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A tu per tu con Raffaele Jannucci

Ispiratore e geniale innovatore del plein air da oltre 50 anni

Abbiamo incontrato Raffaele Jannucci e la moglie Luciana, nella loro accogliente casa di Roma. Da qualche mese Raffaele Jannucci non è più l’editore del mensile Plein Air, ma sembra impedire al tempo trascorso di diventare padrone di sogni, progetti e visioni a lungo termine. Le idee sono ancora in movimento.

Testo di Antonio Mazzucchelli

Un’intervista a Raffaele Jannucci. Chi l’avrebbe mai immaginato? Chi vi scrive, quando era alla direzione del mensile Caravan e Camper, studiava con attenzione le strategie vincenti di Plein Air e si ribellava con decisione al tributo che tutto il settore concedeva a Raffaele Jannucci quale “deus ex machina” del plein air. Allora, comunque, lo stimavo. Oggi sono un suo fan. Lui, all’età di 90 anni, non è solo la memoria storica di quello che è accaduto in questo settore. In buona parte è stato l’instancabile artefice di molti accadimenti. Un comunicatore eccellente, un imprenditore determinato, un uomo di cultura che ha ancora nuovi progetti nel cassetto. Ecco cosa ci ha raccontato.

Ci racconti di lei, della sua formazione e delle sue prime esperienze lavorative.

Raffaele Jannucci: Devo l’amore per la terra e la natura a mio nonno che era un farmacista, ma che passava molto tempo insieme a me nel suo orto. Mi sono laureato in giurisprudenza, ma non volevo fare l’avvocato. Avrei dovuto esercitare nel mio paese d’origine (Casacalenda in provincia di Campobasso, ndr), ma non mi interessava. La creatività di mio nonno, tanto nella composizione di farmaci quanto nel coltivare la terra mi hanno portato più lontano. A Milano, per esempio, dove a 25 anni iniziai a fare il freelance in alcune agenzie di pubblicità. Per tre anni lavorai come copywriter e guadagnavo moltissimo. Con una sola campagna pubblicitaria mi dettero, allora, sei milioni di lire, più che sufficienti per sposarmi con Luciana. Poi qualcuno parlò di me al titolare del- la prima agenzia italiana di pubbliche relazioni industriali, che aveva la sede qui a Roma. Quest’agenzia aveva gestito l’ufficio stampa delle Olimpiadi del 1960 e ora aveva assunto l’incarico di agenzia di pubbliche relazioni del Gruppo Corriere della Sera. Mi diedero l’incarico di responsabile e tra i miei compiti avevo quello di posizionare le testate del gruppo verso nuovi e potenziali lettori. Mi affidarono prima Amica, diretta a quei tempi da Antonio Alberti, e subito dopo il Corriere dei Piccoli, diretto da Guglielmo Zucconi. Fu un’esperienza meravigliosa che mi formò sui temi editoriali. Per sette anni rimasi direttore di questa agenzia di pubbliche relazioni, avevo ufficio a Roma e a Milano. Ero già sposato con Luciana, che già a 19 anni scriveva racconti sui quotidiani nazionali e lavorava in una grossa agenzia di pubbliche relazioni a Roma. Un giorno fui chiamato dal direttore generale del gruppo Corriere della Sera e mi fu proposto di diventare segretario editoriale degli Illustrati. Ma quell’incarico era già affidato a Mario Oriani, un caro amico di Milano. Presi qualche giorno e poi diedi la mia risposta negativa con l’idea di mettermi in proprio. Infatti, un anno dopo, nel 1967, aprii la Publiconsult, una società di consulenza per gli editori.

Raffaele Jannucci: Esattamente. Un giorno mi telefona un amico, giornalista parlamentare e responsabile del settore tempo libero di Paese Sera, e mi dice che lo hanno coinvolto come consulente in una rivista ma che lui non ha esperienza. La rivista si chiamava Italia Caravanning. Accettai il contratto di consulenza per 6 mesi e sviluppai il progetto. Ma alla fine della consulenza l’editore volle che andassi avanti prendendone in mano la gestione. L’unica condizione che pose fu quella di riservare delle pagine di pubblicità ad alcuni campeggi, che poi ho scoperto essere di proprietà di alcuni deputati socialisti che avevano sdemanializzato i terreni per trasformarli in camping. Non sapevo nulla di caravan. Un mio caro amico aveva appena comprato la roulotte e lo coinvolsi: era, ed è ancora, il maggiore esperto di giornalismo ambientale, Maurilio Cipparone, che poi andò a dirigere Airone; Stefano Ardito oggi affermato giornalista, scrittore e fotografo e un professore di tecnica anche lui proprietario di una roulotte. Cominciammo la nostra avventura editoriale. Dopo sette mesi mi chiamò da Milano un amico, che era diventato direttore della pubblicità del gruppo Corriere della Sera, e mi disse che avevano avuto l’incarico di vendere la pubblicità di Italia Caravanning. Scoprii che l’editore stava vendendo la testata a uno stampatore romano senza che ne sapessi nulla. Questo non mi piacque per nulla. Registrai allora un’altra testata: 2C.

E qui inizia la sua avventura da editore…

Raffaele Jannucci: Proprio così. Italia Caravanning aveva 3000 abbonati. Chiesi a Luciana di fare una comunicazione agli abbonati: “la rivista cambia nome, il direttore sono sempre io, se non vi interessa vi ridiamo l’acconto”. Solo 4 abbonati chiesero la restituzione dei soldi. Era l’inizio del 1970 e io stavo rinunciando alla mia vita professionale di consulente editoriale per iniziare la mia avventura da editore. Mi resi conto che dovevo approfondire la mia conoscenza e iniziai a viaggiare per visitare le aziende, anche all’estero. Volevo essere un editore informato e preparato, volevo gestire i temi del settore en plein air, svilupparli, interpretarli. E così in poco tempo la rivista crebbe. In quegli anni, poco prima di un viaggio a Londra, fui contattato dal redattore capo de “La Notte” un quotidiano di Milano che mi chiese un servizio su questa tendenza degli inglesi di dormire dentro i furgoni. Trasmisi telefonicamente il servizio in redazione e mi venne spontaneo dire: “ho visto tanti camper”. Scoprii più tardi che camper in inglese vuol dire campeggiatore. Ma ormai la frittata era fatta e camper divenne il termine con cui in Italia si indica l’autocaravan.

Alle Nazioni Unite nel corso della visita dei pubblicitari italiani, conclusa con il ricevimento del presidente Johnson alla Casa Bianca.

Una immagine molto cara a Jannucci, in cui è con il famoso ciclista Gastone Nencini reduce dal successo al Tour de France.

Jannucci presenta una gara del Campionato Ragazzi del Corriere dei Piccoli, del quale era organizzatore.

Un impegno particolare: il lancio di un film della CEIAD Columbia, il più grande distributore italiano.

Presentazione in Campidoglio della rivista delle Infermiere Professionali italiane.

Sappiamo che la vera svolta arrivò grazie a un contratto con Fiat…

Raffaele Jannucci: Era il 1976. Mi chiamò dalla Fiat il responsabile marketing e mi chiese un incontro: “Vogliamo lanciare una macchina nuova, ma vorremmo che l’auto sapesse fare qualcosa di più. Per esempio trainare una roulotte”. Sviluppai con Maurilio Cipparone e con lo scrittore e sceneggiatore Vito Bruschini, il progetto “Conosci l’Italia?” un viaggio attraverso l’Italia non conosciuta, su percorsi secondari. Insieme ad altre sei persone percorremmo 10.000 chilometri con tre auto e tre roulotte. Vito Bruschini realizzò un documentario straordinario. E pubblicammo diversi servizi su 2C. Non avevo un contratto con Fiat ma pubblicai lo stesso molte foto a colori, che all’epoca costava parecchio. Dopo due mesi, mi chiamarono in Fiat per un resoconto, erano contentissimi. Ci dissero che molti clienti chiedevano informazioni sul gancio di traino. Avevamo speso circa 6 milioni. Erano soldi miei e non avevo un contratto con Fiat. Avevo speso una bella somma ed ero preoccupato. Nell’ufficio dell’amministrazione approfittai di un momento di distrazione dell’incaricato per sbirciare l’assegno che avevano preparato per me… c’era scritto 25 milioni! Con questi soldi ho cominciato veramente. Nacque quindi un ottimo rapporto. Qualche tempo dopo ci regalarono un furgone Fiat 900T, e ci chiesero di trasformarlo in camper a spese nostre. L’architetto Alberto Galassetti progettò un veicolo straordinario. Anche Fiat creò un camper ingaggiando due architetti, uno dei quali era il grande Ettore Sottsass. Alla seconda edizione di Caravan Europa a Torino esposizioni, nel 1978, esponemmo il nostro camper, e scoprimmo che i visitatori si fermavano a osservare il nostro molto più che i due veicoli di Fiat. A quel punto Fiat ci chiese di togliere il nostro veicolo dall’esposizione.

Lei ha sempre avuto un rapporto molto stretto con le fiere…

Raffaele Jannucci: La prima fiera a cui partecipai con 2C fu il Salone delle Vacanze organizzato da Torino Esposizioni. Mi diedero un sottoscala, però fu l’occasione per conoscere gli organizzatori. L’anno successivo mi chiesero una mano per lanciare una fiera nel settore caravanning. Suggerii il nome di Caravan Europa. Già alla prima edizione lo stand di 2C era nell’atrio d’ingresso. E sono sempre stato loro consulente, finché hanno chiuso. Torino all’epoca era davvero al centro del settore. Milano è arrivata dopo. E c’erano solo un paio di centri nel bergamasco, qualcosa in Veneto e nasceva qualcosa in Toscana. A Roma c’era l’Arca. Poi venne Mondo Natura. Gianni Minzoni, imprenditore romagnolo voleva portare la fiera a Rimini. Alla riunione operativa chiamarono anche me. Minzoni propose come nome il Salone della Caravan. Pensai che dopo 10 anni di Torino Esposizioni per una nuova fiera ci volesse qualcosa di più, e inventai il nome Mondo Natura. E diventai consulente della fiera di Rimini. Avviai un rapporto così intenso, che quando inaugurarono la fiera ci diedero 2 stand nella galleria d’ingresso.

Quando nasce il nome Plein Air?

Raffaele Jannucci: Nel 1985. Lavoravo a stretto contatto con Alberto Galassetti, che era un architetto di grande cultura. Ci rendemmo conto che chiamavamo sempre più spesso la testata “2C Plein Air”. Divenne Plein Air punto e basta. Da ditta individuale aprimmo una società di famiglia. La redazione cominciò a ingrandirsi. Abbiamo cambiato diverse sedi e poi, visto che spendevamo molto d’affitto, otto anni fa comprammo degli uffici nuovi. Il mio obiettivo è sempre stato quello di unire la cultura, la qualità, il rispetto per tutti gli operatori, e soprattutto fare all’interno una scuola, un linguaggio, e selezionare collaboratori esterni tutti di grandissimo livello. Io ho formato al giornalismo tutti quelli con cui ho lavorato. Tranne Alberto Galassetti. Io formavo lui e lui formava me. Come tutti i grandi architetti era un’idealista. Mia figlia Lucia ha lavorato con noi. È una giornalista eccellente, ma a un certo punto ha scelto un’altra strada.

Come è nata l’idea del Club del Plein Air?

Raffaele Jannucci: Quando ero consulente per il gruppo Corriere della Sera, creammo il club del Corriere di Piccoli per fare concorrenza a Topolino che aveva un club molto attivo e ci rubava i lettori. Dopo un anno, eravamo noi a rubare i lettori a Topolino. Con iniziative come il campionato di sci per ragazzi o i viaggi culturali per ragazzi. Quindi come editore di Plein Air decisi di strutturare un club, ma senza mettermi in concorrenza con Federcampeggio. La prima idea che mi venne fu di coinvolgere una compagnia di assicurazioni. Vittoria mi disse che aveva già un accordo. Telefonai a Lloyd Adriatico e incontrai il direttore marketing. Mi disse: noi adesso abbiamo 1200 polizze camper. Risposi che in un anno nei avrei fatte stipulare 10.000. Grazie al club arrivammo a 20.000 polizze. Poi d’accordo con Luciana decidemmo di dare a mia figlia Gemma più autonomia. Gemma è laureata ed è una donna di grande cultura, ma in redazione era considerata “la figlia del padrone”. Staccammo allora il Club da “edizioni Plein Air” e creammo Plein Air service.

Raffaele Jannucci con Papa Bergoglio

Quattro anni fa lei è riuscito a incontrare Papa Francesco durante il giubileo del suo giornale.

Raffaele Jannucci: Avevo letto l’enciclica di Papa Francesco “Laudato Sii” e mi era piaciuta. Sono riuscito a contattare Monsignor Fisichella, lui ne ha parlato con la segreteria generale che a sua volta ne ha parlato con Papa Francesco. Hanno chiesto lo schema di quello che volevo fare e hanno dato subito il via libera. Plein Air è stata l’unica rivista esistente che ha avuto un suo giubileo. È stata un’eccezione… o una conferma, se vogliamo.

Il gruppo di lavoro dell’agenzia Moretti. Al fianco di Jannucci la campionessa italiana di salto in alto Marinella Bortoluzzi.

Plein Air oggi non è più nelle sue mani. Cosa è successo?

Raffaele Jannucci: Ci sono decisioni che si prendono con la freddezza e altre che si prendono per i figli. Con Luciana abbiamo deciso di dare più autonomia a nostra figlia Gemma, e a novembre scorso le abbiamo ceduto la proprietà dell’attività editoriale. L’altra nostra figlia Lucia ha rinunciato alla sua quota. Io ho ceduto la testata e la direzione del giornale a mia figlia e ho mantenuto la proprietà della Publiconsult. Purtroppo Gemma, per inesperienza, si è affidata ad alcuni consulenti che l’hanno portata su un percorso insidioso e diverso da quanto avevamo progettato e concordato. Purtroppo l’abbiamo capito troppo tardi.

Lei però non pare pronto a godersi la pensione. Cosa ha in mente?

Raffaele Jannucci: Prima di tagliare il nastro dell’arrivo al traguardo dovrò percorrere l’ultimo tratto. In questo periodo mi sono allenato e non ho mai smesso di studiare e, pertanto, ho la chiara percezione dei meccanismi della comunicazione nei suoi motori tradizionali e in quelli del mondo digitale e del social. La mia decisione non nasce da spirito di rivalsa o con l’avventurismo di imbarcarmi per una destinazione ignota. Conosco i confini, sono consapevole delle difficoltà, sono responsabilmente cosciente di andare verso una meta nella quale troverò e raccoglierò non il mio passato ma quello che dovrà essere il mio immediato futuro. Per ora si tratta di un centro servizi.

Nella sede delle Nazioni Unite, il giovane Jannucci è il secondo da destra. Al centro il dottor Crespi del Corriere della Sera.

In bocca al lupo, dunque! Tornando alla sua esperienza precedente, non ha mai pensato di affiancare a Plein Air un’altra pubblicazione?

Raffaele Jannucci: Quando ero consulente editoriale, studiai questo aspetto e capii che la stampa tematica aveva bisogno di un punto di riferimento fondamentale. Portai l’esempio di Quattroruote. La monotematicità significa non solo specializzazione, ma anche capacità di approfondire continuamente la specializzazione. Gli editori che hanno pensato di spaziare con più riviste di attività disomogenee hanno disperso la potenza luminosa della lampadina in tante lucette. Io volevo avere un faro… un faro editoriale. Ma abbiamo scritto 3 libri per il Touring Club, un libro per un altro editore, io personalmente ho scritto 230 relazioni di ordine tecnico, di marketing del settore. La mia formazione nel marketing editoriale l’ho trasfusa qui. Ho capito che monotematicità significava plurisviluppo di idee e di marketing. Avrei potuto fare cose di ogni genere, ma ho preferito avere una sola moglie, piuttosto che un harem.

L’esperienza di Jannucci nella gestione del Club del Corriere dei Piccoli gli offre gli spunti per organizzare il Clud del PleinAir.

Qual è il ruolo di sua moglie nella sua vita professionale?

Raffaele Jannucci: Nella rivista è sempre rimasta nell’ombra occupandosi di editing. Non c’è pagina che non abbia messo in buon italiano, non c’è titolo che non sia stato vagliato e, se il caso, revisionato. Luciana non è la moglie di Jannucci, ma Jannucci è il marito di Luciana. Lei è schiva, non si mette mai sotto i riflettori. Siamo sposati felicemente da 55 anni, amiamo molto la cultura, abbiamo circa 3000 libri in casa. Prima di cena ascoltiamo dischi di musica classica in vinile e giochiamo a riconoscere compositori e brani.

Un successo di cui va particolarmente fiero?

Raffaele Jannucci: Aver ottenuto nel terzo anno di Plein Air 24000 abbonati. La gente ha capito cosa significava Plein Air. In edicola siamo arrivati a vendere anche 55000 copie. Ma 24000 abbonati li ottenni al terzo anno e questo mi incoraggiò a investire.

Durante la sua esperienza nel mondo delle pubbliche relazioni, Jannucci è con il famoso cantante lirico Nicola Rossi-Lemeni.

Lei ha sempre investito in pubblicità su testate nazionali e radio per promuovere la rivista Plein Air. In realtà stava promuovendo tutto il comparto. Qual è stata la risposta del settore a questo suo impegno?

Raffaele Jannucci: Al settore è più quello che ho dato di quello che ho ricevuto. L’ingegner Ghezzi, un imprenditore milanese illuminato, quando vendette la Elnagh, mi invitò a pranzo. Non al ristorante, ma alla mensa dell’azienda. Aveva una decina d’anni più di me e mi disse: lei per questo settore è sprecato. Quindi sono certo di aver dato più di quanto ho ricevuto. Una rivista che crea l’immagine del settore, che si accredita nelle fonti di informazione, che si accredita nelle fonti di formazione della domanda. Ho cercato di fare cultura, altrimenti non si fa informazione. Nel mio paese di 2000 abitanti, dove andiamo in estate, la cartolaia che vende i libri per la scuola ha messo anche una sezione di libri, ma ha detto che non li vende. I paesani non leggono i libri.

Intervista a Bari a Francesco Divella, presidente della fiera e co-titolare del famoso pastificio Divella.

Qual è la sua opinione per il fatto che le fiere sono state fatte anche quest’anno?

Raffaele Jannucci: La fiera ha una funzione quando c’è molto pubblico. Io apprezzo che abbiano fatto la fiera, ma avrà un ruolo dopo, se è stata calibrata per chi di questo veicolo non sapeva niente. Il direttore commerciale, l’addetto alla comunicazione, l’operatore che erano in fiera avrebbero dovuto spiegare questo mezzo da vacanza con un linguaggio comprensibile ai nuovi utenti. Ho seguito alcune interviste su Internet e il linguaggio era troppo tecnico e poco centrato sulle esigenze del potenziale utente. Non dovrei dirlo, avendo coniato la parola camper, ma il camperista non esiste. Esiste l’utilizzatore del camper, a cui piace lo sport o l’arte, la natura, il week end o il lungo viaggio. Questo settore ha fatto di tutto per rimanere ristretto. Questi 7000 veicoli, in Germania sono 80000 sia perché il Paese è più ricco sia perché hanno già deciso come vogliono utilizzare il veicolo. In Francia sono sorti i campeggi comunali perché il comune piccolo è al centro del territorio che è al centro della curiosità, del desiderio di scoperta. Chi vende i camper, prima di parlare del veicolo, dovrebbe chiedere: tu che ci vuoi fare? Una sorta di “prevendita” basata su quello che vuol fare l’acquirente, prima di scegliere il tipo di letto o di dinette. In certi casi deve saper dire: stai comprando un veicolo che non fa per te, lascia perdere.

Raffaele Jannucci con la figlia Gemma

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