arcireport
settimanale a cura dell’Arci | anno XII | n. 10 | 20 marzo 2014 | www.arci.it | report @arci.it
Il bicchiere mezzo pieno
Il Congresso di Bologna non sarà un’occasione persa e può ancora dare buoni frutti. Se sapremo ripensare le ragioni della nostra unità di Paolo Beni
La notizia ha destato sorpresa e qualche maliziosa ironia: il Congresso dell’Arci si è chiuso con un nulla di fatto. O meglio, non si è chiuso. Per evitare una traumatica frattura fra i delegati si è deciso di sospendere i lavori senza eleggere gli organismi dirigenti, incaricando un comitato di reggenti di riconvocare l’assemblea congressuale entro tre mesi. Sarà difficile spiegare a chi ci osserva dall’esterno che nonostante il suo epilogo quello di Bologna è stato invece un bel congresso: per la grande partecipazione dei delegati, il qualificato parterre di ospiti, la qualità di un dibattito intelligente, appassionato, unitario. Quasi cento delegati intervenuti in rappresentanza di esperienze diffuse in ogni angolo del paese sono lo specchio di un’Arci in crescita, che sta cambiando e ragiona su come sostenere e accompagnare questo cambiamento. Certo, fra i delegati si è respirato anche il disagio delle tensioni, la paura di divisioni, si è levata una accorata richiesta di unità. Siamo un’associazione che discute, e questo non può essere un difetto. Anche litigare in famiglia a volte è salutare, se poi ci si capisce e si risolvono i problemi.
È quando in famiglia nemmeno ci si parla che alla fine prima o poi ci si lascia. Abbiamo fatto un dibattito vero, che non va drammatizzato e non andrebbe nemmeno strumentalizzato. Dispiace che la stampa non abbia trovato altro da dire se non appassionarsi alla contesa fra i due candidati, piegandola oltretutto a consunti cliches nei quali non ci riconosciamo neppure. Ma non possiamo negare la contraddizione che tutti abbiamo notato fra la grande unità di intenti emersa dal dibattito politico, il consenso sui temi posti dal documento congressuale, i sessanta ordini del giorno approvati alla unanimità, e i problemi insormontabili che hanno bloccato la commissione elettorale fino a indurre il congresso a non eleggere gli organismi. Se condividiamo l’analisi politica, la lettura del contesto e del ruolo che vogliamo svolgere, se sulle cose da fare non ci sono grandi differenze, perché non dovremmo metterci d’accordo su come organizzarci per realizzarle? Lotte di potere nel gruppo dirigente, dirà qualcuno. Io penso che sia una semplificazione ingenerosa, perché al centro
del conflitto c’è invece anche un tema molto più nobile: come si esercita la rappresentanza nell’Arci, come si concilia il criterio della proporzionalità degli iscritti con l’esigenza di rappresentare tutta la pluralità delle esperienze territoriali, come innovare gli strumenti di partecipazione e di governo democratico della rete. Questioni importanti, che investono molti aspetti del funzionamento dell’Arci e non solo i criteri con cui si compone il consiglio nazionale; che esigono il coinvolgimento di tutta l’associazione in una riflessione collettiva e unitaria che sarebbe stato meglio non sacrificare alla pur legittima competizione fra i candidati alla presidenza. L’oggetto del contendere è il nostro modello di democrazia associativa, e non c’entra niente con ipotetici conflitti fra moderati e radicali o fra circolisti e movimentisti, che non hanno ragion d’essere e ci porterebbero indietro di vent’anni. Così come è insensato contrapporre esperienze territoriali forti e deboli. continua a pagina 2
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congressoarci
arcireport n. 10 | 20 marzo 2014
segue dalla prima pagina
L’associazione è impresa collettiva, comunità, non è un impero e non ha periferie dell’impero, non ammette feudi o feudatari. Ma se vuole essere una comunità utile a questo paese frammentato e complicato deve dare a tutte le sue realtà territoriali la stessa dignità e possibilità di concorrere alle scelte. Guai a contrapporre tradizione e nuove possibilità di sviluppo, il valore delle radici e la capacità di guardare al futuro. Guai a dimenticare che tutti siamo parziali, e che ci mettiamo insieme proprio per questo. Non c’è una parte dell’associazione che possa fare a meno dell’altra. Ringrazio Filippo e Francesca per essersi messi in gioco con spirito di
servizio, per la serietà e la passione con cui l’hanno fatto. E continuo ad auspicare che siano protagonisti insieme, ciascuno per le esperienze e sensibilità che è in grado di rappresentare, del governo unitario dell’Arci. A Bologna dovevamo scegliere il presidente di tutti fra due nostri dirigenti, non quale salvare e quale buttare fra due modelli associativi che non sono alternativi ma necessari l’uno all’altro. Questa è la prima cosa da rimettere sui binari se vogliamo che da questo congresso travagliato escano comunque buoni frutti. Abbiamo molte responsabilità. Ce l’hanno detto chiaro gli ospiti intervenuti al nostro congresso, associazioni,
partiti, istituzioni locali, assegnandoci un ruolo guida nel terzo settore italiano. Non dobbiamo sottovalutare il credito che abbiamo acquisito in questi anni e le aspettative che ci sono nei nostri confronti. L’Arci non è proprietà di questo o quel territorio, nemmeno di tutti noi. È un patrimonio del paese, della cultura e della società italiana, della sinistra, che non possiamo disperdere. Ma sono convinto che non succederà perché l’associazione ha gli anticorpi necessari per evitarlo. Se intanto c’è la consapevolezza del problema siamo già un passo avanti e possiamo dire che il bicchiere è mezzo pieno.
Il Congresso dell’Arci approva 60 ordini del giorno Dalla critica alla legge elettorale all’impegno contro le grandi opere inutili, dalla richiesta all’Europa di una radicale svolta nelle politiche economiche alla solidarietà alla popolazione siriana vittima del conflitto La terza giornata del Congresso nazionale dell’Arci si è conclusa con la votazione dei vari ordini del giorno, approvati tutti all’unanimità. Molti quelli che fanno riferimento all’attualità politica. Si esprime per esempio una forte critica alla legge elettorale approvata alla Camera, definita ‘un obbrobrio’, per le liste bloccate, l’alta soglia di sbarramento, un premio di maggioranza troppo alto, la non introduzione delle quote rosa, una legge insomma, secondo l’assemblea congressuale, che va in direzione contraria al parere della Corte Costituzionale e che esclude dalla partecipazione democratica un numero sempre maggiore di persone proprio nel momento in cui la classe politica deve fare i conti con una gigantesca crisi della rappresentanza. Si esprime, in un altro ordine del giorno, l’insoddisfazione per una legge sulla tortura, di cui era indispensabile dotarsi, ma che nella formulazione attuale presenta forti limiti che rischiano di snaturare la natura stessa del reato. Molte le prese di posizione contro le grandi opere inutili come la Tav, di cui si chiede la sospensione dei lavori , con la smilitarizzazione dell’area e l’avvio di un confronto pubblico. L’Arci esprime anche la propria vicinanza agli attivisti, colpiti da provvedimenti giudiziari, che si battono per la difesa dei beni comuni. E sui beni comuni è stato approvato un documento che chiede l’applicazione degli
esiti del referendum sull’acqua. In difesa dell’ambiente e contro la militarizzazione della Sicilia, l’Arci esprime la propria solidarietà ai niscemesi che si battono contro l’installazione del MUOS e per una drastica riduzione delle spese militari. In difesa dei diritti dei migranti si chiede la chiusura immediata dei Cie e la cancellazione della legge Bossi-Fini. In campo culturale si chiede l’accesso gratuito dei minori al sapere (musei, parchi archeologici ecc); l’assegnazione e la ristrutturazione degli spazi pubblici da dedicare ad attività culturali e artistiche cosi come previsto dal ddl Valore Cultura; maggiori risorse per le attività culturali, soprattutto per quelle fruite dai giovani. Un ordine del giorno riguarda l’antimafia sociale e la necessità di rafforzarne l’azione. Si esprime solidarietà al giornalista Giovanni Tizian minacciato dalla criminalità organizzata. Molti anche gli ordini del giorno dedicati all’Europa e alla solidarietà internazionale. In vista delle europee, l’Arci si impegna a lavorare per scongiurare l’astensionismo in un appuntamento così importante per le sorti del nostro continente. Chiede inoltre una radicale svolta nelle politiche economiche, con la riduzione e ristrutturazione del debito, l’abolizione del Fiscal Compact e del Two Pack, il cambiamento della mission della Bce che deve avere come obiettivo lo sviluppo dell’occupazione e
dell’economia reale. E una democratizzazione delle istituzioni europee. Sulla Siria si chiede l’immediato cessate il fuoco, l’apertura di corridoi umanitari, l’accoglienza ai rifugiati. Sull’Ucraina, si chiede che l’Europa svolga un attivo ruolo di pace insieme alla Nazioni Unite, perché si ponga fine alle violenza e si assicuri il rispetto dei diritti di tutte le componenti della società civile. L’Arci esprime poi la solidarietà e vicinanza al legittimo governo della repubblica del Venezuela, vittima in queste settimane di tentativi di golpe da parte delle forze di destra. Per quanto riguarda invece le tematiche più legate al mondo associativo, è stata accolta la proposta di lanciare una campagna di valorizzazione dell’associazionismo di promozione sociale, con l’obiettivo di ottenere una riforma della legislazione che ne tuteli e riconosca il valore sociale. Grande importanza viene data anche al tema della formazione del gruppo dirigente diffuso sul territorio. Sulla presenza di slot machine nei circoli, l’Arci si impegna al loro superamento anche attraverso campagne di sensibilizzazione sui rischi del gioco d’azzardo. Infine chiede al governo di rivedere le norme che regolamentano il pagamento di Imu e Tares per i locali dove si svolgono attività sociali senza fine di lucro. In questo Arcireport e nei prossimi riporteremo alcuni di questi ordini del giorno.
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diritti
arcireport n. 10 | 20 marzo 2014
21 marzo, Giornata mondiale contro il razzismo Il 21 marzo 1960 a Sharpeville, in Sudafrica, la polizia apre il fuoco su migliaia di manifestanti che protestano contro la decisione del governo di introdurre un lasciapassare obbligatorio per i sudafricani neri che entrano in aree urbane nelle quali vivono i bianchi. Muoiono 69 persone e centinaia sono i feriti. Le Nazioni Unite il 26 ottobre 1966, in memoria di quella strage, istituiscono la Giornata internazionale contro il razzismo. Questi i fatti storici. Sono passati 54 anni da quella giornata e l’Europa è attraversata ancora una volta da una ventata di razzismo e xenofobia che rischia di essere ampiamente rappresentata nel prossimo Europarlamento. La crisi globale, che ha prodotto e produce ingiustizie, disoccupazione e povertà alimenta anche degrado culturale ed etico, favorendo la crescita di movimenti politici di estrema destra. La risposta delle democrazie europee a questo pericoloso fenomeno è stata debole e contraddittoria. I governi e la Commissione hanno adottato scelte, in campo economico, che rispondono ai diktat della finanza e delle banche, non dando risposte al disagio sociale e alla disoccupazione. I cittadini e le cittadine si sono sentiti sempre meno rappresentati dalle istituzioni europee, è cresciuta la sfiducia e la rabbia, si sono determinate così le condizioni per l’affermarsi di formazioni politiche fasciste e neonaziste, che basano il loro consenso sulla costruzione sociale del nemico. È proprio la logica della contrapposizione strumentale e del capro espiatorio che ha generato gli orrori del secolo scorso, ma anche le guerre più recenti nel cuore dell’Europa, a partire da quelle nella ex Jugoslavia, e oggi rischia di diventare uno dei tratti principali dell’identità europea. Il vuoto lasciato dalla politica tradizionale, dai partiti e dalle istituzioni, che hanno rinunciato al rapporto diretto con le persone, alla rappresentanza dei loro bisogni, ha aperto uno spazio enorme alla penetrazione di messaggi e modelli populisti. Per contrastarne l’egemonia serve una forte, capillare e specifica iniziativa politica e culturale. L’Italia ha, da questo punto di vista, una responsabilità enorme, come dimostra la nascita e il radicamento di una delle forze politiche più esplicitamente razziste, la Lega nord, che ha rappresentato
per anni un punto di riferimento per chi coltiva sentimenti xenofobi. Aver consentito la presenza, in posti chiave del governo nazionale, di esponenti di quella forza politica, ha di fatto sdoganato quel razzismo istituzionale che rischia di essere largamente rappresentato nel prossimo Parlamento europeo. Proprio la ‘legittimazione’ di atteggiamenti, prese di posizione, scelte di carattere razzista da parte di chi siede nelle istituzioni, e che addirittura ha ricoperto incarichi di governo, ha favorito il diffondersi, spesso tra le fasce di popolazione più in difficoltà, di sentimenti e comportamenti analoghi. L’obiettivo prioritario delle forze sociali, delle organizzazioni e dei movimenti
antirazzisti nel prossimo periodo deve essere quello di condurre una battaglia culturale e politica contro tutti i razzismi, a partire da quello istituzionale. Se non si ha ben chiaro questo, e cioè che vanno innanzitutto contrastati i messaggi più o meno esplicitamente razzisti che partono da istituzioni nazionali ed europee, non basteranno campagne o mobilitazioni perché la nostra battaglia risulti vincente. La campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo, il semestre italiano di presidenza dell’Unione europea possono rappresentare una straordinaria opportunità per metter in campo una coalizione ampia per contrastare il razzismo e le forze che su di esso basano le loro fortune politiche.
Ilaria e Miran, vent’anni senza verità Il 20 marzo sono vent’anni dalla morte della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin. Da quel giorno, i genitori di Ilaria, Luciana e Giorgio Alpi (fino a quando è rimasto in vita), non hanno smesso un momento di cercare la verità. Gli interrogativi di allora, purtroppo, sono ancora quelli di oggi. Perché non vennero sequestrate le armi dell’autista e della loro scorta? Perché non vennero immediatamente interrogati i testimoni? I due giornalisti, dopo aver intervistato il sultano di Bosaso, che nei pochi fotogrammi arrivati in ltalia parla di flotta Shifco passata di proprietà a un misterioso somalo con passaporto italiano, di 1.400 miliardi di lire per costruire infrastrutture nell’ambito di un progetto di cooperazione tra Italia e Somalia, di probabili tangenti, che cosa avevano scoperto? La mamma di Ilaria in una recente intervista a La Stampa ha dichiarato che ciò che la indigna di più «è il modo di lavorare della Procura di Roma. Non hanno fatto niente, a parte depistaggi a tutto spiano». Infatti la Procura tentò, per fortuna inutilmente, di archiviare il caso. Anche la Commissione parlamentare di inchiesta, presieduta dall’avvocato Carlo Taormina, allora
parlamentare di Forza Italia, ci mise del suo quando cercò di mettere la parola fine alla vicenda. Le conclusioni di Taormina: «I cittadini devono sapere che mai nessuno ha inteso uccidere i due giornalisti vittime di una manica di banditi senza che i banditi sapessero di chi si trattasse e agendo unicamente in un contesto di ritorsione criminale (...) I due giornalisti nulla mai hanno saputo e in Somalia, dove si recarono per seguire la partenza del contingente italiano, passarono invece una settimana di vacanze conclusasi tragicamente senza ragioni che non fossero quelle di un atto delinquenziale comune». Che vergogna! Qualcosa invece si sa. Durante il trasporto delle salme in Italia con la nave Garibaldi, il 22 di marzo, sparirono i certificati di morte, e precedentemente il taccuino con gli ultimi appunti della giornalista e le videocassette registrate dall’operatore. Una cosa è certa: Ilaria e Miran non hanno avuto giustizia ma non sono stati dimenticati. La speranza è depositata nelle parole dell’attuale capo procuratore di Roma Pignatone, che il 6 marzo ha promesso alla signora Luciana che le indagini proseguiranno.
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arcireport n. 10 | 20 marzo 2014
legalitàdemocratica
A Latina il 22 marzo la Giornata della memoria e dell’impegno di Alessandro Cobianchi
La 19esima Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia si terrà a Latina, il 22 marzo. Dopo Genova e Firenze, la Giornata, organizzata da Libera e Avviso pubblico, con la collaborazione di tante associazioni (fra cui l’Arci), ritorna nel centro Italia. La scelta dei luoghi, mai casuale, è come sempre in linea con i tempi. Il territorio laziale rappresenta infatti uno dei luoghi di snodo delle attuali politiche criminali e delle organizzazioni mafiose. Latina, in particolare, ha il triste primato nella Regione per reati violenti (come dimostra il rapporto Eures 2013: 17,5 reati violenti ogni 100 mila abitanti) La città è un vero e proprio crocevia di interessi criminali fra mafie locali (assolutamente da protagonista il ruolo dei ‘colletti bianchi’) e organizzazioni ‘chiamate’ da altre regioni. È la provincia del ‘sistema Fondi’, il comune «che non si poteva sciogliere» nonostante le acclarate infiltrazioni mafiose, una ferita lacerante per la nostra democrazia
e per «la credibilità stessa delle nostre istituzioni» come ammonì don Ciotti. In questo territorio c’è il mercato ortofrutticolo più grande d’Europa, uno dei bancomat più amati dai clan presenti nel Lazio, vero e proprio luogo di spartizione fra le tre mafie più invasive. La loro azione, in particolare quella di camorra e ‘ndrangheta, è un vero e proprio fattore di inquinamento dell’economia e della politica, questo si traduce nell’evidente distruzione del paesaggio e nell’avvelenamento dell’ambiente come accade per i traffici illegali di rifiuti intorno alla discarica di Borgo Sabotino, all’abusivismo edilizio che aggredisce il parco nazionale del Circeo. Per non parlare del fenomeno del caporalato nelle campagne e ai pervasivi investimenti nell’edilizia. La scelta di Latina è stata importante perché rappresenta un segnale di risveglio per l’esterno, ma soprattutto uno stimolo alla sua cittadinanza: di questa città si parla poco e i più ignorano ancora il ruolo ‘mafioso’ della sua criminalità organizzata.
Il richiamo alle oltre 900 vittime di mafia, al loro impegno e/o al loro martirio sarà un giro di vento, si spera determinante, per lo sviluppo democratico di questo territorio. A Latina quindi, anche per rafforzare il concetto stesso di partecipazione, per sostenere le tante persone oneste che ci vivono e che si impegnano contro le mafie ma che, come in altre città (Casal di Principe, Corleone), rischiano di avere un marchio indelebile e di essere prigioniere di una minoranza che, per i suoi affari sporchi, diviene fattore di degrado di un’intera comunità. Saremo a Latina per scandire quegli oltre 900 nomi, con la tristezza di vedere che la barbarie mafiosa ha allungato questo triste elenco con il nome di Domenico, assassinato a Palagiano, provincia di Taranto, a soli 2 anni, con la sua mamma. Solo per essere stato fra le sue braccia. Le mafie non hanno nessun codice d’onore, non risparmiano nessuno. Abbiamo gli strumenti per batterle, con la formazione e l’educazione, riprendendoci i territori. Possiamo farlo tutti.
L’antimafia sociale in un’associazione di promozione sociale
Ordine del giorno approvato al Congresso nazionale Arci Il gruppo di lavoro Antimafia sociale e Legalità democratica ha agito e agisce una riflessione continua sul senso di svolgere attivamente azioni nel contesto sociale circolistico-associativo. Ciò che caratterizza questi interventi è la consapevolezza che promuovere una socialità basata sul rispetto reciproco e dei diritti sia fare antimafia sociale perché concretizza un modello comunitario nettamente opposto a quello mafioso. Inoltre, c’è la volontà comune di crescere insieme come cittadini consapevoli quindi responsabili e sensibili nel cogliere le problematiche del territorio. In questa premessa generale si inseriscono tutte le aree di interesse del nostro gruppo, che si sono sviluppate nazionalmente in diversi settori. La Carovana Antimafie. Quest’anno compie vent’anni dalla sua nascita. Negli anni, quest’esperienza nata in Sicilia ad opera dell’Arci, è diventata un progetto nazionale, forse uno dei pochi che realmente coinvolge tutti i comitati e territori, rendendoli protagonisti e mettendoli in relazione con l’associazione nazionale. Ciò favorisce uno
sviluppo associativo trasversale che mette in collegamento i circoli con i territori e i vari livelli dell’associazione. I campi antimafia. Questo progetto, sorto nel Sud Italia 10 anni fa, ha assunto dimensione nazionale riuscendo a coinvolgere negli ultimi 2 anni anche le regioni settentrionali. I campi sono, sia per chi vi partecipa come volontario, sia per chi li organizza, una straordinaria esperienza di conoscenza delle comunità locali e di collaborazione al cambiamento sociale. Per questo diventano un’esperienza educativa. L’educazione. Altro aspetto che diventa sempre più significativo e che costituisce il riferimento per le azioni precedenti . Non solo educazione nell’ambito specifico delle agenzie educative formali, ma all’interno del paradigma più ampio dell’educazione popolare, permettendo sperimentazioni metodologiche che attingono all’ambito dell’educazione non formale. Si chiede che il Congresso dia mandato al prossimo gruppo dirigente di: - incrementare le risorse interne e reperirne ulteriori all’esterno puntando a un
investimento mirato; - investire sulle risorse umane raccomandandone fortemente l’adeguata formazione; - individuare dei riferimenti tecnicooperativi stabili a sostegno dei progetti nazionali continuativi (in particolare campi di lavoro e carovana); - individuare referenti regionali e/o territoriali, dotandoli di un luogo di coordinamento nazionale, al fine di costruire una rete organizzativa e politica a supporto dei progetti promossi, che risultano impegnativi sul piano del tempo e dell’organizzazione; - facilitare momenti di formazione e di scambio di buone pratiche provenienti dai territori; - rafforzare l’interazione tra il settore di lavoro dell’antimafia sociale con aree, linguaggi e percorsi dell’associazione tutta; - individuare modelli per tesaurizzare l’occasione derivante dall’incontro di persone con le esperienze dell’Arci, al fine di dare la possibilità concreta di stare dentro i percorsi dell’associazione.
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arcireport n. 10 | 20 marzo 2014
odg/solidarietàinternazionale
Per un’Europa dei diritti in difesa della pace e della democrazia in Ucraina e nell’Est europeo La guerra fredda è finita da 25 anni, ma ancora il mondo è sottomesso alle perverse logiche di potenza e alle sfere di influenza e interesse, che annullano il diritto dei popoli all’autodeterminazione e colpiscono la popolazione civile: in lraq, Afghanistan, Siria, Sudan fino all’aria di tensione e guerra che si respira oggi all’Est, tra Russia e Ucraina. Per troppo tempo dalla caduta del muro di Berlino e in questi ultimi anni, i Paesi dell’Europa orientale sono stati considerati territori da controllare per interessi geo-politici e da colonizzare attraverso le delocalizzazioni. Da parte
delle istituzioni Europee e della Russia non c’è stata alcuna volontà politica di promuovere l’autodeterminazione di quelle comunità dell’Est contese territorialmente, con un presente e un futuro incerti in termini di democrazia e affermazione di diritti reali. L’Arci sta percorrendo un cammino comune con le organizzazioni democratiche della società civile ucraina sin dai primi anni di vita dei Forum Sociali Europei, sostenendo il loro impegno costante per i diritti sociali, contro il riemergere del nazionalismo e della destra estrema. Abbiamo gli stessi in-
Per affermare e rafforzare l’associazionismo democratico nel Mediterraneo In questi anni il Mediterraneo è tornato ad essere un luogo fisico e ideale dove uomini e donne, popoli e culture hanno l’opportunità di incontrarsi e percorrere insieme rotte nuove. Le sponde del Mediterraneo sono percorse da tragedie e speranze. Il Mediterraneo è salvezza e morte, nuove e vecchie dittature, nuove e vecchie democrazie, accoglienza e respingimenti, speranza e delusione, diritti e inerzia, ricchezza e povertà. In questi anni le primavere arabe che hanno portato alla fine delle dittature si sono nutrite e al tempo stesso hanno alimentato la speranza dei giovani nord africani. Contemporaneamente, non hanno avuto nessuna interruzione i viaggi della speranza dei migranti, anzi sono aumentate le fughe dei profughi, causate dalle guerre. In questo scenario complesso in cui alcuni Paesi fanno passi in avanti verso forme di democrazia costituzionale e altri arrancano nel processo di cambiamento ed altri ancora sprofondano in scenari di guerra civile il rischio di vanificare le trasformazioni è sempre in agguato. L’Arci deve mettersi a disposizione delle comunità e dei movimenti dei Paesi del Mediterraneo collaborando alla costruzione di quegli strumenti culturali, politici ed economici per costruire reti e relazioni essenziali al rafforzamento di un tessuto so-
ciale sempre più coeso, autonomo e indipendente. L’Arci deve attingere alla cultura del mutuo aiuto per promuovere esperienze di economia sociale attraverso lo sviluppo della cooperazione sociale e internazionale. L’Arci deve contribuire al rafforzamento di un modello di relazioni collettive in cui la dimensione della partecipazione sia strumento di trasformazione. L’Arci deve dare sostegno prioritario al lavoro di approfondimento e denuncia che le organizzazioni della primavera araba stanno portando avanti rispetto agli impatti economici sociali e ambientali che i negoziati di liberalizzazione commerciale bilaterali (DCFTAs) e multilaterali in ambito WTO stanno e potrebbero avere sui loro territori e comunità ancora fragili. L’Arci deve sostenere e promuovere la produzione culturale popolare, la crescita dell’associazionismo libero e democratico anche promuovendo una campagna per l’assegnazione dei beni confiscati ai dittatori ad associazioni indipendenti per il loro uso a scopi sociali. L’Arci si deve impegnare ad utilizzare le tecnologie come strumento di partecipazione capace di unire, informare e formare una nuova cultura e cooperazione tra le sponde del mediterraneo
teressi di cittadine e cittadini e società civile organizzata, siamo convinti che solo una omogeneizzazione verso l’alto di diritti e democrazia in tutto il continente sia garanzia di pace e dignità per tutti gli europei. C’è bisogno di un’Europa capace di svolgere il ruolo di protagonista nella difesa della legalità internazionale, sollecitando le Nazioni Unite a imporre soluzioni alternative al drammatico uso delle armi e della repressione, che ha portato ieri ai morti e alle violenze di Piazza Maidan a Kiev e oggi all’invasione della Crimea da parte della Russia. Un’Europa che sappia imporre con autorevolezza e forza della ragione al Governo Ucraino il rispetto di tutte le componenti politiche, etniche, linguistiche e religiose. L’Ucraina plurale può essere un ponte tra Unione Europea e Russia, mentre una sua spartizione per interesse porterebbe sicuramente alla deriva estremista e xenofoba, all’instabilità politica e sociale in tutta la Regione e nell’Europa stessa. Per questo, senza mai scavalcare e delegittimare le istituzioni scelte liberamente dalle cittadine e dai cittadini, chiediamo che le Nazioni Unite attivino gli osservatori civili internazionali, facendosi garanti dello svolgimento democratico delle prossime elezioni in Ucraina, a partire dalla libera scelta di candidate e candidati. L’Arci si impegna a intensificare le proprie azioni di sensibilizzazione e di denuncia sulle violazioni dei diritti umani in tutto l’Est europeo e di pressione politica sul Governo Italiano perché il suo intervento diplomatico in questa crisi tra Ucraina e Russia sia coerente nel vigilare sul rispetto dell’autodeterminazione del popolo ucraino e nella condanna di ogni atto di aggressione e attacco alla sovranità nazionale: spingendo quindi ad agire in questa direzione le istituzioni europee, troppo spesso condizionate dal ricatto energetico della Russia. Nelle iniziative nazionali e diffuse dell’Arci in vista delle prossime elezioni europee, il tema centrale del ruolo della società civile per la costruzione di un’Europa di pace e diritti, per il bene comune e la giustizia sociale deve quindi affermare la piena solidarietà e attenzione alla forze democratiche ucraine, russe,di tutto l’Est, strette da tempo fra autoritarismo e nazionalismo.
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arcireport n. 10 | 20 marzo 2014
odg/solidarietàinternazionale
Per garantire assistenza umanitaria, pace, giustizia e democrazia al popolo siriano I tre anni di guerra civile in Siria stanno portando verso cifre record che segnano 140mila morti e 9 milioni di civili in emergenza umanitaria, di cui 250mila sotto assedio nel Paese. Lo scorso 22 febbraio il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha unanimamente votato l’obbligo per istituzioni siriane e forze di opposizione di garantire l’accesso degli aiuti umanitari nel Paese. Dall’inizio del conflitto l’Arci ha dichiarato il sostegno alle donne e agli uomini che hanno messo in discussione il regime di Bashar Al Assad con forme di protesta pacifica e non violenta, avviando da subito un dialogo con cittadine e cittadini siriani democratici presenti nel nostro Paese. Per dare forza alla propria adesione al giorno della mobilitazione mondiale per la pace in Siria di sabato 15 marzo, il XVI Congresso Nazionale Arci approva questo ordine del giorno in cui: - chiede il massimo impegno internazionale per imporre l’immediato ‘cessate il fuoco’ e la fine di ogni violenza in Siria e nell’area regionale, insieme alla liberazione di tutti gli ostaggi e i prigionieri; - condanna fermamente il regime di Bashar Al Assad e tutte le forze e organizzazioni che hanno inasprito il conflitto civile nel Paese e hanno messo in pericolo la stabilità dei Paesi vicini, colpendoli con attentati criminali, a partire dal Libano, nel nome di interessi e integralismi che poco hanno a che vedere con le ragioni delle proteste pacifiche di 3 anni fa; - ribadisce l’urgenza di un ruolo più attivo della comunità internazionale stessa per la fine delle ingerenze internazionali nel conflitto e la fornitura di armi alle parti; - chiama il Governo italiano ad un ruolo di maggiore protagonismo nell’azione diplomatica per la rapida risoluzione del conflitto, l’apertura di corridoi umanitari ai confini siriani di aiuto alla popolazione all’interno del Paese, con un impegno tangibile da subito per l’emergenza, per la ricostruzione del tessuto sociale e l’avvio di un processo di riconciliazione e pacificazione dal basso post conflitto, rafforzando e rendendo protagoniste le forme organizzate di società civile: tutto questo come priorità pluriennale nelle linee guida e nel budget della Direzione generale per la cooperazione allo svilup-
po del MAE, a partire nell’immediato dall’impiego dei fondi per azioni civili previsti all’interno del Decreto per le missioni militari all’estero; - si impegna a mantenere vigile l’attenzione fin qui dimostrata verso l’effettiva garanzia di accoglienza e assistenza delle genti rifugiate dalla Siria nel nostro paese e in Europa, denunciando azioni e pratiche che non perseguono queste finalità; - pretende garanzie effettive dall’Europa, dagli Stati Uniti, dalle Nazioni Unite e dalle diplomazie in vario modo coinvolte nella trattative per la cessazione del conflitto, affinchè il popolo siriano, in regime di pace, possa liberamente decidere il proprio cammino verso la
democrazia, in maniera autodeterminata e senza condizioni e pressioni di qualsiasi genere. Nella convinzione che la stabilità democratica nell’area mediorientale sia effettiva garanzia di pace e giustizia per tutto il Mediterraneo e il vicino Oriente, Arci si impegna a sostenere le iniziative di informazione, mobilitazione, solidarietà, cooperazione e volontariato internazionale promosse nell’area e su questi temi dai territori e dalla Direzione nazionale e anche realizzate dalla sua ong Arcs, promuovendo una campagna nazionale Per la pace, la giustizia e la democrazia nel Medio Oriente e nel Mediterraneo.
Il popolo saharawi ancora in attesa di libertà
Il popolo saharawi aspetta ancora di vedere realizzato il proprio sogno di libertà. La ‘gente del deserto’ vive costretta, nei campi profughi in Algeria, in condizioni sempre più difficili; l’emergenza umanitaria, infatti, si scontra con la riduzione delle risorse finanziarie messe a disposizione dalle agenzie internazionali e dai governi, mentre i bisogni non si riducono certo, anzi si sono via via diversificati. Dall’altra parte del ‘muro della vergogna’ i civili saharawi, a partire dalle donne, nel ‘territorio non autonomo’ del Sahara occidentale, sono privati dei diritti più elementari (di associazione, di espressione, di manifestazione) e la repressione nei loro confronti continua tutt’oggi, come denunciano le organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani. La difficile situazione nel Sahel rischia di accrescere l’instabilità e l’insicurezza nell’area e rende la soluzione del conflitto del Sahara occidentale
più urgente che mai. Riteniamo fondamentale un’azione del Governo italiano, dell’Unione Europea e della comunità internazionale, per favorire la ricerca di una soluzione del conflitto, che sia rispettosa del diritto all’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, tenendo conto del quadro di sostanziale stallo in cui verte il negoziato. È fondamentale ogni iniziativa utile a favorire la ripresa dei negoziati diretti, sotto l’egida delle Nazioni Unite, tra Regno del Marocco e Fronte Polisario, al fine di giungere, nel più breve tempo possibile, a una soluzione conforme alle risoluzioni delle Nazioni Unite. Auspichiamo fortemente che il mandato della missione Minurso venga aggiornato sulla base dei più recenti analoghi modelli approvati dal Consiglio di Sicurezza, che includa anche specifici compiti in materia di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani nei territori occupati. Riteniamo infine che anche la società civile possa avere un ruolo importante per la risoluzione di questa causa. Come Arci continueremo a non far mancare l’appoggio alla popolazione saharawi e all’associazionismo democratico marocchino per l’affermazione del diritto di autodeterminazione dei popoli.
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arcireport n. 10 | 20 marzo 2014
odg/europa
Per un’altra Europa Il 25 maggio si voterà per il rinnovo del Parlamento europeo. È una scadenza importante per poter aiutare un cambiamento necessario e possibile delle politiche della Unione europea che finora hanno aggravato la crisi economica, sociale, politica e istituzionale dell’Europa anziché risolverla. Non a caso nel nostro continente a sette anni dall’inizio della crisi mondiale tutti gli indicatori economici, a cominciare da quello che ci sta più a cuore, cioè l’occupazione, sono peggiorati, mentre nella disgregazione del tessuto sociale e con l’aumento della povertà prendono forza tendenze tardo nazionaliste, xenofobe, razziste, quando non apertamente neofasciste o neonaziste. Queste politiche mettono a serio rischio la prosecuzione del percorso di unità europea e la sopravvivenza dell’Euro e comunque contraddicono in pieno gli obiettivi che stavano alla base del celebre Manifesto di Ventotene del 1941, stilato da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ursula Hirschmann, Ernesto Rossi. Stando a recenti sondaggi è evidente che sempre meno italiani credono a questa Europa. Sono in diversi a prevedere una partecipazione al voto marcatamente inferiore alla precedenti occasioni.
In primo luogo l’Arci si impegna quindi ad assumere tutte le iniziative necessarie per scongiurare l’incremento dell’astensionismo, proprio perché mai come in questa occasione si vota non per riprodurre contese politiche interne, ma effettivamente per decidere il corso politico della Unione europea. Al di là delle diverse opzioni di voto l’Arci ribadisce che è necessario operare una profonda svolta nelle politiche economiche europee. Non si tratta di restare prigionieri della contesa sterile Euro sì o Euro no, ma di imporre nuove scelte nel campo dell’economia reale. In questo quadro l’Arci sottolinea la necessità di battersi: - Per una ristrutturazione e riduzione del debito che strangola la possibilità di sviluppo dei paesi più in difficoltà. Le politiche fin qui attuate dalla Troika (la Commissione e il Consiglio europei, la Bce che si avvale anche del Fmi) basate sulla richiesta di sacrifici e di tagli alla spesa pubblica hanno portato a un maggiore indebitamento e a una crescita esponenziale del deficit, come è successo in Grecia, paese cavia delle politiche neoliberiste di austerity. La stessa Troika è stata oggetto di pesanti critiche in queste ore dal Par-
No al nuovo Patto Transatlantico per commercio e investimento tra Stati Uniti ed Europa Dal 2011 Stati Uniti ed Europa hanno avviato un percorso, la cui conclusione è prevista entro il 2015, per il superamento di qualsiasi accordo di libero scambio (FTA) con l’apertura di un mercato mondiale a dazi zero, basato su un nuovo codice di investimenti a favore della liberalizzazione sfrenata, il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Spacciato come operazione volta a trovare soluzioni alla crisi economica e per la ripresa della crescita, è in realtà un ulteriore strumento di mercificazione dei diritti e di tutela dei mercati, a fronte di un inesistente aumento del PIL europeo del solo 0,05% come stimato peraltro dalla Commissione stessa. Si tratta di un negoziato i cui testi, in elaborazione ormai finale, non sono accessibili neppure ai Parlamenti europei perché sottoposti al segreto commerciale. I movimenti sociali, le associazioni e organizzazioni contadine e sindacali
di Europa e America condannano la strategia e la finalità all’origine del TTIP, che è strettamente a favore delle imprese private e della grandi multinazionali, la cui attuazione porterebbe alla graduale ma inarrestabile cancellazione degli standard di qualità e sicurezza dei prodotti agricoli, alimentari, industriali, chimici e delle regole di distribuzione commerciale, mettendo fortemente a rischio la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori, cioè le conquiste sociali democraticamente conquistate negli anni. Con l’approvazione di quest’ordine del giorno le delegate e i delegati di questo Congresso impegnano l’Arci a sostenere la campagna STOP-TTIP Italia, di cui è promotrice insieme ad altre organizzazioni sociali e ai movimenti italiani, attraverso il lavoro di informazione capillare e la realizzazioni di iniziative di mobilitazione e confronto nei luoghi di aggregazione sociale dei nostri territori.
lamento europeo. - Per una radicale riforma dei Trattati che regolano la governance della Ue, a partire da quello di Maastricht, fino ai più recenti Fiscal compact e Two Pack che costringono paesi come il nostro a un rientro forzato dal debito in ragione di un 3% del bilancio annuale (circa 50 mld di euro) ogni anno per i prossimi venti anni e che spogliano i parlamenti nazionali di qualunque possibilità di decisione sulla politica di bilancio che viene predeterminata dagli organi ‘tecnici’ della Commissione europea. - A rivedere, con tutti gli strumenti utili e necessari, la scelta di introdurre in Costituzione la norma del pareggio di bilancio che inibisce la possibilità di spesa pubblica produttiva e per giunta non ci viene neppure esplicitamente richiesta dalla Ue. - Per un cambiamento della mission della Banca centrale europea che deve avere come obiettivo non la riduzione dell’inflazione (quando il pericolo concreto è la deflazione) ma lo sviluppo della occupazione (come è per la stessa Federal Reserve americana) e dell’economia reale. - Per l’incremento del bilancio pubblico europeo ai fini di gestire una politica di investimenti europei – anche attraverso l’emissione di eurobonds e di projectbonds - in settori innovativi, socialmente e ambientalmente compatibili, capaci di incrementare l’occupazione e di dare lavoro ai migranti e di avviare un riequilibrio economico e sociale tra i vari paesi nel nome della solidarietà in luogo della competitività. - Per aprire un processo di democratizzazione delle istituzioni della Ue, aumentando il peso decisionale degli organi elettivi, come il parlamento, e promuovendo tutte le forme di espressione diretta dei cittadini d’Europa e dei movimenti. - Per fare dell’ Europa, invece che una fortezza, uno spazio civile, sociale, politico, democratico, multiculturale aperto al Mediterraneo e al mondo, capace di svolgere un ruolo di mediazione e di pace sia rispetto ai conflitti interni al continente, come quello tragicamente apertosi in Ucraina, sia nel mondo intero, diventando un soggetto attivo per la soluzione della crisi mondiale e per la determinazione di nuovi assetti multipolari, sia in campo economico che politico, rifiutando al contempo trattati, come quello di libero scambio tra Usa e Ue (Ttip), che costringono l’Europa in una condizione di subordinazione nei confronti delle grandi multinazionali e dei colossi bancari.
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odg/benicomuni
L’Arci contro la TAV e le Grandi Opere L’Arci conferma il suo impegno a sostenere le campagne nazionali ed internazionali e le vertenze locali in difesa del territorio dallo scempio di grandi opere inutili, costose e dannose; e affinchè, dalla Val di Susa a L’Aquila, da Savona a Messina, le comunità siano pienamente coinvolte nelle scelte che riguardano il futuro dei territori in cui vivono. Oltre alla crisi economica, il nostro Paese si trova ad affrontare una serie di tragici eventi legati al dissesto idrogeologico, e risulta ancora più lampante la contraddizione nel procedere con investimenti legati a grandi infrastrutture come la nuova linea TAV Torino-Lyon, in precedenza definite addirittura ‘inutile’ dall’attuale Presidente del Consiglio, trascurando le vere necessità dei cittadini. La Val di Susa è un caso esemplare di come la politica abbia omesso il confronto e il dialogo necessari con la popolazione della valle, provocando una considerevole tensione, con una contrapposizione che ha provocato e sta provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nell’economia dell’intera valle e dei territori limitrofi. Si pretende di imporre la costruzione di una seconda linea ferroviaria internazionale in una valle alpina già profondamente infrastrutturata e larga mediamente un chilometro e mezzo, dove ne esiste già una a doppio binario, in perfetta efficienza e sottoutilizzata (sulla quale già oggi transitano sia il TGV, sia il servizio merci denominato Autostrada Ferroviaria Alpina), e sono presenti un’autostrada, un elettrodotto, due statali, varie strade provinciali e un fiume (la Dora Riparia). Ad una analisi fredda e distaccata quell’opera appare platealmente insensata dal punto di vista economico, ambientale e trasportistico. Valutazioni critiche, oltre che da centinaia di tecnici e ricercatori, sono state espresse a più riprese, nelle forme proprie, anche da organismi quali la Corte dei Conti italiana e, sul lato francese, dalla Cour des Comptes, l’Inspection Generale des Finances, il Conseil General des Ponts et Chaussées, la Direction Generale du Trésor, gli ex Presidenti del Réseau Ferré de France e della SNCF. La decisione di costruire la linea ad alta capacità è stata presa oltre vent’anni fa. In questo periodo tutto è cambiato:
sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo. I lavori per il tunnel preparatorio non sono ancora iniziati, come dice la stessa società costruttrice. E non è vero che a livello sovranazionale è già tutto deciso e che l’opera è ormai inevitabile. Noi dell’Arci non abbiamo mai sostenuto o praticato forme di protesta che non avessero il requisito della pratica nonviolenta, ma non è possibile non vedere come in Val di Susa si sia cercato nel tempo di spazzare via ogni forma di dialogo e di confronto sul merito dell’opera: una seria valutazione dei flussi di traffico, degli impatti ambientali e delle alternative esistenti, coltivando l’esasperazione ed auspicando uno scontro utile a criminalizzare la protesta (tanto che alcuni parlamentari invocavano la presenza dei militari ben prima che volasse un sasso), e spostare il dibattito dal merito dell’opera ad una questione di ordine pubblico e cronaca giudiziaria. La contrapposizione e il conflitto possono essere superati solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa. La costruzione della linea ferroviaria (e delle opere ad essa funzionali) è una que-
stione non solo locale e riguarda il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali. Per questo è necessario riaprire quel dialogo che gli amministratori locali continuano vanamente a chiedere. Il Congresso nazionale dell’Arci respinge con forza ogni azione di criminalizzazione del dissenso; ribadisce la necessità di porre un freno al consumo di suolo e alle grandi opere, destinando invece le opportune risorse alla messa in sicurezza del territorio e degli edifici pubblici, alla ricostruzione dei territori colpiti da calamità, alla sanità pubblica, all’istruzione pubblica, al welfare ed alla promozione culturale diffusa; rilancia le richieste contenute in numerosi appelli provenienti dalla società civile, della cultura e della politica, e chiede al Governo: • la sospensione dei lavori del tunnel geognostico della Maddalena di Chiomonte; • la smilitarizzazione dell’area; • l’avvio di un confronto pubblico e indipendente, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, che coinvolga le amministrazioni e le comunità locali, nel merito delle grandezze fisiche e dei dati economici, finalizzato a valutare opportunità, praticabilità e costi dell’opera ed eventuali alternative.
Sia data attuazione all’esito del referendum sull’acqua Premesso che l’Arci è parte attiva del comitato Acqua Bene Comune e ha partecipato alla campagna referendaria che nel 2011 ha condotto all’abrogazione delle norme legislative che favorivano la speculazione economica sui servizi pubblici essenziali. Considerato che, dopo la vittoria referendaria, non si è dato corso al dettato popolare e si è anzi cercato da più parti di depotenziare o aggirare il risultato di quella consultazione. Considerato che la sentenza del Consiglio di Stato, emessa il 25 gennaio 2013, ha rivelato l’infondatezza delle argomentazioni di coloro che si appigliavano all’articolo 170 della legge 152/2006 perché si continuasse a pagare la remunerazione del capitale investito. Sottolineato che tale sentenza ha ristabilito la verità referendaria, ossia che dal 21 luglio 2011 il referendum ha abrogato con effetto immediato una delle tre voci della bolletta, la remunerazione del capitale investito. Il XVI Congresso nazionale dell’Arci impegna tutti i livelli dell’associazione a richiedere in tutte le sedi deputate che venga finalmente attuato l’esito referendario.
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odg/cultura
A sostegno della cultura e delle politiche culturali nel nostro Paese Investire in cultura è determinante per lo sviluppo di un Paese. Sostenere le attività culturali, valorizzare e tutelare i nostri beni culturali, promuovere l’educazione permanente, sviluppare le capacità culturali e creative delle persone, rendono più solida la nostra democrazia. Animare le nostre città e quartieri con attività culturali, aprire nuovi spazi per la creatività, promuovere progettualità nel campo delle produzioni culturali e creative, sviluppare i linguaggi del contemporaneo, sono priorità della nostra associazione. Il Congresso nazionale dell’Arci chiede al Presidente del Consiglio di impegnare il governo a destinare più risorse per la cultura e far tornare l’Italia ad essere anche in Europa una delle nazioni che più investe in quest’ambito. È una questione di priorità politiche e riguarda il futuro del nostro modello di sviluppo. Il Congresso nazionale dell’Arci chiede al Presidente dell’Anci – Associazione Nazionale Comuni Italiani - di pro-
muovere una forte campagna rivolta ai sindaci di tutte le città italiane affinchè gli investimenti in cultura degli enti locali siano rafforzati e garantiti, e che siano valorizzati i soggetti che costituiscono il sistema culturale territoriale.
Il Congresso nazionale dell’Arci chiede al presidente della Conferenza delle Regioni di sensibilizzarle, perché investano in cultura e promuovano, di concerto con i Comuni, politiche culturali attive sui territori.
Abolizione del minimo SIAE La promozione di spettacolo dal vivo è una delle principali attività dei circoli Arci in tutta Italia. Oggi promuovere spettacolo dal vivo in tutte le sue forme è un modo per continuare a produrre cultura, dare spazio e valorizzare giovani artisti, contribuire alla crescita di cittadini consapevoli e attivi in un ambiente inclusivo e stimolante. I circoli, le associazioni culturali sono una risorsa che può aiutare i giovani e i progetti culturali ad emergere. Purtroppo, come è noto, queste pratiche sono ostacolate dal sistema del ‘minimo Siae’, che penalizza i luoghi con capienza ridotta, imponendo una tassazione inversamente proporzionale. Il XVI Congresso nazionale dell’Arci impegna l’associazione ad avviare, su questo problema, una campagna di sensibilizzazione in tutti i territori, promuovendo azioni - verso la Siae e il Governo - finalizzate ad abolire i minimi e a snellire le procedure burocratiche che incidono negativamente sul nostro sistema culturale.
Cultura e risorse L’Arci, Associazione ricreativa e culturale, non può prescindere dalle realtà che entro di essa propongono attività di spettacolo. Il teatro, in particolare, nasce nella Grecia classica come momento di educazione civile e partecipazione politica e spirituale, cui erano chiamate a prendere parte anche categorie generalmente discriminate come gli schiavi e le donne. L’attività teatrale, e forse culturale in genere, è tuttavia da sempre un’attività che richiede impegni economici superiori rispetto alla propria capacità di produrre guadagno monetario, laddove il profitto che consente in termini di Humanitas non può essere calcolato con criteri numerici e si sviluppa al meglio nell’impegno per la collaborazione e il rapporto sia con il territorio sia con il dibattito pubblico. Occorre perciò che l’Arci insista per incentivare soluzioni di integrazione e collaborazione fra circoli impegnati nella produzione culturale e segnatamente nel campo dello spettacolo, ricercando modelli di gestione sociale in grado di mostrare una compattezza ed una
efficacia capaci di motivare le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici e privati a sostenere tramite meccanismi di convenzione quelle attività che possano garantire insieme radicamento territoriale, risultati artistici rilevanti e inclusione sociale. A Savona, tre circoli Arci attivi nel settore dello spettacolo (cinema teatro e musica), con una forte presenza riconoscibile presso la cittadinanza, si sono uniti in consorzio, con il fondamentale appoggio e aiuto del Comitato Provinciale Arci, dimostrando come la disponibilità ad un ben calcolato
sforzo economico, la condivisione di importanti obiettivi culturali e civili e l’impegno alla collaborazione possano convincere un’amministrazione comunale orientata dapprima verso scelte diverse, a restaurare uno spazio di prestigio, le ex Officine Solimano nell’area del porto antico di Savona, per destinarlo ad attività culturali ed artistiche. La Convenzione stipulata tra il consorzio associativo Officine Solimano e il Comune di Savona, ha garantito ai circoli consorziati 15 anni di concessione gratuita dello spazio, dimostrando che la forza associativa può diventare forza politica nei senso più nobile del termine. Chiediamo perciò all’Arci, sulla scorta anche di questo esempio virtuoso, di: - sostenere e valorizzare la collaborazione fra circoli che svolgono attività culturali e di spettacolo; - sostenere la necessità di investimenti pubblici in campo culturale, invertendo la corsa al taglio delle risorse alla cultura, per riportarle quantomeno al livello medio dei Paesi dell’Unione europea.
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società
Amministratori locali sotto tiro Boom di minacce e intimidazioni in tutta Italia di Giulia Migneco Avviso Pubblico
Gli amministratori locali sono sotto tiro. Lettere contenenti minacce e proiettili, auto incendiate, spari alle abitazioni, uso di esplosivi, aggressioni verbali e fisiche. Sequestro di persona, ferimento con colpi di arma da fuoco, omicidio. Alcuni sindaci, anche del Nord, costretti a vivere sotto scorta. Altri che si sono dimessi per paura o pensano di farlo perché avvertono un profondo senso di solitudine e la lontananza delle istituzioni. Il Rapporto 2013 Amministratori sotto tiro. Intimidazioni mafiose e buona politica che l’associazione Avviso Pubblico presenterà venerdì 21 marzo, a Roma, in Campidoglio, sembra un vero e proprio bollettino di guerra. Nel nuovo Rapporto, giunto alla sua terza edizione, si registra infatti un incremento preoccupante di casi di minacce, intimidazioni e atti di violenza nei confronti di amministratori locali e funzionari pubblici. Un numero impressionante. E il fenomeno non riguarda solo le regioni del Mezzogiorno - che continuano a
detenere il triste primato - ma sono in sensibile aumento anche gli episodi nelle regioni Centro-settentrionali. Analizzando i dati e le situazioni, si evince che la maggior parte delle minacce e delle intimidazioni sono dirette (77% dei casi), ossia colpiscono direttamente le persone oggetto del ‘fastidio’ criminale e mafioso e in misura inferiore (23% dei casi) possono essere definite indirette, nel senso che colpiscono non la persona oggetto di intimidazione ma le strutture pubbliche (62% dei casi), mezzi pubblici (27% dei casi) e, nei casi più gravi, anche i parenti e i familiari più stretti. Occorre, inoltre, rilevare che le intimidazioni e le minacce hanno un carattere sia punitivo che preventivo. Infatti, non vengono colpiti solo gli amministratori in carica, ma anche ex amministratori (5% dei casi), esponenti di forze politiche (4% dei casi) e candidati a ricoprire un incarico politico (3% dei casi). La natura e le cause delle minacce sono diverse. Accanto alle intimidazioni aventi una probabile origine criminale e
il libro
esigete!
Un disarmo nucleare totale di Stéphane Hessel, Albert Jacquard - Ediesse Opporsi al nucleare civile per opporsi al nucleare militare. Semplice, chiaro, efficace. Hessel e Jacquard rendono attuale un tema che pare scomparso addirittura dall’immaginario pacifista e lo coniugano con l’attuale necessità di parlare ai giovani di cosa occorra cambiare perché il nostro pianeta possa vivere e sopravvivere. Hessel ci insegna a ripartire dalle nostre esperienze, dal cercare e praticare la democrazia e la pace, assicurando vita e futuro alle nuove generazioni e difendendo spazi che l’umanità ha l’obbligo di conservare anziché distruggere. Nato a Berlino nel 1917 da una famiglia ebraica, protagonista della Resistenza francese e uno dei principali redattori della Dichiarazione universale dei diritti umani, dopo aver pubblicato il pamphlet Indignatevi! si è rivolto soprattutto ai giovani invitandoli ad esigere l’abbandono del nucleare. Tra i temi trattati nel volume, l’uso e i costi delle armi nucleari, il Trattato di non-proliferazione, il ruolo politico delle armi nucleari, il nucleare civile, le strategie per il futuro. I curatori del libro aggiornano il pamphlet di Hessel e Jacquard alla situazione attuale, con un focus sul contesto italiano. L’opposizione popolare e il referendum nel nostro paese hanno tagliato le gambe agli impianti ‘civili’, che avrebbero prodotto e accumulato quantità di uranio arricchito e plutonio sufficiente alla realizzazione di diverse bombe. Ma il nucleare militare riprende drammatica attualità attraverso l’aggiornamento delle bombe nucleari Usa nelle basi di Ghedi e Aviano. Sono le nuove B61 che verranno rese trasportabili entro il 2020 sui cacciabombardieri F35. Il libro è a cura di Mario Agostinelli, Luigi Mosca, Alfonso Navarra. La presentazione è di Emanuele Patti e la prefazione di Antonio Pizzinato. Un’iniziativa editoriale promossa dall’Associazione Energiafelice-Arci.
mafiosa vi sono anche quelle compiute da persone disperate, che incapaci di scorgere un futuro di speranza che superi l’attuale crisi economico-finanziaria, sfogano la loro rabbia sui rappresentanti politici ad essi più vicini. Parafrasando il titolo di un recente film di successo, si può infine affermare che la violenza criminale e mafiosa colpisce prevalentemente d’estate. Infatti, da un punto di vista temporale, il maggior numero di atti intimidatori riferibili allo scorso anno si è registrato nei mesi di giugno (42 casi) e di agosto (46 casi), mentre il dato più basso è stato rilevato nel mese di marzo (19 casi). In un periodo in cui all’ordine del giorno dell’agenda politica su tutte le altre questioni si staglia la riforma della legge elettorale, forse dovremmo interrogarci tutti sulla necessità di un soprassalto d’orgoglio popolare, laddove ad essere intimiditi, minacciati e sotto tiro sono gli amministratori comunali, che sono il baluardo del consenso rappresentativo nel nostro Paese.
arcireport n. 10 | 20 marzo 2014 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Carlo Testini Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Paolo Beni Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 19 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia
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