Arcireport n 12 2014

Page 1

arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XII | n. 12 | 3 aprile 2014 | www.arci.it | report @arci.it

A cinque anni dal terremoto in Abruzzo tanto resta ancora da ricostruire di Marcella Leombruni presidente Arci L’Aquila

Scrivevamo nell’aprile 2013: «Arrivando all’Aquila dalla S.S.17 hai l’impressione che la città sia tutto un cantiere: rotonde ad ogni incrocio; viadotti enormi di collegamento tra la new town di Bazzano verso non si sa dove; piazza d’Armi tutta recintata con i lavori che fervono; traffico pesante su tutte le poche direttrici obbligatorie della mobilità oggi possibile. Ma basta passarci una giornata all’Aquila per accorgersi che non è cambiato molto. La città è una non città. La ricostruzione del centro storico non parte; tanti giovani l’abbandonano per le oggettive difficoltà a viverci, a studiarci, ad avere una vita sociale e culturale accettabile; le new town prive di spazi e servizi pubblici. La vita degli aquilani non è cambiata sospesa tra il disincanto e la rassegnazione di una ricostruzione ferma. Semmai L’Aquila si ricostruirà, diverse generazione non avranno modo di rivederla». Aprile 2014 Ogni volta che ci viene chiesto, in coincidenza dell’anniversario del terremoto, di parlare di come vanno le cose all’Aquila, ci viene un moto di rigetto. Non vediamo l’ora che passi il fatidico 6 aprile, poiché

non abbiamo molto da aggiungere a quello detto l’anno prima e l’anno prima ancora. È vero che la ricostruzione sta partendo, che tanti sono i cantieri aperti, ma la vita degli aquilani fa i conti con le new town ancora prive di spazi e servizi pubblici; con una mobilità infernale, con la mancanza di spazi sociali. E fa i conti, così come lo fa il paese intero, con i problemi economici, con le nuove e vecchie povertà, con la mancanza del lavoro. L’Aquila, l’Abruzzo, l’Italia non sono corpi separati. Solo la consapevolezza di essere tutti pezzi di uno stesso destino può darci la forza di far ripartire il sistema paese tutto, facendo, ognuno la propria parte ed assumendoci le responsabilità che ci competono. E questo stanno facendo i circoli, le associazioni, il comitato territoriale dell’Arci dell’Aquila. Un impegno costante, e continuativo di ciò che si chiama ricostruzione sociale. Facciamo accoglienza ai rifugiati richiedenti asilo; facciamo rassegne teatrali e laboratori per bambini, adolescenti, adulti; doniamo libri e li mettiamo a disposizione nella nostra Bibliocasa e nel nostro Bibliobus; met-

tiamo a disposizione le nostre strutture ad associazioni, gruppi formali ed informali sia per semplici incontri sia per iniziative che senza spazi a disposizione non si potrebbero realizzare; siamo parte, insieme a tante associazioni di volontariato dell’Aquila, della rete dei servizi di prossimità istituita da comune dell’Aquila per interventi socio-culturali nelle aree di fragilità sociale. Facciamo insomma quello che fanno tanti soci, volontari e dirigenti dei circoli Arci sparsi dal nord al sud del nostro bel paese, in maniera silente, fuori dai riflettori, fuori dalle propagande mediatiche, fuori dagli annunci fumosi gridati e sbandierati. Si dice che la strada non esiste, la si costruisce camminando passo dopo passo, giorno dopo giorno, fatica dopo fatica, sofferenza dopo sofferenza, speranza dopo speranza. L’Arci dell’Aquila per l’Aquila oggi è questo, un cammino comune insieme a tanti che giornalmente ritessono i fili per rimettere insieme la nostra comunità che ha diritto di guardare con fiducia al futuro, e di essere per l’Abruzzo una risorsa e non una palla al piede.


2

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

pace&disarmo

Europa, i rischi della corsa al riarmo Sarà l’Europa con il suo azzardo sull’Ucraina a pagare il prezzo della nuova ‘guerra fredda’ e gli italiani quello degli F35. L’acquisto di cacciabombardieri viola l’articolo 11 della Costituzione di Giuliana Sgrena giornalista

La conferma dell’acquisto da parte dell’Italia dei 90 cacciabombardieri F35 è arrivata prima dall’amministrazione americana, il 28 marzo, e solo dopo dalla ministra della Difesa Roberta Pinotti. Era stato Renzi a promettere una riduzione del numero dei famigerati F35, ma la visita di Obama ha cancellato tutti i buoni propositi, nonostante la Commissione incaricata di indagare sui cacciabombardieri non avesse ancora presentato la propria relazione al parlamento. L’Italia dimostra ancora una volta di rinunciare alla propria sovranità in nome della ragion di stato: i buoni rapporti con gli Stati uniti. Gli F35 sono modelli che non funzionano, l’hanno dimostrato numerose inchieste soprattutto Usa, e alla spesa per l’acquisto - 14 miliardi di euro - si aggiungeranno altri - molti - miliardi per la manutenzione. Ma a parte l’ingente spesa, che in tempo di crisi e austerità sarebbe meglio dirottare su altre necessità

impellenti per il paese, il fatto grave è che l’acquisto di cacciabombardieri è funzionale a una strategia militare aggressiva, non di difesa, che va contro l’articolo 11 della Costituzione italiana che ripudia la guerra nella risoluzione dei conflitti. L’acquisto di questi aerei, che porteranno armi nucleari, si inserisce in una corsa al riarmo funzionale alla Nato che cerca di riscattarsi su altri scenari dopo il fallimento dell’intervento in Afghanistan. La coincidenza di questa nuova accelerazione nella corsa al riarmo con gli ultimi avvenimenti in Ucraina desta particolare preoccupazione. Le scelte di Putin e le reazioni occidentali non sembrano privilegiare il dialogo. Sembra di essere tornati ai tempi della guerra fredda. Lady Ashton si è improvvisamente risvegliata dal torpore che ha caratterizzato la sua politica estera per appoggiare il governo (con componenti neofasciste)

di Kiev: un altro segnale della scarsa lungimiranza dell’Unione europea. Non solo perché promettere aiuti all’Ucraina dopo aver affamato il popolo greco è paradossale, ma anche perché sarà l’Europa a pagare il prezzo più salato se si arriverà alla sospensione delle forniture di gas russo che passa attraverso i gasdotti in Ucraina. Una scelta che risponde solo agli interessi statunitensi di rifornire l’Europa con il suo gas di scisto (contro la cui produzione si battono gli ecologisti per il danno ambientale che produce), cosa prevista a partire dal 2015. Il nostro governo assicura che non avremo problemi di rifornimenti energetici nel frattempo. E poi gli Usa potranno godere dei vantaggi loro concessi dall’approvazione del Ttip (Transatlantic trade and investment partnership). Insomma, è urgente un radicale rovesciamento della politica estera e di difesa europea.

Rete Disarmo: dismissione delle caserme, facciamone laboratori di pace e cittadinanza Il Ministero della Difesa ha impresso un’accelerazione alla dismissione di 385 caserme e presidi di pertinenza del demanio militare. Il Ministro Pinotti ha recentemente dichiarato che «è difficilissimo ma indispensabile» mettere a disposizione del pubblico il patrimonio immobiliare militare. Già il Ministro aveva annunciato l’intenzione di creare una task force per la dismissione delle caserme, a favore delle amministrazioni cittadine o anche dei privati che volessero investire. Il decreto sul Federalismo Demaniale prevede che gli enti territoriali garantiscano la massima valorizzazione funzionale del bene ma tale valore non deve essere necessariamente finanziario. La Rete Disarmo chiede al Ministero della Difesa di esprimersi con chiarezza a favore della valorizzazione sociale dei beni dismessi, e invita i sindaci d’Italia ad aprire processi di partecipazione popolare in tal senso, con particolare attenzione al coinvolgimento dell’associazionismo al fine di poter poi disporre dei beni attribuiti nell’interesse della collettività. In questo scenario, infatti, la Rete Disarmo

ritiene certamente importante segnalare i pericoli ma soprattutto evidenziare le potenzialità che la dismissione comporta. Da una parte c’è il rischio che significative porzioni del nostro territorio finiscano in mano a progetti di mero interesse privatistico, portando edificazione selvaggia e cementificazione, in nome della necessità di fare cassa per i bilanci degli enti locali. Dall’altra la Rete è convinta che si apra una sfida senza precedenti per la riprogettazione e riconversione a fini civili e di interesse pubblico di spazi precedentemente dedicati ad attività militari. Si tratta di aree vaste, spesso situate nei centri storici e caratterizzate dalla presenza di spazi verdi, di cui la cittadinanza ha diritto di fruire a fini sociali, culturali e ricreativi, formulando progetti che ripensino lo spazio urbano con modalità partecipative. La Rete segnala quindi alcuni casi in cui comitati, gruppi di cittadini e associazioni hanno proposto processi di riqualificazione delle caserme in dismissione. A Pisa il Municipio dei Beni Comuni ha occupato e aperto alla città gli spazi di un ex-distretto militare nel centro cittadino, 4000 mq di

suolo edificato e ben 8000 mq di verde esterno alberato. Il ribattezzato ‘Distretto 42’ con il suo ‘Parco Andrea Gallo’ è ora sotto minaccia di sgombero. Anche a Roma è stata lanciata una campagna di mobilitazione per il riutilizzo degli spazi in dismissione o abbandonati, tra cui molte caserme. In questo periodo di crisi c’è bisogno di luoghi a fruizione gratuita, spazi per la riprogettazione e la rigenerazione urbana ecologica e sociale. Numerose altre esperienze in Italia emergono come laboratori di pace e cittadinanza: caserme occupate a Bologna, Livorno, Taranto, Treviso e Trieste, e diverse realtà che provano a strutturare percorsi partecipati, connettendo soggetti eterogenei. A Genova l’amministrazione comunale ha appena acquisito una porzione dell’ex caserma Gavoglio, e il sindaco ha dichiarato che il Comune si adopererà per restituire spazi a un quartiere particolarmente congestionato, coinvolgendo la cittadinanza. Speriamo sia l’inizio di un percorso nazionale di riconversione e demilitarizzazione delle nostre città.


3

migranti

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

A Lampedusa il 4 aprile il Manifesto de L’Europa sono anch’io Il 4 aprile, in occasione del convegno Lampedusa città dell’Europa, verrà presentato il Manifesto L’Europa sono anch’io, con dieci richieste su cui i promotori della Campagna chiedono un impegno preciso ai candidati alle prossime elezioni europee. Di seguito il testo del manifesto e una sintesi dei 10 punti. «Siamo cittadine e cittadini Europei che credono nella costruzione di un’Europa democratica, capace di garantire i diritti umani fondamentali e i diritti di cittadinanza a tutte le persone che risiedono sul suo territorio. L’Europa che immaginiamo è uno spazio culturale aperto, con un’identità plurale e dinamica, capace di fondare le relazioni tra gli stati membri e con i paesi terzi sul reciproco rispetto, sul riconoscimento delle specifiche diversità culturali, sulla promozione delle libertà e dei diritti fondamentali, sul mantenimento della pace tra i popoli, sulla garanzia del principio di eguaglianza, sul rifiuto di ogni forma di discriminazione, sul ripudio della xenofobia e del razzismo. I 32,9 milioni di migranti che risiedono nei paesi dell’Unione Europea rappresentano il 7% della popolazione (pari a 503 milioni). I migranti comunitari costituiscono un terzo dei residenti stranieri mentre sono 20,7 milioni i cittadini di paesi terzi, pari al 4,1% dell’intera popolazione europea. A dispetto di un ampio riconoscimento teorico dei benefici delle migrazioni nei suoi documenti ufficiali, l’Unione Europea ha sino ad oggi concentrato la sua attenzione, la sua attività normativa e le sue risorse economiche sulle politiche migratorie, finalizzate a prevenire e a controllare i flussi migratori, lasciando in secondo piano il processo di comunitarizzazione delle politiche di accoglienza, di inclusione sociale dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati, l’attuazione dell’Agenda europea per l’integrazione dei cittadini di paesi terzi e dell’Agenda su migrazioni e sviluppo.

La ‘cooperazione’ con i paesi terzi è stata subordinata alla gestione delle politiche migratorie tramite l’offerta di incentivi a combattere l’immigra-

zione irregolare. La stipula a livello comunitario di patti e accordi bilaterali con i paesi terzi ha privilegiato i paesi di transito e di origine dei migranti diretti in Europa; l’aiuto europeo per lo sviluppo destinato a questi paesi è stato sempre più condizionato alla loro firma di accordi di riammissione dei migranti giunti irregolarmente in Europa e rintracciati dalle autorità del paese di destinazione. Il fallimento di un approccio alle migrazioni prevalentemente securitario è tragicamente esemplificato dalla morte di migliaia di migranti nel Mediterraneo e dalle numerose violazioni dei diritti umani dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati nelle strutture di detenzione allestite nei diversi stati membri e in alcuni paesi confinanti. All’Europa Fortezza disegnata con la costruzione e il rafforzamento di frontiere e muri materiali, normativi e virtuali che limitano la libertà di circolazione, il diritto a migrare e il diritto di asilo noi preferiamo un’Europa policulturale le cui politiche siano fondate sui principi di giustizia, accoglienza, solidarietà, inclusione sociale, partecipazione e garanzia delle pari opportunità. Il diritto a migrare e a chiedere asilo, sanciti dalla Dichiarazione Internazionale dei Diritti Umani, devono essere garantiti con un governo delle politiche migratorie che renda possibile raggiungere legalmente il territorio europeo. I migranti devono godere degli stessi diritti dei nazionali e dei cittadini dei paesi di residenza in tutti gli ambiti

fondamentali della vita economica, politica, culturale, sociale ed educativa. Devono avere il diritto di votare e di essere eleggibili a livello locale ed europeo. Nell’attuale fase di crisi economica e sociale è importante che l’Unione Europea rafforzi il proprio impegno nella lotta a tutte le forme di xenofobia e di razzismo combattendo ogni forma di discriminazione legata all’origine nazionale, ai tratti somatici, alla lingua, alla religione, alle diversità culturali reali o presunte. La crescita di movimenti nazionalisti, populisti e xenofobi che utilizzano strumentalmente il tema delle migrazioni per accrescere il proprio consenso presso l’opinione pubblica rappresenta un pericolo per la costruzione di un’Europa democratica, solidale, coesa e di pace. Per questi motivi ci impegniamo a promuovere una campagna di sensibilizzazione politico-culturale rivolta all’opinione pubblica, ai partiti e alle istituzioni europee per sollecitare un mutamento degli indirizzi politici europei in materia di immigrazione e asilo. In particolare invitiamo i candidati alle elezioni europee 2014 ad impegnarsi a perseguire i seguenti obiettivi. 1. Ratifica della Convenzione dell’ONU del 18/12/1990 «sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie». 2. Garanzia del diritto di voto amministrativo ed europeo. 3. Riconoscimento della cittadinanza europea. 4. Garanzia del diritto di arrivare legalmente in Europa. 5. Politiche migratorie aperte all’inserimento degli stranieri nel mercato del lavoro. 6. Garanzia della libertà personale e chiusura dei centri di detenzione. 7. Diritto a un’accoglienza dignitosa. 8. Garanzia della parità di accesso ai sistemi di welfare. 9. Liberare il dibattito pubblico dalla xenofobia e dal razzismo. 10. Tutela dei diritti dei minori».


4

legalitàdemocratica

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

‘Essere liberi non può essere un lusso per pochi o per ricchi’

Contro le nuove schiavitù, la Carovana si rimette in cammino di Alessandro Cobianchi coordinatore Carovana Internazionale Antimafie

I preparativi per la ventesima edizione della Carovana antimafie richiamano il testo di una canzone scritta da Italo Calvino, Oltre il ponte, in cui un partigiano racconta alla propria figlia ventenne quale fossero i valori che avevano spinto quei giovani a fare la Resistenza. Il testo dice «avevamo vent’anni e oltre il ponte…ch’è in mano nemica vedevam l’altra riva, la vita tutto il bene del mondo oltre il ponte. Tutto il male avevamo di fronte tutto il bene avevamo nel cuore a vent’anni..». Sono passati 20 anni da quando un gruppo di persone dell’Arci Sicilia e Rita Borsellino idearono, dopo le stragi del 1992-93, il più lungo viaggio nella storia civile di questo paese. Migliaia di chilometri, centinaia e centinaia di città, paesi, borghi e da qualche anno tante nazioni europee per un’azione di nuova resistenza, in viaggio, come scriviamo oramai da 20 anni, per la legalità democratica, i diritti, la giustizia sociale: la legalità democratica come mezzo per

raggiungere l’obiettivo, ovvero i diritti e la giustizia sociale. A memoria personale credo sia una delle manifestazioni

politiche e sociali popolari più longeve di questo Paese, assieme alla Giornata della memoria del 21 marzo che è alla 19esima edizione. Nessuna celebrazione particolare durante la partenza della Carovana quest’anno, per evitare la retorica delle celebrazioni. Sono gli anni precedenti quelli che vanno ricordati, tutti. Un po’ come in una marcia, tagliato il traguardo, non ci si dimentica che senza la fatica, il

Campi antimafia 2014, aperte le iscrizioni C’è una celebre frase di Gandhi che recita così: «Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo». Una frase che sintetizza lo sprone all’impegno, la necessità di fare della propria vita il tempo delle scelte di campo, un richiamo a sentirsi corresponsabili delle sorti del mondo a partire dal personale. Il cambiamento. Quello che mosse Pio la Torre a riflettere su un cambio di rotta nella lotta alle mafie. Non più una questione personale e repressiva tra alcuni settori dello Stato, per lo più rappresentati da singoli uomini in toga o divisa, ma una battaglia collettiva che partiva dallo Stato stesso per poi tramutarsi in azione sociale. La legge 109 del 1996 sulla confisca dei beni ed il loro riutilizzo è questo. Figlie di quella legge, che a distanza di quasi vent’anni resta uno dei cardini nella lotta alla criminalità organizzata, sono le tante pratiche di reazione quotidiana che prendono forma sui territori. Le cooperative di giovani, le piccole aziende portatrici di grandi

valori, le esperienze di lavoro volontario che muovono migliaia di giovani sui campi antimafia. Campi, giunti all’ottava edizione, organizzati da Arci, Cgil, Flai Cgil, Spi Cgil con Libera e che anche quest’anno, da aprile a ottobre, si terranno in tutta Italia sui terreni sottratti alle mafie. Formazione, educazione alla legalità democratica e alla responsabilità, azioni concrete sui terreni, laboratori culturali, memoria e condivisione di esperienze: tutto questo nei tanti campi organizzati in Calabria, Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana e Veneto. Luoghi che, un tempo simbolo del potere mafioso, vengono restituiti alla collettività e che attraverso la ricostruzione di spazi sociali ed economici, diventano liberi e produttivi. Le iscrizioni sono aperte per i singoli, anche minorenni, e per i gruppi e si raccolgono fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per maggiori informazioni scrivere a campidellalegalita@arci.it o consultare il sito www.arci.it

piede passo dopo passo, il sudore sulla maglietta, il traguardo non sarebbe stato raggiunto. Nel nostro caso continuiamo ad andare verso il traguardo, la giustizia sociale appunto. Dopo l’appello a Fare società (2012) e l’invito a capire e a fare: Se sai contare, inizia a camminare (2013), la Carovana ha come filo rosso quello della lotta alla tratta degli esseri umani. Complice un progetto europeo (CARTT) che correrà parallelamente alla Carovana italiana: quest’anno nelle oltre 70 tappe parleremo dei ‘nuovi schiavi’. Con un occhio a coloro che non hanno diritti, lacerati dalle logiche per cui il profitto conta più dell’essere umano. Come dire che di parole siamo sazi se poi milioni di persone in tutto il mondo vivono ancora in condizione di schiavitù e sottomissione. I passaggi dolenti della storia si ripetono se nessuno li blocca: schiavi nei campi come nelle piantagioni di cotone del Tennessee o uomini adoperati per costruire case, come schiavi egizi. Nessun diritto. E poi le donne, imprigionate dalle rotte di gente senza scrupoli che le vende e ne abusa. Abbiamo bisogno di non abituarci, di raccontare, di fare e proporre. Si parte da Roma, poi subito il sud, a Villa Literno e Rignano Garganico, nei ghetti della fatica e dello sfruttamento, dove le mafie si arricchiscono sulla pelle consumata dal sole di quelli che arrivano da ogni sud del mondo a cercare lavoro o pace, o entrambi, per trovare un nuovo volto della globalizzazione feroce.Il viaggio proseguirà per tutte (o quasi) le regioni, ognuna con le sue ragioni, con le differenti facce della lotta alla tratta, che siano gli schiavi del caporalato milanese o le donne trafficate di Pescara o in Veneto. Un viaggio che inizia il 7 aprile per concludersi in Italia dove la Carovana è nata, in Sicilia, a Palermo, il 15 giugno. Allora, una volta fermati, almeno per quest’anno, certo che ci ricorderemo dei nostri vent’anni e festeggeremo la storia della nostra Carovana con i fondatori e i nuovi carovanieri. Per andare avanti e ricordare a quei tanti ragazzi dalle ‘guance d’aurora’ che oggi non esiste più un ponte a dividere il bene dal male, dobbiamo guardarci attorno e scoprire che c’è una nuova resistenza da fare, perché essere liberi non può essere un lusso per pochi o per ricchi. www.carovanaantimafie.eu


5

giornatedellalaicità

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

A Reggio Emilia dall’11 al 13 aprile la quinta edizione delle Giornate della laicità La laicità come metodo, cornice e piattaforma stabile attraverso cui promuovere un reale cambiamento della società. Ruoterà intorno a questo principio la quinta edizione delle Giornate della laicità di Reggio Emilia, in programma dall’11 al 13 aprile 2014 (con anteprime il 7 e 10 aprile). Un momento di confronto e discussione, organizzato da Iniziativa Laica, Arci Reggio Emilia, Politeia - Centro per la ricerca e la formazione in politica ed etica e Fondazione Critica Liberale - presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Filo conduttore dell’edizione 2014 sarà Cambiamenti: spirito critico e cittadinanza attiva. A declinarlo, nel corso dei 14 incontri previsti, importanti intellettuali italiani tra i quali Carlo Flamigni, Stefano Levi Della Torre, Marilisa D’Amico, Michele De Luca, Mauro Barberis, Loredana Lipperini, Eugenio Lecaldano, Chiara Saraceno e Gigliola Toniollo. Anche quest’anno la direzione scientifica delle Giornate della Laicità è affidata al professore Carlo Flamigni, uno dei maggiori esperti di fisiopatologia e padre della fecondazione assistita. Tanti gli spunti dell’attualità che saranno approfonditi durante i diversi incontri, a cominciare dal rapporto tra scienza, medicina e bioetica; dalla discussione sull’autodeterminazione delle donne e sulla 194 al Concordato e ruolo delle lobby religiose, al rapporto tra web e nuovi fondamentalismi. Uno spazio sarà dedicato al confronto con una delegazione francese della Ligue de l’Enseignement, composta dal presidente Jean Michel Ducomte e da Camille Binder, che parteciperà per il secondo anno consecutivo alle Giornate per dibattere su come la laicità sia vissuta a livello istituzionale oltre confine. Accanto ai tradizionali dibattiti, l’edizione 2014 si arricchisce di uno spazio dedicato al rapporto tra arte e cambiamento, con iniziative legate al cinema, alla danza e al teatro. Primo appuntamento in programma una rassegna di cortometraggi a tema laico per i quali Reggio Film Festival ha indetto un apposito bando, che culminerà nella premiazione di una selezione di opere tra quelle arrivate da tutto il mondo: libertà, diritti civili, lotta all’omofobia saranno soltanto alcuni dei temi affrontati dai corti selezionati dalla giuria di qualità del Reggio Film Festival e di Iniziativa Laica, che saranno presentati

nel corso di una apposita serata presso il cinema Al Corso di Reggio Emilia (lunedì 7 aprile) e premiati domenica 13 aprile allo spazio Fonderia dell’Aterballetto. La danza intesa come simbolo di libertà e cambiamento sarà invece la protagonista di Absolutely free (domenica 13 aprile), lo spettacolo di Aterballetto su coreografie di Mauro Bigonzetti: un inno alla libertà e alla creatività che prevede il massimo di generosità interpretativa, contaminando

sociali, culturali e apporti ideali che in una storia plurisecolare hanno plasmato la nostra vita collettiva. A spiegarli una rosa di cinque docenti formata daRoberta de Monticelli, Patrizia Borsellino, Gherardo Colombo, Costanza Nardocci, Benedetta Liberali. Il ciclo d’incontri sui valori della Costituzione nelle scuole è stato dedicato agli amici e docenti reggiani professor Ettore Borghi e professoressa Daniela Olmi che sono stati tra i fondatori di Iniziativa laica, recentemente scomparsi. A loro ricordo sono state istituite due borse di studio offerte dalla Camera del Lavoro Cgil di Reggio Emilia e dalla Fondazione Reggio Tricolore che saranno consegnate durante le Giornate della laicità 2014. Info e programma completo su www.giornatedellalaicita.com

Raccolta fondi con Eppela linguaggi diversi. Il Teatro Due di Parma invece ospiterà Ocean Terminal (11 e 12 aprile), la rappresentazione tratta dal romanzo di Piergiorgio Welby e interpretata e diretta da Emanuele Vezzoli con il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni e di Castelvecchi Editore. Un insieme di prose spezzate che si riannodano a distanza: dall’infanzia cattolica alla scoperta della malattia, fino all’immaginario hippy e alla tossicodipendenza, passando attraverso gli squarci di una Roma vissuta nelle piazze o nel chiuso di una stanza. Non mancherà un momento più ludico, l’Aperitivo Energizzante organizzato in collaborazione con Tipo Magazine presso i Chiostri della Ghiara giovedì 10 aprile a partire dalle 19. Musica, cinema e cibo per il cambiamento, con l’accompagnamento musicale del Dj Frank Moody e la proiezione dei corti del Reggio Film Festival dedicati alla laicità. Rientra inoltre nel programma delle Giornate della laicità 2014 il ciclo di cinque lezioni promosso nelle scuole superiori di Reggio Emilia. Una serie di incontri che hanno coinvolto gli studenti da gennaio a marzo in un’ampia e libera discussione con importanti studiosi sui quei valori della Costituzione, frutto di conquiste politiche,

Una raccolta fondi per favorire la diffusione del pensiero laico e pluralista: tra le novità che caratterizzano l’edizione 2014 delle Giornate della laicità vi è la raccolta di crowdfunding promossa attraverso la piattaforma Eppela, che ha consentito di reperire nuovi fondi per l’organizzazione dell’iniziativa. 5.353 euro raccolti grazie all’impegno di circa 200 persone, tra singoli e gruppi: un risultato importante, che ha superato l’iniziale traguardo di 5mila euro e che è stata destinata al finanziamento di parte degli incontri e degli spettacoli in programma dall’11 al 13 aprile 2014. «Tentare la strada del finanziamento dal basso avrebbe potuto essere un azzardo per una piccola associazione di volontari come la nostra - spiega Giorgio Salsi, ideatore e direttore delle Giornate della laicità - si è rivelata invece un’opportunità, grazie alla generosità di una moltitudine di cittadini che in un’epoca di perdurante crisi e impoverimento generalizzato hanno espresso, con una sentita partecipazione e con le donazioni, l’importanza fondamentale del mantenimento e rafforzamento di una ‘voce’ libera e critica come quella rappresentata dalle Giornate della laicità».


6

economia&lavoro

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

Lavoratori o nuovi schiavi? «Tradizionalmente la povertà è stata associata alla mancanza di lavoro (...) più recentemente questi confini sono diventati più sfumati e anche categorie di lavoratori regolarmente occupati si trovano di fatto in condizioni di povertà». La sostanza del problema è così riassunto dall’ultimo rapporto Cnel sul mercato del lavoro. L’analisi sui working poor, i lavoratori poveri che pur lavorando non riescono a raggiungere una soglia dignitosa di reddito, è diventata ormai essenziale in tutte le indagini sul mondo del lavoro. Secondo il rapporto infatti, in Italia, nel 2010, erano il 12,5% della forza lavoro, calcolati con i criteri di misurazione definiti in ambito internazionale (Eurostat, Ilo, Ocse).

Ma nel 2011 erano già saliti al 14,3%. I working poor, cioè i lavoratori ‘a basso s a l a r i o’ sono coloro la cui retribuzione è inferiore ai due terzi «della media della distribuzione dei salari orari». In Italia questa media è pari a 11,9 euro lordi contro i 13,2 euro dell’area euro. Il basso salario nel nostro paese, quindi, è indicato in 7,9 euro lordi l’ora, circa 5,5 euro netti orari, 800-900 euro al mese. Troppo poco per vivere ma abbastanza per essere considerati lavoratori, o lavoratrici, a tutti gli effetti. La contraddizione è tutta qui, in questo conflitto tra lo status percepito e quello vissuto concretamente nella vita di tutti i giorni. Ci si alza la mattina presto, si va al lavoro con orari sempre più lunghi e, in un

mondo di disoccupazione crescente, si è visti come persone fortunate. Eppure, a fine mese, quando la busta paga fa a pugni con le bollette, ci si accorge di essere poveri, di non potercela fare, di essere costretti a correre ancora più forte per campare. La situazione è stata aggravata fortemente dalla crisi economica i cui effetti si sono fatti sentire con qualche anno di ritardo. Alla luce di ciò, l’ipotesi di un salario minimo orario per legge potrebbe costituire un deterrente. La Germania l’ha fissato in 8,5 euro, Obama in 10 dollari (7,5 euro). L’Italia non ce l’ha. I sindacati temono che possa ridurre i salari attuali. Ma i lavoratori poveri hanno bisogno di una qualche risposta.

Un paese più povero e più disuguale di Carlo Buttaroni presidente Istituto Tecnè

È l’immagine di un Paese in ginocchio quella che emerge dalle dichiarazioni dei redditi diffusi dal dipartimento delle finanze. Nel 2012 gli italiani hanno dichiarato un reddito medio reale inferiore dell’1,7% rispetto all’anno precedente e del 6,1% rispetto al 2008. Un Paese più povero, dove la ricchezza si è andata progressivamente concentrando in pochissime mani. Il 5% dei contribuenti dichiara, infatti, redditi superiori a 100mila euro, aggregando complessivamente il 23% della ricchezza. Calo del Pil e dei redditi vanno di pari passo, ma non si tratta di una relazione scontata, quanto il portato di scelte che, soprattutto negli ultimi anni, hanno trasferito il peso della crisi sulle spalle di quell’86,7% di cittadini che dichiarano meno di 35mila euro l’anno, erodendo così un ceto medio già poco robusto come quello italiano. Non è stato così ovunque. L’Italia è l’unico, tra i Paesi avanzati, a registrare quest’andamento. In altri casi si sono registrate flessioni dei redditi più lievi o addirittura un loro incremento. È la freddezza delle cifre a mostrare gli effetti delle politiche del rigore messe in campo negli ultimi anni, con l’impoverimento del ceto medio e la crescita delle disuguaglianze. Scelte che, dietro l’apparente neutralità della tecnica, hanno trasformato l’Italia in un Paese dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, dove la classe media tende a scivolare verso

l’area della povertà e i giovani si trovano davanti un futuro sempre più opaco. In queste condizioni è difficile immaginare di recuperare il terreno perduto con la crisi, perlomeno in tempi brevi. D’altronde, l’indicatore più significativo dello stato di salute di un’economia è la condizione della ‘classe media’ che, se cresce e prospera, funziona da moltiplicatore della ricchezza in tutto il Paese. La nostra classe media, invece, è sofferente e in pochi anni ha disceso la scala sociale. Non è un caso che il problema principale in questo momento sia proprio la debolezza della ‘domanda interna ‘, la cui componente principale è rappresentata dai consumi. Di fronte a questa nuova evidenza dell’impoverimento del ceto medio, viene da chiedersi quali ulteriori prove occorrano per comprendere che occorrono politiche espansive, per le imprese e per il lavoro, di sostegno ai redditi delle famiglie. E non si capisce chi è più visionario tra chi pensa di uscire dalla crisi proseguendo sulla strada del rigore e chi ritiene che è venuto il tempo che la politica si riappropri del governo dell’economia. Perché se è vero che la crisi parte da lontano e affonda le radici nella globalizzazione, è altrettanto vero che ciò che la nutre è l’arretramento della politica dal governo delle grandi questioni economiche. D’altronde, l’inizio del nuovo capitalismo finanziario mondiale prende avvio agli inizi degli

anni 70, con la scelta del governo Usa di sospendere la convertibilità in oro del dollaro. Una decisione che ha dato avvio al processo di globalizzazione della finanza, sottraendola agli indirizzi di politica economica dei governi nazionali e dando origine a un capitalismo virtuale, del tutto slegato dalla produzione. Basta pensare a quante risorse sono state sottratte all’economia reale nel tentativo di tenere basso lo spread. La rottura della relazione tra capitale e produzione è stata una conseguenza inevitabile di questa impostazione. Come inevitabile è stato il progressivo distacco dell’economia dal territorio e dalla dimensione nazionale, con un rovesciamento dei rapporti di forza tra capitale, produzione e lavoro, ma anche tra capitalismo e democrazia. L’Italia, tra i Paesi occidentali, è stata il crocevia di questa follia, con la politica seduta in panchina mentre i tecnici tracciavano la strada ai tanto decantati ‘sacrifici inevitabili’. Col risultato che tutti conosciamo. Nessuna delle premesse delle politiche dell’austerità si è realizzata: non è cresciuto il Pil né l’occupazione, che anzi diminuisce; mentre il debito pubblico è in inarrestabile ascesa. Si chiedeva ‘meno politica’, quando serviva ‘più politica’, come e successo in Usa e in Germania. Quel che stupisce è che di questo fallimento non si discuta, mentre si continuano a far perdere quote di democrazia sostanziale al Paese, facendo leva sulla peggiore demagogia.


7

ambiente

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

La Grande sete di fine secolo Il clima malato presenta il conto Un miliardo di persone assetate, due miliardi in più di bocche da sfamare e una produzione di mais, riso e grano che crolla del 2% ogni 10 anni. Fino a 187 milioni di profughi costretti ad abbandonare la casa per fuggire dall’acqua che avanza. Fino al 9% del Pil globale risucchiato dalla lotta contro la risalita del mare. Sarà l’impatto, a fine secolo, del cambiamento climatico nell’ipotesi di un aumento di 5 gradi rispetto ai livelli preindustriali: uno scenario in linea con le scelte attuali, cioè con un’economia che non riesce a frenare l’uso di combustibili fossili e continua ad aumentare le emissioni serra. Lo hanno firmato gli scienziati dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change), il gruppo di lavoro Onu premiato con il Nobel per la pace. Nella seconda parte del rapporto si spiega che il rischio di una catastrofe è già reale. Il cambiamento climatico è in atto: l’ondata di calore che ha prodotto 70 mila morti in Europa nel 2003, gli incendi che hanno devastato la Russia nel 2010, l’uragano che ha colpito New

York nel 2012 sono il biglietto da visita di un possibile futuro. Senza la mitigazione del trend, cioè senza un taglio delle emissioni di CO2 robusto e rapido, «l’adattamento sarà impossibile per alcuni ecosistemi» e il numero di affamati crescerà. Ma non è una condanna già scritta: molto dipenderà da quello che faremo nei prossimi anni. Un passaggio veloce a un sistema produttivo basato sull’efficienza, sulle fonti rinnovabili e sul riciclo dei materiali conterrebbe i danni. Proprio perché varie possibilità restano aperte, il ventaglio degli scenari tracciati dall’Ipcc è ampio. Anche il più favorevole però non è indolore perché i tempi di recupero dell’atmosfera sono lenti: più del 20% dell’anidride carbonica immessa in atmosfera continua a bloccare la fuoriuscita del calore per oltre mille anni. E abbiamo già sparato in cielo una quantità enorme di carbonio: 545 miliardi di tonnellate, più della metà del tetto oltre il quale si supererebbero i 2 gradi di aumento della temperatura rischiando un global warming catastrofico. Una rapida correzione di rotta riuscirebbe

a ridurre da un miliardo a una cifra più vicina a quella attuale (150 milioni) il numero dei cittadini senza acqua sufficiente a disposizione; farebbe scendere da 5,2 miliardi a 1,7 le persone esposte al rischio di malaria nel 2050; salverebbe l’Amazzonia che, sotto l’assalto di strade, fattorie e incendi, rischia di perdere la sua straordinaria ricchezza trasformandosi in zona semi arida. L’analisi Ipcc mostra anche come il global warming stia colpendo in modo differenziato le varie aree del Pianeta. In Australia le siccità prolungate hanno già messo in difficoltà alcune specie animali. In Africa il crollo della pesca arriverà in alcune aree al 21%. In Asia le città costiere saranno a rischio inondazione e la pressione dei deserti interni crescerà. Alcuni Stati, le piccole isole a fior d’acqua, rischiano di sparire, cancellati dalla crescita dei mari. E il cambiamento toccherà anche l’Italia, rendendo più disastrose piogge ormai di intensità monsonica: in Europa le alluvioni potranno colpire fino a 5,5 milioni di persone, causando danni per 17 miliardi di euro l’anno.

Disastro di Bussi: chi ha inquinato deve risanare «Il peggiore scandalo della storia abruzzese» il Forum dei Movimenti per l’Acqua aveva definito così già nel 2008 il disastro ambientale che ha coinvolto Bussi e la Valpescara. La somministrazione per decine di anni e fino al 2007 di acqua dai Pozzi S. Angelo contaminati da solventi clorurati tossici e probabili cancerogeni è solo una delle tante drammatiche problematiche che la devastazione dell’ambiente avvenuta nella Valpescara ha portato con sé. Il Forum in questi anni è stato in prima fila nel denunciare quanto avveniva a Bussi e l’impatto che aveva a valle, ottenendo la chiusura dei pozzi S. Angelo che rifornivano i rubinetti di oltre mezzo milione di persone, compresi due capoluoghi come Pescara e Chieti. Dichiara Augusto De Sanctis, del Forum Abruzzese dei Movimenti per l’Acqua «Il caso di Bussi, con l’inquinamento dell’acquedotto, è unico a livello europeo per tipo di sostanze pericolose, anni di esposizione e numero di persone coinvolte. Nel 2007 furono i volontari di associazioni a denunciare l’inquinamento

dei Pozzi S. Angelo, sfidando le querele da parte dei responsabili dell’acquedotto. Solo dopo mesi di mobilitazione sono stati chiusi e siamo stupiti che solo ora vi sia la consapevolezza di un dramma che a noi era chiaro fin da allora e che in questi anni abbiamo ampiamente denunciato. Nel 2007 divulgammo le lettere del 2005 dell’allora APAT - ora ISPRA - in cui si metteva nero su bianco che nei pozzi S. Angelo vi erano cancerogeni oltre i limiti di legge. Solo nel 2008 ottenemmo l’indagine epidemiologica, a pozzi ormai chiusi e dopo l’arrivo della lettera dell’Istituto Superiore di Sanità che dichiarava inidonea al consumo umano l’acqua. Questa però abortì poco dopo, con la ASL che inviò quale proprio rappresentante colui che aveva per anni dato la potabilità! In questi anni il nostro lavoro di inchiesta è proseguito portando a nuove denunce, come quella sull’inefficacia dei sistemi di prevenzione adottati o come quella sulla presenza di livelli elevatissimi di Mercurio nei sedimenti del fiume Pescara fino alla foce. Solo la Magistratura ci ha ascoltato

mentre il direttore dell’ARTA è arrivato a sostenere che tanto il Mercurio vi è da 100 anni e che la chiusura dell’azienda non comporta più nuove immissioni nell’ambiente. Se passasse questo ragionamento si potrebbero semplicemente abbandonare le fabbriche e aspettare che la natura faccia il suo corso in qualche millennio... Abbiamo dovuto divulgare noi il primo rapporto epidemiologico dell’Agenzia Sanitaria Regionale sui tumori nella regione, redatto nel 2012 e tenuto nel cassetto. Un documento che, seppur preliminare, fotografa una realtà preoccupante, con frequenze di tumori elevatissime in alcune aree come Bussi, Popoli e Pescara. Purtroppo gli ultimi dati dell’ARTA ci dicono che sostanze estremamente pericolose da Bussi continuano ad arrivare a tonnellate alla foce del Pescara. Siamo molto preoccupati perchè i contaminanti ancora presenti nell’ambiente possono entrare nella catena alimentare. Il vero obiettivo deve essere il completamento della bonifica di tutte le aree inquinate. Chi ha inquinato deve risanare».


8

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

diritti

Amnesty: «Giro di vite in Iran e Iraq 100 esecuzioni in più nel 2013» Secondo il rapporto annuale di Amnesty International sulla pena di morte, Iran e Iraq hanno determinato un preoccupante aumento delle condanne a morte eseguite nel 2013, andando in direzione opposta alla tendenza mondiale verso l’abolizione della pena di morte. Allarmanti livelli di esecuzioni in un gruppo isolato di Paesi - soprattutto i due mediorientali - hanno detearminato un aumento di quasi 100 esecuzioni rispetto al 2012, corrispondente al 15%. «L’aumento delle uccisioni cui abbiamo assistito in Iran e Iraq è vergognoso. Tuttavia, quegli Stati che ancora si aggrappano alla pena di morte sono sul lato sbagliato della storia e di fatto sono sempre più isolati - ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International - solo un piccolo numero di Paesi ha portato a termine la vasta maggioranza di questi insensati omicidi sponsorizzati dallo Stato e ciò non può oscurare i progressi complessivi già fatti in direzione dell’abolizione». Il numero delle esecuzioni in Iran (almeno 369) e Iraq (169) pone questi due paesi al secondo e al terzo posto della classifica, dominata dalla Cina dove - sebbene le autorità mantengano il segreto sui dati - Amnesty International ritiene che ogni

anno siano messe a morte migliaia di persone. L’Arabia Saudita è al quarto posto con almeno 79 esecuzioni, gli Stati Uniti d’America al quinto con 39 esecuzioni e la Somalia al sesto con 34 esecuzioni. Escludendo la Cina, nel 2013 Amnesty International ha registrato almeno 778 esecuzioni rispetto alle 682 del 2012. Nel 2013 le esecuzioni hanno avuto luogo in 22 Paesi, uno in più rispetto al 2012. Indonesia, Kuwait, Nigeria e Vietnam hanno ripristinato l’uso della pena di morte. Nonostante i passi indietro del 2013, negli ultimi 20 anni vi è stata una decisa diminuzione del numero dei Paesi che hanno applicato la pena di morte e miglioramenti a livello regionale sono stati registrati anche durante l’anno scorso. Molti paesi che avevano eseguito condanne a morte nel 2012 non hanno continuato nel 2013, come nel caso di Bielorussia, Emirati Arabi Uniti, Gambia e Pakistan. Per la prima volta dal 2009, la regione Europa - Asia centrale non ha fatto registrare esecuzioni. In molti paesi che ancora vi ricorrono, però, sottolinea il rapporto di Amnesty International, la pena di morte è circondata dal segreto e in alcuni casi le autorità neanche informano le famiglie e gli avvocati - per non parlare dell’opinione

pubblica - sulle esecuzioni in programma. I metodi d’esecuzione usati nel 2013 comprendono la decapitazione, la somministrazione di scariche elettriche, la fucilazione, l’impiccagione e l’iniezione letale. Esecuzioni pubbliche hanno avuto luogo in Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran e Somalia. Persone sono state messe a morte per tutta una serie di crimini non letali tra cui rapina, reati connessi alla droga, reati economici e atti che non dovrebbero essere neanche considerati reati, come l’adulterio o la blasfemia. Molti paesi hanno usato vaghe definizioni di reati politici per sbarazzarsi di reali o presunti dissidenti. Trent’anni fa, il numero dei paesi che avevano eseguito condanne a morte era stato di 37. Il numero era sceso a 25 nel 2004 ed è ulteriormente sceso a 22 l’anno scorso. Nell’ultimo quinquennio, solo nove paesi hanno fatto ricorso anno dopo anno alla pena capitale. «Il percorso a lungo termine è chiaro: la pena di morte sta diventando un ricordo del passato. Sollecitiamo tutti i governi che ancora uccidono in nome della giustizia a imporre immediatamente una moratoria sulla pena di morte, in vista della sua abolizione » ha concluso Shetty.

‘Lo stato della follia’, il documentario di denuncia sugli ospedali psichiatrici giudiziari Gli Opg vanno chiusi entro il 31 marzo 2013, ha sentenziato il Senato nel gennaio 2012 (col parere contrario di Lega e Giovanardi). Prima proroga di un anno, perché le Regioni squattrinate non sanno come provvedere. Poi una nuova proroga fino al 2017. Eppure avevano provocato enorme sdegno quelle immagini girate all’interno dei 6 Opg dalla commissione d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale presieduta da Ignazio Marino. Immagini di morti viventi, di cloache a cielo aperto e di farmaci-caramelle; grida di aiuto, perché «l’uomo è un animale che può provare ad abituarsi, ma qui viene messo a dura prova». Ora a ricordare agli onorevoli e a Strasburgo, che spesso bacchetta l’Italia, l’inferno dei manicomi criminali, gira per le sale un documentario, Lo stato della follia, realizzato da Francesco Cordio, che

per conto della commissione ha girato quelle immagini e che ha ricevuto una menzione speciale al Premio Ilaria Alpi 2011. Quel raccapriccio è diventato un racconto, guidato dalla voce attoriale di Luigi Rigoni, che da quella follia è passato e ne è uscito, per fortuna, quasi indenne. Il racconto in prima persona dell’attore si intreccia con le riprese effettuate, senza preavviso, in questi luoghi ‘di-

menticati’ anche dallo Stato. Il film intende accompagnare, e far vivere lo spettatore, in questi luoghi dove le persone, fin dagli inizi del ‘900, sono relegate e disumanizzate dal trattamento farmacologico, dall’abbrutimento delle celle di isolamento e dei letti di contenzione. Il documentario porta alla luce lo stato di abbandono delle strutture psichiatriche e la privazione dei più elementari diritti costituzionali alla salute, la cura, la vita di tanti malati mentali. «È evidente che la chiusura degli Opg diverrà definitiva solo quando tutte le Regioni e pubbliche amministrazioni avranno pronta la struttura – ha scritto la conferenza delle regioni – i tempi vanno quindi calcolati avendo a riferimento l’ultima Regione e non la prima». Tanto non c’è fretta, «qui ti uccidono piano piano». fb Lo Stato della Follia


9

odg/congressoarci

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

Sostenere l’attitudine all’associarsi Una grande rete associativa nazionale come l’Arci deve porre in essere tutte le azioni possibili per rafforzare e far crescere l’associazionismo, non solo con vertenze e politiche complessive, ma anche attraverso azioni e servizi mirati. Bisogna strutturare e rendere stabile una serie di servizi, opportunità e strumenti tesi alla crescita e al rafforzamento della partecipazione associativa e del tessuto dei circoli sul territorio nazionale. In particolare: 1) Rivolgersi alle persone, con strumenti, servizi e azioni di accompagnamento che mettano in grado tutti, i cittadini e coloro che vivono in’Italia, di potenziare le proprie attitudini civiche, attraverso il sostegno, l’assistenza e l’accompagnamento ai diritti fondamentali, ai diritti sociali e culturali, alla cittadinanza attiva. Va messa a sistema una ‘rete nazionale di advocacy’ di tutela e promozione dei diritti, anche attraverso l’accesso alle prestazioni socio-assistenziali e

di patronato, al fine di diffondere la cultura dell’agire collettivo (la capacità di aggregarsi ed organizzarsi per rispondere ai bisogni propri e a quelli della comunità), essenziale a garantire la soddisfazione di basilari bisogni per le persone più deboli o che si trovano in condizioni di fragilità, solitudine, deprivazione economica o culturale. Dignità sociale, rispetto del lavoro e tutela della salute costituiscono infatti condizioni imprescindibili per l’accrescimento delle attitudini civiche e della cittadinanza attiva e quindi elemento che favorisce la partecipazione e l’impegno associativo. 2) Rivolgersi ai gruppi, con strumenti, servizi e azioni di accompagnamento ai circoli per migliorare la propria azione associativa, reperire risorse, sviluppare il proprio progetto sociale e culturale, orientarsi nella legislazione di settore, interloquire con la PA, gestire e amministrare l’associazione. L’Arci deve rea-

lizzare strumenti di sostegno all’azione di orientamento e consulenza svolta dai Comitati Territoriali, che richiede di essere rafforzata attraverso alcune azioni di sistema: - formazione e orientamento al terzo settore, alla promozione sociale ed al volontariato; - reti di gemellaggi, laboratori, network tematici tra circoli tesi alla qualificazione ed alla trasferibilità di pratiche, servizi e competenze. A tal scopo, l’Arci deve avviare - subito dopo il congresso - la realizzazione di un sistema di comunicazione sociale ‘Dal Socio alla Direzione nazionale’ che metta in rete le persone, le pratiche dei circoli, le politiche dei gruppi di lavoro, la rete dei servizi dei comitati fino alla direzione nazionale. Un luogo di cittadinanza e di rete, dove sia possibile scambiare cultura, servizi, consumi alternativi, iniziative e campagne politiche associative

La formazione dei dirigenti dei circoli come motore della crescita associativa Avviare e gestire un circolo è diventato sempre più complesso a causa della crescente complessità del quadro normativa e burocratico amministrativo. I dirigenti di un circolo si trovano quotidianamente a doversi relazionare con una miriade di uffici pubblici (Comune, ASL Agenzia delle Entrate, SIAE, ecc.) per promuovere le attività della propria associazione, relazione non sempre lineare e collaborativa anche a causa della scarsa chiarezza delle diverse regolamentazioni e, non raramente, della difformità di interpretazioni delle norme che i funzionari assumono da territorio a territorio. A questo si aggiunge un aumento continuo dei controlli da parte degli organi rispettivi verso i soggetti del terzo settore che molto spesso tendono a svolgere verifiche con atteggiamenti vessatori facendo scattare, su semplici presunzioni, sanzioni anche molto pesanti a carico del gruppo dirigente dell’associazione. In un contesto come quello attuale quindi l’impegno sociale e culturale di tante

persone che scelgono liberamente di costituirsi in associazione, come previsto dalla Costituzione, per offrire il proprio contributo alla crescita ed al benessere della propria comunità, carica i gruppi dirigenti di importanti responsabilità civili, fiscali e penali. Un carico di responsabilità che diventa una vera e propria barriera alla piena affermazione del diritto/dovere di ogni cittadino di impegnarsi e partecipare alla costruzione di un mondo migliore. Si pone quindi l’esigenza di supportare

tale impegno civile e senso di responsabilità verso la propria comunità, con percorsi formativi che consentano a gruppi dirigenti dei circoli di acquisire specifiche competenze sul piano normativo e amministrativo, al fine di favorire lo sviluppo associativo riducendo i rischi di incorrere involontariamente in sanzioni giuridiche ed economiche. Il portale ’filo rosso’ rappresenta sicuramente in tal senso un strumento utile di aggiornamento e chiarimento sul continuo modificarsi delle norme che regolano la vita associativa e i relativi adempimenti burocratici, ma non basta! È necessario che l’Arci nazionale preveda percorsi formativi diffusi sui territori, anche attraverso la valorizzazione del ruolo e delle competenze istituzionali dei comitati territoriali, capaci di creare un sistema diffuso di competenze in modo da consentire ai dirigenti dei circoli di affrontare con consapevolezza la complessità normativa burocratica ed amministrativa della vita associativa.


10

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

odg/congressoarci

Contro le servitù militari e per la riabilitazione dei militari condannati a morte durante la Prima Guerra Mondiale Fin dalla sua fondazione, la lotta per la difesa della pace nel mondo è stata parte costituente della politica culturale dell’Arci. La situazione attuale è caratterizzata da un precipitare della situazione internazionale e squilli di guerra non solo risuonano in ambiti locali ma sempre più sembra avvicinarsi la possibilità di uno scontro globale fra le grandi potenze. La crisi economica globale ha come possibile sbocco anche una guerra mondiale. I proponenti di questo odg vogliono porre all’attenzione del congresso due azioni concrete in difesa della pace. Alcune regioni italiane, in particolare Friuli Venezia Giulia, Veneto, Sardegna e Sicilia vedono parti notevoli del proprio territorio occupate da servitù militari che in nome della difesa della pace sono interdette al controllo democratico e in cui si svolgono attività militari finalizzate alla realizzazione

di una politica di aggressione contro tutti gli stati che non si piegano ad una logica di sudditanza ad uno o all’altro dei potenti di turno. Il loro insediamento è spesso in aree di pregio dal punto di vista dello sviluppo economico e/o turistico creando un grave nocumento allo sviluppo di queste regioni. Inoltre il grado di degrado ambientale che caratterizza queste aree e le zone limitrofe provoca non solo una rovina sul piano delle bellezze ambientali, e già questo sarebbe una grave danno, ma grazie all’uso di armi moderne all’uranio impoverito o con altri agenti nocivi, provoca l’impossibilità dell’esercizio di attività economiche tradizionali come l’agricoltura e l’allevamento, e la morte di centinaia di persone per tumori direttamente causati da queste sostanze rilasciate nell’ambiente. Lo stato non si

fa carico di un risanamento neanche in presenza di sentenze della magistratura che ammettono tale responsabilità. Chiediamo quindi a questo Congresso di iniziare una campagna che porti al ridimensionamento e alla cancellazione di tutte le servitù militari non strettamente legate all’applicazione dell’art. 11 della Costituzione Italiana. In secondo luogo chiediamo che venga richiesto ai rappresentanti politici a noi vicini la produzione di atti legislativi che dichiarino illegali le condanne a morte comminate contro i soldati italiani durante la prima guerra mondiale e ne riabilitino la memoria. Già in molti paesi, in particolare in Francia e Regno Unito, vi è un’unità di intenti per raggiungere questo obiettivo e le vie e le piazze dedicate ai macellai artefici di tali politiche antipopolari sono state cancellate.

Condanna dei movimenti fascisti e neonazisti Con il seguente odg vorremmo portare tutta l’associazione a conoscenza di una (triplice) grave situazione che si sta verificando proprio in questi giorni a Milano e in Brianza, dove per l’ennesima volta formazioni di estrema destra cercano di riciclare la loro natura xenofoba e violenta in una veste apparentemente moderata e legittima. Nello specifico si stratta di tre gruppi che fanno riferimento a galassie neofasciste sottilmente differenti, anche fortemente divise al loro interno, ma la cui concomitanza di iniziative non può non denotare una pericolosa unità di intenti. Nello stesso breve periodo rischiamo infatti di trovare sul nostro territorio: - nella città di Monza un comizio di Roberto Fiore, leader di Forza Nuova e già condannato per banda armata. A questo proposito siamo comunque lieti di annunciare che la mobilitazione della rete antifascista locale, di cui l’Arci è naturalmente parte integrante, è riuscita a far annullare ‘formalmente’ l’incontro

previsto per sabato 15 marzo. Il presidio antifascista nella piazza principale di Monza è in ogni caso confermato. - Nella città di Novate Milanese, il tentativo di insediamento di Casa Pound in consiglio comunale , dopo che una ex consigliera di Forza Italia ha abbandonato il proprio gruppo in funzione di rappresentare i cosiddetti ‘fascisti del terzo millennio’. - Nella città di Milano, medaglia d’oro della Resistenza, l’apertura di una sede del gruppo ‘Lealtà e Azione’, una sigla di copertura del movimento neonazista Hammerskin, le cui vicende hanno tra

l’altro connessioni con persone indagate anche per associazione mafiosa. Si tratta purtroppo solo dell’ultima fase di una lunga serie di movimenti che, non solo a Milano e non solo in Lombardia, non possono non preoccupare e soprattutto non indignare tutta la società civile e democratica. Per questi motivi chiamiamo l’assemblea congressuale a sottoscrivere: Una condanna specifica contro le iniziative elencate, in piena solidarietà e comunità di intenti con le reti antifasciste locali, composte da Anpi, partiti, associazioni e movimenti auto-organizzati. Un forte appello a tutte le istituzioni, locali e nazionali, a tutte le associazioni, a partire da tutti i circoli Arci, ad attivarsi per respingere fermamente ogni tentativo di insediamento territoriale di qualsiasi formazione nazi-fascista, in nome innanzitutto della tutela della Costituzione, che considera ognuno di questi gruppi del tutto illegale.


11

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

daiterritori

Con il circolo Parco dei Pini a Narni Scalo la manifestazione RitrovArci di Tommaso Sabbatini Arci Terni

Beni comuni, interculturalità, infanzia, adolescenza e tempo libero; partendo dalla discussione su questi temi, le ragazze e i ragazzi di Narni Scalo del locale circolo Parco dei Pini hanno dato il via alla manifestazione RitrovArci, svoltasi nello scorso week-end. Tre giorni di musica, incontri e multiculturalità per presentare il progetto del primo centro giovanile del Comune di Narni. «Ritrovarci è stato l’inizio di un percorso, abbiamo gettato le basi per valorizzare le tante iniziative che si svolgono in questa struttura: dalle attività educative ed interculturali, alla musica, allo sport e agli incontri nella sala polivalente del circolo intitolata a Peppino Impastato. Partendo dal manifesto pedagogico redatto dal gruppo nazionale infanzia e adolescenza di Arci nazionale – spiega Valeria Cerasoli, responsabile per il comitato Arci di Terni dei circoli del territorio narnese – i ragazzi hanno redatto un ampio documento per le attività future del centro. Il metodo di lavoro è stato lungo e faticoso ma positivo per il protagonismo dimostrato da chi negli ultimi mesi ha collaborato e creduto fortemente in questo progetto». Dopo la cena sociale di raccolta fondi del venerdì sera, la giornata di sabato è stata appunto dedicata alla discussione dell’organizzazione del nuovo centro, con la presentazione alla città delle iniziative programmate e delle buone prassi da tenere all’interno della struttura, senza dimenticare tutto ciò che succede fuori dal Circolo, come la drammatica vicenda della SGL Carbon, fabbrica narnese che impiega oltre cento persone e che rischia

la chiusura. Dal Parco dei pini” non è mai venuta meno la collaborazione alle lotte dei lavoratori. Nelle scorse settimane infatti l’Arci e il circolo hanno organizzato una manifestazione con lavoratori e studenti alla quale ha preso parte la cantante folk ternana Lucilla Galeazzi, un’iniziativa pensata non solo per mantenere alta l’attenzione sul futuro dei lavoratori ma soprattutto per sensibilizzare i giovani del luogo. La serata è stata invece caratterizzata dalla musica, con il concerto della cover band dei Pink Floyd Forget the sun. La

tre giorni non poteva non concludersi con la domenica pomeriggio dedicata ai più piccoli con Piazza dei popoli, manifestazione realizzata con il contributo della Regione Umbria, caratterizzata da giochi e animazioni per i bambini. Una festa a carattere interculturale che ha coinvolto le principali etnie presenti sul territorio, in particolare le comunità che partecipano alle attività di sostegno compiti svolte da Arciragazzi Narni. E dopo il successo di RitrovArci, i ragazzi del circolo sono già all’opera per mettere insieme le idee e concretizzarle.

Anddos aderisce alla Federazione Arci Dal 1 gennaio 2014 l’Anddos (Associazione nazionale contro le discriminazioni da orientamento sessuale) fa parte della Federazione Arci, a seguito della delibera assunta all’unanimità dal Consiglio nazionale della Federazione nel dicembre scorso. L’associazione Anddos è nata nel 2013 nell’ambito del movimento Lgbt italiano, in particolare per iniziativa di un gruppo di circoli già a suo tempo affiliati ad Arcigay, ed è un’associazione senza fine di lucro nata per contrastare

l’emarginazione delle persone con orientamenti sessuali diseguali e diffondere la cultura del rispetto dell’identità di genere qualunque essa sia. Lo scopo di Anddos è quello di affermare una positiva immagine dell’omosessualità e degli omosessuali nella società, nonché contribuire all’affermazione e allo sviluppo dei diritti civili e delle libertà delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transessuali ed eterosessuali. www.anddos.org fb Anddos

in più BUON COMPLEANNO RADIO BARRIO CROTONE È stato presentato nella

sede di Radio Barrio in via Cappuccini 27 il programma per i festeggiamenti del compleanno di radiobarrio.it, la radio online made in Crotone. I festeggiamenti inizieranno martedì 8 aprile con la diretta dal circolo Arci PiCubo di Cutro e con il concerto della band americana ‘anti-folk’ Erin K. I festeggiamenti proseguiranno poi l’11, il 12 e il 13 aprile al Columbus Innovative Bar con dirette radiofoniche, reading, dj set e concerti live in occasione della lunga tre giorni che impegnerà tutti gli speaker di Radio Barrio. www.radiobarrio.it

il fascismo in italia e in europa LUCCA Il 4 aprile alle 18.30 presso il

comitato territoriale Arci in piazzale Carlo Sforza S.Anna si terrà l’incontro Il fascismo oggi in Italia e in Europa con l’intervento di Giacomo Russo Spena, giornalista di MicroMega dopo una lunga esperienza al Manifesto. Ha scritto il libro sulla destra radicale Ripuliti. Postfascisti durante e dopo Berlusconi (Castelvecchi). É in uscita un suo nuovo libro sull’esperienza di Syriza e il leader Alexis Tsipras. www.arcilucca.org

REQUIEM FOR XP VALENZANO (BA) L’ARCIpela-

go, in collaborazione con la cooperativa ReHardWareIng di Rutigliano, ospita Requiem for XP: fa’ sopravvivere il tuo vecchio computer, incontro informale dedicato al software libero come antidoto scaccia-crisi. Appuntamento domenica 6 aprile alle ore 17 nella sede associativa del circolo, in via Cavata 47. Requiem for XP fa parte di un ciclo di tre eventi dedicati al consumo critico. Dopo il 6, sono previsti un incontro sulle potenzialità della canapa come materia prima il prossimo 10 aprile e uno sulla filosofia veg il 18 maggio. Ingresso libero.

fb L’Arcipelago - Circolo Arci Valenzano

serata a il farina CASSANO VALCUVIA (VA) Al circolo Il farina sabato 5 aprile alle 19 presentazione del libro Una sosta a metà strada di Emma Luciani, a seguire, spettacolo No alla violenza sulle donne del laboratorio teatrale Les Femmes Lions e concerto di Marco Ulcigrai. fb Circolo Ilfarina


12

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014

società

Presentata la quinta edizione dell’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo L’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, la mappa aggiornata delle situazioni di crisi nel mondo, è giunta alla sua quinta edizione. Complessivamente 36 le ‘schede conflitto’ che compongono l’Atlante, a cui si aggiungono uno speciale ‘Pirateria’ e uno sui ‘Conflitti ambientali’. Inoltre, nell’edizione di quest’anno, una sezione speciale è stata dedicata al tema ‘Donne e Guerra’, viste non solo come vittime della guerra ma anche come protagoniste perché sempre più combattenti risultano proprio essere donne. Nel testo sono presenti - tra i vari dossier - un approfondimento sul Sudafrica del dopoMandela, un’analisi a cura di Medici Senza Frontiere sulle sfide di chi opera nei teatri di conflitto, il punto sulle violazioni dei diritti umani in Medio Oriente, Africa, Asia ed Europa a cura di Amnesty International, un’indagine sulla crisi tra le due Coree, un focus sullo stato delle rivolte in Medio Oriente e un reportage del viaggio in moto tra Iran e Kurdistan di una coppia italiana.

L’Atlante è il frutto di un lavoro collettivo di giornalisti, ricercatori, inviati di guerra e fotografi, oltre che del contributo di varie realtà come l’Arci, l’Associazione Ilaria Alpi, AAM Terra Nuova, l’Associazione Asal, la Tavola della Pace, Banca Etica, Amnesty International Italia, la Commissione Nazionale Italiana per l’Unesco, l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu, il Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali di Roma (Cdca) e, per la prima volta, Medici Senza Frontiere. Come ogni anno, 1 euro per ogni copia venduta sarà destinato al sostegno delle operazioni di aiuto ai rifugiati promosse dall’Alto Commissariato per i rifugiati. In particolare quest’anno l’Atlante delle Guerre aderisce alla campagna dell’Unhcr Routine is fantastic, in sostegno delle donne siriane rifugiate. L’Atlante dei conflitti si sviluppa ogni anno da osservazioni, punti di vista, dati, pensieri che confluiscono insieme. È inoltre fondamentalmente nato e rimane un volume pensato per i giovani, da divulgare nelle scuole. Durante la

il libro

Habiba la magica di Chiara Ingrao - Edizioni Coccolebooks, 2014    Pagine 152 - euro 10,00

Habiba vive nella periferia di Roma, in un condominio pieno di cinesi, indiani, egiziani… E Habiba cos’è? È italiana, dice la mamma, che ha attraversato il mare in tempesta per farla nascere qui. No, è africana, protesta zia Aminata, mentre le fa le treccine. Prima di tutto è romanista, strilla la sciarpa giallorossa, che Habiba porta sempre con sé. È l’unica cosa, che la divide dalla sua amica del cuore: Silvia è laziale, mentre Habiba tifa per la Magica. Non lo sa ancora, che la Magia sta per entrare nella sua vita davvero. Dovrà sfidare l’ignoto, ridere delle sue paure, osare l’impossibile. Ma potrà farcela da sola, oppure…? Habiba la Magica è la storia di una bambina come tante, che esplora il mondo e le sue verità nascoste, lontane e vicine. Una fiaba per lettrici e lettori da 9 a 99 anni, di cui è protagonista, per la prima volta nella letteratura per l’infanzia, una bimba afro-italiana: un piccolo contributo alla campagna L’Italia sono anch’io, per il diritto alla cittadinanza italiana di chi nasce e vive nel nostro paese. Il libro è stato presentato in anteprima a Roma, il 21 marzo, Giornata mondiale contro il razzismo, in collaborazione con i promotori della Campagna (www. litaliasonoanchio.it). L’autrice, Chiara Ingrao, è attualmente impegnata a tempo pieno come scrittrice e animatrice culturale, con particolare interesse per il lavoro nelle scuole. Le sue precedenti esperienze di lavoro sono molteplici, così come quelle politiche e sociali.

presentazione della nuova edizione, è stato ricordato anche il ruolo sempre più difficile degli inviati in zone di guerra. Già 26 reporter sono morti dall’inizio dell’anno per raccontare i conflitti. E preoccupa come nel 2014, dopo la Siria e il Pakistan, si stia tornando a morire anche in Iraq ed Afghanistan, paesi dove le guerre sarebbero tecnicamente ‘finite’. L’Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo - secondo il suo direttore - è pensato anche per questo: «Non solo riempire un vuoto di informazione, ma dare elementi di riflessione e fornire gli strumenti per fermarci a pensare su quello che succede, tanto più considerando che ormai dietro tutte le situazioni di conflitto analizzate ci sono sempre e principalmente interessi economici», a fronte dei quali bisognerebbe cominciare a «passare dalla gestione delle guerre alla prevenzione delle guerre». «Per il prossimo anno però introdurremo una novità: per ogni situazione di conflitto ci piacerebbe raccontare anche i progetti in corso sul versante della pace».

arcireport n. 12 | 3 aprile 2014 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Carlo Testini Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Paolo Beni Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 18 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.