emanuele bugli |architetto
Medioevo
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Il filo che tiene insieme questo intervento/riflessione è la parola Medioevo. Ho seguito la suggestione personale che sempre mi ha ispirato Scarpa e la sua opera. Medioevo perché è l’epoca storica che più di altre ha definito se stessa attraverso la stratificazione e la contaminazione, e l’opera scarpiana cos’è se non questo? Al di là del mero riferimento a precise e definite esperienze progettuali in ambito archeologico, mi interessa di più l’idea astratta che il termine Medioevo richiama all’immaginazione: mura,colonne, capitelli, balaustre, sovrapposti,uniti, scoperti, usati, ecc ecc. Lo studio, il disegno, la passione, la volontà e la capacità di ridare vita a elementi architettonici che nel tempo rimangono ma cambiano uso e funzione. L’immagine nuova di oggetti antichi o semplicemente vecchi. Mentre nei progetti archeologici le tracce del passato si trasformano da soggetto a oggetto, da contenitore a contenuto dell’allestimento progettuale,in altri lavori come il Museo di Castelvecchio o le Gallerie dell’Accademia sono parte integrante dell’edificio nel quale si trova ad operare, e non possono essere considerate testimoni di un’altra memoria. Non c’è volontà di mandare dall’oggetto alla sua epoca,ma quella di unire le epoche in un solo tempo,luogo,manufatto. Medioevo è appunto questo saper costruire le cose sopra le cose,il saper cucire tra loro elementi, come il Medioevo ha stratificato la propria presenza elevandosi sopra il mondo precedente e preparando quello successivo, come il congelare una transizione. Guardare l’opera di Scarpa per me è sempre stato questo: scoprire gli strati di cui è composta. Come leggere un’immagine di un puzzle e vederne i singoli elementi. Castelvecchio,il luogo di quest’incontro, già di per sé riassume questa essenza. Non è il recupero storico del “com’era dov’era”, ma la celebrazione dell’architettura come forza a sé stante indipendente da ogni vincolo mentale precostituito. Sono particolarmente grato dell’invito rivoltomi a essere qui stasera, perché fu proprio Agav nel 2004 a contribuire, nel proprio piccolo, ad aggiungere un ulteriore tassello alla storia di questo manufatto, ispirando e contribuendo a realizzare l’installazione di Peter Eisenmann “il giardino dei passi perduti”. Un ulteriore strato nella sequenza storica, che dimostra la capacità già dell’opera scarpiana di integrarsi e saper integrare ulteriori interventi. Come leggere una cinta muraria medioevale, nella quale compaiono lacerti di iscrizioni romane, merli contemporaneamente di fogge differenti, intermezzi in laterizio, sasso e marmo, così leggere Scarpa per me è vedere tutto questo, il riassunto di molteplici istanze tutte magistralmente coesistenti in un solo manufatto. Scarpa stratifica ogni sua esperienza in ogni sua opera e la rende leggibile. E come l’opera Dantesca ha molteplici livelli di lettura, dal più letterale al più colto, così per me l’architettura di Carlo Scarpa: che diventa così architettura nella sua concezione più alta.
emanuele bugli architetto
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