Fanzerta n. 1

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La distanza e l’intreccio immagini e testo di Marino De Nisio E tu? Di cosa hai fame? testo di Vittoria Biasiucci, illustrazione di Lina Iannitti La crisi che incombe testo di Angelo Papale, illustrazione di Andrea Ciccarelli L’arte Relazionale testo di Chiara e Andrea Ciccarelli, illustrazioni di Andrea Ciccarelli Chiara testo di Maria Laezza, illustrazione di Carlo Latino Note a margine dell’estuario testo e immagini di Lina Iannitti Dialogo tra Nino e un narratore sopra i minimi sistemi del mondo testo di Pasquale Valentino, illustrazione di Marino De Nisio Infodemia testo di Vittoria Martinelli e Federica Sasso, illustrazione di Marino De Nisio Mascherina fai da te da un idea di Pasquale Valentino, illustrazione di Marino De nisio Contro l’eterno presente testo di Mario Biondi, illustrazioni di Francesco Santagata Pillole illustrazione di Francesco Santagata Quarantelle a cura di Federica De Felice Copertina a cura di Marino De Nisio e Francesco Santagata Quarta a cura di Lina Iannitti e Francesco Santagata Grafica e impaginazione Irma Zappoli

anzerta.matese@gmail.com a_nzerta facebook.com/anzerta


COS’E’ LA FANZERTA? «Il nome della nostra estrinsecazione prende ispirazione dalla più generica fanzine che indica un tipo preciso di rivista, solitamente a tiratura limitata ed autoprodotta, realizzata da appassionati del genere. Il nome origina dalla crasi tra fan(club) e (maga)zine. La caratteristica principale, che ci unisce e ci lega, è la passione che origina la produzione. Perché di fatto qui si parla di gente che si, più o meno potrebbe fare anche questo di mestiere ma che soprattutto vuole dedicare semplicemente il proprio tempo a fare cose che ci piacciono.» Nata nel 2019, la Fanzerta è la variopinta manifestazione espressiva dell’associazione A’Nzerta. Giuridicamente, è definita come una rivista indipendente e autoprodotta, cioè non soggetta ad altrui dominio. Allegoricamente, simboleggia una miriade di cose differenti: un foglio bianco, un salotto, una tela e alcune volte anche una silent disco. La Fanzerta permette di sperimentare, con penna o matita che sia, le varie declinazioni della scrittura e dell’illustrazione. La nostra rivista è distribuita sia in forma cartacea e sia in digitale così da abbattere le distanze fisiche inevitabilmente intrinseche nella natura locale del nostro attivismo sociale e gli amanti dell’arte amatoriale.


Questo numero speciale, nato in tempi speciali, nel pieno della quarantena, non ha la pretesa di inquadrare a 360 gradi il contesto assurdo che stiamo vivendo, ma nasce dall’esigenza di confrontare i nostri pensieri in un mondo in cui, in breve tempo, le distanze si sono per certi versi acuite, o per lo meno alterate e il rapporto quotidiano con la vita che prima conoscevamo è stato messo in discussione e non ci è parso più così scontato. Al momento in cui questo numero viene pubblicato la fase 1 è finita e ci ritroviamo in una nuova fase in cui c’è il desiderio di tornare alla “normalità”, anche se ci rendiamo conto che tutto è destinato ad essere, per forza di cose, diverso; dobbiamo convivere con il virus e ci portiamo ancora dietro gli effetti della quarantena, ci sentiamo infatti ancora sotto il giogo di quest’epidemia, con il timore che da un momento all’altro si possa tornare ad essere privati delle nostre libertà. Anche per questo vi è una comprensibile riluttanza a ripensare a quel periodo di costrizione imposto dal virus. Tuttavia abbiamo ritenuto importante lasciare memoria di ciò che è stato per noi il periodo compreso tra il 9 Marzo ed il 3 Maggio, che va sotto il nome di Lockdown. Probabilmente neanche ci rendiamo conto lucidamente di quanto le cose stiano cambiando e proprio per questo l’istinto umano è stato quello di voler lasciare una traccia delle nostre impressioni, chissà poi come ci stupiremo, se ci stupiremo, in futuro di come abbiamo vissuto e percepito uno dei momenti più significativi della storia contemporanea (già averne il sentore mentre accade è una cosa strana da metabolizzare), con la speranza in parte che questa faccenda del Covid-19 si cristallizzi presto nella memoria storica anziché essere ancora protagonista attiva nel presente.


D’altro canto lo scopo non è solo quello di narrare la nostra sfera emotiva ma di raccontare anche le nostre aspettative verso un mondo nuovo, diverso, il desiderio di un cambiamento sociale che in qualche modo possa almeno tentare di dare frutti positivi ai sacrifici che l’umanità intera ha sostenuto e che continua a compiere in questa seconda fase. In quest’ottica c’è un tentativo di essere immersi nel presente, nonostante ci appaiono tempi bui, di non voler arrendersi all’ impulso di aspettare che tutto questo passi e basta.

Insomma, viene da sé che in un momento storico in cui per forza di cose siamo portati così tanto a fare i conti con noi stessi e con il nostro ambiente, sorgono un’infinità di quesiti, come quelli che ci siamo posti, a cui forse non siamo neanche riusciti a dare una risposta, ma di certo in questo numero troverete narratori impiccioni, arte relazionale, colori, infodemia, le vostre quarantelle e tanto altro! Se ci siamo posti le domande giuste (semmai ce ne fossero) solo la storia ce lo dirà, ma intanto siamo pronti a ripartire invitandovi ad entrare in questo INTRECCIO di pensieri, di storie che inqualche modo ci ha tenuti attivi ed ha accorciato le distanze, in soldoni, ci ha fatto sentire più vicini, nonostante la quarantena. Buona Lettura.

immagini e testo di Marino De Nisio

Questo numero della Fanzerta ci fa pensare ad un caleidoscopio, in cui l’attenzione dei singoli individui si irradia e mette in luce gli oggetti più disparati che condiscono in misure diverse la vita di ognuno. La scintilla che ha dato il via al progetto è stata il porci delle domande, per citarne alcune:” Cosa stiamo imparando da quest’epidemia”? – “Cosa stiamo capendo di noi stessi”? – “Come sta cambiando il rapporto con gli spazi del quotidiano”? – “Che ruolo giocano nella quarantena il tedio e la noia”? “e la creatività”? Che mondo post-Covid immaginiamo possa esserci”?


sono le responsabilità che non è detto che un ragazzo di ventitré anni debba avere. Vivono dei sussidi che gli spettano. Purtroppo, però, sono in sei. E questo mese, non è detto mangi.

La volontà di narrare testimonianze mi avvicina alle tante e variegate storie che ognuno può e\o potrebbe vivere. Il consumo alimentare dell’ultimo periodo è stato investito dalla situazione emergenziale che noi tutti stiamo vivendo. Vi è stata la riscoperta di antichi sapori, soliti delle case delle nonne o delle antiche trattorie. Per molti, fare la pizza in casa è diventato il rituale del venerdì sera, ma anche un nuovo e divertente modo per riscoprire complicità e condivisione di uno spazio – quale quello familiare – reso sempre più fugace dalle frenesie del quotidiano. Vi è stato un arresto. Inevitabile, irrefrenabile. Se, inizialmente, la pressa ai supermercati si è manifestata con fare psicotico e angoscioso, si sta via via confluendo in sequenze di fila ordinata e distanziata. Hammed ha ventitré anni, è in Italia da quando ne aveva tre. Ha cinque fratelli, ed essendo l’ultimo fra loro, è lui ad occuparsi della madre allettata. Non ha terminato le scuole, era convinto che ci fosse altro a cui dare priorità. Alle 17.00 il citofono non suona più. L’appuntamento in piazza per giocare alla “tedesca” è stato rinviato. A quando? Non si sa. Se fino a ieri la sua routine era scandita da medicinali, un piatto caldo e la partita di calcetto con gli amici del quartiere, oggi lo troviamo sdraiato sul suo letto. È stanco e mostra una fronte accigliata che finge smorfie di falso sorriso. Vive una sensazione di spaesamento, anche se non è consapevole. E’ parte di un processo lento e latente che si struttura mediante domande e riflessioni alle cui non trova risposta. Lo chiama Ali, suo fratello. Pone un braccio sulle sopracciglia sempre più aggrottate. Ha trovato delle risposte ad alcune delle domande che si era posto in quei giorni. Peccato però che queste risposte non siano felici. A causa dell’emergenza sanitaria il trattamento immunoterapico della madre dovrà subire delle variazioni. Ali è stato licenziato; non serve più a nessuno un aiuto ai banchi del mercato rionale. Tutto è sospeso e lavorando in nero, garanzie non ne ha. Hammed non ha mai lavorato. Non sapeva cosa dire e non disse nulla. Erano da poco passate le 17.00 e se ieri, a quell’ora, aveva già segnato due goal, oggi si ritrova ad aver segnato un autogoal con quelle che

Renata non si è alzata dal letto. Vorrebbe, ma le sue gambe non rispondono. Sono le 5:00, ma la sua testa è ancora ancorata all’ultima videochiamata che nonna Elena le chiese di fare. L’ultima, per sempre. Non era sua nonna, ma lo era diventata da quando ero arrivata in reparto. Aveva settantanove anni, dei lineamenti dolci ed una ferma stretta di mano. Era stata intubata solo per le prime tre sere, ma stava rispondendo bene al “Rinimdosivir ”. Aveva sempre un aneddoto, anche se raccontato a fatica. Sapeva sarebbe stata la sua ultima videochiamata, un manto di compostezza l’aveva avvolta e invitata a chiudere i suoi occhi, subito dopo. Erano, ormai, passati tre giorni, ma per Renata era trascorsa una vita, tanto da non rendersi più conto di quanto queste emozioni che stava via via accumulando, che mai avrebbe pensato di provare sotto una veste bianca e una visiera protettiva, iniziavano a prendere il sopravvento sulla sua mente. C’era un unico mondo – inconscio – per fermare lo scorrere di immagini shock: mangiare. Tutto ciò che potesse avere forma, consistenza, odore placava il suo stato di stasi emotiva. L’allegeriva. Ciro non è rimasto a casa, anche se il Governo ha proclamato da giorni l’emergenza sanitaria. Ha con sé delle buste, ma non è al cassonetto che si reca, ma all’angolo di Via Arezzo. C’è un paniere teso dall’alto di un balcone, è diretto lì. Ha con sé: sei pacchi di pasta, tre passate di pomodoro, dei sottoli, cinque confezioni di farina, zucchero e caffè. Il latte lo prenderà a breve dalla Signora Angelina che, come ogni mattina da circa cinquant’anni, è nella sua bottega. Da due settimane, però, la signora Angelina ha guanti e mascherina. Fatica e arranca nelle spese di sanificazione del suo locale ed è stanca di attendere i suoi clienti senza un sorriso, nascosto, inevitabilmente, da quella stoffa verde che proteggendola,le nasconde i lineamenti del viso. Nonostante ciò, la Signora Angelina non si è mai arresa. Attende Ciro che come ogni mattina passerà in negozio per ritirare ciò che è stato donato dai diversi clienti dell’alimentari. Non è la pandemia che fermerà chi, come Ciro e la Signora Angelina, si occupa di coloro che alla fame non trovano rimedio. Lo Il “panaro sospeso”: un simbolo oggi, ma già da tempo diffuso, ove di fame si è sempre vissuto.

testo di Vittoria Biasiucci, illustrazione di Lina Iannitti

E tu? Di cosa hai fame?


La costante di questi racconti di vita è la seguente: la fame dilaga. Hammed ha fame di sapere, ma anche di vivere. Renata non ha piÚ fame, ma sete di sapere che la ricerca sta facendo il suo corso. Ciro e la signora Angelina avranno sempre fame di saziare chi non ha.

E tu? Tu di cosa hai fame?


LA CR I SI CHE I NCO M B E

Per combattere l’emergenza sanitaria attuale, viene emanato il primo decreto “Cura Italia”, il quale prevede misure economiche straordinarie per l’emergenza per un totale di 25 miliardi di euro, a sostegno delle famiglie e imprese. Ne sono un esempio l’indennizzo di 600 euro per i lavoratori autonomi e Partite IVA e sospensione pagamento mutui quando ricorrono alcune caratteristiche.1 L’8 Aprile 2020 è stato emanato un altro decreto, il Decreto Liquidità, che va ad implementare il Fondo per le PMI (Piccole e Medie Impre-

se), con fondi che arrivano a 400 miliardi di euro. Inoltre si prevede la sospensione dei versamenti di Iva, ritenute e contributi per i mesi di aprile e maggio.2 In Europea si sta discutendo la possibilità di far entrare in scena i famosi “Coronabond” che non sono nient’altro che obbligazioni garantite da tutti gli Stati d’Europa. Alcuni paesi (Germania, Austria, Olanda e Finlandia) sono contrari ai Coronabond perché non vogliono condividere i rischi riguardante i debiti passati con Stati come Italia, Spagna e Portogallo, considerati pericolosi dal punto di vista


nel vecchio continente, ma la decisione finale spetta al Consiglio Europeo.3 Nella giornata di giovedì 23 aprile si arriva ad un accordo tra i Paesi dell’UE che non comprende i Corona bond. Si inizia a parlare anche di Recovery Fund, che è un fondo con apporto di risorse dagli Stati membri che emette obbligazioni, chiamate Recovery bonds, la cui principale differenza dai Corona bond chiesti da Paesi come Italia e Spagna è che non si condividono i rischi e gli oneri dei debiti passati delle nazioni, ma solo quelli futuri.Il 26 aprile il Presidente del Consiglio Conte appare in videoconferenza nazionale per aggiornamenti riguardanti la famosa “Fase

1 - Per approfondimenti http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/decreto-adbe8a46-8b47-429d-ae4e-c8f81e1f16d4.html 2 - Per maggiori dettaglihttp://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/coronavirus-entra-vigore-decreto-imprese-dc47c743-ce00-465e-9db3-38c0a9d6d522.html 3 - Si rimanda al link https://www.theitaliantimes.it/economia/euro-bond-cos-e-come-funziona-commissione-europea_160420/ 4 - Per una completa lettura https://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/notizie/2041093-decreto-rilancio-le-principali-misure-per-le-imprese 5 - Per approfondire http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Ue-Recovery-Fund-oggi-vonder-Leyen-presenta-il-piano-per-la-ripresa-9ef5004b-24a3-447c-9ea0-106af2bc5dd2.html

2”, con l’anticipazione di un nuovo decreto nel mese di maggio. Il 19 maggio è entrato in vigore il Decreto Rilancio, nuovo stimolo per l’economia italiana. Tra le misure citiamo 6 miliardi di euro a fondo perduto per società con fatturato fino a 5 milioni che hanno subito un calo del fatturato del mese di aprile 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 del 33%; 12 miliardi per permettere agli enti pubblici di pagare i loro debiti commerciali con le imprese.4 Il 27 maggio, La Presidente della Commissione europea Ursula von derLeyen ha proposto un piano per l’attuazione del Recovery Funds da 750 miliardi di euro per la ripresa economica. Di questi all’Italia spetterebbero 172 miliardi, di cui 81,8 miliardi a fondo perduto e 90,9 miliardi in prestito.5

testo di Angelo Papale, illustrazione di Andrea Ciccarelli

finanziario. Sono convinti che il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), già esistente, sia il mezzo più adatto per fronteggiare la crisi, ma il suo utilizzo impone delle condizionalità, cioè un piano per riuscire a rimborsare questo prestito (esempi: aumento tasse, tagli alla spesa pubblica). Il Governo Conte è fortemente contrario a questa possibilità, ritenendo inopportuno l’utilizzo del MES, proprio a causa delle condizionalità previste. Nella giornata del 9 aprile nell’Eurogruppo è stato trovato un accordo sul MES a condizionalità alleggerite, cioè utilizzo senza condizionalità per le spese da sostenere per fronteggiare l’emergenza Covid-19, sul SURE, per combattere la crescente disoccupazione


No, calmi, questo non vuole essere un trattato sull’Arte Relazionale. Prendetelo più come uno spunto di riflessione su una corrente artistica ai più sconosciuta, che a mio avviso ha acquistato nuova forza e forma dall’intreccio dalle relazioni ai tempi del Covid. Prima però, lasciatemi rispondere a un paio di domande. La prima è banale: che cos’è l’Arte Relazionale? La seconda, che ne scaturisce in modo lecito e spontaneo, è: che senso ha parlare di Arte Relazionale? L’Arte non è sempre stata relazionale? Sì, certo. A suo modo. C’è di vero che l’Arte rappresenta da sempre un fattore di partecipazione sociale e fonte di dialogo tra un artista ed il suo committente, tra l’opera e lo spettatore. L’apporto del tutto nuovo dell’Arte Relazionale sta nell’aver fatto delle relazioni umane che si instaurano nella realizzazione dell’opera il focus dell’opera d’arte stessa. Le opere diventano aperte ed interattive ed hanno come scopo primario lo stare insieme, l’incontro tra spettatore e artista e la creazione collettiva, da cui lo spettatore trae spunti di riflessione.

Il thailandese Rirkrit Tiravanija ne è forse il rappresentante più importante. Egli definisce le sue installazioni “piattaforme per condividere”: cucine, stanze, mobilio e altre cose del vivere comune che la sua immaginazione trasforma in arte dove dedicarsi alla preparazione di piatti, al gioco, alla visione di un film. Più che di arte si potrebbe parlare di un pretesto per stare insieme, per incontrare amici, altri artisti e curatori. L’elemento chiave è difatti la sfera delle relazioni umane osservata in un contesto sociale, non in uno spazio privato. Raramente qualche artista ha superato così liberamente il confine tra arte e vita.

un passo indietro

testo di Chiara e Andrea Ciccarelli, illustrazioni di Andrea Ciccarelli

L’ARTE RELAZIONALE

Facendo un passo indietro nella storia dell’arte, è possibile individuare diverse correnti preesistenti che, come affluenti di un corso d’acqua maggiore, hanno creato le premesse per lo sviluppo dell’Estetica Relazionale. Ne è un esempio l’arte provocatoria dadaista, che radunava musicisti, artisti, poeti e studiosi per esercitare insieme la propria arte davanti ad un pubblico improvvisato. La reazione e la partecipazione attiva dello spettatore era necessaria alla riuscita dell’opera. Come affermava Duchamp: “sono gli spettatori che fanno il dipinto”. Un altro esempio è il Gruppo T, nato a Milano nel 1959, che realizzava esperimenti percettivi in ambienti interattivi che richiedevano l’intervento esterno di un fruitore, proponendo un nuovo rapporto tra opera ed osservatore.


net art

a ‘nzerta In realtà, un’immagine molto calzante per rappresentare l’Arte Relazionale viene proprio da questa associazione culturale. Più che ad una ragnatela, infatti, la complessa rete di interazioni su cui giocano gli artisti relazionali assomiglia ad una ‘nzerta. Non è il frutto di una mente unica che tesse la sua tela e che intrappola l’osservatore nella sua prospettiva di artista-ragno. È piuttosto l’intreccio di entità differenti, che seppur legate con cura e dedizione dalla mano dell’artista-contadino, mantengono la propria identità ed unicità. La ‘nzerta è l’immagine dell’importanza delle relazioni, dell’agire comune e dell’interagire. Gli stessi incontri possono essere letti come una forma di Arte Relazionale in quanto hanno lo scopo di favorire le relazioni tra individui, creare dialogo e discussione e realizzare nuovi luoghi di socialità.

L’avvento di Internet ha fornito all’Arte Relazionale un terreno estremamente fertile su cui svilupparsi. L’opera d’arte si libera dalle barriere che la ingabbiavano in luoghi ad essa dedicata quali gallerie e musei. Viene a crearsi una vera e propria comunità di scambio virtuale con innumerevoli interlocutori e destinatari messi in contatto attraverso uno schermo. I confini non sono più geografici. L’Arte riesce per la prima volta ad abolire anche il limite della distanza. L’artista assume il ruolo di creatore: egli infatti mette a disposizione l’utilizzo di piattaforme di condivisione in cui inserirsi è facile, basta accettare l’invito.

l’arte relazionale ai tempi del covid Forse la vera novità dell’Arte Relazionale la scopriamo solo oggi. Parliamo di un’Arte che generalmente si dà per scontata perché l’importanza delle stesse relazioni è sottovalutata. Abbiamo sempre vissuto nella convinzione che la possibilità di uscire ed essere cittadini del mondo sia un qualcosa che ci è dovuto, un diritto che non può esserci negato. Tuttavia, la minaccia del Coronavirus ci ha messi di fronte ad una sorta di “esilio relazionale”. Da qui la nascita di tantissime iniziative per contrastare da casa la “paura di restare soli”. Se ieri si parlava di Performance, oggi si parla di Flash Mob:aggregazioni, appuntamenti a distanza organizzati via Internet che uniscono attraverso la forza legante della musica. Televisione, radio, giornali, blog e social sono diventati veicoli, occasioni d’incontro e di contatto essenziali a infondere fiducia all’intera popolazione. Tutte iniziative con un fine comune: ripristinare quella rete di comunicazioni, scambi relazionali e legami che sorregge il nostro paese; promuovere spirito di solidarietà e nuova energia, superando le frontiere nazionali.

In questa nuova ottica l’Arte Relazionale si veste di un ruolo del tutto nuovo: è in prima linea nella lotta, e cura e unisce ciò che il virus ha inesorabilmente cercato di dividere.



Apre un libro e come in una poesia di Pavese, Chiara è in un campo di grano con il sole che le attraversa il corpo e il pulviscolo nello stomaco. Mette su un dvd e come in un tableau vivant si muove sinuosatra le stanze britanniche degli anni ’50, scoprendo il filo nascosto di Raynold Woodstock. Chiara passa sulla luna con l’elettronica di Bjork e scende sulla terra cantando il pop italiano a squarciagola. In queste ore Chiara non sente il terreno sotto i piedi e nemmeno l’angoscia di una dimensione inesistente. Chiara è viva e i suoi occhi sono spalancati. Ma finite quelle ore Chiara è di ritorno nella stanza senza sole, con una finestra chiusa e l’odore della primavera fuori. Chiara senza quelle ore d’aria si sentirebbe un’ergastolana chiusa fra quattro mura grigie che pesano sul petto. Ma questo è il giorno 43 della reclusione e Chiara desidera toccare terreno caldo e sfiorare la carne di Lui. Nessuna dimensione può essere paragonata ai corpi aggrovigliati nell’amore. Chiara è una di quelle che la lucidità nella passione non esiste.

testo di Maria Laezza, illustrazione di Carlo Latino

Chiara È un giorno grigio oggi. Il sole è da un po’ che non riscalda la pelle di Chiara, lui entra con prepotenza nella camera e il suo pulviscolo rende magica la sua camera. Lei è affascinata da quegli acari che le invadono lo spazio, si è sempre chiesta se ingoiandoli potesse avere dentro il calore che cercava e trovava solo con le Sue braccia attorno i fianchi. Così, ogni giorno, ogni volta che il pulviscolo volasse nella stanza Chiara ci ballava dentro. Ora Chiara è sdraiata nel letto di una stanza uggiosa dove non entra nessun raggio solare, ha appena aperto gli occhi e sono umidi, le palpebre sbattono violentemente sulle pupille ma nessuna lacrima scende lungo il viso pallido. Chiara sente il peso della stanza sulle spalle e non riesce a muovere arto; come quando sei bloccato in un sogno e vorresti fuggire ma il corpo non segue il tuo desiderio, c’è una forza esterna che ti tiene bloccato sul terreno ma il terreno non esiste in nessun sogno. Ti è mai capitato di sentire il terreno sotto i piedi? Sei sospeso in una dimensione che non esiste e l’unico modo per uscire è svegliarti. Prima del pericolo. O prima di una gioia desiderata. L’angoscia di quello che avrebbe desiderato e di quello che le faceva paura restava dentro ma era viva. Ora Chiara è sveglia. Non è un sogno quello. Si alza dal letto e sentiva sotto i piedi nudi il gelido pavimento, sicuramente il sole non attraversava quella stanza da un po’ di giorni. Chiara fa un giro tra quelle quattro mura, c’è una libreria, dei dvd, un computer. Allora accenna un sorriso nel viso.


Era mattina, in uno di quei giorni in cui il dì porta già la novità dell’estate e la sera ancora trascina i freddi spifferi dell’inverno. Nino si fissava allo specchio, diversi erano i giorni che procedevano zoppicanti dall’inizio della quarantena (nemmeno si ricordava da quanto tempo era chiuso dentro, o forse non ci voleva pensare, soprattutto la mattina). Il tempo era ormai sospeso, un costante presente, un tempo pieno di vuotezza.

testo di Pasquale Valentino, illustrazione di Marino De Nisio

Dialogo tra Nino ed un narratore sopra i minimi sistemi del mondo


Erano passati quaranta giorni dall’inizio, adesso Nino ci pensava: quaranta giorni come quelli patiti da Cristo nel deserto. È strano, pensò: il tempo sembra volato, ma allo stesso tempo sembra passata un’eternità. Talvolta sentiva che gli stava stretta la sua già di per sé angusta casa, si sentiva come dentro un racconto di Kafka, i muri della sua stanza sembravano chiuderglisi addosso. Che poi quarantena non significa quaranta giorni? Fra poco entreremo nella cinquantena, poi forse nella sessantena. Gli sembrò una buona idea quella di radersi, avrebbe trascorso qualche minuto in cui non avrebbe pensato alla sua clausura forzata: fa bene alla vita di ogni uomo togliersi sporcizia dal viso, guardarsi meglio, avere il coraggio di mostrare la faccia a sé stessi e agli altri. Mentre la schiuma colorava di bianco il viso, i suoi neuroni cominciavano ad eccitarsi ed i pensieri a navigare la sua scatola cranica. Quello che stiamo vivendo è una frattura? Sara ancora uguale il mondo quando usciremo? Spero di no, visto che quello di prima non dico che mi fa schifo, ma si potrebbe fare meglio. È un mondo intelligente che però non si applica. Sarebbe bello se ne nascesse uno nuovo alla fine di tutta ‘sta storia. La lametta accarezzava delicatamente il viso di Nino, fendeva con sicurezza i peli anche se graffiava leggermente un volto che aveva guardato troppi pochi anni ancora, non del tutto avvezzo alla rasatura. Farsi la barba lo faceva sentire più maturo, più adulto: gli piaceva pensare che quell’atto era per lui un gesto di responsabilità che ogni uomo doveva rispettare. Questa cosa l’aveva imparata da suo nonno che, a suo dire, era il massimo esempio di virilità. Potrebbe essere una rottura. Potrebbe esserci un cambiamento quando torneremo ad una nuova normalità. Sarà strano sì, ma qualcosa dovrà cambiare per forza: molti dei più grandi cambiamenti dell’umanità sono arrivati dopo un evento epocale. Frattanto, anche le nuvole cominciavano a tingere il cielo di una schiuma, simile a quella che Nino aveva sulle guance, ma lui non ci faceva caso, era troppo concentrato a non tagliarsi e a scoprire al contempo se al ritorno alla normalità il mondo sarà diverso. Tutti gli indizi di cui disponeva portavano a orientare la risposta verso un “sì”: dopo la seconda guerra mondiale ad esempio l’umanità si è rimboccata le maniche e, dopo un’ovvia fatica iniziale, ci sono stati degli anni di grande fermento e livore (i ’60). Dopo la grande guerra e insieme la “spagnola” ci sono stati gli anni ’20 delle avanguardie. Ma anche nei primi del novecento, quando Freud ha scoperto l’inconscio, la gente è uscita fuori di testa. Beh, effettivamente sarà stato traumatico scoprire che esiste un “campo oscuro”, di cui non sai niente e che non puoi controllare, il tutto nella tua stessa testa! Nonostante questo, l’umanità si è goduta la belle époque. C’è però da tenere presente che questi periodi di grande fermento sono spesso preceduti da una grande crisi socio-economica: la sua giovane mente, ovviamente trascinata dall’entusiasmo caratteristico dell’età, gli impediva di vedere gli aspetti negativi della cosa.

Ma quando mai! Chi ti dice che non ci ho pensato alla crisi? La crisi… questa parola accompagna la mia vita da sempre, non ricordo un momento in cui non se ne sentiva parlare… noi siamo la generazione della crisi! Mi sono davvero stufato di tutto questo! Ho sempre avuto uno strano tipo di senso di colpa, che mi è stato abilmente inculcato, riguardo i problemi economici del mio paese, come se questi danni li avessi fatti io: un peccato originale! Facile così! Altri hanno fatto dei danni incredibili, con becero menefreghismo e noi oltre a doverci mettere una pezza, ci dobbiamo anche sentire quelle stupide frasi fatte, vuote: “i giovani sono strafottenti!”, “il lavoro c’è ma manca la voglia, la disponibilità”, “i giovani di oggi sono svogliati”. Ci avete rotto le palle con questa narrazione! Siete vecchi, avete fatto danni che noi dovremo risolvere, allora lasciateci lavorare, lasciate che ce la vediamo noi e non scocciateci! Piano Nino, tutto questo scaldarsi potrebbe sembrare del tutto esagerato ad un eventuale lettore, sarebbe infatti preferibile ragionare con calma. Di sicuro il discorso non è campato in aria, le argomentazioni sono più che valide: ci sarebbe però da approfondire la questione iniziale, che è un po’ il centro di questa specie di racconto. Hai ragione, scusa, è un periodo difficile per tutti ed è facile perdere le staffe. La cosa però mi sta veramente a cuore. Mi piacerebbe avere la possibilità di fare, anche sbagliando. Ho bisogno di sentire responsabilità, di sentire che sto dando il mio contributo al mondo. Parlavamo degli eventi che hanno cambiato il corso dell’umanità: riguardo ciò c’è ancora da dire. Pensa a quando per esempio Galileo ha perfezionato il telescopio ed ha dimostrato quello che Copernico aveva già intuito, da un giorno all’altro cambiano le regole: la terra non è più al centro dell’universo e quindi neanche l’umanità ne è il fulcro. Nessun progetto divino intorno all’uomo. Un disastro! Nonostante questo trauma, l’umanità (anche se con i suoi tempi) ha accettato il cambiamento ed alla fine ha fatto un passo avanti nel cammino evolutivo. Ecco forse è questo che dovreste imparare voi uomini, Nino. Che questo periodo possa essere un monito copernicano, una possibilità di mettersi in discussione. Un virus insegna che l’umanità non è invincibile nonostante la spinta positivistica degli anni passati. Il nuovo mondo sarà così, il nuovo uomo è ben consapevole della poliedricità della realtà. La chiave forse sta nell’agire, signor narratore. La mia generazione comprende perfettamente la multiforme pluralità delle cose e probabilmente questo ci penalizza: siamo incastrati in questo limbo di inerzia forzata dall’attrito della complessità strutturale. Ecco un’altra cosa che dovrei imparare da mio nonno, lui e la sua generazione erano molto più istintivi: si tiravano su le maniche e facevano, senza farsi troppe domande. Quindi sì, dobbiamo agire, anche sbagliando bisogna prendersi la responsabilità e cambiare. Chissà se Nino terrà conto di quanto detto finora. Intanto si sciacqua la faccia; fuori il vento soffia e magari, oltre alle nuvole che minacciano pioggia, porterà anche qualcosa di nuovo, qualcosa di diverso.


Illustrazioni nate da una collaborazione tra A’ Nzerta e Paradigma. Paradigma nasce dalla mente e dalla penna di due amici fumettisti che hanno deciso di mettersi in gioco con il compito piÚ difficile per un artista: raccontare dell'io umano - e quindi anche un poco di sÊ- attraverso quello che fanno meglio ovvero il fumetto, la nona arte.


È così che nasce il progetto Ego, un viaggio attraverso i meandri della coscienza umana e sociale, fra contraddizioni, simboli e paradigmi del nostro tempo e della nostra attualità. Paradigma è anche una grande famiglia dove ognuno può sentirsi libero di esprimere la propria creatività con le più disparate forme di arte, mossi dalla volontà di collaborare e integrarsi nel tessuto culturale locale in un'ottica di crescita e sviluppo.


INFO - DEMIA

storia di un Satiro e di un procione fosforescente Corre l’anno 2020, i mesi sono quelli di transizione tra il gelo e l’aria tiepida e profumata primaverile, la gente aspetta di provare la sgradevole sensazione di sentirsi infilare un bastoncino nelle cavità nasali per capire se l’invisibile nostro amico SARS-CoV-2 se ne va o meno a spasso nel loro organismo. Come se la situazione non fosse già abbastanza surreale, compare alla vista uno strano figuro, un essere che finora si pensava mitologico, un uomo che un uomo completo non è, il corpo per metà caprino: un Satiro.

Ma perché il nostro protagonista esce allo scoperto proprio ora? Si sa che la sua specie è rinomata per essere dedita alla spensieratezza, al buon vino e alla lussuria e lui, dal suo nascondiglio, faceva onore a quella fama rapendo qualche fanciulla qua e là, insieme alle bottiglie dalla spesa di ignari passanti. Rimasto a secco a causa della scarsità di persone per strada degli ultimi mesi, ha abbandonato il suo nascondiglio per scoprire che è in corso una pandemia, non solo intesa come il circolare di un invisibile parassita, ma anche di una troppo vasta diffusione di notizie che rende difficile distinguere il vero dal falso: un’infodemia.


Per quanto diverso da un essere umano come noi li conosciamo, nemmeno lui ne è immune e, mentre si avvicina alle abitazioni cercando di compiere i suoi furti, sente la gente dire che il virus è stato creato in un laboratorio di Wuhan, che è in grado di comunicare tramite onde elettromagnetiche, che il 5G indebolisce le difese immunitarie e che esistono i procioni verdi fosforescenti. Di queste affermazioni solo l’ultima sembra assurda alla maggior parte delle persone, nonostante il Premio Nobel per la Chimica Kary Mullis, inventore della PCR che tanto ci sta aiutando nella ricerca dei positivi, abbia davvero affermato di aver ricevuto una visita dal suddetto procione. Eppure il Satiro, che è ritenuto essere un mito all’unanimità, ci crede come crede alla stessa sua assurda esistenza, perché non dovrebbe? In realtà, tutte le notizie menzionate hanno qualcosa in comune, nessuna di esse è basata su prove concrete e sono state screditate dalla comunità scientifica, eppure ampiamente condivise perché diffuse da fonti considerate autorevoli. Ma non era anche Mullis una fonte autorevole? Se ci fa sorridere pensare che si creda che un virus possa “morire” a una temperatura di 27°C (ricordiamoci che la nostra temperatura interna mediamente è di 37°C), ci potrebbe dar pensiero capire come da queste notizie possano nascere comportamenti razzisti o sconsiderati verso la propria salute. Il Satiro ascolta e sente dire come l’alcol possa guarire dalla malattia, che anche l’aglio possa essere usato come cura. In secoli di vita mitologica non aveva mai assistito a niente di simile: una rete di comunicazione così capillare e veloce da trasmettere in scala mondiale le più evidenti menzogne, senza che nessuno se ne renda conto, ma soprattutto senza che si provi paura per le cose strane. Per un attimo, la sua mente accarezza l’idea di uscire allo scoperto e gridare al mondo di esistere, per non sentirsi più solo. Se la gente è abituata ad ingoiare e digerire le teorie più bizzarre, non avrebbe avuto problemi con un esserino cornuto!


testo di Vittoria Martinelli e Federica Sasso, illustrazione di Marino De Nisio

Ma ecco che da una finestra al piano terra, una voce proferisce «Ultime notizie! Le indagini in corso sembrano confermare i sospetti della comunità scientifica: il Covid-19 proviene dai pipistrelli o dai serpenti! Mutando, il virus avrebbe infettato l’uomo. Il cosiddetto “salto di specie”...». Non riesce ad ascoltare di più perché un’ombra si muove oltre le tende e deve correre via; ha solo il tempo sufficiente per guardare il suo riflesso nei vetri e capire che no, non avrebbe mai potuto farsi scoprire perché, con quei presupposti, uno “mezzo uomo e mezzo bestia” poteva solo diventare il capro espiatorio di tutta quella triste faccenda. Il gioco di parole nella sua testa lo diverte e suona curioso. Nel frattempo, trova gli appellativi peggiori da rivolgere al vecchio Dioniso che, dopo averlo mutato in una forma ambigua, se ne era altamente infischiato delle conseguenze. Non lo sopporta proprio! Il Satiro vuole continuare ad essere immaginato come un donnaiolo salterino, sempre brillo e allegro. Pensa al destino dei poveri topi che, dal Medioevo, sopportano la vergogna di aver appestato l’Europa intera. Si chiede se fossero stati vittime di una epocale fake news. Del resto, anche i loro cugini pipistrelli erano diventati gli imputati del 21esimo secolo: un’onta che si tramanda tra parenti! Per non parlare dei serpenti. Lì doveva esserci lo zampino del dio farabutto: per qualche assurdo motivo, durante le sue feste nell’antica Grecia, se la prendeva sempre con quegli animali innocenti e trovava il modo per rifilargli il benservito. Forse aveva sempre aspettato il momento giusto per scatenare contro di loro l’odio di tutti e aveva colto l’occasione per farli accusare del misfatto peggiore degli ultimi 100 anni. Infine, il Satiro decide di tornarsene al suo nascondiglio, lontano dagli sguardi indiscreti e in pace. Ha imparato una lezione che riguarda gli uomini: spesso hanno la presunzione di sapere tutto e di essere onnipotenti, ma quando si trovano di fronte ai loro limiti, cercano una colpa per le loro disgrazie e si convincono che stia fuori, da qualche altra parte. Non conta quali assurdità debbano raccontare a se stessi, o al mondo intero.


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ERGONOMICA ECONOMICA

*** Attenzione: potrebbe causare effetti indesiderati anche gravi

da un idea di Pasquale Valentino, illustrazione di Marino De nisio

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CONTRO L’ETERNO PRESENTE

Fu attorno al 1870 che, a seguito dell’emersione nelle tesi di Marx del carattere conflittuale e instabile del modo di produzione capitalistico, gli economisti Jevons, Menger e Walras elaborarono una nuova teoria economica con lo scopo evidente di contrastare l’espandersi delle teorie marxiane e quindi di fornire una persuasiva rappresentazione armonica del sistema economico: nasceva una nuova visione, detta teoria neoclassica o marginalista.


Senza dubbio, va riconosciuto a Boeri l’aver dato luce a tutto un mondo che solitamente vive nell’ombra, stiamo parlando di 5800 paesi sotto i 5000 abitanti, di cui 2300 in stato di abbandono, tra l’altro con argomentazioni valide: il superamento in atto del digital divide attraverso una spinta diffusione delle nuove tecnologie, una migliore qualità della vita garantita da una bassa densità abitativa e dalla salubrità ambientale. In buona sostanza, Boeri riprende il motto di Ernst Friedrich Schumacher aggiornandolo in “piccolo è bello, ma anche sano”: nelle città il benessere ambientale e gli spazi sono risorse ormai scarse e, riprendendo le tesi degli economisti neoclassici, queste ora si possono considerare risorse ad elevato valore, chi le possiede è, di fatto, ricco. Le aree marginalizzate e i paesi in via di spopolamento hanno una ricchezza a disposizione: spazi e buona qualità dell’aria. Il futuro allora appartiene a queste aree? Forse. Il messaggio lanciato è affascinante e in alcuni punti d’arrivo senz’altro veritiero, ma a questa tesi che prende la mossa dal paradigma neoclassico fondato sulla scarsità e su una spontanea migliore allocazione delle risorse determinata dagli eventi del presente, sembra mancare una visione più ampia della composizione sociale, economica e geografica dell’Italia, tralasciando differenze ma soprattutto diseguaglianze. Questo disegno si basa, in effetti, su una speranza: i nuovi cittadini dei paesi, già ceto urbano benestante, genereranno investimenti e produrranno ricchezza. È evidente che questa bella speranza, anche realizzabile, figlia tardiva di un minaccioso presente, possa andare via via affievolendosi senza una pianificazione pubblica statale, d’impulso per quella locale, che definisca risorse e linee d’intervento per rendere vivibili i paesi, innanzitutto, per chi già li vive. La visione romantica del paesino che si ripopola dovrebbe incontrarsi con una pianificazione pubblica che seriamente renda omogenei pur tutto il territorio nazionali condizioni dignitose di esistenza: confidare tutto nella filantropia e nella buona volontà dei pochi, potrebbe trasformarsi solo in una continua rincorsa alle esigenze voraci di questo eterno presente.

testo di Mario e Francesco Biondi, illustrazioni di Francesco Santagata

Secondo i neoclassici il problema economico fondamentale di ogni individuo e di ogni società è quello di impiegare al meglio i mezzi scarsi di cui dispone al fine di accrescere più che può il proprio benessere. Senza addentrarci troppo in questioni tecniche, possiamo tranquillamente dire, sulla base della semplice esperienza quotidiana di ognuno di noi, che questa visione, oggi, è penetrata ampiamente nella società in cui viviamo ed è per noi scontato attribuire una maggiore valore ad una risorsa scarsa. Una tipica risorsa scarsa è il nostro tempo, ad esempio: stiamo sempre lì, che cerchiamo continuamente il giusto equilibrio tra quantità di lavoro, consumo di merci e tempo libero. Questo è proprio un tipico “caso studio” dell’analisi marginalista, risolto tramite il calcolo marginale con l’obiettivo finale della massimizzazione dell’utilità. Quindi un’analisi della società per classi non serve più? Per raggiungere il nostro benessere individuale basta calcolare la nostra utilità marginale rispetto ad una risorsa scarsa? L’individuo basta che rincorra le risorse disponibili per garantirsi benessere? Anche in questi tempi, in cui il dibattito è dominato dal covid-19, interrogarci su queste questioni diventa importante per orientare i nostri pensieri con lucidità di fronte a questo eterno presente di buone intenzioni. Tra le migliori intenzioni, sicuramente ha suscitato grande interesse il monito che l’architetto Stefano Boeri (l’archistar Boeri, noto al grande pubblico per “il bosco verticale”: nuovo simbolo di una Milano sostenibile post Expo) ha lanciato agli abitanti delle città: “via dalle città, nei vecchi borghi c’è il nostro futuro”. La tesi proposta è chiara e condivisibile: chi ha una seconda casa in campagna si può trasferire lì e lavorare a distanza, anche perché ormai è stato sdoganato lo smart-working; le città sono troppo densamente abitate e sono inquinate: “la fragilità polmonare di chi vive in aree ad alta densità di particolato è facilmente assimilabile alla facilità del contagio (covid n.d.r)”.




note a margine dell’estuario


La luce è gialla. I quadri di Hopper sono pieni di luce. I quadri di Hopper mi piacevano fin quando non hanno iniziato ad invadere il mio telefono, la mia mente, le mie conversazioni. I meme dei boomers si annunciano nello stesso modo delle valanghe. Inizia prima quel sassolino che ti cade ai piedi, un piccolo rumore a cui non dai peso. Conditi con slogan semplici, qualche volta affascinanti nella loro chiarezza e falsa immediatezza. Poi il tuo telefono impazzisce e prende vita, scosso da notifiche di gruppi whatsapp che credevi aver silenziato per 99 anni che invece riemergono dalle tenebre. Oggi abbiamo solo dieci ricondivisioni del post su Hopper, si sente la stanchezza che serpeggia anche nell'etere. I delfini nella baia di Sorrento ci sembrano già visti e De Luca che sceriffeggia inizia a farci un po' paura, però non sia mai che dobbiamo avviare una schermaglia politica via messaggio! Ci vorrebbe un contatore degli inoltri, qui su whatsapp. Scriverei con maggiore trasporto a chi mi invia la nota solo come novecentesimo destinatario. D’altronde essere superstiziosi è da ignoranti ma non esserlo porta male quindi ti invio lo stesso il rituale consigliato da Quel Medico Della Cina Di Cui Nessuno Ti Aveva Mai Parlato Prima.

Le videochiamate hanno il colore rosso del rec, si va in onda. Si susseguono veloci, ormai abbiamo agende piene, le lezioni online, il videoaperitivo, la confessione con l’amica del cuore, l’incontro con l’amato - o l’amante, o tutti e due -, i parenti che si inquadrano i piedi. Se il volto umano è da sempre considerato come uno dei luoghi privilegiati della manifestazione emotiva, è un po’ difficile riuscire a comprendere sempre le sensazioni dei miei interlocutori. Dovrei prima di tutto smetterla di guardare me stessa nello schermino piccolo. La qualità audio non sempre dalla nostra crea neologismi degni di essere annoverati tra gli scioglilingua più divertenti. Falling words che mi cadono addosso. Ma poi tra quei milioni di pixel non si capisce tanto bene se la zia è arrabbiata o contenta della chiamata. Mi conforto leggendo che è teoricamente impossibile associare in modo univoco certe risposte espressive a specifici stati d’animo: emozioni anche molto diverse tra loro, come la rabbia o la gioia, hanno alla base risposte fisiologiche molto simili, se non identiche. Tra gli schermi divento regista e divinità, scegliendo autarchicamente quale emozione attribuire. Posso mutare una persona e addirittura farla sparire dal mio mondo virtuale. Zeus, sapresti fare meglio di così?

Sull’estuario è difficile individuare con esattezza dove termini il fiume e dove inizi il mare, se quel puntino blu sia più salato o più dolce. Un luogo di forze maestose e fragori luminosi. A guardarsi dall’esterno l’occhio saetta veloce cercando di catturare più particolari possibili ma è difficile farlo mentre è tutto in corsa e l’immagine è ancora troppo veloce per essere davvero compresa. Sono lì, dove le acque si agitano e l’unica cosa ad essere immobile è il tuo corpo, con i colori che assumono la forma di una macchia caleidoscopica e pulsante. Sono di fronte alla Natura che infuria, di fronte a qualcosa che non riesco ancora a comprendere. Sull’estuario l’unica cosa che riesco a fare, l’unica che sento davvero di fare, è urlare. Urlo a squarciagola, un urlo denso, profondo, un urlo che svuota i polmoni e riempie i timpani. Perchè di fronte a quelle acque così confuse ho bisogno di dare un nome all’indistinto. Ma prima di poter nominare il mondo, in questa congiuntura così nuova e straordinaria, terrificante ed accecante, ho bisogno prima di tutto di ristabilire il contatto. Con me stessa. Sono.

testo e immagini di Lina Iannitti

Blu è il colore della mascherina che indosso per uscire - giuro che l’ho fatto solo una volta, non mandatemi la finanza a casa vi prego. Parlare con le persone in fila è stato divertente fino a quando non è arrivato un tizio che ha iniziato a raccontare che i tamponi arrivano dalla Russia e che sono già tutti falsati. Sfortuna che che poi è arrivato il mio turno, volevo chiedergli di quale telefilm stesse parlando. Sono entrata nella camera iperbarica che hanno creato alle Poste e la dissonanza mi ha colpito come un fulmine - attraversare una stanza che fino a quattro settimane prima era strapiena di gente - vuota. La complessità del mantenere le distanze, riprogrammare il cervello a rispettare linee ed imposizioni che non riesco a vedere. Devo allenarmi.

Il bianco è il colore dei corsi online a cui mi sono iscritta, uno nessuno e centomila. Tra informatica, belle arti e sociologia applicata all’ultima tribù di scimmie della Papuasia mi sembra di essere sempre di più una esponente di quella cultura tattile di cui parlava Benjamin. Non ho necessità di andare al Louvre, accarezzo i capelli della Gioconda dal mio schermo e senza quella moltitudine di turisti a spintonare sto decisamente meglio. Non ho ancora deciso se questo mi fa rivalutare o meno l’opera, forse devo semplicemente smetterla di pensare e concentrarmi sullo schermo.


illustrazione di Francesco Santagata


Le Quarantelle rappresentano il diario corale della community della ‘Nzerta, aperto a tutti e pubblicato in anonimo; una raccolta di pensieri, sensazioni, visioni che questo periodo di isolamento insaspettato e strano ci ha suscitato. Abbiamo sentito il bisogno di raccogliere e documentare le impressioni su questo che probabilmente sarĂ un evento storico fondamentale del nostro tempo e lasciare cosĂŹ la nostra testimonianza.


no nell’aria.

o 20 ni che saltan o lm sa , 9.3.20 ri e si n ante di pe L’aria è crepit

immobilizza dal fiume e si

È portentoso quello che succede. E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. Forse ci sono doni. Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo. C’è un molto forte richiamo della specie ora e come specie adesso deve pensarsi ognuno. Un comune destino ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene. O tutti quanti o nessuno. (Mariangela Gualtieri)

ole c o in co raggio p mpa gnia er restar in gu es d i se s erra tessi oli con i (Mat teo P riflessi. irro)

12.3.2

020

0

02 15.3.2

Chopin The 21 Nocturnes

14.3.2020

16.3.2020

Respiravamo i paesaggi lunari dei romanzi distopici. Vivevamo le pagine dei racconti e le pellicole dei film, il confine tra sogno e realtà ridotto ad un velo. Dopotutto, c’è mai stato un confine? Vestivamo i panni del tramonto ingenui e disinvolti, con lo sguardo d’acciaio e le mani di carta. Eppure, scrivevamo al passato come giunti dal futuro. Il sacro era ancora nell’uomo: Speranza, figlia di un sapere che non sa; l’ultimo tra i vizi eterni e, al tempo stesso, la prima delle virtù.

rosso campari che riflette schermi che avvicinano persone e pensieri. fuori è altro, fuori è diverso, fuori è dentro che esce, entra quello che rimane. Musica costante mentre giro in casa. Fuori le margherite sono fiorite.

Guardo fuori dalla finestra: c’ guerra di silenzi.

10.3.2020

Ci vu


20

01.11: esco dalla doccia. Mi avvicino al balcone di casa. È frontiera e ponte per tutti da qualche settimana. Oltre il vetro l’asfalto quieto e consumato, le ombre aliene dei lampioni, stelle artificiali. Il cielo è venuto giù la notte scorsa come nelle foreste pluviali, ora riposa vestito di un indaco che si perde facilmente. L’eco di qualche cane randagio vaga nell’aria, ma suona ottuso e viene interrotto da un rumore più vicino. La camionetta della disinfezione squarcia il velo del vuoto, una nuvola densa e frizzante la segue. Lava la strada, ma la strada è pulita. Immacolata come uno stadio prima della partita, come un piatto prima degli spaghetti al sugo, come un altare prima del sacrificio, come un rogo prima di essere acceso. Mi accorgo di un fatto incontrovertibile: la strada è pulita perchè lo sporco è stato rinchiuso. Noi uomini ce lo portiamo dentro e ci laviamo fuori tutti i giorni per dimenticarcene. Lo sporco ci possiede da quando abbiamo iniziato contare il tempo e a credere di poterlo anticipare. Ci possiede da quando abbiamo iniziato a rubare credendo di possedere. L’epidemia è la doccia della natura, perché il vero tempo si compia. La morte è il suo lascito nella storia del destino, che per l’ultima volta prova ad insegnare a chi ha sempre avuto di meglio da fare.

2.4.20

20

3.4.20

Finalmente lo splendore del sole si fa densa corrente per le mie sinapsi tremolanti.

3.4.2020

Sono vivo, forse prima non ne ero a conoscenza, forse dopo continuerò ad ignorare. Scoprii il potere della primavera dopo un lungo e freddo inverno del corpo e quindi dell’anima. Tutto divenne energia veloce, il ricordo del dolore si fece potenza. Scoprii il potere dell’amore dopo aver camminato in un deserto di ologrammi. La luce che tingeva l’atmosfera di immagini rapide e fallaci d’improvviso si riflesse contro la sua pelle e i suoi occhi ambrati. Un distillato di suoi baci guarì le ferite del viaggio. Una passeggiata nei suoi sogni spalancò i gradi dell’universo. Non sempre la tempesta affligge il cielo con bagliori, lacrime e frastuono. Anzi quasi sempre si traveste di qualche stato d’animo e avanza silenziosa. Ma la sua pioggia non va perduta, irrora la terra e la carne per germogli di fiori e di tenerezza. È probabile che tutto meriti di essere atteso e incontrato, come un ventiseiesimo giorno di quarantena

Le signorine di capodichino fanno l’amore con i marocchini. Le vasciaiole di Casavatore fanno l’amore con Flavio briatore

4.4.2020




Ricordo di un giorno speciale, nell’aprile 2020.

Me l’ero immaginata tutta brindisi, abbracci, amici e chiasso. Invece è stata silenziosa, domestica e personale. La luce led di tanti schermi connessi tra loro, i volti di pixel e le voci digitali sono quello che ricorderò di questa esperienza inedita e surreale, ma ugualmente felice. Anche se il traguardo è ormai raggiunto, è come se aspettassi ancora una qualche completezza: forse è la pienezza della festa che sono sicura ci sarà. Dopotutto, la soddisfazione si moltiplica solo quando è condivisa.

6.4.2020

Ero a casa tua quando è scoppiata la quarantena: sono rimasta. Era inverno e indossavo un cappotto caldo e spesso, me ne andrò con la pelle che profuma di estate e le t-shirt larghe.

9.4.2020

Le stagioni cambiano dentro e fuori.

fuori dal tempo si può scoprire il piacere 11.4.2020

Silvia Romano è stata liberata. Ma quando saranno liberi, alcuni italiani, dalla loro ignoranza? Se non ci mette troppo, l’aspetterò tutta la vita. (cit) #quarantelle

15.4.2020


e della banalitĂ


15.04.20 - (00.28) Ci sono sere in cui è tutto molto confuso, altre sere in cui mettermi a letto è un sollievo, sapere che le giornate passano e finiscono è un sollievo, sapere che almeno a letto fai quello che devi, quello che serve, che non puoi privarti del sonno anche e soprattutto in situazioni del genere è un sollievo. Perché poi te lo immagini se si restasse svegli anche di notte? Un incubo, una quarantena che dura il doppio del tempo, perché ormai io le ore a dormire non le conto più.


az i one 15 . Og 4.202 gi c 0 onc ent r

202

16.4.

E tutto sommato non pesa. È dura si, mancano le persone a cui si è legati, manca una birra al bar il sabato sera cantando canzoni stonate, manca la pizza, il big mac, il kebab a mezzanotte; mancano le serate noiose dove esci trascinato dagli amici perchè non avevi voglia, manca respirare,

un ricordo, apprezzerai quel mondo che adesso vedi solo dalla finestra, lo rispetterai e lo amerai, amerai il profumo della libertà, perchè niente sarà più bello che ritornare alla normalità.

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17.4.2020

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20.4.2020

16.4.2020

manca la libertà. E tutto sommato non pesa perchè lo sai, sei consapevole che quando sarà tutto

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> Windows 93 : hug + hack= infinito

Oggi ho guardato la vicina di balcone che esce fuori a scotoliare il mesale ogni giorno alle due meno venti. Pensavo fosse bruttina, ma in tempi di guerra me la chiaverei pure con quella vestaglia del 1300 a.C. e quei baffi che papa' castoro levati! Non sono l'unico che non ne puo' piu' di Federica. Quarantena del cazzo in tut i i sensi! 0



0

202

Ma poi Kim Jong-un che voleva fa con quella robetta del nucleare?

. 22.4

26.4.2020 Tre sono le dimensioni temporali che mi pare di vivere. C’è un tempo per i pensieri, da sempre dilatato, che ora progressivamente esplode senza suono. C’è un tempo fisico, quello della finestra da aprire ogni mattina, delle lezioni da seguire, dei lavori da consegnare, della cena da preparare. C’è un tempo fermo fuori casa, che non ha a che fare col concomitante tempo fisico delle altre persone, ma con la nostra banale interazione. Uscire di casa mi riporta agli inizi di marzo, agli ultimi giorni in cui incontravo ragazze e ragazzi come me. Il terzo tempo è cristallizzato da prima della primavera. Che la costrizione dello spazio mi sensibilizzi al tempo? Ho ben tre tempi da cui scegliere e ho ben tre tempi che mi sfuggono in egual misura.

tinua le con a i d n er ia mo o motivo p m e d n te: d a li Una p sere un va enilo a men Ti es a non re il tuo ex. sola. a t t lio da g e conta m are di puoi f

28.4.2

30.4.2020

020

Che significa essere meteoropatici in questa eterna domenica? 29.4.2020

30 aprile: Mi sento come se le mie ossessioni, del tutto trascurabili e ignorabili nel corso della vita normale, si fossero ingigantite e moltiplicate stando chius* in casa tutto il tempo. Questo non mi fa sentire bene a fine giornata, essere preda delle mie micromanie è davvero più forte di me e mi stanca molto. Non vedo l’ora che tutto questo finisca.



1.5.2020 Mi manca la musica alta che comprime e dilata l’aria. Mi mancano gli amici. Mi mancano le idee. Mi manca la leggerezza. Ed è in queste condizioni psicologiche che un improvviso Sean Paul di inizio millennio, proposto da Spotify nel cuore della notte, addirittura quasi ti commuove, inaspettatamente. Non so bene come sentirmi a riguardo.

sefaccio non mi la doccia la mattina veramente poi non concludo nulla 2.5.2020

Non avere affetti stabili da

stesso me verso quello

andare a trovare è perché mancare il a primo affetto

4.5.2020

tutti ci sentiamo almeno un po’ congiunti

FASE FASE FASE22 2

5.5.2020

.2

5 4.

14.5.2020

0 02

ESCO O NON ESCO?



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