Architettura come prodotto di ricerca Linee guida per la valutazione del progetto A cura di: Luigi Arcopinto, Andrea Ariano e Francesco Calabretti Comitato scientifico: Roberta Amirante, Alessandra Capuano, Orazio Carpenzano, Piero Ostilio Rossi Collana: «Gli Strumenti» Direttore: Antonino Saggio Redazione: Andrea Ariano, Selenia Marinelli, Valerio Perna Indirizzo: nITro, Piazza Grecia 61, 00196 Roma tel. 0697615923 In copertina: Ettore Sottsass, Metafore, 1972-1979 Prima edizione maggio 2020 ISBN: 9781716953255 Editore: Lulu.com, Raleigh, NC USA Distribuzione internazionale: Lulu.com, Amazon.com «Gli Strumenti» vuole fornire elementi di riflessione conoscitiva e teorica nei campi della scienza contemporanea, del pensiero, dell’arte, dell’urbanistica, dell’architettura e della produzione di oggetti per spingere il lettore alla ricerca di nuove direzioni del proprio operare.
A cura di Luigi Arcopinto, Andrea Ariano e Francesco Calabretti
Architettura come Prodotto di Ricerca Linee guida per la valutazione del progetto
Seminario Linee di Ricerca Dottorato di Ricerca in Architettura. Teorie e Progetto Dipartimento di Architettura e Progetto Facoltà di Architettura “Sapienza” Università di Roma
Prefazione di Antonino Saggio
Indice
Prefazione Antonino Saggio
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Introduzione Luigi Arcopinto, Andrea Ariano e Francesco Calabretti
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Teoria Architettura e ricerca Quattro conversazioni
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Roberta Amirante Orazio Carpenzano Piero Ostilio Rossi Alessandra Capuano
29 37 47 53
Metodo Dalla teoria alla pratica Uno strumento di valutazione critica
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Una proposta per la valutazione del progetto di architettura
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Linee guida per la compilazione della Scheda valutativa
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Linee guida per la redazione del Testo critico
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Prodotti Tra corporeo e incorporeo Esperienze di autovalutazione
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Tevere Cavo Ecos Urbanos I libri che hanno fatto l’Europa The Egg Mycelium Shell Locus Solus Palestina Palazzo Yacoubian
77 85 93 101 109 117 123 131
Bibliografia essenziale
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Glossario
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Indice dei nomi
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Prefazione Antonino Saggio
Sono lieto della pubblicazione di Architettura come Prodotto di Ricerca. Linee guida per la valutazione del progetto a cura del gruppo dei dottorandi del XXXV ciclo che ha seguito il mio seminario “Linee di ricerca” nei mesi di gennaio e febbraio 2020 all’interno del Corso di dottorato in Architettura. Teorie e progetto. Molte sono le ragioni e le voglio qui esplicitare. Una serie di lavori La prima è il fatto stesso di continuare una tradizione che è cominciata nel 2012 con la pubblicazione di Nuovi Sguardi su Roma.1 Il libro sviluppava un lavoro compiuto in un gruppo di dottorandi che si occupava della città di Roma e contemporaneamente utilizzava la lettura critica di progetti di architettura svolta nel seminario del professore Marcello Pazzaglini. Il secondo libro fu pubblicato nel 2013 e nasceva da una profonda crisi: la scomparsa di Alessandro Anselmi. Con i dottorandi del XXVIII ciclo e il professor Franco Purini fu organizzato ad un solo mese dalla morte un convegno in cui invitammo i compagni di strada di Anselmi. Naturalmente i membri del Grau, ma anche alcuni architetti più giovani a lui molto legati, come Francesco Cellini, o più anziani come Paolo Portoghesi. Aa.Vv., Nuovi sguardi su Roma. letture critiche di architettura contemporanea, a cura di Ciresi F., De Simone I., Maricchiolo L., Roma C., Nulla Die edizioni, Piazza Armerina 2013 1
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Tutti i pezzi furono sbobinati dai dottorandi e revisionati degli autori. Ciascun dottorando scrisse anche un “frammento” sull’opera di Anselmi. Pubblicammo il libro e lo presentammo al Maxxi.2 In questa occasione Giovanna De Sanctis Ricciardone tenne una profonda ed appassionata testimonianza sul marito che, per ovvie ragioni, non poteva fare a trenta giorni dalla scomparsa. Grazie alla tenacia di un amico comune, l'architetto Paolo Grassi, riuscimmo ad avere la registrazione audio che fu trascritta, riletta e arricchita da immagini, anche inedite. Questa testimonianza ci è sembrata talmente importante da indurci a pubblicare una nuova edizione. L’anno dopo, il Maxxi ospitò una mostra installazione di Ben van Berkel, uno dei più importanti architetti contemporanei che lavora sull’influenza della Rivoluzione informatica in architettura. Organizzammo un nuovo convegno, sempre al Maxxi nel quale invitammo autori di pubblicazioni su UNStudio e dallo studio di Rotterdam venne Filippo Lodi, un architetto italiano, che tenne un workshop sui processi creativi in UNStudio. L’esito di questo simposio e del workshop rifluirono in un nuovo libro.3 Ciascun intervento dei relatori al convegno divenne l’apertura di una delle cinque sezioni del volume: diagramma, struttura, modello, pelle e ibridazione. I dottorandi scrissero per ogni parola chiave un saggio. Credo che il volume rappresenti un contributo di spessore metodologico sul lavoro di UNStudio. Successivamente creammo un libro atipico. 4 Si articolava sulla base del contributo di tre conferenzieri, molto diversi, che parlarono nel nostro seminario attraverso delle parole chiave. Il primo fu l’architetto e artista Giovanna De Sanctis Ricciardone. La parola rilevatrice fu “Cosmo”. Il secondo fu l’intervento dell’architetto e professore Luigi Franciosini che si focalizzò sulla parola “Materia”. La terza conferenza non riuscì bene, e allora intervenni io con una serie di parole chiave che caratterizzano il mio approccio. Forse la parola più pregnante fu “Cultura”. I dottorandi scrissero per ciascuna sezione dei saggi di approfondimento scegliendo un angolo di visione del tutto particolare. Sono molto diversi tra loro e interessanti. Aa.Vv., Alessandro Anselmi Frammenti di futuro, Quaderni del Dottorato di Ricerca in Architettura. Teorie e progetto, a cura di Angelini R., Caramia E., Molinari C., Edizioni Lulu.Com, Raleigh 2013 3 Aa.Vv., UNStudio Diagramma struttura modello pelle ibridazione, a cura di De Francesco G., Ghazi E., Santarelli I., Edizioni Lulu.Com, Raleigh 2015 4 Aa.Vv., Roma: cosmo materia cultura a cura di Baldissara M., Montori M., Piccinno T. M. M., Edizioni Lulu.Com, Raleigh 2016 2
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Il quarto libro sviluppò un seminario sui metodi di insegnamento della progettazione. 5 L'imprinting fu “Sceneggiature delle scelte concrete” che stava ad indicare la volontà di analizzare e trasmettere i meccanismi alla base di un progetto di architettura. Il libro iniziò con la trascrizione di una mia lezione al seminario sul College Bryn Mawr di Louis Kahn. Seguirono dei saggi dei dottorandi su opere di architettura realizzate. L’analisi arrivava sino alla creazione di plastici critici che in gergo erano chiamati “scacchiere”. Non erano infatti plastici di interpretazione formale o plastica - tutti ricordano quelli redatti dagli studenti veneziani di Bruno Zevi per la mostra “Michelangelo architetto” - ma erano piuttosto dei plastici “parametrici”. Erano redatti cioè per capire il margine di variazione compatibile con l’assunto sintattico dell’opera analizzata. Il rapporto tra didattica frontale e ricerca dei dottorandi fu attuato con delle vere lezioni rivolte agli studenti del Laboratorio di progettazione al IV anno della nostra Facoltà. Veniva cosi ad attuarsi una circolarità Ricerca-Scrittura-Insegnamento. Ed era un ciclo che si ripeteva nella scrittura della dissertazione (che utilizzava in alcuni casi l’esperienza didattica), produceva nuove ricerche e nuove scritture in relazioni a convegni o nella stessa dissertazione. Alcuni dottorandi sono oggi docenti e continuano il processo in nuovi “loop”. L’ultimo libro nasceva da una criticità. I dottorandi non avevano nessuno strumento sistematico per conoscere le dissertazioni redatte nel Corso di Dottorato di ricerca da loro stessi frequentato. In alcuni casi proponevano un tema senza sapere che in uno dei cicli precedenti era stato affrontato lo stesso identico argomento. I dottorandi del seminario lavorarono di conseguenza a uno spoglio sistematico di tutte le dissertazioni redatte in quasi trent’anni, molte per fortuna conservate nella nostra Biblioteca di Dipartimento. Le dissertazioni furono raggruppate in tre macroaree: la prima a carattere Metodologico, la seconda a carattere Tematico e la terza a carattere Geografico. Ciascuna macroarea aveva cinque o sei sottocategorie. Era così molto agevole individuare l’ambito di interesse ed accedere alla dissertazione pertinente ai propri interessi. Il regesto con i link ai pdf e la collocazione in biblioteca fu reso disponibile via internet nelle pagine del Dipartimento e nelle mie personali, ed è diventato poi un libro attraverso la redazione, accanto al regesto, anche di 34 saggi-recensioni. Ciascuna aveva per oggetto una dissertaAa.Vv., La sceneggiatura delle scelte concrete, processi e metodi della progettazione architettonica, a cura di Perna V. , Stancato G., Edizioni Lulu.Com, Raleigh 2017 5
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zione vicina agli interessi dei dottorandi del seminario. Di nuovo una circolarità: tra dissertazioni già redatte e lavoro da compiere, una circolarità sottolineata da una intervista che il dottorando tenne con l’autore della dissertazione. Il libro è stato appena ampliato agli ultimi tre anni e trova posto oggi in questa stessa collana.6 E siamo così arrivati a questo ultimo libro che riprende e rilancia, dopo tre anni di pausa, questo lavoro collettivo. La decisione di pubblicarlo in questa collana, che ha un taglio dichiaratamente interdisciplinare ed è iniziata con un libro sul pensiero di Albert Einstein, è stata voluta dai dottorandi stessi del seminario auspicandone la lettura non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per altri studiosi che si interrogano sullo statuto di una disciplina come l’architettura. Architettura e ricerca Nel dicembre del 2016, ormai prossimo alla fine del secondo mandato di coordinatore, con i dottorandi del XXXIII coadiuvati dai dottorandi di cui ero Tutor, fu organizzato il “Iº simposio del Dottorato di ricerca in Architettura Teorie e progetto”.7 Seguì una struttura complessa con relatori nazionali ed internazionali, con interventi di esperti e di molti docenti del Collegio, con la presentazione di alcune dissertazioni esemplari e di molti seminari e che durò per tre giornate intere di lavori. Vi era materiale non per uno, ma per almeno tre libri. E invece nessun libro scaturì da questo simposio. Quando si fallisce forse si dà anche maggiore luce a quanto si è riusciti a fare. Tuttavia non aver affrontato un argomento, di cui si era discusso al convegno, era particolarmente urgente. Ciò riguarda il grande problema di come trattare il progetto come prodotto di ricerca, ovvero come affrontare la grande crisi che gli architetti hanno nel far comprendere la specificità della loro disciplina nella comunità universitaria. Uno dei gruppi di lavoro era più avanzato e aveva anche redatto in bozza alcuni materiali. Decisi allora di lavorare con il nuovo seminario tra il gennaio e febbraio del 2020 proprio a questo tema, ed ecco il libro che avete tra le mani. Il volume riprende la struttura di alcuni dei Aa.Vv., Linee di ricerca. Dissertazioni del Dottorato in Architettura - Teorie e Progetto 1986-2020, a cura di Ficcadenti F., Marinelli S., Edizioni Lulu.Com, Raleigh 2020 7 Da questa pagina si può accedere all’audio integrale al programma e alla registrazione audio integrale dei lavori http://www.arc1.uniroma1.it/saggio/PhD/Lectures/Simposios2017.htm 6
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precedenti. Quattro saggi-interviste di esperti nella maniera delimitano un terreno teorico. Innanzitutto la professoressa Roberta Amirante che ha scritto un libro importante sull’argomento, appunto il Progetto come prodotto di ricerca. Un’ipotesi (LetteraVentidue, 2018), il professor Piero Ostilio Rossi che se ne è occupato sia nel suo lavoro pubblicistico che in varie sedi istituzionali, la professoressa Alessandra Capuano che ha rivestito ruoli decisionali nell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e delle ricerca) e il professore Orazio Carpenzano che riveste un doppio ruolo: da una parte quello di un accademico che ha una sensibile produzione architettonica e dall’altra quello di essere fortemente interessato ad aspetti metodologici e di essere oggi il Coordinatore del Dottorato di ricerca in Architettura. Teorie e progetto. Il presente libro raccoglie in maniera molto approfondita i punti di vista degli autorevoli esperti nella prima parte chiamata Teoria, nella seconda parte approfondisce diversi aspetti di Metodo che il gruppo di lavoro propone, infine presenta dei Prodotti, cioè dei progetti, valutati attraverso la Scheda valutativa e il Testo critico, aspetti qualificanti del nostro lavoro. Si forniscono solo dei cenni per la struttura dell'Appendice bibliografica e si omette la Relazione grafica e testuale del progetto. Questi quattro elaborati rappresentano, insieme, l'intero Dossier da inserire in Iris (Institutional Research Information System). I progetti sono pensati per essere ripresi dalla comunità universitaria e professionale e la loro stessa eterogeneità, a mio avviso, ne costituisce la forza. Si parte da un vasto progetto urbano per arrivare a progetti di pura ricerca e a progetti effettivamente realizzati. In ciascuno lo sforzo è stato rendere evidente a chi li vorrà conoscere o dovrà esaminare in occasioni concorsuali l’aspetto di ricerca del progetto. Si è fatto uno sforzo per porre sullo sfondo i molti dati che insistono in un progetto di architettura, per mettere in primo piano quei pochi aspetti che rendono lo specifico progetto un prodotto di ricerca. Nessuno di noi ha alcun dubbio che si possa fare molto meglio. Autovalutazione Ed ora veniamo al terzo elemento di soddisfazione di questo libro. Anche questo in qualche modo riguarda una crisi. Nel 1983 vinsi una borsa Fulbright e andai negli Stati Uniti. Il mio campo di ricerca era il progetto della residenza e in particolare le case basse ad alta densità, un ambito a cui il mio relatore di laurea - il professor Carlo Melograni - mi aveva introdotto. In America andai a studiare con il professor Louis Sauer che era considerato unanimemente uno dei maggior esperti di Low-rise 11
Giuseppe Terragni, Prima pagina della relazione originale del Danteum, 1938 Courtesy: Arch. Attilio Terragni, Archivio Terragni 12
High-density housing. Non è il momento per ripercorrere i vari aspetti di questo rapporto che è rimarcato nei molti scritti che ho dedicato a Sauer e nella mia stessa dissertazione. Quello che è interessante è il legame con questo libro e, appunto, la crisi che fu evidenziata durante la redazione della mia tesi di Master. La mia impostazione appena arrivato dall’Italia era di tipo “teorico-ideologico”. Ricordo, quando cominciai a discutere della tesi con Sauer il suo forte: “No, non è così che farai”. Ricordo nebulosamente l’occasione di questo “no”- credo fosse in un pub - ; un no che mi fece cambiare strada completamente. Sauer sottolineò che io ero un progettista e dovevo imparare ad autovalutare le mie scelte. Dovevo abbandonare una maniera teorico-ideologica e presuntivamente oggettiva, per operare attraverso la mia soggettività di architetto. Questa soggettività doveva essere legata ad una serie di parametri che io stesso dovevo mettere “esplicitamente” in campo. Fu una rivoluzione. Entrai in un modus operandi non più teorico-ideologico ma metodologico-autovaluativo. Ne nacque la mia tesi di master che si chiamò infatti Usare gli scopi nella progettazione. In questa tesi rendevo espliciti gli scopi che intendevo raggiungere (ed erano scopi molto variegati, alcuni che derivavano dalle mie precedenti esperienze di progettista che credevo giusto sviluppare, altri che appartenevano a questioni di carattere generale sulle modifiche dei modelli sociali di riferimento, altri che derivano dalle specifiche richieste del programma e del luogo). L’ esplicitazione degli scopi permetteva di valutare le ipotesi alternative nella progressiva definizione di un progetto che andavo contemporaneamente redigendo con mia moglie per un progetto residenziale innovativo (The New American House). Il libro che ne nacque8 rappresenta dunque un antefatto per capire la chiave di impostazione del seminario prima e di questo libro poi. La possiamo così riassumere. Se vogliamo far comprendere come uno specifico progetto possa essere un prodotto di ricerca, allora dobbiamo presenQuanto imparai nella tesi discussa a Carnegie-Mellon nel 1985 alla fine del Master of Science fu reso poi evidente nel libro che pubblicai tre anni dopo. Antonino Saggio, Using Goals in design (Usare gli scopi nella progettazione), CMU press, Pittsburgh 1988. Ho notato una grande assonanza con quanto sostiene nella sua intervista Roberta Amirante. Per esempio, il metodo ipotesi-verifica con cui nel libro si valuta tra alternative diverse, oppure il passo in cui la Amirante sostiene che “più che ricostruire - magari forzatamente - una verità del percorso, si potrebbe decidere di darne semplicemente una versione convincente”. L’aggettivo “convincente” mi sembra molto utile in questo contesto. 8
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tare esplicitamente i punti salienti e darne una autovalutazione. Le chiavi sono dunque essenzialmente due: l’esplicitazione e l’autovalutazone. Siamo noi stessi che dobbiamo sostenere in quali aspetti, a nostro avviso, il progetto rappresenti un contributo. E attenzione, nella ricerca (se non nella scienza!) non sono solo i successi ma anche gli insuccessi che contano! Se il processo è reso esplicito, chi esamina il progetto potrà avere una utile chiave interpretativa, ma naturalmente il giudizio - quanto effettivamente lo specifico progetto rappresenti un apporto di ricerca spetta solo a chi esamina. In questa impostazione non è la presenza di una pubblicazione in un catalogo o in un regesto che fa la differenza. Questi riconoscimenti certo validano maggiormente il prodotto, ma non riguardano il centro della questione. Possiamo tutti ricordare dei grandi progetti come ricerca, che neanche furono pubblicati al tempo e che invece costituiscono delle pietre miliari della cultura architettonica.9 Molti architetti lavorano a significative relazioni di progetto che non vengono pubblicate e che sono pagine significative della cultura architettonica. Penso ad esempio a quello di Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri sul Danteum e sul fatto che progetto e relazione non furono pubblicati che molto dopo. Quindi non è la pubblicazione che dà il valore al progetto come ricerca, ma la valutazione di chi lo esamina orientato, come dicevamo, dal progettista stesso. La Scheda valutativa e le categorie che la accompagnano rappresentano il centro metodologico di questo libro. La scheda è qui adoperata in diversi casi che hanno l’evidenza di esperimenti concreti. Infine, vorrei sottolineare un ultimo aspetto. Il libro è a cura di tre dottorandi. Luigi Arcopinto e Francesco Calabretti sono del ciclo appena cominciato, Andrea Ariano è di un ciclo precedente: lavora con me come tutor nella sua dissertazione. I tre curatori hanno lavorato in maRitengo che vada modificata (come è previsto in un processo in via di definizione) l’obbligatorietà della pubblicazione di un progetto per inserirlo nel sistema Iris. Si pensi ad un progetto sperimentale (proprio qui ne presentiamo un caso). Un candidato ad una Borsa o ad una abilitazione nazionale da cui dipende la sua carriera non potrebbe presentarlo sino a che il progetto non è pubblicato, anche se magari solo in un superficiale disegno. Ciò premierebbe la presenza (della pubblicazione) sulla sostanza che è invece data dalla pregnanza del Dossier che presenta esplicitamente quel progetto come prodotto di ricerca. Naturalmente i punti di vista sono diversi in materia. Nell’intervista a Piero Ostilio Rossi questo punto è affrontato. 9
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niera armoniosa con tutti gli altri dottorandi. Si è creato un gruppo coeso anche se con responsabilità diverse. Ha forse aiutato un poco che tutto il libro è stato prodotto ai tempi del Coronavirus con una serie di incontri collettivi via telematica che, invece di allontanare, hanno unito il gruppo. Anche emotivamente, perché uno dei curatori si è gravemente ammalato di Covid, ma è riuscito con gran sollievo di tutti a guarirne! Altre cose vorrei aggiungere come per esempio il fatto che per alcuni dei dottorandi è la prima pubblicazione, per altri la prima curatela, che è un libro on demand redatto quasi istantaneamente e senza contributi pubblici, che il volume contribuisce con diversi scritti e progetti al patrimonio del Dipartimento di Architettura e Progetto, ma voglio chiudere con il fatto che la nascita di questo libro è per tutti noi un evento felice che vogliamo condividere con quanti useranno, lo speriamo, quello a cui qui noi insieme abbiamo lavorato.
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Introduzione
Luigi Arcopinto, Andrea Ariano e Francesco Calabretti
Tutto è cominciato in una fredda ma assolata mattina dello scorso Gennaio. Le preoccupazioni e le difficoltà, connesse al delicato momento a cui questa prima parte del duemilaventi ci ha sottoposti, erano ancora ben distanti dalla nostra quotidianità. Era un martedì. Molti di noi erano nervosi, altri stremati dal viaggio per raggiungere il dipartimento a Fontanella Borghese partendo dai sobborghi di Napoli, ma tutti condividevamo la gioia di intraprendere questo nuovo percorso dottorale. L’occasione era il seminario “Linee di ricerca” del professore Antonino Saggio, che ha così inaugurato il primo anno per il XXXV ciclo del Dottorato di ricerca in “Architettura. Teorie e progetto” al Dipartimento di Architettura e Progetto dell’Università “Sapienza” di Roma. Il seminario ha favorito lo sviluppo delle modalità di lavoro, ha fornito gli stimoli utili per la ricerca di architettura e ha permesso di creare rapporti e collaborazioni tra noi dottorandi alla prima esperienza. Il libro che state stringendo tra le mani rappresenta il culmine di questo percorso formativo che accoglie, in egual misura, il contributo prodotto dai dottorandi del seminario degli anni precedenti su cui si è innestato tutto il nostro lavoro. L’operazione è stata fortemente sinergica, ma soprattutto incarna il significato di questo libro. Come nella ricerca si tenta continuamente di innalzare l’asticella, aggiungere un gradino al corpo delle conoscenze disponibili, qui lo sforzo è stato raccogliere i frutti di quanto seminato 17
Joe Colombo, Edicole televisive alla triennale di Milano, 1954. 18
dai nostri colleghi prima di noi, per offrirlo a chi prenderà il nostro posto negli anni a venire, con la convinzione e la speranza che il materiale raccolto venga condiviso, adottato, migliorato e che esso possa aiutare la costruzione di un dibattito su questo tema, a nostro avviso centrale, in special modo nell’ambito accademico. Speriamo che il nostro contributo possa essere il catalizzatore di quello che nella teoria del caos viene definito l’effetto farfalla, ovvero che una singola azione possa determinare imprevedibilmente il futuro. Metaforicamente, che un semplice movimento di molecole d'aria generato dal battito d'ali dell'insetto possa causare una catena di movimenti di altre molecole fino a scatenare un uragano, magari a migliaia di chilometri di distanza. Questo libro tenta di aprire una nuova prospettiva sulla valutazione del progetto di architettura. La pratica del progettare attiene all’attitudine di gettare avanti (dal latino tardo “proiectare”), ovvero di proiettare nella realtà un’idea, un’intuizione e capire come questa possa essere realizzata. Il progetto di architettura è quindi sempre frutto di una ricerca - di più o meno ampio respiro - che si concretizza in fulgide apparizioni. In esso confluiscono tutte le possibili risposte alle “nuove esigenze dell’habitat” che Joe Colombo identificava introducendo nella consuetudine compositiva la quarta dimensione, quella temporale. Le sue edicole televisive per la Triennale di Milano del 1954 sono soltanto uno degli esiti della sua ricerca incentrata sul “futuribile”, uno stile forbito caratterizzato da forme assurde e colori sgargianti. Non abbiamo usato per caso il termine ricerca. Riteniamo infatti che il suo lavoro sia indubbia fonte di interesse, ma come esso o quello di altri progettisti possa essere valutato è per ora un mistero. La sfida del libro è proprio quella di comprendere come un progetto di architettura possa essere considerato un prodotto di ricerca e come quest’ultimo debba essere analizzato ai fini del suo inserimento nei sistemi per la valutazione della qualità della ricerca. Nel caso specifico il sistema Iris, interconnesso con LoginMiur Cineca e Orchid, permette la validazione dei prodotti della propria ricerca e, ad oggi, è possibile inserire anche progetti di architettura e design.1 È possibile trovare le Linee guida per l’inserimento dei prodotti della ricerca in IRIS Settore Catalogo prodotti della ricerca e valutazione - ASuRTT alla pagina: https://www.uniroma1.it/sites/default/files/field_file_allegati/linee_guida_inserimento_ prodotti_iris_ver1.8_0.pdf 1
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Gipi, Unastoria, Coconino Press, Bologna, 2013, p. 36 20
Inutile dire che i prodotti di ricerca architettonici rientrano con estrema difficoltà in una griglia valutativa sistematica, universalmente accettata dalla comunità scientifica, perché spesso essi fanno riferimento a tecniche ipotetiche che variano in funzione della domanda progettuale presa in esame. Certo, è innata nell’uomo la capacità di esprimere un giudizio di valore su un oggetto, ma è estremamente complicato parametrizzare tale giudizio. È come trovarsi per un attimo interdetti di fronte alle tavole del maestro fumettista italiano Gipi, molto affascinanti per altro, ma a volte talmente abbozzate da indicare soltanto una direzione di comprensione tanto che ognuno ci può vedere quello che vuole. Quindi, come postulare una griglia valutativa esplicita che consenta di parametrizzare le caratteristiche mutevoli del progetto di architettura? Come valutare tali parametri e renderli parte integrante di un discorso organico che possa accompagnare il progetto sulle piattaforme per la valutazione della ricerca? Insomma, quali potrebbero essere le linee guida per una valutazione critica del progetto di architettura come prodotto di ricerca? Questi i grandi quesiti a cui questo lavoro cerca di trovare una risposta. Essi vengono progressivamente analizzati e descritti nel libro, fino a quando una possibile soluzione prende corpo verso la fine. Ecco perché la struttura della narrazione è tripartita. Una sinossi introduce ciascuna parte del libro e illustra i punti cardine su cui questa è fondata. La prima parte riguarda la ricerca di un sostrato teorico indispensabile per ipotizzare un metodo efficace per la valutazione del progetto come prodotto di ricerca. Nella seconda parte la teoria viene utilizzata per estrarre i prìncipi di metodo che guideranno le successive valutazioni critiche, perché la terza parte è incentrata proprio sull’utilizzo pratico del metodo postulato, attraverso la redazione di otto Testi critici e delle relative Schede valutative, che hanno lo scopo di rendere più agevole la valutazione del progetto di architettura come prodotto di ricerca. Rileggendo le pagine di questo libro e ripercorrendo le tappe che hanno portato dalla sua concezione al suo completamento, probabilmente l’elemento di maggiore interesse, la verità - se così può essere definita - a cui siamo pervenuti è che il progetto in quanto ricerca può essere considerato tale solo quando si lascia la strada battuta delle conoscenze e delle pratiche assodate per sfidare l’ignoto e strappargli una piccola, non definitiva, nuova verità. Crediamo che questo modo di fare sia insito nella disciplina architettonica. Osservando le foto sorelle (una in copertina e l’altra alla pagina seguente) che compaiono nel progetto “Metafore” di 21
Vuoi guardare il muro... Ettore Sottsass, Metafore, 1972-1979. 22
Ettore Sottsass, è chiaro in che modo ci si possa rapportare alla ricerca: “Vuoi guardare il muro...” rassicurante, già noto e forse per questo poi non così interessante, “...o vuoi guardare la valle?”. Spostando la sedia, cambiando prospettiva, abbiamo una visuale più ampia, con lo sguardo possiamo abbracciare l’orizzonte. Di fronte a noi si staglia, brumoso, l’ignoto. Per molti può essere una vista - e nel caso della ricerca un compito - terrificante. Soprattutto in questo periodo storico, il percorso è irto di ostacoli e non privo di rischi. Allo stesso tempo la libertà offerta da quella visione è totale ed è impossibile non goderne. Quella visione contiene i germi del nostro futuro, basta saperli vedere.
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TEORIA
Nella pagina precedente: Alexander Calder, The Spider, 1935/1937
Architettura e ricerca Quattro conversazioni
Francesco Calabretti
Un dialogo aperto e quattro conversazioni per interrogarsi sul progetto architettonico inteso come prodotto di ricerca e per delineare un ambito teorico di base in cui muoversi. Dal 2011 i prodotti della ricerca sono sottoposti dall’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (Anvur) alla Valutazione della Qualità della Ricerca (Vqr). Questa fornisce un giudizio sintetico sull’attività di ricerca svolta. Nel vasto panorama scientifico, risultano di difficile valutazione i prodotti a carattere architettonico, data l’eterogeneità; pertanto una domanda frequente che unisce la comunità scientifica degli architetti ricercatori è “Ma il progetto può essere considerato come prodotto di ricerca? E a quali condizioni?”1. Le esperienze dei singoli interlocutori permettono di approfondire aspetti differenti del progetto come prodotto di ricerca. La professoressa Roberta Amirante ci parla del suo libro intitolato Il progetto come prodotto di ricerca. Un’ipotesi (Lettera Ventidue, 2018); con il professore Orazio Carpenzano affrontiamo il tema della ricerca all’interno del Dipartimento di Architettura e Progetto di Sapienza-Università di Roma di cui è direttore e del rapporto tra architetto-accademico e architetto-progettista; il professor Piero Ostilio Rossi ci chiarisce in Amirante R., Il progetto come prodotto di ricerca. Un'ipotesi, LetteraVentidue, Siracusa 2018 1
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cosa un prodotto scientifico differisca da uno di ricerca e quali caratteri debbano essere presenti perché un progetto possa essere considerato tale; infine la professoressa Alessandra Capuano ci racconta l’esperienza all’interno del Gruppo Esperti Valutatori (Gev) Anvur per la Vqr 2011-14, in cui si è occupata, insieme ad altri colleghi, delle procedure di riconoscimento dei prodotti di architettura che potevano essere sottoposti a valutazione. Si costruisce così un capitolo di confronto, a carattere teorico, apripista per uno stimolo nuovo nei confronti del progetto architettonico. Idee, proposte, speranze e realtà accompagnano il lettore alla scoperta del mondo della valutazione della ricerca architettonica.
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Roberta Amirante
Autrice del libro Il progetto come prodotto di ricerca. Un'ipotesi Allegra Maria Albani e Francesca Filosa
Allegra Maria Albani e Francesca Filosa: Quando e come il progetto può essere considerato il risultato di un’attività di ricerca? E cosa significa, per un architetto progettista, autovalutare il proprio lavoro? Roberta Amirante: Un progetto può essere considerato un prodotto di ricerca quando è in grado di fornire consapevolmente un incremento di conoscenza. Quest’ultimo deve essere individuato e reso visibile dall’autore del progetto (o dagli autori, anche separatamente l’uno dall’altro) e la sua presenza deve essere attestata dalla comunità scientifica di riferimento attraverso dei valori prestabiliti che consentano di statuire la qualità dell’apporto che il prodotto fornisce alla disciplina. Dunque, parlare di autovalutazione significa chiamare subito in causa il ricercatore progettista che si assume la responsabilità della scelta alternativa tra i suoi prodotti progettuali in funzione della loro qualità differenziata, ovvero dell’attitudine dei progetti di produrre conoscenza trasferibile ad altri. L’approccio è esattamente lo stesso che viene messo in campo quando bisogna scegliere i contributi testuali più rilevanti per la Vqr o per la partecipazione a un concorso universitario. Esplicata la questione in questi termini, potrebbe sembrare semplice stabilire se e quando un progetto contribuisce ad accrescere la conoscenza, ma non lo è affatto. Anche se è innata nell’uomo la capacità di esprimere un giudizio di valore sull’interesse del progetto di architettura, individuandolo con 29
logiche personali, intuitive e frammentarie, questo processo di indagine fatica ad assumere la dimensione costruttiva, ampia e condivisa, che è tipica delle acquisizioni della ricerca scientifica. Nel libro provo ad affrontare questo problema, rivolgendomi solo a coloro che insegnano la progettazione architettonica, perché mi sembra che a questo nucleo duro sia richiesta una riflessione collettiva. Se non altro per qualificare la sua presenza ormai secolare nell’Università (e non più nelle Accademie di Belle Arti) e per segnalare la sua maniera originale di essere una comunità scientifica fondata sulla cultura del progetto. Questo perché la pratica della progettazione non è basata sulle tradizionali procedure di “inferenza” della scienza, cioè sui metodi di deduzione e induzione che muovono da certezze o puntano a costruirle, ma poiché essa è sempre legata al caso singolo, non può che essere fondata su ipotesi e non può che produrre conoscenze incerte. Di conseguenza non è difficile proiettare questa condizione su quella di un progettista che, partendo da ipotesi incerte, cerca di rispondere ai bisogni e ai desideri del committente, producendo delle scelte che si discostano, inevitabilmente, da quelle già realizzate nel passato - recente o remoto - creando ogni volta soluzioni “singolari”. AA: Come si può considerare il valore di un progetto? RA: Nel libro ho riflettuto solo su come un progetto possa essere sottoposto a valutazione e non su quali dovrebbero essere i parametri con cui esso debba essere valutato. Non credo, infatti, che sia possibile istituire classificazioni astratte. La mia idea consiste, piuttosto, nel provare ad estrarre i protocolli della valutazione da una sperimentazione collettiva. Per farlo credo che il metodo migliore sia redigere una rivista. Quest’ultima, nella prima fase della sua esistenza, dovrebbe accogliere i progetti che gli autori considerano rilevanti dal punto di vista della ricerca. Tra l’altro, da alcuni esperimenti fatti negli ultimi due anni, ho tratto la conclusione che la capacità di ricostruire il processo progettuale, di esibire i materiali disciplinari che lo hanno animato e le tecniche progettuali che ne hanno consentito lo sviluppo, non è affatto così diffusa come potremmo pensare. Per altri versi ho anche potuto verificare che coloro che si prestano a costruire questo racconto si limitano, quasi sempre a singoli capitoli. Per esempio, dal rapporto tra le richieste della committenza o le prescrizioni e le scelte del concept; o al contrario, tendono a muovere da scelte formali date per scontate senza alcuna consapevolezza 30
della loro originaria incertezza, con una evidente difficoltà, cioè quella di “mettere in discussione”, come scrive François Jullien nel suo libro Essere o vivere (Feltrinelli, 2016). Credo quindi che un buon punto di partenza per il consolidamento di una comunità scientifica che voglia valutare il progetto potrebbe essere prima di tutto un accordo sulla forma del racconto che lasci liberi i singoli progettisti sulla sua articolazione. Ad esempio, penso che si potrebbe partire dall’inizio o dalla fine. Più che ricostruire - magari forzatamente una verità del percorso, si potrebbe decidere di darne semplicemente una versione convincente. Quello a cui bisognerebbe puntare è individuare tutti quei punti in cui il progetto si è dovuto basare su delle ipotesi più che su delle certezze, là dove, nel suo percorso, si è trovato di fronte a più possibilità di scelta. La segnalazione di questi bivi, trivi, quadrivi, dà conto della consapevolezza e della eventuale rischiosità delle ipotesi che hanno guidato la singola scelta o la loro successione. Fare questo aiuterebbe a moltiplicare la quantità e il valore dei materiali che vengono tirati in ballo per sostenere le scelte insieme alla possibilità di falsificare il progetto. In questo caso la falsificazione ottenuta diventerebbe produttiva: scegliendo a ogni bivio, trivio, quadrivio, altri percorsi rispetto a quelli del progetto originario, altri progettisti potrebbero costruire nuovi esemplari che somiglino solo in parte a quello di partenza. A ben pensare, questo è quello che ciascuno di noi fa, in maniera molto più frammentaria, quando sceglie un progetto - o parte di esso - come riferimento, dimostrando implicitamente che esso ha prodotto un aumento di conoscenza. Vorrei che la valutazione dell’aumento di conoscenza prodotto da un progetto possa essere frutto di un’autovalutazione incardinata su un programma comune capace di consentire alcuni tipi di comparazione fondati proprio sulla costanza della forma racconto. Nei mesi che sono passati dall’uscita del libro ho riflettuto a lungo sulla logica di valutazione. Peirce diceva “hope to guess right” (la speranza di indovinarci). Forse io scommetterei sul fatto che i progetti fondati su più ipotesi successive, quelli più ricchi di materiali e di tecniche messi in gioco, abbiano più possibilità di produrre un maggiore aumento di conoscenza. Per fare questo però bisognerebbe intendersi sul senso e sul valore di questa ricchezza, ma visto che non è questo il luogo per farlo, prendetela solo come una scommessa azzardata. Quello che si potrebbe dire con relativa certezza è che i progetti capaci di aumentare la conoscenza in modo più consistente, sono quelli 31
capaci di affrontare un compito strano o quelli capaci di interpretare come strano un compito solo apparentemente banale. Quelli capaci di muoversi, dunque, su percorsi non tracciati prima o solo in parte tracciati in precedenza. Peirce, quando parla di "abduzione", fa ricorso al termine strano e sostiene che l’abduzione può essere espressa come un “ma vuoi vedere che …?”. Per fare un esempio possiamo pensare a Le Corbusier che si chiede: “ma vuoi vedere che una casa può somigliare a un transatlantico?”. Naturalmente più l’ipotesi è strana, più è difficile dimostrarla, soprattutto quando questa dimostrazione non può avvenire con un’evidenza scientifica tradizionale, ma deve porsi il problema di essere convincente per la comunità che deve accoglierla. In questo senso, la stranezza dell’ipotesi può anche essere meno esasperata. Ancora per fare un esempio, possiamo pensare al modo con cui Wright modifica il concetto di tipologia domestica con le Prairie Houses o quello di museo con il Guggenheim. Nel tentativo di riflettere su questi spostamenti - ricordo che il termine abduzione significa spostamento laterale - ho cominciato a ipotizzare che l’aumento di conoscenza dipenda anche dalla capacità di alcuni progetti di proporre degli accostamenti inusuali tra immagini che appartengono a universi tradizionalmente distanti, ma anche su questo sono appena all’inizio. FF: La parola abduzione nel libro è al centro del suo ragionamento. Ci potrebbe spiegare meglio in quali termini va intesa? RA: Il riferimento all’abduzione è utile soprattutto per collocare in una dimensione scientifica la narrazione del progetto. Il ricorso a questa parola consente di allargare il campo della scientificità anche al caso e, soprattutto, serve per conquistare quei progetti (e quei progettisti) che non credono che il progetto possa muoversi nell’ambito di sistemi logico-deduttivi e che ne valorizzano invece solo gli aspetti creativi, memoriali, analogici, casuali, automatici. Massimo Bonfantini, uno dei principali studiosi dell’abduzione, la definisce come “movimento di pensiero che introduce una novità per risolvere un problema o per far fronte a una difficoltà o per dare soddisfazione a un desiderio”. Problema, difficoltà, desiderio, sono tre parole chiave per definire l’origine del progetto, così come la parola novità che segnala la tendenziale unicità dell’esperienza progettuale. L’abduzione, infatti, viene considerata dai filosofi della scienza, insieme alla deduzione e all’induzione, una forma di inferenza. 32
La deduzione parte da una regola data per certa, ne fa discendere conseguenze o conclusioni e si conclude con una tesi. L’induzione muove dall’osservazione dei fenomeni e tende ad associarli: la sua finalità è la definizione di una regola valida fino a prova contraria. L’abduzione parte, invece, da un caso singolo che è strano - o che viene visto come tale - e non va alla ricerca di una regola ma solo delle spiegazioni di quel caso: la sua conclusione è un’ipotesi, relativamente incerta, ma sulla base della quale è possibile aprire nuovi orizzonti per la riflessione o per tipologie diverse di azione. L’abduzione è l’inferenza tipica dell’indagine, che nella congiunzione di tracce e d’indizi possono formare una prova e, per questo motivo, alcuni filosofi della scienza la chiamano "retroduzione". Nel libro faccio un esempio volutamente estremo: secondo la scienza tradizionale Eva, messa di fronte alla morte di Adamo, non avrebbe potuto inferire nulla, non c’era una casistica precedente che determinasse una ragionevole certezza. Eppure Eva, a partire dalla morte di Adamo, può fare almeno una cosa, può ipotizzare (l’abduzione si chiama anche ipotesi) che anche lei potrebbe morire. Questa ipotesi - evidentemente incerta - la metterebbe in condizione non solo di provare a capire il perché e il come Adamo sia morto, ma anche come potrebbe ritardare la propria morte, evitando per esempio, di fare ciò che Adamo ha fatto in prossimità della propria morte. E sempre basandosi sulla capacità di cogliere una somiglianza tra un caso singolo e altri casi, Eva potrebbe scorgere una somiglianza, certamente più labile, tra Adamo e un leone e formulare una nuova ipotesi, certamente più incerta della precedente, ma proprio per questo ancora più potenzialmente produttiva: se anche il leone fosse mortale, come Adamo, forse lei potrebbe riuscire a farlo morire. Questa ipotesi potrebbe portarla ad aprire un nuovo orizzonte, attraverso la costruzione di una catena di ipotesi con la quale Eva può arrivare a trovare o a costruire gli strumenti per uccidere il leone. L’abduzione nasce proprio dalla capacità di vedere una stranezza che altri non vedono, dalla capacità di cogliere la potenziale produttività dell’ipotesi che può spiegarla e soprattutto dalla capacità di convincere altri (per esempio la comunità scientifica, o coloro che devono finanziare una ricerca) della validità di quell’ipotesi. Un’esemplificazione molto utile è presente nel film Il mio amico Einstein che racconta la storia di quest’ultimo e della sua collaborazione con lo scienziato inglese Eddington, che lo aiuterà sperimentalmente a dimostrare la teoria della relatività. Non fu facile per lo scienziato inglese 33
convincere la comunità scientifica di riferimento che l’ipotesi di Einstein era valida. Soprattutto perché Einstein apriva una breccia nella validità della teoria della gravitazione universale di Newton, a partire dalla capacità di considerare strana una piccola anomalia dell’orbita di Mercurio. Una cosa che tutti consideravano normale, visto che la teoria di Newton aveva funzionato per tanto tempo, spiegando tanti fenomeni. Thomas Kuhn, a proposito di casi come questo parla di rivoluzioni scientifiche: potremmo dire che tali rivoluzioni nascono sempre da un’inferenza abduttiva, da un pensiero laterale, da uno sguardo capace di vedere l’eccezionalità, come per noi architetti ha detto Le Corbusier. Poter accostare lo sviluppo di un progetto all’inferenza abduttiva è stato utile per formulare l’ipotesi di una rivista specialistica che potesse ospitare dei racconti illustrati, pubblicati da ricercatori-progettisti disponibili a presentare il progetto come portatore di un aumento di conoscenza. Il racconto dovrebbe allora esplicitare le ipotesi (incerte per definizione, come l’inferenza abduttiva ammette) che hanno guidato le scelte, con lo scopo di concatenanarle logicamente e di segnarle quando sono intervenuti degli automatismi o delle casualità e mettere in mostra i materiali che sono intervenuti a orientare queste scelte o a praticarle. Il tutto tirando in ballo il più possibile i termini di quella "disciplinaria" che per Thomas Kuhn rappresentava il patrimonio comune, quell’insieme di credenze, di principi, di materiali, di regole, di tecniche, di esempi che dovrebbe rappresentare la piattaforma di una comunità disciplinare AA: Dalla lettura del suo testo si evince la necessità di trovare un codice condiviso che permetta una valutazione il più possibile oggettiva dei progetti di architettura intesi come prodotti scientifici, quindi capaci di dare un contributo alla disciplina. Quale potrebbe essere il format da utilizzare? RA: Più che di codice condiviso parlerei di piattaforma condivisa. La quale però non deve essere costruita all’inizio ma alla fine di un processo. Come già ho accennato, penso che la prima cosa da fare, non sia costruire questa piattaforma, ma piuttosto invitare tutti i componenti della comunità scientifica dei progettisti, prima a scegliere poi a valutare o autovalutare un progetto, nella forma che più sembra loro adatta a mettere in luce l’aumento di conoscenza che il progetto contiene. È superfluo sottolineare che, come non tutti i nostri scritti sono dotati di una connotazione di ricerca, così probabilmente non tutti i nostri progetti la possiedono. Ne consegue che la scelta dei progetti da presentare alla valutazione è già di 34
per sé significativa. Credo che non sia molto utile pensare di proporre (e tanto meno di imporre) in prima battuta un format da usare per questo racconto. Meglio sarebbe provare a estrarlo man mano a partire dalle proposte dei singoli. In riferimento alla vostra Scheda valutativa credo quindi che, più che dei parametri per la valutazione, le parole che voi avete inserito nella scheda potrebbero essere una buona base di partenza per impostare il racconto, un po’ come delle parole chiave da suggerire per rendere i diversi esperimenti tra loro confrontabili. Come ho già detto in precedenza, il primo passo deve venire dalla comunità, che deve dimostrarsi pronta a iniziare questo lavoro, iniziando a ragionare sulla propria capacità inventiva, per poi condividerla con gli altri, nella convinzione del valore che questa operazione potrebbe avere per la comunità stessa, e non solo. Successivamente sarebbe necessario che qualcuno o più d’uno, mettano insieme questo materiale e mostrino l’esistenza di temi condivisi. Rivelando quei coordinamenti a distanza, quei protocolli impliciti di cui semplicemente non siamo consapevoli, anche perché non siamo abituati a scambiarceli. Solo allora si potrebbe costruire una piattaforma comune, o un format, a partire dal materiale ricevuto. Tale format va quindi inteso non come punto di partenza ma come punto di arrivo. FF: È possibile parlare di ricerca in un progetto realizzato che si è dovuto confrontare con i “condizionamenti” inevitabili della prassi architettonica? RA: A mio avviso sì. Si può certamente parlare di ricerca nell’ambito di progetti realizzati. Ovviamente non per tutti i progetti realizzati così come non per tutti i progetti non realizzati. Quando un progetto viaggia in conformità con una serie di materiali, di strumenti, di tecniche già praticati, e ripercorre pedissequamente strade già battute, senza mettersi in discussione, si parla più di esercizio di stile che di ricerca. Al contrario quando il progettista ragiona per ipotesi più o meno incerte, per risolvere le prescrizioni indicategli dalla committenza, è possibile trovare ricerche molto interessanti. Nel caso di progetti realizzati infatti, una volta trascritti i termini della prescrizione, i professionisti possono intraprendere strade diverse: possono ricorrere a soluzioni già sperimentate proponendone delle variazioni; possono usare cose pensate da altri, chiamandoli riferimenti; possono appoggiarsi a soluzioni certe (gli archetipi, le tipologie) e così via. Al contrario potrebbero decidere di confrontarsi con la necessità di 35
intravedere quello che gli studiosi dell’abduzione proiettiva chiamano "l’assente possibile": un assente che può essere più o meno adiacente a quanto già esiste. Nella progressiva ricerca dell’assente possibile, la necessità di dare corpo a una catena d’ipotesi diviene evidente e con essa la necessità che queste ipotesi si dispongano secondo una sorta di coerenza interna che può essere materia di argomentazione, può portare a evidenziare l’aumento di conoscenza prodotto sul caso singolo e la sua possibilità di incidere su casi somiglianti. Pensate in quest’ottica, molte opere realizzate presentano spesso una quantità di materiali inventivi molto più corposa rispetto ai progetti non realizzati. Un arricchimento spesso dovuto a tutti i passaggi che il progetto ha dovuto affrontare dall’ideazione fino alla costruzione. Quei passaggi che sono ben spiegati da Alessandro Armando e Giovanni Durbiano nel loro testo Teoria del progetto architettonico. Dai disegni agli effetti (Carocci, 2017), che a volte si dimostrano così complessi da mettere in discussione il ruolo stesso dell’architetto all’interno del progetto. È interessante che l’argomentazione da loro usata per mettere in discussione il concetto stesso di autorialità possa essere integrata, e non contraddetta, dalla precisazione dei limiti dell’autorialità che il racconto del progetto come ricerca potrebbe contenere. Nel racconto del progetto, infatti, l’architetto si pone in una posizione centrale ma solo per segnalare il proprio ruolo di coprotagonista: solo se sarà in grado di sottolineare quali e quanti sono stati i materiali predefiniti nei quali si è dovuto imbattere, i problemi ai quali solo altri specialisti potevano dare soluzione, le questioni che potevano essere affrontate su base scientifica servendosi di metodologie consolidate.
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Orazio Carpenzano
Architetto, Direttore DiAP Sapienza Francesco Calabretti e Ilia Celiento
Francesco Calabretti e Ilia Celiento: Per i diversi ruoli che ricopre e le varie attività che svolge, Lei fa parte di una rosa di architetti e docenti scelti per discutere del progetto come prodotto di ricerca, una questione che può essere analizzata da diversi punti di vista. Quale è il suo pensiero a riguardo? Orazio Carpenzano: Un nodo cruciale della questione, che attiene sia al libro della professoressa Amirante sia a quanto elaborato da me che dal professor Rossi e dalla professoressa Capuano, riguarda la natura di un progetto presentato come prodotto di ricerca. A oggi i prodotti di ricerca scientifica in architettura entrano con difficoltà in una griglia valutativa commisurata ai settori disciplinari bibliometrici. Per un progetto architettonico, che per sua natura tratta questioni metodologiche e tematiche prevalentemente contestuali, caratterizzato com'è da elementi di natura espressivo-poetica, è ancora più difficile formulare una valutazione basata su criteri oggettivi e commisurabili. Come i colleghi coinvolti, faccio parte di quei docenti che si considerano progettisti. Tali rilievi sono dunque per noi fonte di riflessioni riguardanti la didattica, la Terza Missione. Essi concernono attività che rientrano nelle more di quei docenti che, assunti a tempo pieno per scelta o per necessità, non possono firmare i progetti e, pertanto, non hanno modo di misurarsi con la cogenza della realtà della produzione edilizia. Il risultato di questa impasse si riflette in un vulnus nella formazione di molti dei dottori di ricerca in composizione architettonica, quali siete 37
voi. D’altronde, questa impostazione istituzionale e culturale è determinata da regole che, da un certo punto di vista, imbrigliano e tengono in una condizione di assoluta particolarità il lavoro degli architetti docenti. In un passaggio cruciale del libro di Roberta Amirante si fa riferimento al concetto di abduzione: il metodo abduttivo definisce un procedimento del tutto particolare come quello progettuale, attraverso il quale si scavalca sia il termine induttivo che deduttivo, con una sorta di mixité tra i due. Su tale tema si può senz'altro aprire una prospettiva nella comunità disciplinare, soprattutto se si guarda la sub-specie delle vocazioni progettuali, compresa quella del paesaggio, e anche perché si sente la necessità di attribuire un’identità specifica al progetto, una riconoscibilità del prodotto di ricerca che vada oltre la mera apparenza teorica o la natura burocratica del prodotto. IC: Credo che sia anche la volontà inconscia di dare un valore a ciò che si progetta. OC: Esatto. Su questo ho un’esperienza abbastanza consolidata, perché in questi anni ho continuato a progettare. Attualmente si stanno realizzando i progetti, da me coordinati, del Museo di Federico Fellini e del Museo della Grande Guerra di Redipuglia, svolto tra il 2014 e il 2015, e che, dopo una battuta di arresto, finalmente andrà in gara. Per queste opere ho assunto la posizione di consulente per la qualità dell’architettura e attraverso questo ruolo, che non assume i connotati di un incarico professionale, ho potuto, di fatto, coordinare le scelte e le decisioni del team di progetto che dal canto suo esprime invece figure professionali cui è richiesta ben altra responsabilità. Sono disposto a rinunciare anche ai proventi del mio lavoro, a patto di poter dare un imprinting assoluto alle scelte sul progetto, attraverso un lavoro d’interfaccia costante con il team che di volta in volta si costruisce attorno a un tema di progetto. Questa possibilità, nel pieno rispetto delle regole vigenti in materia, mi consente (parzialmente) di continuare a mantenere attiva la mia riflessione creativa e la mia competenza operativa sul progetto e, di riflesso, insegnare qualcosa che vado sperimentando concretamente. IC: Parlando di natura del prodotto di ricerca, ci sembra doveroso fare una domanda che per la propria formulazione può sembrare anche banale, ma è necessaria per ricondurci agli albori della riflessione. Che cosa è per Lei un prodotto di ricerca? 38
OC: In un discorso generale, il prodotto di ricerca è qualcosa che ha a che fare con due macro-questioni. Da un lato la continuità, in altre parole il fatto che ci sia, tra i diversi contributi che si succedono, una sorta di possibilità di rintracciare l’evoluzione e quindi uno stato di avanzamento del metodo e degli strumenti. Un ricercatore ha il dovere nei confronti della comunità scientifica in cui opera di poter lasciare tracce. Non può fare come il cane di Alice nel paese delle meraviglie, che con le zampe va avanti e con la coda cancella le proprie orme. Chi fa questo dimostra di avere una scarsa sensibilità nel rapporto tra l’individuo-ricercatore e la comunità scientifica: il lavoro svolto deve essere fatto per mettere gli altri nella condizione di poterne usufruire. È così anche nel momento storico in cui viviamo, dove gli scienziati studiano il Covid-19 e condividono a un ritmo serratissimo i risultati delle proprie ricerche, per permettere alla comunità scientifica di capire insieme quali sono state le strade percorse e di riuscire a fare una sintesi nella quale l’intuizione di uno, attraverso la correzione di molti o l’indicazione di altri, può diventare la risposta al problema. IC: In questo modo si possono verificare facilmente la formulazione e l’inizio di una nuova ricerca. OC: Sì, tanto è vero che nel capitolo finale del mio libro La dissertazione in Progettazione architettonica (Quodlibet, 2017), cerco di spiegare cosa bisognerebbe dire alla comunità scientifica: a che punto della ricerca si è giunti, come si pensa che il lavoro debba continuare e possa essere accolto da altre figure. Questo è possibile perché il buon ricercatore rende accessibile un metodo e degli strumenti in una certa dimensione e la persona che vuole continuare trova nel prodotto di ricerca un piccolo patrimonio da spendere nel proseguimento di quel lavoro. Da questo punto di vista, il prodotto di ricerca rappresenta uno dei patrimoni più grandi dell’Università e in genere degli studi scientifici e delle strutture scientifiche. È frutto di anni di studi e di una continuità che s’impegna tutti i giorni nelle ricerche applicate e teoriche. Questo patrimonio è indicativo sia in termini quantitativi, sia per la varietà della produzione, specialmente se è facilmente consultabile da chiunque e attraverso differenti chiavi di lettura. L’altra questione è la facilità d’accesso alla produzione scientifica da parte di un ricercatore. Si tratta di un elemento alla base di molte campagne di valutazione, anche della ricerca di Anvur e di sistemi come Iris, e rappresenta uno dei settori ai quali la comunità scientifica dedi39
ca maggiore attenzione. In architettura i processi si complicano, perché attraverso un progetto è molto difficile impostare un discorso comune e condiviso sulla tematica disciplinare. Se riusciamo a farlo è merito di chi ci ha preceduto, dei grandi maestri e dei grandi teorici della storia antica, moderna e contemporanea. Le Corbusier sviluppò il Modulor all'interno della lunga tradizione vitruviana. La scala di proporzioni ricavata e proposta dal maestro svizzero, trovava la sua radice nella Grecia classica e nella cultura rinascimentale. In fondo, il Modulor è un compendio all’interno del quale l’opera del suo autore è dissezionata e declinata in rapporti dimensionali; dove i dati eccezionali sono disgiunti da quelli trasferibili, cioè quelli in grado di legare dal punto di vista qualitativo e quantitativo gli elementi che l’architetto ha messo in campo. D’altronde, i trattati di architettura, da Vitruvio in poi, sono da considerare luoghi in cui i progetti sono presentati come prodotti di ricerca, perché possiedono elementi dotati di una tempra universale, hanno misure e proporzionamenti che sono frutto d’idee, di dimensioni costruttive dentro le quali si sono verificate tecnologie ed effetti euritmici relativi alla bellezza o alla gestione in senso lato della composizione. Un esempio è la “misura” di ciò che è misurabile e di ciò che non lo è, come la bellezza stessa. IC: In un percorso scientifico, dove è fondamentale l’impegno profuso purché il progetto sia prodotto di ricerca, in che modo si manifesta l’attitudine alla ricerca? Questo termine è stato da Lei ripetuto in molti incontri seminariali, considerato come il corretto atteggiamento da assumere per uno studio di questo tipo. OC: Ne sono ancora fermamente convinto. Il giovane dottorando è un architetto speciale, perché dopo gli studi universitari rimane nella condizione di essere predisposto mentalmente alla ricerca. In lui si ripone l’auspicio che ne rimanga condizionato sempre e costantemente da tale predisposizione, anche quando progetta: in questo si differenzia rispetto ad altre categorie di architetti. Si può dire che io sia stato ammaestrato dall’intero collegio di docenti attivo durante i miei studi. Ho discusso una tesi in cui i miei due tutor erano Raffaele Panella e Franco Purini, un cavallo bianco e uno nero: volevo che, come nella biga di Ben Hur, ci fosse chi mi frenasse e chi mi facesse volare. Ho avuto, quindi, maestri che mi hanno impartito un’eduzione alla disciplina progettuale ancora prima di un’educazione al progetto inteso come fuga espressiva dalla realtà. Questo non vuol dire che l’altro dato vada represso, anche perché 40
ognuno di noi ha dentro di sé - ed è il bello della nostra disciplina - delle doti che hanno a che fare con una personale poetica. Detto ciò, per entrare in quella condizione di architetto speciale di cui sopra, bisogna tenere insieme due aspetti: da un lato costruirsi un’educazione nella disciplina progettuale, che significa capire come impostare un progetto sul piano metodologico e su quello tecnico-scientifico e, quindi, quali siano i passaggi fondamentali da non omettere; dall’altro, mantenere attivo il contributo creativo riferibile a un universo più grande, a riflessioni che toccano l’anima che hanno a che fare con i libri che leggiamo, con i film che vediamo e con le esperienze che viviamo. Quando si presenta un lavoro di progettazione come prodotto di ricerca, si mettono a disposizione della comunità scientifica tanto il materiale oggettivamente valutabile quanto ciò che non lo è. Ciascun autore è pertanto tenuto a ricostruire le fasi che hanno dato al progetto la propria identità e i fattori che hanno contribuito a definirlo nell’approccio, nei temi, nella modalità del lavoro, in tutti i suoi database. Il progetto assume così un carattere teorico-dimostrativo, come evidenziato in molti lavori di Dottorato ante litteram. La Cité Industrielle, ad esempio, va letto anche come un prodotto di ricerca, essendo una riflessione progettuale - e non certamente scritta - redatta da Tony Garnier nel corso del proprio anno di studio nell’accademia di Roma. I meravigliosi disegni di Garnier attengono a una dimensione immaginativa, teorica, progettuale attorno a un tema all’epoca fondamentale: capire come l’architettura potesse impartire un ordine, una forma e dunque un senso al rapporto tra produzione industriale, città e sistema abitativo. Si tratta di un progetto carico di valore teorico-dimostrativo, la sua idea di fondo trascendeva la peculiarità del singolo contesto e le caratteristiche particolari del tema, ma abbracciava una categoria progettuale più universale. Allo stesso modo, se si volesse lavorare a una tesi di laurea sul teatro ideale oppure sulla casa ideale, bisognerebbe necessariamente avventurarsi all’interno di un registro nel quale gli elementi universali del tema sono distillati prima ancora della sua trasfigurazione o del suo inveramento in particolari condizioni di contesto. Si dovrebbero pertanto mettere in gioco una serie di strumenti e metodologie diverse da quelle di un progetto ordinario, più aderenti a fenomeni ed elementi universali dell’architettura. In questa categoria di necessità, allo stesso modo, può essere incluso il manuale dell’architetto: se è chiaro che la manualistica e la teoria sono due categorie diverse, tuttavia gli utilizzi dell’una e dell’altra sono molto concreti. Invertendo gli aggettivi che normalmente si attribuiscono ai due 41
casi singolari, possiamo affermare che niente è più concreto di una buona teoria e niente può essere tanto astratto quanto un ottimo manuale. IC: Vorremmo continuare a parlare con Lei sul confronto che coesiste tra l’architetto teorico e l’architetto progettista. FC: Lei ha la fortuna, onore e onere, di essere anche Direttore del Dipartimento di Architettura e Progetto, quindi ha una sua visione come architetto, ma anche come responsabile della ricerca che in tal senso deve dare una corretta linea guida in un settore universitario. Da Direttore, dunque, come svolge un lavoro scientifico con l’intento di guidare i ricercatori? OC: È molto vero che, ricoprendo il ruolo di Direttore di Dipartimento e ad interim anche quello di Coordinatore del Dottorato, sento forte questa responsabilità. Posso dire quello che ho fatto, che sto facendo e che avrei intenzione di fare. Ho implementato, in termini di spazio e unità di personale, una struttura che si chiama Centro Progetti DiAP, accessibile anche nel portale web del Dipartimento. Questo significa - come dimostra la mostra Intramoenia, esposta allo Iuav a cavallo tra il 2017 e il 2018 dedicata ai lavori recentemente svolti dal nostro Dipartimento - che si può progettare intramoenia e rivendico il fatto di aver creduto molto in questa modalità. Negli ultimi anni abbiamo (intendo molti di noi del DiAP) progettato in house opere come la stazione della Metro C di San Giovanni a Roma, il corso di Lanciano, la scuola di Accumoli e stiamo producendo il progetto Sapienza a Pietralata, che ho avuto l’onere e l'onore di ricevere in eredità dal professor Panella. Questa struttura operativa consente ai professori afferenti al Dipartimento la possibilità di progettare attraverso commesse dirette da enti pubblici. Si tratta di una struttura la cui finalità principale è favorire e quindi supportare lo sviluppo di progettazione interna all’ateneo e per conto terzi, monitorarne la qualità dell’impegno, le competenze di carattere professionale, l’utilizzo di attrezzature adeguate e la realizzazione di prodotti trasmissibili, compresi anche i modelli fisici di architettura. Nello specifico, ho impiantato un laboratorio di progettazione modellistica e l’architetto Alessandra Di Giacomo, esperta di modelli di architettura, oggi affianca l'architetto Maurizio Alecci che coordina il Centro Progetti. Di volta in volta, ogni progetto è affidato a un responsabile scientifico o a un progettista incaricato ma può essere svolto anche dal responsabile del Centro Progetti in virtù delle competenze che sono richieste allo scopo. Quando si fanno ricerche di natura applicata, nel Centro Progetti lavorano dottorandi, collaboratori, assegnisti. Tale 42
struttura dipartimentale si occupa anche della gestione delle manutenzioni ed è attiva nel supportare anche l’Amministrazione Centrale per l’elaborazione di progetti particolarmente rilevanti per i quali, quando è necessario, si formano delle vere e proprie task force in ordine alla multidisciplinarità dei molteplici saperi di cui Sapienza dispone. Con la professoressa Giovannelli sto progettando la riabilitazione dell’edificio del Dopolavoro di Ateneo disegnato da Minnucci all’interno della Città Universitaria, un vero capolavoro. A oggi la fase progettuale è terminata e, allo stesso modo, sono terminate le fasi di validazione da parte degli organi preposti. In tali occasioni la ricerca svolge un ruolo centrale: nel corso del lavoro ad esempio abbiamo avuto modo di confrontarci con il progetto originario di Minnucci e scoprire così la grande cupola nella sala del ballo, che una precedente e infausta ristrutturazione aveva nascosto con l’interposizione di un solaio in laterizi. Inutile dire che per la redazione del progetto sono stati indispensabili i giovani ricercatori e i dottorandi che hanno collaborato. Un Dipartimento come il nostro deve avere queste prerogative, rappresentando un’istituzione universitaria in grado di gestire progetti complessi con la necessaria attenzione alla qualità anche su piani successivi a quelli della ricerca preliminare. E tali prerogative vanno divulgate al massimo livello possibile. Nella collana delle pubblicazioni di Dipartimento, DiAP Print, una sezione è dedicata ai progetti come prodotti di ricerca. Si trovano lavori in cui la ricerca teorica è dominante rispetto a quella progettuale, ma anche volumi in cui sono presentati progetti realizzati, come il Masterplan di Viterbo o la già citata stazione per la metropolitana della linea C, che affronta il tema dell’archeologia urbana (Archeologia per chi va in metro). Prossimamente vorrei implementare il lavoro del Centro Progetti con il contributo e il tirocinio dei dottorandi che si accingono al secondo anno, dando loro la possibilità di partecipare direttamente a progetti di architettura sotto la guida dei vari docenti responsabili. IC: La teoria e il progetto sono uniti da una fase intermedia che va studiata e affrontata per giungere alla corretta conclusione di un percorso scientifico come il Dottorato di ricerca, così come anche descrive nel libro La dissertazione in Progettazione architettonica (Quodlibet, 2017). FC: Questo ci porta a riflettere su quanto e come possano essere applicate le competenze scientifiche acquisite da un architetto che si dottora. Se viene a mancare la parte metodologica-applicativa, la nostra formazione non può es43
John Tenniel, Illustrazione originale del romanzo Alice nel paese delle meraviglie, 1865 44
sere completa. Secondo noi, non può esserci progetto architettonico senza quello teorico e viceversa, allora esiste realmente una sottile linea di demarcazione tra i due? IC: Se esiste, qual è? E da cosa è composta? OC: Dietro la domanda si legge la vostra posizione, che condivido pienamente. Una teoria, per essere una buona teoria scientifica, deve soddisfare sostanzialmente due requisiti: descrivere accuratamente una serie di cose, fare delle osservazioni empiriche in conformità a modelli che diano preminenza all’oggettivo rispetto all’arbitrario; e formulare prefigurazioni per future osservazioni. Molto spesso lavoriamo in questo senso osservando il fenomeno urbano. Spesso nei libri di teoria affermiamo ipotesi su come saranno in futuro le città, il lavoro, l’abitazione, le strade, le piazze, i supermercati, le stazioni, il nostro patrimonio. Così, la descrizione degli eventi è entrata a far parte di studi sull’architettura concernenti il fenomeno urbano: questo è avvenuto in molti autori importanti come Saverio Muratori, Giuseppe Samonà, Aldo Rossi, Carlo Aymonino, Giorgio Grassi, anche Zaha Hadid, Peter Schumacher, Rem Koolhaas e altri. Costoro, cercando di essere molto accurati rispetto a ciò che hanno osservavato, hanno tentato di tenere insieme, nella varietà dei fenomeni, alcune costanti come elementi meno arbitrari del ragionamento, deducendo in sintesi una serie di constatazioni. Tali osservazioni di natura prevalentemente empirica non si sarebbero potute effettuare se non confrontandosi con la realtà e lavorando sul campo. I prelievi di queste osservazioni, dei tessuti, degli elementi universali dell’architettura, hanno a che fare con la realtà e con il progetto. Quando Le Corbusier ha presentato quella bellissima lezione sulla finestra mettendo insieme, come elemento universale dell’architettura, le finestre di tutte le epoche - da quelle delle caverne, dell’architettura rupestre, alla finestra gotica e alla sua finestra in lunghezza - ha estrapolato le proprie osservazioni empiriche sulla base di modelli che contenevano pochi elementi arbitrari, e ha quindi cercato di formulare delle predizioni sul futuro che derivassero direttamente da tali osservazioni. La sua comunicazione è avvenuta attraverso il disegno ed è stata dunque in grado di contenere sia l’elemento pratico, fenomenologico, empirico, sia l’elemento riflessivo e teorico. I due aspetti sono congiunti: non si può avere nessuna teoria scientifica e non si può avere nessun lavoro di approfondimento teorico senza l’unione di queste due componenti. Se potessimo mettere insieme la pratica e la teoria senza avvertire sempre il peso dell’una sull’altra, cercando di tenerle in un rapporto di equipollen45
za, staremmo facendo un ottimo lavoro, perché la pratica senza la teoria non vede, e viceversa. Perché siano dotate di “occhi per guardare”, hanno bisogno di indossare l’una gli occhiali dell’altra. Infine, considero la teoria un elemento che deve rendere consapevole l’osservazione. D’altra parte, l’agire inconsapevole è quasi sempre privo di teorie. IC: In sintesi, quali possono essere le metodologie applicative con cui rendiamo pratica la teoria? Così da trasformare uno strumento di ricerca in un progetto teorico e architettonico, nella pura conclusione che coesistono. OC: La teoria - ed è quello che dottorandi come voi dovreste sperimentare - diviene un mezzo per guidare e confrontare le domande che emergono in sede didattica o durante un tirocinio che si svolge nel corso di un atelier o in un tavolo di progettazione. C’è bisogno di un rapporto dialettico con la pratica per rivedere e riformulare principi e anche per spiegare fatti o fenomeni, specialmente quelli già validati e ampiamente accettati da parte della comunità. Per esempio, è eclatante la ricerca sul tipo architettonico. L’avvento del libro di Carlos Martì Arìs, Las variaciones en la identidad : ensayo sobre el tipo en arquitectura (Ediciones del Serbal, 1993), ha rotto completamente il modo in cui si guardava alla tipologia. Quindi il libro, frutto di una ricerca che tentava di risolvere problemi, sorti nel corso dello studio del tema, ha posto alla comunità una riflessione critica. Da questo punto di vista, essa ha richiamato un insieme di principi per spiegare fatti - e quindi anche fenomeni - già validati, accettati pedissequamente e non più discussi. Detto ciò, la ricerca modifica anche quello che definisco il dominio educativo e delle volte un progetto riesce a dare un impulso molto più grande di tante parole scritte in un libro. Può essere il caso di un progetto di una casa disegnata da un gruppo di giovani che vogliono sperimentare nuovi assetti distributivi, rimettendo in discussione il ruolo che il corridoio deve avere rispetto alle stanze che disimpegna o il rapporto che deve avere la zona notte con il living; oppure di un progetto che disegna piazze che non sono spazi aperti involucrati dal costruito, ma tappeti volanti, aree spazio che misurano un ambito aldilà dell'idea di un recinto perimetrale. In queste occasioni s’insinua una dimensione in grado di sovvertire ciò che è validato ed è accettato dalla comunità che a sua volta si apre verso un’altra dimensione nella quale il dominio teorico, educativo, progettuale è messo in discussione. Quando ciò si attua con successo si ha innovazione, perché osservazione ed esercizio si misurano e agiscono interconnessi nella realtà. 46
Piero Ostilio Rossi
Membro esperto collegio Dottorato in Architettura. Teorie e Progetto Andrea Ariano
Andrea Ariano: Considerare un progetto un prodotto di ricerca spesso risulta difficile a causa del carattere soggettivo di alcune scelte che sono insite nella progettazione. In quali termini si può parlare di scientificità in architettura? Piero Ostilio Rossi: Penso che il problema sia di carattere epistemologico, che riguardi cioè sia le condizioni in base alle quali si può avere una conoscenza di carattere scientifico, sia i metodi per raggiungere questo tipo di conoscenza. Quando dobbiamo spiegare in che cosa consista la ricerca del nostro campo disciplinare - di cui il progetto è uno dei possibili prodotti - e quali siano i metodi per svilupparla, credo che la chiave migliore sia quella di inquadrarla nell’ambito del problem solving, cioé nella dimensione creativa che si manifesta nell’attitudine a risolvere con grande capacità di sintesi dei problemi complessi che sono generati dall'interazione di sistemi a loro volta complessi. Oggi il metodo del problem solving si sta affermando in molti settori e per questo credo che possa avvicinare discipline e saperi fra loro diversi, da quelli tecnici e scientifici a quelli di carattere storico, filosofico e letterario, ovvero tanto le discipline non bibliometriche (che sono fondamentalmente quelle umanistiche) che quelle bibliometriche (che sono invece quelle a carattere scientifico). Per essere più precisi, nel nostro ambito disciplinare, l'aggettivo scientifico è utilizzato in un significato non del tutto coincidente con quello che si usa nelle discipline cosiddette dure, nelle quali le procedure tipiche sono quelle del metodo sperimentale che ha come principio 47
il motto provando e riprovando poiché nasce dall’osservazione ripetuta, dall’iterazione dell’esperienza, dalla verifica dell’errore e dalla sua correzione. Bisogna cogliere bene le differenze: nell’ambito della progettazione architettonica, noi tendiamo a designare con questo termine quanto c'è di trasmissibile, concettualizzabile ed oggettivamente trasferibile ad altre esperienze all’interno di un processo complesso che si chiama progetto. Sono convinto infatti che ogni progetto abbia una componente oggettivabile - in assonanza con il metodo scientifico - e un'altra componente che si basa su elementi di carattere decisionale, cioè su una serie di scelte che riguardano una sequenza di azioni soggettive che hanno, per loro natura, un carattere diverso. AA: Quindi la differenza è sostanzialmente di metodo? POR: Sì, anche se c'è un'altra cosa che bisogna tener presente quando si cerca di individuare gli elementi di contatto e quelli di differenza con le discipline scientifiche. Queste, essendo basate sul metodo sperimentale, procedono per cancellazione, cioè ogni nuova scoperta, ogni nuova soluzione ad un problema fa perdere importanza e significato a quelle precedenti. La teoria eliocentrica di Copernico ha annullato la teoria geocentrica di Tolomeo e nel momento in cui la verifica sperimentale ha dato totale credito alla teoria eliocentrica, quella geocentrica è stata messa da parte: oggi appartiene alla storia della scienza ma non è più un riferimento per i ricercatori. Nelle discipline scientifiche questo avviene continuamente, dico che esse procedono per cancellazione, per semplificare. In un certo senso, la scienza tende a distruggere il suo passato perché una nuova verità provvisoria prende il posto di una verità provvisoria precedente. Le discipline a carattere creativo - e noi con esse, poiché non c'è dubbio che la creatività faccia parte del nostro statuto disciplinare - procedono invece per accumulazione, sono perciò inclusive rispetto al passato, non lo cancellano affatto, anzi, il passato svolge un ruolo formativo vitale. Le architetture di Borromini non hanno cancellato le opere di Brunelleschi: esse si collocano semplicemente in successione. Il pensiero progettuale di Frank Lloyd Wright non ha cancellato l'architettura americana dell'Ottocento, anche se per molti versi l'ha superata. Insomma, ciò che ci differenzia dalle discipline scientifiche è il fatto che il nostro magazzino della memoria, quello dal quale il progettista attinge le proprie idee e le proprie soluzioni progettuali, accumula esperienza ed è sempre disponibile e non cancella nulla. 48
Il passato è sempre presente e fa parte dei nostri riferimenti. Anche per questo sono convinto che l’aggettivo scientifico sia una componente del nostro bagaglio disciplinare, ma con una accezione diversa e per evitare di essere male interpretati è bene che lo si usi con parsimonia. AA: Una volta affrontato l’utilizzo dell’aggettivo scientifico nel nostro ambito disciplinare, vorrei provare a chiarire con il suo aiuto in che modo un prodotto di ricerca differisce da un prodotto scientifico vero e proprio. POR: Credo che sia opportuno fare una premessa di cornice: quando la Vqr (il processo di valutazione della ricerca in ambito universitario) è partita, ormai dieci anni fa (la prima Vqr ha riguardato il periodo 20042010), Ingegneria civile e Architettura facevano parte di un’unica Area disciplinare (l’Area Cun 08). Non c'erano grandi distinzioni di principio nei metodi di valutazione nonostante ci fosse la consapevolezza che si trattasse di stili di ricerca molto diversi tra loro. Era però necessario capire in che modo quello che si chiama prodotto scientifico potesse essere interpretato nell’ambito di discipline tra loro differenti: da una parte nelle discipline dure, nelle quali le procedure di definizione sono da tempo consolidate e dall’altra in discipline come la nostra che hanno una componente creativa e decisionale e uno statuto più debole. Per quanto riguarda gli sviluppi di questa distinzione, molta strada è stata fatta sino a giungere alla suddivisione dell’Area 08 in due settori sostanzialmente autonomi: 08a - Architettura e 08b – Ingegneria civile. Per i motivi di cui ho parlato prima, io preferisco che i nostri prodotti - nello specifico il progetto di architettura - siano qualificati come prodotti di ricerca piuttosto che come prodotti scientifici. Questo perché rispetto allo statuto delle discipline dure è evidente che ci sia una differenza: da una parte bisogna riconoscere alla nostra disciplina una sua specificità, ma dall'altra bisogna capire in che maniera questa specificità possa essere coniugata e confrontata con il metodo scientifico, soprattutto per trovare un modo per essere inseriti in maniera adeguata all’interno di un processo di valutazione comune. Cercare di far passare il nostro lavoro come un prodotto di natura scientifica, urta contro gli statuti delle discipline a carattere logico-deduttivo. Da una parte bisogna rivendicare il fatto che il progetto è una cosa diversa, ma allo stesso tempo non dobbiamo sottrarci al confronto che, secondo me, può avvenire nei termini che ho provato a descrivere prima e cioè intorno alla componente oggettivabile che la 49
nostra disciplina contiene. Per questo, ritengo che la definizione prodotto di ricerca sia più chiara perché in qualche modo ne individua e ne distingue i prodotti: non esclude la presenza di una componente scientifica ma cerca di spiegare entro quali limiti questo termine possa essere usato per evitare confusione e fraintendimenti e senza invadere forme di indagine e di conoscenza che sinceramente non sono le nostre. AA: Il progetto si può sempre considerare un prodotto di ricerca? Se no, quali condizioni deve soddisfare perché possa esserlo considerato? POR: Considerare ogni progetto un prodotto di ricerca è sbagliato; bisogna individuare alcune caratteristiche che permettano di riconoscere ad un progetto alcune capacità, alcune specificità che gli consentano di essere considerato esito di un lavoro di ricerca. Secondo me, sono necessarie alcune condizioni preliminari. Un elemento molto importante è la sua fortuna critica, perché uno dei fattori chiave della possibilità di considerare un progetto un prodotto di ricerca - così come per altro accade per i prodotti delle discipline dure - è la sua condivisione all’interno della comunità scientifica di riferimento. È molto importante quindi che il progetto in questione sia stato accolto, sia stato segnalato attraverso pubblicazioni, mostre, articoli
Gilbert Garcin, Diogène ou la lucidité, 2005 50
o premi in concorsi di architettura. Questo riconoscimento è una specie di pre-condizione che estrae il progetto da un ambito individuale, in qualche modo dall’anonimato, e lo colloca in un'altra categoria, tra gli esempi a cui si guarda come un possibile riferimento. Questo significa, per essere molto concreti, che il progetto deve essere stato premiato e quindi individuato come un prodotto qualificato oppure deve essere stato pubblicato su riviste di architettura - ovviamente più le riviste sono accreditate dal punto di vista della qualità (riviste scientifiche o di classe A, secondo le definizioni Anvur) e più il riconoscimento ha ragione di essere - o ancora deve essere stato pubblicato su libri che, nell'affrontare l'argomento dal punto di vista teorico, lo indicano come esempio, lo analizzano e lo studiano. AA: In effetti la fortuna critica di un progetto e la sua diffusione nella comunità scientifica erano proprio una delle linee sulle quali si è mosso il GEV per valutare il progetto in quanto prodotto di ricerca. POR: Si, come dicevo, questa è una specie di pre-condizione, necessaria ma forse non sufficiente. A mio avviso ci sono altri elementi che il progetto deve possedere, e qui si apre una questione delicata che non è stata troppo approfondita sino ad ora. Se un docente universitario intende presentare in un processo di valutazione un progetto come prodotto di ricerca, deve fare un ulteriore sforzo che riguarda almeno due questioni. La prima è che, se è vero quello che abbiamo detto sino ad ora - e cioè che un progetto per essere un prodotto di ricerca deve contenere degli elementi oggettivabili e trasmissibili - è necessario collocare il progetto all’interno di una specifica riflessione al fine di concettualizzarne gli aspetti significativi e renderli, appunto, trasmissibili. Per un docente-progettista questo è un aspetto importante: concettualizzare il metodo, le procedure e la sequenza delle decisioni; il progetto deve essere quindi accompagnato da una nota critica che vada oltre i caratteri di sintesi che un progetto di architettura possiede, tanto da rendere le sue componenti inestricabili e che aiuti, al contrario, a disarticolare e a decrittare l'unità di un progetto per svelarne i meccanismi che l'hanno prodotto. La nostra disciplina si basa su una forte interazione tra teoria e progetto, perciò, soprattutto in ambito accademico, credo che uno degli sforzi di questa concettualizzazione debba riguardare la valutazione critica delle relazioni che il progetto instaura con le riflessioni teoriche che sono richieste ad un docente-progettista. 51
La seconda questione riguarda l’opportunità di inserire il progetto in una linea di ricerca - personale o collettiva - che lo renda un prodotto ancor più radicato nella comunità scientifica. Credo cioè che sia importante collocare il progetto all’interno di un sistema di riferimenti che può essere sia personale, sia riconducibile ad una scuola o ad un movimento di pensiero; in questo modo si rende ancor più comprensibile e trasmissibile il processo che si sta descrivendo. Disarticolando il progetto, lo si rende trasmissibile. E questo è un nodo che un docente di discipline progettuali è chiamato continuamente a sciogliere, perché deve essere in grado di passare dal saper fare al saper far fare, cioè ad insegnare ad altri come si fa. Credo quindi che nella Vqr, che è continuamente oggetto di affinamenti, si debbano richiedere, oltre agli elementi che permettono di individuare la fortuna critica del progetto, anche indicazioni in merito al rapporto che esso instaura con le riflessioni teoriche del docente-progettista e con le principali linee d’indirizzo della ricerca architettonica contemporanea. AA: Nella scorsa VQR era richiesto un Dossier per la presentazione del progetto, molto concretamente cosa dovrebbe contenere secondo lei? POR: Credo che nel Dossier sia necessario illustrare sinteticamente il progetto con disegni e fotografie e con una relazione critica [in questo testo definita Relazione grafica e testuale] che contenga tutti i dati necessari: dove è stato realizzato, quali sono i caratteri distintivi del sito, quali le strategie insediative, i materiali utilizzati, ecc. Oltre a questo, è necessaria una documentazione della sua fortuna critica [in questo testo definita Appendice bibliografica]; sarebbe poi opportuno allegare un breve saggio critico - o meglio, autocritico - [in questo testo definito Testo critico] in cui il progetto sia analizzato in base a quei criteri che prima ricordavo: da una parte la concettualizzazione dei metodi, delle procedure, della sequenza delle decisioni, con particolare riguardo per i rapporti con le riflessioni teoriche dell’autore e dall'altra un’analisi dei modi in cui il progetto stesso si inserisce nella sua produzione progettuale o, più in generale, all’interno di un filone di ricerca di cui egli ritiene di far parte.
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Alessandra Capuano
Membro del Gruppo Esperti Valutatori VQR 2011-2014 Paolo Pizzichini e Günce Uzgören
Paolo Pizzichini e Günce Uzgören: Sappiamo che lei ha fatto parte, con la professoressa Teresa Stoppani, del Gruppo Esperti Valutatori (GEV), rappresentando le discipline dell'architettura nell’ambito dell’ ICAR/14. Il vostro operato è stato importante perchè si è occupato delle procedure che hanno determinato quali prodotti dovessero essere sottoposti a valutazione, in un contesto in cui il progetto era stato da poco ammesso come prodotto di ricerca: può dirci qualcosa in più sulle tematiche che hanno caratterizzato i vostri interventi? Alessandra Capuano: Sì, in realtà il lavoro lo abbiamo fatto in tre perché è subentrata anche la professoressa Sara Protasoni e insieme ci siamo occupate del settore concorsuale della progettazione, che vuol dire i settori disciplinari Icar/14-15-16. Il settore Icar/14 è la progettazione architettonica ed urbana, l'Icar/15 la progettazione del paesaggio e l'Icar/16 la progettazione degli interni. Il ruolo che siamo stati chiamati a svolgere come Gev non è stato solo quello di organizzare la distribuzione dei prodotti da sottoporre a valutazione, ma anche di introdurre alcuni correttivi che si sono resi necessari dopo la prima Valutazione della Qualità della Ricerca (Vqr) e il conseguente dibattito che si è attivato. Lo sconcerto che aveva suscitato la Vqr del 2004-2010 (primo esercizio di valutazione in assoluto), espresso talvolta in severi giudizi che ne criticavano i criteri valutativi, credo dipendesse anche dal fatto che molti di noi avevano realizzato, solo a risultati pubblicati, e in seguito ai successivi provvedimenti adottati dagli atenei, le reali implicazioni derivanti 53
dal sistema della Vqr, che avrebbe dovuto avere come obiettivo primario e originale la valutazione della ricerca che si svolge nelle strutture e negli enti, per monitorarne l’andamento e per decidere della distribuzione delle risorse. Purtroppo molti atenei, in particolare quelli più grandi del centro-sud, hanno fatto un uso distorto dei dati, che sono stati utilizzati anche per la valutazione dei singoli individui e non solo delle strutture, e questo ha provocato quel senso di disorientamento e di confusione che serpeggiava nella nostra comunità scientifica. Nonostante queste storture, penso che il sistema della valutazione vada difeso perché dovrebbe innescare meccanismi virtuosi di sana competizione tra i ricercatori e di miglioramento delle performance, che sono obiettivi importanti per una collettività scientifica, che deve continuamente interrogarsi sulla qualità della ricerca e sul proprio ruolo nella società. Tutti i sistemi sono passibili di perfezionamento e pertanto è nostro compito lavorare in tal senso, pur consapevoli che i risultati che si ottengono vanno utilizzati per l’uso effettivo per cui erano stati immaginati, ovvero sottoporre la ricerca a valutazione per stimolare il miglioramento delle istituzioni, la valorizzazione delle vocazioni e la corretta individuazione degli obiettivi. La valutazione dovrebbe permettere di costruire una geografia delle istituzioni in Italia e di avanzare qualche considerazione attorno ai modi con i quali si fa ricerca e sul valore che essa assume entro un panorama internazionale; dovrebbe permettere qualche considerazione sull’evolversi di questa geografia in un tempo medio di dieci anni, attraverso il confronto con la situazione degli anni precedenti. Di seguito, secondo gli intenti del ministero, i risultati della valutazione dovrebbero essere utilizzati anche per l’allocazione dei fondi statali alle Università (e agli Enti di Ricerca con modalità diverse), secondo quanto stabilito dall’articolo 60 del D.L. 69/2013. A ben guardare è proprio questo obiettivo che finisce per creare delle distorsioni, una sorta di giustificazione ideologica per ridurre e concentrare le poche risorse disponibili. Per raggiungere questo obiettivo il parametro della produzione scientifica della Vqr viene inserito in un algoritmo che confronta la produzione di una determinata area scientifica con quella di tutte le aree scientifiche e con altri indicatori di carattere gestionale che condizionano il risultato finale. Ad ogni modo, il nostro operato si è concentrato sull'obiettivo di migliorare i criteri di valutazione specifici della nostra disciplina e, in particolare, sulla verifica della tassonomia dei prodotti 54
del bando che non era adeguata per il settore architettura, perché non restituiva un ritratto fedele dei temi e delle modalità in cui si svolge la ricerca. Non compariva ad esempio la parola progetto e, di conseguenza, vi era una totale sottostima della ricerca progettuale, che è il cuore della nostra disciplina. Il bando della Vqr 2011-2014, attraverso l'ampliamento della tipologia dei prodotti, ha registrato questa varietà di espressione, non penalizzando o privilegiando alcun tipo di prodotto tra quelli elencati. Poichè la Vqr dovrebbe avere il compito di valutare la qualità della ricerca e non altro, sono stati anche specificati gli aspetti che distinguono i prodotti scientifici da quelli meramente didattici o divulgativi (testi, cataloghi di mostre che raccolgono materiali prodotti nei corsi di insegnamento, manuali didattici, ecc.) con il fine di individuare i prodotti ammissibili alla valutazione della ricerca. Il nostro compito è stato quindi di fornire chiare definizioni dei prodotti della ricerca e indicazioni su come andassero presentati se sottoposti a valutazione. È stato dunque precisato cosa sia ad esempio monografia, cosa si intenda per curatela o cosa significhi progetto architettonico, affinchè non venissero sottoposti a valutazione prodotti non appartenenti alle categorie, evitando che venissero, di conseguenza, mal valutati. Un altro lavoro importante ha riguardato la necessità di stabilire criteri condivisi sul sistema di valutazione. I sistemi di valutazione che si usano in ambito accademico sono due: bibliometrico e non bibliometrico. Il primo è una sorta di modello matematico, ed ha a che fare con il numero di citazioni che una certa pubblicazione ha ottenuto. Più volte si è citati, più l’articolo ha interessato la comunità scientifica, e quindi ha una valutazione più alta. Questo sistema può anche subire delle deformazioni, perché ci sono delle riviste scientifiche che, quando si scrive un articolo, chiedono esplicitamente di citare qualcuno che ha già scritto nella rivista, generando un meccanismo per aumentare il numero delle citazioni, ma in linea di massima è un criterio quantitativo rigoroso e indiscutibile. Questo sistema non ci riguarda nello specifico, perché le materie umanistiche in generale, o la nostra disciplina che è un po’ a cavallo tra l'ambito umanistico e quello scientifico, sono invece valutate secondo la peer review, ovvero la valutazione tra pari: si scelgono altri ricercatori nel campo che devono leggere il testo e stabilirne la qualità. Anche qui possono esserci delle oscillazioni sul giudizio determinante da vari fattori. Ad esempio, quando si affida la valutazione bisognerebbe avere l’accortezza 55
di assegnare un certo numero di testi al valutatore, affinchè egli abbia dei termini di paragone. La valutazione che darà sarà più equilibrata. Siamo inoltre in un ambito delicato e in parte discrezionale, perché possono esserci persone più rigorose e severe, oppure più generose nel valutare. Per questo motivo i testi vengono dati da leggere a persone diverse (la mia opinione è che dovrebbero essere tre, ma qui entrano in gioco anche fattori economici). Essendo un sistema non-bibliometrico, le valutazioni sono maggiormente dipendenti da stime soggettive. La peer review si è dimostrata più severa, ma c’è da dire che questo favorisce la collocazione dei prodotti nelle classi intermedie rispetto a quelle estreme. Per cercare di uniformare maggiormente i criteri di valutazione, quindi, occorreva fornire ai revisori una griglia di parametri e principi condivisi che potesse determinare una valutazione equa. I criteri fissati riguardavano l’originalità, il rigore metodologico, l’impatto attestato o potenziale sulla comunità internazionale di riferimento, l’autorevolezza della sede editoriale tenendo conto dei caratteri del mercato editoriale e dei modi con i quali si ha accesso ad esso. Anche i circuiti locali/nazionali/internazionali in cui l’opera si colloca sono elemento che, analogamente, incide sull’impatto attestato o potenziale della stessa. Di questo elemento occorre tenere conto, pur cercando di evitare le ingenuità di una equivalenza tra internazionalizzazione e circuiti di diffusione, essendo la prima definita più che dalla sede o dalla lingua, da interlocutori individuati esplicitamente o implicitamente (ovvero a chi si rivolge). Per quanto riguarda i giudizi discordanti e i prodotti non valutabili, il Gev ha formato dei gruppi di consenso costituiti da tre membri che hanno esaminato le differenze e le motivazioni, potendo scegliere se giungere a un verdetto motivato, oppure ricorrere a un terzo revisore. Comunque il dato sulle valutazioni discordanti per l’area 08 mette in luce una percentuale tutto sommato rassicurante. GU: Quale prodotto di ricerca ci si aspetta che venga elaborato da un dottorando? AC: Direi che il dottorando è un giovane che vuole imparare il mestiere della ricerca. La ricerca si può fare in molte istituzioni, enti, società. Tra i luoghi della ricerca l’università è senz’altro al primo posto. Quindi un dottorando che voglia poi continuare il proprio percorso di ricercatore comincerà a produrre ricerca nell’ambito che più gli interessa. L’output della ricerca è sostanzialmente lo stesso per tutta la comunità scientifica 56
a cui anche il dottorando appartiene. Quindi i prodotti di ricerca saranno quelli della disciplina di appartenenza. Per la progettazione architettonica i prodotti più frequenti sono: monografie, curatele, saggi, articoli in rivista, proceeding, progetti architettonici che abbiano ottenuto premi o riconoscimenti o che siano stati pubblicati. PP: Quali sono i vantaggi ed i benifici del sistema IRIS per ricercatori e studenti? Abbiamo ascoltato con piacere la sua lezione al dipartimento, ma possiamo chiederle anche in questa sede quali sono i punti essenziali di utilizzo del sistema? AC: I prodotti segnalati per la Vqr provengono dal Database Iris, ove per ogni prodotto l'autore è stato invitato, al momento dell'inserimento, a dare informazioni sulla circolazione (nazionale/internazionale), sulla eventuale classificazione della rivista, sulla eventuale presenza di comitati scientifici etc. Tali informazioni, raccolte in base a quanto hanno dichiarato gli stessi autori, concorrono alla valutazione del prodotto. Il Database Iris serve quindi come attestazione dell’esistenza di un prodotto e serve anche per tutta una serie di altre valutazioni a cui i ricercatori in generale (quindi docenti e dottorandi) sono sottoposti in diverse occasioni, non solo per la Vqr. Ad esempio quando si presenta una domanda di ricerca, quando si valuta la produttività e la qualità di un dottorato e così via. GU: Quali sono, se ce ne sono, i miglioramenti attuabili all’intero sistema di catalogazione IRIS? AC: I maggiori problemi che riscontro sono nella piattaforma che non gestisce bene il conferimento dei prodotti da parte di co-autori o collaboratori generando spesso doppioni. Inoltre permette di inserire tutta una serie di informazioni irrilevanti a mio giudizio per la valutazione della ricerca, che riguardano invece i ruoli ricoperti dai ricercatori. Infine per modificare il prodotto occorre rivolgersi ai responsabili della piattaforma e questo complica inutilmente le cose. Si tratta però di problemi tecnici e non di sostanza.
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METODO
Nella pagina precedente: Gilbert Garcin, Surmonter les obstacles, 2005
Dalla teoria alla pratica Uno strumento di valutazione critica Andrea Ariano
Le interviste ci hanno fornito gli strumenti cognitivi ed i presupposti teorici che supportano la valutazione del progetto in quanto prodotto di ricerca. Il metodo, che come ricorda la sua etimologia greca significa “la via che conduce oltre”1, rappresenta lo strumento pratico, operativo, che ci permette di passare dal dire al fare. Questo passaggio è, tanto in questo libro che nel processo di valutazione, una vera e propria cerniera, un ponte tra la teoria e la pratica. Noi curatori, di concerto con gli autori del libro, sin dall’inizio abbiamo deciso di inserire questo volume nella collana “Gli Strumenti”: per noi ha tanto un significato simbolico che pratico. Il metodo da noi ipotizzato intende essere un primo passo verso la valutazione critica del progetto di architettura, uno strumento appunto, che nelle mani del progettista esplicita i caratteri innovativi e di interesse della propria ricerca architettonica. Se nel nostro caso questo metodo è stato utilizzato per l’autovalutazione critica dei progetti, che compongono la terza parte di questo volume, esso può essere utilizzato per esplicitare e valutare un qualsivoglia progetto. Cfr. Rossi P.O., Prima trovare, poi cercare…, in Carpenzano O., La dissertazione in Progettazione architettonica Suggerimenti per una tesi di Dottorato, Quodlibet, Macerata 2017 1
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Proseguendo il lavoro svolto dai colleghi che ci hanno preceduto negli scorsi anni all’interno del seminario Linee di ricerca, proponiamo un metodo il cui fine è rendere il progetto di architettura valutabile attraverso la redazione di un Dossier di progetto, che si compone di una Scheda valutativa, un Testo critico, una Relazione grafica e testuale e un’Appendice bibliografica. La Scheda valutativa ed il Testo critico sono le componenti particolarmente innovative della nostra proposta metodologica e vengono approfondite specificatamente in questa parte del libro, per poi essere esemplificate, mediante la valutazione critica di otto progetti, in quella successiva. La Relazione grafica e testuale esplicita sinteticamente la descrizione degli elementi del progetto (programma funzionale, articolazione spaziale, tecnologie implementate etc.), mentre l’Appendice bibliografica presenta eventuali pubblicazioni del materiale progettuale, successi in ambiti concorsuali o accademici e, più in generale, in che modo il prodotto presentato ha avuto risonanza nell’ambito culturale di riferimento. Poiché queste ultime sono componenti di uso comune, non vengono approfondite nel metodo da noi proposto.
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Una proposta per la valutazione del progetto di architettura Matteo Baldissara e Selenia Marinelli
La valutazione del progetto di architettura come prodotto di ricerca riporta al centro del dibattito architettonico un tema di capitale importanza: come valutare le sostanze del progetto indipendentemente dal suo successo di critica e da categorie interpretative di poetica personale? Con questa breve proposta, redatta in forma di guida dai partecipanti ai seminari Linee di Ricerca 2017 e 2018 si vuole dare un contributo allo sviluppo di uno standard per la presentazione e la valutazione di un progetto in ambito scientifico, a partire dalle analisi e dalle proposte dello stesso professore Antonino Saggio1. Che tipo di progetto può essere sottoposto alla valutazione? Qualunque tipo di progetto può essere valutato come prodotto di ricerca. Sebbene alcuni progetti siano costitutivamente fondati sull’idea della ricerca (è il caso di progetti redatti per la sperimentazione tecnologica, per la verifica di ipotesi computabili o per lo sviluppo di nuovi sistemi costruttivi) il sistema di valutazione che si propone non valuta il progetto Saggio A., PhD in Architectural Design: a five-point Algorithm or why a Computer Scientist must Produce a Program and an Architect not a Design?, in Maria Voyatzaki, a cura di, Doctoral Education in Schools of Architecture across Europe, Charis Ltd, Thessaloniki (Grecia) 2014 1
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solo dal punto di vista dell’innovazione, ma ne esamina metodi e presupposti in un ambito più ampio. Un progetto che non abbia una spinta innovativa dal punto di vista spaziale, costruttivo o tecnologico, può ad esempio costituire un prodotto di ricerca per i nuovi campi di applicazione che prospetta o per l’individuazione di un nuovo ambito di intervento o ancora per la sua rilevanza culturale. Si possono valutare progetti non realizzati? Sì, la valutazione del progetto come prodotto di ricerca non richiede la sua costruzione. Tuttavia, nell’atto di presentare un progetto non realizzato, assume una maggiore importanza evidenziare come esso costituisca un fattore di progresso per la disciplina dal punto di vista metodologico e portare evidenze – attraverso lo strumento dell’autovalutazione dei risultati raggiunti – di come la sua implementazione possa costituire un miglioramento per l’ambito che si analizza. D’altra parte, anche nel caso di progetti realizzati, la valutazione del miglioramento apportato non può che avvenire nel lungo periodo secondo parametri differenti da quelli utilizzati in questa sede. Si possono valutare progetti non contemporanei? Sì, il metodo di valutazione si basa sull’analisi riferita al contesto culturale in cui il progetto è stato sviluppato. In questo senso elementi di innovazione dal punto di vista tecnico, spaziale, culturale sono da riferirsi al quadro temporale contemporaneo allo sviluppo del progetto. Come si presenta un progetto di architettura come prodotto di ricerca? Perché il prodotto possa essere valutato in maniera accurata, il progetto deve essere presentato attraverso un Dossier, di cui la Scheda valutativa ed il Testo critico sono gli elementi affrontati in questo libro. La prima serve a segnalare gli elementi di maggiore importanza del progetto, mentre il secondo è redatto dai progettisti per esplicitare i fattori di innovazione che il progetto apporta all’ambito disciplinare.
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Linee guida per la compilazione della Scheda valutativa Luigi Arcopinto e Francesco Calabretti
Valutare il progetto di architettura, sulla scorta di categorie esplicite derivate da un processo di autovalutazione, è di fondamentale importanza per comprendere come esso possa essere considerato un prodotto di ricerca. Lo strumento cardine del processo che qui si propone è la Scheda valutativa: uno schema composto da otto righe (categorie) e quattro colonne (parametri). Le categorie sono: Luogo, Programma, Metodo, Tecnologia, Strumenti, Interdisciplinarità, Linguaggio e Spazialità. Queste vanno messe a sistema con i parametri Innovazione, Validità, Impatto e Potenzialità. Alle intersezioni, delle categorie e dei parametri, va assegnato il valore che rispecchia i punti attorno ai quali verte la valutazione finale. Naturalmente non è indispensabile associarlo a ciascuna combinazione, in quanto non sempre l’architettura analizzata rientra in una determinata categoria indicizzabile. Ora, per poter meglio comprendere le modalità secondo le quali attribuire il valore alle celle per compilare correttamente la Scheda valutativa, è illustrato di seguito il senso assegnato alle categorie e ai parametri.
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Layout della Scheda valutativa del progetto redatto da Beatrice Conforti e Lavinia Ann Minciacchi, XXXIII ciclo nell'ambito del seminario Linee di ricerca del 2018.
Nome del progetto Dati di progetto Progettista: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
Nome e Cognome Città, Nazione Anno di progettazione Anno di esecuzione Tipologia di progetto
Innovazione
Validità
Impatto
Potenzialità
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità Valore da attribuire alle intersezioni
Immagine significativa del progetto
Didascalia immagine 66
Categorie • Il luogo è lo spazio circoscritto, materiale o ideale, dove è stato realizzato o pensato il progetto oggetto della valutazione. Esso può essere ricondotto a un’entità topografica, alle caratteristiche e alle funzioni di un ambiente o al tema entro il quale trova applicazione l’argomentazione topica del progetto. • Il programma è il complesso dei principi e degli obiettivi, investigati e poi perseguiti dall’idea progettuale all’esecuzione dell’opera, che costituiscono il paradigma secondo cui sono organizzate le funzioni negli spazi del progetto. • Il metodo è la struttura teorica e pratica con cui l’architetto imposta e risolve le questioni sollevate dal quesito progettuale. Quindi, questa categoria è da investigare dallo studio dei disegni e dei modelli, sia tradizionali che informatici, fino alle scelte in cantiere quando l’opera è realizzata. • La caratteristica della tecnologia concerne l'applicazione nell’edificio di tutto ciò che può essere funzionale alla soluzione di alcuni problemi o all'ottimizzazione delle procedure. In senso più restrittivo, la tecnologia riguarda la scelta delle soluzioni alternative di progetto in relazione alla forma, alla localizzazione e alle prestazioni degli elementi che compongono l’edificio inteso come combinazione di attività e componenti complessi. • Gli strumenti sono i mezzi scientifici, tecnici e poetici che coadiuvano l’attività progettuale. Essi comprendono, gli strumenti necessari per lo studio della domanda progettuale, quelli per la direzione e il controllo del progetto e quelli per il suo sviluppo formale e concettuale. • L’interdisciplinarità è la caratteristica della complementarità, dell’integrazione e dell’interazione di discipline diverse che concorrono a determinare principi comuni, sia in ambito teoretico che pratico. Essa è, in buona sostanza, la ragione che spinge alla costante ricostituzione dello statuto della disciplina. • Il linguaggio attiene al valore espressivo attribuito a particolari segni ricorrenti o meno, all'uso che si fa di certi oggetti, alle forme che, dall’atto del loro tracciamento, concretizzano e ordinano l’architettura. • La spazialità dell’opera costituisce il centro di ogni pensiero architettonico. Essa è espressione degli effetti culturali, storici e poetici nella materialità dell’architettura. 67
Parametri • L’innovazione è il parametro che identifica l’introduzione, all’interno della specifica categoria di riferimento, di nuove peculiarità all’avanguardia - non utilizzate o scarsamente utilizzate precedentemente - tali da rendere il caso preso in esame apripista di un nuovo ragionamento. • La validità è il parametro afferente alla correttezza della categoria esaminata in rapporto a determinate forme e procedure introverse, ovvero che delimitano il loro campo di esistenza a caratteristiche intrinseche all’architettura. • L’impatto è il parametro che valuta la risonanza che ha o ha avuto la categoria esaminata del progetto architettonico, in riferimento al contesto fisico, storico, sociale e culturale in cui si colloca. Questo parametro è quindi da intendere afferente a caratteristiche estrinseche all’architettura. • La potenzialità è il parametro che misura la possibilità di sviluppi futuri del progetto nella specifica categoria analizzata. Esso concerne, quindi, l’attitudine latente del progetto a dispiegare nuovi sviluppi nell’immediato futuro.
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Linee guida per la redazione del Testo critico Matteo Baldissara e Selenia Marinelli
Come detto, la Scheda valutativa è parte qualificante del Dossier di progetto ed è accompagnata da un Testo critico composto da una parte testuale e da immagini significative. Nel metodo da noi proposto, la Scheda valutativa ed il Testo critico sono strettamente legati, infatti le categorie ed i parametri più significativi del progetto, individuati nella scheda, vengono esplicitati e chiariti nella parte testuale. Quest'ultima deve rispondere a domande specifiche, al fine di illustrare in maniera chiara tutti gli ambiti di rilevanza del progetto proposto, attraverso la disamina e l'utilizzo dei punti qui di seguito elencati. Identificazione dell’ambito di intervento: ricerca e progetto Il progettista deve esporre in maniera chiara gli obiettivi del suo progetto, rendendo esplicito in che maniera, nella propria opinione, il progetto si configura come prodotto di ricerca. In questo senso è opportuno che il Testo critico non venga inteso come una canonica relazione di progetto, che è già presente all'interno del Dossier, ma come un elaborato che mette chiaramente in evidenza in quale ambito il progetto opera un avanzamento, sia esso tecnico, culturale, spaziale.
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Olafur Eliasson, The Weather Project, turbine hall at Tate modern, 2003 70
All’interno di questa sezione deve apparire chiaro su quale ambito disciplinare il progetto si propone di lavorare, il progettista deve anche rendere evidenti le criticità rilevate, sia nel generico quadro architettonico che nelle situazioni contingenti al quale il progetto si riferisce, e quali soluzioni vengono proposte per il suo miglioramento. Analisi di metodi e strumenti Il progettista deve rendere espliciti i metodi implementati per lo sviluppo progettuale. L’apparato metodologico deve illustrare chiaramente secondo quali parametri sono state eseguite le analisi contestuali e con che strumenti e attraverso quali processi si è arrivati alla proposta progettuale. Idealmente l’analisi deve essere sviluppata in maniera comparativa rispetto a metodologie precedenti o parallele e porre in luce, qualora fosse il caso, in che modo essa costituisca un fattore di innovazione. Autovalutazione dei risultati Come in ogni prodotto di ricerca il progettista deve evidenziare come, rispetto al quadro culturale e metodologico precedentemente illustrato, il prodotto rappresenti un avanzamento su uno o più fronti. In particolare, appare rilevante evidenziare aspetti che attengono alla riproducibilità dei metodi sviluppati, ad aspetti economici di progetto e realizzazione, al raggiungimento degli obiettivi identificati in precedenza. Il progettista deve inoltre rendere espliciti i possibili sviluppi futuri e le possibili implementazioni del prodotto presentato in un’ottica di prosecuzione della ricerca.
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PRODOTTI
Nella pagina precedente: Il monolito nero, dal film 2001: Odissea nello spazio regia di Stanley Kubrick 74
Tra corporeo e incorporeo Esperienze di autovalutazione Luigi Arcopinto
Qui l’approccio precedentemente illustrato sedimenta. Siamo pronti a lasciarci alle spalle ogni dogma e preconcetto e ad autovalutare il progetto di architettura come prodotto di ricerca. Le prossime pagine sono composte da una raccolta di oggetti architettonici che il Caso ha voluto assortire. Affacciarsi ad esse è come avere, per un attimo soltanto, un brevissimo contatto con il monolito di Kubrick1: un multiverso di possibilità ci si schiude davanti. Dalla conchiusa ma organica macchina per l’abitare della Striscia di Gaza allo stereometrico allestimento per la mostra I libri che hanno fatto l’Europa, dal semplesso sistema riqualificatore di Tevere Cavo alla fascinosa sperimentazione sul Micelio, ogni progetto è denso di entusiasmo ed indaga - a diversa scala - i temi e i problemi dell’architettura. Nella scelta dei contributi da inserire non ci ha interessato l’esito costruttivo delle opere. Per questo motivo la struttura autovalutativa si confronta sia con architetture che hanno avuto un impatto fattivo nella realtà, ovvero con oggetti che si sono trasformati da bidimensionali a corporei, sia con architetture che sono rimaste ideali e senza un corpo tattilmente esperibile. Questo è un aspetto fondamentale perché non sempre il progetto di architettura è finalizzato alla costruzione. La storia dell’architettura ce lo dimostra. Basta pensare ai volumi cruciformi che 1
La citazione fa riferimento al film 2001: Odissea nello spazio diretto da S. Kubrick 75
Le Corbusier immaginava per sostituire il tessuto di Parigi o, ancora, alle bellissime immagini della Casa per Procida2 di Cosenza e Rudofsky che nel 1938 arricchivano le pagine di Domus. Il progetto di architettura può, dunque, essere un valido prodotto di ricerca anche quando non è costruito.
L. Cosenza, B. Rudofsky, La scoperta di un’isola. Non ci vuole un nuovo modo di costruire, ci vuole un nuovo modo di vivere (commento al disegno di una casa all’isola di Procida), “Domus”n. 123, 1938, pp. 3 - 5 2
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Tevere Cavo
Un progetto urbano per le sponde del Tevere e le aree limitrofe nel settore nord di Roma, che vede nel fiume una importante infrastruttura per il rilancio della città. Si compone di circa trecento progetti che attraverso programmi innovativi di mixité rivitalizzano aree degradate per restituirle alla città. Tevere cavo rappresenta una proposta offerta a Roma, basata su assuntidi fattibilità, innovazione e sviluppo sostenibile, in assonanza con progetti analoghi realizzati in molte città del mondo. Nella prospettiva di una candidatura olimpica per Roma 2034, il progetto costituisce un quadro di riferimento e di confronto delle idee.
Tevere Cavo Dati di progetto Responsabile: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
prof. arch. Antonino Saggio Roma, Italia 2012-2018 Non realizzato Progetto di riqualificazione urbana
Innovazione
Validità
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
Inquadramento generale del settore urbano di progetto 78
Impatto
Potenzialità
Tevere cavo si muove nel dibattito architettonico e urbano sul ruolo delle vie d’acqua e sul recupero della città esistente. A Roma, come avviene già nella maggior parte di grandi città del mondo, il fiume potrebbe rappresentare una infrastruttura per riorientare lo sviluppo: dall’espansione con il continuo consumo di suolo agricolo, al recupero ed alla rivitalizzazione dei tanti vuoti urbani e brown areas. Tali aree sono attualmente intrappolate dentro la città costruita senza possibilità concreta di rigenerazione se non si investe in una grande infrastruttura che ne favorisca il rilancio. Se si considera che il progetto si sviluppa lungo la parte settentrionale del fiume Tevere, ed in particolare nell'ansa olimpica che è un’area così strategicamente rilevante, le potenzialità di innovazione sono dunque aspetti fondamentali. Tevere cavo si propone come un campo di confronto delle idee nella prospettiva di una candidatura olimpica a Roma 2034. L'obiettivo è di usare l'occasione olimpica per uno storico rilancio del ruolo del Tevere nella città di Roma. Le emergenze idriche in vario modo connesse al cambiamento climatico e al fiume si possono trasformare da crisi in risorse attraverso la creazione di ambiti territoriali sempre più ecologici e sostenibili. Il progetto propone la riqualificazione di un’ampia porzione urbana di Roma, in cui il fiume Tevere è ripensato come una infrastruttura ecologica di nuova generazione che interconnette circa cinquanta aree di progetto, individuate tra vuoti urbani e aree sottoutilizzate. Il luogo in cui il progetto si inserisce è la parte di città che segue l’andamento del fiume dalla diga di Castel Giubileo alla porta di Piazza del Popolo e che è racchiuso dai grandi colli di Monte Mario ad ovest e di Monte Antenne ad est. Il progetto propone un metodo caratterizzato da un rapporto esplicito tra principi generali atti a stabilire le direzioni culturali e operative del progetto e il campo di possibili variazioni necessarie ad adattarsi alle molteplici esigenze delle diverse situazioni, delle aree di intervento e dei rispettivi programmi funzionali. Il progetto pone alla base cinque principi alla scala della infrastruttura (multitasking, green systems, slowscape, information foam, citizenship) e quattro alla scala del progetto architettonico e urbano (mixité, driving force, re-building nature e infrastructuring). L’intero lavoro di sviluppo del progetto segue un percorso analogo a quello di una ricerca scientifica: procede con la stesura di una serie di ipotesi, sostenute da un sistema flessibile di regole derivate dalla struttura generale che vanno poi verificate di volta in volta attraverso il processo progettuale concreto. L’obiettivo è, proprio come per le ricerche scien79
Livia Cavallo e Valerio Perna, Vista a volo d’uccello del settore a Nord di Ponte Milvio 80
tifiche, verificare l’efficacia dei principi generali attraverso l’esperienza diretta progettuale. Allo strumento della pianificazione urbanistica classica che, attraverso un processo top-down definiva la struttura di quartieri e città con un’operazione unitaria che predeterminava l’aspetto volumetrico, di viabilità e di spazio pubblico, il metodo Tevere Cavo sostituisce un modello incrementale. La prima differenza è che il progetto d’insieme del settore urbano non è definito in maniera deterministica e sincrona, ma è il risultato di una molteplicità di azioni alla piccola scala, rese coerenti dal sistema dei principi generali. Allo stesso tempo la sinergia tra i diversi interventi è garantita dal sistema che consente ai progettisti di pianificare il proprio intervento anche in relazione a quelli disegnati precedentemente, che diventano contesto reale per la nuova progettazione. In questo modo lo sviluppo del progetto urbano assume un carattere incrementale: ogni edificio interviene sulla struttura urbana migliorandola e fornendo una nuova possibile direzione per sviluppi futuri. La differente natura dei singoli programmi è in grado di sopperire alle necessità dello sviluppo urbano con un progetto d’insieme organico e completo. Così un progetto che abbia una forte componente di rinaturalizzazione è in grado di riconnettere i sistemi del verde, mentre uno che incorpori una forte presenza di percorsi è in grado di ricucire i sistemi delle infrastrutture, col vantaggio di soddisfare al contempo gli altri requisiti alla scala urbana ed architettonica.
Liborio Sforza, Vista del progetto EX.[PO] 81
Settore Castel Sant’Angelo-Tor di Quinto. In magenta le aree di intervento 82
Il progetto ha previsto l’utilizzo di strumenti di lavoro come la creazione di siti, mappe, blog e piattaforme di scambio condivise. Le mappe assumono un ruolo strutturale all’interno del sistema: dal momento che il progetto si occupa non di una singola area di intervento, ma di un intero settore urbano, la mappatura delle diverse zone passibili di trasformazioni rappresenta un momento fondamentale del progetto. Tevere Cavo ha avviato un primo censimento di aree abbandonate e sottoutilizzate nei settori interessati che sono state catalogate in una mappa condivisa di Google. A ciascuna area è legata una scheda in un apposito blog che contiene ulteriori indicazioni specifiche sull’area stessa, i titoli e gli autori dei diversi progetti proposti. Ogni link conduce successivamente allo sviluppo del progetto. Si tratta di circa trecento proposte complessive su circa 50 aree. (vedi http://teverevoid.blogspot.com) Il progetto Tevere cavo rappresenta una proposta urbana, offerta alla città di Roma, basata su assunti di fattibilità, innovazione e sviluppo sostenibile, che direzionano le necessità di crescita verso un progetto che rivitalizzi le aree lasciate indietro dall’espansione incontrollata per diventare volano della città del futuro. Attraverso la sua metodologia, il progetto propone un’idea di città che si sviluppa in maniera incrementale, grazie ad interventi bottom-up e con partecipazione pubblico-privata.
Valerio Galeone, Vista del progetto PARK [ing] 83
Crediti
Principali collaboratori: architetti Gaetano De Francesco, Rosetta Angelini, Matteo Baldissara, Valerio Perna, Gabriele Stancato con Elnaz Ghazi, Giovanni Romagnoli
Pubblicazioni e mostre
• Isman F., Il futuro di Roma nasce lungo il fiume, Il Messaggero, 16/10/2016, p. 21 • Saggio A., Il fiume che genera urbanità Tevere Cavo, L'Architetto, dicembre 2016 • De Francesco G., Saggio A., a cura di, Tevere cavo. Una infrastruttura di nuova generazione per Roma tra passato e futuro, III ed., lulu.com, Raleigh (USA) 2018 • Mostra e Convegno - 09/05/2018 - Aula Magna Valle Giulia, Facoltà di Architettura Sapienza Università degli Studi di Roma. • Saggio A., Tevere Cavo, un progetto urbano per Roma, intervista, Left on line, 09/05/2018 • Tempodacqua, III Biennale di Pisa 2019, novembre/dicembre 2019. Alla pagina www.arc1.uniroma1.it/saggio/Didattica/TevereCavo/ è possibile accedere ad altre pubblicazioni, conferenze sul Tevere Cavo e integralmente ai principali progetti prodotti. 84
Ecos Urbanos
Ecos Urbanos è il progetto vincitore del Concorso Internazionale di Idee Astoria-Victoria per un nuovo edificio in Plaza de la Merced, un vuoto irrisolto del centro storico della città di Malaga. Il progetto mette insieme la scala architettonica e quella urbana giocando sul rapporto tra la piazza e l'edificio e sui rapporti visivi con il contesto. Un progetto di mixité che recupera e reinterpreta i codici della città e instaura una relazione paesaggistica con il suo intorno.
Ecos Urbanos Dati di progetto Progettisti: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
Estudio Seguí e Mendoza Partida Malaga, Spagna 2017 Non realizzato Progetto urbano e architettonico
Innovazione
Validità
Impatto
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
Planimetria del nuovo edificio e della sistemazione della piazza adiacente 86
Potenzialità
Ecos Urbanos propone, nel centro storico della città di Malaga, una riflessione architettonica multidisciplinare che cerca di rispondere, da un lato, alle peculiarità del lotto situato alla confluenza di alcuni dei più importanti assi urbani e, dall’altro, alle esigenze programmatiche molto diverse che il nuovo edificio dovrà ospitare. Il progetto prevede la demolizione di un vecchio cinema, la progettazione di un nuovo edificio e la riqualificazione della piazza adiacente. Per questo, la proposta, tanto alla scala architettonica che urbana, vuole migliorare il rapporto del lotto con gli assi pedonali principali e con i riferimenti paesaggistici circostanti, uno su tutti le mura del Castello di Gibralfaro che ne costituisce il “fondale”. Il fine è la creazione di un luogo che attraverso usi appropriati sia in grado di incentivare l’attività collettiva. Il processo progettuale fa dell’interdisciplinarità e del lavoro collaborativo tra diversi architetti uno degli aspetti più importanti del progetto. Era necessario integrare sotto la stessa architettura un edificio con due requisiti programmatici molto diversi: un programma culturale che rappresentava il 50% della superficie ed un programma commerciale che doveva occupare il restante 50% della superficie. Pertanto, il progetto aveva bisogno di scoprire una geometria che articolasse, da un lato, quelle linee che seguono allineamenti e altezze in continuità degli edifici e delle strade circostanti e, dall’altra, una pelle sensibile al paesaggio e un tessuto a grana piccola con geometria irregolare che generasse un approccio a una scala più umana di fronte alla piazza. Il metodo progettuale utilizzato ha avuto la sua genesi dalla riscoperta dei codici del luogo. Il piano terra è totalmente trasparente e aperto, come un continuum verso la piazza, raccogliendo i resti archeologici e integrandoli come parte dello spettacolo visivo che l’edificio offre al suo interno e la sua visualizzazione dalla sala espositiva che si trova allo stesso piano. L’edificio risponde al suo intorno mediante l’allineamento con gli edifici adiacenti, grazie anche a nuove connessioni urbane scaturite dalle finestre. L’altezza tiene conto della quota del cornicione degli edifici circostanti e rappresenta l’estremità urbana della strada che collega il passaggio con la piazza. L’edificio si alza, come se fosse una torre per dare rappresentatività e scala nel contesto della piazza. Inoltre, fa l’occhiolino girando la sua facciata per aprire la prospettiva e aumentare la relazione visiva. Il linguaggio architettonico utilizzato ha un impatto molto forte nel lotto. Per questa ragione, l’edificio cerca di ripetere gli schemi delle 87
Vista a volo d’uccello del nuovo edificio e del suo intorno 88
architetture murarie dell’intorno in modo organico e offre alla piazza una facciata molto più dinamica, che è frammentata per entrare in sintonia con la scala ambientale, senza perdere il carattere richiesto da un edificio culturale di questa importanza. L’edificio alterna pieni e vuoti in relazione alle grandi finestre urbane. In questo modo, di notte diventa una grande lanterna che dà risalto alla piazza. Un altro aspetto rappresentativo del linguaggio architettonico sono le aperture-finestre chiamate saeteras. Sono aperture che definiscono intenzionalmente una relazione panoramica con elementi rappresentativi dell’ambiente della città, che puntualmente puntano il volume come navette visive. La tecnologia utilizzata per rivestire l’edificio e conferirgli questo particolare effetto materico è legata ad elementi ceramici, nonché al coordinamento delle diverse specialità mediante sistemi BIM per sviluppare con precisione tutti gli aspetti costruttivi del progetto. La proposta, sensibile all’ambiente, al passato, al luogo e ai diversi strati della sua storia, include una serie echi urbani (ecos urbanos), che ci consentono di comprendere nuovamente l’importanza dell’ambiente in cui si trova e di cercare di stabilire un dialogo rispettoso e in armonia con l'ambiente stesso. Il programma funzionale è ambizioso e fa della flessibilità e della versatilità i suoi punti di forza. L’edificio è progettato come attivatore culturale che, insieme alla piazza dove si trova, rafforzerà la rete di musei,
Sezione trasversale dell’edificio in rapporto con la piazza adiacente 89
Vista tridimensionale dell’edificio e la piazza 90
teatri e spazi dell'intelletto e dell'arte, una concreta risposta alle esigenze della città. Aperto, compatto e multifunzionale, in conclusione, sono i caratteri principali dell'edificio che ospiterà il più grande attivatore culturale di Malaga.
Vista notturna dell’edificio dalla piazza 91
Crediti
Scheda valutativa e Testo critico di Ruben Perez Belmonte. Immagini di concorso a cura di Estudio Seguí e Mendoza Partida
Pubblicazioni e mostre
• arquitecturaviva.com http://www.arquitecturaviva.com/es/Info/News/Details/10096 • plataformaarquitectura.cl https://www.plataformaarquitectura.cl/cl/870316/mendoza-partida-y-estudio-segui-ganadores-del-concurso-de-ideas-astoria-victoria • diariosur.es https://www.diariosur.es/malaga-capital/201704/07/arquitecto-jose-segui-gana-20170407125856.html • laopiniondemalaga.es https://www.laopiniondemalaga.es/malaga/2017/04/07/jose-segui-concurso-ideas-astoria/922273.html 92
I libri che hanno fatto l’Europa
Lineare, stereometrico, equilibrato. Il progetto di allestimento, realizzato nel 2016 al Palazzo Corsini di Roma per la mostra I Libri che hanno fatto l’Europa, si proporziona sui luoghi in cui deve essere installato. Il reticolo, composto da esili telai in metallo, si rispecchia nell'altezza dei portali, nel passo delle librerie e nelle concrezioni delle cornici. Un progetto modulare che si muove alla ricerca di una spazialità fondata sul minimo impatto morfologico dell’aggiunta sull’ambiente in cui è contenuta.
I libri che hanno fatto l’Europa Dati di progetto Progettista: Committente: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
Allegra Maria Albani Accademia Nazionale dei Lincei, Roma Roma, Italia 2015 Marzo 2016 Progetto di allestimento
Innovazione
Validità
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
Vista di una delle sale 94
Impatto
Potenzialità
I Libri che hanno fatto l’Europa. Manoscritti latini e romanzi da Carlo Magno all’invenzione della stampa è il titolo della mostra che si è tenuta nelle sale delle Biblioteche Cortigiana e romane di Palazzo Corsini a Roma. La mostra, promossa e organizzata dall’Accademia Nazionale dei Lincei, occupava una superficie di 1400 m2 al terzo piano della sede dell’Accademia. La committenza voleva esporre libri manoscritti lungo un percorso spazio-temporale che si muovesse dalla cultura e letteratura classico-cristiana e mediolatina a quella della cultura romanza e moderna. Si trattava di centottanta volumi, per lo più manoscritti e stampe provenienti dalle più importanti biblioteche capitoline (Angelica, Casanatense, Nazionale, Vallicelliana), insieme ad un cospicuo materiale esplicativo. Gli spazi destinati alla mostra erano quelli delle sale quattrocentesche della biblioteca del palazzo. Ho accolto l’incarico con profondo interesse sebbene, dopo un primo sopralluogo, mi fossi subito accorta di alcune difficoltà. La prima riguardava la capacità di riuscire a focalizzare l’attenzione del visitatore su un volume specifico, in stanze piene di altri testi raccolti all’interno di librerie antiche tutto intorno alle pareti. La seconda aveva a che fare con la ricerca del modo più appropriato di inserirsi all’interno di una struttura narrativa così densa e carica. A queste difficoltà iniziali si andava ad aggiungere una limitazione tecnica dell’allestimento che non poteva ancorarsi al pavimento o appoggiarsi alle librerie, né tantomeno interferire con gli affreschi a soffitto. Da un limite a una possibilità. Tutti questi vincoli mi hanno chiarito subito un punto: qualunque tentativo del progetto di allestimento di imporsi sullo spazio dato sarebbe stato fallimentare. Dovevo scegliere un’altra via. Ho deciso quindi di lavorare su forme, dimensioni e proporzioni che nascessero dallo spazio stesso in cui sarebbero state inserite. Il progetto si è così tradotto in oggetti stereometrici, elementari e lineari che, come un tratto di matita su di un libro, sottolineavano gli ambienti che li accoglievano con un impatto morfologico minimo su di essi. La sfida progettuale consisteva nel riuscire a rendere visibile una struttura potenziale dello spazio esistente. A questo si aggiungeva la volontà di creare un ritmo, una scansione, in grado di rallentare la visita per normare il tempo di comprensione di ciascun passaggio, insieme al bisogno di individuare un linguaggio riconoscibile ed unitario dell’intero intervento. 95
Collage di una delle sale 96
Il progetto, infine, si è strutturato in una sequenza di telai autoportanti in ferro che ricalcavano le geometrie principali dello spazio esistente (altezza balconate, perimetro delle sale, scansioni delle librerie) e creavano nuove stanze nelle stanze esistenti. Cubi dentro cubi, stilizzati, a cui accedere tramite portali solo accennati, in contrasto con i grandi portali lignei caratteristici dell’impianto originale. Un sottotesto rispetto al testo principale con un linguaggio proprio, indissolubilmente legato al primo, capace di rispondere a tutte le esigenze tecniche poste senza entrare in conflitto con l’architettura quattrocentesca. Questa struttura riusciva, contemporaneamente, a permettere l’uso della biblioteca nelle ore di chiusura della mostra; a definire un’idea chiara dello spazio espositivo all’interno delle sale; a portare l’illuminazione senza interferire con lo spazio esistente; ad esporre il materiale didattico informativo richiesto dalla committenza, ed infine ad esporre in maniera chiara tutti i volumi presenti in mostra, tutto tramite un unico elemento ripetuto n volte nelle sale della biblioteca. Questa impostazione mi ha permesso di formulare delle regole precise su cui definire il metodo di lavoro che ho potuto applicare in tutti gli ambienti che avevo a disposizione. Le regole consistevano nell’uso di un unico materiale per tutti gli elementi, nella definizione delle principali
Pianta generale dell’intervento 97
Particolare di un telaio 98
geometrie dello spazio e la conseguente definizione delle dimensioni dell’intervento. Sono state così realizzate strutture composte di montanti e traversi a supporto dei materiali informativi e per il passaggio luci indipendente, sono state realizzate teche sigillate per custodire i volumi più preziosi da realizzare con lo stesso materiale delle strutture e, infine, sono stati costruiti dei portali di accesso a ciascuna delle nuove strutture. La tecnologia scelta per la realizzazione di questi elementi, ha riguardato il montaggio di profili commerciali in ferro di sezione 5 cm x 5 cm lunghi anche 6 m, montati a secco, in loco. Questo ha consentito una lavorazione rapida che permetteva all’intero allestimento di essere montato e smontato con facilità al termine dell’esposizione. Sui telai sono stati ancorati i pannelli grafici con i testi e le immagini a corollario della sezione specifica, insieme ai dispositivi audio che in alcuni casi riproducevano brani dell’epoca a cui si faceva riferimento in un determinato punto, i materiali interattivi, come tablet o schermi tv in cui gli studenti o i visitatori potevano fare ricerche specifiche per approfondire uno o più argomenti messi in mostra e, infine, sono stati usati come utile appoggio per il sistema di illuminazione composto di fili rossi (a contrasto con il ferro nero) che correvano lungo le strutture e si concludevano in paralumi realizzati per l’occasione. Essi servivano a illuminare le teche realizzate con gli stessi profili delle strutture, panni in feltro e plexiglass.
Assonometria di due strutture 99
Crediti
Scheda valutativa e Testo critico di Allegra Maria Albani. Progetto e illustrazioni di Allegra Maria Albani in collaborazione con Fabrizio Furiassi. Foto di Op-fot. Allestimento realizzato da Lar lavorazioni in ferro.
Pubblicazioni e mostre
• lastampa.it https://www.lastampa.it/cultura/2016/03/28/fotogalleria/i-libri-antichi-che-hanno-fatto-l-europa-1.36738425 • ilmessaggero.it https://www.ilmessaggero.it/foto/i_libri_che_hanno_fatto_l_europa_alla_biblioteca_dei_ lincei_foto_c_accademia_nazionale_dei_lincei-1638353.html • movio.beniculturali.it https://www.movio.beniculturali.it/lincei/librichehannofattoleuropa/ • thearchitecturalreviewfolio.com https://architectural-review.tumblr.com/post/150351102403/the-books-that-made-europe-allegra-albani-and • artemagazine http://www.artemagazine.it/mostre/item/800-a-roma-in-mostra-i-libri-che-hanno-fatto-l-europa-e-gli-europei 100
The Egg
Un progetto immersivo che diventa un viaggio nel mondo di immagini, segni, luoghi e visioni di Ludovico Einaudi. Allestito unicamente con materiali provenienti dal suo archivio personale, The Egg è l’invito a entrare in un luogo senza tempo e misura. Uno spazio allestitivo in cui fermarsi e perdersi in un’esperienza di sensi e quiete, dove il mondo privato del compositore incontra il pubblico.
The Egg Dati di progetto Progettisti: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Anja Visini, Ilia Celiento - Luca Molinari Studio Milano, Italia 2018 Ottobre - Dicembre 2018 Progetto di allestimento
Analisi del progetto Luogo
Innovazione
Validità
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
La creatività di Ludovico Einaudi 102
Impatto
Potenzialità
Milano. Ottobre 2018. Riunione in studio. Ludovico Einaudi, pianista internazionale, vuole introdurre il suo nuovo album permettendo agli spettatori di entrare nel suo mondo creativo. Cosa vuol dire? Mi chiedo. Qual è il suo mondo creativo? Cosa fa prima di comporre musica o mentre la compone? L’idea non fa pensare a un’installazione, a un oggetto evocativo, ma ad un allestimento, uno spazio da creare, uno spazio in cui sostare, visualizzare, ascoltare, meditare; un viaggio nel mondo di immagini, segni, luoghi e visioni di Ludovico Einaudi, realizzato unicamente con materiali provenienti dal suo archivio. Oggi, possiamo certamente considerare ben definito un immaginario immersivo dei progetti di allestimento, di aree anche poco conosciute o nascoste. È in voga l’idea di trasformare spazi esistenti, che siano esterni o interni, in qualcosa in cui potersi riconoscere perché l’Io può riuscire a dominare lo spazio più di quanto possano farlo gli elementi che lo costituiscono. L’8 dicembre 2018 è la prima data del tour, al Teatro Dal Verme di Milano. Mentre stai per arrivare non noti il complesso, ma sei guidato dalla prospettiva che ti conduce prima a Castello Sforzesco e poi a Parco Sempione. Svolti leggermente ed entri in un edificio, abbastanza piccolo: il teatro. Il luogo non è accogliente e innovativo, le finiture non sono così moderne, i colori non illuminano gli spazi, e le luci, anche se ben disposte, non aiutano a ravvivare le aree. La sala dell’allestimento è al piano inferiore rispetto all’ingresso, e vi si accede da una scala laterale molto nascosta e degna di indicazioni. Lo spazio - 200 mq da allestire - è molto regolare, disegnato con una precisa geometria che distorce pienamente la volontà della committenza. Per tale ragione, deve essere completamente trasformato e soprattutto nascosto, per ottenere un ambiente accogliente e buio, in grado di esaltare esclusivamente i soggetti delle proiezioni. Così, in un primo concept, nasce una forma in un’altra, un cerchio che rompe totalmente la visione generale dello spazio, con sette schermi come sette sono i giorni del primo debutto. Da qui nasce The Egg, l’invito a entrare in uno spazio ovale, senza tempo e misura, in cui fermarsi e perdersi attraverso un’esperienza di sensi e quiete, pensato per fare incontrare il pubblico con il mondo privato del compositore. Il programma prevede un’alta potenzialità e validità di conoscenza degli elementi illustrati e prodotti ex novo, così da percepire le relazioni e le sensazioni che permangono nell’immaginario del compositore. 103
8 dicembre 2018. L' inaugurazione 104
Dopo aver studiato le restrizioni della sala – uscite di emergenza, immutabilità del soffitto, alzata del palco – il metodo compositivo cambia, e con esso tecnologie usate e gli strumenti disposti. D’altronde, durante il processo di realizzazione di un progetto, si prevede che il budget iniziale non cambi così da garantire la totale e corretta efficienza dell’opera. I pannelli curvi sono molto più costosi dei rettangolari, così come l’acciaio è meno economico del legno, per cui, dopo aver selezionato l’impresa, sono stati studiati - insieme e ad hoc - i mezzi necessari per trasformare la geometria spaziale della sala e supportare i teli di proiezione. Una moquette nera ha rivestito il pavimento, mentre un telo scuro ha nascosto il soffitto; un telaio in legno, coperto da tende nere, ha sostenuto la struttura dell’allestimento così, sette scatole, assemblate in laboratorio, hanno accolto l’applicazione di un pvc grigio da retroproiezione. In termini strutturali non c’è la corretta costruzione di un cerchio, ma le tecnologie usate hanno ben soddisfatto il punto di vista cognitivo per lo sviluppo del progetto.
Disegni tecnici, pianta 105
La conoscenza dei disegni di Ludovico Einaudi 106
La coesione e il rispetto del proprio lavoro hanno potenziato l’interdisciplinarità dei soggetti coinvolti nell’allestimento: compositore, produttori esecutivi, addetti del teatro, curatore, architetti, registi, scenografi, operai. Tutte le parti del progetto, strutturali e formali, hanno costruito un linguaggio, probabilmente non tanto innovativo, ma valido e significativo, così come riconosciuto anche dalla stampa. Difatti, l’innovazione della spazialità ottenuta è nel cambiamento di percezione. È facile dimenticare la composizione esistente dello spazio, quasi come se non fosse mai esistito. È istintivo stendersi o sedersi sui cuscini. È nuova l’applicazione dei materiali. È piacevole la sensazione provata nel magico mondo di Ludovico Einaudi.
Perdersi in un’esplosione di colori 107
Crediti
Scheda valutativa e Testo critico di di Ilia Celiento L'istallazione è stata curata da Luca Molinari Studio e Fabio Bettonica, il progetto di allestimento da Luca Molinari Studio, Ilia Celiento e Anja Visini. Le foto sono a cura di Ugo Dalla Porta.
Pubblicazioni e mostre
• http://www.lucamolinari.it/it/the-egg/ • https://video.corriere.it/magico-mondo-ludovico-einaudi-installazioni-le-dieci-notti/ f4930026-febd-11e8-81df-fed98461c4ee • http://www.rockon.it/reportage-live/ludovico-einaudi-guarda-le-foto-del-concerto-di-milano/ • https://gds.it/video-dal-web/spettacoli/2018/12/13/il-magico-mondo-di-ludovico-einaudi-le-installazioni-per-le-dieci-notti-aa1f70f3-5e77-48f8-9fce-91d72d854475/ • https://www.ibbcbrokers.com/il-magico-mondo-di-ludovico-einaudi-le-installazioni-per-le-dieci-notti/ • http://www.platform-blog.com/luca-molinari-studio-per-le-dieci-notti-di-ludovico-einaudi/ 108
Mycelium Shell
Mycelium Shell si muove a cavallo tra architettura e ingegneria e stabilisce profondi legami con il settore biologico, da cui il materiale testato ed utilizzato direttamente proviene e con quello della statica, della resistenza per forma e delle strutture a guscio, da cui invece deriva l’ipotesi metaprogettuale. Una tesi di laurea che cerca di coniugare tecniche costruttive low tech con metodi progettuali high tech.
Mycelium Shell Dati di progetto Progettista: Relatore Correlatore: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
Paolo Pizzichini prof. ing. Paolo Franchin prof. arch. Luca Reale 2019 Non realizzato Progetto sperimentale
Innovazione
Validità
Impatto
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
Vista tridimensionale di una possibile aggregazione della cellula in micelio 110
Potenzialità
Tre grandi rivoluzioni hanno segnato la storia dell’umanità negli ultimi trecento anni: l’invenzione della macchina a vapore ha avuto come conseguenza la meccanizzazione della produzione nel ‘700, nella seconda metà del ‘800 i progressi in campo chimico ed elettrico hanno dato inizio alla produzione di massa. Ancora, l’automatizzazione della produzione nel ‘900 è avvenuta a seguito della comparsa dei primi computer, robot e satelliti. È possibile che, ormai alle porte della Quarta Rivoluzione Industriale, la reindirizzazione del sistema produttivo, in favore dell’integrazione ed ibridazione dei settori (fisico, digitale, biologico), sia la via da percorrere? Quali conseguenze può avere questa ibridazione nel campo della ricerca architettonica contemporanea, e quale tipo di tecnologia si mostra più adatta a tale scopo? Già negli anni ‘70, l’economista E. F. Schumacher, nel suo Piccolo è bello (Mursia, 2011, ed.originale 1973), teorizzava la necessità di adottare un tipo di tecnologia definita “intermedia”: abbastanza economica da poter essere accessibile ad ognuno, applicabile su piccola scala, e compatibile con il bisogno di creatività dell’uomo. Caratteristiche simili mettono naturalmente in crisi il sistema produttivo così come è comunemente inteso, e spingono a ripensare l’intera filiera di produzione, anche in campo architettonico. Il percorso progettuale si è mosso a partire da queste domande e da queste premesse, ed i risultati più in termini di innovatività della ricerca sono nella tecnologia e nel metodo utilizzato, così come nella spiccata interdisciplinarità. L’intero processo è partito da un materiale, nel tentativo di identificare il tipo di tecnologia (costruttiva, in questo caso) più adatto ad essere definito “intermedio”. Tecnologia appropriata vuol dire utilizzo di materiali locali o di facile produzione, impiegati in un sistema la cui conoscenza può essere trasferita e adottata dalla cultura in cui è impiegato, con l’obiettivo di renderlo indipendente dalle comuni logiche produttive e di mercato. Questo concetto è applicabile anche alle sperimentazioni su materiali contemporanei, prestati all’architettura dal settore biologico. Calcestruzzo autorigenerante, biopolimeri e schiuma di legno sono alcuni esempi virtuosi, ma si è scelto di indagare le proprietà del micelio. Esso non è altro che la porzione fibrosa e sottile del fungo, simile ad una radice e costituito da una maglia di cellule allungate. Organismo vivente, quindi, che cresce nutrendosi di scarti agricoli o altri materiali contenenti cellulosa, e che una volta seccato risulta leggero e difficile da rompere. Ideale nell’ottica di una ricerca su prodotti accessibili e replicabili. Ad 111
Processo di trattamento del mattone in micelio: nutrimento, crescita, cottura e test di laboratorio 112
una prima fase di (informazione) studio, ne ha fatto seguito una di sperimentazione in cui il micelio è stato idratato, nutrito e lasciato crescere per circa cinque giorni; al termine del periodo di maturazione, il micelio è stato rimosso dal suo contenitore e versato in un recipiente, poi sbriciolato e sistemato in un cassero di plastica, dove è stato lasciato compattare per altri cinque giorni. Il processo produttivo ha avuto termine con una cottura in forno, per seccare il composto e bloccarne la crescita. Una volta ottenuto il campione, si è proceduto ad un test di laboratorio a compressione semplice, i cui risultati hanno portato alla luce dati sconfortanti: alla deformazione accettabile del 2%, i valori caratteristici di resistenza si assestavano intorno agli 0,48 kg/cm2. Nonostante le caratteristiche poco performanti, l’importanza del tipo di sperimentazione su questi materiali riguarda la produzione, il costo, lo smaltimento e la trasferibilità del sapere tecnologico, così vantaggiosi da stimolare comunque riflessioni su possibili impieghi in ambito costruttivo. Ecco perché indipendentemente dalla sua validità (intesa qui in termini di funzionamento meccanico) gli elementi di maggiore interesse sono l’innovazione e la potenzialità della tecnologia utilizzata. Per permettere l’impiego strutturale di un materiale così poco performante, occorreva scegliere il giusto metodo di indagine e ricerca della forma. La resistenza meccanica si sarebbe dovuta ottenere, infatti, non grazie ad un goffo accumulo di materia, ma grazie ad un lavoro mirato di
Schema riassuntivo del processo produttivo e di assemblamento dei tasselli 113
Form finding: concept, manipolazione delle forze per ricerca dell’equilibrio e tassellazione 114
trasferimento a terra dei carichi. Il metodo più interessante in termini di validità è sembrato essere la Tna (Thrust Network Analysis) per le ragioni che spiegherò di seguito. La prima, incredibile innovazione della Tna risiede nel suo approccio grafico: il problema dell’equilibrio, scomposto in equilibrio orizzontale e verticale, è affidato alla manipolazione di due diagrammi. Un primo diagramma di forma, definito dall’utente (generato da una superficie o disegnato liberamente), ed un diagramma di forza (rappresentativo delle sollecitazioni agenti sulla data forma). Una volta definiti, inizia un processo di dialogo con il software che applica la Tna (Rhinovault), in cui ad una modifica di uno dei diagrammi (quello di forma o di forza, a scelta dell’utente) fa seguito l’adattamento automatico dell’altro: in sintesi, si può imparare ad agire su una forma manipolando le forze in essa agenti, o viceversa. L’obiettivo finale è l’equilibrio, ed il risultato sarà una struttura che è un compromesso, il risultato di uno scambio uomo-strumento informatico. La seconda grande innovazione della Tna consiste nella sua capacità di stimolare il pensiero sintetico e la visione di insieme: il processo di ricerca della forma e quello di tassellazione sono collegati fra loro: scelte formali di gestione delle superfici contengono già in sé riflessioni sulla dimensione finale dei conci e sulla regolarità della maglia. Il processo è quindi olistico: non è opportuno separare le fasi ideativa, progettuale e costruttiva. Per questa ragione si è scelto di combinarle anche il livello grafico e comunicativo. Alla struttura così ottenuta, trasferita in un programma di calcolo, sono state assegnate le specifiche del materiale, e ne è stato verificato l’equilibrio. A terminare la ricerca, una serie di ipotesi su giunzioni, assemblaggio e fasi di montaggio.
Due ipotesi aggregative della cellula in micelio: lineare e circolare 115
Crediti
Scheda valutativa, Testo critico ed illustrazioni di Paolo Pizzichini. Si ringraziano Saeidi Nazanin, Post doctoral researcher of alternative construction materials, Eth Future Cities Laboratories, Singapore ed il Block Research Group, Eth Zurich
Riferimenti
• Stamets P., Mycelium running. How mushrooms can save the world, Ten Speed Press, Berkeley (CA) 2005 • Aravena A., a cura di, La Biennale di Venezia. 15a Mostra internazionale di Architettura, catalogo della mostra (Venezia, Giardini e Arsenale, 28 Maggio 2016 – 27 Novembre 2016), Marsilio Editore, Venezia 2016 • Hebel D.E., Heisel F., Cultivated building materials. Industrialized natural resources for Architecture and Construction, Birkhauser, Basilea 2017 • Rippmann M., Funicular Shell Design. Geometric approaches to form finding and fabrication of discrete funicular structures, Diss. Eth No. 23307 supervised by Prof. Dr. P. Block, co-supervised by Prof. Dr. W. Sobe 116
Locus Solus
Un intervento di riqualificazione e conservazione urbana per il quartiere storico di Sakarya ad Ankara, in Turchia. Il progetto, che prende il nome dal libro di Raymond Roussel Locus Solus per enfatizzare l’unicità del quartiere di Sakarya, ha come obbiettivo la riqualificazione dell’area urbana attraverso la creazione di nuovi punti di attrazione per attivare una serie di processi per uno spazio urbanizzato.
Locus Solus Dati di progetto Progettisti:
Responsabili: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
REST 507 Studio “Planning and Design in Urban Conservation” prof. N. Şahin Güçhan, prof. G. Bilgin Altınöz Ankara, Turchia 2014 Non realizzato Progetto di riqualificazione urbana
Innovazione
Validità
Impatto
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
Proposta di permacultura nel quartiere di Sakarya ad Ankara 118
Potenzialità
L’obiettivo del progetto è la riqualificazione, conservazione e valorizzazione del quartiere di Sakarya, nel centro storico della capitale turca Ankara. Il luogo conserva ancora le caratteristiche della tradizione architettonica e culturale pur presentando diversi problemi di conservazione delle aree e degli edifici che necessitano di un piano di riqualificazione e restauro. Il progetto rivitalizza l’area urbana del quartiere e il proprio spazio centrale, area principale di studio. Per operare con rigore e metodo, è stata condotta una ricerca negli archivi comunali, studiando le mappe storiche e analizzando i documenti pubblicati sulla zona di intervento. Queste indagini, condotte da un team interdisciplinare composto da 10 studenti del master in architettura, urbanistica, archeologia e storia dell’arte, si è concluso con un questionario che indaga la situazione sociale del quartiere e diventa strumento per mappare lotti, strade, piazze, monumenti ed edifici, presentando in categorie le diverse tipologie architettoniche. I dati acquisiti sono stati caricati sul sistema ArcGIS (Geographical Information Systems), così da indagare le trasformazioni e confrontare la situazione attuale dell’area con le mappe storiche. Dopo aver valutato lo stato attuale dell’area e analizzato i punti di forza e debolezza, sono state proposte le soluzioni per la riqualificazione dei luoghi del quartiere. Queste prendono in considerazione la creazione di nuove connessioni, nuovi punti di attrazione culturale e storica, la riqualificazione di aree degradate, il restauro degli edifici e la conversione di zone inedificate ad aree verdi mediante l’attuazione del processo di permacultura, e cioè la gestione degli spazi antropizzati per la produzione alimentare, con l'obiettivo di attuare delle proposte che possano preservare le caratteristiche tradizionali del luogo. Tra gli obiettivi programmati, oltre alla riqualificazione dei manufatti architettonici e dei luoghi degradati, c’è la progettazione di nuovi edifici residenziali da collocare nei lotti vuoti. I progettisti hanno lavorato prendendo come riferimento il linguaggio dell’abitazione tradizionale, organizzando la spazialità come nella “casa di Ankara”, apportando miglioramenti come la progettazione del bagno all’interno dell’unità abitativa, migliorando l’organizzazione spaziale della casa tradizionale. 119
Planimetria del quartiere di Sakarya e delimitazione aree di studio 120
La stessa attenzione è posta nella progettazione del linguaggio dei prospetti, per mantenere l’integrità dello stile tradizionale. Per il progetto di riqualificazione urbana è risultato indispensabile il rispetto delle tradizioni e della storia del luogo, nel quadro di miglioramenti strategici in grado di rendere il quartiere una parte attiva della città. Anche l’introduzione della strategia di permacultura, un sistema fortemente innovativo, non cambia il luogo che invece vede in questa proposta progettuale una forza propulsiva rigenerativa del tessuto urbano, e specialmente di quello sociale.
Aree di intervento e proposte progettuali degli interventi di riqualificazione 121
Crediti
Scheda valutativa e Testo critico di Günce Uzgören. Il progetto, dal titolo Locus Solus: The Persistence of Traditional Habitat for Living, e le illustrazioni sono stati prodotti da Rest 507 Studio “Planning and Design in Urban Conservation” nell’anno accademico 2013/2014 del Master in “Conservation of cultural heritage in architecture” erogato dalla Middle East Technical University, Facoltà di Architettura, Dipartimento di Conservazione dei Beni Culturali e Restauro Architettonico. Il gruppo di studio era composto da Emre Acar, Beril Binoğul, Gökhan Bilgin, Başak Kalfa, Tuğba Sağıroğlu, Işılay Sheridan, Günce Uzgören, Mercan Yavuzatmaca, Merve Yıldız, assistete di rilievo e documentazione Kemal Gülcen, Filiz Diri. Le ricerche documentali sono state possibili grazie all’ Archivio Comune di Altındağ in Ankara, Ankara no1 comitato regionale per la tutela delle attività culturali. 122
Palestina
Due fortificazioni parallele scisse da un corridoio, popolato da una molteplicità di tunnel, compongono la macchina organica per l’abitare della Striscia di Gaza. Questo territorio di reclusione, dilaniato dai conflitti, si dispone ad accogliere nove livelli per l’abitare collettivo che attingono agli usi e ai costumi del popolo palestinese. Una tesi di laurea in composizione che traspone il problema sociale in architettura, per rispondere con forza alla spersonalizzazione dell’individuo.
Palestina Dati di progetto Progettista: Relatore: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
Francesca Filosa prof. arch. Cherubino Gambardella Striscia di Gaza, Palestina 2018 Non realizzato Progetto urbano
Innovazione
Validità
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
Vista prospettica 124
Impatto
Potenzialità
In un lembo di terra di soli 360 km2 sono rinchiusi più di 1.650.000 abitanti, non tutti con una fissa dimora e più della metà vive in condizioni igienico-sanitarie critiche. Tra il 1994 e il 2006, lungo il perimetro politico della Striscia di Gaza, il governo israeliano decise di innalzare un muro per confinare gli abitanti palestinesi all’interno della loro terra. Nessuno può entrare né uscire senza autorizzazione. Come il confine terrestre anche quello marittimo è presieduto da soldati israeliani. Vige, inoltre, un limite nautico di tre miglia dalla costa. La Striscia di Gaza è il più grande campo di concentramento a cielo aperto del mondo. È un labirinto nel quale si perdono i diritti e l’identità dell’uomo. Qui avviene la spersonalizzazione dell’individuo in una condizione che prometteva di essere temporanea ma che ormai ha raggiunto caratteri di permanenza. È un popolo violentato che non ha più nulla da perdere. Un popolo per cui la vita non sembra avere valore se non quello della libertà: è disposto a combattere per i suoi ideali, armato di soli sassi, cosciente e frustrato dal non avere alcun aiuto dall’esterno, invisibile agli occhi delle potenze mondiali. Riflettere sullo status di un luogo, come quello palestinese, alla ricerca della sua anima più recondita e di una bellezza in apparenza irrimediabilmente perduta, impone alcuni delicati interrogativi. Che ruolo svolge oggi questo territorio in rapporto alla popolazione che lo abita? Che cosa rappresenta, nel quadro politico e territoriale internazionale, questo popolo misconosciuto e dimenticato? L’approccio a tali questioni non può essere solo di tipo razionale, ma deve essere anche e soprattutto di natura empatica, teso a cogliere le esigenze, gli stati d’animo, le criticità e le attese di un popolo, con una storia peculiare e differente rispetto a quella dell’intero mondo occidentale. Un approccio metodologico di questo genere consentie l’elaborazione di un progetto architettonico che non sia calato dall’esterno, estraneo alla storia e alle dinamiche del popolo palestinese, ma che risulti ad esse omogeneo. L’edifcio è formato da una serie di elementi che attingono al linguaggio architettonico appartenente alla Striscia di Gaza. Diventa così la tessitura della storia di questo paese e degli abitanti condannati alla perdita di se stessi, all’interno di un luogo che dovrebbe essere fortezza anziché un luogo di prigionia. Il progetto ha una struttura organica: due imponenti fortificazioni parallele sono separate da un corridoio lineare abitato da affacci decorati in ceramica. Nella cavità intercorrono tunnel percorribili che dal sottosuolo emergono per connettere i due corpi. I Tunnel richiamano alla 125
Viste prospettiche degli spazi comuni interni 126
memoria le gallerie sotterranee costruite dai palestinesi per aggirare il muro israeliano. Il profilo dei due edifici è caratterizzato dalla scansione regolare di pieni e vuoti contenuta nella plastica fluidità delle curve da dove fuoriescono centinaia di finestre aggettanti, come ciglia di metallo che custodiscono sguardi pronti a scrutare l’orizzonte. La composizione, pertanto, appare come rivelazione nella materia dell’azione modellante esercitata dal tempo e dagli agenti naturali: una montagna organica simile all’edificio di Paolo Soleri - la Fabbrica di Ceramiche - dove l’idea di monumentalità abbraccia l’idea di elemento autoctono e organico che instaura un rapporto viscerale con il posto, come una struttura destinata a trovarsi esclusivamente in quel luogo. Il progetto per Gaza è un’architettura distinta da forti contrasti sia materici che spaziali. Le gentilezze domestiche dei balconi tondeggianti che affacciano nel corridoio centrale, sono ricoperte da maioliche arabe colorate. Questi elementi si scontrano con la durezza del metallo dei percorsi sospesi e con il cemento ossidato delle mura. Allo stesso modo il verde del giardino posto sul tetto si confronta col colore della terra arida e abbandonata e con il cielo plumbeo simile al colore dell’Oceano e non come l’azzurro accogliente, caldo, del Mar Mediterraneo. All’interno della struttura si sviluppa, per tutti e nove i livelli, una spazialità intrigata: un sistema denso di spazi residenziali e spazi comuni dedicati alla collettività, fondamentali nella cultura orientale poiché sono parte della religiosità e dei i riti quotidiani. Il confine tra queste aree è quasi impercettibile, come nelle trame del sistema edilizio arabo.
Assonometria 127
Vista prospettica del fronte interno, in evidenza gli elementi tubolari dei percorsi 128
A interrompere in maniera puntuale il sistema densamente abitato vi sono i pozzi di luce: delle lame luminose che formano delle corti interne e donano respiro all’ordinato labirinto. I camini di luce sono affiancati da altri tagli interni costituiti dai sistemi di risalita come ascensori, rampe, scale e affacci. Questi elementi permettono di creare nell’organismo architettonico una connessione visiva verticale e dal punto di vista compositivo rappresentano delle pause all’interno di una densità importante. Il progetto architettonico si completa con un giardino che fa da corona all’edifico. Collocato sulla sua sommità, in modo che la struttura si compia con l’esperienza del verde per ridonare il contatto con la natura, insita nelle usanze arabe, ad un popolo che ne è stato privato.
Viste prospettiche del tetto giardino e dell’esterno 129
Crediti
Scheda valutativa, Testo critico ed illustrazioni di Francesca Filosa.
Pubblicazioni e mostre
Il progetto illustrato è stato pubblicato nei seguenti volumi e/o riviste: • Tavoletta C., Insegnare il verosimile, “IQD”, January/March 2019, p. 109 • Gambardella C., Non c’era una volta – L’architettura verosimile, Lettera Ventidue Edizioni, Siracusa, 2020, pp. 136-145
Riferimenti
• Ranocchi F., Paolo Soleri, Officina Edizioni, Roma 1996 • Burckhardt T., L’arte dell’islam, Abscondita, Milano 2002 • Pappe I., Storia della palestina moderna. Una terra due popoli, Einaudi,Torino 2005 • Condovini G., Storia del conflitto arabo israeliano palestinese, Bruno Mondadori, Milano 2007 • De Vet A., Subjective atlas of palestine, 010 publisheres, Rotterdam 2007 • Gelvin J.L., Il conflitto israelo-palestinese. Cent’anni di guerra, Einaudi, Torino 2007 • Fisk R., Cronache mediorientali. Il grande inviato di guerra inglese racconta cent’anni di invasioni, tragedie e tradimenti, Il Saggiatore, Milano 2009 • Weizman E., Architettura dell’occupazione, Bruno Mondadori, Milano 2009 • Shoshan M., Atlas of the conflict Israel-Palestine, Publication Studio, Portland (USA) 2012 • Alareer R., Gaza writes back. Racconti di giovani autori e autrici da Gaza, Palestina, Lorusso editore, Roma 2015 • Bartolomei E., D. Carminati, A. Tradardi, Gaza e l’industria della violenza, DeriveApprodi, Roma 2015 • Faster T.G., Il conflitto arabo-israeliano, il Mulino, Bologna 2015 130
Palazzo Yacoubian
Palazzo Yacoubian mette in scena una storia falsa. Non c’è necessità, non c’è contesto, non c’è funzione. Il pretesto è quello della ricerca di un metodo compositivo che parta dall’analisi libera dell’opera di ‘Ala al-Aswani. Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, 2006), il best-seller dell’autore arabo, diventa ispiratore di un nuovo racconto in cui l’architetto è protagonista. Egli qui rivela la storia del concepimento e dello svolgersi del suo edificio. Il progetto ne è l’illustrazione architettonica: un corpo materiale incompleto e difettoso che imita il racconto. Una tesi sognante, pregna di spunti e riferimenti letterari.
Palazzo Yacoubian Dati di progetto Progettista: Relatore: Correlatore: Luogo: Anno: Esecuzione: Tipologia:
Analisi del progetto Luogo
Luigi Arcopinto prof. arch. Cherubino Gambardella prof. arch. Concetta Tavoletta Via Suleyman Pasha (ovunque) 2017 Non realizzato Progetto architettonico
Innovazione
Validità
Programma Metodo Tecnologia Strumenti Interdisciplinarità Linguaggio Spazialità
La morte del figlio di Abdu (La terrazza) 132
Impatto
Potenzialità
Palazzo Yacoubian mette in scena una storia falsa. Non c’è necessità, non c’è contesto, non c’è funzione. Il pretesto è quello della ricerca di un metodo compositivo che parta dall’analisi libera dell’opera di ‘Ala al-Aswani. Il romanzo si snoda in un Egitto devastato dalla rivoluzione del 1952 e sembra condensarsi in un edificio borghese e decadente. Palazzo Yacoubian è il corpo reo delle contraddizioni e si erge su via Suleyman Pasha. Una strada che potrebbe essere ovunque, esiste nel romanzo di al-Aswani ed esiste nella mente dell’architetto del palazzo. Il best-seller dell’autore arabo diventa ispiratore di un nuovo racconto in cui l’architetto è protagonista. Egli qui rivela la storia del concepimento e dello svolgersi del suo edificio. Il progetto ne è l’illustrazione architettonica: un corpo materiale incompleto e difettoso che imita il racconto “come se fosse una successione di dati discreti”.1 È proprio da questo punto di vista che il metodo assume un ruolo cruciale e innovativo che contiene una serie di potenzialità legate a una dimensione fortemente immaginaria. Il rapporto è molto simile a quello che Orhan Pamuk intesse tra il suo romanzo, Il museo dell’innocenza (Einaudi, 2009), e l’omonimo museo di Istanbul che ha realizzato. Tuttavia, pur permanendo invariata la caratteristica dell’interdisciplinarità, mentre nell’opera di Pamuk la storia e il catalogo si riassumono in uno spazio fisico, in Palazzo Yacoubian lo spazio è assolutamente virtuale. Gli strumenti, di conseguenza, non sono il mezzo materiale per perseguire uno scopo, ma l’opportunità per un’interrogazione profonda che dà vita a un ventaglio di potenziali possibilità compositive. È così che Palazzo Yacoubian si materializza in un ammasso informe di spazi e umanità disastrate, una moderna piramide che lentamente si sgretola sotto il peso del fondamentalismo religioso e dei regimi. Su questo imprinting l’edificio fonda il suo linguaggio. Una grande cavea centrale traforata, che si riferisce al sublime, diviene corte e androne del palazzo. Stretta nella compressione dell’altezza, come accade nell’ingresso delle poste di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi a Napoli, accoglie quattro nastri per la circolazione verticale dei due blocchi residenziali e si maschera dietro due facciate cementificate. Gli altri due lati del palazzo sono completamente trasparenti ed esibiscono lo scheletro strutturale. Il tetto è popolato da una serie di volumi a reazione poetica e il pian terreno contiene i prodromi di uno zoccolo commerciale. La spazialità che ne deriva è ambigua. Da fuori l’edificio è unitario, ma una volta oltrepassato l’ingresso la corte palesa i due blocchi residen133
L'omicidio di Taha al-Shadhli (La curva pietrificata) 134
ziali: è “come se, finalmente, la natura cava della sezione si manifestasse rivelandoci tutto in una volta”. 2 La volontà è quella di superare la stretta classificazione tipologica dell’edificio. È una casa a ballatoio, è una palazzina, è un centro commerciale, è una moschea. È una città unitaria e verticale che guarda con ambizione al modello ispirato a Le Corbusier e alle sue unità di abitazione portandolo a conseguenze rischiose ma affascinanti. Perciò il programma funzionale dell’edificio è tripartito: c’è la funzione residenziale, c’è lo spazio comune, c’è lo spazio commerciale. Nello specifico, il programma residenziale è fondato sull’accumulazione di quattro unità (dal monolocale per una o due persone, all’appartamento per cinque o sei persone) nell’ambito della quale si inseriscono una serie di singolarità: appartamenti frutto di ampliamenti, tagli, aggiunte e trasformazioni ad opera dei personaggi del romanzo. Il legame con la linea di terra si materializza in una batteria di negozi che trasforma la corte interna in uno shopping-mall, mentre al contatto con il cielo depositi, vani tecnici, alloggi di fortuna e un padiglione di contemplazione del divino, infoltiscono una mixitè funzionale intensamente cercata. In definitiva, Palazzo Yacoubian è un’illusione che, come un miraggio per un assetato nel deserto, si palesa - prima di scomparire - trovando l’ideale arco vitale nelle parole del suo architetto, che di seguito sono citate: “[…] In quegli anni ebbi l’occasione di conoscere il milionario Hagub Yacoubian quando mi intrufolai ad uno dei suoi esclusivissimi party. A quel tempo il nostro era il decano della colonia armena in Egitto, per cui il profumo del denaro mi guidò verso le fila dei suoi sodali. Durante la festa mi vantai delle mie incredibili doti di architetto, al punto da riuscire ad ottenere, da parte di Hagub Yacoubian, l’occasione di presentare un mio progetto per la costruzione di una faraonica residenza in Via Suleyman Pasha. Di certo non potevo immaginare che il mio
Gli appartamenti modificati e la terrazza di Palazzo Yacoubian 135
Sezione longitudinale di Palazzo Yacoubian 136
progetto sarebbe stato realizzato; ‘i lavori durarono due anni, venne fuori un tal capolavoro architettonico che, superando ogni aspettativa, indusse il proprietario a far scolpire nella parte interna del portone il nome Yacoubian a grandi lettere latine illuminate di notte da una lampada al neon, sugellando così il possesso di quella meravigliosa costruzione e immortalando il suo nome’ 3 […] A questo punto avrei potuto costruire un capitolo che raccontasse la nascita del primigenio Yacoubian. […] Ma ciò che voglio raccontare in queste righe è la storia del palazzo oltre la sua emivita. Oltre il momento che ha segnato l’effettivo decadimento dei suoi caratteri d’eccellenza. Questa residenza plurifamiliare rappresenta per me la prefigurazione del destino di ogni edificio sottoposto all’acida azione dell’utenza. Un concetto che ho appreso con molta fatica negli anni della mia carriera. Ai miei esordi, infatti, mi piaceva conservare limpide nella mente le immagini asettiche delle mie costruzioni intoccate. Oggi, invece, preferisco indagare gli agglomerati in cui i miei edifici si sono trasformati a causa delle stratificazioni poste in essere dalle personalità che hanno abitato quei luoghi. Ed in questo spirito, Palazzo Yacoubian rappresenta, forse, l’apoteosi del principio […]”. 4
Anatomia di un bacio (La stanza ottagonale) 137
Note
Calasso R., L’innominabile attuale, Adelphi Edizioni, Milano 2017 Gambardella C., Non c’era una volta – L’architettura verosimile, Lettera Ventidue Edizioni, Siracusa 2020 3 al-Aswani 'A., Palazzo Yacoubian, (Tr. It. B. Longhi), Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2006 4 Arcopinto L., Palazzo Yacoubian. Architettura da Letteratura, Tesi di laurea in architettura presso il Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell’Università “Luigi Vanvitelli”, 2017 1 2
Crediti
Scheda valutativa, Testo critico ed illustrazioni di Luigi Arcopinto.
Pubblicazioni e mostre
Il progetto illustrato è stato pubblicato nei seguenti volumi e/o riviste: • koozarch.com https://www.koozarch.com/interviews/yacoubian-building-architecture-from-literature/ • Gambardella C., Non c’era una volta – L’architettura verosimile, Lettera Ventidue Edizioni, Siracusa 2020, pp. 62-71
Riferimenti
• Cislaghi P., Il rione Carità, Electa, Napoli 1998 • al-Aswani A., Palazzo Yacoubian, (Tr. It. B. Longhi), Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2006 • Pamuk O., Il museo dell’innocenza, (Tr. It. B. La Rosa Salim), Giulio Einaudi Editore, Torino 2008 • Pamuk O., L’innocenza degli oggetti, (Tr. It. B. La Rosa Salim), Giulio Einaudi Editore, Torino 2012 • Amadio G., La grande illusione d’Egitto passa per Palazzo Yacoubian, in “Il fascino degli intellettuali” n°1, 2016 • Calasso R., L’innominabile attuale, Adelphi Edizioni, Milano 2017 138
Bibliografia essenziale Aa.Vv., Ettore Sottsass, Metafore, a cura di Carboni M. e Radice B., Skira editore, Milano 2002 Aa. Vv., Linee di ricerca. Dissertazioni del Dottorato in Architettura Teorie e Progetto 1986-2020, a cura di Ficcadenti F., Marinelli S., Lulu, Raleigh 2020 Aa.Vv., La sceneggiatura delle scelte concrete, processi e metodi della progettazione architettonica, a cura di Perna V., Stancato G., Lulu, Raleigh 2017 Agamberi G., Collant Dim, in La comunità che viene, Bollati Boringhieri, Torino 2001 Aime M., Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004 Amirante R., Il progetto come prodotto di ricerca. Un’ipotesi, Lettera Ventidue, Siracusa 2018 Arìs C. M., Las variaciones en la identidad : ensayo sobre el tipo en arquitectura, Ediciones del Serbal, Barcellona 1993 Armando A., Durbiano G., Teoria del progetto architettonico. Dai disegni agli effetti, Carocci, Roma 2017 Bonfantini M. A., La semiosi e l’abduzione, Bompiani, Milano 2008 Carpenzano O., La dissertazione in Progettazione architettonica, Quodlibet, Macerata 2017 Derrida J., Politiche dell’amicizia, Raffaello Cortina Editore, Milano 1995 Hensel M. U., Design Innovation for the Built Environment: Research by Design and the Renovation of Practice, Routledge, Londra 2013 139
Ekeland I., Come funziona il caos. Dal moto dei pianeti all'effetto farfalla, Bollati Boringhieri, Torino 2017 Fadda E., Peirce, Carocci editore, Roma 2013 Fagone V., Favata I., Joe Colombo, 24 Ore Cultura, Pero 2011 Feyerabend P., Contro il metodo (1975), Feltrinelli, Milano 2002 Gipi, Unastoria, Coconino press, Bologna 2013 Gleick J., Caos. La nascita di una nuova scienza, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano 2018 Jullien F., Pensare l’efficacia in Cina e in Occidente, Laterza, Roma 2008 Khun T.S., La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962 e 1970), Einaudi, Torino 1999 Morin E., Introduzione al pensiero complesso, Sperling & Kupfer, Milano 1993 Perelman C., L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione, Einaudi, Torino 1966 Saggio A., PhD in Architectural Design: a five-point Algorithm or why a Computer Scientist must Produce a Program and an Architect not a Design?, in Maria Voyatzaki (a cura di), Doctoral Education in Schools of Architecture across Europe, Charis Ltd, Thessaloniki 2014 Steiner G., La lezione dei maestri, Garzanti, Milano 2004 Zingale S., Il ciclo inferenziale, www.salvatorezingale.it/download/ZINGALE-Il-ciclo-inferenziale.pdf Zingale S., Immagini e modelli per l’invenzione, in L’inventiva. Psòmega vent’anni dopo, a cura di M.A. Bonfantini, Moretti Honegger, Bergamo 2006
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Glossario
Abduzione Sillogismo in cui la premessa maggiore è certa, mentre la premessa minore è probabile, per cui anche la conclusione è solo probabile. In Peirce si riferisce al procedimento consistente nell’avanzare un’ipotesi esplicativa per un certo insieme di fatti osservati. Anvur L’Agenzia per la valutazione del sistema universitario e della ricerca sovraintende al sistema pubblico nazionale di valutazione della qualità delle Università e degli Enti di ricerca. Cura la valutazione esterna della qualità delle attività delle Università e degli Enti di Ricerca destinatari di finanziamenti pubblici e indirizza le attività dei Nuclei di valutazione. Infine, valuta l’efficacia e l’efficienza dei programmi pubblici di finanziamento e di incentivazione alle attività di ricerca e innovazione. Consulente per la qualità dell’architettura Nella redazione di un progetto architettonico, il ruolo di consulente per la qualità dell’architettura, che non assume i connotati di un incarico professionale, fa capo a un individuo designato. Coordina le scelte e le decisioni del gruppo di progetto che dal canto suo esprime invece figure professionali cui è richiesta l'assunzione di responsabilità. Il ruolo di consulente per la qualità del progetto consente pertanto a docenti universitari, anche a tempo pieno, di partecipare allo sviluppo di un progetto architettonico e urbano. Cun Il Consiglio universitario nazionale è organo consultivo e propositivo del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. Nell'esercizio delle attribuzioni che gli competono, quale organo elettivo di rappresentanza del sistema universitario, esprime pareri, formula proposte, adotta mozioni, raccomandazioni, svolge attività di studio e analisi su ogni materia di interesse per il sistema universitario. 141
Deduzione La formulazione di una ipotesi di carattere generale da porre a verifica con dati e osservazioni diretta dei risultati. Dossier Il Dossier è composto da quattro elaborati: la Scheda valutativa nella quale avviene l'evidenziazione delle categorie più pertinenti al progetto come attività di ricerca; il Testo critico che presenta in maniera succinta l’apporto del progetto alla ricerca; la Relazione grafica e testuale che illustra il progetto nella sua interezza; l'Appendice bibliografica che raccoglie testi critici, pubblicazioni e mostre del progetto. Dottorando Laureato nella disciplina afferente al Corso di Dottorato che segue. Svolge un percorso di tre anni con circa sei mesi successivi per il completamento e la discussione in sede nazionale della propria dissertazione, che deve avere caratteri di originalità e di pertinenza al Settore disciplinare del corso. Fortuna critica Riconoscimento, apprezzamento, segnalazione di un progetto da parte della comunità scientifica di riferimento. Può manifestarsi attraverso la pubblicazione, l’esposizione e la premiazione del progetto. Gev Il Gruppo di esperti valutatori coordina l’esercizio di Vqr ed è nominato dall’Anvur. I membri sono responsabili della valutazione dei prodotti della ricerca inviati da ciascun ricercatore. Induzione Forma di ragionamento che muove dall’osservazione di fenomeni particolari e tende ad associarli per giungere ad una conclusione generale valida fino a prova contraria. Inferenza Ogni forma di ragionamento con cui si dimostri il logico conseguire di una verità da un’altra. È il processo attraverso il quale da una proposizione assunta come vera si passa a una seconda proposizione la cui verità è derivata dal contenuto della prima. 142
Iris L'Institutional research information system è il catalogo dei prodotti della ricerca di Ateneo che ha una duplice finalità: raccogliere in maniera sistematica la produzione scientifica di Sapienza anche ai fini delle valutazioni ministeriali (Vqr, Asn) e di Ateneo; promuovere l’accesso aperto ai prodotti della ricerca. Peer review Nell'ambito della ricerca scientifica la Peer review (revisione paritaria) indica la procedura di selezione dei prodotti di ricerca, proposti da membri della comunità scientifica, effettuata attraverso una valutazione di specialisti del settore. Problem solving Il complesso delle tecniche e delle metodologie necessarie all'analisi di una situazione allo scopo ricavare una soluzione soddisfacente. Progettare intramoenia Attiene alla pratica del progettare all’interno di strutture dipartimentali che fanno capo, per ciascun progetto, a uno specifico consulente per la qualità dell’architettura. Questa modalità, prettamente operativa, consente ai professori afferenti a un Dipartimento di progettare attraverso commesse da enti pubblici. Progetto architettonico Il progetto architettonico è il frutto di un processo creativo artistico-scientifico con cui l’architetto individua forme, organizzazioni distributive e spazi per rispondere soddisfacentemente ai diverse aspetti che concorrono a una opera di architettura. Retroduzione L’abduzione è l’inferenza tipica dell’indagine, nella quale tracce e indizi possono formare una prova. Per questo motivo alcuni filosofi della scienza la chiamano retroduzione. Scienze umane (Soft Sciences) Quanto c'è di trasmissibile, concettualizzabile ed oggettivamente trasferibile ad altre esperienze all'interno di una disciplina come l'architettura.
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Scienze Esatte (Hard Sciences) Che segue un'impostazione razionale, basata sul metodo sperimentale, ovvero che nasce dall’osservazione ripetuta, dall’iterazione dell’esperienza, dalla verifica dell’errore e dalla sua correzione. Vqr La Valutazione della qualità della ricerca è l’attività di valutazione periodica realizzata dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur). Essa produce un giudizio sintetico sull’attività di ricerca degli atenei finalizzata all’allocazione di una quota importante dei trasferimenti ordinari dal Ministero.
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Indice dei nomi
Acar Emre, 122 al-Aswani Ala, 131, 133 Albani Allegra Maria, 94 Alecci Maurizio, 42 Amirante Roberta, 11, 27, 37, 38 Angelini Rosetta, 84 Anselmi Alessandro, 7 Arcopinto Luigi, 14, 132, 138 Ariano Andrea, 14 Armando Alessandro, 36 Aymonino Carlo, 45 Baldissara Matteo, 84 Bettonica Fabio, 108 Bilgin Altınöz Güliz, 118 Bilgin Gökhan, 122 Binoğul Beril, 122 Bonfantini Massimo, 32 Borromini Francesco, 48 Calabretti Francesco, 14 Calder Alexander, 26 Capuano Alessandra, 11, 28, 37 Carpenzano Orazio, 11, 27 Celiento Ilia, 102 Cellini Francesco, 7 Colombo Joe, 19 Cosenza Luigi, 76 De Francesco Gaetano, 84 De Sanctis Ricciardone Giovanna, 8 Di Giacomo Alessandra, 42 Diri Filiz, 122 Durbiano Giovanni, 36 Eddington Arthur, 33 Einaudi Ludovico, 101, 103, 107 Einstein Albert, 10
Fellini Federico, 38 Filosa Francesca, 124, 130 Franchin Paolo, 110 Franciosini Luigi, 8 Franzi Gino, 133 Furiassi Fabrizio, 100 Gambardella Cherubino, 124, 132 Garcin Gilbert, 50, 60 Garnier Tony, 41 Ghazi Elnaz, 84 Giovannelli Anna, 43 Gipi, 21 Grassi Giorgio, 45 Grassi Paolo, 8 Gülcen Kemal, 122 Hadid Zaha, 45 Jullien François, 31 Kahn Louis, 9 Kalfa Başak, 122 Koolhaas Rem, 45 Kubrick Stanley, 74, 75 Kuhn Thomas, 34 Le Corbusier, 32, 34, 40, 45, 76, 135 Lingeri Pietro, 14 Lloyd Wright Frank, 32, 48 Martì Arìs Carlos, 46 Melograni Carlo, 11 Minnucci Gaetano, 43 Molinari Luca, 102 Muratori Saverio, 45 Pamuk Orhan, 133 Panella Raffaele, 40, 42 Pazzaglini Marcello, 7 Peirce Charles Sanders, 31 145
Perez Belmonte Ruben, 92 Perna Valerio, 84 Pizzichini Paolo, 110 Portoghesi Paolo, 7 Protasoni Sara, 53 Purini Franco, 7, 40 Reale Luca, 110 Romagnoli Giovanni, 84 Rossi Aldo, 45 Rossi Piero Ostilio, 11, 27, 37 Roussel Raymond, 117 Rudofsky Bernard, 76 Saggio Antonino, 17, 63 Sağıroğlu Tuğba, 122 Şahin Güçhan Neriman, 118 Samonà Giuseppe, 45 Schumacher Ernst Friedrich, 111 Schumacher Peter, 45 Sheridan Işılay, 122 Soleri Paolo, 127 Sottsass Ettore, 23 Stancato Gabriele, 84 Stoppani Teresa, 53 Tavoletta Concetta, 132 Tenniel John, 44 Terragni Giuseppe, 14 Uzgören Günce, 122 Vaccaro Giuseppe, 133 van Berkel Ben, 8 Visini Anja, 102 Yavuzatmaca Mercan, 122 Yıldız Merve, 122 Zevi Bruno, 9
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I sandali di Einstein Introduzione all'estetica dello spaziotempo Claudio Catalano ISBN 978-1-326-49154-3
La sceneggiatura delle scelte concrete Processi e metodi della progettazione architettonica a cura di Valerio Perna e Gabriele Stancato ISBN 978-0-244-02037-8
Linee di ricerca Dissertazioni del Dottorato in Architettura Teorie e Progetto 1986-2020 a cura di Fiamma Ficcadenti e Selenia Marinelli ISBN 978-0-244-88266-2-3 Thoughts on a Paradigm Shift The IT Revolution in Architecture Pensieri su un cambio di paradigma La rivoluzione Informatica in Architettura Antonino Saggio ISBN 978-1-71698-581-2 Architettura come prodotto di ricerca Linee guida per la valutazione del progetto a cura di Luigi Arcopinto, Andrea Ariano e Francesco Calabretti ISBN 978-1-716-9532-5-5
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