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Cosa ostacola e cosa facilita la partecipazione di Simone Lanza
Cosa ostacola 1. Cultura politica del Novecento
U
na organizzazione con una cultura politica in cui si teorizza la separazione tra fini e mezzi ostacola la partecipazione. Se in un gruppo anche solo alcuni e alcune pensano che il fine possa giustificare il mezzo, vi è il rischio che una cultura della violenza si possa diffondere. Una concezione della politica nonviolenta è quindi una condizione indispensabile1.
2. Antiautoritarismo ideologico Una organizzazione con una concezione ideologica del potere e dell’autorità può ostacolare la partecipazione nella misura alcuni membri sono convinti che, per dirla con De Andrè, “non ci sono poteri buoni”: se c’è una cultura in cui si pensa che chi prende il potere (coordina, dirige, ecc.) anche se è bravo diventa “il cattivo” diventa difficile costruire in positivo un potere condiviso e ci sarà sempre una frangia critica che delegittima l’autorità. Per questo è utile richiamare la distinzione di Hanna Arendt sull’autorità. L’autorità può essere esercitata in modo autorevole o autoritario. L’autorità quindi non è il problema, il problema è l’autoritarismo. Inoltre nella lettura arendtiana della modernità, la crisi dell’autorità è proprio un aspetto dei processi di individualizzazione della società che osta-
cola la possibilità di La crisi della democrazia occidentale uno spazio politico passa per la demotivazione alla autentico2. Per dirla partecipazione. Simone Lanza (*) in modo semplice: è la società di merca- facendo riferimento alla democrazia to che insegna che partecipativa di associazioni, sono tutti cattivi e organizzazioni politiche e realtà non possono esserlavorative del terzo settore (Ong ci poteri buoni. Sul fronte etnografico e cooperative sociali), delinea e socio-antropoloschematicamente alcuni fattori che gico, Pierre Clastres ostacolano e altri che facilitano ha mostrato come la partecipazione. Se non c’è molte società tribali avessero una possibilità di influenzare gli altri struttura sociale membri del gruppo non ci può egualitaria dove i essere partecipazione: spesso si capi esercitavano il potere per la sociecrea una separazione tra chi critica tà e non contro la senza prendersi responsabilità e chi società. Il giovane detiene il potere, si sporca le mani, antropologo andò ma non si mette davvero oltre, ipotizzando che le culture triin gioco per promuovere la bali avessero scelto partecipazione di tutti e tutte. deliberatamente di non permettere uno sviluppo gerarchico della società cizio della democrazia. I tempi e fossero cioè “società contro lo brevi o la mancanza di tempo per stato”3. L’ipotesi è suggestiva sodiscutere, ovvero le sirene dell’eprattutto se si pensa che ancora mergenza, portano non solo le oggi le popolazioni indigene coorganizzazioni a prendere decistituiscono una grossa minoranza sioni velocemente, ma a lasciarle nel mondo e nel ‘700 erano ancora decidere ai soliti ig(noti); per gli la grande maggioranza delle poindigeni insurgentes del Chiapas polazioni del pianeta Terra. Condemocrazia e burocrazia hanno in trariamente a chi pensa che dalla comune i tempi lunghi. Anche la notte dei tempi il potere implica la condivisione dei tempi di decisiocoercizione e la violenza. ne, la puntualità nell’inizio e nella fine, la gestione corretta del tem3. Tempi brevi ed emergenze po per la discussione sono ingreLa dimensione temporale gioca un ruolo fondamentale nell’eserdienti essenziali della democrazia. 12
4. La regia nascosta dei soliti ignoti Spesso in molte organizzazioni i soliti (ig)noti riescono a governare perché esercitano il potere fuori dagli ambiti decisionali preposti. Quanto più in una organizzazione il potere è esercitato in modo informale tanto più questo rischio è alto. Il caso estremo e più diffuso è quello dove (per es. nei centri sociali), dietro all’ideologia dell’assemblearismo (tutto deve essere deciso in assemblea, anche a costo di fare assemblee fiume pesantissime in cui tutti hanno il
Cosa facilita a. Principi chiari ed espliciti
I principi non sono sempre mere dichiarazioni di intenti ma punti fissi su cui richiamare l’identità del gruppo e la coerenza tra teoria e pratica. Senza chiari principi fondativi non vi può essere gruppo e quindi partecipazione. Solo prendendosi la responsabilità di chiarire quali sono i principi includenti (e quindi escludenti) del gruppo si può avere un gruppo che agisce coerentemente: qui possono vincere le idee e non le persone che le propongono. Se i la leadership è una funzione principi sono condel gruppo, più che una qualità divisi non esiste una proprietà (padel leader ternità!) dell’idea, mal di testa) si pratica il potere di l’idea è autonoma, è liberamente pochi. Nelle organizzazioni lavoramodificabile da tutti e tutte perché tive spesso viene additato il moè fedele interpretazione e applicadello organizzativo come l’origine zione dei principi. Le dinamiche tra di tutti i mali: in tal modo tutte le le persone lasciano lo spazio alla energie vanno nella modifica conlotta tra le idee. Gli ideali sono imtinua dell’organizzazione, modifiportanti perché creano una cultura ca permanente che è funzionale in cui si può contraddire il potere al potere informale: cambiare e i capi. Se non si può contraddire modello organizzativo ogni paio il capo pubblicamente l’organizzad’anni serve a lasciare che i soliti zione non ha né grandi margini di ig(noti) possano esercitare il potepartecipazione né grandi ideali. re informalmente. In questo senso occorre precisare che l’esistenza di b. Squilibrio di genere una leadership non è il problema. L’equilibrio di genere o meglio La leadership è la relazione tra i leuno sbilanciamento verso una aders e il gruppo. Ponendo al cenmaggioranza di donne è oggi inetro della riflessione il gruppo come vitabile: il linguaggio e le modalisoggetto di vita activa, potremmo tà relazionali non sono neutre. La anche vedere i leaders come cofemminilizzazione dei consigli di loro che più si fanno influenzare amministrazione è strategia aziene sanno sintetizzare umori e desidale (in Norvegia), perché produtderi del gruppo: i leaders comunitiva. Può essere quindi considerata cano, ascoltano, condividono ed più efficace in termini di aggreesprimono i concetti in ideali e gazione del gruppo, perché dimihanno un po’ le qualità descritte nuisce la competitività all’interno da Clastres a proposito dei capi dell’azienda. Nella mia esperienza tribù indigeni: capacità di medianelle organizzazioni di base italiazione e pacificazione, capacità di ne laddove c’erano più donne di parlare, capacità di donare. Ma uomini nella gestione del potere la leadership è una funzione del c’era anche maggiore coerenza gruppo, e quindi non una qualità tra principi e pratiche, maggiore del leader: può ruotare. aderenza alle relazioni, maggiore 13
orientamento del gruppo alla soluzione dei problemi, minori divisioni teoriche, maggiore collaborazione, minore competitività, maggior riconoscimento dell’autorità, maggiore assunzione di responsabilità, maggior ascolto e mediazione tra gli individui del gruppo. Quindi una maggioranza (non una parità!) di donne comporta (ma non è una legge biologica e sempre vera) una maggiore partecipazione4. c. Ascolto e rispetto Rispetto e riconoscimento delle individualità sono essenziali in un gruppo che si basa sulla partecipazione. Non occorre essere amici (spesso questo è un problema) ma le relazioni devono essere prive di rancori e inimicizie; il singolo non viene schiacciato dal gruppo se il gruppo non viene bloccato dal singolo. Il singolo ha il potere e la responsabilità di sollevare i problemi. Bisogna sapere convivere con le frustrazioni e le emozioni negative (paure, irritazioni, ecc.) che nascono quando le proprie idee non vengono accettate dal gruppo. Il rispetto degli individui passa per i diritti di essere trattato con rispetto, di avere ed esprimere opinioni e sentimenti, il diritto di essere ascoltata e presa seriamente, il diritto di dire “no” senza sentirsi in colpa, il diritto di chiedere ciò di cui si ha bisogno, il diritto di cambiare opinione e non essere giudicato. l rispetto e il riconoscimento possono costituire una cultura di gruppo se ogni persona sviluppa soprattutto l’arte di ascoltare e comprendere. Purtroppo la nostra società non educa soggetti capaci di relazionarsi e collaborare ma esaspera l’antagonismo (pensiamo alla scuola, al tempo libero sottratto sempre più all’autogestione diretta da parte di bambini e bambine con attività strutturate da adulti, ai media come nuovo agente diseducativo, ecc.). Penso che la capacità di ascolto sia la virtù più in crisi (all’origine anche dei processi di
mandante Marcos, che comanda obbedendo al consiglio dei comandanti, che, a loro volta obbediscono alle comunità insurgentes6.
disgregazione delle coppie di oggi) in una società sempre più malata di immagine e spettacolo. Il gruppo deve fare attenzione non solo ai contenuti, ma anche ai sentimenti espressi dai singoli, deve promuovere la distinzione tra le persone e le questioni sollevate, evitare che vengano attribuite intenzioni agli altri, concentrarsi non sulle teorie e sulle analisi ma sulle soluzioni. d. Il conflitto fa crescere il gruppo Se esistono i presupposti sopra richiamati, il conflitto tra le individualità assume un ruolo positivo. Come insegna la pedagogia nonviolenta il miglior modo per non essere violenti è sviluppare una pedagogia del conflitto: imparare a stare nel conflitto per evitare che degeneri in violenza. Il conflitto è un fenomeno umano e svolge sempre un ruolo positivo; spostando i contrasti sulle idee anziché sugli individui ci accorgiamo persino che le persone non sono individui, ma soggetti ricchi di contraddizioni interne, di diversità, di disponibili-
tà al mutamento, perché solo gli imbecilli non cambiano mai le proprie idee. Estremizzando potremmo dire che il gruppo può crescere sul conflitto nella misura in cui le persone sono consapevoli di non essere degli individui ma dei soggetti attraversati da (sane) contraddizioni5.
f. Formalizzare cariche e decisioni Un altro meccanismo che facilita la partecipazione è la formalizzazione delle cariche e delle decisioni. L’assunzione di responsabilità conformemente agli statuti o a quanto previsto dal piano formale è importantissima. Dove non c’è coincidenza tra piano formale e informale, dove le comunicazioni viaggiano prima nei corridoi che nei giusti canali formali, la democrazia sta soffrendo: la formalizzazione di tutte le decisioni e il tenere traccia delle obiezioni è essenziale. In molte piccole organizzazioni si pensa spesso di non dovere formalizzare le decisioni se non si è costretti dalla legge. Si considera erroneamente una burocratizzazione e spesso ci si ritrova all’incontro successivo in cui ognuno pensa di avere deciso una cosa diversa dall’altro. La rotazione delle cariche è un corollario della formalizzazione: è sano che le cariche direttive siano a termine per evitare concentrazione di potere personale.
la separazione tra chi decide e chi promuove la partecipazione è salutare
e. Separazione di poteri La separazioni di poteri è da sempre indicata come l’essenza delle forme di governo democratiche. La separazione tra chi decide e chi promuove la partecipazione (tra facilitatore e coordinatore o direzione) e la separazione tra organi decisionali e organi esecutivi facilita la partecipazione. Per esempio la presenza di volontari in organi decisionali è faticosa ma di grande valore. In particolare la presenza di una direzione esecutiva diversa da un luogo collegiale decisionale è un meccanismo sano. In ambito strettamente politico è stata portata alla ribalta dal subco14
g. La gestione economica è politica Le competenze economiche diffuse e la trasparenza delle gestione dei fondi sono un altro meccanismo che permette di oliare la democrazia. La conoscenza degli aspetti microeconomici deve essere competenza non delegabile dal gruppo. Non deve esserci separazione tra politica ed economia e deve esserci totale trasparenza nella gestione dei fondi. Occorre ricordare come il movimento dei movimenti prese le mosse dai bilanci partecipati di Porto Alegre.
h. Il metodo decisionale La condivisione del metodo usato nel processo decisionale è importante. Finora si è fatto riferimento indistintamente a organizzazioni di base ma la dimensione del gruppo gioca un ruolo fondamentale7. Tecnicamente non si può parlare di gruppo quando ci sono più di ca. 15 persone. Nelle organizzazioni di base con più di 15 persone è quindi utile parlare di interazione di gruppi. Inoltre se
l’ideologia del consenso. Potremmo invece a buon diritto ricordare l’approvazione della costituzione italiana come una lunga e ben riuscita decisione sulla base del consenso, tanto più apprezzabile quanto più diversi e opposti erano gli schieramenti in campo. Ne è uscita una delle migliori carte costituzionali del mondo. Il metodo del consenso è una metodologia decisionale di gruppo, che integra nella decisione anche le considerazioni importante partire dalla della minoranza. condivisione del metodo usato Con il metodo del consenso l’obietnel processo decisionale tivo è arrivare a parliamo di metodo decisionale esplicitare gli elementi che accodobbiamo scegliere tra il metodo a munano tutti i membri del gruppo maggioranza e quello del consenanche a rischio di ridurre le poste so. Inoltre deve essere chiaro cosa decisionali. Si decide meno ma tutsi decide tutti insieme e cosa si deti insieme. Sebbene non sia di uso comune rispetto a quello per maglega. Nel caso della delega occorre gioranza il metodo del consenso predisporre l’ambito che verifica è utilizzato da una grande varietà la delega. A me piace vedere l’indi gruppi nel mondo e le modalisieme dei gruppi di potere di una tà variano considerevolmente. Si organizzazione come una piramide possono però evidenziare alcuni rovesciata. elementi che, specialmente grazie Generalmente si ritiene che i parai movimenti sociali recenti, conlamenti decidano per maggioranza traddistinguono questo metodo: mentre solo nei piccoli gruppi sia la distinzione di ruoli (facilitatore/i, possibile il metodo del consenso. timekeeper, coordinatore, osservaSpesso però nei piccoli gruppi vige tore esterno o empatico, segretario); la presenza del linguaggio non verbale (che serve a segnalare l’orientamento del gruppo, richieste di singoli e singole di chiarimento, a esprimere accordo o disaccordo mentre uno parla senza interrompere, ecc.); la possibilità di bloccare una decisione se non c’è convinzione Tutti questi accorgimenti possono comunque essere predisposti in gruppi che scelgono di procedere per maggioranza ascoltando e tutelando le minoranze. La partecipazione alle decisioni di gruppo è difficile, ma non impossibile. Ci sono meccanismi da cui difendersi e altri da utilizzare. Comporta una educazione individuale ma deve potersi esercitare in luoghi comuni. La collaborazione 15
è una qualità naturale dell’essere umano, che fin da neonato è in grado di cooperare. Non è una capacità scontata, che possa svilupparsi da sé, senza essere attivata. Come ogni abilità sociale, necessita di un’educazione collettiva: richiede la capacità di ascoltare e di dialogare per realizzare opere che singolarmente non si potrebbero conseguire 8. È necessaria un›educazione alla libertà, libertà che inizia (e non finisce) dove inizia la libertà degli altri. (*) Simone Lanza, slanza@autistici.org, maestro elementare a Milano, ex vicedirettore di Agape, ha lavorato in ong e cooperative.
Note 1 Marco Revelli, Oltre il Novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Einaudi, Torino, 2001. 2 Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Vallecchi, Firenze 1970, (ed. or. ing. 1961) 3 Pierre Clastres, La società contro lo stato, Ricerche di antropologia politica, Feltrinelli, Milano, 1977 (ed. or. fr. 1974); cfr. anche la raccolta di alcuni contributi, id. L’anarchia selvaggia, le società senza stato, senza fede, senza legge, senza re, Eleuthera, Milano 2013. 4 Centro culturale Virginia Woolf, L’autorità femminile, incontro con Lia Cigarini, ed. Centro Culturale Virginia WoolfGruppo B, Roma 1991e Diotima: Il cielo stellato dentro di noi. L’ordine simbolico della madre, La Tartaruga, Milano 1992. 5 Miguel Benasayag - Angélique Del Rey, Elogio del conflitto, Feltrinelli, Milano 2008 (ed. or. fr. 2007). 6 J. Holloway, La rivolta della dignità, in Camminare domandando, la rivoluzione zapatista, Deriveeapprodi, Roma 1999. 7 Si vedano gli interventi di P. Branca in, Il lavoro di comunità. La mobilitazione delle risorse nella comunità locale, Quaderni di animazione e formazione, Edizioni gruppo Abele, Torino 1996 e Territorio e lavoro di comunità, Corso di perfezionamento a distanza in pedagogia per il territorio, Università degli studi di Padova, Dipartimento di Scienze dell’educazione, CLEUP, Padova 2000 8 Richard Sennett, Insieme, rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Milano, Feltrinelli, 2012 (ed. or. Ing. 2012)