Compendio sul Primato di Pietro. Dalle origini
Sono ormai sempre più le realtà, al di fuori della Chiesa cattolica apostolica romana, che negano il ruolo primaziale che ebbe l'apostolo Pietro, dapprima all'interno del nucleo apostolico, e successivamente nella Chiesa antica. In questo mio lavoro mi sono rigorosamente attenuto a citare fonti e fatti storici pienamente certi, trascurando volutamente quelli di origine dubbia e quelli in cui ancora oggi vi sia contesa. Non vi è alcun merito personale se non la volontà di riportare in modo sistematico tali eventi che ci permetteranno senza dubbio di comprendere come sono le cose. Vedremo come sono totalmente inconsistenti, le affermazioni di chi vorrebbe far risalire la creazione del Papato ad un'invenzione della Chiesa nel tardo medioevo, o chi anche tra i cattolici modernisti vorrebbe che il ruolo del Papa si riduca a quello di semplice portavoce di tutti i cristiani dove le sue dichiarazioni «saranno certamente tanto più efficaci quanto meno egli pretenderà obbedienza»1; oppure una figura puramente arbitrale, con a fianco una struttura ecclesiastica “aperta”, quale un sinodo permanente, con poteri deliberativi. Insomma, da più parti giungono “venti nuovi”, che sotto la bandiera del rinnovamento e sullo sfondo dei problemi posti dalla globalizzazione e dal pluralismo culturale, vorrebbero “un nuovo stile papale” opposto ovviamente a quello precedente e considerandolo come l'unica possibilità rimasta alla Chiesa per non estinguersi. Si aggiungono ad un simile contesto, tutte quelle realtà cristiane che non si identificano nella Chiesa cattolica apostolica romana, e che vorrebbero dimostrare che il Papa non esercitava nei primi secoli della Chiesa una sovranità giuridica sulle chiese locali: la realtà della Chiesa antica, si dice sarebbe stata “policentrica”, senza un centro ordinatore rappresentato dalla Chiesa romana.2 Si afferma, che la Sede di Roma originariamente era soltanto un “patriarcato”, e con il tempo sarebbe passato da un Primato di onore, ad uno di giurisdizione con l'affermazione dell'idea, estranea alla concezione patristica, del “Primato universale”. Ne conseguirebbe quindi, che il governo diretto e universale della Chiesa, nel primo millennio, sarebbe stato in realtà affidato ai patriarchi, a livello regionale; e solo molto in là nel tempo, in seguito allo scisma del 1054, il Vescovo di Roma sarebbe stato indotto ad accentrare nelle sue mani entrambe le funzioni che ho precedentemente descritto: quelle del servizio all'unità della Chiesa universale e quella del governo diretto della Chiesa latina. Voglio quindi smentire, prove alla mano, queste false affermazioni che minano terribilmente la credibilità, ed infangano, lo stesso Corpo Mistico di Cristo che è la sua Chiesa. Procederò dapprima con un presentazione scritturale dei testi evangelici che riportano il particolare ruolo di Pietro all'interno del collegio apostolico e dei significati teologici, successivamente vedremo le fonti, ad oggi certe, della presenza di Pietro e Paolo a Roma (nonostante ancora alcune sette d'ispirazione cristiana pretendono di negare), ed in ultimo le abbondanti fonti della patristica che ci fanno ben comprendere come fin dal I secolo, e per tutti quelli a seguire, era ben chiaro tra i cristiani e nelle gerarchie ecclesiastiche il ruolo fondante, per la Chiesa antica, del Primato di Pietro.
Pietro nel Nuovo Testamento. Ad un'attenta analisi delle sacre scritture, il Primato di Pietro emerge in maniera incontestabile da tutto il nuovo testamento. Come appare dal Vangelo dagli atti degli Apostoli, Pietro ha una posizione di singolare preminenza nel collegio apostolico. Nell'elenco ufficiale dei dodici Apostoli che c'è stato tramandato dall'evangelista Matteo (Mt. 10,2) “Simone è detto Pietro” porta il titolo di “primo” e non senza ragione. Non solo egli viene citato ben 195 volte tra i Vangeli e gli Atti, contro le 130 per gli undici apostoli presi nel loro insieme 3, ma viene nominato in tutti gli elenchi degli Apostoli, in cui invece varia l'ordine degli altri (Mt, 10,2; Mc. 3,16; Lc. 6,14; At. 1,13). Pietro si dimostra del resto consapevole della sua posizione, poiché lui generalmente che parla a nome di tutti, interrogando il Signore corrispondendo le sue domande. Gesù sceglie la sua casa per abitarvi (Mc. 1,29), la sua barca per predicare (Lc. 5,1), a lui concede di camminare sulle acque (Mt. 16, sgg.), paga per lui il tributo (Mt, 17,23-29), lo rende partecipe delle rilevazioni più intime (Mt. 17,1 sgg; 26,37), gli assicura una particolare preghiera «perché, una volta convertito, confermi i fratelli nella fede» (Lc. 22,21 sg.), né gli risparmia i rimproveri quando è necessario (Mt. 16,23;14,31;Mc. 14,37;Mt.26,31-34;cfr. Lc. 22,61). Il giorno della sua Risurrezione, il Signore appare singolarmente a Pietro (Lc. 24,34; I Cor. 5,5) e, prima di salire al cielo, a lui solo predice come sarebbe morto (Gv. 21,18). Più importante è il gesto compiuto il primo incontro: il cambiamento del nome (Mc. 3,6; Lc. 6,14; Gv. 1,42; Mt. 10,2). Negli unici casi che la storia ebraica conosceva quelli di Abramo (Gen. 17,5) e di Giacobbe (Gen. 32,29), ciò aveva significato il conferimento di una solenne missione. Gesù promette conferisce personalmente a Pietro un vero primato sugli Apostoli. 4 1 2 3 4
Pannenberg, il ministero pietrino a servizio dell'unità, p. 562. Zizola, La riforma del papato, 127. Mc Nabb, testimonianza, pp.152-155, Falbo, il primato della Chiesa di Roma, p.37. Glez, Primauté du Pape, col. 250; Piolati, Primato, col. 7
La promessa del Primato. Il capitolo 16 del Vangelo di Matteo contiene la promessa di uno speciale primato. Fatto da Gesù a Pietro. Un giorno, verso la metà del secondo anno di predicazione, Gesù prende con sé i soli Apostoli e si incammina verso la regione padana di Cesarea di Filippo dove li interroga: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Attualmente nessun studioso biblico serio, anche non cattolico, mette in dubbio la genuinità storica del Tu es Petrus5. Gesù fece quell'interrogazione per disporre gli Apostoli a un importante insegnamento, di cui Matteo riferisce il contenuto: il compito di Pietro nella formazione del governo della Chiesa6. Nel brano evangelico Cristo usa tre metafore: quella della roccia, quella delle chiavi e quella di legare sciogliere. a) Pietro innanzitutto la roccia, fondamento della Chiesa7. La roccia nel linguaggio evangelico, si riferisce alla chiesa concepita come un edificio. «Chiunque ascolta queste mie parole le mette in pratica», aveva detto Gesù, «è simile a un uomo prudente che fabbricò la sua casa sopra la roccia. E cade la pioggia, strariparono i torrenti, soffiaronoo i venti e si abbatterono su quella casa; ma essa non rovinò, perché era stata fondata sulla roccia» (Mt. 7,24-25). Pietro sarà per la Chiesa ciò che la roccia è per la casa: il fondamento, la causa dell'incrollabilità. b) il secondo simbolo, quello delle chiavi, indica al potere sulla caso sulla citt. Esso era stato usato nella scrittura quando Dio preannuncia la morte del gran favorito del re Ezechia, di nome Sobna, reo di aver abusato dei suoi poteri di prefetto della reggia, che sarà sostituito da Eliakìm: «Et dabo clavem domus David super humerum eius». «Sulla sua spalla – dice il Signore – parola chiave della casa di David; dove egli apre nessuno potrà chiudere, dove egli chiude nessuno potrà aprire» (Is. 22,21). Nell'edificio della Chiesa Pietro assumerà il posto di padrone che ha visto, l'originario possessore delle simboliche chiavi 8. c) La terza metafora, quella di legare sciogliere, significa, secondo il linguaggio rabbinico, due poteri: il potere di proibire (legare) o di permettere (sciogliere) in campo dottrinale,il rapporto alla legge mosaica; e quello di condannare (legare) o assolvere (sciogliere) in campo disciplinare, Essa contiene dunque la promessa di una duplice facoltà conferita Pietro: quella dottrinale o di magistero e quella giurisdizionale o d'imperio; in tal modo viene indicata la piena sovranità di Pietro, il supremo potere che egli avrà nella chiesa 9. Successivamente il Signore farà una promessa simile agli Apostoli investendoli collegialmente dello stesso potere attribuito singolarmente Pietro: «tutto ciò che legherete sopra la terra sarà legato in cielo e tutto ciò che sceglierete sopra la terra sarà sciolto in cielo» (Mt. 18,18). attraverso queste tre metafore, Pietro viene costituito vicario di Cristo. La prima immagine, più concreta (la roccia), esprime l'idea che San Pietro è il vicario visibile di Cristo nella sua Chiesa; la seconda (le chiavi) precisa che egli è il vero e proprio vicario di Cristo, perché possiede nella Chiesa quel potere supremo che è proprio di Cristo per la Sua prerogativa di fondatore; la terza (lo sciogliere e legare) innalza l'Apostolo al compito di rappresentante di Dio nella Chiesa, perché, annuncia, egli deve in concreto esercitare in terra l'autorità che Dio ha nei cieli10.
Il conferimento del Primato. Il primato fu conferito a Pietro dopo la Risurrezione, come narra S. Giovanni, testimone oculare: «Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle.» (Gv. 21,15-17). 5 6 7 8 9 10
Falbo, Il primato della Chiesa di Roma, pp. 41-42. Cfr. Glez, Primauté du Pape, coll. 251 segg; Braun, Nuovi aspetti, pp. 86-97. Lessel, Petrus Christi vicarius, pp. 15-24,55-61. Maccarone, Vicarius Christi, p.16. Lattanzi, il primato romano, pp.48-49. Maccarone, Vicarius Christi, p. 17.
Pietro era stato prescelto come roccia e come fondamento della Chiesa, ma perché la scelta fosse confermata occorreva la sua triplice dichiarazione d'amore. Pascere il gregge è un atto di amore e insieme di autorità che il Buon Pastore esercita perché ama il suo gregge, secondo le stesse parole di Gesù (Mt. 18,12; Lc. 15,4; Gv. 10, 11-16) e le profezie dell'Antico Testamento. Applicando se stesso la profezia di Ezechiele (Ez. 34, 1-19), Gesù si presenta come il buon pastore e di questa immagine si serve per descrivere la forma con cui esercita il suo potere nei confronti dei fedeli. Gli agnelli delle pecorelle, l'intero gregge dunque, vale a dire tutti fedeli, i membri della Chiesa, hanno per esplicita volontà di Cristo un solo pastore che è Simon Pietro. Il verbo pascere indica a sua volta, presso gli autori sia sacri sia profani, la potestà di giurisdizione nella società. Questa giurisdizione è estesa da Gesù a tutta la Chiesa. La promessa di Cesarea di Filippo è adempiuta: Gesù edifica su Pietro la sua Chiesa, affidandogli i suoi agnelli e le sue pecorelle. Affidando il suo gregge alla giurisdizione di Pietro, Gesù dichiara di costituirlo suo vicario in terra, con i poteri di capo supremo della Chiesa e Pastore universale, a immagine del Pastore Eterno che sta per ascendere al Cielo11. Il buon pastore dà però la sua vita per le sue pecorelle (Gv. 17-18). Lo stesso destino attende Pietro, il suo Vicario. Dopo i poteri supremi nella Chiesa, Gesù darà Pietro la grazia suprema di fare la sua medesima morte 12. Pietro esercita il primato sulla Chiesa nascente. I Vangeli e gli Atti degli Apostoli attestano come fin dall'inizio la Chiesa riconobbe il Primato conferito Pietro. Nata sul calvario, la Chiesa degli albori si riunì spontaneamente intorno a Pietro ancor prima del solenne conferimento. La Maddalena riferì a Pietro per primo del sepolcro vuoto (Gv. 20,2; cfr. Mc. 16,7), e nell'entrarvi Giovanni gli diede la precedenza (Gv. 20,6; cfr. Lc. 24,22). Dopo l'ascensione di Gesù, Pietro si trovò nel pieno possesso del suo Primato. Eegli presiedette all'elezione di un nuovo apostolo nell'adunanza in cui fu scelto Mattia come successore di Giuda (At. 1,15-26); per primo, come capo degli Apostoli predicò (At. 2,14) e come tale fu interpellato dagli uditori (At. 2,37); operò il primo miracolo dopo la Pentecoste in Gerusalemme (At. 3,6) e altri poi con la sola sua ombra (At. 5,15); fu lui che rispose al Sinedrio (ibid. 4,8), che come capo del movimento venne incarcerato da Erode (At. 12,3), e che come giudice della comunità punì Anania e Saffira (At. 5,1-11). La sua autorità fu decisiva per ammettere gentili alla fede (At. 11-18) e nel concilio di Gerusalemme, che egli presiedette, tutti presenti ascoltarono seguirono la sua parola (At. 15). Il suo discorso deciso la controversia (At. 15,12), poiché Giacomo non fece che confermare con l'autorità della Scrittura e indicare il modo pratico di accogliere i gentili (At. 15,13-21). Lo stesso San Paolo riconobbe il Primato di Pietro, e lo manifestò con il fatto di nominarlo al posto più alto (I Cor. 1,12; 3, 22) e di salire a Gerusalemme per rendergli omaggio (Gal. 2,18-19). Dal contesto risulta che Paolo non salire Gerusalemme principalmente per conoscere la dottrina, ma all'autorità Di Pietro 13. Il fatto che egli trovi a Corinto, dove Pietro non era mai stato, un partito che si vale del nome di Cefa (I Cor. 1,12), non fa che confermare la grande influenza Di Pietro nei confronti dei pagani, S. Paolo gli resiste “a viso aperto” (Gal. 2,11-14), e compie un atto non di ribellione, ma di opposizione leale pubblica ( poiché pubblico era lo scandalo), che non contraddice, ma conferma il primato di Pietro. Paolo rileva l'incoerenza di Pietro, senza contestare l'autorità che egli esercita sui fedeli. Egli, è stato argutamente osservato, «non era un gallicano: Non saltella da Pietro il concilio (di Gerusalemme) ma da Pietro Pietro»14. Tutto l'episodio del resto è riferito da Paolo proprio per provare coll'autorità Di Pietro, che gli avversari gli opponevano, la non necessità delle pratiche giudaiche per la salvezza. È innegabile il fatto che gli apostoli tutti i fedeli riconoscevano e rispettavano il primato di Pietro nel governo della Chiesa nascente.
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Maccarone, Vicarius Christi, p. 18. Garofalo, Pietro nell'Evangelo, pp. 171-172. Lagrange, Epitre aux Galates, p.17. Roiron, St. Paul témoin de la orimauté de st. Pierre, p.518.
Il successore di Pietro. L'indefettibilità del Papato e della Chiesa.
Il primato conferito a San Pietro non è un privilegio personale e transitorio, ma l'elemento permanente ed essenziale della costituzione della Chiesa, di cui egli è Pietra fondamentale. Gesù infatti costituendo il Primato, dà alla sua Chiesa una forma gerarchico-monarchica, che le è specifica: questa forma non potrebbe essere mutata dagli uomini senza che muti la Chiesa stessa, anzi che essa si dissolva, si disperda senza pastore, perdendo il suo fondamento e vincolo di unità15. Tale forma deve perpetuarsi nella persona di Pietro, com'è espresso da una bella formula di San Leone Magno: «Sicut permanet quod in Cristo Petrus credidit, ita permanet quod in Petro Christus instituit»16 (come permane ciò che Pietro credette in Cristo, così permane ciò che Cristo istituì in Pietro). Scrive San Francesco di Sales: La suprema carica che ha avuto San Pietro nella Chiesa militante, in ragione della quale è chiamato fondamento della Chiesa, quale capo e governatore, non va oltre non va oltre l'autorità del suo Maestro, anzi ne è soltanto una partecipazione; di modo che San Pietro non è fondamento della gerarchia al di fuori di Nostro Signore, ma bensì il nostro Signore, tanto che noi chiamiamo Santo Padre il nostro Signore, fuori del quale non sarebbe nulla […] fondamento è dunque Nostro Signore, e così pure S. Pietro, ma con una notevole differenza, che, a confronto dell'uno, si può anche affermare che l'altro non lo è, Infatti, Nostro Signore è fondamento fondatore, fondamento senza altro fondamento, fondamento della Chiesa Naturale, Mosaica ed Evangelica.fondamento perpetuo immortale, fondamento della militante e di quella trionfante, fondamento di se stesso, fondamento della nostra fede, speranza e carità e del valore dei Sacramenti. San Pietro è fondamento, ma non fondatore di tutta la Chiesa, fondamento, ma fondato su un altro fondamento che è Nostro Signore, fondamento della sua Chiesa Evangelica, fondamento soggetto a successione, fondamento della Chiesa militante ma non di quella trionfante, fondamento per partecipazione, fondamento ministeriale, non assoluto; infine, amministratore e non signore e per niente fondamento della nostra fede, speranza e carità, né del valore dei Sacramenti. 17
Gesù ho promesso a Pietro non l'immortalità personale, ma la perennità della Chiesa da Lui fondata su Pietro. È chiara la sua intenzione che il Primato di Pietro passi ai suoi successori. Nella sua lettera ai cristiani Pietro dice: «dabo operam post transitum meum» (II Petr. 1,15) (operò dopo la mia morte). Egli è persuaso che la Chiesa continuerà fino alla fine del mondo e lo stesso pensano tutti gli altri Apostoli. (II Pt. 3,8). L'ufficio di Vicario di Cristo esige che sia trasmesso con la stessa pienezza di potere ai suoi successori, i quali come San Pietro saranno Vicari di Cristo. San Tommaso riassume con queste parole le ragioni della perennità del Primato: Poiché (Cristo) stava per sottrarsi corporalmente alla Chiesa, era necessario che affidasse a qualcuno la cura, al suo posto, di tutta la Chiesa. Per questo disse a Pietro prima dell'ascensione: «Pasci le mie pecore...»(Gv. 27,17). Ma non si può dire che, avendo dato tale dignità Pietro, per mezzo suo essa non si trasmetta da altri. È evidente infatti che Cristo istituì la Chiesa in modo che durasse fino alla fine del tempo[...] ed è chiaro che Egli costituì i suoi ministri in modo che il loro potere si trasmettesse ai posteri, per il bene alla Chiesa, fino alla fine del mondo 18.
La negazione della trasmittibilità del Primato porta con sé la negazione dell' indefettibilità della Chiesa. 19 ossia della proprietà soprannaturale per cui essa rimarrà sino alla fine del mondo come Gesù Cristo l'ha costituita. Preannunziata nel Vecchio Testamento dalle profezie messianiche (Is. 9,6; Dan. 11,44; Ger. 31,31; Ez. 37,24), l'indefettibilità è affermata da Gesù Cristo nella divina promessa: «tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell'inferno non prevarranno contro di essa» (Mt. 16,18), ed è garantita inoltre dalle parole: «Ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla consumazione dei secoli»(Mt. 28,20); «io pregherò il padre ed egli vi manderà un altro Paraclito affinché dimori sempre con voi» (Gv. 14,16). Ogni età ha messo alla prova La stabilità la sopravvivenza della Chiesa: le persecuzioni dei primi secoli, le eresie trinitari e cristologiche dal IV all'VIII secolo, lo scisma d'oriente, la lotta tra autorità spirituale e potere temporale nel Medioevo, il protestantesimo, la Rivoluzione francese; nessun attacco però riuscito a distruggere il Papato. L'indefettibilità della Chiesa è fondata sulla roccia di Pietro, il cui Primato avrebbe mantenuto nei secoli la continuità del governo nella successione apostolica e l'identità della fede nella coerenza del Magistero. In nessun'altra istituzione umana avviene ciò che vediamo nella Chiesa: i successori degli Apostoli continuano a governarla come nei primi secoli, insegnando le stesse verità.
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Piolanti, Primato,col.10. Leone Magno, Sermo III in anniversario assumpionis suae,c. II, in PL, 54, col.146. San Francesco di Sales,Controversie, pp.79-279-280. San Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, lib. IV, cap. 76. Jugie, indefettibilità, coll. 1792-1794; Dublanchy, Eglise, coll. 2145-2150; Parente-Piolati, Dizionario di teologia dommatica, pp.116-117.
Il soggiorno e la morte di Pietro a Roma Le testimonianze storiche La tradizione comune, risalente al Chronicon di Eusebio, pone il primo arrivo di Pietro a Roma nell'anno secondo della CCV Olimpiade, cioè nel 42 d.C., subito dopo aver lasciato Gerusalemme. L'apostolato e la morte di San Paolo e San Pietro a Roma sono testimoniati per la prima volta dal Papa Clemente I nella sua Lettera ai Corinti scritta tra il 95 e il 98, e quindi solo trent'anni dopo gli avvenimenti descritti, di cui era stato testimone oculare. Ricordato il martirio dei santi fondatori Pietro e Paolo, egli attesta che «a questi uomini di santa vita si aggregò una grande moltitudine di elette che in mezzo a tanti supplizi constituisce pe noi un magnifico esempio»20. La convinzione delle comunità cristiane orientali relativa al soggiorno e alla morte di Pietro a Roma è confermata poi, all'inizio del II secolo, dalla lettera ai Romani di Sant'Ignazio di Antiochia. Quest'ultimo, martirizzato a Roma sotto Traiano, scrive di non poter «impartire ordini come Pietro e Paolo. Quelli Apostoli, io un condannato; quelli liberi, ma io finora schiavo. Ma se io soffro, sarò un liberto di Gesù Cristo e risorgerò in Lui come libero»21. Il fatto che Ignazio, rivolgendosi ai Romani, citi familiarmente per nome Pietro e Paolo e si riferisca alle loro sofferenze, fa capire che i due apostoli erano stati in rapporti particolarmente stretti con la comunità di Roma e qui avevano subito il martirio. Il vescovo Dionigi di Corinto, rivolgendosi tra il 165-70 al Vescovo di Roma san Sotero, testimonia esplicitamente che Roma e Corinto hanno avuto come fondatori delle rispettive chiese gli stessi apostoli Pietro e Paolo. Nella sua lettera alla comunità romana, di cui Eusebio ci ha conservato alcun frammenti, si trovava il passo seguente: «entrambi gli apostoli, dopo aver incominciato la piantagione nella nostra Corinto, hanno insegnato nello stesso modo; essi hanno poi insegnato in Italia ed ivi hanno subito assieme al martirio»22 La stessa testimonianza è data pochi anni dopo da Sant'Ireneo da Lione23 nel celebre passo del suo Adversus Haereses in cui parla della Chiesa di Roma come della «Chiesa più grande e a tutti nota, fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Pietro e Paolo» e aggiunge: «I beati apostoli che fondarono la Chiesa romana ne trasmisero il governo episcopale a Lino». Fino dal II secolo, la tradizione è unanime non soltanto nel ritenereche Pietro fu Roma, ma che ivi pose la sua cattedra e subì il martirio24. Particolare importanza riveste una frase del presbitero Gaio trasferitosi nella capitale dell'impero durante il pontificato di San Zeferino (198-217). A Proclo, il quale per dimostrare la grande attualità della tradizione esistente a Gerapoli, aveva fatto appello ai sepolcri del diacono Filippo e delle sue figlie profetesse, egli risponde con queste parole conservateci da Eusebio di Cesarea: «io sono in grado di mostrare i trofei degli Apostoli; andando infatti al Vaticano o lungo la via Ostiense, vi troverai i trofei di quelli che hanno fondato questa Chiesa»25. “Trofei”,che può significare sepolcro e monumento, è comunemente inteso come monumento costruito sul sepolcro,perché è un semplice monumento non avrebbe dimostrato nulla contro Proclo. Il fatto che gli Atti (28,14-16) riferiscono la venuta di Paolo Roma senza far menzione di Pietro e che la lettera ai Romani di Paolo non contiene alcun accenno a Pietro, dimostra al massimo che, per il periodo che li interessa, Pietro non era presente a Roma salvo voler ammettere che il loro silenzio abbia motivi particolari. Clemente mette in guardia i Corinti contro la gelosia, l'invidia e la litigiosità, e a tal fine pone dinanzi agli occhi terribili esempi, tratti dapprima dal vecchio testamento, poi dal passato recentissimo: Prendiamo i nobili modelli della nostra generazione. Per gelosia ed invidia Le grandi giuste colonne hanno sofferto persecuzioni e lotta fino alla morte. Consideriamo i nostri eccellenti Apostoli: Pietro, che per ingiustificata gelosia dovette sopportare non una o due, ma molte fatiche e, dopo aver reso la sua testimonianza, giunse al luogo della gloria a lui spettante (5,2-
4). Cita poi Paolo in modo più particolareggiato per la sua attività piena di sacrificio fino alla testimonianza del sangue (5,5-7). «A questi uomini(...)», continua, «fu associata una grande quantità di eletti, che per gelosia hanno subito fronte ai tormenti di ogni specie e sono diventati così i modelli magnifici tra di noi» (6,1-2). La testimonianza di Pietro nel nostro passo deve essere intesa, al pari di quella di Paolo, come testimonianza di sangue per il martirio. Benché Clemente non nomini esplicitamente il luogo del loro martirio, si può tuttavia desumere dal contesto che i due Apostoli,come gli eletti alle donne citate in 6,1-2, appartennero alle vittime della persecuzione neroniana, perché Clemente presenta esempi vicini per luogo per tempo. Il valore di questa tradizione e rafforzato dal fatto che contro di essa non si è mai levata contraddizione e nessun altro luogo ha mai avanzato pretese di essere quello del martirio o del sepolcro di Pietro. È impensabile che già nel II secolo se ne sia perso ogni ricordo e che non si sia mai levata voce alcuna contro una pretesa romana ingiustificata. 20 21 22 23 24 25
Clemente Romano, Ai Corinti, cap. 5 e 6 in PG, 1, coll. 217-221. San Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 4,3, in Enchiridion Patristicum, n.54, p.18. Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 25, 8, vol. I, p. 133. San Ireneo, Adversus Haereses, III, 3, 2-3, in PG, 7, coll. 848-851. Schatz, il primato, p.36 Eusebio, Storia ecclesiastica, II, 25, 7, vol. I, p.133.
La testimonianza degli scavi. Sui rappàorti di pietro con Roma hanno apportato nuovi chiarimenti gli scavi archeologici condotti per incarico di Pio XII nel periodo 1940-49, mentre era in costruzione la tomba di Pio XI nelle Grotte Vaticane. Altre esplorazioni ebbero luogo nel 1952, portando a sorprendenti scoperte. Si constatò che la Basilica era stata edificata in un luogo estremamente contro-indicato per il forte pendio del terreno e per la presenza in esso di una vasta necropoli sotterranea. Non soltanto si richiedevano grandi movimenti di terra, ma si dovevano anche distruggere monumenti sepolcrali, cosa alla quale, data la santità e l'intangibilità dei cimiteri, un Costantino poteva decidersi solo per motivi gravissimi. Sotto l'altare della Confessione, esattamente a sette metri di profondità, fu trovata una primitiva tomba terragna e, al di sopra della tomba, un piccolo monumento funerario del II secolo a cu furono sovrapposti successivamente un monumento-sepolcro eretto dall'Imperatore Costantino e tre altari: quello di Gregorio Magno (590-604), quelllo di Callisto II (1023) e infine quello di Clemente VIII (1594) che è tuttora l'altare papale della Basilica. Nel 1959 l'archeologa ed epigrafista Margherita Guarducci pubblicò una grossa opera in tre volumi in cui dimostrava che le epigrafi sepolcrali indicavano nella tomba-monumento, il “trofeo” di Gaio, ovvero il luogo della sepoltura di Pietro (Pétros enì). In questi graffiti, rileva la Guarducci, “il nome Pietro si unisce a quello di Cristo e di Maria in una comune acclamazione di vittoriaa, e talvolta si trasfigura nella simbolica chiave dell'Apostolo” 26. Le reliquie del martire, secondo Margherita Guarducci, furono deposte nel loculo del “muro G” all'interno del monumento.sepolcro e conservate ravvolte in un drappo intessuto d'oro senza essere mai state violate dall'età di Costantino fino all'epoca degli scavi (intorno al 1941). Il 26 giugno 1968, Paolo VI annunciò l'avvenuto riconoscimento delle reliquie di Pietro27. San Girolamo pone l'anno della morte di San Pietro all'ultimo del regno di Nerone28, due anni dopo la morte di Seneca che avvenne nel 65, e perciò nel 67, data che fu scelta, dopo un attento studio delle fonti, dal cardinal Baronio nei suoi Annali Ecclesiastici29.
Le ragioni della scelta di Roma In un giorno che la tradizione ha fissato al 29 giugno dell'anno 67 di Gesù Cristo, una croce capovolta si ergeva sul Gianicolo. Moriva San Pietro, primo Pontefice e primo Vicario di Gesù Cristo30, ma sopravviveva il Papa. Da allora, per trenta volte le mura di Roma risuonarono del grido «Morte al Papa!» e trenta volte il grido fu ripetuto invano31. Morto appena san Pietro gli succedeva san Lino, ordinato vescovo dal medesimo Principe degli Apostoli che aveva aiutato nel suo apostolato a Roma. A Lui succedeva Cleto, san Clemente, sant'Evaristo, e quindi una sequela di santi Pontefici dei quali la storia poco o nulla ci ha trasmesso, all'infuori del glorioso elogio «patì per Gesù Cristo». Evaristo, Alessandro, Sisto, Telesforo, Igino, Pio, Aniceto, Sotero, Eleuterio, Vittore, Zeffiro Callisto, tutti o quasi tutti udirono ripetersi il grido di morte contro la Chiesa di Gesù Cristo32. Sono 25 che vengono uno dopo l'altro, tutti martiri fino a san Felice I; 35 santi fino a Liberio, il primo che vacillò nella Fede; 50 santi nei primi cinque secoli della Chiesa. San Pietro con la sua predicazione e il suo martirio aveva legato a Roma le sue prerogative primaziali. La successione dei vescovi dai primi Apostoli fino a oggi è esattamente documentata solo nel caso del Vescovo di Roma, successore dell'Apostolo Pietro. Sant' Iereneo di Lione ne ha lasciato una celebre testimonianza tanto più autorevole in quanto, come discepolo di san Policarpo, che a sua volta fu discepolo di San Giovanni, egli può essere considerato un anello di congiunzione tra la Chiesa apostolica e quella posteriore 33. Avendo dimostrato che la verità cattolica si trova genuinamente nelle tradizioni delle Chiese fondate dagli Apostoli, sant'Ireneo scrive: Ma poiché sarebbe troppo lungo enumerare i successori degli Apostoli in tutte le Chiese, noi non ci occuperemo che d'una Chiesa, la più grande e la più antica, a tutti nota, fondata e costituita dai due gloriossimi Apostoli Pietro e Paolo. Noi mostreremo che la sua tradizione apostolica che essa tiene e la fede ch'essa ha comunicato agli uomini sono giunte fino a noi attraverso la regolare successione dei vescovi, confondendo così tutti quelli che, in qualunque modo, per cecità o per errore, per compiacenza di sé o per vanagloria, vogliono cercare la verità dove non si può trovare. Dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli ne trasmisero il governo epìscopale a Lino; di lui fa menzione Paolo nelle sue lettere a Timoteo. Gli succede Anacleto. E dopo di lui, terzo a partire dagli Apostoli, ebbe l'episcopato Clemente. Egli aveva visto gli Apostoli in persona ed aveva trattato con essi; la loro predicazione risonava ancora alle sue orecchie, e la loro tradizione era ancora dinanzi ai suoi occhi. E non era solo, poiché a quell'epoca v'erano ancora molti che erano stati istruiti dagli Apostoli:
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Guarducci, La tomba di Pietro, p.143. Paolo VI, Discorso del 26 giugno 1968, in Insegnamenti, vol. IV (1968), pp. 279-282. San Girolamo, De viris illustribus 1, in PL, 23, col. 638. Baronio, Annali Ecclesiastici, I, 1-4.
30 Dagli antichi era chiamato Gianicolo tutto il monte che si estende fino a Ponte Milvio e Vaticano quella parte del Gianicolo che aveva dirimpetto il teatro Pompeo, che era dall'altra parte del fiume. San Pietro, secondo la tradizione, subì il martirio sulla sommità del Gianicolo in quella parte che poi fu chiamata Mons aureus (Montorio) e sepolto non lontano, in quella parte del Vaticano vicino a cui erano gli orti di Nerone e il Circo. (Mencacci, Il Papato e le sue persecuzioni, pp. 5-8). 31 Mencacci, Il Papato e le sue persecuzioni, pp. 1-18.
32 Ivi p. 14-18. 33 Lattanzi, Il Primato Romano, p.121.
A questo Clemente succedette Evaristo; a Evaristo Alessandro; quindi, sesto a partire dagli Apostoli, fu eletto Sisto; dopo di lui Telesforo, che ebbe la gloria del martirio, in seguito Igino, poi Pio, quindi Aniceto; ad Aniceto succedette poi Sotero; ed ora, dodicesimo a partire dagli Apostoli, tiene l'episcopato Eleuterio. In quest'ordine di successione la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità è giunta fino a noi; e questa è la prova lampante che è una, e sempre la stessa, questa fede vivificatrice, che nella Chiesa a partire dagli Apostoli s'è conservata fino ad oggi ed è stata trasmessa nella verità. 34
Eusebio, prendendo le mosse dal catalogo di Ireneo da lui riprodotto nel testo greco, lo completa nei primi sette libri della sua Storia Ecclesiastica in cui riassume la storia dei primi tre secoli del Cristianesimo attraverso la successione dei Vescovi nelle quattro sedi di Roma, di Antiochia, di Alessandria, di Gerusalemme. La ragione della scelta di Roma come sede della cattedra di Pietro non sta nella grandezza e nell'autorità dell'antica Roma, ma nel fatto che Roma fu il luogo in cui esercitò il suo ministero l'apostolo cui era stato conferito il Primato universale. La Roma cristiana trae la sua grandezza da Pietro e non dalla Roma pagana. Se san Pietro si fosse fermato ad Antiochia e vi fosse morto, i vescovi antiocheni avrebbero avuto la stessa autorità primaziale che per eredità conseguirono i Vescovi di Roma35.
Il primato romano nei primi tre secoli. La coscienza che il Primato di Pietro continua nei suoi successori nella sede di Roma è presente nella Chiesa sin dai primi secoli. Tale primato non è solo di onore, come taluni vorrebbero far credere, ma è situato nell'ordine della giurisdizione e comporta una posizione unica in rapporto all'episcopato universale. Gli stessi fattori di una “riforma” del Papato esitano del resto nel richiamarsi al modello di Primato del primo millennio, proprio perché cosciente di quanto sia precaria la tesi che lo vorrebbe ridurre semplice primato d'onore. 36 La Chiesa di Roma diviene il centro della Chiesa apostolica subito dopo la morte di S. Pietro (67). il primo intervento documentato è quello di San Clemente (92-98) terzo successore di Pietro come Vescovo di Roma, quando, all'inizio dell'impero di Nerva (circa il 97), egli interviene per ristabilire l'unità nella Chiesa di Corinto, sconvolta da una violenta discordia che si era conclusa con l'ingiusta deposizione di alcuni presbiteri. Per riuscire nell'intento, il Papa si richiama al principio di successione stabilito da Cristo dagli apostoli, esigendo obbedienza e minacciando persino sanzioni qualora le sue disposizioni non vengono eseguite.37 Riportiamo alcuni passi di questa lettera: La Chiesa di Dio che è a Roma alla Chiesa di Dio che è a Corinto, agli eletti santificati nella volontà di Dio per nostro Signore Gesù Cristo. Siano abbondanti in voi la grazia e la pace di Dio onnipotente mediante Gesù Cristo. Elogio dei Corinti I, 1. Per le improvvise disgrazie e avversità capitatevi l'una dietro l'altra, o fratelli, crediamo di aver fatto troppo tardi attenzione alle cose che si discutono da voi, carissimi, all'empia e disgraziata sedizione aberrante ed estranea agli eletti di Dio. Pochi sconsiderati e arroganti l'accesero, giungendo a tal punto di pazzia che il vostro venerabile nome, celebre e amato da tutti gli uomini, è fortemente compromesso. 2. Chi, fermandosi da voi, non ebbe a riconoscere la vostra fede salda e adorna di ogni virtù? Ad ammirare la vostra pietà cosciente ed amabile in Cristo? Ad esaltare la vostra generosa pratica dell'ospitalità? A felicitarsi della vostra scienza perfetta e sicura? 3. Facevate ogni cosa, senza eccezione di persona, e camminavate secondo le leggi del Signore, soggetti ai vostri capi e tributando l'onore dovuto ai vostri anziani. Esortavate i giovani a pensare cose moderate e degne. Raccomandavate alle donne di compiere tutto con coscienza piena, dignitosa e pura, amando sinceramente, come conviene, i loro mariti; insegnavate a ben accudire alla casa, attenendosi alla norma della sottomissione e ad essere assai prudenti. II, 1. Tutti eravate umili e senza vanagloria, volendo più ubbidire che comandare, più dare con slancio che ricevere. Contenti degli aiuti di Cristo nel viaggio e meditando le sue parole, le tenevate nel profondo dell'animo, e le sue sofferenze erano davanti ai vostri occhi. 2. Così una pace profonda e splendida era data a tutti e un desiderio senza fine di operare il bene e una effusione piena di Spirito Santo era avvenuta su tutti. 3. Colmi di volontà santa nel sano desiderio e con pietà fiduciosa, tendevate le mani verso Dio onnipotente, supplicandolo di essere misericordioso se in qualche cosa, senza volerlo, avevate peccato. 4. Giorno e notte per tutta la vostra comunità vi adoperavate a salvare con pietà e coscienza il numero dei suoi eletti. 5. Gli uni verso gli altri eravate sinceri, semplici e senza rancori. 6. Ogni sedizione ed ogni scisma era per voi orribile. Vi affliggevate per le disgrazie del prossimo e ritenevate le sue mancanze come vostre. 7. Senza pentirvi mai di ogni buona azione, eravate pronti ad ogni opera di bene. 8. Ornati di una condotta virtuosa e venerata, compivate ogni cosa nel timore di Lui: i comandamenti e i precetti del Signore erano scritti nella larghezza del vostro cuore. Giusto Ufficio XLIV, 1. I nostri apostoli conoscevano da parte del Signore Gesù Cristo che ci sarebbe stata contesa sulla carica episcopale. 2. Per questo motivo, prevedendo esattamente l'avvenire, istituirono quelli che abbiamo detto prima e poi diedero ordine che alla loro morte succedessero nel ministero altri uomini provati. 3. Quelli che furono stabiliti dagli Apostoli o dopo da altri illustri uomini con il consenso di tutta la Chiesa, che avevano servito rettamente il gregge di Cristo con umiltà, calma e gentilezza, e che hanno avuto testimonianza da tutti e per molto tempo, li riteniamo che non siano allontanati dal ministero. 4. Sarebbe per noi
34 Sant'Ireneo, Adversus Haereses, III, 3, 2, in PG, 7, coll. 848-849. 35 Perrone, Origine e natura del Papato, in AA.VV., Il Papa nel pensiero degli scrittori religiosi e politici, vol. I, pp. 36-37. 36 Garuti, Primato, p.51. 37 San Clemente Romano, lettera Propter subitas ai Corinzi del 97(?) in Denz-H, nn. 101-102.
colpa non lieve se esonerassimo dall'episcopato quelli che hanno portato le offerte in maniera ineccepibile e santa. 5. Beati i presbiteri che, percorrendo il loro cammino, hanno avuto una fine fruttuosa e perfetta! Essi non hanno temuto che qualcuno li avesse allontanati dal posto loro stabilito. 6. Noi vediamo che avete rimosso alcuni, nonostante la loro ottima condotta, dal ministero esercitato senza reprensione e con onore. Sottomissione ai presbiteri LVII, 1. Voi che siete la causa della sedizione sottomettetevi ai presbiteri e correggetevi con il ravvedimento, piegando le ginocchia del vostro cuore. 2. Imparate ad assoggettarvi deponendo la superbia e l'arroganza orgogliosa della vostra lingua. E' meglio per voi essere trovati piccoli e ritenuti nel gregge di Cristo, che avere apparenza di grandezza ed essere rigettati dalla sua speranza. 3. Così parla la sapienza maestra di virtù: “Ecco, io emetterò per voi una parola del mio spirito e insegnerò a voi il mio discorso. 4. Poiché chiamai e non ascoltaste, prolungai i discorsi e non foste attenti, ma frustraste i miei consigli e disobbediste ai miei richiami. Anch'io riderò della vostra rovina, e mi rallegrerò se arriverà lo sterminio su di voi e se improvviso giungerà il tumulto e sovrasterà la catastrofe simile al turbine e quando avverranno l'angoscia e l'oppressione. 5. Accadrà che voi m'invocherete e non vi ascolterò; i cattivi mi cercheranno e non mi troveranno. Odiarono la sapienza, non vollero saperne del timore del Signore, né vollero ascoltare i miei consigli e disprezzarono le mie esortazioni. 6. Per questo mangeranno i frutti della loro condotta e si sazieranno della loro empietà. 7. Saranno uccisi per aver commesso ingiustizie contro i fanciulli e il giudizio distruggerà gli empi. Chi mi ascolta riposerà fiducioso sulla speranza e vivrà tranquillo lontano da ogni male”.
Il fatto stesso che il Vescovo di Roma, e lui solo, sia intervenuto in problemi interni di una chiesa così lontana, mentre ad Efeso viveva ancora l'apostolo San Giovanni, e comunque altre chiese asiatiche avevano relazioni più strette e amichevoli con quella Chiesa, così come il tono autorevole della lettera e la venerazione con cui essa fu accolta 38, sono una prova chiara del Primato del Vescovo di Roma alla fine del I secolo. È per questo che la lettera di San Clemente Romano è stata definita “l'epifania del Primato romano”.39 circa dieci anni dopo,Sant'Ignazio, vescovo di Antiochia, durante il viaggio d'Antiochia Roma, dove fu martirizzato, scrisse una lettera ai cristiani di Roma nell'intento di dissuaderli dall'intervenire in suo favore per risparmiargli la morte. In questa lettera ricca di epiteti laudativi verso la Chiesa di Roma, egli le riconosce una preminenza sull'intera Chiesa universale, «Voi avete istruito gli altri e io desidero che restino ferme quelle cose che voi prescriveste con il vostro insegnamento».40 Sant'Ignazio afferma ancora che la Chiesa di Roma “presiede all'agape”. La parola “agape”, se tradotta come “carità”, perde la sua valenza ecclesiale: essa è per Ignazio La comunità cristiana, la Chiesa universale (che egli per primo chiama Cattolica) unità dal vincolo dell'amore. Questo riconoscimento tanto più valore, in quanto egli era vescovo di Antiochia, che vantava di essere la Chiesa costituita dallo stesso apostolo Pietro. 41 nel secondo secolo la Chiesa romana manifestò la sua autorità in occasione della cosiddetta “controversia Pasquale”. Il Papa San Vittore I, che governò la Chiesa di Roma verso la fine del II secolo (189-199 circa), aveva ordinato che la celebrazione della Pasqua cristiana non dovesse coincidere con quella ebraica, ma fosse trasferita nella domenica successiva. Un concilio di vescovi fu adunato in Asia minore per suo ordine ma, non volendo esser adattarsi alla liturgia romana, furono minacciati di scomunica dal Papa, S. Ireneo, vescovo di Lione, consigliò al pontefice una maggiore prudenza, ma senza mettere in discussione la sua autorità42. Lo stesso Ireneo ha lasciato una chiara testimonianza del Primato della Chiesa di Roma, affermando che su questa Chiesa, per la sua autorità superiore (potentior principalitas),devono necessariamente regolarsi tutte le altre. In essa infatti sempre stata conservata la tradizione degli Apostoli43. A questo punto Ireneo inserisce la lista già citata dei vescovi di Romada lui conosciuti, lista che comprende undici nomi, da Lino, primo successore di Pietro, fino a Eleuterio (175-189). Eccone riportato il passaggio interessato: “Dunque la tradizione degli apostoli manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono riscontrare la verità, così possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. (…)Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli. Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell'episcopato; di quel Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo (cf. 2Tm 4, 21). A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l'episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la 38 Sappiamo dalla Storia Ecclesiastica di Eusebio che l'epistola di Clemente Romano, attorno al 170, veniva letta nella liturgia domenicale( IV, 23,11). 39 Battifol, L'Eglise naissante et le cactholicisme, p. 146. 40 Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad Romanos, 3, I. in Enchiridion Patristicum, n 52, pp. 17-18. 41 Cfr. Gal. 2,11; Storia Ecclesiastica III, 36, vol. I, pp. 183-186. 42 Eusebio, Storia Ecclesiastica,V, 24,9-18, vol. I,pp.301-303. 43 Sant'Ireneo,Adversus Haereses, III, 3,2, in PG, sette,coll. 848-849.
Chiesa di Roma inviò ai Corinzi un'importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli… A questo Clemente succede Evaristo e, ad Evaristo, Alessandro; poi, come sesto a partire dagli apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione dell'episcopato Eleutero. Con quest'ordine e queste successioni è giunta fino a noi la tradizione che nella Chiesa a partire dagli apostoli è la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità".
E' difficile, trovare un'espressione più netta dell'unità dottrinale della Chiesa universale; dell'importanza sovrana, unica della Chiesa romana come testimone custode e organo della tradizione apostolica; della sua superiorità nell'insieme della cristianità44. Un'altra controversia, dopo quella pasquale, oppose la Chiesa di Roma a quelle d'Africa e dell'Asia Minore, che non riconoscevano la validità del battesimo amministrato dagli eretici. Santo Stefano (254-257) fu il primo pontefice romano che giustificò il suo intervento in altre Chiese rivendicando il diritto di successione nel Primato di Pietro45 e imponendo alle altre Chiese di uniformarsi alla Chiesa di Roma, che non ribatezzava quanti erano già stati battezzati dagli eretici. Molti studi sono stati dedicati a determinare la posizione di Tertulliano e Cipriano nei confronti della Chiesa romana. Tertulliano (ca. 155-222) quando era cattolico, dimostrò grande venerazione per Roma, norma della verità 46, arbitra della “comunione”47 dove era vissuto e morto l'apostolo Pietro48; riconobbe che Pietro è stato costituito fondamento della Chiesa, con poteri singolari e supremi, che Cristo volle trasmessi alla Chiesa 49, ma poi, avendo aderito alla setta montanista, sostenne che questi erano strettamente personali.50 San Cipriano (ca. 205-280) vescovo di Cartagine, è tanto testimone quanto avversario del Primato romano per il controverso passo del capitolo IV del suo trattato De catholicae ecclesiae unitate. Egli da un lato considera la Chiesa di Roma la legittima erede dei poteri di Pietro, anzi la “cattedra di Pietro” 51, ma queste esplicite affermazioni sul Primato di Pietro sono attenuate dal riconoscimento di eguali poteri agli Apostoli. A Pietro non resta che un Primato molto generico che San Cipriano intende in funzione dell'unità della cristianità, senza voler attribuire al Vescovo romano un potere giurisdizionale su tutta la Chiesa. E' significativo però un fatto: essendosi il vescovo di Arles reso indegno per eresia, san Cipriano, consultato dal vescovo di Lione, non rinviò la questione ai vescovi della provincia, come ci si sarebbe attesi, ma invitò papa Stefano ad intervenire con la sua autorità 52, dimostrando con i fatti la sua convinzione che il Vescovo di Roma, e lui solo, poteva giudicare e deporre gli altri vescovi 53. Una testimonianza quasi contemporanea alla precedente viene dall'Egitto. San Dionigi, vescovo di Alessandria (m. nel 268), denunciato per dottrine sospette da alcuni suoi fedeli, fu invitato da papa Dionisio (259-268?) a giustificarsi: cosa che fece senza difficoltà, anzi assicurando che lo avrebbe consultato in tutte le questioni dottrinali e disciplinari più difficili54. In base all'epistolario di Dionigi, conservato da Eusebio, e ad altri dati storici, monsignor Duchesne, insigne storico della cristianità, ha potuto concludere che: tutte le Chiese del mondo, dall'Arabia, l'Osroene, la Cappadocia, fino all'estremità dell'Occidente, sentono in tutte le cose, nella fede, nella disciplina, nel governo, nei riti, nelle opere di carità, l'incessante azione della Chiesa romana. Essa è conosciuta ovunque, come dice Ireneo, presente da per tutto. Davanti ad essa nessuna concorrenza, nessuna rivalità. Nessuno ha l'idea di mettersi alla pari di essa. Più tardi si avranno i patriarcati e primazie locali; ma a mala pena, nel corso del sec. III, se ne possono scorgere i primi lineamenti, più o meno vaghi. Al di sopra di questi organismi in formazione, come al di sopra dell'insieme delle Chiese, si eleva la Chiesa di Roma nella sua maestà sovrana, rappresentata dai suoi vescovi la cui lunga serie si riallaccia ai due corifei del coro apostolico; che si sente, si afferma, è ritenuta in tutto il mondo come il centro e l'organo dell'unità 55.
Il coro che si innalza da più parti, chiese evangeliche in testa, di un ritorno alla chiesa primitiva come unica fonte di Fede certa secondo il Vangelo, ci fa ben comprendere come i fatti storici oggettivi dimostrino quanto essa, la Chiesa primitiva, era pienamente consapevole del Primato di Pietro e della Chiesa di Roma, dottrina appresa dagli stessi Apostoli secondo il volere di nostro Signore Gesù Cristo.
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Duchesne, Eglises séparées, p.119. Lattanzi, Il Primato Romano, pp. 116-117. Tertulliano, De praesciptione haereticorum, 36, 4, in PL, 2, coll. 58-61. Tertulliano, Adversus Praxeam, I, 6, in PL, 2, col. 178. Tertulliano, De praesciptione haereticorum, 36, 3 in PL, 2, col. 61. Tertulliano, Scorpiace, 10,12,in PL, 2, coll. 164-165. Tertulliano, De pudicitia, 21,10, in PL, 2, coll. 1078-1079. S. Cipriano, Epistula, 55,14, in PL 3, coll. 843-849; De unitate Ecclesiae, c.4, in PL, 4, coll. 513-516. San Cipriano, Epistula, 65, in PL, 3, col. 1023. San Cipriano, Epistula, 55, 67, in PL, 3, coll. 843, 1023. S. Atanasio, De sententia Dionysii, 13 e 18, in PG, 25, coll. 461 e 500-505; cf. Eusebio, Storia Ecclesiastica, VII, 26, vol. II, p.125. 55 Duchesne, Eglises séparées, pp. 155-56.
Il Papato tra Oriente e Occidente. Anche i grandi concili dell'antichità confermano l'esistenza del primato pontificio. Il Concilio di Nicea (325), convocato dall'Imperatore Constantino con il consenso del vescovo di Roma e presieduto dal suo legato Osio di Cordova, espresse la convinzione genereale del Primato del Papa nel fatto che questi sottoscrisse gli atti del concilio prima di tutti, anche dei vescovi di Alessandria, Antiochia e Palestina 56. Ma ancora più evidente il Primato pontificio apparve nelle controversie che seguirono il Concilio, nelle quali ortodossi e ariani riconobbero Roma come supremo tribunale di appello57. Dopo la morte dell'Imperatore Costantino (337) s'inasprirono gli intrighi e le violenze degli ariani e semi-ariani, seguaci di Eusebio di Nicomedia, contro Atanasio (295-373), vescovo di Alessandria, che venne deposto nel 335. E' importante sottolineare che al Vescovo di Roma si rivolsero per ottenere giustizia non solo Atanasio, ma gli stessi eretici, confermando con ciò l'autorità universale della sede romana. Di fronte alla loro richiesta di far approvare la deposizione di Atanasio, papa Giulio I (337-352) invitò a Roma accusatori ed accusati: «Forse ignorate», scrive loro, «che questa era la consuetudine: che venga scritto prima a noi, e così venga stabilito di qui ciò ch eè giusto?»58. Quando una cinquantina di vescovi riuniti ad Antiochia tornarono a condannare Atanasio, il Papa, nell'autunno del 343, convocò un Concilio generale a Sardica (Sofia) dove il diritto di appello a Roma contro la sentenza di un vescovo fu sanzionato nei famosi canoni 35-41, formulati «per onorare la memoria dell'apostolo Pietro e la sua sede»59. Nella lettera Quod semper a papa Giulio intorno al 343, si dice che «questa risulterà essere la cosa migliore e più appropriata; che i sacerdoti del Signore da tutte le singole provincie facciano riferimento al capo, cioè alla sede dell'Apostolo Pietro»60. In Occidente non si pensava diversamente. I Concili di Elvira (306) e di Arles(314) recepiscono molte decisioni dottrinali e disciplinari della Chiesa di Roma e la informano delle loro decisioni perché Roma è il centro della cattolicità: «cathedra Petri, ecclesia principalis»61. Anche sant'Ottato (320-385) vescovo di Milevi in Numidia, attorno al 370 si richiama al Primato petrino nella sua opera contro il donatista Parmeniano, ricordando l'esistenza di un “unica cattedra di Pietro”62. Sant'Ambrogio (340-397) scrive all'Imperatore Graziano «perché non lasci turbare la Chiesa romana, dalla quale vengono a tutti i diritti della veneranda comunione»63 e ricapitola il suo pensiero con la celebre formula Ubi Petrus ibi Ecclesia «Dove è Pietro ivi è la Chiesa»64. Una delle immagini più frequenti con cui rappresenta la Chiesa è quella della barca che solo Pietro può condurre con sicurezza tra i flutti. San Damaso (366-384) fu il primo Papa a definire la Chiesa romana “Sede Apostolica” (Sedes Apostolica). Nel 382 egli convocò a Roma un Concilio che dichiarò che la Chiesa romana non era stata creata da un decreto sinodale, ma era stata fondata per volontà divina dai due Apostoli Pietro e Paolo. Importante per la storia del Papato fu anche l'invito che egli rivolse a san Girolamo di tradurre la Bibbia in un latino facilmente comprensibile, la cosidetta Vulgata , destinata a costituire un importante strumento di unificazione religiosa per la Chiesa universale. San Girolamo (331-420), il grande Dottore della Chiesa Latina che visse in Oriente e in Occidente, considera la Chiesa di Roma come la suprema autorità ecclesiastica, tant'è vero che, essendo egli incardinato nella diocesi di Antiochia, sede episcopale contesa da ben tre vescovi, due dei quali erano cattolici e uno ariano, e non sapendo con chi dovesse comunicare, per non correre il rischio di trovarsi fuori dalla Chiea, si rivolge a Papa Damaso con queste parole: «Io sono in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro. So che la Chiesa è edificata su quella pietra (…) Chi non raccoglie con te disperde, cioè chi non è di Cristo è dell'anticristo». 65 Nelle intricate questioni suscitate dagli eretici, anche san Basilio Magno (330-379), vescovo di Cesarea, invocò l'intervento di Papa Damaso per sanare lo scisma di Antiochia66. San Damaso, consapevole della sua autorità, dettò una formula di fede alla quale dovevano aderire tutti «coloro che volevano conservare la tradizione apostolica»67. La formula fu sottoscritta di fatto da 146 vescovi nel Concilio di Antiochia del 379. L'Editto di Tessalonica, indirizzato al popolo di Constantinopoli il 27 Febbraio 380, ribadì in maniera ufficiale la necessità della comunione con la sede di Roma. Nello stesso anno venne convocato, senza preavvertire Damaso, un Concilio a Costantinopoli (381), poi considerato come il secondo ecumenico; esso dichiarò che il «vescovo di Costantinopoli ha il primato di onore dopo quello di Roma, perché Costantinopoli è la Nuova Roma» (can. 3)68. Pur riconoscendo il Primato romano, il Concilio ne metteva in discussione l'origine divina, per poter avanzare i 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68
Battifol, La paix constantinienne et le catholicisme, pp. 330 sgg. Bernardakês, Les appels au pape, pp. 30-42. 118-126, 248-257; Battifol, Cathedra Petri, pp. 215-248. Denz-H, n. 132; Collantes, LA Fede della Chiesa cattolica, p. 443. Collantes, La fede della Chiesa cattolica, p. 444. Denz-H, n. 136. Battifol, Cathedra Petri, pp.105 sgg. S. Ottato di Milevi De schismate Danatistarum, in PL, 11, col. 947. Sant'Ambrogio, Ep. II, 4, in PL, 16, col. 986. Sant'Ambrogio, in PS, 40,30, in PL, 14, col. 1134. San Girolamo, Epistula 15 ad Damasum, in PL, 22, coll. 355-356. S. Basilio, Epistula 70 ad Damasum, in PG, 32, col. 433. Teodoreto, Historia Ecclesiastica, V, 10, PG, 82, coll. 1219-1222. Collantes, La fede della Chiesa cattolica, p. 445.
diritti di Costantinopoli, in una prospettiva di rivendicazione politica, più che teologica, anche se la capitale dell'impero d'Oriente non cessava di ricorrere a Roma nei momenti più difficili. In Occidente il Primato di Roma, al principio del Vsecolo, è fuori discussione, manifestandosi nei numerosi interventi dottrinali contro i donatisti, i pelagiani, gli origenisti, e nella sollecitudine pastorale verso tutte le Chiese. Papa Siricio (384-399), successore di Damaso, legifera sul battesimo degli eretici, sulla castità sacerdotale, sull'ordinazione dei monaci, invocando la successione petrina. Siricio, fu il primo a usare il tipo di lettera detta “decretale”, che dava un giudizio di autorità definitiva su una controversia. 69 In quella che è la più antica “decretale” pervenutaci, Siricio si dichiara erede di S. Pietro, sostenendo di portare il fardello di tutti, «anzi lo porta in noi il beato apostolo Pietro, che protegge difende tutto noi, eredi del suo ministero»70. San Giovanni Crisostomo (347-407), patriarca di Costantinopoli, partendo per l'esilio in seguito alle macchinazioni dei suoi nemici (404), si appellò ai vescovi occidentali, soprattutto a papa Innocenzo I (402-417). Il Pontefice fu il solo che agì energicamente in sua difesa non esitando a scomunicare i vescovi di Costantinopoli, Antiochia e Alessandria perché non volevano riconoscere l'innocenza del Crisostomo; alla fine essi dovettero piegarsi alle ragioni di Roma71. Nel 417 Innocenzo I, approvando la condanna del pelagianesimo fatta dai vescovi africani, scriveva loro che, secondo l'antica tradizione, nessuna causa ecclesiastica, anche nelle regioni più remote, si deve considerare finita finché non si pronuncia la Sede Apostolica72. Fu allora che Sant'Agostino, nel dar conto al popolo delle decisioni di Roma, pronunciò la famosa frase: «Roma locuta est, causa finita»73. Nel 431 si svolse ad Efeso il terzo concilio ecumenico dell'antichità cristiana. Nella sessione dell'11 luglio, il presbitero Filippo, legato papale, dichiarò essere noto e indubbio che il beato Pietro, principe capo degli Apostoli, e fondamento della Chiesa, vive giudica nei suoi successori a Roma74, esortando i membri del concilio ad uniformarsi alle delibere del suo successore, S. Celestino I (422-432). Appena ricevuti gli atti del Concilio, il Papa li approvò per quanto riguardava la condanna di Nestorio, ma li respinse per quanto riguardava la condanna di Giovanni di Antiochia, fatta senza il suo consenso. San Leone I (440-461) portò al suo apogeo l'unità della Chiesa universale e può essere considerato il teologo più completo del Papato nel primo millennio75. «La nostra sollecitudine», scriveva al metropolita dell'Illirico orientale (Epp. 5,2), «si estende a tutte le chiese; perché così esige da noi il Signore, che consegnò al beatissimo apostolo Pietro il Primato dell' apostolica dignità in premio della sua fede, costituendo nella solidità dello stesso fondamento tutta la Chiesa». La coscienza che Leone aveva del suo primato nella Chiesa, come successore di Pietro, è evidente nei suoi discorsi e nei continui interventi dottrinali disciplinari in cui si definisce il capo della Chiesa universale e agisce come tale.76 Leone spiegò con chiarezza il significato della successione petrina, riassumendola nella formula: «indegno erede di San Pietro». Il Papa diveniva l'erede di S. Pietro per quanto riguardava il suo status giuridico e i suoi poteri oggettivi ma non per quanto riguardava il suo status personale e suoi meriti soggettivi. La distinzione tra l'ufficio e il detentore dell'ufficio, tra la persona pubblica del Papa e la sua persona privata si sarebbe rivelata fondamentale nella storia del Papato. Durante il Pontificato di Leone Magno si svolse, dall'8 ottobre al 1 novembre 451 a Calcedonia, presso Costantinopoli, sotto la presidenza dei legati papali, il quarto Concilio ecumenico, convocato dall'Imperatore al fine di dirimere le controversie cristologiche che dilaniavano l'Oriente cristiano. I padri di Calcedonia, con una lettera sinodale, informarono papa Leone dei loro lavori riproponendo l'immagine che poteva ormai dirsi patrimonio comune: il Papa è nella Chiesa ciò che la testa è per le membra77. La cosidetta Lettera dogmatica di Leone I, letta dai legati pontifici nella sessione del 10 ottobre 451, fu una solenne affermazione del Primato romano che sarebbe valsa al Pontefice, 1300 anni più tardi, il titolo di Dottore della Chiesa. L'assemblea accolse all'unanimità questa dichiarazione con le famose parole: «San Pietro ha parlato per bocca di Leone». Ma poi, nel suo XXVIII capitolo, il Concilio di Calcedonia stabilì che la nuova Roma (Costantinopoli) aveva un rango d'onore simile a quello della vecchia Roma. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, lìimperatore bizantino, senza negare apertamente il Primato della Chiesa di Roma, se ne staccava sempre più, mal tollerando i suoi interventi nelle Chiese d'Oriente. In questo periodo, sotto l'influsso dell'organizzazione civile romana, andò affermandosi l'istituto patriarcale, tatificato ufficialmente dalle legislazione di Giustiniano (527-565). Essa attribuiva all'Imperatore il Primato e riduceva di fatto il Papato a un patriarcato all'interno dell'Impero, rovesciando il programma di Papa Gealsio I (492-496) che aveva proclamato il primato universale della Chiesa romana. Veniva così riconosciuta l'esistenza di cinque cllassici patriarcati 69 Ullmann, Il Papato nel Medioevo, p.11. 70 Papa Siricio, Lettera Directa ad decessorem (10 Febbraio 385), in Collantes, La Fede della Chiesa, p. 446; Denz-H, nn. 181-182. 71 Battifol, Le siége apostolique, pp. 267-326; Falbo, Il primato della Chiesa di Roma, pp. 177-184. 72 Innocenzo I, lettera In Requirendis ai Vescovi del sinodo di Cartagine (27 gennaio 417), in Denz-H, n. 217. 73 “Roma ha parlato, la causa è definitivamente finita.” Sant'Agostino l', Sermo 131 (23 settembre 417) in PL 38, col. 734. 74 Denz-H, n. 112. 75 Minnerath, Le Pape, p. 129; Battifol, Léon I, col. 292. 76 S. Leone Magno, Epistula 103, il PL, 54, col. 992. 77 San Leone Magno, lettera Sinodale Repletum est del novembre 451.
con il rispettivo ordine di precedenza e la relativa giurisdizione; Roma, Constantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Il Papa tuttavia, come ben sottolinea padre Garuti, non si considerava , e non era considerato in Occidente, Patriarca. Il Vescovo di Roma non ebbe una specifica giurisdizione sull'Occidente e neppure sull'intera italia, malgrado il titolo di “Episcopus Italiae”. Quando egli interveniva al di là della propria zona metropolitana, lo faceva in virtù dello supremo potere nella Chiesa, il Pontefice «conferma i patriarchi, li consiglia ed esorta e quando si rende necessario li ammonisce e riprende, impartisce loro ordini, talvolta anche sotto minaccia della scomunica e arriva perfino a deporli»78. I Papi non hanno mai accolto il principio della pentarchia, nel senso inteso dagli orientali di una giurisdizione del Vescovo di Roma limitata all'Occidente. Essi hanno avuto invece sempre viva la coscienza di essere a capo di quel collegio con un compito di direzione proveniente dal loro potere primaziale. Dopo la scomunica del patriarca di Costantinopoli Acacio da parte di Papa Gelasio, papa Ormisda (514-523) fece sottroscrivere ai vescovi orientali una Formula di Unione con cui essi riconoscevano la loro sottomissione alla Cattedra di Pietro. Il 28 marzo del 519, alla presenza dell'Imperatore e del patriarca di Costantinopoli, il diacono Dioscoro, dopo aver spiegato le ragioni della scomunica di Acacio, presentò la cosiddetta “Formula di Orsmida” in cui si legge: Prima condizione per la salvezza è quella di custodire la regola della fede ortodossa e non deviare in nulla dalle istituzioni dei padri. E poiché non può diventare morta l'espressione del Signore nostro Gesù Cristo che dice ;«Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa»(Mt 16,18), questa affermazione si verifica nei fatti perché nella Sede Apostolica la religione cattolica è sempre stata conservata immacolata 79. Alla firma del patriarca di Constantinopoli seguì quella di ben 2.500 vescovi e capi di monastero allora presenti nella capitale dell'Impero. L'episodio conferma come il patriarca di Constantinopoli e gli altri patriarchi d'Oriente, prima dello scisma, riconoscevano esplicitamente il Primato del Vescovo di Roma. Quando il patriarca di Costantinopoli assunse il titolo di Patriarca ecumenico, cioè universale, san Gregorio Magno, Papa tra il 590 e il 604, gli contrappose il titolo di “servo dei servi di Dio”, cioè di colui che ha la massima autorità perché rende il massimo servizio. San Niccolò I (858-867) ricapitolò in forma sistematica tutte le rivendicazioni dei suoi predecessori nella lunga lettea scritta all'Imperatore Michele III nell'anno 865. In essa egli precisa che i privilegi della Chiesa romana sono stati fissati nel beato Pietro per bocca di Cristo, sono stati celebrati nei concili ecumenici e venerati da tutta la Chiesa e non possono essere diminuiti né infranti, né mutati, poiché il loro fondamento è posto da Dio 80. In una lettera indirizzata a Papa Niccolò, il patriarca di Costantinopoli Ignazio scrisse a sia volta: Per guarire (le malattie) che attaccano le membra del Corpo di Cristo, il Capo della Chiesa cattolica apostolica, il Re supremo, il Verbo, onnipotente[...] non ha creato altre che un solo ed unico medico, cioè la Vostra fraterna Santità e la Vostra paterna Benevolenza, dicendo a Pietro, il più grande degli Apostoli, «Tu sei Pietro ecc.» Queste parole benedette Egli non le ha circoscritte e limitate, con privilegio speciale, al solo Principe degli Apostoli, ma le ha trasmesse per mezzo di lui a tutti quelli che, come lui e dopo di lui, dovevano essere i sovrani pastori e i divi pontefici dell'antica Roma.81 Come risulta da questa professione di fede del patriarca di Costantinopoli, la concezione “acefala” della Chiesa ortodossa non è stata professata nel primo millennio. Essa risale alla rottura del patriarca Fozio nel secolo IX provocata proprio dal rifiuto di sottomettersi a un autorità fino allora riconosciuta come suprema, sia pure con momenti di forte tensione e con una sensibilità diversa da quella occidentale. L'unione fu ritrovata quando Fozio perdette il favore del nuovo Imperatore e fu deposto. Ma non poté più essere ricostituita quando nel 1054 Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, si separò definitivamente da Roma dichiarandola caduta nelll'eresia per motivo del “Filoque”82, dell'uso di pane azzimo, del digiuno in giorno di sabato, dell'anello portato dai vescovi, e per altri pretesti. Il 16 luglio 1054, i legati romani deposero la sentenza di scomunica contro Michele Cerulario sull'altare della Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli. Cerulario rispose con la scomunica dei legati. Lo scisma d'Oriente venne così consumato.
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Garuti, Il Papa, pp.31-32. Ormisda, Formula di Fede dell'11 agosto 515, in Denz-H, n. 363. Niccolò I, Epistula ad Michael imper., in PL, 119, coll. 926 sgg. Mansi, XVI, p.47. L'espressione latina filioque significa "e dal figlio" e deve la sua importanza al fatto di essere in uso nelle chiese di rito latino, in aggiunta al testo del Credo niceno-costantinopolitano, nella parte relativa allo Spirito Santo: qui ex patre (filioque) procedit, cioè "che procede dal Padre (e dal Figlio)".
Il potere del Sommo Pontefice I. Il Corpo Mistico
La Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo La Chiesa una, santa, cattolica e apostolica, non si lascia racchiudere in rigide categorie concettuali, perché, come osserva il cardinale Journet «è troppo ricca per ridursi a un solo concetto e a rispondere a un solo nome»83. Tuttavia, secondo Pio XII volendo definire e descrivere la Chiesa cattolica, «nulla si trova di più nobile, di più grande, di più divino di quell'espressione con la quale essa viene chiamata il Corpo Mistico di Cristo»84. Nell'enciclica Mystici Corporis, Pio XII ha mirabilmente sviluppato il concetto paolino del Corpus Mysticum quod est Ecclesia (Ef. 1, 23; Col. 1, 18-24), secondo cui la Chiesa è un Corpo composto di differenti membra, legate tra loro in modo organico per conseguire lo stesso fine. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. Il Corpo Mistico, a somiglianza del Verbo Incarnato, possiede una profonda vita spirituale, insieme con una struttura organica e sociale. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. Il Corpo Mistico, a somiglianza del Verbo Incarnato, possiede una profonda vita spirituale, insieme con una struttura organica e sociale85. Come il suo Fondatore, la Chiesa consta di un elemento umano, visibile ed esterno, dato dalla moltitudine degli uomini che la compongono, e di un elemento divino, spirituale, invisibile, dato dai doni soprannaturali che pongono la società umana sotto l'influsso dello Spirito Santo, anima e principio unitivo di tutto l'organismo. Essa è una società visibile e spirituale al tempo stesso, temporale ed eterna, umana per le membra di cui si compone e divina per la sua origine, il suo fine e i suoi mezzi soprannaturali. «La Chiesa cattolica, afferma Pio XII, è il grande mistero visibile, perché visibile è il suo capo sulla terra, il Vicario di Cristo, visibili sono i suoi ministri, visibile la sua vita, visibile il suo culto, visibile l'opera e l'azione sua per la salvezza della perfezione degli uomini»86. Allo stesso modo di alcune eresie dei primi secoli, come quelle dei fotiniani e nestoriani, che negarono la divinità di Cristo, non è mancato chi, in prospettiva naturalista, soprattutto nel secolo XIX, ha negato o vanificato la dimensione divina della Chiesa, riducendolo al suo aspetto giuridico; analogamente, come alcune eresie vi gettarono l'umanità di Cristo, come quelle dei monofisiti, così oggi si nega la visibilità della Chiesa e si vorrebbe ridurla alla sua dimensione invisibile carismatica. Pio XII ha mostrato che non può esistere nessuna contrapposizione tra la missione invisibile dello Spirito Santo e l'ufficio giuridico che i Pastori e i Dottori hanno ricevuto da Cristo. «L'insieme e l'unione di queste due parti è del tutto necessaria alla Chiesa, come alla natura umana l'intima unione dell'anima del corpo. Non è la Chiesa come un corpo morto,ma è il corpo di Cristo informato di vita soprannaturale»87.
La dimensione visibile e giuridica della Chiesa Essendo un corpo, La Chiesa visibile costituisce per volontà divina una società, ossia un organismo composto da una pluralità di uomini sottoposti a una medesima autorità e uniti dal vincolo di un medesimo diritto 88. La predicazione di Gesù Cristo non è stata solo morale, ma precettiva. Gesù «fu anche legislatore in senso forte»89 perché fondò una società giuridica e promulgò leggi costituzionali. Se egli fosse stato solo Rivelatore e Maestro avrebbe costituito una scuola di discepoli ma non una società perpetua. Cristo, afferma Pio XII, «ha fondato la sua Chiesa non come un movimento spirituale informe, ma come una comunità ben organizzata»90; «ora chi dice comunità e direzione di un autorità, dice con ciò stesso potere del diritto e della legge»91. La Chiesa è stata definita più volte dal Magistero come una società giuridicamente perfetta 92, dotata di piena 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92
Journet, L'Eglise du Verbe Incarné, II, 50. Pio XII, Mystici Corporis, in La Chiesa, pp. 69-70; cfr. Rom.12,4-6;1Cor. 12, 12-2; Ef. 4,4. Cattaneo, Corpo Mistico, col. 591; Tromp, Corpus Christi, pp. 402 e sgg. Pio XII, Discorso del 4 dicembre 1943, in Discorsi e Radiomessaggi, V, 133-134. Leone XIII,Enc. Satis Cognitum, in Enchiridion, n. 1238. Ottaviani, Istitutiones, pp.141-146; Sticker, Il mistero della Chiesa,pp. 166-181. Composta, La Chiesa visibile, p.428. Pio XII, Discorso Wie hissen Sie del 3 giugno 1956, in La Chiesa, II, p. 360. Pio XII,Discorso Dans notre souhait del 15 luglio 1950, in La Chiesa, II, p.242. Pio IX, Enciclica Quanta Cura del 8 dicembre 1864; Leone XIII, Enc. Immortale Dei, del 1 novembre 1885; Pio X Encicliche E supremi del 4 ottobre 1903 e Vehementer nos del 11 febbraio 1906; Pio XI, Enc. Ubi arcano del 23 dicembre 1922.
sovranità al suo interno e al suo esterno, ossia distinta e indipendente da ogni altro potere sulla terra 93, e provvista di tutti i mezzi per esistere e per operare in vista del compimento della sua missione. «Come lo Stato», afferma ancora Pio XII, «anche la Chiesa possiede un diritto sovrano su tutto ci; di cui essa abbisogna per raggiungere il suo fine, anche sui mezzi materiali»94. Il concetto di “società giuridicamente perfetta” è stato messo in discussione dall'attuale teologia progressista, ma inutilmente perché, come spiega un autorevole studioso, il Concilio Vaticano II, sottolineando nella Costituzione Gaudium et Spes, che «nel terreno che è loro proprio, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti l'una dall'altro e autonomi»95, ha ripreso, senza dirlo espressamente, la teoria tradizionale della “societas juridice perfecta”96. La Chiesa dunque è anche un'istituzione e la sua istituzionalità ha carattere teologico e non solo giuridico; le sue strutture organizzative non sono imitazioni della società civile e costituiscono un elemento permanentei 97. Anche il Concilio Vaticano II ha sottolineato la “realtà sociale” della Chiesa, definendola nella costituzione Lumen Gentium “società gerarchicamente organizzata”98. Il nuovo Codice di Diritto canonico da parte sua presenta la Chiesa «costituita e organizzata in questo mondo come una società»99. Paolo VI ha affermato: Il Vangelo non solo non abolisce l'autorità, ma l'istituisce e l'assicura.[...] Gesù Cristo infatti ha voluto che il suo insegnamento non sia soggetto alla libera interpretazione di ognuno, ma affidato ad un potere qualificato. […] Egli ha voluto che la sua comunità sia strutturata e riunita nell'unità, costituita gerarchicamente; che essa sia un organismo sociale, spirituale e visibile, una sola realtà complessa risultante da un duplice elemento, umano e divino (cfr. Lumen Gentium, n.8). E poiché la Chiesa è una realtà sociale, essa esige e postula delle strutture, delle norme esterne, con i caratteri propri del diritto: ubi societas, ibi jus, dove c'è la società, c'è il diritto100.
“Ubi societas, ibi jus”: ogni vita associata è impossibile senza norme giuridiche che la orientino al bene comune. Questa massima vale anche per la Chiesa basata, come ogni società, su di un ordine giuridico. Il Diritto canonico, che trae il suo nome dal greco “canon”, che significa regola, è costituito dall'insieme di differenti leggi e regole in vigore nella Chiesa cattolica. A Pio XII, per il quale «la vita della Chiesa e il diritto canonico sono inseparabili»101 ha fatto eco Giovanni Paolo II, il quale ha affermato che «il diritto è connaturale alla Chiesa»102. Non bisogna dare all'aspetto esterno e visibile della Chiesa un'importanza sproporzionata, dimenticando che la sua dimensione ultima su tre modo assoluto ogni ordine naturale. Tuttavia la contrapposizione fra “Chiesa giuridica” e “Chiesa della carità” è falsa, è stato ripetutamente sottolineato, perché la dimensione giuridica della Chiesa è ordinata al suo fine soprannaturale; diritto carità si completano e perfezionano a vicenda. Pio XII indica come simbolo di questa profonda unione tra il diritto della Chiesa e la sua vita spirituale la figura di San Pio X, «il quale fu l'ideatore del nuovo codice di Diritto Canonico e fu pure colui che aprì le sorgenti delle acque vive della vita sacramentale»103. Essendo una società soprannaturale, le leggi della Chiesa non si limitano, come quelle civili, agli atti esteriori, alle relazioni sociali; si estendono all'interno dell'individuo, regolando la sua intelligenza la sua volontà. La Chiesa inoltre una società volontaria necessaria, al di fuori della quale «non vi è salvezza», secondo una formula dogmatica definita dal Concilio Laterano IV e confermata dalla Tradizione, compreso il Concilio Vaticano II, secondo il quale «questa Chiesa in cammino sulla terra è necessaria la salvezza»104.
93 Cappello, Summa iuris, p.96; d'Onofrio, Le Pape, pp.40-41. 94 Pio XII, discorso Vous avez voulu, in La Chiesa, II, p.351. 95 Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n.76, par. 3. 96 D'Onorio, Le Pape, p.43. 97 Composta, La Chiesa visibile, pp.119-173. 98 Concilio Vaticano II, Lumen et Gentium, n.8. 99 CJC, can. 204, par.2. 100 Paolo VI, Allocuzione al Tribunale della Sacra Rota del 29 gennaio 1970, in Insegnamenti, VIII (1970), p.88. 101 Pio XII, Allocuzione del 3 giugno 1956, in Discorsi e Radiomessaggi, XVIII, pp. 259-260. 102 Giovanni Paolo II, Discorso di presentazione del nuovo codice di Diritto Canonico, 3 febbraio 1983, in Insegnamenti, VI, 1 (1983), p.314. 103 Pio XII, Discorso Wie heissen Sie del 3 giugno 1956, in La Chiesa, II, p.362. Tra le tante si potrebbe ricordare inoltre la figura del padre Felice Cappello s.j. (1879-1962), canonista e uomo di profonda carità cristiana di cui è in corso la causa di beatificazione. 104 Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n. 14.
Gerarchia e potestà nella Chiesa La Chiesa non è una società ugualitaria, in cui tutti i membri hanno eguali doveri e identici diritti. La sua costituzione è gerarchica perché il mandato di governarla è stato affidato da Cristo a Pietro e agli Apostoli che l'hanno trasmesso senza interruzione ai loro successori. A differenza dello Stato, spiega bene Pio XII, la fondazione della Chiesa non sia è effettuata dal basso verso l'alto, ma dall'alto al basso: Vale a dire che Cristo, il quale nella sua Chiesa ha attuato il Regno di Dio da Lui annunziato e destinato per tutti gli uomini di tutti i tempi, non ha affidato alla comunità dei fedeli la missione di Maestro, di Sacerdote, di Pastore ricevuta dal Padre per la salute del genere umano, ma l'ha trasmessa e comunicata a un collegio di Apostoli o messi, da Lui stesso eletti, affinché con la loro predicazione, con il loro ministero sacerdotale e con la potestà sociale del loro ufficio facessero entrare nella Chiesa la moltitudine dei fedeli, per santificarli, illuminarli e condurli alla piena maturità dei seguaci di Cristo 105.
Anche la costituzione conciliare Lumen Gentium lo precisa nel capitolo 20, sottolineando che «gli Apostoli ebbero cura di istituire in questa società gerarchicamente organizzata dei successori»106. Gerarchia è il complesso delle persone che partecipano della potestà ecclesiastica107, cioè di tutti poteri dei quali è investita in generale la Chiesa, e in modo speciale il Sommo Pontefice, per l'esercizio della sua missione. Fonte immediata della potestà ecclesiastica è Gesù stesso che dichiara di Apostoli: «data est mihi omnis potestas in coelo et in terra» (Mt. 16,18-19), e trasmette loro la stessa potestà che Egli ha ricevuto dal Padre: «sicut misit Pater et ego mitto vos» (Gv. 20,21), dando a Pietro ogni potere divino e umano necessario per l'attuazione del divino mandato (Mt. 16,19). il corpo visibile della Chiesa si divide, per divina istituzione in due classi: i laici e i chierici 108. Il Concilio di Trento, nel decreto sull'ordine sacro del 15 luglio 1563, anatematizza chi nega che «nella Chiesa cattolica vi è una gerarchia istituita per divina disposizione, che si compone di vescovi, i sacerdoti e di ministri» e, per contro, intima: Se qualcuno afferma che tutti i cristiani, senza distinzione, sono sacerdoti del Nuovo Testamento, o che tutti godono di uno stesso potere spirituale, allora costui non sembra far altro che sconvolgere la gerarchia ecclesiastica che “è come un esercito schierato battaglia” (Ct. 6,3-9); proprio come se, diversamente da quanto insegna il beato Paolo, fossero tutti apostoli, tutti profeti, tutti evangelisti, tutti pastori, tutti dottori (cf. Cor. 12,28-29; Ef. 4,11) 109.
II. Vicario di Cristo Tra tutti i titoli pontifici, quello che più si addice al Papa è quello di Vicario di Cristo. Monsignor Michele Maccarrone ha dimostrato come già il sinodo romano del 495 acclamò papa Gelasio con la formula Vicarium Christi te videmus110, contribuendo a definire una teologia del Primato che si svilupperà in maniera sistematica nel corso dei secoli. La formula Vicarius Christi è più precisa di quella di Vicarius Petri, perché il Papa non èm solo il successore di Pietro, ma è innanzitutto il Vicario di Cristo, dal quale riceve la missione di governare la Chiesa. Questa missione è esclusiva: solo il Papa legittimamente eletto assume il potere supremo e universale di Vicario di Cristo. La presenza simultanea di due Vicari di Cristo sarebbe contraria al diritto divino della Chiesa. Proprio per evitare equivoci a questo riguardo, molti teologi e canonisti hanno sottolineato l'opportunità del titolo “Papa emerito” assunto da Benedetto XVI dopo la sua rinuncia al pontificato. Non si tratta però di una trasmissione di poteri da Gesù Cristo al suo unico rappresentante, perché il Signore non designa un successore, ma mantiene il perenne possesso del Corpo Mistico. Il Papa è successore di Pietro, non di Cristo, di cui è “Vicario”, cioè subordinato. Nella Chiesa dunque «coesistono due poteri, non interferentisi l'uno con l'altro, perché Gesù Cristo è il principale reggitore che ha consociato a sé l'Apostolo»111. Ma a differenza di Cristo, che è il mandante perenne di questo potere, il Papa lo esercita come un mandato pro tempore. Il termine Vicario di Cristo non esprime dunque solo la potestà di giurisdizione del Papa, ma anche i limiti di questa giurisdizione, che non nascono da una pretesa “collegialità”, perché il potere del Papa è pieno, illimitato e universale, ma derivano da ciò che il termine “Vicario” esprime. È Gesù Cristo e solo Lui il fondatore, il Capo e il Padrone della Chiesa, e a Lui, prima che agli uomini che lo rappresentano, dovranno obbedire i fedeli nel caso, auguriamoci quanto mai raro ed eccezionale, in cui dovesse avvenire una defezione della Suprema Autorità nel campo 105 Pio XII, discorso Dacché piacque al Signore del 2 ottobre 1945, in La Chiesa, II, p.163. 106 Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, n.20. 107 Parente-Piolanti, Gerarchia Ecclesiastica, col. 82. 108 CJC, can. 207. 109 Denz-H, nn, 1776, 1767. 110 Maccarrone, Vicarius Christi, p.54. 111 Maccarrone, Vicarius Christi, p.14-15.
della Fede o della morale. Perciò affermiamo, con Monsignor Maccarrone, che «Vicarius Christi rimane il fondamento della dottrina cattolica del Primato papale, e la sua più felice espressione»112.
Carlo Borghesi
112 Ivi, p.305.