Arcireport n 10 2016

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XIV | n. 10 | 17 marzo 2016 | www.arci.it | report@arci.it

Ponti di memoria, Luoghi di impegno di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci

Quest’anno la Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie si svolgerà a Messina. È la XXI edizione ed ha come titolo Ponti di memoria, Luoghi di impegno. Come sempre l’appuntamento è fissato per il 21 marzo, primo giorno di primavera. Ma questa volta si svolgerà in contemporanea in tanti luoghi in tutta Italia. Nello stesso giorno, alla stessa ora, in tanti luoghi del nostro paese ci sarà la lettura dei nomi delle centinaia di persone uccise dalle mafie. Lo faremo anche noi. In molti circoli Arci ci ritroveremo insieme ad Enti locali, scuole, cittadine e cittadini, raccogliendo l’invito di Libera a ricordare nome per nome le vittime innocenti morte per mano della criminalità organizzata. Per l’Arci questo rimane un appuntamento importante. Innanzitutto perché, come facciamo anche rispetto ad altri temi e iniziative, la memoria resta e diventa un valore quando viene vissuta come un fatto collettivo, un patrimonio condiviso. Ci siamo definiti recentemente degli ‘espansori di memoria’.

Nel gennaio scorso, attraverso la nostra campagna di comunicazione per l’anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz, abbiamo voluto ribadire che quel dramma dell’umanità «non è passato, è memoria». E spesso ci diciamo che trasmettere la memoria e il ricordo significa trasmettere «assenza di neutralità», ovvero impegno, partecipazione, scelta. Questa XXI edizione della Giornata promossa da Libera è per noi un momento particolarmente significativo, anche rispetto alla necessità di un rilancio dell’impegno del movimento dell’antimafia sociale nel nostro Paese. Viviamo in un periodo in cui siamo costretti ad assistere a una continua riorganizzazione della malavita organizzata (e i 62 arresti dei giorni scorsi a Palermo stanno a dimostrare che Cosa nostra è ancora un mostro che sa rigenerarsi); le infiltrazioni mafiose sono ancora molto diffuse nella politica, nell’economia di tutto il paese, dal Nord al Sud; la diffusione di pratiche corruttive in tanti settori della società, non solo nella politica, sono un cancro che

mina lo sviluppo dell’Italia. Il nostro ruolo di organizzazione con sane relazioni sociali, quello di un’associazione culturale impegnata a ricostruire etica civica, che lavora quotidianamente nei territori, dove spesso rappresenta un vero e proprio presidio, ci definisce già come un pezzo importante dell’antimafia sociale e nostro compito è rinvigorirne la forza, difenderla dagli attacchi strumentali e dalle storture. È a partire da queste considerazioni, che vedono l’espansione di memoria e il bisogno di antimafia sociale come un progetto da sviluppare nella società odierna, che ci avviamo ad organizzare anche per questa estate, insieme a Spi, Flai, Rsm e Cgil, in collaborazione con Libera, i campi della legalità. I campi, assieme a tutte le altre iniziative che si tengono ogni anno e rispetto alle quali la Giornata del 21 marzo rappresenta una tappa di avvicinamento, continuano ad essere occasioni di partecipazione e di impegno per centinaia di ragazze e ragazzi, il nostro principale contributo alla diffusione di una cultura e di una patrimonio condiviso.


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arcireport n. 10 | 17 marzo 2016

migranti

La Giornata internazionale contro il razzismo di Walter Massa coordinatore nazionale Arci Diritti migranti e richiedenti asilo, politiche antirazziste

Quando lo scorso anno abbiamo lanciato la prima Summer School dell’Arci sull’antirazzismo, sentivamo la necessità di una riflessione su ciò che stava accadendo e su una rilettura complessiva del fenomeno razzista. Non più solo l’Italia a subire gli effetti della crisi culturale e l’avanzata del becero razzismo padano, ma tutta l’Europa in preda ad una fobica paura legata ai flussi migratori. Italia ed Europa immersi in una dimensione parallela, spesso non corrispondente alla realtà, in grado di far rifugiare tantissimi tra le braccia ‘sicure’ del nuovo verbo neonazista e razzista. Le ultime elezioni tedesche in alcuni Lander, tenutesi lo scorso 13 marzo, ci confermano quanto avevamo indicato come priorità di lavoro della nostra associazione nel campo dell’advocay e della politica. L’affermazione, oltre le previsioni, di Alternativa per la Germania è stata ottenuta spostando il bersaglio contro migranti, profughi e una supposta ‘islamizzazione’ del Paese. Uno spostamento verso un vero e proprio neonazismo. Una vittoria contestuale alla perdita dei grandi

partiti storici e che porta la Germania nel baratro dell’instabilità. Anche la Linke e i Verdi non se la passano bene, segno che ad una forte polarizzazione tra favorevoli e contrari all’accoglienza non corrisponde una polarizzazione politica in grado di rispondere a queste tensioni. O meglio, il versante dei favorevoli all’accoglienza pare far fatica a riconoscersi nelle parole d’ordine - sempre più sfumate - della sinistra tradizionale. La Germania come indicatore di una situazione molto pericolosa dunque, proprio mentre ci accingiamo a ricordare il 21 marzo, Giornata internazionale contro il razzismo, ricorrenza che appare sempre più inutile di fronte a questi scenari. Il nostro lavoro deve quindi acquisire un protagonismo forte, sempre più in prima linea e con una ritrovata ‘coalizione solidale’ tutta da costruire. Non partiamo ovviamente da zero, ma anche noi, nazionalmente e territorialmente, sentiamo il peso di una solitudine sempre più evidente che, tra l’altro, ci impedisce di incidere nelle scelte come vorremmo. Il nostro 21 marzo

sarà ancora una volta da protagonisti: alla Camera presenteremo la campagna sull’hate speech e saremo poi ricevuti dalla Presidente Boldrini. Ma saremo anche a Catania, a presentare con l’Arci catanese la videoguida per richiedenti asilo AsylEasy. Innumerevoli sono poi le micro iniziative all’interno dei nostri progetti di accoglienza, a ricordare che fare accoglienza non è cosa da buonisti, ma semmai da giusti, come ci avrebbe ricordato Tom. E dunque sia un 21 marzo di riflessione e azione anche per tutti noi. Una riflessione che ci deve portare a pensare l’immigrazione come la ‘prima linea’ su cui battersi; una linea del fronte politica di tutta l’associazione e non solo degli addetti ai lavori. Un fronte, come ricordato spesso dal senatore Luigi Manconi, oggi in grado di modificare vita, abitudini e condizioni di interi quartieri come di interi continenti in pochissimo tempo e con ripercussioni sociali e culturali fortissime. Sento di poter dire che noi ci siamo. Vorrei sentirlo urlare all’unisono per sentirmi più tranquillo e più forte.

No all’odio, No all’intolleranza sul web La campagna di comunicazione del progetto PRISM di Carla Scaramella Ufficio Progetti Arci nazionale

Di fronte alla pervasività dei discorsi d’odio e alla loro influenza nei mezzi di comunicazione oggi più dinamici e invasivi, il web e i social network, le organizzazioni sociali e i soggetti che analizzano i fenomeni culturali e sociali hanno la responsabilità di mettere in campo un’azione adeguata alla sfida, dopo un esame attento di quel che sta succedendo. In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, il 21 marzo l’Arci con Cittalia organizza una conferenza stampa alla Camera. Verrà presentata la campagna di comunicazione del progetto PRISM. Preventing, Redressing and Inhibiting hate Speech in new Media, coordinato dall’Arci insieme ad un partenariato internazionale di cinque paesi europei - Italia, Francia, Romania, Spagna e Inghilterra - e cofinanziato dall’Unione europea. La campagna prevede la realizzazione sia di uno spot video che verrà pubblicato sul sito del progetto www.prismproject.eu,

sui siti dei partner, e sui social network facebook, twitter e youtube, che di uno spot radiofonico che verrà proposto a livello nazionale. Inoltre, verrà presentato il volume dal titolo Discorsi d’odio e social media: criticità, strategie e pratiche di intervento, che da un lato fa emergere i dati di una ricerca basata su interviste qualitative a giovani, esponenti politici, esperti, rappresentanti della società civile e su una mappatura dell’uso dei social media da parte di alcuni gruppi xenofobi e di estrema destra, e dall’altro propone uno strumento di lavoro per insegnanti e operatori giovanili che intendono impegnarsi in un percorso di sensibilizzazione e formazione dei giovani ad un uso più consapevole del linguaggio in generale e di Internet e dei social media in particolare. La ricerca ha indagato nel corso del 2015 i discorsi d’odio su Internet, con particolare attenzione ai social media, tenendo anche in considerazione altri ambiti di interazione online, come le sezioni dei

commenti di quotidiani digitali ed i forum di discussione generale. Quanto emerge dalle interviste a professionisti, giovani e testimoni privilegiati conferma la bontà dell’approccio adottato da PRISM, poiché l’opinione espressa dai soggetti contattati converge sulla convinzione che la via da intraprendere sia quella di tenere insieme diversi piani di intervento, per aggredire un fenomeno complesso e dalle molte implicazioni. L’analisi attenta e sempre aggiornata della fenomenologia, dunque, unita all’esame degli strumenti legislativi a disposizione per sanzionare i comportamenti illeciti; parallelamente, all’attività di formazione e sensibilizzazione rivolte a diverse categorie di soggetti, dagli ‘utenti’ della rete e dei social ai produttori dell’informazione - giornalisti, blogger, protagonisti del dibattito politico - mirate a creare gli anticorpi per contrastare il dilagare dei discorsi d’odio e a promuovere una ‘contro narrazione’ che proponga una diversa costruzione sociale.


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referendumnotriv

arcireport n. 10 | 17 marzo 2016

Difendi il tuo mare! Al referendum del 17 aprile vota sì Informazioni utili per la campagna referendaria Il referendum del 17 aprile 2016 Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo. Perché la proposta sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si esprima con un ‘Sì’. Dove si voterà? Si voterà in tutta Italia. Quando si voterà? Si voterà nella sola giornata di domenica 17 aprile. Cosa si chiede con il referendum del 17 aprile 2016? Con il referendum si chiede agli elettori di fermare le trivellazioni in mare. Si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa. Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere occorre votare ‘Sì’ al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza ‘naturale’ fissata al momento del rilascio delle concessioni. Qual è il testo del quesito? «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016), limitatamente alle seguenti parole: per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?». È vero che se vincesse il ‘Sì’ si perderebbero moltissimi posti di lavoro? Un’eventuale vittoria del ‘Sì’ non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso.

Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati a esprimersi, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione. Oggi non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione può estrarre fino a quando lo desideri. L’Italia dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e gas dall’estero. Non sarebbe opportuno investire nella ricerca degli idrocarburi e incrementare l’estrazione di gas e petrolio? L’aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale. Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in concessione a società private - per lo più straniere - la possibilità di sfruttare i giacimenti esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credano: portarlo via o magari rivendercelo. Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto. Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo. Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro. Il rilancio delle attività petrolifere non costituisce un’occasione di crescita per l’Italia?

Secondo le stime del Ministero dello Sviluppo Economico, anche qualora le estrazioni fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane. La ricchezza dell’Italia è un’altra: il turismo, che dà lavoro a quasi 3 milioni di persone; la pesca, che dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che dà lavoro a circa 1 milione e 400.000 persone, con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro; il comparto agroalimentare, che dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro; e soprattutto la piccola e media impresa, che assorbe l’81,7% del totale dei lavoratori del nostro Paese e contribuisce al 70,8% del PIL. Cosa ci si attende? È giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese. Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 185 Paesi, a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della decarbonizzazione. Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo. Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo. Perché questo referendum? Per tutelare i mari italiani, anzitutto. La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare: la ricerca del gas e del petrolio attraverso la tecnica dell’airgun incide, in particolar modo, sulla fauna marina. Ricerca e trivellazioni offshore costituiscono un rischio anche per la pesca. Senza considerare che i mari italiani sono mari ‘chiusi’ e un incidente anche di piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo. Un eventuale incidente sarebbe fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente.


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terzosettore

arcireport n. 10 | 17 marzo 2016

‘Fate presto ma fate bene’ Mozione approvata dall’Assemblea nazionale del Forum del Terzo Settore Il Forum Nazionale del Terzo Settore ha intensamente partecipato al percorso di riforma del terzo settore. Sin dalla consultazione pubblica della primavera 2014 ha fatto sentire la sua voce, tramite la redazione di documenti, incontri e convegni, interlocuzioni con il Governo e i Parlamentari, audizioni alla Camera e al Senato. Diversi sono stati i risultati positivi raggiunti. Se da un lato il DDL era nato con un forte sbilanciamento a favore degli aspetti economici e gli esiti occupazionali, il lavoro svolto dal Forum è stato in grado di fermare tale approccio, chiarendo che questi aspetti ed esiti sono tutt’al più la conseguenza di un più vasto fenomeno che coinvolge ed impegna la libera associazione di milioni di cittadini. Eco di tale riposizionamento, nonché ancoraggio ad alcuni principi cardine, si ritrova nella definizione di terzo settore che emerge dal DDL (art. 1), una definizione che ricalca gli aspetti sottolineati nella memoria del Forum del giugno 2014. Tale eco si ritrova anche nelle disposizioni relative alla impresa sociale (art. 6). Una materia lungamente dibattuta nei mesi scorsi, che ha visto soluzione perimetrando l’impresa sociale entro il terzo settore e vincolandola ai suoi principi fondamentali, lasciando un limitato spazio alla possibilità di distribuzione di utili, riprendendo quanto già previsto da anni per le cooperative a mutualità prevalente. Le disposizioni circa la revisione del Codice Civile (art. 3) stanno trovando positiva soluzione, superando il regime concessorio della personalità giuridica e prevedendo maggior tutele verso i terzi. Il servizio civile nel DDL esce rafforzato sia nella sua definizione sia nella sua governance. Il Forum rileva però anche alcune importanti criticità su aspetti che, nel testo del DDL , nonostante i nostri molteplici avvisi, non hanno trovato adeguata soluzione, o addirittura che favoriscono possibili scenari anche molto preoccupanti per gran parte degli Enti del Terzo Settore italiano. Ci riferiamo in particolare a:

• Il perdurante scarso rilievo attribuito, sin dalla definizione dei soggetti di Terzo Settore, al profilo partecipativo che è invece il motore della attivazione dei cittadini e prerequisito per tutto il terzo settore. • Il permanere del rischio di confusione, fino all’impropria assimilazione, tra la stabile e prevalente attività d’impresa e le attività finalizzate al solo autofinanziamento delle associazioni di volontariato e promozione sociale. Eppure è la forma di sostegno alle proprie attività più diffuso nelle realtà di terzo settore, che rischiano quindi di vedersi pesantemente penalizzate se non addirittura minacciate nella loro esistenza. E le prime a subirne il letale effetto sarebbero le associazioni più piccole, quelle meno strutturate, proprio quelle che invece il DDL dovrebbe sostenere e promuovere. Per ragioni analoghe, crediamo che, mentre è del tutto opportuno richiamare i principi di trasparenza e corretta gestione da parte di tali associazioni, sia invece fuori luogo aggiungervi richiami a indicazioni quali efficacia, efficienza, economicità di cui peraltro non si trova riscontro neanche nelle norme che disciplinano l’impresa profit. • Mentre apprezziamo fortemente che venga definito lo status del volontario, esprimiamo forti riserve su quella parte del testo che differenzia lo status non già in base alle attività svolte ma in relazione alla tipologia di organizzazione in cui il volontario opera, con un esito che pare prefigurare ‘volontari di serie A’ (quelli che operano nella realtà di soli volontari) diversi da quelli che operano in organizzazioni di maggiore complessità. • Il Consiglio Nazionale del Terzo Settore può rappresentare una positiva innova-

zione come luogo di incontro e di raccordo con le Istituzioni. A fronte di questo giudizio positivo, esprimiamo altresì perplessità in ordine all’assenza della previsione di un coinvolgimento degli organismi di rappresentanza del Terzo Settore nella fase di elaborazione dei Decreti Legislativi nonché sui compiti assegnati negli ultimi emendamenti al Consiglio Nazionale e precedentemente previsti in capo agli organismi di rappresentanza. Così si rischia la confusione di compiti e ruoli e il pericolo di una rappresentanza sociale eterocostituita o eterodiretta. L’Assemblea del Forum Nazionale del Terzo Settore esprime una forte critica e preoccupazione su questi temi e chiede con forza, ritenendosi tra i destinatari del provvedimento, all’insegna del principio ‘nulla su di noi senza di noi’, che le proprie istanze vengano adeguatamente considerate e si appella ai Senatori ed al Governo affinché, nel prosieguo dei lavori in Aula al Senato, vengano introdotte nel DDL norme tese a: - agire la necessaria tutela delle piccole associazioni, che sono gran parte delle formazioni sociali (il 68% di tutte quelle censite dall’ISTAT); - configurare uno status del volontario ancorandolo ad una prospettiva europea; - garantire il coinvolgimento dei soggetti di Terzo Settore e delle loro rappresentanze nel percorso di redazione dei Decreti Legislativi; - definire in modo preciso ruolo e compiti del Consiglio Nazionale del Terzo Settore. Su di essi, in Aula al Senato, nella terza lettura alla Camera, e nella fase di redazione dei Decreti Legislativi, la vigilanza e l’azione del Forum sarà incessante. Le organizzazioni nazionali aderenti al Forum e le loro articolazioni territoriali si considerano in tal senso in una fase di mobilitazione permanente. Tutto questo per favorire l’opera dei cittadini attivi che - come dice il Presidente Mattarella - in modo libero, autonomo e responsabile contribuiscono a tenere in piedi le istituzioni democratiche, riaffermando la garanzia dell’impegno civico e la libertà associativa quale fattore di crescita della coesione sociale nel Paese.


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palestina

In una città tranquilla della Palestina di Carla Cocilova Arci Toscana

BeitUmmar è una cittadina ad undici chilometri da Hebron. Ha una popolazione di circa 13.000abitanti di cui 4.800 hanno meno di 18 anni. Beit Ummar ha il tipico paesaggio palestinese, viti e olivi, frutteti e ortaggi, ma questo non basta per definirla una cittadina tranquilla. BeitUmmar è il luogo dove Riad Arar vive con la sua famiglia, la moglie Fayza e i figli: Meelad, Noor, Amro, Tariq e Rayan. Riad è il direttore del programma di protezione e mobilitazione sociale di Defence for Children International Palestina, un’organizzazione con cui Arci Toscana collabora fin dalla fine degli anni ‘90. Tante volte le nostre delegazioni sono state accolte nella tranquilla casa di Riad per condividere la maqluba della moglie Fayza e passare una giornata con

la sua famiglia. La notte del 3 agosto alle 3.30, Riad, la moglie e i figli sono stati svegliati dal rumore delle porte di casa loro buttate giù dai soldati dell’esercito israeliano. Quando i familiari sono usciti dalle camere hanno trovato 17 soldati con il volto coperto dentro casa ed altri che aspettavano fuori con i cani. I soldati hanno arrestato Noor, 19 anni, minacciando Amro di 11 anni con un fucile puntato

A un’insegnante palestinese il ‘Global Teacher Prize’ Hanan Al-Hroub, nata nel campo profughi di Deisha a Betlemme, insegnante di una scuola secondaria di Al-Bireh, periferia di Ramallah, vince il Global Teacher Prize per aver elaborato e applicato un metodo sull’insegnamento dei bambini basato sul gioco, così da aiutarli ad affrontare i traumi e le violenze a cui sono quotidianamente esposti. La notizia e le parole di Hanan sono state una boccata di ossigeno per chi, come noi dell’Arci, non sopporta di veder associati i palestinesi, in maniera strumentale, esclusivamente a modelli negativi e violenti. Hanan, che rappresenta senz’altro un’eccellenza nel mondo dell’insegnamento, è un simbolo molto forte perché testimonia due aspetti molto radicati nella società palestinese: l’importanza dell’educazione, promossa all’interno delle famiglie e vissuta dalle comunità come un traguardo fondamentale e necessario per mettere in atto un riscatto sociale che vada oltre il conflitto e la negazione dei loro diritti equanto la società civile palestinese abbia elaborato in questi

anni di occupazione rispetto alle avanguardie messe in atto sull’educazione e la partecipazione attiva dei bambini nei processi decisionali e nelle questioni che li riguardano. In questi anni di collaborazione con le organizzazioni che si occupano di minori in Palestina abbiamo imparato quanto siano importanti i programmi per contenere la rabbia e il senso di vendetta e allo stesso tempo fare in modo che anche i bambini avessero coscienza di avere una loro dignità e di poter essere soggetti attivi di un cambiamento, i programmi di riabilitazione post-traumatica che abbiano un approccio olistico e che partano dall’individualità del bambino stesso in un contesto totalmente sfavorevole a questo tipo di attività. Nella positività assoluta che un evento come la premiazione di Hanan rappresenta, nessun media che ha riportato la notizia ha fatto però riferimento alle cause dei traumi che gli alunni di Hanan subiscono. Ancora una volta manca il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.

al petto. La famiglia non ha avuto notizie di Noor nelle settimane successive all’accaduto, il ragazzo, trattenuto in detenzione amministrativa, non aveva commesso nessun tipo di crimine, è stato arrestato il giorno prima del suo esame di maturità e ancora oggi si trova nella prigione di Ofer. Da fine gennaio la famiglia è riuscita a vederlo soltanto il 14 marzo e la sua udienza ad oggi è spostata al primo maggio. Ma non è tutto. Il 5 gennaio i soldati, con le stesse modalità, fanno di nuovo incursione nell’abitazione della famiglia Arar e stavolta portano via il giovane Amro, già psicologicamente molto provato da quanto accaduto al fratello, e di nuovo i genitori, ormai scossi oltre ogni limite, iniziano una nuova trafila per identificare dove fosse stato portato il figlio e provare ad incontrarlo. Di nuovo detenzione amministrativa, di nuovo torture e botte anche per il figlio piccolo, di nuovo una confessione estorta con la forza. Amro infatti accetta di confermare il lancio di due pietre contro i soldati per poter avere un’uscita su cauzione. Purtroppo ad oggi nessun pagamento di cauzione è stato accettato e il bambino resta in prigione. Amro è in una cella con altri 4 bambini, alcuni più piccoli di lui e quando il padre ha il permesso di incontrarlo, prima sorride felice, ma poi non riesce a trattenere le lacrime. Questa è una storia, una storia per noi ancora più dolorosa perché ha i volti noti degli amici che ci accolgono ogni volta che andiamo ad Hebron, dei compagni con cui abbiamo fatto molta strada. Ma i dati di fine febbraio parlano di 422 bambini palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane mentre continuano le uccisioni di giovani ragazzi e ragazze per motivi di sicurezza e troppo spesso per essere una casualità questi giovani sono coinvolti in associazioni, organizzazioni o sono parenti di attivisti per i diritti umani. Nell’isolamento internazionale (le priorità ormai sono altre), a rischio sono i giovani palestinesi, le nuove generazioni, quelli che non hanno mai combattuto, mai fatto l’Intifada, ma che hanno elaborato linguaggi e prospettive diverse per far fronte alla violenza e alla negazione dei loro diritti e a rischio è la società civile palestinese tutta, sempre più schiacciata da quella che è una terribile realtà.


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egitto

In Egitto continua la repressione

Perseguitate le persone e le organizzazioni che difendono i diritti umani di Francesca Chiavacci presidente nazionale Arci

Due persone appartenenti allo staff del Cairo Institute for Human Rights Studies hanno ricevuto nei giorni scorsi un mandato a comparire il 16 marzo davanti al giudice investigativo in relazione alla inchiesta 173 del 2011. Il Cairo Institute for Human Rights Studies è una delle più autorevoli organizzazioni indipendenti per i diritti umani egiziana. Ha uffici al Cairo, Tunisi, Bruxelles e Ginevra. È accreditata presso le Nazioni Unite. Coordina il Forum nazionale delle ONG per i diritti umani egiziane. Ha prodotto recentemente, in relazione al caso Regeni, una ricca documentazione sull’esponenziale aumento delle sparizioni forzate, morti in stato di detenzione, casi di tortura e sulla repressione contro i difensori dei diritti umani in Egitto. L’inchiesta 173 per la quale i componenti dello staff del Cairo Institute sono indagati riguarda uno dei peggiori attacchi portato dalle autorità egiziane alla società civile

indipendente attraverso il divieto legale di ricevere fondi dall’estero. La legge egiziana oggi considera ciò come un tradimento dell’interesse nazionale, quando invece la maggior parte dei progetti delle ONG egiziane sono finanziate, come dappertutto nel mondo, da fondi internazionali provenienti da altre ONG o da istituzioni come la UE o le agenzie ONU. Questo ultimo atto di intimidazione si aggiunge a una serie di atti repressivi e intimidatori avvenuti nelle ultime settimane contro le voci indipendenti in Egitto, che fanno pensare a un vero e proprio giro di vite contro i difensori dei diritti umani. A molti dirigenti associativi è stato impedito di viaggiare all’estero e il Centro El Nadeem per la riabilitazione delle vittime di tortura ha ricevuto ordine di chiusura, l’avvocato Negad el-Borei è stato incriminato con accuse connesse al suo coinvolgimento nella scrittura di una proposta di legge contro la tortura nel 2015. L’Arci collabora

con il Cairo Institute ed è impegnata a diffondere con regolarità i risultati del suo prezioso lavoro di documentazione e denuncia presso le istituzioni e i media italiani ed europei. Di fronte a questo ennesimo atto di intimidazione, oltre a esprimere tutto il sostegno e la solidarietà agli attivisti del Cairo Institute, chiede che l’Italia si impegni a: a) denunciare il giro di vite contro le organizzazioni di società civile in tutte le sedi di relazione bilaterale con il governo egiziano; b) denunciare pubblicamente, anche al Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu, le restrizioni, gli atti legislativi, le procedure amministrative contro la società civile. Chiediamo al nostro Governo di considerare la protezione della società civile e la salvaguardia della legalità un elemento essenziale e prioritario per garantire la stabilizzazione dell’Egitto, e dunque la sicurezza della intera regione.

Il Parlamento europeo chiede all’Egitto verità per Giulio Regeni di Raffaella Bolini relazioni internazionali Arci

La scorsa settimana il Parlamento Europeo ha approvato con una maggioranza schiacciante una articolata, dura e forte risoluzione sull’Egitto. A partire dalla richiesta di verità e giustizia per Giulio Regeni, la risoluzione impegna l’Unione Europea a fare il possibile perchè il governo egiziano fermi le violazioni dei diritti umani e delle libertà democratiche e civili, tremendamente accresciute nell’ultimo periodo. Siamo contenti di aver contributo, come Arci, in collegamento stretto con altre associazioni e reti europee a questo risultato, grazie anche all’impegno personale e costante della nostra Presidente. Abbiamo cercato di metterlo a frutto, incontrando nei giorni immediatamente successivi importanti esponenti istituzionali italiani: il vice ministro agli Esteri Enzo Amendola, la presidente della Commissione Diritti Umani della Camera Pia Locatelli, il presidente della Commissione Diritti Umani del Senato Luigi Manconi, il vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera Erasmo Palazzotto. A loro abbiamo presentato i dossier, la

documentazione e le richieste elaborate sulla base delle informazioni raccolte da associazioni per i diritti umani egiziani con le quali siamo in contatto da tempo e con alcune delle quali, dopo la morte di Giulio, stiamo tenendo aperto un canale di comunicazione e collaborazione quotidiana. Il giro di vite contro le associazioni indipendenti in Egitto - divieti di viaggio all’estero, inchieste giudiziarie e ordini di chiusura - rende rischioso e difficile per loro esporsi direttamente. Dargli voce sarà per l’Arci, nel prossimo periodo, una permanente azione concreta di solidarietà e sostegno: Voci dall’Egitto sarà il nome della newsletter online che periodicamente invieremo, a partire dall’inizio di aprile, a un vasto indirizzario di media, politici, istituzionali, personalità e attivisti della società civile. È un impegno che dobbiamo alla memoria di Giulio e alla sua famiglia. È un impegno che dobbiamo ai democratici egiziani, alla loro coraggiosa rivoluzione tradita, e alla loro ancor più coraggiosa resistenza alla repressione. È un impegno che dobbiamo alle innumerevoli vittime

di tortura, di sparizioni forzate, di morti in detenzione, di vessazioni giudiziarie, di arresti ingiustificati. A tutti i giovani attivisti costretti all’esilio per salvarsi la vita. Ma è anche un impegno che dobbiamo alla nostra stessa sicurezza. L’Egitto è un paese chiave per le sorti della intera regione mediterranea, e dal suo destino dipende grandemente la possibilità di spegnere l’incendio gigantesco che ormai sta bruciando il nostro stesso mare. Dovrebbe essere chiaro anche ai sassi che la democrazia è condizione ineludibile di stabilità. Il presidente Al Sisi sta facendo il contrario. Emarginare e frustrare le aspirazioni di un’intera generazione che ha creduto nella rivoluzione e oggi vede chiudersi ogni prospettiva. Rendere impraticabile lo spazio pubblico per milioni e milioni di persone è un gigantesco regalo alle forze che lavorano per la radicalizzazione, alla violenza e al terrorismo. Non si può rimanere a guardare, sperando che gli egiziani se la cavino da soli. Bisogna dare una mano, è interesse comune. Come sempre, l’Arci è a disposizione. Faremo il possibile.


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società

Il sessismo trasversale dei candidati di Ornella Pucci coordinatrice nazionale Arci Politiche di genere

Donne e politica, ci risiamo. Nel mese dell’anniversario dei 70 anni di conquista dei diritti politici in Italia da parte delle donne, ancora c’è chi, dietro la maschera del paternalismo e del ti voglio bene, ti dice praticamente in tutte le salse che è meglio che lasci perdere, di non candidarti, di badare a fare la mamma. È ciò che è stato detto a Giorgia Meloni dai suoi affettuosi e interessati colleghi di cordata. Anche se molti pensano - e io tra questi - che l’onorevole Meloni se l’è sicuramente cercata dopo la sua precipitosa ed entusiasta dichiarazione a reti unificate al family day, è stato davvero impressionante sentire la riproposizione di stereotipi così arcaici da politici del nostro tempo sul ruolo della donna e sul significato della maternità. E giù commenti, consigli e più si spiegava e si giustificava quanto detto, più si capiva ciò che veramente c’è dietro l’apparente innocuità di dichiarazioni, benevole e paternalistiche. C’è la convinzione che le donne in politica, anche quando già

affermate, non sono in grado di valutare serenamente, di esercitare lucidamente la propria volontà, insomma non in grado di decidere, minorate mentali quando va bene da tutelare. Fateci caso, le donne in politica vengono sempre attaccate o adulate per il loro aspetto fisico, pancione compreso, raramente per quello che propongono o realizzano. Se sei brutta perchè sei brutta, se sei bella perchè sei bella, per come ti vesti e via dicendo. Ma stiamo veramente parlando di vecchi stereotipi o di qualcosa di più? Ebbene sì, c’è molto di più: c’è soprattutto il fatto che ogni donna che occupa una carica

in politica l’ha tolta a un uomo, quindi il non detto o indicibile è che le donne ancora oggi, consciamente o meno, sono considerate usurpatrici senza merito e questa convinzione alimenta frustrazione e rancore che prima o poi si manifesta, e purtroppo per noi questa situazione diffusa spesso raccoglie la complicità di altre donne. In realtà credo che siamo ben lontane dalla parità nella società. In Italia abbiamo gli indici peggiori d’Europa, alti gender gap sull’occupazione, sulle retribuzioni e sulla presenza femminile mano a mano che la scala gerarchica sale, nonostante le donne superino da anni il 50% dei laureati e degli addetti alla ricerca. A 70 anni dalla conquista del diritto di voto possiamo ben dire che la lotta non è affatto finita, una lotta materiale per conquiste riconoscibili e quantificabili dei diritti di parità che vanno pienamente realizzati, e una lotta culturale che non può che ripartire dal cervello delle donne. Teniamolo in esercizio.

I said yes. Una canzone per dire sì al matrimonio egualitario di Maria Chiara Panesi coordinatrice nazionale Arci Laicità e diritti civili

Un delizioso sodalizio, o sposalizio se preferiamo, è quello nato tra Arci e Lei disse sì, una collaborazione importante che ci ha permesso di portare nelle nostre basi associative, nei nostri luoghi diffusi dove elaboriamo e produciamo cultura il tema del matrimonio egualitario. Lo abbiamo fatto raccontando la storia di Ingrid e Lorenza e promuovendo intorno a questa storia incontri, momenti di sensibilizzazione, testimonianze. Lo abbiamo fatto infine con quei tanti soggetti che sui territori lavorano da molto tempo per il raggiungimento di una piena uguaglianza. Ma la storia non finisce qui e potremmo dire che il percorso si intreccia alla battaglia per il riconoscimento del matrimonio egualitario, che dopo l’iter del ddl Cirinnà prosegue con rinnovata determinazione. Adesso ci apprestiamo a sostenere ed accompagnare la fase due del progetto, che ruota intorno al pezzo I said Yes, composto per la colonna sonora di Lei Disse Sì dai Rio Mezzanino, una band

del panorama della musica indi che ha detto sì alla battaglia di Ingrid e Lorenza, l’ha fatta propria ed ha voluto animarla ampliandone il potenziale. La collaborazione tra cinema, musica e diritti civili ha dato vita ad un remix corale di I said Yes cresciuto grazie alla partecipazione di tanti artisti/e che hanno voluto interpretare e dare voce alla voglia di uguaglianza che ha animato le piazze in questi ultimi mesi. Sono numerosi gli artisti che hanno

donato al pezzo i propri interventi vocali per dare vita ad una versione corale che amplifica l’energia e le vibrazioni di questo progetto collettivo. Solo per citarne alcuni tra i tanti Cristina Donà, Erriquez (Bandabardò), Marco Parente, Ginevra Di Marco, Saverio Lanz, e poi
Enrico Gabrielli, Rodrigo D’Erasmo, Matteo Bennici e moltissime altre voci del panorama musicale italiano. Il remix corale sarà accompagnato da un videoclip firmato Ingrid Lamminpaa e Maria Pecchioli, due amiche e compagne di viaggio ormai. Arci starà in questo progetto a più voci con entusiasmo, provando ad essere cassa di risonanza e motore, promuovendolo e facendolo conoscere al territorio. Ancora una volta la nostra rete associativa potrà essere protagonista di un dibattito sui diritti civili, e saranno i linguaggi a noi più vicini ad animare l’iniziativa, dopo il cinema adesso la musica diventa testimonianza di impegno e di passione civile.


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referendumcostituzionale

Firmare per i referendum, poi al voto per bocciare le modifiche della costituzione e la legge elettorale Manca ormai solo il voto della Camera ad aprile per l’approvazione di una revisione costituzionale che riduce il Senato a un’assemblea non eletta dai cittadini e sottrae poteri alle Regioni per consegnarli al governo, mentre scompaiono le Province. Potevano essere trovate altre soluzioni, equilibrate, di modifica dell’assetto istituzionale, ascoltando le osservazioni, le proposte, le critiche emerse perfino nel seno della maggioranza. Si è preferito forzare la mano creando un confuso pasticcio istituzionale, non privo di seri pericoli. La revisione sarà oggetto di referendum popolare nel prossimo autunno, ma la conoscenza in proposito è scarsissima. I cittadini, cui secondo Costituzione appartiene la sovranità, non sono mai stati coinvolti nella discussione. Domina la scena la voce del governo che ha voluto e dettato al Parlamento questa deformazione della Costituzione, che viene descritta come passo decisivo per la semplificazione dell’attività legislativa e per il risparmio sui costi della politica: il risparmio è tutto da dimostrare e la semplificazione non ci sarà. Avremo invece la moltiplicazione dei procedimenti legislativi e la proliferazione di conflitti di competenza tra Camera e nuovo Senato, tra Stato e Regioni. Il risultato è prevedibile: sono ridotte le autonomie locali e regionali, l’iniziativa legislativa passa decisamente dal Parlamento al governo, in contraddizione con il carattere parlamentare della nostra Repubblica, e per di più il governo non sarà più l’espressione di una maggioranza del paese. Già l’attuale parlamento è stato eletto con una legge elettorale definita Porcellum. Ancora di più in futuro: con la nuova legge elettorale (c.d. Italicum) risultato di forzature parlamentari e di voti di fiducia - una minoranza, grazie ad un abnorme premio di maggioranza e al ballottaggio, si impadronirà alla Camera di 340 seggi su 630. Ridotto a un’ombra il Senato, il Presidente del consiglio avrà il dominio incontrastato sui deputati in pratica

da lui stesso nominati. Gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Csm) ne usciranno ridimensionati, o peggio subalterni. Se questa revisione costituzionale sarà definitivamente approvata la Repubblica democratica nata dalla Resistenza ne risulterà stravolta in profondità. È gravissimo che un Parlamento eletto con una legge giudicata incostituzionale dalla Corte abbia sconvolto il patto costituzionale che sorregge la vita politica e sociale del nostro paese. Nel deserto della comunicazione pubblica e con la Rai sempre più nelle mani del governo, chiediamo a tutte le persone di cultura e di scienza di esprimersi in un vasto dibattito pubblico, anzitutto per informare e poi per invitare i cittadini a partecipare in tutte le forme possibili per ottenere i referendum, firmando la richiesta, e per bocciare con il voto nei referendum queste pessime leggi. Sentiamo forte e irrinunciabile il compito di costruire e diffondere conoscenza per giungere al voto con una piena consapevolezza popolare, prima nel referendum sulla Costituzione e poi nei referendum abrogativi sulla legge elettorale. Per ottenere questi referendum sulla Costituzione e sulla legge elettorale occorrono almeno 500.000 firme, per questo dal prossimo aprile vi invitiamo a sostenere pienamente questo impegno. Facciamo appello a tutte le persone di buona volontà affinché diano il loro contributo creativo a questo essenziale dovere civico. Nicola Acocella, Marco Albeltaro, Vittorio Angiolini, Alberto Asor Rosa, Gaetano Azzariti, Michele Bacci, Andrea

Bajani, Laura Barile, Carlo Bertelli, Francesco Bilancia, Franco Bile, Sofia Boesch, Ginevra Bompiani, Sandra Bonsanti, Mario Bova, Giuseppe Bozzi, Alberto Bradanini, Alberto Burgio, Maria Agostina Cabiddu, Giuseppe Campione, Luciano Canfora, Paolo Caretti, Lorenza Carlassare, Loris Caruso, Riccardo Chieppa, Luigi Ciotti, Pasquale Colella, Daria Colombo, Michele Conforti, Fernanda Contri, Girolamo Cotroneo, Nicola D’Angelo, Claudio De Fiores, Claudio Della Valle, Ida Dominijanni, Angelo D’Orsi, Roberto Einaudi, Vittorio Emiliani, Luigi Ferrajoli, Gianni Ferrara, Vincenzo Ferrari, Maria Luisa Forenza, Patrizia Fregonese, Mino Gabriele, Alberto Gajano, Giuseppe Rocco Gembillo, Roberto Giannarelli, Paul Ginsborg, Antonio Giuliano, Fabio Grossi, Riccardo Guastini, Monica Guerritore, Elvira Guida, Leo Gullotta, Alexander Hobel, Elena Lattanzi, Paolo Leon, Antonio Lettieri, Rosetta Loy, Paolo Maddalena, Valerio Magrelli, Fiorella Mannoia, Maria Mantello, Ivano Marescotti, Annibale Marini, Anna Marson, Federico Martino, Enzo Marzo, Citto Maselli, Stefano Merlini, Gian Giacomo Migone, Giuliano Montaldo, Tomaso Montanari, Paolo Napolitano, Giorgio Nebbia, Guido Neppi Modona, Diego Novelli, Piergiorgio Odifreddi, Massimo Oldoni, Moni Ovadia, Alessandro Pace, Valentino Pace, Antonio Padellaro, Giovanni Palombarini, Giorgio Parisi, Gianfranco Pasquino, Valerio Pocar, Daniela Poggi, Michele Prospero, Alfonso Quaranta, Antonella Ranaldi, Norma Rangeri, Ermanno Rea, Giuseppe Ugo Rescigno, Marco Revelli, Stefano Rodotà, Umberto Romagnoli, Gennaro Sasso, Vincenzo Scalisi, Giacomo Scarpelli, Silvia Scola, Giuseppe Sergi, Tullio Seppilli, Toni Servillo, Salvatore Settis, Armando Spataro, Mario Tiberi, Alessandro Torre, Nicola Tranfaglia, Marco Travaglio, Nadia Urbinati, Gianni Vattimo, Daniele Vicari, Massimo Villone, Maurizio Viroli, Mauro Volpi, Roberto Zaccaria, Gustavo Zagrebelsky, Alex Zanotelli.


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V Meeting Internazionale del Cinema Indipendente 9/13 marzo - Matera

‘Nuove sale cinematografiche e futuro’: l’intervento introduttivo di Roberto Roversi, Presidente nazionale Ucca Nel mio intervento vorrei porre l’accento su due temi che mi stanno a cuore, sperando possano fornire un utile spunto di discussione per gli altri relatori. Primo tema: il nostro Paese ha davvero bisogno di più schermi? O di più sale cinematografiche? E se sì, di che genere, per quale pubblico? I dati diffusi da ANEC (dal 2000 al 2014 sono state chiuse 946 sale, per un totale di 1.149 schermi; nello stesso periodo sono stati aperti 195 complessi per un totale di 1.664 schermi) vanno interpretati con molta attenzione: se il saldo, in termine di schermi, è positivo (+ 515) è altrettanto chiaro che a scomparire sono state le monosale (i ‘complessi’, come eufemisticamente li definisce ANEC, hanno infatti un saldo negativo di - 751 unità). Per essere ancora più chiari: 751 luoghi in meno dove si proietta cinema. Come dire: intere aree del paese sono ‘scoperte’, su altre insistono strutture che programmano solo mainstream, al di fuori dei centri urbani i vecchi cinema nei quali molti di noi si sono formati sono da tempo stati riconvertiti in attività più redditizie. Quindi sì, ne abbiamo bisogno. Però, nello stesso lasso di tempo in cui piccoli esercenti appassionati e generosi erano costretti a gettare la spugna, il numero dei biglietti staccati continuava a scendere, fino ad assestarsi attorno ai 100 milioni, poco più, poco meno, per rimanere pressochè stazionario negli ultimi anni. Quindi no, perché aprire nuove strutture se il pubblico già diserta quelle in attività? Perdonate la semplificazione un po’ rozza, ma non così lontana dal cuore del problema: se prima non si lavora intensamente per creare nuovo pubblico, il rischio non è quello di aprire o ri-aprire scatole che resteranno vuote? Dall’osservatorio di un’associazione di cultura cinematografica, che per vocazione si occupa solo di cinema di qualità, non posso nascondere la mia preoccupazione scorrendo gli incassi di un film geniale come Anomalisa, per di più candidato

agli Oscar, o delle ultime opere, per citare a caso, di grandi autori come Sokurov o Larrain. Un tempo lavori stimolanti e linguisticamente sofisticati come quelli richiamati sarebbero stati frequentati e discussi da un pubblico intellettualmente curioso; oggi, nonostante recensioni entusiastiche della stampa specializzata e non, sono film visti solo da qualche sparuto cinefilo. Riaprire sale attualmente chiuse e aprirne di nuove è ovviamente un obiettivo condivisibile del ddl in itinere, ma realisticamente è difficile immaginare un ampliamento del parco sale senza la formazione di nuovo pubblico. Le dolorose chiusure alle quali abbiamo assistito negli ultimi anni sono state inevitabili, in qualche modo il combinato disposto della crisi economica, della proliferazione di contenuti sulle nuove piattaforme digitali, dei costi dello switch-off e soprattutto dell’invecchiamento del pubblico. Cioè del mancato ricambio generazionale. Si tratta di un fenomeno irreversibile? Dobbiamo abituarci ad un pubblico sempre più anziano? Vogliamo sperare di no. Qualche spiraglio si intravvede e mi fa piacere segnalarlo. Almeno una stortura va eliminata. Segnalo 3 punti.

1* La programmazione di film in originale con sottotitoli sta avendo ottimi riscontri e soprattutto genera un salutare rimescolamento del pubblico, attirando studenti universitari e, più in generale, giovani probabilmente abituati a fruire contenuti digitali sul web. 2* L’interazione feconda del cinema in sala con il web: le proiezioni on demand. È di vitale importanza raccogliere i segnali inviati dal pubblico, concedendogli la possibilità di esprimersi. Con Movieday, ad esempio, non è più l’esercente a far calare dall’alto le sue scelte, sono gli stessi spettatori a promuovere il film con una sorta di passaparola 2.0, compulsando altri potenziali fruitori anche (anzi, soprattutto) quando si tratta di titoli di nicchia. I risultati sono più che incoraggianti: è un modello virtuoso che comincia ad avere dimensioni importanti in tutto il circuito, in particolare per chi gestisce una monosala e non può giovarsi dei benefici della multiprogrammazione. Titoli come Banksy does New York, Unlearning, Alla ricerca di Vivian Maier stanno trascinando al cinema un pubblico giovane e completamente nuovo alla sala, continua a pagina 10


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attratto da temi specifici come la Sharing Economy e la Street Art. È l’inveramento, in ambito cinematografico, della ‘coda lunga’ profetizzata da Chris Anderson, cioè la rivincita delle ‘nicchie’. 3* Il sostegno all’esercizio d’essai. Come abbiamo visto, il segmento del comparto maggiormente in sofferenza è quello Arthouse, che programma solo film d’autore. È in altri termini la monosala d’essai, che ha visto inesorabilmente invecchiare il proprio pubblico, non può giovarsi appieno della multiprogrammazione e ha un potere contrattuale scarso, talvolta nullo, nel cosiddetto ‘accesso al prodotto’. È quindi necessario concentrare il sostegno pubblico su queste strutture e non disperderlo concedendolo a ‘complessi’ che non ne necessitano in eguale misura. Al netto della positiva esperienza di Schermi di Qualità, peraltro arrivata al capolinea, i contributi ministeriali per l’attività d’essai negli ultimi 20 anni sono divenuti sempre meno rilevanti per l’esercizio di qualità. Ci vengono a sostegno i dati elaborati da FICE e presentati a Mantova nell’ottobre scorso, che fotografano impietosamente una dinamica che testimonia, nel migliore degli scenari, uno abnorme allargamento dello stesso concetto di ‘essai’. Se nel 1995 gli schermi ammessi al contributo erano 214 e il contributo ammontava a 14 milioni di lire, dopo 20 anni gli schermi ammessi sono quasi quadruplicati (813) e conseguentemente il contributo medio per schermo è sceso a 2.700 euro. Il tutto senza che l’ammontare del fondo subisse variazioni di rilievo (si è passati dai 3 miliardi di lire del 1995 ai 2,2 milioni di euro del 2014). Ora, non è neppure il caso di evidenziare che 14 milioni nel 1995 erano un sostegno reale all’esercizio, 2.700 euro oggi sono poco più che una goccia nel mare dei costi di gestione. È di tutta evidenza che per poter vedere aumentare le strutture Arthouse, o quanto meno per non lasciarne altre per strada, è necessaria una completa ed immediata inversione di tendenza. Purtroppo lo schema di disegno di legge presentato dal Ministro il 28 gennaio scorso, almeno nella sua prima formulazione, sembra andare in direzione ostinata e contraria. Riguardo al futuro della sala cinematografica, temo che il vero problema che ci troviamo ad affrontare sia ancora più basico, ovvero: come far uscire le persone di casa. Non credo sia mai esistito un periodo in cui siano stati disponibili tanti contenuti

Domenico Dinoia, Presidente nazionale FICE e Giovanni Costantino, Presidente di Distribuzione Indipendente

audiovisivi, spesso di eccellente qualità, da poter fruire sul divano di casa. L’elenco sarebbe sconfinato, ricordo a semplice titolo di esempio, oltre all’offerta delle TV generaliste, le Pay Tv, con relativi pacchetti on demand, le ormai numerose piattaforme online, Netflix in testa, e lo sterminato oceano del web, dal quale qualsiasi persona con nozioni informatiche elementari può pescare praticamente qualsiasi film, inclusi quelli che stanno passando (o addirittura devono ancora passare) in sala. In definitiva, ognuno può crearsi il proprio palinsesto ideale senza muoversi dal salotto di casa. Per tacere del boom delle serie televisive, la cui proliferazione ha letteralmente rivoluzionato l’immaginario collettivo di una generazione e riscritto i modi e i tempi della narrazione per immagini. Non è un caso se stiamo assistendo ad un travaso di grandi autori (e attori) dal grande al piccolo schermo: Martin Scorsese, Steven Soderbergh, Jane Campion, i fratelli Coen, prossimamente persino Woody Allen, per non parlare del prossimo ritorno a Twin Peaks di David Lynch. E non è un caso neppure se il miglior film del 2014 per i Cahiers du Cinéma era in realtà una (bellissima) miniserie TV di Bruno Dumont, P’tit Quinquin, passata a Cannes e poi distribuita anche in sala, persino in Italia. Insomma, se lo scontro sala vs salotto è incentrato sulla qualità dei contenuti, la guerra è persa in partenza. Per essere ancora più prosaico, non credo in un futuro prossimo nel quale una persona si prepara, esce di casa, prende l’auto, affronta le eventuali intemperie, parcheggia, entra in un cinema, paga il biglietto, si siede, vede il film e dopo un paio d’ore rientra a casa facendo il percorso inverso. Il futuro della sala deve giocarsi su un

altro terreno, quello della modalità della fruizione, riscoprendo e valorizzando l’elemento socialità. Non ci servono altri parallelepipedi asettici e impersonali nei quali perdersi nell’anonimato, insomma: altri multiplex. Il modello che immagino, già ampiamente sperimentato in altri paesi, è prima di tutto un luogo accogliente d’incontro, di convivialità, nel quale l’evento cinematografico è solo uno degli elementi di attrattività. A partire dalla stessa struttura architettonica, che non può replicare la classica morfologia della sala, ma deve essere uno spazio multifunzionale in grado di accogliere eventi culturali di diverso tipo. L’obiettivo su cui mi sento di insistere è quello di ipotizzare luoghi caratterizzati da un’identità culturale forte e immediatamente riconoscibile, da un clima informale e da una programmazione sofisticata, capaci di uscire dallo stretto target del pubblico cinematografico per allargarsi ad una platea di persone intellettualmente curiose e aperte alle novità. L’idealtipo di riferimento può essere individuato nel Kino, che è allo stesso tempo un bistrot, una sala cinematografica, un laboratorio di formazione, di produzione, di incontro con i registi e molto altro; ovviamente si tratta di un’esperienza che, per la professionalità degli operatori e per la sua collocazione strategica (il Pigneto a Roma), non è replicabile sic et simpliciter in ogni città italiana. Tuttavia, in un periodo in cui tutte le amministrazioni locali stanno confrontandosi con l’urgenza della rigenerazione urbana e del riutilizzo di spazi dismessi, credo che possa rappresentare il modello di riferimento per tutti gli appassionati che non si rassegnano all’omologazione e vedono nella fruizione di un film in sala un’occasione di piacevole socializzazione e non uno svogliato rituale che si perpetua sempre più stancamente.


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daiterritori

Intervista ad Andrea Polacchi, nuovo presidente Arci Torino Andrea Polacchi è il nuovo presidente di Arci Torino, eletto all’unanimità dopo un periodo di commissariamento del Comitato. Raccontaci quando e come hai cominciato a impegnarti nell’Arci Dopo il movimento studentesco del 2008, anche conosciuto come ‘Onda Anomala’, assieme a tante studentesse e studenti ho fondato il Circolo Officine Corsare di cui ho ricoperto la carica di Presidente per circa 3 anni. Grazie a quell’esperienza sono entrato in contatto con diversi circoli e con il Comitato stesso, con i quali progressivamente ho iniziato a collaborare e a produrre iniziative comuni. Nel 2012 sono entrato nel direttivo del Comitato, e l’anno successivo, in occasione del congresso, nella segreteria del Comitato Arci di Torino. La tua giovane età ha influito sulla scelta fatta dal congresso? Non ho mai creduto in ‘rottamazioni’ generazionali o nel valore intrinsecamente innovativo dei ‘giovani’, anche se penso sia un disvalore tutto italiano l’assenza di un reale ricambio della classe dirigente nel paese basato sulle reali capacità. La mia elezione a Presidente è espressione di un percorso collettivo di rinnovamento e rilancio del Comitato Arci di Torino, all’interno del quale è stata scelta la mia figura, sicuramente non per caratteristiche anagrafiche. In una fase difficile per l’economia italiana, per il territorio e di conseguenza per i Circoli si è reputato necessario un forte ricambio, soprattutto in termini di proposta programmatica. Eletto all’unanimità dopo un periodo

abbastanza travagliato della vita del comitato, quali sono gli impegni che ritieni prioritario assumere? Gli impegni che ci siamo presi di fronte al partecipato congresso sono diversi e ambiziosi, proposte che abbiamo scritto in un documento programmatico frutto di un percorso di elaborazione lungo mesi. Riattiveremo un centro servizi efficace per i circoli (in precedenza assente), riprenderemo a fare progettazione, introdurremo convenzioni adeguate. Reputiamo fondamentale inoltre una maggiore collaborazione con Arci nazionale e Arci Piemonte, in particolar modo rispetto ad alcuni temi particolarmente sentiti dalle nostre basi associative come l’innovazione tecnologica delle modalità di tesseramento, le politiche culturali, la formazione e lo sviluppo associativo. Inoltre in questo mandato introdurremo una forma di bilancio partecipativo e produrremo un bilancio sociale, strumento importante per riprendere efficacemente i rapporti con le istituzioni, gli organismi di controllo e gli stakeholder. Priorità sarà tornare da un lato ad essere attori protagonisti e credibili per i movimenti sociali e gli altri soggetti associativi e politici, dall’altro recuperare lo spirito mutualistico dell’Arci delle origini e contribuire, grazie al nostro forte radicamento in tante zone del nostro territorio, a riconnettere i legami sociali e solidali recisi dalla crisi. Solidarietà, antirazzismo, lotta all’omofobia, cultura della pace e della nonviolenza. A partire da questi valori, per noi fondamentali, ci impegniamo a rilanciare l’azione del Comitato e dei circoli sul territorio.

Un aiuto ai profughi bloccati al confine della Macedonia Il comitato Arci aderisce all’iniziativa della città di Prato per rispondere alla crisi umanitaria scoppiata lungo l’asse della cosiddetta ‘rotta dei Balcani’. Fino al 20 marzo, presso i circoli del territorio sarà organizzata una raccolta di beni indispensabili per le migliaia di persone bloccate in una sorta di terra di nessuno tra diversi confini, nell’impossibilità di procedere ma anche di tornare indietro. I centri ai quali verranno destinati i materiali raccolti sono Tabanovce, centro di transito fra

la Macedonia e la Serbia, dove sono ammassate 1500 persone che aumentano di 30-40 al giorno, e Idomeni, centro di transito fra Grecia e Macedonia, dove sono ammassate oltre 4000 persone. Verrà raccolta biancheria intima per donne, uomini, bambini; asciugamani, tutto ciò che serve per l’igiene personale, zaini o borse, alimenti in scatola. I punti di raccolta saranno allestiti a partire da sabato 12 marzo in diversi circoli Arci. www.arciprato.it

in più La videoguida Catania - Il 21 marzo, in occasione

della Giornata contro il Razzismo, Arci Catania presenterà AsylEasy, la prima video guida multilingue in Italia che spiega, attraverso nove video, con immagini e un linguaggio semplice, l’intera procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. In un momento in cui in tutta Europa si sta cominciando a riconoscere il tuolo fondamentale della tecnologia per aiutare i rifugiati, AsylEasy propone uno strumento innovativo per diffondere le informazioni direttamente ai richiedenti asilo.Visti i tanti arrivi di migranti provenienti da vari paesi del mondo, vista la carenza di informazioni chiare e facilmente reperibili, si è voluto creare uno strumento informativo di facile diffusione e consultazione. La video guida sarà completamente gratuita e disponibile in 6 lingue, sarà facilmente consultabile da smartphone e dal sito www.asyleasy.com a partire dal 21 marzo. La sua realizzazione ha coinvolto giovani provenienti da diverse parti del mondo che hanno formato un team interculturale. www.arcicatania.org

Un laboratorio di integrazione Viterbo - Un successo la tappa

viterbese di Stregoni. Organizzata da Arci Viterbo, Arci Solidarietà Viterbo e Allimprovviso, il laboratorio curato da Jonny Mox e Above the Tree ha vissuto due giornate e una serata intense al Biancovolta insieme a una ventina di migranti inseriti nei programmi di integrazione dello Sprar della Tuscia. Il progetto ha visto protagonisti i due apprezzati musicisti lavorare fianco a fianco per due giorni con rifugiati e richiedenti asilo, utilizzando la musica contenuta nei loro smartphone e iPod, rielaborandola e suonandola insieme di fronte al pubblico, in un concerto opensource, nel quale era gradito l’apporto di chiunque volesse. È così che la colonna sonora del loro viaggio della speranza verso l’Occidente è diventata il cuore dell’iniziativa, insieme alla partecipazione del pubblico fatto di italiani e migranti che si sono alternati sul palco per suonare, ma soprattutto per condividere il terreno comune della musica. I due musicisti, da Viterbo partiranno per un viaggio-documentario da Lampedusa a Stoccolma. arciviterbo.blogspot.com


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società

Arci e SIAE firmano un nuovo protocollo di intenti di Federico Amico coordinatore nazionale Arci Diritti e buone pratiche culturali

Lo scorso lunedì, Arci ha sottoscritto con la direzione generale della SIAE un protocollo di intenti che integra la storica convenzione che la nostra associazione aveva in essere. Risale infatti al 1999 l’accordo quadro che conosciamo e compulsiamo quotidianamente per organizzare le nostre innumerevoli attività. Si tratta di un accordo che condividiamo con altre sigle associative per cui al momento abbiamo preferito procedere con alcune integrazioni a latere su punti non previsti in quel testo. Ci siamo perciò orientati ad attività che come Arci nel suo complesso intendiamo promuovere, scommettendo assieme a SIAE che in questo modo non solo si agevolino, ma possano a tutti gli effetti crescere di numero e di qualità. Così se organizzare una lettura di un testo fino a ieri risultava particolarmente oneroso, oggi, con l’equiparazione alle tariffe dei caffè letterari, sarà più semplice promuovere testi e letture. Ancora di più se la lettura è condotta dallo stesso autore del testo.

Così si introduce per i saggi delle scuole di musica una tariffa specifica che prima d’ora non era prevista. Così le webradio comunitarie e associative aderenti all’Arci vedono riconosciuta la loro attività di animazione sociale specifica con un abbonamento più conveniente. Così, infine, la proiezione di film all’interno dei circoli Arci prende in considerazione la capienza effettiva dello spazio in cui si effettua la proiezione. All’interno del protocollo abbiamo inoltre indicato come per alcune ricorrenze vorremmo ottenere semplificazioni e riduzioni. Il primo test lo abbiamo condotto in occasione della Giornata della Memoria per le attività che Arci ha promosso in quella data. Ora si tratta di presentarci alla SIAE e

il libro

a tutti in occasione delle celebrazioni del prossimo 25 aprile, quando circoli e comitati saranno in prima linea nell’organizzazione di eventi musicali, cinematografici, teatrali e molto altro. Certo si tratta solo di alcune attività, probabilmente non quelle su cui le nostre basi associative investono maggiormente, ma si tratta di un primo segnale di una ripresa di dialogo e discussione operativa con chi amministra oggi in Italia il diritto d’autore, ovvero un soggetto, la SIAE, con cui spesso è stato difficile confrontarsi. Soprattutto per i nostri circoli sotto il profilo erariale. Lo scenario è in evoluzione, credo si sia tutti al corrente delle indicazioni europee circa la liberalizzazione di questo mercato, ma se cogliamo questo tempo per introdurre aggiornamenti e miglioramenti anche per ciò che oggi esiste (e con tutta probabilità continuerà a farlo) non facciamo solo un servizio ai nostri circoli, ma possiamo determinare qualche condizione in più per promuovere cultura in Italia.

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Io che conosco il tuo cuore

In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara

di Adelmo Cervi con Giovanni Zucca

Direttore responsabile Emanuele Patti

Storia di un padre partigiano raccontata dal figlio Piemme Edzioni Un ex-ragazzo di oggi, figlio di un padre strappato alla vita, racconta quel padre, Aldo, partigiano con i suoi sei fratelli nella banda Cervi, per rivendicare la sua storia e, al tempo stesso, per rivendicare di essere figlio di un uomo, non di un mito pietrificato dal tempo e dalle ideologie. Una vicenda straordinaria racchiusa tra due fotografie. La prima, degli anni Trenta: una grande famiglia riunita, contadini della pianura, sette fratelli, tutti con il vestito buono, insieme alle sorelle e ai genitori. La seconda, due anni dopo la fucilazione dei sette fratelli: solo vedove e bambini, indifesi di fronte alle durezze del periodo, alla miseria, ai debiti, anche alle maldicenze. Adelmo è seduto sulle ginocchia del nonno, in faccia l’espressione di chi è sopravvissuto a una tempesta. O a un naufragio. C’è tutto un mondo da raccontare in mezzo a quelle due foto, con la voce di un bambino che ha imparato a cullarsi da solo, perché suo padre è morto troppo presto e sua madre ora è china sui campi. Questa è una storia vera, talmente vera che sembra un romanzo. Il romanzo d’amore di chi sa bene che l’amore si nutre di libertà. Adelmo Cervi è figlio di Verina Castagnetti e Aldo, terzogenito dei sette fratelli Cervi fucilati dai fascisti al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943. Adelmo aveva appena compiuto quattro mesi. Suo nonno Alcide, la cui figura entusiasmò Italo Calvino («Lotta contro la guerra, patriottismo concreto, nuovo slancio di cultura, fratellanza internazionale, inventiva nell’azione, coraggio, amore della famiglia e della terra, tutto questo fu nei Cervi»), ha pubblicato nel 1955 I miei sette figli, a cura di Renato Nicolai, un classico della Resistenza stampato in centinaia di migliaia di copie e tradotto in moltissime lingue.

Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 18 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


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