Bagnai la svendita a pude pagina

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La svendita a PUD€ pagina Alberto Bagnai

(avrei avuto altro da fare, oh, quanto altro! Ma quanto è accaduto a Roberto è di inaudita gravità, e occorre che lo sappiate...) Vi ricordate il romanzo di centro e perif eria? La scena culminante è dif f icile da dimenticare. Un piccolo espediente letterario ha consentito all'autore di chiavare bene in testa al lettore quale sia la prova d'amore che il centro esige dalla perif eria: la cessione dell'ANI (da inondare, va da sé, di liquidità...). Pare che ci siamo. Sapete tutto questo gran parlare di debito pubblico? E dobbiamo rimodularlo, e dobbiamo ridurlo, e dobbiamo vender caserme... Siamo proprio sicuri? Come sa chiunque si sia occupato in modo prof essionale di sostenibilità del debito pubblico, il problema della sostenibilità del debito rimane largamente un problema di crescita del reddito nazionale. Lo diceva Evsey Domar nel 1944 e rimane vero ancora oggi, per il semplice motivo che questa realtà è rif lessa dalla semplice aritmetica del debito pubblico. Agli ingengnieri ricorderò l'ovvio dato che un rapporto è lineare nel numeratore e non lineare nel denominatore: retta contro iperbole, voglio vede' come va a f ini'. Tra l'altro, siccome il moltiplicatore pare esista (cosa della quale nessun economista serio ha mai dubitato, e chi lo ha f atto lo ha f atto solo per tattica accademica e pregiudizio ideologico - riservando ovviamente la solita quota legale all'imbecillità), la dinamica del debito espone a risultati che sembrano paradossali, ma che, vi assicuro, non lo sono, tant'è vero che perf ino un economista come me li aveva perf ettamente anticipati (a seguito di tanti altri). Può accadere, e regolarmente accade, soprattutto durante una crisi f inanziaria, che le politiche di austerità condotte per ridurre (linearmente) il numeratore-debito portino a una riduzione del denominatore-Pil con ef f etti contrari da "what the ordinary uninstructed person would expect" (per dirla con il nemico numero uno dei marxisti dell'Illinois e della valle del Sacco - di cosa non si sa...). Uno pensa di ridurre il debito, ma invece, oooooops, che sorpresa! Ho abbattuto il Pil e il rapporto debito/Pil si è alzato... Mannaggia, vabbe', mi sono sbagliato: capita! Questo è quello che è successo:

e vedete bene che i due scalini di crescita del debito (f ra 2008 e 2009 e poi f ra 2011 e 2012, linea azzurra,


e vedete bene che i due scalini di crescita del debito (f ra 2008 e 2009 e poi f ra 2011 e 2012, linea azzurra, scala di sinistra) coincidono con i due recenti picchi negativi della crescita (nel 2008 e nel 2012, linea verde, scala di destra). Monti ci ha riportato sopra il massimo storico, che avevamo raggiunto nel 1994, al 121% del Pil. Con lui siamo arrivati al 127%. Colpa di una recessione del tutto inutile, se vista nella logica dell'interesse nazionale. Nulla di nuovo.Ci si potrebbe divertire coi controf attuali (cosa sarebbe successo se), ma ora non ho tempo e questa non è la sede. A me basta che siano chiare un paio di cose: 1) il problema del debito ce lo siamo causato da soli aggredendo il sintomo anziché la causa della crisi, cioè il debito pubblico anziché quello privato estero (cioè il f abbisogno pubblico anziché gli squilibri di bilancia dei pagamenti), per evidenti motivi ideologici che ho ricordato ad esempio qui (f ebbraio 2010); 2) a questi motivi ideologici (la distruzione dello Stato, nemico numero uno dei liberisti de noantri) si aggiungeva un motivo ben più prosaico. Il rischio, cioè la certezza, di un esito inf austo è stato accettato da un governo che aveva una missione ben precisa: tutelare non l'interesse nazionale, ma quello dei creditori esteri, che ovviamente (e in parte legittimamente, ma solo in parte) desiderano essere rimborsati in euro. Ricordo che per l'Italia l'euro è una valuta estera (visto che non ne controlla l'emissione, come ci ricorda De Grauwe). Ora, da che mondo è mondo, una valuta estera da dove ce la si procura? Semplice! Dall'estero, cercando di andare in surplus di bilancia dei pagamenti, cioè di ottenere più pagamenti dall'estero di quanti pagamenti si f acciano all'estero. E come si ottiene un surplus di bilancia dei pagamenti? Semplice: o importando di meno o esportando di più. E come si ottengono questi due risultati? Be', per importare di meno basta tagliare i redditi: i cittadini comprano di meno, e in un paese dove la grande distribuzione è in mano straniera e si va a grandi vele verso la perdita dell'autosuf f icienza alimentare e la deindustrializzazione, è chiaro che acquistare di meno signif ica acquistare di meno all'estero. Voi direte: ma all'estero questo f a comodo? E io vi risponderò, come al solito: non esiste il signor Straniero J. Estero, che abita all'estero e parla una lingua straniera. Esistono tanti "esteri". Ai produttori esteri la riduzione delle nostre importazioni non f a bene, perché sono le loro esportazioni, e se diminuiscono i risultati si vedono. Ma l'estero è f atto anche di creditori. Non uno, tanti. Ognuno dei quali se ne fotte sia degli imprenditori manifatturieri del suo paese, che degli altri creditori del suo paese: semplicemente (e in parte legittimamente) rivuole i suoi soldi. E a ognuno di questi creditori il f atto che gli italiani risparmino (non acquistando beni esteri) per restituire soldi esteri (euro) all'estero f a ovviamente piacere. E per esportare di più? Semplice: per esportare di più basta tagliare i redditi (again). Il moltiplicatore keynesiano f a il resto: cresce la disoccupazione, i lavoratori, allo stremo, accettano retribuzioni inf eriori, i produttori nostrani possono abbassare i prezzi, e se non vengono spazzati via dal calo della domanda interna (perché i loro lavoratori, pagati di meno, non possono comprare né all'interno né all'estero), f orse, dopo un po', ricominciano a vendere all'estero (all'interno ovviamente no perché il paese nel f rattempo si è impoverito). Uno stesso strumento (l'austerità) consente così di ottenere due obiettivi (che quindi sono complementari): il calo delle importazioni e poi l'aumento (f orse) delle esportazioni. Insomma: l'austerità serve a correggere il saldo estero (e più o meno ce la fa), non quello pubblico, al quale si sa benissimo che farà enormi danni, per i noti motivi: se tagli la spesa pubblica (cioè il reddito privato) per migliorare il saldo pubblico, poi succede che il settore privato paga meno imposte e quindi i benefici iniziali sono attenuati o annullati. Ovviamente questo è quello che è successo, come sapete e come potete vedere:


Nel 2012 siamo praticamente rientrati dal nostro indebitamento netto con l'estero (il saldo estero è migliorato di quasi tre punti di Pil), mentre il saldo pubblico è migliorato solo marginalmente, dal -3.6% al 3% del Pil. Questo ha consentito al governo di cantare vittoria ("siamo rientrati nei parametri"), una vittoria che andrebbe vista alla luce del f atto che altri governi avevano negoziato margini di rientro del saldo pubblico più dilazionati (evitando una recessione come la nostra) e anche alla luce del f atto che i parametri di Maastricht sono insensati. Molti di voi saranno annoiati da questo riassuntino: sono cose ovvie, risapute, i relativi QED sono già stati scritti o era inutile scriverli. Ma vedete, qui arrivano tante persone nuove, e passano tanti dilettanti. Ogni tanto un riassunto f a bene. E la morale della f avola qual è? Torniamo a bomba: vi dicevo di quelli che vogliono rimodulare il debito o vender caserme per ridurlo. Proposte già dubbie prima che Reinhart e Rogoff venisseri sputtanati (come spiego qui), e ora assolutamente insensate. Il problema dell'Italia è la crescita, e la crescita non si risolve né con l'austerità né con l'abbattimento del debito pubblico: la nodo della crescita si risolve f avorendo, con politiche espansive, il deleveraging del settore privato. Questo lo sanno tutti gli economisti e lo ammettono ormai anche i più ortodossi. Ed è ormai evidenza condivisa quella che senza un riallineamento del valore della moneta alla f orza delle economie nazionali questo obiettivo è impossibile da conseguire. Con rapporti di cambio f issi, le politiche espansive semplicemente si scaricherebbero sul saldo estero: più reddito, più importazioni. Il problema vero (quello dell'indebitamento con l'estero) non sarebbe risolto. Non solo. Abbiamo deciso che vogliamo dare meno soldi ai creditori esteri? Rimodulare, rinegoziare, questo significa, in buona sostanza. Bene: allora un riallineamento del cambio è il modo giusto. Se l'Italia si sganciasse e rimborsasse il debito in valuta nazionale, certo, all'estero riceverebbero meno valuta estera (esattamente come nel caso di una rinegoziazione/rimodulazione, insomma, di un def ault mascherato o esplicito), ma il riallineamento del cambio darebbe f iato all'industria italiana, sia sui mercati esteri (maggiore convenienza dei nostri beni all'estero) che sui mercati interni (minore convenienza dei beni esteri all'interno). Avremmo quindi le risorse necessarie per pagare il restante debito. Tagliare il debito con l'austerità o un def ault controllato o una svendita del nostro paese, mantenendo al contempo il cambio f isso, ci espone a un ovvio risultato: quello di una crisi di tipo greco, con avvitamente recessivo e successiva palinodia del Fmi. E questo, che per taluni è recente e incerto punto di arrivo, per noi è stato un saldo e chiaramente af f ermato punto di partenza. Ma allora perché Grillo e tanti altri continuano a battere sul tasto del debito pubblico? È solo dilettantismo?


No. Nel caso di Grillo sappiamo bene che le cose non stanno così. La matrice liberista del suo pensiero (cioè di quello di Casaleggio) ci è nota, siamo stati i primi qui a metterla in piena e compiuta evidenza.Gli economisti Grillo e Giannino hanno in comune, oltre alla laurea in economia, un pio desiderio: abbattere lo Stato. Buona f ortuna, e il discorso per me f inisce qui. In altri casi, però, la cosa è più preoccupante. Il continuo, insistito, subliminale messaggio secondo il quale noi dovremmo garantire il "nostro" debito con il "nostro" patrimonio è un evidente tentativo di applicazione del metodo Juncker. Chiunque vi parli di vendere qualsiasi pezzo di Italia al capitale estero (fosse pure un etto di sabbia della spiaggia di Maccarese) sta tradendo il nostro paese, e lo sta facendo in modo subdolo e con un obiettivo ben preciso: quello di convincervi che siccome "abbiamo vissuto al disopra dei nostri mezzi" ora dobbiamo "vendere i gioielli di famiglia". Due luoghi comuni che non vogliono dire niente, ma che mirano a uno scopo ben preciso: farvi apparire come naturale la svendita al capitale estero dell'ENI. Perché, vedete, non solo il debito pubblico non è causa ma sintomo (e sintomo nemmeno troppo preoccupante, se l'IMF prevede un rientro già dal prossimo anno), ma la privatizzazione (tramite svendita) di asset pubblici non ha mai, in alcun paese e in nessuna circostanza, curato questo sintomo. Accetto esempi del contrario: "ma in Transnistria nel 947... ma a S. Marino nel 1436... ma nelle Fiji nel 2006...". Buon divertimento! L'Italia non è in vendita. Vorrei anche f ar capire una cosa, molto semplice. Quale creditore intelligente chiederebbe a un artigiano di vendere i propri utensili per abbattere, poniamo di 10, un debito di 100? Nessuno, per il semplice motivo che il restante 90, l'artigiano, senza utensili non riesce a rimborsarlo, perché smette di lavorare. O meglio: un modo per rimborsarlo ce l'avrebbe ancora: andare sotto padrone. Ed è questo che vogliono. Chiaro, no? Chi vede nel capitale estero la soluzione dei problemi vuole semplicemente la definitiva schiavizzazione dei paesi periferici. L'Italia priva delle sue aziende diventerebbe semplicemente un serbatorio di manodopera molto qualif icata e sempre più a buon mercato. Chiunque vi parli di vendere ai creditori esteri anche solo un sasso del nostro paese coopera, che lo sappia o meno, a questo progetto. E quindi va isolato e f atto rif lettere, naturalmente con le buone. Io ci ho provato in tempi non sospetti, denunciando credo per primo in modo esplicito la svendita del nostro paese. Certo, questo ha dato fastidio a molti difensori dell'euro "da sinistra". Non si può dispiacere a tutti. Ma io vivo in Italia e non voglio trovarmi a vivere in un deserto. E che il tema sia questo, e che lo scontro sia ormai aperto, ce lo evidenzia il coinvolgimento dell'informazione di regime. Sentite cosa racconta Roberto Buf f agni: Roberto Buf f agni ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Of f ertismo e antif ascicolismo": Altro aneddoto in tema, fresco fresco. Stamani sento "XXX" su YYY. Il conduttore legge una dichiarazione di Riccardo Illy, che in qualità di presidente di Altagamma dice che la vendita a stranieri di Pernigotti e delle aziende italiane in generale dimostra che sono buone da mangiare (appunto come i cioccolatini).


Telefono alla redazione. Di tanto in tanto lo faccio, e ho sempre trovato redattori cortesi. Stavolta, il redattore mi chiede di sintetizzare il mio intervento (che avevo già liofilizzato per il centralino). Sintesi: i profitti di un'azienda italiana che diventa straniera se ne vanno all'estero; e questo se va bene, perché a volte l'acquirente decide di comprare per chiuder e così eliminare un concorrente, vedi caso Acciaierie Terni/Thyssen Krupp, con il collateral damage dei poveretti carbonizzati per risparmio sulla manutenzione e la sicurezza in vista della prossima chiusura. Invece di passarmi il conduttore, il redattore comincia a polemizzare e a discutere lui. Si noti che questo non avviene mai: di solito, i redattori si accertano che tu abbia da dire qualcosa di minimamente sensato, non teppistico e non illegale, e poi ti mettono in linea. Niente: stavolta, il redattore si batte come un leone. E non è vero che i profitti vanno all'estero, e comunque ci pagano su le tasse, e il problema della sicurezza sul lavoro è molto più complesso, e insomma lei è per il protezionismo...dopo di che, mi mette giù il telefono. Avevo dormito bene, erano le sette e mezzo del mattino, per cui mi incavolo solo moderatamente. Richiamo il centralino, spiego l'accaduto, sottolineo che per un servizio pubblico è grave fare censura preventiva, avverto che non finisce qui, e lascio di nuovo il mio telefono nel caso che un responsabile voglia chiarire. Due minuti dopo mi ritelefona il redattore di prima. Gli chiedo di presentarsi. Non si presenta. Glielo richiedo. Non si presenta, in compenso mi insulta: "Lei è un arrogante e un maleducato!" (cfr. pag 2 del manuale di psicoanalisi for dummies, voce "proiezione") e conclude con le ultime parole famose: "Lei a XXX non interverrà più". E bravo l'innominato. Mandata lettera di protesta al responsabile della trasmissione e al direttore di YYY. Reazione: zero. Appena avrò tempo e voglia scriverò anche a qualche giornale, come i colonnelli in pensione (non sono in pensione, però). Ecco qua, tanto vi dovevo. Abbasso il nazifascicolismo! Vi occorre altro? Pud€ Pagina difende la svendita. Può darsi che gli vada bene. Se invece va male, cioè se gli italiani si riprenderanno l'Italia, sapranno quali braccia restituire all'agricoltura, in un paese che ha tante eccellenze nell'agroalimentare, e tante deficienze nell'informazione. (fate sentire la vostra voce. Polvere alla polvere e merda alla merda. Devono sapere che sappiamo cosa ci stanno facendo, e sappiamo perché ce lo stanno nascondendo. Fate circolare. L'indirizzo di Pud€ Pagina si trova facilmente...).


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