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0. INTRODUZIONE
verso un nuovo modello di consumo
1. STORIA
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l’evoluzione dei modelli di consumo 1.1. LE ORIGINI DEL MERCATO 1.2. DALL’AGORA’ GRECA AL FORUM ROMANO 1.3. LE FIERE 1.4. LE REALTA’ MERCANTILI NEL RINASCIMENTO 1.5. IL MERCATO DEI MERCANTI 1.6. IL MERCATO MODERNO 1.7. I MERCATI RIONALI DI ROMA 1.8. I FARMER’S MARKET DEL VENTESIMO SECOLO 1.9. LE RICADUTE SUL MERCATO DEL CIBO 1.10. CENNI STORICI SULLA GDO 1.11. IL DISCOUNT NON ALIMENTARE: L’OUTLET 1.12. LA NASCITA DELLA VENDITA A DISTANZA 1.13. IL CONSUMO VELOCE: IL FAST FOOD 1.14. UNA FORMA “SPECIALE” DI GDO: EATALY 1.15. LINEA DEL TEMPO DEI MODELLI DI CONSUMO 1.16. CARATTERISTICHE DEI MODELLI DI CONSUMO
2. AD OGGI
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7 9 11 17 17 18 19 20 22 23 26 27 29 31 34 34
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i modelli di consumo attuali 2.1. FILIERA 2.2. CASI STUDIO 2.2.1. Grande Distribuzione Organizzata (GDO) 2.2.2. Monomarca e Franchising 2.2.3. Vendita di prossimità (food) 2.2.4. Vendita di prossimità (non food) 2.2.5. Vendita diretta (food) 2.2.6. Vendita diretta (non food)
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2.2.7. Vendita diretta a distanza 2.2.8. Sfuso 2.2.9. Scambio Diretto 2.2.10. Scambio diretto di servizi 2.2.11. Scambio diretto a distanza 2.2.12. GAS
3. PROBLEMATICHE
le questioni legate allo stato attuale
3.1. IL CONTESTO AGRICOLO 3.2. IL CIBO 3.3. STILI DI VITA 3.4. FARE LA SPESA 3.5. L’ ALIMENTAZIONE
4. VALORI
i principi per un nuovo modello di consumo
4.1. BUONO PULITO E GIUSTO 4.2. PRODOTTO vs UOMO 4.3. VALORI PER IL NUOVO MODELLO DI CONSUMO 4.4. UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO
5. CONSUMATORE
l’inconsapevole e il consapevole
5.1. IL CONSUMATORE INCONSAPEVOLE 5.2. VERSO IL CONSUMO CONSAPEVOLE 5.3. IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE 5.4. SCENARI
92 100 108 116 124 132
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140 142 144 147 152
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6. QUALITA’
il punto vendita per il consumatore consapevole
6.1. I BUONI PROPOSITI DEI PUNTI VENDITA 6.2. CARATTERISTICHE 6.3. IL PUNTO VENDITA PER IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE 6.3.1. IMPARARE 6.3.2. TOCCARE e ANNUSARE 6.3.3. EDUCARE e ASSAGGIARE 6.3.4. CONFRONTARE 6.3.5. SOCIALIZZARE 6.3.6. COMUNICARE 6.3.7. GUARDARE 6.4. IL CASO CRAI
0. CONCLUSIONE
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ricerche e approfondimenti
1. DATA DI SCADENZA ED ETICHETTATURA 2. SENSORIALITA’ E GUSTO 3. LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI 4. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: I CEREALI 5. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: LA FRUTTA 6. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: LA VERDURA 7. QUESTIONARI SUI PUNTI DI VENDITA
0. FONTI
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un nuovo modello di consumo
0. ALLEGATI
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bibliografia e sitografia
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0. INTRODUZIONE verso un nuovo modello di consumo
S
ono passati 4000 anni da quando nasceva il baratto: dall’economia di sussistenza, ovvero la capacità delle persone di un luogo di vivere delle proprie risorse, si è passati alla prima forma di scambio. Con la nascita della moneta, la creazione di reti commerciali, l’espansione dei mercati verso nuovi territori, le innovazioni tecnologiche e la crescita economica, si è arrivati oggi ad avere un modello di consumo massificato e globalizzato. Se fin dalla nascita dell’uomo mangiare era un suo bisogno primario e i modelli di consumo si evolvevano di pari passo con le nuove esigenze alimentari, oggi si è arrivati ad un punto in cui non è più l’uomo a scegliere e a condizionare il mercato, ma viceversa. Oggi, “alimentarsi” è diventato un puro atto economico, dove vige la legge del prezzo e della marca; il consumatore contemporaneo ha delegato tutta la sua conoscenza alla grande distribuzione organizzata (GDO) e ai media. Non è più in grado di utilizzare i propri sensi per valutare la qualità di un cibo se non attraverso la data di scadenza, non conosce la stagionalità di frutta e verdura, non si chiede se i prodotti siano locali o se provengano da oltreoceano, non sa conservare se non possiede un frigorifero. La sua perdita di consapevolezza ha permesso al consumismo del mondo globa-
lizzato di provocare una serie di ripercussioni su scala mondiale. Oltre al sistema distributivo che implica una serie di movimentazioni molto costose sia a livello economico, ma soprattutto ambientale, coltivazioni intensive, uso di pesticidi, di biodiversità e delocalizzazione delle colture sono solo alcuni degli aspetti dovuti ai processi di produzione industrializzata. L’analisi e gli studi compiuti sulla base degli attuali modelli di consumo hanno permesso di considerare criticamente gli aspetti positivi e negativi legati al tema del consumo e di connetterli tra loro per capire come il modello stesso sia incentrato sul prodotto o sull’uomo. La ricerca ha portato alla definizione di un nuovo modello di consumo alimentare volto a educare il consumatore su tematiche legate alla sostenibilità e all’alimentazione, ad attribuire un valore fondamentale alla vita che partendo dall’alimento si allarga ad un sistema più ampio dove vengono inclusi abitudini e stili di vita, riportando l’alimentazione al suo aspetto originario: non più una merce, ma un legante fondamentale tra le sfere biologica, culturale e sociale. I valori emersi dal nuovo modello di consumo hanno evidenziato come potenziale soggetto il consumatore consapevole: colui che cerca di riflettere i propri principi di vita nelle sue scelte d’acquisto. Lo scenario che si delinea rappresenta le
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esigenze del consumatore consapevole e pone le basi per definire le caratteristiche riguardanti le tipologie di prodotto e la modalità di acquisto, nonché il rapporto con il personale che il nuovo punto di vendita potrà avere. Le linee guida portano ad un cambiamento radicale: si accorciano le filiere avvicinando il luogo di consumo al luogo di acquisto, di vendita e di produzione. Il consumatore può scegliere le quantità di tutti i prodotti da acquistare riducendo gli sprechi sia alimentari che di packaging. La comunicazione si rivela fondamentale per dare informazioni utili sulla provenienza e qualità dei cibi, ma anche sui valori nutrizionali fondamentali per una dieta equilibrata. Il punto di vendita si trasforma in un luogo di aggregazione sociale, dove potersi scambiare informazioni, saperi e conoscenza. Un nuovo modello di consumo nel quale il consumatore non si trova più di fronte al prodotto come atto economico, ma al cibo come atto agricolo.
0. INTRODUZIONE - verso un nuovo modello di consumo
1. STORIA
l’evoluzione dei modelli di consumo
F
in dai tempi in cui l’uomo imparò a comunicare si rese necessario un sistema economico di supporto: partendo dai piccoli gruppi primitivi di nomadi in cerca di cibo per il proprio sostentamento, all’interno dei quali si attuavano già forme di scambio, fino a quando l’uomo diventò stanziale. Infatti, man mano che la terra si popolava, il trasferirsi di continuo alla ricerca di risorse non era più sufficiente in quanto qualcuno era già passato prima di loro. L’uomo dovette quindi cambiare strategia per sopravvivere e dovette trovare un modo per avere risorse senza doversi spostare di continuo. Questo è solo l’inizio della storia che ha portato alla nascita e all’evoluzione del mercato e dei modelli di consumo attuali. Una storia che per essere compresa va letta attraverso i cambiamenti storici, culturali, tecnologici, artistici e architettonici, …tutte variabili connesse, relazionate e sistematicamente influenzate l’una dall’altra. Ognuno di questi eventi e variabili ha permesso di arrivare, attraverso numerose trasformazioni, fino a noi senza cancellare le tracce del passato ma diversamente lasciando le basi per poter migliorare lo scenario del mercato attuale.
1.1. LE ORIGINI DEL MERCATO Mercati e fiere sono fin dalle origini il luogo fisico deputato per eccellenza allo scambio di prodotti, servizi, informazioni, rapporti sociali. Da millenni sono l’occasione della contaminazione tra ambienti distanti e rappresentano un formidabile collante sociale che ha permesso alle diverse comunità di apprendere e progettare la propria permanenza in un dato territorio, spesso inospitale, di ribadire confini e stabilire legami. Da sempre il mercato è il luogo dove si producono le innovazioni alimentari, gli incontri con le spezie e con i nuovi prodotti della terra, mutamenti che lo scambio porta insito e che il mercato permette di governare e contenere entro precisi limiti fisici di tempo e spazio; è per questo che da sempre lo spazio che ogni comunità ha destinato a queste attività è ben definito, rimarcato nei confini e minuziosamente codificato per utilizzo, tempi, spazi e accesso. Sumeri e Babilonesi già 4000 anni fa regolavano un complesso sistema di scambi con gli antenati dei nostri assegni, lettere di credito, contratti. Nel Codice promulgato da Hammurabi1, che regnò in Babilonia 1 Il Codice di Hammurabi è una fra le più antiche raccolte di leggi conosciute nella storia dell’umanità, stilato durante il regno del re babilonese Hammurabi . Il corpus legale è suddiviso in capitoli che riguardano varie categorie sociali e di reati, e abbraccia in pratica tutte le possibili situazioni dell’umano convivere del tempo, dai rapporti familiari a quelli commerciali ed economici, dall’edilizia all’amministrazione pubblica e della giustizia.
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dal 1792 al 1750 a.C., il termine mercante veniva usato in relazione a diversi tipi di attività commerciale e precise leggi disciplinavano le operazioni di credito e scambio fra mercanti, agenti di viaggio e semplici cittadini. Le fonti letterarie e figurative descrivono un mercato alle porte della città, composto di bancarelle ambulanti, baracche e posteggi, mentre l’attività bancaria veniva svolta nei templi. Sparse nel tessuto cittadino si trovavano botteghe artigianali, a volte raggruppate secondo l’affinità delle materie trattate in veri e propri mercati, in parte coperti e simili agli odierni suk mediorientali. Ed ancora nel nono secolo a.C., a Samaria in Israele, erano proprio i commercianti di Damasco a gestire le husoth, quartieri commerciali formati da una serie di botteghe. In tutto il mondo islamico è da sempre il bazar di origine persiana (da baha-char, che significava “il posto dei prezzi”), in arabo suk, a riunire le funzioni del grande mercato e del negozio. Un’associazione
Suk arabo ai giorni d’oggi.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
di negozi, laboratori artigianali e servizi a essi dedicati, rigorosamente raggruppati secondo l’affinità merceologica (fabbri, tintori, sarti, tornitori, ecc.), collegati fra loro per mezzo di vie e slarghi coperti da tende, stuoie, cannicci, tetti in legno o muratura e illuminati da lucernari, occupa di solito un intero quartiere della città, non di rado a ridosso dei muri esterni delle moschee a testimonianza di un commercio che per tradizione veniva spesso esercitato a profitto di ordini religiosi. In alcuni casi le botteghe si dispongono su due piani o sono dotate di un retrobottega o magazzino, a volte all’esterno è visibile una panchina di muratura destinata alle interminabili contrattazioni del costume orientale, frequentemente le strette corsie di passaggio sono ingombrate dall’esposizione delle merci. Il mercante che porta le merci in città è una figura di spicco perché spesso è depositario delle ultime novità e per ragioni di sicurezza non viaggia quasi mai da solo, cercando alloggio e rifugio per la notte presso i caravanserragli che si trovano a distanze
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
regolari in tutto il Medioriente. Tra i bazar più fastosi ricordiamo quello persiano di Isfahan, dalle coperture a cupola e a volte riccamente decorate e dorate, e quello di Costantinopoli fatto costruire in legno nel 1462, poi ricostruito in muratura nel 1701 e in seguito ampliato da un secondo mercato, fino a coprire attualmente un’area di 200.000 m2, servita da 60 strade interne, oltre 4.000 negozi, moschee, banche, centrali di polizia, ristoranti e laboratori artigianali. Mongoli e Persiani portarono il bazar anche in India, dove ancora oggi i coloratissimi e secolari mercati ospitano merci di tutti tipi: gioielli e pietre semipreziose, oro e argento, antichità, libri, tessuti, spezie, prodotti ortofrutticoli, utensili. Modeste baracche e banchi ambulanti caratterizzano il mercato della Cina antica, mentre i negozi, esternamente decorati con ricchi intagli in legno dalle sgargianti laccature, fino a quasi il tutto il secolo XIX si allineano lungo le arterie più battute e più adatte alla sosta davanti alla esposizione delle merci, seguendo quella sorta di distribuzione corporativa tipica del Medioevo con quartieri specializzati nei vari generi di botteghe. 1.2. DALL’AGORA’ GRECA AL FORUM ROMANO Fin dalle origini in Grecia il mercato si confonde con la piazza, l’agorà, presentandosi come un assembramento scoperto di venditori formatosi spontaneamente nel centro dell’accampamento, dell’agglomerato di capanne o di abitacoli o del punto di incontro delle poche strade
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del villaggio arcaico. Centro di tutta la vita cittadina, inizialmente l’agorà è solo una piazza circondata da edifici vari e variamente disposti senza una connessione urbanistica rigorosa, ma nel tempo assume una precisa definizione architettonica. Ai rivenditori sono riservati alcuni spazi fissi, che traggono il nome dalle merci vendute (le pentole, i formaggi freschi, ecc.): i più modesti sono sistemati in baracche provvisorie, i banchieri siedono invece davanti ai loro banchi carichi di monete, di pegni e di registri, mentre profumieri, barbieri e medici dispongono di vere e proprie botteghe negli edifici circostanti. Nella folla vociante, variopinta e indaffarata si aggirano i magistrati incaricati di verificare la qualità delle merci e controllare pesi e misure. E’ comunque già evidente l’ articolazione funzionale in settori diversi, che si protrarrà fino alle città occidentali medioevali e rinascimentali. L’agorà di Priene si sviluppa, per esempio, in due piazze rettangolari contigue, che si aprono entrambe sulla via che le unisce: la maggiore, circondata da portici continui, destinata al mercato generico, la minore, delimitata da botteghe, riservata al mercato del pesce e della carne. Qui si trovano, inoltre, le più antiche botteghe in muratura, che probabilmente già prima del IV secolo avevano rimpiazzato le più rudimentali coperture mobili costruite con giunchi e tela. L’esistenza di termini specifici (macelleria, mescita calda, libreria, ...), atti ad illustrare il genere e la destinazione di queste strutture, testimoniano l’ampia gamma di specializzazione già esistente all’epoca.
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Anche nel mondo romano all’inizio il mercato si identifica con la piazza, il forum. A Roma con la graduale trasformazione del Foro in centro politico, le botteghe vengono sostituite dai nuovi edifici monumentali e spostate in vari spazi della città specializzati: il forum vinarium, il forum piscarium, il forum olitorium (degli erbaggi), il forum suarium (della carne suina), il forum delle ghiottonerie, dei cibi delicati, delle primizie, e così via. L’idea del mercato come edificio appositamente costruito per concentrare tutti i mercati cittadini (il
Rovine di un’antica agorà greca.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
macellum, termine passato poi ad indicare il mattatoio) è da ritenersi propriamente romana e risale al II secolo a.C. I più antichi sono di tipo quadriportico rettangolare, sotto il quale si allineano le tabernae (probabilmente dal termine tabula, cioè tavolo, banco di vendita) e con una piazza interna scoperta in mezzo alla quale sorge un’ara sacrificale o anche una semplice fontana. Le tabernae, che nei mercati rionali si organizzano in forma associata mentre lungo le vie, al pianterreno delle case, hanno vita indipendente, sono di solito composte di un piccolo locale e un ammezzato superiore al quale si accede per una scala di legno, hanno un banco in legno o in muratura affacciato all’esterno, fornito di speciali gradini per l’esposizione delle merci e, nel caso delle cauponae (osterie) e dei thermopolii (mescite di bevande calde), anche di orci e fornelli murati. L’ambiente interno è dotato di mensole lignee e armadi, a volte finemente lavorati e decorati con finiture di bronzo. Gli stipiti esterni sono spesso adorni di pitture allusive, più raramente di rilievi (gli insigna). Di tutt’altro tipo erano i mercati Traianei, costruiti tra il 100 e il 112 d.C. sulle pendici del Quirinale, caratterizzati dal sapiente uso di una grande esedra, archi laterizi e volte di conglomerato per superare i problemi posti dalla presenza di un notevolissimo numero di botteghe, ambulacri e ambienti diversi (perfino una basilica) in uno spazio relativamente ristretto e per di più scosceso. Sei erano i piani su cui si sviluppava, con 150 tra uffici e negozi di vario genere dove si vendeva un po’ di tutto: fiori, frutta e verdura, olio, vino, grano,
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pesce conservato vivo in vasche d’acqua dolce o di mare, pepe, cardamomo e valeriana dell’India, cumino dall’Etiopia, zenzero dall’Arabia, … L’Urbe è di fatto un unico grande mercato, dove transitano i prodotti migliori provenienti dalle popolazioni assoggettate e le merci che affluiscono dalle strade che vi convergono da tutta Italia e dai porti che la servono. Se nei primi secoli agricoltori e allevatori arrivavano in città per vendere direttamente la loro mercanzia, nella Roma imperiale più di 150 corporazioni autonome, veri e propri trust economici, già gestiscono la catena dei passaggi dal produttore al grossista al dettagliante. Sono pochi, e tra questi spiccano gli orticoltori e i pescivendoli, i mercanti contemporaneamente produttori e rivenditori. I mercanti, che si spostano sempre in carovana con altri colleghi seguendo i propri depositi lungo le vie imperiali, rivestono inoltre un importate ruolo sociale fungendo anche da corrieri per le notizie più importanti. Grano, olio, vino, spezie, sono conservati negli innumerevoli granai e stoccaggi fluviali (horrea), magazzini di diversa dimensione sparsi in città e in periferia. I mercati all’aperto, tenuti nelle grandi piazze circondate da portici, e quelli al coperto, brulicano di pedoni, venditori ambulanti, lettighe, vetture a cavallo e carri trainati dai buoi, in un via vai caotico e variopinto e un vociare continuo amplificato dalle grida di chi vanta le proprio merci e dai rumori degli zoccoli che martellano il terreno.
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1.3. LE FIERE Durante l’alto Medioevo, con l’economia feudale l’istituzione del mercato sembrò temporaneamente tramontare, per rinascere intorno al XIII sec. grazie al rifiorire dei nuclei cittadini. Prima dell’anno 1000, l’Europa era un immenso territorio coperto da boschi, foreste, acquitrini, lagune e paludi, dove circa 30 milioni d’abitanti vivevano in piccoli centri a ridosso di rocche fortificate o di grandi monasteri, all’incrocio delle strade, sulle rive dei laghi e dei fiumi navigabili, sui bordi di insenature marine trasformate in porti o in città fantasma che erano state grandi ai tempi dell’impero romano. Con il declino dell’Impero e l’imporsi dell’economia feudale si affermò la tendenza a produrre ed elaborare autonomamente le materie prime alimentari, con il conseguente decadimento della bottega. La maggior parte della ricchezza che veniva dalla coltivazione dei campi, dall’allevamento semibrado di bovini, equini, suini ed ovini e dallo sfruttamento delle risorse naturali con la caccia legale e di frodo, la pesca e la raccolta di frutti spontanei, veniva consumata nei luoghi stessi dov’era stata ottenuta e da chi aveva avuto un qualche ruolo nel produrla e distribuirla. Solo minime quote erano destinate a uscire dai circuiti economici locali sotto forma di doni, d’imposte, di decime o di spese per l’acquisto di materie prime e manufatti che i contadini non riuscivano a produrre in proprio. Le fiere e i mercati con i quali si festeggiavano varie ricorrenze religiose e la fine dei grandi lavori agricoli (la mietitura, la
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semina, la vendemmia) costituivano i rari momenti di svago e di ritrovo per servi e contadini impegnati a lavorare gratuitamente per il feudatario. Con l’invasione longobarda le fiere erano diventate proprietà dei duchi che stabilivano luogo, data e durata del mercato. Carlo Magno e Lodovico il Pio legiferarono sull’argomento, che costituiva una buona entrata fiscale: vennero proibiti i mercati domenicali e festivi e si cercò di impedire ai contadini la partecipazione alle fiere, in quanto, spostandosi anche per parecchi giorni, trascuravano il lavoro nei campi ed il bestiame. Ciononostante, il pubblico dei mercati continuava ad essere costituito soprattutto da contadini e servi della gleba, che portavano con i carri i loro prodotti ed acquistavano in cambio le merci rare e pregiate: stoffe, spezie, cani da caccia, qualche gioiello o piume di pavone, vino, manufatti, lavori in cuoio, ... A partire dall’XI secolo l’aumento delle superfici destinate alle coltivazioni dovuto alle nuove tecniche agricole (l’introduzione di aratri più pesanti, vanghe e zappe metalliche e i miglioramenti qualitativi dei raccolti di frumento, orzo, segale, fave, ceci, …), ai disboscamenti, alle bonifiche di paludi e acquitrini, portò ad una maggiore disponibilità di risorse alimentari e quindi ad un ripopolamento generale. Una dinamica altrettanto espansiva moltiplicò gli insediamenti urbani: un crescente numero di persone (nobili, ecclesiastici, plebei, servi della gleba) abbandonarono le campagne per trasferirsi nei nuovi centri urbani che si sviluppavano soprattutto nei pressi delle più importanti vie di
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comunicazione. Le città di origine galloromana, annientate dai barbari e ridotte a rappresentare uno scarso 10% della popolazione complessiva, tornarono ad essere padrone del meccanismo economico. Il notevole aumento di quanti nelle città vivevano, lavoravano, consumavano e trasformavano, contribuì ad accrescere in maniera esponenziale il traffico degli scambi commerciali, così come la disponibilità di persone ad impiegarsi in attività diverse dall’agricoltura e la conseguente maggiore offerta di prodotti non alimentari. Un altro elemento che contribuì a rafforzare la crescita dei commerci a breve, media e lunga distanza di un’estesa gamma di mercanzie fu l’incremento complessivo della popolazione europea di due volte e mezzo circa rispetto all’anno Mille, seppure con dinamiche regionali assai differenziate, con una densità dell’ordine di 30/40 abitanti per Km2 che eliminò ogni precedente condizione di isolamento e rinsaldò le relazioni culturali, sociali ed economiche fra comunità confinanti. Nei primi decenni la città rimase profondamente inserita nella campagna anche perché la popolazione era perlopiù costituita da contadini abituati a lavorare la terra e che nei piccoli prati fangosi o nelle aree coltivate ad orto dentro le mura continuavano a produrre una parte del cibo di cui avevano bisogno, piantando ortaggi e piante odorose, lasciando pascolare pecore e mucche. Con il crescere degli insediamenti urbani però i piccoli mercati, che erano nati per il baratto di prodotti nel vicinato, si svilupparono per far fronte a scambi di merci sempre più preziose e alla
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circolazione del denaro. Nel XII secolo le antiche città tornate a risplendere e quelle di recente fondazione ricominciarono ad essere le naturali sedi di mercati periodici e di fiere che, attraendo le eccedenze dei raccolti rispetto alle scorte per seminare e garantire l’approvvigionamento alimentare dei contadini e le porzioni in eccedenza rispetto ai normali fabbisogni domestici dei ricchi, beneficiavano quanti, privi di terreni e di scorte, erano costretti ad acquistare quotidianamente in piazza i generi alimentari indispensabili alla sopravvivenza. Gli appuntamenti iniziarono a stabilizzarsi a date tradizionali: a Cesena il mercato durava tutto agosto, a Venezia una settimana, a Vicenza 11 giorni. Verona faceva da cerniera fra i prodotti del Nord (pellicce, ferro, ambra) e quelli del Sud (granaglie, stoffe di seta e di lana, sale, vetro, carta, ...). Poiché durante il Medioevo non esisteva solo la distinzione tra la classe dei ricchi e quella dei poveri, ma una rigida gerarchia sociale assegnava alla comunità
Rappresentazione pittorica di una fiera medioevale.
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urbana un ruolo superiore e di controllo rispetto al contado (dal latino comitatus, con il significato di territorio affidato all’amministrazione di un comes o conte), con la nascita dei Comuni questo legame tra la città e il proprio contado si rinsaldò come tra il capo e le membra di un solo corpo. In un paese come l’Italia da sempre caratterizzato da un forte radicamento della città nel territorio e da precoci strategie urbane da parte dei poteri istituzionali, il ceto dominante riusciva ad imporre un ordine alimentare che aveva come primo obiettivo il soddisfacimento dei propri bisogni (spesso a scapito dei consumi della comunità rurale) esercitando un rigoroso controllo sulle varie fasi della produzione alimentare, dal lavoro dei contadini alla distribuzione dei prodotti attraverso i mercati. La vita si svolgeva soprattutto all’aperto, data la ristrettezza delle abitazioni e delle botteghe, e le vie medioevali erano sempre piene di vita, di voci, di rumori e persino di animali che vi si aggiravano indisturbati, quali oche, gal-
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1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
line, cavalli, asini e muli, e maiali, che avevano anche la funzione di eliminare i rifiuti dalle strade.
scenza personale riprendevano l’antica tradizione della pratica della democrazia alla maniera della polis aristotelica.
Le piazze, che come nell’antica Grecia erano il centro della vita sociale, politica ed economica delle città, erano di tre tipi, anche se a volte si potevano fondere insieme: di carattere religioso come sagrato della Cattedrale, di carattere civile come largo antistante alla sede dell’autorità locale e di tipo commerciale come spazio riservato al mercato ambulante. Al Medioevo italiano rimane piuttosto estranea l’idea del mercato coperto e, in genere, del mercato concepito come specifico organismo edilizio, risolvendosi nella destinazione di una piazza a sede permanente per le bancarelle dei rivenditori e qualche impianto fisso che normalmente si esaurisce nella costruzione di una fontana centrale o in sistemazioni di fortuna nei portici degli edifici privati, dei palazzi comunali e perfino delle chiese. Fin dalla mattina presto le strade si animavano, gli artigiani aprivano le loro botteghe e il mercato si affollava di venditori e acquirenti, mendicanti, ladri, truffatori e giocolieri. Al mercato si trovavano cereali, vino, carni, pesce, cibi cotti, dolciumi, stoffe, calzature, cuoi, ... e sempre al mercato si facevano gli affari, si amministrava la giustizia, si tenevano le assemblee, si ordinavano le congiure e le sommosse, si scambiavano le notizie e i pettegolezzi su quanto accadeva in città. L’affollata presenza nelle piazze di bancarelle e botteghe che offrivano merci meno ricche accanto a quelle più prestigiose favoriva l’incontro quotidiano di cittadini e bottegai, che attraverso la reciproca cono-
Per proteggere commercianti e acquirenti da fenomeni come il furto, la violenza o forme di protezione mafiosa, fu stabilita una sorta di “pace di mercato”, simile a quella dell’antica Grecia, per garantire la quale il luogo di vendita veniva assoggettato a precisi regolamenti. All’epoca delle corporazioni apposite magistrature municipali sorvegliavano e regolamentavano il funzionamento del mercato dei beni di prima necessità stabilendo luogo e tempo degli scambi, divulgando e calmierando i prezzi più ricorrenti per le merci di largo consumo, controllando la regolarità degli strumenti di peso e di misura, la legalità delle monete utilizzate per i pagamenti e, per alcuni settori, il rispetto delle regole di carattere igienico predisposte. Il mercato era dunque quanto di meno spontaneo e casuale si possa immaginare, a partire dal luogo (uno solo, deputato a quel genere di scambi), dai tempi (tutti i giorni non festivi, per durate diverse, secondo il levare e il tramonto del sole nei dodici mesi dell’anno) e dallo spazio (l’area era precisamente delimitata e pedonalizzata, per il tempo in cui il mercato era aperto), per finire con l’esistenza di uno speciale statuto tendente a favorire il confronto più trasparente possibile sia fra i beni messi in vendita sui banchi sia tra i partecipanti (venditori e compratori) intenti a trattative antagonistiche. Chi vendeva in piazza o nel luogo deputato a mercato, in una condizione garantita dal controllo sociale esercitato tacitamente dal gran numero di venditori e di compra-
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tori che vi affluivano, non poteva che attenersi alle regole. Chi invece vendeva nel proprio granaio, lontano da ogni verifica istituzionale, poteva facilmente avvantaggiarsi nel misurare la merce e danneggiare i compratori, per lo più gente di bassa estrazione economica e sociale e che versando in una condizione di soggezione politica non poteva contrattare né i modi, né gli strumenti di misura. Un discorso a parte va fatto per la fiera, un’istituzione che in età medioevale è diffusa quasi omogeneamente in tutta la penisola italiana, in alcune città o grosse borgate ma comunque nei principali nodi di smistamento commerciale ed economico e nei centri di attrazione dei prodotti agricoli. Numerose le ragioni che determinarono la nascita delle fiere (concorsi di pubblico, ringraziamenti, celebrazioni di eventi), le cui origini risalgono all’antichità classica e possono essere rintracciate in determinati aspetti della vita del tempo, quali il commercio, la religione e lo spettacolo. La fiera era un gigantesco mercato di tutti i generi di merci, che si teneva in epoche stabilite, così attraente da richiamare moltitudini di gente proveniente anche da nazioni vicine per vendere o comprare. In genere si svolgeva in un grande spazio all’esterno della cinta murata, dove si effettuava la rassegna del bestiame, dei prodotti agricoli o dei tessuti, ma a volte occupava per qualche giorno una piazza centrale o il sagrato di una chiesa. In un contesto in cui la comunicazione era precaria e frammentaria e le vie del traffico, i contatti e la trasmissione di notizie continuamente minacciati da interruzioni
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e pericoli, la fiera si dimostra una stabile piattaforma dello scambio di merci (dai beni di uso quotidiano come tessuti, attrezzi e vasellame, agli oggetti più mondani come gioielli e sete riccamente ornati), di talenti e mano d’opera, di rimedi per qualsiasi tipo di problema (dalla cura più miracolosa per tutti i mali conosciuti comprese le pene d’amore alla lettura del futuro). Cibi conservati, dolci e bevande venivano venduti non solo come alimenti ma anche come portafortuna, per raffreddare gli spiriti o al contrario per infiammare i cuori. Le esibizioni divertenti o stupefacenti di giocolieri, acrobati e buffoni erano spesso inserite in narrazioni comico/morali che, non essendo strettamente legate all’uso del linguaggio, permettevano di comunicare in un contesto in cui tra lingue e dialetti locali le differenze linguistiche erano fortemente marcate. Anche la musica popolare, i canti e le processioni erano un modo di raccontare storie, celebrare gli eventi fausti della vita e affrontare i momenti tristi. In un mondo, peraltro, nel quale la comunicazione era precaria e frammentaria e le vie del traffico e i contatti continuamente minacciati da interruzioni e pericoli, questa ricorrente occasione di incontro era uno stabile strumento di trasmissione delle notizie. In Lombardia v’erano quelle di Milano, Bergamo, Crema, Mantova, in Piemonte quelle d’Asti, Vercelli, in Emilia e Romagna quelle di Bologna, Piacenza e Ferrara, in Alto Adige quella di Bolzano e unica nel sud, quella di Bari. Più famose, di maggiori dimensioni e più lunghe erano quelle francesi di Saint Denis, Parigi, Nimes, Ginevra, Lione e Troyes; Amburgo, Lubecca
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e Lipsia, in Germania; Londra, Cambridge, Chester in Inghilterra; tutte città ancora oggi assai importanti dal punto di vista commerciale. Queste grandi fiere diedero l’avvio a quella economia di mercato che si apprestava a sostituire il più antico sistema di commercio al dettaglio che caratterizzava i piccoli banchi di vendita, con il passaggio diretto dal produttore al consumatore. Le transazioni al minuto erano poche (i prodotti alimentari o quelli relativi a capi di vestiario erano trattati a stock interi venduti al miglior offerente) poiché più che vendere si cercava di coltivare pubbliche relazioni finalizzate ad acquisire clienti e le categorie più povere spesso non potevano far altro che guardare le merci pregiate o più strane, impossibilitate ad acquistare partite così grandi e costose. Gli accordi commerciali iniziarono a spostare flussi monetari di ingenti dimensioni e questo contribuì sia all’evoluzione del sistema creditizio, sollecitando il passaggio dal limitato pagamento in contanti all’uso di una sorta di carta di credito, sia
Fondaco dei Turchi a Venezia.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
alla nascita dei primi sodalizi economici per far fronte ad impegni, crediti e vendite. Non tutte le città pur economicamente importanti potevano vantare simili esposizioni che del resto per meglio funzionare dovevano in qualche modo costituire un crocevia tra zone che potevano fornire merci di tipo diverso provenienti da lavorazioni e culture differenti. Di solito era il duca, il principe o il conte locale a designare quali caratteristiche peculiari avrebbero dovuto avere gli insediamenti urbani per poter mantenere stabilmente una fiera annuale. I fondachi (edifici destinati ai mercanti forestieri come alloggio, deposito di merci e luogo di contrattazione) presenti in queste città erano sempre ben forniti e quasi al limite della loro capienza, ma i depositi di merci non diventavano quasi mai obsoleti grazie ad una naturale rotazione garantita dall’abilità di chi era preposto al loro governo. Ogni grande fiera era regolata da uno statuto, un atto giuridico che con rigorose misure di sicurezza ed amministrative evitava dispute tra città contigue.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
1.4. LE REALTA’ MERCANTILI NEL RINASCIMENTO Le esperienze fieristiche dell’età medievale e del primo ‘500 costituirono il cuore del sistema economico europeo nel suo aspetto mercantile e finanziario. L’Italia non fu mai caratterizzata da fiere paragonabili a quelle della Champagne o di Ginevra o di Francoforte, ma le grandi fiere internazionali, di merci e di cambi, erano dominate in molti casi da mercanti toscani, genovesi, lombardi e veneziani. Il territorio era comunque costellato da fiere o sistemi di fiere di dimensioni più ristrette, legate soprattutto a festività di carattere religioso durante le quali banchi e tende occupavano le piazze antistanti alle chiese per poi disperdersi nelle vie circostanti o negli ampi prati all’esterno delle mura. Nelle piccole realtà urbane, tali raduni sconvolgevano la vita quotidiana svolgendosi in maniera disordinata nonostante le disposizioni statutarie. Tra il 1200 e il 1500, in realtà, le città mercantili italiane erano delle grandi fiere permanenti dove si poteva acquistare di tutto nelle botteghe, nei magazzini. I manufatti che uscivano dai laboratori artigianali urbani e dalle case dei contadini dell’Italia settentrionale venivano scambiati con i prodotti agricoli (olio, vino, grano, ...) dell’Italia meridionale, con tessuti di produzione tedesca (di qualità inferiore a quelli italiani e quindi più appetibili per i ceti umili), con materie prime (cera, cuoio, lana, pelli, materie tintorie, legname, ferro, spezie, sapone) e bestiame (bovini, suini e specialmente equini) di ogni genere.
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1.5. IL MERCATO DEI MERCANTI Dalla metà del XVI secolo fino a tutto il XVII, la pittura nordeuropea aveva ospitato scene di mercato celebranti l’abbondanza, la ricchezza e la crescente fiducia nel commercio, fonte primaria di benessere per le nuove classi emergenti. Anche le opere pittoriche dall’Italia alla Fiandra del secolo successivo, oltre a rappresentare un documento di studio delle abitudini alimentari locali, rivelano nelle raffigurazioni di banchi, merci, venditori e clienti l’illuministica sensazione di poter sconfiggere definitivamente la fame, il senso della sicurezza economica e l’ottimismo nei confronti del progresso. Contemporaneamente un diverso e più audace intuito commerciale, le sollecitazioni di una più agguerrita concorrenza, una più larga diffusione del benessere e quindi un’aumentata domanda, il gusto della raffinatezza proprio di questo secolo, il mutare della società e del costume con rapporti interpersonali sempre più complessi e liberi, inducono mutamenti e ampliamenti impegnativi anche nelle attività connesse all’artigianato e al piccolo commercio. Ed ecco allora che la bottega, che fino a tutto il 1600 non si differenzia di molto da quella romana (ambiente piccolo qualche volta dotato di retrobottega o di soppalco, grande apertura verso strada in parte chiusa dal muretto/davanzale che funge da banco di vendita, le merci su mensole di legno e armadi o cassapanche, esposte in minima parte sul muricciolo esterno e più spesso sospese all’architrave, all’arco o a travetti) si trasforma gradualmente in un organismo meno pittoresco
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e un po’ più anonimo, ma più adatto alla civiltà industriale che stava nascendo in quel tempo. Compaiono botteghe da caffè splendidamente ornate, preziose farmacie rivestite di intagliate scansie affollate da vecchie terraglie, ospedali di stile rococò come quello degli Incurabili di Napoli oppure magnificamente arredati come l’Ospedale Maggiore di San Giovanni di Torino. Il processo culminerà poi nel 1800 con la nascita del moderno negozio cittadino, interamente chiuso ma dotato di vetrine ampie e luminose che permettono di ammirare già dall’esterno la qualità della merce esposta dentro. 1.6. IL MERCATO MODERNO Le nuove tensioni indotte dal fenomeno dell’urbanesimo industriale, che creando ponderosi problemi di approvvigionamento delle città in continua espansione provocano un aumento sostanziale della domanda e la possibilità di utilizzare le nuove strutture di ferro e di cemento che permettono di gettare le basi per grandi
Mercato di Porta Palazzo a Torino.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
coperture senza sostegni intermedi, ridanno vigore nel 1800 alla struttura del mercato coperto, considerato ormai come un essenziale servizio pubblico. Come in tutta l’Europa, nell’Italia del Nord si confermano i due modelli architettonici messi a punto nel secolo precedente: il quadriportico e lo spazio circolare di alcuni fori romagnoli e marchigiani, come la Piazza Maggiore di Mondaino. Ad ispirare gli architetti italiani furono probabilmente le forme dei mercati d’Oltralpe, come la ricostruzione ottocentesca in ferro dell’antica Foire Saint Germain di Parigi, il mercato centrale di Berlino e il Covent Garden di Londra, o i lontani bazar di Lara o di Ispahan in Persia. Con il complicarsi dei servizi e degli impianti il mercato coperto si articola in una differenziata gamma di tipologie in relazione all’ubicazione (mercati centrali o rionali), alla specializzazione merceologica e al genere di commercio e clientela (mercati all’ingrosso, al minuto, misti). Le strade ben selciate per le vetture sono affiancate da viali alberati per la gente a
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
piedi, le insegne commerciali catturano l’attenzione del compratore. Alla fine del 1800 e sempre più nel 1900 le strutture in cemento armato soppiantano quelle in ferro: fra gli esempi più interessanti dal punto di vista funzionale del primo quarto di secolo il grande mercato di Lipsia, coperto con tre cupole poligonali di cemento armato e quelli più piccoli di Francoforte e Reims, il bellissimo mercato dei fiori di Pescia costruito nel 1951 e quello elegantissimo costruito in Messico nella seconda metà degli anni Cinquanta. 1.7. I MERCATI RIONALI DI ROMA Negli anni della grande guerra, negozi, ristoranti e mercatini rionali sono coinvolti dal triste fenomeno del mercato nero, il commercio clandestino di prodotti di prima necessità che in qualche modo tentava di colmare i vuoti enormi aperti dal razionamento dei generi alimentari. Sui banchi le poche verdure di cui era consentita la vendita, sotto nascosti tra le cassette i polli, le uova, l’olio, la farina. Nelle borse della spesa la merce di contrabbando veniva poi occultata sotto l’insalata o le cipolle. La profonda trasformazione sociale ed economica, che negli ultimi decenni in Italia ha investito con particolare intensità il sistema distributivo e commerciale, spinge ad un ripensamento delle strutture e dei modelli gestionali per garantire una possibilità di sviluppo alla produzione ed alla distribuzione. Le strutture che ospitano i mercati sono ormai obsolete e spesso gestite da funzionari comunali impegnati ad applicare alla lettera regolamenti rigidi e anacronistici.
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A metà degli anni Ottanta si gettarono le basi per un radicale ammodernamento dei mercati all’ingrosso, fissando i criteri e stanziando le necessarie risorse finanziarie per la realizzazione dei nuovi Centri Agroalimentari, che oggi, nelle principali città italiane, hanno assunto la funzione di luogo d’incontro tra produttori, commercianti e consumatori svolta tradizionalmente dai mercati. L’ondata di rinnovamento ha investito anche moltissime altre città grandi e piccole che hanno, a loro volta, costruito o ristrutturato radicalmente i propri mercati. Da una parte gli operatori hanno dovuto trasformarsi da commercianti a imprenditori, dall’altra il passaggio dalla gestione totalmente pubblica alle società di capitali, ha arricchito la funzione gestionale e di tutela degli interessi pubblici con il dinamismo, l’esperienza imprenditoriale e la capacità di fare sistema della funzione commerciale. Come in altri Paesi della Comunità Europea, i mercati all’ingrosso sono visti come strumento per la promozione e l’incentivazione delle produzioni di qualità, come il controllo sistematico sull’applicazione delle norme di qualità e sulla salubrità delle derrate e la ricerca delle migliori soluzioni operative nel campo della rintracciabilità. Recentemente i mercati si sono, inoltre, impegnati in una serie di iniziative finalizzate ad informare quotidianamente i consumatori in merito alla miglior convenienza nella scelta dei loro acquisti.
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1.8. I FARMER’S MARKET DEL VENTESIMO SECOLO Uno degli snodi principali che fanno dell’Italia un Paese all’avanguardia è proprio la trasformazione di quello che un tempo era l’insieme dei mercati italiani in un vero e proprio sistema, compatto ed integrato al suo interno, l’anello forte intorno a cui rinsaldare la catena di una filiera che ha fatto la storia della cultura e dell’economia della nostra penisola. Di questa catena, oltre al mondo della produzione, fanno parte le varie formule oggi presenti sul territorio del sistema del dettaglio. E’ tra queste che i mercati dei produttori agricoli locali (spazi per la vendita di prodotti ortofrutticoli gestiti direttamente dagli imprenditori agricoli) si pongono come momento di contiguità tra il modello distributivo del mercato ortofrutticolo che fa parte della storia dei centri urbani e l’evoluzione delle esigenze della domanda e dei nuovi comportamenti alimentari. Le indagini sociologiche degli ultimi anni su consumi e stili di vita
Il consumatore sceglie direttamente il prodotto.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
evidenziano come l’interesse al consumo alimentare di qualità, benché fortemente condizionato dal livello di reddito o da fattori anagrafici o geografici, sia ormai presente in tutte le fasce della popolazione, che prestano grande attenzione alla certificazione di origine e biologica (sia perché considerata più salutare sia in quanto forma di agricoltura sostenibile) e che per l’acquisto di frutta e verdura preferiscono i mercati rionali ed i piccoli negozi specializzati. Dai dati, sul versante della produzione, emerge l’immagine di una azienda agricola moderna, che non si limita ad utilizzare tecniche e tecnologie all’avanguardia, ma con un sagace spirito imprenditoriale ha un atteggiamento comunicativo nei confronti del mercato, orientato a fidelizzare i rapporti con la clientela e a trasmettergli i valori e i metodi aziendali che stanno a monte del prodotto finale (legame con il territorio, genuinità, tradizione, modernità, ...). Per realizzare economie di scala e acquisire vantaggi competi-
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
tivi, percorre la strada dell’aggregazione tra produttori (consorzi, associazioni di produttori, distretti agroalimentari, società per la commercializzazione in comune dei prodotti) e ricorre, in più della metà dei casi, a forme di vendita diretta tramite uno spaccio aziendale, un agriturismo o altre forme di rapporti non mediati con il consumatore. Anche il consumatore stesso dimostra evidente interesse nei confronti del rapporto diretto con il produttore: non è un caso, che negli ultimi anni, si siano affermate iniziative di gruppi di
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acquisto (GAS) e di spese condivise, volte ad organizzare vere e proprie ordinazioni stagionali ad aziende agricole di fiducia. Le Amministrazioni comunali, d’altro canto, da sempre coinvolte sia nel processo di regolamentazione delle attività e delle modalità di vendita, che si svolgono nei propri confini, sia nella gestione delle attività di promozione e sviluppo dell’economia locale, sono oggi più che mai impegnate nella ricerca di forme efficaci di valorizzazione del patrimonio ambientale, culturale, turistico ed enogastronomico espresso dal territorio. I farmer’s market del Ventesimo secolo, che prevedono un rapporto diretto fra produttori e consumatori, riprendono una delle caratteristiche dominanti dei mercati di ogni tempo e luogo, quella cioè di porsi quale sistema distributivo flessibile, capace più di ogni altro di adattarsi ai cambiamenti della domanda dei consumatori. Completano la gamma delle tipologie distributive moderne, offrendo alcune peculiarità distintive che lasciano trasparire un filo diretto con quella funzione di intrattenimento e di divulgazione di novità, informazioni e cultura rurale (le tecniche produttive, le tradizioni locali, i piatti tipici, …), di edutainment2 insomma, tradizionalmente svolta da fiere e mercati. Offrono un’occasione di valorizzazione degli spazi urbani (la “piazza del mercato”), che ne escono rivitalizzati tornando ad essere luogo fisico di incontro e di scambio di idee e culture tra le persone.
Esposizione di alcuni prodotti stagionali.
2 Edutainment: si intende una forma di intrattenimento finalizzata sia ad educare sia a divertire.
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1.9. LE RICADUTE SUL MERCATO DEL CIBO In un contesto nel quale attuali modelli di consumo cercano di riavvicinare il produttore al consumatore è da valutare, l’aspetto nel quale la natura è diventata oggetto di dominio: se ne possono vedere gli effetti se si analizza ciò che è stato fatto nell’ambito dell’agricoltura e della produzione del cibo, il cosiddetto settore agroalimentare, che a partire dal dopoguerra per rispondere all’urgenza di un mondo affamato, è stato trasformato profondamente. L’agricoltura, fonte di cibo per l’umanità, ha dovuto assumere i colori, le caratteristiche e le misure del settore industriale classico, trasformandosi in ciò che si definisce comunemente agroindustria3. L’utilizzo del fuoco per cucinare gli alimenti è sempre stata un’operazione che ha distinto l’uomo dagli animali: il fuoco rappresenta il primo passaggio “culturale” nel processo che rende il cibo stesso un fattore culturale. La materia si trasforma per diventare commestibile, conservabile, trasportabile, il più piacevole possibile. Il fuoco, cuoce, sviluppa il fumo per l’affumicatura che permette di sterilizzare generando temperature elevate. Con la nascita e l’evoluzione del mercato anche il prodotto ha avuto una sua evoluzione, in numerosi casi quasi subita. Il mercato si è infatti per lo più rapportato a ricadute economiche che hanno portato il cibo a perdere in gusto e cultura. La cultura subalterna dei poveri e dei 3 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
contadini, infatti, non vanta fonti scritte e dai ricettari dei nobili si può soltanto intuire che i saperi del contado sono stati espropriati dalle classi dominanti insieme al diritto al piacere. Eppure le principali invenzioni della storia della gastronomia sono nate negli strati più poveri della società per rispondere a necessità urgenti: la mancanza di cibo, la deperibilità delle derrate alimentari, l’esigenza di trasportarle4 . Con l’industrializzazione sono cambiati i bisogni alimentari di chi lavora in fabbrica e aveva poco tempo per cucinare. Allo stesso tempo con l’industrializzazione si è sviluppata anche l’industria alimentare, che proprio sull’impiego della chimica fonda le sue capacità di produrre qualsiasi cosa commestibile in serie, inscatolata, già sempre pronto all’uso. La combinazione delle nuove esigenze e delle nuove scoperte nel campo della tecnologia alimentare ha permesso l’enorme sviluppo dell’industria che produce cibo, ma l’uso della chimica si è poi spesso rivelato troppo disinvolto generando scandali alimentari, nuove malattie, impoverimento della dieta per quanto riguarda elementi nutritivi e gusti. Il periodo d’oro della chimica in campo alimentare risale alla seconda metà dell’Ottocento: in Italia Francesco Cirio iniziò a produrre le prime conserve, poi l’invenzione della Coca Cola, la gomma da masticare e l’ananas in scatola. Pur non sapendolo, questi precursori diedero il via alla produzione industriale del cibo in vere e proprie catene di montaggio. L’odierno comparto dell’industria alimen4
Ibid.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
tare sforna ogni sorta di genere commestibile, ripropone addirittura piatti della tradizione e fa viaggiare le culture del cibo. Al supermercato si possono acquistare pizze surgelate, salse messicane e preparati per i burritos, caciucco o paella precotti da scaldare in padella, zuppe, brodi e minestre di ogni parte del mondo. Ci sono anche i prodotti inventati come gli snack al cioccolato, le chips o le sottilette, dove i marchi variopinti sulle confezioni sono più importanti del contenuto e i prodotti sono difficilmente riconducibili a qualcosa di esistente in natura5. Come risposta alle problematiche riguardanti il mercato agricolo si è arrivati alla cosiddetta Rivoluzione Verde, partita nel secondo dopoguerra, che ha portato un barlume di speranza in molti angoli del pianeta che pativano la fame. Fertilizzanti, nuove varietà ibride in grado di incrementare considerevolmente la produzione, generando anche più di un raccolto all’anno, hanno permesso di risolvere i problemi di nutrizione in alcune aree del pianeta. Si è rivelata però un disastro, tanto ecologico quanto economico: le nuove varietà ibride consumano più acqua, si sostituiscono alla biodiversità esistente cancellandola per sempre e, indirettamente, minano i suoli, dato che necessitano di quantità crescenti di fertilizzanti chimici e pesticidi. Inoltre, è sparito un patrimonio inestimabile di conoscenze legate non soltanto alla coltivazione ma anche all’impiego dei prodotti, alla loro trasformazione, alla loro preparazione. 5
Ibid.
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La Green Revolution ha aperto un nuovo vasto mercato per le operazioni delle grandi multinazionali principalmente in tre settori: semi, fertilizzanti e pesticidi. 1.10. CENNI STORICI SULLA GDO La grande distribuzione organizzata, abbreviata in GDO, è l’evoluzione del commercio dal dettaglio all’ingrosso. È composta di grandi strutture o gruppi (in alcuni casi multinazionali) con molte strutture distribuite su tutto il territorio nazionale, internazionale o addirittura mondiale. Nel gergo tecnico si distingue tra strutture della Grande Distribuzione (GD) e della Distribuzione Organizzata (DO). Le prime vedono grosse strutture centrali gestite da un unico soggetto proprietario, che gestiscono punti di vendita quasi sempre diretti. Gli attori più importanti sul mercato Italiano sono sicuramente Carrefour, Auchan, Esselunga. Le seconde vedono invece piccoli soggetti aggregarsi secondo la logica de “l’unione fa la forza”: attraverso infatti l’adesione ai gruppi d’acquisto, i piccoli e medi dettaglianti possono ottenere agevolazioni economiche in termini di approvvigionamento, derivanti dal maggior potere contrattuale nei confronti dell’industria da parte delle centrali. Inoltre vi sono anche vantaggi conseguibili dallo sfruttamento del marchio e dall’ottenimento di supporto in termini di know-how e coordinamento strategico. Nel nostro paese i gruppi più importanti sono sicuramente Interdis, Selex, Sisa e Despar. Recentemente la GD ha però radicalmente cambiato le sue strategie di crescita, tanto
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da pareggiare e, solo ultimamente, scavalcare la posizione di dominanza della DO. Un aspetto determinante che ha causato il “cambio di leadership” è proprio da individuare nelle caratteristiche strutturali dei due operatori. Infatti la struttura a rete classica della DO ha rivelato alcuni punti deboli riconducibili alle relazioni negoziali con i fornitori. Sovente infatti nella DO si verificano casi di “sovrapposizione negoziale” a causa della crescita dimensionale (e di conseguenza contrattuale ed economica) di singoli membri appartenenti
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
allo stesso gruppo che non tardano a reclamare maggiore indipendenza dalla centrale, anche per le problematiche di carattere strategico e di governance. I rapporti di fornitura e le condizioni economiche che si riescono a ottenere infatti, rappresentano una voce di assoluta centralità nel risultato economico di un’impresa commerciale. Inoltre non va sottovalutata l’eterogeneità dei formati di vendita che spesso va a caratterizzare la DO e che penalizza la capacità di controllo e di coordinamento unitario da parte della centrale. In generale, in Italia la GDO soffre una notevole debolezza delle catene nazionali che si trovano soverchiate dalla potenza dei colossi esteri, in particolar modo nei settori discount e ipermercati, rispettivamente dominati da gruppi tedeschi e francesi. Ne consegue anche una totale assenza di gruppi italiani nei mercati esteri, mentre in Germania e Francia dominano le proprie catene nazionali. Nessun gruppo italiano ha una diffusione capillare in tutto il Paese, ad eccezione delle cooperative di consumatori e di dettaglianti. Le prime vedono nel principale attore Coop Italia, mentre le seconde Conad, entrambe con sede a Bologna. Di norma i sistemi cooperativi vengono comunque inseriti all’interno dei gruppi della Grande Distribuzione.
Immagine pubblicitaria degli Anni ‘70.
Fin dal 1830 in Francia i cosiddetti Magasins de Nouveautés rappresentarono il passaggio tra il commercio tradizionale e la formula del grande magazzino. La data di nascita del grande magazzino, tuttavia, è fatta coincidere con l’apertura del rinno-
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vato Le Bon Marché a Parigi nel 1869, seguito a ruota dall’apertura dei magazzini Louvre. Per quanto riguarda il supermercato, la sua nascita è fatta coincidere con l’apertura del primo punto vendita della King Kullen negli Stati Uniti nel 1930. Per quanto concerne, infine l’ipermercato, il caso più emblematico è quello del gruppo francese Leclerc che ha sempre tentato di introdurre nuove merceologie nei suoi punti vendita spesso “forzando” al ribasso l’esistenza di prezzi imposti (tabacchi, libri, benzine, profumi, ...) Il primo grande magazzino italiano è stato fondato a Milano nel 1877 da due fratelli che avevano avuto successo come venditori ambulanti di tessuti: i fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi; il magazzino si chiamava Aux villes d’Italie, poi ribattezzato Alle città d’Italia, e si rifaceva al magazzino francese Bon Marché. Il 27 novembre 1957 venne aperto il primo punto vendita (in Italia) di una catena di GDO. Si trovava a Milano in via Regina Giovanna, la società si chiamava Supermarkets Italiani che oggi è meglio nota come Esselunga.
Supermercato americano Anni ‘70.
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Il discount, in maniera differente, rappresenta una tipologia di operatore della GDO. Come indicato dal nome stesso, il discount è un punto vendita all’interno del quale è possibile trovare merci a prezzi più bassi rispetto ad analoghi prodotti venduti in altre tipologie di negozi. Tale caratteristica viene perseguita dal punto vendita attraverso precise scelte commerciali, che possono essere: minor assortimento, vendita di marchi commerciali meno conosciuti, abbattimento dei costi per il personale e per l’allestimento, abbattimento delle quote di guadagno percentuale (con l’obiettivo di aumentare il guadagno complessivo puntando al volume di vendita), ottimizzazione dei sistemi di distribuzione e di approvvigionamento. Sebbene in massima parte il discount punti alla vendita di prodotti alimentari, esistono discount specializzati anche in altri settori.
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1.11. IL DISCOUNT NON ALIMENTARE: L’OUTLET L’outlet è una tipologia di punto vendita specializzato nella vendita al dettaglio di prodotti di marche famose invenduti o usciti dal catalogo più recente del produttore. Comunque negli ultimi anni, data la continua crescita di domanda di prodotti outlet, alcune produzioni vengono espressamente dedicate a questo canale di distribuzione commerciale. Il prodotto, prevalentemente di marchi prestigiosi o di qualità o, in particolare per la moda, di celebri firme, viene destinato ai negozi dell’outlet e messo in vendita a prezzi inferiori. In questo modo il produttore può cedere i prodotti invenduti o difettosi e il consumatore può acquistare beni di vario genere (capi d’abbigliamento o scarpe, oggetti di design o alimentari, articoli sportivi, mobili, accessori, ...) ideati da marchi famosi ottenendo uno sconto rilevante sul prezzo originale. Talora questi prodotti sono rivenduti nello spaccio aziendale dello stesso produttore
Città outlet Vicolungo (NO).
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(a volte dato in gestione in conto terzi); più frequente è appunto la formula del centro commerciale outlet, ossia una galleria di negozi, sia monomarca che multimarca, radunati entro una stessa struttura, con servizi in comune. Gli ambienti degli outlet, solitamente, non sono diversi dai normali negozi o centri commerciali; ne ricalcano l’organizzazione sia logistica che architettonica. La disposizione e l’esposizione delle merci, tuttavia, risulta molto meno appariscente e il servizio è orientato al self service. Sempre volti a imitare i modelli di vendita dei “classici” centri commerciali, a causa del successo riscosso dagli outlet è sempre più comune la formula dei centri commerciali outlet e anche delle città outlet. Le città outlet, infatti, si presentano come dei piccoli “paesi” con strade, vie, piazze, ed edifici architettonici tutti però volti allo scopo commerciale. I diritti dei consumatori, nell’ambito di acquisti effettuati presso un outlet, sono regolarmente tutelati dalla legge per
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quanto concerne esposizione dei prezzi, trasparenza di sconti ed eventuali difetti della merce, resi, garanzie ecc. Il fenomeno degli outlet, in particolare nel nord Italia, sta vivendo in questi ultimi anni una fase di ampia crescita sia di richiesta sia di offerta. 1.12. LA NASCITA DELLA VENDITA A DISTANZA La vendita a distanza su catalogo nasce nel 1872, negli Stati Uniti da un’idea di Aaron Montgomery Ward, uomo d’affari e commerciante, per ovviare alle difficoltà di approvvigionamento di merci dovuta sia alle grandi distanze del Paese, sia alle carenze del sistema distributivo stesso, che si concretava spesso in un unico emporio al centro di una zona molto vasta della campagna rurale con una scelta limitata di prodotti ad un prezzo non concorrenziale6 . A vantaggio dell’intuizione di Ward giocarono lo sviluppo della rete ferroviaria e del servizio postale e l’evoluzione delle tecniche di stampa. Il primo catalogo di Montgomery Ward vantava un assortimento di 163 articoli. Nel volgere di pochi anni il catalogo di vendita a distanza crebbe in dimensioni e popolarità, tanto da essere definito “libro dei desideri”. Nell’America contadina e rurale della fine del XIX secolo e inizi del XX il catalogo ha costituito, insieme alla Bibbia, l’unico libro stampato nelle case degli Americani, traguardo e origine di bisogni al tempo stesso. Negli anni l’idea di Ward fu spesso replicata da altri commercianti fra i quali Richard Warren Sears, manager 6 Sabbadin, Edoardo, Le vendite per corrispondenza. Struttura, strategie e tendenze internazionali, Milano, Franco Angeli Editore, 1984
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e uomo d’affari, che nel 1896 pubblicò il suo primo catalogo despecializzato (risale un catalogo di soli orologi al 1893), dando inizio ad una vicenda, non solo economica che arriva ai nostri giorni. Più o meno nello stesso periodo (1885) in Francia, Mimard e Blanchon, abilissimi uomini d’affari, acquistando la “Manifacture Francaise d’Armes et de Tir” gettano le fondamenta di quello che diventerà il famosissimo catalogo Manufrance. Per quanto riguarda l’Italia, la vendita a distanza era già attiva nel 1913 quando il catalogo OMNIA pubblicizzava dalle sue pagine7 il fatto di avere già tanti clienti e di avere migliorato il suo servizio: “la società OMNIA nell’inviare alla sua numerosissima clientela il nuovo catalogo 1913 è orgogliosa di poter far constatare i vantaggi sempre maggiori che offre con questa nuova pubblicazione e i progressi grandissimi da lei fatti in breve volgere di anni.” La Società OMNIA nacque nel 1911, anno della Grande Esposizione Internazionale di Torino. Il catalogo ha una straordinaria messe di articoli, utensili, biciclette,armi ma anche macchine per cucire,giocattoli, accessori per la caccia, ecc. Nel 1960 nasce Postalmarket, nel 1962 Vestro, nel 1964 C.I.A. Compagnia Internazionale Abbigliamento. Il periodo è fecondo, la ricostruzione ha portato con sé il boom economico, eppure la peculiarità del tessuto economico italiano, ancora molto arcaico, agricolo , in un certo senso “pre-bellico” fa sì che la nascita e lo sviluppo della vendita a distanza in Italia non sia fondata sul bisogno, ma lo generi. 7 Catricalà, Maria, Le parole introvabili. Come è nata la vendita per corrispondenza in Italia, Firenze, Aida Editore, 2001
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Il caso Postalmarket Anna Bonomi Bolchini appartenente alla ricca borghesia milanese, amministratrice unica della società ereditata alla morte del padre (1940), la Beni Immobili Italia, costruttrice, con la nuova società, “Impresa costruzioni Bonomi e Comolli”, del Grattacielo Pirelli, ispirandosi alla realtà americana, fonda Postalmarket. Il primo catalogo appare nel 1958 e raccoglie una serie di articoli da regalo, seguito poi da altri 2 numeri nel 1959 con articoli di abbigliamento e casalinghi. Il primo catalogo Postalmarket despecializzato viene pubblicato nel 1960 : 48 pagine con una tiratura di 10.000 copie. Il secondo numero, della durata di 6 mesi, recitava sul frontespizio “…scegliete con comodo…comperate a casa vostra”. Le condizioni di acquisto prevedevano la
Copertina Postal Market Primavera/Estate 1978.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
clausola “soddisfatti o rimborsati” con la sostituzione dell’articolo, ovvero la restituzione dell’intera somma versata (spese di ritorno a carico del cliente)8 . I marchi degli articoli sono fra i più prestigiosi: Bassetti, Kodak, Hoover, Remington, Lanerossi, Zucchi, Bialetti, porcellana Laveno, argenteria Chirstofle, penne Aurora, valige Valaguzza, ... Con i suoi prodotti, prezzi e didascalie, il catalogo si rivolgeva ad un target medio/alto, ma la diffusione sempre più capillare del mezzo e il boom economico fecero sì che le classi meno abbienti potessero avere accesso ad abitudini di consumo più generose. In Italia il “libro dei desideri” racconta al fruitore una realtà meravigliosa, esotica e ancora poco conosciuta, fatta di tovagliette in plastica per servizi all’americana, ritratto della alta borghesia milanese, specchio della Fondatrice, ma fortemente avulsa dal resto del Paese. Al di là dei prezzi, che negli anni rimangono sempre piuttosto alti, altri sono i motivi del fallimento sostanziale della vendita a distanza in Italia: le manchevolezze del servizio postale giocarono un ruolo di primo piano, insieme al rincaro sui prezzi dell’Iva9.
8 Catalogo Postalmarket n. 2, Aprile-Settembre 1961, Collezione “materiale minore”, Biblioteca Nazionale Centrale Firenze 9 Catricalà, Maria, Le parole introvabili. Come è nata la vendita per corrispondenza in Italia, Firenze, Aida Editore, 2001
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
1.13. IL CONSUMO VELOCE: IL FAST FOOD Il fast food (espressione inglese traducibile letteralmente come “cibo veloce”) è un tipo di ristorazione di origine e principale diffusione in paesi di cultura anglosassone, servita in locali chiamati appunto “Fast Food”, veloce da preparare e da consumare. Si possono incontrare anche fast food ambulanti che forniscono cibo simile e con le medesime modalità. È un pasto veloce, un sistema rapido di ristorazione che a partire dal 1980 ha avuto una vasta diffusione a livello mondiale. Questa cucina è costituita principalmente da hamburger, hot dog, patate fritte, pizze, sandwich anche da altri cibi derivati da cucine etniche, come la cipolla fritta, e suggerisce l’uso massiccio di diverse salse come la maionese ed il ketchup. Il fast food è in genere caratterizzato da un costo relativamente modesto, dall’uniformità del servizio offerto e dall’ampia diffusione dei punti vendita. Il modello alimentare proposto dai fast food coinvolge prevalentemente fasce più giovani, ma anche una quota crescente di adulti, che per motivi essenzialmente legati ai ritmi lavorativi, fa sempre maggiore ricorso a questo tipo di ristorazione. Nei paesi latini, tradizionalmente più legati a preparazioni laboriose ovvero a sapori e componenti più direttamente di origine rurale, il fast food è spesso considerato sinonimo di cattiva alimentazione, sia perché costituito da pasti consumati in fretta, anche in piedi o in auto, sia per l’insufficiente qualità e varietà degli ingredienti e per l’abbondanza di elementi fritti, grassi, salati e zuccherati.
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Sebbene mangiare al fast food non rappresenti un rischio per la salute, un’alimentazione composta così come previsto dai menu dei fast food è di norma notevolmente squilibrata, perché fornisce un elevatissimo apporto calorico, un’elevata quantità di grassi (soprattutto di natura animale), di sodio e di zuccheri semplici, mentre sono insufficienti le quantità di sali minerali, amido, fibre e vitamine a causa dell’assenza di frutta e verdura fresche. Nel tentativo di dare risposta a questi squilibri nutrizionali, i gestori delle più note catene propongono nei propri menu anche pasti con minore apporto calorico come insalate e macedonie. Il caso McDonald’s La McDonald’s Corporation è una società statunitense attiva nei servizi di ristorazione. Gestisce, direttamente o per mezzo del franchising, la maggiore catena di fast food al mondo10 . La sede è ad Oak Brook, (Chicago). I ristoranti McDonald’s sono diffusi in tutto il mondo (impiegano a tempo pieno circa 438.000 persone) e sono diventati uno dei simboli più riconoscibili e contestati della cosiddetta globalizzazione. Nel 1937 i fratelli McDonald Richard, detto “Dick”, e Maurice, detto “Mac”, aprirono ad Arcadia, in California, un chiosco di hot dog. Il primo ristorante denominato McDonald’s verrà aperto il 15 maggio 1940 a San Bernardino, sempre in California. Tredici anni dopo, visto il successo del primo ristorante i due fratelli incomincia10 aspx
http://www.mcdonalds.ca/en/aboutus/faq.
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rono a concedere in franchising il loro marchio, aprendo così un secondo ristorante a Phoenix, in Arizona. La svolta nella storia dell’azienda si ebbe nel 1955, quando Ray Kroc, fornitore di frullatori, fondò “McDonald’s Systems, Inc.” che facilitava il franchising ai nuovi ristoranti. Nel 1967 fu aperto il primo ristorante in Canada, a Richmond. Il 1971 fu l’anno del primo fast food in Europa: in Olanda, vicino ad Amsterdam. McDonald’s è divenuto l’emblema della globalizzazione, alcune volte definita
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
come la “McDonaldizzazione” della società. La rivista The Economist usa l’indice Big Mac: la comparazione tra i prezzi del Big Mac in vari paesi può essere usata per calcolare in maniera informale il potere d’acquisto. Dato che McDonald’s è strettamente associata con la cultura e lo stile di vita degli Stati Uniti, la sua espansione internazionale è stata definita parte dell’americanizzazione e dell’imperialismo culturale americano. McDonald’s è quindi un bersaglio dei contestatori anti globalizzazione. Il mercato italiano apre le porte a McDonald’s il 4 novembre 1985 con l’apertura di un punto ristorazione a Bolzano, mentre l’anno successivo fu la volta di Roma, a Piazza di Spagna. Nel 1993 arriva il servizio alle macchine McDrive. Il 1996 segnò una svolta per McDonald’s Italia, con l’acquisizione della principale società concorrente avente 80 ristoranti nella penisola, l’italiana Burghy, di proprietà della Cremonini S.p.A.. I clienti serviti in Italia sono, oltre 180 milioni l’anno, circa 600.000 al giorno, con 430 ristoranti in 19 regioni. Anche in Italia, come altrove nel mondo, i ristoranti McDonald’s sono al centro di numerose polemiche riguardo la qualità dei pasti distribuiti, il trattamento dei dipendenti ed anche l’impatto architettonico causato dalla presenza della loro vistosa insegna.
McDrive.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
1.14. UNA FORMA “SPECIALE” DI GDO: EATALY La superficie complessiva è di circa 11.000m2, di cui: 3.200 destinati ad aree didattiche, Museo Carpano e sala conferenze, 2.450m2 destinati alla vendita e somministrazione, 820m2 destinati a percorso coperto aperto al pubblico e il resto destinato ad aree accessorie. Il 26 gennaio 2007 è stata inaugurata la sede torinese di Eataly, il primo centro in cui percorrere itinerari del gusto frequentando corsi a pagamento di educazione alimentare o corsi di cucina con i grandi chef del territorio o soffermarsi nelle aree didattiche a disposizione di tutti. Dal 2007 ad oggi sono stati aperti altri 10 punti vendita Eataly tra Italia, Giappone e Stati Uniti. L’ultimo è stato inaugurato a ottobre 2010 a Monticello d’Alba, in provincia di Cuneo. Lo spazio per la ristorazione, articolato in otto aree tematiche più il ristorante Guido per Eataly–Casa Vicina, offre la possibilità
Ruota della stagionalità di Eataly.
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di degustare ogni giorno cibi di alta qualità direttamente sul posto oppure di portare a casa numerose specialità preparate direttamente dalla gastronomia. Eataly nasce con l’intento di smentire l’assunto secondo il quale i prodotti di qualità possono essere a disposizione solo di una ristretta cerchia di privilegiati, poiché spesso cari o difficilmente reperibili. Il marchio riunisce un gruppo di piccole aziende che operano nei diversi comparti del settore enogastronomico: dalla celebre pasta di grano duro di Gragnano alla pasta all’uovo Langarola, dall’acqua delle Alpi Marittime piemontesi al vino piemontese e veneto, dall’olio della riviera di Ponente ligure alla carne bovina piemontese, e ancora salumi e formaggi della tradizione piemontese italiana. Eataly propone dunque il meglio delle produzioni artigianali a prezzi assolutamente avvicinabili, riducendo all’osso la catena distributiva dei prodotti e creando un rapporto di contatto diretto tra il produttore e il distributore finale, saltan-
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do i vari anelli intermedi della catena. L’obiettivo di Eataly è quello di incrementare la percentuale di coloro i quali si alimentano con consapevolezza, scegliendo prodotti di prima qualità e dedicando una particolare attenzione alla provenienza e alla lavorazione delle materie prime; ad oggi infatti la percentuale di popolazione che assume un atteggiamento di questo tipo nei confronti di ciò che mangia è ancora molto bassa ed è spartita tra coloro che detengono un alto potere d’acquisto e tra pochi intenditori, che hanno già ben presente il valore dei prodotti sani e tradizionali. La filosofia che Eataly adotta in questo senso è duplice: da un lato si trova l’offerta dei prodotti, sia sotto forma di distribuzione che sotto forma di opportunità di ristorazione, mentre dall’altro esiste un discorso impostato sulla didattica e articolato in corsi di cucina, degustazioni, corsi sulla conservazione corretta dei cibi, didattica per i bambini (tutte attività a pagamento). Quest’ultimo aspetto riassume la vera originalità di Eataly e costituisce il punto di partenza per instillare nel consumatore una corretta percezione della qualità, in grado di muovere le sane leve del gusto e del godimento che rendono l’essere umano più appagato e felice, nella convinzione che “mangiare bene aiuti a vivere meglio”. Dall’individuazione dei produttori di eccellenza, al reperimento delle migliori materie prime disponibili sul territorio Eataly segue un percorso fatto di rispetto della tradizione ed educazione su un modo di alimentarsi “buono, pulito e giusto”, come
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
appreso da Slow Food11. Slow Food svolge nei confronti di Eataly il ruolo di consulente strategico, con il compito di controllare e verificare che la qualità dei prodotti proposti sia sempre all’altezza delle promesse e che i produttori, entrati a far parte del novero di Eataly, non compromettano la qualità della loro produzione per soddisfare una domanda crescente dei loro prodotti. La concezione di qualità per Slow Food possiede tre precetti sostanziali, dai quali è impossibile prescindere: un alimento deve infatti essere organoletticamente buono, sostenibile dal punto di vista ecologico e giusto dal punto di vista sociale, all’insegna della ricerca di un piacere alimentare responsabile. La massima aspirazione nella promozione di un simile concetto di qualità è che, tanto al consumo quanto alla produzione, queste caratteristiche vengano rispettate e condivise. Si tratta di una visione quasi utopistica e non estranea da ostacoli che costringono a prendere atto del fatto che molte produzioni alimentari “buone, pulite e giuste” hanno in realtà dei limiti strutturali molto forti. Questo accade principalmente per la connaturata limitatezza delle materie prime a disposizione, perché esse non possono essere trasportate troppo lontano, ma soprattutto perché incrementare in maniera significativa l’attività dei piccoli produttori significherebbe al contempo comprometterne la perfetta integrazione con ambiente e umanità locali12. 11 Slow Food: Associazione no profit che difende la biodiversità e i diritti dei popoli alla sovranità alimentare, fondata in Italia da Carlo Petrini nel 1986. 12 http://www.eataly.it/index.php
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
Si tratta di una questione critica davanti alla quale si trova chi intende promuovere la “democratizzazione” della qualità alimentare e che rende tanto ambizioso quanto difficile un progetto di questo tipo. Per affrontare con successo queste problematiche Eataly tiene costantemente presenti questi rischi, ponendosi in un atteggiamento esattamente opposto a quello adottato dalle economie di scala e dal business in generale: in sostanza la ricerca verte sempre sullo sviluppo e non sulla crescita, facendo della qualità il concetto alla base di ogni attività gastronomica dalla produzione, alla distribuzione, al consumo. “La polpa della pesca” Intervista a Oscar Farinetti, ideatore e presidente di Eataly : “…Eataly nasce con l’idea fondamentale di avvicinare la gente comune ai cibi di qualità … E allora abbiamo pensato di creare una sorta di mercato permanente di cibi di alta qualità che integra tre funzioni: comprare,
Presidio Slow Food: Castelmagno d’alpeggio piemontese.
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mangiare e imparare. Questo è un grande luogo aperto e informale: l’informalità vende, crea convivialità, fa parlare le persone di diverso ceto e di diversa età; il cibo unisce, mentre la formalità disunisce. Puoi girare liberamente, puoi vedere, mangiare e, se vuoi, studiare i cibi…Quando mi hanno fatto vedere alcune realtà torinesi adatte al mio progetto, mi sono innamorato subito dell’ex fabbrica Carpano, la sede più complessa da realizzare, perché richiedeva un restauro lungo e costoso, ma adatta a creare un clima da Old Factory…” Nell’allestimento e nell’esposizione dei prodotti Eataly denota un’attenzione progettuale per il dettaglio: già dall’ingresso si colgono in un’unica percezione visiva gli elementi fondamentali: grafica della didattica, comunicazione, esposizione dei prodotti. “… Creare un punto vendita è come creare una pesca: tu devi partire dal nocciolo, che è fondamentale, per individuare i valori base del punto vendita; la buccia sono le esperienze che tu vorresti far vivere al tuo cliente dentro al punto vendita, le visioni, gli odori, i profu-
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mi, che costituiscono il modo di fargli vivere quelle esperienze, il che significa mangiare la polpa. Ecco perché la scelta dell’ambiente e del suo arredamento diventa fondamentale… Chi determina i mercati è la domanda e c’è molta gente disposta a produrre qualità… Eataly assolve a questo compito: creare una domanda di cibi di qualità, con un prezzo di vendita vero, che garantisca al contadino un prezzo sostenibile. Mi sembra un concetto non da poco”13. 1.15. LINEA DEL TEMPO DEI MODELLI DI CONSUMO Per riassumere i modelli di consumo è stato realizzato uno schema che mettesse in relazione quattro variabili con l’evolversi dei modelli. La variabile storica si identifica con una linea temporale che evidenzia gli avvenimenti più significativi che hanno accompagnato lo sviluppo dei modelli. La seconda variabile è legata a società e territorio e per tanto evidenzia le trasformazioni più importanti che hanno modificato gli stili di vita e il rapporto con il contesto rurale e urbano; la variabile economica invece rappresenta lo sviluppo commerciale. L’ultima variabile rappresenta le innovazioni tecnologiche, ma non solo, che hanno mutato radicalmente i comportamenti dell’uomo.
13 Torino & Piemonte, City & Design Report 2007, Food Design, pag 34.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
1.16. CARATTERISTICHE DEI MODELLI DI CONSUMO In seguito all’analisi evolutiva dei modelli di consumo, si è resa necessaria la definizione di alcune caratteristiche base che delineassero genericamente il modello di consumo stesso. Il raggruppamento di alcuni modelli di consumo per caratteristiche simili tra loro ne è stata la diretta conseguenza. Successivamente un’ulteriore suddivisione ha permesso di distinguere i modelli caratterizzati da un rapporto di scambio/ vendita diretto da quelli basati su un rapporto di vendita indiretto.
1. STORIA - l’evoluzione dei modelli di consumo
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2. AD OGGI
i modelli di consumo attuali
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al baratto al supermercato, dal bazar al discount, dai centri commerciali ai farmer’s market, ogni nuovo modello di consumo nasce sulla base di un modello preesistente. Come si è visto dalla precedente analisi, i fattori di trasformazione sono quattro: gli avvenimenti storici, i cambiamenti sociali, l’espansione economica e l’innovazione tecnologica. Non si può sempre stabilire con precisione se un determinato fattore abbia portato allo sviluppo di un nuovo modello di consumo, o se sia stato il modello di consumo stesso a modificare abitudini, tecnologie e stili di vita perché molto spesso si creano relazioni parallele non scindibili tra loro. Anche il modello di consumo attuale è basato semplicemente sulla trasformazione e sull’evoluzione di modelli precedenti. In ogni modello, il rapporto tra produzio-
Polo logistico di distribuzione merci.
ne e consumo è mediato da due canali: quello distributivo e quello di vendita. 2.1. FILIERA La Distribuzione Ai fini di una breve ricostruzione storica del settore distributivo, è utile pensare al processo economico come costituito da tre principali insiemi di attività: un insieme di cui fanno parte le attività di produzione in senso stretto; un insieme di attività di acquisto di beni e servizi, utilizzati dai consumatori per soddisfare i propri bisogni; un insieme di attività intermedie tra le prime due, finalizzate al collegamento di produzione e consumo nello spazio, nel tempo e con le modalità desiderate dalla domanda. L’espansione internazionale delle imprese
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di distribuzione sembra essere la naturale conseguenza di un processo evolutivo in atto ormai da diversi decenni. Parallelamente all’evoluzione dell’offerta commerciale, sollecitata peraltro dalle attese di consumatori sempre più esigenti e con minor tempo a disposizione per gli acquisti, è cresciuta negli operatori della distribuzione la consapevolezza delle potenzialità di sviluppo del settore, non semplice anello di congiunzione fra produzione e consumo finale ma interlocutore autonomo in grado di arricchire il prodotto industriale con i servizi offerti e di orientare le scelte della clientela. Il settore della distribuzione commerciale svolge una funzione di interfaccia tra produzione e consumo le cui caratteristiche e il cui valore economico dipendono dal maggiore o minore grado di integrazione che i due insiemi di soggetti posti in contatto, (produttori e consumatori) esercitano sulla funzione distributiva. Quando avvenne il passaggio da un’economia di sussistenza ad un’economia di mercato, con la progressiva sostituzione dell’autoproduzione con lo scambio di beni sul mercato, nacque la figura dell’intermediario specializzato. In effetti, lo sviluppo del settore commerciale ha seguito lo sviluppo di quello industriale poiché è frutto di un processo di specializzazione che sta alla base della Rivoluzione Industriale: la specializzazione produttiva ha fatto allontanare il singolo produttore dai suoi potenziali compratori e di conseguenza sono diventati evidenti i vantaggi di affidare ad imprese indipendenti la vendita al consumo dei beni prodotti dall’industria.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Alla loro origine i servizi commerciali avevano sono una funzione logistica in quanto il vantaggio fondamentale della presenza di un intermediario specializzato stava, infatti, nel raccogliere i beni di diversi produttori per proporli ad un universo di compratori molto più vasto di quanto sarebbe riuscito a fare il singolo produttore ed in modo economicamente più efficiente. Successivamente però, la funzione della distribuzione cessa di essere solo logistica, per assumere una dimensione informativa e diventare un “filtro” di informazione/conoscenza tra i due sistemi da un lato, selezionando un assortimento e proponendo proprie politiche di marketing dall’altro. Il distributore commerciale diviene da anello subordinato della catena mercantile a soggetto imprenditoriale autonomo e con un proprio potere contrattuale. Nel corso degli ultimi anni, è avvenuto un progressivo consolidamento della grande distribuzione alimentare a discapito del dettaglio tradizionale. Da un’analisi condotta sui fatti degli ultimi dieci anni rilevati dal Ministero dello Sviluppo Economico emerge un perfetto travaso di quota di mercato dall’una all’altra componente commerciale: i negozi tradizionali dal 53% del 1996 sono scesi al 34% del 2007, mentre la distribuzione moderna è salita nello stesso periodo dal 35,8 al 53,3% di quota. Più in dettaglio i supermercati1, che rappresentano la quota più rilevante tra i diversi canali di vendita, dal 30,6% del fatturato complessivo sono passati nel 2007 al 41,6%, mentre gli ipermercati2 parten1 Supermercato: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai 400 m² ai 2.500 m². 2 Ipermercato: struttura con un’area di
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do dal 6,8%, hanno raggiunto il 13,1% di quota. Sostanzialmente invariato il peso relativo delle superette3, canale distributivo che sta registrando da alcuni anni una riconversione in formule di soft discount4 mentre gli hard discount5 hanno raggiunto, in poco più di dieci anni, una quota di mercato del 6,8%. Rilevante il processo inverso che ha caratterizzato, sempre nell’ambito del comparto alimentare, il dettaglio tradizionale, il cui peso crolla dal 40,6% di inizio periodo al 19,5% attuale6. La Provenienza Sul piano ambientale ogni pasto percorre lunghi viaggi con aerei, navi o camion. Le ciliegie arrivano dal Cile, i mirtilli dall’Argentina, le angurie dal Brasile, i porri dalla Germania, lo scalogno dalla Turchia, i ravanelli dai Paesi Bassi, di pere ce ne sono quattro tipi ma soltanto uno è Made in Italy, gli altri arrivano da Spagna e Sudafrica. Oggi s’importano anche i prodotti di stagione, non soltanto le primizie. Gli agricoltori sostengono che questa situazione non sia più accettabile: anche i consumatori ci perdono, in qualità e sicurezza e oltretutto spendono di più, pagano anche il gasolio quando comprano frutta e verdura d’importazione. vendita al dettaglio superiore ai 2.500 m². 3 Superette: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai 200 m² ai 400 m². 4 Soft discount: generalmente di superficie più grande rispetto all’hard discount (700/800 m2), ha diffusi prodotti di marca industriale e almeno 1500 referenze. 5 Hard discount: oltre a non avere prodotti di marca ha generalmente superfici più contenute rispetto al soft discount. 6 Fonte Istat
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I mirtilli cileni si pagano 18 euro al Kg, quelli italiani meno di 16; per le pere Forelle del Sudafrica si spende 4 euro al Kg e le William spagnole erano più care delle William italiane: 2,49 euro al Kg contro 2,19. E’ stato calcolato che 1 Kg di ciliegie dal Cile per giungere sulle tavole italiane deve percorrere quasi 12.000 Km con un consumo di 6,9 Kg di petrolio e l’emissione di 21,6 Kg di anidride carbonica, mentre 1 Kg di mirtilli dall’Argentina deve volare per più di 11.000 Km con un consumo di 6,4 kg di petrolio che liberano 20,1 Kg di anidride carbonica e l’anguria brasiliana viaggia per oltre 9.000 Km, brucia 5,3 Kg di petrolio e libera 16,5 Kg di anidride carbonica per ogni chilo di prodotto, attraverso il trasporto con mezzi aerei7. Comprando prodotti locali si possono risparmiare 100 euro al mese (su 467 di spesa media per famiglia) ma anche 1.000 Kg di CO2 l’anno8. I Prezzi della Filiera In un paese dove l’86% dei trasporti avviene su gomma, l’aumento dei pedaggi stradali pesa notevolmente sulla spesa alimentare con i costi della logistica che incidono per quasi un terzo nella frutta e verdura. Con ogni pasto che percorre in media quasi 2.000 Km prima di giungere sulle tavole, l’aumento dei costi determina un effetto valanga sulla spesa9. La spesa in Italia è più cara dell’8% rispetto alla media europea per la presenza di speculazioni e distorsioni lungo la filiera che fanno aumentare di cinque volte i prezzi dal campo alla tavola. 7 8 9
http://www.coldiretti.it/ Fonte Istat. http://www.coldiretti.it/
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Le piccole e medie imprese sono soggette alle stesse scorrettezze che colpiscono i consumatori per colpa dei nuovi poteri forti della filiera agroalimentare come la grande distribuzione commerciale che sfrutta il suo potere di mercato nei confronti degli agricoltori e dei consumatori. Il risultato è che molti agricoltori non riescono a coprire i costi di produzione mentre al consumo per i cittadini la spesa è più pesante di altri Paesi dell’Unione Europea. I prodotti alimentari hanno contribuito in maniera decisiva al rallentamento dei prezzi nella seconda metà degli anni ’90 ma negli ultimi anni un numero limitato di merceologie alimentari ed in particolare gli ortofrutticoli freschi e le consumazioni extradomestiche hanno evidenziato una crescita dei prezzi maggiore della media italiana. Per ogni euro speso dai consumatori per l’acquisto di alimenti oltre la metà (60%) va alla distribuzione commerciale, il 23% all’industria di trasformazione e solo il 17% per remunerare il prodotto agricolo.
Trafila in bronzo per la lavorazione della pasta.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Alcuni esempi di come il consumatore paghi la filiera e non il prodotto stesso: • passata di pomodoro: costo pomodoro 8,6% - costo filiera 91,4% ; • pasta: costo grano 9% - costo filiera 91% ; • vino in bottiglia: costo uva 10% - costo filiera 90% ; • olio extravergine: costo olive 29% - costo filiera 71% ; • carne suina: costo animale 19% - costo filiera 81% ; • latte: costo latte 25% - costo filiera 75% . La ricerca di una maggiore qualità del prodotto consente di soddisfare le esigenze del consumatore e costruire con lui un rapporto duraturo: maggiore efficienza della filiera alimentare permette a parità di qualità di recuperare valore a vantaggio dei produttori e dei consumatori. Bisogna eliminare tutti gli intermediari possibili per avvicinare i diretti interessati (chi produce e chi mangia). C’è quindi una ragione in più per consumare prodotti locali e di sta-
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
gione che non devono percorre lunghe distanze prima di arrivare sul banco di vendita10. Nelle prossime pagine verranno analizzati dodici diversi modelli di consumo e ognuno presenterà un approfondimento specifico sullo schema di filiera. 2.2. CASI STUDIO Sono presenti ad oggi diversi modi di acquistare e consumare, ma se si osservano con attenzione si può notare come questi possano essere categorizzati in dodici modelli sulla base delle loro caratteristiche intrinseche. Per semplificare la struttura dei vari modelli di consumo, è stata compiuta una grande suddivisione volta ad analizzare il tipo di rapporto che si può instaurare tra produttore e consumatore o tra consumatore e consumatore e mette in evidenza come gli stereotipi di vendita cambino radicalmente se si ha la possibilità di interagire direttamente con il produttore o se ci si debba interfacciare con altre figure che fungono da intermediari tra i due. Nel caso di rapporto diretto, il consumatore ha la possibilità di scambiare informazioni, saperi ed esperienza con chi produce e si instaura un processo di comunicazio-ne bidirezionale tra i due; acquistando direttamente si può scegliere in base ad esigenze specifiche, conoscere ciò che si compra e non è il mercato a deciderne i prezzi. Quando si parla di rapporto indiretto invece il consumatore si trova di fronte a 10
http://www.coldiretti.it/
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scelte che qualcun altro ha già compiuto per lui a monte; può ottenere qualche informazione esclusivamente leggendo le etichette ed è portato a dare fiducia a qualcosa di immateriale con il quale non potrà mai avere un dialogo. Il prezzo dei prodotti è sempre imposto e il grande numero di passaggi che allontanano il produttore dal consumatore si riflette oltremodo sul costo finale che aumenta in modo esponenziale. La filiera dunque tiene conto della logistica e della movimentazione merci che dal luogo di produzione al consumatore passa attraverso i canali distributivi, i poli di smistamento merci, i magazzini di stoccaggio fino a raggiungere il punto vendita. All’interno di queste due macroaree, sono stati inoltre individuati i modelli di consumo basati sulla vendita e quindi sullo scambio di denaro in cambio di un prodotto, e quelli basati sullo scambio reciproco di prodotti di diversa natura. Di seguito sono riportati i 12 modelli di consumo: per facilitarne la comprensione e il funzionamento, si è pensato di legare ognuno di essi ad un caso studio emblematico che rispecchiasse il più possibile le caratteristiche principali del modello preso in considerazione. L’analisi dei casi studio si struttura mediante tre schemi: nel primo vengono delineati i flussi e le componenti più importanti che influenzano il rapporto tra consumatore e produttore; nel secondo si mette in evidenza la logistica che movimenta le merci mentre nel terzo si analizza criticamente ogni variabile di cia-scun modello di consumo.
Modelli di consumo e casi studio
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2.2.1. Grande Distribuzione Organizzata (GDO) La grande distribuzione organizzata è un sistema che permette di avere tutti i giorni e in tutte le stagioni prodotti altrimenti introvabili e difficilmente reperibili sul territorio, prodotti apparentemente freschi, ma in realtà confezionati da grandi marche, sinonimo di garanzia e di qualità sia del prodotto stesso sia del punto vendita che deve sapersi distinguere rispetto alla concorrenza. Nei supermercati di oggi, c’è la possibilità di acquistare di tutto, da frutta e verdura proveniente dall’altro
Spesa in grandi quantità.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
capo del mondo, a carni e prodotti particolari maggiormente in voga, permettendo a tutti di gustare particolari pietanze anche fuori stagione. Per poter distribuire prodotti freschi e surgelati tutti i giorni e per tutto l’anno, le aziende devono saper gestire e controllare in maniera ottimale un elemento fondamentale per la conservazione della qualità: questo elemento è il freddo e tutto ciò che comporta. La GDO per offrire alla clientela un prodotto fresco e con tutti i requisiti di qualità deve garantire l’efficacia dell’intera “catena del freddo” che ha inizio dalla lavorazione del prodotto stesso al suo consumo nelle case degli utenti finali. I supermercati o gli ipermercati, come nel caso specifico Carrefour, sono solitamente collocati fuori città, date le grandi necessità di spazio, e sono di conseguenza scomodi da raggiungere a piedi o con i mezzi pubblici; lo stile di vita odierno porta molte famiglie ad organizzare grandi spese nel fine settimana: carrelli colmi di prodotti, cartelloni pubblicitari ovunque, offerte 3x2, sconti del 10% per chi possieda la “tessera socio”, milioni di buste di plastica e confezioni colorate, macchine caricate al limite della chiusura del baule… Sembra uno scherzo, ma basta andare in un qualsiasi supermercato il sabato pomeriggio e la situazione è proprio questa. L’assortimento è ampio: le tipologie di prodotto sono molto diverse tra loro (dai beni di prima necessità ai televisori HD), ma è anche vero che provengono da tutto il mondo senza alcuna riflessione su costi e danni di filiera. La disposizione interna delle aree merceologiche e soprattutto dei prodotti sugli scaffali è regolata da
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
consolidate strategie di marketing volte ad attrarre e attaccare i consumatori meno attenti. Questo modello di consumo è basato sulla ricerca dell’offerta a discapito della qualità: gli ingenti quantitativi di merci gestiti dai supermercati permettono loro di applicare sconti sul prezzo e influenzano il consumatore ad acquistare più del necessario. Le conseguenze portate da questo modello di consumo sono oggigiorno insostenibili: troppi gli sprechi di cibo, troppi imballaggi e confezioni usa e getta, troppi Km di viaggio con relative emissioni dannose nell’ambiente in cui si vive. Troppi aspetti negativi. In termini di punti vendita la distribuzione moderna in Italia, relativamente al solo comparto alimentare, oggi rappresenta una realtà fatta di 19.500 unità (+41% rispetto a dieci anni fa), di cui 8.760 supermercati (+43%), 390 ipermercati (+125%), 6.830 superette (+24%) e 3.550 hard discount (+76%).
Reparto ortofrutta di un supermercato.
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Grande distribuzione organizzata
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Grande distribuzione organizzata:
filiera
Grande distribuzione organizzata:
pro/contro
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2.2.2. Monomarca e Franchising Il monomarca è una tipologia di punto vendita che si distingue per la vendita di prodotti esclusivamente di un solo marchio. Il monomarca può essere diretto o affiliato: nel caso di monomarca diretto, il personale è alle dirette dipendenze dell’azienda che gestisce il prodotto; se il monomarca affiliato, è invece gestito da un titolare indipendente che si affida alle scelte di un’azienda già affermata nella produzione di un servizio/bene. Questa affiliazione prende il nome di franchising e si tratta di una strategia di vendita particolarmente consolidata nel campo dell’abbigliamento. In questo modello di consumo il rapporto tra produttore e consumatore può essere definito semi-diretto in quanto il punto vendita funge le veci del produttore; infatti, in qualsiasi parte del mondo il monomarca ha un’identità ben precisa ed omologata rendendo riconoscibile il marchio di fabbrica e presentando la stessa
H&M Svezia.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
gamma di articoli con leggere variazioni di prezzo a seconda della nazione. Ogni negozio della catena ha l’obbligo di seguire le regole imposte dalla casa madre, senza l’intervento di alcun intermediario. Da una parte questa evidente omologazione porta il consumatore a riconoscere in questa tipologia di negozio un certo senso di sicurezza ovunque si trovi (ci si sente paradossalmente “a casa”), ma d’altra parte è palese il fatto che, così come il luogo di vendita, anche il prodotto di per sé sia massificato e identico ovunque. Il caso studio, H&M, è un esempio di monomarca che ad oggi conta oltre 1.600 punti vendita in 38 paesi e più di 50.000 dipendenti; è diventata una delle marche più famose del mondo, con testimonial ufficiali come Madonna, improvvisata stilista di moda. In ogni parte del mondo, in ogni negozio H&M, si trovano gli stessi abiti, gli stessi allestimenti e gli stessi prezzi. E’ un modello di consumo che offre un’ampia scelta di capi, dai jeans ai trucchi, dalle camicie agli
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
stivali, e che offre sul mercato prodotti di qualità, garantita dal marchio, solitamente ad un prezzo molto vantaggioso. Questo è dovuto al fatto che il produttore, l’unico con potere decisionale, ha potuto eliminare gli intermediari di troppo: la produzione di H&M, infatti, pur essendo delocalizzata in diverse aree del mondo, è stata in grado di ridurre i costi di filiera organizzando spedizioni di merci direttamente dal luogo produttivo ai diversi punti vendita. Questi ultimi diventano automaticamente magazzini di stoccaggio: in questo modo la filiera si accorcia, si riducono i passaggi e i trasporti merce, le decisioni sono uniche e vengono prese solamente dal produttore. Ovviamente ciò che si perde è il legame con le materie prime e le produzioni del territorio, non si hanno informazioni utili sul tipo di produzione o sulle caratteristiche dei processi produttivi.
Catalogo H&M Autunno/Inverno 2010.
55
Monomarca e Franchising
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Monomarca e Franchising:
filiera
Monomarca e Franchising:
pro/contro
62
2.2.3. Vendita di prossimità (food) Si tratta di un modello di consumo identificabile in un piccolo esercizio commerciale, generalmente collocato nei centri abitati, solitamente composto di un ambiente per la vendita e di un adiacente laboratorio artigianale dove si trasforma la materia prima. Spesso la gestione di questi piccoli punti vendita è a conduzione familiare e i clienti instaurano un immediato rapporto di fiducia con il venditore. Il processo industriale che ha subito una forte accelerazione dal secondo dopoguerra, unitamente all’imposizione della
Produzione propria di giornata.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
GDO sulla vendita di prossimità, ha portato alla quasi totale scomparsa dei piccoli negozietti di vicinato specializzati nella produzione artigianale di beni di prima necessità. Ne sono un esempio i fornai e le piccole panetterie che, parallelamente alla propria produzione di qualità, ora si trovano costretti ad ampliare la loro gamma di offerta inserendo alcuni prodotti di largo consumo che provengono da tutto il mondo. In questo modello di consumo convivono quindi due situazioni differenti: da una parte cerca di incentivare la produzione propria locale e il rapporto diretto con il consumatore, dando molto importanza alla qualità a discapito di un prezzo non sempre vantaggioso, dall’altra cerca di non essere soppiantato dalla GDO offrendo prodotti di varia natura, provenienza e marca. Così facendo però sminuisce la propria produzione di qualità con prodotti confezionati, a lunga conservazione e di cui non si hanno nozioni né sulla materia prima impiegata né tantomeno sui processi di trasformazione e di distribuzione; inoltre, il piccolo negozio non ha la possibilità di acquistare in grandi quantitativi e quindi il consumatore si trova a dover strapagare anche i prodotti di massa. La panetteria Piero & Gigliola di Rivarolo Canavese rispecchia queste caratteristiche e per tanto offre una produzione propria di pane, grissini e prodotti di pasticceria, freschi e locali, ma in più presenta scaffali ricchi di prodotti tipici dei supermercati (pasta, bevande, sughi, biscotti, …). I produttori, nonché venditori, possiedono conoscenza e risposte da offrire ai con-
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
sumatori per tutto ciò che riguarda la loro produzione mentre non sanno nulla degli altri prodotti in vendita. Anche le modalità di acquisto differiscono tra loro: se per il pane è necessaria la presenza di una persona qualificata che, oltre a vendere il prodotto, sa dare informazioni utili al riguardo, per le merci di largo consumo si passa ad una modalità di acquisto self-service.
Rapporto informale tra produttore e consumatore.
63
Vendita di prossimitĂ (food)
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Vendita di prossimitĂ (food):
filiera
Vendita di prossimitĂ (food):
pro/contro
70
2.2.4. Vendita di prossimità (non food) Il punto vendita multimarca (in questo caso di abbigliamento) è un esercizio commerciale di proprietà e gestione di un privato, per lo più si colloca nei centri abitati. Per quanto riguarda questi punti vendita, è il proprie-tario a dover decidere la tipologia di segmento di prodotti da vendere per poter contattare le aziende e chiedere loro la disponibilità del prodotto nella sua attività commerciale. Questo perché i negozi chiedono di avere l’esclusiva sulla marca che vendono e richiedono di poter coprire una determinata area del territorio per evitare la concorrenza diretta. Può comunque anche capitare che invece siano i rappresentanti di nuovi marchi e aziende a contattare i proprietari dei negozi per poter inserire i prodotti che rappresentano nella gamma vendita. L’identità del negozio è propria e unica, nel senso che è il proprietario stesso a gestire l’immagine, la gestione interna dello
Vetrina Metamorphosi a Rivarolo Canavese (TO).
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
spazio e la modalità di presentazione dei prodotti. Si può, nonostante ciò, notare come aziende e proprietari tendano a presentare sempre determinati brands affiancati l’uno all’altro perché questi s’identificano in una stessa filosofia di stile. L’acquisto dei prodotti da parte dei rivenditori verso le aziende avviene a scansione stagionale: primavera/estate e autunno/ inverno. Sono i rappresentanti a fare le veci delle aziende nelle diverse aree geografiche (province, regioni, …) e a dover presentare le due collezioni annuali ai propri clienti-rivenditori. L’acquisto dei prodotti delle nuove collezioni avviene sempre un anno prima la stagione corrente, esempio: la collezione Primavera Estate 2011 è stata acquistata durante la Primavera Estate 2010. Questo diventa un enorme rischio per un rivenditore che deve esporsi ed investire su prodotti sperando di prevedere le scelte che faranno i propri clienti con un anno di anticipo. C’è da considerare che ad oggi
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
sta aumentando la tendenza di lavorare sul “pronto”, ovvero presentare degli shot delle collezioni a intervalli di tempo più breve, questo per facilitare la gestione dei prodotti e delle spese da parte dei clientirivenditori. Inoltre il ricarico sui prodotti è ovviamente superiore rispetto ad un prodotto di un monomarca dove è l’azienda stessa a investire su di sè e a farsi carico delle spese mentre un privato deve far fronte ai pagamenti anticipati dei prodotti e alle sue spedizioni (non considerando le spese di gestione del punto vendita stesso). Inoltre per un multimarca è molto più facile ritrovarsi con ingenti fondi di magazzino e invenduti, dato che la maggior parte delle aziende non seguono le modalità del “conto-vendita”. I rappresentanti delle aziende spesso rappresentano marchi da tutta Europa e dal mondo, senza considerare che le sedi delle aziende, per la maggior parte dei casi, non corrispondono con i luoghi di produzione e confezione dei prodotti.
Interno Metamorphosi a Rivarolo Canavese (TO).
71
Il caso studio riguarda Metamorphosi, un piccolo negozio di Rivarolo Canavese, per uomo e donna, rivenditore di marche come: North Sails, Daniele Fiesoli, Diesel (Italia) Desigual, Pepe Jeans London, Lavand (Spagna) Scotch & Soda, Wool (Olanda). La tipologia di prodotto è rivolta ad una clientela prettamente sportiva per l’uomo e più versatile per la donna. Un negozio di prossimità come Metamorphosi garantisce un rapporto diretto tra rivenditore e cliente. Anche la fidelizzazione è diretta perché si crea un reale rapporto interpersonale con i clienti, che hanno la possibilità di essere aiutati nella scelta.
Vendita di prossimitĂ (non food)
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Vendita di prossimitĂ (non food):
filiera
Vendita di prossimitĂ (non food):
pro/contro
78
2.2.5. Vendita diretta (food) Il mercato del contadino, comunemente definito Farmer’s Market, è uno spazio in cui i prodotti ortofrutticoli vengono messi in vendita direttamente dal produttore al consumatore. Questa innovativa quanto antica modalità di vendita è un’occasione unica per promuovere le produzioni locali e stagionali. Il rapporto diretto che si instaura tra chi produce e chi consuma elimina il numero degli intermediari commerciali diminuendo così il
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
prezzo finale: in questo caso si può parlare di “filiera corta”. I Farmer’s Market sono spazi per la vendita di prodotti alimentari gestiti direttamente dagli imprenditori agricoli. Divenuti popolari in California negli anni ‘90, costituiscono oggi una realtà in rapida espansione in numerosi paesi europei e recentemente stanno suscitando grande interesse anche in Italia. Questa nuova modalità di distribuzione, conosciuta anche con il nome di “produzione e vendita a Km zero” consente, infatti, di ridurre i passaggi dal produttore al consumatore finale, con notevoli benefici in termini di tutela e miglioramento dell’ambiente, maggiore qualità e minor costo dei prodotti. La formula distributiva del mercato ortofrutticolo in Italia, quale luogo dove acquistare frutta e verdura fresca, fa parte della storia dei centri urbani e ne sono testimonianza i diversi mercati presenti sull’intero territorio che sono ancora attivi. Mentre i mercati tradizionali hanno come caratteristica venditori che acquistano i prodotti freschi presso un polo agroalimentare che fornisce e distribuisce a livello regionale, nei Farmer’s Markets la figura del produttore e del venditore coincide.
Vendita diretta da parte dei produttori.
Il modello di consumo basato sulla vendita diretta di alimenti freschi permette al consumatore di risparmiare fino al 30% del prezzo medio oggi disponibile sugli altri canali distributivi, ma soprattutto di consumare prodotti dalle caratteristiche organolettiche e nutrizionali superiori e controllare di persona la qualità di ciò che mangia.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Questi mercati vogliono essere una opportunità per avvicinare la domanda e l’offerta non solo per abbattere i costi di distribuzione, ma anche per ridurre la distanza tra città e campagna e, quindi, contribuire a divulgare la cultura del territorio. In Italia questo modello di consumo è ancora poco consolidato e vengono organizzati piccoli eventi con cadenza mensile all’interno dei quali i contadini portano in città i loro prodotti mentre si verifica più
Prodotti brutti ma buoni.
79
frequentemente che il consumatore vada direttamente presso le aziende agricole di interesse. Nel resto d’Europa molti piccoli supermercati offrono la possibilità ai produttori locali di esporre la loro merce all’interno del supermercato stesso; il consumatore può trovare facilmente informazioni sui cibi che intende acquistare e/o contattare direttamente chi li produce.
Vendita diretta (food)
Vendita diretta (food):
filiera
Vendita diretta (food):
pro/ccontro
86
2.2.6. Vendita diretta (non food) Nella vendita diretta s’instaura un rapporto di collaborazione bidirezionale tra le parti. Nel caso di prodotti non legati alla sfera dell’alimentare, il consumatore ha grande libertà di scelta e può influenzare quello che sarà il prodotto finale facendolo realizzare in base a quelle che sono le sue esigenze specifiche. Il produttore deve poter offrire un’ampia scelta tra le possibilità e quindi deve es-
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
sere in prima persona flessibile e in grado di organizzare la sua produzione secondo le richieste. In questo modello di consumo è molto importante la qualità che viene data al prodotto, a partire dalla scelta delle materie prime e al processo di produzione solitamente artigianale e adatto per piccoli numeri. Date queste caratteristiche ne consegue che il luogo di produzione e di stoccaggio spesso coincidano con il luogo di vendita riducendo notevolmente i passaggi di filiera e rendendo trasparente il processo di trasformazione. Il fatto di non necessitare di grandi spazi permette a questi modelli di potersi collocare nei centri abitati e di rendere unici e personalizzati gli allestimenti di vendita. Pur mantenendo un buon rapporto qualità prezzo, il consumatore non ottiene un qualsiasi prodotto nato da un processo industrializzato e omologato, bensì un prodotto realizzato appositamente per lui, su misura. In questi casi, si è però di fronte ad un processo di acquisto non immediato dovuto ai tempi di attesa per la preparazione e trasformazione del prodotto ad hoc. Rispecchiano queste caratteristiche, punti vendita come le sartorie, nel caso studio specifico la Camiceria Moda Tre Re, una piccola sartoria a Ozegna Canavese. Il consumatore ha la possibilità di conoscere di persona il produttore, discutere con lui la trasformazione delle materie prime e magari interagire durante la realizzazione del prodotto stesso.
Creazione di prodotti su misura.
La camicia, o l’abito, su misura non è necessariamente “una cosa da ricchi”, anche
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
se l’immagine del su misura rimane sempre qualificante e dà quel tocco di eleganza che attrae sempre più i consumatori anche giovani alla ricerca di distinzione unita all’emozione di provare l’acquisto di un prodotto esclusivo, ma non impossibile. La crisi sta aiutando il settore: il carovita ha contribuito a diminuire il divario economico tra “fatto in serie” e “fatto a mano”. Così, capita ormai sempre più spesso che i prezzi di un completo su misura non si discostino moltissimo da quelli esposti in una vetrina di un negozio specializzato in centro città. Non tutti possono permettersi l’abito su misura, ma vestirsi bene è un’esigenza che anche le fasce più giovani cominciano a sentire: chi compra una camicia su misura è consapevole del fatto che il prodotto è di qualità, unico e personalizzato.
Produzione propria.
87
Vendita diretta (non food)
Vendita diretta (non food):
filiera
Vendita diretta (non food):
pro/contro
94
2.2.7. Vendita diretta a distanza Con vendita diretta a distanza s’intende l’insieme delle transazioni per il commercio di beni e servizi tra produttore e consumatore o tra consumatore e consumatore, realizzate tramite Internet ed è un mercato in continua espansione. In questo modello di consumo si instaurano rapporti diretti di compravendita informali dove spesso il venditore va incontro al consumatore contrattando il prezzo
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
di vendita; grazie ad uno strumento come Internet è possibile organizzare spedizioni anche dall’altra parte del mondo e ricevere direttamente a casa il prodotto, con prezzi contenuti a discapito di possibili lunghe attese. Le trattative di acquisto si sviluppano ed evolvono in tempo reale con la possibilità di inviare e ricevere messaggi e mail per comunicare direttamente con il venditore/acquirente. Le categorie merceologiche sono le più diverse da prodotti nuovi ad usati, dai vestiti alle automobili, dai computer alle figurine dei calciatori; la procedura prevede, per la maggior parte delle volte, pagamento anticipato, difficile che si accettino pagamenti in contrassegno, questo però con il rischio che il prodotto disattenda le aspettative e diventi difficoltoso attuare la procedura di reso. Il caso ebay è una piattaforma che offre ai propri utenti la possibilità di vendere e comprare oggetti sia nuovi che usati, in qualsiasi momento, da qualunque postazione Internet e con diverse modalità, incluse le vendite a prezzo fisso e a prezzo dinamico, comunemente definite come “aste online”. La vendita consiste principalmente nella offerta di un bene o un servizio da parte di venditori professionali e non e gli acquirenti fanno offerte per aggiudicarsi la merce. Vengono applicate tariffe, interamente a carico dei venditori, sia per pubblicare un qualsiasi tipo di inserzione sia sul valore finale dell’oggetto venduto.
Computer: il mezzo di comunicazione.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Qualunque acquirente può essere anche venditore , in entrambi i casi al termine di ogni transazione, l’acquirente e il venditore possono formulare un giudizio reciproco lasciando un commento di feedback, che consiste in una valutazione positiva, negativa o neutra e un breve commento. Il “sistema dei feedback” è molto importante perché la fiducia nei confronti di un utente si basa molto sulle opinioni espresse dai sui precedenti acquirenti o venditori, e questa è proporzionale al suo profilo di feedback.
Sede ebay in California.
95
Vendita diretta a distanza
Vendita diretta a distanza:
filiera
Vendita diretta a distanza:
pro/contro
102
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
2.2.8. Sfuso
rispetto delle norme igienico sanitarie.
Questo modello di consumo rappresenta una modalità di spesa self-service senza imballaggi e quindi più leggera sia a livello ambientale sia economico e propone al consumatore una selezione di merci acquistabili non in dosi prestabilite, ma scelte in base alle necessità. In questo modo si evitano sprechi, oltre che di packaging, di cibo in quanto si presuppone che si acquisti il giusto, di volta in volta.
Il Negozio Leggero è un nuovo punto vendita in franchising, nato nella realtà torinese, che propone questo tipo di spesa; gli allestimenti sono predisposti ad hoc per la vendita sfusa e sono disponibili in loco diversi contenitori (dimensione, forma, materiale, ...) riutilizzabili. Oltre a Torino, sono stati aperti anche i Negozi Leggeri di Novara, Cuneo e Brescia; da poco inaugurata la seconda sede torinese vicino a Piazza Castello e Via Garibaldi.
I prodotti vendibili sfusi possono appartenere a diverse categorie merceologiche, dai cereali alla pasta, dalla farina al caffè, dalle uova al riso, e devono rispettare precisi requisiti di sicurezza e igiene: per questo sono prodotti che solitamente richiedono ancora un procedimento di trasformazione in ambito domestico. Per quanto riguarda invece i prodotti liquidi sfusi è ormai di uso comune l’utilizzo di distributori self-service con funzionamento automatico e chiusura ermetica che evitano il contatto diretto con gli utenti nel
Negozio leggero.
Il fresco non rientra al momento tra le tipologie merceologiche presenti nel punto vendita per problemi di logistica. Sono però in atto nuove iniziative che prevedono l’ordinazione di cassette di frutta e verdura da agricoltura biologica per permettere ai consumatori di ottenere prodotti stagionali e soprattutto freschi. Proprio per questo il Negozio Leggero cerca di garantire una gamma completa di prodotti di qualità, dal biologico al locale
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
fino al prodotto tradizionale per offrire ai clienti ampia possibilità di scelta. Il punto vendita in sé costituisce la prima grande novità. Questa tipologia di vendita, prima limitata solo ad alcuni prodotti, oggi trova un luogo dove far convergere tutte le singole esperienze in un’unica realtà. Numerosi, ancora oggi, sono infatti i tentativi di inserire la vendita dello sfuso all’interno di catene di grande distribuzione organizzata. Il risultato è un’incoerenza di filosofie di vendita che tendono in qualsiasi caso a far soccombere la vendita dei prodotti “alla spina”, trascurati e non ben comunicati: il consumatore non viene educato a questo tipo di acquisto, ricadendo sulla modalità da lui conosciuta. Il marchio Negozio Leggero si propone di diventare simbolo di un vero e proprio stile di vita orientato alla sostenibilità.
Vendita di liquidi sfusi.
103
Sfuso
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Sfuso:
filiera
Sfuso:
pro/contro
110
2.2.9. Scambio diretto Prima dell’introduzione del denaro, l’unico modo per scambiare le merci era il baratto, in altre parole lo scambio diretto di beni con altri beni. In un’economia di sussistenza, la produzione era determinata da certi vincoli in modo tale che essa bastasse al solo consumo che permettesse di sopravvivere; le eccedenze venivano scambiate con altre tipologie di prodotti. I primi scambi avvennero tra agricoltori ed allevatori e permisero ad entrambi di varia-
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
re la propria alimentazione introducendo cibi diversi dalle loro produzioni. Il baratto era una modalità semplice di scambio, ma soggetta a diversi problemi: uno dei quali era costituito dai vincoli di tempo. Chi avesse voluto scambiare merci di tipologie assai diverse, infatti, avrebbe potuto farlo solo quando entrambe le merci fossero state disponibili nello stesso tempo e nello stesso spazio. Oggi in economia, il baratto viene definito come un’operazione di scambio bilaterale o multilaterale di beni o servizi fra due o più soggetti (individui, imprese, enti, ...) senza uso di moneta. Il valore dei beni oggetto dello scambio viene considerato sostanzialmente equivalente fra le parti, senza ricorrere esplicitamente ad un’unità di misura di valore monetario dei beni stessi; il valore di equivalenza si raggiunge attraverso la considerazione qualitativa e quantitativa delle merci scambiate. Dato che oggi la moneta è diventata il principale mezzo commerciale, l’attività di scambio viene vista come un atto occasionale e alla moda. Infatti, le merci scambiate possono essere di qualsiasi tipo e quasi mai alimenti, nuove e/o usate, acquistate precedentemente o autoprodotte da uno dei due partecipanti allo scambio. Tra le forme più particolari di baratto, sono in voga scambi di appartamenti nei periodi estivi, di accessori e vestiti per appuntamenti importanti o di oggetti di uso comune che diventano materia di collezione.
Scambio di prodotti del proprio orto tra vicini.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Questo modello di consumo rappresenta una modalità di scambio di prodotti tra due soggetti che interagiscono direttamente tra loro. Entrambi sono sia produttori sia consumatori in quanto offrono un proprio prodotto in cambio di un altro di loro interesse. E’ una forma di consumo molto libera, dove gli interessati non hanno legami tra di loro e lo scambio può avvenire con chiunque ed in qualsiasi momento con cadenze regolari o occasionalmente. In questo modo i soggetti possono scegliere tra tante offerte ed avere più possibilità di trovare quello che stanno cercando. E’ il valore soggettivo che dà importanza allo scambio.
111
cano completamente i passaggi di filiera e di conseguenza la materia di scambio è del territorio e di stagione. Allo stesso modo, anche prodotti di altre categorie merceologiche (abbigliamento, strumenti tecnologici, attrezzature, …) vengono scambiati invece di essere buttati via: così facendo la vita degli oggetti si allunga, chi non li vuole più se ne libera e coloro a cui servono non hanno bisogno di acquistarli. Inoltre, non esiste un luogo specifico dedicato a quest’attività, ma si crea volta per volta un accordo ad hoc tra le parti.
In particolare, lo scambio di cibo avviene solitamente tra persone di fiducia (vicino di casa, amico di famiglia, …) che possiedono un piccolo orto e che talvolta producono più di quanto necessitino; in questo caso si cerca lo scambio per evitare sprechi. Nel caso di scambio alimentare, dato che i cibi freschi si deteriorano in pochi giorni, si può parlare di prodotti a Km zero: man-
Esempio di riuso di generazione in generazione degli abiti dei bambini.
Scambio diretto
Scambio diretto:
filiera
Scambio diretto:
pro/contro
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2.2.10. Scambio diretto di servizi Oggi viviamo costantemente alle dipendenze dell’orologio e regna sovrana la frase “il tempo è denaro”. La diretta conseguenza di una vita così frenetica è stata la nascita d’imprese che offrono consulenze e servizi in grado di ottimizzare il “tempo”. Parallelamente a queste imprese a pagamento, si è disegnato un nuovo modello di consumo: lo scambio diretto di beni immateriali.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Nascono così le Banche del Tempo: associazioni basate sullo scambio gratuito di tempo. Nate nei primi all’inizio del 2000, hanno conosciuto un notevole sviluppo e sono state oggetto di centinaia di articoli, interviste e pubblicazioni. La particolare attività coinvolge persone assai diverse per età, condizioni sociali e culturali. L’età media si sta progressivamente abbassando in quanto l’utilizzo costante dell’informatica ha coinvolto anche le fasce giovani della società. Ciascun partecipante versa una quota associativa annuale e mette a disposizione un certo numero di ore per una data competenza da offrire ad un altro. Tutti gli scambi sono gratuiti, ma può essere previsto un rimborso spese per i mezzi di trasporto o eventuali materiali utilizzati nel lavoro svolto. Le attività sono molto diverse: lezioni di cucina, manutenzioni casalinghe, babysitter, cura di piante e animali, prestito di attrezzature varie, ripetizioni scolastiche e italiano per stranieri, organizzazione di eventi, riunioni o feste.
Il tempo è denaro.
La Banca del tempo fa riferimento a finalità ed azioni in un certo senso già presenti nell’esperienza sociale quotidiana: pagare le nostre bollette insieme a quelle di altri; offrire un trasporto in auto ad un’altra persona che ne è priva; andare a prendere al nido il proprio bambino insieme a quello dei vicini; annaffiare le piante agli amici in vacanza; aiutare a preparare una cena; sistemare un orlo ad un abito, e altro ancora. Nonostante ciò, dare visibilità, legittimità, senso positivo e organizzazione a
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
queste e altre attività non è semplice né alla portata di qualsiasi contesto. I bisogni e i piaceri depositati nella Banca del tempo appartengono alla sfera delle relazioni di buon vicinato. Sono cioè azioni semplici di solidarietà tra individui che abitano nello stesso palazzo, nella stessa strada o piazza, nello stesso quartiere, i cui figli frequentano lo stesso asilo o la stessa scuola. Questo modello di consumo si basa sulla creazione di una rete di rapporti tra le persone e punta alla valorizzazione di esperienze e competenze, oltre all’ottimizzazione del tempo. Solitamente in ogni città è presente una Banca del Tempo e per questo motivo gli aderenti tendono ad iscriversi e a scambiare le loro prestazioni all’interno del raggio cittadino. Entrare a far parte di una Banca del Tempo non significa solamente socializzare e creare nuovi legami di amicizia, ma dare fiducia ai soci e allo stesso fare in modo che gli altri si possano fidare di te.
Servizio di babysitter, uno dei più utili.
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La Banca del tempo parte dall’idea che è possibile uno scambio paritario fondato sul fatto che gli individui sono portatori di bisogni ma anche di risorse.
Scambio diretto di servizi
Scambio diretto di servizi:
filiera
Scambio diretto di servizi:
pro/contro
126
2.2.11. Scambio diretto a distanza In questi ultimi anni la rete Internet ha subito un boom anche in Italia sebbene in misura ugualmente minore rispetto al resto del mondo; tra i cambiamenti positivi, sicuramente l’opportunità di instaurare contatti da una parte all’altra del globo, di valutare numerose offerte commerciali e non e poter far parte di gruppi o social network. Grazie a questa tecnologia le distanze sono completamente annullate e tutti gli accordi sono presi stando comodamente seduti a casa. Ultimamente si stanno affacciando su Internet portali o forum dedicati al baratto online che offrono un servizio di scambio tra gli utenti e si ripropongono di diffondere lo spirito di tale modalità economica. Anche nel caso del baratto a distanza il valore degli oggetti di scambio è soggettivo e per tanto gli accordi presi tra le parti possono essere di volta in volta differenti. Inoltre, è necessaria reciproca fiducia tra i consumatori interessati allo scambio dato
Rete internazionale.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
che il prodotto lo si può vedere solamente tramite immagini fotografiche e non è detto che, una volta ricevuto il pacco, si sia sempre soddisfatti del prodotto. Il baratto su internet è detto anche “swapping”, da swap, letteralmente scambio, ed è una forma sempre più popolare di baratto, generalmente informale, in cui singoli o gruppi di persone si spediscono beni e oggetti di valore comparabile, su base fiduciaria. I beni scambiati possono essere i più svariati, dagli indumenti, ai DVD, ai CD musicali, ad ogni tipo di oggetto e gadget. La realtà è che la rete sta cercando, e anche riuscendo, a ricreare modelli di consumo che fino a qualche hanno fa credevamo solo possibili grazie alla presenza fisica del venditore e dell’aquirente. Esistono ampie possibilità in internet: dal sito www.zerorelativo.it, dove scambiare dalla bomboniera della zia fino al perizoma ricevuto come regalo a San Valentino, ad altri portali come www.suesu.it e www. swapxchange.com o www.barattiamo.net.
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
Celebre la scena tratta dal film “L’amore non va in Vacanza” dove le due protagoniste, interpretate da Kate Winslet e Cameron Diaz, tramite siti di “swap” arrivano a scambiarsi la casa per le vacanze di Natale. Questa è una “prassi” che si sarebbe potuta ritenere proprio “da film” ma ora invece sembra essere diventata una realtà. Il baratto, ai giorni nostri, può rivestire un valore educativo in quanto forma di circolazione o riciclo sostenibile di beni e oggetti.
Corrieri: veloce mezzo di consegna del prodotto al consumatore.
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Scambio diretto a distanza
Scambio diretto a distanza:
filiera
Scambio diretto a distanza:
pro/contro
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2.2.12. GAS I Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) sono gruppi di acquisto che partono da un approccio critico al consumo e che vogliono applicare il principio di equità e solidarietà ai propri acquisti. Questi gruppi scelgono di acquistare grandi quantità direttamente dal produttore, quando si può, o da un grossista eliminando gli intermediari di filiera; comprare grossi quantitativi permette ai mem-
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
bri del gruppo di divedere la merce in parti eque e di risparmiare sul costo d’acquisto. Nascono da una riflessione sulla necessità di un cambiamento profondo dello stile di vita odierno. Come tutte le esperienze di consumo critico, anche questa vuole introdurre una “domanda di eticità” nel mercato, per indirizzarlo verso un’economia che metta al centro le persone e le relazioni. I GAS sono formati da un insieme di persone che decidono di incontrarsi per acquistare all’ingrosso prodotti alimentari o di uso comune, da ridistribuire tra loro11. Diventa solidale nel momento in cui decide di utilizzare il concetto di solidarietà come criterio guida nella scelta dei prodotti. Le azioni dei membri del gruppo si estendono di conseguenza ai piccoli produttori che forniscono i prodotti, garantendo il rispetto dell’ambiente, dei popoli del sud del mondo e a coloro che subiscono le conseguenze inique di questo modello di sviluppo. Ogni gruppo di acquisto nasce per motivazioni proprie, spesso però alla base vi è una critica profonda verso il modello di consumo che ha nel profitto l’unico fine, insieme alla ricerca di una alternativa praticabile da subito. Il gruppo aiuta a non sentirsi soli nella propria critica al consumismo, a scambiarsi esperienze ed appoggio e a verificare le proprie scelte12. La scelta dei produttori a cui rivolgersi è volta in genere all’insegna della qualità del prodotto, dell’impatto ambientale totale, preferendo quindi prodotti locali, ali-
Spese condivise direttamente dal produttore.
11 Saroldi, Andrea, Gruppi d’acquisto solidale, Bologna, EMI, 2001 12 Gesualdi, Francesco, Sobrietà dallo spreco di pochi ai diritti per tutti, Feltrinelli, 2005
2. AD OGGI - i modelli di consumo attuali
menti da agricoltura biologica e prodotti con imballaggi a rendere. I prodotti sono i più diversi, da quelli alimentari agli oggetti tecnologici al vestiario. Va al di là di un modello di consumo classico: la sua struttura si basa infatti sulla costruzione di un network di persone che, così facendo, hanno la possibilità di socializzare, confrontarsi e condividere informazioni, di accrescere le proprie conoscenze quotidianamente, tutelando la biodiversità e la cultura alimentare del territorio.
Rapporto diretto con il produttore e rispetto dei cicli naturali della terra.
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Gruppi di acquisto (GAS)
Gruppi di acquisto (GAS):
pro/contro
3. PROBLEMATICHE le questioni legate allo stato attuale
O
ggigiorno risultano evidenti gli effetti collaterali dell’onda lunga del processo di industrializzazione che ha investito il mondo negli ultimi 200 anni. Esso ha dapprima sensibilmente migliorato la qualità della vita di milioni di persone, quasi tutte residenti nel Nord del mondo, generando il cosiddetto “sviluppo”. Tutto ciò però non ha però tardato ad evidenziare enormi limiti, creando una serie di situazioni che in epoca di globalizzazione, ossia nel post industriale, appaiono difficilmente sostenibili. Inoltre, si è instaurata una sorta di dittatura tecnocratica in cui il profitto prevale sulla politica, l’economia sulla cultura e la quantità sono il principale metro di giudizio per le attività umane. Il quadrimotore,scienza-tecnica-industria-economia, è invasivo tanto da essere entrato non solo nei beni di consumo bensì come fattore culturale nella vita quotidiana degli uomini, condizionandone ogni attività. Tra queste attività è compreso l’acquisto, in particolare di beni di consumo; tra le variabili che più lo influenzano, oltre al prezzo, è il tempo. Il tempo è interamente dominato dalla ”tirannia dell’urgenza” sia sulla scena finanziaria, dove le transazioni si effettuano ormai in una frazione di secondo, sia sulla scena mediatica, dove regna l’effimero. In generale i consumi rappresentano una filosofia di vita, una vera e propria visione globale del nostro modo di essere, del
nostro modo di leggere il tempo, la vita, il rapporto con gli altri, … L’influenza continua della pubblicità e dei media hanno portato a ridurre l’esperienza d’acquisto in una corsa sfrenata verso l’offerta, a un bombardamento di marche e a un generalizzato acquisto d’impulso volto a privilegiare specialmente le quantità. In un qualche modo anche Internet, con gli acquisti online, ha contribuito a sintetizzare il tutto in un “clic”, facendo perdere l’abitudine al rapporto diretto e al rapporto umano. Questa massificazione dell’atto di acquisto ha portato a ricadute evidenti sul bagaglio culturale e sulle tradizioni dei diversi popoli. L’impatto ambientale dei consumi odierni è preoccupante: generano inevitabilmente rifiuti, che a loro volta creano sempre maggior problemi di inquinamento; in agricoltura l’uso massiccio di fertilizzanti e pesticidi sta avvelenando le falde acquifere e sta rendendo sterili vaste quantità di terra; l’industria della carta sta provocando un pauroso impoverimento di boschi e foreste a livello planetario1. Analizzando il caso dell’acquisto alimentare, una delle più gravi conseguenze è stata la perdita di biodiversità: “la variabilità fra tutti gli organismi viventi, inclusi ovviamente quelli del sottosuolo, dell’aria, gli ecosistemi acquatici e terrestri, marini 1 - Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005.
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e complessi ecologici dei quali loro sono parte”. La situazione è data principalmente dalla massiccia conversione ad uso agricolo della terra: dal 1945 a oggi ci sono state più occupazioni dei suoli che nei due secoli precedenti e oggi i coltivi occupano un quarto della superficie terrestre. L’aumento del prelievo dell’acqua destinata alla coltivazione, il raddoppio delle immissioni di nitrati negli ecosistemi, la nascita e l’utilizzo sfrenato dei fertilizzanti chimici ha ridotto notevolmente la diversità biologica sul pianeta. I cambiamenti più rilevanti sono avvenuti per andare incontro ai crescenti bisogni di cibo e acqua: agricoltura, pesca e raccolta sono state le fasi principali in tutte le strategie di sviluppo. Dal 1960 al 2000 la popolazione mondiale è raddoppiata mentre la produzione alimentare è cresciuta due volte e mezzo. Oggi nel mondo siamo sei miliardi, mentre la produzione del cibo potrebbe sfamare dodici miliardi di persone.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
3.1. IL CONTESTO AGRICOLO L’agricoltura negli ultimi cinquant’anni si è progressivamente industrializzata; l’introduzione di elementi esterni al sistema naturale in cui essa viene praticata, come i pesticidi e i fertilizzanti chimici, ha rapidamente compromesso la salubrità dei cibi e dell’ambiente. Siamo quindi giunti a bambini che mangiano crocchette di pollo e non hanno mai visto un pollo e non sanno come sia fatto: si è in pratica reciso quel legame che fino al secondo dopoguerra collegava gli uomini alla terra in fatto di cibo. Chi stava in campagna o chi si era trasferito in città da non più di due generazioni, aveva sempre potuto vedere da dove proveniva il nutrimento e le conoscenze si trasmettevano di generazione in generazione. Ora quel cordone ombelicale, fatto di saperi antichi, non esiste più e mai come adesso produzione e consumo sono vissuti come due momenti lontani, che pagano rispettivamente un profondo e reciproco
Utilizzo di fertilizzanti e pesticidi chimici nelle monocolture in serra.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
gap di conoscenze. E’ questa mancanza di sapere che porta molti a nutrirsi nei fastfood senza porsi alcun problema. Agricoltura ed ecologia devono essere una cosa sola: chi coltiva e alleva lavora con la natura e non può sfruttarla e ucciderla. Le monocolture biologiche, ad esempio, non sono sostenibili: anche se non si usano prodotti chimici si può distruggere l’ambiente eliminando la biodiversità a scapito di una sola varietà prodotta in grandi quantità. Lo stesso avviene se si introducono varietà estranee all’ecosistema esistente: saranno anche biologiche ma sono estranee e possono avere gravi ripercussioni. A partire dagli anni ’50 la deriva industriale assunta dai metodi di produzione agricola ha profondamente mutato il quadro naturale delle campagne; l’immissione di pesticidi e fertilizzanti chimici è aumentata in modo esponenziale arrivando a uccidere la microflora batterica che rende il terreno vivo e fertile in ampie porzioni del globo. Lo sfruttamento indiscriminato delle risorse idriche a beneficio di varietà sem-
Controlli al microscopio di prodotti OGM.
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pre più produttive ha consumato ingenti riserve e le falde acquifere sono state inquinate dagli stessi fertilizzanti e pesticidi. La desertificazione e l’inaridimento dei terreni riguarda territori insospettabili fino a poco tempo fa; gli allevamenti intensivi non soltanto hanno peggiorato la qualità delle nostre carni e favorito l’estinzione di molte ottime razze animali, ma inquinano con i loro liquami carichi di antibiotici e di sostanze presenti nei mangimi che non vengono assimilate dall’organismo animale. E’ necessario inoltre rifiutare gli Organismi Geneticamente Modificati perché, oltre agli aspetti etico-morali, non sono sostenibili dal punto di vista ambientale: il loro impatto è in molti casi eccessivo, nella migliore delle ipotesi paragonabile a quello degli ibridi per le coltivazioni intensive. Alcune specie OGM sono altamente contaminanti nei confronti delle colture convenzionali, invadono altre coltivazioni e si propagano nell’ambiente; sono il prodotto perfetto
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dell’agroindustria nella ricerca della varietà perfetta: più produttiva e più resistente, la monocoltura ideale2. 3.2. IL CIBO Il cibo, in quanto elemento culturale primario, si presta perfettamente allo studio delle culture e delle identità. L’antropologia è la scienza della cultura e come tale trova nel cibo una materia di studio assai fertile, la migliore rappresentazione delle società e il miglior mezzo per interpretarne le caratteristiche. La sociologia studiando la vita sociale di uomini, gruppi e società, quindi le identità e gli scambi tra diverse società e culture, fornisce un ampio bagaglio di dati e strumenti di analisi utili allo studio del cibo. Entrambe le scienze aiutano a comprendere meglio la complessità delle scelte operate dall’uomo e allo stesso tempo, in una prospettiva storica, aiutano a capire la situazione attuale attraverso gli scambi, i rimandi e i conflitti sociali che hanno definito le identità gastronomiche e i sistemi alimentari. Consentono di conoscere i metodi che l’uomo ha applicato per sopravvivere al meglio nei suoi ambienti e quindi rivalutano immediatamente le conoscenze e i saperi tradizionali che raccontano dell’adattamento e della sintonia con la natura. D’altra parte parlano anche del perché alcuni cibi siano preferiti ad altri e ricordano alcune leggi fondamentali che l’umanità sembra aver dimenticato: “gli stessi onnivori non mangiano tutto ciò che sarebbe2 - Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
ro in grado di digerire; alcuni cibi valgono lo sforzo di produrli e prepararli, altri possono esser sostituiti con cibi meno costosi e più nutrienti. Altri cibi di elevato valore nutritivo sono evitati perché richiedono tempo e sforzi eccessivi per la loro produzione oppure perché finiscono per danneggiare la terra o hanno effetti negativi sulla vita degli animali, sulle piante, su altri elementi ambientali” . “Se voglio mangiare bene sono un elitario, se rispetto la tradizione sono ancorato al passato, se seguo le regole di buona ecologia sono noioso, se guardo all’importanza del mondo rurale sono in cerca di bucoliche sensazioni...”3. Il mangiare è sempre più al centro dell’attenzione e genera incertezza, inquietudine, ansie, paure: l’atto tra i più indispensabili per la sopravvivenza diventa un problema. Nel mondo di oggi esistono situazioni paradossali: fame e malnutrizione, obesità e diabete sono facce della stessa medaglia. Il cibo ha sempre avuto anche una funzione terapeutica; la cucina come associazione di benefici dei nutrimenti e dei composti farmacologici ha una storia molto antica, potenzialmente associata all’evoluzione della specie. Il bilanciamento dei nutrienti avveniva anche senza i tanti calcoli che oggi le scienze della nutrizione comunicano in continuazione. Nelle società dove la dieta era povera di carne, ad esempio, l’apporto proteico era garantito dal consumo d’insetti. Così le società tradizionali sono riuscite a comporre un vero e proprio sistema di saperi che associano a ogni alimento alcune proprietà 3
Ibid.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
terapeutiche. In Europa le donne erano depositarie dei saperi farmacologici legati alle piante spontanee, almeno prima che l’Inquisizione cominciasse a bollarle come streghe: un immenso patrimonio di conoscenze è sparito con loro e soltanto oggi, grazie agli sviluppi dell’erboristeria, si può tentare di ricostruirlo. Si pretende la qualità, ci si lamenta che costi cara, ma poi si spendono gli stessi soldi per banali prodotti di consumo; si seguono programmi televisivi che propinano ricette tutto il giorno, ma non si è più capaci di cucinare. Si ha a disposizione tutta la quantità di cibo che si vuole, ma poi si deve sudare duramente per dimagrire, mentre chi lotta per salvaguardare razze e varietà in via d’estinzione, per promuovere il buono che c’è ancora nelle campagne e per educare il piacere del cibo è bollato come un elitario. Sembra che sia diventato impossibile coniugare il piacere con l’impegno: per ragioni culturali ed economiche.
Ortaggi appena raccolti.
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Il cibo è il legame più profondo con il mondo esterno, con la Natura: mangiare rende l’uomo parte di un sistema complesso che gli antichi descrivevano come il “respiro della Terra”. E’ il metabolismo ciò che distingue gli esseri viventi da quelli inanimati e tutti i processi vitali sono profondamente collegati tra loro. Forse le radici del problema stanno in un modello di consumo che ha preso il sopravvento in tutte le attività umane, rispetto al quale anche il cibo non è sfuggito alle regole: con l’industrializzazione ha trionfato il consumismo. Mangiare oggi genera incertezza, ansie e paure perché pretendendo di tenere la Natura fuori dalla sfera umana, si è finito con l’estromettere anche il cibo, dimenticandosi il significato di un’azione che si compie almeno tre volte al giorno, tutti i giorni. La produzione e trasformazione degli alimenti è uscita dalle case per essere demandata a soggetti terzi, non se ne possiedono più i segreti e, non conoscendoli più, bisogna comprarli con il denaro, come
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si acquista tutto ciò che serve. Il cibo oggi è prodotto soprattutto per essere venduto, non per essere mangiato. Ridurre il rapporto con ciò che mangiamo,quasi esclusivamente ad una serie di operazioni di mercato è sia la causa sia l’effetto di un sistema che ha tolto valore al cibo e ha tolto significato alla vita. L’industrializzazione molto spinta del settore agro-alimentare, pone la qualità in secondo piano rispetto a quantità, produttività, omogeneizzazione dei prodotti e serialità. La natura è però il contrario di tutto questo: la natura è complessità, indeterminatezza, diversità, multifunzionalità. L’agricoltura industriale, la trasformazione industriale del cibo, la distribuzione attraverso i cinque continenti di derrate coltivabili in loco, l’egemonia del prezzo e le leggi del libero mercato hanno reso quello del cibo uno dei comparti più insostenibili tra tutte le attività umane. Negli ultimi cento anni c’è stata una gravissima riduzione della biodiversità: l’esigenza di avere estese monocolture per rifornire l’industria con grandi quantità di cibo a basso costo ha orientato la scelta su poche varietà adatte a questo modello produttivo, a discapito di altre. Il risultato è che, per esempio, nei soli Stati Uniti, capofila mondiali dell’agricoltura industriale, nell’80,6% delle varietà dei pomodori si è estinto tra il 1903 e il 1983; e così il 92,8% della varietà di insalata. Delle 5.000 varietà di patate esistenti, soltanto quattro costituiscono la stragrande maggioranza di quelle coltivate a fini commerciali negli USA; due tipi di piselli occupano il 96% delle coltivazioni americane e sei tipi di
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
mais il 71% del totale. Inoltre, anche i terreni stessi vengono “mangiati” dal cibo a causa della sua produzione su scala industriale. Crediamo di pagare poco il cibo, ma paghiamo un prezzo caro e occulto, sia in termini ecologici, per la capacità futura della Terra di produrre cibo, sia per la qualità della nostra vita e della nostra salute e anche nei confronti delle generazioni future, alle quali non possiamo negare il diritto di godere di benessere e felicità. Il basso costo del cibo non soltanto impoverisce il suo valore, ma nasconde dentro di sé tutto ciò che si sta facendo alla Terra. Quando il prezzo è basso e il valore è sminuito, diventa naturale che un prodotto si possa sprecare con leggerezza. In Italia, secondo una ricerca condotta nel 2007 dal Banco Alimentare, si sprecano ogni giorno 4.000 tonnellate di cibo edibile. Vale a dire 1,46 milioni di tonnellate l’anno. Nel Regno Unito, si sprecano invece 6,7 milioni di tonnellate l’anno, circa un terzo del totale disponibile; gli americani sprecano un quarto del loro cibo: 25,9 milioni di tonnellate l’anno4. 3.3. STILI DI VITA Viviamo nella società dello spreco, e lo si coglie subito dal settore alimentare che genera enormi quantità di rifiuti: il 40% dei rifiuti è composto da imballaggi e il 10% da prodotti usa e getta. Se si pensa a che cosa ci sia nei nostri frigoriferi non sarà difficile trovare pezzi di formaggio inutilizzati e ammuffiti, avanzi di porzioni troppo 4 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
grandi comprate al supermercato già imballate e mille altri cibi dimenticati. Il retro dei supermercati è il paradiso dello scarto. Ogni giorno in Italia sono gettate nei rifiuti 4.000 tonnellate di cibo edibile. Quella di vivere nell’abbondanza è un’altra grande illusione della società dei consumi: il “tanto” non significa necessariamente “qualità” e soprattutto non ha niente a che vedere con l’umanità.
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La natura del consumismo è di creare bisogni indotti: fa comprare ciò di cui abbiamo bisogno e vende false promesse e falsi valori. La comunicazione pubblicitaria dell’industria alimentare è scandalosa nello spacciare illusorie verità, nello svendere la sacralità del cibo, nello snaturare il piacere con l’eccesso. Un bambino europeo sta davanti alla TV in media tre ore al giorno e viene sottoposto ad un vero bombardamento, in cui il cibo diventa tutto, meno ciò che è in realtà. La pubblicità con il suo raccontare di bisogni che la gente non si sarebbe neanche sognata di avere, è la dimostrazione più lampante che non siamo più noi i padroni del nostro cibo e del nostro futuro. Mai prima d’ora s’è visto un fiorire di fornelli, guide, stellette e cappelli; quotidiani e magazine con l’immancabile rubrica del mangiare e del bere; programmi tv che vivisezionano manicaretti in diretta; cuochi acclamati come star e gastronomi più o meno sapienti che decidono le sorti di chef pronti a firmare nuovi menu e sommelier che si dilettano con gli abbinamenti cibo-bevanda. Il tutto sostenuto da una ricca letteratura di genere che esalta ora questo o quel prodotto, questo o quel piatto, questa o quella ricetta. Un vero e proprio boom per la divulgazione della cultura gastronomica: 50 programmi televisivi, 200 periodici, 1.000 siti internet dedicati a cibo, vino e turismo gastronomico5. La domanda ricorrente è se si potranno gustare ancora le minestre fumanti della nonna, o i fusilli pomodoro e basilico, i timballi di riso, patate e cozze o gli sformati di
Ogni bambino passa davanti alla TV tre ore al giorno.
5 Comunicato stampa, Accademia Italiana della Cucina, 2008
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verdure fresche dell’orto. Domanda che infrange l’invadenza di proposte e modelli culinari innovativi, che taluni presentano come la naturale evoluzione della tavola della tradizione, mentre altri non esitano a definire alternativi alla logica della tipicità. Gli uni e gli altri convinti di proporre qualità assoluta e che l’innovazione in cucina sia una virtù che apre le strade al futuro. Non è un mistero. Il rapporto degli italiani con la tavola sta cambiando, e anche velocemente. Di certo non è lo stesso di trenta e nemmeno di venti anni fa. Il Paese è cambiato, socialmente, economicamente e strutturalmente, con nuovi stili di vita che si sono affermati, modificando o sostituendo del tutto anche espressioni, tradizioni e consuetudini. Con l’arrivo di nuove etnie la popolazione ha vissuto (e continua a vivere) un incredibile mutamento. Lo stesso nucleo familiare, il classico mattone della società formato da padre - madre - figli, ha dovuto lasciare spazio a una nuova figura comunemente definita con il termine inglese di single. Tutto ciò non poteva non provocare ricadute sui comportamenti alimentari di consumatori, distributori e produttori: i primi hanno evidenziato una diversa propensione all’acquisto, e gli altri due hanno adeguato in un caso i modelli di spesa e, nell’altro, hanno rivisto i loro indirizzi produttivi6. L’elasticità del fenomeno in campo alimentare è stata accompagnata da un comportamento di segno opposto, che però non ha favorito in egual misura tutti gli altri capitoli di spesa, ma solo una parte 6 Basile, Nicola D., New menu Italia. La rivoluzione che ha cambiato la tavola degli italiani, Milano, B.C. Dalai Editore, 2009
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
di essi. In particolare ne hanno tratto beneficio i trasporti e le comunicazioni e, in misura minore, le abitazioni. Per contro, l’abbigliamento e le calzature hanno ricalcato l’andamento discendente del food&beverage, subendo in misura moderata ma costante un ridimensionamento di quota. Ad ogni modo, i principali cambiamenti socio-demografici avvenuti nella penisola che hanno avuto un ruolo di una certa rilevanza nelle modifiche del costume alimentare nazionale sono diversi: l’innalzamento dell’età media della popolazione, quale effetto dell’invecchiamento della gente, il crescente numero di famiglie con un solo componente e l’affermarsi di nuovi stili di vita e il prorompere del fenomeno multietnico, correlato a crescenti flussi migratori in entrata. Quest’ultimo elemento, da considerarsi come variabile socio-demografica, ha recentemente assunto una dimensione di rilievo in Italia ed è connesso ai crescenti flussi immigratori. Un fenomeno destinato ad espandersi ulteriormente nei prossimi anni, cui sono correlati l’introduzione e il progressivo radicamento nel mercato di prodotti che non appartengono alla tradizione alimentare italiana. Si tratta tuttavia di prodotti che stimolano anche nella popolazione nativa una differenziazione negli acquisti e un approccio culinario extra nazionale e multietnico. L’introduzione di questi nuovi cibi, e talvolta stili alimentari completamente avulsi dagli schemi tradizionali, comporta mutamenti di rotta nelle dinamiche di acquisto.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
I consumatori stanno riscoprendo il piacere della prima colazione (+11,7 % nel periodo 1995-2005) e amano sempre più la cena (il 21,9% degli italiani la considera il pasto principale, + 3,4% rispetto al 1995). Cresce l’abitudine dei fuori pasto (il 40 % degli italiani è solito fare uno spuntino mattutino e/o pomeridiano) e aumenta il consumo di cibi pronti. Mentre il 22% dei consumatori europei dichiara di aver cambiato di recente il proprio stile alimentare, gli italiani risultano essere i più “tradizionalisti” d’Europa, collocandosi all’ultimo posto con un valore del 15% (in testa la Svezia con il 43%). Si può notare un progressivo cambiamento di consolidate abitudini alimentari: si pensi, ad esempio, alla diminuzione del consumo giornaliero di pasta o all’introduzione di nuovi alimenti proteici (prodotti ittici). Si registra un aumento dell’11,7% nel periodo 1995-2005 sull’abitudine degli italiani di fare una prima colazione adeguata, in cui, cioè, non si assumono solo tè o caffè ma si beve latte e si mangia qualcosa. Aumenta l’abitudine dei fuori pasto (il 40% degli italiani dichiara
Aumenta la pausa pranzo fuori casa.
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di fare abitualmente uno spuntino a metà mattina e/o a metà pomeriggio), come significativa testimonianza della trasformazione subita dalla tradizionale “giornata alimentare”. Per il 70% degli italiani il pranzo rimane il pasto principale della giornata ma diminuisce il suo potere di aggregazione in favore della cura di interessi personali (shopping, fitness, frequentazione della rete internet, ...). Aumenta inoltre la percentuale degli italiani (21,9%) che considera la cena il pasto principale della giornata7. 3.4. FARE LA SPESA Le variazioni intervenute nella composizione degli acquisti di alimenti e bevande delle famiglie italiane, associate alle nuove istanze dei consumatori e ai mutamenti socio-demografici e degli stili di vita, hanno sollecitato, sul fronte dell’offerta, una continua risposta da parte dell’industria alimentare. Risposta che si è concretizzata in un forte incremento del numero delle referenze presenti sul mercato, in una pro-
7
Fonte Istat
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fonda e costante quota degli investimenti destinati all’attività di ricerca e sviluppo, per il lancio di prodotti innovativi e in grado di intercettare i “fittizzi” fabbisogni esistenti. Negli ultimi vent’anni le referenze a disposizione dei consumatori italiani sono, secondo l’ufficio studi della Federazione delle Industrie Alimentari, più che triplicate. Si stima che in alcuni ipermercati il loro numero sia superiore ai 3.000 articoli. La stessa analisi evidenzia che, dal 1980 a oggi, in un supermercato di medie dimensioni ubicato in un centro urbano, le referenze siano aumentate mediamente da 800 a 2.700. Con un buon 60% dei prodotti trattati che presenta più di una referenza per porzione misura o quantità. Tutto ciò ha concorso a determinare in pochi anni profonde modifiche nella composizione degli acquisti di cibo e bevande, sollecitando da un lato la produzione a ripensare l’offerta e, dall’altro, la catena commerciale a ripensare le politiche adeguate alle mutate esigenze del
GDO: simbolo di consumismo e sovrabbondanza.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
mercato. E’ un fatto che a metà degli anni ’70 gli italiani, culturalmente e socialmente ancora molto legati al modello di vita in famiglia, destinavano al solo mangiare e bere il 34% della spesa totale, destinando il restante 64% alla casa, all’abbigliamento, al tempo libero, ai viaggi e a tutti gli altri aspetti della vita. Secondo i dati del 1985 questo rapporto aveva subito un forte scossone, con l’incidenza della spesa alimentare scesa al 28,1%. Passano dieci anni ancora, il reddito degli italiani cresce ma la spesa per la tavola affonda sotto il 22%. Tendenza che continua la sua corsa nell’ultima parte del XX secolo e prosegue senza sosta anche con l’ingresso nel terzo millennio, per fermarsi al 18% dei nostri giorni. I mutamenti socio-demografici, caratterizzati in Italia da un calo strutturale delle nascite e da un contestuale e progressivo innalzamento dell’età media della popolazione (secondo le proiezioni Istat, nel 2051 un terzo dei residenti italiani avrà un’età superiore ai 65 anni, rispetto al 20% attuale), spiegano solo una parte delle
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
modifiche nei comportamenti di spesa8. Per quanto riguarda la variabile economica, l’indagine ha documentato la forte sensibilità del consumatore italiano al fattore prezzo, conseguente alla crescita dei prezzi finali dei beni; fattori che hanno ridimensionato il potere di acquisto delle famiglie, a seguito dell’introduzione dell’euro. Tutto ciò ha congelato il budget di spesa dei consumatori, con ricadute anche nel settore alimentare. Dalla ricerca emerge che il 24% del fatturato complessivo dell’industria alimentare proviene da prodotti innovativi, in particolare cibi pronti (verdure in busta, sughi pronti, oli aromatizzati, condimenti freschi, surgelati, …). In generale, il consumatore dimostra di aver sviluppato un atteggiamento di equilibrio tra la qualità minima richiesta e le risorse familiari destinabili all’alimentazione. Ma se qualità e prezzo dei beni corrispondono ai primi due fattori di scelta dei consumatori, un ruolo non secondario è giocato dall’impressione di freschezza di ciò che si acquista e dalla sicurezza alimentare dei prodotti. Il sapore viene collocato al 5° posto seguito dalla salubrità del cibo. L’aumento dei single e l’andamento dei loro consumi alimentari dell’ultimo quinquennio evidenzia il fatto che, tra le referenze con le migliori performance di crescita presso la grande distribuzione organizzata (GDO), a farla da padrone sono le specialità surgelate, le verdure confezionate e pronte per l’uso (definite di 4° e 5° gamma), merendine, dessert, gelati, piatti pronti, yogurt, prodotti 8
Fonte Istat
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dietetici. Tra gli esempi più recenti di prodotti innovativi di successo rientrano gli stir fry, piatti pronti preparati sulla base di ricette “tradizionali”, precotti o surgelati da saltare in padella, che hanno già superato il centinaio di referenze tra primi, secondi e contorni. Un palese esempio di surrogato della tradizione che cerca di essere comunicata, al contrario, come rispettosa di tutti i veri criteri della cultura culinaria del passato. Poi ci sono anche sughi e condimenti pronti, pasta ripiena, salumi in busta e alimenti esotici. La conoscenza di nuove culture e tradizioni si va però a scontrare con l’inserimento di prodotti nel mercato italiano che spesso risultano importati da paesi molto lontani, essendo fuori stagione, o ancor più con il soppiantarsi di prodotti della tradizione locale9. Per riassumere le abitudini del consumatore nel fare la spesa, è stato realizzato uno schema che mettesse in relazione cinque variabili con il suo comportamento. Il consumatore modifica le sue abitudini a seconda del modello di consumo preso in considerazione di volta in volta. Ad esempio, se decide di fare la spesa all’ipermercato deve raggiungerlo con l’automobile dato che si trova fuori città, va una volta a settimana e acquista in grandi quantità e dedica quasi un’ora alla spesa senza contare il tempo di viaggio. Se invece il consumatore decide di fare la spesa vicino casa sicuramente non prende la macchina, può andarci più volte durante la settimana per cui i suoi acquisti sono sempre ridotti e ci impiega poco tempo. 9 Basile, Nicola D., New menu Italia. La rivoluzione che ha cambiato la tavola degli italiani, Milano, B.C. Dalai Editore, 2009
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Abitudini del consumatore
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3.5. L’ALIMENTAZIONE Sai cosa mangi? La ricerca della qualità dei prodotti alimentari rimane una priorità anche in periodi di crisi, per effetto della necessità di garantirsi cibi sicuri di fronte al ripetersi degli scandali alimentari. L’ultimo esempio è quello della mozzarella blu contaminata, prodotta in Germania e venduta in tutta Europa con nomi italiani a prezzi bassi nei discount alimentari. Si specula sulla gente che in una situazione di difficoltà economica si rivolge a prodotti anonimi di basso costo che non offrono garanzie di sicurezza. Infatti, circa la metà della spesa è anonima con l’acquisto di prodotti per i quali non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza e quindi con la possibilità concreta che vengano spacciati come Made in Italy prodotti importati. L’importazione di mozzarella blu dalla Germania è solo la punta di un iceberg di traffici alle frontiere spesso fondati sulla
Caso di “mozzarella blu” importata dalla Germania.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
mancanza di trasparenza che favoriscono anche le contraffazioni. L’inganno del falso riguarda due prosciutti su tre venduti come italiani e provenienti da maiali allevati all’estero, ma anche un terzo della pasta che è ottenuta da grano che non è stato coltivato in Italia all’insaputa dei consumatori oltre che tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro che sono stranieri senza indicazione in etichetta. Negli ultimi anni con la mobilitazione a favore della trasparenza dell’informazione, si è riusciti ad ottenere l’obbligo di indicare la provenienza per carne bovina, ortofrutta fresca, uova, miele, latte, pollo, passata di pomodoro, olio extravergine di oliva ma ancora molto resta da fare con l’etichetta anonima per circa la metà della spesa: dai formaggi ai salumi, dalla pasta ai succhi di frutta10. Qualità dell’alimentazione = qualità della vita Fino a non troppi decenni fa, la fonte dei guai era la scarsezza delle risorse: si man-
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http://www.coldiretti.it/
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
giava poco o si mangiavano sempre le stesse cose, con il risultato che i bambini avevano problemi legati all’insufficienza di cibo (malnutrizione) o alla carenza di costituenti essenziali (vitamine, sali, oligoelementi). Oggi, in tempi di abbondanza, si è trovato il sistema per continuare a complicare la vita, mangiando troppo e soprattutto male. Inoltre, la qualità complessiva degli alimenti è certamente inferiore rispetto a quella delle generazioni passate. Il problema non è da identificarsi negli occasionali fast-food del sabato: il nemico è nelle nostre case, tutti i giorni. Cibi pronti, conservati, dolci di zucchero colorato artificialmente, merendine confezionate da mesi o anni, patatine fritte in sacchetto, cioccolato industriale, bibite zuccherate e colorate, salumi e affettati nella plastica, formaggi scadenti in contenitori sintetici, precotti, surgelati confezionati un anno prima, wurstel e insaccati con dentro di tutto, scatolette di tonno con contorno già pronto da mesi e via così…la qualità è sempre più lontana. In un’epoca di attenzione all’ambiente, è necessario considerare che il primo “ambiente” da proteggere diventi il nostro organismo e che questo genere di cibi costituisce un inquinamento delle nostre cellule. Sono tanti i fattori che hanno portato a questo punto: la mancanza di tempo in primis oppure la pigrizia mentale che fa compiere scelte più comode. Purtroppo l’esperienza e fantasia delle nostre nonne si sta perdendo a causa delle raccomandazioni della pubblicità; si possono però recuperare alcuni comportamenti utili prima che sia troppo tardi. Prima di tutto si deve definire un orario regolare
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dei pasti, eliminando spuntini, dolci e bibite fra un pasto e l’altro. Poi ovviamente bisogna puntare sulla qualità: cercare il formaggio buono, l’olio profumato, il sugo fatto al momento, la frutta fresca (di stagione), il gelato artigianale, il pesce ancora da pulire, il pane del fornaio. Per i più piccoli invece è molto importante imparare qualcosa sul cibo provando a cucinare in casa: preparare una pastasciutta o un risotto, impastare una torta o dei biscotti, trasformare la frutta in una macedonia o in un frullato o in una marmellata, preparare insieme l’impasto delle polpette, scegliere gli aromi per un bel sugo sono esperienze personali che difficilmente si dimenticano. La magia del creare qualcosa di buono partendo da pochi ingredienti, la pazienza e il rispetto dei tempi, il ciclo della natura e dei suoi prodotti, la curiosità dell’apprendere e la fantasia dello sperimentare, sono valori che non vanno persi nel rispetto di una salute alimentare sana di cui andare fieri11. Che cos’è la qualità Il consumatore è oggi sempre più attento ai diversi aspetti della qualità: oltre a quelli intrinseci del prodotto, anche e soprattutto ad altri che possono essere definiti “valori aggiunti culturali”, come la tipicità, la denominazione d’origine, le etichettature ecologiche, ossia le garanzie che le tecniche utilizzate nella filiera produttiva siano a ridotto impatto ambientale. Per garantire tutto ciò è necessario mettere sotto controllo l’intero processo di produzione degli alimenti dal campo al piatto. La qua11 http://www.mammaepapa.it/salute/p. asp?nfile=pv_alimentazione
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lità pertanto non va controllata soltanto alla fine del processo, ma va gestita in ogni sua fase, in modo trasparente e riconoscibile dal consumatore. Da questo punto di vista è essenziale raggiungere due obiettivi: la rintracciabilità dei prodotti e la percezione della qualità da parte del consumatore. Prima di assaggiare il prodotto il consumatore di oggi legge l’etichetta o ne valuta la bellezza estetica: le etichette non sono sempre chiare e comprensibili né tantomeno esaustive, non sempre ciò che è bello e/o di grandi dimensioni è anche migliore e più buono. Sempre maggiore favore incontrano i prodotti tipici e quelli dotati di marchi di qualità e certificati, ivi compresi quelli provenienti dall’agricoltura biologica. Il consumatore si sente, infatti, maggiormente “sicuro” quando sa da dove proviene il prodotto e quando sa che questo è stato sottoposto ad un controllo in tutte le fasi della sua produzione, e, sentendosi garantito, è disposto a riconoscerne il valore aggiunto anche in termini di rapporto
Pomodori confezionati importati dall’Argentina.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
qualità/prezzo. La nuova frontiera della sicurezza alimentare, dopo aver garantito una giusta quantità di cibo a tutti, e che questo sia sano e sicuro, sta quindi nella valorizzazione della qualità, tipicità e diversità degli alimenti. Norme di qualità Le materie prime provenienti dall’agricoltura e dall’allevamento sono alla base per la produzione di alimenti finiti. Gli alimenti di origine vegetale (frutta e verdura) o animale (latte, formaggi, uova, carne, pesce), contengono tutte quelle sostanze che forniscono i principi alimentari come i glucidi, i lipidi, le proteine, i sali minerali, le vitamine. Fino a pochi decenni fa, le filiere di produzione di molti prodotti alimentari erano filiere corte, le piante coltivate o gli animali allevati erano consumati nell’ambito di territori ristretti, in tempi molto brevi o addirittura nella stesso gruppo familiare. Oggi invece la filiera produttiva di un alimento vegetale o animale è molto più
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
lunga e complessa. Prima di arrivare sulla tavola del consumatore, gli alimenti subiscono una serie di trattamenti e di processi tecnologici che ne consentono una maggiore conservazione, una migliore trasportabilità, un più facile e conveniente utilizzo. Gli alimenti finiti inoltre sono sempre più spesso composti di materie prime di diversa natura (piatti pronti, precucinati, surgelati) e sono prodotti tramite processi tecnologici sempre più complessi e sofisticati. Per questo motivo si è reso necessario studiare le caratteristiche di ciascun alimento e di ciascun processo di produzione e trasporto dell’alimento stesso12. Il concetto di qualità di un prodotto alimentare si estende a diversi aspetti quali: la sicurezza igienico-sanitaria, le caratteristiche organolettiche e sensoriali, le proprietà nutrizionali, le caratteristiche tecnologiche, ... La qualità igienico-sanitaria ad esempio prende in considerazione la salubrità di un alimento ed è un prerequisito indispensabile di sicurezza. Il prodotto alimentare non deve contenere microorganismi patogeni, elementi tossici, sostanze o corpi estranei che possono arrecare danno alla salute di chi lo consuma o manipola. La qualità nutrizionale invece dipende dalle caratteristiche di ciascun alimento e si identifica con il contenuto dei principi alimentari quali i lipidi, le proteine, le fibre, le vitamine, per cui è possibile parlare di alimenti ad elevata o scarsa qualità nutrizionale. La qualità organolettica-sensoriale di un alimento riguarda le caratteristiche di gusto di aroma, di colore, di aspetto, di consistenza e sono quelle che si possono 12 ACU - Associazione Consumatori Utenti Ministero delle Attività produttive
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controllare di persona ed immediatamente danno un indice di gradevolezza. La qualità tecnologica dell’alimento infine include una serie di requisiti spesso di natura estremamente diversi tra loro quali il processo di trasformazione delle materie prime, le caratteristiche di comodità d’uso e di conservabilità dell’alimento, le caratteristiche ed i materiali di confezionamento. Può influenzare positivamente o negativamente le caratteristiche igienico-sanitarie, le proprietà nutrizionali e le caratteristiche organolettico-sensoriali di un alimento. Se il latte subisce un processo di pastorizzazione a temperature inferiori rispetto a quelle previste, può rappresentare un rischio di tipo igienico sanitario. Se un impianto di sterilizzazione di alimenti liquidi viene utilizzato per sterilizzare un succo di frutta e successivamente il latte senza che sia avvenuta una efficace fase di lavaggio, il latte avrà proprietà organolettiche diverse, … Nella società attuale, i consumatori rivolgono un’attenzione sempre maggiore nei riguardi degli alimenti prodotti con sistemi che salvaguardino l’ambiente e che garantiscano il benessere degli animali da allevamento. Come tutti gli esseri viventi, anche i vegetali si ammalano o possono venire attaccati da parassiti: per diminuire le perdite economiche e per rendere più appetibile i prodotti vengono utilizzate sostanze chimiche come pesticidi e fitofarmaci. Per garantire un’elevata qualità ambientale e diminuire il rischio di riscontrare presenza di residui di pesticidi e fitofarmaci negli alimenti si ricorre a sistemi quali la lotta integrata o lotta biologica. La lotta integrata si basa sull’utilizzo di minori quantità di
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fitofarmaci rispetto a quella usata con trattamenti con metodi antiquati e standard. La lotta biologica si basa sul concetto che in natura ogni parassita di una pianta ha uno o più nemici. Quindi l’agricoltore non utilizza sostanze chimiche, ma insetti o altri organismi. Le piramidi alimentari La piramide alimentare è un modello usato per descrivere un regime alimentare e viene attualmente indicato come fondamento di alcune diete; questo modello usa infatti il solido geometrico della piramide per indicare quali alimenti e in che proporzione fra di essi debbano essere assunti nel corso della settimana. Usare la piramide per descrivere una serie di regole nutrizionali non necessariamente implica indicazioni quantitative anzi spesso sono solo indicazioni qualitative (il privilegiare un tipo di alimento rispetto a un altro). Esistono molte piramidi alimentari proposte in letteratura, come la piramide mediterranea e quella asiatica, per citare le più note. La piramide mediterranea è un modello usato per descrivere il regime alimentare di molte popolazioni dell’area geografica che gravita attorno al Mediterraneo. Essa si basa su uno studio scientifico riguardante le popolazioni di sette paesi: Stati Uniti, Italia, Finlandia, Grecia, Yugoslavia, Paesi Bassi e Giappone. Lo studio, documentato nella letteratura scientifica da uno dei suoi principali coordinatori, Ancel Keys , va sotto il nome di Seven Countries Study, tra le altre cose esso prende in analisi le abitudini alimentari di oltre 12.000 abitanti, di media età, scelti in modo causale, dei sette paesi in questione.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
La piramide mediterranea è molto simile a quella asiatica, in quanto privilegia i carboidrati e penalizza proteine animali e grassi. La carne occupa infatti l’apice della piramide, seguita, procedendo dall’alto verso il basso, dai livelli dei dolci, di uova, di pollame, di pesci, formaggi e yogurt, e olio di oliva. Sotto questo livello se ne trova uno composito, popolato da frutta, legumi, noci e legumi e verdura. La base della piramide è costituita da pane, pasta, riso, polenta, cereali e patate. Inoltre, la piramide si appoggia su una base di esercizio fisico giornaliero, anche se tale indicazione non compare in tutte le descrizioni della piramide mediterranea. Fino al livello di formaggi e yogurt gli alimenti si possono consumare giornalmente (senza indicazioni di quantità, anche approssimative). Dal livello del pesce ai dolci il consumo consigliato è quello settimanale (ovvero poche volte la settimana), mentre la carne ha un consumo mensile. La piramide è una raffigurazione intuitiva e semplice da comprendere: alla base ci sono i cibi da preferire, dato che sono il fondamento dell’intero piano alimentare, man mano che si sale i cibi perdono importanza nutritiva e salutare. Leggendo la piramide e identificando l’ordine con cui gli alimenti sono stati impilati al suo interno, si identificano dei livelli della piramide e si capisce immediatamente quali siano gli alimenti da preferire e quali siano quelli da limitare. Raffigurare il tutto visivamente con la piramide aiuta a far capire questa idea. In base a quanto detto nel punto precedente, tutti modelli nutrizionali basati sul concetto di piramide alimentare presen-
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
tano alcuni difetti. Il primo è senza dubbio quello di classificare arbitrariamente i cibi in “buoni” (quelli dei livelli bassi) e “meno buoni” (verso la punta); inoltre, i piani alimentari presenti nelle piramidi non dipendono dalle condizioni iniziali del soggetto specifico (il suo fabbisogno quotidiano, il tipo di attività, ...) ma sono dei valori puramente indicativi: le proposte non sono personalizzabili. Nonostante la piramide alimentare sia un modo di raffigurare le regole che dovrebbero governare l’assunzione abituale di cibo, sono a volte propagandate come le soluzioni per assicurare una vita ottimale anche sotto il profilo della salute. Questo messaggio è però troppo semplicistico, in quanto un corretto stile di vita non coinvolge solo l’alimentazione, ma anche altri aspetti, primo fra tutti l’attività fisica.
Rappresentazione della piramide alimentare.
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L’esercizio fisico regolare è presente in alcuni modelli alimentari più recenti (ma dovremmo chiamarli a questo punto modelli di stile di vita) ove compare a fianco della piramide come indicazione aggiuntiva. In realtà, se volessimo proporre un modello per migliorare la qualità della vita e gestirla al meglio, non potremmo prescindere da un terzo aspetto (la psiche), proponendo quindi una visione integrata dello stile di vita (alimentazione + sport + psicologia). Si può quindi affermare che i modelli alimentari basati sulle piramidi s’ispirano a una visione dell’alimentazione obsoleta e poco rigorosa. I cibi di uno stesso livello della piramide sono considerati equivalenti, ma spesso le piramidi accorpano gli alimenti in modo troppo approssimativo (carne e pesce, tutti i tipi di frutta, ...). Eppure è ben diverso consumare un trancio di salmone piuttosto che una bistecca di pollo o scambiare una macedonia di fragole con un casco di banane. In altri termini, chi propone la piramide cerca di semplificare troppo le direttive e vuole evitare che le persone facciano lo sforzo di crearsi una vera coscienza alimentare. Si tratta di scorciatoia, facile da capire e applicare ma che non porta a una reale crescita delle conoscenze alimentari di chi la segue. E chi sceglie di non capire e di non apprendere su una materia così importante come l’alimentazione limita da sé le possibilità di migliorare la propria vita.
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Problemi Nelle società moderne, l’ossessione per un’alimentazione sana ha raggiunto i suoi massimi livelli contando sempre più patologie alimentari e intolleranze dovute soprattutto agli stili di vita sedentari e l’invadenza dell’industria alimentare che ha ridotto notevolmente la varietà e la qualità della nostra dieta. Gli obesi stanno diventando un problema nazionale negli Stati Uniti e anche in Europa i bambini sovrappeso sin dalla più giovane età sono più numerosi di quanto lo siano mai stati in passato; una recente indagine dell’Istituto di Statistica ha evidenziato l’esistenza di 4,7 milioni di italiani obesi sopra i 18 anni, in aumento del 9% rispetto al 2000. Un dato che va letto alla luce del 34,2% di italiani adulti in sovrappeso e del 3,4% di persone sottopeso. In un contesto davvero problematico, dove dilagano da un lato la malnutrizione e dall’altro l’obesità e in cui la cucina parrebbe destinata a morire, le scienze della
Tasso di obesità infantile in crescita.
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
nutrizione sembrano invece votate a un grande successo di pubblico, ossessionato dalla voglia di dimagrire. Le varie diete ipocaloriche sono risultate tutte prive di valore, ma il pubblico vuole le diete: negli Stati Uniti la spesa per consulti dai medici nutrizionisti e prodotti dietetici è ormai dell’ordine di grandezza di quella alimentare. Si rende necessario un articolato studio della nutrizione, non soltanto scientifico ma supportato da materie umanistiche, dalla storia e dall’antropologia, unito alla rivalutazione dei saperi tradizionali. Le reazioni avverse a un alimento possono essere tossiche o non tossiche. Quelle tossiche sono scatenate da tossine e avvengono in tutte le persone che assumano un determinato alimento (botulismo, avvelenamenti), mentre fra quelle non tossiche rientrano le allergie (che sono reazioni del sistema immunitario) e le intolleranze (non mediate direttamente dal sistema immunitario) che si manifestano solo in alcune delle persone che assumano quel particolare alimento. Queste reazioni si
3. PROBLEMATICHE - le questioni legate allo stato attuale
caratterizzano per il fatto di avvenire solo in presenza di un ben definito alimento, e si verificano sistematicamente, seppure con qualche eccezione, tutte le volte che lo si ingerisce. Le intolleranze non producono shock anafilattico e non rispondono ai test allergici cutanei, non provocano mai reazioni violente ed immediate nell’organismo e non sono direttamente correlabili all’assunzione del cibo che le determina a causa degli anticorpi coinvolti. Le maggiori cause sono l’errato stile di vita e la scorretta alimentazione che altera l’integrità della mucosa intestinale facendo venir meno la sua capacità di barriera selettiva: è così che si crea il presupposto per l’insorgenza di un’intolleranza.
Abuso di farmaci e di integratori alimentari.
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Le intolleranze alimentari sono un problema clinico in continuo aumento negli ultimi anni a causa del cambiamento dello stile di vita alimentare, dall’assunzione di cibi sempre più ricchi di additivi chimici e pesticidi, per la presenza di metalli pesanti, lo stress e l’abuso di farmaci. E’ importante capire quale cibo è corretto assumere e quale è giusto evitare grazie ai test che oggi sono disponibili.
4. VALORI
i principi per un nuovo modello di consumo
L
’abitudine consumistica condiziona quasi naturalmente tutte le scelte che vengono operate nella vita quotidiana, senza che ci si renda conto di esserne vittime. Pertanto il sentimento ecologico, pur essendo molto diffuso, risulta quasi impotente di fronte a comportamenti, fortemente radicati nel vivere quotidiano, che nei fatti lo negano totalmente. Il che significa che non si riescono a valutare le ricadute che i comportamenti generano, a causa di una cultura condivisa che non abitua a considerare le scelte quotidiane come generatrici di flussi di materia e di energia che coinvolgono anche gli altri componenti del nostro sistema socio-economico1. Si ragiona sempre sulle qualità che sono connesse ai prodotti e la nostra stessa vita viene misurata sul possesso o sulla scelta di determinati oggetti, per cui “l’avere” è la visualizzazione dei valori che il nostro sistema culturale, economico e sociale mette in primo piano, considerando il prodotto come perno attorno al quale fanno leva tutte le altre considerazioni. Per poter intraprendere un nuovo cammino bisogna mettere al centro della riflessione altri valori collegati “all’essere”; questa visione mette al centro dell’attenzione le relazioni nelle quali siamo quotidianamente connessi nel nostro contesto di vita, in un rinnovato umanesimo reale e culturale. 1 Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009
I bisogni che il consumismo ci promette di soddisfare sono in realtà disattesi dal sistema stesso. I bisogni indotti non devono essere soddisfatti per permettere al sistema di auto generarsi e sopravvivere. E’ quindi su una mancata promessa che si fonda la società dei consumi: l’idea che si acquista, o che si crede di acquistare con un prodotto, è in realtà una bugia. Il sistema consumistico è stato generato da un modo di pensare lineare, tipico della produzione industriale, che ha influenzato tutta l’epoca moderna. 4.1. BUONO PULITO E GIUSTO Il cibo è il principale fattore di definizione dell’identità umana poiché ciò che mangiamo è sempre un prodotto culturale. Se si accetta una contrapposizione concettuale tra Natura e Cultura, il cibo è la risultante di una serie di processi che lo trasformano da base completamente naturale a prodotto di una cultura. L’uomo raccoglie, coltiva, addomestica, sfrutta, trasforma e reinterpreta la Natura ogni volta che si nutre; quando produce, mette mano ai processi naturali e li influenza per creare il proprio cibo. Quando l’uomo prepara i suoi pasti poi, a differenza degli animali, mette in atto tecnologie più o meno sofisticate che trasformano la materia: il fuoco, la fermentazione, la conservazione, la cucina. Il cibo è il prodotto di un territorio e delle sue vicissitudini, dell’umanità che lo popola, della sua storia
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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
e delle relazioni che ha instaurato. Si può parlare di ogni luogo del mondo parlando del cibo che vi si produce e vi si consuma; il cibo è il mezzo principale per interpretare la realtà perché rispecchia la complessità dell’esistente e della storia passata, l’intreccio di culture, il sovrapporsi di diverse filosofie produttive.
Sul finire del secolo però le esigenze di democratizzazione del termine, in seguito agli scandali, hanno presto fatto emergere una connotazione che in sostanza assimila la qualità alla sicurezza igienico-sanitaria. Le tre condizioni per cui un prodotto può essere definito di qualità riguardano le nozioni di buono, pulito e giusto.
Il termine qualità, insieme a “gusto”, a “tipico” e a “tradizionale” è oggi uno dei più abusati nella comunicazione relativa al cibo. Quest’ascesa di popolarità del termine è un fenomeno piuttosto recente e possiamo dire che ciò sia avvenuto in gran parte grazie agli scandali alimentari come la mucca pazza, i polli alla diossina e i tanti altri pericoli dovuti al sistema agroindustriale a partire dalla fine degli anni ’80. Questi scandali hanno aperto gli occhi del consumatore medio, andando a colpire la sensibilità comune perché sono entrati nelle abitazioni, hanno coinvolto i contadini vicino casa, hanno introdotto la paura e l’incertezza nel momento di fare la spesa.
BUONO
Illustrazione Slow Food: buono.
Un prodotto è buono se è riconducibile ad una certa naturalità che ne rispetti il più possibile le caratteristiche originarie e se dà sensazioni riconoscibili che permettono di giudicarlo in un determinato momento, in un determinato luogo e all’interno di una determinata cultura. Nel definire il buono sono determinanti due tipi di fattori soggettivo: il sapore, personale, legato alla sfera sensoriale di ciascuno di noi, e il sapere, culturale, legato all’ambiente, alla storia delle comunità, del savoir faire e dei luoghi. La degustazione seria di un prodotto alimentare,
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
prima di esprimere un giudizio di merito su di esso, passa attraverso la più meticolosa descrizione delle sue caratteristiche organolettiche: analisi visiva, olfattiva, tattile e gustativa. E’ necessario rieducare alla sensorialità perché senza la possibilità di individuare il sapore a partire da dati oggettivi non si giunge nemmeno al sapere e in questo modo si perde il piacere, il proprio arbitrio e ogni possibilità di influenzare direttamente o indirettamente le scelte produttive. Così facendo si rinuncia in partenza alla qualità e si è costretti a fidarsi di chi la vende come tale. Riappropriarsi dei propri sensi è il primo passo per poter pensare un sistema diverso in grado di rispettare l’uomo: come lavoratore della terra, come produttore, come consumatore del cibo e delle risorse. Significa riappropriarsi della propria vita e cooperare insieme agl’altri per un mondo migliore, dove tutti hanno diritto al piacere e al sapere.
Illustrazione Slow Food: pulito.
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Proprio perché soggettivo, il buono può essere usato come strumento di divisione tra classi sociali e tra popoli ed è questa diversità per le altre culture che deve essere rispettata. Nessuno può permettersi di giudicare il cibo di qualcun altro in base al proprio gusto “culturale” e questo rispetto è difficile da praticare quando si tratta di interventi internazionali di salvaguardia o di supporto a prodotti, agricolture o gruppi umani legati al cibo. Lo stesso Slow Food, che tramite i Presidi internazionali si impegna a difendere piccole produzioni in tutto il globo, fa molta fatica e profonde molto impegno nella conoscenza delle culture in cui intende operare. Se si lavora per promuovere la sostenibilità, la naturalità e la tradizione locale, al contempo si lavora anche per promuovere la qualità. Il buono come obiettivo ha una connotazione politica: il recupero della sensorialità come atto fondante di un nuovo modo di pensare, di agire o di reagire; il rispetto delle altre culture inteso come compren-
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sione delle categorie altrui in grado di far comunicare, di far lavorare insieme per il riscatto delle comunità produttrici del cibo, sono altrettanti passi di fondamentale importanza per riappropriarsi della realtà, percependola attraverso i sensi come una grande rete di sapori e saperi. PULITO Pulito è un concetto che risponde a un criterio di naturalità intesa in un’altra accezione. La naturalità in questo caso è relativa in particolare ai metodi di produzione e di trasporto: il prodotto è pulito se rispetta la Terra e l’ambiente, se non inquina, se non sperpera o sovrautilizza risorse naturali durante il suo percorso dal campo alla tavola, cioè se la sua filiera è sostenibile. Per valutare tutte le conseguenze della sua produzione e trasformazione sull’ambiente è dunque necessario un bagaglio di conoscenze notevole e diversificato: bisogna sapere se le tecniche di allevamento o di coltivazione
Illustrazione Slow Food: giusto.
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
non impoveriscono i suoli con pesticidi o i liquami di animali “pompati” da mangimi e medicine; se la trasformazione è avvenuta in stabilimenti o in laboratori artigianali che non inquinano e che non utilizzano prodotti inquinanti; se i vari trasporti che ha subito il prodotto sono troppo lunghi o tramite mezzi ad alto tasso di emissione nell’atmosfera; se noi stessi danneggiamo l’ambiente per procurarceli o acquistarli. E’ giunto il tempo in cui tutti, produttori, commercianti, governi, istituzioni, associazioni, singoli cittadini, si domandino se il loro stile di vita è sostenibile. Nessuno è contrario alla sostenibilità, ma modificare il proprio stile di vita in funzione di essa è difficoltoso. Per trasformazione si intende ogni tipo di intervento dell’uomo tra la materia prima e il prodotto finale, compreso il suo savoir faire, il suo ingegno, la sua tradizione o l’innovazione. Non è detto che il modello industriale debba essere cancellato, ma i costi ambientali devono essere introdotti
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
nei bilanci, in qualche modo quantificati e fatti pagare. Si è tutti responsabili: è sufficiente l’acquisto di un prodotto che non rispetti l’ambiente nelle sue fasi di produzione; si rende necessario porre la massima attenzione e il massimo impegno verso la conoscenza dei metodi di trasformazione e bisogna pretendere di avere queste informazioni2. L’ideale sarebbe locale e biologico; la scelta dei consumatori tra biologico e convenzionale, tra locale e globale, ha importanti ripercussioni sull’ambiente e sui sistemi agricoli che possono essere calcolate anche in relazione alle cosiddette “food miles”(le miglia alimentari) ossia le distanze che percorre il cibo prima di giungere sulle tavole. La diffusione dei dati sulle food miles influenzerebbe di sicuro il comportamento dei consumatori e l’etichettatura dovrebbe fare un ulteriore passo in questa direzione. Oggi per frutta, verdura, pesce e carne è obbligatorio indicare il luogo d’origine, ma in molti casi è ancora troppo generico; per molti prodotti trasformati poi è praticamente impossibile rintracciare la provenienza delle materie prime. Se invece tutto fosse dichiarato in etichetta e la sensibilità dei consumatori fosse istruita su quanto può costare far viaggiare il cibo, una lenta rilocalizzazione dei sistemi produttivi non sarebbe molto lontana. Includere il prezzo in food miles in etichetta sarebbe una mossa di marketing geniale nonché un servizio alla comunità che chiede di poter esercitare il suo po-tere di spesa, scegliendo cibi il più possibile puliti e locali3. 2 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005 3 Ibid.
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GIUSTO Nell’ambito della produzione alimentare giusto indica giustizia sociale, di rispetto per i lavoratori ed il loro savoir faire, di ruralità e vita di campagna, di retribuzione adeguate al lavoro, di gratificazione nel produrre bene, del riscatto definitivo di una figura, il contadino, che storicamente nella società è sempre stato considerato come “l’ultima ruota del carro”. Non si deve dimenticare che non si può fare a meno dei contadini o delle comunità produttrici; è su questo concetto di comunità, di destino che si deve rifondare il sistema. A partire dalle comunità produttrici è necessario costruire una rete mondiale per rimettere al centro l’uomo, la terra, il cibo: una rete del cibo umana che, in armonia con la natura e nel rispetto della biodiversità, promuova la qualità. Sostenibile dal punto di vista sociale significa promuovere la qualità della vita, posti di lavoro dignitosi, che assicurino sostentamento e la giusta remunerazione; significa garantire equità e democrazia in tutto il mondo e dare diritto di decidere il proprio futuro. Oggi le campagne dove trionfa l’agribusiness sono luoghi in cui non sembra esserci vita, dove non sono più offerti i servizi essenziali (il piccolo commercio, luoghi di aggregazione) dove c’è un abbruttimento generalizzato. Riequilibrare un mondo è la cosa più difficile che si possa immaginare, ma ormai sono stati individuati i percorsi che possono lentamente invertire la rotta senza smentire o approssimare per difetto la ricerca della qualità: produzione di piccola scala, auto-sussistenza, diversificazione delle
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4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
colture, recupero e approfondimento delle tecniche tradizionali, pieno rispetto per un’interazione proficua con la biodiversità locale, agro ecologica. Il giusto è rispetto degli altri.4 4.2. PRODOTTO vs UOMO Pensando al prodotto come focus principale si fa riferimento ad una serie di valori ad esso correlati, come le materie prime e l’aspetto economico. I loro significati risiedono nel fatto che i prodotti rendano concreta una funzione simbolica. Gli acquirenti sono fortemente attirati da un prodotto che possa loro fornire l’occasione di sentirsi parte di un gruppo sociale, uno status symbol certifica infatti una posizione ben precisa all’interno di una società, trasmette e significa sicurezza. La reale possibilità evolutiva sembra risiedere nel ribaltamento dei valori che sono attualmente radicati: porre l’essere, e non l’avere, al centro delle nostre azioni future ci fa subito notare che il valore più importante è la vita. La consapevolezza di questo valore è legata ai bisogni primari; essa infatti non avviene tramite mezzi esterni, ma solo attraverso la percezione individuale delle necessità legate alla preservazione dell’esistenza di ciascuno, che può essere mantenuta solo relazionandosi armonicamente con “l’intorno”. E’ necessario prendere atto delle diversità in base alle quali la vita di milioni di persone si svolge; il fatto di poter produrre per mercati differenziati consente, infatti, la creazione di sistemi economici che non 4
Ibid.
siano globalizzati e indistinti, ma specifici e contestualizzati. La soluzione, è quindi quella di una ri-localizzazione delle produzioni su scala locale, facendo tesoro di tradizioni produttive, innovazione tecnologica applicata su piccola scala e risorse del territorio in termini sia di sapere umano sia di materie prime. Si vengono così a creare degli insiemi di sistemi locali, rispettosi tanto della biodiversità quanto della diversità culturale. I due schemi di Prodotto (avere) e di Uomo (essere) evidenziano con chiarezza i valori e gli scenari che nascono e si sviluppano in conseguenza alle scelte operate da ciascuno di noi. Le due visioni, pur essendo contrapposte, possono integrarsi e convivere armonicamente trovando il corretto equilibrio tra le parti. Lo schema Uomo ha al proprio interno il prodotto collocato non in centro, ma in periferia. Il Prodotto e i valori a esso connessi devono quindi rapportarsi sistemicamente agli altri rispettandone le priorità. Anche in ambito economico si sta facendo sempre più strada la convinzione che la misurazione dello sviluppo di una società non possa basarsi semplicemente su parametri economici, ma che sia necessario adottare altri fattori qualitativi e non quantitativi come la qualità della vita, dell’ambiente, del grado di istruzione, dei servizi, cioè di indici che manifestino il grado di benessere non materiale ma vissuto e percepito dalle persone5.
5 Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
Schema PRODOTTO al centro del progetto.
Schema UOMO al centro del progetto.
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Prendendo in esame i modelli di consumo analizzati precedentemente, si è deciso di considerarli criticamente rispetto all’approccio che vede l’uomo al centro del progetto. Ne consegue una prima sostanziale suddivisione tra i modelli di consumo incentrati sul prodotto e quelli invece incentrati sull’uomo per l’appunto. I primi sono basati su una mera economia monetaria; trattano il cibo come una qualsiasi merce, puntano sulla quantità di vendita e sulla produzione di massa, oltre che delocalizzata. Il consumatore si trova ad essere schiavo dell’offerta, ad acquistare più del necessario e di conseguenza a sprecare parte della sua spesa. Rispondono a queste caratteristiche tutti i modelli di consumo racchiusi nella GDO e che hanno un rapporto indiretto con il consumatore.
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
I modelli che invece sono maggiormente orientati verso l’uomo puntano alla qualità , alla cultura e al valore del cibo senza tralasciare i legami con il territorio e selezionando prodotti unici e della tradizione locale. Spesso sono caratterizzati da una produzione propria e tendono a voler instaurare un rapporto diretto con il consumatore: è il caso delle piccole panetterie, dei Farmer’s Market o della camiceria di fiducia. Altri modelli di consumo danno importanza alla socializzazione e allo scambio di informazioni tra le persone, abbattendo le distanze sfruttando la rete Internet.
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Orientamento modelli di consumo
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4.3. VALORI PER UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO Il processo industriale di produzione del cibo non rispecchia in nessun modo la materia prima e le sue caratteristiche originarie, perché è in grado di ricostruire in laboratorio la consistenza, l’aspetto e il gusto. Le etichette dei cibi diventano incomprensibili e tanti composti sono spesso celati sotto la dicitura aromi naturali che in realtà sono ottenuti da una base naturale ma sono spesso trattati con procedimenti chimici più o meno sofisticati e non sempre del tutto salutari per l’uomo. Ingerire questi prodotti, anche se in quantità microscopiche ma in modo continuativo per tutta la vita, sottopone l’uomo a un’altra forma di inquinamento i cui effetti rimangono ancora non del tutto chiari. Si parla di aumento delle allergie, piccoli e grandi avvelenamenti, anche se di rado mortali, di sostanze cancerogene scoperte dopo anni che venivano consumate tranquillamente.
Alimenti surgelati.
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
Quel che è certo è che questi composti rischiano di assuefare il senso del gusto; alzando la soglia della percezione dei nostri sensi fanno sembrare i prodotti naturali poveri dal punto di vista organolettico e omologano i sapori privando della gioia di assaporare la diversità naturale, varia, ricca e molto gratificante per il palato. A livello culturale poi, gli additivi nel piatto hanno trasformato il sapore in uno strumento di marketing, tanto che si può parlare di vero e proprio design alimentare, che costruisce il gusto di un prodotto e il prodotto stesso a partire dalle ricerche di mercato, vi adatta un processo produttivo industriale e poi sceglie la materia prima che più conviene economicamente. In pratica si ribalta il processo secondo cui l’uomo per nutrirsi parte da ciò che trova in natura e cerca di migliorarne il sapore. Le culture tradizionali hanno inventato i più disparati metodi di trasformazione e conservazione del cibo, ingegnandosi con il poco o tanto che avevano a disposizione. Con l’industrializzazione, trasferire
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
questi saperi antichi in luoghi di produzione sempre più centralizzati, demandare la produzione del cibo a chi lo sa fare in serie sfruttando nuove tecniche molto sofisticate ha privato l’uomo della conoscenza e della capacità di trasformare il cibo6. Si è progressivamente affermato un predominio della tecnologia alimentare di stampo industriale sui metodi tradizionali; così oggi per molti cucinare è diventato soprattutto l’atto di scaldare qualcosa di già pronto e surgelato. In realtà il bagaglio dei saperi tradizionali in fatto di trasformazione del cibo, l’insieme dei semplici atti di preparazione quotidiana, molto presenti in ogni società prevalentemente agricola, e ancora presenti anche nelle città, prima che i modelli standardizzati dell’industria alimentare si imponessero del tutto, rappresentano un patrimonio ricchissimo e prezioso. Gli strumenti e la manualità necessaria a compiere questi gesti stanno scomparendo dopo secoli di pratica, ma in molti casi si rivelano insostituibili. Oggi resta la questione della materia prima e del suo rispetto: l’integrità naturale della materia serve a coltivare e percepire il buono. Per naturale non si intende “biologico” perché non sempre i concetti si equivalgono; naturale significa non utilizzare troppi elementi estranei e artificiali rispetto al sistema ambiente/uomo/materia prima/trasformazione: no agli additivi e ai conservanti chimici, agli aromi artificiali o cosiddetti naturali, no alle tecnologie che stravolgono la naturalità del processo di lavorazione, allevamento, coltivazione, 6 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005
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cucina, … Le materie prime devono essere sane, integre, il più possibile esenti da trattamenti chimici e procedure intensive, dopodiché devono essere trattate con procedimenti molto rispettosi delle loro caratteristiche originarie. La qualità di un formaggio, ad esempio, è strettamente collegata alla qualità del latte che si impiega e questo sarà buono nella misura in cui sarà stata buona l’alimentazione dell’alimentazione dell’animale che lo ha prodotto. Lo stesso discorso vale per la carne, che sarà buona se l’allevamento dell’animale avrà rispettato i criteri di naturalità senza acceleratori di crescita o mangimi ipercalorici o con antibiotici. In realtà ogni tecnica agricola introduce un elemento di artificio in natura, così come per la trasformazione; in questi casi dovrebbe prevalere il buonsenso: una tecnica rientra nella naturalità se rispetta la natura, non la prevarica, non la consuma in modo sbilanciato, non ne altera gli equilibri in maniera irreparabile. Per questo un prodotto deve corrispondere a criteri di naturalità in tutta la filiera che lo porta dal campo alla nostra tavola. La percezione dell’importanza della vita umana, o della sostenibilità ambientale, avviene sempre quando qualcosa entra in crisi, quando si avvicina l’inevitabile. E’ da vent’anni che si parla di catastrofi ambientali, surriscaldamento della crosta terrestre, effetto serra e buco dell’ozono, ma se in passato se ne parlava sempre al futuro oggi se ne parla al presente perché il punto di non ritorno è vicino7. 7 Politecnico di Torino, Uomo al centro del progetto. Design per un nuovo umanesimo, Torino, Umberto Allemandi & C., 2008
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I valori da recuperare Nell’ambito del dialogo tra i saperi non esiste scienza più multidisciplinare di quella gastronomica, intesa come lo studio del cibo in tutti i suoi aspetti. Fondamentale da questo punto di vista è riuscire a realizzare un’operazione di recupero e rivalutazione dei saperi agricoli e gastronomici tradizionali, messi in secondo piano dalla scienza moderna e bollati come antiquati, poco produttivi o non adatti alla produzione seriale. In realtà proprio perché emersi in contesti specifici di territorio, in una dimensione locale, questi saperi e conoscenze sono un ottimo esempio di design sistemico, perché considerano il territorio
Recupero della sensorialità.
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
e le esigenze degli uomini che lo abitano come un tutt’uno, uomo e natura facenti parte dello stesso insieme. Il sapere da diffondere non deve riguardare la semplice messa in scena di un prodotto in cui si valorizzi la sola componente estetica, ma si deve porre l’accento sulla consapevolezza di operare in un sistema di valori sociali, culturali ed etici. Una tavola rotonda dove banchettare con saperi e sapori tradizionali, dove si salvaguarda la biodiversità locale e si rispettano le ciclicità naturali, dove l’informazione e l’educazione si trasformano in “cibo per la mente.” E’ necessario riacquisire la capacità culturale e pratica di saper delineare e programmare il flusso di materia che scorre da un sistema ad un altro. Si rende necessario riavvicinare la produzione alla domanda del mercato, cercando di sviluppare le produzioni regionali specifiche e permettendo al contempo la diversificazione della produzione agricola. Bisogna contribuire allo sviluppo delle zone rurali, sostenere le azioni commerciali dei produttori che cercano di differenziare i loro prodotti ma anche di proteggerli da abusi e usurpazioni. Ai consumatori bisogna fornire un’informazione affidabile circa i prodotti che acquistano. Quando si parla di attività produttive, non s’intendono unicamente quelle industriali, ma anche quelle agricole e non si deve fare l’errore di considerare il sistema naturale coincidente con quello agricolo. L’agricoltura è un’attività produttiva che si affianca a quella industriale ed entrambe coesistono nel sistema naturale. La compresenza armonica di agricoltura, industria e collettività con il sistema
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
naturale è la chiave fondamentale di un modello produttivo di sviluppo sostenibile. L’agricoltura si deve de-industrializzare, bisogna ridare priorità alla terra e all’ambiente naturale agricolo. La terra è il luogo della vita e non è possibile che muoia; un suolo stressato non produce bene e si trasforma solamente in una macchina produttiva di alimenti. I metodi di produzione intensivi, tanto per i vegetali che per gli animali, vanno rifiutati; non si può chiedere ogni anno di più a un terreno, a una vacca da latte, o pretendere che un pollo cresca in metà del tempo rispetto a quanto è naturale: non sono macchine, sono vivi e il meccanismo naturale se si rompe non si può riparare come una fresa industriale. Bisogna preferire le varietà e le razze autoctone perché la loro sopravvivenza garantisce la biodiversità che permette al sistema naturale di auto regolarsi al meglio. Sono inserite nell’ecosistema che le ha viste nascere ed evolvere, sono la garanzia di mantenimento di quell’ecosistema, garantiscono una maggiore varietà di gusti e il loro patrimonio genetico è patrimonio di tutta l’umanità. Nel nostro Paese la diffusione degli orti troverebbe il consenso di quasi quattro italiani su dieci che già si dedicano alla cura del verde in giardini, orti o terrazzi8. Darsi al giardinaggio è un importante impegno a tutela della salute sia per la garanzia del consumo di cibi genuini, ma anche perché è dimostrato scientificamente che “zappare” mette in moto un’attività fisica positiva per la salute. Sulla base dello studio dell’Università di Uppsala in Svezia durato 35 anni e pubblicato sul British Medi8
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cal Journal, chi fa giardinaggio o un’attività sportiva di modesta intensità guadagna circa un anno di vita rispetto chi rimane inattivo9. I mercati degli agricoltori, i cosiddetti Farmer’s Market, aperti in Italia sono già quasi mille, cui si aggiungono a 63.600 tra frantoi, cantine, malghe e cascine dove è possibile comperare direttamente dal produttore10. Latte, carne, frutta, verdura e salumi del territorio possono essere ora acquistati direttamente in un piccolo punto vendita vicino a casa. Si tratta di rendere più accessibili i prodotti locali per i quali si sta verificando un crescente interesse da parte dei consumatori. Una grande opportunità per favorire il consumo di cibi freschi e genuini che non hanno dovuto subire lunghi trasporti con mezzi inquinanti e per questo riducono l’emissione di gas ad effetto serra a vantaggio dell’ambiente. Per definire quello che sarà un nuovo modello di consumo, si è reso necessario dichiarare esplicitamente i valori positivi riscontrati dall’analisi dell’orientamento dei modelli. Si evince che alcuni valori possono essere identificati come portatori di saperi e conoscenze mentre altri possono essere collocati intorno all’area della rete e della socializzazione. Nell’area dei saperi e della conoscenza assumono importanza tutti quelle virtù come la stagionalità, la biodiversità, la provenienza, la riduzione di sprechi e scarti e la trasparenza di informazione; per quanto concerne la sfera della rete e della socializzazione si cerca di valorizzare il rapporto diretto tra consumatori e la creazione di un network. 9 10
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Valori per un nuovo modello di consumo
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4.4. UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO E’ necessario volgere le riflessioni sul nuovo modello di consumo verso alcuni principi fondamentali come la centralità dell’uomo e delle sue reali esigenze. Il valore più importante da attribuire all’intero processo è la vita. La vita biologica, intesa come esistenza, è legata ai bisogni primari e viene percepita solo attraverso la cognizione individuale delle necessità legate alla preservazione dell’esistenza di ciascuno che può essere mantenuta solo ponendosi in relazione armonica con l’intorno. L’uomo ha però per sua natura bisogno di entrare in relazione col prossimo e di creare rapporti esprimibili attraverso una vita sociale. La mancanza odierna di valori comportamentali fa capire quanto sia importante la riscoperta e la conseguente promozione di un tipo di vita etica, più consona ad una società che vuole considerarsi matura; ritrovare certe valenze relazionali con-
Scelte volte al miglioramento della qualità della vita.
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
sentirebbe un sicuro miglioramento dei rapporti fra gli individui. L’intreccio equilibrato delle tre vite porta alla vera qualità della vita. I prodotti dovrebbero semplicemente essere i mezzi essenziali attraverso i quali l’essere umano esprime le azioni che ne consentono l’esistenza. La specificità culturale del contesto è ciò che sta alla base della percezione e delle funzionalità dei prodotti. Poter produrre per mercati differenziati non porta alla creazione di sistemi economici globalizzati e indistinti, ma specifici e contestualizzati. Creare nuovi mercati vuol dire produrre prodotti corretti, funzionalmente e percettivamente recepibili in maniera positiva dalla società per la quale sono stati progettati. I parametri dello sviluppo di una società devono essere qualitativi e non quantitativi, come la qualità della vita, dell’ambiente, del grado di istruzione, dei servizi, cioè degli indici che manifestano il grado di benessere morale delle persone. Individuare il consumatore come un sog-
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
getto specifico, significa concretizzare correttamente le sue aspettative. La creazione della conoscenza è naturale ed è fonte di soddisfazione il condividere o il discutere con gli altri ciò che si è appreso. Vita Biologica Attraverso la conoscenza dei limiti fisici e della capacità di carico dell’ecosistema terrestre, è indispensabile modificare il proprio comportamento di consumo. E’ necessario ridurre il prelievo di risorse non rinnovabili, contribuire alla riduzione degli output inquinanti negli ecosistemi (rifiuti, scarichi, emissioni), favorire e valorizzare socialmente e culturalmente il riuso e il riciclaggio. Ogni consumatore dovrebbe contribuire attivamente alla nascita di sistemi di produzione/distribuzione/consumo realmente alternativi, che facciano riferimento a stili di vita basati su un corretto modo di rapportarsi alle risorse naturali e fondati su una diversa concezione del benessere. Riducendo il peso ambientale complessivo dell’attuale sistema, si deve stimolare soprattutto il radicamento di una cultura ecologica e di comportamenti più responsabili. I saperi tradizionali contengono saggezza popolare, sono la rappresentazione identitaria delle comunità, sono motivo di orgoglio ma anche chiave di comprensione per chi dall’estero voglia entrare in contatto con essa. Conoscerli è una forma di rispetto ma anche un modo per comunicare, e sono parte del contesto. Potranno garantire un’adeguata storiografia delle comunità produttrici e dei sog-
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getti in rete, evidenziando nel corso degli anni i modelli di scambio più proficui, le soluzioni a problemi comuni e analoghi, rafforzando al contempo il carattere identitario di questi saperi. Va da sé che senza contesto questi saperi perdono forza, significati e possibilità di applicazione. In un’ottica di salvaguardia, i saperi tradizionali sono una risorsa preziosissima ed il loro mantenimento, il loro studio, la loro riorganizzazione aiutano a creare le condizioni per uno sviluppo sostenibile. Dovrebbe far parte dei saperi e della conoscenza intrinseca di ognuno l’importanza di salvaguardare il territorio in cui si vive sia sotto il profilo ambientale e morfologico; solo conoscendo la propria terra ci si rende conto di come questa sia una materia viva, da valorizzare piuttosto che sfruttare. Di conseguenza si coglie l’importanza di avere coltivazioni e colture diversificate che seguono i cicli naturali delle stagioni e che sono in simbiosi con l’ambiente in cui crescono, tutelando la conservazione della biodiversità. Nel nuovo modello di consumo si dovrebbero quindi privilegiare le piccole produzioni locali, di cui si può conoscere l’intero processo produttivo, con evidenti vantaggi economici e ambientali. Vita Sociale Se si accetta l’importanza del contesto ambientale, non si può non accettare anche quella del contesto sociale. Quegli stessi saperi che consentono di coltivare e produrre sono altrettanto connessi ad un sistema di riti, credenze, abitu-
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dini, costumi e forme di espressione orale, artistica e tecnica. Il nuovo modello di consumo si basa sulla valorizzazione della cooperazione e della reciprocità, mettendo in primo piano le relazioni che si creano tra consumatori. E’ necessario che il consumo possa consolidarsi come frutto di un processo di innovazione sociale, in grado di generare nuovi comportamenti, che possono diffondersi e consolidarsi di pari passo con il cambiamento della cultura e degli altri ambiti che condizionano la sfera sociale. Il cibo è una rete di uomini e donne, di saperi, di mezzi, di ambienti, di relazioni. Chi si occupa di promuovere la rete, deve porsi come soggetto che svolge un servizio: fornendo strumenti e stimolando dibattiti, scambi, circolazione dei saperi, dei prodotti e delle persone al suo interno. Una rete deve essere in grado di garantire al suo interno la circolazione di informazioni a tutti i livelli, più o meno virtuali, servendosi tanto dei computer quanto dei mezzi di espressione orali e implementando strategie educative; i prodotti dovrebbero rispondere all’idea nuova di qualità e quindi essere buoni per il palato e per la mente, sostenibili per la Terra e giusti perché ad ognuno sia garantita la giusta dignità. E’ necessario apprendere quello che non si può imparare sui libri sui saperi vecchi e nuovi, conoscere e confrontarsi con gli altri e rendere possibile fare esperienze dirette da soli o insieme partecipando cooperativamente11. 11 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
Le esperienze di consumo condiviso rappresentano esperienze non solo di consumo, ma anche di socialità e condivisione di nuovi modelli culturali, nelle quali trova risposta un diffuso bisogno di rigenerazione della dimensione comunitaria, di riappropriazione di autonomia culturale e decisionale, di recupero di una base di valori e principi. Vita Etica Cambiare il punto di vista in un modello di consumo significa passare da quella che è una visione macro, a quella che invece potrebbe essere una visione micro. Se infatti ad oggi le intere produzioni sono globalizzate, omologate e diffuse omogeneamente in tutto il mondo, bisognerebbe invece agire localmente in modo tale da rendere le tante piccole realtà una forza mondiale. Ogni realtà dovrebbe pertanto recuperare i vecchi valori della tradizione agricola nel rispetto delle stagioni, del benessere e soprattutto della vera qualità del cibo. L’obiettivo è quindi quello di rafforzare le economie locali e favorire la costituzione di un’alleanza tra chi produce chi consuma. E’ necessaria una formazione culturale che promuova, tuteli ed educhi il consumatore attraverso un libero, semplice e trasparente accesso alle informazioni. L’alimentazione, non essendo materia di studio, viene appresa soltanto attraverso superficiali consigli sulla nutrizione che ottengono spesso l’effetto di essere controproducenti. I materiali didattici utilizzati di solito sono poco coerenti e hanno il limite di essere ripetitivi, noiosi e vissuti come
4. VALORI - i principi per un nuovo modello di consumo
un’imposizione male accettata da bambini e ragazzi. Generalmente ci si limita a tabelle nutrizionali, a video su ciò che fa bene o male, consigli puramente teorici. In un mondo in cui il sapore si perde tra omologazioni e sparizioni, in cui il rapporto diretto con il cibo è sempre più una mediazione artificiosa, bisogna ridare centralità allo studio del cibo e alla sua sperimentazione.
Tramandare saperi e conoscenza.
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Capire da dove proviene la materia prima, toccarla, manipolarla, cucinarla e mangiarla è il modo più efficace per educare al cibo e al gusto, ma anche orientare la sensorialità, conoscerla, avvicinarsi alle produzioni del proprio territorio, alle ricette della propria tradizione aiuta il consumatore ad essere più consapevole.
Un nuovo modello di consumo
5. CONSUMATORE l’inconsapevole e il consapevole
C
ome si è visto precedentemente, il cibo ha subito a partire dal secondo dopoguerra un processo che ne ha sottratto tutte le connotazioni, le funzioni e i valori che lo distinguevano da una qualsiasi altra merce. Il cibo come prodotto di consumo, acquistabile in un supermercato già impacchettato o addirittura cucinato, è svuotato della sua storia, della sua provenienza e di tutto ciò che implica la sua produzione, con il risultato finale che ormai non si conosce più ciò che si mangia. E’ un elemento perfettamente integrato e funzionale alla società dei consumi, è un prodotto assimilabile a tutti gli altri beni di consumo moderni. Il cibo è però per l’uomo qualcosa di insostituibile, un valore che va molto al di là della sua semplice funzione di carburante per il corpo; il cibo è vita e per questo va tutelato e rispettato. Il consumatore di oggi ha demandato del tutto l’approvvigionamento e la trasformazione dei cibi alle industrie, allontanandosi ed estraniandosi sempre più da un processo di consumo responsabile. L’industrializzazione ha permesso di aumentare le distanze tra produttori e consumatori e mentre risolveva un problema come il guadagno di tempo o la comodità di un certo tipo di packaging, si è peggiorata sempre più la qualità intrinseca degli alimenti, distruggendo intere società agricole e con esse tutti i valori e le conoscenza di cui erano portatrici.1 1 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009
5.1. IL CONSUMATORE INCONSAPEVOLE La totale estraneità tra la figura del produttore e quella del consumatore, tra il momento della produzione e quello del consumo alimentare sono fenomeni in espansione. I metodi di produzione del cibo di stampo industriale ne sono i principali, diretti e indiretti, responsabili. Questi stili produttivi hanno fatto sì che la conoscenza sulla produzione si specializzasse e si tecnicizzasse fino a diventare incomprensibile per chiunque ne sia direttamente responsabile. Hanno allontanato e centralizzato i luoghi di produzione, togliendoli alla vista e cancellandoli dalla realtà comune; hanno artefatto la materia naturale fino a renderne irriconoscibili le caratteristiche originarie; hanno mercificato ogni fase, dalla coltivazione alla distribuzione, arrogandosi tutte le conoscenze (agricole, di trasformazione, di commercio) fino a presentare al consumatore un prodotto finito, incartato, trasformato con tecniche sconosciute e non spiegate, da comprare come un qualsiasi altro bene di consumo. Un tempo l’arte per conservare il cibo era una questione vitale, oggi l’aver delegato questo compito alla tecnologia ha trasformato tutti in sfrenati produttori di rifiuti. La vecchia saggia scuola dell’economia domestica è diventata un optional nella cultura usa e getta e non a caso l’economia domestica non si insegna più. Si adducono motivi di discriminazione sessuale, visto
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che si impartiva in prevalenza nelle scuole femminili, così è sembrato più semplice eliminarla piuttosto che insegnarla anche ai maschi. Invece si potrebbe fare molto per creare meno rifiuti, già a monte del processo produttivo attraverso un ritorno alla sana economia domestica con la collaborazione tra produttori, distributori e consumatori (non necessariamente in quest’ordine). Per capire cosa è lo spreco si provi a guardare il retro di un supermercato. Quello che sul palcoscenico sembra il Paese di Bengodi, nel backstage è una pre-discarica: imballaggi, prodotti appena scaduti, frutta e verdura che hanno appena finito di “resistere” sugli scaffali e sono più presentabili secondo i loro canoni estetici: tutta merce invenduta che viene buttata. Senza andare a scomodare la grande distribuzione, si pensi ai frigoriferi domestici. Nati per conservare, per fare in modo di tenere un po’ di avanzi e riutilizzarli, oggi sono invece l’anticamera del sacchetto della spazzatura: vasetti con una prima patina di muffa, moncherini di formaggi am-
Reparto prodotti confezionati.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
muffiti, prodotti scaduti, confezioni aperte e mai finite, inutilizzabili. I congelatori, poi, sono la manifestazione più plateale della paura di restare senza cibo che fa seppellire nel ghiaccio carni che restano a volte lì per anni. La vita frenetica di oggi ha portato il consumatore a dimenticare la saggezza popolare, una saggezza che insegna a produrre meglio, a immettere meno anidride carbonica nell’atmosfera, a rispettare la biodiversità e anche a non sprecare2. Il consumatore “inconsapevole” è colui che consuma distrattamente tutto ciò che il mercato gli offre senza porsi domande su quello che sta a monte del prodotto. Non avendo molto tempo da dedicare alla spesa, cerca un punto vendita che gli permetta di trovare tutto, dal pane ai detersivi, dalla pasta alle mutande, dalla carne ai videogiochi e quindi quasi sempre si affida ai supermercati. E’ condizionato dall’offerta che lo porta ad acquistare prodotti che altrimenti non avrebbe comprato e spesso e volentieri eccede nelle quantità; le sue scelte ricadono sovente su quei pro-
2
Ibid.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
dotti dalla preparazione rapida come i cibi surgelati o addirittura pre-cotti. Difficilmente prima di mettere nel carrello gira la confezione per leggere le informazioni, ma si fida dell’immagine pubblicitaria e della marca; l’unico dato che ricerca è la data di scadenza su cui fa affidamento in maniera assoluta, trovandosi poi a buttare tassativamente entro quella data grandi quantità di cibi confezionati e neanche aperti. Ormai si è creato un circolo vizioso tra la domanda del consumatore e l’offerta della GDO che ha portato a fare in modo che il consumatore inconsapevole si aspetti di trovare le fragole anche a dicembre, perdendo sempre più la consapevolezza della stagionalità dei prodotti ortofrutticoli. Non si rende conto che per avere le fragole in inverno, il supermercato deve farle arrivare dall’altra parte del mondo: devono partire di là ancora acerbe, maturare durante il viaggio e arrivare sugli scaffali più che mature ad un prezzo spropositato. Questo comportamento influisce negativamente sia sull’ambiente sia sulla persona: se da una parte si creano produzioni e allevamenti intensivi, rinforzati da additivi e sostanze chimiche, dall’altra aumentano intolleranze alimentari, obesità e disturbi dovuti al cibo. Così facendo il consumatore inconsapevole crede di risparmiare soldi grazie alle offerte e tempo grazie al microonde, ma quegli stessi soldi li spenderà per visite mediche specialistiche e il tempo guadagnato in sale d’attesa. Non va dimenticato anche l’abuso di farmaci e di integratori alimentari dovuto ai ritmi di vita che portano sempre più ad un conseguente aumento di stress e depressione. E’ necessario ridefinire il ruolo del con-
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sumatore. Il termine consumatore nasce con la società dei consumi; il consumatore consuma non solo ciò che acquista, ma consuma la terra, l’aria, l’acqua, le risorse del pianeta. L’attività stessa di produzione comporta un consumo, l’approccio di spesa è sbagliato; la parola stessa “consumo” entrato nel linguaggio comune non riesce più a celare il suo vero significato cioè usura, distruzione, esaurimento progressivo. Il consumo perciò è l’atto finale del processo produttivo; il consumatore deve pertanto iniziare a sentirsi in qualche modo parte del processo produttivo, conoscendolo, influenzandolo con le sue preferenze, supportandolo se in difficoltà, rifiutandolo se sbagliato o insostenibile3. Per avere un quadro generale del consumatore inconsapevole sono state realizzate due schematizzazioni sul proprio comportamento. Da una parte viene evidenziata la vita etica caratterizzata dai comportamenti osservati durante l’acquisto, la conservazione, il consumo e lo smaltimento. Dall’altra vengono considerate la vita biologica, che comprende gli effetti dovuti alla produzione e alla conseguente alimentazione, e la vita sociale, che analizza i costi dello stile di vita. I comportamenti e le abitudini del consumatore inconsapevole provocano ripercussioni sia sul territorio sia sulla vita sociale. In particolare i comportamenti di acquisto e consumo sono strettamente relazionati alle modalità di produzione del cibo, nonché alle distanze che questi devono percorrere, e ai costi sociali che si devono sostenere per mantenere un certo stile di vita. 3 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005
Consumatore inconsapevole
Dati e percentuali basati su fonti Istat.
Consumatore inconsapevole
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Consumatore inconsapevole
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5.2. VERSO IL CONSUMO CONSAPEVOLE Per raggiungere uno sviluppo mondiale sostenibile sono indispensabili dei cambiamenti fondamentali nei modi in cui le società producono e consumano. I governi, le istituzioni internazionali, il settore privato e tutti i gruppi coinvolti dovrebbero svolgere un ruolo attivo nell’incoraggiare e promuovere lo sviluppo di un quadro decennale di programmi a sostegno di iniziative regionali e nazionali per accelerare il passaggio a modelli di produzione e di consumo sostenibili, per promuovere lo sviluppo economico e sociale entro la capacità di carico degli ecosistemi, svincolando la crescita economica dal degrado ambientale attraverso il miglioramento dell’efficienza, la sostenibilità nell’uso delle risorse e nei processi produttivi, dell’inquinamento e dei rifiuti. La società dei consumi e i suoi effetti sui sistemi naturali e sui sistemi sociali rappresentano un tema centrale per il presente e il futuro del nostro pianeta. Nel contesto economico globale degli ultimi decenni, il
Spesa consapevole.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
fenomeno del consumismo ha subito una trasformazione esponenziale, correlata alla globalizzazione del commercio mondiale e all’assunzione del consumo quale nuovo modello culturale di riferimento che trapassa i confini nazionali. Ciò può rappresentare una minaccia non solo per l’equilibrio ambientale mondiale ma anche per la varietà e la ricchezza di conoscenze e tradizioni locali, da tutelare quale patrimonio su cui investire e costruire possibili modelli di riferimento culturali alternativi. Consumo Consapevole Le attuali modalità di consumo condizionano fortemente la dimensione ambientale, economica, culturale e sociale della presenza umana sul pianeta, determinando esaurimento delle risorse, inquinamento, disuguaglianze, disagi e tensioni sociali. E’ necessario cambiare il corrente approccio alla tematica dei consumi, considerandone la complessità ed agendo sia sulla sfera privata sia su quella pubblica.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
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Per quanto attiene la sfera privata, emerge il valore dell’educazione al consumo, che, realizzata con carattere permanente e in ambito formale e non formale, favorisce un cambiamento di approccio culturale, di abitudini e di stili di vita. Attraverso processi di apprendimento e la presa di coscienza della responsabilità e del potere dei consumatori, l’individuo diviene in primis consapevole delle dinamiche che interagiscono nei consumi poi responsabile compiendo scelte sostenibili sulla base delle conoscenze e delle motivazioni maturate, e quindi attivo, arrivando a influire dal basso sul cambiamento della società e dell’economia. Per quanto riguarda la sfera pubblica, è necessario creare sinergie atte a promuovere politiche integrate per il consumo consapevole, tali cioè da creare condizioni favorevoli ai suddetti processi di responsabilizzazione, nonché ai processi di cambiamento che si rendono necessari nei contesti in cui gli individui sono inseriti. E’ opportuno, nella loro definizione e attuazione, dare adeguato riconoscimento ai bisogni e alle volontà di cambiamento emergenti dalla società, rendere evidenti e dare sostegno alle potenzialità di cambiamento, creare spazio per la loro espressione e diffusione sul territorio.
declinare e articolare gli obiettivi delle politiche ambientali, sociali ed energetiche nazionali ed internazionali4.
Le buone pratiche di consumo che si stanno affermando, a livello nazionale ed internazionale, sono espressione di un’innovazione sociale di grande valore e di elevato potenziale in termini di incremento della sostenibilità. Le politiche per il consumo consapevole, se interiorizzate nelle pratiche sociali, possono rappresentare una delle modalità più efficaci per
Questo percorso presuppone profondi cambiamenti anche negli attuali stili di vita, nei comportamenti individuali e sociali; si deve necessariamente imparare a vivere e a consumare cercando di soddisfare i propri bisogni inquinando di meno, riducendo i rifiuti, sprecando meno risorse,
Oggi l’umanità è chiamata a decidere verso quale direzione proseguire il cammino della propria storia, una scelta obbligata da fare con estrema urgenza, prima di oltrepassare il punto critico di non ritorno. Continuare nella direzione dell’attuale modello di consumo che sta sfinendo il capitale naturale a ritmi frenetici, che modifica profondamente le caratteristiche fisiche e biologiche della Terra vuol dire andare incontro ad una sicura catastrofe. Se queste sono le prospettive, allora bisogna cambiare direzione percorrendo con decisione la strada della sostenibilità verso un nuovo modello di consumo e quindi di sviluppo qualitativo per ridurre la pressione e l’impatto sul territorio, le emissioni in atmosfera, lo spreco di risorse, per costruire un nuovo sistema energetico da fonti rinnovabili calibrato e centrato sulle diverse specificità territoriali, per promuovere la sicurezza, la salute, la qualità della vita, il dialogo interculturale, la coesione sociale, la riqualificazione del patrimonio urbano secondo i criteri dell’edilizia sostenibile, nel rispetto del territorio e di tutte le forme di vita che lo abitano.
4 Elaborato dal Gruppo di lavoro nazionale “Consumo sostenibile”.
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risparmiando energia. La sostenibilità deve essere la nuova frontiera dell’agire quotidiano, l’educazione ad un consumo consapevole e responsabile, una priorità della vita. Più che le parole in questa direzione servono fatti concreti: i consumatori, cambiando i propri stili di vita, possono realizzare e consolidare nei territori esperienze concrete, buone pratiche virtuose, capaci con la forza dell’esempio di indicare un modo diverso e responsabile di vivere, di abitare, di produrre, di consumare.
mondo, che produce il buono, che non inquina, che salva le culture e le identità, che consente di continuare a intrattenere uno scambio tra le diversità. Poiché se è vero che chi è lento rischia di restare troppo indietro è anche vero che chi è lento può vedere chiaro il limite, sa conviverci e lo comprende. I saperi lenti sono intessuti in una rete di altre conoscenze tradizionali e popolari che vanno urgentemente salvate e rivalutate, prima di smarrire completamente il gusto di vivere in un mondo che sia ancora a misura d’uomo.
5.3. IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE
La conoscenza basilare sul cibo la sua provenienza, la sua trasformazione, la cucina, un tempo venivano tramandate di generazione in generazione in maniera fisiologica; la vita in campagna ma anche la prossimità dei cittadini alle materie prime, tramite il rapporto instaurato con i produttori al mercato o con il negoziante di quartiere, favorivano un naturale processo di apprendimento. Non era solo una prerogativa del mondo contadino perché in città il contatto diretto, la conoscenza, l’informazione tra produttore e cittadino si palesavano nelle botteghe e nei mercati5.
Nasce oggi quindi un sentire comune che porta ad essere “attivi” nella ricerca di un’idea di qualità della vita che si confronti non soltanto con il bene proprio e personale ma anche con quello degli altri e della terra. Un sentire comune che porti a ridefinire i comportamenti e gli obiettivi quotidiani e a dare il giusto senso al cibo, centrale nelle attività dell’uomo. Grazie al cibo deve sorgere la volontà di comunicare il più possibile, deve sorgere la progettualità, la voglia di fare e di realizzare idee concrete. Il consumatore deve recuperare la sua saggezza e liberarsi dalla velocità che può ridurlo ad una specie in via d’estinzione; invitando a rallentare ci si chiama al rispetto della natura e non della sua appropriazione privata contro il bene comune. Ci si invita al rispetto dell’altro, contrapponendo la qualità degli scopi utilitaristici alla passione e comprensione, la concorrenza economica all’amicizia e all’unione di forze. Ci si accorge che i “saperi lenti” sono il sapere che può riequilibrare il
L’educazione e la formazione rappresentano uno strumento essenziale con il quale fare leva per favorire il necessario cambiamento di comportamenti, lo sviluppo di conoscenze e di nuovi approcci e la definizione di soluzioni individuali e di gruppo. Affrontare efficacemente i modelli di consumo attuali prevede interventi che considerano simultaneamente diversi livelli: culturali, sociali, ambientali ed eco5 Petrini, Carlo, Buono pulito e giusto. Principi di una nuova gastronomia, Torino, Einaudi Editore, 2005
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
nomici. Il cambiamento verso nuovi modelli di produzione e consumo richiede, pertanto, un approccio multi-livello che integra le iniziative esistenti mirate al concetto di consumo consapevole (uso sostenibile delle risorse naturali, eco-efficienza nel comparto produttivo e dei trasporti, riduzione dei rifiuti attraverso il riciclo e il riutilizzo dei materiali, politiche integrate di prodotto, …) in una prospettiva più ampia che conduce non solo ad una gestione sostenibile delle risorse naturali ma ad una vera e propria tutela delle risorse stesse perseguibile solamente attraverso una significativa riduzione dei consumi. Vi è la necessità di conferire maggiore potere alle persone, e quindi i consumatori, fornendo accesso a informazioni e conoscenze appropriate, una maggiore consapevolezza e capacità critica, promuovendo un cambiamento nella mentalità degli individui e dei gruppi sociali, per permettere loro di essere gli attori principali del cambiamento verso la sostenibi-
Ritorno alla manualità.
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lità. Per consumo consapevole si intende la pratica di organizzare le proprie abitudini di acquisto e di consumo in modo da accordare la propria preferenza ai prodotti che possiedono determinati requisiti di qualità, differenti da quelli comunemente riconosciuti dal consumatore inconsapevole. E’ necessario riuscire a costruire, in un mercato che assomiglia sempre di più ad una giungla, una nuova figura di consumatore dotato di spirito critico, capacità e autonomia di scelta. Non è facile perché oggi tutti vivono immersi in un mercato globale aggressivo, onnipresente che propina sistematiche campagne pubblicitarie, sempre più pressanti e oppressive che induce e istiga a stili di vita, a comportamenti individuali, sociali e ad un modello di consumo insostenibile. Un consumatore consapevole, capace di scegliere in piena autonomia, può rappresentare l’antidoto all’omologazione dei comportamenti, all’annullamento del senso critico e all’appiattimento culturale. Ovvio che se questo rimane un comportamento
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individuale nemmeno lo si nota e non produce nulla, se invece cresce, coinvolge e responsabilizza, diventa un comportamento diffuso: solo così si può davvero cambiare, qualificare la domanda e di conseguenza condizionare l’offerta, responsabilizzare i produttori e il sistema distributivo. In particolare il consumatore consapevole riconoscerà come componenti essenziali della qualità di un prodotto alcune caratteristiche delle sue modalità di produzione, ad esempio la sostenibilità ambientale del processo produttivo o le tecniche naturali adottate durante la coltivazione agricola. La possibilità di utilizzare la propria posizione di consumatore per perseguire fini etici presuppone il poter scegliere tra diversi prodotti nonché la conoscenza di tutte le informazioni necessarie a compiere una scelta consapevole. Il termine in genere non fa riferimento solo agli acquisti di beni materiali: il consumo critico può anche riguardare le scelte inerenti al risparmio e all’uso di servizi come ad esempio i trasporti pubblici o le telecomunicazioni.
Attività fisica nel parco.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
In generale i consumi rappresentano una filosofia di vita, una vera e propria visione globale del nostro modo di essere, del nostro modo di leggere il tempo, il lavoro, il rapporto con gli altri: consumare è un modo di vivere nostra la vita. La sensibilizzazione dei consumatori verso il consumo consapevole non riguarda solamente le tematiche ambientali in generale, ma è legata ad obiettivi specifici come ad esempio la diffusione di beni di largo consumo contrassegnati da etichette ecologiche o da marchi che ne indicano la classe di efficienza energetica. Tali cambiamenti sociali e culturali possono essere stimolati e sostenuti mostrando i rischi degli scenari attuali con le prospettive che possono scaturire da nuovi modelli di produzione e consumo sostenibili.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
Ricerche e Numeri Quando i beni che si consumano quotidianamente vengono prodotti e usati nel pieno rispetto dell’ambiente e delle risorse, senza rinunciare al comfort, è possibile modificare il proprio stile di vita. Tante sono le iniziative oggi in atto: si può approfittare degli incentivi statali per l’acquisto di nuove macchine a basso consumo (si può passare da un consumo di 10 litri di benzina ogni 100 km a 5, con proporzionale riduzione di emissioni di CO2) e si può ovviamente integrare il suo uso con mezzi di trasporto pubblici, quali gli autobus, la metropolitana o il treno. O meglio ancora ci si può spostare in bici o a piedi per andare a fare la spesa vicino a casa e non per forza nel centro commerciale fuori città. Molti sono i vantaggi di una salutare attività fisica: una passeggiata giornaliera di 30 minuti a piedi o in bicicletta può ridurre fino al 50% il rischio di contrarre malattie cardiocircolatorie, fino al 50% il rischio di
Cassonetti per la raccolta difefrenziata.
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sviluppare diabete ed obesità e del 30% di sviluppare ipertensione. In 30 minuti di camminata si percorrono circa 3 km di strada, che è la distanza entro cui rientrano il 30-40% degli spostamenti giornalieri6. Quasi nove italiani su dieci (87%) non hanno rinunciato alla qualità della spesa alimentare nonostante le difficoltà economiche. E’ quanto emerge da un’analisi della Coldiretti sui dati Istat sui consumi dei cittadini nel 2009, che evidenziano una spesa media alimentare per famiglia pari a 460 euro al mese, in calo del 3% rispetto all’anno precedente. Oggi per legge sulle confezioni deve essere riportata un’etichetta che indichi la provenienza del prodotto, in futuro si potrebbero trovare informazioni aggiuntive che indichino ad esempio la distanza percorsa, i Kg di petrolio consumati e le emissioni di CO2, e magari anche il logo di un aereo sulle confezioni che hanno volato da un Paese all’altro.
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fonte Istat.
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5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
I rifiuti possono essere una preziosa fonte di energia e di materie prime che potrebbero essere in gran parte riutilizzati, riducendo così i costi di smaltimento e il degrado dell’ambiente. In Italia mediamente si producono oltre 29 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, di cui il 50-60% direttamente dalle famiglie. Questo significa che una famiglia di 4 persone produce ogni giorno, in media, quasi 6 kg di rifiuti. La produzione di rifiuti pro-capite media italiana è di 492 Kg/anno, quella europea di 545 Kg/anno. Il contributo che i consumatori possono dare è quello di cercare di produrre una minore quantità di rifiuti, soprattutto di imballaggi. Nel 2008, gli imballaggi consumati in Italia hanno abbondantemente superato 11milioni di tonnellate, pari al 35% del totale dei rifiuti solidi urbani prodotti. Conviene inoltre contribuire ad effettuare la raccolta differenziata: la separazione dei rifiuti è la condizione essenziale per poter recuperare materiali di buona qualità, riutilizzabili e vendibili nel mercato del riciclaggio, e per far sì che i rifiuti destinati alla produzione di energia siano privi di materiali tossici e pericolosi.7 Risparmio
mense, osterie, botteghe, consorzi agrari, cooperative, vinerie, pescherie, pizzerie e gelaterie dove si servono prodotti locali e di stagioni operativi nel 2009. E’ quanto è emerso dalla prima indagine sulla “Spesa a km 0 in Italia” presentata dalla Coldiretti in occasione della giornata mondiale dell’Onu dedicata all’ambiente nell’ambito del Festival Internazionale dell’Ambiente. La spesa a Km zero facilita l’accesso dei consumatori alla produzione agricola tagliando le intermediazioni e riducendo le distanze che deve percorrere il cibo con mezzi spesso inquinanti prima di giungere a tavola, con effetti positivi sul piano economico, salutistico e ambientale. Si stima che oltre a garantire un risparmio medio del 30% nel prezzo di acquisto a parità di qualità, i prodotti alimentari freschi come la frutta e verdura a chilometri zero, acquistati al mercato degli agricoltori o direttamente presso le aziende agricole, durano fino a una settimana in più rispetto a quelli dei canali di vendita tradizionali perché provengono direttamente dalle aziende limitrofe, non devono subire intermediazioni commerciali, conservazioni intermedie in magazzino e lunghi trasporti che compromettono la freschezza degli altri prodotti prima di arrivare sul banco di vendita8.
Più di 3 miliardi di euro sono stati spesi dagli italiani in un anno per gli acquisti di prodotti a chilometri zero che possono contare su una rete di oltre 63.000 imprese agricole, 18.000 agriturismi, 500 mercati degli agricoltori, quasi 1.200 distributori di latte fresco oltre a decine di ristoranti, 7
fonte Unioncamere, Statistiche.
8
http://www.coldiretti.it/
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
Filiera La filiera corta, con l’eliminazione degli intermediari, evita il moltiplicarsi dei prezzi (anche del 200%) dalla produzione al consumo. Filiera corta significa poi sostenibilità delle produzioni, perché si consuma (e si inquina) molto meno a portare il prodotto dall’orto alla tavola e per imballarlo. Questo si traduce anche in minori costi per la collettività: come si è visto minori costi di smaltimento, ma anche minori costi sociali, visto quanto spende lo stato italiano per garantire adeguate cure alle malattie derivate dallo smog e dall’inquinamento.
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sono localizzati presso le aziende agricole, presso i mercati contadini o anche presso alcuni supermercati. Il latte è crudo per cui è prodotto direttamente dalla mucca e non trattato termicamente: le qualità nutrizionali sono migliori. L’azienda agricola che carica il distributore, ritira il prodotto invenduto in giornata.
Di seguito alcuni esempi di acquisti consapevoli e in cui si possa risparmiare.
2. Orto. In USA è diffuso il pick your own: i consumatori acquistano direttamente i prodotti nell’orto del contadino raccogliendo loro stessi i prodotti dalla pianta. In alternativa molti sono coloro che appoggiano l’orto fai da te: con un piccolo orto in terrazzo e con pochi euro per l’acquisto dei semi è possibile coltivare basilico, prezzemolo, zucchine, cetrioli, pomodori, ... con un risparmio fino a 300 euro.
1. Latte. Grazie alla distribuzione alla spina si risparmia in media il 30%; il costo del latte è di 1.00 euro/litro (1.20 euro per quello alla spina): sugli scaffali il latte viene venduto ad un prezzo medio di 1.60 euro/litro. I distributori automatici di latte
3. Aziende agricole. L’acquisto presso le aziende agricole è la soluzione ideale per chi vuole acquistare prodotti genuini, sani, di qualità ad un prezzo conveniente. I gruppi di acquisto (GAS) solitamente si organizzano per approvvigionarsi da
Prodotti del territorio.
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produttori agricoli o da piccole industrie locali, creando vere e proprie ordinazioni, in grandi quantità, di stagione in stagione. In questo caso, l’unione crea risparmio: sommando la lista della spesa di ogni associato, si arrivano a fare ordinativi sostanziosi e così si compra al 10-30% in meno. Ipotizzando un paniere di frutta e verdura composto di cipolle, patate, radicchio tondo, mele Fuji, pere Abate, kiwi Italia, carote e cavolfiore (un chilogrammo per tipo), secondo le rilevazioni di Coldiretti Emilia Romagna la spesa dal contadino ammonterebbe a 8,8 euro, quasi la metà rispetto ai 17,35 euro che si pagherebbero in negozio. 4. Mercati contadini. L’alternativa a prendere l’auto per andare in campagna sono i Farmer’s market in cui i contadini vendono direttamente i prodotti delle loro aziende agricole in città. Si ha un risparmio dal 30 al 60%. La possibilità di conoscere direttamente il produttore permette al consumatore di imparare molto sul tipo di produzione e sulla qualità dei cibi che mangia. Per avere un quadro generale del consumatore consapevole sono state realizzate due schematizzazioni sul proprio comportamento. Da una parte viene evidenziata la “vita etica” caratterizzata dai comportamenti osservati durante l’acquisto, la conservazione, il consumo e lo smaltimento. Dall’altra vengono considerate la “vita biologica”, che comprende gli effetti dovuti alla produzione e alla conseguente alimentazione, e la “vita sociale”, che analizza i costi dello stile di vita.
5. CONSUMATORE - l’inconsapevole e il consapevole
I comportamenti e le abitudini del consumatore consapevole provocano ripercussioni sia sul territorio sia sulla vita sociale. In particolare, i comportamenti di acquisto e consumo sono strettamente relazionati alle modalità di produzione del cibo, nonché alle distanze che questi devono percorrere, e ai costi sociali che si devono sostenere per mantenere un certo stile di vita. 5.4. SCENARI Come si è visto, le basi su cui si costruisce l’intorno del consumatore consapevole sono semplici concetti ritrovabili nella tradizione che oggi purtroppo si è persa. Lo scenario del consumatore consapevole definisce un nuovo modello di consumo che non è quindi basato su concetti nuovi o astratti, ma è una trasposizione e una rilettura in chiave contemporanea dei valori del passato. Osservando parallelamente le caratteristiche della GDO in cui si ritrova il consumatore inconsapevole e le esigenze del consumatore consapevole, si sono potuti delineare due scenari. In ognuno di essi si evidenziano sei concetti: dalla qualità alla quantità, dalla provenienza alla conservazione, dalla disposizione al servizio offerto. Confrontandoli emergono i diversi valori interpretati dai consumatori inconsapevoli e dai consumatori consapevoli. Se ad esempio per il consumatore inconsapevole “qualità” significa marca e processo produttivo, per il consumatore consapevole la “qualità” è data dal sapore e dalla materia prima.
Consumatore consapevole
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Consumatore consapevole
Dati percentuali basati su fonti Istat.
Consumatore consapevole
Scenario consumatore inconsapevole
Scenario consumatore consapevole
6. QUALITA’
il punto vendita per il consumatore consapevole
I
l supermercato, nodo fondamentale nel processo di consumo della società contemporanea, è parallelamente il luogo dove ci si approvvigiona delle merci, che spesso sono contemporaneamente fonte di sussistenza e alimentazione e fonte di spreco e dispersione nell’ambiente di materiali e sostanze incontrollate, oltre che essere un luogo a elevato consumo di energia e di risorse in generale.Il supermercato è però anche luogo di contatto quotidiano e periodico con il pubblico, un luogo che possiede un legame molto forte tra la produzione e il consumo per il tramite dello scambio di mercato che in esso si sviluppa e si alimenta. Le scelte dei consumatori, interfacciandosi con la grande offerta di prodotti che sono a disposizione, sono in grado di premiare o penalizzare le politiche che ogni produttore persegue nella realizzazione delle proprie merci. Questa possibilità di influenza però la si utilizza semplicemente per incrementare il successo economico e commerciale, tendendo a incrementare politiche di seduzione e di marketing nei confronti del consumatore. Se invece si educa il consumatore a manifestare una consapevolezza proprio nella sua scelta di acquisto, il punto vendita può diventare luogo di formazione e consolidamento di responsabilità e sensibilità sociale ai temi dell’ambiente per tutta la società1.
1 Bistagnino, Luigi, Design Sistemico. Progettare la sostenibilità produttiva e ambientale, Bra (CN), Slow Food Editore 2009
6.1. I BUONI PROPOSITI DEI PUNTI VENDITA Esistono oggi alcune soluzioni per fare la spesa mettendo d’accordo qualità e prezzo, richiedendo un approccio diverso verso il consumo. In forte e costante diffusione sono i punti vendita, innovativi o tradizionali, che ospitano particolari allestimenti dotati di erogatori da cui si possono prendere molti alimenti da acquistare sfusi, nella quantità voluta. Li propongono catene come Auchan, Crai, Coop, Conad, Selex e Sigma. Si può risparmiare dal 20% acquistando pasta e riso, al 30% per detersivi, fino al 70% per le spezie. La spesa alla spina ha il vantaggio di essere flessibile: di tutti gli alimenti si può comprarne la quantità desiderata. In questo caso, la logica è completamente all’opposto rispetto alle offerte “3x2” o alle maxi-confezioni dai prezzi mini: è impossibile fare scorta e si deve comprare una quantità di prodotti commisurata ai reali bisogni del consumatore. Altri supermercati si sono invece specializzati nella vendita di prodotti biologici, quelli nati cioè da produzioni che tutelano l’ambiente, utilizzando concimi naturali e rispettando i cicli naturali della terra e la stagionalità dei cibi. Ne è un esempio, la catena di supermercati Natura Sì. Coop, che cerca da sempre di dimostrarsi attenta alle esigenze dei propri con-
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
sumatori, ha da poco dato vita ad alcune iniziative di educazione verso il consumo consapevole: ad oggi conta numerosi insegnanti, lezioni e conferenze atte alla formazione alimentare dei suoi Soci. In questo modo cerca di prevenire e rendersi flessibile in direzione dei nuovi bisogni dei consumatori che negli ultimi anni hanno dimostrato sempre più interesse verso prodotti sostenibili e/o del territorio. Molte sono le linee merceologiche che vanno incontro ai nuovi interessi: dagli alimenti biologici, ai prodotti senza glutine, a quelli compatibili con l’ambiente.
costanti senza dispersioni; l’intero edificio è stato realizzato con un isolamento termico a cappotto, ampie vetrate favoriscono l’irradiazione di luce naturale e l’illuminazione interna è comandata da fotocellule sensibili. Una vasca sotterranea è adibita al recupero delle acque e un impianto fotovoltaico ricopre e alimenta energeticamente l’edificio. La scelta merceologica inoltre è ricaduta sul valore di prodotti biologici, equosolidali, a Km zero e prodotti sfusi che rispettano territorio, risorse e produzioni agricole non industrializzate.
Esistono poi altri casi definiti di supermercati eco-sostenibili: in questi punti vendita vengono presi accorgimenti su diversi aspetti, dal risparmio energetico alla più limitata e consapevole selezione di prodotti. Ad esempio il Simply Sma di Botticino, in provincia di Brescia, utilizza il calore generato dalle celle frigorifere per il riscaldamento dell’acqua dei sanitari e i banchi surgelati usano coperture in vetro che mantengono le temperature
Il concetto di far viaggiare i prodotti non va escluso a priori perché alcuni viaggi sono poco inquinanti e potrebbero anche rappresentare importanti opportunità per le piccole comunità produttrici nel mondo2. Un’idea interessante è quella di introdurre sulle etichette di ogni prodotto, le food miles o miglia alimentari. Esse rappresentano il calcolo dei costi ambientali e di tutti gli aspetti negativi relativi al viaggio com-
Allestimento con materiali naturali.
2 www.mark-up.it, Art: Simply Sma, un supermercato sostenibile, Anna Bertolini
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
merciale che affronta il prodotto. Sono un indice importante per rendersi conto della sostenibilità e per pagare il giusto anche in relazione all’impatto ambientale negativo che i prodotti possono causare. Con la limitazione delle intermediazioni e un consumo connotato da nuove responsabilità, le food miles renderebbero i prezzi più trasparenti e l’eventuale acquisto di un prodotto insostenibile sarebbe decisamente più ponderato di quanto non sia oggi. La filiera produttiva potrebbe espandersi dal globale al locale, soddisfacendo in primis i
Rispetto della biodiversità.
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bisogni delle comunità locali e poi quelle di altre comunità. Il consumatore consapevole deve impegnarsi a cercare i prodotti di qualità più vicini, ma anche promuovere il lavoro delle comunità seppur lontane ma bisognose di sostegno. 6.2. CARATTERISTICHE Non si tratta di rifiutare del tutto l’attuale sistema della GDO: si tratta invece di sfruttarne le potenzialità sempre consci dei limiti con cui esso si confronta e introducendo concetti nuovi di qualità e consapevolezza nel fare la spesa. Bisogna limitare il più possibile l‘intermediazione e di conseguenza accorciare la filiera: è necessario ripartire da un sano localismo per tutti quei tipi di alimenti che possono essere coltivati, allevati e trasformati in aree geografiche limitate. Il cibo locale ha il vantaggio della freschezza e di una conservazione maggiormente sana: con piccole produzioni l’impiego di agenti chimici può essere molto limitato o addirittura evitato; i prodotti non viaggiano e dunque non inquinano, si mantengono vive le zone rurali con una produzione autoctona e variegata. I bisogni di ogni piccola realtà cittadina potrebbero essere soddisfatti dalle produzioni delle campagne limitrofe che permettono di avere prodotti come grano, legumi, carne, latte, farine, … La biodiversità è la garanzia evolutiva che attraverso un principio di adattamento permette alle comunità di trarre beneficio dalle risorse naturali. Attraverso la biodiversità e le caratteristiche del territorio si
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
evolvono l’agricoltura e le sue tecniche, i modi e i tempi di raccolta e di consumo dei prodotti, i modi di cucinare e i riti conviviali. In questo modo si formano l’identità dei popoli e la loro cultura: non c’è identità senza scambio, non c’è identità se non a partire dalle differenze. Lo stesso avviene in Natura che per prima insegna il valore delle differenze e la ricchezza della varietà. L’analogia con la biodiversità è evidente: senza diversità di specie, varietà e razze, incroci e selezioni, la Natura sarebbe in pericolo perché altrimenti non saprebbe affrontare i problemi che le si presentano lungo il cammino, come le malattie o i cambiamenti repentini delle condizioni ambientali. Lo spirito individualistico del commerciante, che gli ha consentito per secoli di svolgere il proprio lavoro con profitto, va corretto in senso più altruistico. L’affinamento delle tecniche per comprare al miglior prezzo possibile e per vendere il più convenientemente ha portato l’intero settore alimentare a un vero e proprio dominio del commercio: così anche il ruolo stesso del commerciante ha perso dignità svilendo il valore del cibo al semplice valore monetario. Inoltre, questa concezione del commercio esclude dal circuito i produttori di qualità, che si trovano emarginati e ridotti a dover fare i conti con un mercato di nicchia, elitario e incapace di generare ricchezza e sviluppo3. Anche il commerciante deve sapersi trasformare in un veicolo di informazioni oltre che di prodotti e denaro, deve garan3 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009
tire trasparenza della filiera, limitandosi nella speculazione e applicando i principi di qualità. Deve condividere valori con i consumatori. I cuochi, i personaggi più attivi nella ricerca di prodotti buoni, possono rivelarsi molto importanti per la ri-acquisizione di saperi: la loro esperienza può essere un ottimo punto di partenza per comunicare ai consumatori una conoscenza e un savoir faire con il cibo, che non ha mai perso il legame con la tradizione. Ad esempio va recuperata la cultura dimenticata sui tagli animali: la perdita di artigianalità nella macellazione, ormai ridotta ad una catena di smontaggio in grande scala, fa sì che una consistente parte della carne consumabile vada perduta perché i tagli più richiesti sono i meno nobili. La stessa mancanza di cultura gastronomica la si ritrova anche nel pesce: basti pensare a quelle specie che sono pescate e ributtate in mare perché non hanno mercato: tutti vogliono l’orata o il branzino solamente perché si è persa la capacità di cucinare le altre specie, come il pesce azzurro, per esempio4. Bisogna però liberarli dallo spettacolo mediatico, dalla rincorsa ai punteggi nelle guide, e dovranno responsabilizzarsi, consapevoli del loro ruolo di veri e propri custodi dei saperi culinari e dei migliori impieghi dei prodotti. Dovrebbero contribuire alla formazione dei consumatori proponendo loro percorsi degustativi finalizzati al recupero della sensorialità, unico vero strumento di gradimento dei cibi; dovrebbero insegnare loro i metodi 4
Ibid.
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
di conservazione naturali per poter così poi comprare la materia prima, imparare a trasformarla e a mantenerne inalterate le proprietà organolettiche anche per periodi di tempo prolungati. Le lezioni potrebbero comunicare in modo chiaro e semplice i passaggi che aiutano a manipolare i cibi freschi e a legarli tra loro per dare vita a prodotti semilavorati in modo del tutto naturale. Il punto vendita è un canale in cui devono viaggiare le informazioni sul cibo: basti pensare a cos’erano le botteghe di paese o le contrattazioni al mercato rionale, dove il commerciante descriveva il prodotto, ne raccontava la provenienza, le caratteristiche, i fattori umani e produttivi d’origine. In primo piano deve esserci la conoscenza, comunicata ed appresa, il rispetto dei valori e dei saperi tradizionali, il giusto riguardo per i produttori, per l’ambiente e per il territorio in cui si vive, la possibilità di potersi confrontare. Per rendere più facile il reperimento delle informazioni utili al consumatore,
Toccare la materia prima.
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all’interno dei punti vendita si potrebbero offrire schede informative contenenti le caratteristiche e provenienza dei prodotti, i nomi e contatti dei produttori e le avvertenze per un acquisto sostenibile. Si potrebbe trattare di un normale database ipertestuale, con molteplici possibilità di ricerca al suo interno, da indicazioni sulla produzione, alla stagionalità dei cibi, alla realizzazione in casa di ricette e metodi di conservazione. Al suo interno devono circolare informazioni, saperi, prodotti ma anche e soprattutto persone: ci si deve avvicinare, abbandonando valori di globalizzazione e individualismo, per cercare di re-instaurare modelli di vita maggiormente basati sulla collettività. Ogni comunità va responsabilizzata nella cura del proprio habitat (tanto rurale, quanto urbano) e ciò deve immancabilmente partire dal cibo. Questo non significa chiusura ma consapevolezza, responsabilità e partecipazione. Nel mondo globalizzato le possibilità che si aprono, sono tantissime,
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
a partire dall’idea di mettere in relazione i diversi sistemi di economia locale. Si possono creare delle reti al cui interno viaggiano beni materiali e immateriali: dai prodotti stessi, in maniera sostenibile e dove ce n’è effettivo bisogno, all’informazione, alla condivisione delle conoscenze e delle tecnologie utili, nonché a tutti gli aspetti conviviali collegati all’immateriale, ma fondamentale, qualità della vita5.
conoscenze sulle produzioni, sui periodi di semina e sui cicli naturali. Inoltre, poter parlare e conoscere i veri produttori di cibo può essere utile per ampliare le proprie conoscenze in merito alla stagionalità e ai metodi di coltura naturali. Facendo suoi questi saperi, può trasformarsi da consumatore a produttore e avere la possibilità di ricostruirsi un piccolo orto domestico.
6.3. IL PUNTO VENDITA PER IL CONSUMATORE CONSAPEVOLE
6.3.2. TOCCARE e ANNUSARE per percepire la qualità locale e stagionale
Il progetto di un punto vendita non può avvenire per compartimenti stagni ma deve essere visto come un sistema che vive e si relaziona con il contesto nel quale è inserito. Le linee guida espresse precedentemente devono essere considerate come buone indicazioni da tener sempre presenti.
L’ortofrutta: è uno spazio che parla di alimenti locali e di stagione.
6.3.1. IMPARARE ad essere un consumatore consapevole L’orto: è un contatto diretto con la terra, i suoi frutti e i cicli naturali. Scegliere innanzitutto di coltivare varietà vegetali il più possibile del territotio vuol dire ottenere prodotti naturali più resistenti per via della loro storia di adattamento, che non avranno bisogno del supporto di sostanze o elementi esterni come fitofarmaci, fertilizzanti chimici, antiparassitari o antibiotici. Avere la possibilità di veder personalmente crescere i frutti della terra significa per il consumatore acquisire 5 Petrini, Carlo, Terra Madre. Come non farci mangiare dal cibo, Bra (CN), Slow Food Editore, 2009
Le produzioni locali consentono di saltare agevolmente la maggior parte delle intermediazioni distributive e di costruire un’agricoltura di prossimità in ogni città. I metodi di distribuzione che limitano l’intermediazione e fanno percorrere minori distanze al cibo portano all’evidente limitazione delle emissioni di CO2 e di tutti gli inquinamenti dovuti ai trasporti. Con la produzione localizzata sul territorio, i cibi necessitano di minor prodotti chimici, dai fertilizzanti ai pesticidi, che ne aumentino le sue proprietà conservanti e inoltre, coltivazioni meno intense o del tutto non intensive hanno bisogno di meno acqua. Recuperando la biodiversità di un territorio, le ricadute possono essere molteplici, salvaguardandone ad esempio il paesaggio e l’identità estetica e funzionale. La stagionalità dei prodotti non è soltanto un piacere e una fonte di educazione, ma un’esigenza per rendere più efficiente
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
la produzione, a tutto vantaggio dei cicli naturali. Il recupero della sensorialità per il consumatore lo porta ad accorgersi della differenza di sapore di un prodotto locale piuttosto di uno di importazione. Le informazioni relative ai prodotti ortofrutticoli devono essere ben visibili, con un linguaggio chiaro e immediato: riguardano indicazioni sulla provenienza, sulle tecniche produttive adottate e sull’impatto ambientale.
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6.3.3. EDUCARE e ASSAGGIARE per apprendere e riconoscere il gusto Le lezioni del cuoco: sono un appuntamento quotidiano dove imparare a conoscere e trasformare la materia prima. Le tradizioni culinarie appoggiano la produzione locale, naturalmente predisposta per i migliori risultati nella trasformazione dei prodotti del territorio secondo le usanze locali. Con le lezioni del cuoco il consumatore impara direttamente da chi sa cucinare e trasformare le materie prime; partecipando attivamente può apprendere gli insegnamenti e farne tesoro per ripeterli a casa. Il vantaggio di assistere attivamente alle lezioni, permette al consumatore di confrontarsi e far domande agli esperti; la trasmissione di saperi è diretta. Il consumatore diventa trasformatore manipolando prodotti freschi e allenando l’uso della propria sensorialità. 6.3.4. CONFRONTARE per riconoscere un prodotto “fatto in casa” La dispensa del cuoco: contiene cibi freschi, sani e semilavorati attraverso metodi naturali.
Imparare a trasformare gli alimenti.
La materia prima trasformata durante le lezioni del cuoco viene confezionata mediante metodi di conservazione naturali e preparata per essere disposta e messa in vendita in un’area predefinita del punto vendita. Così facendo il cuoco amplia i propri insegnamenti mostrando ai consumatori anche come conservare utilizzando le tecniche tradizionali.
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
E’ inoltre di grande importanza la zona informativa presente nell’area della dispensa in quanto permette di comunicare sinteticamente il processo di lavorazione, attuato dal cuoco durante le lezioni, per poterlo rifare a casa. I contenitori entro i quali vengono confezionati i prodotti del cuoco sono riutilizzabili sia in ambito domestico sia come dosatori per spese successive. 6.3.5. SOCIALIZZARE per confrontarsi con gli altri L’agorà: è un’area multimediale per la ricerca e lo scambio di saperi. E’ la possibilità di far parte di un gruppo. Un punto vendita che promuove la produzione locale può trasformare l’atto del consumo in una scelta attiva, grazie alla quale il consumatore diventa co-produttore. La vicinanza con gli uomini e i luoghi della produzione aiuta a sentirsi partecipi del processo che porta il cibo sulla tavola, favorisce la circolazione delle informazioni
Informazioni specifiche sui prodotti.
e insegna ad apprezzare un cibo diverso rispetto a quello che arriva attraverso i canali del sistema mondiale dell’industria agroalimentare. Ogni processo legato al sistema territoriale coinvolge e responsabilizza gli abitanti: questa responsabilità non è imposta, è sinceramente sentita, perché la popolazione ha la consapevolezza di gestire il proprio territorio e di esserne dunque parte attiva, anche con il semplice gesto del nutrirsi. Il localismo restituisce i luoghi, l’identità e l’esistenza. Ciò che si crea è quindi una rete di rapporti sociali volta ad attivare la condivisione e il confronto di saperi e conoscenze tra persone consapevoli. Non è solo uno strumento per socializzare ma diventa altresì un mezzo per organizzare spese condivise (gruppi di acquisto), pubblicare annunci di vendita e/o scambio diretti. Inoltre, è un’area interattiva che permette ai consumatori di apprendere ulteriori informazioni dalle lezioni del cuoco alla stagionalità e valori nutrizionali dei propri acquisti attraverso una piattaforma multimediale.
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
6.3.6. COMUNICARE per informare correttamente il consumatore Le botteghe alimentari: sono punti di dialogo e di condivisione di informazioni per l’acquisto con personale qualificato. Nascono dall’esigenza del consumatore di potersi confrontare con figure esperte e qualificate nel loro ambito di vendita. Il panettiere deve conoscere i propri prodotti da forno (dalla qualità della farina utilizzata, al tempo di cottura e lievitazione) e consigliare a seconda del menù che tipologia di pane prediligere. Così, il formaggiere conosce la provenienza, la zona d’alpeggio e i trattamenti che subisce il latte; il macellaio consiglia come trasformare la carne e preparare deliziose polpette, … Questo rapporto diretto e informale con il personale, offre al consumatore la possibilità di assaggiare e degustare il prodotto prima di scegliere cosa acquistare. 6.3.7. GUARDARE direttamente il prodotto Lo sfuso: è un contenitore di esperienza e di tradizione locale. Bisognerebbe fare come una volta e tornare alle vecchie tradizioni. Un tempo si comprava tutto sfuso e solo il necessario, a vantaggio della freschezza e della qualità; non esisteva lo spreco, non c’erano problemi di smaltimento degli imballaggi e la merce non doveva compiere viaggi interminabili per arrivare sulla tavola. Con questa modalità di vendita, il consumatore ha una visione altra rispetto alla percezione del cibo; se prima la scelta di
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un prodotto era condizionata dalla confezione (colore, forma, dimensione) e dalla notorietà della marca, in questo modo ciò che si vede è la materia prima. Le informazioni ad essa relativa non sono celate sul retro della scatola, ma ben visibili e con un linguaggio chiaro e immediato; esse riguardano indicazioni sulla provenienza, sulle tecniche produttive adottate, sull’impatto ambientale, sulle proprietà organolettiche, … Il packaging passa di conseguenza in secondo piano e diventa un semplice contenitore, di dimensione variabile, riutilizzabile sia in ambito casalingo sia durante la spesa. Comprare prodotti sfusi significa acquistare nelle giuste dosi in base alle proprie esigenze, riducendo così anche gli sprechi alimentari oltre a quelli di imballaggio. In quest’ area si trovano alimenti di produzione locale come pasta, cereali, legumi, latte, yogurt, birra, vino, …
Il punto vendita consapevole
Il punto vendita consapevole
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Il punto vendita consapevole
Il punto vendita consapevole
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
6.4. il caso CRAI Crai è una società cooperativa di dettaglianti, specializzata soprattutto nelle piccole superfici di vendita e negozi alimentari di vicinato presenti su tutto il territorio nazionale. Il caso studio fa riferimento al punto vendita: CRAI di Bianchetta Luciana e Marina & C.S - Via L. Chiaventone, 10 - 10080 Salassa (TO). Si tratta in particolare di una superette, ossia una tipologia di operatore della grande distribuzione organizzata (GDO) con una superficie compresa tra i 200 ed i 400 metri quadrati. Nel caso specifico questo punto vendita alimentare al dettaglio ha una superficie intorno ai 350 m2. Per le sue caratteristiche si colloca tra il negozio di vicinato affiliato a catena ed il piccolo supermercato di prossimità. Offre un assortimento essenziale ma completo ed offerte promozionali similari a quelle dei supermercati, puntando però di più sui servizi e sul rapporto di familiarità con la
Servizio personalizzato di prenotazione pane.
clientela. Rappresenta un modo di fare la spesa moderno ma al tempo stesso ancorato alle tradizioni, in quanto “su misura”, sia nei rapporti con la clientela che nella qualità e varietà dei prodotti offerti. Il libero servizio, con proprietario, permette ai gestori di poter scegliere i prodotti tra gli oltre 10.000 a disposizione, sia alimentari che non alimentari. Gli unici vincoli sono strettamente legati ai prodotti marchio Crai che devono essere presenti obbligatoriamente e hanno prezzi e/o offerte prestabilite. Di questi esiste un ampio assortimento per qualsiasi esigenza del consumatore: dalla cura della casa e della persona, alla dispensa dolce e salata, alle bevande, ai freschi, fino ai surgelati. I fornitori seguono precisi controlli sulle materie prime e sul prodotto finito che vengono integrati da prelievi e analisi a cura di laboratori specializzati. La disposizione dei reparti è a libera discrezione dei proprietari. In questo punto vendita il percorso configurato è simile a
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
molti altri piccoli supermercati di prossimità, con la differenza di possedere un’ampia zona dedicata alla panetteria, alla gastronomia, ai salumi e ai formaggi e al reparto carne. Reparto ORTOFRUTTA Ogni prodotto deve obbligatoriamente presentare: - provenienza (Italia o Estero) - categoria (solitamente I° o II°) - calibratura (per produzioni industrializzate)
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- cassetta originale con recapiti del produttore. Il rifornimento merci avviene: - 2/3 volte a settimana autonomamente presso il CAAT di Torino. I prodotti si possono acquistare da: - coltivatori diretti (consorzi di contadini o aziende agricole) - import/export. Reparto PRODOTTI CONFEZIONATI Il catalogo del supermercato offre: - oltre 10.000 prodotti confezionati - i prodotti a marchio Crai e le relative offerte sono obbligatori. Il rifornimento merci avviene: - con ordini mensili direttamente alla CODE’ di Leinì attraverso la lettura automatica del codice EAN6. Alcuni prodotti si possono acquistare: - con contatto diretto (Centrale del Latte, Abit, Ferrero..) - da aziende artigianali locali. Reparto FRESCO e SURGELATI Il catalogo del fresco e dei surgelati offre: - prodotti freschi a lunga conservazione. Il reparto freddo ha temperature energivore: - banco frigo 4/5°C - reparto freezer -20°C.
Pere di produzione propria e locale.
6 I codici a barre sono un insieme di elementi grafici a contrasto elevato disposti in modo da poter essere letti da un sensore a scansione e decodificati per restituire l’informazione contenuta.
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
Reparto BANCHI SERVITI - Panetteria: qualità garantita da 5 fornitori locali (prodotti di produzione locale) - Gastronomia: qualità garantita da 1 fornitore locale (Gastronomia Bianchetta di Belmonte) - Formaggi: qualità garantita da 1 fornitore locale (Formaggi e Latticini Feira di Favria) - Salumi: contatti diretti (Vismara, Fiorucci, Rovagnati..) e qualità garantita da 1 fornitore locale (Salumificio Nadia di Arè di Caluso).
Reparto MACELLERIA Carne: qualità garantita da 1 fornitore locale (MAB Carni di Ozegna Torinese). E’ obbligatorio avere: - la dichiarazione di provenienza delle carni - un dossier con gli ingredienti contenuti nei prodotti preparati dal macellaio. Il rifornimento merci avviene: - con ordini settimanali al MAB di Ozegna. Reparto PULIZIA e IGIENE Il catalogo del supermercato offre: - numerosi detersivi da pubblicità - i detersivi a marchio Crai e le relative offerte sono obbligatori. Il rifornimento merci avviene: - con ordini mensili direttamente alla CODE’ di Leinì attraverso la lettura automatica del codice EAN.
Carni di provenienza locale .
Prodotti INVENDUTI e/o in SCADENZA Sia per i prodotti freschi sia per quelli secchi giunti a scadenza non viene effettuato il reso e quindi vengono buttati. I proprietari hanno però la tendenza di consumare personalmente il secco per evitare sprechi. I prodotti freschi in prossimità di scadenza presentano bollini rossi con sconto del 50%; anche i prezzi dei prodotti secchi vengono abbassati. In entrambi i casi viene dedicata loro un’area specifica del reparto. A volte si raccolgono prodotti in scadenza da destinare a banchi alimentari e associazioni umanitarie in aiuto di famiglie bisognose, ma i proprietari sono diffidenti dal fornire sia prodotti freschi sia secchi con queste caratteristiche.
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
Reparto CASSE Le gondole per l’acquisto di impulso offrono gli stessi prodotti presenti in tutti i supermercati vicino alle casse. CONSIDERAZIONI Le qualità individuate come possibili linee guida da seguire per la progettazione di un nuovo punto di vendita per il consumatore consapevole sono indicazioni molto generali e adattabili a molti modelli di consumo già esistenti oggi. Tra questi, si è potuto notare come il negozio di prossimità possa tornare ad essere la chiave di volta per il consumo consapevole. Dalle analisi svolte presso diversi punti vendita di media metratura, è emerso, infatti, che nelle piccole realtà commerciali il ruolo del proprietario/gestore sia di fondamentale importanza per adattare l’offerta ai nuovi modelli di consumo. I proprietari deI Crai di Salassa (TO) hanno avuto il coraggio di portare avanti i propri valori, nonostante l’influenza del marchio e della grande distribuzione organizzata.
Biscotti di produzione locale.
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Devono obbligatoriamente rispettare i vincoli dati dal contratto con il marchio Crai, ma cercano in maniera autonoma la qualità dei prodotti ortofrutticoli, incentivano le produzioni locali per tutto ciò che riguarda il fresco, prestano attenzione per il biologico piuttosto che per i detersivi “eco”, oltre ad offrire parte della propria produzione domestica di frutta e verdura. Questi elementi aprono nuove speranze verso quello che dovrebbe essere il punto vendita per il consumatore consapevole. Se si osserva in modo superficiale la planimetria del punto vendita, si può notare come questo non si differenzi dalle altre superette: la suddivisione delle aree merceologiche con i beni di prima necessità sempre al fondo dello spazio, infiniti scaffali di prodotti confezionati e scatole colorate e diverse aree dedicate ai prodotti surgelati e dalla preparazione veloce. Solo guardando con attenzione tra i prodotti, si può notare invece come l’offerta punti alla qualità e non alla quantità. In ogni reparto si nascondono scelte ragiona-
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6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
te del proprietario, che dialoga costantemente con i propri clienti, ma chi ci entra per la prima volta purtroppo non nota queste differenze. Ad esempio, il responsabile del reparto ortofrutta è informato sui prodotti che vende (scegliendoli lui stesso ai mercati generali) e sa sempre consigliare quale pesca scegliere per preparare la marmellata e quale per le “pesche pine”. Nel reparto confezionati, sono presenti numerosi prodotti di aziende locali anche se questo recuperato valore di localismo non viene espresso né comunicato; anche i prodotti con l’etichetta di agricoltura biologica non hanno una precisa collocazione, ma sono posizionati in un’area di recupero. Il reparto macelleria è il più indipendente dal marchio Crai, in quanto i proprietari del punto vendita acquistano la carne esclusivamente presso un loro fornitore di fiducia che fa da garante sulla qualità degli allevamenti di bovini e suini. Assicura inoltre
Formaggio di produzione locale.
che questi siano sempre di provenienza piemontese. Proprio per questo motivo, sul banco è ben visibile un cartello che comunica al cliente la scelta da parte del punto vendita di non seguire le offerte settimanali riportate sui volantini pubblicitari del marchio Crai. Uno dei problemi maggiormente riscontrato nel sopralluogo in questo punto vendita è la completa mancanza di comunicazione che potrebbe mettere in mostra i già tanti aspetti positivi ritrovati in ogni reparto. L’allestimento omologato e impersonale dei punti vendita facenti parte della grande distribuzione organizzata non aiuta in questo intento: forse è per questo motivo che il consumatore non si accorge che anche solo in questo piccolo supermercato qualcosa di diverso è già presente. Definite le caratteristiche del punto vendita per il consumatore consapevole e visti i buoni propositi di quello precedentemente analizzato, si è potuto ragionare
6. QUALITA’ - il punto vendita per il consumatore consapevole
sulla sua conseguente trasformazione seguendo le linee guida individuate. La planimetria viene rivista eliminando le corsie lunghe e strette e creando un percorso del tutto libero tra gli scaffali che vengono abbassati per permettere al consumatore di vedere l’insieme dello spazio di vendita. Gli unici prodotti confezionati rimangono quelli con marchio Crai, dato che sono legati a inscindibili vincoli di contratto, mentre tutte le altre tipologie merceologiche sono vendibili sfuse (dalla pasta al vino, dai fagioli al detersivo, dal latte alla birra). La possibilità di guardare direttamente il prodotto, poterlo apprezzare usando la propria sensorialità, vederlo preparare sul momento dal cuoco, dovrebbe portare il consumatore a ragionare sulle proprie scelte di acquisto. Il concetto alla base del nuovo punto di vendita, non sta però tanto nel rivedere l’allestimento interno, quanto si propone di cambiare radicalmente l’approccio nei confronti del consumatore, sostituendo il termine acquistare con altri valori molto più importanti. Acquistare prodotti locali e di stagione, conoscere i produttori perché sono della zona, rispettare la biodiversità e la lentezza dei cicli naturali sono principi da riportare all’interno delle abitudini quotidiane. Non va dimenticata l’importanza di condividere questi saperi con gli altri in un ritrovato senso di collettività sociale. Diventa obiettivo primario educare il consumatore inconsapevole, offrendogli la cultura e la conoscenza necessaria per consumare consapevolmente. In questo
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modo il nuovo consumatore può comprendere perché non ci siano le fragole anche a dicembre e perché le mele non siano tutte perfette e tutte grandi uguali. E’ importante sottolineare quindi che il punto vendita per il consumatore consapevole non è rivolto esclusivamente ad una nicchia di persone che già sanno acquistare in maniera critica, ma crede fermamente nella formazione di ogni singolo: tanti piccoli gesti per un unico grande obiettivo. Migliorare la qualità della vita e della Terra.
CRAI: lo stato attuale
CRAI per il consumatore consapevole
0. CONCLUSIONE un nuovo modello di consumo
I
l consumo, come si è visto, è un fatto complesso influenzato da molte variabili: infatti, si relazionano tra loro aspetti storici e antropologici, biologici e economici, agricoli e industriali, sociali, oltre a presentare, nel contemporaneo, ricadute su tematiche come la sostenibilità in tutte le declinazioni che questo concetto include. Lo sforzo che si è compiuto è stato di considerare gli aspetti ad esso legati, organizzarli secondo argomentazioni utili a definire valori per un nuovo modello di consumo e connetterli tra loro in modo tale che il risultato finale della ricerca portasse a definire le linee guida del punto vendita per il consumatore consapevole.
È stato necessario, in prima istanza, stabilire un metodo di analisi critica per categorizzare i diversi modelli di consumo, estrapolarne le caratteristiche di base alla ricerca di dati sensibili da raccogliere, organizzare e schematizzare. L’industrializzazione ha portato all’aumento della distanza tra produttori e consumatori, svalutando sia la qualità degli alimenti sia tutti quei valori e conoscenze di cui erano portatori. Studiati i diversi canali di vendita attraverso i quali il prodotto raggiunge il consumatore, si sono definite le problematiche attuali che connet-
tono il tema del consumo al tema del cibo. Partendo dal concetto di “uomo al centro del progetto” è stata realizzata una sostanziale suddivisione tra quei modelli che sminuivano il valore del cibo rendendolo una merce e quelli invece che valorizzavano sia le proprietà qualitative del prodotto sia la scelta attiva del consumatore. Si è poi pensato quindi di analizzare i modelli di consumo rapportandoli con un valore fondamentale: la qualità della vita. Inserendo questa variabile nel contesto sociale, etico e biologico del consumatore si sono delineati i principi base per un nuovo modello di consumo. La ricerca svolta, condotta mettendo la qualità della vita al centro del problema, ha portato a risultati interessanti. Se il consumatore di oggi continuerà a fare affidamento sull’approvvigionamento e sulla trasformazione industrializzata dei cibi, allontanandosi ed estraniandosi sempre più da un processo di consumo responsabile, si arriverà al temuto collasso del pianeta. Nasce quindi l’esigenza di un sentire comune che porta ad essere consumatori consapevoli di un’idea di qualità della vita che si confronti non soltanto con il bene proprio e personale ma anche con quello degli altri e della terra. Un sentire comune che
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porti a ridefinire i comportamenti e gli obiettivi quotidiani e a dare il giusto senso al cibo, centrale nelle attività dell’uomo. Raccolti e rielaborati i dati fondamentali, legati al tema del consumo, si è reso indispensabile stilare alcune linee guida da seguire per la progettazione di un nuovo punto vendita per il consumatore consapevole. L’organizzazione cambia radicalmente: si accorcia la filiera, incentivando dunque le produzioni locali, si instaura un rapporto diretto tra produttore e consumatore e si interviene su tutti gli aspetti legati alla cultura del cibo. La ricerca, così impostata, ha portato alla definizione di un nuovo modello di consumo volto a rispondere alle esigenze del consumatore consapevole che attribuisce un valore fondamentale alla vita, intesa come un insieme che parte dall’alimento e si estende al sistema biologico, culturale e sociale. In conclusione, si deve auspicare che siano sempre di più coloro che decideranno di comportarsi da veri consumatori consapevoli. Coloro cioè che vorranno ricercare solo cibi buoni, sani e freschi; coloro che avranno piacere di conoscere la storia di un alimento, del luogo da cui proviene, delle persone che lo hanno coltivato; coloro che si renderanno conto che acquistare il giusto significa mangiare correttamente e non sprecare; coloro che riconosceranno un cibo locale dal sapore e dalle qualità organolettiche dovute al rispetto della stagionalità e della biodiversità; coloro che sapranno educare i propri figli nel rispetto delle generazioni future e del mondo in cui si vive.
. CONCLUSIONE - il nuovo modello di consumo
0. ALLEGATI ricerche e approfondimenti
1. DATA DI SCADENZA ED ETICHETTATURA La data di scadenza
R
appresenta la data fino alla quale un alimento è igienicamente idoneo al consumo, se mantenuto nelle corrette condizioni di conservazione. Viene riportata obbligatoriamente sugli imballaggi alimentari dei prodotti preconfezionati rapidamente deperibili (latte e prodotti lattieri freschi, formaggi freschi, pasta fresca, carni fresche, pesci freschi, ...) con la dicitura “da consumarsi entro” seguita dal luogo sulla confezione dove la data viene stampigliata. La data deve riportare, nell’ordine, il giorno, il mese ed eventualmente l’anno. Sulla confezione devono essere inoltre riportate le condizioni di conservazione ed eventualmente la temperatura in funzione della quale è stato determinato il periodo di validità. Superata la data di scadenza, l’alimento può costituire un pericolo per la salute a causa della proliferazione batterica. Per legge è vietata la vendita dei prodotti che riportano la data di scadenza a partire dal giorno successivo a quello indicato sulla confezione. Supermercati e commercianti restituiscono i prodotti scaduti invenduti ai fornitori delle relative marche, sottoforma di resi. Per ogni articolo reso, ricevono gra-
tuitamente in cambio dai fornitori un altro prodotto dello stesso genere, da rivendere al cliente finale. In questo modo, commercianti e supermercati eliminano il rischio di mancata vendita, legato ai prodotti alimentari. Trattandosi di un bene deperibile, l’accumulo di scorte invendute rappresenta un rischio più alto per i venditori, rispetto ad altre categorie merceologiche, poiché le scorte di alimenti dopo la data di scadenza non hanno più valore. Talora, le forze dell’ordine verificano casi di rigenerazione delle date di scadenza, sostituite da nuove etichette in validità. In Italia la data di scadenza può essere determinata con decreto dei Ministri delle attività produttive, delle politiche agricole e forestali e della salute. Sui prodotti non rapidamente deperibili la data di scadenza é sostituita dal termine minimo di conservazione, espresso dalla dicitura “da consumarsi preferibilmente entro (data)”, che rappresenta la data fino alla quale un alimento conserva le sue proprietà specifiche in adeguate condizioni di conservazione. La data si compone dell’indicazione, nell’ordine, del giorno, del mese, e dell’anno, con le seguenti modalità: per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi, è sufficiente l’indicazione del giorno e del mese; per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma non oltre diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione del mese e dell’anno; per i prodotti alimen-
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tari conservabili per più di diciotto mesi, è sufficiente l’indicazione dell’anno. Il termine minimo di conservazione non é obbligatorio per frutta e verdura fresche (a meno che non siano sbucciate o tagliate), il vino, l’aceto, il sale e lo zucchero allo stato solido, i prodotti da forno come pane e focaccia e prodotti di pasticceria freschi, bevande alcoliche con percentuale di alcool superiore al 10%, gomma da masticare e prodotti simili. Stessa regola vale per i prodotti da banco (salumi e formaggi venduti in supermercati e ipermercati che
0. ALLEGATI - ricerche e approfondimenti
devono solo indicare la temperatura di conservazione dell’alimento1. Seguono le date di scadenza di alcuni alimenti: latte fresco 5 giorni , latte a lunga conservazione 90 giorni, uova 28 giorni, pasta fresca confezionata 30 giorni, pesce 3 giorni, biscotti secchi 1 anno, burro 2 mesi, farina 12/18 mesi, formaggi molli da 2 giorni a 2 mesi, grissini 9/12 mesi, legumi, fagioli, ortaggi in vetro 4 anni, marmellate e confetture 4 anni, merendine industriali 9 mesi, mortadelle affettate in busta o intere piccole 8 settimane, olio d’oliva 18 mesi, panna fresca da montare 7 giorni mentre panna conservata 5 mesi,riso 12/18 mesi, surgelati 12/30 mesi, thè 3 anni, etc2… Le date di scadenza e di durabilità sono valide finché la confezione è integra e il prodotto è stato conservato come indicato in etichetta. Per tutti gli alimenti freschi o sfusi che non riportano alcuna data di scadenza ovviamente, è necessario informarsi sulle modalità di conservazione e imparare a riconoscere i tempi e le durate dei cibi. L’etichettatura Le etichette sono come un libro da leggere attentamente, ma tra i vari generi somigliano sempre più ai “gialli”: alcune notizie sono scritte chiaramente, altre sono un po’ nascoste e altre ancora sono indizi da interpretare. Mettendo insieme tutti i tasselli si possono trarre conclusioni molto interessanti: facendo attenzione al peso netto e alla qualità del prodotto (ad
Data di scadenza sulla confezione di latte fresco.
1 http://it.wikipedia.org/wiki/Data_di_scadenza 2 http://www.alimentazione-salute.it/ alimentazione/164/le-date-di-scadenze-degli-alimenti/
0. ALLEGATI - ricerche e approfondimenti
esempio, controllando in etichetta la presenza di ingredienti freschi o pregiati), si può capire se il prezzo è davvero conveniente. Per etichettatura s’intende l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta apposta o sul dispositivo di chiusura o su cartelli,
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anelli o fascette legati al prodotto medesimo. Inoltre, secondo le indicazioni di una Direttiva Europea, le etichette possono riportare una tabella nella quale è indicato (in kilocalorie) il valore energetico dell’alimento: informazione molto utile per conoscere esattamente quante calorie forniscono 100 grammi del prodotto; nella stessa tabella è indicata anche la quantità dei principali nutrienti contenuti nel prodotto, ad esempio: proteine, carboidrati, grassi, fibre, vitamine e sali minerali. Nell’elenco degli ingredienti deve comparire qualsiasi sostanza, compresi gli additivi, utilizzata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare ancora presente nel prodotto finito, anche se in forma modificata. Sull’etichetta sono elencati obbligatoriamente tutti gli ingredienti che compongono il prodotto, che devono essere ben individuabili e devono essere elencati in ordine decrescente: al primo posto quello presente in quantità maggiore e via via fino a quello presente in quantità minore, in modo da dare un’idea chiara della composizione del prodotto. Se si tratta, però, di alimenti composti da un solo ingrediente non è necessario specificarlo, perché risulta comprensibile già dalla denominazione del prodotto: tutti sappiamo, ad esempio, che il latte è latte e basta. Anche gli additivi sono considerati ingredienti e, vista la loro minima quantità, sono segnalati per ultimi.
Difficile lettura delle etichette alimentari.
Nelle etichette possono inoltre essere riportate le seguenti informazioni: tabella nutrizionale; data di produzione; tipo di lavorazione; marchi di qualità (DOC, DOP, IGP, STG, DOCG).
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Mentre la normale etichetta deve indicare obbligatoriamente l’elenco degli ingredienti, la tabella nutrizionale, che salvo particolari eccezioni è facoltativa, riporta una dichiarazione relativa al valore energetico ed ai seguenti nutrienti: proteine; carboidrati; grassi; fibre alimentari; sodio; vitamine e sali minerali. E’ utile sapere, per esempio, che un alimento è fatto con farina, burro e zucchero, ma l’etichetta normale non dichiara le quantità dei singoli ingredienti, mentre con l’etichetta nutrizionale il consumatore può sapere anche quanto mangia e ciò è anche più utile in caso di diete o situazioni particolari. Per vederci più chiaro sarebbe però opportuno conoscere, oltre al termine di conservazione, anche la data di produzione o di confezionamento. Solo su pochi prodotti è riportata la data di produzione, la legge infatti non la richiede, anche se sarebbe utile per valutare meglio la freschezza. Anche il tipo di lavorazione è importante: ad esempio l’olio di oliva extravergine se è ottenuto dalla premitura a freddo, allora conserva le migliori caratteristiche. I marchi di qualità sono questi: - DOC (Denominazione d’Origine Controllata): ogni prodotto DOC deve rispettare le regole di produzione tradizionale, specificate in dettagliati disciplinari. - DOP (Denominazione d’Origine Protetta): si tratta di produzioni agricole e alimentari le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente (se non esclusivamente) all’ambiente geografico, comprensivo dei fattori naturali ed umani. - IGP (Indicazione Geografica Protetta): indica il legame con la zona geografica in almeno uno degli stadi della produzione,
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della trasformazione o dell’elaborazione. - STG (Specialità Tradizionale Garantita): il marchio non fa riferimento all’origine del prodotto ma ha per oggetto la valorizzazione di una composizione tradizionale o di un metodo di produzione. - DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita): sono alcune produzioni che si caratterizzano per avere particolari pregi qualitativi. Sono sottoposti a controlli disciplinari di produzione particolarmente rigidi3.
3 AA. VV., Alimentazione e salute. Guida all’alimentazione per attività , età e stili di vita. Progetto sicurezza e qualità degli alimenti, Consumatore informato Consumatore sano, 2001 2002 - Federconsumatori Ferrara, ADICONSUM Ferrara, Editrice Il Globo.
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2. SENSORIALITA’ E GUSTO Bisogna ridare prima di tutto centralità al cibo, dotando ogni essere umano di tutti gli strumenti necessari per riacquistare il diritto al proprio cibo, alla propria scelta, in armonia con la sua cultura e con la natura in cui vive. La consapevolezza della complessità del sistema cibo si acquisisce con l’educazione, con lo studio e l’esercizio dei propri sensi. Sono necessari sistemi di educazione permanente, per tutte le età e per
Educare alla sensorialità per dare valore al cibo.
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tutti: per i bambini che hanno diritto a imparare come si usano i sensi, come è prodotto il cibo, da dove proviene; per i genitori e gli insegnanti, che non sono più in grado di educare al cibo; per i consumatori che chiedono di poter scegliere il meglio, di poter trovare la qualità; per i produttori e gli operatori del mondo del cibo che vogliono migliorare e definire la loro professionalità; per gli anziani che non si trovano in una realtà che è cambiata troppo in fretta. Si devono dare gli strumenti, veicolare le informazioni, insegnare a percepire, sensibilizzare e formare valori e consapevolezza, avere a disposizione chiavi di lettura, metodi, attrezzature mentali e operative. Sensorialità e sensibilità; esperienza e informazione: sono questi i passi per impadronirsi della realtà, per vivere il proprio diritto al piacere, la ricerca della felicità tramite l’unica risorsa insostituibile per l’uomo, il cibo. Analisi sensoriale, caratteristiche della produzione, degustazioni comparate sono i fondamenti di un’educazione alimentare che manca nella società odierna. Il consumatore, per effettuare le sue scelte di qualità, deve avere a disposizione tutte le informazioni che gli permettano di riconoscerla. I sistemi di etichettatura spesso sono insufficienti, la tracciabilità di filiera di un prodotto spesso si interrompe o nasconde angoli bui. Il consumatore può migliorare il suo quotidiano rapporto con la spesa e richiedere un maggior flusso di informazioni su tutto ciò che riguarda il cibo. La nuova ricerca della qualità si basa sulla riappropriazione della propria sensorialità, sull’esperienza acquisita a contatto con i produttori, le loro tecniche
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e le caratteristiche dei territori e degli ecosistemi. I modelli di cucina tradizionale oggi quasi spariscono per l’emergere di un modello in cui, in seguito alla massiccia industrializzazione, prevale il consumismo e un distacco dal mondo agricolo. La storia dell’uomo si può ricostruire attraverso una geostoria del gusto, all’interno della quale modelli generali di cucina si impongono per caratterizzare le varie aree del pianeta; questi modelli sono la risultante dell’impiego delle risorse locali, degli incontri o scontri tra civiltà, del dominio delle une sulle altre in seguito a conflitti e di diverse forme di colonizzazione. Proprio come i modelli di consumo allo stesso modo il gusto muta e si evolve sulla base della storia, della società e della cultura. Il gusto è un insieme di sapore e sapere: il gusto cambia a seconda che si sia ricchi o poveri, che ci sia abbondanza o che si abbia fame, che si viva in una foresta o in una metropoli. Per tutti il gusto è il diritto a trasformare in piacere il proprio sostentamento quotidiano. La sua forma-
Apprendere e riconoscere il gusto.
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zione dipende dalla cultura e dalla situazione economica ed è necessario definire ciò che è buono per il mondo di oggi. Per far questo non è però facile arrivare ad una definizione di buono adatta a tutti: la varietà di fattori che intervengono difficilmente consente generalizzazioni e il riferimento ad un singolo gruppo sociale pone troppi limiti. La complessità e la diversità culturale devono quindi consentire di ricercare quegli elementi trasversali a tutte le culture, una sorta di base di partenza comune: uno di questi elementi può essere ad esempio la preferenza per l’artificioso o per il naturale. Risalendo le fonti storiche a disposizione, è stato dimostrato come ciclicamente nella nostra storia abbia prevalso uno dei due punti che si muovono lungo l’asse della dicotomia artificiale/naturale. L’artificio era preferito nelle cucine romana antica, medievale e rinascimentale, quando la cucina era percepita come un’arte combinatoria volta a modificare il più possibile il gusto naturale dei cibi; inoltre l’alternarsi della prevalenza dell’artificioso o del naturale, si
0. ALLEGATI - ricerche e approfondimenti
riscontra anche nelle più recenti evoluzioni dell’alta cucina: dalla metà degli anni ’70 prese piede e diventò di tendenza la nouvelle cuisine, che metteva prima di ogni altra considerazione l’abilità tecnica dello chef come elemento chiave nella riuscita di un grandissimo piatto. In questa fase storica, la materia prima è stata svilita nella sua importanza rispetto al buono: secondo i fautori della nouvelle cuisine, anche la base di partenza peggiore poteva essere trasformata in qualcosa di eccezionale dall’abilità tecnica e creativa del cuoco. Dopo solo un decennio, l’imporsi di nuovi chef ispirò la ricerca di materie prime eccellenti, ritenute il fattore unico su cui si può a buon titolo inserire l’abilità dello chef per restituire l’originalità dei sapori in tutta la loro magnificenza. E’ sempre più ovvio che ogni movimento verso una determinata direzione in una società come la nostra dia immediatamente origine a un movimento opposto: nel momento in cui il fast-food è diventato universale, ha trovato la sua ragione d’essere anche lo Slow Food; quando la globalizzazione ha palesato la sua forza omologante nei confronti del gusto, sono immediatamente nate le reazioni che guardano al localismo e alla diversità come valore. In questa situazione molto caotica e in veloce mutamento, urge prendere una posizione a favore del gusto “naturale”: il gusto deve prima di tutto essere chiaramente identificabile, sia come sapore che come sapere. Dopo aver ripreso coscienza del percepire non si può fare a meno di notare le caratteristiche organolettiche di qualsiasi prodotto. I sensi restituiscono i gusti e quindi la voglia di sapere e di conoscere la
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materia cresce fino a desiderare di incontrare direttamente i produttori di cibo, i campi, le tecniche, le storie. Piccole diversità di tecnica possono tradursi in diversità di sapore. In più chi coltiva non deve dimenticare il gusto: se un prodotto non è buono, non serve a nulla che sia biologico; se è estraneo alla cultura locale potrà rispondere ad un’emergenza, ma non risolverà per sempre il problema della fame e di certi inquinamenti. Il gusto, termine oggi altamente inflazionato, utilizzato per titolare libri, eventi, trasmissioni, sagre paesane perché di grande appeal mediatico, è prima di tutto un fattore fisiologico. Se infatti “gusto” indica non soltanto ciò che è buono da mangiare, ma anche ciò che è buono da pensare e spesso viene utilizzato nella sua accezione più culturale, ovvero come la risultante delle preferenze di un gruppo sociale, prima di tutto esso è uno dei nostri cinque sensi. Insieme agli altri, permette di degustare e valutare in maniera pressoché obiettiva un prodotto alimentare. Il gusto è la conoscenza dei sapori estesa a tutto il patrimonio di una civiltà, artistica ed intellettuale. L’universo sensoriale dell’uomo di questi tempi è svilito come non mai: gli aromi chimici confondono, atrofizzano i sensi alzando continuamente le soglie della nostra percezione con gusti e aromi che non esistono in natura. I sensi hanno subito una profonda regressione a causa dei ritmi di vita cui siamo costretti, ma possono essere rieducati; se l’analisi delle percezioni è più ricca, aumentano la soddisfazione e il piacere.
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3. LA CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI Per alimento conservato si intende qualsiasi prodotto sottoposto a processi finalizzati a preservarne le caratteristiche nutritive e sensoriali, mettendolo al riparo, per un periodo più o meno lungo, da ogni alterazione che ne comprometta l’edibilità. Tale definizione include una vasta serie di azioni che l’uomo ha fino ad oggi affinato per controllare l’attività microbica, a volte bloccandola completamente altre rallentandone lo sviluppo. Il tema della conservazione alimentare si lega a trattamenti di origine chimica, fisica e biologica legati indissolubilmente al confezionamento che ha lo scopo di mantenere le condizioni di igiene e salubrità fino al consumo. Se si guarda alle origini, è possibile affermare che l’uomo già in età antichissima abbia sviluppato tecniche più o meno efficaci nella conservazione degli alimenti. Se il passaggio di civiltà dal cibo crudo al cibo cotto è un fatto innegabile e un fondamentale punto di partenza per l’antropologia, possiamo affermare che la conservazione rappresenti un ulteriore salto evolutivo nella storia dell’umanità. La cottura può essere considerata la prima tecnica di conservazione. Passando al contemporaneo, grazie ai progressi in campo scientifico, il mondo della conservazione alimentare si è diversificato e numerosi trattamenti si sono sviluppati rendendo necessaria una classificazione: - conserve: prodotti confezionati in contenitori più o meno ermetici che si mantengono a lungo a temperatura ambiente o a basse temperature (sterilizzati, conge-
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lati, liofilizzati, essiccati, concentrati e/o addizionati con sostanze chimiche); - semiconserve: prodotti stabilizzati per un tempo limitato attraverso trattamenti meno drastici (pastorizzati, refrigerati, conservati in atmosfera controllata o modificata); - prodotti trasformati: che hanno subito, attraverso vari trattamenti, profonde modifiche della struttura originale e dei caratteri organolettici (alimenti fermentati, salati, prosciugati, stabilizzati attraverso un periodo più o meno lungo di stagionatura). Il freddo Refrigerazione: questa tecnica consiste nel raffreddare gli alimenti a temperatura tale da consentire all’acqua in essi contenuta di rimanere allo stato liquido. La temperatura è determinata dal tipo di alimento e varia da –1 a +8°C e dai tempi di conservazione, che non possono essere troppo lunghi. A livello domestico i prodotti refrigerati possono essere conservati per un periodo non superiore ad una settimana, a livello industriale si possono oltrepassare per alcuni alimenti anche 3 mesi. Congelamento: questo trattamento che consiste nel sottoporre l’alimento a temperature basse, comprese tra –0,5 e –4°C, per permettere al prodotto di solidificare, era già in uso dai cacciatori del paleolitico. Tale tecnica oggi si può eseguire anche a livello domestico, lavando e sistemando i prodotti dentro dei sacchetti di plastica per alimenti e riponendoli nello scomparto freezer. A livello industriale il congelamento può essere lento o rapido.
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Congelamento lento: la temperatura non è molto bassa, oscilla tra –8 e –12°C e si formano dei cristalli molto grandi che vanno a distruggere la struttura cellulare del prodotto incidendo sul sapore che non è gradevole come il prodotto fresco. Congelamento rapido: nel congelamento rapido l’alimento viene sottoposto a temperature di almeno –30 fino a -50°C. In queste condizioni si formano cristalli di ghiaccio piccoli che non rompono le pareti cellulari, abbassandosi rapidamente
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la temperatura all’interno del prodotto vengono inoltre bloccate le reazioni degradative con relativo aumento del tempo di conservazione. Surgelazione: è un trattamento che ha cambiato radicalmente gli usi e costumi alimentari, le cucine, gli elettrodomestici e ha permesso a chiunque di avere scorte di prodotti annuali senza dover conoscere tecniche particolari o rischiose. I surgelati sono alimenti in confezioni chiuse sottoposti a trattamento al freddo tale da portare la temperatura al di sotto dei –18°C per favorire la formazione di microcristalli all’interno dell’alimento e non sconvolgere la struttura cellulare. Inoltre devono essere mantenuti a tale temperatura fino alla vendita al consumatore. Questo processo implica 3 condizioni: rapidità del tempo di congelazione, continuità della catena del freddo e confezionamento sigillato. Problemi: i grassi vanno incontro a idrolisi ed ossidazione che ne diminuiscono il valore nutritivo. I sali minerali e le vitamine vengono perse solo se si scottano i prodotti nella fase di preparazione. A carico delle caratteristiche organolettiche si ha perdita di aroma che col prolungarsi della conservazione, tende a scomparire del tutto. Inoltre si può avere sapore amaro, odore di pesce, indurimento dello strato superficiale e nelle verdure cambio del colore. Il calore
Piselli surgelati.
Pastorizzazione: teorizzata da Pasteur, che fece lo stesso per la sterilizzazione degli alimenti , attraverso la formulazione
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della teoria delle spore, questo trattamento nasce nel 1809 a Parigi grazie all’intuizione di un pasticcere francese conosciuto come Nicolas Appert. Il trattamento di pastorizzazione ha lo scopo di uccidere tutti i batteri, con limitate alterazioni delle caratteristiche chimiche, fisiche ed organolettiche. La temperatura varia da 60 a 80°C circa, pertanto l’alimento pastorizzato deve essere conservato in condizioni tali da limitare lo sviluppo di microrganismi. Di solito si conservano gli alimenti per pochi giorni alla temperatura di 4°C, oppure alla pastorizzazione si abbina un altro sistema di conservazione come la refrigerazione, il confezionamento sotto vuoto o l’aggiunta di sostanze chimiche. Sterilizzazione: questo sistema di conservazione ha lo scopo di distruggere tutti gli organismi patogeni e non e tutte le spore, comunque non si ha la sterilità assoluta perché tutte le spore non vengono distrutte alle temperature normali di sterilizzazione che sono comprese tra 115 e 140°C per brevi istanti. Gli alimenti
Processo di pastorizzazione del latte.
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da trattare devono essere preparati precedentemente; il trattamento può avvenire su alimenti solidi o liquidi già chiusi in un contenitore metallico o di vetro (sterilizzazione classica) oppure sull’alimento liquido sfuso che viene poi raccolto in un contenitore sterile (UHT)4. Problemi: l’azione del calore determina variazione a carico dei caratteri chimici, fisici ed organolettici. Le proteine vengono denaturate con perdita di attività biologica e aumento della digeribilità. Per effetto della denaturazione si liberano gruppi sulfidrici che conferiscono all’alimento il sapore di cotto. Gli zuccheri caramellizzano e possono reagire con le proteine. Le vitamine termolabili B1, B12, C si perdono completamente e in presenza di ossigeno anche le liposolubili si ossidano. I caratteri organolettici quali il sapore, la consistenza e il colore dell’alimento, con le alte temperature vengono modificati profondamente.
4 J. L. Flandrin, M.Montanari, dell’alimentazione, Roma, Laterza Editore,1997
Storia
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Le radiazioni La conservazione mediante radiazioni consiste nel sottoporre gli alimenti all’azione di radiazioni elettromagnetiche come raggi X, raggi gamma e ultravioletti, ed è la tecnica più discussa perché si teme che renda gli alimenti radioattivi: in realtà le radiazioni ionizzanti non vengono trattenute. La dose utilizzata è generalmente da bassa a media e comunque tale da non determinare la formazione di residui radioattivi nei prodotti trattati. I trattamenti permettono di ridurre la carica microbica di alcuni alimenti aumentandone i tempi di conservazione, distruggere i parassiti e gli insetti infestanti in alternativa ai disinfestanti chimici e inibire la germinazione dei tuberi e dei bulbi. A dosaggi bassi e medi gli effetti sulle caratteristiche nutrizionali degli alimenti sono modesti e comunque non tali da compromettere la qualità del prodotto; dosaggi elevati di radiazioni ionizzanti eseguono una vera e propria sterilizzazione. In molti casi gli alimenti irradiati sono indistinguibili alla vista e al gusto da quelli freschi non trattati, ad ogni modo vi è l’obbligo di dichiarare se gli alimenti sono stati irradiati5. Problemi: alcuni alimenti non possono essere irradiati perché il procedimento provoca uno sgradevole cambiamento nell’aspetto, nel gusto o nell’odore dei prodotti: l’irradiazione infatti può scurire alcuni tipi di carne e peggiorarne il sapore e la consistenza, ossidare i grassi insaturi 5 G. De Felip , Recenti sviluppi di igiene e microbiologia degli alimenti, Milano, Tecniche nuove, 2001
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rendendoli rancidi o annerire il pesce. La disidratazione Lo scopo è quello di ridurre il volume ed il peso dei prodotti alimentari; l’eliminazione dell’acqua inoltre permette la conservazione dell’alimento, ma non sempre da sola è sufficiente, molte volte è abbinata ad altri trattamenti come l’aggiunta di sale, zucchero, pastorizzazione o sterilizzazione. Concentrazione per evaporazione: è il sistema più tradizionale, che può essere applicato anche a livello domestico, riscaldando l’alimento o lasciandolo asciugare in un ambiente ventilato, in modo che perda acqua sotto forma di vapore, ed eventualmente si aggiunge qualche additivo naturale per poterlo conservare. A livello industriale questa tecnica è la più usata, viene eseguita sotto vuoto e il riscaldamento avviene con delle piastre. Il risultato finale è quello di evitare o contenere al minimo le trasformazioni chimiche, di non superare la temperatura massima che può raggiungere l’alimento senza subire alterazioni irreversibili e di impedire la formazione di schiuma che incide sulla buona riuscita del prodotto. Essiccamento: i processi di essiccamento hanno come scopo la rimozione quasi totale dell’acqua contenuta nelle cellule degli alimenti. Infatti da valori del 65-95% si passa ad un contenuto idrico max del 10-15%. Essiccamento naturale: conosciuto fin dall’antichità, consiste nell’esporre al sole e all’aria per un periodo molto variabile di settimane o mesi, gli alimenti per lo più
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vegetali, fino ad un loro totale prosciugamento. Questo tipo di disidratazione viene praticato attualmente a livello domestico e artigianale nei paesi con clima caldo asciutto. Essiccamento artificiale: il metodo più diffuso per disidratare gli alimenti è l’essiccamento con aria calda. Con questo metodo l’aria calda ha una duplice funzione, quella di trasmettere calore all’alimento e quella di asportare i vapori che si liberano. L’essiccamento sarà tanto
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più veloce quanto più alta sarà la temperatura e la velocità di circolazione dell’aria che permette il ricambio di quella umida con quella secca. L’essiccamento tuttavia non deve avvenire in maniera troppo rapida, per evitare l’indurimento degli strati superficiali che farebbero da barriera per la completa disidratazione di tutto il prodotto. Liofilizzazione: questa tecnica consiste nella disidratazione per sublimazione di prodotti precedentemente congelati. Il prodotto congelato viene messo in autoclave su dei vassoi e si crea il vuoto a temperatura T<= -20°C. Il ghiaccio sublima (passa dallo stato solido a quello aeriforme) si allontana come vapore e viene aspirato da una pompa e inviato a un condensatore. E’ indispensabile mantenere sempre la temperatura intorno ai –20°C. L’essiccamento secondario consiste nell’eliminare l’acqua legata che non è stato possibile eliminare con il congelamento. Si opera sotto vuoto con temperature non superiori ai 30°C; si ha una grande riduzione dell’umidità che scende al di sotto del 5%. Terminato l’essiccamento nell’autoclave si ripristina gradualmente una pressione pari a quella atmosferica. Problemi: modificazione del colore, perdita di costituenti volatili e di aroma (le perdite possono essere limitate lavorando a temperature più basse e su prodotti di piccola taglia). L’atmosfera modificata
Essicamento naturale.
Il confezionamento degli alimenti, in atmosfera controllata è uno dei moderni
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metodi di confezionamento industriale che assicura il mantenimento delle caratteristiche fisiche del prodotto. I normali metodi di confezionamento, lo realizzano in ambienti non inerti con grossi problemi di conservazione degli alimenti dopo il confezionamento. Il confezionamento in ambienti controllati (di seguito definito MAP = modified atmosphere packaging ) è una delle tecniche più utilizzate nel settore alimentare. La sostituzione dell’aria ambiente con un gas inerte consente di migliorare la conservazione degli alimenti, ottimizzando le tecniche di confezionamento, riducendone gli scarti e aumentandone la qualità. Problemi: uno dei principale che le aziende di confezionamento di generi alimentari devono risolvere è il deterioramento degli alimenti che è diretta conseguenza della “ossidazione” derivante dalla presenza di ossigeno nell’aria ambiente. L’utilizzo di un gas inerte, assicura l’ottima conservazione dei cibi mantenendone inalterate le caratteristiche proteiche e organolettiche. I metodi chimici I metodi chimici di conservazione rappresentano un’alternativa a quelli fisici, che risultano più costosi anche se più sicuri. I conservanti naturali sono rappresentati da sostanze come il cloruro di sodio, il saccarosio, l’olio, l’aceto che possiedono un buon potere batteriostatico, sono attivi a basse concentrazioni e innocui per il consumatore. Conservazione con cloruro di sodio: la salagione è un metodo di conservazione
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molto antico, che ancora oggi si usa per conservare carni, pesce e verdure, abbinando all’azione conservativa anche quella di conferire al prodotto un sapore caratteristico. Gli antichi egiziani forse sono stati i primi a trattare la carne e il pesce con il sale. L’azione esplicata dal sale è principalmente batteriostatica e non dà garanzie di un’azione battericida. Per questo motivo la salagione viene spesso abbinata ad altri sistemi di conservazione come le basse temperature o l’aggiunta di nitrati e di aromi. La salagione può essere a secco o ad umido. - Salagione a secco: l’alimento viene posto a contatto con il sale a cui possono essere mescolati spezie e nitrati. L’acqua comincia ad uscire dalle cellule diluendo la soluzione, che comunque rispetto ai liquidi cellulari sarà più concentrata. La salagione a secco conferisce al prodotto una conservabilità più lunga, è da preferire il sale grosso rispetto a quello finemente triturato, perché quest’ultimo penetra rapidamente all’interno delle cellule e può disidratare eccessivamente gli strati superficiali del prodotto, coagulando le proteine ed impedendo la penetrazione del sale nelle parti più profonde dell’alimento. La coagulazione delle proteine può avvenire anche attuando una salagione a temperature elevate, ecco perché è preferibile eseguire un trattamento a freddo (4-5°C) in modo che il sale penetri lentamente ed omogeneamente in tutto il prodotto. La salagione a secco può essere fatta per sfregamento o per sovrapposizione a strati. - Salagione ad umido: si attua con solu-
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zioni di acqua e sale (salamoia) a varie concentrazioni: debole (10% di NaCl); mediamente deboli (18% di NaCl); forti (25–30% di NaCl). E’ un metodo molto rapido ed usato nelle industrie per grandi quantità di prodotto. La rapidità del trattamento comunque limita l’efficacia, di conseguenza i prodotti necessitano di ulteriori processi di conservazione come l’affumicamento o la cottura. La salagione ad umido può avvenire per immersione diretta del prodotto nella salamoia per un periodo di tempo variabile in funzione della concentrazione e delle dimensioni del prodotto da trattare. Problemi salagione: variazione del colore; abbassamento del pH; denaturazione delle proteine; ossidazione dei lipidi; diminuzione del valore nutrizionale perché con l’acqua dalle cellule escono sali minerali, vitamine, proteine, composti azotati e lipidi. Conservazione con saccarosio: il saccarosio viene usato per preparare marmellate, gelatine di frutta, canditi ecc. In concentrazione del 65-70%. Il sistema si basa sull’aumento della pressione osmotica, spesso il saccarosio è sostituito da glucosio o fruttosio che avendo dimensioni più piccole, possono essere usati in quantità minore con la stessa efficacia. Lo zucchero può essere addizionato allo stato solido o sotto forma di sciroppo. Problemi trattamenti con saccarosio: l’elevato tenore di zucchero non ostacola l’attività dei microrganismi detti osmofili che possono alterare gli alimenti e pertanto si ritiene opportuno utilizzare zucchero
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batteriologicamente puro ed abbinare un altro sistema di conservazione. Conservanti: limitano, ritardano o arrestano la crescita dei microrganismi (es. batteri, lieviti, muffe) che sono presenti o che si introducono nel cibo, prevenendone il deperimento o la tossicità. Sono utilizzati, per esempio, nei prodotti da forno, nel vino, nel formaggio, nelle carni salate, nei succhi di frutta e nella margarina. Tra i più comuni: Diossido di zolfo e solfiti (E220228); Calcio propionato (E282); Nitrati e nitriti (sali di sodio e di potassio) (E249-252). Antiossidanti: acido citrico, acido ascorbico; sono sostanze che “catturano” l’ossigeno atmosferico e quindi impediscono le ossidazioni dei componenti; sono usati anche come correttori di acidità e non sono tossici. Conservazione con l’aceto: l’aceto è usato come conservante per gli ortaggi in relazione al suo contenuto in acido acetico che deve essere in quantità non inferiore al 6%. L’azione conservativa degli acidi è dovuta sia all’abbassamento del pH, sia alla tossicità della molecola nei confronti dei microrganismi. L’alimento può essere messo direttamente sotto l’aceto in cui verrà conservato, oppure può macerare per alcuni giorni con l’aceto e dopo viene scolato e ritrattato con aceto. L’aggiunta può essere fatta a freddo o a caldo ( circa 80°C ) e con prodotti che hanno precedentemente subito la scottatura o la salagione. All’aceto si possono addizionare erbe aromatiche e spezie oppure dello zucchero nei classici sottaceti dolci.
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Conservazione sott’olio: l’olio di oliva o di semi viene usato come liquido di copertura di numerosi alimenti vegetali. Esso non svolge direttamente un’azione batteriostatica o battericida, ma isola l’alimento dal contatto diretto con l’aria bloccando l’attività dei microrganismi aerobi. Questo metodo usato soprattutto per la conservazione di ortaggi e pesce viene sempre abbinato ad altri trattamenti come la pastorizzazione, la sterilizzazione o l’azione del sale e dell’aceto.
Zucchine sott’olio.
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Problemi conservazione sott’olio: è inefficace con i microrganismi anaerobi e se l’alimento non viene asciugato bene prima di metterlo sott’olio, nello strato acquoso si possono sviluppare molti microrganismi. Affumicamento: l’affumicamento degli alimenti è autorizzata soltanto con il fumo di legna o di vegetali legnosi o parti di essi allo stato naturale, ad esclusione di legna o di vegetali impregnati, colorati, incollati, dipinti in modo analogo, e a condizione che l’affumicatura stessa non determini alcun rischio per la salute umana. Il fumo è ottenuto dalla combustione del legno (faggio, quercia, castagno, ecc.) a cui si possono aggiungere piante aromatiche (ginepro, lauro, rosmarino, maggiorana, ecc.). All’effetto antisettico concorrono varie sostanze che si depositano con il fumo (aldeide formica, acido acetico, acetone, ammoniaca, derivati del guaicolo, pirogallo) coadiuvate da altre sostanze contenute in piccole concentrazioni (acido acetico, formico, alcol metilico). L’azione antisettica è dovuta anche all’ambiente riducente che si crea effetto disidratante del calore sulla parte superficiale dell’alimento. Metodi di affumicamento: - lento o a freddo (25° - 35°C) il trattamento dura alcuni giorni ed anche qualche settimana, a seconda dell’alimento da trattare e della pezzatura. L’azione batteriostatica risulta leggera e quasi sempre viene associato ad altri trattamenti quali salagione o essiccamento. - caldo o rapido: 60° - 100°C si ottiene una parziale cottura, maggiore perdita di acqua con intensa attività antibatterica.
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I metodi meccanici Si sono sviluppati maggiormente nel settore del latte e dei succhi. Filtrazione: consiste nel filtrare il prodotto allo stato fisico di liquido attraverso filtri con pori di diametro inferiore a quello dei microrganismi, permettendo in questo modo la sterilizzazione. Serve per la conservazione in recipienti sterili di succhi di frutta e per la potabilizzazione dell’acqua. Bactofugazione: è un processo fisico in cui una apparecchiatura che utilizza la forza centrifuga è appositamente progettata per separare parte dei microrganismi, e soprattutto le spore, significativamente più pesanti del latte. Trattasi quindi di una debatterizzazione centrifuga più o meno spinta. Può essere utilizzata per ottenere una significativa riduzione del contenuto microbico e di cellule somatiche del latte da destinare a uso alimentare, al pari di quello utilizzato per le produzioni casearie dove agisce in modo
Confezioni di latte sterilizzato ed omogeneizzato.
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particolarmente efficace per la separazione delle spore responsabili di fenomeni di gonfiore dei formaggi. Omogeneizzazione: ad alta pressione per prodotti lattiero/caseari è nata alla fine del XIX secolo nell’industria del latte, per ottenere una qualità di prodotto costante e ripetibile nel tempo. Da allora è stata applicata ampiamente per i prodotti caseari,per migliorare la stabilità e la durata nel tempo. Lo scopo dell’omogeneizzazione ad alta pressione è quello di rompere la fase primaria dispersa di grossi globuli di grasso o olio di una sospensione inizialmente disomogenea e produrre una dispersione di globuli molto piccoli e simili per dimensione, utilizzando l’energia fluidodinamica generata dalla pressione. Nel caso di un’emulsione come il latte, la parte grassa o oleosa disponibile in globuli micronizzati per mezzo dell’omogeneizzazione ad alta pressione è quindi stabilizzata per evitare possibili fenomeni di coalescenza delle particelle e separazione per gravità.
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4. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: I CEREALI6 Il consumatore oggigiorno ha la necessità di apprendere il reale significato di una corretta alimentazione e di riconoscere e valorizzare i prodotti di qualità della propria regione di appartenenza. Una tra le linee guida emerse dalla ricerca, riportava l’attenzione del consumatore verso quei cibi, di produzione locale, facilmente acquistabili sfusi: ne sono un esempio la pasta, i cereali e i prodotti ortofrutticoli. Di seguito alcune indicazioni utili per fornire gli strumenti necessari a valutare il cibo, promuovendo un consumo sano, naturale e soprattutto consapevole. In età preistorica, gli uomini iniziarono a coltivare i primi cereali, dei quali si servivano per integrare una dieta principalmente costituita da prodotti della caccia e della raccolta di frutti spontanei. Dai reperti archeologici è emerso l’uso di pietre per la macinatura: si otteneva una sorta di farina, dall’aspetto scuro e granuloso, poi la si mescolava con l’acqua e si consumava l’impasto crudo. Probabilmente il caso volle che questo impasto, lasciato inavvertitamente vicino al fuoco, si indurisse e dalla cottura su superfici roventi nacque il primo pane senza lievito. All’antica civiltà egizia, in cui il pane rappresentò la base dell’alimentazione, si deve la fortunata scoperta dello lievito e la realizzazione dei primi forni in argilla. I Greci, pur utilizzando cereali di importazione, si specializzarono invece nelle tecniche di preparazione di focacce, i cui impasti venivano arricchiti 6 Contenuti estratti da “Sai quel che mangi” – Regione Piemonte per il Salone del Gusto 2010
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con olio, latte, vino o miele. Furono anche i primi a far passare la panificazione dalle mani delle donne a quella degli uomini: i fornai, infatti, lavoravano di notte per assicurare pane fresco per la mattina. Dalla Grecia l’arte del pane arrivò in Italia tramite gli schiavi; i Romani perfezionarono le tecniche di macinazione, istituirono forni pubblici e variegarono i tipi di pane con l’aggiunta di ingredienti diversi, diventando l’alimento per tutti. Parallelamente, procedette l’evoluzione dell’antenata della pasta: ripreso dai Greci, poi dagli Etruschi, il laganum latino definiva un foglio sottile di pasta, che veniva arrostita e tagliata a strisce per essere insaporita in pentola con legumi o verdure. Tra le tecniche di produzione che maggiormente hanno influito sulla creazione di farine, pane e pasta non sono da dimenticare gli aratri per dissodare i terreni agricoli, il mulino azionato dalla forza dell’acqua, poi integrata con il vento che andò a sostituire la forza umana o animale. E’ rinascimentale l’inserimento dello lievito di birra. Intanto la pasta divenne un alimento importante e pratico, data l’essicazione che si conservava a lungo nel tempo; l’industrializzazione delle produzione di pasta e pane consolidò i procedimenti produttivi portandoli fino ai giorni nostri. Sono cereali, ossia vegetali facenti parte delle graminacee: il frumento, il granoturco (mais), il riso, l’orzo, l’avena, il segale, il sorgo, il miglio, il panico. In Italia la cerealicoltura produce prevalentemente frumento (grano duro e tenero), mais, orzo e riso; in Piemonte la coltivazione di grano e granoturco avviene in
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moderne aziende mentre peculiarità del territorio è la coltura di riso specie a Vercelli e Novara, resa possibile da un sistema di irrigazione vastissimo e capillare. Tipologie di farine - Farine di grano tenero: è ricavata dalla macinazione del frumento tenero, cereale tra i più diffusi data la grande capacità di tollerare climi piuttosto rigidi. Rappresenta la farina convenzionale, quella di tipo 00 o fior di farina, utilizzata per produrre pane, pizza, prodotti di pasticceria e da forno. E’ priva di crusca e man mano che questa aumenta in percentuale si hanno le farine 0, 1, 2 e integrale, via via meno bianche. - Farine di grano duro o semola: con semola, caratterizzata dal color giallo, si indica il derivato del frumento duro, dopo la macinazione e l’abburattamento (separazione dalla crusca). E’ una tra le specie di cereali più antica, frutto di un’ibridazione che risale addirittura al Neolitico; è base per pane e pasta. Dal grano duro si ottiene il semolato, una farina di alta qualità artigianale, pulita dalle impurità della semola. - Farina di granoturco: originario dell’America centro-meridionale, il mais dal 1500 ha conquistato le coltivazioni italiane. La farina è diventata fondamentale per tutte le popolazione della Pianura Padana, ormai sinonimo di polenta; altro prodotto è l’amido di mais che assieme a quello di patate (fecola) viene invece utilizzato in cucina come addensante per salse. - Farina di segale: è un cereale antichissimo, cresce in zone temperate, seminato in
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autunno e raccolto al principio dell’estate. Tradizionalmente è impiegata nei Paesi dell’Europa centrale e orientale per produrre il pane nero, caratteristico anche dell’Alto Adige. - Farina di riso: si ottiene dalla macinazione del chicco di riso bianco ed ha un’elevata percentuale di amido; si utilizza per pasta e dolci ed è molto usata nella cucina orientale. - Kamut: prodotta in America, probabilmente da un antico cereale egizio, raffinata si usa per torte e pane, quella integrale per biscotti. - Manitoba: questa farina proviene da un grano originario del Canada e si tratta di un grano tenero e resistente al freddo, ricco di glutine e ideale per i dolci. PANE - Pane di farina di grano tenero: è il pane “bianco”, il più diffuso e che può assumere le forme più disparate; può essere miscelato con altre farine prendendo il nome di pane di segale o di riso o di granoturco… - Pane di farina di grano duro o semola: dal colore tendente al giallo si conserva a lungo ed è tipico delle regioni del Sud. Il pane di semolato è adatto invece per taralli e friselle. - Pane integrale: è prodotto con farina ricca di crusca, proveniente dal rivestimento del chicco di grano; è più scuro del pane bianco e ha un alto contenuto di fibre.
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- Pani speciali: si basano sul tipo di ingrediente che viene loro aggiunto; tra gli elementi consentiti: burro, olio di oliva, latte, strutto, zibibbo, uva passa, fichi, olive, noci, origano… Tecniche di preparazione - Impasto: è la fase in cui si assemblano gli ingredienti di base (farina, acqua, lievito e sale) e attraverso l’energia meccanica applicata per mescolarli si avvia il processo chimico-fisico in cui le proteine del cereale, gliadina glutenina, idratandosi formano il glutine che conferisce all’impasto elasticità. E’ in questo complesso che resteranno intrappolate le bolle di anidride carbonica durante la lievitazione durante la lievitazione. - Puntatura: a seconda della forza delle farine, ossia al contenuto di proteine, l’impasto viene lasciato a risposare più o meno a lungo ad una temperatura compresa tra i 22° e i 25° C.
Pane di farina di grano duro.
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- Spezzatura: l’impasto viene proporzionato e gli viene data una forma; la dimensione e il peso dei pezzi variano a seconda del gusto e della tradizione. Si può arrivare ai 3-4Kg delle pagnotte e dei filoni del sud fino a scendere ai 20g delle rosette milanesi. - Lievitazione: lievito naturale, o pasta acida, o biga, o di birra, o secco, svolgono tutti la stessa funzione di trasformare attraverso i loro enzimi e batteri gli zuccheri della farina in anidride carbonica e alcool etilico, in un processo di fermentazione che genera un gas all’interno dell’impasto che fa crescere il volume. - Cottura: l’azione del calore, a una temperatura solitamente compresa tra i 180° e i 200°C, serve a irrigidire la rete glutinica fermando così il volume e la forma data dall’impasto. In cottura gli lieviti sviluppano ancora fino ai 50°C poi muoiono, acqua e gas evaporano lasciano la mollica porosa, mentre gli zuccheri in superficie caramellano colorando la crosta.
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Pani e focacce locali/regionali - Valle d’Aosta: il pan ner è composto di farina di segale e di frumento, a volte arricchito con noci, uvetta o semi di finocchio. - Piemonte: la biova è diffusissima in tutta la regione, in pezzatura sia grande sia piccola, ha una mollica molto soffice e bianca. La focaccia di Novi, bassa e dorata, si lavora premendo i polpastrelli sulla superficie della pasta stesa e si condisce con olio.
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- Liguria: la focaccia classica di Genova, alta un paio di centimetri, presenta esterno croccante e interno morbidissimo. La galletta sottile tonda e bucherellata era il pane a lunga conservazione dei marinai. - Lombardia: rosetta, michetta o stellina bergamasca si prepara con farina 00 e una lunga lievitazione; dopo aver praticato ai panetti la caratteristica incisione a stella, rotonda e vuota all’interno. Il pane di riso deriva dall’antica tradizione delle mondine. Consumo e conservazione Per pane si intende un prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta lievitata, preparata esclusivamente con gli sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza l’aggiunta di sale. Sempre meglio scegliere un prodotto fresco rispetto ad uno precotto o surgelato. Il pane si conserva fragante per circa 12 ore anche se può variare a seconda del tipo di lievitazione; i lunghi periodi di lievitazione consentono conservazione più lunga e maggiore digeribilità. Il pane a lievitazione naturale di può conservare per alcuni giorni in un sacchetto di carta all’interno di uno di tela o altrimenti lo si deve riporre in freezer. La lievitazione industriale, comparsa a metà Ottocento, con l’uso dello lievito di birra, è molto breve e per tanto implica una veloce perdita di qualità del prodotto.
Diverse tipologie di pane.
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PASTA - Pasta di farina di semolato di grano duro o semola: è il prodotto ottenuto dalla trafilazione, laminazione e successivo essiccamento di impasti. - Pasta fresca all’uovo: è un prodotto tradizionale che conserva molta della sua artigianalità; a 1Kg di semola devono corrispondere almeno 4 uova intere di gallina. - Pasta fresca: rientra l’uso di diverse
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farine e l’umidità consentita sale fino al 30%; data la deperibilità del prodotto, la disciplina in merito alla conservazione è piuttosto rigida: si compra e si mangia. - Pasta integrale: è arricchita di crusca per apportare fibre alimentari. - Paste speciali: si basano sul tipo di ingrediente che viene loro aggiunto; tra gli elementi consentiti: spinaci, pomodoro, noce moscata, ripieni di vari ortaggi, formaggi, carne, pesce, uova. Tecniche di produzione - Macinazione: il grano raccolto e selezionato viene setacciato, poi macinato per separare il chicco dal germe e dalla crusca nel mulino. - Impasto e gramolatura: si mescola la semola con l’acqua e si sottopone a lavorazione meccanica per la creazione del glutine; con la gramolatura l’impasto viene reso omogeneo, elastico e lavorabile. - Trafilazione: la trafila è lo stampo per la produzione dei vari formati; l’impasto viene compresso in fori di varia foggia, che possono essere di rivestiti in bronzo (che rende le superfici ruvide e adatte ai sughi) o in teflon ( che rende le superfici perfettamente lisce). - Laminazione: alternativa alla trafilazione, utilizza cilindri che riducono la pasta in sfoglia.
Pasta fresca all’uovo.
- Essiccamento: è una fase molto delicata perché la pasta deve essere portata
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dal 30% di umiditĂ al 12,5% previsto dalla legge; ad aria calda dura dalle 5 alle 40 ore. Segue il raffreddamento a temperatura ambiente. Forme di pasta - Pasta lunga: a sezione tonda (bigoli, spaghetti, vermicelli, capellini, fidelini), con il buco al centro ( bucatini, perciatelli, ziti), a sezione quadrata (spaghetti alla chitarra, tonnarelli), a sezione rettangolare o a lente (bavette, fettuccine, linguine, reginette, pappardelle). - Pasta corta: cavatelli, conchiglie, farfalle, fusilli, gnocchetti, maltagliati, maniche e mezze maniche, orecchiette, penne e pennette, sedani, strozzapreti, tortiglioni. - Pasta in nidi o matasse: fettuccine, paglia e fieno, lasagne, pappardelle, tagliatelle, taglioni.
Lavorazione dei tortellini ripieni.
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- Pasta minuta: alfabeto, anelli, conchigliette, ditali, filini, puntine, stelline. - Pasta ripiena: agnolotti, anolini, cannelloni, tortellini, cappelletti.
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5. QUALITA’ E BENESSERE A TAVOLA: LA FRUTTA7 L’agricoltura nasce nel Neolitico, con il passaggio dalla vita nomade alla fissa dimora; la poca disponibilità di cacciagione e frutti selvatici, condusse probabilmente l’uomo a intraprendere l’attività agricola. I popoli della Mesopotamia avevano a disposizione una grande varietà di frutti: mele, prugne, noci, cocomeri, datteri e fichi; gli orti di Babilonia erano famosi per i limoni, le arance, i pistacchi, le albicocche e altri frutti poi giunti in Occidente molti secoli più tardi. Sulle tavole dei Romani a frutta si offriva a fine pasto ed era considerata molto importante e anche in quei tempi non veniva consumata solo fresca ma anche per la produzione di marmellate e dolci. Nel Rinascimento la frutta venne utilizzata per raffinate composizioni poi narrate e descritte artisticamente da numerosi pittori. Già nell’Ottocento i prodotti frutticoli italiani erano famosi oltreconfine e parecchi esemplari come pere e mele viaggiavano verso mercati come l’Egitto o la Germania. La più accentuata industrializzazione dell’agricoltura nella storia è avvenuta negli anni Ottanta ma parallelamente già cominciava ad emergere una nuova domanda di prodotti biologici o di impronta regionale. Oggi l’agricoltura biologica e locale come abbiamo visto è un valore da recuperare e da elevare al primo posto nelle scelte di consumo.
7 Contenuti estratti da “Sai quel che mangi” – Regione Piemonte per il Salone del Gusto 2010
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Classificazione La frutta costituisce uno degli alimenti più preziosi che la natura abbia regalato all’uomo: ricca di vitamine, sali minerali, zuccheri, ma preziosa anche per il sapore, la bellezza delle forme e dei colori. Esiste innanzitutto una classificazione che si riferisce alle colture frutticole (pomacee, drupacee e rutacee), ma da queste categorie sono esclusi i frutti provenienti da colture orticole (fragola, cocomero, melone) o da altre piane (uva, mora, ribes). La classificazione più conosciuta divide la frutta dal punto di vista nutrizionale in: polposa, farinosa e oleosa. La categoria polposa comprende la maggior parte dei prodotti (pesche, fragole, mele, pere, lamponi, agrumi) ed è quella con il più alto contenuto di acqua, variante dall’80% di mandarini e melograni al 95% di anguria e melone, povera di grassi e di proteine. In Italia la frutta farinosa comprende solo le castagne mentre per frutta oleosa si intendono arachidi, noci, nocciole, mandorle e pinoli; è molto energica e calorica per cui bisogna controllarne il consumo. Tecniche di produzione Le tecniche colturali utilizzate per la gestione di colture frutticole sono l’irrigazione, la concimazione, la potatura e la difesa da agenti atmosferici che potrebbero comprometterne la crescita. Trascurare gli alberi da frutto significa condannarli a un precoce deperimento ed è necessario effettuare potature periodiche. Le pratiche colturali sono comunque molto diverse a seconda dei frutti, del tipo di terreno, del clima e della fertilizzazione.
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Consumo e conservazione “Una mela al giorno toglie il medico di torno” rappresenta il benessere dovuto al consumo di frutta. Ogni frutto contiene proprietà nutritive da soddisfare il bisogno quotidiano di vitamine, sali minerali e molti altri elementi utili al corpo umano per mantenersi in forma, in salute. E’ necessario però consumare sempre frutta fresca: dal momento della raccolta, la frutta perde gradualmente il contenuto di vitamina C e i prodotti consumati fuori stagione a
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volte sono meno ricchi di proprietà nutritive dato che percorrono distanze troppo lunghe o in condizioni di temperatura non idonee. Inoltre, molti di questi prodotti vengono coltivati in serra e sottoposti a concimazione abbondante o addirittura in coltivazioni senza terreno dove le piante vengono alimentate con soluzioni dirette di sostanza nutritive. L’aspetto visivo, le dimensioni, la consistenza, il colore ed il profumo sono elementi fondamentali per la buona scelta della frutta fresca. La temperatura giusta per una corretta conservazione è di 4/5°C, ma si deve ricordare che a mano a mano che trascorro i giorni si vanno a perdere le proprietà nutritive ed è quindi bene proporzionare gli acquisti ai consumi, di giorno in giorno. Per godere appieno delle qualità organolettiche della frutta bisogna quindi preferire i prodotti locali e seguire il percorso della stagionalità.
Fragole nei mesi estivi.
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6. QUALITA’ E BENESSERE IN TAVOLA: LA VERDURA8 Le prime verdure comparvero sulle tavole 5000 anni fa, a partire dall’economia stanziale dell’uomo che porto le donne a coltivare nei piccoli orti intorno ai villaggi mentre gli uomini erano a caccia. Basata dapprima sulla manipolazione di piante selvatiche, si passò poi alla coltivazione voluta dei prodotti della terra. I popoli della Mesopotamia sperimentarono per primi la cottura delle verdure, non sapendo ovviamente che così facendo enzimi, vitamine e sali minerali andavano perdendosi nell’acqua di bollitura. Furono però i Greci ad addomesticare maggiormente la natura per produrre i frutti dell’agricoltura e così i Romani che si ritrovarono a mangiare numerosissimi e diversi tipi di ortaggi. Con il procedere dei tempi e la diffusione dei mercati, si attivarono gli scambi e di conseguenza la convenienza dei proprietari di far fruttare le proprie terre. I navigatori portarono in Europa varietà sconosciute come le zucchine, il mais, il pomodoro, gli spinaci e le patate e nel giro di due secoli entrarono a far parte delle coltivazioni nostrane. In questi ultimi anni si sono viste sugli scaffali primizie e tardizie di ogni genere, spesso provenienti da luoghi lontani, ma oggi vi è la tendenza opposta a preferire cibi locali e stagionali, prodotti direttamente dagli agricoltori di zona. Classificazione Ogni varietà di verdura presenta aspetti specifici e complementari che possono es8 Contenuti estratti da “Sai quel che mangi” – Regione Piemonte per il Salone del Gusto 2010
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sere classificati in diversi modi; tra questi la classificazione per colore: - Giallo/arancio: contengono il betacarotene che diventa vitamina A, le vitamine del gruppo B, C, E nonché sali minerali e amidi. Peperoni, carote e zucche vi appartengono. - Bianco: è dovuto a composti come la quercetina, sono alimenti ricchi di vitamine, sali e fibre. Ne sono un esempio l’aglio, l’asparago, la barbabietola, il cardo, la cipolla, i legumi, la patata, il porro e il sedano. - Blu/viola: appartengono a questa categoria le melanzane e il radicchio che hanno proprietà antiossidanti, dovuto al contenuto di antocianine. - Rosso: non può non far pensare al pomodoro. - Verde: ne fanno parte le zucchine, i broccoli, i cavoli, gli spinaci, i carciofi, i fagiolini e l’insalata che hanno un basso contenuto energetico e sono ricchi di fibre e caroteni. Consumo e conservazione Allo scopo di incrementare in quantità e in qualità la produzione vegetale, l’uomo ha individuato nei secoli processi come la fertilizzazione, l’irrigazione, l’ibridazione, capaci di modificare le condizioni di un terreno e migliorare la qualità del prodotto e quindi la produzione. Cura e attenzione nel lasciar riposare il suolo sono fondamentali per migliorare la resa di un terreno, come lo è anche il variare le colture sullo steso appezzamento coltivato per parecchi anni. Le verdure nascono utilissime proprietà: 100g di cetrioli forniscono il 10% del fab-
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bisogno giornaliero di vitamine dei gruppi B e C; 130g di piselli coprono il fabbisogno di vitamina C; le zucchine è una fonte di potassio (10%), vitamina A (10%) e acido folico. Sono tutte vitamine utili al nostro organismo per rigenerarsi e produrre nuove cellule. Gli ortaggi sono alimenti fondamentali per tutte le diete; la cottura al vapore è uno dei modi migliori per cuocerli perché trattengono tutti i sali minerali e gli altri fattori indissolubili come le vitamine B e C. Ideale
Carciofi nei mesi invernali.
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sarebbe consumare verdura cruda o al limite in umido. Anche scegliere la verdura di stagione è un comportamento utile a non perdere le caratteristiche nutrizionali dei cibi; è più genuina perché non ha subito maltrattamenti e soprattutto è stata raccolta a maturazione compiuta.
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7. QUESTIONARI SUI PUNTI DI VENDITA Per analizzare meglio lo scenario di appartenenza del consumatore consapevole con l’obiettivo di delineare le linee guida per un punto vendita adatto alle sue particolari esigenze, si è reso necessario studiare da vicino alcuni casi che potessero avvicinarsi maggiormente ai suoi reali bisogni. Il voler riportare la spesa su scala più piccola e su quantitativi ridotti, nonché più giusti, e ad un rapporto più diretto con il personale addetto alla vendita o con le produzioni locali, si è pensato di orientare le proprie analisi verso quei punti vendita della grande distribuzione organizzata (GDO) più simili ai negozietti di vicinato. Ne sono risultati utili alle ricerche sostanzialmente quattro: - Carrefour Express - Compro Qui - Conad - Crai Seguono le considerazioni effettuate sui casi di interesse, ognuno dei quali descritto e completato con veri e propri report su otto concetti principali. CARREFOUR EXPRESS Carrefour è una società francese operante nella grande distribuzione organizzata a livello internazionale. Il suo marchio rappresenta il secondo più grande gruppo al dettaglio nel mondo in termini di reddito e vendite dopo l’americana Wal-Mart ed il primo a livello europeo. Il nuovo Carrefour Express ha preso da poco il posto dei DìperDì: pensato apposta per la spesa
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sotto casa, si è cercato di rendere il punto vendita alla pari di un qualsiasi negozietto di fiducia in cui trovare personale fidato, quello che si conosce per nome, ma allo stesso modo tutti gli stessi servizi della grande catena. Carrefour Express - Via Mazzini 1 - 10087 Valperga (TO) 1. Libertà nella scelta dei prodotti: i prodotti imposti dalla catena Carrefour sono oltre il 70%; questo significa che la possibilità di scelta di prodotti diversi dal catalogo, come quelli locali, pane o latte, per questi punti vendita è notevolmente limitata. 2. Luoghi di rifornimento merce: per i prodotti confezionati e scatolame si rivolge a Rivalta (TO); per i prodotti freschi a Venaria (TO); per i surgelati a Massalengo (LO). I restanti prodotti sono reperibili in zona ma non è detto che siano di produzione locale. 3. Reparto ortofrutta, provenienza e rifornimento merce: l’intero rifornimento di frutta e verdura viene ordinato e spedito a nome Carrefour da CAAT di Torino. 4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: per tutti i reparti di prodotti freschi la filiera è imposta con fornitori regionali prestabiliti; una piccola parte di prodotti può essere scelti da produzioni della zona. 5. Informazioni, etichette, ingredienti: rispettano le normative alimentari di base ma è difficile trovare prodotti con etichette di filiera o marchi biologici nello stesso scaffale. 6. Produzione propria: non viene presa in considerazione. 7. Prodotti locali, provenienza e comunicazione: sono presenti pochi prodotti locali
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nel reparto panetteria e manca del tutto la comunicazione. 8. Invenduto, prodotti scaduti: 20 giorni prima della data di scadenza viene effettuato un ribasso sui prezzi e visualizzato tramite un cartellino apposta; il ritiro dell’invenduto avviene da parte di fornitori diretti. COMPRO QUI Compro Qui è un’iniziativa di Docks Market9: rappresenta la possibilità per i piccoli imprenditori di appoggiarsi ad un grande gruppo internazionale. In un panorama commerciale sempre più dominato dalla grande distribuzione, rappresenta una buona soluzione per i commercianti per poter mantenere il proprio negozio in città, sfruttando gli stessi mezzi di comunicazione e di promozione dei super e ipermercati. In questi punti vendita infatti è possibile mantenere piena indipendenza, mantenendo la conoscenza della zona e delle persone, la vicinanza ai propri clienti di sempre, il rapporto cordiale e personale. Il semplice negozio di paese diventa di conseguenza più assortito e soprattutto più frequentato: un piccolo supermarket, con tutta l’atmosfera e la cordialità del negozio tradizionale. Compro Qui - Via Martin Peretto - 10083 - Favria (TO) 1. Libertà nella scelta dei prodotti: si ha il 100% di libertà sulla scelta dei prodotti, nessun vincolo di vendita con nessun marchio. 9 Grande specialista dell’ingrosso con 50 anni di tradizione, professionalità ed esperienza nel settore del cash and carry, punto di riferimento per tutti gli operatori commerciali del Nord Italia . Il marchio DocksMarket è stato istituito nel 1992. (www.docksmarket.it)
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2. Luoghi di rifornimento merce: i rifornimenti avvengono presso il Docks Market di Torino. 3. Reparto ortofrutta, provenienza e rifornimento merce: presso il Docks Market di Torino. 4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: per i prodotti da forno come pane e grissini si rifornisce presso aziende della zona; per i vini da un fornitore di Asti. 5. Informazioni, etichette, ingredienti: tutti i prodotti di largo consumo in vendita presentano la stessa tipologia di etichetta (tipica dei prodotti confezionati da supermercato); non sono presenti prodotti biologici o senza glutine e la comunicazione è molto scarsa. 6. Produzione propria: non viene presa in considerazione. 7. Prodotti locali, provenienza e comunicazione: non viene presa in considerazione. 8. Invenduto, prodotti scaduti: viene buttato via tutto. CONAD Conad è la sigla del Consorzio Nazionale Dettaglianti. Ha sede centrale a Bologna ed è formato attualmente da 8 cooperative di dettaglianti operanti in tutte le regioni italiane: è la più grande organizzazione cooperativa italiana di imprenditori indipendenti. Etica d’impresa e responsabilità sociale sono nel patrimonio genetico di Conad, in quanto principi fondanti della realtà cooperativa. Da oltre quarant’anni mette in pratica valori come solidarietà, partecipazione e dialogo con la comunità. Le ragioni sono evidenti: un grande sistema cooperativo è un buon interlocutore per la
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collettività. I punti vendita Conad, dai supermercati ai piccoli negozi, sono gestiti solitamente da imprenditori indipendenti a cui per tanto viene data molta libertà sulle politiche di vendita. Conad - Via Caporal Cattaneo -10083 Favria (TO) 1. Libertà nella scelta dei prodotti: c’è piena autonomia su tutti i prodotti anche quelli a marchio Conad; si hanno però dei premi fedeltà se si mantengono le offerte di marchio e di conseguenza vengono presentate tutte. 2. Luoghi di rifornimento merce: il rifornimento avviene su ordinazione dal centro distributivo (CEDI) di Vercelli. 3. Reparto ortofrutta, provenienza e rifornimento merce: i prodotti ortofrutticoli provengono da tutt’Italia, basta scegliere dai tabulati di listino. 4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: si affida a 4/5 panettieri scelti dal gestore, il reparto gastronomia presenta prodotti della regione e un particolare marchio Conad, Sapori&Dintorni. Le carni derivano da allevamenti francesi poi cresciuti e macellati a Cuneo. 5. Informazioni, etichette, ingredienti: non si riscontrano etichette o informazioni diverse dagli standard industriali. 6. Produzione propria: non viene presa in considerazione. 7. Prodotti locali, provenienza e comunicazione: a parte i prodotti a marchio Sapori&Dintorni che puntano sulla qualità e sulla tradizione regionale italiana, la comunicazione è standardizzata come in tutti i punti vendita della GDO. 8. Invenduto, prodotti scaduti: 10 giorni
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prima della data di scadenza viene applicato un cartellino con scritto “che prezzi!!” ma non ne viene comunicato il motivo. I restanti prodotti invenduti vengono ritirati ed eliminati da imprese apposite. CRAI Anche Crai (Commissionarie Riunite Alimentaristi Italiani) rappresenta una società cooperativa di dettaglianti. E’ una rete di supermercati e negozi alimentari che si distinguono per l’atmosfera familiare, per l’assistenza del personale, per un modo di fare la spesa moderno ma al tempo stesso ancorato alle tradizioni, in quanto su misura, sia nei rapporti con la clientela che nella qualità e varietà dei prodotti offerti. Per ogni esigenza c’è un Crai corrispondente: dal supermercato alla superette, fino al piccolo negozio, tutti uniti dall’attenzione al servizio e dall’offerta di prodotti genuini e di qualità. I proprietari dei punti vendita Crai hanno infatti pieno potere sulla scelta dei prodotti da offrire ai consumatori, potere che permette loro di innalzare il livello qualitativo dei prodotti in vendita e di assecondare le nuove esigenze in crescita. Crai - Via Chiaventone, 10 - 10080 Salassa (TO). 1. Libertà nella scelta dei prodotti: i proprietari hanno libertà assoluta su tutti i prodotti tranne su quelli a marchio Crai; unico obbligo è infatti quello di presentare periodicamente le offerte del marchio. 2. Luoghi di rifornimento merce: avviene mensilmente presso il CODE’ di Leinì attraverso la lettura elettronica dei codici dei prodotti da un catalogo di oltre 20.000 articoli.
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3. Reparto ortofrutta, provenienza e rifornimento merce: il rifornimento orto-frutticolo avviene più volte durante la settimana autonomamente presso il CAAT di Torino; questa autonomia permette al gestore di scegliere i produttori in base alla qualità e per questo spesso i prodotti sono di aziende agricole della zona. Ogni prodotto ha indicazioni sia sulla provenienza che sulle sostanza contenute in esso ma non sono comunicati chiaramente. 4. Reparto pane, gastronomia, formaggi, macelleria: il pane è garantito da 5 fornitori locali, la gastronomia e i formaggi da aziende nei dintorni. Il reparto macelleria offre carni, salumi e semilavorati da un produttore in provincia, non molto distante dal punto vendita (15Km). 5. Informazioni, etichette, ingredienti: ci sono molti prodotti con un etichettatura particolare (biologici, senza glutine, eco, regionali, etc..) ma sono un po’ sparsi per gli scaffali. 6. Produzione propria: esiste una produzione propria di frutta e verdura, di loro proprietà, ma non viene messa in evidenza. Viene consigliata solo ai clienti di fiducia che non danno importanza all’aspetto estetico dei prodotti ma preferiscono comprare la qualità. 7. Prodotti locali, provenienza e comunicazione: molti sono i prodotti locali e regionali offerti ai consumatori, ma troppo spesso non sono comunicati o mescolati ai classici prodotti confezionati. Ne sono un esempio le brioches, i biscotti, i prodotti freschi e la pasta. 8. Invenduto, prodotti scaduti: viene applicato un bollino rosso sui prodotti in scadenza, ma spesso sono i proprietari stessi a consumare i prodotti pur di non sprecarli.
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Conclusioni Dai riscontri nei vari sopralluoghi presso i punti vendita di interesse, è emerso come nelle piccole realtà commerciali il ruolo del proprietario/gestore sia di fondamentale importanza per adattare l’offerta secondo i nuovi modelli di consumo. Confrontando i casi precedenti, si mette in evidenza come l’influenza dalla grande distribuzione organizzata sia in taluni casi a dir poco irrilevante: tra tutti, il caso Crai è forse il più eclatante dato che, oltre al solo obbligo di presentare le offerte di marchio, su tutto il resto ha avuto il coraggio di portare avanti i propri valori. Ricerca autonoma della qualità nei prodotti ortofrutticoli, incentivi alle produzioni locali per tutto ciò che riguarda il fresco, umile presentazione della propria produzione famigliare, attenzione per il biologico piuttosto che per i detersivi eco sono tutti elementi che aprono nuove speranze verso quello che dovrebbe essere il punto vendita per il consumatore consapevole.
0. FONTI
bibliografia e sitografia
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POLITECNICO DI TORINO FACOLTAâ&#x20AC;&#x2122; DI ARCHITETTURA I Corso di Laurea Magistrale in ECODESIGN
Tesi di Laurea
UN NUOVO MODELLO DI CONSUMO: il punto vendita per il consumatore consapevole
Relatore: Luigi Bistagnino Candidate: Silvia Capuano Annachiara Guerra Sara Munulli
Dicembre 2010
...dove sono andati a finire i giorni in cui tutto quello che facevamo era giocare? e lo stress a cui eravamo sottoposti non era per niente stress una semplice corsa e un salto in una caduta innocua mentre scendevamo da un palazzo molto alto ad una piazza che era un punto di riferimento vedi milioni di persone con milioni di interessi ed io lotto con il treno per tornare a casa guardo le persone mentre siedono lì da sole... These Streets - These Streets (2006), Paolo Nutini Siamo arrivate, abbiamo tagliato questo traguardo che apre il via ad un nuovo ancor più lungo tragitto: ci tocca crescere. Rimpiangeremo questi momenti, queste aule e i docenti... tutto quello che abbiamo spesso anche criticato ma che tanto ci ha dato. Questa tesi è dedicata all’amicizia... alla nostra amicizia che tra queste mura è nata e sempre tra queste mura ci ha permesso di avere tantissime cose da ricordare e di cui ridere insieme. Grazie ad ognuna di noi per aver sopportato l’altra nei momenti di sconforto, grazie di aver avuto sempre il rispetto e la correttezza durante i lavori fatti insieme e la voglia di tirarsi vicendevolmente quando la retta via era smarrita. Grazie a questa amicizia che ci dà modo di credere l’una nell’altra e di sapere che “noi ci siamo sempre”. Grazie alle nostre famiglie: mamma, papà e fratelli (per chi ne ha)... nonni “ufficiali” e nonni “acquisiti”, morosi (Umberto e Patrizio) e amanti (non di chi ha i morosi), zie e cuginette, amici cari che han sopportato le nostre continue lamentele e crisi di nervi (Elena, Sabrina, Lolli, Pacicca, Pulpetta, Silvia & Dave, Paola, Fatima e tutto l’ufficio tecnico ILTI ... e a chi tante parole e anche lacrime si è sorbito). Un ringraziamento speciale a Leandro, al Crai di Salassa, ai compagni di corso e ai nostri dottorandi di fiducia nonchè angeli custodi Veronica & Andrea: ci avete illuminate nei momenti più bui. Ora rimbocchiamoci le maniche e asciughiamoci gli occhi lucidi perchè adesso arriva il bello!
Con affetto infinito
Silvia, Anna e Sara