delle avanguardie. Alfred era solito fare diagrammi, e il suo più famoso divenne un’icona e sintetizza in maniera esatta la sua idea dell’arte del periodo, la cosa interessante è che lui mette al centro del suo schema l’estetica della macchina, il macchinismo, in corrispettiva degli anni ’10, poi crea dei collegamenti che vanno ad avanguardie generate dal cubismo, dall’altra parte lo lega al Bauhaus. Dopo l’apertura del Moma sono state tre le mostre decisive:

-1932: Hichcock, Bar e Johnson fanno la mostra International style che sdogana l’universo estetico legato all’architettura. -1934: Machine art, mostra che Bar avevo coltivato nella sua immaginazione. -1936: Abstract art, mostra legata ai diagrammi sopra citati. -1938: Al Moma, mostra legata al Bauhaus dove il protagonista principale è Gropius con il Der Stijl. Queste mostre sono importanti dal punto di vista dell’allestimento perché Bar ne ha dato una guida moderna diventando il padre dell’allestimento; Egli introduce il cartellino e abbassa l’altezza dei quadri per portarli alla Nella mostra del ’36 sono presenti e vengono appese come nella cultura europea, le sedie di Marcel Breuer. Nella mostra del ’34 invece, essendo Bar un conoscitore delle avanguardie pensò, di esporre degli oggetti prettamente industriali che avessero un estetica mirata alla produzione industriale e alla meccanica. Questo modello espositivo anticipa quello che negli anni ’70 verrà definito 38


come “white cube”, un modello esposto da un teorico chiamato Odorti il quale, nel ’76 scrive che tutte le gallerie d’arte devono assumere un certo tipo di allestimento ovvero, senz’ombre, bianco, pulito e artificiale. Questo modello che con il tempo è diventato commerciale e dove tutti gli oggetti sembrano assumere una sorta di aurea magica. Dunque il design entra nel mondo moderno attraverso il Moma e l’arte. Le mostre al Moma degli anni ’40 si dedicano ad un design più commerciale, si deve divulgare la cultura del Good design, il legame tra merce e consumo. Un esempio è la mostra del 1949 dove Max Bill, artista a Basilea fa una mostra simile a quelle del Moma criticando il consumismo americano. Era presente un allestimento di 80 pannelli con delle fotografie. La mostra era concepita attraverso le immagini. Successivamente il design subisce un periodo di decompressione, negli anni ’80 esso viene reinserito e riconcepito all’interno del mondo dell’arte. 39

Siamo all’interno di un modello completamente differente rispetto a quello del white cube, dove gli oggetti vengono presentati in modo diverso con un contributo di semiologi. Cambia l’idea di cosa sia oggetto e cosa invece, sia merce. Un esempio è sicuramente Design miroir du sieclè, mostra francese con un allestimento caotico e confusionario. Nel ’88 Jan Noveaul realizza una mostra dedicata agli anni ’50, impostata con un taglio ben preciso e dove la confusione viene identificata come all’interno di un grande magazzino. Negli anni ’60 viene introdotto un altro tema, quello della storicizzazione ovvero il recupero del design degli anni precedenti. In conseguenza avviene una fusione dei vari musei di design, nel 1989 Vitra appare a Londra al design museum. Sono a questo punto presenti più categorie: La prima il cui modello è quello rappresentato dalla white cube e nel quale si parla di oggettività. Lavora sul lato più visivo e contemplativo,


40


un’ordine attraverso la ripartizione, totalizzazione ottica dell’oggetto (es: mostra sul design real, mostra black and squere dove gli oggetti sono simbolici e neri, essenziali, la modalità utilizzata è quella tipica delle avanguardie, e mostra di Gricich a Chicago dove gli oggetti sono rappresentati insieme a delle fotografie e dove il tema è quello della neooggettività). La seconda è quella che prende come esempio il Victorian Albert degli anni 2000; Un contenitore molto ampio dove la modalità è quella della narrazione e dove c’è relazione tra gli oggetti. Qui si accetta la performance dove l’atteggiamento è più psicologico e narrativo, emozionale e la mentalità si avvicina a quella della period room (es: mostra “Ospiti inaspettati”, tema della comparazione e della decontestualizzazione, mostra “Infinitum”, dialogo tra contesto e oggetto). Questa modalità narrativa la troviamo nelle mostre di design di questi ultimi anni, esempio, “The new italian design” nel 2007. La mostra racconta la storia servendosi di 41

un nastro trasportatore. La modalità della terza categoria è quella che lavora sull’exhsibit ovvero il contenuto che viene messo in mostra. Non è importante solo l’oggetto che metto in mostra ma anche il modo in cui esso è inserito nel contesto e ciò che racconta. Oggi questo è importante perché attraverso l’uso delle tecnologie questo fattore risulta essere semplice. Qui le mostre sono legate all’esperienza e si pongono il problema di risultare anche didattiche. Ne è un esempio Keniara con la mostra senseware, voluta dagli industriali giapponesi che producono fibre artificiali. Gli oggetti vengono inseriti in un contesto che non è quello prettamente del museo o della mostra ma si inserisce all’interno di contesti differenti.


SALONE DEL MOBILE 2014, FUORISALONE

Anche quest’anno Milano ha ospitato, dall’8 al 14 aprile, il Fuorisalone o Design Week, il quale, insieme al Salone del Mobile, rappresenta uno degli eventi più importanti al mondo legato al tema del design. Il fuorisalone, durato 6 giorni e sviluppatosi nei quartieri di Milano Brera, Lambrate e Tortona, oggi è l’evento a cui partecipano la maggior parte di operatori del settore: architetti, designer, produttori e studenti da tutto il mondo, poichè esso, oltre ad essere un evento totalmente gratuito, permette ai giovani designer di farsi conoscere al pubblico e ai designer affermati di confrontarsi e dialogare con i colleghi. Milano Brera, il quartiere milanese del design per eccellenza, in occasione dei giorni del Fuorisalone ha aperto le porte delle sue botteghe, degli showroom più prestigiosi e di spazi temporanei, alle persone curiose di scoprire questo angolo nascosto di una Milano fuori dal tempo. Brera Design District nasce nello storico quartiere milanese di Brera, luogo che da secoli fornisce un

contributo fondamentale alla vita culturale, artistica e commerciale della città. Quest’ultimo ha l’obiettivo di comunicare Brera come punto di riferimento per il design milanese, un’operazione di marketing territoriale che, attraverso un sistema di comunicazione dedicato alla promozione delle eccellenze e dei punti di forza attivi sul territorio, intende arricchire la proposta culturale del quartiere in grado di unire tradizione e innovazione nel campo diffuso del design. Brera è un luogo ricco di fascino e di cultura, un mondo abituato a precorrere le tendenze, dove arte, moda e design si intrecciano. Altro fulcro importante di questa edizione del Fuorisalone e personalmente il mio preferito, è stato il quartiere di Lambrate, il quale rappresenta un distretto del design all’avanguardia, e che ha ospitato i lavori di creativi di fama internazionale e allo stesso tempo prodotti di studenti provenienti da tutto il mondo. Dal 2010, data in cui il quartiere Lambrate si è aperto per la prima volta al pubblico 42


del Fuorisalone, una selezione di esordienti e affermati designer, accademie, istituzioni, aziende e brand, hanno la possibilità di presentare le loro creazioni qui, in un circuito di design autorevole e professionale della Milano Design Week. Giunto alla sua quinta edizione, Ventura Lambrate focalizza la sua attenzione sull’essenza del design e sulla crescente capacità dei progettisti di espandere i propri confini per la ricerca, l’auto-produzione e l’interesse per i settori freschi. Mostre provenienti da tutto il mondo attraversano i vari spazi e luoghi dentro e intorno le strade di ‘Lambrate’, una vivace zona di transizione tra urbano e industriale nel nord-est di Milano. Il terzo ed ultimo quartiere milanese adibito alle mostre del Fuorisalone è stato quello di Tortona, più classico rispetto alle esposizioni innovative di Ventura Lambrate, resta comunque affascinante e suggestivo. Qui si ha una maggiore concentrazione di grandi marchi, si vede poco l’autoproduzione, è più presente l’industrialità del 43

mondo del design. Spettacolari installazioni e allestimenti hanno decorato la maggior parte degli edifici nella zona di Tortona. L’impostazione generale degli showroom rimane come quello delle prime edizioni del Fuorisalone, l’impressione è quella che le persone vengano attratte più dai gadget e dagli aperitivi gratis piuttosto che dai nuovi prodotti. Uno degli showroom che ho preferito è stato “MOTIF design il salotto del mobile”, gestito da ragazze neo laureate, specializate in ambiti diversi che cercano di unire e far incontrare operatori del settore per fare nascere delle eventuali collaborazioni. Ambiente molto rilassante e stimolate, si potevano osservare progetti creati dalle stesse organizzatrici del salotto,in collaborazione con altri designer. Ho trovato molto interessanti anche i lavori allestiti da studenti di università straniere, in questo modo mi sono potuta confrontare ed aprire un dialogo con dei miei coetanei per capire il loro punto di vista per quanto riguarda il design.


44


IL VETRO

Il vetro è un ambito variegato. La sede storica del vetro artistico è Murano anche se è un distretto ridotto rispetto al Veneto in generale. Tutti gli artefatti si devono considerare uguali nel metodo ma differenti nella distribuzione. Design non è ciò che è seriale. Il vetro è spesso inquadrato nell’ambito delle arti applicate. Nel 1921 la produzione del vetro viene spostato da Venezia a Murano per motivi di sicurezza e per proteggere quest’arte. La mentalità rimane ancora molto radicata. Si inizia a parlare di design nel vetro con la nascita della Venini che viene fondata nel 1920 con l’unione del milanese Venini con la collaborazione di Cappellini. Questa azienda tra le due guerre con Ponti inizia delle collaborazioni. Negli anni ’30 il vetro è di un certo interesse per le arti applicate, alcuni lavori vengono quindi esposti nelle Triennali e nelle Biennali. L’azienda Venini è innovativa perché porta la sperimentazione nelle fornaci. Nella produzione del vetro i colori vanno dal chiaro per diventare sempre più scuro. 45

La produzione è programmata a livello organizzativo e il designer ne deve tenere conto. Massimo Vignelli per Venini nel 1962 vince il Compasso d’Oro. Nel 1966 Tapio Wirkkala produce la famosissima serie ‘Bella’ ed è rappresentativo del minimalismo finlandese. Venini crea oggetti più tradizionali e d’illuminazione. L’azienda Carlo Moretti nasce nel 1958, ha scoperto solo più avanti le collaborazioni con i designer, collabora poi con un giovanissimo Gaetano Pesce. Se negli anni passati la Carlo Moretti produceva ‘Carlo Moretti’ ora i ruoli dei contributi vengono specificati, come ad esempio da chi è stato disegnato, prodotto ed eseguito. Vinicio Vianello ance nel 1923, con una base di formazione artistica sperimenta con le ‘varianti’ dei vasi, la produzione non è seriale, quindi gioca con le forme, vince poi il Compasso d’Oro. Vianello produce il soffitto di poliedri ottagonali in vetro per la Rai seguendo la tendenza anni ’70 di giocare con le installazioni luminose. Nel 1985 Venini muore e viene sostituito dal genero Ludovico


Diaz de Santillana che ipotizza di ideare la produzione semiautomatica. Egli fonda con il fondatore della Flos un’azienda che produce elementi modulari di vetro, distaccandosi dalla produzione classica.

46


DESIGN CONTEMPORANEO

47


ANNI ‘90 E DESIGN CONTEMPORANEO

The british new wave, una delle dimostrazioni più interessanti degli anni ’90. Una sorta di rivoluzione estetico-culturale in cui figure come Jasper Morrison saranno i nuovi protagonisti. Da un lato è presente una grande attività londinese con uno sguardo all’Italia e dall’altro lato emerge l’Olanda con il design di ricerca. Il design non è più una cosa universale ma si cominciano a utilizzare termini e categorie linguistiche specifiche che servono al designer per la ricerca. Sono presenti nuovi metodi di classificazione, si comincia a parlare di trend, di filoni. Es: Tom Dixon, designer imprenditore che capisce che può crearsi da sé la propria azienda; Egli proveniva dal mondo dell’arte e da lì comincia a interessarsi e a lavorare nel mondo del design iniziando ad autoprodursi. Rompe dunque gli schemi del design fin ora concepito, introduce una linea più leggera e scultorea, un modo diverso di approcciarsi alle cose. È definito come capostipite del ritorno al new Pop, al colore

con “Jack in the box”; Uno sgabello con una luce all’interno che gli portò fortuna. Un altro protagonista di questi anni è Ross Lovergrove, un gallese con una attitudine innovativa, supernatural e un riferimento al redesign di una delle sedie di Newson. La ricerca di una organicità. Ancora Gricich, che da Monaco aveva una grande competenza nel campo del legno, etichettato come minimalista ha avuto come mentore Jasper Morrison. Un altro è sicuramente Ron Aarad con One off come modo di etichettare il design art. Realizza poltrone in acciaio, successivamente incontra Vitra e sarà li che comincerà il suo vero percorso da designer. È interessante come riesce a portare la sua ricerca a un livello di prodotto industriale, non più pezzi unici (es: libreria Brookwarm). Interessante anche il concetto di artisticità, ripreso nel 2000 da un’azienda avanguardista con una seduta in velluto ed un ritorno al discorso del pezzo unico. Il design di Mark Newson invece 48


è il più interessante in quanto comprende diversi campi Egli possiede un suo linguaggio fatto di organico con elementi rappresentanti il passato (design streamline). L’uso di nuovi materiali (corian) nei quali la componente estetica è legata al colore. Un’altra visione è quella olandese, nel ’92 si forma il Drug design: filone più sperimentale. Drug, formata ad Amsterdam, acquista sempre maggior notorietà. Loro volevano ripartire da zero, volevano fare un design riprendendo i temi del riciclo e dell’ecologia. C’è un rifiuto del formalismo, un uso di una modalità che accomuna le cose più diverse (assemblaggio), uno sguardo alle modalità dei Castiglioni. Operazioni di dry design (Marcel Wanders) , mondo legato all’originalità. Design accademy di Endoven (1999-2008), Li Edercort trasforma la scuola e introduce una modalità più legata alle idee e al concept. Viene introdotto il silicone come nuovo materiale. Marcel Wanders come Tom Dixon, diventa un imprenditore e 49

comincia ad autoprodursi disegnando pezzi per Cappellini. Poi entra in una fase sperimentale dove si concentra sulla lavorazione dei materiali. Da cappellini in poi l’uso del design “straniero” diventa regolare in Italia, siamo negli anni ’70-’80 e le fabbriche del design italiano si riprogettano in funzione proprio al design straniero (un esempio: Driade). Il design francese invece, svolge un’operazione di promozione dei priopri designer, finalizzando alcuni progetti. Presente anche una generazione post Starck, con una ricerca sulle radio. Dopo gli anni ’80 c’è una sorta di ritorno all’ordine con la fondazione del movimento utilisien international: utilità e funzione. Si ritorna ad una atmosfera più composta, si smette di lavorare a stretto contatto con il bacino dell’arte. Dopo gli inglesi e gli olandesi ci sono i francesi interessante per le proposte che offrono (Ora Ito che ha giocato sulla componente lacker ovvero render scambiati per prodotti reali come ad esempio lo


50


zainetto vouitton). Nuove fasi di progetto, facilitate dall’uso dei software. Mattew Lehanneur si interessa di innovazione ma anche di temi più difficili e scientifici (ne è un’esempio il purificatore per l’aria). In Germania è presente Gricich, un design minimale destinato a pezzi unici per le gallerie, successivamente si dedica a forme più geometriche realizzando texture interessanti. Come spunto egli prende riferimento dal mondo dello sport. Stefan Diaz, allievo di Gricich, lavora per thonet. In Germania dopo la chiusura della scuola di Uhlm, necessitava di uscire dall’idea di design tecnico. Se la Germania aveva bisogno di allontanarsi dal design tecnico, la Svizzera e il design scandinavo ha bisogno di allontanarsi da una tradizione prettamente “scandinava” (IKEA, Alvar Aalto). Sono questi gli anni delle generazioni Rayan Air ovvero, del basso costo dove è semplice spostarsi da un paese all’altro e di conseguenza anche le idee viaggiano più facilmente. 51

Si parla quindi di un design mondiale e non legato solo ad una sola area geografica, internalizzazione di linguaggi.


LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Come il “potere laterale” sta trasformando l’energia, l’economia e il mondo. Jeremy Rifkin

La nostra civiltà è a un bivio, il petrolio e gli altri combustibili fossili sui quali è basato lo stile di vita nei paesi industrializzati, si stanno esaurendo e le tecnologie sono obsolete. L’aumento del prezzo di tali combustibili e quindi di tutto ciò che dipende da essi, ha dato inizio ad una crisi economica; ma vi è un debito molto più difficile da risanare, l’entropia, che minaccia un catastrofico cambiamento climatico se non si limiteranno drasticamente le emissioni di CO2. Sulla base di queste riflessioni Rifkin evidenzia la necessità di un nuovo paradigma economico e sociale, che ci guidi verso un’era post carbonio, ed introduce quindi la Terza Rivoluzione Industriale. Da sempre le grandi Rivoluzioni economiche sono avvenute con il convergere di nuove tecnologie di comunicazione e nuovi sistemi energetici; oggi Internet e le energie rinnovabili devono fare lo stesso. Si avrà inoltre un allineamento continentale, similmente alla Pangea, che porterà ad un unico continente

globale, progettato questa volta dall’uomo, attraverso la condivisione di energia che funzionerà come la rete Internet, favorendo economie e unioni politiche continentali rispetto a quelle globali. La TRI sta inoltre dando vita ad un riallineamento politico, numerosi esponenti di differenti partiti politici sostengono in egual modo la green economy e la gestione dell’energia; anche i paesi con ingenti risorse di idrocarburi si stanno muovendo gradualmente verso le energie verdi. I giovani giocano oggi un ruolo importante in questa battaglia, le nuove generazioni entrano da subito a far parte di una comunità globale, identificata nei social network ed enfatizzano per questo i comportamenti collaborativi e le relazioni alla pari; il loro atteggiamento sta portando le ideologie verso l’estinzione e grazie alle nuove tecnologie acquistano fiducia in se stessi schierandosi contro il potere verticale e accentrato che sta alla base del capitalismo moderno, come le risorse d’elite che sono concentrate solo in alcune zone. 52


53


Ciò evidenzia una transizione dal potere gerarchico a quello laterale, spinto anche dalle energie rinnovabili, che invece si trovano distribuite ovunque. Per far si che le persone sviluppino una mentalità adatta alla TRI è necessaria una ristrutturazione della teoria economica classica e del sistema educativo, che ci permettano di recuperare le nostre originarie abitudini di collaborazione e condivisione andate perdute in seguito alla precedenti Rivoluzioni Industriali. Il nuovo modello educativo dovrà rendere possibile un apprendimento diretto e pratico per l’acquisizione di competenze necessarie all’emergente economia verde; è inoltre necessario un riavvicinamento alla biosfera e uno sviluppo di una coscienza biosferica. L’uomo ha cominciato a distaccarsi dal mondo naturale con la civilizzazione, intesa come liberazione dalla “bruta” condizione animale ed oggi, nelle città sempre più urbanizzate e tecnologiche, il contatto con la natura e le creature animali è in progressiva diminuzione, così

come è avvenuto un allontanamento dell’uomo dalla ciclicità della terra legata al proprio orologio biologico. La Terza Rivoluzione Industriale rappresenta l’interregno tra l’ultima fase industriale e la prima fase di un’emergente era collaborativa che darà importanza al capitale sociale, alla partecipazione e a domini collettivi contrapposti ai valori della disciplina, dell’autorità, del capitale finanziario e della proprietà privata, tipici di quell’era industriale dalla quale stiamo uscendo. I cinque pilastri della TRI, (il passaggio alle fonti di energia rinnovabile; la trasformazione del patrimonio immobiliare esistente in impianti di micro-generazione per raccogliere in loco le energie rinnovabili; l’applicazione di idrogeno e altre tecnologie di immagazzinamento dell’energia in ogni edificio ed in tutta l’infrastruttura, per conservare l’energia intermittente; l’utilizzo delle tecnologie Internet per trasformare la rete elettrica di ogni continente in una inter-rete per la 54


condivisione dell’energia che funzioni proprio come internet; la transizione dei veicoli di trasporto pubblici e privati, in veicoli plug-in e con cella a combustibile che possono acquistare e vendere energia attraverso la rete elettrica continentale interattiva)formano quindi l’infrastruttura di un nuovo sistema economico che può farci entrare in un futuro verde. COMMENTO: Ciò che differenzia questo momento storico dagli altri che hanno anticipato le precedenti rivoluzioni industriali, è la crescente probabilità di una sostanziale mutazione della temperatura che potrebbe innescare un’estinzione di massa di specie animali e vegetali e con questa, la possibilità molto reale di una scomparsa anche della nostra specie. Come viene descritto nel libro di Joshua Cooper Ramo, “il secolo imprevedibile”, il mondo cambia, ogni giorno più rapidamente e verso direzioni sempre meno prevedibili. Percepire questo cambiamento, accettare l’idea che la realtà è un sistema complesso in 55

continua evoluzione, dove sempre più spesso ciò che sembrava impensabile diventa inevitabile, è oggi la sfida più importante. Per spronare il lettore a contribuire alla realizzazione di questa inversione di paradigma inevitabile, Rifkin lo mette di fronte ai cambiamenti principali che avverranno nella società come la conosciamo oggi. Oltre all’economia e all’istruzione, anche il lavoro andrà ripensato; oggi sempre più macchinari automatizzati svolgono le mansioni di milioni di persone, che a loro volta si trovano disoccupate. Ciò comporta una “liberazione della specie umana dalla fatica di procurarsi i mezzi di sostentamento” come affermerebbero i filosofi, “permettendo così allo spirito di levarsi e percorrere le vaste e inesplorate frontiere della socialità”. Quest’ affermazione è molto significativa, in quanto identifica come una sorta di fine ultimo dell’uomo, l’atto della socializzazione. Forse significa che in futuro dovremo condividere sempre più anche il lavoro o il modo stesso di lavorare.


Noi progettisti dovremo occuparci della “riprogettazione” del nostro stesso lavoro e contribuire a sensibilizzare la società che ci circonda; a questo proposito trovo opportuno citare il ricercatore spagnolo Nacho Zamora e il suo progetto Solar artworks; Zamora ha raccolto nel sito web www.solarartworks.com un elenco dei più importanti artisti al mondo e delle loro opere, tutte realizzate con un unico scopo: rendere più consapevole la comunità dell’importanza delle energie rinnovabili, in particolare l’energia solare. Una delle più sorprendenti è sicuramente Dancing Solar Flowers dell’artista belga Alexandre Dang, che ha realizzato una coloratissima foresta di fiori artificiali che si muovono oscillando grazie all’esposizione ai raggi solari. Credo sia interessante come esempio anche per comprendere come le nuove tecnologie, in questo caso la creazione di un sito internet, possano aiutare in questa sensibilizzazione. Il terreno ancora fertile dove dovremo seriamente iniziare ad

operare, è rappresentato dai paesi del terzo mondo, dove le due precedenti rivoluzioni industriali non sono quasi state percepite e dove le persone sono pronte ad essere maggiormente sensibilizzate verso uno stile di vita sostenibile. Un esempio che ho trovato interessante è quello della città di Masdar, nel paese di Abu Dhabi, che sarà un centro urbano in mezzo al deserto degli Emirati Arabi, interamente alimentato da energie rinnovabili, contrariamente alla vicina Dubai che rappresenta il culmine del modello occidentalizzato. Si potrebbe cercare di progettare nuovi artefatti, distaccandoci da quelli già esistenti ai fini di una determinata funzione e pensare di reinterpretarli in chiave sostenibile e all’interno di una società collaborativa. Credo sia molto più coscienzioso e importante per un progettista soddisfare tali bisogni, piuttosto che ricercarne ogni giorno dei nuovi e a volte futili, all’interno di una società che ha già tutto, anzi troppo. 56


LEAF HOUSE Loccioni e l’energia verde di Rifkin

La foglia da una parte, un laboratorio chimico a energia solare e la casa colonica marchigiana dall’altra: “green” allostato puro. Non a caso si realizza nelle Marche, regione capace di far convivere tradizioni rurali e sviluppo industriale a dimensione umana. Si chiama Leaf house, la casa come una foglia, che produce la sua energia da fonti rinnovabili. La Leaf recupera saperi secolari (la tradizione del podere, dove nulla si sprecava e tutto era integrato, i muri erano spessi per l’isolamento termico e l’orientamento era pensato per soleggiare la casa). E li coniuga a sistemi moderni come i pannelli fotovoltaici, una mini centrale idroelettrica con un salto d’un metro (che permette di soddisfare i bisogni di 60 famiglie ma anche il recupero e trattamento delle acque). E dopo la casa con sei appartamenti, la sfida si sposta alla Leaf Community: scuola (coi pannelli solari sul tetto), mezzi di trasporto (a idrogeno o elettrici), luoghi di lavoro. È un vero 57

laboratorio quello che ha creato nei pressi di Ancona la Loccioni, azienda specializzata da 40 anni nella misura e nel controllo qualità per imprese leader mondiali nei settori auto, elettrodomestici, ambiente, sanità. Due appartamenti sono già abitati, spiega Enrico Loccioni: «Ci sono una serie di centraline, sensori, indicatori che ci forniranno parametri in termini di comfort, consumi, energia prodotta da sole, aria, acqua. Sostenuto da un network di aziende eco-intelligenti (Whirlpool con gli elettrodomestici della sua Green Kitchen capaci di risparmiare il 30 per cento di energia, Ikea con mobili economici da materiali di riciclo, Guzzini con luci a basso consumo, e altre), Loccioni è convinto del suo obiettivo: dimostrare che si può fare. Perché, nonostante molte miopie politiche, questo progetto sembra un’iniziale concretizzazione dello scenario descritto da Rifkin nella Terza Rivoluzione Industriale.


58


NUOVE CONDIZIONI PER UN DESIGN CONTEMPORANEO

Design come fenomeno che si manifesta in diversi modi, design plurale. Non bisognerebbe avere una lettura formalistica, la logica va combattuta, bisogna quindi immaginare un altro mondo, si parla dunque di design a 360°, di design come processo dove la forma è solo un aspetto, design come lavoro collettivo progettuale e condiviso. Le storie di design oggi non dovrebbero raccontare solo il design riferito agli architetti. Il design ha senso se coincide con il termine innovazione e noi come designer ci muoviamo attraverso mondi che spesso sono insondabili. Una volta si era soliti risolvere il design come binomio forma-funzione, poi è nato il valore simbolico del prodotto e si è cominciato ad andare oltre le condizioni dell’esistente. Ma come si declina l’innovazione? Andando a progettare in funzione dell’utente, in funzione di chi usa l’oggetto ma sempre ragionando all’interno di contesti e ciò significa che fare design a New York non è la stessa cosa che fare design a Dubai. 59


Bisogna dunque cambiare l’idea di design. A questo punto sono è importante definire due filoni in cui la storia del design si è sviluppata. 1851: Enry cole e l’industria, Morris e l’arte; 1914: Muthesius e l’industria, Van De Velde e l’arte; 1919: Gropius e l’industria, Itten e l’arte; Uhlm: Maldonado e l’industria, Bill e l’arte. Un’altra dicotomia è presente negli anni ’60 tra Good design e radical design, dove il primo anticipa il secondo nel quale, il design non collabora più con l’industria ma è contro di essa. Si parlerà quindi di Pop design (poltrona Sacco, poltrona Joe) e successivamente attorno al 1972 di Radical design, per poi arrivare a Memphis attorno agli anni ’80-’86. Se il design si trova contro l’industria allora diventa design dell’io quindi debole. Ma ormai questo mondo non esiste più, è finito oggi i riferimenti storici ci indicano che è avvenuto un cambiamento (Apple, la caduta del muro di Berlino, i mercati cinesi, …) quindi, mentre 60


Mendini dipingeva la poltrona Proust il mondo era già direzionato verso un’altra parte. Ovviamente in mezzo tra industria e arte è presente un ”autostrada” di gente che ha saputo attingere dall’arte ma nello stesso tempo ha collaborato, dialogando, con le industrie; ed è questa la strada che dobbiamo intraprendere. Per essere in grado di fare questo dobbiamo partire dalle origini, è importante l’indagine delle radici (è sbagliato definire la nascita del design italiano negli anni ’50). Il design italiano nasce a cavallo tra le due guerre mondiali con un rapporto tra progetto e arti visive (casa del fascia a Como, Terragni). Molto importanti sono gli anni ’30, gli anni degli occhiali Persol, della radiofonola dei Castiglioni, di Nizzoli, della moka Bialetti, del dirigibile e dell’idrovolante. Come si può parlare di Zanuso e della Brionvega se prima non si è analizzata la radiofonola dei Castiglioni o la calcolatrice di Nizzoli. Molto importante Pagano e il treno con lo stile aereodinamico e con il finestrino 61

continuo (1936). E poi va ricordato che negli anni ’30 si cominciavano a fare le automobili e che i designer italiani cominciavano ad andare all’estero come nel caso Cytroen. Sono dunque presenti due logiche, una è prettamente logica e rassicurata dal mercato, in direzioni di certezza e legata al marketing l’altra, è una logica di progetto dove ci si muove in condizioni di rischi. Negli anni ’60 viene messa in discussione la modalità del good design, una scelta di racconto progettuale che corrispondeva a un modello modernista in cui a una forma corrisponde una funzione; questione di necessità, risposta a dei bisogni. Ma allora qual è il compito dei prodotti? Saper stimolare i desideri. Il sistema delle merci si è spostata nella direzione di risposta a desideri elaborando un’economia simbolica, si lavora a un altro livello e allora il design diventa: 1) uno strumento di marketing oppure 2) uno strumento d’arte (makers), ovvero un’altra modalità di intendere il sistema produttivo complessivo costruendo un sistema di valori attorno al


prodotto. Il design viene anche inteso come radicale, si muove in una direzione che rifiuta il sistema economico. Quello che bisogna fare è ripartire dal processo e dal teamwork, relazione tra impresa e istituzione. Ad oggi bisogna fare i conti con nuovi strumenti: 1989: Entrata in un sistema globalizzato; 1991: Nascita di internet; 1994: Apple. Bisogna cambiare le modalità di pensiero, dobbiamo chiederci se oggi il prodotto ha ancora senso, dobbiamo ragionare in termini di accesso. Dobbiamo sapere chi siamo. Dobbiamo capire i nostri contesti, in modo da poter creare un’identità. L’omogeneità è un modello rassicurante di mercato. Noi ci muoviamo in una logica dove comanda il progetto. Noi ci muoviamo in una logica dove comanda il progetto. Noi non dobbiamo fare funzionare le cose, noi dobbiamo fare in modo che l’oggetto venga usato. Il nostro spazio è quello del progetto. Dobbiamo trovare degli elementi che ci aiutino a spiegare perchè non percorrere la solita strada. 62


IN THE BUBBLE Design per un futuro sostenibile. John Thackara

“In the bubble” è l’espressione usata dai controllori di volo quando tutto va bene e la situazione è sotto controllo, l’autore si serve di questa frase per farci capire quanto la società di oggi sia lontana dall’avere tutto sotto controllo. Il design deve muoversi per questo motivo verso progetti in cui tutti contribuiscano al risultato finale e non solo i progettisti, perché se siamo in grado di progettare modi per renderci la vita difficile, possiamo progettarne altri per risolvere i nostri problemi. La sfida verso la sostenibilità riguarda il disequilibrio di molteplici sistemi che interagiscono tra loro, il rischio è quello di un collasso catabolico nel caso in cui i rapporti tra i sistemi necessari alla sopravvivenza perdano la loro capacità di rinnovarsi. Si parla, dunque, di sostenibilità legata alle persone e non alle cose; sostenibilità significa quindi creare delle strutture per riportare la gente ad assumere 63

il controllo delle situazioni e non a rimpiazzarla con la tecnologia. Molti elementi costitutivi di un mondo sostenibile esistono già, dobbiamo essere in grado di captarli, spesso sono presenti in natura, nel passato o in precedenti soluzioni tecnologiche, bisogna combinarli tra loro come avviene per i REMIX, a formare nuovi prodotti o servizi che abbiano un impatto inferiore sulla biosfera. Perché ciò avvenga è necessaria un’efficienza delle risorse che presuppone che i prodotti siano intesi come strumenti per un dato fine, e non come un fine in sé; a riguardo si sta espandendo il principio dell’usare senza possedere, per il quale è sufficiente sapere come e dove trovare qualcosa che ci serve, senza doverlo necessariamente possedere. Bisogna incrementare l’informazione utile alla localizzazione delle risorse e al loro accesso, per far sì che la biosfera non debba sostenere il peso di ciò che non è necessario. Va quindi ricercata principalmente la leggerezza durante il processo progettuale.


L’ottanta per cento dell’impatto ambientale esercitato da prodotti e servizi viene determinato allo stadio progettuale, per questo c’è sempre più la necessità di progettare l’intero ciclo di vita di un prodotto,(come viene enunciato da Paolo Tamborrini in Design sostenibile, oggetti, sistemi e componenti), calcolandone il flusso di materia, energia ed emissioni in entrata e in uscita e andare così verso una progettazione del sistema prodotto che tenga conto di questa energia incorporata o embergy. Una delle ragioni per le quali non viviamo in un mondo sostenibile è data dallo scontro tra i diversi sistemi temporali, quello naturale percepito dal corpo e il tempo artificiale dei sistemi creati dall’uomo, che hanno portato all’aumento del ritmo della vita e a una conseguente velocità o meglio “accelerazione” richiesta nello svolgimento delle attività quotidiane; la progettazione non deve andare contro questo principio, ma piuttosto sostituire la parola veloce, con “più vicino” toccando anche il

problema legato alla mobilità, o puntare sulla “qualità” dei risultati e non sulla velocità con cui vengono raggiunti. Al fine della sostenibilità occorre una ri-localizzazione dell’attività economica, la geolocalizzazione è una soluzione che permette un’allocazione dinamica delle risorse in tempo reale. La visibilità dei consumi e dei danni provocati alla biosfera dalle nostre azioni ci renderebbe maggiormente consapevoli ed eviteremo alcuni sprechi. Il futuro procede nella direzione dello scambio di prodotti, servizi e saperi. Non esiste più un “progettare per” ma un “progettare insieme a”, per dare più valore alle interazioni tra gli uomini, piuttosto che ai processi e agli strumenti. L’attività umana ha bisogno di energia umana per funzionare bene. Il segreto per una buona progettazione è dunque includere sempre le persone. COMMENTO Il saggio di Thackara si rivolge a noi progettisti e lo fa cercando di indirizzarci verso 64


un tipo di progettazione sostenibile, ma soprattutto consapevole, sia dei problemi ambientali e sociali con cui ci troviamo ad avere a che fare, sia delle molte “distrazioni” progettuali in cui ci possiamo imbattere. Oggi si parla molto di condivisione e partecipazione, anche l’autore ne evidenzia l’importanza ai fini di ridurre l’impronta ecologica, ma il tipo di condivisione che si promuove oggi passa spesso attraverso mezzi digitali come i social network, senza incentivare la vera partecipazione che si svolge offline. Bisognerebbe invece creare vicinanza, incoraggiare la gente a riunirsi in uno spazio reale. Marc Augé in Nonluoghi, spiega come si incontrino sempre più spesso amici o persone anche nuove sul web, per poi rifuggire questo tipo di interazione nella vita reale, che è invece piena di spazi perlopiù di passaggio, come aeroporti, stazioni, centri commerciali, dove ci sono una moltitudine di persone sole che spesso preferiscono ignorarsi tra di loro. Questo può ricollegarsi al problema dell’architettura 65

d’interni tradizionale che non apporta migliorie all’interazione sociale, come afferma l’autore, anche la timidezza delle persone blocca questo tipo di interazioni casuali, ma credo sia superficiale aggrapparsi a questo. Oggi che la crisi delle risorse ha portato anche a una forte crisi economica, va necessariamente ricercato l’aspetto di condivisione reale tra le persone anche per questo motivo; abbiamo delegato a terzi tutte le funzioni dell’economia informale, ma queste funzioni, come l’assistenza alle persone vivono di tempo e di attenzioni e non di tecnologia. Penso che in questo giochi un ruolo molto importante l’istruzione, che è però oggi ostacolata da “troppi contenuti e troppo poco tempo per pensare”. Affinché l’apprendimento risulti attivo, non può essere affidato a piattaforme e-learning, come in alcuni casi avviene oggi, ma deve aver luogo la partecipazione a progetti significativi nel mondo reale, avendo la certezza che il compito che si sta per affrontare sia importante. L’insegnamento tradizionale


risulta demotivante, e deve essere rivalutato sulle basi di attività più flessibili che educhino all’importanza della partecipazione e del tempo, come fanno nelle scuole di Israele. Il problema spesso risiede nel mancato equilibrio o giusto utilizzo che si fa delle innovazioni, a volte anche perché le stesse vengono veicolate alla società attraverso messaggi sbagliati o che servono a fare presa e a soddisfare il bisogno di vendita dei prodotti o servizi. Un esempio sono i social network, sicuramente utili per mantenersi in contatto con i propri amici, soprattutto quelli a distanza, ma di cui spesso si abusa finendo per perderci molto più tempo di quanto non sia necessario, inoltre sono sempre più uno strumento pubblicitario e di svago che in questo non finiscono per differenziarsi troppo dalla televisione; un esempio più diretto è dato per esempio dal packaging, che nasce con la funzione di imballaggio e protezione delle merci, oggi se ne fa invece un uso smodato, anche dove non è necessario, solo a fini estetici e di vendita

del prodotto. L’autore parla della necessità di rendere visibili tali consumi ai fini di sensibilizzare le persone a correggere alcuni piccoli gesti, che però farebbero una grande differenza (Malcom Gladwell, Il punto critico), servendosi di una citazione di Sterling come sarebbe il mondo se l’anidride carbonica fosse di colore vermiglio o se le nostre emissioni tingessero il cielo di rosso sangue? Tutti noi rabbrividiamo al solo pensiero di vivere in un mondo così.

66


CULTURA D’IMPRESA E PROGETTO

67


CASO OLIVETTI

Cultura d’Impresa e di progetto Il caso Olivetti L’Olivetti è un esempio eccellente di come le Imprese possano riuscire a porre i propri dipendenti al centro del loro operato, attraverso la cultura d’Impresa e determinate attenzioni e agevolazioni nei loro confronti. Adriano Olivetti è stato soprattutto un imprenditore capace di radicare nell’impresa la cultura dell’innovazione, l’eccellenza della tecnologia e del design, l’apertura verso i mercati internazionali, il rispetto del lavoro e dei lavoratori. Un imprenditore, oltretutto, capace di selezionare con felice intuito i collaboratori, spesso scelti tra i giovani. Negli stabilimenti di Ivrea viene costituito nel 1948 il Consiglio di Gestione, che per molti anni rimane l’unico esempio in Italia di organismo paritetico con un importante ruolo consultivo, vincolante per i temi socio-assistenziali. In più occasioni i dipendenti ottengono dall’Olivetti, in anticipo sui contratti collettivi, miglioramenti

economici, dell’ambiente di lavoro e dei servizi sociali. L’azienda costruisce quartieri per i dipendenti, nuove sedi per i servizi sociali, la biblioteca e la mensa. A realizzare queste opere sono chiamati grandi architetti tra cui Figini, Pollini, Zanuso e Gardella. Anche per il design Adriano Olivetti sceglie collaboratori di grandissimo valore, come Nizzoli, Pintori, Bonfante, Sottsass. Tra la fine degli anni ‘40 e la fine degli ‘50 la Olivetti porta sul mercato alcuni prodotti destinati a diventare veri oggetti di culto per la qualità tecnologica e l’eccellenza funzionale: tra questi le macchine per scrivere Lexikon 80 Lettera 22, la calcolatrice Divisumma. Sono queste le principali caratteristiche che stanno alla base della palpabile differenza tra la Olivetti ed altre Imprese dell’epoca, quelle che ne costituiscono l’eccezione.

68


69


DIFFERENTE Il conformismo regna ma l’eccezione domina Youngme Moon

Il marketing è una funzione organizzativa nata come mediazione tra il business e le persone vere. Nel business per avere successo c’è bisogno della capacità di competere e per farlo bisogna differenziarsi dai concorrenti, rifuggendo la commoditization, cioè la standardizzazione che appiattisce una categoria merceologica privando brand e prodotti di qualsiasi peculiarità; ma così facendo sta accadendo il contrario, molte categorie stanno raggiungendo una saturazione che le porta ad un’”omogeneità eterogenea”, dove le piccole differenze si perdono in una grande uniformità. In questo modo si è persa anche la devozione da parte dei consumatori verso una marca specifica, in quanto non percependosi una marca che spicca davvero tra le altre, gli stessi sono spesso portati a provare nuovi prodotti e hanno meno ragioni per essere selettivi nelle loro scelte, come invece avveniva fino a qualche anno fa. Solo quando qualcuno abbandona ilfalso mito della

differenziazione competitiva consegue un vantaggio e spicca perché è differente e non l’ennesima imitazione. Gli strumenti del business oggi tendono a misurare tutto, attraverso dati e statistiche, cercando costantemente di colmare i divari rilevati tra il proprio marchio e quelli concorrenti, innescando quello che l’autrice chiama “istinto del gregge”; anche noi anziché puntare ad accrescere ulteriormente i nostri punti di forza, tendiamo a colmare e a migliorarci nei nostri punti deboli, ed è proprio questo lo stesso concetto che porta all’uniformazione tra le marche. L’abuso degli strumenti del business si sta quindi rivelando un antagonista nella ricerca di una differenziazione e le uniche due varianti presenti all’interno delle categorie oggi, sono l’espansione Differente. Il conformismo regna ma l’eccezione domina Youngme Moon per aggiunta, che apporta un aumento delle funzioni presenti in un unico prodotto e l’espansione per moltiplicazione, che invece propone nuove 70


versioni di uno stesso prodotto che cercano di soddisfare le diverse preferenze tra i consumatori. Entrambe hanno come obiettivo quello di migliorare il prodotto e di soddisfare il maggior numero di consumatori, ma lo fanno seguendo queste due traiettorie ormai prevedibili e sempre più veloci. La soluzione è quella di apportare un cambiamento di significato che nasca dall’innovazione, attraverso un’idea forte come fanno gli Idea brand. I brand capovolti eliminano certi aspetti che diamo per scontati e ne elevano altri che invece non ci aspettiamo, creando un effetto sorpresa inaspettato. I brand defezionisti si servono di stratagemmi trasfiguranti per offrirci una categoria alternativa alle nostre classificazioni abituali. Ci insegnano che i confini delle categorie dei prodotti sono molto adattabili. I brand ostili ci danno l’impressione di essere difficili da accaparrarsi, fanno una sorta di antipromozione in cui ci presentano i loro prodotti, 71

difetti compresi e non cercano di persuaderci ma dicono le cose come stanno, rischiando anche di allontanarci, usando in questo modo un tipo di psicologia inversa. A volte sfruttano la scarsa disponibilità per stimolare la domanda, con edizioni limitate e strategie simili. Le categorie di brand innovativi sopra citati non possono avere definizioni circoscritte, infatti in alcuni è possibile ritrovare elementi che rispondono a tutte e tre le categorie, come Apple, oppure brand che non rispondono a nessuna delle tre categorie ma hanno trovato comunque una diversità rispetto agli altri prodotti della loro categoria, come Harley Davidson e Dove. Quando le nostre vite sono saturedi uniformità il fatto di non essere colpiti da qualcosa in particolare diventa una carenza percettiva e ci porta ad agire senza pensare. Oggi questo fenomeno è sempre più presente perché le aziende sono spinte a competere tra loro e concorrenza e conformità saranno sempre legate. Il punto chiave degli Idea brand sta proprio nel fattoche questi non cercano


di competere,ma coinvolgendoci o facendoci infuriarerimettono in moto la nostra mente, toccando corde profonde. La soluzione sta nel trovare l’equilibrio tra gli elementi misurabili legati alle ricerche nel marketing e la comprensione dell’essere umano come un insieme di verità molteplici e contraddittorie che creano asimmetria, ed è proprio questo a renderci speciali, non abbiamo bisogno di una coerenza interna per essere logici, lo stesso fanno gli Idea brand, contrapponendosi alla simmetria prodotta dall’omogeneità degli altri brand. Credo che in questo libro l’autrice vada un po’ contro quelli che sono i principi del proprio lavoro, lo ammette lei stessa e lo fa sottolineando più volte che il suo libro non deve essere inteso come un manuale, proprio perchè sono gli strumenti predefiniti e seguiti con criterio che ci portano alle dinamiche di emulazione. Sembra al tempo stesso trattare la sfera di quello che sarà invece il nostro lavoro, più vicino ai bisogni delle persone e originariamente slegato dal business. Il design è oggi

invece fin troppo legato alle dinamiche del business, raramentesi progetta per vere necessità, ma sempre più spesso per vezzi stilistici o velleità artistiche legate alle tendenze passeggere. Saper spaziare da un campo all’altro è molto importante, nonché stimolante e necessario per noi progettisti, ma il rischio diventa quello di perdere di vista l’importanza del processo progettuale che ha come fine quello di produrre un’innovazione nel significato attraverso prodotti o servizi come fanno gli Idea brand, e non solo artefatti destinati al mercato, passeggeri e facilmente dimenticabili. Ciò che si viene a formare, oltre ad una percezione distorta e per lo più scorretta di quello che è il design, è anche nel nostro campo un fastidioso ronzio di sottofondo, che ci fa agire per dirla con l’autrice, con il pilota automatico inserito sia come persone che come progettisti. Dovremo ricordarci di essere prima di tutto esseri umani, e non consumatori, deve essere questa consapevolezza, arricchita dagli scenari attuali, a guidarci 72


nel compiere le scelte giuste, prima di tutto come persone per poi trasmetterle attraverso la progettazione. Come nel marketing se si hanno a disposizione troppe informazioni riguardo ai concorrenti si cade in una “miopia competitiva”che crea un’influenza costante riguardo a ciò che fanno i concorrenti rispetto a noi, fino a riprodurre le loro mosse specularmente o cercando di aggiungere sempre qualcosa in più, anche per noi progettisti può capitare un simile fenomeno; penso che a volte ci si focalizzi troppo sulle idee altrui, chiedendosi perché non l’abbiamo avuta noi o cose del genere, questa tendenza provoca una sorta di blocco “creativo”, ci domandiamo cosa ancora non hanno progettato gli altri piuttosto che porci domande concrete su problemi esistenti che potremmo indagare e cercare di risolvere. Dovremo imparare ad abbandonare a volte l’approccio verticalista e la ricerca di continue conferme tangibili che spesso perseguiamo durante la progettazione;noi stessi durante questo atto dovremo ricercare la sorpresa per 73

poterla in seguito trasmettere attraverso i nostri progetti, perseguendo talvolta strade casuali che non sappiamo dove potrebbero portarci. Come dice l’autrice “dobbiamo dare alle nostre idee più antinconvenzionali l’opportunità di respirare un po’, prima di assoggettarle all’esame minuzioso delle zone del nostro cervello che amano dire di no”. Dobbiamo saper vedere oltre i dati misurabili, la storia così come lo scenario attuale devono fungere da sfondo viaggiando con l’immaginazione verso scenari diversi, magari quelli descritti da Rifkin nel “La terza rivoluzione industriale”, dove la condivisione e l’empatia tra le specie saranno i valori dominanti e dove probabilmente non vi sarà più questa tendenza verso la concorrenza tra i brand, ne tanto meno tra le persone; immagino un mondo equilibrato dove ogni persona non dovrà essere sottoposta al ronzio omogeneo di sottofondo, ma piuttosto potrà sorprendersi di fronte alla conoscenza condivisa e appresa dalle altre persone e dalla natura; immagino un futuro dove


idealmente tutte le nicchie di mercato² presenti troveranno il modo di indirizzarsi solo a chi le cerca, e potranno svilupparsi indisturbate sempre in numero maggiore, senza la preoccupazione di dover raggiungere il maggior numero possibile di persone.

74


TIMELINE RIVISTE D’AVANGUARDIA

75


L’approccio al progetto di ricerca sulle riviste d’avanguardia è stato inizialmente storico e iconografico. Fondamentale in questa fase è stata la ricerca specifica rispetto alle differenti avanguardie. In seguito, abbiamo deciso di sviluppare la timeline suddividendo il tema, secondo le 10 avanguardie che abbiamo analizzato, rispettivamente Art Noveau, Surrealismo, Futurismo, Neoplasticismo, Espressionismo, Vorticismo, Dadaismo, Purismo, Bauhaus, scuola di Ulm. Per ogni avanguardia è stata inserita una introduzione iniziale, successivamente sono state elencate e disposte le riviste secondo un ordine cronologico che va dalla più vecchia alla più recente e, per ognuna di essa sono state prodotte delle didascalie descrivevano lo scopo e il materiale interno alla rivista stessa; affianco alla rivista, infine, sono stati inserite le foto e alcune informazioni riguardanti gli editori. Le riviste che sono state inserite riguardano temi differenti che spaziano dalle

riviste puramente dedicate all’avanguardia a riviste di progetto. Per quanto riguarda Bauhaus e scuola di Ulm le riviste analizzate riguardano principalmente i numeri che la scuole pubblicavano mensilmente promuovendo progetti e materiale sviluppato al loro interno. Ciò che è emerso da questa ricerca è che il materiale storiografico relativo alle riviste d’avanguardia è scarso o difficilmente reperibile. Nonostante il periodo storico sia stato di breve durata, abbiamo notato una forte attività produttiva per quanto riguarda il Futurismo in particolare, in quanto il materiale trovato trattava non soltanto le riviste ma anche manifesti e articoli. Abbiamo osservato, che nell’arco di tempo analizzato le riviste di design sono state difficili da trovare, molto spesso si distaccavano dal tema assegnato. Inoltre è stato molto interessante conoscere e trattare certi tipi di avanguardie come il Purismo e il Vorticismo che molto spesso non 76


vengono approfondite in ambito storico. Anche l’impostazione grafica che le rispettive pubblicazioni adottavano in relazione al periodo storico in cui queste venivano prodotte è stato molto formativo. Dalla nostra ricerca, è inoltre emerso, come figure diverse, per formazione e pensiero, abbiano inizialmente collaborato al fine di seguire un obiettivo comune.

77


78


79


80


81


82


83


84


85


86


87


88


89


90


BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

J. Rifkin, La terza rivoluzione industriale, Mondadori, 2011 C. Anderson, La coda lunga, Codice edizioni, Torino 2007 J. Thackara, In the bubble. Design per un futuro sostenibile, Allemandi, Torino 2008 A. Bassi, Design, il Mulino, 2013 Steven Johnson, Dove nascono le grandi idee. Storia naturale dell’innovazione, BUR, 2012 Y. Moon, Differente, il conformismo regna ma l’eccezzione domina, Etas, 2012

91


Dalla belle époque allo stile aerodinamico, Annalisa Donati-Sissi Aslan, Giunti Editore. Riviste d’arte d’avanguardia, Gli anni Sessanta e Settanta in Italia. 1.,Patrizio Peterlini - Giorgio Maffei, da SylvestBonnard. Le avanguardie artistiche del novecento, Mario De Micheli, Saggi Universale Economica Feltrinelli. -

http://www.futur-ism.it http://circe.lett.unitn.it http://archiviodada.wordpress.com http://it.wikipedia.org http://www.ilcorpo.com http://www.italianways.com http://www.hfg-archiv.ulm.de http://www.mart.tn.it/archivio http://www.archiviostorico.corriere.it http://www.museosatira.it/archivio/ilselvaggio/intro

92





Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.