Arcireport n 12 2016

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arcireport

settimanale a cura dell’Arci | anno XIV | n. 12 | 1 aprile 2016 | www.arci.it | report@arci.it

Non possiamo stare fermi. In tutti i sensi di Greta Barbolini responsabile nazionale Arci Politiche economiche

Lunedì prossimo, in concomitanza con la partenza della campagna fiscale 2016, prende il via la nuova campagna di comunicazione del cinque per 1000 dell’Arci. Una campagna completamente rivista e ripensata per promuovere l’Arci, accrescere la sua visibilità nell’opinione pubblica, tra i circoli e i soci. Iniziamo con quest’anno un lavoro più curato, che si avvale di una consulenza specifica sulla raccolta fondi, con l’obiettivo di rimettere in gioco la nostra associazione affinché, anche tramite un’accresciuta capacità di intercettare donazioni, raggiunga un posizionamento all’altezza del suo radicamento e della sua importanza nella società italiana. Il punto da cui ci muoviamo registra alcune criticità: la frammentazione con cui ci siamo presentati nel passato per raccogliere il 5x1000 e la debolezza nella comunicazione, che rappresenta indiscutibilmente un fattore decisivo per sollecitare i soci, e i cittadini in generala, a sostenere l’Arci attraverso la specifica modalità del conferimento di una parte del proprio Irpef in fase di dichiarazione dei redditi. Abbiamo di fronte una grande sfida culturale da assumere pienamente, oserei dire una grandissima sfida culturale per un’associazione

come l’Arci che in generale non è abituata a chiedere alle singole persone di collaborare con una donazione al raggiungimento di un obiettivo e tanto meno ad esplicitare una richiesta di donazione per rafforzare la propria rete. Su questo abbiamo tanto da imparare a partire dalla convinta consapevolezza che abbiamo le giuste ragioni ed enormi potenzialità, se sapremo modificare il nostro linguaggio e il nostro modo di comunicare. Le giuste ragioni siamo tutti noi insieme, per quello che facciamo e per come lo facciamo. Un reticolato immenso di presenze vigili nelle città e nelle periferie, di progetti, azioni, presidi nel campo sociale, culturale, educativo, per l’inclusione sociale,per tradurre i diritti in opportunità concrete. Anche la campagna del 5 x1000 è un’opportunità tramite cui fare sì che i nostri soci e un numero crescente di cittadini vedano e attribuiscano un valore all’esistenza della rete dei circoli Arci. Ecco perché abbiamo scelto di presentare l’Arci come rete nazionale di esperienze locali straordinarie ed uniche, mettendo in primo piano una selezione di circoli e progetti che raccontano nel loro insieme cosa significa essere Arci e impegnarsi in prima persona per agire percorsi di cam-

biamento culturale e sociale. Storie, attività, obiettivi, settori di intervento in cui tutti noi possiamo riconoscerci, farci conoscere e chiedere un sostegno all’Arci donando il cinque per mille del proprio Irpef. Dunque proviamo a cambiare linguaggio e accettiamo la sfida di chiedere cercando di fare del nostro meglio per chiedere nel modo giusto, con le immagini e le parole giuste. Dal punto di vista grafico abbiamo scelto di rappresentarci tramite l’immagine di un gruppo di persone in un luogo aperto. Tante persone in piedi, ciascuna con un cartello in mano che riporta uno dei temi su cui l’associazione si impegna. Persone che tramite il loro impegno sono presenti e attive nella piazza dell’impegno sociale, culturale e politico. Lo slogan è Non possiamo stare fermi che descrive molto bene una sorta di nota caratteriale delle persone impegnate nell’Arci che tutti noi ben conosciamo, l’operosità, l’incapacità di stare fermi. «Non possiamo stare fermi» però è anche una dichiarazione di intenti e un invito ad agire che rivolgiamo a chi ci guarda. Il legislatore, introducendo la possibilità per i contribuenti di destinare una percentuale della propria Irpef, ha inteso che fossero i cittadini e le cittadine a scegliere direttamente gli obiettivi e i soggetti tramite cui intervenire per migliorare la qualità della vita delle persone e delle comunità locali. La responsabilità di offrire a quante più persone la possibilità di agire un cambiamento sociale dando il proprio 5 x 1000 all’Arci è solo nostra.


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esteri

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“Sul volto distrutto di Giulio tutto il male del mondo” I genitori denunciano i depistaggi delle autorità egiziane e chiedono verità sulla morte del figlio

Abbiamo espresso da subito il nostro orrore e la nostra indignazione per l’assassinio di Giulio Regeni e invitato il governo italiano a mettere in atto tutte le forme di pressione possibili per costringere le autorità egiziane a dire la verità, a individuare e processare gli esecutori del barbaro assassinio chiunque essi fossero. Questo non è avvenuto, malgrado che il Parlamento europeo, l’Onu, lo stesso segretario di stato americano John Kerry, la stampa di tutto il mondo abbiano denunciato il mancato rispetto dei diritti umani in Egitto e abbiano chiesto verità sull’uccisione di Giulio. Da febbraio ad oggi abbiamo assistito solo a dichiarazioni tronfie e retoriche da parte del generale Al Sisi, rilasciate al più venduto quotidiano italiano che si è prestato ad intervistarlo lungamente, e alle ben più concrete manovre di depistaggio messe in atto dalle autorità egiziane, come era purtroppo facile prevedere. Ora si è levata con grande coraggio civile la voce della famiglia di Giulio. In una conferenza stampa emotivamente

intensa, la madre di Giulio ha dichiarato di avere visto nel volto distrutto del figlio tutto il male del mondo. Con grande dignità ha elevato il proprio dolore privato a dolore pubblico. Una esternazione necessaria ma severa e composta di fronte alla sordità dei poteri politici. Il velo è stato squarciato. È stato il vero e unico atto di accusa sollevato contro il tentativo delle autorità egiziane di seppellire la verità e di quelle italiane di cercarla troppo debolmente. Le parole della madre di Giulio non hanno espresso desiderio di vendetta, ma di giustizia. Non si sono attorcigliate attorno all’immenso dolore per la perdita nel peggiore dei modi immaginabili di un figlio, ma ci hanno raccontato della sorte di tanti altri giovani egiziani che hanno subito e subiscono le stesse torture e maltrattamenti di cui Giulio è stato vittima. Ilaria Cucchi ha dichiarato: «non costringeteli a mostrare le fotografie del corpo straziato di Giulio», così come la famiglia di Stefano ha dovuto fare per mostrare

una verità che si voleva occultare. Non si dovrebbe arrivare fino a questo punto. È un monito rivolto alle autorità politiche e giudiziarie dei due paesi. Il 5 aprile ci sarà un incontro a Roma tra gli investigatori dei due paesi, su iniziativa del Procuratore della Repubblica di Roma, Pignatone. Ci auguriamo che non sia un’altra giornata vuota o, peggio, piena di reticenze e di menzogne. Ma se così dovesse essere, il governo italiano ha una sola strada perché la battaglia per la verità abbia possibilità di affermarsi: ritirare il nostro ambasciatore dal Cairo, dichiarare l’Egitto «paese non sicuro», fermare gli accordi economici e commerciali tra i due paesi, battersi perché in tutti i consessi internazionali si chieda il ripristino del rispetto dei diritti umani in Egitto. Lo dobbiamo a Giulio, ai tanti che hanno subito e subiscono le stesse violenze, a un popolo che voleva liberarsi di una classe dirigente incapace e corrotta e si trova con un regime militare che non rispetta i più elementari principi della democrazia.

Solo la pace può garantire diritti e democrazia di Franco Uda coordinatore nazionale Arci Pace, solidarietà e cooperazione internazionale

Esiste una stretta associazione tra guerra e fame. I conflitti hanno ripercussioni a catena sul benessere umano e i paesi che ne sono vittime registrano livelli di malnutrizione molto più alti, una diminuzione dell’accesso all’istruzione e una mortalità infantile molto più elevata rispetto a paesi con potenzialità economiche simili, ma stabili. D’altro canto, la sicurezza alimentare non è solo una componente essenziale del benessere umano, ma anche una base per la stabilità politica. La maggior parte delle nuove guerre sono guerre civili che si espandono sempre più spesso oltre i confini nazionali. Tali conflitti tendono ad essere meno letali rispetto alle guerre di un tempo, ma sono spesso ingestibili e mostrano una violenza non riconducibile a schemi precisi e dalla quale nessuno può dirsi in salvo. Sono proprio i conflitti armati ad essere trattati estensivamente nel rapporto sull’Indice Globale della Fame (GHI) pubblicato nel 2015 dall’International Food Policy Research Institute (IFPRI). Nonostante i progressi degli ultimi decenni, il livello

di malnutrizione nel mondo resta alto, con una persona su nove che soffre la fame, un bambino su quattro con ritardi della crescita e il 9% in stato di deperimento. Quasi la metà di tutti i decessi di bambini sotto i cinque anni sono dovuti alla malnutrizione, che ne uccide circa 3,1 milioni l’anno. La guerra viene identificata tra le cause principali della fame acuta e persistente. I conflitti armati perturbano i sistemi alimentari, distruggono i mezzi di sostentamento, costringono le persone a fuggire o, in alcuni casi, a restare in una situazione di terrore senza sapere quando sarà il loro prossimo pasto. Il numero di conflitti e di decessi legati ai conflitti è tornato a crescere negli ultimi 2 anni. A livello globale le stime parlano di 172 milioni di persone vittime dei conflitti e di circa 59,5 milioni di profughi. Solo nel 2014 ben 13 milioni di persone sono state costrette a lasciare il proprio paese a causa della violenza. Ed anche se i rifugiati ne costituiscono l’aspetto più visibile, l’87% delle vittime di guerra sono in realtà persone che non hanno lasciato

le proprie case e soffrono di gravissimi problemi alimentari. Il GHI assegnava nel 2000 i punteggi più alti ad Angola, Ruanda ed Etiopia, afflitti dalle guerre civili su larga scala degli anni Novanta e Duemila. Oggi questi paesi sono politicamente più stabili e i livelli di fame sono diminuiti. C’è dunque ancora molto da fare affinché la fame acuta e cronica possa essere sconfitta. Lo sviluppo economico, il miglioramento delle politiche alimentari, la risoluzione dei conflitti e le risposte umanitarie internazionali devono continuare a giocare ruoli di primo piano. Se non si riuscirà a ridurre la persistenza dei conflitti armati e a porvi fine, a far fronte alle necessità delle persone coinvolte, le conquiste raggiunte andranno perdute. In quest’epoca di movimenti di popolazioni senza precedenti, è necessaria un’adeguata risposta globale, un impegno politico ai più alti livelli e la consapevolezza diffusa che la pace non è solo l’assenza di conflitto ma la precondizione indispensabile per l’esigibilità dei diritti, la giustizia sociale e la democrazia nel mondo.


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campidellalegalità

Dal 1 aprile è possibile iscriversi ai campi e ai laboratori antimafia Tornano anche quest’anno i campi e i laboratori della legalità democratica e dal 1 aprile è possibile iscriversi direttamente al portale www. campidellalegalita.it Giunti all’undicesima edizione, i circa trenta campi e i laboratori – promossi da Arci, Cgil, Spi Cgil, Flai Cgil, Rete degli studenti medi e Unione degli universitari – saranno organizzati in Lombardia, Veneto, Liguria, Piemonte, Marche, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. A vent’anni dall’entrata in vigore della legge 109/96 che prevede il riutilizzo sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, la filosofia che sta alla base della promozione dei campi non è cambiata: restituire questi beni alla comunità, tornare a renderli produttivi e vivi, animarli con iniziative culturali, formative e informative sulla difesa della democrazia, della legalità, della giustizia sociale, del diritto al lavoro. Una pacifica ‘occupazione’ di questi spazi, dunque, abitata dalla presenza di centinaia di persone che si spendono con impegno e dedizione per costruire comunità alternative alle mafie. Il programma alternerà decine di attività, tra laboratori e campi di lavoro, nelle diverse località fino ai primi di ottobre. Il primo campo a partire sarà quello a Corleone, in Sicilia, nel mese di maggio, con turni sino alla metà di ottobre Da quando sono iniziati, nel 2005, i campi hanno ospitato migliaia di giovani (l’iscrizione è possibile anche per i minorenni), e hanno visto impegnati nel lavoro volontario anche tanti anziani, in un’ottica positiva di scambio di memoria e di rapporto intergenerazionale. Ai campi, nel 2015, hanno partecipato circa 700 persone. Di queste, più della metà, sono stati ragazze e ragazzi tra i 14 e i 19 anni, e quasi un terzo giovani tra i 20 e i 29 anni. La presenza femminile è stata superiore a quella maschile. Per maggiori informazioni: campidellalegalita@arci.it | Tel 0641609274

I campi 2016 ♦ Calabria Campi del Sole - Pentidattilo (RC) dal 24/7 al 30/7

♦ Campania Terra di lavoro e dignità - Parete (CE) dal 24/7 al 2/8

Campi del Sole - Pentidattilo (RC) dal 28/8 al 3/9

Terra di lavoro e dignità - Parete (CE) dal 3/8 al 12/8

Campi del Sole - Rosarno (RC) dal 25/7 al 31/7

Terra di lavoro e dignità - Parete (CE) dal 22/8 al 31/8

Campi del Sole - Rosarno (RC) dal 1/8 al 7/8 Diritti legalità e immigrazione - Riace (RC) dal 25/7 al 1/8 ♦ Sicilia Se non io chi - Catania (CT) dal 24/6 al 3/7 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 2/5 al 7/5 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 6/6 al 13/6 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 16/6 al 30/6 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 1/7 al 15/7 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 18/7 al 28/7 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 29/7 al 12/8 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 17/8 al 31/8 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 2/9 al 16/9 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 19/9 al 3/10 Liberarci dalle spine - Corleone (PA) dal 4/10 al 18/10 Liberarci dalle spine - Canicattì (AG) dal 12/9 al 26/9

♦ Liguria In riviera per la legalità: idee per l’Italia e l’Europa Ventimiglia (IM) dal 1/7 al 10/7 ♦ Marche Coltivare i Frutti della Legalità - Isola del Piano (PU) dal 18/7 al 26/7 ♦ Veneto Laboratorio Il giardino della legalità - Campolongo Maggiore (VE) dal 29/8 al 9/9 Diritti in campo - Erbè (VR) dal 2/7 al 9/7 ♦ Lombardia Attivatori di cittadinanza - Lecco (LC) dal 22/7 al 31/7


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migranti

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L’Italia sono anch’io

«Il Senato approvi al più presto il ddl di riforma della cittadinanza, nonostante i limiti che presenta» Si è svolta il 30 marzo in commissione Affari Costituzionali del Senato l’audizione di alcune associazioni che si occupano di diritti di migranti e che fanno parte della Campagna L’Italia sono anch’io. Oggetto dell’audizione è stato il Ddl sulla cittadinanza licenziato dalla Camera e ora al vaglio del Senato. A nome della Campagna ha parlato Neva Besker, della Rete G2, che ha ribadito il giudizio complessivamente critico sul testo approvato in prima lettura. La Besker, nel suo intervento, ha ricordato che L’Italia sono anch’io ha raccolto più di 200mila firme per due proposte di legge di iniziativa popolare: una per la riforma dell’attuale legislazione sulla cittadinanza, l’altra per il diritto di voto alle amministrative degli stranieri residenti. La proposta di legge di iniziativa popolare di riforma della cittadinanza prevede l’introduzione dello ius soli, sia pure in forma temperata (il diritto viene attribuito

nel caso uno dei genitori abbia da almeno un anno il permesso di soggiorno) e un iter particolare per i minorenni di origine straniera arrivati da piccoli in Italia. Il Ddl licenziato dalla Camera presenta invece molte criticità e carenze, per esempio sul tema delle naturalizzazioni (che non viene nemmeno affrontato), sulle misure atte ad evitare la discrezionalità delle pubbliche amministrazioni nella valutazione delle singole richieste di cittadinanza, sull’introduzione della clausola del possesso, da parte di uno dei genitori, della Carta di lungo soggiornante, il cui rilascio è legato al reddito e alle dimensioni dell’abitazione, sulla normativa che riguarda i minori arrivati da piccoli in Italia. Ciò nonostante, la Besker ha ribadito come interesse prioritario delle organizzazioni che fanno parte della Campagna sia quello di superare l’attuale pessima e anacronistica legislazione con una nuova legge da approvare al più

presto. Sarebbe un segnale importante per quel milione di giovani di origine straniera che si sentono italiani di fatto, ma non lo sono per la legge. Nelle sue conclusioni, la presidente della Commissione, senatrice Finocchiaro, non ha fornito purtroppo rassicurazioni sui tempi di discussione. Ha fatto presente che hanno la precedenza una serie di provvedimenti già incardinati e che dunque non è possibile per ora indicare una data certa per la discussione e l’approvazione del Ddl. La Campagna ritiene grave che l’esame del Ddl non sia stato nemmeno calendarizzato, dimostrando così scarso interesse per la volontà di integrazione delle nuove generazioni di italiani con cittadinanza diversa. L’Italia sono anch’io chiede pertanto che tutti facciano quanto di loro competenza perché il Senato esamini in tempi rapidi e certi il Ddl.

Una Commissione parlamentare sull’hate speech di Filippo Miraglia Vicepresidente nazionale Arci

Le parole d’odio (Hate Speech) rappresentano oramai uno dei principali strumenti utilizzati nel dibattito pubblico, soprattutto in politica. Esse, infatti, consentono di ottenere grande attenzione da parte degli organi d’informazione, tanto più se sono utilizzate per indicare facili soluzioni a problemi complessi o capri espiatori alle paure diffuse, che peraltro contribuiscono ad alimentare. C’è un rapporto diretto tra lo spazio che i predicatori d’odio ottengono nei mass media, soprattutto in quelli ‘main stream’ e la frequenza con cui usano parole d’odio. Ci sono movimenti e partiti, oltre a singoli leader, che hanno aumentato il consenso proprio grazie al ricorso alle parole d’odio. In particolare il web e i social network sono oramai una cassa di risonanza che amplifica gli effetti delle parole d’odio, raggiungendo un largo pubblico che si fa convincere dalle soluzioni semplificate, ingiuste e sbagliate, che si accompagnano alle parole d’odio. Sono soprattutto i social media, attraverso la diffusione di tablet e smartphone, ad arrivare a un pubblico più giovane e quindi meno

predisposto alla mediazione. Per questo come Arci abbiamo deciso, insieme ai nostri partner, di investire su una campagna di comunicazione contro l’hate speech, partita col progetto Prism e presentata lo scorso 21 marzo, giornata internazionale contro il razzismo, alla Camera dei deputati. In quell’occasione, abbiamo accolto con grande favore la proposta avanzata dalla Presidente Boldrini, durante l’incontro che abbiamo avuto con lei, dell’istituzione di una Commissione di studio mista, presso la Camera, sulle parole d’odio. Una Commissione di cui siamo stati chiamati a far parte insieme ad altre associazioni e alla quale parteciperanno anche i rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. La scelta della Presidente Boldrini, che valorizza la presenza della società civile organizzata, rappresenta una conferma della centralità di questo tema e della tempestività con cui l’Arci è riuscita a programmare un intervento che ha coinvolto molte città, che vedrà come protagonisti i nostri comitati territoriali e, successivamente, tutta la nostra rete associativa. Una campagna che punta ad intervenire

soprattutto sui social media (da qui la collaborazione con Twitter e Facebook) e, attraverso una ‘valigia degli attrezzi’ (Tool Kit), nelle scuole. Con una particolare attenzione quindi ai giovani e agli spazi, virtuali e reali, che frequentano di più. La Commissione parlamentare contribuirà a monitorare e analizzare il fenomeno, tenendo conto che alcuni dei protagonisti delle campagne d’odio sono rappresentati in Parlamento e potranno partecipare ai lavori della Commissione. La speranza è convincere anche loro almeno a limitare il ricorso alle parole d’odio. La Commissione potrà anche intervenire sullo spazio che ad esse viene dato nei mass media, con particolare riferimento al servizio pubblico. C’è infatti uno squilibrio evidente tra le presenze televisive e radiofoniche dei predicatori d’odio e le associazioni che cercano di tutelare i diritti dei più deboli. Richiamare il servizio pubblico e tutti i media a un maggiore equilibrio e a dare più spazio a chi le parole d’odio le contrasta, può essere uno degli obiettivi del nostro lavoro e della nostra presenza nella Commissione parlamentare.


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referendumnotriv

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I trabocchetti per i nuovi pozzi di Enzo Di Salvatore giurista, Comitato nazionale No Triv

Il prossimo 17 aprile i cittadini italiani si recheranno alle urne per decidere se cancellare la norma che attualmente consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Lo stato dell’arte è il seguente: ad oggi nessuna società petrolifera può chiedere nuovi permessi e nuove concessioni. Ma quel che la legge non consente non significa che venga impedito. Ad alcune condizioni. I procedimenti amministrativi che erano in corso al momento dell’entrata in vigore della legge di stabilità 2016, finalizzati al rilascio di nuovi permessi e di nuove concessioni, sono stati chiusi; le attività di ricerca e di estrazione di gas e petrolio attualmente in essere sono state tuttavia procrastinate dalla legge di Stabilità 2016 senza limiti di tempo, ossia per tutta la «durata di vita utile del giacimento». Ciò significa che quelle attività cesseranno solo in due casi: qualora le società petrolifere concluderanno che sia ormai antieconomico estrarre oppure qualora il giacimento sarà esaurito. Dal punto di vista normativo, aver procrastinato senza limiti di tempo quelle attività non può dirsi del tutto coerente con la ratio che informa la decisione legislativa, in quanto il divieto di effettuare nuove ricerche e nuove estrazioni si giustificherebbe sulla base di «gravi ragioni di carattere ambientale»; così almeno si leggeva nella relazione illustrativa al decreto Sviluppo adottato dal Governo Monti, con il quale si introduceva il limite delle 12 miglia marine. Eppure, tertium non datur: o quelle ragioni sussistono sempre o quelle ragioni non sussistono mai. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che ha definito il referendum ‘inutile’, è però di altro avviso: egli sostiene che l’attuale quadro normativo sia perfettamente coerente, in quanto, nonostante le attività di estrazione già autorizzate e ricadenti entro le 12 miglia marine potranno continuare ad essere esercitate, non sarà più possibile installare nuove piattaforme e perforare nuovi pozzi. In altre parole, non sarà più possibile ‘trivellare’. Questa affermazione è, però, inesatta: attualmente, la legge non consente che entro le 12 miglia marine siano rilasciate nuove concessioni, ma non impedisce, invece, che a partire dalle concessioni già rilasciate siano installate nuove

piattaforme e perforati nuovi pozzi. La costruzione di nuove piattaforme e la perforazione di nuovi pozzi è, infatti, sempre possibile se il programma di sviluppo del giacimento (o la variazione successiva di tale programma) lo abbia previsto. Questa conclusione è avvalorata anche da un parere del Consiglio di Stato del 2011, reso al Governo Berlusconi, che chiedeva lumi sulla portata del divieto di ricerca ed estrazione di petrolio entro le 5 miglia marine introdotto l’anno prima nel Codice dell’ambiente. La risposta del Consiglio di Stato è stata la seguente: il divieto non riguarda i permessi e le concessioni già rilasciati e non ricomprende le seguenti attività:

Passaggi radio-televisivi in Rai Anche l’Arci parteciperà alle tribune radio-televisive della Rai e avrà diritto a registrare un messaggio autogestito. Le date di messa in onda sono le seguenti: tribuna referendaria, durata 30 minuti, per il Sì saranno presenti Arci e regione Basilicata, per il No o l’astensione Circoli ambiente cultura rurale e PD. La Tribuna televisiva andrà in onda il 15 aprile, alle 14.05 su Rai 1 e in replica su Radio 1 alle 23.20. I messaggi autogestiti andranno in onda l’8 aprile alle 23.50 su Radio 1, il 14 aprile alle 9.20 su Rai 2 e alle 23.50 in replica su Radio 1

l’esecuzione del programma di sviluppo del campo di coltivazione come allegato alla domanda di concessione originaria; l’esecuzione del programma dei lavori di ricerca come allegato alla domanda di concessione originaria; la costruzione degli impianti e delle opere necessarie, degli interventi di modifica, delle opere connesse e delle infrastrutture indispensabili all’esercizio; i programmi di lavoro già approvati con la concessione originaria; la realizzazione di attività di straordinaria manutenzione degli impianti e dei pozzi che non comportino modifiche impiantistiche. Ora, è sufficiente andare a verificare quali siano le concessioni tutt’ora vigenti (e ricadenti entro le 12 miglia marine) e leggere l’originario programma di sviluppo del giacimento per capire che nuove trivellazioni ci saranno eccome. Basti pensare alla concessione C.C 6.EO nel Canale di Sicilia, che interessa le 12 miglia marine per circa 184 kmq: rilasciata nel 1984, essa ha ottenuto una proroga il 13 novembre scorso, con scadenza al 28 dicembre 2022. Ebbene, in base a tale proroga, la società Edison potrà costruire una nuova piattaforma - denominata Vega B - e perforare 12 nuovi pozzi. Se vincerà il ‘no’ (o se il referendum non raggiungerà il quorum) la piattaforma potrà essere realizzata, i pozzi perforati e l’estrazione potrà darsi senza limiti di tempo, fino a quando la società petrolifera lo vorrà; se, al contrario, vincerà il ‘sì’, potrebbero profilarsi due differenti epiloghi: o si riterrà - come sarei propenso a ritenere - che la piattaforma Vega B non potrà essere realizzata, i pozzi non potranno essere perforati e l’estrazione non potrà essere avviata (e questo in quanto il quesito originariamente proposto dalle regioni aveva ad oggetto anche l’abrogazione della norma sui «procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi» e sulla «esecuzione» delle attività relative); oppure dovrà ritenersi che la Edison potrà comunque completare la sua attività, ma fino alla scadenza della proroga, e cioè fino al 2022; il che, per ragioni di mero calcolo economico, potrebbe anche comportare una rinuncia preventiva da parte della società petrolifera alla realizzazione degli impianti e all’estrazione del greggio. Ma quale che sia l’epilogo, una cosa sembra certa: che il referendum del 17 aprile proprio inutile non sarà.


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referendumistituzionali

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Una lunga stagione referendaria di Massimo Villone costituzionalista, presidente Comitato referendum istituzionale

Si è tenuta a Roma, il 18 marzo, un’assemblea, affollata e partecipata, dei comitati referendari, per il lancio della campagna per la raccolta delle firme. Un passaggio importante, soprattutto per aver visto insieme i promotori dei referendum istituzionali e di quelli sociali. Perché un forte iniziativa referendaria? Rodotà ha scritto (su Repubblica) di come le nostre istituzioni siano diventate indisponibili all’ascolto, traendo anche da questo la spiegazione del drammatico calo di fiducia degli italiani. Ha ragione. Perché e come fidarsi di istituzioni indifferenti? Il punto è che non accade per caso. Un tempo, l’attenzione costante della politica e delle istituzioni verso la domanda sociale era assicurata da organizzazioni di massa - partiti, sindacati - forti e radicate. Attraverso quelle organizzazioni era possibile incidere su indirizzi di governo e orientamenti legislativi. Che il popolo fosse sovrano non era un mero omaggio verbale, ma si traduceva nelle forme di una democrazia ampiamente rappresentativa. Oggi, i partiti sono sostanzialmente dissolti, e ridotti ad assemblaggi di comitati elettorali di capi e capetti, da attivare in occasione di elezioni o, al più, di primarie. I sindacati sono stati messi nell’angolo dal governo in omaggio alla concentrazione e verticalizzazione del potere, e - finita la concertazione - faticano a ritrovare un ruolo e la disponibilità alla lotta. Le assemblee elettive sono ridotte, anche per le leggi elettorali vigenti, a un obbediente parco buoi in cui le voci delle minoranze sono sistematicamente imbavagliate con forzature regolamentari e raffiche di voti di fiducia. Tutto è sacrificato sull’altare del decidere e del governare. Ma l’esito collaterale ultimo è l’azzeramento dei sensori che rendevano le istituzioni aperte e percettive rispetto agli orientamenti del paese. Ed ecco l’indifferenza di chi governa verso manifestazioni e scioperi, anche quando interi mondi scendono in campo. Ecco la sordità verso petizioni e leggi di iniziativa popolare, per quanto fortemente sostenute. Ecco l’illusione che l’arte del governare sia decisione e comando piuttosto che confronto e sintesi. Ecco la caricatura di una democrazia in cui i cittadini siano usi a obbedir tacendo.

È per questo che il referendum rimane l’unico strumento attraverso il quale il popolo sovrano possa riguadagnare il ruolo garantito dalla Costituzione. Una via obbligata, ancorché difficile. I Costituenti avevano attribuito al referendum un ruolo ridotto, ritenendolo giustamente - uno strumento marginale in un sistema rappresentativo di tutte le voci e fondato su organizzazioni di massa. La Corte costituzionale, con una giurisprudenza che nasce alla fine degli anni ’70, ha posto al referendum ulteriori limiti e argini. Ma anche quello era un tempo diverso. Oggi, il voto popolare si mostra come l’unica via per riguadagnare ciò che è stato per altro verso perduto. Dobbiamo saperlo ed esserne convinti.

Proprio per questo il governo teme i referendum. Per questo Renzi vuole costruire quello sulla riforma costituzionale come un plebiscito su sé stesso. Per questo ha ora scelto la data del 17 aprile per il referendum sulle trivelle, nella speranza di farlo fallire per mancato raggiungimento del quorum. Lo stato maggiore del Pd attacca con il trito argomento del costo, dimenticando che proprio il governo ha rifiutato l’accorpamento con le amministrative che avrebbe evitato la spesa. E altresì argomentando che con il Sì il popolo sovrano reca danno al paese. È falso. Ma poi come può dirlo chi va ad approvare una nuova Costituzione insieme al condannato Verdini, tassista di una nuova maggioranza? Il 17 aprile sarà già in corso la raccolta delle firme per i referendum abrogativi del 2017 su scuola, ambiente, lavoro, Italicum. Subito dopo l’approvazione definitiva della riforma costituzionale, attesa più o meno per la stessa data, partirà anche la raccolta delle firme per la richiesta di referendum confermativo, che dovrebbe tenersi in ottobre. Andiamo quindi a

una stagione in cui si intrecceranno referendum istituzionali e sociali, che partirà con la raccolta delle firme e il voto del 17 aprile, passerà per il cruciale No alla riforma costituzionale in ottobre, e si concluderà nel giorno in cui la metà più uno degli aventi diritto - questo è l’auspicio - andrà a votare Sì ai referendum abrogativi delle leggi renziane. Non è una bulimia referendaria, né una sommatoria per fare numero. È invece importante far convergere nella battaglia referendaria mondi diversi, per dare il segnale che una parte importante del paese chiede con forza un cambio di rotta. D’altronde la connessione tra referendum istituzionali e sociali è nelle cose. L’attuale degrado politico-istituzionale avviene con la Costituzione vigente, prima della riforma. Questo dimostra che un No alla riforma può certo evitare maggiori guai, ma non basta a tirarci fuori dalla palude in cui siamo caduti. Non si può non guardare anche alla legge elettorale. Se dovesse rimanere in piedi il modello Italicum, ne verrebbe un parlamento non migliore - anzi peggiore - di quello del Porcellum. Quanto resisterebbero i risultati conseguiti dai referendum sociali in un tale parlamento? L’esperienza dell’acqua pubblica insegna che il referendum può abbattere una legge, ma non cancella l’indirizzo politico che la esprime, e che può ripristinarla tradendo la volontà popolare. Cosi domani un referendum vittorioso sulla cattiva scuola potrebbe essere azzerato da una scuola peggiore. Solo i referendum istituzionali possono creare condizioni in cui i risultati dei referendum sociali non siano fatalmente effimeri. Dobbiamo anche considerare che se vincesse sulla riforma della Costituzione, Renzi vorrebbe probabilmente sfruttare il successo con uno scioglimento anticipato e nuove elezioni, che gli consegnerebbero istituzioni riformate e un parlamento addomesticato. Un potere consolidato per la legislatura. Se ciò accadesse, i referendum abrogativi slitterebbero al 2018. E di per sé il passare del tempo non favorisce certo una battaglia referendaria. Per questo bisogna impegnarsi, da subito, sia per la raccolta delle firme sui quesiti referendari, sia per il voto del 17 aprile.


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cultura

Ricordo di Paolo Poli, ‘Regina del teatro’, amante della libertà di Federico Amico coordinatore nazionale Arci Diritti e buone pratiche culturali

Presenza costante nell’immaginario collettivo Paolo Poli è stata una delle figure più divertenti e dissacranti del teatro italiano del secondo novecento. Ha popolato con la sua forbita e deliziosa irriverenza televisione, radio, palchi e dischi mescolando cultura popolare con grande ricerca ed erudizione, lasciandoci in eredità fulminanti e sagaci aforismi quando, per esempio, alle conferenze stampa dei suoi spettacoli, invitava con stupenda ironia i professori a non portare gli studenti, perché toglievano posti ai vecchi signori omosessuali e alle signore in pelliccia innamorate di lui «che pagavano il biglietto intero». «Non fare finta di offrire a Dio ciò che il diavolo ha rifiutato», «In amore prima paroloni, poi paroline e infine parolacce», «Mentre i Promessi sposi iniziano con il fidanzamento e finiscono con il matrimonio, Madame Bovary comincia con il matrimonio e si conclude con l’arsenico. Molto meglio», «La sola legge che non ho infranto è quella di gravità», sono solo alcuni dei più fulminanti passaggi dell’attore fiorentino. Poli ha vinto ogni forma di intolleranza

giocando per primo al politically incorrect con autoironia e intelligenza, con leggerezza. Nelle sue interpretazioni, anche il doppio senso più spinto diventava lezione di Storia, di Costume, di Arte, passando da Apuleio e i latini fino all’Ode al pitale di Olindo Guerrini/Lorenzo Stecchetti, incarnando così nel novecento la figura del giullare che dice la verità ridendo anche davanti ai potenti. Tra le sue tante qualità, aveva questa capacità di unire storie, età, visioni differenti. I suoi spettacoli vedevano tra gli spettatori gente ideologicamente e sessualmente schierata, ma anche ricche dame raffinate, signori dell’iperborghesia, intellettuali di grido, sfaccendati, impegnati. Tutti si ritrovavano per assistere al rito del teatro ufficiato da questa adorabile, saltellante e indiscussa signora delle scene, tanto da meritarsi l’appellativo di ‘Regina del teatro italiano’. Poli, del resto, non ha mai fatto mistero della propria omosessualità, anche quando questa poco era tollerata nell’Italia del boom economico: «Sapevo fin dall’inizio di essere gay. Entrai in una panetteria, e vidi che mi garbava il fornaio. Andai al

cinema, davano King Kong, avevo cinque anni, e vidi che mi garbava pure il gorilla. Il dado era tratto». Così infatti racconta l’affiorare della sua consapevolezza, sempre in bilico tra dileggio e sberleffo. I fondali di Emanuele Luzzati, la compagnia tutta al maschile, i quadri che si susseguivano, i continui cambi, i falsetti che improvvisamente lasciavano il posto a una voce da basso profondo, il gusto dell’Oriente, anche a volte nel gioco dei movimenti corporei, le danze, le canzoni e canzonette, le poesie elevatissime, le filastrocche popolari, l’alto, il basso e il medio, come in Dante, in una parola: la vita nelle sue sfaccettature è ciò cui ci aspettavamo di assistere ogni volta che varcavamo la soglia del teatro per andare a vedere il signor Poli. Era anticonformista su tutto Paolo Poli, perché amava la libertà, quella vera, illuminista, dei diritti di ogni individuo. Nelle sue vene è scorsa la sintesi dell’umanità e lui ha saputo restituircela quell’umanità, spiegarcela, insegnarcela e lo farà ancora, grazie al tanto materiale che ha lasciato con la sua opera instancabile.

‘Ogni opera di confessione’

Un film documentario di Alberto Gemmi e Mirco Marmiroli. In collaborazione con Emilia-Romagna Film Commission e Arci Reggio Emilia di Marco Trulli e Claudio Zecchi curatori del progetto

Ricorrendo all’estetica della videoarte, il progetto pone al centro della ricerca la vasta area delle Ex Officine Meccaniche Reggiane che, tra abbandono e i discussi piani di riqualificazione, rappresenta uno spazio marginale estremamente ricco e complesso. È in questo luogo liminale che si osserva quasi spiritualmente l’interazione tra suoni, paesaggio e le azioni di chi lo abita. Nato dalle riflessioni di Strati della Cultura 2013, il progetto ha preso corpo ed è stato portato a compimento anche grazie a una positiva campagna di crowdfunding. Oggi approda alla selezione ufficiale di Vision du réel per la sezione competitiva Regard Neuf e sarà quindi presentato in anteprima mondiale il prossimo 15 aprile a Nyon (Svizzera). Ogni opera di confessione è un lavoro che mette a fuoco la densità di tempi, relazioni e memorie che scaturiscono dalla penetrazione in uno spazio vuoto,

quello delle ex Officine Meccaniche Reggiane. Il vuoto di uno spazio produttivo, una grande città-officina disabitata, un rottame del Novecento che rimane spiaggiato, inanime alla fine di un lungo corso. Ma nei vuoti si aggirano personaggi, brulicano protagonisti come residui di una grande storia, soldati giapponesi ancora in trincea di fronte all’evidente collasso. Le Reggiane non si materializzano nel loro insieme se non per pochi fotogrammi. In realtà tutto il film è una strategia di avvicinamento allo spazio che mette in luce una pluralità di personaggi e di singole comunità che

vivono ai margini del vuoto. Comunità religiose (pentecostali o islamiche) che testimoniano il ruolo di grande cambiamento che ha avuto l’immigrazione nella trasformazione dei quartieri circostanti le Reggiane. Una serie di personaggi, visioni imperniate su due racconti silenziosi che si dispiegano lungo il film e che vengono raccontati attraverso gesti minimi e quotidiani dei personaggi. Ogni Opera di Confessione è un oggetto complesso. Un’opera che poggia sulla certezza formale del linguaggio cinematografico, ma allo stesso tempo capace di declinare e muovere contenuti che si rivolgono in maniera quasi plastica ad un tempo, ad uno spazio e ad una gestualità che escono dalla specificità di quel linguaggio per abbracciarne altri: la scultura, l’installazione, la performance, fin anche la pittura nell’uso dei colori e della ritrattistica. www.ognioperadiconfessione.com


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Temi etici, scelte di libertà di Maria Chiara Panesi coordinatrice nazionale Arci Laicità e diritti civili

Vi sono temi su cui l’Italia non ha scelto, su cui coscientemente, volontariamente, ed opportunisticamente vorrei aggiungere, ha scelto di non scegliere. Sono i grandi temi dei diritti civili e delle libertà individuali, temi complessi che dividono ed accendono il dibattito, che radicalizzano le posizioni tra le diverse sensibilità, temi irrisolti su cui l’Italia segna un deprecabile ritardo. Una delicatezza particolare ha assunto la discussione sugli scenari rispetto al fine vita, alle scelte di libertà ed ai diritti ad esso correlati; profonde sono le implicazioni morali, religiose e sociali che hanno impedito che si aprisse nel nostro paese una riflessione pubblica sul morire, relegando invece la morte ad un aspetto della sfera privata, un tabù mai superato. Ma come spesso accade abbiamo la

percezione che il sentimento diffuso nel paese sia più avanzato della capacità delle istituzioni di normare i temi complessi. Vediamo dunque con soddisfazione l’avvio di un dibattito parlamentare su questi temi, nei prossimi mesi si vaglieranno in Commissione Affari Sociali alla Camera le proposte di legge sul testamento biologico, e parallelamente in Commissione Giustizia e Affari Sociali si avvierà il lavoro sulle proposte di legge in tema di eutanasia. Ed in questa fase

che si apre vogliamo sollecitare un dibattito pubblico nel paese, che affronti il tema del consenso informato, delle dichiarazioni anticipate di trattamento, dell’accanimento terapeutico e dell’autodeterminazione nelle scelte di salute. Il nostro contributo potrà essere un approccio laico rispetto alle discipline del fine vita, nel segno della tutela della libertà dell’individuo, della sua capacità di autodeterminarsi e della sua libertà di scegliere, dall’inizio alla fine della vita. Temi complessi, sospesi, ma sostanzialmente scelte di libertà. The Perfect Circle narra, se vogliamo, di tutto questo e dell’ineluttabilità del ciclo della vita, tratteggiando il senso della vita ed il senso della morte e restituendo centralità alla dignità delle persone, in ogni fase della loro vita.

‘The Perfect Circle’

Intervista alla regista Claudia Tosi a cura di Anna Ferri Arci Modena

«Questo film serve per abbattere le barriere, colpire la diffidenza su hospice, cure palliative, malattie inguaribili e sul prendersi cura». Claudia Tosi, regista modenese il 4 aprile porterà alla Camera dei Deputati il suo docufilm The perfect circle - il cerchio perfetto, una storia di amore e vita - e quindi anche di morte - che racconta i percorsi che compiono insieme chi è malato e chi lo assiste: mariti, mogli, famiglia, figli, medici, operatori, amici. «Questo film è dedicato a mia madre, perché prendendomi cura di lei ho imparato ad ascoltare e ad andare oltre il corpo malato». Il film racconta la vita all’interno della Casa Madonna dell’Uliveto, un hospice nel reggiano. Nell’immaginario comune un luogo dove si va a morire. «È proprio questa una delle barriere da abbattere: non si va lì per morire ma per avere la possibilità di riprendere a vivere quando sai che stai per morire. Quando ho conosciuto questo luogo ero titubante: mia madre era appena morta e mi sono resa disponibile per realizzare un filmato ad uso interno, una sorta di presentazione. Mentre lo giravo però ho capito che c’erano tutti gli elementi che mi servivano per raccontare la mia storia: persone che si prendevano cura e che come me guardavano oltre il corpo malato. In quel momento ho cominciato a fare ricerca e a scrivere il film e quando

finalmente ho avuto un’idea proponibile, come Movimenta - che è un’associazione culturale Arci con sede a Carpi, in provincia di Modena - abbiamo mandato il progetto al Fondo Media e ottenuto un finanziamento per svilupparlo. Siamo stati la prima associazione a riceverlo per un’opera cinematografica». La storia è quella di Ivano e Meris, ospiti dell’hospice, e dei rispettivi coniugi che si prendono cura di loro. Come si è avvicinata? «In realtà sono stati loro a scegliere me. La cosa buffa è che il film non doveva essere su di loro ma su un medico bravissimo che mi aveva colpito e sul suo lavoro quotidiano. Ero pronta a girare quando, tre giorni prima, il dottore mi dice che non poteva fare parte del film, che era in un periodo troppo pesante dal punto di vista psicologico e che doveva staccare. Non avevo un piano B e tra l’altro il direttore della fotografia era in arrivo dalla Macedonia, che non è proprio

dietro l’angolo, e allora ho pensato di girare il trailer che comunque avrei dovuto fare. Tutti i giorni andavo in hospice per vedere chi c’era, conoscere le persone. Così ho incontrato Ivano, un vecchietto ruvido e burbero che è diventato mio amico. Quando gli ho chiesto di essere il protagonista del mio film però mi ha detto di no, che era troppo triste e che non ci voleva essere. Tra gli accordi presi con la dirigenza della struttura c’era quello di rispettare completamente il volere degli ospiti, quindi non ho in nessun modo insistito e me ne sono andata con la coda tra le gambe. Poi, per fortuna, è arrivata Meris che aveva sentito che volevo fare un film e si è proposta: nella sua stanza organizzava feste, faceva musicoterapia, tante attività e aveva molta voglia di parlare. Nel frattempo Ivano mi vedeva sempre meno e così mi ha chiesto di richiedergli di fare il film e abbiamo iniziato a lavorare insieme. Alla fine, come dicevo, sono stati loro a scegliere me». Il film nasce da un’esperienza molto personale legata alla malattia di sua madre. Come l’ha affrontata? «Mia madre ha avuto una malattia cronica inguaribile per 19 anni: non era un tumore e non ci siamo rivolti ad un continua a pagina 9


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hospice. Sebbene non conoscessi le cure palliative, io e la mia famiglia ci siamo ritrovati a praticarle in casa. Se una malattia non è guaribile non significa che non si possa prestare cura. Ovviamente non distruggi la causa del male ma crei le condizioni per cui la vita può continuare ad essere vissuta. Se ti dicono che hai 5 anni di vita cosa fai? Per cinque natali consecutivi a mia madre hanno dato pochi giorni di vita, poi quei giorni sono diventati anni e pure belli: andavamo dal parrucchiere, a pranzo con gli amici e la famiglia, stava molto in giardino e ci siamo divertite. Quello che ho imparato è che prendersi cura di qualcuno che ha una malattia inguaribile è dolorosissimo, faticosissimo e provoca sentimenti contrastanti dei quali non sempre sei orgoglioso. Alla fine, però, conservi ricordi bellissimi. Soffrivo quando le altre persone, guardandoci, vedevano solo una giovane donna malata e una figlia che se ne prendeva cura. Non eravamo ‘poverine’: ci siamo godute ogni secondo, amandoci molto, senza pensare alla morte. Questo film vuole dire a tutti che non dobbiamo permettere alla malattia di definire chi siamo e alla fine della proiezione devi provare una leggerezza, perché è a quello che portano le cure palliative: sei sopravvissuto all’esperienza più dura della tua vita, sei ancora vivo e ti porti a casa i ricordi belli».

Che cos’è il ‘cerchio perfetto’ del titolo? «C’è una poesia di John Donne che si chiama: Commiato: divieto di dolersi dove il poeta paragona le persone che si amano ai due piedi di un compasso. Più o meno dice così: se tu sarai il mio piede fisso, per quanto io mi allontani il mio cerchio sarà sempre perfetto e finirò laddove ho sempre cominciato. Quando mia madre è mancata ho iniziato a chiudere dei cerchi e un po’ lei era quel

piede fisso che mi aiutava a finire le cose che avevo iniziato. Vita e morte sono fortemente legate: non c’è vita senza morte. Il cerchio perfetto è questo». Un film che parla di persone che stanno morendo non sarà stato facile da realizzare e neanche da proporre al pubblico. Hai incontrato difficoltà? «È vero: un film che parla di fine vita non è esattamente quello che le persone vogliono vedere, o almeno questa è l’idea generale. Solo per farlo ci sono voluti cinque anni: dopo la richiesta con Movimenta abbiamo avuto fondi dalla Cineteca e dalla Film Commission Emilia Romagna. Ho viaggiato molto in Europa dove ho trovato coproduttori e tv, come la Lichtpunt del Belgio che ha pre-acquistato il film, un co-produttore

inglese, uno sloveno e uno olandese che si sono uniti a noi. Il film è andato ad Helsinki al DocPoint e in altri festival, tra i quali anche il Modena ViaEmiliaDocFest dello scorso anno. Adesso cerchiamo di fare distribuzione con una modalità non convenzionale: usiamo i social network per trovare il nostro target, che sono le persone che conoscono le cure palliative. Chi passa attraverso questa esperienza vuole che gli altri cambino punto di

vista e vogliamo avvicinare i cittadini al lavoro straordinario che fanno in questi hospice. Ho voluto, attraverso il cinema, fare un’operazione di sensibilizzazione. Il cinema è emozione: se ti parlo utilizzando il linguaggio scientifico oppure molto logico, dipende da chi ho davanti e che strumenti ha per comprendere, mentre nel momento in cui ti costringo a provare un’emozione in sala siamo tutti uguali. Ti faccio arrivare un messaggio, parlando delle cose con il cuore». Ora il film arriva alla Camera dei Deputati in un momento storico importante per l’Italia, perché la Commissione Affari Sociali ha iniziato una discussione sul tema. «Facendo ricerca per il film ho scoperto che è dagli anni Quaranta che il paziente si può autodeterminare, il problema è che se un medico esaudisce il suo desiderio rischia di andare in galera. I medici palliati che ho conosciuto mi hanno spiegato che queste cure possono fare tantissimo, aiutando a superare la paura di essere solo nella morte e un peso per la famiglia. Facciamo un esempio: nel consenso informato si parla di respirazione artificiale, firmo, me lo mettono e poi guarisco e me lo tolgono. Ma se non guarisco? Chi me lo toglie quel tubo lì? Il gesto di causa e la morte - che è l’effetto - per chi toglie il respiratore, sono vicinissimi. Le cure palliative aiutano il processo. Le procedure sono frutto di consultazione tra professionisti, il medico non è mai solo con questa responsabilità enorme sulle spalle. Con la proiezione portiamo in Parlamento medici palliativisti, ci sarà Mina Welby, l’associazione Luca Coscioni. Sarà un’occasione per stabilire delle relazioni. Non si risolverà nulla ma inizia il dialogo, il percorso per fare una bella legge. Il film deve avvicinare le persone: chi si occupa di fine vita ma non può fare nulla e chi può fare qualcosa ma forse non ha tutte le competenze per decidere».


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daiterritori

Quattro big per ‘Leggera’ sul palcoscenico del Valli Nacque come Canzone d’Autore, facendo così subito capire che avrebbe proposto solo musica di qualità. Era il 1995 e il battesimo fu affidato al Consorzio Suonatori Indipendenti di Ferretti, Zamboni e soci. Ora di anni ne ha 21 e da qualche tempo ha cambiato il nome in Leggera, ma la voglia di proporre canzoni e sonorità di buon respiro è rimasta. L’edizione 2016 promossa da Arci e Fondazione I Teatri col sostegno di Hera Comm propone tre date tra la fine di marzo e l’inizio di aprile. Tre spettacoli tutti ospitati dal teatro Romolo Valli. Il 29 marzo è stata la volta di Franco Battiato e Alice, andati in scena accompagnati dall’Ensemble Symphony Orchestra diretta da Carlo Guaitoli. Il concerto è stato diviso in parti diverse ma comunicanti tra loro, ha visto rinnovarsi un’intesa artistica profonda tra due anime affini, nella celebrazione di un legame che è rimasto solido anche quando i rispettivi percorsi non si sono incrociati direttamente. Il 5 aprile, alle 21, arriva invece Acrobati, il primo tour interamente teatrale di Daniele Silvestri che prende il nome dall’omonimo album di inediti ‘Acrobati’. «Sono sempre stato affascinato dal teatro - dice Silvestri - un luogo che permette

di usare diversi registri e linguaggi e che consente di amplificare quell’idea di magia e di funambolismo di cui il disco è intriso. Cercheremo il coinvolgimento del pubblico, provando a ‘svelare’ alcuni aspetti dello spettacolo, perché in fondo quello che succede su un palcoscenico, quello che permette di creare una canzone o un concerto, nasce proprio da un insieme di trucchi e di magie». Ad accompagnare Silvestri sul palco ci saranno sette musicisti. Il pianista e compositore Ludovico Einaudi sarà in scena l’11 aprile alle 21 con Elements, dopo il fortunato giro sui palchi più importanti del mondo cominciato nel 2013 con In a Time Lapse Tour, accompagnato da cinque musicisti. «Elements - spiega Einaudi - nasce da un desiderio di ricominciare daccapo, d’intraprendere un nuovo percorso di conoscenza. C’erano nuove frontiere che da tempo desideravo indagare: i miti della creazione, la tavola periodica degli elementi, le figure geometriche di Euclide, gli scritti di Kandinsky, la materia sonora, ma anche i colori, i fili d’erba di un prato, la forme del paesaggio. Per mesi ho vagato dentro una miscela apparentemente caotica d’immagini e sensazioni; poi, tutto gradualmente si è amalgamato».

Arriva BraiNet: il nuovo progetto per coinvolgere i giovani sul territorio Creare un sistema di luoghi di aggregazione e produzione culturale capace di ‘aprire il territorio’ a giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni e alla loro creatività. È questo l’obiettivo del progetto BraiNet - rete di centri di produzione culturale, coordinato da Arci Siena. BraiNet è tra i progetti vincitori del Bando di aggregazione giovanile e animazione finanziato da Regione Toscana - Giovanisì, in accordo con il Dipartimento della gioventù e del Servizio civile nazionale. L’iniziativa, inoltre, porta avanti il lavoro avviato nei mesi scorsi da Arci Siena con il progetto Next. Nuove energie x te, anche questo finanziato dalla Regione Toscana nell’ambito di Giovanisì e rivolto a giovani fra 18 e 30 anni non inseriti in alcun percorso di formazione, istruzione o lavoro. «Il progetto - spiega la presidente di

Arci Siena, Serenella Pallecchi - punta a stimolare una reale cittadinanza attiva nei giovani in un’età in cui devono decidere spesso il proprio futuro formativo o lavorativo e in cui è importante coinvolgerli nella società civile. Per questo motivo, il progetto non vuole creare spazi ad hoc solo per le giovani generazioni, ma luoghi che, facendo sistema, possano renderle protagoniste. È in questa ottica di sistema che i soggetti coinvolti, dagli enti pubblici alle associazioni culturali, di promozione sociale e di volontariato, devono considerarsi parti di un unico telaio». Il progetto punta a intercettare il maggior numero di giovani sul territorio con modalità innovative; coinvolgerli nella nell’organizzazione e nella promozione delle attività; valorizzare il territorio e promuovere i valori di intergenerazionalità e inclusione.

in più Prima giornata Nazionale del Cricket per profughi e rifugiati Villa San Giovanni - È

stata presentata alla stampa locale la ‘Prima Giornata Nazionale del Cricket per Profughi e Rifugiati Politici’ a cui aderiranno i beneficiari del Progetto Sprar Approdi Mediterranei che si sta realizzando nel Comune di Villa San Giovanni. L’iniziativa, promossa dalla Federazione Cricket Italiana e patrocinata dal CONI e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), si svolgerà sabato 2 aprile 2016 a partire dalle ore 10.00 presso lo Stadio Comunale di Bianco e prevede una partita di cricket tra i ragazzi del progetto di accoglienza SPRAR Approdi Mediterranei gestito dell’Arci Provinciale di Reggio Calabria e i ragazzi dell’Asd Cricket Calabria. L’evento sportivo, supportato anche con la collaborazione del progetto Asofi nell’ambito dei propri laboratori sportivi, vuole essere un ulteriore strumento di integrazione per i nuovi cittadini. www.arcireggiocalabria.it

La Rossa Primavera San Paolo D’Enza - Per il

quarto anno consecutivo, al Circolo Pontenovo arriva...La Rossa Primavera. Una rassegna di film, documentari, presentazioni di libri, con i quali si vuole tenere viva la memoria ed insieme l’attenzione sulle tante Resistenze di ieri e di oggi. La rassegna è organizzata dal Circolo in collaborazione con Anpi, Spi-Cgil, Pollicino-GNUS, con il patrocinio del Comune di San Polo d’Enza, e andrà avanti fino al 5 maggio. E proprio con una Resistenza di oggi si comincia: domenica 3 aprile, alle 16.30 al Circolo Pontenovo proiezione del documentario Nekuje - Non uccidere, in collaborazione con Rete Kurdistan Italia e la presenza dell’autore Garip Syaben Dunen. Garip, 30enne curdo, è conosciuto in Italia per essere stato tra i protagonisti di un reportage di Zerocalcare. Dopo aver lavorato a fianco di decine di giornalisti, a novembre Siyabend ha imbracciato la telecamera per mostrare il massacro nella città della sua famiglia. Nekuje offre una rara testimonianza su cosa accada alle famiglie curde che non riescono ad abbandonare le proprie case all’avvicinarsi dei convogli militari. arcipontenovo@gmail.com


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culturascontata i tanti vantaggi della tessera Arci

w w w. a r c i / a s s o c i a r s i . i t a cura di Enzo Di Rienzo

Marisa e Mario Merz Roma - MACRO, via Nizza, fino al

12 giugno. Marisa e Mario Merz sono due tra i più significativi protagonisti della storia dell’arte del Novecento. Il rapporto tra i due artisti, durato oltre cinquant’anni, ha permesso la nascita di alcune opere realizzate a quattro mani. La mostra partirà proprio da queste esperienze, con una particolare attenzione al legame che i due artisti hanno stretto con Roma. www.museomacro.org

Egosuperegoalterego Roma - MACRO, via Nizza, fino

all’8 maggio. La mostra analizza il volto e il corpo nell’arte contemporanea, con focus sul volto e il corpo dell’artista che si auto-rappresenta e/o, a sua volta, è rappresentato.Fra dipinti, fotografie, installazioni site specific, stencil, la mostra cercherà anche di approfondire e dimostrare, nel concreto dell’arte stessa, l’iter contemporaneo di quella che storicamente è definita come ‘pittura di genere’, con riferimento appunto all’autoritratto e al ritratto attualizzando la denominazione fino al selfie. www.museomacro.org

I Vivarini Conegliano (TV) - Palazzo

Sarcinelli, fino al 5 giugno. Un evento di straordinario interesse, la prima mostra interamente dedicata ai Vivarini, la famiglia di artisti veneziani, che tra il Quattrocento e il Cinquecento a Venezia si contende il primato con la celebre bottega del Bellini. I Vivarini segnano un momento di passaggio decisivo dell’arte veneta e italiana dal Gotico fiorito al rigore del Rinascimento. www.mostravivarini.it

Toulouse - Lautrec Roma - Museo dell’Ara Pacis

- Nuovo spazio espositivo Ara Pacis, fino all’8 maggio. Con circa 170 opere provenienti dal Museo di Belle Arti di Budapest la grande mostra su Toulouse-Lautrec, il pittore bohémien della Parigi di fine Ottocento, ripercorre la vita dell’artista dal 1891 al 1900, poco prima della sua morte avvenuta a soli 36 anni. Attraverso questa esposizione sarà possibile conoscere a tutto tondo l’opera grafica di Toulouse-Lautrec: manifesti, illustrazioni, copertine di spartiti e locandine, alcune delle quali sono autentiche rarità perché stampate in tirature limitate. www.arapacis.it

società

Ddl Terzo Settore: positivi i cambiamenti prodotti dal Parlamento

Rimangono ancora criticità per l’associazionismo popolare. Il governo deve coinvolgerci nella stesura dei decreti di attuazione di Francesca Chiavacci Presidente nazionale Arci

Il Senato ha finalmente approvato il Ddl sul Terzo Settore, che tornerà nei prossimi giorni alla Camera per la terza lettura. In questi due anni il testo del provvedimento è molto cambiato rispetto all’impostazione originaria. Le proposte e le richieste delle organizzazioni del Terzo Settore hanno portato a modifiche significative ed apprezzabili: la nuova formulazione dell’impresa sociale, il servizio civile nazionale, il ruolo delle reti associative. È da valutare sicuramente in maniera positiva l’introduzione della definizione contenuta nell’art.1 che valorizza le finalità civiche e solidaristiche delle organizzazioni sociali. Rimangono però alcune norme ancora, volutamente, poco definite - che in modo rilevante riguardano l’associazionismo di promozione sociale - e che per l’Arci e molte altre associazioni di promozione sociale come la nostra, sono invece molto importanti: ad esempio, non è chiaro come dovranno essere inquadrate le attività di autofinanziamento delle associazioni e cioè la modalità attraverso la quale la gran parte delle organizzazioni che non usufruiscono di contributi pubblici riescono a realizzare le proprie attività. Cosi come è poco comprensibile il permanere della differenziazione tra i volontari che operano nelle Organizzazioni di volontariato e tutti gli altri (che sono la stragrande maggioranza), anomalia, questa, tutta italiana. Non si sentiva poi il bisogno dell’istituzione di una nuova Fondazione per il sostegno finanziario del Terzo Settore, dato che gli strumenti di sviluppo ci sono e basterebbe far funzionare al meglio quelli che già esistono. Infine, siamo preoccupati di come verrà declinato il tema dell’attuazione della revisione complessiva di ente non commerciale e il collegamento tra le norme che riformeranno il codice civile e quelle di natura fiscale. Se la Camera, come sembra, darà il via libera e non modificherà ancora il testo, si passerà nelle prossime settimane alla fase di scrittura dei decreti attuativi che rappresenterà un passaggio determinan-

te per tradurre operativamente le norme necessariamente generiche del Ddl. Sarà fondamentale, in questa nuova fase, che venga rafforzata l’interlocuzione e il confronto tra il governo e le associazioni, le reti nazionali e gli organismi di rappresentanza del terzo settore, che già ha prodotto una riscrittura positiva di alcuni contenuti problematici. Ci aspettiamo quindi di essere coinvolti attivamente in un confronto sulla stesura, e che vengano costituiti tavoli di lavoro comuni per la redazione delle norme di attuazione. Chiediamo al Governo di avere come obiettivo, nel legiferare, la salvaguardia e lo sviluppo di questa grandissima risorsa sociale che è l’associazionismo popolare - di cui l’Arci è parte importante - che promuove, attraverso l’attività di circoli e associazioni, la partecipazione attiva di tante cittadine e cittadini, migliora la qualità delle relazioni sociali nel territorio, arricchisce le nostre comunità.

arcireport n. 12 | 1 aprile 2016 In redazione Andreina Albano Maria Ortensia Ferrara Direttore responsabile Emanuele Patti Direttore editoriale Francesca Chiavacci Progetto grafico Avenida Impaginazione e grafica Claudia Ranzani Impaginazione newsletter online Martina Castagnini Editore Associazione Arci Redazione | Roma, via dei Monti di Pietralata n.16 Registrazione | Tribunale di Roma n. 13/2005 del 24 gennaio 2005 Chiuso in redazione alle 16 Arcireport è rilasciato nei termini della licenza Creative Commons Attribuzione | Non commerciale | Condividi allo stesso modo 2.5 Italia

http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/


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