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Apicoltura logica e razionale Michele Campero

Tutti gli Apicoltori si sentono un po’ anche inventori e sono comunque portati a introdurre, nei propri alveari e nei loro laboratori, accorgimenti pratici che rappresentano spesso vere e proprie invenzioni o geniali semplificazioni. Sono pochi però coloro che, con il proprio pensiero e con il proprio operato, hanno generato un processo di innovazione tale da modificare la modalità di conduzione dell’alveare. Michele Campero è uno di quei pochi che è riuscito a trasferire la sua logica dell’apicoltura in tantissime direzioni: basti dire che il suo metodo - improntato all’uso del cosiddetto “telaino trappola” è praticato ovunque nel mondo dove, alle più diverse latitudini, è stato preso ad esempio di una biotecnica efficace nella lotta alla varroa e, più recentemente, anche come pratica biorispettosa del benessere delle api e quindi di una forma di allevamento ad elevata valenza etica. La trilogia che qui completiamo, riproducendo l’intera opera “Apicoltura Logica e Razionale”, vuole essere un tributo all’ideatore, spesso neanche ricordato dai suoi contemporanei, che ha dedicato una vita a migliorare le condizioni di vita e di lavoro delle api e quindi anche di chi le alleva senza la pretesa di sfruttarle ad ogni costo. Michele Campero, da vero innovatore e divulgatore quale è stato, ci lascia questa preziosa eredità frutto di una vita trascorsa in apiario. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di poterlo annoverare tra i più assidui collaboratori di Apitalia non potevamo che dare vita nuova ad un insegnamento utile a generazioni di nuovi apicoltori: quelli che oggi, in questo modo di fare apicoltura, ancora ci si riconoscono distinguendosi da quanti pensano che l’ape sia un “animale a perdere”.

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TELAIO INDICATORE E LOTTA BIOMECCANICA ALLA VARROA

Nella Con una semplice modifica, il normale telaio indicatore (T.I.) diventa un valido strumento di lotta contro il terribile acaro. L’efficacia di questo telaio consiste nel dare all’apicoltore la possibilità di abbattere una cospicua quantità di Varroa tramite l’asportazione della covata maschile. Moltissimi ricercatori nel campo della patologia apistica confermano che Varroa destructor. si sviluppa preferibilmente nelle rose di covata maschile ed inoltre aggiungono che, per tutto il periodo in cui c’è covata maschile ricettiva nell’alveare, le Varroe risparmiano quasi totalmente quella femminile. L’asportazione della covata maschile, con l’intento di abbattere le Varroe ivi intrappolate, non è cosa nuova: molti apicoltori l’hanno provata, ma con scarso successo. Ed è più che logico, perché il sistema da loro usato è completamente irrazionale: salassa esageratamente le colonie d’api e non tiene affatto conto dell’estrema importanza di avere continuamente nell’alveare covata maschile nello stadio ricettivo, cioè in quello stadio prossimo all’opercolatura, cercato dalla Varroa. Il loro sistema consiste nell’introdurre nell’alveare un telaio semivuoto: solo con una striscia di foglio cereo fissata sotto il portafavo. Le api costruiscono nel vuoto del telaio un favo naturale, tutto da fuchi, e la regina lo riempie ben presto di covata. Dopo 3 settimane circa il favo è totalmente o quasi opercolato e l’apicoltore lo estrae e lo distrugge; al suo posto ne introduce un altro, nuovamente semivuoto. Tra il momento in cui il primo favo-trappola viene tolto e quello in cui la nuova covata maschile sul secondo diventa ricettiva, trascorrono, come minimo, 8-10 giorni: in questo lasso di tempo le Varroe feconde non hanno più, o quasi, altra covata maschile a disposizione, per cui ripiegano su quella femminile, o su quell’altra maschile, incontrollabile, sparsa qua e la sugli altri favi, facendo così crescere l’infestazione nell’alveare. Al momento attuale, quasi tutti gli apicoltori, tramite corsi di apicoltura o letture specifiche, sono a conoscenza del ciclo di sviluppo di Varroa, per cui è superfluo rispiegarlo quasi interamente. Ritengo comunque utile ricordare, poiché in questo tipo di lotta è di estrema importanza, che le Varroa atte alla deposizione entrano nelle cellette della covata quando queste ultime sono prossime all’opercolatura: nella covata femminile tra il 7° ed il 9° giorno ed in quella maschile tra l’8° ed il 10° giorno del ciclo di sviluppo dell’ape (Foto 1). Perciò il settore fuchi, per essere continuamente attivo nei riguardi di Varroa, deve offrire ininterrottamente covata nell’8°-10° giorno di sviluppo. Col sistema di conduzione dell’alveare col “telaio indicatore semplice”, di cui fin qui si è parlato, non si ha alcuna possibilità di attuare una lotta biomeccanica contro Varroa, poiché lo stadio della covata maschile voluto dall’acaro e la sua continuità non si ottengono mai, per il semplice fatto che il settore fuchi viene ritagliato totalmente ogni 7 giorni e non permette alle larve di raggiungere l’età ricettiva. Perciò esso rimane sì un ottimo e sensibile strumento, ma solo per quel che riguarda la conduzione degli alveari; nella lotta biomeccanica esso non ha alcuna proprietà di intrappolare Varroa. Si è reso dunque necessario, all’inizio delle mie ricerche nel settore della lotta biomeccanica, apportare una modifica al T.I., affinché diventasse anche trappola, oltre che rimanere indicatore.

Foto 1 - Larve di 5a età ormai prossime all’opercolamento che risultano attrattive nei rigu98’’’q12ardi di Varroa destructor.

Tre anni di sperimentazione sono stati necessari per mettere a punto una meccanica che convalidasse le pluri-funzioni del “telaio indicatore trappola” (T.I.T.); funzioni che sono quelle di: • dare l’indicazione necessaria per poter collaborare con l’alveare; • dare la possibilità all’apicoltore di asportare periodicamente una porzione di favo maschile parassitata; • offrire in continuazione alla Varroa rose di covata maschile nello stadio recettivo; • rendere elastica la frequenza delle visite, tanto da poter seguire assiduamente lo sviluppo della colonia nei diversi periodi della stagione apistica; • rendere facili le operazioni da eseguire e poco salassanti nei riguardi dell’alveare. Il primo tentativo per ottenere un adattamento del T.I. alle nuove esigenze fu quello di introdurre contemporaneamente due T.I. nel medesimo alveare, attendere 9 giorni e quindi iniziare a ritagliare, alternativamente ogni 9 giorni, la covata maschile di un T.I. e leggere l’indicazione dell’altro. Questo metodo, in effetti, dava un esito abbastanza positivo, poiché quando su di un T.I. la covata maschile era tutta o quasi percolata e la si poteva asportare, sull’altro T.I. era già presente la covata recettiva. In pratica, ritagliavo ogni volta il favo che compiva il 18° giorno. C’era però il fatto che occorreva operare con due T.I. ed era un po’ complesso. Per semplificare il lavoro provai ad usare un solo T.I., raddoppiai però l’ampiezza della parte vuota nel telaio; lasciai solamente nella superiore una striscia di favo o di foglio cereo, alto cm. 6,5 (Foto 2). Introduzione del T.I.T. nell’alveare ritagliai la metà del favo spontaneo che presentava la covata più giovane, ciò al fine di ottenere precocemente, nell’altra metà del favo, una covata recettiva. In seguito ritagliai la covata opercolata, e logicamente lessi le indicazioni sull’altra metà. Per rendere più distinte le due metà del T.I.T., applicai una traversa verticale al centro del telaio (Foto 3). Si era nel periodo che va da fine marzo ad inizio maggio e tutto sembrava funzionare per il meglio, ad eccezione delle visite che sembravano troppo distanziate. Giuse poi la stagione di sciamatura, che nella mia zona inizia col mese di maggio e termina nella prima metà di giugno; in questo periodo, le colonie raggiungono lo sviluppo massimo e necessitano visite ravvicinate, al fine di evitare congestionamenti e “febbri sciamatorie”. Il T.I.T. richiedeva però il taglio solamente ogni 9 giorni (se accorciavo i tempi rischiavo di non ottenere abbastanza covata recettiva), per cui dovevo effettuare sempre una visita intermedia, non per ritagliare il favo trappola, ma per leggere l’indicatore e comportarmi di conseguenza, in pratica gli alveari dovevano subire troppe visite, una ogni 4 giorni e mezzo.

Foto 2 - Telaio indicatore trappola con una sola grande finestra in cui le api hanno già costruito un favo a cellette maschili. Foto 3 - Telaio indicatore trappola a 2 settori divisi mediante un listello verticale.

Mi accorsi, allora, che questo sistema non era sufficientemente funzionale: era troppo rigido. Occorreva trovare un qualcosa di più elastico, adattabile sia all’indicatore che alla trappola, e che nello stesso tempo permettesse di abbreviare o di allungare il periodo tra una visita e l’altra, secondo le esigenze del momento. Dopo lunghe riflessioni e parecchi tentativi approdai al T.I.T. dalle 3 finestre, ossia ad un telaio diviso verticalmente in 3 settori (Foto 4). Ogni settore, o finestra, corrisponde ad un terzo della luce del telaio ed è uguale, in quanto grandezza, alla finestra del T.I. semplice. Non è più necessaria la striscia di favi o di foglio cereo nella parte superiore, perciò il telaio è meno difficile da preparare. La divisione dei settori si può ottenere tramite l’applicazione di 2 listelli di legno, spessi 10 mm circa, oppure, di 2 lamine di alluminio; queste occupano meno spazio e sono di più facile applicazione. Quest’ultima versione del T.I.T. mi ha finalmente permesso di ottenere la massima funzionalità del metodo di cui mi ero messo alla ricerca. Il T.I.T. a 3 settori, oltre che essere un ottimo indicatore ed una semplice ed efficace trappola, offre anche una mirabile elasticità di adattamento ai diversi periodi della stazione apistica ed alle differenti altitudini e latitudini. La sua elasticità dipende dal fatto che i 24 giorni del ciclo di sviluppo della covata da fuchi possono essere divisi in 3 periodi, con o senza margine di sicurezza. In altre parole, si può variare l’intervallo di tempo che intercorre tra una visita e l’altra, servendosi di 4 frequenze diverse: ogni 8 giorni, ogni 7 giorni, ogni 6 e ogni 5 giorni, senza per questo diminuire l’efficacia delle 5 funzioni del T.I.T.: indicazione, ricezione, intrappolamento, adattabilità e facilità. Visitando, per esempio, ad intervalli di 8 giorni si riscontra, ogni volta, la medesima situazione cioè: un settore col favo di 8 giorni che funge da indicatore; un settore col favo di 16 giorni che serve da recettore; un settore col favo di 24 giorni che funge da trappola. Si ha il medesimo risultato anche quando si visita ogni 7 giorni, ogni 6 e ogni 5 giorni (Tabella 5). L’intervallo di 5 giorni rappresenta la frequenza massima contenuta nella funzionalità; se si scende a 4 giorni si rischia di non avere più la continuità della covata maschile nello stadio recettivo. Le visite ogni 8 giorni non presentano, in teoria, alcun margine di sicurezza, poiché dopo 24 giorni i fuchi sfarfallano; in realtà, invece, si verifica spessissime volte un margine di uno o più giorni; ciò è determinato dal momento della deposizione da parte della regina in quel setto-

Foto 4 - Telaino indicatore trappola a 3 settori separati mediante 2 listelli verticali.

Tabella 5 - Età dei settori e margini di sicurezza in rapporto alle frequenze di visita utilizzabili con l’impegno del telaio indicatore trappola a tre settori.

INTERVALLI VISITA | GG ETÀ INDICATORE | GG ETÀ RECETTORE | GG ETÀ TRAPPOLA | GG MARGINE SICUREZZA | GG

8 8 16 24 0

7 7 14 21 3

6 6 12 18 6

5 5 10 15 9

re: più la deposizione ritarda, più il margine di sicurezza si allunga. Anche negli altri casi, con visite ogni 7, 6 e 5 giorni, può variare il margine di sicurezza, sempre in seguito al ritardo della deposizione nel T.I.T. Più si intensifica la frequenza delle visite però, più la probabilità del ritardo diminuisce, ed è naturale, perché quando si ritiene utile riavvicinare le visite, vuol dire che lo sviluppo della colonia è esplosivo e difficilmente si verifica il ritardo della deposizione nel T.I.T. Comunque, se durante la visita prestabilita, si notasse che la covata del settore recettivo non ha ancora raggiunto lo stadio desiderato da Varroa, è bene rinviare l’operazione di ritaglio del favo trappola, poiché quest’ultimo, oltre alla covata opercolata, dispone ancora di larve recettive, capaci di continuare l’intrappolamento. Dopo il ritaglio del favo trappola ogni settore passa alla funzione successiva: l’indicatore diventa recettore, il recettore diventa trappola e la trappola diventa indicatore. Questo scambio di funzioni continua fin tanto che la colonia alleva fuchi.

QUANDO INTRODURRE IL T.I.T. NELL’ALVEARE

Il T.I.T., dovendo essere completamente costruito a celle da fuchi dalle api ed avendo come fine l’intrappolamento della Varroa e l’indicazione dello stato in cui si trova l’alveare, deve essere inserito, anche se solo con cera vecchia, non appena l’ambiente esterno stimola la famiglia ad allevare fuchi e a costruire favi; in tal modo si ottiene, nel T.I.T., la concentrazione della covata maschile fin dall’inizio. Riferendoci al nord Italia e ad altitudini inferiori a 500 m s.l.m., può andare bene, per l’inserimento del T.I.T., la seconda metà di marzo, sempre che l’andamento stagionale sia favorevole. La posizione appropriata del T.I.T. nell’alveare è al centro della covata: tale e quale a quella del telaio indicatore semplice.

LA PRIMA VISITA ED IL PRIMO RITAGLIO All’inizio della stagione apistica lo sviluppo della colonia va a rilento, le api costruiscono nel T.I.T. molto lentamente e le uova appaiono solo dopo alcuni giorni, per cui la prima visita si può benissimo effettuare dopo 10-12 giorni dall’inserimento del T.I.T. Questa visita non si fa con la ferma intenzione di voler ritagliare il favo di uno dei 3 settori, bensì per verificare se lo stadio della covata è già ricettivo, ossia nell’8°-10° giorno. Se esso non lo è ancora, si fa un calcolo approssimativo per sapere di quanti

Foto 5 - Impiego del T.I.T.3 nella lotta a Varroa destructor. A sinistra. Situazione al 10° giorno dell’introduzione del T.I.T.3 nell’alveare: le api hanno costruito contemporaneamente i 3 favetti; se la covata è recettiva, viene ritagliato il favetto più piccolo. A destra. Situazione al 18° giorno: le api hanno costruito il favetto di sinistra, che ora funge da indicatore; gli altri due sono ancora in parte recettivi e in parte trappola.

Foto 6 - Impiego del T.I.T.3 nella lotta a Varroa destructor. A sinistra. Situazione al 18° giorno: è stato effettuato il secondo ritaglio, asportando il settore che ha maggior covata opercolata. A destra. Situazione al 26° giorno: i tre favetti sono ora costruiti scalarmente; il favetto cebtrale è indicatore, quello di sinistra recettivo, quello di destra funge da trappola e viene ritagliato.

giorni occorre rinviare la visita. Se invece la covata è già nello stadio giusto, si ritaglia uno dei 3 favi: in questo caso quello più piccolo o con la covata più giovane. Alla prossima visita, che si farà dopo altri 7-8 giorni si avrà l’indicatore del settore svuotato durante la prima visita; gli altri 2 settori, nel frattempo, saranno diventati trappola e parzialmente ancora recettivi. Si svuota, allora il settore che presenta la maggior quantità di covata opercolata. Da questo momento in poi, ad ogni visita si ritaglia sempre e solo il settore con la covata opercolata, ossia il settore trappola.

COMPORTAMENTO DELLA REGINA

Durante l’uso del telaio indicatore trappola a 3 settori (T.I.T.3) la regina ha un comportamento alquanto curioso. Le rose di covata che essa depone in questi settori non hanno contorno circolare o ellittico come nei normali favi, ma hanno forma di cuore o, più precisamente, di triangolo capovolto, ossia con il vertice verso il basso. Inoltre, quando essa incomincia a deporre in un settore, non riempie il favetto in una sola volta, ma a più riprese e, spesso, ad intervalli di 1-2 giorni. Ad ogni ripresa essa depone le uova lungo i 2 lati inferiori del triangolo di covata già esistente (Foto 5 sinistra). Per occupare con covata tutto un settore, la regina interviene normalmente 4-5 volte e impiega 5-6 giorni. AI fini della lotta biomeccanica contro la Varroa, il comportamento appena descritto è sorprendentemente positivo poiché, proprio in virtù di questa deposizione scalare, la covata di ogni settore risulta recettiva per parecchi giorni consecutivi e garantisce un intrappolamento continuo del parassita.

IMPIEGO DELL’ELASTICO DI SICUREZZA

Spesse volte, al momento del taglio del favotrappola, può avvenire che, nel maneggiare il telaio, si possano incrinare o anche rompere i delicati favetti del T.I.T.3, i quali non sono ancora sufficientemente ancorati ai lati. Per evitare che ciò succeda, occorre appendere, per un attimo, il T.I.T.3 ad un cavalletto reggi-favo e tendere un elastico attorno alla parte inferiore del telaio (Foto 5 destra). In questo modo, si previene ogni eventuale cedimento dei favi durante la fase di capovolgimento e di ritaglio. È bene che l’elastico non sia di colore verde, altrimenti si rischia di perderlo nell’erba (analoga osservazione vale anche per altri piccoli attrezzi di lavoro). Per eseguire il taglio, risulta comodo capovolgere il T.I.T.3 e appoggiarlo sul nido, liberare dalle api il settore-trappola e ritagliarlo completamente, riportare il T.I.T.3 nella posizione

normale ed infine togliergli l’elastico prima di rimetterlo nel nido. È necessario che il settore trappola risulti completamente vuoto dopo il taglio.

ROTAZIONE DEL T.I.T.3 DI 180°

Quando le condizioni atmosferiche ed ambientali all’inizio della stagione sono sfavorevoli, le colonie, specialmente quelle più piccole, stentano ad avviare lo sviluppo “B” (cioè lo sviluppo del secondo anno) ed è pertanto frequente la costruzione di un settore a celle da operaia, senza che venga però occupato immediatamente da covata. Di norma è il settore posteriore ad essere interessato. Alla prima visita occorre svuotare completamente tale settore e rimettere nell’alveare il T.I.T.3, ruotandolo però di 180°. In questo modo, il settore vuoto verrà a trovarsi nell’area in cui le api costruiscono più facilmente le celle da fuchi, facilitando senza intoppi e ritardi, l’avviamento del ciclo normale.

INTERRUZIONE DEL CICLO DEL T.I.T.3

Dal punto di vista pratico, è opportuno segnalare che vi è incompatibilità tra la tecnica del T.I.T.3 e il periodo di grande raccolto. Si tratta di un rapporto critico, poiché da un lato ci sono le funzioni e le scadenze del T.I.T.3 da rispettare, dall’altro, vi è intensa importazione di nettare che causa l’intasamento del nido, rendendo difficile le visite e i ritagli. La soluzione a questo problema si trova analizzando ciò che succede all’interno dell’alveare durante il forte afflusso nettarifero. In questo periodo si verifica quasi sempre un blocco della covata, blocco che interessa, logicamente, anche il T.I.T.3; diminuendo o addirittura cessando la deposizione, diminuisce automaticamente anche la funzionalità del T.I.T.3; a questo punto, data la difficoltà di intervento causata dal miele fresco, viene quasi spontaneo trascurare il nido, T.I.T.3 compreso. Ciò sarebbe negativo, perché si permetterebbe a gran parte della covata parassitata del T.I.T.3 di sfarfallare, favorendo così l’aumento dell’infestazione. Il problema può essere risolto interrompendo, all’inizio di ogni raccolto, il ciclo del T.I.T.3 e riprendendolo non appena il consistente flusso nettarifero sia terminato. Si consiglia perciò di togliere prontamente il T.I.T.3 dall’alveare, avvicinare i favi e mettere un diaframma contro una parete. In seguito, con tutta calma, si può ritagliare completamente il T.I.T.3 e riporlo in magazzino pronto per essere reintrodotto nell’alveare subito dopo il raccolto. Per avere un’alternativa alla soluzione sopra esposta, è stata sperimentata una interessante e positiva variante; invece di togliere il T.I.T.3 dall’alveare, si ritaglia tutta la covata esistente nei suoi 3 settori (a meno che non si ritenga

Foto 7 - Il T.I.T.3 modificato. Foto 8 - Il T.I.T.3 con i due pannelli inseriti, pronto per essere introdotto nell’alveare.

utile conservarne una rosa per ottenere i fuchi necessari alla fecondazione) e lo si sposta contro una parete. Le api lo ricostruiscono e lo riempiono di miele. Nel frattempo, si prepara un nuovo T.I.T.3 e, appena il raccolto è terminato, si estrae il primo e si inserisce il secondo. Nell’ambiente in cui sono state fatte le prove, l’intenso flusso nettarifero è di norma quello della Robinia pseudoacacia L. Esso dura 2-3 settimane e determina un’interruzione del ciclo del T.I.T.3 di pari durata. Terminato questo raccolto, gli alveari vengono trasportati nei castagneti o in alta montagna. Nello stesso periodo, riprende nuovamente l’espansione della covata ed occorre reinserire il T.I.T.3 al centro del nido. È l’apicoltore che deve decidere se rimetterlo primo o dopo lo spostamento, secondo le sue possibilità ed esigenze di conduzione e di lotta contro la Varroa.

TERMINE DEL CICLO

In collina e in pianura, nelle regioni dell’Italia settentrionale, l’allevamento dei fuchi cessa normalmente in giugno; in montagna, invece, continua fino ad agosto; ciò permette al T.I.T.3 di esplicare le sue funzioni per altri 2 mesi circa. Sia in pianura che in montagna, quando le regine non depongono più le uova maschili, occorre spostare il T.I.T.3 contro una parete dell’arnia e toglierlo poi al momento dell’invernamento. Anche in questo caso esiste un’alternativa ed è quella di lasciare il T.I.T.3 per tutto l’inverno al centro del nido. In questo modo si può iniziare, in primavera, il ciclo del T.I.T.3 con l’asportazione della primissima covata di fuchi. Questo metodo è però ostacolato dalla frequente presenza di miele nel settore posteriore del T.I.T.3.

REGINE DELL’ANNATA E COVATA MASCHILE

Le regine, nate a bassa quota nel periodo primaverile, possono, con l’uso del T.I.T.3, dare covata maschile già nel primo anno di vita. Occorre però, a metà giugno, trasferire le colonie oltre i 1.000 metri di altitudine e fare in modo che siano molto popolose. Questo comportamento fa ritenere che esse, essendo nate presto (ad esempio in aprile), vivano in pianura la loro prima stagione, cioè buona parte dello sviluppo “A” (sviluppo del primo anno), e, quando a metà giugno vengono portate in montagna, si comportino come se si trattasse di una seconda primavera, la quale ha per esse già un po’ dell’atmosfera dello sviluppo “B”. Infatti, trovando il T.I.T.3 al centro della covata, depongono prematuramente uova maschili. Questo fatto consente di iniziare la lotta biomeccanica contro la Varroa già durante il primo anno di vita delle regine.

DUPLICE UTILITÀ DEI FUCHI

In natura, i fuchi servono quasi esclusivamente per la fecondazione delle regine; nella lotta biomeccanica, essi servono anche come esca per la Varroa. Se si eliminasse con continuità tutta la covata maschile, non avverrebbe più la fecondazione delle regine: come al solito, tutto ciò che è unilaterale causa prima o poi un problema. Per ottenere l’abbattimento delle Varroe e la fecondazione delle regine, occorre dunque scegliere una via di mezzo, quella del compromesso. Questa scelta non deve essere fatta immediatamente, perché fin tanto che l’asportazione totale della covata maschile verrà effettuata in uno o in pochi apiari di una determinata zona, non sussisteranno grossi problemi: i fuchi degli altri apiari garantiranno la fecondazione in tutto il circondario. Invece, se il metodo del T.I.T.3 venisse praticato in tutti gli alveari di una vasta zona, i fuchi si ridurrebbero ad un numero troppo esiguo, proveniente, per lo più dalle sempre più rare colonie villiche. Le conseguenze sono facili da immaginare: regine fucaiole e degenerazione delle famiglie. Se ciò avvenisse sarebbe un fatto oltremodo grave, non solo per le api e gli apicoltori, ma anche per l’ambiente. Ogni allevatore di api che adotta il metodo del T.I.T.3 dovrà permettere, col tempo, a una ben dosata quantità di fuchi non solo di raggiungere

Foto 9 - Particolare del fissaggio superiore dei pannelli. Foto 10 - Particolare del fissaggio inferiore dei pannelli.

lo stadio di adulto, ma dovrà anche attuare la loro selezione. Se i fuchi saranno ottenuti affidandosi al caso, si rischierà di favorire la varroasi, poiché la covata potrebbe essere altamente infestata. Sarà allora necessario programmare un allevamento di fuchi derivante da covata scarsamente infestata: quella derivante dal primo ritaglio del favo-trappola sarà sicuramente da escludere, poiché molto parassitata. Il programma dovrà anche prevedere la scolarità dell’allevamento, essendo utile disporre di fuchi per un periodo di alcuni mesi. Il piano di lavoro potrebbe essere organizzato nel modo seguente: durante il primo ritaglio del settore-trappola verrà individuato un certo numero di colonie idonee all’allevamento dei fuchi, le quali dovranno essere sane, mansuete, produttive e presentare celle da fuchi palesemente grandi. Indicativamente verranno scelte 15 famiglie su 50 e saranno suddivise in 3 gruppi di 5. Al momento del secondo ritaglio del favotrappola, verrà lasciata in ogni colonia del primo gruppo, una piccola rosa di covata maschile opercolata (5x5 cm), a cui si permetterà lo sfarfallamento. Nel secondo gruppo, la rosa di covata verrà conservata a partire dal quarto ritaglio del favo trappola. La stessa cosa verrà fatta nel terzo gruppo durante il sesto ritaglio. Con l’ottavo ritaglio si ricomincerà dal primo gruppo e così via. L’esperienza ed il tempo dimostreranno se questo metodo di allevare e selezionare i fuchi sarà effettivamente adeguato.

T.I.T. OPPURE T.I.?

Il telaio indicatore trappola è stato ideato e sperimentato ai fini di poter attuare la lotta biomeccanica e, contemporaneamente, la conduzione degli alveari con il metodo del telaio indicatore semplice. Chi intendesse però praticare solamente la lotta biomeccanica senza seguire il sistema del telaio indicatore, deve semplicemente trascurare la lettura e l’interpretazione del settore indicatore. Egli dovrà però eseguire scrupolosamente il ritaglio del favo-trappola e, prima di asportare la covata percolata, dovrà accertarsi che in uno degli altri settori ci siano larve nello stadio recettivo. Per contro, chi intendesse condurre gli alveari solamente col telaio indicatore semplice, non ha la necessità di procurarsi il telaio a 3 settori, in quanto utilizzerà metodi diversi per la lotta alla Varroa.

T.I.T.3 E MESSA A SCIAME

Quando una colonia viene ridotta a sciame in seguito a “febbre sciamatoria”, la sua entità globale risulta divisa in due parti: l’una formata dallo sciame vero e proprio, l’altra da tutti i favi di covata coperti da giovani api. Il T.I.T., essendo anche un favo di covata, va messo con

questi ultimi e deve subire il ritaglio man mano che la sua covata viene opercolata; dopo l’ultimo ritaglio è bene toglierlo dal nido: è quindi opportuno introdurre subito un nuovo T.I.T.3 vuoto. Esso può essere messo al centro contro il diaframma. Nel primo caso, è necessario controllare dopo 2 giorni se lo sciame costruisce celle da fuchi o da operaie; se sono da fuchi la lotta biomeccanica può continuare, se sono da operaie, conviene togliere il T.I.T.3 e rimpiazzarlo con un foglio cereo o con un favo. Invece, se il T.I.T.3 viene messo contro il diaframma, è sufficiente effettuare il primo controllo dopo una settimana.

CONCLUSIONI

La lotta biomeccanica può dare la speranza di convivere con la Varroa. Può darsi però che da sola essa non sia sufficiente a risolvere il problema. Tuttavia, se è vero che la varroa si riproduce in prevalenza nella covata maschile, il metodo descritto sarà di grande aiuto, con l’apporto di modeste quantità di prodotti biologici ad azione acaricida, sarà possibile raggiungere l’esito desiderato, senza dover ricordare a metodi pericolosi ed inquinanti.

EVOLUZIONE DEL T.I.T.3

Durante i primi anni di esperienza col T.I.T.3, dagli inizi del 1986 fino alla fine del 1988, si sono riscontrati alcuni fenomeni fastidiosi e limitanti l’uso di questo strumento: la formazione di protuberanze, o gobbe di cera e miele, sui due favi adiacenti al T.I.T.3, quindi: difficoltà di estrarre il T.I.T.3 dal nido; impossibilità di girare e di mettere il T.I.T.3 col settore vuoto davanti; scomodità di ritaglio dei favetti a causa del miele presente nella loro parte superiore; esagerata quantità di miele nel settore posteriore del T.I.T.3; maggior spreco di cera e di miele; impossibilità di avvicinare i due favi adiacenti al T.I.T.3, dopo la stagione dell’allevamento fuchi. Un altro inconveniente era anche quello dello spreco di favo con covata durante i primi due ritagli che si effettuavano per ottenere le tre età differenti dei favetti. Ciò causava l’impossibilità

Foto 11 - Come si ouò presentare il T.I.T.3 alla prima visita.

Foto 12 - Dopo aver estratto il primo pannello si reintroduce il T.I.T.3 nell’alveare.

Foto 13 - Ciò che può risultare alla seconda visita. A questo punto si asporta il secondo pannello e si ritorna il T.I.T.3 all’alveare, mettendo però il settore vuoto nella parte anteriore del nido (vedi Foto 14). Foto 14 - Il T.I.T.3 dopo l’asportazione del secondo pannello.

Foto 15 - Alla terza visita, ogni favetto risulta di età diversa; quindi si asporta il più vecchio e si riposizione anteriormente il settore vuoto.

Foto 17 - Il T.I.T.3 OR (a settori orizzontali). Foto 16 - Il T.I.T.3 se munito di 3 pannelli, può anche servire da diaframma.

di usare totalmente come esca la covata maschile deposta nel T.I.T.3. Quindi per colmare queste lacune, era necessario ottimizzare la struttura del T.I.T.3. Furono prese in considerazione e sperimentate diverse modifiche e messe tra loro a confronto. Quella che si dimostrò essere la migliore, sia come semplicità di realizzo e di impiego che come elasticità di adattamento alle svariate situazione e all’efficacia nella lotta biomeccanica alla Varroa, consiste nell’applicazione, tramite inchiodatura o avvitatura, di una tavoletta di legno sotto il portafavo del T.I.T.3. Le dimensioni di detta tavoletta sono:

LUNGHEZZA: pari alla luce orizzontale del telaino; ALTEZZA: 6 cm; SPESSORE: 2,8 cm INSERIRE “Fig. 8, Fig. 9” (Foglio Guida) La quantità e la disposizione dei tre settori non variarono. Furono aggiunti due pannelli riempitivi e mobili, da inserirsi in due dei tre settori; le loro dimensioni sono: SUPERFICIE: 5 mm più piccola rispetto a quella di ogni settore, ossia con un po’ di gioco, in modo tale da poter mettere e togliere i pannelli con facilità; SPESSORE: 2,8 cm, ossia uguale a quella della tavoletta superiore. Ogni pannello è munito di sei chiodi, quattro nella base, sporgenti, a mo’ di piedini, con funzione di tenere il pannello a cavallo della stecca inferiore del T.I.T.3. Gli altri due, piantati e piegati a 90 gradi vicino ai bordi superiori del pannello, servono, tramite la loro rotazione, per fissarle alla sopra citata tavoletta. Questi due ultimi chiodi fungono in pratica da girandole.

COME USARE IL T.I.T.3 MODIFICATO

I due pannelli vengono montati nel T.I.T.3, uno nel settore posteriore e l’altro in quello centrale. La posizione e la data in cui il T.I.T.3 deve essere inserito nell’alveare sono identiche a quelle del T.I.T.3 non modificato. Si fa notare che il settore vuoto, cioè quello senza pannello, va obbligatoriamente messo davanti. Dopo circa sette giorni dall’inserimento del T.I.T.3, si effettua la prima visita. Se le api hanno costruito celle maschili nel settore vuoto, si toglie il pannello centrale e si rimette il T.I.T.3 nel nido, senza effettuare alcun ritaglio di cera. Nel caso in cui il favetto fosse femminile, lo si ritaglia e non si libera il settore centrale, ma si ricomincia da capo. Se alla seconda visita il settore centrale risulterà costruito, si libererà quello posteriore, levando l’ultimo pannello. A questo punto si farà ruotare il T.I.T.3 di 180 gradi, rimettendolo nell’alveare col settore vuoto davanti. Di lì in poi, ogni settimana, si ritaglierà il favetto opercolato, ossia il favo trappola. E tutte le volte che il favo posteriore verrà ritagliato, sarà utile, vantaggioso e funzionale mettere il settore vuoto nella parte anteriore del nido. Il T.I.T.3 modificato è stato sperimentato e collaudato su 50 alveari, a partire da giugno ‘89 fino ad agosto ‘90. La sua funzionalità si è dimostrata ottima: le fastidiose sporgenze di cera e miele sui favi adiacenti al T.I.T.3 non si sono più avute, di conseguenza anche le difficoltà tecniche sopra elencate non sono state più osservate. L’uso dei pannelli poi, oltre che aver semplificato enormemente l’entrata in ciclo del T.I.T.3, ha evitato lo spreco dei due primi favetti ed ottimizzato lo sfruttamento della covata maschile come esca. Il “critico” apistico, analizzando queste innovazioni tecniche, potrebbe tuttavia obiettare sul fatto delle diminuite dimensioni dei tre settori. Anche questo particolare è stato preso in considerazione e, dalle osservazioni fatte in campo, si è notato che le attuali dimensioni dei settori, per ciò che riguarda la capacità di contenere lo

sfogo dell’alveare, sono sufficientemente grandi. Lo spazio di ogni settore, naturalmente, viene sfruttato dalle api con maggior rapidità (ed è quello che si vuole).

NOTA

Ad iniziare dalla mia uscita col T.I.T.3 nel campo apistico sino a tuttora, parecchi apicoltori appassionati hanno tentato di modificare questo strumento con la buonissima intenzione di ottimizzarlo. Alcuni lo hanno fatto senza però chiedermi prima se tale loro idea miglioratrice era già stata da me sperimentata oppure no. Purtroppo o per fortuna devo dire di sì e aggiungo che ne ho sperimentate altre ancora, ma poi la scelta è caduta definitivamente sul T.I.T.3 descritto qui sopra. Tutte le altre versioni sperimentate personalmente sono state tralasciate poiché meno funzionali, più complicate e poco proponibili. Tuttavia sono molto, molto riconoscente verso questi Signori, poiché col loro impegno nel tentativo di migliorare questo strumento apistico, hanno dimostrato la loro alta considerazione della lotta biomeccanica con l’uso del T.I.T.3. Li ringrazio vivamente e do loro un sincero abbraccio apistico.

ALTRO MODELLO DI T.I.T.3 - T.I.T.3 OR (ORIZZONTALE)

È un T.I.T.3 a settori orizzontali e senza pannelli riempitivi. Si tratta di un comune telaio da nido al quale si applica la solita tavoletta, alta 6 cm, sotto il portafavo, come descritto nel capitolo precedente. Il vuoto restante, dalla tavoletta alla traversa inferiore, viene diviso in tre settori orizzontali tramite l’applicazione di due listarelle di legno, spesse 8 oppure 10 mm e larghe 25 mm. In questo caso, le lamine di alluminio, citate nei capitoli precedenti, non risulterebbero appropriate poiché tenderebbero ad inarcarsi verso il basso. L’entrata in ciclo di quest’altro modello di T.I.T.3 è quasi automatica e ciò è dovuto al fatto che le api iniziano, normalmente, a costruire dall’alto. Pertanto, quando terminano la costruzione del settore inferiore, si ha una considerevole scolarità, sia di età dei favetti che di covata ivi contenuta.

ACCORGIMENTI UTILI (DA NON TRASCURARE)

Poiché al momento dell’introduzione del T.I.T.3 l’alveare è in fase di sviluppo, può darsi che la sfericità dell’insieme della covata si trovi addossata alla parete anteriore del nido, lasciando priva di covata la parte posteriore; (questo caso si può presentare frequentemente nell’arnia DadantBlatt; nella DU-CA è una rarità) quindi le api costruiscono per primo nella parte anteriore del T.I.T.3 OR, lasciando momentaneamente vuota la parte posteriore. Per ovviare, o per ridurre al minimo questo inconveniente, è utile cercare di inserire il T.I.T.3 OR tra i due favi con le più ampie rose di covata e/o ruotare il T.I.T.3 di 180 gradi dopo tre o quattro giorni dalla sua introduzione. Un altro particolare da tenersi sotto controllo è quello che si può presentare durante il periodo di un eventuale blocco di covata, causato da una improvvisa ed intensa raccolta di nettare. Se in quel momento i tre settori del T.I.T.3 OR non sono completamente costruiti e i due favi adiacenti al T.I.T. hanno, all’altezza dei settori, grosse aree di miele, le api allungano le celle di tali zone creando grosse gobbe che avanzano nel vuoto del T.I.T., cosicché ci si troverà, in seguito, alcune difficoltà a maneggiare sia il T.I.T. che i due favi in questione. Anche qui, per ovviare e/o limitare al minimo il “danno”, occorre intervenire tempestivamente asportando il T.I.T., per reintrodurlo più tardi, non appena cessato il blocco di covata. Tale inconveniente però non può presentarsi se il T.I.T. si trova tra due favi con covata molto estesa; più che altro si avrà il T.I.T. con chiazze di miele.

Michele Campero

Fine terza e ultima parte. La prima e la seconda parte sono state pubblicate, rispettivamente, nei numeri 7-8 e 9/2021 di Apitalia

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